Daniele Campanari In guerra non ci sono mai stato Lettere Animate Editore Collana I destrieri di Aphorism.it
Isbn: 978-88-6882-231-6
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agli uomini distratti. al poeta che m’ha insegnato a dribblare la noia. ai numeri uno che presto diventeranno.
alla mia famiglia e al silenzio della tavola apparecchiata
Ha immagini così forti, questo libro, da lasciare quasi storditi. Ti fermi lì, resti incantato per qualche minuto. Non sono mai convenzionali, mai “poetiche” nel senso più prevedibile e stucchevole del termine, sono sempre inconsuete, personali: sono nuove. L’autunno racconta alle foglie come cadere con eleganza. Le persone sono attimi. Un cuore aspetta sull’altare. Un ragazzino tiene il phon per non aver paura del temporale. I tempi degli orologiai andrebbero allungati. Il movimento del mare, se lo guardate bene, somiglia all’andare a capo. “Ti insegno a osservare” è il titolo di uno dei testi qui raccolti - e il punto è proprio questo, guardarsi intorno e vedere davvero le cose, vederle come se cominciassero a esistere in quell’istante, per noi e con noi. «guardati intorno / e vedila l'ombra / che ti accompagna / danza con lei / perché le punte dei piedi / fanno arrivare in alto». Daniele Campanari non si accontenta mai delle immagini prevedibili, ogni poesia dev’essere una piccola rivoluzione dello sguardo: anche per la più domestica e quotidiana delle situazioni, quando parla di memorie personali, lampi di vita familiare, ruvidi, mai sentimentali; anche quando racconta di una ragazza in treno che legge Shakespeare e ha i capelli un po' troppo sporchi per sembrare belli. Anche quando parla d’amore, e - cosa rara - riesce a sorprendere. I suoi versi, in cui spariscono le maiuscole come in Cummings, questi versi che improvvisamente si distendono sulla pagina sembrano parte di un lungo discorso - apionato e vitale, indispensabile cioè a vivere - cominciato da qualche altra parte, un minuto fa o da sempre.
Paolo Di Paolo
“Cerco di non guardarti mentre scrivo questa poesia”, dice il poeta. Ma è sorprendente la ricchezza dello sguardo di Daniele Campanari, che appare a volte finanche crudo e disincantato, ma sempre intimamente rispettoso di quel che vede. Perché c’è un’urgenza di raccogliere una verità, nella libertà di poterla raccontare. Così, immagini fotografiche si rincorrono frenetiche, nel ritmo quotidiano, dettato dalle occasioni più varie, vissute, ascoltate o a volte anche semplicemente sognate. La “polvere orizzontale” della memoria inganna anche il temporale, traduce i luoghi, la terra, gli incontri; perfino la noia, la solitudine, la gioia scomposta che abita il mondo. La voce sposta il silenzio del vuoto e si fa prossima al mistero delle cose, che le rende tanto inspiegabili quanto più affascinanti. E il gusto è quello dolce amaro di una parola fresca, magari a tratti un poco acerba, ma certamente autentica, di chi sceglie di affondare le mani nella polpa della vita, perché “noi siamo attori partecipanti del respiro / protagonisti del palco della vita”.
Nicola Bultrini
caro lettore
è un mondo di puttane e frequentanti altalena quello che sta nel quadro mattina è un mondo che dà altezza al braciere della storia. è come un piede fuori le coperte: non lo vedi fin quando il cane decide di giocarci a tennis. abituati a rimandare, gli uomini si nascondono tra le primavere d'aprile e chiudono un occhio come segno di comunicazione. tesi a larghe braccia quando chiedono di esporre il concetto: "Non ricordo - s'era detto - facciamo domani". è un mondo offerente per un altro rumore ma da condottieri della tecnologia si annoiano con cuffie nelle orecchie. è un mondo sferico e se capovolto non provoca mal di testa né tentativi di abbraccio.
caro lettore, abbi cura di te
AMANTI
potrebbero convertire il desiderio in affetto come il banchiere con la valuta se solo avessero coraggio. gli amanti, scomodi, si avvinghiano di notte quando la luce naturale è spenta. non si scoraggiano, loro, se l'unico posto in cui innamorarsi è un sedile squattrinato dove poggiare chiappe è compito elementare. affittano cascine abbandonate al colle e amano tra capre e cavoli che non fanno rumore. il rumore è il complemento reale e, noi, non dovremmo farne a meno neanche quando a saziare le fauci del sottopancia è l'amplesso settimanale. gli amanti si amano e poi si odiano; ritmo alternato come la corrente che al fine di sgorgare... corrode. gli amanti vanno spesso con la mano nella mano, avvinghiate, loro, raccolte, per noi. potrebbero tentare il suicidio quando a mancare è il lavoro.
o solo un Dio?
dormono, gli amanti,
abbracciati nudi di notte per affondare il freddo che d'inverno sfracella ossa e dipinge quadri sui vetri delle auto azzurrino, rosso, verde, nero. gli amanti puoi vederli piangere sulla roccia corrosa dal sale, puoi vederli, se vuoi, ridere fino ad accogliere il dolore che punge lo stomaco e non c'è motivo. potrebbero dividere acque, chetarle e dar da mangiare ai pesci potrebbero avere vino scelto se l'alimento d'accompagno è la preghiera. è difficile vederli vaghi coi fratelli e le sorelle, di notte, perché impegnati ad amare
verrà
stella catena mia non scenderai d'agosto, estate sua che la notte ti tieni lì. quando sparirai sola vedrai rincorrerti la scia; è là che m'incontrerai sul profumo che è il portone di casa
lepre fugace clandestina
la vedo con la luce della mia stanza la vedo! potrebbe essere l'ennesima immagine di un'ombra primaverile. O forse no? sta dietro, a volte, avvolta da un calore che prende, compare, scompare, riappare fino a dovermi piegare per acchiapparla. se solo sapessero quanta luce emette se solo vedessero... era dietro di me, dovevo tirare via il braccio e provare dolore - le cose belle danno dolore ed è un danno, sì! più ci affanniamo l'animo per averle più fuggono per nascondersi dietro cespugli sull'autostrada. non aspettiamoci l'attraversamento, no!
non si presenterà di nuovo lepre fugace clandestina. la vedo con la luce della mia stanza e già s'è fatto inverno
in guerra non ci sono mai stato se tu t’avvicinassi se solo t’avvicinassi come un soldato verso il nemico riconoscerei il coltello se t’avvicinassi a me in amore, amore solleverei il capo offrendoti il collo
“Cara” “Cara” ti dico quando mi innamoro dei capelli lisci, lisci come il mare pontino. d’estate, tu “Cara” ti dico quasi nuda hai preso le ginocchia e rotolo finché cadi in petto. “Cara” ti dico quando ci incontriamo a letto cavalchiamo cavalli di borgata coperte mimetiche sul tappeto rosso e mura bianche come i miei figli alla luce. “Cara” ti dico quasi nuda come un giaguaro senza macchie “Andiamo, partiamo e non torniamo per l’inverno” ti dico, fermo le mani e gli occhi all’isola di Ponza. “Cara” ti dico i tuoi occhi nascosti perché non ti volesse il sole
ridevano o, forse, piangevano
cuore rosso pulsante
tanti sono gli aspetti che potrei comunicare col verso in poesia: il fatto è che l'aspetto non conta se ti vedessi estrarre la pistola dalla fondina dell'amore. cuore rosso pulsante che vive l'equilibrio della natura, uomo verace. due i diretti al pensiero la malattia di un sentimento diocesi convinta dello stralcio fiabesco
come per magia la mia voce divenne piccola piccola non riuscii a controllarla né riconoscerla tant'è che mi trovai costretto ad abbandonare il campo
dici davvero? -Non mi hai risposto-
la storia comincia quando finisce comincia coi racconti di quel che stato l'oratore davanti al fuoco e due orecchie all'ascolto. non mi hai abbracciato non mi hai salutato non mi hai compreso e prima ancora non mi hai risposto. l'ho visti gli occhi tuoi impegnati l'ho visti are e come anima infera traghettare l'emozione "Non continueremo" dici davvero? non sarei dovuto uscire
da quella porta
non me ne sono accorto
mi disse che non sapevo amare come gli uomini che mi precedettero mi disse che non sapevo stirare come gli uomini che portava a letto negli ultimi tre mesi mi disse che non sapevo baciare come gli uomini a cui affidò la vagina mi disse che non sapevo leggere come un attore mi disse che non sapevo cucinare come gli uomini che vivevano in casa sua fino a diciotto anni mi disse che non sapevo mangiare come gli uomini baroni mi disse che non sapevo infilarlo come Luca, sco, Enzo, Luigi e Paolo mi disse che non sapevo comunicare come i politici. le dissi di uscire da quella casa in cui viveva da sette anni
se solo potessi se solo potessi se alla fine potessi vederti scorrere come l'acqua fonte in piazza San Pietro potrei volteggiare danzare come la ballerina sul palco vellutato tanta sarebbe la felicità di vederti che gli occhi saprebbero profumare e raccogliere il fumo che dall'ombra pare mattino saprei nuotare senza braccia e gambe sul pelo del fiume. ma se tu t'avvicinassi se solo t'avvicinassi io sarei preda e tu predatore
è lei
è lei l'ho vista sedersi chiudere le gambe come a proteggere l'intima insicurezza. è questa la vita non temere per lei: sorridile. il capo chino il volto tirato gli occhi nascosti sulla pagliuzza dell'antico pavimento romano il collo lungo e lisciato poteva ricevere leccate d'affetto che tanto non se ne sarebbe accorto. sotto le scarpe la bianca purezza, toccare il suolo allontana le nuvole: non vuole. le mani tese fino a rompere l'armonico equilibrio delle dita. accorsi all'angolo m'accorsi di lei e ringraziai il tempo che s'arrestò
pallido, timido come me. è lei, amore
indelebile
che ci faccio qui? ho appena scontrato il mio accento sulla porta di casa. fa male il dolore fisico ma osservarti da lontano non è come sopportare il battito dell'ago sulla pelle
a distanza di un centesimo
Sapevo! Sapevo! Sapevo! sapevo che saremmo rimasti a distanza di un centesimo. non saranno mica gli spiccioli a dividerci o la matematica visionaria visione di una doppietta di sgabelli posti a distanza prevista. rovistare nel giallo della borsa servirà a poco perché del colore della gelosia c'hanno fatto pure il sole che è bello quando brilla ma lo è ancor di più quando s'avvinghia negli occhi tuoi - che pure sono azzurri Pensa! Pensa! Pensa!
Ci vorrebbero sette matrioska omozigote, un nano da giardino, e un berretto sui capelli per proteggermi dal filo spinato che m'attorciglia. Rifletti! Rifletti! Rifletti! vagherei sulle tue curve se potessi affronterei il fuoco entrando dalla parte del cerchio se potessi fermerei il battito, se potessi. da quanto tempo il mare corrode gli scogli?
cemento
i muri sono fatti per essere superati io aggiungo che sono costruiti per essere abbattuti. non tutti capiranno lo sfogo molti renderanno l'idea come gioco del "ruba bandiera" alcuni rimarranno e senza giudicare modificheranno il contesto altri sosteranno di aver conosciuto papi e impresari prototipi d'aiuto altri ancora resteranno in silenzio e rideranno pur non avendo capito la battuta e parleranno col vicino più a destra senza chiedere spiegazioni. tutti si applicheranno per farti sentire meno stupido
e tu non ne capirai motivi perché è il pensiero a dirigere il corpo come fosse un braccio a comandare e una gamba a eseguire. dovranno giudicare perché l'arte non sempre è un mestiere la poesia non sempre è poesia e tu sei cemento. se i muri sono fatti col cemento tu di cosa sei fatta? venti persone m'hanno detto che l'impossibile è al di là degli occhi dieci persone m'hanno detto che la verità sta oltre l'ostacolo cinque persone m'hanno detto che non c'è niente di più bello dell'amore due persone m'hanno detto che non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace una persona m'ha detto ti amo. tu, cemento, non sei da meno
la porta è aperta - c'hai il veleno –
tu c'hai il veleno te lo leggo negli occhi, c'hai un romanzo gobbo negli occhi. tu c'hai il veleno e t'ho vista quando hai cercato di agonizzarmi servendoti della dote del femminino. t'ho vista è inutile che provi a renderti simpatica dopo che hai cercato di farmi fuori. quelle come te dovrebbero rinchiuderle nella peggiore delle gabbie animate offrirle in pasto ai muratori e usarle come cavie da esperimento
già che - ci - sono: ti andrebbe di venire da me?
annuso le mie lunghe dita sinistre e è un fragile cristallo il mio corpo e la bocca di un fringuello mormora per non disturbare il sudore delle gambe. più in là, nascosti tra le porte, i vestiti addobbati stropicciati e sconvolti che non chiedono sconti al conto da saldare. due spalle opposte fanno un solo braccio, una mano che senza bussare indica vittoria al piacere della verginità. raccolti sui marciapiedi spettatori che non ho visto implorano il rosso accendino di esibirsi per vedere la poesia in cui pieghi lo stomaco
fino a baciarmi di nuovo
egoismo
convincimi che tutto va meglio anche quando a terra si schiantano aerei e gli uomini odiano altri uomini e i muri ingialliscono come cinesi di guerra.
tutto va meglio adesso che per l'autostrada della mente sfreccia un pensiero a motore.
se le corde resistono sarà perché non sei tanto ferita
luna accecante
luna accecante dove hai nascosto i crateri? comprendo i tuoi conflitti ma questa sera il tuo rosa è anche un po' il mio e non vedo buche mimetizzate come un irlandese nel day alcolico.
ubriacami fenicottero accecante, ubriacami delle tue ombre dei tuoi esclamativi bianchi e della vestaglia che indossi prima di dormire e restituisci la vista a chi t'ha ammirato. ecco, luna accecante, mi hai sporcato il vestito e chiedo di non addormentarti
prima di aver mangiato una tua fetta
“Gentilezza”
era un giorno qualunque uno dei giorni in cui giocare è l’imperativo del cane, del gatto e di tutti gli animali che abitano le case. la tecnologia faceva un timido corso e arrivava sempre a definirsi. guardavo la tastiera grigia e sembrava stabile, immobile a farsi toccare. l’ho toccata e messo l’anima trasferita col sangue che nelle vene fa un lento percorso come l’automobilista con la gomma bucata. “Gentilezza” scrivevo in un rettangolo bianco e scendevo piano e in verticale con le parole, mi fermavo per chiudere gli occhi e pensare accoglievo le immagini che facevano vedere
la linea ombrata di una ragazza col suo microfono ho sentito la gentilezza della voce ho piegato il collo poggiando l’orecchio sulla spalla ho mirato l’unico anello visto nell’ombra. credimi quando ti dico che mi sono alzato dalla sedia per avvicinare le labbra allo schermo del computer
San Patentino
ci vorrebbe un Patentino per tutti i cuori innamorati ah sì, dalla tazza del cesso lo dico. vedi i punti giusti e uniscili come al gioco settimanale tenta la sorte dei cavalieri e metti il risultato in un'insolita tabella Excel in sequenza ellittica eleggi il Protettore: San Patentino per l'occasione. ricordati pure di scopare a cavallo della mezzanotte e cogliere i fazzoletti coi figli gettati, quando senti la stanchezza del possesso prepara il piatto che il gusto ha delineato e assaggia un pezzo quello che sta dietro
hai gli occhi come l’otto maggio sei sul treno che puzza a ogni fermata e leggi un libro bianco invecchiato: Romeo e Giulietta e tu sembri essere proprio Giulietta. capelli biondi nati un po’ sporchi per sembrare belli, e gli occhi? come l’otto maggio: azzurri e sopra e ai lati destro e sinistro bianchi. fa caldo come nell’inferno dantesco o è mio il calore? hai una maglia bianca con maniche allungate cerco di non guardarti mentre scrivo questa poesia
ora la guardo perché sta leggendo –
leggi due righe e ti guardi intorno hai un lungo cappotto marrone sul grembo e paura dell’acqua ora la tua mano poggia sulle labbra sottili rosse quasi viola - non riconosco i colori -
stai osservando la donna grassoccia di fronte nessuno se ne accorge e mordi la pagina 84 di Romeo e Giulietta quella che parla di Romeo e l’amore. la pelle è bianca: il sole bacia le belle ma a te non ti vuole bene. Ecco, ti giri adesso: hai gli occhi come l’otto maggio
giacché ci sono decido di osservarla e la osservo dall'angolo del tavolo apparecchiato e studio movimenti delle mani e degli occhi e dei piedi, ci sono che è questione di attimi, ci sono già dentro e esco a fumare una sigaretta giacché una macchina 4x4 è l'appoggio e il vetro fa pensare alla trasparenza della veste. dice: sono femminista e dico di amare le donne e le amo perché ci sono e di nuovo il tempo della sigaretta che finiamo a mezzo metro con ruoli diversi ad amare le donne
STORIE DI DONNE, UOMINI, BAMBINI E UN CANE
chi l'ha detto che bisogna fermarsi? il tempo, sai, non si ferma. l'orologio della cucina scandisce il tic-tac dialogico la tovaglia raccoglie le molliche andate a perdersi e sassi a badare al vento. piove anche oggi gli alberi non stanno fermi le persone nemmeno e le auto aumentano il maleodorante dolore della società.
guardali i bambini! festanti, gioiosi, liberi riflesso d'istinto della bianca innocenza. si abbracciano, giocano, litigano, saltano: salveranno il mondo? dov'è il dovere di fermarsi? il mio cane, ora, ha capito tutto
l'uomo cane - oltre cento sigarette –
ne ho visti quattro o cinque nella via davanti casa mia. pare che il gioco sia l'alternarsi di coperte di cartone e cappelli bucati per non parlare delle calze rattoppate dentro le scarpe. i più virtuosi ce l'hanno perché pure simpatici come pezzi di un'orchestra notturna: è un dono del cittadino normale sguardo pietoso cento sigarette e dita gialle dipinte dalla nicotina. di giorno l'uomo cane cattura il sole per liberarlo la notte, con una carezza lo lascia per tornare sullo stesso cappotto. ha la chiesa davanti ma non ci cammina dentro
perché putridi sono gli abiti raccolti la paura di essere deriso contagiato da iniziazione d'ortaggio ne sveste pure la pelle. vorrebbe posarsi per nuovo, lo vedo dietro la pianta che copre la bottiglia vuota oltre cento sigarette
la donna che aveva interrotto la mia penna
si presentò al momento sbagliato nel posto sbagliato e sotto la luce sbagliata. riuscì a interrompere la penna che sul foglio raccontava letterature ate a scopare con le belle fanciulle della pianura pontina. nemmeno un cerbiatto o, che so, una lepre di seta avrebbe spostato i capelli. lei ci riuscì, riuscì a farmi sentire vento tra le gambe. ricordo che le presi la mano e la portai nella zona destinata alla poesia creai un tappeto improvvisato in collaborazione con Pavese e Petrarca chiesi a Caronte quale fosse la via più corta e a Rilke se l’oscurità dei versi fosse variegata. ricordo che Hemingway non m’aiuto: “Devo tornare a dar da mangiare al Vecchio che sta sul mare”, disse. rimasero Catullo, Boccaccio, Saviano e la Merini:
convinsi Boccaccio a organizzare la prossima pasquetta Saviano a restarsene a casa senza corrente elettrica né penna né carta Catullo ad accendere il fuoco nella Venetia et Histria e persuasi la Merini. mi lasciai consigliare sul prossimo aggio ma si divincolò raggiungendo la donna che aveva interrotto la mia penna. “Non scriverò mai più poesie dal verso sessuale!”, dissi facendo la eco. cinque minuti. cinque. la Merini e la donna che aveva interrotto la mia penna tornarono insieme tenendosi per mano. cinque minuti. cinque. Esultarono per il mio sperma
Franco
giocava davanti alla piazza divertendo giovani osservatori mai così attenti alle vicende della città. scuoteva ragazze dall'accento imborghesito e spazzava foglie cadute sulle panchine col vecchio quotidiano ponte dei piccioni. avvilito come un topo chimico girava Latina dalla poesia dei bar al Comune lanternino. nessuno pensava al dissesto alla pallida stagione duemilatredici dove le squadre si scoprono vincenti e i cavalli perdenti all'arrivo. squilibrato, pazzo soldato e mostrine da bersagliere sulla canotta d'Arlecchino il cielo azzurro lo stesso e le scarpe di fango anche quando il merito faraonico
non viene avvistato in tivvù che della violenza dà violenza.
a Latina t'ho visto rovesciare cassonetti e tutti ridevano quelli che t'hanno reso stella
monologo di un vecchio
“Non ho tempo per riposarmi che te le dico a fare il ruolo mi porta a essere gentile coi nipoti nati dal secondo figlio sposato con tre mogli. dunque, i miei nipoti sono diversi: sette e diversi tre mogli, due italiane e una giapponese. con loro sono gentile e premuroso perché l'essere al contrario potrebbe fissarmi l'appuntamento con la morte. sono annoiato e quando si è annoiati non si gode nemmeno una donna dalle curve ciclistiche ho visto fare da pompiere. è una noia mortale. ho detto mortale. lettore, si può dire mortale? cosa cambia se di netto rifiutassi di scartare i regali cosa cambia se decidessi di lodare il vecchio partito Tu, lettore, puoi cambiare canale a meno che non sia nella stessa condizione decadente. oggi m'hanno fatto firmare un foglio bianco m'hanno detto di metterci una croce sopra ma al telegiornale sostengono che al cimitero non c’è posto per i morti.
dunque oggi non morirò”
pericolo bambino in treno
bambino perché mi fissi, non hai mai visto un poeta tatuato? è questa la mia poesia: pelle dipinta in spazi casuali. Picasso si sarebbe ispirato e tu pensi a cianciare chewingum. avrai mangiato troppi menù americano per essere così panciuto. bambino perché i tuoi occhi mi fissano, non hanno mai visto un gilet aperto? non posso nemmeno stropicciare i miei occhi e allontanare il sonno perché i tuoi cristalli mi fissano. riposa le braccia e trattieni la posizione da lottatore. vorresti menarmi? Credo che non ce la faresti col tuo metro e trenta a dodici anni. aiutami soltanto a girare pagina
per le strade
accade di incrociare un morto per Campo dei Fiori e dargli un pugno sulla spalla per capire quanto è morto. accade di scoperchiare le coperte di plastica e librare gli occhi sui piedi per spalancare le mani dove il sangue non è mai arrivato. Accade così, per caso
scale mobili
centinaia di uomini donne e bambini vecchi e andicappati sulle scale mobili. corrono, corrono per quanto possono sulle scali mobili che sui giornali e graffiti c'hanno insegnato la pigrizia. vedo un uomo alto troppo alto per essere uomo che s'abbassa per non dare fratellanza a testa e soffitto. qui sotto è grigio anche le fotografie digitali che affiancano i secondi e mi chiedono di ridere, qui sotto non si respira aria lenta tutti corrono, corrono e dove vanno?
il telefono non illumina ricordi della famiglia e non c’è modo di scegliere il pranzo
Coscienza
Coscienza aveva tutto: due paia di mutande pulite un collare per convivenza manette col manto rosa per la confessione e piedi ben fatti sempre dritto.
una mattina la chiamai dalla stanza in cui dormivo al bagno dove, ne ero certo, si lavava i denti: "Coscienza, che fai?" chiedevo perché facendo una croce sul quaderno aggiunto dal libraio non ero convinto dei suoi spostamenti. il fatto che rese grazia all'eterna e clericale convinzione venne inneggiato dalla sua non-risposta. e io la richiamavo: "Coscienza, che fai?" riflettevo sulla domanda: chiedevo se fosse sbagliata se per quale discusso evento
avessi confuso uno dei doveri coniugali. smettevo di chiamarla e voglia Iddio cominciavo a preoccuparmi. se fosse scivolata dalla tenda bagnata e lo spigolo del mobile che avevo riparato la settimana prima non fosse poi così riparato come credevo e quindi avesse subìto l'inevitabile amputazione delle orecchie? era tutto incredibilmente vero e credetemi avrei tanto voluto possedere più Coscienza
il comico
deve far ridere il comico perché così è stato forgiato nei palazzi in cui arrivare sobbalzati dal cavallo è l'unica via decisa. adibito a festa le sere a volte in pomeriggi dove il tempo padroneggia su scogli e panchine. un cappello verde per somigliare a primavere una camicia bianca per verginità una cravatta rossa per acchiapparlo dal collo un pantalone marrone per poca distinzione di natura scarpe nere e lacci bianchi per essere giocatore su pavimento riflesso. il comico deve far ridere
e non può piangere e se piange è un attore bravo ma deve chiedere scusa alla vecchia che s'affaccia dalla finestra per crescere le orchidee. il bambino sarà contento del comico se avrà ottenuto un pallone per volare. prova a domandare quale sia il mestiere: non saprà eleggere a capo le parole ma riderai e la risposta sarà lieta di accogliere altre domande
RACCONTO A UNA POESIA – tutto in maiuscolo –
mi racconti dei tuoi amanti delle nottate in cui il fiato crolla per il piacere forte che provi mi racconti degli orgasmi che l'ultimo innamorato riesce a sollevare mi dici che avresti potuto fare di meglio se te lo avessi concesso. così è stato: concesso e sulla doccia archiviato. fu una bella chiavata, mi dissi. non ti credevo perché vestivi viola e quelle che vestono viola mentono e respirano con la pancia mi dicevi di essere una brava attrice mi dicevi TI AMO in maiuscolo mi ripetevi TI AMO e sempre in maiuscolo lo appuntavo sui taccuini. un giorno mi sono seduto sul divano di casa tua mi hai ricordato della tua assenza domenicale - andava allo stadio capo ultras Curva Nord solo quando tiravo le lenzuola e come Giulietta le lanciavo dalla finestra del bagno dimenticavo di legarle perché non trovavo sostegno adatto.
avevo trovato un piano e lo suonavo con mani e piedi
avano novanta minuti di ricerche quando ti vedevo rientrare a casa e indossavi una maglia viola TI AMO mi dissi e lo scrivevo in maiuscolo sulle tovaglie.
prendevo una sedia sotto al lavandino - avevi le sedie sotto al lavandino e mi sedevo per terra - la sedia era un diversivo mi guardavi con gli occhi viola e mi dicevi TI AMO mi alzavo e appoggiavo maldestramente il piede: si è rotto. uscivo dalla tua casa e cadevo sulle scale arrivavo al piano terreno strisciando come un verme della Guadalupe mi tiravo fuori dal palazzo e attraversavo la strada quando il semaforo concedeva l'accesso agli invalidi riconoscevo una libreria, entravo e mi dirigevo verso il libraio. cercavo un titolo: COME SCRIVERE UNA POESIA tutto in maiuscolo
in famiglia c'è pure un cane
a casa mia non si fa altro che cucinare a me non piace mangiare. cioè, mantengo la linea come direbbero gli obesi. mia madre non fa altro che chiedermi cosa voglio mangiare. in famiglia c'è pure un cane mangia giorno e notte, si sveglia di notte e mangia. Lo sento camminare con le zampette che incollano lo smalto del pavimento quando torna nel suo unico spazio russa. beato lui e beati gli angeli in preghiera, avrebbe detto mia nonna. ah! Mia nonna se ancora potesse stendere i panni sul lago se ancora potesse cucinare polpette e riempire il piatto di sbobba militare. mio nonno, poi, s'è ammalato in guerra. Guai a ricordarglielo perché potrebbe infilarti su per il culo il bastone di legno che lo tiene in piedi. Ah! Mio nonno se ancora fosse in piedi, mio nonno che avrebbe sbuffato vedendo notizie al tiggì, mio nonno che avrebbe cambiato canale in favore di un Western alla memoria indiana
tu-(n)-nel
non affliggerti Dolly... Nolly... Lolly... o quale sia il tuo nome. non affliggerti per una notte creata buia per un giorno imposto sul tema della vigilia non affliggerti per la televisione spenta connessa al canale di mezzo e scorcio pallavolistico non affliggerti se a parer storico è strano che di bianco c'hanno il vestito due "fratelli" indefiniti. loro non sanno cosa perdono dietro: le briciole d'Hansel e Gretel o i gamberi a i politici?
dicono a te Folly... o come ti chiami "sei il futuro della società" ti dissero perché l'età ce l'hai giusta ti dissero perché il seno ce l'hai corretto ti dissero. a te Colly... o chiunque tu sia dedico lo scritto nato sotto il segno d'aprile "a te che sei, semplicemente sei sostanza". quale? non ti riconosco da vicino. Volly, Rolly - rolli? - Bolly... qual è il tuo cognome? sei la mia Musa imposta in poesia: Leopardi, Dante, Baudelaire, Eliot, Carver, Ginsberg, Luzi, Rilke, Rimbaud... Campanari. "Ho bestemmiato!"
tutti abitano vesti altrui.
Finisco nel tu-(n)-nel qual nome che non m'è cosa nota
Little Pomp
Little Pomp ci sapeva fare addomesticava l'angolo cadaverico con labbra al rossetto. Little Pomp era sola e l'avvento dei pomeriggi a ricevere clientela dettava il conto delle ore. un quarto alle sedici meno venti alle diciannove, l’ora in cui il cliente fidato s'abbuffava di Little Pomp. lei non piegava asciugamani né sottraeva il denaro per mestiere: il suo compito era d'amore. occhi azzurri, capelli neri carne fino alle cosce bianche.
doveva essere l'anima perpetua della Venere ammaestrata. quanta oscurità in quei pomeriggi che di Little Pomp facevo visione virtuale a lato della pioggia
Kelly
Kelly sapeva friggere le friabili maniglie del sospetto. a fare da madre al mammifero senza ali c'era sempre lei: Kelly. andava e veniva partiva e si fermava senza cogliere la margherita che s'addormentava tra le linee del pavimento. Niente. nemmeno un bacio l'ultimo bacio che favolistica pure la prima di seno. bianca come l'artifizio teatrale neri come l'amplesso del polpo azzurri come la tavolozza del bambino, gli uomini non fuggono da chi rincorre e non affrettano il tempo per affettare l'ortodossa finzione.
Sei tu l'immagine oltre la parola Sei tu l'immagine Sei tu Sei
preservativo orale
tutti i pomeriggi la stessa storia tutte le mattine la stessa storia, la stessa storia che sembrava essere l'ennesimo quadro di Picasso. lo vedevo deturpare quel reggiseno bianco, bianco come lo sperma che schizzava dopo ogni deturpazione. lui deturpava e lei godeva. io pure. s'era fatta una gara un giorno di quelli in cui l'inverno era freddo e l'autunno raccontava alle foglie come cadere con stile, s'era fatta una gara e nessuno vinse. non c'era pubblico, non c'erano spalti, non c'era preservativo orale. "Olè!" immaginari
preparavano la fine un toro penetrava gli organi incornava la preda e correva sulla sabbia infuocata. l'amore Rosso, l'amore la ione Rosso, l'amore l'amore Rosso la punta massima che riuscii a raggiungere
vecchia pazza
è solo una vecchia pazza e ubriaca vomita il fegato e non aspetta la notizia al telegiornale per incarcerare l'uomo come assassino delle donne. l'urlo della solitudine si allontana dal binario tre come quei barattoli che vedo cadere alle feste dopo lo sparo della pistola. caduta lei caduti pure loro e vado da solo con l'odore del piscio che ho distinto alla stazione
ti insegno a osservare
guardati intorno e vedila la bellezza del cane che scodinzola dopo che il padrone ha dato un biscotto vedili gli alberi che crescono su rettangoli murati vedile le eggiate a memorizzare le insegne dei negozi e vedili i cartelli stradali dove quello che ti sembra il colorato opposto è un pallone sospeso che accarezza i tasti di un pianoforte. guardati intorno e vedila l'ombra che ti accompagna
danza con lei perché le punte dei piedi fanno arrivare in alto e non dovrai nascondere i capricci sotto la gonna di tua madre. così sarà uno zuccheroso spettacolo osservare la veterinaria accoppiata
ladro di sogni
il pensiero rivolto alle esperienze mortali ammoniva la mia creatività. vedevo tre luci spavalde menare la stanza una riposava lasciando alle altre il dovere dei saluti all'estraneo che poco prima aveva violato la finestra. pensavo come se dovessi risolvere la fame e arrestare il ladro di sogni pensavo di assistere i compagni seduto su una poltrona di plastica allo stadio dove si giocava la partita dei talenti incompresi pensavo di esser stato squalificato e così mi affrettavo a sistemare il collo della camicia
per arrivare alle diciotto, orologio delle due domeniche dopo
il matrimonio e il funerale
è un cuore che l’aspettava sull’altare vestito a festa perché il matrimonio delle anime è come due fuochi che uniscono al calore delle bestie nel bosco. Simone è un cuore che l’aspettava sull’altare e avrebbe atteso la benedizione dei santi le minuscole mani bambine e lo strusciare della purezza sul pavimento bestemmiato. Simone l’aspettava sull’altare e Veronica era il suo cuore: palpiterà di paure e futuro investito quando Dio, fotografi e fratelli lanceranno riso sulla bara di legno
donna parzialmente
non mi sorprenderò se un giorno attirerai terremoti essendo un vulcano di lava cocente
non mi sorprenderò se un giorno pregherai in ginocchio essendo bestemmiatore come una puttana delle Madeleine
non mi sorprenderò se un giorno cheterai le acque e ammonirai i maliziosi essendo donna parzialmente
non mi sorprenderò se un giorno non ti sveglierai o sdraiato rantolerai
come l'infera bestia
mi sorprenderai un giorno quando ti vedrò schedare cocaina con il cazzo in mano e la bocca morta mezza aperta
Dante il poeta
Dante era un uomo grasso, riccioluto ma elegante: “So’ annato fino a’quarta elementare e pigliavo sempre bravo” diceva se ricordava la maestra con cui voleva concepire figli. Dante era un uomo grasso, riccioluto ma sorridente: “So’ ubbriaco du’ vorte ar dì una a’matina una a’sera e c’ho tante donne a’sera perché so’ ubbriaco” ripeteva quando lo incontravo al Bar dei Pioppi e lui seduto a fumare sigarette toscane e a bere con la bocca attaccata a una bottiglia di Montenegro.
Dante era un uomo grasso, riccioluto e senza lavoro: “L’Italia va’rrotoli e ce ne so’ tanti de ‘sti rotoli come se’n bastassero quelli con cui me pulisco er culo”
lamentava quando avo con un sacco di pane e lui in fila alle Poste di Testaccio. Dante era un uomo grasso e riccioluto su questo non ho mai avuto dubbi: “Fori fa callo eppure c’ho tanto freddo e sento ‘a neve dentro, tanta neve”. Dante era un poeta e non l’avrei mai pensato se l’epitaffio sulla lapide al Verano fosse rimasto coperto di terra e ghiaia
una donna, una ragazzina, un uomo vecchio e un uomo morto
una donna cammina sulle strisce pedonali con un bicchiere tra le mani: c'è un caffè freddato come l'uomo sdraiato coperto da un lenzuolo bianco. vedo il sangue colorare il grigio e la pioggia che incolla al volto una barba incolta. un uomo cammina calpestando formiche sul marciapiede dove sta l'alimentari di Gino. ha la testa da vecchio coperta da un ombrello rotto e deve stare attento a non accecare altri uomini sul marciapiede dove pure sta l'alimentari di Gino. una ragazzina curiosa si avvicina all'uomo con la testa da vecchio e dice: "Il cielo ti ha rubato i capelli perché hai rotto l'ombrello". l'uomo con la testa da vecchio risponde che l'ombrello è vecchio proprio come la sua testa senza capelli e finirà per essere buttato. la ragazzina che a sul marciapiede, lo stesso dove sta l'alimentari di Gino, scontra il seno della donna che tra le mani ha il bicchiere con il caffè freddato. il caffè freddato cade sul lenzuolo bianco che copre l'uomo steso a terra che, nel frattempo, continua a fare il morto. la ragazzina curiosa e la donna con il bicchiere di caffè freddato tra le mani si guardano, pensano di rimproverarsi per aver sporcato il lenzuolo bianco dell'uomo morto.
ci pensano mentre spostano il mento verso il cielo rumoroso come un colpo di pistola
ho visto un bambino
nascondeva il naso e le monete in un cappello nero.
l'ho visto a Roma su un marciapiede
le spalle contratte per non sfiorare l'insegna Tiffany.
piangeva perché aveva solo una scarpa:
"Dov'è l'altra scarpa?"
ho chiesto
"L'ho persa mentre correvo"
"Perché correvi?"
ho chiesto
"Perché alcuni ragazzi mi hanno inseguito per rubare le monete che stanno in questo cappello. Ho cominciato a correre dalla via laggiù"
con il dito sporco
che sembrava nato fango
indicava una strada senza luce.
erano le quattro del pomeriggio e
dicevano che il sole
avrebbe illuminato tutto
ho riconosciuto il panettiere
sono entrato in una libreria, una delle librerie del paese. ci sono venticinque persone e riconosco il panettiere. Strano a dirsi: il panettiere. non so se sia strana la parola o il vocale obliquo. in libreria entri per comprare libri per incontrare scrittori per riscoprire scrittori amici per insultare i poeti mica per affettare un etto di Kafka o per scambiare Baudelaire con un pezzo di pane. sono entrato in una libreria del mio paese, quella vicino alla stazione dei treni e alla stazione della metro e alla stazione degli autobus e alla stazione delle puttane. un mercato settimanale di piedi verticali come ballerine al saggio.
ho appena avvistato la poesia, il mercato settimanale è un cinema dalla pellicola che è un braciere: silenzio. ho toccato due libri e senza disturbarli ho concesso loro di riposare. sono uscito dalla libreria del mio paese, quella vicino alla stazione dei treni e alla stazione della metro e alla stazione degli autobus e alla stazione delle puttane e sono andato a un concerto
buongiorno?
e chi l’avrebbe detto che il mio fosse un giorno buono. ho aperto gli occhi quando la vicina grassa ha bussato alla porta e il mio cane Tyson potrebbe essere morto da quattro giorni ho aperto gli occhi quando ho sentito la voce strozzata alla radio e pare che i santi lubrificati siano venuti ad accogliermi ho aperto gli occhi e ho girato canale: nulla è cambiato. la voce è rimasta strozzata ma la donna era un’altra. ho aperto gli occhi e ho cacato sul cuscino e senza raccogliere il contenuto ho fatto colazione con una spremuta d’arancia ho incrociato le gambe e le braccia scioperando e senza amare il prossimo insetto sono uscito e ho apprezzato l’aria afosa della primavera che anticipa l’estate il primo maggio e nessuno si muove senza respirare. sono rientrato a casa cantando “Happy day” come alla recita del bambino ho la radio e c’era la voce strozzata di un’altra donna
Raoul tra le braccia degli uomini in festa per il gol si fa avanti un uomo imbacuccato sotto al cappello di paglia occhiali spessi da intelletto e t-shirt a colori suoi. si chiama Raoul è dell'Oriente, fotografa le ugole e dice Go player ma ama il portiere italiano. urla in tedesco e ai canti sull'inno ride in svizzero che pure conosce. ai novanta minuti per l'arbitro il risultato è ghiotto per chi ha scelto la sua parte. non si gioca più la partita Raoul corre via come una lepre e mentre va dice ancora Go player
venticinque - due cieli sopra
aveva gli occhi chiari come due cieli pomeridiani e si affrettava al suggerimento quanto la matematica insegna che l'individuo semina raccoglie il fine della Natura. il ato mai andato il ato che non tace neppure quando tocca le ossa. venticinque volte me l'ha suggerito: "non c'è resa nel prigioniero che nella fuga impara l'alfabeto non c'è viaggio e conoscenza e luogo che nega la pagina riversa, rilegata da poterla girare. ma se ti accorgi, dietro, c'è il bianco che inganna alla purezza". matematica espressione la somma che vi vuole raddoppiati
rifletti! tu che sei occhi chiari come due cieli sopra
amava osservare quadri di Picasso perché diceva che le piaceva la confusa immagine dipinta. anche io spesso ero confuso ma a me non amava mai neanche sotto la doccia. c'ho provato in anni di servizio militare ma nel farmi amare non c'erano ordini né scatolette di Borlotti "non t'amo, non t'amo, non t'amo" come un disco invecchiato
ricordava il suo non-affetto, non mi amava e che avrei dovuto fare? ho cucinato per lei quattro volte al giorno per un anno trecentosessantacinque volte per dodici ore per quattro per un totale che mai ho calcolato. "sei goffo, brutto e basso. Dovresti vivere in una cattedrale se e buttare il mantello" come un freddo pappagallo spaventaladri
si vantava di aver conosciuto mille uomini. bel colpo! le dissi una mattina di maggio prima di lavarmi i denti. sarebbe stata abile a soffiare controvento e raccogliere coriandoli durante la festa sarebbe stata capace di mordere come un coccodrillo sul campo da golf sarebbe stata cordiale come un canguro del Sidney se si fosse accorta del figlio, ma lei era un'altra bestia
SGUARDO
lo sguardo disinfettante dell’intelligenza è l’unica profilassi contro le purulenze della vita
Nicolàs Gòmez Dàvila
Orrore
bisognerebbe provare a farselo amico l'orrore. tu pensa ad avercelo come amico sai quante faccende risolte? cinque, con certezza: paura, pigrizia, odio, censura, buio risolte e differite verso altre conclusioni. pensa ad avercelo come amico l'orrore, tu sazieresti lui e lui sazierà te non ci sarà volontà di illudersi sotto al messaggio di dio. l'orrore è come un piatto vuoto: pensa ad avercelo, amico, un piatto vuoto
sarebbero ragazzi allo stadio
uno sguardo, fisso di padri che stanno a guardare e madri a piangere sulle poltrone di casa con la pentola rovesciata. dove sono i figli? a lanciare ortaggi sulle divise – nemici a lanciare molotov ad alimentare il fuoco dov'è l'immagine antica del Lucifero. bandiere a colori e colori sulla pelle – diversa e consumata da ovazioni e cori dal ritmo sempre uguale – assassino figli nostri figli miei figli del Creato che sarebbero ragazzi allo stadio
ammazzano, spaccano, agitano, protestano rovesciano auto in sosta come la pentola della madre; lì non era voluto – previsto c'era il fuoco, sotto, per saziarli
tutti fuori da scuola
ventiquattro come il suono vocale che ripeto spesso e che solo io conosco il significato cinematografico. che m'hanno insegnato in ventiquattro? non ricordo di aver conosciuto Dante di aver visto Leopardi sulle carte o di aver scritto della Guerra come Ungaretti. manco Michelangelo della scultura ricordo. vaghi i ricordi come vaghi gli scolari tutti fuori da scuola: chi per pranzo chi per l'amore chi per gioco chi per confusione: non ricordo alcuno che si avvedesse dal fare
la moltiplicazione se non quel Figlio decantato dall'alcolica Risurrezione. che abbia perso la memoria? non lo escludo
morte viva
la morte si fa a teatro sta in una campana di vetro e si frammenta ripida come quella cascata di cognomi a metà. sogghigna chi sta fuori ridono i giornali fino a crepare la pelle.
sarebbe bello restaurare il cuore...
pensa se potessimo, morte alla quale mi rivolgo, essere avvisati da coraggiosi poeti della vita che abbiamo. pensa se potessimo scegliere il canto di un film e pensa se potessimo aprire e chiudere il sipario
senza sterminare filami invisibili. a braccia aperte alcuni t'accoglieranno; cosa hanno capito, loro? saranno polvere orizzontale e noi siamo attori partecipanti del respiro protagonisti del palco vita. siamo prede danzanti sul colorato letto, duro, spaventa, incanta, soggiace su cieli raccontati e mai assolti. sii il nostro romanzo, morte; così ti vorremmo: viva
weekend always green
li ho visti muoversi in branco senza sedie né i diversi tutti con sciarpa al collo giacca marcata e ai piedi scarpe colorate Nike simbolo dei tempi che arrugginiscono la finestra all'ultimo piano del palazzo invecchiato simbolo della prostituzione intellettuale che un tempo doveva essere dovere dei baroni. barbari fingono di girare il mondo dall'America alle due Coree e stanno lontani dal Padre ignorando la madre. li ho visti come figli del duemila furbi, vispi, eccentrici terminali cronici della televisione e del virtuale tecnologico che è dimenticare il tempo e non camla ricreativa.
figli di una Terra ereditata figli della stessa madre puttana
boston: attentato allo sport “c’è sangue dappertutto!” dicono i giornalisti. gli altri urlano, urlano tutti col dolore a gambe e braccia. [Era bello il cielo colorato d’azzurro con le nuvole piene] “è morto un bambino!” dice la radio. [Tomas, otto anni, aspetta il padre al traguardo]
se c’è un dio venga a spiegarci le bombe venga a raccogliere la carne maciullata venga a curare i feriti a raccogliere i lacci delle scarpe a cucire i tagli con la maglietta bianca. [“Oh my God!”: incredulità] doveva essere la festa dello sport, è stato l’attentato allo sport. c’è una fuga: non si gioca a guardia e ladri. Si cerca di vivere.
le sirene rompono il silenzio dopo il boato capace di restituire l’udito ai sordi, che avrebbe offerto la vista ai ciechi. boston piange, piange l’America che ricorda le Torri. piange l’Italia, piange l’Africa, piange il Giappone, piange la Russia. cosa resta nel fumo grigio? cosa resta dei giornali del 15 aprile duemilatredici volati col contenitore dell’uomo? Adam, Lucas, Genny, Lucy, Denis e altri creati a immagine e somiglianza morti o feriti [“Get going!”, andiamo avanti]
tre quadri appesi
osservo tre quadri appesi sembrano accontentare la parete e non hanno affetti, amori da baciare e lenti a contatto per vedere restano fermi, marmorei, immobili, vagamente mummificati senza respirare l'aria al polmone fissi a correre dietro la paura
la pioggia non c’entra un cazzo
no, la pioggia non c’entra un cazzo se la cavalcata tra il maggio e conseguente affida labbra ai miei capelli. affidare: voce verbale della parola acquisita quando la pioggia, teatrante, lamenta l’ombrello rosso come il del basso-girone. no, la pioggia non c’entra un cazzo se la cavalcata umana incarta pacchi di parole e lingue a violentarsi
squadra corta
tiro il pallone che è come la prima sigaretta: al quarto d'ora è zero a zero la partita si gioca non deve consumarsi per la tivvù. alla mezz'ora è zero a zero ma le squadre, bianca e marrone si sfidano sotto il cielo a temperature da tifoserie playoff. è tempo di un’altra sigaretta. *** tiro il pallone che è come la seconda sigaretta: al quarto d’ora è zero a zero la squadra marrone gioca difesa, corta alla mezz’ora è zero a zero e la porta sa che la Pasqua arriva,
tiene braccia allungate e piedi sull’erba coi legni di dio. è tempo di ubbidire ai santi in Comunione la squadra marrone è cortissima i bianchi tirano il pallone e… “Arbitro è finita!”
piccola stanzetta
nell’oscurità della piccola stanzetta mi trovo assonnato ad elemosinare versi che mai hanno conosciuto né madre né padre. Tutto pare accorgersi della dottrina accademica: il giallo dei fogliacci incollati alle pareti le lampade brillanti i libri capovolti ammucchiati ai lati della cattedra dove stanno quattro piatti di coccio come se la stanzetta fosse pasto pomeridiano. Provate emozioni? Mi fissano come loro tre bottiglie d'acqua mezze vuote
dalla a alla u
a come la distensione, calma marittima alle otto del mattino e come il quieto vita, montagna che copre la sera con la terra bruna i come il bambino in festa, è il suo compleanno e corre da un parte all’altra del giardino per acchiappare la compagna di scuola o come il vento ingombrante che alza le gonne e lievita il suono della tromba al festival jazz u come l’abito stretto che mente sulle forme adorate l’angosciosa rima che appare dopo la riflessione del quotidiano è il suono delle lettere che suggerisce le sensazioni dove il tacco della scarpa annuncia il ritorno
noia notte
che noia la notte condizione orizzontale sul tappeto nuvoloso che molti tradurrebbero col termine lenzuola. sopra ci sono io annoiato nella notte annoiato della notte. in alto a coprire i peli crescenti c'è il verde che ricorda i prati in cui bambino giocavo al lancio del sasso – è solo una coperta! noiosa la notte col ronzio che sembra ape affamata invece è il respiro di un computer. è primavera ma piove meglio dell'inverno dovrebbero cadere foglie le donne svestite delle calze i gradi alcolici del vento alzano gonne saziando i piaceri dell'Homo Sapiens. notte, notte annoiata
che nulla ha della poesia elementare che da giovane scolaro mi costringevano a rendere memoria. che noia la notte è sempre la già narrata storia e la poesia non trova sapore se non per quegli osservatori che attendono la notte per raccontare il giorno
okay, buonanotte
non c'è una notte buona non c'è una notte cattiva c'è la tua notte quella che hai assaggiato la prima volta tra il cancello che il vento batteva e la strada esibita al traffico. c'è la tua notte quella a cui mi hai invitato e con lo stesso hai scelto di toccare. tatto vista odore lingua: fammi crepare ancora un po’
pace non t’ho mai vista giocare col pallone
quanti disonori dall’avvenuta storia corsari d’assalto autostrade lamenti per mani insanguinate e memoria umana che dimentica, a volte, crede di ricordarsi dei cipressi, le altre. ricordi di un maggio fastidioso grida e corriere d’aiuto: Aiuto! Aiuto! lo chiedono gli uomini d’onore diversi da quelli rincasati usano il cappotto solo per l’inverno. accorrono alle spalle per non restare soli agitano le braccia nella Sicilia dei vicoli bui caduti gli eroi quand’era luce naturale a ingannare il cammino. *** boom! boom! hanno ucciso il Magistrato
uno, due, tre, quattro … centinaia corpi dilaniati baffi camuffati e facce che non sono quelle nate. è esplosa una bomba quante esplosioni? quanti morti? a chi interessa il numero è la strage dell’umanità incompiuta che insegna l'amor di dio. quanti disonori per chi s’è dato alla volontà dei frutti in tempo di pace. pace non t’ho mai vista giocare col pallone e quando ti cercavo il telefono era occupato la finestra respingeva i proiettili e vedeva il colore degli abiti che indossavi. pace tutti t’hanno fotografato tutti t’hanno visto e poi incarcerato. *** salutate la vittoria con braccia tese a raccogliere lo zucchero filato come il bambino dopo il gol della sua squadra battete i pugni su ciò che è restato e sulle auto attimi che hanno sfiorato gli aerei
maggio e piove
maggio e piove e sono incazzato, incazzato come il gatto nero che hanno dipinto sul muro della stazione. lui è incazzato perché non ha la coda e non s’avvede dei falchi, giganti, tassisti, e elementi natura che appaiono quando siamo incazzati.
plof plof plof tic tic tic piove come vuole sull'auto.
un uomo basso, magro e capelli raccolti è appena ato urtando lo specchietto sinistro: “Scusa, non t’ho visto!” e allora? e allora me ne vado con quel gatto nero dipinto sul muro della stazione, a maggio, e piove
scena
mettimi in riga e coprimi col corpo del vicino: ascolta il silenzio gocce di sudore dalla fronte cadono sulle scarpe consumate. cammina al fianco destro non sfiorare il nero delle quinte per me non esistono e neanche per te prendono anima in vita. corri, corri senza voltarti senza strappare capelli del compagno: "Fermo!" è comando al aggio. corri, corri senza voltarti senza calpestare l'anello datti per mortale e fallo vedere a chi non crede. le stelle cadono dal cielo nella notte dei desideri
e tutti siamo stelle se ci crediamo. cadono le stelle dal cuore e c'è una fila di bastardi che non le raccoglierà se il riposo sta dopo l'abbraccio dei bambini, bastardi pure loro perché nelle sacche hanno la speranza di un campo da calcio e sulla pelle tatuaggio e numeri. scrivi una lettera e leggila da lontano: tutti vogliono sentire perché il biglietto dei i costa caro e non c'è tempo per le cadute. "Addio amata mia". addio. conterò otto piedi prima di fermarmi e ridere della democrazia
dio non è immortale
ho una lista di immortali da conoscere: al cospetto primario trovo i debitori, tendono all'infinito o vengono sostituiti ai supplementari. sul podio della mediocrità ci sono le puttane e i politici, non vi è differenza tra colleghi. ai piani inferiori sorgono i cinesi, immortali o tecnologicamente gemelli. sotto ai cinesi ci sono gli ex amanti, immortali immortalati in vecchie auto in sosta e in movimento. ci si chiederà quale centesimo sia da scommettere. ho conosciuto immortali pure nei film muti, stampati dalla Guerra li trovo a vegetare nei tiggì dell'apocalisse. dio non è immortale concedete a lui il diritto di votare
Comunicazione
non siamo abituati a comunicare tra padre e figlio non esiste dialogo tra nonno e nipote esiste il denaro. non è questa la vita della zingara?
bunker dormo di giorno da tre giorni poco è cambiato rispetto a ieri se non che adesso il cielo non è poi così bianco. sento uccelli cantare e grilli musicare un cane randagio dall’accento dirige l’orchestra il pipistrello finisce il turno di lavoro posa lo strumento e va a riposare dove vuole. che musica la Terra! adesso non sento nessuna musica dovrebbe essere il momento di applaudire
*** il cielo è di nuovo bianco e i grilli continuano a cantare e pure gli uccelli continuano a cantare accendo una sigaretta mentre scopro la natura dalla finestra
e aspetto che sia il sole a aprire le danze come ha fatto ieri *** terzo giorno di ritirata al bunker. il nemico s'è fatto vivo in un paio d'occasioni ha lanciato rami di depressione fisica e con l'elmetto ha salutato le madri. il nemico l'ho domato come un cavallo privato della sella. terzo giorno di ritirata al bunker e non sento gli uccelli cantare né i grilli suonare né il cane dirigere l'orchestra. quasi resto sveglio in attesa che inizi il concerto
il tavolo è ricco non solo briciole di pane anche altre pietanze come il bene e l’amore e nonna dice: “Gira, gira il piatto!” e vado per girare il piatto
non col cucchiaio nella minestra ma con la mano che ruota insieme al coccio come una giostra così nonno che parla poco a tavola mi guarda, poggia il cucchiaio nella minestra e sorride
quotidianità del tempo
bisognerebbe riflettere sulla coscienza temporale che riempie gli attimi: le persone sono attimi vengono vanno - chissà dove? chissà quando? - tornano ma non per restare. bisognerebbe pensare di più e agire dopo aver pensato e doppiare gli ultimi per tornare ad essere primi. bisognerebbe allungare i tempi degli orologiai e non cambiare la batteria bisognerebbe dormire di meno per sincronizzare l'ora legale, legalizzare il sole anche di notte e sostituire l'orso Yoghi con la luna in crateri e acqua vita. bisognerebbe diventare vecchi e rughe per raccontare ottant'anni di vita per raccontare ottant’anni d’amore. bisognerebbe fermarsi un attimo, solo un attimo, con l'autore di tutto
uccelli cantanti
dove vanno questi uccelli canticchiando? sento il volo avvicinarsi e poi sparire dietro palazzi, sugli alberi, sulle piante dei terrazzi. eccoli ancora uccelli cantanti con ugole piene ora più vicini alle mie braccia e ai ragazzi che vibrano sul motorino in via Giustiniano. eccoli ancora loro e sempre cantanti perché ruotano? hanno smesso di cantare per lasciare il palco a due cani infelici e alla televisione col suo Talk Show
il mare va accapo
il mare lo vedono tutti e da tutti viene raccontato. pensi che io al mare non ci sia mai stato? credilo se vuoi. il mare non è la mia campagna dove nascono i miei frutti e dove femmine umane piegano le ginocchia per amore della natura. eppure il mare lo vedono tutti e per tutti è poesia e credo pure che abbiano ragione. pensa alle onde che sembrano voler cancellare le tracce del aggio. pensaci e dimmi se non è come andare accapo
dico che uomini e donne si attraggono come calamite o plastica riscaldata e cartaccia. forse non dovrei dirlo eppure lo dico e ci penso e dopo averlo pensato lo dico e credo che non ci sia modo migliore per dire le cose dopo averle pensate perché è il cervello a suggerire le emozioni, i sentimenti, i presentimenti e tutte le meraviglie dell’universo come le donne. pensavo – e quindi dico – al cane Tyson che ha scelto così di chiamarsi per la zampa sul foglietto ai tempi in cui bambino crepavo per un randagio che leccava il polpaccio e ora adoro il mio cane e tutti gli altri animali, li adoro come le donne perché sono intelligenti come loro anche se spesso pellegrine perché sono accoglienti come loro
anche se spesso rompono il cazzo
non dico il tuo nome
non dico il tuo nome perché fa paura a me che sono uomo figurati al bambino che gioca in campagna perché non esisti. a lei, invece, non fai paura perché non ti vede non ti ascolta da quando l'hai adottata e stretto tanto le mani - ciò che sembrano - intorno alla vita ora le chiudi gli occhi come al compagno caduto ora la vesti con un abito nuovo perché quello vecchio è rosso come il sangue esploso dalle vene interrotte le copri i piedi nudi e la testa bionda uguale alla tua
POETA
il vero poeta crea, poi comprende… qualche volta
Henry Michaux, Miserabile Miracolo, 1956
che faccia ha il poeta? che cuore ha il poeta? la tua faccia è la stessa e il cuore è al servizio non c'è differenza estetica né battito tra il mortale e il poeta. seduto sulla roccia del mare in tempesta puoi trovare il poeta oppure sulla panchina arrugginita tra i limoni e altalene. puoi trovare il poeta con sigaretta e dita consumate con gambe e braccia rammollite. a quanto dicono il poeta sarebbe vestito con un rosso mantello e alloro tra capelli oppure con vestaglia bianca e ali pronto ad accogliere richieste come il juke box della balera. prova a inserire la moneta
se ti convince: non otterrai né una stella né un desiderio. immagina, ora, il poeta seduto al tavolo domenicale: dagli un pezzo di pollo e una forchetta, ne avrà bisogno
agli scrittori
prendete una penna e un pacchetto di sigarette vuoto sì, perché sul pacchetto di sigarette vuoto si può scrivere, insegna Ungaretti. se vi trovate al ristorante scrivete con la penna d'ispirazione sul fazzoletto che prima avreste utilizzato per pulire i denti. non fatevi sgridare dal cameriere se vi sgrida scrivete sul suo grembiule. trovate il muro bianco di una scuola o quello di una chiesa e scrivete di giallo e di viola trovate il crocifisso e non scrivete su questo, ate oltre e provate a fare un arco. cercate un albero pensionato e incidete l'amore armatevi di tavole in legno, una barca e un'ancora: scrivete insieme ai pesci e moltiplicatevi leggete i grandi del ato e sconsigliatevi dai piccoli del presente scrivete sulle camicie delle persone in fila alle poste scrivete con la penna di un altro e sulla frutta che avete comprato scrivete del sesso che avete amato e scrivete di loro scrivete per voi perché altri scriveranno di noi.
amate l'amore
cogliete la natura battezzate il bambino e raccontate. raccontate! che sia di paradiso o di inferno il cerchio che v'ha ispirato
zitta, godi: c'è la poesia
immagino che ti possa dar fastidio la prossima lettura. ma non me ne frega un cazzo! più che l'immaginaria visione appare davanti ai miei occhi il tuo fare poco compiaciuto e pure in questo caso non me ne frega un cazzo! zitta, godi: c'è la poesia. se a rigor della logica imprevista dovessi scegliere d'essere diretto ti dirò che la posizione è il recapito del piacere massimo fin dai tempi delle finestre bagnate quando a dare le spalle al lato interno destro eri tu. ricorderai quando a protestare sulla schiena ero io, no?
che ne sanno le api della lettera mai recapitata agli amori stuprati che ne sanno i critici da tivvù della scienza che non è arte di oggi e domani -chissà- sarà arco per la città che ne sanno gli scultori che ne sanno gli ubriaconi che ne sanno gli economisti che ne sanno le nuvole cariche di pioggia se il vulcano ha appena sputato e ed è doloroso indossare abiti sulla pelle ustionata
SILENZIO
per un istante mi accorgo che a perdere la ragione sono io poi ricordo di avere diversi anni di possedere un cervello e dispiego le forze dando ordine di tacere. tacete! tacete perché così avrebbero fatto i vostri nonni. l’ordine imperato è questo e come foglie ai bordi dell’asfalto sposto il silenzio
a mia insaputa
credevo di averla fatta franca e invece rispunta a mia insaputa. è come una malattia che non so di avere trovo l'antidoto che affossa le ambizioni e poi rispunta a mia insaputa. vedo le persone - ormai oggetti con le quali ho condiviso spazi e alimenti. so che a contare sono gli effetti ma pure gli affetti hanno un rilievo statistico e l'importante sta nell'accorgersi che il bianco è bianco pure al sole e il nero è nero pure alla luna. a mia insaputa m'è venuta una malattia che distanzia il femminino in forma cautelare proprio quando dovrebbe esserci fila come quella degli sconti al supermercato.
sarà l'età che avanza, la ruga che stanca o la previsione di un abbattimento che, a mia insaputa, è azzeccato.
investito
m'ha investito un treno e non me ne sono accorto l'etichetta sul piede destro indica un numero a sette cifre che ricordano la nascita e m'hanno condotto ai confini della parabola dopo aver ricordato posti che in gioventù avevo nascosto. a condurre il carrello ci sono mio padre, mia sorella e tu: tre costruttori d'ipocrisia davanti alla fine quando la previsione voleva una mattinata di lavoro. posso starmene tranquillo ora che l'udito ha smesso di cerchiare ora che il tatto ha smesso di godere ora che la bocca ha smesso di baciare.
posso starmene tranquillo, investito
lunga notte a me
c'è una limpida luce artificiale ad accompagnare questa lunga notte mediatica, la vedo entrare dalla prima finestra che dà sull'oscuro divano in pelle. è una di quelle notti in cui è il particolare ad accogliermi seppur strana è la sensazione che vivente percorre ogni spazio. ascolto il rumore dei i immobili che sembrano condurmi verso un microfono spento verso colori addormentati verso occhi stanchi. c'è una limpida luce artificiale in questa lunga notte a me
il punto D
il punto D è quello che m'ha dato i natali. il punto D è quello che sta alle spalle. il punto D unisce. il punto D è nero fin troppo nero da apparire misterioso. il punto D non sta all'interno; lo vedi quando sei nudo. il punto D fa parte del metro dialettico. il punto D è per gli intellettuali. il punto D è imperativo. il punto D è un semicerchio ubriaco. il punto D potrebbe essere interrogativo. il punto D non è un arrivederci se disposto al centro e in doppia mandata. il punto D non è un piacere. il punto D fa pensare. il punto D è Amore. il punto D è un poeta russo. il punto D sta davanti all'apostrofo: d'affetto. il punto D è sentimentale e riflessivo. il punto D è l'inizio.
il punto D ha un suono forte; ne faresti a meno il giorno di Natale. il punto D ha la gonna. il punto D accoglie i ricordi. il punto D illude. il punto D ha due spade. il punto D è un numero.
il punto D sei tu al quattordicesimo verso
lasciatemi morire in un giorno elettorale scheda verde scheda rosa scheda gialla: dove siamo, al parco dei gonfiabili? lasciatemi morire in un giorno elettorale perché non vedo in cose più di-vino la mancanza delle schede rossa e bianca. è chiaro il riferimento arcobaleno ma se fossimo stati convinti della scelta avremmo pur avuto la possibilità di ottenere un colore diverso avuto dallo scambio di favori dopo la pioggia. lasciatemi morire in una cabina verde scorticata di come poche se ne vedono all’IFD (Istituto Futuro Disoccupato). allora, per concludere l'espatrio della tavolozza consiglio al didattico di disporre la consegna dei pennelli
entro il prossimo futuro
le 19 di ogni luglio
è così che sto, solo incatenato da bracciali di ferro e avorio coi capelli ritti e lavati che fanno l’età. dio solo saprebbe come vorrei sentirmi alle 19 di ogni luglio. lui immagine da diario per scolarette arrapate sul letto dei sensi: tatto, tanto tatto, tatto quanto l’avrebbe amato dio se solo, solo lui in lingua italiana sapesse farsi vivo con zaino sulle spalle e dizionario della sopravvivenza tra le mani. dio! “dio perché m’hai abbandonato?” come se non fossi figlio tuo come mele marce che non trovano bocche ma merda di questa terra pestata. il sesso, dio che non fai la fila al supermercato,
l’hai creato tu e alle 19 di ogni luglio ci penso e insorge la rivoluzione nella mia testa e sanguino come una vergine. perdio! impreco non per volerti uccidere tu esistenza poetica ma per le colpe del bambino col mio nome che alle 19 di ogni luglio vedo raccogliere code di lucertole
sogno
il sudore scende sui piedi e poi non so dire come fa ma sale senza cigolare come un ascensore che va al terzo piano dove ci sono io, al tredici, e il corpo sudato. Stava crollando il palazzo e le pareti bianche si sono divise per rinfrescare l'azzurro e i quadri con i pezzi incastrati dondolavano a terra lontano dal vetro dai mobili, divano, e cucina tutta. Sembrava un terremoto vero *** mi sono addormentato
sul letto di casa alle venti che è un orario insolito per fare l’amore con tutte le donne o essere anima penante ai piedi della montagna. un rumore mi ha svegliato alle ventidue sembrava pioggia e mi sono piegato come un esorcista e non ho sentito più niente ho visto il letto coperto da cotone e insoliti delfini rosa. Non era pioggia il rumore che mi ha svegliato, ero prua che batteva sulla pancia di mia madre
fumo fumo che sto da dio e dio solo sa quanto amo il fumo che entra nei polmoni e esce dal naso e poi dalla bocca di qualcun altra che mi guarda pure con gli occhi socchiusi per non annaffiarli di fumo fermo forte fastidioso
accendo un’altra sigaretta la diciotto di giornata prima rossa ora blu cambiano i colori ma il fumo è sempre lui fumo che sto da Dio e creperò presto per quanto fumo “creperai presto per quanto fumi” l’ho detto nel verso che hai letto e intanto conto cicche nel bicchiere bianco vuoto e aggiungo in tempo quella che tengo in mano.
Tempo, tempo di morire o tempo per vivere? prendo l’affitto e scappo senza rinnovare gli accordi
che avevamo preso quand’eri ieri Angelo Biondo intrecciato dal cuore malandato dai lividi invisibili per quello che ancora rincorri e cadi: “Amico Sambuca, ciao ciao” amici un cazzo ma scusa e scusa non ce l’ho con te pure se amo il fumo e fumo, come detto, che sto da Dio
Penso ai maestri che mi hanno scoperto ma non so se sanno di avermi scoperto e se ricordano il mio nome o se ricordano solo il colore della maglietta che indossavo ai funerali o se ricordano quale donna accompagnavo all'altare. Vorrei chiamarli tutti maestri per regalare note prodotte da mani stanche, forti, emozionate, diverse e dai piedi che menano la terra per ricordarle di ruotare lentamente o di prestarmi suole antiscivolo
sono nato bambino sono nato bambino e amavo indossare guanti colorati e amavo aspettare che un altro bambino magro tirasse il pallone così che io potessi immaginare di volare come una farfalla libertina che cura l’incrocio dei pali. correvo poco e forse per questo ero un bambino grasso e le ragazzine non le amavo se avevano occhiali spessi o l’apparecchio per i denti perché somigliavano a me e io non mi sono mai amato. ho sofferto per anni una sofferenza di bambino timido nascosto nel buio dell'insicurezza e non c'era luce ad illuminare il volto paffuto e non c'era luce ad illuminare le mani grasse e non c'era luce ad illuminare i fianchi rotondi e il culo molle.
sono contento che non ci sia stata così oggi posso far finta di essere visibile
il temporale faceva tremare le mani e le gambe e chiudevo gli occhi per non sentire tanto che ero abituato a vedere cose paurose. mi mettevo sotto al lavandino col fon e ancora che chiudevo gli occhi per non sentire poi abbracciavo un grande pupazzo che tiravo giù dall’armadio e con altri pupazzi piccoli costruivo la barriera che nessuno avrebbe abbattuto. il temporale faceva ancora tremare le mani e le gambe allora cercavo di pensare a qualcosa di difficile da raggiungere e era spesso il calcio, la formazione del Perugia: Mazzantini, Milanese, Calori, Materazzi, Nakata, Tedesco, Bisoli, Capparella, Alenichev, Amoruso, Rapaic. il temporale non smetteva certo avevo una barriera ma la memoria aveva già smesso di ingannare il temporale
gangster pontini, corde vocali e doppiaggio
non sono un cinefilo cioè non sono uno che vede film come fosse al cesso l'appuntamento quotidiano. questa sera ho deciso di vedere il film che m'ha prestato un amico - bada alla parola che non è cornice ho infilato il dvd nello spazio previsto e ho atteso l'azione. tutto sembra filare liscio come piedi delle donne ma al primo minuto di proiezione nemmeno una parola solo labbra scortesi di gangster pontini. ho provato a doppiare loro le donne in pantofole e i cani di comparsa non è stato facile gestire le corde vocali tese. dopo mezz'ora di visione
e esercizi di voce ho un sigaro l'ho guardato consumarsi senza lamento. Nemmeno un tuono proveniva dalla vaniglia. che cosa dovevo fare? in fondo doppiare il sigaro non avrebbe cambiato le sorti della serata
VOCE
sento calore sulle gambe bianche non mi accorgo né della provenienza né dei panni stesi fuori casa. dalla finestra vedo bambini giocare è loro l'innocenza lontana dai banchi dalle lavagne di gesso e dalle fabbriche in cui padri uccidono le ambizioni. sento voler stendere una tovaglia sul tavolo ciliegio e la forza che appare come una Madonna ricorda pomeriggi del tè come un vecchio albero rugoso. torno a vedere i bambini, i vestiti: sembrano marionette così piccole da aggi di quartiere nella città come topi ad acchiappare il cibo, veloci, il braccio sul pallone prima che un'auto sgonfi i sogni.
un calcio più potente di ieri ha ferito la statua di San sco ed è tutto il mio quartiere dei ventiquattro anni di cui dieci, incoscienti, a raccogliere palloni
era bella l'Italia
era bella l'Italia che chiedeva di vestirsi tricolore alle battaglie domenicali. era bella l'Italia che soccorreva i malati coi pantaloni larghi per la guerra. era bello sottrarsi alle volontà divine e aspettare prima di toccare l'asfalto. aspetto, ora, che qualcuno venga a prendermi aspetto sotto l'albero di braccia e testa, sospeso il verde delle foglie. aspetto che mi vengano a prendere i pareri legittimi o i vecchi capelli grigi.
vedo un bambino spaventato all'ingresso dell'ospedale: sarà l'ago ad accoglierlo o un letto senza lenzuola? ora lo intervisterò chiederò a lui quant'era bella l'Italia
la mia città
prima pietra posata e forti radici in nome Littoria come bambina nata e già sento e respiro. donna Littoria dei sedici anni corsi in bicicletta a sbucciarsi i gomiti come frutta ammaccata e dopo curata dalle madri. rinata poi Latina quasi fosse danza caraibica giovane a ottant’anni come i quartieri dove tiravo uova alle auto che di tanto in tanto
avano per via Isonzo
DIALOGHI
Mi vedi? Sì, certo che ti vedo Sicura di vedermi? Eccoti, sei davanti a me e ti vedo Guarda meglio Non saprei dove guardare meglio Le mie mani
*** Mi ami? Più di qualunque altra cosa Quindi mi ami come un oggetto… Non intendo dire questo Cosa intendi dire? Che ti amo più di qualunque altra persona Vedi cosa succede se mi guardi negli occhi?
*** Oggi mi sono iscritto a Twitter Bene, sono contento per te
Tutto qua? Certo, cos’altro aspetti che dica? Boh, apri il cancelletto…
***
Prima di fare l’amore… Ho voglia di te, voglio essere tuo, amarti fino a condurre le armate alla vittoria, abbattere ogni barriera, godere insieme, abbracciare i fianchi e sussurrare alle orecchie
Dopo aver fatto l’amore… Ti è piaciuto? Sì
***
immagino di essere soldato abbandonato in trincea insieme ai fratelli morti. tutti siamo vestiti di verde a parte loro, i fratelli morti, che c'hanno sparse le maniche in rosso
sangue
cari fratelli immagino di essere soldato perché in guerra ci sono stato solo sei giorni. cari fratelli di notte non bombardate le chiese non date ossa ai necrofagi giunti dall'est, di notte bisogna pensare al giorno dopo
NOTA
La poesia “hai gli occhi come l’otto maggio” di p.41 l’ho scritta proprio il giorno 8 maggio di un anno che non ricordo. La ragazza che sul treno sedeva di fronte a me aveva gli occhi azzurri, come il cielo in quel giorno. Nella poesia “l’uomo cane – oltre cento sigarette – “ di p.48 il riferimento al titolo, e quindi ai versi, è al fisico italiano scomparso misteriosamente nel 1938 Ettore Majorana. Si dice che sia stato visto girare per la Sicilia come uno straccione trasandato e venne nominato “homu cani”, ossia uomo cane. “Franco” a p.52 è un personaggio chiacchierato della mia Latina che girava per la città con una serie indefinita di mostrine di guerra sulla giacca militare. Dico che girava perché l’ultima volta che l’ho visto ero un ragazzino. “Little Pomp” di p.68, la successiva “Kelly”, “Dante il poeta” (p. 79) e “l’alimentari di Gino” (una donna, una ragazzina, un uomo vecchio e un uomo morto di p.81) esistono nella mia mente (tranne che per Little Pomp che dovrebbe stare pure nella memoria di Ilario e Chiara). La poesia “il matrimonio e il funerale” è uno spunto di cronaca del 2013: Simone con un bouquet tra le mani ha aspettato sull’altare la sua Veronica chiusa nella bara, morta in un incidente stradale a Santa Mama nel comune di Subbiano, Arezzo. A p.87 c’è “Raoul”, un ragazzo dai tratti somatici orientali che ha festeggiato allo Stadio Olimpico di Roma con me e il mio amico Daniele la vittoria per 4 a 0 della Juventus sulla Lazio nella finale di Supercoppa Italiana del 2013. “Ventiquattro” (tutti fuori da scuola p.97) è il numero che ripeto a voce alta in toni diversi per scaldare la stessa, ma anche i miei anni quando ho scritto la poesia. Anche “boston: attentato allo sport” è spunto di cronaca del 2013 quando due bombe esplodono all’arrivo della maratona che si corre negli Stati Uniti causando la morte di tre persone e ferendone oltre centosettanta. Ho appreso la notizia dalla radio della mia auto mentre ero fermo sul raccordo anulare di Roma per un incidente avvenuto sulla strada. Il magistrato di cui parlo in “pace non t’ho mai vista giocare col pallone”di p.112 è Giovanni Falcone, assassinato a Capaci il 23 maggio 1992. La poesia l’ho scritta lo stesso giorno del 2013, anniversario di morte. La “via Giustiniano” di p.123 (uccelli cantanti) è dove abito. Due pagine dopo (p.125) c’è il “cane Tyson”, il bulldog se di quattro anni che vive con me e i miei genitori. Ne “il punto D” (p.143) dove dico il punto D sei tu al quattordicesimo verso, quel “tu” è un cognome di donna. Quand’ero ragazzino e avevo paura del temporale accendevo il phon perché mi
rilassavo col suo ritmo costante di suono e calore. La notte quando mi mettevo a letto per esorcizzare l’altra paura, quella del buio, recitavo a voce bassa a memoria la formazione del Perugia Calcio (p.155). La poesia Bunker (di p.119) a marzo 2014 viene riconosciuta al secondo posto del Concorso internazionale di Poesia Castello di Duino. L’ho scritta nei tre giorni di clausura, supplizio fisico e mentale per la scabbia (curata: sono sano).
Ringraziamenti
È difficile dire “grazie”? È difficile dire “grazie”? Sì, lo è. Per me, almeno. Non per tutti quelli che ringraziano a colazione, a pranzo, a cena. Ringraziano per il pane sfornato o per il pianto liberatorio, ringraziano per gli affetti o per la vita. Dovrei ringraziare tutti o nessuno; dovrei ringraziare me o te che ancora non ho incontrato. Intanto dico grazie a Luigi De Luca e a suo figlio aphorism.it per la lunga chiacchierata tecnologica che ha definito la nascita delle poesie raccolte in questo libro. Con lui tutti i membri dello staff, dal primo arrivato all’ultimo che se n’è andato. Con loro l’editore Lettere Animate che ha accettato la seconda sfida con la mia poesia, con la poesia che continua a sgomitare per scollarsi di dosso il marchio scomodo d’elite che gl’hanno attaccato. Con questi ci sta bene pure l’amico Simone di Biasio che ha scelto il titolo di questo libro sui dodici o tredici che gli ho presentato. Qua in mezzo ha il diritto di esserci pure il Beltempo – Casa delle Arti di Fondi (Rocco, Veronica, Serina, Giuseppe, Paola, sca, Bruno, Maria, Roberta Card., Roberta Caru., Fabienne, Pierluigi, Antonio, Gianni), autentica dimora ospitale dell’arte di tutti. Infine ringrazio il silenzio in cui ho scritto queste poesie. Il silenzio voluto da quelli che si sono distratti.
Collana "I destrieri di Aphorism.it"
Le redazioni di Lettere Animate e Aphorism ti ringraziano per aver letto questo libro, con l’augurio che sia stato di tuo gradimento.
La collana è nata grazie all'accordo siglato tra la casa editrice Lettere Animate e il sito internet Aphorism. Lo scopo della collaborazione è ricercare talenti letterari meritevoli di attenzione, per proporre al pubblico contenuti interessanti e nuovi autori. La selezione delle opere è curata dalla redazione di Aphorism, uno dei primi siti italiani dedicati alla letteratura. On line dal 2001 ancora oggi è considerato un punto di riferimento per tutte le persone che amano leggere e scrivere.
La collana ospita opere di poesia, narrativa e antologie. I libri prodotti mirano a coinvolgere i lettori anche dopo la lettura, grazie agli strumenti offerti dalla rete per condividere opinioni e raccontare le proprie esperienze. La nostra comunità virtuale può abbattere le distanze e avvicinare facilmente le persone, mettendo in contatto editore, redazioni, autori e lettori. Tutti insieme per continuare a crescere, migliorarsi e diffondere messaggi positivi. Perché la cultura ci salverà, sempre. Se vuoi interagire con noi, puoi trovarci ai seguenti indirizzi:
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Altri titoli della collana
Giocatore di whisky, bevitore di poker Daniele Campanari
Poesia, ragazza mia Elio Ria
Fiori in Rapsodie Elisabetta Pedata Grassia
La piscina delle mamme Filippo Gigante
Trailer Letterari Angelo Capotosto
Il mostro di rabbia & d’amore Vincent Cernia
Created with Writer2ePub by Luca Calcinai