Il Prodigio della Memoria
Martin J. Hoffman
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INDICE Prefazione Introduzione Memoria a Breve e Lungo Termine Aspetti della Memoria Memoria Multicomponenziale Fasi della Memoria Apprendimento e Memoria Inibizione della Memoria Teorie dell’Oblio Deficit della Memoria Contributo della Neurobiologia Bibliografia
PREFAZIONE
La memoria è la capacità di conservare e ricordare le precedenti esperienze. È la memoria che permette la continuità della vita interiore, facendo sopravvivere il ato: senza memoria avremmo solo la percezione del presente. La memoria quindi non è solo una funzione specifica da educare con l'esercizio, ma anche una condizione generale di tutta la struttura psichica dell'essere umano. La memoria è il processo attraverso il quale l'esperienza ata lascia una traccia che può tradursi in cambiamenti del comportamento. Solo alla fine del sec. XIX, dopo un lungo periodo di speculazione filosofica, il problema della memorizzazione è stato affrontato scientificamente. La valorizzazione dell’esperienza è valorizzazione della “storia” che traduce l’uomo in “soggetto storico”, conferendogli una “personalità” e una base solida per la costruzione del proprio futuro. La memoria è la capacità di ricreare, nella mente, la esperienza della vita; così, come sosteneva Cicerone, “è un tesoro e custode di tutte le cose”, cioè della realtà. La memoria è una “funzione cognitiva complessa” che, solo artificialmente, può essere separata dalle altre capacità cognitive e dalla affettività. In altri termini, la memoria è un meccanismo adattivo indispensabile per la sopravvivenza proprio perché questa dipende dall’apprendimento e dal ricordo di determinate strategie e tipi di comportamento. L’esperienza e la memorizzazione diventano, quindi, le funzioni che permettono di creare una “storia”, la formazione della sensazione di sentirsi vivi, di creare un senso di sé fondato su una struttura irrepetibile nella sua unicità, ma anche integrata con la persona, gli oggetti e l’ambiente.
INTRODUZIONE
Il primo modello di memoria risale al 1890 e si deve al filosofo W. James. Egli divideva la memoria in primaria, in cui sarebbero contenute e facilmente reperibili le informazioni provenienti dalla coscienza, e secondaria, da cui verrebbero recuperate le informazioni che nella coscienza non si trovano più. Il modello di James fu ripreso in seguito da Georg E. Müller e A. Pilzecker, secondo i quali i processi nervosi che sono alla base della memoria perseverano in una forma debole dopo l'esperienza e vengono fissati o consolidati solo più tardi nel tempo. Questa ipotesi, detta “della consolidazione”, venne proposta inizialmente come spiegazione dell'interferenza retroattiva, cioè del disturbo che un'informazione nuova esercita su un apprendimento precedente. L'esistenza di un periodo di consolidazione della memoria precedente l'immagazzinamento dell'informazione è provata dalle amnesie, le perdite di memoria che si verificano, per esempio, dopo un trauma cranico. Infatti il trauma cranico provoca un'amnesia retrograda, cioè un'incapacità a ricordare gli avvenimenti immediatamente precedenti l'incidente e, pertanto, ancora in fase di consolidamento. Negli anni Cinquanta del sec. XX il fisiologo D. Hebb propose l'ipotesi della “doppia traccia”. Secondo tale ipotesi un'esperienza attiverebbe circuiti nervosi che, restando attivi per qualche tempo dopo l'esperienza stessa, sosterrebbero la memoria fino a quando si sia verificato l'immagazzinamento permanente; tale meccanismo fornirebbe, quindi, le basi per una “memoria a breve termine”. Non solo, questa breve traccia determinerebbe anche i cambiamenti nervosi necessari per la consolidazione della memoria e per il costituirsi di una traccia mnestica stabile. In particolare, il periodo di consolidazione comprenderebbe tutti quei cambiamenti fisici e psichici che hanno luogo allorché il cervello organizza e ristruttura l'informazione che può divenire parte della memoria permanente o a lungo termine. Numerose sono le prove comportamentali a sostegno di questa ipotesi dualistica, fra cui i test di “richiamo libero”, nel corso dei quali vengono sottoposti ai soggetti sequenze di items (voci di un elenco), per esempio sillabe, e si richiede loro di ricordarli in qualunque ordine. Gli esperimenti hanno dimostrato che il ricordo dei primi e degli ultimi items è sempre buono (effetto di primacy e di recency rispettivamente) mentre una prestazione inferiore si registra per quelli che costituiscono la parte centrale della sequenza. Si ottiene cioè una curva a U. Questa curva può essere spiegata proprio sulla base del concetto dell'esistenza di due magazzini mnestici. I soggetti ricorderebbero infatti meglio gli elementi iniziali perché li avrebbero trasferiti, con il meccanismo della ripetizione, nella memoria a lungo termine, che al momento della loro presentazione sarebbe ancora vuota, e disponibile quindi ad accoglierli. Gli items finali, in genere i
primi a essere riferiti, sarebbero ricordati meglio perché ancora presenti nella memoria a breve termine, e da essa, appunto, richiamati. Il ricordo degli items centrali sarebbe invece scarso in quanto la ripetizione sarebbe insufficiente a trasferirli nella memoria a lungo termine, e l'interferenza degli ultimi items li scaccerebbe da quella a breve termine. Ancora, è più facile memorizzare liste brevi che non liste ampie, anche se, concedendo un tempo libero per la fase di fissazione, non è possibile stabilire dei limiti precisi per l'ampiezza ottimale delle liste. Altro fattore di notevole importanza è quello del valore soggettivo che presentano gli elementi di una lista per chi li memorizza. Ovviamente il valore è diverso per i vari individui e si riferisce al livello socio-economico, alle esperienze ate e anche alle condizioni psicofisiologiche che possono variare per lo stesso individuo nei vari momenti della vita. Nella fase della conservazione si ha una serie di fenomeni che possono portare a cancellare o a deformare la traccia mnestica. Si osservi che i contenuti vengono fissati per la maggior parte entro trenta minuti circa dall'apprendimento. In questo periodo l'oblio è massimo, ma ciò che si conserva ato tale tempo viene in larga misura conservato per tempi anche molto lunghi. Si osservi inoltre che se i contenuti conservati vengono deformati (si calcola che contenuti privi di valenze emotive vengano deformati in una percentuale dello 0,33% al giorno), la certezza soggettiva sull'esattezza del ricordo tende invece a crescere con il are del tempo; e ciò ha una notevole importanza anche sul piano pratico (si pensi solo al problema della psicologia della testimonianza in campo giudiziario). La fase successiva è quella della rievocazione, che può assumere aspetti diversi. In essa, comunque, i contenuti fissati nella prima fase vengono riportati a livello di consapevolezza e possono ovviamente essere in parte cancellati o deformati secondo quanto detto a proposito della seconda fase. Si distinguono la reintegrazione, il richiamo, il riconoscimento e, infine, il riapprendimento: nel caso della reintegrazione si ha un esatto collocamento nelle loro coordinate spazio-temporali dei contenuti memorizzati; in quello del richiamo, la restituzione, più o meno completa, del contenuto memorizzato è indipendente dalle coordinate di tempo e di luogo relative all'apprendimento; nel riconoscimento (che è la più semplice modalità di rievocazione, ed è anche l'ultima a deteriorarsi in caso di condizioni patologiche interessanti le attività mentali superiori, o anche in caso di semplice involuzione senile) il soggetto si limita semplicemente a indicare se un certo evento è stato da lui memorizzato in ato o meno; il riapprendimento consiste invece nel fatto che un contenuto apparentemente obliato viene riappreso in un tempo più breve di un contenuto che venga presentato per la prima volta al soggetto. Tale fenomeno indica che l'oblio, per quanto possa apparire completo, è invece sempre o quasi parziale
(almeno per i contenuti fissati a lungo termine). Ciò è anche indicato dal fenomeno della reminiscenza, che consiste nel fatto che contenuti apparentemente obliati tornano a volte spontaneamente nella sfera della consapevolezza, e possono quindi essere rievocati, indipendentemente da un riapprendimento. Gli studi condotti dall'Istituto Weizmann di Israele hanno portato a ipotizzare l'esistenza di un terzo tipo di memoria, detta iconica, che permetterebbe all'uomo di ricreare mentalmente le immagini degli oggetti, traendole da una sorta di archivio fotografico immagazzinato nel cervello. Attraverso una metodica molto sofisticata, la risonanza magnetica funzionale, gli studiosi dell'Istituto sono riusciti a scattare le foto del cervello in modo da poter osservare quali sono le sue parti coinvolte durante determinate attività, come vedere o, appunto, immaginare un oggetto. Per comprendere questo meccanismo bisogna rifarsi al funzionamento della visione: quando un uomo vede un oggetto, infatti, l'immagine che si forma sulla retina viene scomposta nelle diverse componenti: forma, dimensione, colore, ecc.; tutte queste informazioni sono poi trasmesse dalla corteccia occipitale ai lobi parietali e temporali, in modo che l'uomo possa formarsene un'immagine che “archivia” nel cervello e che può riattivare secondo la necessità.
MEMORIA A BREVE E LUNGO TERMINE
In questi ultimi decenni, soprattutto, si è potuto dimostrare sperimentalmente una differenza sostanziale tra memoria a breve e a lungo termine. I contenuti memorizzati a lungo termine possono essere rievocati, infatti, dopo molto tempo (anche anni) dalla fase di fissazione, mentre i contenuti memorizzati a breve termine decadono, se non ano nella memoria a lungo termine, dopo alcuni secondi dalla fissazione (i contenuti memorizzati nella fase di consolidamento vengono da alcuni autori considerati come appartenenti alla memoria a breve termine, da altri come appartenenti a una memoria intermedia). Alla base di questi due tipi di memoria vi sarebbero due meccanismi neurofisiologici diversi: la memoria a breve termine troverebbe le sue basi biologiche in fenomeni bioelettrici, nei quali sarebbero interessati gli organi di senso, le vie sensoriali e i centri nervosi superiori a cui giungono i contenuti delle percezioni, la memoria a lungo termine sarebbe invece il risultato permanente di trasformazioni biochimiche cerebrali legate essenzialmente al metabolismo degli acidi nucleici e delle proteine. Tuttavia ricerche di Kandel dimostrerebbero che alla base della memoria a breve termine vi sarebbe una riorganizzazione di proteine già esistenti, mentre la sintesi di proteine nuove sarebbe alla base della memoria a lungo termine. Ogni tipo di informazione viene trasferito lungo le vie sensitive nei centri proiettivi della corteccia e da questi a varie zone corticali dove avviene la registrazione definitiva dei contenuti acquisiti. Mediante ricerche sperimentali è stato dimostrato che i contenuti delle percezioni possono essere trasferiti da un emisfero all'altro del cervello prima di venire definitivamente memorizzati. Per esempio, se si condiziona a un certo comportamento (per esempio di fuga o di pressione di una leva all'accensione di una lampadina) un animale di laboratorio dopo avergli bendato un occhio e poi si evoca lo stesso comportamento dopo aver bendato l'altro occhio, la risposta condizionata avviene ugualmente. Ciò si realizza anche dopo la sezione sagittale del chiasmo ottico, struttura cerebrale attraverso la quale gli stimoli sensoriali, percorrendo le vie ottiche, vengono inviati nella corteccia dell'emisfero opposto. Tuttavia, se assieme al chiasmo ottico vengono sezionati anche le commessure anteriore e posteriore e il corpo calloso (esperimento dell'animale “con cervello diviso in due”), il trasferimento dell'informazione e del contenuto mnemonico viene interrotto. Ciò indica che il codice nervoso necessario per ricordare una certa nozione visiva acquisita con un solo occhio viene trasferito alla corteccia controlaterale lungo le vie commessurali. Modalità analoghe di trasferimento si hanno anche per nozioni raccolte attraverso gli altri organi di senso. Il fatto che nell'animale “con cervello diviso in due” avvenga la memorizzazione indipendente nei due emisferi cerebrali implica la possibilità di evocare risposte condizionate differenti o anche
opposte a uno stesso stimolo sensoriale, secondo che detto stimolo venga percepito con un occhio oppure con quello controlaterale. L'evocazione dei ricordi recenti e di quelli remoti risponde a modalità diverse: la memoria delle nozioni recenti è piuttosto labile e vulnerabile; essa viene danneggiata da insulti traumatici e tossici e da disturbi del trofismo e della ossigenazione del cervello. La memoria per i fatti remoti resiste invece anche alle più gravi lesioni cerebrali. Proseguendo nelle sue ricerche Kandel ha anche voluto sperimentare quali fossero gli effetti del cosiddetto k.o. genico, vale a dire cosa succedesse nella memoria degli individui manomettendo un pezzetto di DNA. Per altre vie, ma quasi contemporaneamente un altro studioso Susumu Tonegawa, giungeva alle stesse conclusioni. In pratica essi hanno eliminato dall'uovo di un topo, prima che venisse fecondato, un gene in modo da avere una generazione di animali privi di quel gene e verificare se ci fossero differenze nei processi di apprendimento e di memorizzazione. Entrambi, eliminando geni relativi alle cinasi (la tirosina-cinasi Kandel, la calcio-calciomodulina-cinasi Tonegawa), sono giunti in effetti alla conclusione che i comportamenti dei topi privi di quei geni erano diversi da quelli dei topi che non ne erano stati privati. L'encefalo, in conclusione, non memorizza i dati come fossero una fotografia, ma attraverso associazioni, con un procedimento simile all'ologramma, ed è possibile, anche quando non tutti i dati vengono richiamati, ottenere comunque un'immagine intera, anche se sfocata. Ci sono due meccanismi di immagazzinamento delle informazioni, uno per la memoria a breve termine (MBT ) e uno per la memoria a lungo termine (MLT ). Nelle memoria temporanea (a breve termine) si verifica un rapido deterioramento delle informazioni, mentre la memoria a lungo termine conserva le informazioni in modo sostanzialmente stabile. L'informazione che arriva alla MBT, se non è oggetto di attenzione, comincia subito a cancellarsi anche se, mediante una ripetizione, può essere restaurata. La capacità della memoria a breve termine è quindi limitata: se un'informazione non viene ripetuta con sufficiente frequenza, scompare. Il complesso dei dati presenti in ogni istante nella memoria a breve termine viene detto cuscinetto di ripetizione . L'informazione viene conservata nel cuscinetto finché non è trasferita nella memoria a lungo termine o finché non è rimpiazzata da una nuova. La memoria a lungo termine si considera essere virtualmente illimitata, ma la riattivazione di un'informazione può essere impedita dall'incompletezza delle associazioni necessarie alla sua identificazione. La rievocazione immediata di un'informazione può mancare perché non è stata trasmessa alla memoria a lungo termine. La rievocazione di un'informazione della memoria a lungo termine può mancare perché non ci sono sufficienti legami per metterli a fuoco. Questa teoria spiega anche perché taluni ricordi appaiono rimossi: tali ricordi sono
inaccessibili perché la loro presenza sarebbe inaccettabile per il soggetto a causa dell'ansia o dei sentimenti di colpa che potrebbero attivare . Non sono perciò scomparsi, ma il subconscio evita che le associazioni necessarie si formino. Gli individui colpiti da amnesia non dimenticano tutto, solo degli elementi personali. Ciò avviene spesso per un trauma emotivo al quale l'amnesia permette di sfuggire. Spesso poi parte di tali ricordi riaffiora quando vengono evocati dalle giuste associazioni.
ASPETTI DELLA MEMORIA
A. Aspetto sensoriale: memoria visiva o ionica, uditiva, gustativa o geusica, olfattiva, sensitiva. Viene riportata come memoria primaria per la capacità del trasporto dell’informazione e dovrebbe declinare rapidamente, ma molte osservazioni riconoscono il processo di memorizzazione-rievocazione dell’area uditiva molto più efficace non solo rispetto alla ionica, ma anche per altri tipi di memoria. B. Aspetto astratto o di significato. Comprende la memoria verbale che riguarda il linguaggio e la visivo spaziale che riguarda tutto ciò che non necessita di codificazione verbale. C. Aspetto temporale (intervallo tra input e output) comprende: - memoria immediata - memoria a breve termine o primaria - working memory – l’informazione non lascia la coscienza per cui non ha bisogno di rievocazione - memoria a lungo termine o secondaria, di capacità illimitata, contiene informazioni che hanno abbandonato la coscienza e, quindi, abbisogna di rievocazione - memoria remota o terziaria o autobiografica. D. Aspetto di coscienza - Memoria procedurale: richiede basso livello di coscienza; abbisogna di sviluppo filogenetico e ontogenetico precoce, riguarda abilità ripetitive fisiche, motorie e risposte riflesse; la registrazione ed il recupero avvengono attraverso processi associativi semplici; - Memoria dichiarativa: richiede alto livello di coscienza, è collegata agli avvenimenti ed ai vissuti, ha uno sviluppo filogenetico ed ontogenetico tardivo, si suddivide in: - memoria tematica che risente dell’influsso culturale ed educativo;
- memoria episodica riguarda fatti, episodi, vissuti e può essere recente o remota. La funzione memoria si trasforma in “questione delle memorie”, evidenziando così il concetto di poter ricordare in maniere diverse. Siamo di fronte al tema che riguarda la traccia mnesica e le rappresentazioni che risultano essere il vero principio dell’apparato psichico. La traccia mnesica diventa il fondamento dell’alterazione del sistema: una volta elaborato il ricordo il “sistema”, modificato dalla traccia e dalle rappresentazioni, non potrà più funzionare come prima, dovrà quindi tenere conto delle modificazioni stesse. Da queste considerazioni si può desumere che: - l’apparato psichico non può strutturarsi, né sopravvivere senza cervello e/o senza cultura (espressione ampia e significativa dell’impianto mnesico); - nell’uomo la memoria é “multicomponenziale” e, nel suo complesso, necessita del coinvolgimento di tutto il cervello.
MEMORIA MULTICOMPONENZIALE
Oggi ormai non si può più parlare di “memoria” perché é stata individuata la molteplicità della memoria. M.J.Cohen e L.Squire (1980;1984) hanno evidenziato due processi denominati “memoria dichiarativa” e “memoria procedurale” mentre D.Schacker e P.Graf (1986) hanno distinto tra “memoria esplicita” e “memoria implicita” e quindi tra: - memoria esplicita, dichiarativa, cosciente - memoria implicita, procedurale, inconscia distinzione che ha avuto i maggiori riconoscimenti tra i ricercatori. N.J.Cohen e H.Eichenbaun (1994) hanno dimostrato che è possibile far dipendere o no l’apprendimento dall’ippocampo e, successivamente, insieme ad altri autori, hanno messo in evidenza che: - la memoria esplicita dichiarativa è mediata dal sistema del lobo temporale; - i sistemi di memoria implicita o procedurale sono molti. Se alcune procedure di memoria richiedono l’ippocampo e altre no, è evidente che essa non è fenomeno unitario, ma ci sono diverse classi di memoria che risultano intessute in reti neuronali che connettono siti differenti. Un sistema di memoria implicita è quella della memoria emotiva (paura) che è legata all’amigdala ed alle aree collegate. Riconosciamo anche una: - memoria percettiva che viene acquisita attraverso i sensi - memoria polisensoriale dichiarativa, divisa in semantica ed episodica - memoria motoria o esecutiva. Oggi ha assunto anche importanza la cosiddetta memoria lavoro (Alan Baddeley,1992) che risulta all’incirca quella che un tempo veniva chiamata memoria a breve termine nella quale l’aspetto procedurale risulta molto più solido di quello semantico. La memoria lavoro risulta composta da una sorta di deposito temporaneo polivalente e da sette sistemi di deposito specializzato “ chiamati in causa soltanto quando è necessario trattenere delle informazioni
specifiche” (J.Le Doux,1998). Ci sarebbero molti depositi temporanei, per lo più legati a specifiche funzioni e interconnessi che, caratterizzati da uno spazio di lavoro e da proprie funzioni esecutive, controllano le capacità operative non solo nell’ambito del qui e ora, ma anche riferite alle conoscenze e alle esperienze. Si è anche potuto verificare che mentre la memoria emotiva occupa le strutture della corteccia prefrontale mediale, nella memoria lavoro prende parte invece la corteccia prefrontale laterale che svolge, quindi, una delle funzioni cognitive più elevate. La corteccia prefrontale laterale è connessa con vari sistemi sensoriali (visivi e uditivi), con gli altri sistemi neocorticali legati al linguaggio, con l’ippocampo e con le aree corticali della memoria a lungo termine, così che si può indicare come punto ideale per la funzione di memoria lavoro polivalente. Le potenzialità mnesiche possono essere influenzate positivamente o negativamente da molti fattori. L’attenzione e la partecipazione emotiva facilitano enormemente la fissazione mnesica e ci sono ricordi che non possono più essere rimossi; possiamo ben dire che il rafforzamento dovuto all’eccitazione può privilegiare alcuni sistemi a spese di altri. Anche l’effetto degli stress è molto importante (Robert Sopolsky) tanto che si è dimostrato di poter provocare anche una degenerazione pronunciata dell’ippocampo e, quindi, alterare le sue funzioni mnesiche. Tra i modelli sull'architettura della memoria proposti negli anni sessanta, senza dubbio il più caratteristico è il cosiddetto "modello modale" di Atkinson e Shiffrin,(1968). Questo modello assume che l’informazione sia dapprima elaborata in parallelo da diversi magazzini sensoriali, dove la permanenza dell’informazione è di pochi m/sec. e che rappresenta un deposito di informazioni grezze, non categorizzate e, quindi, non riconosciute; questi magazzini sensoriali inviano poi le informazioni ad un magazzino a breve termine, (MaBT), a capacita limitata, che a sua volta comunica con un magazzino a lungo termine, (MaLT). Si noti che il MaBT gioca un ruolo cruciale in questo modello, poiché senza di esso l’informazione non può raggiungere e non può lasciare il MaLT. Si assume inoltre che, oltre ad immagazzinare informazioni, il MaBT esegua alcune unisone alle quali i due autori si riferiscono con il termine di “processi di controllo”. Fra questi, il “rio”, o “reiterazione”, (rehearsal), fu quello maggiormente studiato: si tratta del processo attraverso il quale l’informazione viene mantenuta nel MaBT. Infatti Atkinson e Shiffrin postulano che quanto più lunga è la permanenza di uno stimolo nel MaBT, maggiore è la probabilità che esso venga trasferito o copiato nel MaLT. Al di là delle varie prove a favore o a sfavore di questo modello, esso rappresenta probabilmente il più importante modello di memoria dicotomica o a due
componenti. Successivamente, nel 1972, Craik e Lockart pubblicarono il loro importante articolo sui livelli di elaborazione offrendo proprio quella visione generale che mancava. Essi suggerirono di concentrarsi sul modo di elaborazione piuttosto che su ipotetiche strutture di memoria come i magazzini a breve e a lungo termine. L’idea di questi due autori era che più profondamente viene elaborata un’informazione, tanto meglio essa verrà ricordata. Quindi un'informazione elaborata a livello superficiale darà origine a tracce di durata relativamente breve, un’elaborazione fonologica produrrà una traccia in qualche modo più duratura, mentre un’elaborazione semantica profonda produrrà l'apprendimento più stabile. Craik e Lockart ritenevano ancora valida l’assunzione dell’esistenza di un sistema di memoria primaria separato, ma, all’interno del contesto da loro proposto, il suo ruolo principale era rielaborare l’informazione in entrata. Un immagazzinamento più duraturo dipendeva da una più profonda elaborazione all’interno del MaLT e non dal trasferimento da un magazzino all’altro. Il risultato diretto di questo punto di vista fu una distinzione tra due modi di rievocazione: il rio di mantenimento, in cui il materiale viene riciclato senza essere elaborato più in profondità, e il rio elaborativo, dove invece l’elaborazione viene approfondita. Il modello di Atkinson e Shiffrin dichiarava, come abbiamo visto sopra, l'importanza generale del magazzino a breve termine, assumendo che il MaBT si comportasse come una memoria di lavoro, un sistema cioè che contenesse temporaneamente e manipolasse l’informazione partecipando contemporaneamente ad un vasto insieme di compiti cognitivi essenziali come l'apprendimento, il ragionamento e la comprensione. Così furono fatti vari tentativi per investigare il ruolo del magazzino a breve termine in diversi compiti e situazioni, chiedendosi se davvero il MaBT si comporti come una generale memoria di lavoro. Per questo il primo concetto di MaBT unitario venne criticato e sostituito da un concetto corrispondente ma più complesso, quello del modello della memoria di lavoro multi-componenziale. Così, sulla base dei dati raccolti in vari esperimenti, fu proposto da Baddeley un modello della memoria di lavoro in cui un sistema attenzionale di controllo supervisiona e coordina molti sistemi sussidiari sottoposti. Fu chiamato infatti “controllore attenzionale” l’esecutore centrale, “ciclo fonologico” o articolatorio il sistema sottoposto che si assumeva essere responsabile della manipolazione dell’informazione basata sul linguaggio, e “taccuino visuo-spazial”, ritenuto responsabile di fissare e manipolare le immagini visive.
La Memoria di Lavoro o Working Memory Nella storia delle Neuroscienze cognitive, mai modello funzionale è stato così utilizzato, studiato, citato, criticato e correlato anatomicamente di quello elaborato da Baddeley e Hitch (1974) e Baddeley (1986, 2000), ovvero il modello di Working Memory o Memoria di Lavoro. Definizione:"Set di processori indipendenti, in comunicazione tra loro, che concorrono alla realizzazione di un sistema comune a capacità limitata ed opera attraverso un range di compiti utilizzando codici di processamento differenti e diverse modalità di imput". Detto in parole povere, è un sistema di memoria a breve termine che consente non solo di trattenere temporaneamente l’informazione (MBT), ma anche di operare su di essa, manipolandola, aggiornandola di continuo e mettendola al servizio di altre operazioni mentali, resistendo alle interferenze. Ciò implica che quando il sistema è impegnato in un compito che assorbe un ammontare specifico di queste risorse limitate, un compito supplementare concorrente dovrebbe avere effetti deleteri sull’esecuzione di entrambi i compiti (tipica evidenza di quanto appena detto è l'esecuzione di un compito doppio). Il modello di Working Memory, nella sua elaborazione primaria del 1974, era costituita da un sistema attenzionale che supervisiona e coordina due sistemi sussidiari o buffer: 1) Sistema Esecutivo Centrale (SEC) 2) Loop articolatorio 3) Taccuino visuo-spaziale Il SEC è deputato al controllo delle risorse attentive (limitate), responsabile della manipolazione delle informazioni e della realizzazione del controllo sui due sistemi sussidiari. Il concetto di SEC è stato successivamente ampliato da Shallice (1988), il quale propone il modello del Sistema Attentivo Supervisore (SAS), ovvero un meccanismo di controllo superiore coinvolto nell’attività decisionale (di cui parleremo più avanti in un successivo post). Il Loop Articolatorio (ciclo fonologico) è composto da due sottocomponenti: - Magazzino fonologico ( mantiene l’informazione linguistica)
- Processo di controllo articolatorio (basato sul linguaggio interno) In pratica, le tracce delle informazioni contenute nel magazzino fonologico decadono rapidamente, tuttavia è possibile mantenere viva la traccia mnestica attraverso la ripetizione subvocalica, la quale consente di mantenere "fresca" la traccia per poter essere successivamente riutilizzata. Infine, il Taccuino visuo-spaziale permette: - nella sua componente visiva, l'elaborazione di oggetti e loro caratteristiche visibili (figura, colore struttura - nella sua componente spaziale, l'elaborazione delle informazioni relative alle posizioni e ai movimenti nello spazio. Il sistema è responsabile dell’elaborazione e dell’immagazzinamento delle informazioni visive e spaziali, è implicato nell’orientamento spaziale e geografico e nella pianificazione di compiti spaziali e svolge un ruolo importante nelle mansioni che coinvolgono la progettazione dei movimenti nello spazio. Un gran numero di fenomeni non sono però spiegati dal modello originale a tre componenti. Baddeley (2000) osservando pazienti amnesici che avevano compromessa la capacità di ritenere nuove informazioni in MLT , si accorse che conservavano un buon richiamo delle informazioni a breve durata, ricordando molti più elementi di quelli che potevano essere ritenuti nel loop articolatorio. Baddeley ha aggiunto una quarta componente al modello della WM, il Buffer episodico, concettualizzandolo come un terzo servosistema di memorizzazione che collega e integra le informazioni attraverso i diversi domini (visivo, spaziale, verbale); inoltre, avrebbe importanti collegamenti con la MLT. Il buffer episodico sarebbe anche un sistema a capacità limitata che provvede all'immagazzinamento temporaneo di informazioni conservate in codice multimodale, capace di assemblare le informazioni provenienti dagli altri servosistemi e dalla MLT in una rappresentazione episodica unitaria. Inoltre, secondo Baddeley, il buffer episodico avrebbe a che fare direttamente con la conoscenza, essendo capace di memorizzare episodi integrando informazioni provenienti da una varietà di fonti, modificandole e manipolandole, attraverso lo spazio e il tempo. Quindi, il buffer episodico:
- sembra avere l'importante ruolo di unire sinergicamente l’informazione, proveniente dai sottosistemi in una forma di rappresentazione temporanea integrata. Tale rappresentazione offre una soluzione al problema del ruolo svolto dalla coscienza (Baddeley e Wilson, 2002; Repovš e Baddeley, 2006) - costituisce un aggio intermedio importante per l’apprendimento a lungo termine - elabora in episodi coerenti le informazioni provenienti dalle diverse fonti. Questi episodi possono essere rintracciati con l’ausilio della coscienza Dal punto di vista funzionale possiamo suddividere la memoria in: - Memoria primaria (o a breve termine). Consiste nella conservazione immediata di contenuti percettivi (soprattutto stimoli acustici e/o visivi) che permangono a livello di consapevolezza per pochi secondi (ad es. è possibile ripetere sette numeri, visti per pochi secondi, al primo tentativo, ma se i numeri sono 12 ci vorranno almeno 16 ripetizioni; se sono 16 ce ne vorranno 30, e così via: il numero delle ripetizioni, all'inizio, cresce rapidamente, in seguito sempre più lentamente, ma in questo caso la memoria diventa secondaria). La memoria primaria è utilissima nella lettura delle parole, per superare i brevissimi intervalli che si intercalano fra una parola e l'altra. - Memoria secondaria (o a lungo termine). Questa memoria è caratterizzata da una conservazione permanente nel tempo di moltissime informazioni (memoria a capacità tendenzialmente illimitata). Essa consente di conservare e rievocare contenuti che vanno anche aldilà della consapevolezza. - Memoria fotografica (visiva). Tendenza a conservare vivacissime le impressioni visive (parole, linee, forme, colori, fisionomia di una persona incontrata una sola volta, ecc.). Il tipo visivo, per apprendere la lezione, la scrive o visualizza la pagina del libro, in modo tale che quando la ripete è come se leggesse mentalmente le singole frasi. Una variante di questa memoria è la memoria eidetica, che è posseduta da circa il 10% dei bambini e che si perde col are degli anni. I bambini eidetici, dopo aver osservato per pochi secondi un'immagine, riescono a "vederla" per diversi minuti, come se fosse davanti a loro, descrivendola nei dettagli. - Memoria uditiva. Tendenza a ritenere le impressioni sonore (ad es. il timbro della voce piuttosto che la fisionomia, il suono della parole più chiaramente delle
immagini visive, ecc.). Il tipo uditivo impara la lezione dalla spiegazione dell'insegnante o leggendola ad alta voce. - Memoria motoria. Tendenza a conservare le impressioni di movimento, tanto da non poter rappresentare un movimento senza riprodurlo interiormente. Se il tipo motorio pensa ad una danza, avverte le contrazioni dei muscoli e la tensione dei tendini come se stesse ballando.
FASI DELLA MEMORIA
Il processo mnemonico, di regola, lo si suddivide in tre fasi successive: acquisizione (fissazione) di determinate informazioni, conservazione (ritenzione) delle stesse informazioni acquisite, ma col rischio di sottoporle a modifiche qualitative o quantitative (i cd. "errori"); inoltre ciò che è stato acquisito può anche essere perduto o dimenticato ("oblio"), ricordo (rievocazione) di quanto è stato conservato. I fattori che influenzano l'acquisizione e la conservazione del materiale memorizzato per un periodo di tempo più o meno lungo, sono: - Fattori relativi al soggetto. Uno stato di stanchezza o dolore ostacola l'apprendimento. Viceversa, la motivazione interiore, la novità del materiale da memorizzare, l'interesse per l'argomento favoriscono l'apprendimento. Qui si può far notare che il rendimento aumenta sino all'età di 20 anni, poi diminuisce sino a 60 anni, età in cui la media del rendimento è pari a quella dei ragazzi di 11 anni. - Fattori relativi al materiale da memorizzare. Si ricorda più facilmente e più a lungo un materiale dotato di significato, organizzato, raffigurante oggetti concreti (ad es. la melodia di una canzone o un brano di prosa si apprendono meglio di un insieme di note o di parole slegate; una serie di numeri che seguono uno schema logico meglio di una serie di numeri a caso; le figure meglio delle parole; le parole "concrete" meglio di quelle "astratte", ecc.); - Fattori relativi alla pratica o all'esercizio. Vi sono, in questo campo, varie tecniche operative per la memorizzazione: il superapprendimento (cioè quando un determinato materiale viene ripetuto di continuo, a intervalli di tempo crescenti, finché non viene completamente e definitivamente fissato. È noto, in tal senso, che molte attività praticate con costanza per un certo periodo di tempo e poi abbandonate, se vengono riprese sono riattivabili con estrema facilità); l'esercizio concentrato (è una variante del superapprendimento: la differenza sta negli intervalli di tempo, che in questo caso si susseguono a ritmo uniforme); l'esercizio frazionato (qui le prove di apprendimento sono intervallate con delle fasi di riposo. La memorizzazione si ottiene più facilmente che non con l'esercizio concentrato); l'apprendimento globale (consiste nel memorizzare un materiale nella sua totalità in ogni prova effettuata: ad es. di una poesia di quattro strofe si ripetono ogni volta tutte e quattro le strofe);
l'apprendimento parziale (consiste nel memorizzare un materiale suddividendolo in tante parti da apprendere isolatamente ad ogni prova: ad es. di una poesia di quattro strofe si ripete la prima finché non la si è appresa, poi la seconda e così via); l'apprendimento incidentale (che si verifica quando memorizziamo senza averne l'intenzione, purché ci sia l'abitudine all'apprendimento volontario: p. es. ad un soggetto si presenta una serie di figure geometriche regolari, ognuna diversamente colorata, e gli si chiede di anticipare il nome delle diverse figure che si presentano in successione -triangolo, quadrato, ecc.-, finché non ha memorizzato tutta la successione; poi gli si chiede di rievocare il colore di ogni singola figura). Sull'apprendimento globale si possono fare le seguenti osservazioni: - esso è indicato per il soggetto che ha un Q.I. relativamente elevato; - è indicato per il soggetto che deve apprendere una materiale affine a quello che egli usa correntemente; - è facilitato dall'esercizio frazionato, mentre è più difficoltoso con quello concentrato; - è preferibile, perché più efficace, nel caso in cui si debba memorizzare un materiale significativo e unitario. Organizzazione del materiale memorizzato. La nostra memoria è organizzata secondo sistemi di codificazione multipla. Questi sistemi possono essere: - secondo il tempo (il materiale viene memorizzato seguendo l'ordine temporale in cui è stato acquisito e fissato: ad es. quando si deve raccontare la trama di un film); - secondo le categorie di appartenenza (il materiale viene memorizzato utilizzando un determinato ordine logico: si pensi p.es. a tutti i sistemi di archiviazione e catalogazione di dati, libri, medicine, ecc.); - secondo le associazioni contigue (ad es. le parole aereo-guerra vengono percepiti insieme, se una nazione è in guerra, anche se non appartengono alla stessa categoria);
- secondo la suddivisione per gruppi (ad es. il numero telefonico viene ricordato, in genere, dividendo le cifre per gruppi); secondo la codificazione verbale (ad es. l'ordine gerarchico dei quattro semi nelle carte da ramino si ricorda con la formula "come quando fuori piove". Relativamente a questo, si è dimostrato che l'accuratezza del ricordo è tanto maggiore quanto più agevole e di rapida esecuzione è la codificazione verbale); secondo un ritmo (ad es. si può praticare l'insegnamento di certi contenuti accompagnandolo da brani musicali); secondo un riferimento spaziale (ad es. i nomi delle persone con cui si è mangiato al ristorante possono essere ricordati risalendo alla distribuzione dei loro posti a tavola). - Il ricordo (o rievocazione). In questa fase il soggetto recupera quanto appreso e conservato, allo scopo di riprodurre la situazione presentata al momento dell'apprendimento. È proprio in questa fase che vengono alla luce quelle modifiche operate nei riguardi del materiale appreso e conservato. Cercando di dare una classificazione a queste modifiche, si è costatato che esiste una tendenza verso una maggiore simmetria (o regolarità o normalizzazione) del contenuto appreso, oppure verso un'accentuazione di certi particolari del contenuto per renderlo più significativo. Se i ricordi affiorano da sé, abbiamo la riproduzione spontanea (automatica); se emergono con l'aiuto della volontà, il ricordo è intenzionale. Una volta giunti a consapevolezza, i ricordi spontanei o volontari si strutturano in nuove associazioni. Talvolta riemergono ricordi di un lontano ato, che sembravano irrimediabilmente perduti, e di cui non sappiamo stabilire nessun legame con i contenuti attuali della coscienza. Non sempre possiamo ricordare ciò che vogliamo (ad es. le esperienze della prima infanzia sono quasi morte, anche se è possibile, tornando nei luoghi della nostra infanzia, che molti ricordi scomparsi da tempo si ripresentino in tutta la loro freschezza). Ci sono esperienze, anche recentissime, che non riusciamo a ricordare, malgrado ogni sforzo, e poi d'improvviso emergono quando non ci si pensava più. Le esperienze degli anni evolutivi sono più vive nella mente dell'anziano rivolta verso il ato che non in quella del giovane o dell'adulto tesa verso il futuro. Molte cose ancora risultano incomprensibili nel processo del ricordo. Oggi la psicologia tende ad attribuire alla "memoria" in senso stretto una funzione più tecnica ed operativa, mentre al "ricordo" in senso lato una funzione più affettiva ed emotiva (ad es. il ricordo del ato storico, di certi anniversari,
di un'offesa subìta, ecc.).
APPRENDIMENTO E MEMORIA
La memoria serve per acquisire informazioni utilizzabili ai fini di un adattamento sempre migliore all'ambiente. Questa funzione cognitiva è tanto più importante quanto più si sale la scala zoologica. Gli animali inferiori, infatti, affidano il loro adattamento alla memoria genetica, cioè a quanto trasmesso ereditariamente (in termini fisiologico-biochimici) dai progenitori, e rispondono agli stimoli ambientali quasi esclusivamente con schemi prefissati (innati o istintivi) di comportamento. Gli animali superiori invece possono programmare in modo creativo-inventivo il loro comportamento, sulla base delle informazioni memorizzate nel corso della loro propria esperienza, giungendo persino (nel caso dell'uomo) a modificare l'ambiente secondo le proprie esigenze. La memoria non è la stessa cosa dell'apprendimento. Quest'ultimo presuppone la capacità di conservare una precedente esperienza e indica la capacità di modificare un comportamento in rapporto a quanto si è appreso. Per.es., se un insegnante esige l'acquisizione corretta di 10 formule matematiche, impegna la memoria di uno studente; se poi propone la soluzione di un problema chiedendo di applicare quelle formule, esige l'intervento di un apprendimento. Quindi l'apprendimento serve per scoprire o applicare delle leggi generali di azione nei fatti particolari. Si potrebbe anche dire che la memoria rende testimonianza al ato, mentre l'apprendimento dà un valore al ato, per comprendere il presente e progettare il futuro. Il fatto di avere una grandissima memoria non sta di per sé ad indicare che si è capaci di apprendimento (in quanto anche i deficienti mentali possono avere una spiccata capacità mnemonica). In sostanza, l'apprendimento lo si verifica nel momento in cui il soggetto deve manifestare il proprio comportamento per adattarsi a un ambiente mutato. I ricordi sono il centro della nostra individualità. Quello che ciascuno di noi ricorda è diverso da ciò che ricorda chiunque altro, anche nel caso si tratti di esperienze in comune. Comunque, ognuno di noi, a modo proprio, ricorda eventi, fatti, emozioni e sentimenti, a volte per un breve periodo di tempo, a volte per tutta la vita. Per ricordare, il cervello ha molti sistemi con differenti caratteristiche, mediati da reti neuronali diverse. Si ritiene che la formazione di nuovi ricordi dipenda dalla plasticità sinaptica (come descritto nel capitolo 10), ma siamo ancora del tutto incerti circa i meccanismi di richiamo delle informazioni. Anche se noi tutti ci lamentiamo della nostra memoria, nella maggior parte dei casi essa è abbastanza buona, e tende a diminuire solo nella vecchiaia o in alcuni stati patologici. Cercare di migliorare la memoria potrebbe sembrare positivo ma così facendo si correrebbe il rischio di ricordare anche ciò che sarebbe meglio dimenticare. Il cervello ha un sistema in grado di utilizzare molto accuratamente piccole quantità di informazioni, come una lavagna sulla quale scrivere nomi e numeri di
telefono che ci servono solo per poco tempo. Un sistema esecutivo centrale controlla il flusso di informazioni, aiutato da due altri magazzini di memoria. Uno di essi è un magazzino fonologico, che opera un ciclo di ricordo silente: è la parte del cervello che si usa per dire le cose a se stessi. Anche leggendo parole o numeri l’informazione è trascritta usando un codice fonologico e immagazzinata per breve tempo in questo sistema a due compartimenti. C’è anche un taccuino visivo che trattiene l’immagine di un oggetto abbastanza a lungo da poterla elaborare con l’occhio della mente. La memoria a breve termine è situata nei lobi frontali e parietali. Gli studi di neuroimmagine che impiegano la PET e la fMRI indicano che le aree della memoria a breve termine sono generalmente 30 lateralizzate nel lobo frontale e parietale sinistro, dove interagiscono con le reti neurali deputate al linguaggio, alla pianificazione e al prendere decisioni. Per tutte queste attività è essenziale una buona memoria a breve termine. La lavagna visiva è nell’emisfero destro. Gli animali, compresa la maggior parte dei mammiferi, probabilmente non ha lo stesso sistema di memoria dell’uomo e certamente questa non si è evoluta per consentire ai primi ominidi di ricordare i numeri di telefono. Studi su bambini individuano un ruolo fondamentale della memoria a breve termine nell’apprendimento del linguaggio, suggerendo che questo sistema di memoria si è evoluto con la capacità di parlare. La precisione richiesta per conservare la traccia delle parole e il loro ordine in una frase è essenziale per elaborarne il corretto significato. Anche la memoria a lungo termine è suddivisa in diversi sistemi localizzati in reti neuronali sparse. Le diverse reti eseguono compiti molto differenti. In senso lato, l’informazione arriva al sistema sensitivo per poi are ad altre vie efferenti che provvedono ad una elaborazione sempre più specializzata del segnale. Il punto cruciale è che tutti i fatti sono organizzati in categorie. Questo è essenziale per il meccanismo del ricordo, quando il processo di ricerca può spostarsi lungo i diagrammi ad albero del magazzino per trovare ogni cosa in modo efficiente. Se la memoria semantica fosse organizzata come ciascuno di noi ordina le cose nella propria soffitta (praticamente a caso), avremmo dei grossi problemi a ricordare qualunque evento. Per fortuna, il cervello divide le informazioni in categorie, così come fanno i bravi insegnanti che ci aiutano a scuola ad apprendere concetti complessi, rendendo i loro allievi in grado di costruire senza sforzo strutture decisionali. Il sistema visivo attraverso la “via ventrale”, dalla corteccia striata al lobo temporale mediale, tramite una serie di reti che elaborano la forma, il colore, l’identità dell’oggetto e se esso sia o meno già noto, fanno sì che si venga a formare una memoria di quel particolare oggetto e di quando e come sia già stato visto. Ma impariamo anche delle abilità e delle sensazioni emozionali riguardo alle cose. Una cosa è sapere che un piano è un piano, un’altra è saperlo
suonare. Saper andare in bicicletta è utile, ma lo è altrettanto conoscere i pericoli della strada. Le abilità vengono apprese attraverso l’esercizio volontario e costante, mentre l’apprendimento emotivo è molto più rapido. Spesso deve essere veloce, soprattutto per le cose di cui impariamo ad aver paura. Entrambi sono tipi di apprendimento condizionato, in cui sono coinvolte aree cerebrali specializzate, i gangli della base e il cervelletto, per l’apprendimento di abilità, e l’amigdala per quello emotivo. Altri animali apprendono delle abilità, importanti per la loro sopravvivenza. La cascata delle aree cerebrali attraverso cui l’informazione visiva è dapprima elaborata a livello percettivo e poi memorizzata. Ci sono molti modi di considerare questa cascata di processi analitici. Ci sono zone della corteccia che desumono una rappresentazione percettiva di ciò che vediamo, che viene usata per rappresentare e poi per riconoscere quel che ci circonda e che è riflessa dalla nostra capacità di riconoscere sui giornali persone note, come i politici. Strettamente correlato ad essa è il sistema della memoria semantica, ovvero il vasto archivio di conoscenze accumulate riguardo al mondo. Tutti noi sappiamo che Parigi è la capitale della Francia, Le nostre conoscenze sugli animali sono organizzate secondo una struttura ad albero. Non sappiamo ancora come le reti neuronali facciano ciò. Gli scimpanzè sono in grado di catturate le termiti usando una bacchetta. I giovani scimpanzè lo imparano osservando i loro genitori. L’ultimo tipo di sistema di memoria nel cervello è detto memoria episodica. E’ il sistema nel quale si mantiene il ricordo delle esperienze personali. Ricordare gli eventi è diverso dall’imparare i fatti del mondo per un motivo molto importante: gli eventi accadono una sola volta. Se avete dimenticato quello che avete mangiato a colazione oggi o cosa sia accaduto lo scorso Natale, o tutto quello che vi è successo il primo giorno di scuola, non potete ritornare su nessuno di questi eventi come se fosse una lezione in classe. Questo sistema apprende velocemente perché deve farlo. Si è capito molto del funzionamento della memoria episodica studiando pazienti neurologici che, in seguito ad un infarto cerebrale, ad un tumore cerebrale o ad infezioni virali come l’encefalite herpetica, a volte presentano carenze specifiche di questo tipo di memoria. Lo studio attento di questi pazienti è stato il modo più utilizzato per dedurre l’organizzazione anatomica di questo e di altri sistemi di memoria. Incredibilmente, i pazienti amnesici possono imparare alcune cose che non riescono ricordare consciamente. Si possono insegnare loro delle abilità motorie o a leggere molto velocemente al contrario. Imparare a leggere velocemente al contrario richiede un po’ di tempo. Questo è vero sia per chi è amnesico che per chi non lo è ma, mentre chi non lo è ricorda di aver appreso questa capacità, gli amnesici non lo ricorderebbero. Questo rappresenta una sorprendente
dissociazione della loro attenzione cosciente. Gli amnesici sono certamente consci mentre stanno imparando, ma poi non si rendono conto di aver imparato. Non riescono a recuperare questa coscienza dal ato. Il danno che causa questa condizione disabilitante può avvenire in svariati di circuiti cerebrali: le aree del diencefalo chiamate corpi mammillari (nell’ipotalamo) ed il talamo sembrano essere cruciali per la memoria, così come una struttura del lobo temporale mediale detta ippocampo. Il danno di queste regioni sembra coinvolgere principalmente la formazione della memoria semantica ed episodica. “Non è tanto la lesione che ci interessa quanto, studiare come attraverso una lesione o una patologia la funzione normale si mette a nudo”. Le persone affette da una condizione nota come amnesia non riescono a ricordare di aver incontrato altre persone appena mezz’ora prima. Non possono ricordare se hanno mangiato di recente o se lo hanno solo desiderato, o persino le semplici necessità della vita quotidiana come il posto in cui hanno appoggiato da poco qualcosa in casa propria. Facendo vedere loro un disegno complicato – come quello nella casella –sono in grado di copiarlo accuratamente ma non riescono a riprodurlo bene come altre persone se devono ridisegnarlo a memoria appena 30 minuti dopo. Spesso non riescono a ricordare le cose avvenute prima di ammalarsi (amnesia retrograda). Queste persone mancano delle strutture di tempo e posizione, e la loro vita è stata descritta, da un paziente amnesico a lungo studiato, come una condizione di continuo “risveglio da un sogno”. Danni in diverse sedi cerebrali hanno ripercussioni sui diversi sistemi di memoria. Alcune condizioni degenerative, come la demenza semantica (una forma di malattia di Alzheimer), possono provocare curiose disfunzioni della memoria detta appunto semantica. Inizialmente, i pazienti cui vengono mostrati dei disegni di oggetti o di animali, sono abbastanza abili nel denominarli. Col progredire della malattia, divengono invece insicuri nella denominazione e spesso commettono errori. Ciò conferma come le informazioni relative a fatti ed oggetti siano organizzate per categorie, e come le entità animate siano immagazzinate in una categoria ben distante da quella delle entità inanimate.
INIBIZIONE DELLA MEMORIA
Ancora non è del tutto chiaro il meccanismo che controlla la memoria attraverso “circuiti” inibitori. L’amigdala ha un ruolo importante in quanto, quando è iperstimolata o quando è inibita, cancella le memorie; o meglio, impedisce che si formino. Si potrebbe dire che la memoria, per formarsi, ha bisogno di un gradiente “ottimale” di stimolazione emotiva; se questo invece è troppo alto o troppo basso, la traccia mnesica non si forma: un evento se poco significativo o se eccessivamente “orribile”, viene cancellato. Nell’ambito dell’inibizione si osserva che vengono cancellati i dettagli di un evento, mentre viene conservato il nucleo drammatico e si può sottolineare, come fatto importante, che vengono cancellati i dettagli che non sono accompagnati da una carica emotiva. Per esempio, di un incontro romantico resta l’impronta dell’emozione e magari scompaiono le sembianze, i tratti fisici, della persona che ne era stata la motivazione. Ci sono i casi dell’amnesia post-traumatica nei quali sembra essere l’ACTH ad intervenire. Questo ormone, per azione diretta o attraverso la liberazione di corticoidi, di adrenalina, di noradrenalina periferica, di vasopressina, agisce sull’amigdala (nel caso dei corticoidi anche attraverso l’ippocampo) nei momenti iniziali della formazione del ricordo. Quando il livello ormonale è troppo basso o è eccessivamente alto, la memoria non viene registrata; anche in questo caso, sembra necessario un gradiente medio e/o moderato di stimolazione. Interessante è anche il caso del dolore da parto che viene dimenticato, o molto affievolito, dall’emozione data dal viso del figlio appena nato. Sarebbe un caso di ipersignificazione che impedisce e rende subliminali gli stimoli “accessori” svalorizzanti. Anche le endorfine giocano un ruolo importante che per un lato risulta analgesico e, per altro, anestetico. Vengono riportati esperimenti sui ratti nei quali la liberazione, in quantità elevata, di beta-endorfina porta a dimenticare parti importanti di ciò che accade nell’ambito sperimentale. Vale la pena ricordare anche le conclusioni di I. Lucioni e L. Stortini Sabor (1998), che sottolineano l’impostazione psicosomatica che, corroborata dalle esperienze cliniche, sostiene l’idea di facilitazione e di fissazione attraverso una sopra-significazione e non per la via della cancellazione. Secondo questa teoria, la memoria primaria non tende ad essere cancellata e ciò che si dimentica dipende dalla modulazione di sistemi gerarchizzati che influiscono sulle tracce mnesiche più antiche. Negli ultimi anni, sono state osservate risposte particolari a traumi che lasciano una impronta mnesica particolarmente pregnante che non viene intaccata dai sistemi più comuni di inibizione-dimenticanza. Nelle persone anziane è stato evidenziato che traumi psichici che vanno a colpire o a destrutturare il senso di Sé o, comunque, le valenze che sostengono l’autovalorizzazione possono produrre
situazioni di difficoltà che sfociano nella demenza che, in ultima analisi, significa fondamentalmente perdita della memoria. Un meccanismo analogo è stato osservato anche nei giovani nei quali uno stimolo traumatico cronico che produce senso di paura cronica o flessione delle forze adesive dell’Io che induce uno stato di debolezza ioica può indurre la formazione di un nucleo profondo persecutorio che risulta molto difficile intaccare e far scomparire o controllare nella sua capacità destrutturante. Nell’analisi di questi casi ci troviamo sempre di fronte ad un tentativo ossessivo di liberarsi del ricordo traumatico e/o patologico che però continua a fungere da nucleo persecutorio incancellabile; si osserva come il soggetto, nel suo tentativo compulsivo di annullare quel ricordo, riesca a dimenticare tutto il resto, ma l’evento critico resta immutabile e inattaccabile. Joseph Le Doux (1998) ricorda come una lesione della corteccia prefrontale mediale inibisce le risposte condizionate di paura, ma non cancella i ricordi impliciti sottostanti e conclude: “i ricordi emotivi non sono cancellati dall’estinzione, ma soltanto tenuti a bada; come Lazzaro, i ricordi estinti possono risuscitare”. Donald Hebb (1975) parla di “assemblee di cellule” che trattengono il ricordo anche quando questo non viene più attivato o non vengono suscitate risposte comportamentali associate (per es. fobiche). Questa supposizione giustificherebbe la creazione di apprendimenti resistenti all’estinzione. Ancora Le Doux (1998) dice: “I ricordi inconsci di paura, stabiliti attraverso l’amigdala, sembrano impressi a fuoco nel cervello: è probabile che ci accompagnino per tutta la vita”. Parla anche di due circuiti separati che intervengono nel condizionamento: uno corticale cosciente; l’altro sottocorticale che, essendo incapace di distinzioni sottili, produrrebbe un apprendimento che si diffonde più facilmente di altri e che, inoltre, risulterebbe più difficile da tenere sotto controllo proprio perché inconscio.
TEORIE DELL’OBLIO
"Oblio" vuol dire incapacità totale o parziale a ricordare ciò che si è appreso. Da cosa dipende questo fenomeno. Diverse risposte sono state date. - Teoria del decadimento, secondo cui gli eventi molto lontani nel tempo vengono ricordati con difficoltà o dimenticati. Tuttavia, se così fosse, gli anziani non ricorderebbero nulla della loro giovinezza, mentre è vero proprio il contrario: e cioè che per un anziano è più facile ricordare i dettagli di un evento accaduto 50 prima che non quanto è successo il giorno precedente. - Teoria del disuso, secondo cui se un ricordo viene rievocato spesso non si cancella, mentre se non lo è mai, a poco a poco va perduto. Questa teoria però non spiega come mai certi ricordi lontani possono riaffiorare dopo molto tempo, anche se non sono stati rievocati. - Teoria dell'interferenza. È quella più convincente. Si suddivide in tre parti: Interferenza pro-attiva: s'intende il fatto che i ricordi più remoti interferiscono (inibiscono) con quelli più recenti (ad es. se memorizziamo una lista di nomi e, dopo un certo intervallo di tempo, memorizziamo una seconda lista di nomi diversi, la rievocazione delle due liste, dopo un altro intervallo, si dimostra più facile per la prima che non per la seconda, anche se è stata appresa a distanza di tempo maggiore). Interferenza retro-attiva: s'intende il fatto che i ricordi recenti interferiscono con quelli ati. Un esperimento famoso è quello di Jenkins e Dallenbach del 1924. I due studiosi chiesero a un gruppo di studenti d'imparare delle liste di sillabe senza senso, al mattino, subito dopo il risveglio; un altro gruppo invece doveva farlo alla sera, prima di coricarsi. Dopo un certo periodo di tempo entrambi i gruppi furono interrogati: il secondo ricordava molte più sillabe del primo perché durante il giorno molti eventi avevano interferito coll'apprendimento portando all'oblio, mentre il sonno, per l'altro gruppo, aveva favorito la conservazione del ricordo. Interferenza da rimozione. È il fenomeno mediante il quale si dimenticano i ricordi che sono fonte di disagio o di ansia. Non si tratta di una perdita totale della memoria, ma piuttosto del fatto che si è incapaci di rievocare il contenuto del ricordo, cioè di farlo emergere a livello conscio. Oltre a ciò si può aggiungere che l'oblio, di per sé, non è un fenomeno negativo,
in quanto, senza la possibilità di dimenticare, svanirebbe la capacità di nuove acquisizioni. Il continuo lavorìo dei ricettori sensoriali e l'attività del pensiero renderebbero talmente ingombra la coscienza di immagini inutili, da paralizzare tutta la vita psichica. Ecco perché l'oblio attenua o cancella del tutto quello che non serve o non è più adatto per l'azione. I problemi sopraggiungono quando l'oblio cancella anche le esperienze utili. Il concetto di memoria è molto spesso affiancato a quello assai in uso di “apprendimento”; frequentemente, però, si tende a sovrapporre questi due concetti, commettendo l’errore di non catturare la fine, ma quanto mai importante, differenza che si interpone fra i due. Infatti l’apprendimento presuppone la capacità di conservare una precedente esperienza e indica la capacità di modificare un comportamento in rapporto a quanto si è appreso. Per esempio, se un insegnante esige l'acquisizione corretta di 10 formule matematiche, impegna la memoria di uno studente; se poi propone la soluzione di un problema chiedendo di applicare quelle formule, esige l'intervento di un apprendimento. Quindi l'apprendimento serve per scoprire o applicare delle leggi generali di azione nei fatti particolari. Si potrebbe anche dire che la memoria rende testimonianza al ato, mentre l'apprendimento dà un valore al ato, per comprendere il presente e progettare il futuro. Il fatto di avere una grandissima memoria non sta di per sé ad indicare che si è capaci di apprendimento (in quanto anche i deficienti mentali possono avere una spiccata capacità mnemonica). In sostanza, l'apprendimento lo si verifica nel momento in cui il soggetto deve manifestare il proprio comportamento per adattarsi a un ambiente mutato. Per quanto riguarda il secondo punto, l’uso di un unico termine potrebbe suggerire che la memoria sia un sistema unitario, anche se complesso, come il cuore o il fegato. Niente di più sbagliato. La memoria non è costituita da un solo sistema, ma da molti sistemi, che differiscono per quanto riguarda la durata della traccia mnestica, che può variare da pochi secondi a tutta una vita, e nella capacità di immagazzinamento, che può andare da quella di piccoli “buffer” a quella dei sistemi di memoria lungo termine che sembrano superare in capacità e flessibilità quella dei più grandi computer esistenti. Una delle domande che ha accompagnato per tanto tempo lo studio della memoria, è di quanti magazzini fosse composta questa. Lo sviluppo del paradigma di BrowPeterson sull’oblio alla fine degli anni cinquanta, avviò una delle maggiori controversie degli anni successivi, ossia se fosse necessario o utile assumere che la memoria a breve e a lungo termine coinvolga sistemi separati. Così vennero a costituirsi due schieramenti: l’uno a favore della dicotomia o di un approccio duplice, l’altro a favore della visione monolitica della memoria. Capostipite di quest’ultima fazione fu Arthur Melton. Brevemente, Melton sottolineò che effetti di apprendimento a lungo termine potevano essere dimostrati in molti compiti
della MBT, suggerendo quindi una continuità piuttosto che una dicotomia fra le due. I dati a favore dell’apprendimento a lungo termine nella MBT furono presi da Melton in alcuni esperimenti, in cui egli scelse il test di Peterson e lo span di memoria come due compiti caratteristici della MBT e dimostrò prima di tutto che uno stimolo presentato molte volte aumentava complessivamente il livello della sua ritenzione nel compito dei Peterson. Inoltre egli studiò una ingegnosa dimostrazione di Donald Hebb relativa alla rievocazione immediata di sequenze di numeri casuali, prova questa che richiedeva il coinvolgimento della MBT. Le sequenza erano sempre di lunghezza fissa appena al di sopra dello span del soggetto. Quest’ultimo non veniva avvertito del fatto che anziché ricevere una sequenza casuale differente ad ogni prova, una determinata sequenza di numeri veniva ripetuta ogni tre presentazioni. In queste circostanze, si osservava che la probabilità di rievocare correttamente la sequenza ripetuta aumentava con il numero delle presentazioni, mostrando così un dato a favore di un apprendimento a lungo termine. Sulla base di questi risultati Melton sostenne così che MLT e MBT dovrebbero essere considerate dipendenti dallo stesso sistema unitario. Ma questi dati, in realtà, non rappresentano un problema per una visione dicotomica della memoria: infatti semplicemente riflettono il contributo della componente di MLT in questi compiti. Tra i primi a teorizzare una separazione fra i sistemi di memoria, furono Waugh e Normann nel 1965, che usarono il vecchio termine di William James di “memoria primaria” e “memoria secondaria”. Con il primo si riferivano al sistema teorico che essi assumevano essere responsabile del magazzino a breve termine,(MaBT), usando anche il termine memoria a breve termine,(MBT), per riferirsi ad una situazione sperimentale tipica in cui viene ritenuta una piccola quantità di informazione per un breve periodo di tempo. Usarono invece il secondo termine, memoria secondaria, per riferirsi ad un sistema ipotetico di memoria a lungo termine (MLT). Questa distinzione tra sistema di memoria e compito mnestico vene successivamente accettata, sebbene la particolare terminologia usata da Waugh e Normann non fosse universalmente usata: infatti, ad esempio, Atkinson e Shiffrin usarono i termini di magazzino a breve termine,(MaBT), e magazzino a lungo termine,(MaLT), per riferirsi ai sistemi teorici di memoria, e memoria breve termine,(MBT), e memoria a lungo termine,(MLT), per riferirsi alle situazioni sperimentali nelle quali la prestazione potrebbe riflettere una combinazione degli effetti di MaBT e MaLT. Comunque, negli anni seguenti comparvero molti dati che confermavano l’idea di una dicotomia fra i sistemi di memoria; i più importanti e rappresentativi provengono, oltre che da i già
menzionati studi di Brown e Peterson, da: - Gli studi sul paradigma della rievocazione libera - Gli studi sulla codifica acustica e semantica dei due sistemi di memoria - Le evidenze neuropsicologiche Uno degli argomenti più forti contro una visione unitaria dei sistemi di memoria viene dalla dimostrazione che alcuni compiti sembrano essere costituiti da due componenti separabili e differenti. Per questo tipo di studio è stato impiegato il paradigma della rievocazione libera, in cui ai soggetti viene presentata una lista di parole non connesse, non relate, prive cioè di connessioni semantiche, e viene loro chiesto di ripeterne il maggior numero possibile nell’ordine che preferiscono. Quando la ripetizione è immediata vi è una tendenza a ripetere con precisione gli ultimi elementi della lista e questo viene definito “effetto delle ultime posizioni” o “effetto di recenza”. Dopo un breve intervallo di tempo, occupato di solito da un compito distraente, l’effetto di recenza scompare, mentre la prestazione relativa all’inizio della curva non viene influenzata dal tempo. L’interpretazione semplice di questo risultato è che gli ultimi elementi presentati vengono mantenuti in un magazzino temporaneo e piuttosto fragile, rispondente a quello a breve termine; mentre i primi elementari vengono ricordati tramite la MLT. Inoltre, fu notato che la parte della curva relativa alle ultime posizioni non è influenzata da variabili come la familiarità delle parole, la velocità di presentazione, l’età del soggetto o la richiesta di eseguire contemporaneamente qualche altro test. Al contrario, tutte queste variabili tendono ad influenzare l’apprendimento a lungo termine e a determinare il livello di prestazione nella prima parte della curva di posizione seriale.
DEFICIT DELLA MEMORIA
I disturbi della memoria sono importanti per due distinti livelli di teoria. Dal punto di vista della neurobiologia, quei casi i cui disturbi risalgono a danni focali forniscono un'informazione unica e critica riguardo all'architettura ed al substrato cerebrale del sistema di memoria umano. Dal punto di vista dello scienziato cognitivo, i disturbi retrogradi forniscono un'opportunità unica per esaminare le basi dell'organizzazione della memoria e la programmazione del recupero di tracce mnestiche. Questi livelli di analisi teorica sono complementari e in questo lavoro presenteremo un caso i cui deficit sollevano una quantità di questioni rilevanti in entrambi i domini. La causa di amnesia più comunemente studiata è probabilmente la sindrome di Korsakoff che si presenta in una situazione di alcolismo cronico. È ora ben stabilito che la sindrome di Korsakoff porta ad un estensivo danneggiamento dei vecchi ricordi (amnesia retrograda) tanto quanto ad un fallimento dei nuovi apprendimenti (Butters, 1984; Butters e Stuss, 1989). Comunque, i tentativi di identificare i substrati patologici dei danneggiamenti della memoria retrograda hanno prodotto risultati contrastanti e controversi. Il problema principale è stato nel distinguere i disturbi della memoria attribuibili alle lesioni diencefaliche dalle numerose complicazioni neurologiche e cognitive dovute all'abuso cronico di alcool (p. es. Butters, 1985; Squire, 1986; Butters e Stuss, 1989; Kopelman, 1989). Gli interrogativi concernenti l'architettura neurobiologica della memoria e la sua organizzazione cognitiva sono, quindi, meglio indirizzati in pazienti con amnesia selettiva e focale derivante da lesioni cerebrali con inizio acuto. L'amnesia diencefalica è probabilmente di importanza cruciale per speculazioni teoriche sulla memoria e l'amnesia. Tutta la conoscenza neuroanatomica evidenzia l'importanza dell'interruzione di tratti di fibre in questa sindrome; perciò sembra molto improbabile che l'intaccamento della memoria sia attribuibile alla cancellazione di alcuni magazzini dell'informazione (Mair e altri, 1979; Warrington e Weiskrantz, 1982; Markowitsch, 1984, 1988; von Cramon e altri, 1985; GraffRadford e altri, 1990). Se sorgono dissociazioni in presenza di amnesia diencefalica, allora quasi certamente sono stati causati da un difetto nella comunicazione tra i sistemi di processazione cerebrale. Nel gergo della scienza cognitiva, il deficit del paziente molto probabilmente è quello di un accesso o recupero deteriorato, piuttosto che degradazione o perdita dell'informazione. È stato ora documentato un numero considerevole di pazienti con infarto talamico determinante un'amnesia persistente (Graff-Radford e altri, 1984, 1985, 1990; Winocur e altri, 1984; von Cramon e altri, 1985; Stuss e altri, 1988), ma in questi studi è stata riposta un'enfasi crescente negli aspetti anterogradi della memoria. Solo sei dei casi riportati, per un totale di nove pazienti, hanno incluso qualche
misurazione quantitativa della memoria remota. L'analisi dei dati di questi nove casi, riassunta in tabella uno, mostra che otto presentano tracce di danneggiamento della memoria retrograda. Benché ci siano poche controversie riguardo alla presenza di perdita della memoria retrograda in tali casi, le sue caratteristiche non sono state altrettanto ben stabilite. Nella maggior parte dei casi sono stati utilizzati solo uno o due test di memoria remota e c'è stato solamente un tentativo di misurazione della memoria autobiografica (Stuss e altri, 1988). La descrizione degli aspetti qualitativi del deterioramento della memoria si è rivelata insufficiente in tutti i casi. L'amnesia anterograda di origine diencefalica presenta dissociazioni compito e materiale-specifiche, quindi esistono vari sottotipi di memoria anterograda. Studi dell'amnesia anterograda di origine diencefalica hanno chiaramente mostrato dissociazioni compito- e materiale-specifiche (Warrington e Weiskranz, 1968). L'amnesia anterograda è più evidente in test quali il richiamo convenzionale e il riconoscimento, laddove misure più indirette di apprendimento quali il completamento di parole, il priming , l'apprendimento percettivo e il condizionamento producono livelli di apprendimento normali o quasi normali (p. es. Schacter, 1987; Shimamura, 1989; Weiskrantz, 1990). Queste dissociazioni ci forniscono una prova inconfutabile nella direzione di una sostanziale distinzione fra sottotipi di memoria anterograda. Nel campo dei disordini della memoria retrograda, la prova di frazionamento e dissociazioni tra diversi tipi di memoria è meno ben stabilita. Questo in parte a causa delle difficoltà inerenti al testing della memoria premorbosa e in parte perché c'è stata una tendenza ad enfatizzare "l'età" piuttosto che "il tipo" di memoria. Poiché un modello di memoria costituito da un singolo fattore non è più accettabile nell'analisi dei disturbi anterogradi, sembra appropriato essere sospettosi riguardo alla sua validità nel caso dell'amnesia retrograda. Di certo, perfino nel lontano 1975 c'era la prova dell'eterogeneità della sindrome. Una dissociazione fra il richiamo e il completamento della parola nel recupero di nomi famosi è stato dimostrato nel caso del lobo temporale mediale H.M. (Marslen-Wilson e Teuber, 1975). Come cornice di lavoro abbiamo adottato un'ipotesi di eterogeneità simile a quella che si è rivelata così utile nell'analisi della sindrome amnesica anterograda. La perdita di memoria retrograda può influenzare differenti tipi di memoria in diversi modi. Di certo, si può presentare perfino più di un gradiente nel dimenticare dipendente dalla classe di memoria e/o dallo specifico tipo di procedura testistica utilizzata per misurare quella memoria. Naturalmente, si possono anche presentare sostanziali differenze tra singoli pazienti dipendenti dalla patologia coinvolta. Riguardo a ciò è degno di nota che precedenti studi su casi singoli di amnesia retrograda per i quali è stata tentata una correlazione
neuropatologia hanno da un lato riguardato pazienti con encefalite da herpes simplex con danno al lobo temporale mediale o, dall'altro, casi di sindrome alcolica di Korsakoff. Le analisi di casi singoli hanno consentito un'indagine degli attributi quantitativi e qualitativi della conoscenza autobiografica dei pazienti, tanto quanto del loro richiamo e riconoscimento di eventi pubblici (Cermak e O'Connor, 1983; Baddeley e Wilson, 1986; Butters e Cermak, 1986; Warrington e McCarthy, 1987; McCarthy e Warrington, 1993). In alcuni casi è stato possibile generare misure obiettive e verificabili di accuratezza della memoria con riferimento ad autobiografie scritte, album di fotografie di famiglia e colloqui con parenti stretti. Queste ricerche hanno dimostrato dissociazioni specifiche a seconda del compito nell'amnesia retrograda che sembrano presentare una somiglianza almeno superficiale con quelle presentate nei compiti anterogradi. Ci sono anche prove crescenti di specificità del materiale. La conoscenza del significato delle parole, di fatti riguardanti altre persone e di informazioni personali semantiche sembra essere relativamente risparmiata. La conoscenza di eventi pubblici e perfino dei principali eventi personali sembra essere gravemente danneggiata. Nella letteratura si suggeriscono ulteriori frazionamenti e in particolare alcuni indicatori suggeriscono che le memorie personali possano discostarsi dagli eventi pubblici (De Renzi ed altri, 1987). Queste dissociazioni sono di importanza critica nel raggiungimento di una comprensione delle basi neurobiologiche e cognitive dell'amnesia. I dati derivanti dall'analisi dettagliata dei casi singoli hanno dimostrato una considerevole eterogeneità nello stato dei vari aspetti della conoscenza retrograda sia in un singolo paziente sia tra diversi singoli casi. Nella misura in cui tali differenze tra pazienti possono essere correlate sistematicamente con la patologia, esse hanno la potenzialità di stimolare lo sviluppo delle teorie neurobiologiche cognitive oltre il livello delle tassonomie descrittive. Le tracce sulle proprietà del danneggiamento della memoria non sono limitate a caratteristiche quantitative; i pazienti differiscono anche chiaramente e marcatamente negli aspetti qualitativi del loro richiamo dell'informazione retrograda. In alcuni pazienti le domande riguardo alla loro storia personale possono semplicemente elicitare un richiamo vuoto - come risposte "non so" - o informazioni stereotipate ma ridotte all'osso. In altri, gli errori di memoria consistono in confabulazioni paramnesiche che hanno una base piccola o no in eventi esterni verificabili od oggettivi. Il richiamo del paziente può essere disturbato, confuso e in alcuni casi illusorio (p. es. Baddeley e Wilson, 1986). Ci possono anche essere differenze individuali nella spontaneità con la quale sono prodotti errori paramnesici. In alcuni pazienti sono generati spontaneamente, laddove in altri casi sorgono solamente in risposta a richieste dirette (Berline,
1972). Le basi cognitive di questi fenomeni confabulatori hanno ricevuto relativamente poca attenzione. A livello molto generale, il richiamo vuoto e gli errori paramnesici della memoria autobiografica sembrano essere correlati con il danneggiamento di diversi siti anatomici. Il richiamo vuoto di episodi premorbosi è stato documentato seguendo l'encefalite da virus Herpes simplex con danno del lobo temporale mediale (Cermak e O'Connor, 1983; Warrington e McCarthy, 1987; McCarthy e Warrington, 1983). La localizzazione precisa del disturbo paramnesico è meno certa, ma pare implicare il sistema frontale o fronto-talamico. La presenza di confabulazioni è stata documentata come un segno primario o prevalente conseguente alla rottura di aneurisma dell'arteria comunicante anteriore (Logue e altri, 1968), in lesioni post-encefalitiche frontali e sub-corticali (Damasco e altri, 1985) e nel caso di infarto limitato al talamo (Stuss e altri, 1988). Nello stato di amnesia un individuo può arrivare a dimenticare persino il proprio nome o anche fatti, persone, notizie riguardanti un lungo periodo della propria vita ata. L'amnesia può verificarsi come sintomo di uno stato di "shock mentale" conseguente ad esperienze emotivamente traumatiche (ad es. durante la guerra, dopo uno scontro particolarmente violento, può accadere che alcuni soldati sconfitti che rientrano dalle linee, non riescono a ricordare quanto è accaduto, anche se non hanno riportato ferite). Uno stato di "shock emotivo" può subentrare anche come conseguenza di un evento traumatizzante o stressante, a livello psicologico, che produca angoscia o panico. L'amnesia, in questo caso, serve al soggetto per rimuovere dalla coscienza il ricordo dell'evento. Questo tipo di amnesia può però essere risolta con la psicoterapia, eventualmente con l'uso di psicofarmaci o, nei casi più gravi, con le tecniche di ipnosi. Una forma molto interessante di amnesia è quella detta "retrograda", per cui la perdita di memoria procede "all'indietro", col cancellare progressivamente fatti accaduti in un ato sempre più lontano. Quando il soggetto recupera la memoria degli eventi ati, ricorderà prima quelli più lontani, poi quelli accaduti qualche mese prima, infine quelli di qualche giorno prima. Questo tipo di amnesia, che nel ato veniva affrontata con l'elettroshock, conferma la teoria che considera i ricordi più vecchi come quelli più fortemente consolidati nella nostra memoria, e che considera i ricordi come immagazzinati in sequenza, secondo un ordine "storico-temporale", in quanto espressione dell'esperienza di vita del soggetto. In conclusione ci sono molti tipi di amnesia; studiando le loro diverse forme e osservando i difetti organici che appaiono nei singoli sottosistemi del cervello, si può ipotizzare la funzione di tali sottosistemi in un cervello normale. L'amnesia può essere anterograda (quando non è più possibile apprendere e ricordare eventi
dopo l'evento lesivo) o retrograda (quando vengono cancellate memorie relative ad anni precedenti rispetto alla data della lesione). L'amnesia anterograda, però, non preclude completamente la capacità di chi né è colpito di apprendere, infatti alcuni tipi di appredimento (spaziale, riconoscimento, stimolo-risposta) sono comunque conservati ed il vero danno avviene a livello della memoria dichiarativa o esplicita. L'amnesia anterograda è spesso associata ad amnesia retrograda. Tra i disturbi della memoria annoveriamo: - La paramnesia, cioè la falsificazione della memoria attraverso una distorsione del ricordo. - L'ipermnesia, che è un'esagerata ritenzione mnestica. - L'immagine eidetica, cioè un ricordo visivo vissuto talmente vividamente da sembrare un'allucinazione. - Il ricordo paravento, cioè un ricordo che a livello conscio è tollerabile ma che nasconde, inconsciamente, un evento traumatico. - La rimozione, cioè la dimenticanza inconsapevole di eventi considerati inaccettabili. - La letologia, che è la temporanea incapacità di ricordare un nome proprio o di un oggetto.
CONTRIBUTO DELLA NEUROBIOLOGIA
Lo studio accurato dei pazienti neurologici ci aiuta a capire dove sono situate le funzioni cerebrali, ma scoprire come esse funzionino in termini di neuroni e di trasmettitori chimici richiede attente ricerche su animali di laboratorio. I neuroscienziati ritengono attualmente che molti dei fini meccanismi di regolazione delle connessioni neuronali, attivi durante lo sviluppo cerebrale, siano utilizzati anche durante le fasi iniziali dell’apprendimento. L’attaccamento che si sviluppa fra un neonato e la madre è stato studiato nei pulcini analizzando il processo di imprinting. Oggi sappiamo come origina questo processo di apprendimento nel cervello. Gli animali giovani hanno bisogno di scoprire quali cibi siano commestibili, assaggiandone delle piccole quantità alla volta e scoprendone il sapore più o meno gradevole. Non si tratta solamente di una generica predisposizione ma di un’attivazione dei meccanismi di apprendimento modulati dallo sviluppo. A valle dei recettori attivati durante l’imprinting o l’assaggio del cibo, una cascata di secondi messaggeri chimici trasmette il segnale alle cellule cerebrali dove vengono attivati i geni per la produzione delle proteine predisposte a fissare la memoria. Le cellule di posizione costituiscono un’altra importante scoperta. Si tratta di neuroni dell’ippocampo che producono potenziali d’azione solo quando un animale sta esplorando un luogo a lui familiare. Cellule diverse codificano diverse parti dell’ambiente circostante, cosicché una popolazione di cellule riesce a mappare un’intera area. Altre cellule in una zona attigua del cervello elaborano la direzione in cui l’animale si sta muovendo. L’uso combinato di queste due aree (la mappa dello spazio ed il senso della direzione) aiutano l’animale ad imparare a trovare la sua strada in giro per il mondo. Questo è chiaramente molto importante per gli animali, per trovare cibo ed acqua e tornare poi alla tana, al nido, o a qualunque altra dimora sia più adatta alla sopravvivenza. Questo sistema di apprendimento di navigazione è in relazione sia con il sistema della memoria semantica sia con quello della memoria episodica. Gli animali acquisiscono una rappresentazione stabile di dove sono le cose nel loro territorio (così come gli umani acquisiscono una conoscenza dei fatti nel loro mondo). Questa mappa dello spazio fornisce uno schema di memoria entro cui ricordare gli eventi (ad esempio, dov’è stato visto per l’ultima volta un predatore). Le cellule di posizione elaborano dunque qualcosa di più della posizione: possono aiutare gli animali a ricordare dove un evento è accaduto. Un punto di vista emergente ipotizza il coinvolgimento della plasticità sinaptica basata sui recettori NMDA. Nel capitolo precedente si è visto come l’attivazione della plasticità neuronale cambia la forza delle connessioni in una rete di neuroni e che questo è il modo in cui vengono immagazzinate le informazioni. La funzione di apprendimento delle mappe spaziali viene inibita
quando un farmaco in grado di bloccare i recettori NMDA giunge all’ippocampo. Dati relativi ai circuiti neuronali interessati al trasferimento delle informazioni nella memoria a lungo termine sono stati ottenuti dall'esame di soggetti con Sindrome di Korsakoff (nell'alcoolismo cronico). I pazienti con sindrome di Korsakoff conservano una buona memoria per le esperienze precedenti all'insorgere della malattia, ma hanno perso la capacità di trasferire le loro esperienze attuali nella memoria a lungo termine. L'esame anatomico del cervello di questi pazienti dimostra che le strutture centrali più lese sono: - Nucleo medio-dorsale del Talamo - Corpi mammillari - Ippocampo L'ippocampo è la struttura indispensabile alla fissazione della traccia di memoria. L'ippocampo non è la sede dell'immagazzinamento, ma partecipa alla codificazione delle informazioni che lo raggiungono dalla corteccia associativa cerebrale. Nel sistema nervoso dei vertebrati i fenomeni elementari di apprendimento più conosciuti sono la Long Term Potentiation o LTP e la Long Term Depression o LTD. Nei neuroni dell'ippocampo una stimolazione elettrica ad alta frequenza delle vie afferenti eccitatorie è capace di determinare un forte aumento dell'ampiezza delle risposte successive che si mantiene per ore o per giorni. Queste variazioni funzionali del circuito sono attribuiti a modificazioni della trasmissione sinaptica.
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