Roberto Allegri TEMPESTA DI TRAMONTO IN UN MONDO DI CRISTALLO poesia di vigna, vendemmia e vino.
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Dello stesso autore in ebook:
La luna dentro il cuore Briciole di cometa Con le redini ancora in mano Come ceppi in un camino E venne la luce Quando l'oggi parlò al domani
Redazione di Cristina Alzetta.
2015 Copyright Editoriale Gli Olmi Via Ugo Foscolo 29 Burago di Molgora (MB)
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Ad Emma, che conosce la parola degli insetti, la carezza del sole, le storie del vento.
"Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà del mondo."
ERNEST HEMINGWAY
"E' come il sangue della terra, sole catturato e trasformato da una struttura così artificiosa qual è il
granello d'uva, mirabile laboratorio in cui operano
ordigni, ingegni e potenze congegnate da un clinico occulto e perfetto." GALILEO GALILEI
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Siedo accanto alla vigna, tra il fieno che matura e le colline davanti, silenziose. Sui versanti che scendono dal bosco, si muovono caprioli dalle zampe sottili. Balzano, come balza in petto il mio cuore immerso nella pace dei campi e nella luce smeraldo. Siedo accanto alla vigna e tengo in mano il suo succo rubino, il risultato dell'anno ato. E il bicchiere vibra. Il vino vede e sente la luce di casa sua, dopo i mesi al buio della cantina. Si agita, sprigiona riflessi e profumo. Il suo sapore colma. Fa gli occhi luccicanti perché si tira dietro ricordi, gente, sogni mai realizzati, un tempo in cui tutto poteva essere ma nulla è poi diventato. Ma anche promesse e propositi, pentimenti e preghiere di perdono per cominciare di nuovo a sognare, sperare, credere. Sono solo un uomo attaccato alla terra, innamorato del cielo e dell'erba. Un uomo che cattura le emozioni e tenta poi di metterle sulla carta perché restino quando tutto finisce.
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LA MIA VENDEMMIA.
Sono d'uva stasera. E ho la vigna addosso. Acini ribelli nelle tasche della camicia e pezzi di foglie e di legno intrecciati alla barba. Giunture dolenti e stomaco vuoto ma negli occhi ancora il verde e il bruno dei tralci. E sulla nuca la carezza rovente del sole. Ho risalito adagio la collina con l'ultima cesta tra le braccia
e l'ho posta con le altre che sanno di antico. E prima di addormentarmi ho detto "grazie". Questa è la mia vendemmia.
E nel silenzio della sera mi trovo a parlare coi fili d'erba
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VIGNA.
Vigna. Tavolozza di pittore calda e accesa. Tiene lontano il freddo di ottobre coi colori. Siedo tra i tanti doni maturi e la bellezza che non muore mai. Supera tempo e spazio e rimane in eterno.
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SEDIAMOCI A PENSARE
Sediamoci a pensare, mi disse l’uomo col bastone. Allora prendemmo posto sulla panca, nella stretta fetta di sole di febbraio, quello che fa chiudere gli occhi e sembra una carezza. Restammo in silenzio, perchè i pensieri non hanno voce. Io ero un ragazzino e tante cose non le capivo. Così lo guardavo. Lui restava immobile, un lieve sorriso sotto i baffi di ferro, le mani nodose appoggiate al bastone davanti a sè.
I suoi occhi azzurri si muovevano rapidi ma sembravano non vedere nulla. Erano come le fiammelle delle candele in chiesa, tremolavano adagio. Pareva che il vecchio fosse in ascolto e allora io feci come lui. Perchè è vero che i pensieri non hanno voce ma un po’ alla volta sanno acquistare suono. L’impressione era di essere soli al mondo. Nessuno a parte me e quell’uomo. Ma ecco il cigolio allegro delle cince sui rami dell’olmo,
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venute a spiare. Laggiù, il borbottare del trattore sul fianco della collina, il nitrito di un cavallo, la risposta di una delle mucche nella stalla di Michele. Il tepore prometteva la primavera e svegliava i dormienti. Così i primi insetti prendevano coraggio e il loro motore sottile si avvicinava, indugiava sulla pietra del fienile, poi si affievoliva con la distanza. Erano suoni come colori e tinteggiavano il pomeriggio. Quella fu la prima lezione: l’ascolto. Sono ati anni. Ma quel lontano pomeriggio
è diventato abitudine. Ogni tanto, mi fermo. Mi siedo a pensare. La panca sotto l’olmo è sempre la stessa. Il legno tiene e il ferro si è fatto un po’ opaco. Solo i pensieri sono diversi, ora hanno perso i capelli e portano la barba. Alcuni sorridono, altri sono cupi e fanno chinare la testa. Ma io cerco di stringere amicizia con tutti quanti. Allora, le prospettive cambiano, gli angoli non pungono più.
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E ho l’impressione di avere ancora accanto l’uomo coi baffi e il bastone. E gli occhi come lumi di candela. Quel vecchio mi parlava spesso della vigna………
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MEZZOGIORNO DI VENDEMMIA
Le foglie hanno cambiato il vestito. L’aria si è fatta più sottile. Leggera, accompagna la gente a raccogliere l’uva. E’ il tempo della vendemmia. Si fatica e si suda nella vigna. E le ceste si riempiono mano a mano che il sole cammina. Quando è al centro del suo arco, la vigna risuona di risate. Il buonumore, figlio di fatica onesta, si alza vaporoso nell’aria. Insieme all’aroma delle foglie odorose e al profumo del cibo nelle pentole portate da casa.
E’ mezzogiorno. La vendemmia si ferma per la pausa del pranzo e si aprono i bottiglioni scuri e i panieri prendono luce. Un omino dagli occhi sottili e il cappello di paglia siede appoggiato al palo che sorregge i tralci. Porta una tuta azzurra e stivali di gomma. Dalla tasca estrae una forchetta piena di tacche e mescola i fagioli che ha nel piatto. Accanto a lui sta la moglie avvolta in un vecchio maglione di lana e nel più sereno dei sorrisi.
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La donna ha il viso rosso provocato dal movimento e dalle risate e piega con diligenza d’abitudine il canovaccio sull’erba secca. Guarda i giovani e i bambini che le siedono vicino, attratti dal tintinnare dei bicchieri. E altri ne chiama ad alta voce, nomi che risuonano tra i filari diritti e formano la famiglia riunita per la raccolta d’autunno. I secchi di plastica capovolti, colorati di viola dal succo dell’uva, diventano sedili. Le ceste di vimini si fanno poltrone, i sassi cuscini su cui appoggiare i gomiti.
Si parla a bocca piena, si beve dal collo delle bottiglie e poi gli uomini fumano in disparte, con gli occhi seri sul lavoro ancora da finire. Oltre le viti, dove iniziano le case, un vignaiolo con i baffi scuri stringe tra i denti una sigaretta spenta. Non ha voluto fermarsi, mangerà a lavoro ultimato. Quell’uomo non usa il trattore per portare alla cantina l’uva raccolta ma un vecchio carretto trainato da una mucca. Per questo, gli amici lo prendono in giro
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ma lui dice che la vendemmia è una cosa da fare in silenzio, cullati da odori antichi che fanno tenere per mano il ricordo dei nonni. Perciò niente macchine che sputano rumore e fumo nero. Così ora sta in piedi sul carretto, sopra i grappoli stipati nei grossi mastelli di legno. Indossa alti stivali di gomma e con un rastrello mescola l’uva color della notte. Sotto di lui, il carro è immobile, davanti al portone della cantina. Ha le ruote grandi, rivestite da cerchioni di ferro e le sponde robuste circondano
il prezioso carico. Tra i due timoni è legata, tranquilla, la mucca bruna. Ad ogni fremere di pelle che caccia le mosche, risponde un tintinnio di catena e finimenti e cigolio di legno vissuto. L’animale aspetta paziente, nella sua fatica pacata. E sa che le toccheranno altri tragitti e altri carichi. Ogni tanto il padrone le parla e la mucca muove le grandi orecchie e batte a terra uno zoccolo sformato. Poi volge i grandi occhi acquosi lungo la stradina lastricata sulla quale a o allegro sta arrivando il parroco.
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Il reverendo si ferma davanti al portone e sorride nel dare la benedizione alle ceste dell’uva. Naviga di cantina in cantina e alza la mano a disegnare la croce nell’aria sugli uomini e il loro lavoro. I contadini allora si tolgono il cappello e si segnano mormorando. Poi lo invitano a bere un bicchiere. Il prete ha un berretto nero poggiato di sbieco sui capelli radi, la barba bianca a punta e gli occhiali in equilibrio sulla punta del naso. Il suo sguardo è un poco incerto perchè di benedizioni ne ha già impartite tante e tanti sono anche gli inviti
che ha accettato. Ma è più forte di lui. Ama l’aroma di settembre e sotto la tonaca nera, insieme agli scarponi, tiene un cuore contadino che lo chiama tra le viti. In settembre vorrebbe dimenticare la sua vocazione, chiudere la porta della chiesa e restare nei campi fino al tramonto, a fare fatica. Il dovere però glielo impedisce. E allora si accontenta e partecipa alla raccolta con il benedire il lavoro degli altri e con l’assaggiare il vino.
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Ad ogni offerta ringrazia nominando il Signore, prende il bicchiere e annusa con fare esperto e poi assapora facendo schioccare le labbra di piacere. a anche il maestro di scuola. Saluta vignaiolo e reverendo con un inchino del capo. Ha lasciato gli scolari e si affretta verso casa pensando al piccolo vigneto, eredità che suo padre gli ha lasciato insieme all’amore per i campi. Non vede l’ora di gettare la borsa di cuoio con i libri sul divano, di togliere la giacca e la cravatta, di infilare i vecchi vestiti del nonno e le scarpe da lavoro,
quelle alte fino alla caviglia, e di correre anche lui a vendemmiare. A sera poi, arrancherà verso casa col segno del sole sulla fronte e sulla nuca. Terrà una gerla di legno appesa alla schiena, legata con grosse cinghie di pelle che mangiano le spalle ossute e camminerà piegato in avanti, a far pace con l’equilibrio. Percorrerà i gradini scavati nel fianco della collina e arriverà fino alla vecchia chiesa. Oltre l’angolo dove riposa San Giuseppe, nella nicchia aggraziata di fiori freschi,
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busserà al robusto portone della cantina e gli aprirà la madre, una donnina piccola come una noce, dai capelli neri. Insieme si occuperanno della loro uva.
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INFINITO MOVIMENTO
Arriva sera in fretta e io porto la mia stanchezza a eggiare per il paese. E incontro l’antro aperto di una cantina. Spio l’interno ed ecco l’occhio di una vecchia lampada e getta più ombra che luce. Lascio che a guidarmi sia il naso e subito sento muffa e il profumo dolce del mosto a mischiarsi con la polvere. Non mi ha visto l’amico contadino, intento al suo lavoro. E io non lo disturbo. Mi volge le spalle
e sta piegato in avanti. Curvo, si avvolge attorno al manico del torchio. Mette tutta la forza delle braccia e della schiena sul perno, muove la madrevite e l’uva viene schiacciata tra le presse. Mi pare di sentire gemere i muscoli tesi, insieme allo scricchiolare delle doghe di legno della gabbia. In alto, la vite lucida di grasso sembra sudare anch’essa per la fatica. Riflette la lampadina del soffitto in mille gocce luminose. Mi avvicino.
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Vedo, sotto la fessura di scolo, il mosto rubino che gorgoglia schiumoso. Giovanni allora si accorge di me. Mi saluta e sorride. Intinge il dito in quel rosso, assaggia e annuisce. Poi batte la larga mano sulla botte di liquido sanguigno e bucce scure. Dentro, la magia del divenire. Ha tutto l’inverno il mosto per fare il suo mestiere: pazientare e trasformarsi, bollire adagio come zuppa al fuoco, avvolto da buio e silenzio. Giovanni mi dice di seguirlo. Apre una porta, accende una luce e appaiono pesanti mensole
aggrappate alle pareti. Un esercito di bottiglie, tanti plotoni lucidi, in fila per annata. Sono soldati senza nome, senza mostrine, con l’elmo di sughero e le spalle spioventi. Sono il capitolo finale dell’autunno e dell’anno sui campi. Stanno ad aspettare le sere della stufa, i freddi ancora da venire. Ora Giovanni ha due bicchieri in una mano e con l’altra afferra uno dei fanti.
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Stappa la bottiglia, ne annusa il collo. Sorride di nuovo. Più tardi, siamo seduti al tavolo della cucina. E Giovanni mi parla delle vendemmie ate. Complice il vinello, vedo sfilare di fronte persone che sfiorano i tralci e tagliano grappoli succosi. Vedo un cielo terso, con pezzi di cotone. Vedo ceste contorte, impilate, in attesa sulla terra rossiccia. Sono come bocche vuote e avide che vogliono essere riempite
col sangue zuccherino degli acini. E anche a me sembra di tenere un grappolo. Perfetto. Gloria di una geometria naturale che non fa calcoli e non ha interessi. Perfezione semplice, innamorata dei ritmi senza tempo. Parte dell’infinito movimento.
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TEMPESTA DI TRAMONTO IN UN MONDO DI CRISTALLO
Entro nell’osteria. Lo faccio senza fretta, con gesti misurati, aprendo la porta dai vetri colorati e richiudendola dietro di me, lasciando fuori un vento caldo e bagnato che porta sulle spalle la promessa di tuoni e nuvole cariche. o l’ingresso forando le voci alte di chi gioca a carte e il velo del fumo dei sigari. Tutte le volte che mi scontro con quel muro di tabacco, lì nell’osteria, mi viene alla mente la nebbia sottile del mattino presto, quella che sale adagio dai campi quasi fosse il respiro della terra stessa. E a me piace farmi avvolgere dalla foschia umida e carica di aromi che sul viso da poco sveglio è pulita e fresca. Nei campi, con il sole che poco alla volta si toglie di dosso le coperte della notte, ho l’impressione che la nebbiolina sia una crisalide di vapore: mi avvolge e mi fa rinascere ogni giorno ad una nuova vita. Sbuffo di soddisfazione, come fa il mio cane quando lo accarezzo dietro le orecchie. Poi abbraccio con lo sguardo il vasto locale, pieno come sempre di gente. Sono contadini e operai a fine giornata, seduti ai tavolini oppure appoggiati al banco scuro, lucido, con la grande macchina del caffè e le
bottiglie di amaro una accanto all’altra. Sul muro, la fotografia con la firma del famoso tenore, incorniciata e appesa a testimonianza di un pomeriggio che tutti ricordano ancora con le lacrime agli occhi. Ad ampi i, porto gli scarponi sotto il solito tavolo che sembra restare vuoto per me. Mi accompagnano grumi di terra e pezzi di corteccia rimasti incastrati sotto le suole. Mi siedo e un gemito di stanchezza mi esce dalle labbra perché ho la fatica delle ore sul trattore a gravarmi sulla schiena e le gambe sono rigide. Il mio viso però è sereno, pulito nell’onestà del dovere compiuto anche questo.
<<Buona sera. Anche oggi è finita, eh? Ecco, tieni. Bevici sopra, che sta arrivando il brutto tempo>>, dice Egidio l’oste. E’ un uomo corpulento,
completamente calvo e con un paio di grossi baffi grigio ferro arruffati sotto il naso. Mi mette davanti un bicchiere di vino odoroso. <
>, rispondo sorridendo.
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<
> <
> Tancredi è il gatto dell’osteria, un enorme soriano tigrato che a il suo tempo accovacciato sulla panca vicino alla stufa in inverno e mollemente sdraiato sotto la pianta di rosmarino dell’orto nella bella stagione. Tancredi è anche il barometro ufficiale del posto al quale si presta fede più ancora che alle previsioni meteo della televisione o ai bollettini della radio. <
>, risponde Egidio. <
> <
> <
>
Mi metto a ridere. Poi circondo il bicchiere con la mano callosa. Ma non lo porto subito alle labbra. Non lo faccio mai. Non ho mai fretta di bere la sera,
all’osteria. Aspetto perché voglio sentire di esserselo meritato fino in fondo. Si tratta di un attimo, un istante rapido come una preghiera appena sussurrata. Un alito di vento che rinfresca il viso dalla fatica. Un attimo che io chiamo “il tempo speso giusto”. Un istante particolare, leggero e delicato come un intermezzo di Mascagni. Una consapevolezza che riempie, una sorta di mantello di tepore che si posa sulle spalle indolenzite. In esso, ho imparato a riconoscere la coscienza del lavoro ben svolto, del tempo concesso bene impiegato. E’ calore. Calore che da piccolo spazio di luce si
fa orizzonte, si dilata, acuisce i sensi che diventano appuntiti. E tutto si fa
nitido. Durante questo momento, scopro di essere in grado di ascoltare i miei stessi gesti, di avvertirne l’armonia, di vederne la verità che prima era
nascosta. Seduto al solito tavolo, sento il diffuso dolore dei muscoli, la schiena
indurita come fosse legno, le dita intorpidite dallo stringere il manico degli attrezzi e il volante del trattore. Non sono sensazioni cattive e le saluto come sempre a piene braccia. Anche loro fanno parte della certezza di aver lavorato sodo, di avere fatto il proprio ruolo nell’armonia della fatica a
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contatto con la natura. Mi rilasso. Attendo il mio attimo come fosse un premio. Per questo esito ancora nel bere il vino, gesto che conclude questo rito tutto personale e che ha il sapore stesso del lavoro in campagna. Ho una grande scorta di calma. Sospiro a fondo e mi guardo attorno. Al tavolo accanto è in corso una partita a carte. Quattro contadini arroventati dal sole e dai bicchieri vuotati, lanciano le carte sul tavolo con forza. Ogni gesto, commentato da sbuffi di toscano o di pipa, liberati ai lati della bocca come vapore da una caldaia. Le carte schiaffeggiano il legno e fanno un rumore secco, come l’inizio di un applauso. Seguo un paio di mani, quindi mi giro verso il biliardo dove, tra schiocchi di palle colorate e balenìo di stecche, è in atto una discussione accesa sui nuovi concimi arrivati al consorzio. Tutte quelle persone, penso, fanno ormai parte del mio mondo. Di ognuna di loro conosco il mestiere, conosco i campi, so cosa hanno seminato. Con molti di loro ho giocato a bocce in estate, sotto i salici. Con altri ho bevuto e gridato di fronte alla partita in tv. E con altri ancora, più di un mercoledì sera, ho anche vinto le partite a briscola portando a casa il prosciutto o le bottiglie di novello in palio.
Li osservo e loro, accorgendosi del mio sguardo, alzano il mento in saluti silenziosi. I loro nomi non hanno importanza. I nomi servono per chi ha paura di essere confuso con altri in un mondo di individui tutti uguali. Ma qui, in paese, la gente si riconosce dal carattere che quasi sempre finisce per essere scolpito nell’aspetto. E ci sono perciò barbe e baffi, capelli e cicatrici, pance prominenti e andature bizzarre ad indicare con precisione. Seguendo le regole di questo codice senza nomi, posso riconoscere senza esitazioni il mio confinante, anche se è di spalle, allungato con la stecca in mano sul tavolo del biliardo. Lo riconosco dai capelli che porta lunghi e legati in una coda che fanno assomigliare ad un pellerossa. Sta giocando con la “barba nera” che abita sulla collina di fronte a casa mia e che ha l’abitudine di lavare il trattore tutte le sere come fanno i giovani con le auto sportive. E poi vedo la “testa calva” di chi vende i giornali e parla sempre di politica. Se ne sta al tavolo della briscola a giocare in coppia con “l’enorme ventre” di quello che va a caccia di cinghiali e ha la camicia tesa sull’ombelico dal troppo vino e troppo salame. E al bancone, ecco la “schiena larga” di chi mi
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ha prestato l’aratro dopo che il mio si era spezzato in due, la lama scintillante di attrito sdoppiata come per magia sotto il sole di fine estate.
Poi l’istante giunge. Il tempo speso giusto è arrivato con il suo carico di dolcezza, di serenità. Alzo il bicchiere tenendolo con due mani, quasi a volerlo cullare. Sporgo le labbra per assaporare. Bevo un lungo sorso e poi metto il bicchiere in controluce, davanti alla lampada appesa al soffitto. E vide il liquido color del sangue ondeggiare. Il vino sembra una piccola tempesta di tramonto in un mondo di cristallo.
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CANTO DI UBRIACO
Sordo dalla compagnia del vino mi scopro ad assorbire il silenzio. Dita che sentono i suoni. E nella testa fumo e nebbia e ronzii di insetti con ali di velluto. Caldo il letto mi reclama. Ma io prendo tempo e assaggio la lingua senza sapore che sa di eccesso. E' filosofia di ubriaco.
E scrivo senza controllo alcuno. Mano che sostiene e ventre che spinge e testa che pulsa. E vita vissuta in parole colori fumo e risate. Forse tutto perso al vento ma comunque cose accadute.
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SAPORE DELLA VITA
Buon rosso, amico sincero che non chiede favori. Sei il bacio apionato che è colore dell'amore e sapore della vita. Buon rosso, compagno di battaglie contro solitudine e dolore, sei risata di liquido chiarore, profumi di stretta di mano, suoni come un saluto.
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LA BOSSA
Gorgoglio de bossa che me ciapa…… Also la man e la me varda: un tuffo nel goto. Alcool en moimento. Rido parchè lo verta, pianso parchè l'ho udà.
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BIOGRAFIA
Roberto Allegri è nato nel 1969. Ha studiato Scienze Biologiche all’Università Statale di Milano. E' collaboratore fisso del settimanale CHI fin dal primo numero. Ha pubblicato una quarantina di libri alcuni dei quali tradotti in inglese, giapponese, tedesco e portoghese. Tra i titoli:
IL COLORE DELLE EMOZIONI (Paoline) REPORTAGE DA FATIMA (Ancora) VITA DA GATTI (Armenia) CALLAS BY CALLAS (Mondadori) LA MAMMA DI CALCUTTA (Milesi) IL GATTO GIORNO PER GIORNO (Armenia) IL MIO MAESTRO ZEN HA LA CODA (Armenia) IL SARTO DI GUARESCHI (Ancora) CANI SUPEREROI (Armenia) TRA CIELO E TERRA (Mursia) 1001 COSA DA SAPERE E DA FARE CON IL TUO GATTO (Newton
Compton) LA MERAVIGLIA DI UN SORRISO (Paoline) 1001 COSE DA SAPERE E DA FARE CON IL TUO CANE (Newton Compton) VIENI CON ME. La vita e la spiritualità di Fratel Ettore (Piemme)
E’ autore anche di E’ LA MIA VITA, la biografia di Albano Carrisi pubblicata da Mondadori, libro che è entrato a far parte della prestigiosa collana dei “best sellers”. Con due volumi di poesie, IL PROFUMO DEL FIENO e CON IL VENTO, ha ottenuto lodi da Eugenio Corti, Mario Rigoni Stern, Ulisse Sartini, Pino Pedano, Gabriele Mandel e persino da due scrittori notoriamente temuti per la loro severità: Mauro Corona e Remo Remotti. Remotti lo ha paragonato a Hans Magnus Henzesberger ed ha scritto: “Le tue poesie, caro Roberto, mi piacciono, mi prendono, me le sento vicine perche tu sei uno scultore. Sei un pittore dalle tinte forti. Hai la forza di Alberto Burri, di Mario Sironi, di Brancusi.”
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Sommario
LA MIA VENDEMMIA. ..................................................................................................................................................... 5
VIGNA. ...................................................................................................................................................... 6
SEDIAMOCI A PENSARE ................................................................................................................................................. 7
MEZZOGIORNO DI VENDEMMIA ................................................................................................................................ 10
INFINITO MOVIMENTO ................................................................................................................................................. 16
TEMPESTA DI TRAMONTO IN UN MONDO DI CRISTALLO
.................................................................................. 19
CANTO DI UBRIACO ...................................................................................................................................................... 23
SAPORE DELLA VITA .................................................................................................................................................... 24
LA BOSSA ....................................................................................................................................................... 25
BIOGRAFIA ....................................................................................................................................................... 26
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