Titolo | Non ho perduto nulla
Autore | Stefano Peressini
ISBN | 788891186089 Prima edizione digitale: 2015
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Stefano Peressini
Non ho perduto nulla
~ 2015 ~
Youcanprint Self-Publishing
“I ricordi, il riversarsi vano di sabbia che si muove senza pesare sulla sabbia, echi brevi protratti, senza voce echi degli addii a minuti che parvero felici…”
(Giuseppe Ungaretti - I ricordi)
“Spunta l’alba, e un altro giorno si prepara a calore e silenzio. Al largo sul mare il vento dell’alba increspa e scivola. Io sono qui, o là, o altrove. Nel mio principio.”
(Thomas S. Eliot - I Quattro Quartetti, East Coker)
“Penso ad un giorno d’incantesimo
e delle giostre d’ore troppo uguali mi ripago.”
(Eugenio Montale - Quasi una fantasia)
a Patrizia, che conosce i piccoli incantesimi.
Prefazione
Il titolo della nuova raccolta poetica (44 testi) di Stefano Peressini (la seconda dopo Per sconosciute vie nascoste, 2010), Non ho perduto nulla, richiama un testo eponimo di Salvatore Quasimodo facente parte dell’ultima raccolta Dare e avere (Schwarz, Milano 1966), nella quale l’autore siciliano registra con toni ragionativi più pacati, rispetto ai precedenti libri, il tema della morte, “l’essere dell’essere”. Dare e avere è un consuntivo, un bilancio della propria vita (su questo versante “il poeta non può mentire”, non può “truccare le carte”, non può “barare” - direbbe Dino Carlesi, amico intimo di Salvatore), un dialogo nella direzione dell’amore, “segno-valore […] della ricerca”. Ma per il poeta Quasimodo la vera morte è l’inerzia, la resa alla solitudine, l’aridità del cuore; per lui, come per Stefano Peressini, determinante è la figura femminile: nel primo la russa Varvàra, nel secondo la napoletana Patrizia (alla quale è dedicata la raccolta, anche perché essa conosce i piccoli incantesimi; quegl’incantesimi di cui parla Eugenio Montale in Quasi una fantasia del libro Ossi di seppia, 1925). L’una e l’altra nel ruolo di risanatrici dell’io - ma anche del corpo - piagato dei due “feriti” che si ri-aprono alla vita, agli altri: “Da qualche parte / nel mondo / rinasce / un’anima nuova: / persino dagli stracci buttati / della mia” (Metempsicosi, 13ma, 1-6). A uno scopo superiore, quindi. Così Stefano Peressini arrovella la sua “mente / per trovare una via / d’uscita” (Quello che sono, 1ma, 11-13), “verso un azzurro più chiaro” (Battito, 2da, 18). Ecco, il poeta Peressini “rinnova la guerra” (il verbo arrovellare, derivato dal latino “rebellare”, richiama Leopardi e Montale) con le “fragili realtà” (Un sogno, 3za, 11) e con la forza dell’intelligenza (intus+legere) sa entrare a fondo nelle cose, sa raccoglierne l’essenza, e, come Giuseppe Ungaretti (Il porto sepolto, in L’Allegria), “disperde” le sue parole/versi per chi, povero lui, si consuma “col senso / del vuoto” (Inutili versi, 10ma, 11-12). Il titolo Non ho perduto nulla, un settenario sdrucciolo, è formulato con una struttura negativa non…nulla; ma, proprio per questo, esso va letto nel suo rovesciamento, e cioè “io possiedo ancora tutto”, “tutto è ancora in me”, come in un museo della memoria: parole, pensieri, affetti, atti, eventi negativi e positivi, luce e ombra. Sono elementi del ricordare (o del non scordare) e del rammentare (o del non dimenticare), segnali che vanno via via interpretati con parole mai banali o scontate e forma efficace, in tono colloquiale. Trovare il verso giusto è
la fatica, dolce, del poeta: leggere la poesia è un invito a riflettere, a guardare in basso (la misera cronaca quotidiana) con animo nuovo e ancor più in alto come antidoto alle ciarle e al pastone politico-sociologico dominante. In altri termini, con Eugenio Montale: “L’opera d’arte è vita; chi non ha vissuto non sviscera. […]. Chi trascina i piedi nel fango e gli occhi nelle stelle; quello è il solo eroe; quello il sol vivente.” (Quaderno genovese, Corsivo nel testo). Molto efficace quello sviscerare che indica la funzione di scavo di ciò che è dentro e fuori di noi. E’ la caratteristica del poeta. Di Stefano Peressini. Nell’incipit della poesia Non ho perduto nulla (29ma), che dà il titolo alla raccolta, così scrive l’autore: “Come un rosario / si sgrana il mio tempo / a ritroso correndo” (1-3), perché “rimane dei giorni / la nitida traccia segnata” (56), perché “resta d’un canto / quell’eco leggera e suadente / che dà vita alla pietra / nel suo fluire d’un attimo” (9-12). Ecco: il “correre a ritroso”, proprio in quanto è accompagnato da coraggio etico non genera paura ma dà vita nuova, apertura a sentimenti e scopi nuovi, e questo, secondo la mia interpretazione, richiama alcuni versi di Eugenio Montale, un autore caro a Stefano Peressini: “Memoria / non è peccato fin che giova, Dopo / è letargo di talpe, abiezione / che funghisce su sé…” (Voce giunta con le folaghe, 42-45, in La bufera e altro). Lecita è la memoria fino a che è utile ad andare oltre il chiuso del privato; se è oscura dimenticanza della vita (l’immagine delle talpe), è vile rinuncia che ammuffisce e, aggiunge Stefano, non “si scioglie […] / nel muoversi lento di un’onda” (Non ho perduto nulla, 23-24). Si fonde con l’acqua che la libera e la fa diventare canto, poesia. La memoria, per Stefano Peressini, è sì recupero del ato, lontano e recente, ma è, nello stesso tempo, apertura al futuro attraverso il presente vissuto nell’urgenza della riflessione che ha “tante cose da dare” (Dare, 7ma, 18). Da dare a se stesso e agli altri, in una dimensione di utilità etico-morale, perché egli è ben certo che “scrivere / significa / non arrendersi” (Mi chiedo, 9na, 27-29). In Non ho perduto nulla emerge la personalità stratificata dell’autore che scrive e scrivendo è ed esiste (Scribo ergo sum: infatti gli “Accade spesso, la sera che una pagina bianca infiammi una storia, dia linfa che scorre e calore al coraggio d’andare oltre il rischio del nulla” in Scrivere. Corsivi miei) - del padre che non è più ma è sempre più ora, dell’amore, del tempo, del vuoto e della noia degli uomini, del sogno. Di se stesso, soprattutto, anche perché egli non “teme” di sé (Un sogno, 3za, 16), non teme di cantare i suoi sentimenti, non teme di appoggiarsi a chi (il padre Attilio e Patrizia) può riportarlo alla vita:
Tu non mi abbandonare amore nel solco di questo campo ferito, nell’aridità della terra che piange il nostro marzo lontano.
Tu non mi abbandonare ti prego sul limitare di questa spiaggia deserta sulla sabbia rovente che freme al sospiro del vento.
Tu non mi lasciare da solo col silenzio dell’onda che dorme, dammi parole da dire alla luna che imbianca il nostro cielo lassù.
Non chiudere gli occhi stanotte,
nemmeno il tuo cuore: dammi parole da dirti ora che so chi sei.
(Tu non mi abbandonare, 21ma)
Attraverso una iterazione di imperativi (negativi e non) Stefano Peressini invoca aiuto perché nel suo sottosuolo c’è un fremito all’esistenza, c’è una luce che vuole splendere “per un minuto in più” (Per te non scriverò, 23ma, 28) sul buio del mondo, sui tanti “alazònes” che, senza possedere il dono della parola creatrice, ciondolano nel mare delle ciance che lasciano il tempo che trovano. Mentre Stefano Peressini sa cos’è la parola e pertanto:
Non scrivo per me stesso ma per il tempo che nasce da una parola buttata a casaccio sul foglio e nutrita dei segni d’altre parole
incatenata in qualche frammento di poesia o simile delirio.
(Frammento, 44ma)
Delirio da e per amore dell’essenziale che è sostanza della vita. Il lettore si troverà di fronte all’articolazione robusta di pensieri, di riflessioni che lo aiuteranno a leggersi e a capirsi.
Franco Pezzica
Scrivere (appunti di viaggio…)
Accade spesso, la sera, che una pagina bianca infiammi una storia, dia linfa che scorre e calore al coraggio d’andare oltre il rischio del nulla. Serve allora qualcosa per fermare un’idea: nuove parole e mai scritte, o forse un segno diverso, come un’ombra leggera di giovani foglie. Comincia così ogni viaggio di carta: si muove nel buio con i indecisi, come orme che vanno di sbieco sopra un velo di neve, posate a fatica sul margine vago d’una strada in disparte. In questa liquida notte che cola sopra un mondo già spento, si può intingere il pennino delle insolite scoperte, mentre l’aria si muove e trasuda del brusio di pensieri a stento trattenuti. Si scrive di oggi, di ieri e di stelle rattrappite, del lento fluire degli inquieti ricordi e di nuvole appese a lune disperate, sempre a caccia d’un colore che renda loro nuova luce. Si trovano, scavando nel freddo dei momenti fermati in un dolore, scorze dure di conchiglia e sassi frantumati, schegge piccole di vetro che tagliano la voce delle frasi appena nate. Certe volte ci si sente come un’anima sospesa sopra il fuoco d’un vulcano, come un’onda che non trova il ritmo giusto per il balzo e s’arrende alla bonaccia che la spiana verso riva. Poi si scrive dell’amore, di quell’ora che è già stata o che non sarà mai, perché due strade non s’incontrano, divergono, s’allontanano nel buio come scie di fuochi d’artificio, dopo il lampo dello scoppio. Ogni tanto ci si ferma, come l’aria d’estate squagliata sui muri, come un treno al capolinea che non sa se ripartire. Ci si ferma per capire, per comprendere il bisogno del nostro arrabattarci dietro questa processione di confuse e strane idee. Si trova, a volte, ad aspettare un bacio tra le righe, come un fiore sbocciato dal
niente nel secco ansimare d’un campo, come uno scroscio di pioggia inattesa sul rovo strinato: allora, si nasce di nuovo in un’altra suggestione, di sole e di vento. E tu che ora leggi questi segni sopra un foglio, come fossero delirio, capisci il senso o l’emozione, la soluzione vera che t’abbaglia se guardi il cerchio che si chiude, o solo ascolti quel rumore cupo che fa d’una parola un grido? Perché c’è ancora da scontare il peso d’un pensiero: che si possa poi cambiare il senso d’un distacco, d’un altro addio nel mondo, d’una gioia che si spegne come un cero in una chiesa, nell’ombra silenziosa d’un luogo ormai sepolto.
Stefano Peressini
Poesie
Quello che sono
A chi ha saputo sa e saprà sempre capirmi
accettarmi per quello che sono fino a quando
resterò qui tra gli uomini che a volte piangono
ad arrovellare la mia mente per trovare una via
d’uscita.
Battito
Lanciare un sasso in acqua, osservare la vita affondare.
Riprendere il cammino, per fermarsi poi a guardare una foglia strappata, il pianto d’un bimbo troppo solo tra la gente.
Sorridere a un sole distante quasi ti possa parlare, guardare in alto il cielo e provare a sognare.
Non riuscire a pensare
mentre un battito d’ali solca l’aria sicuro verso un azzurro più chiaro.
7 dicembre 1980
Un sogno
Un sogno, ciò che ti lascia libero
di morire se lo vuoi, non fa domande non pretende giustificazioni,
langue durante l’agonia del giorno soffocato dai pensieri dalle fragili realtà.
In fondo nient’altro che la libertà di scoprire ciò che veramente
temiamo di noi.
Parole
Persi. Tra di noi l’indifferenza come fitta nebbia: cieco mi sovviene la tua voce e mi colpisce.
Parli, anima nel delirio e ridi del momento.
Io ascolto le parole lacerare le speranze: aspetto chino la mia fine.
E sia
Era tua la certezza che il tempo ci avrebbe aiutato a scordare.
Era mio l’aggrapparmi ai ricordi, a ciò che in fondo era stato e non tornava più.
E sia.
Ora è nostra la noia l’irreparabile d’una parola
la durezza d’un addio che chiude il nostro libro.
E sia.
Sfumature
Finalmente c’incontrammo al di là d’un o indietro oltre il riverbero del tempo che scuoteva l’illusione.
Fu la fretta del pensiero a intirizzire il cuore a fermare dentro al ghiaccio le sfumature d’un colore.
Ora si scioglie il pianto in gocce amare d’impotenza.
Dare
Notte senza nessuno, sola nell’aria più fredda d’un posto sul mare.
Notte dura da ingoiare bagnata di luce d’una stella caduta.
Notte uscita dal rimpianto, con una luna sfacciata che ti fruga nel cuore.
Che non ti lascia pensare.
Notte
uguale a ieri, senza rabbia e incolore, solo.
Con tante cose da dare.
Vorrei
Ci si sveglia come nel torpore d’ubriachi il mattino quando smette l’allegria d’un sogno che non si ricorda.
Vorrei non svegliarmi più.
Mi chiedo
Sono come l’uomo affannato a cercare parole, come il naufrago stremato arreso alla corrente, niente più d’un vecchio zoppo che si trascina.
Eppure mi piace lottare, tentare di scoprire se davvero è così difficile la vita, sentire se intorno si respira soltanto incomprensione, se l’amore è solo una bella favola da raccontarci prima di dormire.
A volte sono un bimbo e non mi chiedo il perché: vivo di piccole cose
mi basta la luce del sole. Poi cresco e mi sento come ingoiato dal tempo, soffocato dal silenzio che sbatte le sue porte su di noi.
Mi chiedo a cosa serva pensare plasmare belle idee tormentarsi ogni giorno di più.
So che scrivere significa non arrendersi.
Inutili versi
Mettere insieme parole come i ubriachi
sondare il cedevole strato dei pensieri a rovescio
mentre intorno la folla amoreggia col senso del vuoto.
Ombra
Dalla finestra socchiusa entra un raggio di sole: si ferma sorride gioca con la sua allegria.
Io resto qui nell’ombra, in questa mia stanza vuota, guardo i fuggitivi minuti: penso ad un diverso domani.
Partigiano
Piove sul pietrame antico d’inerpicate strade, sul lastrico sdrucito di chiese scoperchiate.
Il freddo del mattino imbalsama le forme, trasforma l’aria inferma in una lama di coltello.
Vertigine di nuvole gravide di pianto sui nostri i stanchi, sul vuoto dei pensieri inebetiti.
Un lampo squarcia il nulla e sei steso tra gli sterpi: tengo stretto tra le mani tutto il rosso del tuo orgoglio.
Metempsicosi
Da qualche parte nel mondo rinasce un’anima nuova: persino dagli stracci buttati della mia.
Sipario
Improvviso cala il sipario scuro sul mondo che s’addormenta.
Una finestra accesa rischiara l’aria intorno
lungo fremito stanco in questa notte.
Tu non ci sei.
Canzone (a mio padre)
Io ti incontrerò dall’altro lato della luna quando il peso dei rimpianti sarà sciolto in un sorriso.
L’orizzonte da scrutare sarà il sogno che ci tiene insieme l’impazienza d’un ritorno dentro un viaggio che continua.
Io ti incontrerò sul fondo d’un mare antico quando il tempo dei ricordi scivolerà tra le conchiglie chiuse.
E non sarà un errore restare fermi senza parole ad aspettare che un’onda nuova
ci dia una riva da conquistare.
Oltre i tuoi i
Che ti serve guardare indietro ad inseguire uno sguardo fuggito oltre quell’angolo.
Trasportarti al di là d’una soglia bianca che ti spalanca davanti un mondo sconosciuto.
Scoprire in un attimo di luce pennellate di colore a tratteggiare un universo di sfumature ardite.
Ondeggiare tra la noia e il sentimento a litigare con un cuore che non vuole ripartire.
Ingoiare l’emozione d’un altro appuntamento senza pensare a niente che non sia rimpianto.
Scivolare nell’abbraccio del tuo mare mai uguale con un calmo sciabordio attorno ai piedi nudi.
Che ti serve il tuo tormento appiccicato addosso come neve che ti lascia sulle spalle un velo umido di freddo.
E poi la vita, precaria e misteriosa da stringere ogni giorno sotto un soffitto differente.
Che ti serve la speranza e un’idea maldestra senza niente che ti serva a camminare oltre i tuoi i.
Nulla di più
Occhi arrossati cuori infranti vite diverse giochi di carte.
Pensieri come boe sul fiume, legati in profondo ad agitarsi invano.
Scie di nuvole su cieli tersi pianti giovani riflessi scuri.
Mani chiuse tra minuti sprecati opachi sentimenti
certezze deluse.
Parole sputate in lunghe ore nere ombre calpestate vecchie idee.
Lacrime di stelle su respiri contati sguardi di cenere e rumori di fondo.
Nulla di più per poi vivere.
Polvere d'amore
Fare finta di non sentire e guardare oltre la linea del tempo curvata agli angoli d'una fotografia dove rimane un istante a sfavillare in eterno
qualche gioco di chiaroscuro sulla carta
un po' di polvere d'amore.
Ordinaria monotonia
E’ una vita strana annodata in brevi istanti d’ordinaria monotonia.
Già s’appressano più lunghe le sere d’un nuovo ottobre e si riscopre il gusto della casa.
In qualcuno s’intromette il guizzo breve d’un pensiero un flebile ricordo di sguardi attraversati o soltanto il desiderio di restare soli.
In pochi c’è la somma delle ore ormai vissute il confine da varcare
d’un altro giorno andato.
Tutto scorre e s’avvicina torna e si ritrova, anche le stelle antiche che non sanno dove andare. Si chiudono le imposte sulle strade della notte e la pioggia è come un canto che accompagna la preghiera.
C’è chi si sdraia e aspetta un segno chi legge e s’addormenta, chi non sa dove guardare e si chiude nel silenzio.
Questo giorno che si spegne fugge via senza una voce, e qualcuno ha già deciso che non sorgerà più il sole.
Oltre la storia d’una vita
E’ così che di notte s’impara la vita raccogliendo i momenti quelli che fanno ansimare.
E’ così che nel buio si guarda in cerca d’un infinito e le mani si stringono in un lieve tremare.
S’anela quel varco che ci faccia fuggire spalanchi lo spazio al nostro volare.
E’ nell’aria, di notte, che frusciano i sogni, sull’incerto luccichio
d’una lucciola sperduta. S’intraprendono rotte verso mete distanti e il sentire è speciale quando il resto è silenzio.
Si va con le ali distese su astratte traiettorie che per un attimo solcano il tragitto delle stelle.
Si lascia dietro la polvere e i vecchi timori il modo d’andare per strada quando il vento è contrario.
Si viaggia correndo oltre la mente e il ricordo oltre la storia d’una vita piena d’attimi interrotti.
Si ritrova l’emozione il coraggio d’una scelta l’esultanza d’un colore non più solo sulla tela.
Improvvisa è poi l’aurora: non c’è nebbia all’orizzonte, sul filo dello sguardo.
E si può sfiorare il sole.
Tu non mi abbandonare
Tu non mi abbandonare amore nel solco di questo campo ferito nell’aridità della terra che piange il nostro marzo lontano.
Tu non mi abbandonare ti prego sul limitare di questa spiaggia deserta sulla sabbia rovente che freme al sospiro del vento.
Tu non mi lasciare da solo col silenzio dell’onda che dorme dammi parole da dire alla luna che imbianca il nostro cielo lassù.
Non chiudere gli occhi stanotte nemmeno il tuo cuore: dammi parole da dirti ora che so chi sei.
Nell’eresia dei miei pensieri
Ricordi quel giorno ti dissi parliamo? Di fuori la neve smorzava i rumori e il tuo pianto di donna era resa e dolore.
Io trovavo nel buio così vuoto di stelle, il coraggio del vento che sparpaglia le foglie.
Adesso sono qui ad affrontare i sogni con l’incoscienza d’una nuova sfida davanti all’istante perfetto d’un tramonto
con l’indulgenza d’un Dio che non conosco.
Nell’eresia dei miei pensieri astratti.
Novembre 2002 - 11 maggio 2011
Per te non scriverò (a Patrizia)
Per te non scriverò parole d’amore perché tu stessa sei poesia, d’ogni mio giorno nuovo.
Per te non fermerò i miei pensieri sulla carta, perché non ho bisogno di rileggerli ma di lasciarli liberi e sentirli volare.
Per te che hai un’emozione nata all’improvviso come lampo bianco in cielo, per una formula magica solo una volta usata e poi dimenticata.
Per te metà perfetta
e colori accesi di fotografia, occhi scuri da guardare per ritrovarmi nuovo in questa vita spettinata da un vento buono.
Per te che adesso sei qui nella mia mente e scrivo e ti rivedo in controluce, in un sorriso.
Magia di sentimenti di tessere ad incastro, di silenzi dolci risvegli e treni persi per un minuto in più con te. Distanze da colmare facili da superare, unite con un filo interminabile di chiacchiere a bassa voce.
Per te che sei entrata
dentro me come una lama a spaccarmi il cuore senza dolore, a ridarmi la forza d’un amore che germoglia.
Ora per te scrivo parole e pensieri, per trasformarli in voce di carta discreta e silenziosa.
Dall’ombra riemerge
Quanto indugiò per valli il fiume prima di scoprirsi onda alla riva, indistinto fluire d’acque mai stanche lungo i fianchi consunti di vecchie carene.
Quanta musica c’è nel silenzio delle stelle nell’incedere perpetuo d’un pianeta lontano sulle infinite rotte dello spazio, azzurro istante evanescente su graffi di meteora.
Quanto resta d’ogni pensiero perduto o gettato, lasciato fuggire
dietro nuvole in corsa sui colori sbiaditi d’un arcobaleno spezzato sui rami sfioriti dal gioco del tempo.
Dei silenziosi sogni potrei oggi fare canto come di sirena espediente razionale o tacito rimorso: stolto cimento d’arena circense come balzo di tigre nel cerchio dei ricordi incandescenti.
Tutto quello che serve è aldilà d’uno sguardo nei volteggi impazziti d’un cuore imprudente: dall’ombra riemerge
libera d’illusioni l’anima vestita d’uno scialle di luna.
Goccia d’amore
Ogni lacrima nasce da un’emozione perfetta che sia rabbia dolore o la gioia d’un attimo.
Negli occhi s’accresce inquieta e lucente poi si lascia cadere a sfiorare le guance.
E’ amara di sale e d’istanti feriti d’improvvise partenze e di crude parole.
E’ dolce d’amore e di labbra socchiuse di soli al tramonto
e di sguardi di stelle.
Quella che adesso sento calda sul viso è soltanto per te e il tuo vivermi dentro.
Posta
L’eco è una lettera spedita all’infinito con regolare ricevuta di ritorno.
La mia ricchezza
L’orizzonte è sfilacciato dalle cime degli olivi mentre colgo il segno netto del are d’una stella.
Nulla conosco del vagare mio futuro dei i traslocati sul sentiero d’un domani.
So d’un viaggio o forse cento con i pensieri a far bagaglio e la notte sulle spalle.
Si ravviva l’avventura dopo nuova attesa: mi prende per la mano
mentre cerco di capire e mischio le parole.
S’allungano i miei i d’improvviso, in un istante: mi lascio trasportare sulle strade d’un cammino che non ha principio o fine.
La mia ricchezza è il tempo che accadrà da ora in poi, sulle note d’un concerto di giorni e di stagioni dipinte coi colori d’una vita a te legata.
Amore d’un attimo
Ancora ricorda la notte già fonda il tocco leggero del giorno sbiadito
amore d’un attimo eterno
e stende dall’alto la luna un velo d’argento, sulla quieta deriva d’un mare che tace.
Non ho perduto nulla*
Come un rosario si sgrana il mio tempo a ritroso correndo.
Non ho perduto nulla.
Perché rimane dei giorni la nitida traccia segnata dal pigro sfilacciarsi degli infiniti tramonti. Perché resta d’un canto quell’eco leggera e suadente che dà vita alla pietra nel breve fluire d’un attimo.
Non ho perso nel vento la cadenza del tempo che goccia e congiunge le maglie
d’una catena di storie. Neanche un respiro ho lasciato o un miraggio notturno, un sogno già infranto dal chiaroscuro dell’alba.
Non ho perduto nulla.
Come brezza di mare si scioglie il ricordo nel muoversi lento d’un’onda.
* Citazione di Salvatore Quasimodo
I miei i
Se potessi conoscere il luogo dei miei i alla fine, scoprire quel posto segreto del mio ultimo andare
leggero come un soffio di vento
potrei lasciare nascosto vicino il libro che parla dei tuoi occhi ogni giorno quello che sfoglio in silenzio.
Poi semplice sarebbe ritrovare le tue tracce accettare quel percorso verso il nuovo sentire
sentiero di luce diversa nel cuore
con l’abbrivio del tempo che porta alla scoperta se il freddo poi si muta in un respiro di parole.
L’anima che s’apre all’imprevisto è il mio lasciaare per il sogno.
Insomnia
E tu che accetti del tempo il tintinnare insonni avrai i ricordi o spazi disadorni?
Stella (a Antonella)
Stella delle piccole cose, d’un pensiero a rovescio, di singhiozzi al mattino. Nella notte a gocciolare luce buona che incanta che strania il buio d’un immenso niente.
Stella lo senti quanto cambia il respiro se cammini in discesa o se arranchi in salita. Sulla strada a levante, che mille arcobaleni attraversano il tuo cammino.
Stella d’un amore inventato, di carezze e sospiri a danzare nella mente. D’un tempo alle spalle, di rifiutati doni, di roventi parole e disfatte promesse.
Stella per sempre come acqua alla terra come il mondo e il suo cielo.
Avvicinarsi
Ogni volta che parti si spegne in silenzio una stella.
Ogni viaggio a ritroso è un lento avvicinarsi del tempo.
Quel tempo che avrà le sembianze perfette d’un sogno.
Il poco che abbiamo
Di fronte a una lacrima improvvisa ho perduto la parola: senza fiato è il mio sentire.
Così forte è l’emozione che scatena lo svelarsi d’un nascosto sentimento: un lampo d’argento nel cielo d’inverno dipinto di nero, un fragore di tuono come lo schianto d’un’onda impazzita, un ruggire di belva ferita o uno sparo a spaccare il silenzio.
E torna ogni volta quel senso di pieno stupore il conforto d’una brezza inattesa nell’afa sottile di quest’andare sofferto, la meraviglia del guizzo di luce che viene dall’anima accesa quando vibra d’amore.
La vita s’aggiusta con il poco che abbiamo.
Alzheimer (a Settimo)
Che cosa dovrei dirti adesso che il tramonto sfuma e la notte pesa sulle spalle, che non resta più quell’ombra attaccata ai i incerti.
Che cosa dovrei dirti o solo sussurrarti del giorno che è ato, senza che sia rimasto impresso il segno del ricordo.
Sul sentiero si fa scuro e muto è il canto dell’inverno mentre s’incurvano gli istanti d’un’esistenza al capolinea, come vecchie canne fradice.
Cade una falce di luna in fondo al pozzo scoperchiato: schegge lucide scomposte di quella porzione di sfera disarmonica e ribelle.
Dentro ai sogni della mente resta un briciolo di luce, nel senso d’abbandono fugge via la cognizione della vita ribaltata.
Il silenzio che è d’intorno sembra il cuore spento d’una stella.
Lampada Osram
Le giravolte dell’anima, come voli ubriachi di falene stupide a lambire la luce sottovuoto d’una falsa luna di vetro, sono.
Respiro forte in te
Mi vesto d’aria nuova, d’un soffio di mare aperto: solo per i miei occhi un riflesso di cielo.
Rubo il primo raggio di luce scintillante perduto da una stella nel suo muoversi perpetuo.
Un’onda si torce ritmica e suadente, mentre si porta addosso la musica che tu ascolti.
Succede che sei duna di sabbia su cui tratteggiare
itinerari di vento. Terra sconosciuta lontana dalle rotte nascosta in uno scrigno di magica avventura.
Percorso d’anime e d’intrecciate vite emozioni, fuochi accesi dentro una notte perfetta.
Il mattino e l’orizzonte, compiuto il gioco secolare, confondono carezze sotto la volta sconfinata. Lo sguardo resta nudo e puro, senza confine, ed io respiro forte in te l’essenza della vita.
Se ti fermi
Se ti fermi un attimo nella salita intravedi percorsi d’incandescenti stelle come una scia di ali lontane: il sospiro del mondo ti regala dialoghi di vento.
Se ti fermi a posare lo sguardo sull’azzurro dentro il correre cadenzato d’un’onda nata altrove vedi compiersi il ritmo, la natura segreta svelata ai tuoi occhi.
Se ti fermi e stringi la mia mano
nell’attimo sospeso d’un sincrono o, scopri sentieri celati tra sassi nell’erba lucida di nuova rugiada.
Se ti fermi con il respiro affannato d’una corsa buona, senti l’eco d’un canto sommesso nel brusio dei pensieri liberi, con l’ammiccante sorriso del tempo futuro a ridarti certezze.
Se ti fermi nel sonno di notti abbracciate nel sogno che vive dietro palpebre chiuse, respiri la vita che divampa
e sventaglia emozioni come fuochi d’artificio.
Se ti fermi con il cuore pieno di parole nell’esaltante tumulto di mille sospiri segreti, senti me e la mia resa: io che mi fermo nei tuoi occhi incantato e sconfitto.
Di noi, di te, di me
Di noi in controluce dentro un arco di cielo un sospiro di pace e quattro mura di vento.
Di te un sorriso ad incantare il mondo un’emozione strana di battito crescente.
Sei rima delicata come carezza breve. Sei canto d’amore su trascinante sinfonia. Sei il tempo mio del futuro in una goccia di presente, cobalto d’onda lieve e rosso fremito vitale.
Sei l’immensità d’un cielo a strapiombo sul mare d’inverno, un bacio d’aria viva alle foglie di primavera, una luce di faro nella notte vorticosa d’Atlantico. Sei per me la strada nuova l’avventura più esaltante una ragione di più per mordere la vita.
Il tempo rotola e s’arrotola, si snoda e s’annoda si specchia e rispecchia noi che andiamo, mano nella mano. Su dune di sabbia le nostre orme appaiate un cammino sicuro in un sentiero inondato di stelle.
Da qualche parte
profumi leggeri respiri, rumori e riflessi di soffitti colorati.
Di me la gioia in giorni inconsueti allineando i pensieri, quelli che parlano di te.
Resta ferma
Scivola tra le dita la vita, come sabbia in un collo di clessidra. Guarisce l’anima ferita l’aria azzurra che dal mare arriva profumata e leggera. Riverbera l’onda distesa un lampo di sole, lo sparpaglia in ardenti pagliuzze. Rimbalza un sentimento inaspettato, tra le quattro pareti d’un cuore d’uomo.
Prendi di me adesso la notte, le mani e i sogni, il respiro, l’amore e il presente, in luce soffusa di candele e musica.
Prendo di te per sempre il coraggio, l’orgoglio e gli sguardi, la magia d’un attimo senza fine e mille carezze di vento.
Resta ferma in un palpito di stella nascente, in un istante di cielo cobalto o dentro un semplice pensiero.
Vivo di oggi la tua tenerezza, i giorni e la storia, nei giorni miei nuovi e nel mio esserti accanto.
Strada
Ho tanti anni davanti lo sento per correrti al fianco.
Spero che basti la strada o faremo il giro due volte.
I giorni che segno (nel carcere del mondo)
Io non ho cultura: sono soltanto uno scribacchino di pensieri, quelli che mi ano per la testa quando ho niente da fare.
Io non ho memoria: non riesco a ricordare i rimbalzi della vita le parole disperate, l’istante che tradisce il o sul ghiaccio da attraversare.
Io sono solo un riverbero: negli occhi di quelli che mi hanno incontrato per viaggi lontani dalla strada maestra, nei voli spezzati dalle raffiche nude dei venti corrosi e impazziti.
I giorni che segno sono fatti di ore
come i grani di sabbia fanno le spiagge deserte ai confini del mondo, come le gocce di pioggia fanno lo scroscio improvviso dei temporali estivi, come la linfa che scorre nascosta somma cerchio su cerchio nel tronco che cresce.
Io non so se aspettare per giorni, tra gocce e granelli e quest’anima liquida, il pianto dimesso d’una notte smarrita a sciogliere sul viso l’affanno delle mie lacrime stupite, che come marchio a fuoco bruci la pelle del mio orgoglio.
Io non sono, lo sento, che un piccolo punto nel grigio vagare d’un astro tra spiagge deserte mangiate dall’onda, tra sprazzi inattesi d’azzurro nei cieli di pioggia, nel rombo assordante d’un tronco che schianta.
I giorni che segno (nel carcere del mondo) io li perdo.
E non piango.
Alazònes (il destino dell’ombra)
Se ne parla tra noi del bizzarro coraggio che serve a restare al di qua del confine, per sempre.
Una vita s’inventa la fuga, il biglietto strappato si perde tra i sassi e quell’acqua che scorre nasce già mescolata alla terra.
Si piega la testa del chiodo battuto, la memoria si schianta, l’ubriaco non sente la voce e barcolla nel vento.
Il furfante che inganna la gente distratta per strada non spreca certezze, estorce denari, poi vende l’anima al mondo a prezzo di saldo.
Sono graffi che incidono a fondo i segni pesanti dell’infinito e strano è il destino dell’ombra nel mezzo del giorno.
Stiamo tutti alla finestra a scansare le invettive, appesi come stracci, a cercare di convincere la muta delle streghe.
Poi torna tutto di sera, i commenti le grida le voci dei pazzi, il correre convulso dei saltimbanchi di corte.
Si chiude la chiesa come un fiore di notte e non batte rintocchi: della luce rimane soltanto un grumo di cera biancastra.
Frammento
Non scrivo per me stesso ma per il tempo che nasce da una parola buttata a casaccio sul foglio e nutrita dei segni d’altre parole incatenata in qualche frammento di poesia o simile delirio.
Indice dei testi
1) Quello che sono
2) Battito
3) Un sogno
4) Parole
5) E sia
6) Sfumature
7) Dare
8) Vorrei
9) Mi chiedo
10) Inutili versi
11) Ombra
12) Partigiano
13) Metempsicosi
14) Sipario
15) Canzone
16) Oltre i tuoi i
17) Nulla di più
18) Polvere d’amore
19) Ordinaria monotonia
20) Oltre la storia d’una vita
21) Tu non mi abbandonare
22) Nell’eresia dei miei pensieri
23) Per te non scriverò
24) Dall’ombra riemerge
25) Goccia d’amore
26) Posta
27) La mia ricchezza
28) Amore d’un attimo
29) Non ho perduto nulla
30) I miei i
31) Insomnia
32) Stella
33) Avvicinarsi
34) Il poco che abbiamo
35) Alzheimer
36) Lampada Osram
37) Respiro forte in te
38) Se ti fermi
39) Di noi, di te, di me
40) Resta ferma
41) Strada
42) I giorni che segno
43) Alazònes
44) Frammento