Dark Side
(Cronache di Laxyra)
- Zhora -
Giuseppe Floriano Bonanno
Zhora
Prologo
Il lungo e faticoso inseguimento nell'intricata foresta era arrivato all’epilogo. Dopo diversi giorni, davanti allo squadrone di cacciatori Elfi, si offriva finalmente la preda. La calda notte di fine estate, appena illuminata da un quarto crescente di luna, celava i giacigli ed i carri degli uomini della Regina Nera. Nella radura, che si apriva nell’intricato bosco di querce e noccioli, un centinaio di orchi e troll si erano accampati in attesa dell’ultima tappa del viaggio che li avrebbe condotti a destinazione. Argolas, il comandante della compagnia di elfi, dopo aver sommessamente esposto ai suoi uomini le linee dell’attacco, diede il segnale convenuto e, invisibili come ombre, gli assalitori sciamarono verso l’accampamento. I cacciatori, silenziosi e letali, eliminarono le inconsapevoli sentinelle tagliando loro le gole con affilatissimi coltelli di ossidiana. Nessun grido e nessun rumore squarciarono il silenzio della notte, i troll e gli orchi continuarono a dormire, ignari del pericolo. L’assalto che la compagnia di elfi portò, con ferocia e precisione, colse tutti di sorpresa. La resistenza opposta dai soldati dell’Orda Nera fu ben poca cosa, nessuno di loro sopravvisse alle affilate lame degli assalitori. In poco meno di un quarto d’ora era tutto finito, Argolas si avvicinò ai due carri su cui erano tenuti rinchiusi una cinquantina di giovani umani ed elfi e provvide a farli liberare dai suoi soldati.
Laxyra
I regni di Laxyra
Darkland
Capitolo I - Zhora
Flor-Hjan, intontito dal sonno e dai bagordi notturni, aprì con fatica gli occhi e gettò lo sguardo intorno a sé. Su uno specchio ovale di pregevole fattura si riflettevano le forme accattivanti di una figura dalla carnagione chiarissima, quasi diafana. I suoi soffici capelli bianchi scendevano sulle spalle solide, la schiena finiva sui glutei sodi che sembravano quasi sfidare la gravità poggiando sulle lunghe gambe, diritte ed atletiche. «Buongiorno Padrona.» sussurrò l’uomo. La figura si mosse attorno al letto ed occupò tutto il campo visivo di Flor-Hjan. I suoi occhi color ghiaccio ed il naso aquilino, che sormontavano le labbra carnose, regalavano al suo viso un aspetto che non poteva lasciare indifferenti. La sua bellezza era sconvolgente, affascinante ed inquietante al tempo stesso. Il seno prosperoso, l’addome piatto ed il pube glabro completavano l’immagine di una vera Dea: Zhora, la Regina Nera. Lei sorrise e, sbirciandogli il corpo muscoloso, lo osservò con uno sguardo, lascivo e gelido al tempo stesso, che gli fece accapponare la pelle. La donna raggiunse l’uomo sul soffice letto e lo avvinse in un abbraccio complice mentre le loro lingue, impegnate ad esplorare le bocche avide, si preparavano a nuove schermaglie amorose. Tre tocchi decisi contro la porta di rovere mandarono però in frantumi l’incanto del momento. «Regina?» chiese una voce in falsetto «Sì...» «Ho importanti e gravi notizie da riferire.» continuò la voce, sempre più titubante. «Aspettate solo un momento.» rispose la donna infastidita.
Zhora, dopo aver indossato una vestaglia trasparente di seta nera, andò ad aprire la porta facendo entrare Fellow, il Gran Ciambellano di corte. L’ometto, imbarazzato, dopo essersi profuso in inchini e salamelecchi, iniziò a parlare balbettando: «Lo squadrone di Antras è stato intercettato nella Foresta di Endar da una compagnia di elfi… C’è stato uno scontro e… non ci sono stati superstiti. Il carico è andato… purtroppo… completamente perduto.» terminò quasi tremante. Un vaso di terracotta, scagliato rabbiosamente da Zhora, dopo essere ato a meno di un palmo dalla testa di Fellow, si andò ad infrangere contro lo stipite della porta. «Dannazione! Questi maledetti elfi sembrano divertirsi a crearci dei problemi. A questo punto non possiamo che rispondere alle loro azioni con egual forza e durezza!» esclamò furiosa la regina. Zhora, rivoltasi poi a Flor-Hjan, che stava osservando la scena, comodamente adagiato sul letto a baldacchino, lo investì con un fiume di parole: «I tempi sono ormai maturi, se è questo che vogliono, daremo loro una lezione che non dimenticheranno tanto facilmente. Sospendi subito ogni altra attività ed azione e dedicati a pianificare una campagna in grande stile contro le terre di confine di Evyland. Non curarti d’altro se non di infliggere loro il maggior numero possibile di danni a cose e persone. Uccidete chiunque vi contrasti il o, devastate terre e villaggi, fate tabula rasa alle vostre spalle e portatemi nuovi schiavi!» urlò la donna in preda ad una crisi isterica « I nostri vicini devono sapere, una volta per tutte, chi è davvero la Regina Nera!!! E ora andate via, lasciatemi sola!» li congedò, il volto paonazzo. Flor-Hjan, ormai avvezzo alla ferocia e agli scatti d’ira della sua padrona, si alzò, si rivestì con calma e, dopo un formale saluto militare, girò i tacchi. L’uomo si diresse poi, a o spedito, verso la zona dei dormitori, situata nella parte più occidentale di Vahel, l’imponente e sinistro borgo fortificato, da cui Zhora governava Darkland. *** Flor-Hjan ‘il rinnegato’, così era conosciuto in quelle lande selvagge, da quando, un paio di cicli prima, in una sanguinosa rissa di taverna aveva ucciso per futili
motivi un elfo piuttosto in vista. Per sfuggire alla pena capitale si era dovuto dare alla macchia lasciando la milizia di Nysok e rifugiandosi poi presso la Regina Nera. Alto e robusto aveva circa trenta cicli, portava i capelli rasati ed un pizzetto sempre ben curato. Nel suo viso da duro, deturpato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra, spiccavano due profondi occhi nocciola, tristi e melanconici, che da sempre gli facevano mietere successi con le femmine di qualsiasi razza. Mai avrebbe però pensato di poter un giorno far colpo addirittura sulla Regina Nera! Quando si era trovato al suo cospetto, la prima volta, lei lo aveva trattato con freddezza, quasi con indifferenza, liquidandolo dopo pochi istanti, come si fa solitamente con chi non conta nulla o non desta alcun interesse. Era stata grande, dunque, la sua sorpresa, quando, qualche giorno dopo il suo arrivo a Vahel, era stato nuovamente convocato, questa volta addirittura nei suoi appartamenti privati. La regina lo aveva accolto fasciata in un vestito nero che aderiva alle sue forme procaci esaltandone la prorompente sensualità. Dopo i convenevoli di rito la donna aveva subito iniziato a bersagliarlo con decine di domande, alcune di mera cortesia, altre molto più intime. Dopo un tempo che a Flor-Hjan parve infinito, Zhora lo aveva infine invitato ad accompagnarla e lui, titubante e preoccupato, l’aveva assecondata seguendola lungo un dedalo di scale, camere e corridoi. Nei locali, fiocamente illuminati da torce infisse nelle pareti di roccia, regnava un’atmosfera cupa e lugubre. Dopo un intricato percorso i due erano alfine giunti in una grotta con un alto soffitto a volte, in cui sinistri fuochi ardevano in giganteschi bracieri. Al centro del locale, nel pavimento, si apriva una grande piscina, colma fino all’orlo di un liquido rosso cupo. Zhora, volgendogli le spalle, si era spogliata con grande naturalezza e si era poi immersa fino al collo in quel liquido ribollente, invitandolo a fare altrettanto. Il rosso vivo delle acque faceva risaltare maggiormente la sua carnagione bianchissima e lui ne rimase letteralmente stregato.
Poco dopo, però, quando, liberatosi dei suoi abiti impolverati, era entrato nella grande vasca, con profonda sorpresa e crescente inquietudine, aveva avuto l'angosciosa sensazione di immergersi in una enorme pozza di sangue. *** Flor-Hjan si riscosse improvvisamente dai suoi ricordi, era infatti arrivato nella caserma dove alloggiavano le truppe scelte dell’Orda Nera. All’ingresso del corpo di guardia due sentinelle, un orco ed un troll, si fecero da parte dopo averlo salutato con deferenza. L’uomo infatti aveva scalato rapidamente i vari gradi della milizia di Darkland ed era, ora, il comandante in capo delle truppe di Zhora. Il grande salone aveva le pareti completamente celate da rastrelliere che alloggiavano lance e scudi, elmi e balestre, picche e spade. Tutto lo spazio interno era occupato invece da grandi tavolacci di legno intorno ai quali decine di soldati parlavano, bevevano e giocavano a dadi tra urla, ingiurie e risate. Uomini e troll, elfi e gnomi, nani ed orchi, erano mescolati in un coacervo di razze e lingue, accomunati solo dall’essere reietti della società. Senza patria né ideali, feroci e duri, malvagi ed assetati di sangue, erano temuti ed odiati dagli abitanti di tutta Anaos. Flor-Hjan, entrando, impose il silenzio con la sua voce autorevole e profonda. «Ogni giorno, quando metto piede qui dentro, assisto sempre alle stesse scene. Vedo la solita accozzaglia di indisciplinati perdigiorno che spreca il suo tempo in alcol, gioco e risse. Vi state rammollendo, questa è la verità! Ma per vostra fortuna le cose stanno per cambiare. Vi porto infatti buone notizie: è giunto il momento di tornare in azione, la Regina mi ha ordinato di attaccare in forze i confini di Evyland! E, a parte i nuovi schiavi da portare a Zhora, avrete carta bianca. Chi è con me?» chiese, da navigato capopopolo. La risposta alla chiamata alle armi fu entusiasta, tutti si alzarono, alcuni salirono addirittura sui tavolacci, per esprimere con maggior forza tutto il loro entusiasmo. Flor-Hjan chiamò i suoi due luogotenenti, Alexar e Ghur, e, con essi, dopo essersi rinchiusi nella mensa degli ufficiali, si mise a studiare e ad elaborare i
piani d’attacco per la campagna. I tre ufficiali decisero di suddividere la milizia in due centurie da mille soldati ciascuna, e, per evitare problemi di relazione tra le diverse razze, una sarebbe stata formata interamente da orchi, troll e gnomi, e l’altra da elfi, uomini e nani. Alexar, un’elfa di una ventina di cicli, di incredibile bellezza, fasciata nel suo corpetto di pelle verde, che ne esaltava le forme provocanti, lo ascoltava attentamente. I suoi occhi blu cobalto, dello stesso colore dei suoi soffici capelli lunghi, non lasciavano però trasparire dolcezza, ma solo una grande forza e indipendenza. Il suo sorriso aveva invece un che di forzato, tutt’altro che rassicurante. «Finalmente si torna in azione, Flor-Hjan, non ne potevo davvero più di stare con le mani in mani!» sussurrò entusiasta. «Così ha deciso la regina. Questa missione è proprio quello di cui avevamo bisogno, in queste ultime settimane stavamo ormai perdendo il controllo sugli uomini! Ad Evyland avremo abbondantemente modo di toglierci la ruggine di dosso.» convenne il comandante. «Anche io ero proprio stanca di dover fare da balia a tutti quei pazzi scatenati, e, lo ammetto, non vedo l’ora di menare un po’ le mani sul serio.» ribattè l’elfa con un sorriso malizioso. «Allora avrai di che divertirti, la Regina Nera è in preda ad uno dei suoi proverbiali accessi d’ira ed è stata molto precisa in merito. Vuole dare agli elfi dei territori di confine una dura e sanguinosa lezione e ci ha dato praticamente carta bianca sulle modalità.» la solleticò sorridendo il generale. «Dunque è finito il tempo delle blande schermaglie… il sangue questa volta scorrerà a fiumi…» disse un po’ turbata l’elfa. «Temo di sì, Alexar, ma è il nostro mestiere e ci piace, no?» concluse il generale. *** Flor-Hjan aveva un debole per Alexar. Era da poco giunto a Vahel, quando, una mattina di primavera, la fanciulla era arrivata nella fortezza, trafelata, ferita, il volto scavato dalla fatica e dalle privazioni. Aveva balbettato una storia confusa,
convincente abbastanza, però, per essere accolta nell’Orda Nera. In seguito, entrati in confidenza, la giovane gli aveva poi raccontato cosa le era davvero successo. Un ricco e potente senatore elfo aveva perso la testa per lei, e, una notte, dopo una fastosa festa nella sua magione, in cui l’alcol era scorso a fiumi, aveva tentato di possederla con la forza. La reazione di Alexar era stata istintiva e violenta, afferrato un pesante candelabro d’argento, lo aveva fracassato sulla testa del senatore e si era poi dileguata. La successiva morte del potente politico l’aveva costretta a fuggire lasciandosi definitivamente alle spalle la famiglia, una delle più illustri del paese, ed il ruolo di rilievo che le sarebbe spettato, per diritto di nascita, nella sua città, Edar. Flor-Hjan, da allora, l’aveva presa sotto la sua protezione, in parte perché ne era visibilmente attratto, ma, essenzialmente, perché era davvero un’abile guerriera. Ogni suo approccio per approfondire ulteriormente la loro conoscenza era invece sistematicamente naufragato in un rifiuto netto e deciso, fino a che, fattosene una ragione, aveva lasciato perdere. L’elfa era diventata, comunque, il suo braccio destro. Coraggiosa ed esperta, era infatti una combattente efficiente, spietata e sanguinaria, perfetta per eseguire gli ordini di Zhora e per guidare in battaglia i famigerati soldati dell’Orda Nera. *** Il giorno successivo, mentre Alexar stava facendo a Flor-Hjan un minuzioso rapporto sulla preparazione della centuria assegnata al suo comando, si avvicinò loro Ghur, l’altro luogotenente. Era, questi, un orco pallido, alto quasi sette piedi, un’autentica montagna di muscoli distribuiti su un corpo coperto di cicatrici, il cui volto, davvero spaventoso, incarnava il peggiore degli incubi notturni. «Comandante, la mia centuria è pronta, sono tutti ansiosi di partire ed assetati di sangue, aspettiamo solo i tuoi ordini. Ci muoveremo domani al sopraggiungere delle prime ombre della notte.» comunicò con la sua voce gutturale. Poco dopo si sedettero tutti e tre ad uno dei tavolacci della sala mensa ed iniziarono a sorseggiare una birra gelata e schiumosa. Flor-Hjan, illustrati loro quali fossero i rispettivi obiettivi e quali le zone di competenza, fece le ultime raccomandazioni del caso e, infine, li congedò: «Ghur, voi vi muoverete ed agirete prevalentemente con il favore delle tenebre; mentre tu, Alexar, potrai agire con maggior libertà… Ma ora andate a riposare, ci
vediamo domattina, per gli ultimi dettagli. Buona notte signori!» *** Salutati i suoi fidi ufficiali Flor-Hjan si diresse verso la sua stanza, ma, proprio davanti alla porta, trovò una guardia di palazzo che gli comunicò di essere atteso urgentemente dalla Regina Nera. Zhora lo accolse con un sorriso malizioso. «Allora mio bel comandante a che punto sono i preparativi?» lo interrogò apparentemente distratta. «Le centurie sono pronte, padrona, i comandanti hanno ricevuto le istruzioni e i loro obiettivi.» rispose asciutto il generale. «Bene, se è tutto a posto, allora che ne diresti di rilassarci un po’?» ammiccò la donna con un sorriso sbarazzino. «Lo sapete, mia Signora, i vostri desideri sono ordini!» rispose di rimando l’uomo. Lei lo prese per mano e lo condusse, lentamente, lungo il percorso verso la grotta rossa celiandolo e blandendolo. La piscina era colma fin quasi all’orlo, Zhora si spogliò e gli intimò di fare altrettanto, e, sempre tenendolo per mano, lo condusse, scendendo i gradoni naturali, verso il centro della vasca. Il sangue, tutto intorno a loro, ribolliva per effetto delle ventole poste sotto la sua superficie. La regina lo baciò sulle labbra con trasporto, lui rispose con altrettanta ione, le lingue si cercarono vogliose, guizzando in intrecci sempre più arditi, le mani ad accarezzare, sotto il liquido denso, i rispettivi sessi. *** Flor-Hjan, stanco e intontito dopo una notte di raffinati piaceri, aprì gli occhi quando il sole era già alto nel cielo azzurro. Al suo fianco Zhora, fresca e rilassata, ne salutò il risveglio con un sorriso ammaliante ed un bacio voluttuoso.
«Allora Flor-Hjan sei pronto per scendere in battaglia?» gli chiese ancora infervorata. «Mmh… in battaglia? ... Ah, sì… certo, come sempre!» farfugliò l’ufficiale ancora poco presente. «Mi sembri piuttosto confuso stamattina, Comandante, forse è meglio che tu vada a farti un bel bagno freddo e che ti riprenda un po’.» lo riprese scherzosamente la regina congedandolo. Flor-Hjan tornò nei suoi appartamenti e, dopo essersi versato addosso un paio di secchiate di acqua ghiacciata, iniziò finalmente a riprendersi; il suo corpo riprese a rispondere alle sollecitazioni e la sua mente ritornò pienamente vigile. L’intera giornata trascorse occupata da infinite discussioni ed animati preparativi. Di concerto con Ghur ed Alexar vennero approntate le scorte, controllate le armi e assegnate le cavalcature: cavalli, ponies, lupi pallidi mannari e lidyan tenebrosi. Arrivò finalmente la sera, e, con essa, l’inizio della missione. Flor-Hjan strinse l’avanbraccio di Ghur, nel rituale saluto tra guerrieri, augurandogli buona caccia e, dopo le ultime raccomandazioni, diede il segnale di partenza. La centuria, imponente e spaventosa, gli ò davanti ad andatura marziale, gli orchi in groppa a lupi pallidi mannari, i troll che cavalcavano terrificanti lidyan tenebrosi e gli gnomi che trotterellavano su ponies variopinti. L’aria era sferzata dal clangore delle armi e dal rumore ritmico degli zoccoli che percuotevano il suolo. Alexar guardò Flor-Hjan con un’espressione compiaciuta: «I nostri amici incutono paura solo ad osservarli, non vorrei proprio essere nei panni di chi se li vedrà piombare addosso. Per fortuna stanno dalla nostra parte…» valutò ad alta voce. «Concordo con te, Alexar! Sembrano delle perfette macchine da guerra, guai a chi se li troverà di fronte!» convenne il guerriero. Qualche istante dopo l’elfa gli chiese imbarazzata: «Comandante, visto che
domattina all’alba partiremo anche noi e che non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, che ne diresti di venire a bere qualcosa da me?» Flor-Hjan rimase spiazzato da questa inattesa proposta e rispose quasi balbettando: «Con vero piacere, Alexar.» La seguì dunque su per le scale che portavano alla torre est del maniero dov’era la stanza della fanciulla. Era un locale pulito ed ordinato, arredato in modo spartano con un tavolo, due sedie impagliate, un paio di cassapanche, un ampio letto ed uno specchio (unica concessione alla frivolezza femminile). Il pavimento era ricoperto da un prezioso tappeto damascato con una fitta trama a disegni geometrici, mentre, alle pareti, erano appesi un paio di arazzi con scene di battaglia tra elfi e creature infernali. «Una stanza davvero molto accogliente.» la gratificò Flor-Hjan. «C’è qualche piccolo ricordo della mia vita precedente, giusto per rammentarmi chi ero e perché son qui.» rispose l’elfa, la voce incrinata dalla malinconia. Alexar prese da una nicchia sotto la finestra una bottiglia di sidrom, il fortissimo distillato di mele specialità di quelle terre, e, dopo essersi seduti ai due lati del tavolo, brindarono alla loro salute ed al buon esito della missione. Per effetto dell’alcol, dopo diversi bicchieri, iniziarono a sciogliersi parlando amabilmente, come se si conoscessero da sempre. Le barriere erette tra di loro in quei due cicli si sgretolarono mentre, di pari o, cresceva l’intimità. «Ho perso il numero delle volte in cui in ato ho provato a strapparti un appuntamento, ricevendo sempre un puntuale rifiuto. Come mai questa sera mi hai invitato da te?» le chiese il comandante interessato. «Non lo so. Ho una brutta sensazione, una sorta di cupo presentimento. La missione mi sembra molto pericolosa, dovremo affrontare l’élite delle armate degli elfi, e… e non sono così certa che riusciremo a tornare. Ma c’è in realtà anche un’altra cosa. Tu… tu mi sei... sì… mi sei sempre piaciuto, dal primo momento che ti ho visto. Ma, dopo quello che mi era successo ad Edar, avevo fatto una promessa a me stessa che non mi sarei mai più lasciata toccare da un maschio.» confessò Alexar arrossendo.
La stanza piombò in un silenzio carico d’aspettative, si sentiva solo il respiro irregolare dei due guerrieri. L’elfa, preso il coraggio a due mani, si alzò, si avvicinò all’uomo, e, con fare malizioso, si slacciò le fibbie ed i lacci della sua divisa di pelle verde mostrandosi nuda al suo sguardo. Era bellissima, il suo corpo muscoloso, pieno di curve perfette era un invito a cui nessun maschio avrebbe potuto rimanere insensibile. Flor-Hjan si alzò a sua volta, la baciò sulle labbra e, con la lingua curiosa, le forzò la bocca socchiusa insinuandosi all’interno. Alexar rispose titubante all’attacco ma finì, presto, per abbandonarsi, partecipe, ad un sottile gioco di finte e parate. Le due lingue si trovarono e si avvilupparono in una serie di schermaglie sempre più ardite e sfacciate. La fanciulla, eccitata, gli tolse la casacca e gli sbottonò vogliosa le brache. Il suo membro era ancora inerte, lo prese tra le mani, lo accarezzò, e iniziò a succhiarlo con curiosa avidità, leccandolo e mordicchiandolo. Nonostante il grande impegno di Alexar il suo sesso rimase però assolutamente insensibile. “Ho desiderato questo momento da quasi due cicli, ma ora, proprio sul più bello...” pensò triste il guerriero mentre le sfiorava delicatamente i lunghi capelli blu. L’elfa lo guardò delusa e gli chiese preoccupata: «Forse non ti piaccio abbastanza Flor-Hjan?» «Mi dispiace Alexar, non è assolutamente colpa tua, tu mi piaci, e davvero tantissimo, ma...» provò a giustificarsi imbarazzato. «Ma?» «Tu sai quello che mi lega a Zhora, no?» iniziò Flor-Hjan quasi vergognandosene. «Certo, tutti sanno che sei il suo favorito, l’unico che riesca a farla sembrare quasi umana.» lo incoraggiò Alexar. «Quello che pochi sanno è che lei è in realtà… diversa.»
«In che senso diversa?» chiese allarmata la guerriera. «Non posso dirtelo, è un segreto che non posso svelare.» si ritrasse l’uomo. «Ma questo cosa c’entra con noi ora?» lo incalzò non paga la fanciulla. «La prima volta che sono stato con lei, mi ha sottoposto ad un misterioso rito e, da allora, non sono più riuscito a toccare un’altra femmina; insomma, ecco, è questo il motivo…» e volse lo sguardo verso il suo pube «non dipende certo da te, mi spiace davvero tantissimo Alexar.» si scusò l’ufficiale. L’elfa si alzò, strinse il suo corpo flessuoso a quello muscoloso di lui e lo abbracciò con tenerezza accarezzandogli il pizzetto brizzolato. «Questo non cambia nulla, tu mi piaci, Flor-Hjan, e ti desidero come mai ho desiderato nessun altro.» si dichiarò, determinata. «Oh, Alexar, meriti qualcuno che ti possa dare tutto quello di cui hai bisogno.» sospirò Flor-Hjan. «Non sono interessata a nessun altro. Mi vergogno quasi solo a pensarlo, ma penso, ecco, sì… di essermi innamorata di te, già da quel giorno lontano in cui mi salvasti la vita, in quell’imboscata nelle Lowlands. Ricordo che ero rimasta attardata, e da sola, dopo che il mio cavallo aveva iniziato a zoppicare. E tu tornasti indietro per me! Proprio mentre quei quattro cacciatori di taglie elfi mi avevano circondato e già pregustavano le monete d’oro promesse per la mia testa.» confessò l’elfa con malcelato, sognante, rapimento. «Come potrei mai dimenticare, erano davvero degli ossi duri quei quattro, è stato davvero complicato eliminarli. Devo a loro questa bella cicatrice che mi rende così attraente» disse Flor-Hjan sfiorandosi il viso. «Ed io questa sull'avambraccio sinistro» replicò Alexar toccandosi la pelle mal rammendata e prendendogli la mano tra le sue. Alexar lo trascinò a letto, lo accarezzò e lo baciò con audacia sempre crescente. «Sei un vero farabutto Flor-Hjan, ma mi piaci così.» lo stuzzicò sorridente. «E tu sei l’elfa più bella che abbia mai incontrato… sono davvero costernato di
essere così indissolubilmente legato a Zhora e...» si schernì l’uomo. «Vorrà dire che ti dovrò dividere con lei!» quasi si autoconvinse da sola la fanciulla. «Lo sai che se mai ci dovesse scoprire sarebbe finita per noi. È così vendicativa e crudele quando vuole… Ma quale futuro ci potrebbe essere con pochi momenti tutti solo per noi, e sempre di nascosto, nel costante timore di essere smascherati?» prese ancora tempo il guerriero. «Lo so Flor-Hjan, ma, non è questo il momento di pensarci, ora rilassati, stringimi forte e baciami, chiacchierone pauroso!» gli sorrise Alexar, il volto raggiante. La notte sembrò non finire mai, pervasa da un’atmosfera quasi magica, scandita da baci, carezze e tenerezze. Quando le prime luci dell’alba si insinuarono dalla finestra, Flor-Hjan, dopo tanto tempo, si sentì appagato ed in pace con il mondo intero. Il comandante baciò delicatamente sulle labbra Alexar, che stava ancora dormendo, il viso illuminato da un’espressione felice, si rivestì, la osservò ancora un ultimo istante e poi uscì. *** Quando, un paio d’ore dopo, Flor-Hjan si presentò a Zhora, era in perfetto assetto da battaglia. Portava la celata sotto il braccio e, al suo fianco, ‘la sterminatrice’, la splendida spada d’acciaio intarsiato con l’elsa dorata, regalatagli proprio dalla sovrana. Una cotta di maglia lucida, parzialmente coperta da una tunica nera con ricamate in cremisi una mezzaluna ed una stella a sette punte, completava il suo equipaggiamento. «Comandante, ti vedo davvero di ottima cera questa mattina» lo stuzzicò la regina. «Sarà il richiamo della battaglia!» rispose sulla difensiva l’uomo. La regina sorrise nervosamente, sul volto un ghigno forzato: «Prima di partire a nei miei appartamenti.» ordinò congedandolo dal suo cospetto.
Nella piazza d’armi, intanto, Alexar era alle prese con gli ultimi preparativi per la partenza. *** Nel tardo pomeriggio Zhora accolse Flor-Hjan nella sua stanza, vestita solo di una vestaglia trasparente nera come la pece, che generava un contrasto quasi stridente con la sua carnagione diafana. «Bene, Comandante, gli ordini li conosci già, voglio che i territori di Anaos prendano coscienza della reale forza della Regina Nera ed inizino a presagire cosa riserverà loro il futuro. Non guardarmi con quell’espressione dubbiosa» provò a rassicurarlo «quello che ti ho taciuto finora è che non sarete soli in questa impresa. Troverete infatti un migliaio di mercenari umani alle porte di Crossar e, nei pressi del Lago Itan, se la missione diplomatica di Fellow avrà successo, si uniranno a voi diverse migliaia di Orchi Neri delle Black Highlands, di Goblins di Wasam e di Gnomi del Bosco di Essit. A quel punto sarete in numero sufficiente per poter dare l’assalto a Nysok. L’obiettivo principale della nostra azione saranno infatti i sacerdoti che vi dimorano ed i loro preziosi volumi. Il castello è difeso dalle truppe scelte delle cinque razze di Anaos, lo so, ma ho bisogno di dare una lezione a Wald-Hur. Devo in qualche modo instillare il dubbio sulla reale forza del Gran Sacerdote, che è il perno su cui poggia la pace che regna su Laxyra. Dalla vostra avrete anche l’effetto sorpresa, nessuno si aspetta che qualcuno osi tanto. Ti affido dunque la mia Orda Nera, e, ricordati, che questo è solo il primo o...» concluse la regina con tono accalorato. «Conta pure su di me e sui miei uomini Regina!» rispose obbediente, ma interiormente assai inquieto, il comandante. «Che il sangue scorra a fiumi allora! E adesso va! Cerca di non deludermi FlorHjan.» lo congedò con un non celato velo di minaccia nel suo tono. *** Flor-Hjan, lasciati gli appartamenti reali, raggiunse Alexar nella piazza d’armi e diede il segnale di partenza. La centuria sfilò a o di parata nelle strade del castello, elegante e marziale, i vessilli neri, con la mezzaluna e la stella a sette punte cremisi, che garrivano al vento.
I soldati, impettiti nelle loro cotte di maglia e nelle tuniche nere ricamate con le insegne della Regina, trasmettevano una sensazione di potenza ed eleganza. Zhora si affacciò al balcone della sua stanza ed osservò con attenzione i suoi uomini allontanarsi, sul suo volto un’espressione indecifrabile. “L’impresa che sta per avere inizio è di quelle da far tremare i polsi a chiunque, anche ad una creatura come me. Ce la faremo?” pensò appena sfiorata dal dubbio. Flor-Hjan aveva invece la testa in subbuglio, i suoi pensieri si affastellavano disordinati e confusi: “Guidare in battaglia i miei soldati è la cosa che amo di più, ma, mettermi alla guida di migliaia di gnomi, orchi e goblins mi preoccupa non poco. Sono creature selvagge, feroci, avide, inaffidabili e da sempre in guerra fra loro, oltre che nostri nemici. Come potrò tenerli a bada e guidarli contro le migliori forze del nemico?” Alexar cavalcava a fianco di Flor-Hjan. Il suo cuore, che batteva in modo diverso dal solito, la faceva sembrare un’adolescente alla sua prima cotta. Allo stesso tempo era, tuttavia, abbastanza lucida da sapere quel che li aspettava, e la sua inquietudine era fin troppo palese, rendendone il volto spigoloso e preoccupato.
Capitolo II – Go-Liah
Argolas ed i suoi uomini entrarono a Nysok, che si ergeva su un costone di roccia di granito a picco sul lago sottostante. Le sue guglie gotiche si slanciavano come lunghe dita nel cielo azzurro, i tetti d’ardesia delle case della città spiccavano sul bianco delle mura, trasmettendo una sensazione di maestosa eleganza e di inattaccabilità. Gli elfi attraversarono al galoppo il lungo ponte levatoio che valicava l’abisso sottostante, squarciando, con lo sferragliare cadenzato, degli zoccoli il silenzio quasi monastico dei luoghi. C’era grande attività nelle strade del borgo, gli artigiani lavoravano alacremente nelle loro botteghe, i mercanti decantavano con enfasi le loro merci, mentre, tra le bancarelle del mercato, una folla variopinta di genti d’ogni razza discuteva e mercanteggiava animatamente sul prezzo. Argolas ed i suoi soldati sbucarono nella vasta piazza su cui affacciava l’imponente palazzo dei sacerdoti. Il gruppo entrò rumorosamente nel cuore del maniero attraversando il grande androne sormontato da un architrave di marmo rosa finemente decorato. Sceso dalla sua cavalcatura e date alcune disposizioni a Zandras, il suo secondo in comando, Argolas salì l’ampia scalinata che dava accesso all’ingresso del Palazzo del Governo. Alcune guardie gli si affiancarono e lo accompagnarono nel salone delle udienze. La sala, rettangolare, incuteva quasi soggezione, estendendosi per quasi una sessantina di braccia in lunghezza ed una ventina in larghezza, illuminata da grandi finestre istoriate che vi facevano penetrare la luce frantumandola in tanti rivoli colorati. Grandi colonne di marmo bianco separavano le finestre creando diversi ambienti più piccoli in cui una variopinta pletora di individui si intratteneva in vivaci discussioni.
In fondo alla parete nord, su un trono di legno intarsiato, era assiso Wald-Hur, il Gran Sacerdote dell’ordine del Sol levante. Il Comandante degli Elfi fece un inchino che lo portò quasi a sfiorare il pavimento con la fronte e, solo dopo un cenno del sacerdote, si rilassò mettendosi sull’attenti. «I miei ossequi, mio Signore, che la luce del Sol Levante vegli su tutti noi!» salutò deferente l’ufficiale. «Bentornato Argolas, che il Sol Levante ci illumini e la pace regni sovrana su Anaos! Che notizie ci porti?» chiese con la sua voce profonda. «Nella Foresta di Endar abbiamo attaccato e distrutto una colonna dell’Orda Nera, trovando e liberando una cinquantina di giovani prigionieri.» rispose asciutto l’elfo. «Quella dannata Regina Nera è sempre a caccia di adolescenti da sacrificare nei suoi riti infernali. Si rende sempre più pressante la necessità di organizzare una spedizione per eliminare una volta per tutte questo fastidioso bubbone. Anche se temo che sarà impresa tutt’altro che scontata, le sue arti magiche e le sue spie le permettono di anticipare e parare sempre le nostre mosse.» convenne infastidito «Ma quel che mi preoccupa maggiormente sono le insistenti voci che arrivano dai confini e che parlano di una grande, fantomatica, alleanza tra varie tribù di orchi, gnomi, troll e goblins. Se questo dovesse mai concretizzarsi si prospetterebbero tempi davvero cupi per Anaos.» osservò molto preoccupato il sacerdote. «Le nostre pattuglie vigilano in continuazione per cogliere ogni movimento ed attività che possa rivelare qualcosa di insolito.» tentò di rassicurarlo l’ufficiale elfo. «Non possiamo permetterci di sottovalutare alcuna voce, Argolas. Ti esorto ad aumentare ulteriormente il numero delle pattuglie facendole operare giorno e notte. Non mi fido per niente, sono troppo numerose le notizie incontrollate che arrivano dai vari angoli di Anaos.» proseguì sempre più contrariato il Gran Sacerdote. «Provvederò a che il numero di pattuglie sia aumentato e a che le milizie siano costantemente in stato d’allerta.» rispose deferente l’ufficiale.
«Bene, adesso va a darti una sistemata e a rifocillarti, ci vedremo più tardi.» lo salutò Wald-Hur, liberandolo. *** Argolas, preso congedo dal Gran Sacerdote, attraversando la cittadella, si diresse verso la zona degli acquartieramenti della milizia. Notò con soddisfazione come l’apparato difensivo fosse perfettamente oliato, rassicurato in proposito dalle molte pattuglie che incrociò lungo la strada, segnale evidente che lo stato d’allerta era già ai livelli massimi. La guarnigione di Nysok era esperta ed agguerrita, potendo contare su oltre cinquemila soldati, mille per ciascuna delle cinque razze di Anaos, che difendevano il maniero e il borgo. Si trattava di truppe scelte, le migliori dei cinque regni, e chiunque avesse osato attaccare il castello avrebbe trovato pane per i suoi denti. L’elfo, svoltato l’angolo, incrociò una pattuglia mista formata da un albi, un nano ed un’elfa dai capelli blu. Ebbe quasi un tuffo al cuore, ma, quando la fanciulla si girò, vide che non era lei. Spesso, nei suoi incubi notturni, sognava di combattere nelle vie del castello invaso dall’Orda Nera, e, ogni volta, si ritrovava sempre ad incrociare la spada con un’elfa dai capelli blu. Quando, finalmente, riusciva a trafiggerla a morte, scostandole i capelli dal volto, scopriva con orrore che si trattava di Alexar, la sua amata sorellina, divenuta ora una degli ufficiali più duri ed efferati al servizio della Regina Nera. *** Nelle viscere del castello, nella sala lignea del Sol Levante, attorno ad un tavolo ovale, sedevano i dodici sacerdoti che amministravano il potere con Wald-Hur. Lo scopo della riunione, indetta in tutta fretta, era quello di valutare le preoccupanti notizie che giungevano dai confini. «Grazie per essere accorsi subito, nonostante il poco preavviso, ma le voci che arrivano dai confini con Darkland richiedono risposte quanto mai ponderate e tempestive. Le nostre spie ci stanno recapitando rapporti sempre più preoccupanti. Due colonne diverse stanno razziando e distruggendo gli insediamenti vicino ai confini più esterni, e questo sarebbe forse il meno…
Quello che mi preoccupa maggiormente sono invece i messaggi relativi ad una presunta missione diplomatica che sta visitando le varie tribù e città-stato del Nord allo scopo di formare una grande alleanza.» li ragguagliò il Gran Sacerdote, il volto decisamente serio. «Ma non può essere!» «Non è possibile!» «I soliti facili allarmismi.» Si levarono le voci incredule ed indignate di alcuni dei sacerdoti. «Silenzio! Calmatevi Signori, limitiamoci solo a valutare le notizie di cui disponiamo e poi proveremo ad immaginare gli scenari possibili.» cercò di riportare la calma Wald-Hur. «Il Libro dei Misteri profetizza di centinaia di migliaia di demoni, guidati dal Mago Oscuro, che caleranno da Awonya per invadere Anaos portando su Laxyra caos, distruzione e morte.» disse infervorato uno dei sacerdoti. «Lo so, Gualis, conosco a memoria quello che dice il Libro, e certe voci su efferate stragi compiute in alcuni villaggi mi hanno fatto molto riflettere. Ma per ora limitiamoci a valutare i fatti di cui abbiamo certezza. Se fosse vero che la Regina Nera sta cercando di costituire una grande alleanza, potrebbe riuscire a raccogliere venticinquemila, forse trentamila, soldati tra le fila degli Orchi neri, dei Goblins, dei Troll e degli Gnomi… E si tratterebbe di una forza più che ragguardevole per attaccare Nysok, ma del tutto insufficiente per creare problemi seri ad Anaos. Non voglio sostenere che non produrrebbe distruzione e morte, per carità, ma sarebbe pur sempre solo una scorreria, magari più grossa di tante altre affrontate in ato. Ma ci sono anche altre forze, oscure, che dormono, dimenticate da tutti, e queste, beh, queste mi preoccupano decisamente di più...» cercò di valutare distaccato il Gran Sacerdote. «Ti riferisci dunque ai non morti di Awonya e a Go-Liah, Wald-Hur?» lo interruppe un altro sacerdote. «Sì, Zaras, ad Awonya dimorano milioni di creature di cui si è ormai perso anche il ricordo. Si sa solo che in quel luogo alberga il male assoluto e che tutto è governato dalla magia oscura. Il pericolo vero, quello di cui parla il Libro dei
Misteri, se dovesse mai concretizzarsi, arriverà proprio da lì. Quando, quasi duecento cicli fa, le forze di Anaos conseguirono la vittoria nella Guerra delle Rune, esse, grazie ad un potentissimo incantesimo, esiliarono le forze del male e Go-Liah, con tutta Awonya, in un’altra dimensione. E, da allora, non si è saputo più nulla di loro e tutti continuano ad ignorare dove sia finito quel lembo di terra, se in questo mondo o in un’altro. L’unica certezza è che un giorno, da soli, o perché evocati da qualcuno, quegli esseri ritorneranno nel nostro mondo e, allora, sarà l’inizio della fine.» chiosò il Gran Sacerdote. «Cosa dobbiamo fare allora Wald-Hur?» «Vigilare e prepararci. Zaras, Gualis, Bana, Gartis, Franos, ciascuno di voi andrà in missione diplomatica presso i cinque Casati e metterà i vari sovrani a parte dei pericoli presenti e dei nostri timori. "Si vis pacem, para bellum" diceva un popolo antichissimo.» declamò il sacerdote. «Cioè?» «"Se vuoi la pace prepara la guerra". È necessario che il messaggio giunga chiaro a tutti, bisogna mobilitare le milizie e sensibilizzare le popolazioni sulla necessità di prepararsi a dover combattere la guerra più dura e sanguinosa nella storia di queste terre. Ma adesso andate, non abbiamo tempo da perdere!» li congedò Wald-Hur con modi spicci. *** Intanto, in una dimensione sospesa tra i mondi, un grande continente di terre e di mari, Awonya, da ormai duecento cicli, viveva giorni sempre uguali a sé stessi. Le tenebre albergavano su città e villaggi, mentre centinaia di migliaia di creature anelavano ad una rivincita contro chi le aveva relegate lì a vivere quella non vita. Il male regnava in ogni anfratto e proliferava continuamente, bisognoso di esplodere rivolgendosi contro gli "altri", quelli che avevano trionfato già una volta. Nelle viscere della terra, in una buia stanza del lussuoso palazzo reale della capitale, Pinair, si annidava il potere oscuro, il male nella sua più sottile essenza, da cui attingeva la sua forza Go-Liah, il Mago Oscuro.
Un tempo era stato un uomo, il capo dei sacerdoti del Sol Levante che governavano Torios, il più potente dei maghi. Ma, con il trascorrere del tempo, le sue brame di potere lo avevano spinto a percorrere sentieri proibiti facendolo approdare alla magia oscura. Era così riuscito, assetato com’era di sangue e di potere, ad evocare, grazie ad un antico e proibitissimo incantesimo, un essere misterioso e molto potente. I suoi propositi, però, naufragarono miseramente, il suo potere, pur grande, si rivelò tuttavia del tutto insufficiente a controllare e gestire il demone. In breve tempo finì così per divenire prigioniero del suo mentore, che si impadronì del suo corpo trasfigurandolo in un orrendo ammasso di ossa e carne. Ne scaturì una creatura nuova, per metà uomo e per metà demone, un qualcosa di unico e terribile, mai visto prima, che custodiva in sé un potere che affondava le radici in millenni di negromanzia e magia proibita. Il suo sogno di dominio e distruzione si era però infranto contro la resistenza congiunta delle cinque razze, raccolte intorno al potere dei sacerdoti del Sol Levante e della loro magia bianca. Go-Liah ed i suoi accoliti, nella sanguinosa e decisiva battaglia combattuta nei pressi di Edar, erano stati sconfitti e poi esiliati da Laxyra. Da allora erano relegati in quella dimensione sospesa nel nulla da cui era stato, fino a quel momento, impossibile fuggire. Go-Liah aveva invano cercato, in quei lunghissimi due secoli, di trovare un ponte, un collegamento, una via, per ritornare su Laxyra, ma mai era riuscito nell’intento. La sua "non vita" trascorreva, monotona, macerandosi nel ricordo di quei giorni gloriosi e terribili. Non era però raro che ripensasse anche alla sua vecchia fiamma, Nemeris, a causa della quale ancora soffriva, rammentandone il rifiuto ed il disprezzo. Ma era un’altra la donna che turbava maggiormente i suoi sonni, Zhora, che lui stesso aveva allontanato, quando ne aveva intuito la insaziabile brama di potere, segnando così la propria rovina. Era infatti stata lei, per vendicarsi, ad offrire ai suoi nemici la chiave per esiliarlo: l’incantesimo di Mors. Da allora il Mago Oscuro anelava con ansia il giorno del ritorno e della sua rivincita. Nel mentre si macerava pregustando la punizione da infliggere a quella megera e immaginando ogni notte un supplizio diverso cui l’avrebbe sottoposta prima di ucciderla con le sue stesse mani. Le giornate, in quel mondo senza luce, si ripetevano sempre uguali a se stesse. In un universo popolato solo da morti viventi, la noia la faceva da assoluta padrona
e Go-Liah si divertiva a farli scontrare, in colossali battaglie campali, dove potevano dare libero sfogo a tutta la loro ferocia. Quegli esseri dannati cadevano come spighe di grano al momento della mietitura, ma, puntualmente, il giorno dopo, si rialzavano per ricominciare tutto daccapo, all’infinito. Ormai non era più attratto neppure dall’ideazione di nuovi supplizi da infliggere ai suoi schiavi, visto che essi, non provando alcun dolore, gli negavano il piacere che derivava dall’altrui tormento. Tutto sembrava congiurare per ricordargli costantemente il suo fallimento. A peggiorare la situazione c’era la sua sfera del tempo, con la quale riusciva ad osservare tutto quanto accadeva su Laxyra, senza però mai poter far altro se non spiare. Da una parte poteva vedere Zhora, più giovane e bella che mai per effetto dei bagni nel sangue di giovani vergini d’ogni razza, che, nella sua Rocca Nera, poneva in essere tutte le sue trame. Dall’altra era costretto ad osservare il suo più grande rivale, Wald-Hur, che nella sua precedente esistenza "umana" era stato il suo miglior amico, guidare con saggezza, facendolo prosperare, il nuovo regno unito di Anaos. Tutto ciò lo rendeva furioso, avvinto, com’era, da quelle magiche catene. Non poteva dunque che aspettare un o falso da parte di qualcuno dei suoi nemici. E, incredibilmente, fu proprio Wald-Hur a commettere l’errore fatale! *** Una notte il Gran Sacerdote, alla ricerca di una formula di magia proibita contenuta in una vecchia pergamena, si recò nella famosa biblioteca di Nysok, in cui migliaia di tomi impolverati affollavano le centinaia di scaffali addossati alle pareti. Aveva bisogno di un incantesimo che gli permettesse di aprire un varco spaziotemporale per poter inviare più facilmente le sue spie a Darkland.
Trovò, dopo una lunga e certosina ricerca, la pergamena che cercava, ma era così danneggiata che alcuni dei caratteri che vi erano impressi erano a stento intelligibili. Lesse ad alta voce la formula che faceva al caso suo, pronunciando con voce cantilenante le parole che la componevano e, al termine, aspettò fiducioso di vedere aprirsi il varco, ma non accadde assolutamente nulla. Riprovò, poco dopo, rileggendo con maggior attenzione le parole danneggiate, e, questa volta, vide nella sua sfera del tempo un varco luminoso aprirsi non lontano da Vahel. "Molto bene il varco si è aperto, ora potrò inviare molto più facilmente le mie spie. Ma vediamo un po’cosa sta facendo Zhora." pensò curioso il Gran Sacerdote. Vide le guglie di Vahel avvicinarsi sempre più, poi la sua attenzione si concentrò su una finestra specifica. Alla pallida luce della luna ebbe così modo di ammirare, profondamente abbandonata nel sonno, Zhora. Era ancor più bella di come la ricordasse, seducente come duecento cicli prima, quando se n’era perdutamente innamorato, ammaliato e sedotto dalla sua sensualità che non era certo quella, ordinaria, di una donna comune. Wald-Hur, quasi incantato, rimase ad osservarla per diverso tempo, poi finalmente chiuse il contatto e si allontanò con il volto turbato. *** Go-Liah, perso nei suoi foschi pensieri, sentì una forza ignota scuotere le pareti del palazzo e di tutta la città, corse allora alla sua sfera del tempo e vi vide pulsare una strana figura geometrica multicolore. Proprio ai confini meridionali del Continente si stava aprendo un varco circolare attraverso il quale scariche elettriche coloravano di mille sfumature quello che tutti chiamavano il Ponte della Vita. “No, non può essere, non è possibile che qualcuno ha davvero aperto un collegamento con Laxyra…” pensò il Mago ancora incredulo, ma pieno di rinnovate speranze. Chiamò con un fischio acuto Belzeba, il suo drago femmina, che, planando dolcemente, si fermò al suo fianco.
«Forza mia cara portami al Ponte della Vita, forse presto potremo ricominciare a volare negli sconfinati cieli azzurri di Laxyra.» la incitò febbrile. Il drago grugnì emettendo dalle sue spaventose fauci delle lunghe fiamme blu e gialle. Era una creatura splendida, le sue squame rosso fuoco, le ali possenti, gli artigli affilati, ne facevano un’animale elegante e maestoso. Accolto sulla groppa il suo cavaliere il drago dispiegò le sue ali spiccando il volo nel cielo nero come la pece. Go-Liah, arrivato in prossimità del Ponte della Vita, si fece depositare al suolo e si avvicinò con circospezione al varco scoppiettante. Con grande emozione si mosse deciso verso il cerchio multicolore, entrò tra le scariche elettriche scoppiettanti e venne immediatamente risucchiato in una specie di tubo trasparente. Si sentì stranamente leggero, circondato da immagini di prati, montagne, fiumi, mari. Dopo un tempo che gli sembrò infinito mise alfine piede a terra. Alzò la testa e vide la buia notte stellata lasciare il posto alle prime luci dell’alba. Il sole arancione stava iniziando il suo cammino giornaliero, i profumi della campagna e l’odore della terra bagnata di rugiada inondarono le sue narici, sentì il cinguettio degli uccelli e i mille rumori della natura che si risvegliava, la vita insomma! E sorrise felice! Ripercorse a ritroso i suoi i e si infilò nuovamente nel varco, le sensazioni questa volta furono ben diverse. Fu subito oppresso da un senso di vuoto e di sgomento, intorno a lui c’era solo un buio profondo ed impenetrabile, poi, boccheggiando, finalmente riemerse trovando ad attenderlo la fedele Belzeba, cui accarezzò il muso con tenerezza. «Finalmente possiamo tornare a casa.» La sua risata questa volta risuonò più felice e distesa che sinistra e minacciosa.
Capitolo III – Flor-Hjan
Il sole, affacciatosi sopra le colline, squarciò le ultime ombre della notte mostrando uno scenario apocalittico. La pianura era ridotta ad una sconfinata distesa di incendi e rovine fumanti, all’orizzonte si intravvedeva solo un denso fumo nero che avviluppava mozziconi di case, che, ardendo, si consumavano lentamente. Tutto intorno regnava un agghiacciante silenzio di morte, rotto a tratti solo dagli isolati versi di qualche animale predatore. Flor-Hjan, a fianco di Alexar, precedeva la colonna. Tre settimane di sanguinosi scontri avevano ridotto di oltre la metà gli effettivi della loro centuria. Avevano incontrato, già nelle zone di confine, una resistenza agguerrita e superiore alle aspettative, quasi fossero stati attesi. Spesso, più che conquistare villaggi ed eliminare avversari, erano stati costretti a fuggire da un nemico ben addestrato e quasi sempre superiore di numero. La campagna si era così trasformata in uno stillicidio di scaramucce che fiaccavano il morale della truppa assottigliandone le fila. Era quasi un giorno che i nemici gli stavano dando tregua e ne avevano approfittato per riposarsi un po’ e curare i molti feriti. «Le cose stanno andando ben diversamente da come avevamo immaginato, FlorHjan.» ruppe il silenzio Alexar, la voce stanca e disincantata. «Già, fin dall’imboscata iniziale all’imbocco della Valle di Fenin, tutto è andato storto, siamo diventati subito prede, altro che cacciatori!» convenne Flor-Hjan provato e deluso a sua volta. «A qualcuno è però andata decisamente peggio, almeno a giudicare da quanto riusciamo a vedere da qui. Si direbbe che la grande mietitrice è ata senza fare sconti.» disse Alexar impressionata dalla scena che si stava offrendo alla loro vista.
«Dà il segnale di mettersi al o, cerchiamo di capire meglio cos’è successo.» ordinò circospetto Flor-Hjan. I superstiti della centuria iniziarono a muoversi con molta cautela. Avvicinandosi alle rovine lo scenario diventava sempre più spaventoso e desolante. Carcasse di animali e cadaveri giacevano nelle pose più bizzarre, riversi in pozze di sangue o anneriti dal fuoco, ridotti ormai a grottesche marionette cui erano stati tagliati fili e membra. Il puzzo di putrefazione era nauseabondo tanto che i soldati dovettero coprirsi le bocche ed il naso con fazzoletti e bende per cercare di difendersi dai terribili miasmi. Alexar non riuscì a trattenersi e diede di stomaco quando entrarono in quella che doveva essere la piazza principale del villaggio. Lo spettacolo era davvero raccapricciante: accatastate al suolo, le une sulle altre, erano infatti sparse alla rinfusa membra di uomini e bestie, a formare una sorta di grottesca pira, cui era poi stato appiccato il fuoco. L’odore di carne bruciata faceva venire le vertigini, ma non era ancora tutto. Il perimetro della piazza era stato delimitato da picche e forconi su cui erano state infilzate le teste di donne, uomini e animali, in uno scempio che faceva inorridire anche il più scafato e duro dei tagliagole che facevano parte della centuria. «Ma chi ha potuto fare tutto questo?» chiese inorridita Alexar. «Non lo so proprio, anche se potrebbe ricordare lo stile, sanguinario ed efferato, della centuria di Ghur, questa non mi sembra proprio la firma del nostro amico, guarda le mutilazioni. Non sono fatte dal filo delle armi da taglio, sono irregolari, come se i corpi fossero stati fatti a brandelli con artigli affilati, e i nostri amici, per quanto ne sappia io, usano asce e spade. E, ancora, se provi ad osservare meglio la scena, sembra quasi che chi ha operato il massacro abbia voluto lasciare la sua firma a mo' di minaccia e monito.» valutò con cognizione di causa il guerriero. «È vero, hai ragione Flor-Hjan. Ma chi può essere stato allora? Di certo non le truppe di Anaos visto che questa è la loro gente! Ma, se non siamo stati noi, né loro, ciò vuol dire solo una cosa, che c’è una terza forza in campo, da cui dobbiamo guardarci tutti.» disse, inorridendo, l’elfa.
Proseguendo lentamente oltrearono il villaggio e le fattorie isolate che punteggiavano le campagne, e, ovunque, si imbatterono in scene di morte e desolazione. Arrivati al Fiume Argento impiegarono oltre mezza giornata nel faticoso tentativo di guadarlo, impresa che si rivelò tutt’altro che semplice a causa delle acque più profonde del solito per le recenti, abbondanti, piogge, e per la presenza di insidiosi vortici. I carri, sotto il peso delle provviste e dei feriti, si impantanarono sul fondo melmoso, e, soltanto a prezzo di grandi fatiche e sforzi, riuscirono infine ad essere trascinati sull’altra sponda. Dopo svariate ore impiegate ad attraversare la monotona piana di Lochar, piatta e rocciosa, la colonna penetrò in profondità nella Foresta di Koren. Il sole caldo che li aveva accompagnati fin dal primo mattino venne oscurato dalle alte fronde di querce e lecci, mentre il silenzio incombente era rotto, di tanto in tanto, solo dai rumori del sottobosco. Arrivò la sera proprio quando la foresta iniziava a diradarsi aprendosi in una valle che declinava verso un lago. In lontananza si poteva intuire del movimento intorno alle acque, Flor-Hjan mise subito il drappello sul chi vive. I cavalieri proseguirono con circospezione, in silenzio e con le mani ben salde sulle impugnature delle armi. La luna, con i suoi raggi argentei, accarezzò la superficie dell’acqua, proprio nei pressi di un gruppo di rocce che occludeva la completa visuale della sponda. La centuria, avvicinandosi, iniziò a percepire distintamente i tipici rumori di un accampamento e l’odore acre del fumo di un fuoco. Un soldato ruppe la consegna del silenzio assoluto lanciando un’esclamazione quasi di sollievo. Flor-Hjan si voltò e fulminò con lo sguardo l’uomo che lo seguiva da presso. «Comandante, ha visto gli stendardi che spuntano sopra le rocce?» gli chiese quello rinfrancato. Alexar si avvicinò a Flor-Hjan: «Sì sembrano proprio dei nostri, non c’è
dubbio!» disse anch’essa confortata. I soldati accelerarono lievemente l’andatura delle cavalcature e, sorpresi dal fatto di non essere stati ancora avvistati e fermati da nessuna sentinella, sbucarono in breve dietro le rocce. Sulla riva del lago poterono così scorgere un carro ed una mezza dozzina di cavalcature assortite, che pascolavano libere nell’erba rada. Flor-Hjan balzò giù dal cavallo e si avvicinò al fuoco, tre troll, uno gnomo e due orchi stavano mangiando dei pesci infilzati in rudimentali spiedi. Appoggiato con la schiena ad una delle grandi ruote del carro, giaceva Ghur, la testa bendata, privo del braccio sinistro e con un’orrenda ferita che, percorrendogli da parte a parte il petto, vibrava ad ogni faticoso respiro. Si poteva facilmente intuire che ne aveva ormai per poco. Quando l’ufficiale li vide, riconoscendoli, sussurrò quasi impercettibilmente: «Amici...» Poi, si interruppe squassato da un accesso di tosse. «Ghur cos’è successo? Come stai?» lo interrogò Flor-Hjan. Tossendo, e faticando in modo indicibile nello scandire ogni singola sillaba, l’orco iniziò a raccontare: «Stavamo attaccando delle fattorie isolate quando ci siamo visti piombare addosso un migliaio di creature, mai viste prima, orrende e feroci... Ci siamo battuti con valore, ma più ne abbattevamo e più sembravano arrivarne. Sono un incrocio tra bestie e uomini, hanno mostruosi artigli, più affilati delle lame delle nostre spade, e paiono non morire mai! Li trai e si rialzano, li mutili e continuano ad avanzare, solo se li decapiti pare che...» e si interruppe improvvisamente. Ghur tossì violentemente, uno sbuffo di sangue gli uscì dalla bocca, poi si irrigidì smettendo di respirare. «Ehi amico… Ghur!» lo scosse Flor-Hjan. «Non c’è più niente da fare… se n’è andato!» disse Alexar, turbata e fortemente
scossa. Seppellirono Ghur sotto un cumulo di pietre, i due orchi sopravvissuti intonarono una triste nenia funebre propria della loro gente, mentre Alexar e Flor-Hjan pronunciarono le forme rituali dei propri dei. Il Comandante predispose l’accampamento assegnando i turni di guardia alle sentinelle, poi provò a prendere sonno nel suo giaciglio vicino ad un gruppo di rocce, senza riuscirvi. Poco più tardi venne a raggiungerlo Alexar che gli si sdraiò al fianco e si avvinghiò a lui. «Non voglio dormire da sola, stringimi, ho bisogno del tuo calore stanotte. Il racconto di Ghur mi ha messo i brividi, eravamo partiti per una missione di conquista, e, adesso, anche soltanto salvare la pelle sembra un’impresa quasi disperata». disse l’elfa, la voce rotta da incontrollabili singhiozzi. «Quel che ha detto Ghur ha turbato molto anche me, se anche una centuria tra le più agguerrite e feroci che abbiano mai calcato le terre di Anaos è stata annientata così facilmente, i nostri avversari devono essere davvero temibili.» disse preoccupato il guerriero. All’alba, tolto il campo, Flor-Hjan ed i suoi partirono alla volta di Crossar, che raggiunsero all’ora del tramonto. In luogo del migliaio di mercenari umani con cui avevano appuntamento, trovarono solo una sterminata distesa di cadaveri in putrefazione e di carriaggi sfasciati e anneriti dal fuoco. «Dannazione! Ancora una volta siamo arrivati tardi, anche qui è ata la grande mietitrice, e non ha risparmiato nessuno. A questo punto temo che qualcosa di simile ci possa attendere anche al Lago Itan.» esclamò, profondamente avvilito, Flor-Hjan. Impiegarono più di due giorni per arrivare al grande lago circondato da cedri secolari. Dopo averne percorso metà della larghezza cavalcando sulle rive, che declinavano dolcemente verso le acque cristalline e trasparenti, nei pressi di un imbarcadero in legno, trovarono Fellow. «Gran Ciambellano, i miei omaggi.» lo salutò deferente Flor-Hjan.
«Dunque ce l’avete fatta ad arrivare, ma... dove sono tutti gli altri? La centuria di Ghur, i mercenari di Zafor?» chiese l’uomo, visibilmente provato. «Sono stati spazzati via da un nemico al momento sconosciuto, ma terribile.» rispose senza mezzi termini il guerriero. «Ah!» sospirò rassegnato il ciambellano che si era fatto piccolo piccolo. «Qua invece è tutto tranquillo? Dove sono i nostri alleati?» lo interrogò l’ufficiale. «Mi spiace ma ci sono solo io con la mia scorta, nessuno ha aderito alla proposta di alleanza di Zhora… Le notizie delle devastazioni, compiute da quelle misteriose creature vomitate dall’inferno, hanno terrorizzato tutti. Nessuno è più disposto a morire per i sogni di grandezza della Regina Nera, tutti temono ora per la propria vita e le proprie case» spiegò in breve il ciambellano. «A questo punto, non ci resta che cercare di ritornare a Vahel, sempre che riusciamo a farlo.» concluse Flor-Hjan. Il piccolo contingente, dopo aver trascorso la notte sulle rive del lago, partì al primo lucore dell’alba. La strada verso casa era lunga ed irta di ostacoli. *** Dal varco di Ponte della Vita i non morti di Go-Liah continuavano intanto a riversarsi, a migliaia, nelle contrade di Anaos. Agguerriti, spietati ed efferati lasciavano dietro di sé una scia di morte e distruzione, nessun prigioniero ne rallentava il cammino, nessun superstite era lasciato indietro a raccontare cos’era successo. Il Mago Oscuro, cavalcando la sua Belzeba, sorvegliava dall’alto l’invasione in atto, impartendo gli ordini alle varie colonne attraverso i suoi pipistrellimessaggeri; un ghigno malefico e soddisfatto illuminava costantemente il suo volto sfigurato. *** Wald-Hur, nella sala del governo, teneva frequenti riunioni con i suoi collaboratori e con gli emissari dei sovrani di Anaos, che lo tenevano sempre
aggiornato sulle direttrici ed i progressi dell’invasione. Il Gran Sacerdote era completamente assorbito dagli oneri del suo ruolo, le sue giornate trascorrevano nel tentativo di impartire le direttive volte a raccogliere truppe e a preparare apparati difensivi sul territorio. *** Zhora, avvertita del fallimento dei suoi piani dai rapporti delle spie e dalle immagini viste nella sua sfera del tempo, era in uno stato di tale scoramento che neppure succhiare il sangue dalle sue giovani ancelle serviva ormai più a gratificarla. La vampira era macerata dal fatto di ignorare l’identità del nuovo avversario e dall’essere completamente all’oscuro sui piani di questo misterioso e feroce nemico. Ma non era tanto questo a turbarla, visto che in ato aveva già affrontato e sconfitto avversari apparentemente terribili. Era, piuttosto, oppressa dalla frustrazione di vedere le sue ambizioni, così lungamente coltivate, andare irrimediabilmente in malora. *** Le settimane seguenti furono tra le più dure che Anaos avesse mai dovuto affrontare. Le schiere di non morti di Go-Liah, ovunque arrivassero, lasciavano dietro di sè una scia di morte e rovine. Nessuno pareva in grado di riuscire ad opporsi alla marea infernale che dal Ponte della Vita continuava a riversarsi senza soste su Laxyra. Flor-Hjan ed Alexar, dopo oltre quattro settimane di fughe rocambolesche e di sanguinosi scontri, riuscirono a riportare a Vahel poco più di una ventina dei quasi duemila soldati partiti, con tanta baldanza, solo un paio di menses prima. Anche se ridotto ormai a una gelatina tremebonda Fellow era tra i pochi superstiti. Nella grande piazza d’armi del maniero c’era ad attenderli Zhora che, alla loro vista, assunse un’espressione tetra e contrariata. «Ma… ma dove sono finiti tutti gli altri, non sarete davvero tutti qui?» chiese
quasi incredula. «Sì mia Signora, quelli che vedi davanti a te sono i soli sopravvissuti dell’Orda Nera.» rispose sconsolato Flor-Hjan. «Mmh! Vedo che hai nuove cicatrici e ferite.» lo incalzò la regina soppesandolo. «Quasi tutte di lieve entità… è stata davvero un'impresa titanica riportare a casa la pelle!» balbettò l’uomo. «Seguimi, dobbiamo parlare!» comandò asciutta Zhora. Flor-Hjan scese da cavallo e, accorrendo vicino a quello di Alexar, fece appena in tempo a prendere tra le braccia l’elfa, che, incosciente, stava scivolando dalla sella, il volto esangue e sofferente, gli occhi chiusi. Dopo aver dato accorate istruzioni ad uno dei suoi soldati di portarla subito in infermeria, seguì a malincuore Zhora, zoppicando vistosamente per una profonda ferita alla gamba sinistra. Entrarono negli appartamenti della Regina Nera, che, immediatamente, cambiò atteggiamento e toni, il suo viso esprimeva ora viva preoccupazione e sollievo sincero. Si avvicinò a Flor-Hjan e lo abbracciò calorosamente, il generale rispose invece con relativo trasporto. «Ho temuto di perderti.» gli disse accarezzandogli il volto sporco e sofferente. «E io di non rivedervi mai più mia Signora... è stata davvero durissima, un vero inferno. Abbiamo dovuto fronteggiare avversari praticamente indistruttibili che non hanno nulla di umano… Ho visto cadere uno ad uno i nostri uomini senza poter far nulla per evitarlo. Ghur è morto e, come lui, quasi tutti gli altri. Alexar è stata ferita gravemente in un’imboscata e ha perso tantissimo sangue. Negli ultimi giorni è peggiorata ancora, la ferita si è infettata ed una febbre altissima non le dà tregua. Sono davvero molto preoccupato, temo che… non ce la farà.» raccontò Flor-Hjan, la voce affaticata e greve. «Andiamo subito in infermeria allora!» lo esortò la regina. Si recarono senza indugio verso l’ambulatorio del chirurgo, che si trovava nella zona meridionale delle caserme, ed attesero pazientemente che il medico che stava visitando Alexar esprimesse il suo responso. Quando questi uscì dalla
stanza le sue parole lasciarono tuttavia ben poco spazio alle speranze. «Mi dispiace davvero, la ferita è andata in suppurazione, ha perso troppo sangue… Non posso più fare nulla, se non tentare di alleviarle un po' la sofferenza, penso che sia ormai questione di momenti...» spiegò laconico. Una lacrima scese, furtiva, dagli occhi di Flor-Hjan, subito seguita da tante altre, il suo viso era cereo, un misto di dolore profondo e di stanchezza indicibile. Zhora lo guardò e gli disse: «Non pensavo che la situazione fosse così disperata, a questo punto c’è solo una possibilità per preservarla.» gli disse osservandolo con occhi gelidi. «Cosa dite, mia Signora, a cosa vi riferite?» chiese il guerriero con improvvisa speranza. «Posso trasformarla… sì trasformarla in una non morta. Perderà la sua natura elfica ma diventerà come me, una creatura della notte.» gli prospettò in poche, drammatiche, parole la regina. «Ma… cosa state dicendo?» chiese l’uomo inorridito. «Sì, Flor-Hjan, come penso hai intuito da tempo, non sono più umana, e da molti cicli ormai… Sono una vampira, una non morta… Sono stata trasformata da Wald-Hur, quasi duecento cicli fa, quando il Gran Sacerdote si era invaghito di me, come premio per il tradimento ai danni di Go-Liah… Adesso ti risulteranno molto più chiare le cose che hai visto in questi due cicli.» spiegò la regina seria e atona. Il volto di Flor-Hjan era diventato ancora più pallido: «Sì, ora capisco molte cose…» sussurrò. «Questa è l'unica possibilità che abbiamo per preservare il corpo di Alexar, lascia dunque che la trasformi. Diventando una non morta, vivrà in simbiosi con me, sarà una delle mie sorelle. Anche se c’è… un prezzo da pagare, perderà la sua identità! E, naturalmente, dimenticherà completamente anche il suo ato.» cercò di convincerlo Zhora. «Non lo so…, non me la sento proprio di prendere una decisione così radicale al suo posto, vorrei che fosse lei a poter scegliere.» disse Flor-Hjan sempre più
scuro, per nulla convinto. Entrarono finalmente nella stanza di Alexar, che giaceva su uno dei letti, pallida come un cencio. Il guaritore presente disse loro che poteva sentirli, ma che era opportuno non affaticarla troppo per non accelerarne la fine. Flor-Hjan si accostò al letto, seguito da Zhora, sorrise premuroso all’elfa e, dopo averle chiesto come si sentiva, cercò di riassumere in poche battute quanto le aveva appena confidato Zhora, che assentiva ad ogni sua parola. Al termine Alexar, tossendo e faticando a pronunciare ogni sillaba biascicò: «Vivere così non è vivere…» Flor-Hjan si chinò per ascoltare meglio le sue parole, mentre la voce si faceva sempre più flebile, poi sentì il suo corpo sussultare, irrigidirsi e rilassarsi definitivamente, ormai privo di vita. Il guerriero provò a trattenere le lacrime che iniziarono invece a sgorgare copiose. Si inginocchiò vicino al letto e la guardò intensamente. Pensò con nostalgia e melanconia a quei due cicli ati a stretto contatto e, poi, agli ultimi due menses in cui il loro rapporto si era trasformato da cameratesca amicizia in affetto, se non di più. ò del tempo, tanto, poco, pareva che tutto si fosse fermato. Alla fine Flor-Hjan la baciò sulle labbra, le socchiuse gli occhi vitrei, continuando ad osservarla ancora per un po’, ed infine, dopo essersi ricomposto, lasciò, mestamente, la stanza. Zhora, che se n’era stata in silenzio per tutto il tempo, lo seguì con lo sguardo finché non varcò la soglia. Subito dopo si accostò fulminea al letto, girò la testa di Alexar ed affondò i suoi canini da vampira nel collo esposto dell’elfa succhiandone, fino all’ultima goccia, il sangue ancora in circolo, poi sospirò di piacere. La vampira, lasciata la stanza, raggiunse Flor-Hjan che, abbattuto, si era affacciato ad una delle finestre dell’infermeria e sembrava essersi incantato ad osservare il cielo nero trapuntato di stelle. «Desidero che sia sepolta secondo i rituali elfici.» parlò quasi a sé stesso. «Penserò a tutto io, non preoccuparti, va adesso e cerca di riposare un po'.» lo confortò la regina.
Zhora, salutato Flor-Hjan, che, distrutto e sofferente, si avviò verso la sua caserma, con calma, si diresse verso la grotta rossa, dove aveva dato disposizioni che venisse trasferito il corpo di Alexar. *** Le sue ancelle-schiave stavano lavando e profumando il corpo dell’elfa, che giaceva, nuda, su una specie di altare di pietra. La sua carnagione era pallida, i suoi morbidi, fluenti, capelli blu erano stati tagliati, e, al loro posto, era rimasta solo una treccia, tinta completamente di bianco, che partiva dal centro del cranio e finiva sopra le spalle. Zhora la osservò con un sorriso sornione e si avvicinò all’altare. Le accarezzò le membra ormai fredde, e, accostata la sua bocca a quella di Alexar, la baciò per un tempo sufficientemente lungo ad infondergli lo spirito vitale che gli aveva sottratto al momento del morso. L’elfa, dopo un attimo, ebbe un violento sussulto, come se fosse stata attraversata da una scossa, poi aprì gli occhi, respirò profondamente e si rivolse con uno sguardo vuoto e succube a Zhora. «Padrona, ogni tuo desiderio è un ordine!» borbottò Alexar con voce quasi meccanica.
Capitolo IV - Zhora
Zhora prese per mano Alexar e la condusse, attraverso un paio di rampe di scale, in un lungo corridoio, scavato nella roccia. Vi incombeva un’oscurità assoluta, squarciata, di tanto in tanto, dalla luce fioca e tremolante di alcune torce infisse nelle pareti. Nel lunghissimo budello di pietra si aprivano, su entrambi i lati, diverse porte di solido legno e metallo, ognuna sormontata da numeri scritti nel linguaggio delle rune. Le due non morte si fermarono in una grande sala, che aveva la funzione di armeria, in cui spade, corazze, elmi e scudi occupavano gran parte della superficie. Dietro il bancone si muoveva goffamente un grande troll delle Bluelands. «Ho bisogno dell’equipaggiamento completo per una nuova sorella.» chiese sorridente Zhora. Il troll, bofonchiando nella sua lingua gutturale, mise sul bancone un perizoma, un corto gonnellino ed un mamillare in pelle nera, un ampio mantello nero di lana d’alpaca con cappuccio ed un paio di stivali neri di pelle che arrivavano a mezza coscia. «Quali armi desidera, padrona?» chiese l’armiere. «Una spada e uno scudo!» rispose la regina senza esitazioni. Zhora ed Alexar uscirono dall’armeria e proseguirono nel corridoio fino a sbucare in una sorta di enorme piazza d’armi coperta. In essa centinaia di ragazze, ninfe ed elfe, nude, con la sola treccia bianca a spiccare nei loro crani rasati, si esercitavano, sotto il vigile sguardo dei loro istruttori, in attività militari d’ogni tipo, dalla lotta alla scherma, dal tiro con l’arco a quello con la balestra. Zhora si fermò un attimo ad osservare compiaciuta e, qualche tempo dopo, accompagnò Alexar ancora oltre, fermandosi davanti ad una porta, sormontata
dal numero XVII inciso in caratteri runici. La Regina Nera aprì la porta, la stanza era una camerata il cui pavimento di terra nera era occupato da una ventina di giacigli di paglia; su mensole appese alle pareti erano invece sistemate armi ed equipaggiamento. «Bene Alexar, questa sarà la tua nuova casa, da oggi entri a far parte della Legione di Thanos, le tue compagne diverranno la tua nuova famiglia, ma… aspetta, manca ancora un’ultima cosa.» disse Zhora sorridente. Si tolse dal collo il medaglione d’oro che aveva incisi, in rilievo, una mezzaluna ed una stella a sette punte cremisi, e lo appoggiò sulla parte superiore del bicipite destro di Alexar. Iniziò a pronunciare, con voce stentorea, un’oscura formula ed il medaglione parve quasi pulsare di vita propria, divenendo incandescente. La carne, al suo contatto, iniziò a sfrigolare, poi, quando Zhora lo allontanò, sul braccio dell’elfa comparve il marchio con il simbolo della Regina Nera. Alexar non urlò, né si lamentò, anche se la sua espressione era un po’ stranita, forse per l’odore di carne bruciata che aveva invaso la camerata. «Ora ti lascio alle tue nuove incombenze, a presto.» la salutò la regina. «Ai tuoi ordini, Padrona.» rispose atona l’elfa. Zhora, ripercorrendo a ritroso il percorso, ebbe modo di fare alcune considerazioni sulla situazione del momento. “La Legione di Thanos è il mio segreto, l’ultima carta da giocare. Sono davvero fiera del migliaio di non morte, donne, elfe e ninfe che ne fanno parte. Le ho scelte personalmente nel corso dei cicli tra le schiave più belle e forti arrivate a Darkland. Ma, nonostante ciò, rappresentano una forza troppo esigua per potermi opporre ad un nemico così potente. Di certo nessun altro sovrano su Anaos dispone di una guardia scelta così temibile e fidata, caratterizzata da un addestramento di altissimo livello e dalla quasi indistruttibilità. Ma, per difendere Vahel, ci vuole tuttavia ben altro!” pensò amareggiata. La Regina Nera si soffermò indi a fare una rapida conta delle forze a disposizione e scosse la testa sconsolata.
“Nel maniero e nel contado intorno, dopo le recenti pesanti perdite, posso contare ormai solo su un centinaio di orchi, una cinquantina di troll, una ventina di goblins e forse duecento tra gnomi e nani. Ad essi sono da aggiungere poi non più d’una decina di uomini delle acque, appena un paio di dozzine di elfi e circa cinquecento mercenari umani. Neppure un migliaio di soldati in totale a cui vanno aggiunte le mille guerriere della Legione di Thanos. Sono pochi, terribilmente pochi, per sperare di sopravvivere…” La situazione, se non ancora disperata, era molto vicina ad esserlo. Le uniche note positive erano rappresentate dalle scorte, sufficienti per almeno un ciclo, e dalle mura del maniero, che erano poderose e in grado di resistere alle più moderne macchine d’assedio. Nei sotterranei erano state scavate, nel tempo, gallerie, grotte e aggi segreti, che avrebbero permesso la fuga, laddove le cose si fossero volte al peggio. *** Alexar, intanto, scelse l’unico giaciglio che pareva non occupato e ripose le armi e l’uniforme, se così la si poteva definire, sulla mensola della parete sovrastante ed attese. Alla spicciolata iniziarono ad entrare nella camerata una ventina di donne, elfe e ninfe, tutte di straordinaria bellezza e con il cranio rasato. I loro corpi atletici brillavano di sudore e trasmettevano una sensualità prorompente. Le guerriere si avvicinarono alla nuova recluta, la salutarono con affetto, le baciarono le labbra e la trattarono immediatamente come una di loro. *** Flor-Hjan ò una notte insonne, turbata da incubi e sogni inquieti, oppresso da un profondo dolore. Quando le prime luci dell’alba penetrarono nella sua stanza, si lavò con cura, indossò la sua divisa migliore e si recò in infermeria per dare l’ultimo saluto ad Alexar. Fu grande, dunque, la sua sorpresa quando non trovò il suo corpo, se ne preoccupò, interrogò gli inservienti e le sentinelle, poi andò a cercare il guaritore, ma nessuno seppe dargli una risposta esaustiva.
Sempre più inquieto corse infine da Zhora e la apostrofò, con veemenza: «Cos’è questa storia, dov’è finito il corpo di Alexar?» «Hai detto che desideravi fosse sepolta secondo i riti del suo popolo, ho dunque inviato un corteo funebre nella terra degli elfi perché la consegnino alla sua famiglia. Non era forse questo quello che volevi?» gli rispose estremamente distaccata. «Certo, sicuro, ma... ma volevo comunque darle l’ultimo saluto!» balbettò FlorHjan. «Mi spiace, non ci avevo proprio pensato… E, comunque ho deciso così anche perchè, in questo periodo, le strade sono molto pericolose, ed è consigliabile muoversi di notte.» cercò di giustificarsi apparentemente dispiaciuta. Flor-Hjan parve convincersi, anche se il suo viso rimase contrariato, lo sguardo torvo. «È tempo, generale, di occuparsi delle difese della Rocca in previsione di un attacco del nostro misterioso nemico.» cercò di cambiare discorso la regina. Le settimane successive impegnarono a fondo Flor-Hjan, che, preso com’era dall’ approntare le difese e dall’addestrare gli uomini della guarnigione, ebbe ben poche possibilità di dare libero sfogo al grande dolore che gli opprimeva il cuore. Davanti alle mura esterne vennero costruiti canali, fossati ed ostacoli, e, tutto intorno alla cittadella, scelta come ultimo ridotto di difesa del maniero, vennero abbattuti diversi edifici per lasciare posto a trappole ed apparati difensivi. Nei sotterranei, nel frattempo, Alexar si addestrava con le sue nuove sorelle all’uso delle varie armi, eccellendo, come prevedibile, nell’uso della spada, in cui divenne ben presto la migliore. Zhora chiamava ogni notte Flor-Hjan nelle sue stanze e gli si concedeva con rinnovata ione e totale trasporto, forse per farsi perdonare, forse per confortarlo, o forse perché davvero provava qualcosa d’importante per lui. Di contro il comandante, pur partecipando ai loro giochi amorosi con egual slancio, pensava ancora moltissimo ad Alexar.
*** All’alba del primo giorno della terza settimana dell’undicesimo mense, quando l’aria si era fatta decisamente più fredda e la prima neve della stagione aveva imbiancato le zone più alte di Darkland, i nemici fecero la loro comparsa. Tutte le alture circostanti si riempirono di ululati e grida minacciose, decine di migliaia di bestie e creature orrende si mostrarono ai difensori del castello palesando la loro grande superiorità numerica. Zhora e Flor-Hjan erano sugli spalti ad osservare con grande attenzione. La moltitudine di nemici, che, dalle alture, si stava lentamente riversando nella pianura circostante, non dava adito a speranze, anche perché quelli non erano semplici guerrieri, che usavano scale e macchine d’assedio, e… morivano. Molti di essi avrebbero scalato a mani nude le mura e, se non fossero stati uccisi secondo le modalità individuate studiando alcuni antichi volumi reperiti nella biblioteca del castello, erano praticamente indistruttibili. Zhora si rivolse a Flor-Hjan: «Aver finalmente scoperto che dietro queste creature c’è il mio vecchio nemico Go-Liah ci ha regalato una piccola opportunità. Ma se, da una parte, ci ha permesso di trovare qualche contromisura legata alla loro condizione di non morti, dall’altra sapere che li guida il Mago Oscuro riduce a zero le nostre possibilità di successo…» poi, imbarazzata, proseguì «Quello che sto per dirti ora, mio caro generale, non ti piacerà affatto.» «Parla pure, ti ascolto Regina.» la incoraggiò Flor-Hjan. «Ho bisogno di qualche ora di tempo…» indugiò. «La guarnigione è ben addestrata ed agguerrita, resisterà alcune ore, forse un giorno, ma temo non molto di più.» la mise in guardia il generale. «Mi bastano solo un paio d’ore.» continuò la regina. «Per fare cosa?» chiese stupito l’ufficiale. «Per lasciare la rocca e ritirarmi in un luogo maggiormente difendibile.» lo spiazzò la vampira. «Allora ti faccio preparare subito una scorta.» si offrì solerte l’ufficiale,
apparentemente indifferente. «No, Flor-Hjan, non ne ho bisogno.» lo rassicurò schernendosi la donna. «Ma come potrai are, da sola, in mezzo a migliaia di nemici?» chiese incuriosito Flor-Hjan. «Attraverso i aggi segreti e le grotte dei sotterranei, e, poi, non sarò affatto sola.» lo guardò e gli sorrise «È un segreto che ho tenuto ben serbato, ma ormai non c'è più la necessità di celare la verità. Negli ambienti sotto la fortezza vivono e si addestrano un migliaio di guerriere non morte, che fanno parte della Legione delle Sorelle di Thanos. Sono letali e fedeli, pronte a tutto per difendermi, spietate in battaglia e quasi indistruttibili, esattamente come i nostri nemici!» confessò la donna imbarazzata. «Ah, adesso capisco perché ti serve tempo... e soprattutto perchè hai bisogno di qualcuno si sacrifichi per concedertelo.» biascicò atono Flor-Hjan. «Scusami, ma non potevo rischiare che questa forza segreta venisse scoperta da qualche spia, nessuno doveva sapere.» si scusò compita la regina. «E così abbandoni tutti noi al nostro destino...» valutò amaramente Flor-Hjan. «Un condottiero deve sempre avere un piano di riserva, il sacrificio di alcuni è il prezzo della salvezza per tanti altri.» lo liquidò asciutta Zhora. La vampira estrasse una piccola pergamena da una tasca interna della sua tunica nera e la consegnò a Flor-Hjan. «Lo sai che nutro un grande affetto per te… » continuò arrossendo «non ti lascerò certo morire inutilmente su queste mura. Questa è la mappa di una parte dei sotterranei che tu non hai mai visto, ti basterà seguire pedissequamente le indicazioni che ho vergato. Ti sgancerai quando tutto sarà ormai perduto e poi ci raggiungerete, con tutti quelli che riuscirai a portarti dietro, sulle alture di Castle'Snow, dove vi precederemo e prepareremo l’ultimo ridotto di difesa.» concluse la donna. «Va bene, mia Signora, vi daremo tutto il tempo necessario e poi ci rivedremo sui picchi di Castle’Snow allora…» convenne il guerriero.
Zhora lo attirò a sé, gli stampò un bacio sulle labbra e poi si raccomandò: «Ci conto, generale. E quando l’ultimo uomo avrà varcato il portale d’ingresso ricordati di tirare la leva a destra, quella a forma di pipistrello, che chiuderà ermeticamente il aggio rendendolo introvabile anche ai migliori segugi.» si raccomandò la donna con il volto ora più disteso. «Va bene.» concluse laconico l’ufficiale. «Buona fortuna e cerca di non farti ammazzare, non ho bisogno di eroi morti, ma di un generale più che... vivo!» lo celiò Zhora congedandosi da lui. Le ultime parole della Regina Nera furono accompagnate da una risata sbarazzina che fece brillare gli occhi di Flor-Hjan. Il generale, dopo che si furono separati, fece un giro completo sui bastioni e sui camminamenti delle mura per gli ultimi controlli e le raccomandazioni finali ai suoi soldati. Le schiere di Go-Liah, protette dal fitto lancio di massi delle catapulte e dalle scariche di dardi che oscuravano il cielo, si lanciarono all’assalto. Giunta a cinquanta i dalle mura la prima ondata sparì, letteralmente inghiottita dal terreno, in un profondo fossato, irto di pali acuminati che infilzò le creature, uccidendone a centinaia. Pali di frassino conficcati nel cuore, uno dei tre modi per eliminarli! La massa bestiale però non si fermò, a migliaia arrivarono al fossato, moltissimi altri perirono infilzati, cadendovi a loro volta, tanto che, ben presto, la profonda fenditura nel terreno iniziò a colmarsi di cadaveri. Intanto, dalla sommità degli spalti, gli arcieri ed i balestrieri bersagliavano, senza sosta, i nemici. Flor-Hjan osservava, soddisfatto, aspettando il prossimo o. Dopo un altro paio di ondate il fossato, ormai ricolmo di corpi, cessò di costituire un ostacolo. Le file successive, calpestando le membra dei compagni caduti, poterono infatti facilmente oltrearlo. Ma, percorsi altri venti i, gli assalitori si trovarono di fronte un nuovo fossato, questa volta completamente allagato di acqua, che alcuni sacerdoti del Sol Levante catturati da Zhora avevano benedetto con le formule di rito.
Quelli che vi caddero dentro vi trovarono una fine orribile, sciolti dall’acqua santa ribollente. Secondo modo per eliminare i non morti! Go-Liah, da un’altura, osservava sempre più inquieto le sue schiere assottigliarsi, fagocitate dalle trappole degli avversari. E, dopo aver intuito la pericolosità di questo secondo fossato, impartì nuovi ordini ai suoi generali a che venissero subito approntati dei ponti di fortuna per attraversare. In breve tronchi e erelle rimediate vennero lanciati sul piccolo canale di acqua permettendo così alle truppe d’assalto di avvicinarsi alla cinta muraria. Nonostante i difensori continuassero a bersagliare con precisione chirurgica le fila degli attaccanti, il numero, alla fine, ebbe il sopravvento e le mura vennero prese d’assalto con scale, rampini e corde o semplicemente a mani nude. Flor-Hjan, dopo aver fatto versare sugli assalitori tutte le scorte approntate di acqua benedetta, olio e pece bollente, diede il segnale di ritirata e i difensori superstiti, in perfetto ordine, indietreggiarono nella cittadella. Il nuovo assalto, almeno inizialmente, sembrò un film già visto. Le prime ondate si infransero sul primo fossato, ancor più profondo, colmo di pali appuntiti sistemati a croce latina, e in centinaia finirono infilzati. Ma, questa volta, le erelle arrivarono subito, permettendo alle ondate successive di superarlo agevolmente ed in fretta. Pagato un altro piccolo pedaggio al nuovo canale di acqua benedetta, la massa di assalitori arrivò, assai rapidamente, sotto le mura interne. Delle diverse migliaia di creature che avevano iniziato l’assalto alle prime luci dell’alba, a metà pomeriggio ne rimanevano, ormai, poco più dei due terzi, e quelli diedero l’assalto finale alle mura della cittadella. In tanti perirono sugli spalti e sulle mura, da una parte e dall’altra, ma il numero, alla fine, ebbe il sopravvento e la cittadella fu completamente invasa. Flor-Hjan, dopo essersi attentamente guardato intorno, invitò i pochi superstiti a seguirlo ripiegando verso i sotterranei. Un manipolo di orchi e troll venne lasciato indietro, destinato al sacrificio per proteggere la ritirata di tutti gli altri. Fu il comandante stesso, tirando la leva indicatagli da Zhora, a mettere in azione il meccanismo che richiuse alle loro spalle il portale, sigillandolo ed
occultandolo agli inseguitori. Dopo la sanguinosa resistenza sulle mura, i sopravvissuti non arrivavano ad un centinaio di unità, la maggior parte di esse costituita dalle feroci guerriere Mercenarie di Koryos. *** Wald-Hur, nella sua sfera del tempo, aveva potuto osservare, con grande interesse, l’evolversi dell’attacco, alla conclusione del quale aveva provveduto a dettare ai suoi segretari gli ordini da recapitare nelle varie contrade di Anaos. In essi erano contenute le istruzioni da adottare nell’approntare i piani di difesa di città e castelli. Sorrise fra sé e sé mormorando: «Quella dannata megera ne sa sempre una più del diavolo, ma questa volta ci ha insegnato qualcosa di davvero utile per tentare di contrastare le schiere del mio vecchio amico Go-Liah.» *** Il Mago Oscuro, quando si spensero anche gli ultimi focolai di resistenza, entrò finalmente nella cittadella di Vahel. Lo spettacolo intorno a lui era desolante, migliaia delle sue creature giacevano nei fossati e nei canali, i cadaveri dei difensori erano ovunque, sulle mura, nelle strade, negli edifici, e già iniziavano ad attirare frotte di predatori ed uccelli spazzini. Di Flor-Hjan e, soprattutto, di Zhora non v’era però alcuna traccia, i loro cadaveri non erano stati trovati né sugli spalti, né negli altri edifici, fatti meticolosamente perquisire. Go-Liah, contrariato, scosse la testa “Questo è solo l’inizio, questa volta mi siete sfuggiti, ma presto mi prenderò le vostre vite, è una promessa!”
Capitolo V – Merenwen
Quando, una settimana dopo, Flor-Hjan, con una trentina di guerriere di Koryos, le uniche superstiti tra i difensori di Vahel, arrivò al ridotto di Castle'Snow, il paesaggio era quasi surreale, ogni cosa era infatti sepolta sotto una spessa coltre di candida neve. Gli agguati di gruppi sparsi di non morti e gli attacchi di lupi ed orsi avevano assottigliato le fila della sua colonna, facendogli, ad un certo punto, dubitare di poter riuscire ad arrivare a destinazione. Il grande portale venne aperto e, finalmente, i fuggitivi poterono smontare da cavallo e cercare un po’ di ristoro negli edifici riscaldati della rocca. Tutto intorno, nella fortezza, si vedevano guerriere della Legione delle Sorelle di Thanos, vigili ed imponenti, imbacuccate nei loro ampi e caldi mantelli neri di lana d’alpaca, con i cappucci di pelliccia di visone tirati su, ad occultarne i volti inespressivi. Dopo essersi sistemato e rifocillato con un pasto caldo, Flor-Hjan venne finalmente condotto al cospetto della Regina Nera. Su un trono di legno di mogano, intarsiato con figure infernali dalle espressioni truci, sedeva Zhora, il viso pallido ed emaciato, il collo quasi completamente deturpato da un’orrenda cicatrice che palpitava rossastra. «E così ci rivediamo, alla fine, Generale.» esordì, la voce sofferente e rassegnata. «Così è mia Regina!» rispose spento il generale. «Allora com’è andata contro il nostro feroce nemico, Go-Liah?» chiese la vampira prostrata. «La roccaforte è caduta, siamo riusciti a trattenerli per un po’, ma al prezzo, per noi carissimo, di quasi tutto il migliaio di difensori che mi hai lasciato. Ti ho riportato indietro solo una trentina di Guerriere di Koryos. Quanto a Vahel e alle contrade intorno sono tutte definitivamente perdute, non è stata decisamente una
vittoria, anzi…» terminò amareggiato e sconsolato il guerriero. «Ma non ci hanno ancora annientato! Siamo ancora in grado di combattere e di resistere!» replicò nuovamente battagliera la regina «Ho sempre molto ammirato le mercenarie di Koryos... sono delle guerriere davvero feroci, sarebbe interessante poterle trasformarle.» diede voce ai suoi pensieri Zhora. «Dubito che sarebbero d’accordo! Ma come state mia Signora? Vi vedo particolarmente sofferente.» chiese premuroso Flor-Hjan. «In effetti sì…sono un po’... ammaccata.» biascicò la donna. «Come vi siete procurata quell’orrenda cicatrice sul collo?» la interrogò apprensivo l’ufficiale. «In uno scontro nei boschi uno dei non morti di Go-Liah, con un ascia bipenne, è quasi riuscito a staccarmi la testa dal collo, e, se ci fosse riuscito, non mi avresti più trovata qui ad aspettarti… Non è stato facile arrivare a Castle’Snow, ci siamo imbattuti in un numeroso contingente di creature infernali, la battaglia è stata sanguinosa e senza quartiere, ho perso più della metà della mia Legione.» raccontò Zhora, la voce rotta dalla sofferenza. «Se le cose stanno così la nostra situazione è davvero grave, quasi disperata direi. Se, come dite, possiamo contare a stento su mezzo migliaio di combattenti, il nostro destino è segnato.. .» valutò scoraggiato il guerriero. «Purtroppo è così, non posso di certo negarlo.» si schernì la vampira. «Forse è giunto il momento di provare a cercare un’altra via d’uscita, magari scendendo a patti con Wald-Hur.» propose prudente Flor-Hjan. «Ci ho pensato anch’io in questi giorni, se vogliamo avere una speranza, anche minima, di sopravvivere, possiamo giocarci solo questa carta. Anche se dubito fortemente che ci accoglierebbero a braccia aperte.» continuò la donna inespressiva. «È molto plausibile che non ne vogliano proprio sapere di ascoltarci, dopo cicli di incursioni e devastazioni dei loro confini, potrebbero anzi essere ben felici di vederci sprofondare all’inferno.» considerò Flor-Hjan realista.
«Del resto cosa abbiamo da perdere a provarci visto che, quando Go-Liah arriverà quassù, non riusciremo di certo a fermarlo!» chiosò affranta Zhora. «Allora non ci resta che mandare quanto prima una nostra delegazione a Nysok!» propose il generale. «È quel che penso anch’io! Fellow è già stato allertato nei giorni scorsi, aspetta solo un mio ordine. Ma adesso andate a a riposare un po’, ne riparleremo stasera a cena.» lo congedò improvvisamente premurosa. Dopo un lungo pomeriggio di riposo, in una stanza finalmente riscaldata e su un letto morbido, Flor-Hjan fu accompagnato nella sala dei banchetti del maniero. Era un salone decisamente elegante: colorati arazzi erano appesi alle pareti, preziosi tappeti ricoprivano il pavimento di pietra, mentre trofei di caccia ed armi adornavano le colonne di mattoni rossi che dividevano l’ampio spazio rettangolare. Al centro della stanza si trovava un solido tavolo ovale di quercia, su cui facevano bella mostra di sé carni arrosto e contorni, che stuzzicavano piacevolmente l’attenzione. «Benvenuto Flor-Hjan, accomodatevi pure, immagino che avrete fame, i nostri cuochi hanno fatto del loro meglio per alleviare un po’ questa cupa atmosfera che ci circonda.» lo invitò sollecita Zhora. «A giudicare dall’aspetto dire proprio di sì, non vedevo una tavola così ben imbandita da non so quanto tempo.» convenne Flor-Hjan con un franco sorriso. Intorno al tavolo erano assisi, oltre al Gran Ciambellano Fellow, un paio di consiglieri della regina, alcuni personaggi che il generale non aveva mai visto prima, Merenwen e cinque legionarie di Thanos, tutte bellissime, nella loro succinta divisa di cuoio nero, che incuteva nel contempo timore e torbidi pensieri. Merenwen, che Flor-Hjan aveva imparato ad apprezzare nell’ultimo periodo di duri combattimenti, era il comandante delle guerriere mercenarie di Koryos. Era una donna di circa venticinque cicli, tanto feroce e determinata, quanto bella e sensuale, con la sua lunga chioma di capelli ramati, gli occhi verde smeraldo ed il fisico asciutto ma pieno di curve. «Bene, Signori, ora che siamo al completo possiamo iniziare, buona cena a
tutti.» augurò la vampira. Il pasto, davvero abbondante e delizioso, fu degno d’un banchetto di corte, con le sue portate di cacciagione, carni arrosto, verdure cotte e deliziosi dolci, accompagnate da un vino d’annata molto pastoso e fruttato. Ne giovò dunque positivamente l’umore dei commensali, che dimenticarono, per qualche momento, la situazione quasi disperata in cui si trovavano. Dopo aver consumato il pasto e fatto un po’ di conversazione leggera la regina, tornata seria, richiamò l’attenzione di tutti. «È inutile che ci nascondiamo dietro grandi giri di parole. Darkland è quasi completamente perduta!» esordì Zhora «Abbiamo già perso il 90% del nostro territorio e questo maniero e le terre circostanti sono ormai tutto quel che resta del nostro regno. Quanto alla popolazione, beh, le cose non vanno certo meglio, i nostri sudditi sono ormai tutti morti o schiavi di Go-Liah. Le nostre forze combattenti non contano che cinquecento unità, ed è quindi quasi inutile dire che non potremo contrastare efficacemente un nuovo attacco. A questo punto non ci resta che provare a cercare aiuto stringendo un’alleanza con i nostri nemici storici.» Tra gli astanti si levò subito un brusio di disappunto e proteste. «Signori, posso immaginare che mendicare l’aiuto dei nostri mortali nemici è l’ultima cosa che ognuno di noi vorrebbe, ma ne va della nostra stessa sopravvivenza.» cercò di calmarli la regina. La reazione dei commensali, seppur ancora di diniego, fu già meno convinta. Zhora, con voce spezzata dalla sofferenza interiore, ragguagliò l’uditorio: «Ho deciso di inviare una nostra delegazione a Nysok di cui faranno parte Fellow, Gaspart e Soyzas. La scorta sarà assicurata da Behem, Klosar e dalle cinque Sorelle della Legione di Thanos presenti a questo tavolo, i pochi orchi e troll superstiti completeranno il gruppo.» Un nuovo brusio si levò dai commensali non citati da Zhora. «E noi?» chiese un segretario azzimato ed effeminato. «Non vi preoccupate, ognuno di voi ha il suo ruolo e i propri compiti da
sbrigare, qua, o nelle terre intorno.» rassicurò tutti Zhora, con tono autoritario. Flor-Hjan, aveva mangiato e bevuto di gusto, osservando e studiando con attenzione i vari invitati a quel variegato e strano desco. Per la maggior parte del tempo la sua attenzione era però stata catturata da una delle legionarie di Thanos. Abbigliate allo stesso modo, gli occhi grigi e spenti, il cranio completamente rasato in cui spiccava solo la treccia bianca, sembravano delle belle bambole fatte tutte con lo stesso stampo. Erano diverse, infatti, solo per le caratteristiche distintive della razza di appartenenza, tutte erano comunque algide nella loro pur incredibile bellezza. Una in particolare, un’elfa, come si evinceva dalle sue orecchie a punta e dalla figura slanciata, l’aveva colpito; aveva infatti un che di particolare, quasi di familiare. «Flor-Hjan!» Sentire pronunciare il suo nome lo lasciò indifferente non distogliendolo dal corso dei suoi pensieri. “Eppure quella postura, quel viso, quel modo di atteggiarsi non mi sono affatto tutto nuovi, anzi… Quella legionaria di Thanos mi ricorda in modo impressionante Alexar! Le devo assolutamente parlare prima che questa serata giunga al termine!” pensò il generale trepidante. «Flor-Hjan!» lo richiamò una voce nota. «Ehm, sì, scusatemi Regina ma ero completamente perso nei miei pensieri.» rispose Flor-Hjan colto in fallo. «Generale, stiamo prendendo delle decisioni di capitale importanza e voi vi distraete, rendeteci partecipe dei vostri pensieri!» lo sfidò la vampira. «No, per carità, non era nulla di importante, mi ero incantato ad osservare quell’arazzo su cui è rappresentata una scena di battaglia tra uomini e demoni.» mentì senza fare una piega il guerriero. «Non vi sentite forse a vostro agio a questa tavola? O magari la cena non è stata di vostro gradimento?» lo incalzò la regina. «Per carità la cena era davvero ottima, complimenti ai vostri cuochi mia Regina! Quanto ai commensali sono tutti a posto, davvero.» si difese il guerriero.
«Grazie, se non ci sono altri problemi, allora possiamo proseguire. Ho un incarico specifico per voi, Flor-Hjan, desidero che vi occupiate di vigilare i dintorni della rocca con pattuglie rinforzate, ventiquattro ore su ventiquattro, e che organizziate al meglio la difesa del castello. Dobbiamo almeno evitare di farci sorprendere e provare a fare tutto quanto è in nostro potere per essere pronti quando arriveranno le schiere di Go-Liah.» «Ai suoi ordini Regina.» obbedì prontamente il generale. «Bene Signori questo è proprio tutto, siete liberi, grazie e buona notte.» li congedò stanca la regina. Appena i commensali si alzarono Flor-Hjan si affrettò verso la legionaria di Thanos che lo aveva così colpito. Le si avvicinò e le sfiorò leggermente il braccio destro, ritraendo però immediatamente la mano, la sua pelle era gelida. La guerriera si voltò verso di lui e lo osservò con le sue pupille spente. La sua espressione era indecifrabile, il suo viso era bellissimo, ma non lasciava trasparire alcuna emozione. «Sì.» balbettò l’elfa con una voce flebile. «Scusami, è che mi ricordi tantissimo una persona che conoscevo e...» esordì incerto il guerriero. «Io… io non vi ho mai visto prima, Generale» rispose la fanciulla biascicando le parole come un automa «È comunque un onore per me conoscere il più grande guerriero di Darkland.» Il corpo di Flor-Hjan fu scosso da un fremito, di sorpresa e terrore al tempo stesso, quella bambola non morta non poteva che essere Alexar, la sua amata elfa! Scandagliò tra i ricordi alla ricerca di un qualche segno distintivo o di un particolare, che solo Alexar poteva conoscere. Rammentò che la fanciulla aveva, tatuata sul pube glabro, una farfalla azzurra con le ali spiegate, ma non era certo la più facile delle cose da poter verificare. Non sapendo come uscire da quell’ime, spinto da un irrefrenabile impulso, la attirò a sé e provò a baciarla, ma la fanciulla reagì ritraendosi impaurita e liberandosi dal suo goffo abbraccio.
«Ma cosa fate Generale? Come vi permettete?... Noi sorelle abbiamo altri gusti e preferenze sessuali, non siamo affatto interessate agli uomini… Ma adesso fatevi da parte e lasciatemi andare.» lo apostrofò l’elfa i cui occhi trasmettevano sorpresa ed astio. «Un'ultima cosa, Alexar.» cercò ancora di trattenerla Il guerriero. «Co… come fate a conoscere il mio nome? Cosa volete ancora?» rispose smarrita la fanciulla. «Posso dare un’occhiata al tuo avambraccio sinistro?» le chiese supplice l’uomo. «Lasciatemi in pace. Smettetela di importunarmi Generale!» lo allontanò Alexar. Flor-Hjan a quel punto perse il controllo, la afferrò con forza e cercò di girarle il braccio sinistro, provocando la pronta ed energica reazione dell’elfa che gli mollò un sonoro ceffone, colpendolo sulla parte superiore del labbro, e poi fuggì via. Il generale, sorpreso e sconcertato, dopo l’iniziale smarrimento, si ricompose e tornò a sedersi intorno al tavolo. Dopo aver svuotato con calma un bicchiere di birra schiumosa, uscì poi nel freddo della notte stellata. Mentre si stava dirigendo verso l’edificio dov’era alloggiato, nella stretta via che stava percorrendo, svoltato un angolo, venne all’improvviso circondato da cinque figure incappucciate che gli saltarono addosso iniziando a scaricargli addosso una gragnola di pugni e calci. Flor-Hjan cercò di difendersi mulinando le braccia e le gambe, ma venne, seppur a fatica, immobilizzato e colpito brutalmente su tutta la superficie del corpo e sul viso, fino a quando iniziò a perdere ogni contatto con la realtà. Si sentì mancare, il suo corpo era diventato ormai insensibile al dolore, mentre gli assalitori continuavano a colpirlo con studiata violenza. Quando stava per perdere definitivamente coscienza vide una delle figure incappucciate tirare fuori un coltello ricurvo, la cui lama brillò, sinistra, nella notte, mentre altre due gli strapparono quasi le brache di dosso, abbassandogliele fino alle ginocchia.
La figura con il coltello gli si avvicinò, gli alitò sul viso ed iniziò a premere la lama sulla pelle facendogliela scivolare sul corpo. Cominciò dal volto poi scese, esitando sul collo, e, lì, aumentò la pressione fino a far sgorgare una goccia di sangue che, cadendo sulla candida neve, la tinse di rosso. La lama tagliente continuò la sua discesa arrivando al pube denudato e facendo inorridire Flor-Hjan quando sentì il contatto gelido della lama fredda sui suoi genitali. Si sentirono dei i pesanti nel vicolo, di stivali chiodati che, rimbombando sul sentiero ghiacciato, si avvicinavano veloci. «Ringrazia soltanto che sta arrivando qualcuno. Questo è per quello che hai tentato di fare ad una nostra sorella, la prossima volta finiremo il lavoro ed allora non sarai più un uomo dopo!» lo minacciò una voce squillante. Le cinque figure incappucciate fuggirono lungo il vicolo per poi svoltare a destra e sparire dietro l’angolo. Una nuova figura, ammantata in una calda pelliccia candida, si chinò su di lui con apprensione: «Flor-Hjan, ma cosa? Che ti è successo? Cosa ti hanno fatto? Ce la fai ad alzarti?» chiese, apprensiva, una nota voce femminile. La donna lo aiutò ad alzarsi e a ricomporsi e, sostenendolo con tutta la forza che aveva, gli ò un braccio sotto la spalla, sorreggendolo per una decina di i, fino ad una porta di legno blu, che aprì con la chiave che teneva assicurata alla cintura. «Presto entriamo, questa è la mia stanza.» disse quasi più a se stessa che a FlorHjan. Varcata la soglia la figura provvide ad accendere una lampada ad olio, e una luce opaca si diffuse gradualmente nella stanza buia andandosi ad aggiungere a quella, calda, delle braci ardenti che rosseggiavano nel caminetto. Lo sostenne ancora per qualche o e poi lo adagiò con delicatezza sul morbido letto. Attizzò il fuoco gettando nel camino alcuni rami secchi e un bel ceppo e subito la fiamma si ravvivò.
Prese dei pezzi di stoffa ed un catino, lo riempì d’acqua, versandovi il contenuto di una brocca che era appoggiata sul tavolo, e lo raggiunse poi vicino al letto. Quando si tolse la pelliccia, Flor-Hjan la riconobbe, era Merenwen, il comandante delle guerriere mercenarie di Koryos. La donna gli tolse la giubba di pelliccia, la camicia, che era tutta strappata, le brache, anch’esse ormai praticamente inutilizzabili, e gli stivali. Il corpo nudo di Flor-Hjan giaceva sul letto, la pelle pareva una mappa in cui le terre e le acque erano sostituite da lacerazioni, tagli, abrasioni, ecchimosi e orrendi lividi violacei. «Ti hanno proprio conciato per le feste, mio improvvido Generale.» convenne Merenwen. Imbevuta la stoffa nel catino iniziò a lavare accuratamente, pulendoli con esperienza, tutti i tagli e i graffi e gli chiese: «Ma cos’hai combinato per meritarti questa punizione?» gli chiese curiosa. «È una lunga storia.» biascicò l’uomo. «Abbiamo tutta la notte davanti a noi, prova a raccontarmela.» lo esortò la donna. Flor-Hjan iniziò il racconto risalendo indietro nel tempo fino al momento in cui aveva conosciuto Alexar, quasi due cicli prima. Il guerriero procedeva un po’ a fatica, ma senza tralasciare nulla, soffermandosi anche su particolari apparentemente insignificanti. Merenwen, mentre ascoltava con attenzione, da una boccetta rossa, aveva versato nel catino di acqua pulita, un liquido oleoso e profumato, che, con delicatezza e perizia, stava ora usando per disinfettare i tagli e le abrasioni. Quasi inavvertitamente sfiorò le parti intime del generale ricevendone una sensazione di freddo del tutto innaturale. Guardò con curiosità, e un briciolo di malizia, il membro inerte di Flor-Hjan, poi prese un altro barattolo, lo aprì, vi immerse la mano ed iniziò a spalmare un unguento verde sui vari lividi che ne tappezzavano la pelle.
La stanza si riempì di un piacevole profumo di boschi in primavera. La voce del generale, un po’ più distesa, continuava intanto il suo racconto, ma, ormai, la curiosità di Merenwen era attirata da ben altro. Con apparente disinvoltura prese a spalmare l’unguento sul pube del generale, chiuse la mano attorno al membro, lo strinse e iniziò a cospargervi sopra il cataplasma verdastro, con lentezza e sollecitudine, non ricevendo però alcun segnale di vita; il pene rimase, infatti, freddo ed insensibile. «Scusami!» si schernì, leggermente imbarazzata «Ma, a quel che vedo qui, le tue misteriose assalitrici potevano evitarsi tutta quella fatica, mi pare che tagliare qualcosa quaggiù sia del tutto inutile!» «Eh, cosa? Cosa intendi Merenwen?» chiese Flor-Hjan, la voce impastata e stupita. «Perdonami, non volevo assolutamente offenderti» si difese cercando di stemperare l’atmosfera «ma, per essere l’amante di Zhora, c’è qualcosa che non mi torna.» «Ah ti riferisci a… a quello!» indicando con lo sguardo il pube «È successo la prima notte in cui siamo stati insieme. Con un’unghia la regina si è prodotta un taglio nel polso e mi ha invitato a bere le gocce di sangue che ne stavano sgorgando. Mentre lo stavo facendo pronunciò una specie di formula magica nel linguaggio degli antichi e, da allora...» si giustificò Flor-Hjan. «Ah! Una specie di sortilegio per averti tutto per sè. Eh, eh, molto femminile!» lo celiò la donna sorridendo. «Già, evidentemente… ma tu cosa sai di Zhora?» la interrogò imbarazzato il generale. «Quello che tutti su Laxyra mormorano: che è una non morta, che è una vampira, che è una donna-uomo, che succhia il sangue dalle sue vittime, che riesce a controllare la mente, che un tempo fece perdere la testa a Wald-Hur, insomma i soliti pettegolezzi!» snocciolò gesticolando Merenwen. «Le voci non si discostano di molto dalla realtà. Anche io, quando sono in sua presenza, mi sento come un guscio vuoto, quasi sprovvisto di volontà. Obbedire
ai suoi ordini senza fiatare mi sembra la cosa più naturale del mondo, salvo, poi, ritrovare la pienezza di me solo quando mi allontano da lei.» chiosò Flor-Hjan. «E tu, invece, cosa sai delle guerriere di Koryos?» cambiò discorso Merenwen. «Quello che si sa nell’ambiente: che sono donne guerriere, feroci, affidabili e letali, le migliori mercenarie che si possano trovare nei territori di Anaos.» rispose asciutto l’ufficiale. «Tutto vero, non sai però che la nostra non è solo una gilda di guerriere, ma è una vera e propria setta, formata di sole donne, dedicata alla Dea Lasa, la Luna Calante. I comandanti delle varie compagnie sono anche le sacerdotesse del culto, siamo tutte vergini e... rifuggiamo gli uomini!» lo sorprese la donna mentre lo osservava con occhi curiosi. «Ah! Dunque...» «Già! Ti confesso però che, nell’ultimo periodo, da quando ti conosco meglio e combatto al tuo fianco, sto provando sensazioni che mi erano finora sconosciute… Ho uno strano formicolio in fondo allo stomaco, da cui scaturisce un desiderio inconscio di cercare la tua compagnia e di parlare con te.» disse arrossendo. «Non me n’ero proprio accorto, ehm, insomma… noi uomini… Di certo non lo hai dato molto a vedere...» scosse la testa sorpreso. «Bugiardo! Oltre che di guerriero formidabile hai anche fama di essere uno sciupafemmine inguaribile! Ma come stai piuttosto?» lo rampognò scherzosamente Merenwen, finalmente più a suo agio. «Un po’ meglio, grazie, ora sento di nuovo le varie parti del mio corpo, e, purtroppo, non ce n’è una che non mi dolga.» si lamentò Flor-Hjan. «Vista la quantità di colpi che ti sono stati inferti, temo che per un po’ di tempo avrai il tuo bel da fare a convivere con il dolore.» La mercenaria prese un’altra boccetta da una mensola, ne versò il contenuto in un bicchiere, vi aggiunse delle erbe prese da un vasetto, pestò il tutto con una pietra, e poi porse il liquido vermiglio a Flor-Hjan.
«E adesso bevi, lo so che è disgustosamente amara, ma ti farà bene, fidati! Allevierà il dolore e ti farà riposare serenamente!» ordinò premurosa la donna. Il paziente, bevuta tutto d’un sorso la bevanda, fece una smorfia schifata. «Puah, ma è disgustosa!» esclamò lamentandosi. «Le medicine amare sono le migliori, si dice così, no?» Il generale non rispose sprofondando immediatamente in un sonno sereno e senza sogni. Merenwen attizzò il fuoco nel camino, aggiungendo dell’altra legna, sistemò meglio nel letto Flor-Hjan, coprendolo con una coperta di lana ed una pelliccia di orso e poi si preparò per andare a dormire. Si spogliò lentamente, il suo corpo atletico era muscoloso e tornito con curve che non avano inosservate. Si toccò i capezzoli e sentì che erano diritti e duri, gettò uno sguardo sul generale che dormiva nel letto e, visto che non v’erano altri giacigli, si infilò sotto le coltri, il suo corpo accanto a quello di Flor-Hjan. Sentì uno strano calore invaderla, si avvicinò allora ancor di più fino ad abbracciarlo e lo baciò delicatamente sulle labbra. Era la prima volta che giaceva con un uomo, ed era una sensazione tutta nuova per lei, invero assai strana, anche se, a dire il vero, l’altro non era neppure cosciente. Sparì dunque sotto le coperte e prese ad esplorarne il corpo con baci curiosi, iniziò ad usare anche la lingua, provando un brivido quasi elettrico. Si fermò proprio quando era arrivata appena sotto l’ombelico. “Ma che sto facendo? Non è un comportamento consono ad una sacerdotessa della Dea Lasa…” pensò inorridita. Si ritrasse compita, ritornò ad appoggiare la testa sul cuscino, provò a girarsi dall’altra parte, ma non riusciva proprio a prendere sonno. “Fino a questa notte i miei rapporti con gli uomini si sono limitati a quelli da caserma e, soprattutto, alle centinaia di scontri in battaglia in cui li ho feriti,
sventrati, mutilati, decapitati, uccisi, cosa mi sta dunque succedendo ora?” pensò spaventata. Per distrarsi cercò allora di pensare a Shawna, la sua amante, rimasta a Koryoslake per guarire dalle ferite subite nella loro missione precedente. Provò a rammentare i suoi morbidi capelli biondi, la sua pelle di seta, le sue carezze, ma, dopo pochi attimi, quell’immagine divenne sfocata e sparì. Toccò ancora il corpo di Flor-Hjan e fu di nuovo pervasa da un calore ed un desiderio sconosciuti. Si alzò, si rimise addosso la pelliccia di lupo e andò a sedersi vicino al camino, e, finalmente, esausta, si addormentò. Il suo fu un sonno inquieto, pieno di sogni incomprensibili e di incubi, e, quando le prime luci dell’alba penetrarono dalle fessure delle imposte di legno, si svegliò, ancora stanchissima, e guardò fuori dalla finestra. Stava nevicando a larghe falde, tutto era silenzio, l’atmosfera era caliginosa. Poco dopo si svegliò anche Flor-Hjan, che la vide e la salutò. «Buongiorno Merenwen.» «Buongiorno Flor-Hjan, come ti senti stamattina?» «A pezzi, ma un po’ meglio!» balbettò l’uomo, ancora intontito dal sonno a dal dolore. Consumarono una frugale colazione a base di latte di capra e di pane raffermo e, dopo aver indossato i suoi abiti, Merenwen andò a recuperare nelle stanze di lui dei vestiti puliti per sostituire quelli strappati ed ormai inutilizzabili. *** Era ata più di una settimana da quando Flor-Hjan era stato aggredito e, pian piano, il suo corpo aveva riassorbito lividi, ecchimosi e tagli, recuperando forza e vigore, grazie anche alle amorevoli cure di Merenwen, presso la quale si era trasferito.
Una mattina, come tante altre, sotto una nevicata sempre più copiosa, gli ufficiali e i dignitari di corte si ritrovarono tutti nella piazza d’armi dove l’ambasceria era pronta a partire alla volta di Nysok. Zhora, impettita nella sua pelliccia di ermellino, algida e lontana, dopo aver dettato le ultime raccomandazioni a Fellow e aver salutato gli altri componenti del gruppo, osservò la piccola carovana argli davanti, completamente persa nei suoi pensieri. Flor-Hjan concentrò la sua attenzione sulle cinque legionarie di Thanos, chiuse nei loro mantelli, il cappuccio tirato sulle teste. Era praticamente certo che fossero le stesse che lo avevano aggredito. Si impresse i loro volti nella memoria mentre gli sfilavano davanti, Alexar lo guardò abbassando leggermente gli occhi, le altre invece lo fissarono altere, lo sguardo fiero e minaccioso. Il generale si avvicinò a Zhora e le parlò, alzando la voce, per vincere il vento forte che disperdeva le parole nella neve: «Perché lo avete fatto? È stato forse un modo per punirmi?» le chiese minaccioso. Zhora si voltò verso di lui, sorpresa: «A cosa vi riferite Generale? Al fatto di non avervii inserito tra i membri dell’ambasceria? Vi ho già dato le mie motivazioni alla cena…» «Lo sapete bene a cosa mi riferisco! Alexar non voleva essere trasformata e voi invece lo avete fatto, dannazione! Perchè?» la incalzò Flor-Hjan, la voce alterata dalla rabbia. «Come vi permettete, vi state forse ribellando a me, schiavo?» si difese acida la donna. «No Padrona!» «Non potevo certo perdere una macchina da guerra come Alexar, anzi ora è ancor più forte, quasi indistruttibile, e mi servirà ancora meglio, è tutto qui!» gli spiegò atona Zhora. «Lei, non mi riconosce più, ecco.» proseguì disorientato il guerriero.
«Certo, Alexar ha conservato il suo corpo e le sue fattezze, ma null’altro! Di quello che era stata un tempo, dei suoi ricordi e delle sue emozioni non è rimasta traccia alcuna in lei, adesso è solo un guscio vuoto senza volontà, pronta solo a servirmi.» proseguì fredda la regina. Poi, lo guardò negli occhi con uno sguardo minaccioso e carico di risentimento e lo apostrofò ando a toni più intimi e diretti: «Credevi forse che non sapessi che era innamorata di tei e che tu provavi la stessa cosa per lei? Vi ho visti nella vostra intimità, cosa pensavi? Ma quello è ormai il ato, la Alexar che conoscevi, e a cui volevi bene, è morta, per sempre, fattene una ragione e dimenticala!» chiosò insensibile la regina. «Non doveva finire così.» biascicò il guerriero. Zhora lo guardò furiosa, scosse la testa e, dopo avergli ordinato di preparare una pattuglia e di andare a perlustrare i aggi tra i i, gli girò le spalle e se ne andò. Flor-Hian, da quando era arrivato a Castle’Snow, aveva potuto notare che Zhora era cambiata profondamente. Era adesso molto più distaccata, sempre persa nei suoi pensieri, e ava quasi tutto il suo tempo chiusa nei suoi appartamenti. Non vedeva quasi nessuno, se non le Sorelle della Legione di Thanos, che visitava regolarmente tutte le notti, e, cosa inconsueta, non lo aveva mai chiamato nelle sue stanze private. La cosa andava di pari o con la sensazione di sentirsi ora meno succube della regina, mai in ato si era infatti rivolto a lei con quel cipiglio, era quasi come se il loro legame si fosse allentato. Il che, visto dal suo punto di vista, era una cosa del tutto nuova e sicuramente gradevole. Rimuginando sulla situazione ritornò verso le caserme, dove incontrò Merenwen che lo accolse salutandolo con un caldo sorriso.
VI Capitolo – Go-Liah
A Nysok, intanto, Wald-Hur stava leggendo gli ultimi dispacci e resoconti arrivati dalle zone di confine e dai sovrani dei cinque regni di Anaos. Le notizie cattive erano sempre prevalenti, ma qualcosa iniziava lentamente a cambiare, c’erano infatti anche alcuni rapporti che parlavano di sconfitte inflitte alle schiere di Go-Liah. Per effetto dell’arrivo di un inverno precoce, e freddissimo, con abbondanti nevicate ovunque, spostarsi era diventata un’impresa quasi titanica. Anche le operazioni militari, inevitabilmente, subirono un rallentamento, quando non addirittura un arresto, e, in una situazione di ime, i difensori cercarono di approfittarne per riorganizzarsi e leccarsi le ferite. *** Argolas aveva trascorso le ultime settimane in uno sfibrante lavoro di addestramento e di pattugliamento, non era mai stato così fiero della guarnigione che comandava, i suoi uomini erano arrivati a livelli d’assoluta eccellenza. Ancor di più era stato fatto, poi, per rafforzare le difese della fortezza, attraverso la costruzione di fossati, canali e ostacoli naturali, che avevano reso, avvicinarsi alle mura, estremamente complicato per chiunque. Aveva visitato molti villaggi, castelli e città di Anaos mettendo la propria esperienza al servizio di tutti, tanto che il livello delle difese si era innalzato un po’ ovunque. Nel frattempo era stata istituita anche la leva obbligatoria e milizie cittadine erano sorte in ogni angolo dei cinque regni. Argolas, non potendo essere ovunque, aveva inviato molti dei suoi ufficiali e sottufficiali ad addestrare le nuove truppe. Ma il senso di inquietudine che lo accompagnava era, negli ultimi tempi, aumentato. Una notte aveva provato, improvvisamente, un dolore lancinante, una violenta fitta al petto, come se una parte di lui fosse stata strappata via, e, da allora, gli incubi che lo assalivano erano mutati.
Ora Alexar gli appariva in sogno profondamente cambiata, gli occhi vacui, lo sguardo perso. Quasi sempre Argolas si svegliava di soprassalto, tutto sudato e tremante, subito dopo che lei lo stringeva in un abbraccio innaturale e gli mordeva il collo con due canini affilati. *** Wald-Hur fece chiamare il comandante elfo per affidargli un’importante missione. Gli era giunto un dispaccio da una spia che lo avvertiva di un’ambasceria partita da Castle’Snow e diretta a Nysok e, dopo l’iniziale sorpresa, aveva deciso, che voleva vederci chiaro. Decise perciò di inviare un reparto per intercettarla, ed eventualmente proteggerla e controllarla da vicino, fin dal momento in cui avesse messo varcato il confine con Anaos. «Argolas, allestisci uno squadrone di cacciatori elfi, dobbiamo assicurare una scorta per la delegazione che Zhora ci ha inviato da Darkland.» ordinò il Gran Sacerdote. «Cosa vuole quell’essere immondo?» sibilò l’ufficiale elfo. «Non lo so, ma immagino che lo scopriremo presto.» gli rispose pacato il Gran sacerdote. «Io non perderei neppure il tempo di ascoltarli, eliminerei all’istante l’ambasceria e tutta quella feccia. Ci hanno procurato un sacco di guai in ato, portando morte e distruzione nelle nostre terre, non si può trattare con loro!» parlò fuori dai denti Argolas. «La politica è un’arte sottile, i nemici di ieri possono diventare gli alleati di domani e viceversa. Sentiamo dunque cosa hanno da proporci e da offrire, ma ciò non toglie che sia nostra premura eliminare ogni rischio. Il tuo compito, Argolas, è di sorvegliare la loro colonna e, se dovessi riscontrare qualcosa che non ti convince, li fermerai e li respingerai subito verso le loro terre.» spiegò il Gran Sacerdote. «Ai tuoi ordini Wald-Hur, preparo uno squadrone e, appena pronti, ci muoveremo per andare loro incontro.» obbedì l’ufficiale elfo.
Argolas raggiunse le caserme e, in tutta fretta, si diede da fare per organizzare una colonna di un centinaio di soldati, scelti tutti tra i cacciatori elfi, perché di loro si fidava ciecamente e pensava fossero i migliori. Sulle loro agili cavalcature gli elfi partirono percuotendo rumorosamente la superficie del ponte levatoio ghiacciato. La colonna incontrò subito grosse difficoltà sul sentiero che attraversava la foresta intorno a Nysok, divenuto assai impervio e difficile da percorrere a causa delle abbondanti nevicate, rallentando la propria marcia e perdendo tempo. *** A diverse centinaia di leghe di distanza Go-Liah, nell’imponente castello di Copios conquistato, non senza perdite, solo un paio di settimane prima, era seduto, insieme ai suoi generali più importanti, intorno ad un tavolo di leccio finemente lavorato. «Questo dannato inverno ha reso le strade quasi impraticabili, la nostra avanzata sta trovando inattese difficoltà un po’ dappertutto… in queste condizioni si rende necessario prendere una decisione drastica. Da domani ogni attività di carattere offensivo sarà fermata e la missione per ogni reparto sarà quella di trincerarsi opportunamente in attesa della primavera.» disse il mago piuttosto contrariato. L’assenso dei commensali fu praticamente unanime. «Bene, convenuto questo, iamo ad un altro punto spinoso. È necessario far arrivare nuovi effettivi che rimpiazzino le gravi perdite subite, distribuendoli e assegnandoli nei vari accampamenti. Dobbiamo cercare di far risalire in qualche modo il morale delle truppe e questa mossa produrrà i suoi effetti positivi. La pausa permetterà alle forze fresche di integrarsi ed essere pronte per l’offensiva che lanceremo dopo il disgelo.» «Mi occuperò io della cosa» intervenne Ambros, che teneva le fila con i sacerdoti che gestivano le schiere di non morti relegati ad Awonya. «D’accordo, Ambros, ti ho preparato un rapporto sulle perdite subite in questi mesi, abbiamo bisogno di riportare i ranghi ai loro effettivi iniziali e di aumentarli di almeno un altro quarto.» continuò Go-Liah.
«Lo consideri già fatto, Signore!» rispose servile il segretario. «Quali sono i nuovi piani, Vostra Maestà?» lo interrogò uno dei generali. «La resistenza del nemico è diventata più organizzata, le truppe miliziane sono ora meglio addestrate e molto più agguerrite. Non possiamo più permetterci di attaccare senza una precisa strategia, con mere ondate successive che si schiantano sulle loro difese. Voglio i migliori strateghi che abbiamo a disposizione per studiare obiettivi e direttrici dei futuri attacchi.» ordinò GoLiah. «Faremo cercare subito Sost, Agoy e Muat, anche se ci vorrà un po’ di tempo per trovarli.» rispose solerte Ambros. «Non abbiamo fretta, abbiamo davanti un lungo inverno pieno di neve e gelo…» poi, cambiando discorso, proseguì «Ma, piuttosto, mi sto davvero annoiando, ho voglia di divertirmi un po’, portatemi qualche prigioniero o schiavo.» Riprendendo il filo del discorso: «Ah, dimenticavo una cosa davvero importante, provvedete anche ad inviare nostri emissari nelle terre di troll, gnomi e orchi, li voglio tutti dalla nostra parte per la ripresa delle operazioni.» continuò Go-Liah. «Ma sono sempre in guerra tra loro, si odiano e sono inaffidabili, non è un rischio portarli dalla nostra parte?» obiettò un generale. «Promettete loro quel che desiderano, tanto, alla fine, gli daremo giusto qualche briciola, ma nel contempo ci saremo anche liberati di una buona parte di loro.» gracchiò sorridente il Mago Oscuro. «Conoscendo il loro carattere vorranno qualcosa subito, temo, Vostra Maestà.» aggiunse un altro ufficiale. «Un po’ di schiavi, oro e armi, ne abbiamo in quantità, no?» sibilò Go-Liah. «Certo!» «Allora procedete! Potete andare ora.» li congedò, impaziente. Go-Liah era in gran forma, la campagna autunnale era stata un grande successo. Le sue schiere avevano invaso vasti territori di Anaos e conquistato importanti villaggi, castelli e città. Erano stati catturati decine di migliaia di prigionieri e i
forzieri erano pieni di ingenti risorse. La pausa invernale giungeva quasi a proposito per tirare le fila e preparare al meglio il seguito della conquista. Aveva un solo cruccio, quello di aver conquistato Vahel quando era già stata abbandonata dai pochi superstiti e da Zhora che si era fatta di nebbia. Avrebbe gradito molto poter mettere le mani su quella traditrice. Ma l’avrebbe presto catturata, si trattava solo di avere un po’ di pazienza. Mentre, da una delle grandi finestre del maniero, guardava la neve scendere, entrarono nella stanza alcune delle sue creature che gettarono ai suoi piedi una mezza dozzina di schiavi. «Bene bene, ci voleva proprio una piacevole distrazione.» sorrise pregustando già quanto stava per avvenire. Gli occhi di uomini, elfi e nani erano terrorizzati, lo sguardo del Mago Oscuro era compiaciuto e non lasciava presagire nulla di buono per loro. «Basteranno per la nottata, portateli pure nei sotterranei!» ordinò tagliente. Nelle segrete del maniero erano state allestite delle celle dove i malcapitati di turno venivano torturati per estorcere loro informazioni o per il semplice, sadico, gusto di farlo. I soldati disposero gli schiavi in fila, Go-Liah li osservò con curiosità quasi morbosa, soffermandosi in special modo su una donna, che, dai brandelli dell’uniforme, pareva essere una delle mercenaria di Koryos, l’unica che ne sostenne lo sguardo con aria di sfida. «Cosa vedo qui, niente meno che una guerriera, molto bene, prendetela, iniziamo da lei.» ordinò sornione. La mercenaria venne separata dal resto del gruppo e condotta in una stanza attigua, appena rischiarata dalla luce di un braciere su cui venivano arroventati ferri, tenaglie e altri di strumenti di tortura. Due dei carcerieri la presero in consegna, le strapparono i resti della divisa che indossava e la appesero, nuda, alla culla di Giuda. Era uno dei sistemi di tortura preferito da Go-Liah quando aveva a che fare con
schiave di sesso femminile. La vittima, infatti, veniva tenuta sospesa al di sopra di un cavalletto dalla punta acuminata e, attraverso un complesso sistema di corde e carrucole, veniva mossa in modo che la punta penetrasse nella vulva o nell'ano. Lo scopo della tortura consisteva nella permanente veglia del condannato al quale non era mai permesso di rilassare il corpo dato l'acume sottostante. «Bene, guerriera, sei comoda?» la derise sorridente il Mago Oscuro. In risposta quella gli sputò in viso. «Bene, bene, abbiamo una vera dura qui, proprio come piacciono a me. Adoro le sfide, io.» rise sguaiatamente. «Mostro!» sibilò sprezzante la donna. «Dimmi dove sono fuggiti Zhora e gli altri.» le chiese acido il tiranno. «Fottiti bastardo!» lo insultò ferma la guerriera. Go-Liah fece un segnale ai carcerieri che iniziarono a tirare le corde in modo che la guerriera ondeggiasse un po’, mentre il mago, con uno scudiscio di cuoio spesso, iniziò ad infliggerle sul corpo alcune violente nerbate. Strisce rosse comparvero sulla pelle bianca, che, dopo un’altra mezza dozzina di frustate, iniziò a sanguinare. «Allora, ripeto ancora una volta la mia domanda, dove sono scappati Zhora e gli altri?» «Non lo so, cane!» rispose tra i denti la donna. «Mmh… sei proprio una vera dura!» la schernì sorridendo. Go-Liah fece un altro segnale ai carcerieri che agirono ancora sulle corde guidando questa volta il corpo verso la punta acuminata posta sul cavalletto. Quando le parti intime della ragazza arrivarono nella giusta posizione, le corde vennero mollate ancora un po’ affinché la punta iniziasse a penetrare nella vittima, le urla della guerriera questa volta furono alte e acute.
Il supplizio andò avanti per ore, con un’alternanza di frustate, penetrazioni sempre più dolorose e domande, ma la donna resistette stoicamente, anche se con sempre minor forza. Quando l’alba, con il suo tenue lucore, illuminò il castello di Copios, in gran parte sepolto sotto uno spesso strato di neve, alla fine, straziata, la mercenaria quasi sospirò: «…Castle’Snow, Zhora e gli altri si sono rifugiati a… Castle’Snow!». Un sorriso appagato fece la sua comparsa sul volto tetro di Go-Liah che dette il segnale ai carcerieri di calare giù la guerriera, che, toccato il pavimento di nuda terra, si afflosciò, come una bambola rotta, proprio ai piedi del Mago. «Sei stata davvero un osso duro, peccato che tra le mie fila non siano in tanti ad avere una simile fibra… Io ammiro molto il coraggio e ti darò dunque il premio che ti sei meritata.» le sussurrò Go-Liah piegandosi per guardarla negli occhi, tenendole la testa con la mano. Il sovrano si avvicinò al tavolaccio dove erano riposti ferri, tenaglie, armi e strumenti vari, afferrò una spada ricurva, ne saggiò il filo della lama e, soddisfatto della scelta, tornò lentamente dalla ragazza. Go-Liah le sollevò nuovamente il capo strattonandola per i lunghi capelli corvini, la guardò intensamente negli occhi nocciola, che esprimevano tutto lo strazio del momento, pur conservando ancora una luce, quasi di sfida, e poi calò un fendente preciso e diretto che separò la testa dal corpo. Il sangue gli schizzò addosso, imbrattandolo. Andandosene, il Mago Oscuro, ò nell’altra stanza, dove erano ancora in attesa gli altri prigionieri, e diede ordine di portarli via, la notte era già stata più che gratificante e proficua. Tornato nei suoi appartamenti fece chiamare subito il suo lacchè Ambros. «Padrone, ai suoi ordini.» si presentò deferente. «Il nostro atempo notturno è stato particolarmente piacevole, oltre che utile, ora finalmente sappiamo dov’è si è rintanata la traditrice.» si vantò quasi.
«Dove, Vostra Maestà?» «A Castle’Snow! Voglio che organizzi subito una squadra d’assalto e che essa parta appena pronta.» ordinò perentorio il tiranno. «Non sarà facile, le truppe si stanno riorganizzando e sono disperse in vari accampamenti, penso che ci vorranno un paio di giorni almeno per trovare un numero adeguato di soldati.» prese tempo Ambros, imbarazzato. «No, non mi importa quanti sono, raccogli tutti quelli che ci sono qui e falli partire subito, intesi?» proseguì Go-Liah. «Vedrò quel che posso fare mio Signore.» acconsentì con rispetto il lacchè. «Esegui gli ordini senza discutere. E ora sparisci dalla mia vista!» chiosò spazientito e furioso il mago. *** La colonna, raccogliticcia, che non contava più di tremila unità, partì da Copios nelle prime ore del pomeriggio.
Capitolo VII – Flor-Hjan
Flor-Hjan aveva appena finito il suo giro di controllo sullo stato d’avanzamento dei lavori attinenti le opere difensive e, affamato, si diresse verso l’edificio in cui era stata allestita la mensa del castello. Nel salone, come al solito, c’era sempre pochissima gente, visto che erano ormai rimasti in pochi quelli che si alimentavano con cibi "tradizionali". Trovò infatti una dozzina di uomini ed elfi e una decina di guerriere di Koryos, e, fra queste, Merenwen. ò a prendere il cibo, una brodaglia di verdure in cui galleggiavano pochi pezzi di carne ed una pagnotta di pane nero, ed un bicchiere di birra scura, e si andò a sedere di fronte al comandante delle mercenarie. Subito le altre donne si alzarono dai loro scranni e si spostarono in un altro tavolo. «Non sto forse simpatico alle tue guerriere?» chiese l’ufficiale sorpreso. «Mmh è un po’ complicato da spiegare. In verità ti rispettano molto come capo, perché sei valoroso e giusto, ma, sei pur sempre un uomo… e questo è, come dire, un punto negativo!» rispose Merenwen arrampicandosi un po’ sugli specchi. «Ah, hanno forse paura che attenti alla loro virtù?» la celiò Flor-Hjan. «No, almeno credo… o forse un po’ è anche colpa della storia dell’aggressione che hai subito qualche tempo e che ha fatto il giro del castello. Sai come vanno queste cose, da un granello di sabbia si costruisce poi un castello…» cercò di svicolare la donna. «Le notizie, in un ambiente come il nostro, circolano a velocità imprevedibile, ma da chi è stata messa in giro?» chiese l’uomo curioso. «È giunta naturalmente dalla caserma delle legionarie di Thanos.» rispose
Merenwen laconica «E da chi se no?» «Ah, bene, così adesso, oltre che in quanto uomo, mi eviteranno perché pensano che sia una specie di mostro che va in giro a molestare le belle fanciulle...» osservò cupo Flor-Hjan. «Diciamo che la tua fama presso il sesso femminile ha subito un duro colpo!» sorrise Merenwen, guardandolo con un misto di malizia e scherno. I due ufficiali consumarono il pasto chiacchierando amabilmente e, in seguito, fecero un giro sui bastioni e sui camminamenti del maniero, parlando di tutto e niente, con sempre maggiore schiettezza ed intimità. Si congedarono con animo sollevato, nonostante il freddo intenso che penetrava nelle ossa facendo battere i denti. Appena rientrato nella sua stanza una delle legionarie di Thanos bussò alla porta invitando Flor-Hjan a seguirla dalla regina. Era la prima volta che si ritrovavano da soli da quando era arrivato a Castle’Snow, lei lo squadrò con il suo sguardo acuto ed enigmatico e, con freddezza, iniziò a parlare: «Come stai, generale?» «Un po’ infreddolito e molto stanco.» rispose asciutto. «È inutile fare tanti giri di parole. La situazione è preoccupante, per non dire disperata. In questi cicli ati a Darkland mi hai servito molto fedelmente battendoti con grande valore, guidando con intelligenza le mie truppe ed eseguendo puntualmente i miei ordini. Ora, però, non ho più niente da chiederti né da offrirti e, se l’ambasceria inviata a Nysok non avrà successo, il nostro destino sarà definitivamente segnato. Ho pensato dunque che sia giunto il momento di liberarti da tutti i tuoi doveri verso di me, di tutti i tipi. Vieni, avvicinati!» e lo invitò accanto a sè con voce incrinata dall’emozione. Flor-Hjan si avvicinò un po’ titubante. Zhora lo prese per mano, attirandolo a sé, lo baciò sulle labbra e poi sul collo, poi, improvvisamente, lo punse con i canini affilati, facendo uscire alcune gocce di sangue.
Flor-Hjan, spiazzato, udì la regina pronunciare, con voce salda e stentorea, una formula magica nella lingua degli antichi. E, qualche istante dopo, si sentì attraversare da un freddo inquietante, cui seguì una sensazione dolorosissima, come se qualcuno gli stesse estirpando qualcosa dall’interno. Ebbe quasi un mancamento, poi, pian piano, la vista tornò a schiarirsi e si sentì più leggero, libero. «Ti ho appena restituito la tua piena libertà, ogni legame magico con me è svanito, ora hai di nuovo il pieno controllo della tua vita. E così… potrai anche ritornare a fare lo sciupafemmine…» lo celiò Zhora sorridendo. «Grazie, mia Regina, ma… perché lo hai fatto?» le chiese sollevato e più rilassato. «Mmh… Per non farti affondare con me… o forse soprattutto perché ho un debole per te, Generale, e non voglio che il tuo destino sia segnato, indissolubilmente legato con il mio, ma adesso va, prima che me ne penta...» lo congedò mentre i suoi occhi di ghiaccio sembrarono brillare di una luce diversa. Prima di lasciarlo andare tirò fuori da una cassapanca di legno che si trovava vicino al suo letto una grossa sacca di cuoio tintinnante di monete e gliela porse. «Queste dovrebbero bastare per un bel po’ di tempo, sella il tuo cavallo, portati dietro gli uomini ed elfi rimasti e le mercenarie di Koryos, e cerca la tua strada. E adesso va! Addio mio bel Generale!» lo salutò, la voce strozzata. «Addio mia dolce Signora.» rispose di rimando Flor-Hjan, anch’egli visibilmente emozionato. Zhora si alzò e si girò a guardare fuori da una finestra, a lui parve di scorgere una furtiva lacrima rigarle il viso pallidissimo, anche se gli pareva quasi impossibile, poi le voltò le spalle, sbattendo i tacchi, e se ne andò. *** Lungo il sentiero, che si dipanava tra alti faggi e betulle, ricurvi sotto il peso della neve caduta abbondantemente nei giorni precedenti, i carri dell’ambasceria
di Darkland procedevano faticosamente, affondando nella spessa coltre bianca. Imbacuccati nelle loro calde pellicce i membri della spedizione si difendevano come potevano dal freddo e dagli stenti di una marcia difficoltosa e piena di insidie. Il silenzio del bosco fu rotto improvvisamente dal rumore di zoccoli al galoppo che si facevano sempre più vicini, e, poco dopo, in uno slargo del sentiero, apparve un’orda di cavalieri incappucciati. Gli assalitori erano quattro volte più numerosi e si abbatterono con tutto il loro impeto sui carri e sulla scorta. I primi a cadere furono gli orchi e i troll, trafitti da lance e frecce scagliate quasi a bruciapelo, poi toccò ai consiglieri della Regina Nera, che, non avvezzi all’uso delle armi, vennero facilmente disarcionati ed eliminati. Il clangore delle armi dei duelli individuali, in cui si divise presto la scaramuccia, si fece assordante, la violenza dello scontro fu spaventosa. Gli uomini incappucciati erano agguerriti e feroci, le loro spade precise e letali, ed in pochi minuti non rimasero in piedi che Fellow e le cinque Sorelle della Legione di Thanos. La mischia si fece ancor più confusa e sanguinosa, le spade delle non morte erano rapide e micidiali. Solo l’eccellente addestramento permetteva alle guerriere di sostenere uno scontro, altrimenti, impari. Spalla contro spalla combattevano con ferocia e valore, tanto che, in breve tempo, intorno a loro si fece il vuoto, teste e arti dei nemici erano ammassate in quantità ai loro piedi. Quello che sembrava il capo degli assalitori, diede allora il segnale di arrestarsi, seguito da altri ordini secchi, pronunciati nella lingua gutturale dei nani. Subito dopo alcuni componenti del drappello, rimontati in sella, cominciarono a cavalcare in cerchio intorno al manipolo di Legionarie e, ad un nuovo segnale, presero a scagliare decine di frecce e lance in direzione delle guerriere. Gli scudi rotondi delle guerriere non riuscirono a proteggerle che per pochi attimi, poi i loro corpi finirono infilzati a tal punto da rimanere in piedi solo
perché sorretti dai dardi che li avevano penetrati. I tiratori, scesi dalle loro cavalcature, si avvicinarono cautamente al groviglio di dardi e carne e, con precisione chirurgica, spiccarono le teste delle guerriere dai corpi con asce e spade affilate. Dopo averle raccolte da terra le infissero, insieme a quelle di tutti gli altri caduti, su picche piantate nella neve spessa. Solo Fellow era ancora vivo, seppur ferito gravemente, qualcuno se ne accorse e gli tagliò la gola con un coltello da cacciatore, il sangue sgorgò copioso dall’orrendo squarcio arrossando la candida neve. I soldati si precipitarono a perquisire i carri alla ricerca di bottino, e, presto, si levarono grida di giubilo quando furono rinvenuti ed aperti un paio di forzieri pieni di monete d’oro, stoffe e pietre preziose. In quel mentre si sentì nitido il frastuono di molti cavalli al galoppo in avvicinamento e, poco dopo, fecero la loro comparsa nella radura un centinaio di elfi, armati di tutto punto e pronti allo scontro. I due contingenti si guardarono in cagnesco per qualche istante, tesi come corde di violino, pronti a scattare all’ordine di attacco. «Argolas, qual buon vento?» chiese una voce profonda. «Fraster che ci fate voi qui?» lo interrogò il comandante elfo. Non appena le due colonne si riconobbero, grazie alla vista degli stendardi di Anaos, la tensione si sciolse definitivamente. «Abbiamo appena distrutto una carovana della Regina Nera e ora ci stiamo spartendo il bottino.» rispose felice come un bambino Fraster. «Hai detto una carovana proveniente da Darkland?» lo incalzò preoccupato Argolas. «Sì, era scortata da orchi, troll e da guerriere non morte. Ho riconosciuto il suo Gran Ciambellano, Lord Fellow.» precisò il comandante del distaccamento di nani. «Oh, dannazione… Hai appena annientato la delegazione che avremmo dovuto
scortare a Nysok, su ordine di Wald-Hur!» esclamò sconsolato Argolas. Il gelo ridiscese, profondo, fra elfi e nani. Argolas, insieme ad alcuni dei suoi uomini, scese da cavallo, si diresse verso i carri e potè così constatare lo scempio che era stato fatto della carovana. Tutto intorno il terreno era coperto di corpi e membra che giacevano in grandi pozze di sangue che arrossavano la neve. Notò poi, a margine della radura, due cerchi di picche, conficcate nel terreno, sormontate, ognuna, da una testa. Rabbrividì e fece una smorfia di disgusto di fronte al macabro spettacolo. Osservò meglio le teste incrostate di sangue, che sembravano tante maschere raccapriccianti, immortalate nell’ultimo istante di vita. La sua attenzione fu attirata da quelle delle guerriere non morte nel cerchio più interno: erano cinque. Un volto a in particolare catturò il suo interesse, era quello di un’elfa. C’era qualcosa di familiare nel suo viso, qualcosa che gli era fin troppo noto, poi il suo sangue gelò e non per il freddo. La mente corse istantaneamente ai suoi recenti incubi notturni e, poi, ai ricordi di un tempo felice. Ripensò a tutte le volte che aveva accarezzato e baciato quel viso, e a quando lei, da bambina, accorreva da lui piangendo per qualcosa che l’aveva spaventata o perché si era sbucciata un ginocchio. Non c’era alcun dubbio, era la testa di Alexar quella! Argolas afferrò la picca e staccò con delicatezza la testa della sorella, le accarezzò il cranio rasato ed incrostato di sangue, poi le baciò gli occhi e le labbra. Indi lasciò libero sfogo al dolore lanciando verso il cielo grigio uno straziante urlo di rabbia, mentre lacrime salate scesero a rigargli il volto. Intorno a lui solo un silenzio assordante, gli uomini di Argolas osservavano muti, i nani si erano ritirati in disparte. Il comandante cercò nella radura il corpo di Alexar, che trovò trafitto di frecce e lance, poi, con l’aiuto dei suoi uomini, lo ricompose con cura e delicatezza. Fece costruire una barella di fortuna e, date alcune rapide disposizioni a Zandras,
il suo luogotenente, scortato da sei dei suoi fedelissimi soldati, partì, con il suo triste carico, alla volta di Edar, la sua città, capitale di Evyland, il regno degli elfi. *** Flor-Hjan, dopo essere stato congedato da Zhora, si recò negli acquartieramenti di uomini, elfi e guerriere, ed invitò tutti in sala mensa per tenere loro un discorso. «La nostra regina mi ha dato questi.» esordì fermo. Con fare teatrale gettò sul tavolo la sacca ricevuta da Zhora, che si aprì rovesciando parte del suo contenuto. Ne uscirono monete di vari conii, pezzi d'oro e d'argento, pietre preziose, smeraldi, rubini e disparati altri manufatti d’oro. Nel salone calò un silenzio quasi irreale, l'attenzione di tutti era rivolta alla piccola fortuna che giaceva sul tavolo. «Questo è il dono di addio della nostra padrona, da questo momento siamo tutti congedati… a difendere Castle’Snow resteranno solo le non morte della Legione di Thanos.» proseguì con voce profonda. Un confuso e disordinato brusio si levò da sedie e tavoli, placato, dopo qualche attimo, da Merenwen che prese la parola. «È davvero questa la volontà di Zhora? Perché non è venuta a comunicarcela lei stessa?» chiese a nome di tutti. «Ha deciso di staccare il nostro dal suo destino e mi ha ordinato di comunicarvelo, tutto qua. Adesso sta a voi scegliere cosa fare. Chi vuole essere pagato per i servigi resi fin qua, si faccia avanti, quelli che vogliono invece seguirmi restino pure ai loro posti.» chiosò asciutto Flor-Hjan. Tutti i presenti rimasero zitti, incerti sul da farsi, poi, finalmente, i pochi uomini, creature delle acque ed elfi superstiti si fecero avanti per riscuotere le loro paghe. Quando tutti ebbero preso la loro parte, i soldati, commossi, biascicato un sentito ringraziamento, salutarono il loro comandante stringendogli l’avambraccio ed
abbandonarono alla spicciolata la sala. Dopo qualche tempo, nella sala, rimasero solo Flor-Hjan, Merenwen e le sue guerriere. «Alla fine siamo dunque rimaste solo noi, io ho la responsabilità delle mie guerriere, che hanno un sacro vincolo di obbedienza alla mia persona e alla nostra Dea Lasa. Ma non è giusto che a decidere per tutte sia io, vista quella che è la mia scelta: io resto con te, Flor-Hjan! Ma, considerato che a guidarci tutte, eventualmente, sarebbe un uomo, lascio che siano loro a decidere, in piena libertà e democraticamente, sul loro destino.» concluse la donna risoluta. Seguì un animato conciliabolo tra Merenwen e le sue trenta guerriere sopravvissute; poi, rassegnata, il comandante si avvicinò al generale. «Mi dispiace generale, ma non sono assolutamente disposte a seguirti.» gli comunicò laconica. «E se a guidarle fossi tu e io mi limitassi a fare solo il tuo vice?» provò a rilanciare Flor-Hjan. «Il punto è che le nostre compagnie sono composte esclusivamente da donne e che accettiamo ingaggi soltanto da committenti e padroni di sesso femminile. Mi dispiace ma la sostanza non cambierebbe affatto, non ti riconoscono come uno di loro.» «Questa è dunque la loro ultima parola?» chiese ancora il guerriero. Merenwen lo guardò con occhi smarriti e tornò dalle sue guerriere, coinvolgendole in una nuova discussione, assai animata. Dopo un tempo che sembrò lunghissimo la donna, con la sua spada, fece una sorta di investitura a quella che pareva la più autorevole e battagliera del gruppo. E, alla conclusione dell’improvvisata cerimonia, seguirono lacrime ed abbracci fra tutte. «Dammi la parte che spetta loro per questo periodo e tieniti pure il resto!» chiese risoluta Merenwen. Flor-Hjan raccolse una manciata di pezzi d'oro e d'argento, qualche pietra
preziosa e un paio di collane e monili d’oro e li consegnò alla guerriera. «Penso che questi dovrebbe bastare.» disse l’uomo. «Sì» disse dopo aver valutato quella piccola fortuna «dovrebbe essere il giusto valore della loro parte. Io invece resto con te, se mi vuoi al tuo fianco!» chiosò Merenwen, gli occhi pieni di lacrime. «Sei… ne sei proprio sicura?» la interrogò Flor-Hjan. «Ho appena nominato comandante della compagnia Lisis, assegnandole il compito di riportare a casa le ragazze. Io ho preso la mia decisione, ti seguirò in questa avventura, ovunque ci porterà, senza rimpianti.» affermò Merenwen guardandolo negli occhi. «Te lo chiedo per l’ultima volta, visto quelle che ne saranno le conseguenze. Ne sei proprio sicura, sai che così facendo rinunci per sempre a quella che è stata la tua vita finora?» chiese ancora il comandante «Sì, assolutamente. Il ato è dietro le spalle e sarà sempre nel mio cuore, ma adesso voglio qualcos’altro e penso che solo con te potrò ottenerlo.» convenne, decisa e determinata «Quanto ci resta dunque per assoldare un po’ di mercenari per costituire una nuova compagnia di ventura? E, soprattutto, dove li andremo a cercare?» chiese Merenwen, finalmente rilassata e già tutta presa dalle nuove incombenze. «Bella domanda, inizieremo a visitare quel che resta di villaggi e fattorie, troveremo sicuramente qualche superstite più temerario degli altri e senza più nulla da perdere. Tanto ad addestrarli, poi, ci penserai tu!» rispose sorridendo «Nel caso, male che vada, ci resta pur sempre un bel gruzzolo di denaro e non avremo problemi a convincere un po' di validi professionisti.» «Iniziamo bene!» lo fulminò la guerriera. Salutate le superstiti della sua compagnia, che tornarono in caserma per i preparativi della partenza, i due ufficiali arono dalla loro stanza, raccolsero tutti i loro averi e l'equipaggiamento e, al calar delle prime ombre della sera, lasciarono il maniero diretti al villaggio di Qaar, che distava una decina di leghe da Castle’Snow.
Capitolo VIII - Merenwen
Durante la notte riprese a nevicare, dapprima a piccole falde che scendevano al suolo cullate dal vento, poi sempre più copiosamente, fino a diventare una vera e propria tormenta, che tutto ricopriva avvolgendolo in un silenzio assoluto. Approfittando delle avverse condizioni atmosferiche, un paio di compagnie di lycas, che Go-Liah era riuscito a scovare ed assoldare, aggregandole ai tremila soldati che aveva raccolto in fretta e furia, si avvicinarono alla roccaforte di Zhora. Le feroci creature, allietate dalla prospettiva di un ricco bottino, si muovevano agilmente, mimetizzandosi con l’ambiente, invisibili alle poche vedette imbacuccate nei loro cappucci e pellicce ed intorpidite dal gelo. V'era un lato delle mura, cieco alle torri, che era solitamente il più presidiato dalle sentinelle, ma, quella notte, era rimasto sguarnito a causa del freddo intenso e della relativa tranquillità degli ultimi giorni che aveva fatto allentare un po’ l'attenzione. E, proprio da quella parte, muniti di rampini e corde, i lycas iniziarono a scalare le mura. Silenziose come ombre, invisibili per il loro pelo, bianco come la neve, le creature semi-umane arrivarono in cima e, con brutale rapidità, sopraffecero le poche guerriere di guardia decapitandole con le loro affilate asce bipenni. In poco meno di una decina di minuti i lycas sciamarono oltre le mura e, dopo aver eliminato tutte le Sorelle della Legione di Thanos che vigilavano sui bastioni senza che emettessero un sol grido, si diressero verso la zona delle caserme. L’orda bestiale fece irruzione nelle camerate dove la maggior parte delle guerriere stava dormendo. Alcune, svegliate dal rumore improvviso, tentarono di reagire avventandosi disperatamente sulle proprie armi. Ne scaturì qualche scaramuccia, comunque impari, che ebbe un solo esito: la decapitazione delle guerriere.
In un paio d’ore ogni resistenza all'interno delle mura era stata eliminata, la metà delle legionarie di Thanos era stata già uccisa, le altre erano state catturate. Alle prime luci dell'alba, con la neve che aveva lasciato il posto ad un pallido sole, in una mattina fredda come nessun'altra in quel rigidissimo inverno, arrivò Go-Liah con la sua scorta personale ed una colonna di un migliaio di soldati. La sua soddisfazione nel vedere il castello nelle mani dei suoi uomini era palese. Entrò dal ponte levatoio, con gli zoccoli del suo destriero nero che percuotevano con possanza le assi di legno erose dal tempo, e si diresse nella piazza della cittadella dove i lycas avevano radunato tutte le prigioniere. «Buongiorno Sarvah, congratulazioni per la grande vittoria, non avrei mai creduto di poter conquistare Castle’Snow così rapidamente e facilmente...» attaccò il Mago Oscuro. «Salute a te Go-Liah. Come vedi le mie non erano vanterie da osteria, i miei uomini sono davvero i migliori, come ti avevo detto, e ora ti consegniamo il castello. Come da patti, invece, le guerriere sono parte del nostro bottino.» disse il comandante dei lycas con il suo consueto atteggiamento tracotante e spavaldo. «Certo, non ti preoccupare, io rispetto sempre la parola data, ma, piuttosto, dov'è la Regina Nera?» lo interrogò un po’ infastidito il Mago Oscuro. «Mi spiace ma non abbiamo trovato alcuna traccia di lei Signore.» rispose imbarazzato il lycan. «Dannazione! Non può esserci sfuggita anche questa volta, maledetta strega!» esplose Go-Liah. Tutta la giornata trascorse con la soldataglia di Go-Liah che metteva a soqquadro il maniero cercando invano tracce di Zhora mentre i lycas di Sarvah si divertivano con le loro prigioniere. L'alcol scorse a fiumi e, con il sopraggiungere della notte, la situazione degenerò sempre più. Gli stupri di massa delle legionarie di Thanos impegnarono a fondo i lycas e la soldataglia del Mago cui le prigioniere venivano vendute. Ingenti quantità di bottino e di monete d'oro arono di mano in mano per comprare le malcapitate prigioniere che cambiarono padrone più volte nella stessa notte.
Il nuovo sole fu testimone della fine della rocca di Castle’Snow, che, data alle fiamme, arse lentamente fino alle fondamenta. Proprio sullo sfondo delle altissime lingue di fuoco, che si avviluppavano alle mura slanciandosi verso il cielo, tutte le superstiti della Legione di Thanos vennero ate per le armi. Le loro teste, spiccate con le grandi asce bipenni, vennero poi infisse su picche piantate a ridosso dei mozziconi delle mura ancora fumanti, a mò di monito per chiunque avesse osato opporsi alle schiere di Go-Liah. Dal suo osservatorio, nascosto nel fitto della foresta, Zhora assistette impotente alla fine del suo regno e delle sue seguaci. Ora era rimasta sola, da regina spietata e potente qual era solo poco tempo prima, si era trasformata in una preda braccata ormai senza quartiere. La Regina Nera, con indosso una pelliccia di ermellino, candida come la neve, che la riscaldava e celava al tempo stesso, si avviò lentamente verso il confine con Anaos. In cuor suo sperava ancora che la delegazione di Fellow avesse avuto successo e che, dunque, Nysok potesse divenire il suo nuovo rifugio. *** Flor-Hjan e Merenwen, nei giorni in cui avevano sostato a Qaar, da cui poi partivano per visitare piccoli villaggi e qualche fattoria isolata nei campi, erano riusciti a stento mettere insieme una squadra di una mezza dozzina di aspiranti soldati di ventura. Si trattava però di ragazzi, poco più che adolescenti, orfani e senza alcuna prospettiva, del tutto a digiuno di esperienza militare, ricchi solo di un grande, scanzonato, entusiasmo. Il Comandante cavalcava osservando scettico i giovani membri del suo gruppo. Nessuno, al momento, li avrebbe mai potuti scambiare per guerrieri. Gwen, una piccola elfa molto carina, era spensierata e perennemente allegra, ma di certo anche molto cocciuta; Arfen, invece, era un nano forte e tarchiato, troppo serio forse per la sua età; Sartyl, era una ragazza bellissima, con un corpo perfetto, decisamente troppo civettuola per poter essere un soldato; Kahr, con il suo corpo muscoloso e lo sguardo determinato, aveva invece le caratteristiche tipiche del condottiero; Muryel, dolce e sensibile, era una ninfa con la ione delle erbe e della medicina; infine Jonas, un albi imponente per la sua età, era il tipico guascone, svagato e sempre pronto alla battuta.
Insomma, si trattava di un gruppo piuttosto naïf, espressione perfetta della varietà di razze presenti ad Anaos, che pareva però più una scolaresca indisciplinata in gita scolastica che il nucleo di una futura compagnia di ventura. Nonostante che Merenwen si fosse messa le mani nei capelli non appena li avevano trovati e raccolti, lei e Flor-Hjan avevano preso molto sul serio il loro ruolo di educatori e guide. E, dopo qualche settimana, erano già molto contenti di quell'eterogenea squadra, sentendosi responsabilizzati ed entusiasti. Per la prima volta nelle loro vite provarono la sensazione di avere una famiglia tutta loro di cui prendersi cura e, con il tempo, magari anche di andare orgogliosi. Una sera, mentre erano accampati nei pressi di un villaggio, in gran parte distrutto, giunse una carovana di mercanti. Vedere merci e oggetti che ormai avevano quasi dimenticato o che non avevano mai visto prima, portò grande entusiasmo, soprattutto tra i ragazzi. Dalle chiacchiere che seguirono, non appena la diffidenza si sciolse, Flor-Hjan e Merenwen vennero a sapere che Castle’Snow era stata conquistata e distrutta e che la Legione di Thanos era stata completamente annientata. Con un certo sollievo appresero anche che nulla si sapeva invece della sorte toccata a Zhora. «Si direbbe che siamo andati via appena in tempo.» convenne cupo il guerriero. «Già, forse la regina aveva previsto quel che sarebbe successo e per questo ci ha congedato e salvato da morte sicura.» rispose, turbata, la donna. «Non so. Di certo ora Zhora sarà in fuga da qualche parte, sola e sconfitta. Ti devo confessare che la cosa mi addolora, anche se dai più è considerata un essere spietato e feroce, con me è stata sempre molto... insomma penso di volerle bene» si schernì Flor-Hjan arrossendo. «Non me ne stupisco affatto. Sei stato per più di due cicli il suo favorito, e forse, a modo suo, prova davvero qualcosa d’importante per te. Ti ha lasciato andare per darti comunque una possibilità, e questo è forse il suo più grande gesto d’amore, chissà...» lo confortò seria Merenwen. I ragazzi nel frattempo avevano fatto subito comunella con i mercanti, raccontando loro delle mirabolanti imprese, tutte di là da venire, che li aspettavano e, alla fine, riuscirono anche a convincere Flor-Hjan a tirare fuori
qualche moneta per comprare stoffe, erbe, armi e monili. Merenwen aveva scelto personalmente delle robuste pezze di lana, alcune verdi altre blu, da usare per cucire le uniformi e i loro stendardi, dopo che era stato deciso che quelli sarebbero stati i colori della loro compagnia di ventura. Tutto il resto della serata lo arono, intorno ad un fuoco scoppiettante, in una delle case meno diroccate del borgo. La conversazione cadde poi su quale dovesse essere il simbolo che li avrebbe fatti riconoscere da amici e nemici nei territori di Laxyra. Alla fine, dopo animate discussioni, la scelta ricadde su un'aquila rampante dorata. Quando i ragazzi, stanchi e contenti, si addormentarono, Flor-Hjan e Merenwen si alzarono ed uscirono per fare un giro nel villaggio, il cielo era trapuntato di stelle, la notte molto fredda era rischiarata a giorno da una luna luminosissima. Dopo una chiacchierata sull’oscuro futuro che li aspettava e sui programmi a breve termine si fermarono a ridosso di quella che un tempo era stata una locanda. Alla destra del portone c’era infatti una sgangherata e scolorita insegna, su cui campeggiava un pesce rosso in rilievo, che, per effetto del vento che soffiava leggero, dondolava rumorosamente sui malfermi i. «Con tutte le novità che ci hanno investito in quest’ultimo periodo» esordì d’improvviso la donna «non abbiamo ancora avuto modo di parlare seriamente di noi Flor-Hjan. Ti sei mai chiesto perché ho sfidato la mia setta e sono venuta con te?» «Gusto per l'avventura? Attrazione per le cause perse?» rispose celiandola l’uomo. «Dai, non scherzare su!» si schernì Merenwen. «Forse perché...» «E allora dai, dimmelo, non farti estorcere sempre le parole di bocca!» lo incoraggio, avvampando. «Mah! Non ne sono poi così sicuro...» cercò ancora di prendere tempo FlorHjan.
«Allora o ci sei o ci fai, mio bel generale, se non hai il coraggio di fare il primo o e di dire ‘certe’ cose, allora lo farò io…insomma, non è affatto facile neppure per me, penso di essermi...» proseguì balbettando. «Innamorata di me!» la salvò il guerriero sorridendo divertito. Lei gli saltò al collo e lo baciò con inaudito trasporto e grande voluttà, le lingue si cercarono subito, avide, ed i loro corpi, insensibili al freddo esterno, iniziarono a bruciare. «Dai allora entriamo in questa locanda, vediamo se c'è una stanza libera per noi.» scherzò Flor-Hjan. Dopo aver esplorato i vari ambienti, in gran parte in rovina, con brecce nei muri e soffitti o pavimenti sfondati, alla fine, al piano terra, trovarono una stanza messa meno peggio delle altre, con i muri tutti in piedi ed il soffitto intatto. Recuperato in un’altra stanza un malandato giaciglio imbottito di foglie secche, con impeto quasi animalesco, si avventarono l’uno sull’altra, strappandosi i vestiti di dosso, le mani, le bocche e le lingue ad esplorare, per la prima volta, in piena e totale libertà, gli altrui corpi, atletici e nudi. La ‘maledizione’ di Flor-Hjan era svanita con il congedo da Zhora, questa volta non ci furono spiacevoli sorprese, il generale rispose con grande partecipazione alle curiose ed apionate sollecitazioni della donna. Flor-Hjan e Merenwen, ardenti e vogliosi, si fo in un amplesso liberatorio ed appagante, cui altri ne seguirono, per tutta la notte, in un crescendo di piacere e sensazioni nuove che aumentarono di pari o con il progredire della rispettiva conoscenza dei loro corpi. Stanchi ed avvinti da un turbine incontrollato di emozioni, abbracciati, si abbandonarono alfine, sotto le loro calde pellicce, ad un sonno appagato e ristoratore. Il sole era già ben alto quando furono svegliati dalla gioiosa irruzione dei sei ragazzi che, con la loro contagiosa allegria, riempirono la locanda, salvo poi piombare in un imbarazzato silenzio quando li sorpresero, nudi, l’uno nelle braccia dell’altro. La più rapida a ricomporsi fu Merenwen che, dopo essersi pudicamente avvolta
nella coperta, armando il più candido ed innocente dei suoi sorrisi, disse: «Beh ragazzi, cos’è questo silenzio di tomba? Gli adulti, oltre che farsi la guerra e litigare, ogni tanto si concedono anche qualche piacevole momento di intimità! Un po’ come quando spunta il sole dopo la tempesta e fa sembrare tutto bellissimo e nulla impossibile. Per me e Flor-Hjan questo momento è arrivato stanotte, quindi ora fuori di qui ed iniziate a prepararvi per riprendere la marcia!» li liquidò sorridendo. Il gruppetto uscì tra mormorii e risatine sommesse. «Nulla riesce mai a spiazzarti eh?» le chiese divertito Flor-Hjan. «Già, io sono sempre vigile, mica come te dormiglione! Ma hai visto le loro facce, che espressioni buffe avevano... Sarà bene che tu spieghi ai tuoi ragazzotti qualcos'altro oltre alle tecniche di combattimento, mi son sembrati letteralmente cadere dalle nuvole.» convenne la guerriera. «Anche di sesso dovrei parlargli adesso? Accidenti!» sbuffò divertito il guerriero. «Le mie ragazze sono molto più sveglie, ma è normale, noi donne siamo sempre più mature. Comunque con loro avevo già parlato di questi argomenti!» gli sorrise maliziosa. Dopo aver completato i preparativi per il viaggio la piccola squadra si mise in marcia alla volta dei territori di Anaos. *** Anaos occupava gran parte dell’immensa Arasia, ed era nato dall’alleanza tra le casate delle cinque razze, unite politicamente sotto la guida dei sacerdoti del Sol Levante. A nord si estendeva, vastissimo, e in gran parte ricoperto di boschi e foreste, Evyland, il regno degli Elfi; ad ovest c’era Nylia, un territorio quasi completamente sommerso da acqua dolce, abitato dalle Ninfe e dalle creature delle acque; ad est, inerpicato tra alti picchi e montagne aride, si trovava Salara la patria dei Nani; a sud era situato Torios, fertile e rigoglioso, abitato in prevalenza dagli Uomini; mentre, a sud, Woralia, il regno degli invitti Albi, era un’ampia penisola che si protendeva verso il Mar Kau.
Nelle zone più periferiche del continente di mezzo, nell’estremo nord, si trovavano Darkland, su cui per due secoli aveva regnato la Regina Nera, e diversi territori indipendenti in cui dimoravano, nelle loro comunità-stato, le varie tribù di orchi, gnomi, troll, lycas e goblins. Lo sconfinato Mar Kau, infido ed in gran parte inesplorato, popolato da creature misteriose e spaventose, separava, a sud, Arasia da Belosia, il continente meridionale, un immenso territorio, in parte selvaggio, perennemente insanguinato da guerre e disordini. In esso si trovavano i principati di Zalam, Vhalaria, Remti, Dunia, Amazzonia, il regno delle donne-guerriere, e molte comunità erranti di popolazioni bellicose e barbare che si muovevano a loro piacimento attraverso le pericolose Terre Libere e le Terre dei Nomadi. A nord di Arasia, unito a mezzo del Ponte della Vita, si trovava, relegato ora in un’altra dimensione, Awonya, il continente settentrionale, dove dimoravano GoLiah e le sue creature infernali. Lontano, nell’estremo nord, nella zona più inospitale di Laxyra, si trovava il quarto continente, Icelands , una grande isola, in gran parte imprigionata da ghiacci eterni, abitata dai bellicosi guerrieri del drago, che vivevano in un forzato isolamento. Erano gente rude e dedita alla pirateria con cui le altre popolazioni intrattenevano rapporti radi e occasionali. Capitolo IX – Flor-Hjan
Tutte le terre attraversate dalla pittoresca compagnia erano sepolte sotto un’alta coltre di neve, scesa copiosa nelle ultime settimane. Il freddo era così pungente che pellicce, guanti e copricapi con cui cercavano di proteggersi, sembravano inadeguati al loro scopo. Dopo una decina di leghe, percorse su un sentiero quasi intonso in cui i cavalli affondavano ad ogni o ed il carro rischiava di arenarsi in qualsiasi momento, Flor-Hjan e gli altri si fermarono stremati. La loro attenzione fu attirata dalla
vista di una grande fattoria fortificata che interrompeva, con le sue mura grigie, la monotonia della sconfinata distesa bianca. Era uno di quegli insediamenti da cui i Lord di periferia amministravano le loro terre e difendevano i confini del regno. Un misto tra fattoria e castello, abitato da contadini, schiavi e milizie, completamente circondato da mura in pietra o palizzate in legno. Quella magione sembrava completamente abbandonata, nella neve non si vedevano tracce recenti che vi si dirigevano e tutto era insolitamente silenzioso. Con cautela, le mani sulle armi, il piccolo gruppo varcò il grande cancello in legno massiccio, rinforzato da doghe di metallo, che si apriva nelle mura di pietra grezza. Flor-Hjan ad aprire il drappello e Merenwen a chiuderlo, guardinghi, iniziarono a percorrere il lungo viale, fiancheggiato da alti abeti, che conduceva verso l’agglomerato di case che si intravvedevano in fondo ad esso. Non un solo rumore disturbava la quiete irreale a parte quello, lieve, delle loro cavalcature e del carro, che affondavano nella neve alta. Il viale alberato finiva proprio di fronte a quello che era l’edificio principale, tutto in muratura, che, disposto su due piani, era largo una cinquantina di i. L’ampia facciata era interrotta da una sequenza di finestre, alcune aperte, altre serrate da imposte di legno sgangherate. I membri del gruppo scesero tutti dalle loro cavalcature e si avvicinarono con cautela alla porta. Con fare circospetto, stando sempre sul chi vive, Flor-Hjan diede una spinta alla porta che si spalancò cigolando. L’interno era buio e polveroso, tutto era in disordine, resti di mobili e suppellettili giacevano sul pavimento di legno, sparsi alla rinfusa. La stessa scena si presentò loro, quasi identica, in tutte le altre stanze, sia al piano terra sia al piano superiore. «Sembra che gli abitanti di questa tenuta la abbiano abbandonata in tutta fretta e che, poi, vagabondi e sbandati siano ati a saccheggiarla.» azzardò Flor-Hjan
pensieroso. «È davvero sorprendente che non sia stata distrutta e data alle fiamme come quasi tutti gli altri edifici in cui ci siamo imbattuti in queste settimane, chissà perché?» chiese Merenwen stupita. «Per noi è davvero un imprevisto colpo di fortuna. Forse le creature di Go-Liah non hanno trovato nulla che suscitasse le loro brame distruttive e si sono astenuti dall’infierire sulle cose…» ipotizzò il guerriero. «Può essere, chissà cosa ne è stato degli antichi occupanti?» si chiese la donna. «Forse sono fuggiti perché la fattoria era ormai indifendibile chi può saperlo. Se mai qualcuno un giorno venisse a reclamarla, andremo via, ma, per adesso, la occupiamo noi!» disse risoluto Flor-Hjan «Forza ragazzi andiamo ad esplorare anche gli altri edifici!» incitò eccitato. Vennero minuziosamente perquisiti un'altra mezza dozzina di edifici: i tre dormitori destinati ai famigli, agli schiavi e alle milizie, un granaio, le stalle ed un deposito. Sul retro dell’edificio principale, un pozzo, posto al centro dell’aia che fungeva da piazza, assicurava la provvista di acqua potabile, mentre, in lontananza, nei pressi di un ruscello, interamente ghiacciato, si intravvedeva un mulino. «Bene, allora che ne dite?» chiese Flor-Hjan alla fine dell’ispezione. «È un posto bellissimo!» risposero all’unisono i ragazzi. «Concordo in pieno con voi! Qui non ci mancherà proprio nulla. Ne faremo la nostra casa, diventerà la nostra fortezza inespugnabile!» asserì sorridente FlorHjan. Merenwen e i ragazzi espressero entusiasti il loro coro di assensi. «Bene. Allora mettiamoci al lavoro e cerchiamo di renderla abitabile, visto che da oggi sarà la nostra dimora. Questo posto ha però bisogno di un nome, che ne pensate di Rainbowfort?» chiese il guerriero. Gli astanti espressero alcuni assenso, altri dissenso, ne scaturì un’accesa e vivace
discussione in cui ognuno addusse argomentazioni, le più disparate, a sostegno delle proprie tesi. Alla fine però Flor-Hjan e Merenwen riuscirono a convincere tutti del valore simbolico del nome: l’arcobaleno, con i suoi diversi colori, rappresentava al meglio la loro unione fondata sulle diversità. Ci vollero quasi due menses, interamente dedicati ai lavori di sistemazione e riparazione dei vari edifici, per rendere abitabile e sicuro l’intero complesso. Alla fine dei lavori disponevano di stanze ed ambienti sufficienti per alloggiare un’intera armata e frotte di contadini e villici. La neve non diede tregua per tutto l’inverno. Fiocchi a larghe falde, per settimane intere, seppellirono ogni cosa, costringendo a trascorrere intere giornate chiusi davanti al grande camino dell’edificio principale. Flor-Hjan e Merenwen ne approfittarono per formare un po’ i ragazzi tenendo loro non solo lezioni teoriche e pratiche di tattica e di combattimento, ma, soprattutto, tutta una serie di lezioni di vita. Nonostante obblighi ed incarichi per la gestione corrente della fortezza venissero suddivisi equamente tra tutti i membri del gruppo, non era per nulla semplice stare dietro a tutte le necessità. Stanchi per il duro addestramento, le corvée in cucina, le pulizie ed i lavori di sistemazione e manutenzione dei vari edifici, quasi tutti arrivavano al tramonto praticamente distrutti. La sera era tuttavia il momento più atteso della giornata perché i due adulti, a turno, si mettevano a raccontare le loro mirabolanti avventure, arricchendole di particolari spesso esagerati o inventati di sana pianta, che catturavano l’attenzione dei ragazzi, facendo accrescere il loro desiderio di imitarne un giorno le gesta. Flor-Hjan e Merenwen erano sempre più orgogliosi dei loro allievi e dei loro lenti ma costanti progressi: stavano lentamente diventando più adulti e responsabili, e la cosa li gratificava moltissimo. Quanto al loro rapporto personale l’amore che li univa diventava ogni giorno più profondo e maturo e le notti di ione regalavano loro sensazioni sempre
nuove e più appaganti. Quando, poi, si lasciavano andare alle sperimentazioni più ardite, non era raro sentire provenire dalla loro stanza gemiti e sospiri che diventavano oggetto di risolini e battute mordaci tra i ragazzi. Dal canto loro, incoraggiati dalla forzata coesistenza e dalla vicinanza quotidiana, stavano anch’essi scoprendo timidamente i primi turbamenti amorosi. Accese discussioni, scherzi e battute piccanti divennero il loro atempo preferito nelle fredde e noiose notti di un inverno che, quel ciclo, sembrava proprio non voler finire mai.
Capitolo X – Sarvah
Zhora, dopo la distruzione di Castle’Snow, sola e braccata dai nemici, di cui ogni tanto sentiva i latrati dei segugi, avanzava faticosamente nei boschi e nelle pianure sepolte dalla neve. In quei tetri giorni il suo solo sostentamento era rappresentato dal sangue di quei piccoli roditori ed uccelli che riusciva faticosamente a catturare. Ben presto però si rese conto di avere completamente perso il senso dell’orientamento: non avendo più con sé la sfera del tempo, e senza una mappa, in un paesaggio stravolto e modificato nel suo aspetto dalla neve, non riusciva più a trovare dei punti di riferimento noti. Ebbe netta la sensazione di girare in tondo, che divenne certezza, quando si ritrovò in una radura in cui la neve era macchiata di sangue per i resti di una lontra che aveva vampirizzato solo qualche ora prima. Fu colta dallo sconforto ed assalita da un preoccupante senso di impotenza, si inginocchiò nella neve candida ed urlò alla luna tutta la sua rabbia, poi si assopì, appoggiata ad un abete centenario. Si svegliò di soprassalto quando si sentì colpire con un calcio e punzecchiare con una lancia. Urla eccitate squarciarono il silenzio della notte, un gruppo di lycas l’aveva raggiunta e circondata. Dopo averla tramortita con un forte colpo alla testa, inflitto con il pesante manico di un’ascia bipenne, i lycas la immobilizzarono con spesse corde di canapa che la stringevano al tronco, quasi soffocandola. La vampira lentamente riprese i sensi, intontita e con un terribile mal di testa, mentre aveva da poco ripreso a nevicare. «Bene, bene! Chi abbiamo qui? Ad un primo sguardo si direbbe niente meno che la Regina Nera, eh, ragazzi?» la schernì quello che pareva essere il capo del branco.
La radura si riempì di grida d’approvazione e di giubilo. Il lycan, alto e grosso, le si avvicinò e, con la mano che finiva in affilati artigli, la colpì violentemente sul viso lacerandole la pelle, su cui apparvero cinque graffi sanguinanti. Zhora, furiosa, lo guardò con odio e gli urlò in faccia: «Chi sei dannato lycan?» «Sono Sarvah, il capo del mio popolo, e tu, mia cara, ora non sei più nulla… Sei solo carne da macello, Regina Nera!» le sbraitò contro minaccioso. «Maledetto!» sussurrò appena la vampira. «C’è qualcuno che non vede l’ora di averti tra le sue mani, ho già mandato uno dei miei ad avvertirlo.» proseguì il lycan sorridente, la voce piena di un sottile compiacimento. Zhora, la pelle del volto candida striata di sangue, provò a sputargli addosso senza però riuscire a colpirlo,. Sarvah le si avvicinò, le afferrò i lunghi capelli bianchi, tirandoli con violenza fino a farla urlare di dolore, poi, con un ghigno soddisfatto, affondò i suoi denti da lupo nella gola che gli si presentò invitante. Il sangue iniziò a colare, copioso, dal profondo squarcio mentre la donna urlò di dolore. «Sei in mio potere sgualdrina, portami rispetto ed inizia ad abituarti, questo è solo l’inizio. A breve ti aspettano supplizi che neppure immagini.» la minacciò Sarvah con uno sguardo malevolo. I suoi occhi di ghiaccio divennero ardenti per la furia che stava lentamente montando dalle sue viscere, poi, d’un tratto, Zhora, con una forza sovrumana, riuscì a spezzare le corde che la immobilizzavano. Spinto da parte il carceriere più vicino saltò su una roccia che si trovava a due i di distanza ed iniziò a correre. Sarvah, sorridendo famelico, prese accuratamente la mira e scagliò la sua lancia verso la regina in fuga. Il lancio, forte e preciso, la colpì tra le scapole abbattendola.
Zhora, piombò al suolo immobile, il volto nella neve. Il lycan le si avvicinò, estrasse con lentezza e compiacimento la lancia dalla sua schiena, e poi, con lo stivale, la fece girare sul dorso. «Ci hai provato, ma ti è andata male… E adesso cosa farai ancora? Non hai più speranze, rassegnati! Prova piuttosto a rilassarti e a prepararti mentalmente. GoLiah sarà qui a momenti ed allora sì che inizierà davvero la festa… per lui naturalmente! » chiosò Sarvah ridendo sguaiatamente. arono un paio d’ore prima che il Mago Oscuro arrivasse con la sua scorta di orchi, goblins e non morti, la neve schizzò dappertutto quando le cavalcature del gruppo piombarono nella radura. Sarvah si fece avanti, il volto giulivo. «Ancora una volta ti ho sorpreso, eh Go-Liah?» esordì felice come un fanciullo che sta aspettando il premio per le sue lodevoli azioni. «Mmh, o sei davvero molto bravo o sei solo molto fortunato Sarvah!» ribattè il mago asciutto. «La sola cosa che conta è che quello che prometto, mantengo, sempre!» sibilò ostile il lycan. «Dov’è? Fammela vedere!» ordinò ansioso Go-Liah. «Non avere fretta, prima dobbiamo parlare di affari.» prese tempo Sarvah. «Un forziere pieno di pezzi d’oro e d’argento e uno di monete di Anaos di nuovo conio, come pattuito.» replicò infastidito il mago. «Vorrei anche qualcos’altro però.» lo incalzò il lycan. «Cosa vuoi ancora, abbiamo un patto e, come ti ho detto, sono pronto a rispettarlo.» disse visibilmente contrariato Go-Liah. «Che so, delle terre magari, o un castello, o un grado di comando nel tuo esercito, o forse tutte queste cose insieme.» ipotizzò con arroganza Sarvah. «Ti stai allargando troppo ora, non erano questi i patti, non puoi cambiare le
regole in corsa…» si adirò il mago. «La merce che ti offro è unica e rara, no? Niente meno che una regina! Una tua nemica giurata, per giunta, fin qui sempre sfuggita alle tue schiere. Non mi sembra quindi di chiedere nulla di così eclatante…» rispose pacatamente il lycan. «Già, lo è… effettivamente!» convenne il mago. «Allora affare fatto?» chiese sorridente Sarvah. «E sia… avrai quel che chiedi, ma adesso basta. Fammela immediatamente vedere!» lo pressò il sovrano. Sarvah fece cenno ad un paio dei suoi scherani che, subito dopo, ritornarono trascinandosi dietro Zhora, legata strettamente per le mani. Go-Liah scese dal suo stallone, nero come la notte, e si avvicinò al gruppetto, guardò la Regina Nera negli occhi e ghignò soddisfatto. «La caccia è dunque arrivata alla sua conclusione, cagna, ora potrò iniziare a divertirmi un po’ con te. Pagherai finalmente per il tuo antico tradimento e per tutti i danni e le perdite che hai inflitto al mio esercito nei tuoi territori.» la apostrofò il Mago Oscuro. Zhora, dimessa e sofferente, si limitò a guardarlo ed annuire stancamente, poi voltò la testa altrove. I due gruppi si separano, Zhora, in catene, venne condotta da Go-Liah e la sua scorta verso il castello di Copios, la base operativa del mago ad Anaos, mentre Sarvah ed i suoi Lycas presero la direzione opposta a caccia di nuove prede. *** A Nysok, intanto, Wald-Hur, con i suoi più stretti collaboratori, stava partecipando ad un animata seduta del consiglio. Le copiose e continue nevicate dell’inverno avevano bloccato quasi completamente l’addestramento delle nuove reclute e l’approntamento degli apparati difensivi e la cosa destava in tutti grande preoccupazione.
L’annientamento della delegazione, che Zhora aveva inviato loro, e la successiva distruzione di Castle’Snow avevano invece rallegrato tutti. Il problema rappresentato dalla Regina Nera era stato così risolto una volta per tutte! Si erano definitivamente liberati di quella che per quasi due secoli era stata una fastidiosa spina nel fianco. Ma, se Zhora non era ormai più in grado di nuocere, rimaneva pur tuttavia il problema più grave e serio, Go-Liah, che, dopo il letargo invernale, si stava preparando a riprendere le ostilità con rinnovato vigore. In quella situazione fluida e pericolosa il Gran Sacerdote era assai preoccupato anche per la prolungata assenza del suo generale più importante, Argolas, che, dopo la morte della sorella Alexar, non aveva più fatto ritorno da Edar. Ma Wald-Hur non immaginava neanche lontanamente che tutto il suo faticoso lavoro di pacificazione sarebbe stato da lì a poco completamente vanificato. *** A Belosia infatti era scoppiata una sanguinosa, l’ennesima, guerra in cui erano coinvolti, da una parte, Valharia e Zalam, e, dall’altra, Remti e Dunia. Gli schieramenti contrapposti, sempre alla ricerca di alleati che potessero sbloccare lo stallo in cui da menses era sprofondato il conflitto, avevano inviato i loro emissari presso le tribù delle Terre Libere e delle Terre dei Nomadi. Ma l’unico scopo ottenuto da questa mossa fu quello di aumentare i popoli coinvolti, senza riuscire però a far pendere la bilancia dalla parte di uno dei due contendenti. Il o successivo, ed inevitabile, fu dunque quello di rivolgersi ai popoli di Anaos. In tutti i modi, e con ogni mezzo possibile, arrivarono nella già martoriata Arasia innumerevoli delegazioni con pressanti richieste di aiuti economici e militari. Le casate di Anaos erano legate a quelle di Belosia da antichi rapporti di amicizia e di alleanze, ma, anche, da vecchie ruggini ed odi insanabili, tanto che, formalmente, erano ancora in corso guerre mai chiuse da regolari trattati di pace.
In breve tempo, opportunamente alimentate dal sospetto, si fecero nuovamente strada divisioni e inimicizie, evidentemente solo sopite, ma non estirpate, dalla unificazione operata, con la creazione di Anaos, dai sacerdoti del Sol Levante. Per Wald-Hur fu un periodo assai intenso, pieno di incontri e di consigli di guerra. In essi, oltre a dover fronteggiare la minaccia sempre incombente rappresentata da Go-Liah, si impegnò a fondo nel tentativo di mediare tra chi propugnava la neutralità e chi patrocinava la causa dell’una o dell’altra coalizione. La situazione, nell’arco di qualche settimana, finì per degenerare portando ad una netta spaccatura in Consiglio. Da quel momento si mise in moto un processo irreversibile e rapido che portò, rapidamente, alla frantumazione di Anaos. Il richiamo della comunanza di razza fece sì che Evyland e Nylia si alleassero con gli elfi di Vhalaria e le ninfe di Zalam, mentre Salara e Woralia scegliessero il campo dei nani di Remti e degli albi di Dunia. Solo Torios, e gli uomini, rimasero neutrali e fedeli al Consiglio dei sacerdoti del Sol Levante. arono solo un paio di settimane prima che venissero ritirati e richiamati in patria i vari contingenti che facevano parte dell’esercito unito di Anaos che, quasi dall’oggi al domani, sparì semplicemente dallo scacchiere. Ogni casata provvide ad inviare risorse economiche e contingenti militari a Belosia premurandosi, nel contempo, di ricorrere anche alla mobilitazione generale per essere pronta a qualsiasi aggressione sul territorio. *** Quel ciclo la primavera arrivò, più tardi del solito e, con essa, il sospirato disgelo. La natura riprese il suo corso naturale, i fiumi si ingrossarono per lo scioglimento delle nevi e, gradualmente, ripresero anche i lavori nei campi. Con il bel tempo tornò a pieno regime anche l’attività militare. Negli accampamenti e nei presidi, disseminati in ogni landa di Anaos, spiravano sempre più impetuosi i venti di guerra.
In ciascun regno le truppe, addestrate durante i lunghi menses invernali, vennero dispiegate a protezione delle maggiori città e lungo i confini. Si provvide a catalogare e conservare tutte le risorse alimentari e quelle atte ad usi militari, mentre, contestualmente, centinaia di spie combattevano con le loro risorse per scoprire e carpire segreti e piani del nemico. Ovunque c’era un grande fermento in attesa della scintilla che desse inizio alle ostilità. Intanto, a Belosia, gli scontri proseguivano senza soluzione di continuità, duri e sanguinosi, trasformando terre, montagne e corsi d’acqua in una immensa fornace che divorava ogni giorno, come un moloch affamato, migliaia di vite, apparentemente senza alcun senso.
XI Capitolo - Zhora
Rinchiusa in un’umida cella, un cubicolo di due braccia per tre, con un pertugio minuscolo che faceva penetrare quel minimo d’aria necessario ad aerare il locale, Zhora, ridotta a pelle ed ossa, trascorreva nell’incertezza la sua prigionia. Dopo la cattura, ed un breve soggiorno a Copios, Go-Liah aveva deciso di trasferirla nella sua reggia di Awonya, riservandosi di prendersi il suo piacere a tempo debito. E proprio lì, in condizioni miserabili, la Regina Nera si macerava, giorno dopo giorno, in attesa che si compisse il suo destino. Veniva nutrita con acqua e piccoli roditori, quando, e se, i carcerieri si degnavano di farli are attraverso lo spioncino della robusta porta di legno e ferro. Sporca, emaciata, affamata, Zhora si stava lentamente, ma inesorabilmente, consumando. Aveva ormai perso completamente la nozione del tempo, potevano essere ate settimane, menses, o, addirittura, cicli, di certo si sentiva sempre più debole. Solo la sua mente cercava ancora di resistere ideando improbabili piani di fuga, buoni solo per tenere in vita la speranza, ma, palesemente, destinati a rimanere senza seguito. Il cigolio inquietante dei cardini della porta la destò, improvvisamente, dal suo stato di torpore, mentre una luce sinistra illuminò la sua cella buia, ferendone gli occhi ormai non più avvezzi alla luce. Due ombre entrarono nel suo campo visivo. «Alzati cagna!» ordinò una voce aspra. Zhora non reagì. «Sei forse sorda? Ho detto di alzarti cagna!» ripetè ancora la stessa voce, palesemente infastidita.
La regina cercò di abituare gli occhi alla luce e, lentamente, mise a fuoco i corpi robusti di due guardie, in calzamaglia e tuniche nere, che la fissavano con sguardo truce. Uno dei due entrò nella cella e la colpì con un violento calcio al volto che squassò il suo corpo colmando di un dolore intenso ogni fibra del suo essere. Zhora prese a singhiozzare sommessamente incoraggiando anche l’altro carceriere ad entrare nella cella. L’uomo la colpì a sua volta con lo stivale di cuoio assestandole un calcio violento e preciso all’altezza dello sterno che le fece mancare il respiro. Perse conoscenza per risvegliarsi solo quando una secchiata d’acqua gelata le piovve addosso, il suo corpo reagì urlando di dolore da tutti i pori. Lentamente prese coscienza del luogo in cui si trovava, era stata trasferita in un’ampia sala circolare, scavata nel granito, illuminata a giorno da innumerevoli torce che ardevano alle pareti diffondendo nell’ambiente un odore di resina bruciata. Aveva le braccia tirate sopra la testa, con i polsi legati strettamente da lacci di cuoio, ed era appesa al soffitto attraverso una catena fatta di robusti anelli di ferro. Era completamente nuda, come vide gettando lo sguardo su una lastra di metallo lucido che rifletteva la sua immagine, e quasi non si riconobbe. Nulla o quasi era rimasto della sua conturbante bellezza, i seni prosperosi erano ormai flaccidi e cascanti, il corpo sodo era ridotto ad un involucro di pelle incartapecorita che teneva insieme le ossa che sporgevano d’ogni parte. «Bene, molto bene... ti trovo davvero in forma Zhora.» la celiò una voce profonda. La risata che accompagnò le parole la fece trasalire, era Go-Liah in persona che la stava osservando. «Merito del trattamento premuroso della tua locanda.» provò a rispondere per le rime la donna, ma le sue parole uscirono smozzicate e flebili. «È dunque questo il tuo segreto? Sei solo un abominio!» continuò il mago
osservandola attentamente «Uomo, donna, cosa sei davvero? Uno scherzo di natura, un patetico errore. E dire che erano in così tanti a sbavarti dietro, a partire da quell’idiota di Wal-Hur, una vera manica di degenerati!» la sferzò con le sue parole taglienti Go-Liah, ammaliato dai suoi genitali doppi. «Anche tu avresti voluto che ti concedessi i miei favori, a quei tempi… e forse ancora adesso, visto come mi stai osservando.» lo provocò Zhora con un filo di voce. «Menzogne, solo sporche menzogne, taci sgualdrina!» si schernì furioso il mago «Sono solo venuto a dare un’occhiata al mio premio finale, per trarre ulteriore impulso ed ispirazione in vista delle prossime campagne militari!» rispose GoLiah, punto sul vivo. «Sei di ben poche necessità e pretese, visto che basta un povero relitto ad ispirarti.» lo bocciò con disprezzo la donna. «Ed è qui che ti sbagli, povera stupida. È proprio il vederti ridotta così che mi dà grande forza e che mi trasmette nuove energie. Guardo te, e come sei ridotta, ed immagino che presto anche tutti gli altri miei nemici faranno la tua stessa fine, ad iniziare da Wald-Hur.» rispose il mago, sprizzando cattiveria dai suoi occhi di bragia. «Finiscimi, dunque, cosa aspetti!» lo incitò Zhora. «Non ci penso affatto. Tu, anzi, sarai l’ultima della lista.» disse Go-Liah ridendo sguaiatamente. Il Mago Oscuro le voltò le spalle e si diresse verso un tavolaccio su cui erano allineati vari strumenti di tortura, ne trasse un pugnale con una lunga lama di ossidiana, affilatissima, e ritornò poi verso Zhora. «Ma non preoccuparti, mia cara, a tempo debito, chiuderemo definitivamente i conti. Adesso, nell’attesa, che ne dici se invece procedessimo con un bel taglio netto con il ato, e quando dico taglio...» sussurrò freddo. Accostò il pugnale tagliente ai genitali maschili di Zhora, sfiorandoli con il piatto gelido della lama: «Allora» soggiunse con una strana luce nello sguardo «visto che ora sono il padrone assoluto del tuo destino, sono un po’ indeciso, cosa tagliamo?» le chiese sorridendo.
«Cosa vuoi fare mostro?» urlò Zhora, immaginando le intenzioni del mago. «Ma, dolcezza, farò esattamente quel che più mi darà piacere, e cosa se no?» la blandì il sovrano. «Sei solo un essere immondo.» replicò Zhora che, raccolte tutte le sue forze, gli sputò. Solo qualche goccia di saliva arrivò però a colpire il volto sfigurato ed orrendo di Go-Liah. «È tutto qui quello che riesci a fare? Tutto il tuo spirito di ribellione si concretizza in un banale e patetico sputo, oltretutto anche mal direzionato?» le chiese, quasi divertito, e palesemente deluso, il mago. «E dire che mi ero quasi rassegnato ad accontentarmi, per ora, di una castrazione bianca, ma perché mai tenere in vita ancora qualche speranza? È meglio che ti spezzi fin da ora, sei ancora troppo poco remissiva, con questo tuo spirito indomito e agguerrito, così virile…» sproloquiò il mago ridendo sguaiatamente. Go-Liah si girò verso un angolo della sala e fece un cenno ad un paio di sacerdoti del Sole Nero, chiusi nelle loro inconfondibili e inquietanti tonache nere, che si avvicinarono subito, solerti e solleciti. «Dopo quel che mi accingo a fare dovrete usare tutte le vostre capacità di guaritori e maghi per farmi ritrovare in salute questo scherzo della natura, quando ritornerò da vincitore. Da questo momento avrete un unica missione: dovrete impedire che muoia e poi vi adopererete perché si rimetta in forze. Vi ritengo personalmente responsabili della sua vita. Se le dovesse succedere qualcosa vi farò squartare! È tutto chiaro?» chiese retoricamente ai due sacerdoti che assentirono, muti, con un lieve cenno del capo. Zhora ascoltò in silenzio la conversazione rabbrividendo. «La scelta è fatta e ne sei tu stessa l’artefice, a causa del tuo comportamento irrispettoso, mia bella regina. Sarà dunque una castrazione nera, preparati pure a dire addio ai tuoi gioielli maschili!» la condannò Go-Liah sorridendo. I due sacerdoti misero una striscia di spesso cuoio in bocca a Zhora mentre, con fare deciso, Go-Liah si avvicinò al corpo della regina, le ò una mano tra i seni smunti, scese poi fino al pube e iniziò a lavorare con pignola precisione intorno ai genitali.
Le urla strazianti, quasi inumane, di Zhora riempirono la sala circolare mentre Go-Liah, procedendo imperterrito nella sua operazione, traeva un evidente piacere come rivelavano le sue sconce risate. Il sangue, che zampillò copioso dall’orrenda mutilazione, lo inondò, ma la distruzione della virilità di Zhora proseguì fino al suo inevitabile epilogo. La Regina Nera, ormai, giaceva inerte, priva di conoscenza, abbandonata in una postura innaturale, che richiamava quella di una marionetta cui avessero tagliato i fili. Go-Liah mostrò, tronfio, ai sacerdoti e alle guardie il suo trofeo sanguinolento, che teneva orgogliosamente tra le mani: «Senza i suoi genitali maschili adesso sì che potrà farsi chiamare regina, ormai è solo una povera, debole, donnicciola. La sua virilità è morta definitivamente! Ma ora prendetevi cura di lei, guai a voi se dovesse succederle qualcosa prima del tempo.» chiosò rivolto ai due sacerdoti. Il mago si girò e imboccò la porta di legno in fondo alla sala, lasciandosi dietro una macabra scia di sangue. I due sacerdoti, aiutati da un paio di guardie, sciolsero i polsi di Zhora e, dopo averla calata a terra, ne adagiarono, poi, il corpo inerte su un tavolaccio di legno che provvidero a trasferire in una cella adiacente. I due monaci, rimasti da soli con lei, iniziarono ad occuparsi con sollecitudine della Regina Nera. Lavarono l’orrendo squarcio e lo cauterizzarono con il fuoco, poi, con sconosciuti unguenti ed impiastri, spalmati pronunciando oscure formule rituali, note solo agli iniziati al culto del Sole Nero, avviarono il lento processo di guarigione e recupero. Lunghe settimane di sofferenza attendevano ancora Zhora…
Capitolo XII – Flor-Hjan
A Rainbowfort l’avvento della bella stagione aveva portato un’aria nuova. I campi, dopo il disgelo, erano tornati alla vita, l’erba verde e rigogliosa era
punteggiata di fiori multicolori, che davano un significato ancor più evidente al nome della magione. Il fiume, cristallino, con le sue acque che scorrevano rapide e fredde, faceva finalmente lavorare a pieno regime il mulino. Ovunque ferveva una grande attività. I duri e lunghi menses invernali avevano portato moltissimi sbandati ed avventurieri a bussare alla porta della fortezza e, allontanati perdigiorno e male intenzionati, alla fine più di un centinaio di uomini, albi, nani ed elfi erano stati accolti. Con essi e i tanti altri che arrivavano alla spicciolata, ma costantemente, fu costituito il nucleo della prima centuria della Legione Primigenia, come FlorHjan e Merenwen avevano deciso di battezzare la loro formazione militare. Anche se le armi e gli scudi erano, per il momento, solo di legno, l’addestramento delle nuove reclute fu particolarmente duro ed impegnativo. I sei ragazzi, induriti e irrobustiti dagli esercizi invernali e dalla vita quasi monastica, iniziarono a mettere a profitto gli insegnamenti ricevuti. Impegnandosi con meticolosità nel ruolo di istruttori dei nuovi arrivati potevano quasi rivedere, nella loro goffaggine, quello che erano stati loro solo qualche mense prima. Quando la voce dell’esistenza di Rainbowfort e della neonata Legione Primigenia iniziò a diffondersi nelle lande confinanti, il flusso di nuovi arrivati, maschi e femmine di tutte le razze, crebbe ancora. Incuriositi ed attirati dalla vita all’aria aperta e dalla possibilità di vivere avventure ai più fin lì negate, in tanti, pieni di genuino entusiasmo, varcarono i cancelli della magione. Nel giro di alcuni menses la popolazione della fattoria fortificata salì in modo esponenziale, favorita anche dai venti di guerra che ovunque spiravano sempre più forti. Non ò molto tempo prima che iniziassero ad arrivare anche mercanti, artigiani, prostitute e braccianti. In breve, intorno alle mura della rinnovata fortezza, sorse un agglomerato di case e tende in cui vivevano profughi e sopravvissuti alle devastazioni dei conflitti che erano frattanto scoppiati in tutta Anaos. ***
«Flor-Hjan se la gente continuerà ad arrivare con questi ritmi scoppieranno presto i primi disordini e si scatenerà il caos…» considerò, sconsolata, Merenwen a fine autunno «Già adesso non sappiamo più dove alloggiarla ed iniziano a scarseggiare le risorse per far fronte alle esigenze e alle necessità di quella che è ormai diventata una piccola città. Ci occorrono leggi, ordine, polizia, bisogna fare qualcosa e farlo presto!» disse preoccupata la donna. «Non avrei mai immaginato, Merenwen, quando siamo arrivati qui» convenne Flor-Hjan «che da quegli edifici abbandonati avrebbe potuto in breve sorgere una grossa comunità. Neppure io ero preparato a tutto questo, io sono un guerriero, un condottiero di soldati, non so nulla di contadini, mercanti, artigiani, leggi, tasse.» concluse l’ufficiale preoccupato. «Tesoro, ti rendi conto che abbiamo la possibilità di creare qualcosa di unico, una società in cui genti di razze diverse possono finalmente convivere con le stesse leggi ed in armonia tra loro?» lo blandì Merenwen con una strana luce negli occhi. «Non nego che sarebbe un’impresa eccitante, un bel sogno da realizzare… ma noi siamo completamente a digiuno di conoscenze che esulano da tecniche e tattiche di combattimento.» si schernì dubbioso il guerriero. «Prova a considerare le cose da un punto di osservazione diverso. Noi due siamo stati condottieri di guerrieri e guerriere, ed abbiamo anche avuto l’onere di gestire delle truppe di fortezza, per giunta in periodi di guerra. Le logiche della gestione di una città e dei suoi cittadini non devono poi essere così tanto diverse. Certo, rispetto ad una formazione militare, una città è molto più variegata. Bisogna cercare di soddisfare i bisogni di più gente, uomini, donne, ricchi, poveri, contadini, artigiani, mercanti, professionisti. Ognuno con esigenze ed aspettative assai diverse, ma, come si guidano i soldati, allo stesso modo si possono indirizzare e guidare i cittadini, o no?» disse Merenwen entrata subito nella parte del politico. «A sentirti parlare con questo entusiasmo e convinzione, sembra che questo compito sia alla nostra portata. Ma ne sei davvero convinta Merenwen? Pensi che potremmo realmente riuscirci?» chiese il generale, ancora molto perplesso. «E perché no?» ribattè sorridente la donna Flor-Hjan guardò con una strana espressione Merenwen e poi balbettò: «Allora,
prima di intraprendere questa ardua impresa, che ne diresti di iniziare con il diventare la mia compagna?» chiese all’improvviso Flor-Hjan cambiando completamente prospettiva. «Mmh, cos’hai detto? Stavamo parlando di una città da gestire e ora mi cambi completamente discorso…ma non so se ho ben colto la tua proposta, potresti essere un po’ più esplicito e chiaro una volta tanto?» gli rispose la donna addolcendosi. «Ehm, lo sai… le parole non sono mai state il mio forte. Ci riprovo, allora!» disse il guerriero arrossendo imbarazzato. Flor-Hjan si schiarì la voce e disse balbettando: «Mi vuoi sposare Merenwen?» «Oh, intendevi, davvero… vuoi questo dunque? Scusami è che temevo di non aver capito bene» cercò di stemperare la tensione sorridendo «Sai ho paventato che non me lo avresti mai chiesto. Sono davvero felice, ecco... ma, sì, certo che lo voglio con tutta me stessa Flor-Hjan!» terminò Merenwen buttandogli le braccia al collo. «Mi sento un po' strano, non so come dire, è la prima volta... Ma, ora, andiamo a dirlo ai ragazzi, voglio che il nostro matrimonio sia organizzato con loro e da loro, visto che ormai sono diventati i nostri figli adottivi, in attesa, tra qualche tempo, di averne magari di tutti nostri.» balbettò Flor-Hjan, rosso come un peperone Gwen, Kahr, Arfen, Muryel, Sartyl e Jonas , fatti chiamare da alcune reclute, arrivarono trafelati nella sala del camino, dove tutti insieme avevano ato notti intere ad ascoltare storie, e, preoccupati, si misero sull’attenti aspettando gli ordini. «Rilassatevi ragazzi dobbiamo solo farvi un annuncio, è una cosa bella, nulla di cui preoccuparsi. Dai, Merenwen, diglielo tu.» si liberò subito della patata bollente il guerriero. Lei lo incenerì con lo sguardo e, visibilmente emozionata, parlò tutto d’un fiato: «Ragazzi, Flor-Hjan mi ha chiesto di sposarlo.» Le ragazze, in fibrillazione, all’unisono le chiesero: «E tu cosa hai risposto?»
«Sì!» disse la donna, gli occhi lucidi di commozione. Urla di giubilo risuonarono nella sala, i ragazzi circondarono subito Flor-Hjan dandogli delle gran pacche sulle spalle e abbracciandolo un po’ impacciati, le ragazze, molto più spontanee e genuine, saltarono letteralmente addosso a Merenwen abbracciandola e baciandola. «Abbiamo pensato, per la data, al solstizio della prossima estate, celebreremo il matrimonio il giorno di Beltane, quindi ci sono quasi nove menses per organizzarlo.» disse Merenwen tornando seria e distaccata «Ma, prima di allora, ci aspetta un duro lavoro, ragazzi, dobbiamo continuare a trasformare le reclute in un esercito e questo agglomerato di tende e case in una città ordinata e sicura. Quindi bando alle ciance e sotto con il lavoro!» li congedò con il viso forzatamente burbero. I menses seguenti furono davvero intensi, i due comandanti ed i sei ragazzi furono occupatissimi sia nelle attività militari che in quelle più prettamente civili. In via preliminare fu realizzato un censimento della popolazione che abitava intorno alla fortezza e, dal risultato, ne scaturirono le necessità e le priorità della nuova città. Nel contempo vennero anche redatti alcuni albi professionali. In essi vennero raccolti i nomi di artigiani, mercanti, contadini, professionisti, allo scopo di avere un quadro meno approssimativo della forza lavoro e delle relative capacità produttive in vista della gestione delle esigenze della futura comunità. Lentamente, ma irreversibilmente, stava ormai nascendo una nuova compagine sociale.
Capitolo XIII – Ma-Tek
Wald-Hur, nella sala del governo, era assiso intorno al massiccio tavolo di quercia insieme agli altri membri del consiglio ristretto, su tutti gravava
un’atmosfera pesante e carica di tensione e timori. Il Gran Sacerdote esordì: «Signori, i dispacci che giungono dal nord non lasciano adito a dubbi, Go-Liah ha approfittato dell’inverno per riorganizzarsi e fare affluire dal Ponte della Vita nuove, ingenti, truppe, ormai è solo questione di giorni perché scateni l’attacco. Abbiamo fatto quello che era nelle nostre possibilità, adesso non ci resta che attendere, e pregare. La nostra sola speranza è che quando arriverà a Torios il suo esercito sia già stato fiaccato ed indebolito dalla resistenza incontrata sulle sue direttrici di marcia negli altri regni. Ti prego di tratteggiare un resoconto sui preparativi di difesa posti in essere in queste settimane.» disse rivolto a Gualis. Il suo vice in comando guardò serio gli astanti e, rivoltosi a Wald-Hur, iniziò a parlare compito: «La chiamata alle armi delle varie classi di leva e l’afflusso di volontari da ogni landa di Torios, ha portato gli effettivi del nostro esercito ad oltre centomila uomini. L’addestramento di questi ultimi quattro menses è stato intenso e proficuo, l’equipaggiamento è di prim’ordine, il morale è sufficientemente alto, ma da qui a sostenere che siamo pronti a respingere qualsiasi nemico...» concluse balbettando, lo sguardo perso nel vuoto. «Uhm! Dicci pure cosa ti turba Gualis. È fin troppo evidente che non credi alla possibilità di una nostra resistenza vittoriosa, cosa c’è dunque al di là dei numeri?» lo interrogò preoccupato Wald-Hur. «Signore, tutto quel che abbiamo a disposizione sarebbe sufficiente, e quasi perfetto, per una guerra contro uno qualsiasi, azzardo, anche contro un paio, degli altri regni… Ma, contro le forze dei non morti di Go-Liah, abbiamo poca, o nessuna speranza, temo!» chiosò il sacerdote, profondamente turbato. «Prima della pausa invernale abbiamo inferto loro qualche duro colpo e li abbiamo in qualche caso anche respinti, le nuove tattiche hanno dato buoni frutti, allora perché nutri questa sfiducia che sa tanto di disfattismo Gualis?» chiese infastidito Wald-Hur. «Mio Signore, non tenete in considerazione un elemento fondamentale, Anaos, nel frattempo, è sparito dalle mappe! Le nostre forze si sono divise, mentre le schiere di Go-Liah hanno, non solo colmato le gravissime perdite, ma addirittura aumentato gli effettivi in linea. Non è difficile immaginare che elimineranno gli avversari uno alla volta: dopo aver invaso e conquistato Evyland si avventeranno
su Nylia e poi su Salara e, infine, con una manovra a tenaglia, ci piomberanno addosso da due direttrici diverse.» ipotizzò Gualis sempre più agitato. «Il quadro che ci stai prospettando è davvero inquietante, ma forse è un po’ avvelenato dal tuo consueto pessimismo di fondo. Ma dimmi, Gualis, queste sono solo delle tue supposizioni o sei a conoscenza di qualcosa che noi ignoriamo?» lo incalzò il Gran Sacerdote piuttosto insofferente. «Mi baso solo sui rapporti delle nostre spie riguardanti i movimenti di truppe e su quello che farei io stesso se fossi al posto di Go-Liah, Signore.» rispose il consigliere sulla difensiva. «Da quando in qua sei diventato uno stratega ed un condottiero? Comunque grazie Gualis, ci hai illustrato a dovere la situazione, ora non ci resta che attendere ed essere pronti a difendere il nostro regno e la nostra popolazione. Tornate alle vostre occupazioni ed adoperatevi al meglio per essere pronti quando arriverà il momento. Arrivederci signori!» li congedò Wald-Hur, profondamente preoccupato ed adirato. Quando il Gran Sacerdote rimase solo andò a recuperare la sua sfera del tempo e cercò, pronunciata la formula rituale, di scoprire cosa stesse succedendo al nord, ma quanto vide lo lasciò sconcertato. Tutto era avvolto in una nebbia irreale, chiaramente soprannaturale, che nascondeva ogni cosa. “Dannazione, le forze oscure sono scese in campo in massa, è tempo che ricorra anche io ad un alleato soprannaturale, anche se questo rischierà di costarci più di quel che guadagneremo. Ma senza l’aiuto di Ma-Tek e della sua Coorte Bianca non avremo alcuna speranza.” pensò amaramente Wald-Hur. Il Gran Sacerdote si diresse nei sotterranei, provvide di persona, usando un affilato coltello d’argento, a sacrificare, sull’altare dedicato al Sol Levante, un agnello di pochi giorni e, con il suo sangue, disegnò un pentacolo sul pavimento di pietra lavica nera. Pronunciò una serie di formule segrete con voce ferma e chiara, finché una densa nube di fumo nero avvolse tutta la stanza. Tossendo il sacerdote parlò: «O divino Ma-Tek, ti prego di mostrarti al mio cospetto, il tuo vecchio amico Wald-Hur ha bisogno del tuo aiuto.» invocò compito.
Dopo qualche istante una voce cavernosa e autoritaria, che mise i brividi a WaldHur, proruppe dal fumo: «Cosa c’è di così grave da osare disturbare la mia divina persona, uomo? Sai che il mio aiuto ha un prezzo, molto alto… Sei pronto a pagarlo, amico mio?» lo blandì l’essere con voce molto suadente. Una figura incappucciata emerse dal pentacolo, il suo volto era celato, mentre i suoi occhi erano un abisso senza fondo, impossibile guardarvi dentro senza perdersi. Wald-Hur, in ginocchio e a capo chino, balbettando, lo mise al corrente della situazione disperata di Torios e chiese un aiuto contro Go-Liah e le sue schiere di non morti. Ma-Tek ascoltò in silenzio, l’atmosfera della sala si fece improvvisamente pesante, un gelo innaturale scese su Wald-Hur, che, supplice, si prostrò ancor di più al suolo. «Mi stai invitando a scendere in campo contro un altro mio vecchio amico, perché mai dovrei farlo preferendo te a lui? Cosa mi offri di così speciale che lui stesso non potrebbe a sua volta promettere?» chiese con la sua voce gutturale il demone. «Penso, temo, assolutamente nulla… Ma te lo chiedo in nome dei vecchi tempi, quando eravamo amici inseparabili. Sono comunque disposto ad offrirti la mia anima e il potere su Anaos… a patto che io possa continuare ad essere il tuo rappresentante e strumento.» propose Wald-Hur scoprendo finalmente le sue carte. «Ah, dunque, alla fine ti riveli per quel che sei, e sei sempre stato. Sotto la tua tonaca cremisi batte un cuore avvelenato da una sconfinata ambizione di potere, degna, e non affatto diversa, di quella del nostro comune amico Go-Liah. Nulla invero ti interessa della salvezza della tua gente, a te importa solo il tuo ruolo, tu desideri sudditi da governare! Ma se è questo che vuoi, che così sia...» lo deplorò sprezzante Ma-Tek. «Sì… nulla ti può essere celato, mio Signore, ma non mi vergogno affatto, le mie intenzioni sono comunque buone. Il mio grande sogno è quello di poter governare, saggiamente e con soddisfazione per tutti, su Anaos, magari sull’intera Arasia e, forse, con il tuo aiuto, anche su tutta Laxyra. Se sarai al mio fianco io ti servirò fedelmente e potrò regalarti anime a migliaia per i tuoi
scopi.» provò a sedurlo il Gran Sacerdote, in preda ad un attacco di onnipotenza. Un denso fumo nero avvolse allora Wald-Hur, penetrando nel suo corpo semiimmortale, fino a raggiungere la sua anima oscura, così abilmente celata fino a quel momento, avviluppandola. Lo spirito di Ma-Tek si fuse con quello di Wald-Hur, e, dopo aver stritolato e divorato la sua pura essenza umana, diede vita ad un nuovo essere, esteriormente identico al Gran Sacerdote, ma completamente posseduto dal Signore delle Tenebre. “Non era forse quello che desideravi e pensavi, Wald-Hur, ma, grazie alla tua posizione e alla tua autorevolezza, finalmente potrò tornare ad essere un attore protagonista su questo pianeta abbandonando il mondo dell’ Oblìo. Ti sono grato vecchio amico, ma, alla fine, vince sempre il più forte, e, in questo caso, non eri certo tu…, addio!” pensò ridacchiando Ma-Tek. Quando, qualche tempo dopo, quello che era stato Wald-Hur si risvegliò dallo stato di profonda incoscienza in cui era piombato, di lui non era rimasto che un involucro vuoto, un corpo noto a tutti di cui però volontà ed azioni, erano quelle di Ma-Tek, il Signore delle Tenebre, catapultato direttamente dal mondo dell’ Oblìo su Laxyra. Ma-Tek, un brillante studioso e guaritore, era stato, due secoli prima, tra gli allievi più brillanti e capaci della celebre Accademia delle Scienze, e proprio in quelle austere aule aveva conosciuto e stretto amicizia con Go-Liah e Wald-Hur. La rivalità e l’ambizione sfrenata dei tre studenti pian piano prese il sopravvento sulla loro amicizia. E, prima a causa del simultaneo amore per la miglior allieva dell’Accademia, la bellissima elfa di stirpe regale Nemeris, poi, per dissapori sempre più profondi, i tre divennero rivali e infine nemici. Ognuno prese dunque la sua strada, Go-Liah si perse e si dannò percorrendo i sentieri della magia oscura, Ma-Tek quelli ancor più infidi della magia nera. Il solo Wald-Hur, rimanendo esteriormente fedele ai dettami della magia ufficiale, riuscì invece ad accumulare un potere ed un controllo tali da divenire il Gran Sacerdote, capace di governare, con saggezza e profitto, per quasi due secoli tutta Anaos. Ora però Wald-Hur, bruciato dall’ambizione, aveva sacrificato definitivamente
se stesso permettendo a Ma-Tek di rientrare da grande protagonista sullo scacchiere di Laxyra, aprendo a sviluppi del tutto imprevedibili.
Capitolo XIV - Zhora
I giorni avano lenti mentre Zhora giaceva in un letto priva di coscienza. Le cure, magiche e naturali, dei due sacerdoti del Sole Nero ebbero alla fine successo, e, dopo un paio di settimane , finalmente, la vampira si risvegliò dal coma. Il dolore era lancinante, ogni fibra del suo corpo urlava, si sentiva completamente svuotata d’ogni energia e volontà. Il suo corpo martoriato era lì a ricordarle quanto era successo, ma anche le sue percezioni erano profondamente cambiate. Aveva qualcosa in meno, una parte con cui aveva sempre convissuto e che le aveva permesso, in tutti quei lunghi cicli, di essere donna e uomo al tempo stesso, sensibile e virile, dolce e spietata. I suoi confusi e cupi pensieri vennero interrotti da una voce monocorde che pareva arrivare da un’altra dimensione: «Ecco, coraggio, bevi, lo so che è disgustosa, ma ti assicuro che ti farà bene. Il tuo corpo è ancora debolissimo per la lunga prigionia e per quel che è successo dopo, ti sei quasi dissanguata, ti abbiamo davvero preso per i capelli.» Zhora bevve l’intruglio, nero e amarissimo, e la smorfia che subito comparve sul suo viso sfatto testimoniò eloquentemente della sgradevolezza della bevanda. La donna ripiombò in un sonno profondo in gran parte popolato da orribili incubi. arono altre due settimane di cure e di incantesimi, in cui il suo corpo e la sua mente vennero trattenuti in una sorta di stato di sospensione. La sua forte fibra da guerriera alla fine ebbe però la meglio, e, lentamente il suo
corpo riprese vigore e, al suo risveglio, finalmente si sentì un po’ meglio. Zhora provò a sollevarsi dal giaciglio su cui aveva ato gli ultimi tre menses, ma anche un’azione così semplice e banale, le costò uno sforzo ed una fatica immani: la testa era pesante e le pareva che la stanza le girasse intorno, si rimise dunque distesa. Chiuse gli occhi e lasciò are un po’ di tempo, poi lentamente, con cautela e timore, riaprì le palpebre e provò a muovere lo sguardo, anziché la testa, per esplorare il luogo in cui si trovava. Era una cella più grande di quella dove, per diversi menses, era stata rinchiusa in precedenza, una finestra con delle sbarre arrugginite lasciava penetrare l’aria fresca della notte e la luce suggestiva di una luna dal colore rosa pallido. Udì dei i avvicinarsi ed il chiavistello della porta scattare, richiuse istantaneamente gli occhi. «Signora? Mi sentite?» la interrogò una voce graffiante. Una mano fredda le ò sulla fronte, poi, afferrata la ruvida coperta, che la copriva fino al mento, la gettò vicino alla porta. Con gli occhi semichiusi osservò la figura, quella di uno dei due monaci del Sole Nero addetti alla sua persona, che, dopo averla osservata con occhi lascivi, con una forbice tagliò le bende insanguinate che le coprivano il bacino. Con abilità, esperienza e sollecitudine il monaco iniziò a medicarle la profonda ferita, prima lavandola con cura, poi apponendovi un unguento dal forte odore di fango e terriccio. Zhora tentò di sbirciare la ferita, ma solo per ritrarsi istintivamente con orrore quando si rese conto che, al posto dei suoi genitali maschili, c’era ora un buco rossastro intorno al quale la pelle martoriata si stava lentamente rinsaldando attorno ai lembi slabbrati. Null’altro era rimasto della sua virilità! Spostò la testa verso l’alto a guardare il soffitto di pietra, mordendosi le labbra per non gemere quando, toccato dalle mani del guaritore, dal pube martoriato, si
irradiarono fitte dolorosissime che testimoniavano di come la carne fosse tornata a vivere. Finita la medicazione il monaco la fasciò nuovamente con bende pulite e la ricoprì con una nuova, morbida, coperta di lana. Questo rituale si ripeté uguale a se stesso per quasi un altro mense, in cui fu nutrita anche con cibi e bevande ricostituenti che, gradualmente, le permisero di recuperare le forze. Una mattina la vampira rimase dunque quasi sorpresa quando, dopo aver provato a sollevare il busto dal giaciglio, non le girò più la testa. Zhora si sentiva sempre meglio e un giorno decise di provare ad alzarsi e, con grandissima fatica, riuscì alfine ad ergersi in tutta la sua altezza. Le tremarono le gambe, com’era comprensibile, ma, appoggiandosi ad una parete della cella per non cadere, fece lentamente i suoi primi i. Le sembrò quasi di essere tornata a vivere e sorrise, per la prima volta, dopo tantissimo tempo. Giorno dopo giorno diventava sempre più forte, riuscendo a stare in piedi con saldezza, e a camminare più a lungo senza vacillare, anche i capogiri e i mancamenti divennero solo un brutto ricordo. Veniva regolarmente nutrita con zuppe e verdure, una dieta che aveva ormai abbandonato e dimenticato da decine di cicli. Qualche volta riuscì anche a bere il sangue caldo dei piccoli roditori che incautamente si erano avventurati nell’angusta cella. Un giorno si specchiò nel bacile pieno d’acqua, con cui faceva le sue abluzioni, che le restituì l’immagine riflessa di una donna dagli occhi di ghiaccio e dai capelli bianchi, il naso aquilino, le labbra cremisi. E sorrise compiaciuta. Cercò di usare poi il riflesso nel bacile per vedere anche il resto del corpo. L’immagine che vide era confortante, la carne era tornata a riempire gli spazi tra le ossa e la pelle, i seni non erano certo ancora quelli procaci di un tempo, ma avevano un qualcosa di diverso, erano più sodi e "femminili".
Poi si toccò l’addome, era ancora stretto da una fasciatura non più insanguinata, si fece coraggio e, lentamente, iniziò a srotolarla. Quando le bende caddero sul pavimento si avvicinò maggiormente al bacile e lo orientò verso il pube, quello che vide la sorprese e la spaventò al tempo stesso. Una profonda cicatrice le deturpava la pelle glabra, ma, sotto di essa, le grandi labbra della vagina le testimoniarono che ormai era solo una donna, in tutto e per tutto. Si toccò il sesso e lo esplorò traendone sottili brividi di piacere, mai provati compiutamente prima. Si accasciò allora sul pavimento di terra battuta emettendo un gemito che era un misto di dolore, perdita e disperazione, e si lasciò andare ad un pianto dirotto. I giorni continuarono a are, uguali a se stessi, colmati da tanti piccoli gesti ripetitivi, poi, quasi senza che se ne rendesse conto, iniziò ad esercitare il suo corpo ricevendone in cambio risposte sempre più rassicuranti. I due monaci le facevano ormai visita di rado, solo per portarle cibo e medicine, ma mai una parola venne da loro pronunciata, al di là dei saluti e dei convenevoli di rito, né mai Zhora provò ad interrogarli. L’aria che, attraverso le grate, penetrava dalla finestra divenne sempre più fredda, foriera di un nuovo inverno ormai alle porte.
Capitolo XV – Flor-Hjan
Un altro ciclo era ato, la guerra aveva continuato a divorare soldati e città. Interi regni erano stati conquistati ma, a Rainbowfort, nulla era cambiato, la gente, scacciata dalle sue terre, continuava ad arrivare e lentamente, oltre all’apparato militare, anche quello civile stava prendendo forma. Arrivò, con il solstizio d’estate, il giorno di Beltane e, per la gente che viveva in quell’affollato agglomerato di case e tende, esso era destinato a celebrare due grandi eventi: le nozze di Flor-Hjan e Merenwen e la fondazione ufficiale della libera città di Nuova Roma. Qualche tempo prima, nell’edificio principale della fortezza, Flor-Hjan aveva trovato una stanza murata, che, una volta aperta, portò alla luce una biblioteca piena di tomi e pergamene antichissime. Fu proprio sfogliando questi libri che Merenwen ne trovò uno che raccontava la storia di una grande civiltà di un lontanissimo ato: Roma. Studiandone la costituzione, l’organizzazione di governo, la struttura amministrativa e la macchina militare Merenwen ebbe l’intuizione, subito estesa a Flor-Hjan e agli altri notabili, di ispirarsi ad essa per governare e dotare di istituzioni pubbliche la nuova città che, in suo onore, sarebbe stata ribattezzata Nuova Roma. All’alba, di un giorno terso e luminoso, tutta la popolazione della comunità, in ordinato e compito corteo, seguì Merenwen e Flor-Hjan, che tracciarono i solchi dei confini esterni della città e posero la prima pietra di quelle che sarebbero state le sue possenti mura. Poi si ò alla cerimonia religiosa. Il rito venne celebrato dai sacerdoti della Luna Bianca che si erano installati nel territorio circostante. Essi sacrificarono un imponente toro nero, un agnello ed altri animali di piccola taglia, da cui trassero auspici estremamente favorevoli.
Con il favore degli Dei e le acclamazioni di una folla festante ebbe così i suoi natali Nuova Roma. Quando il sole giunse al suo culmine tutta la popolazione si trasferì all’interno delle mura di Rainbowfort per assistere alle attese nozze di Flor-Hjan e Merenwen. I ragazzi si erano dati molto da fare per organizzare la cerimonia. Nell’ultima settimana era stata allestita una grande tenda bianca, proprio di fronte all’edificio principale, per accogliere le grandi tavolate attorno alle quali i cittadini avrebbero consumato il lauto banchetto. Nell’aia era stata invece ricavata un’ampia zona, racchiusa da una struttura di legno su cui erano state avvolte ghirlande di fiori multicolori, in cui si sarebbe celebrato il matrimonio e dato il via alle danze. La folla si accalcava tutto intorno, ansiosa di poter vedere da vicino i due sposi. Flor-Hjan aspettava, come da tradizione, nei pressi dell’altare di legno, dietro il quale stavano tre sacerdoti della Luna Bianca nelle loro candide vesti. Il guerriero, visibilmente emozionato, indossava brache di morbido lino verde, stivaloni di pelle di daino e una giubba blu di seta a larghe falde. Al suo fianco, nel fodero dorato, spiccava la fedele "sterminatrice", la spada di acciaio temperato che gli aveva regalato Zhora quando lo aveva promosso al grado di generale. I tre ragazzi erano al suo fianco, vestiti allo stesso modo, ed entusiasti del loro ruolo di testimoni. L’aria si colmò di una musica romantica, la tradizionale marcia nuziale in voga nelle terre libere suonata con strumenti ad arco e percussioni, quando finalmente apparve Merenwen, seguita dalle tre ragazze, nel ruolo di damigelle d’onore, eleganti e sbarazzine nei loro morbidi vestiti di seta e tulle color lilla. La guerriera era bellissima, i capelli raccolti dietro la testa tenuti insieme da una coroncina di lapislazzuli blu, il lungo vestito candido di seta e tulle con inserti floreali multicolori, lo strascico lungo tre braccia, l’incedere elegante. Dalla folla si levarono mormorii di ammirazione ed invidia dalle donne,
acclamazioni entusiaste dagli uomini. Raggiunse l’altare al braccio di Gundar, il guaritore, l’uomo più eminente della comunità, amato ed apprezzato da tutta la cittadinanza. L’omone mise la mano di Merenwen in quella di Flor-Hjan e la cerimonia ebbe finalmente inizio. Come sempre il guerriero fu il più impacciato dei due, sia nel momento di pronunciare le formule dello scambio delle promesse, sia in quello dello scambio degli anelli, mentre la guerriera fu semplicemente perfetta, la voce stentorea e senza incertezze, lo sguardo fiero, il portamento regale. Quando, alla fine del rito religioso, i sacerdoti officianti invitarono Flor-Hjan a baciare la sposa, il generale ritrovò la sua sicurezza e afferrò Merenwen tra le braccia stampandole sulle labbra un bacio tanto casto quanto apionato. Gli evviva e gli applausi che si levarono d’ogni parte suggellarono il momento ufficiale e, finalmente, tutti poterono andare a prendere posto sotto la grande tenda per il grande banchetto. Danze, scherzi, spettacoli di danzatori e giocolieri, prove sportive e tanti brindisi riempirono l’intera giornata, rendendo quel matrimonio indimenticabile per tutti coloro che vi poterono partecipare. Come da tradizione toriana i maggiorenti della neonata città, le damigelle e i testimoni accompagnarono la coppia fin sull’uscio di casa. Flor-Hjan prese tra le braccia Merenwen e varcò la soglia, richiudendosi la porta dietro le spalle, mentre frizzi e lazzi, allusioni ed inviti a farsi onore tra le lenzuola si perdevano nella calda notte. «Finalmente soli» disse balbettando Flor-Hjan, decisamente alticcio. «Ma, dai, non mi dire che non eri contento di essere al centro dell’attenzione! Tanto non puoi nascondermi nulla, sei vanitoso come pochi» rispose con un sorriso luminoso Merenwen. La guerriera si sedette sulla sponda del letto, ricoperto di dolci e fiori di tutti i tipi e colori, allargò le braccia e chiamò a sé con uno sguardo malizioso il marito: «Che fai lì impalato, non vuoi venire a raccogliere il tuo premio?» gli sorrise.
«Uhm... è un invito o una sfida mia dolce mogliettina? Lo sai che la spada di questo guerriero è...» balbettò sconclusionato. Flor-Hjan, ubriaco fradicio, crollò miseramente sul letto nuziale iniziando a russare rumorosamente. Merenwen si mise le mani nei capelli, sorrise ironicamente e pensò, tra sé e sé, un po’ piccata: “Questi uomini, sempre così prevedibili e banali, mi chiedo se ho davvero fatto un affare a lasciare la strada di Lesbo.” La donna si liberò del suo elegante, quanto scomodo, vestito da sposa, e poi, con gran fatica, tolse stivali, brache e giubba a Flor-Hjan sistemandolo sopra le coperte. “Se mi avessero detto che avrei ato la prima notte di nozze al fianco di un uomo ubriaco non ci avrei mai creduto, accidenti, ma domattina mi dovrà restituire con gli interessi quanto mi sta ora negando.” pensò amara la guerriera. Il canto di un gallo e le primi tenui luci dell'alba svegliarono finalmente FlorHjan che, dapprima sollevò lo sguardo verso il soffitto, e, poi, si girò nel letto vedendo al suo fianco la sagoma di Merenwen che dormiva serena come una fanciulla. Il mal di testa gli ricordò la sbornia della sera prima e quel che era successo, almeno fino al momento di cui aveva memoria, prima cioè di quel buco temporale di cui nulla rammentava. “Accidenti che figuraccia da zotico, povera Merenwen, che delusione sono stato!” pensò vergognandosi. Si alzò, si diresse verso la porta, e, dopo essersi messo addosso una veste da camera di seta blu, discese dirigendosi verso le cucine. Entrato nell’ampio ambiente, già popolato di innumerevoli cuochi e sguatteri, si atteggiò un po’ con i presenti simulando una lasciva stanchezza, tutti lo guardarono sorridendo e dandosi di gomito. «Buongiorno Signore.» lo salutarono deferenti. «Buongiorno a tutti, avrei bisogno di qualcosa di sostanzioso da mettere sotto i
denti, per me e per la mia Signora, la notte è stata piuttosto faticosa.» ammiccò il guerriero sorridendo. E la risatina si estese, complice, a tutti gli astanti. Gli venne preparato un vassoio con latte di mucca, appena munto, frutta fresca, pane da poco sfornato, che riempiva l’aria di un profumo delizioso, burro ed un paio di ciotole contenenti marmellata di frutti di bosco e di pesche. Tornò alfine nei loro appartamenti, entrò, mise il vassoio sul tavolo e si avvicinò al letto con una tazza di latte e una bella fetta di pane, ancora caldo, imburrato e ricoperto di marmellata. Baciò teneramente le labbra di Merenwen che bofonchiò qualcosa e si girò dall’altra parte, Flor-Hjan tornò poco dopo alla carica, baciando sulle labbra la sua donna, che, questa volta, aprì gli occhi e, riconoscendolo, gli mollò un bel ceffone sulla guancia. «Ma che fai? Sono io, il tuo sposo!» rispose Flor-Hjan piccato. «Guarda che sono arrabbiata, mica cieca, mi sembra che tu te lo sia ampiamente meritato, anzi penso che sia il minimo dopo avermi lasciata tutta sola nel letto di nozze mentre russavi ubriaco. Vergognati!» lo aggredì Merenwen, apparentemente furiosa. La donna accompagnò queste parole con un secondo sonoro ceffone sull’altra guancia e si girò nuovamente dall’altra parte. «Come posso rimediare mia Signora?» ritornò alla carica il guerriero. Si avvicinò nuovamente facendole sentire il profumo del latte fumante e della marmellata. Lei si sollevò sulle braccia, lo guardò con occhi truci, e, un istante dopo, sorridendo dolcemente, gli afferrò la tazza ed il pane ed iniziò a mangiare. «Diciamo che questo è un buon modo per iniziare a farti perdonare, ma guarda che, se mi vizi così, potrei farci l'abitudine e, dopo, dovrai sempre portarmi la colazione a letto!» gli disse sorridente, la bocca piena di cibo.
«Ogni tuo desiderio è un ordine per me Mia Signora!» rispose assertivo FlorHjan. «Uhm, guarda che ti prendo alla lettera!» sorrise Merenwen, finalmente rilassata La sposa finì di bere il latte e di mangiare il pane, gli sorrise con un’espressione maliziosa, si liberò del lenzuolo che la copriva e, mostrandole il suo corpo nudo, atletico e sodo, gli disse: «Ti voglio, che aspetti ancora?» lo invitò. Flor-Hjan si tolse la vestaglia e le saltò addosso stringendola in un abbraccio caldo e forte. Le bocche si cercarono, le lingue si trovarono subito, il pene duro entrò senza indugi nella vagina già bagnata e i due corpi si unirono in un amplesso selvaggio, quasi animalesco. I due sposi persero ogni cognizione di tempo e di luogo, prendendosi e riprendendosi più volte, fino a che si ritrovarono esausti, l’una nelle braccia dell’altro, quando il sole era già ben alto nel cielo. «Ecco così va molto meglio, mio eroe!» disse, sorridendo, la donna «Ed ora immagino che non vedrai l’ora di andare a vantarti con i tuoi amici, davanti ad un boccale di birra gelata, decantando le tue doti di stallone…» lo provocò Merenwen. «Ma che dici mai mia Signora, sono un cavaliere ed un gentiluomo!» si schernì Flor-Hjan arrossendo. «Certo, come no! Vi conosco bene voi uomini, avete sempre solo quello nella testa, quasi che uno debba essere giudicato solo per quanto sia bravo sotto le lenzuola, e non per tutte le altre virtù! Ma non mi offendo, tesoro, basta che darai un giusto risalto alla mia collaborazione. E, per tua informazione, io farò altrettanto con le mie amiche, facendole schiattare di invidia» concluse ridendo di gusto. I due si abbracciarono, felici, e ritornarono, con rinnovato vigore, alle loro schermaglie amorose.
Capitolo XVI - Argolas
Argolas, dalla torre principale della imponente e solida cinta muraria che proteggeva Edar, la capitale degli Elfi del Nord e di tutta Evyland, osservava preoccupato l’orizzonte. Era ato oltre un ciclo da quando aveva seppellito Alexar ma il dolore che gli lacerava il petto non lo abbandonava un solo istante. Da allora non aveva fatto più ritorno a Nysok e, complice la disintegrazione di Anaos, si era gettato, anima e corpo, nella riorganizzazione e nell’addestramento dell’esercito degli Elfi. Più volte aveva guidato in battaglia i suoi soldati cogliendo importanti ed eclatanti successi. Ma tutto il suo impegno non era bastato come dimostrava lo spettacolo che si offriva in quel momento alla sua vista. La vasta pianura di fronte alle mura era infatti interamente occupata dallo sterminato accampamento delle forze di Go-Liah, migliaia di fuochi illuminavano a giorno le tende grigie che occupavano ogni spazio libero di terreno. «Che ne dici Zandras? Resisteranno le nostre mura al loro assalto?» chiese quasi a se stesso il comandante. «Generale, Edar non ha mai conosciuto l’onta di essere conquistata, perché mai dovrebbe capitare in questa circostanza?» rispose convinto il luogotenente. «L’esercito che abbiamo di fronte, a giudicare dalla sua estensione, è vicino alle centocinquantamila unità, e, da quel che possiamo vedere da qui, hanno centinaia di torri d’assedio di ultima generazione. Le nostre pattuglie hanno riferito anche di un migliaio tra catapulte, onagri, baliste...» snocciolò atono Argolas. «Non lo nego, i loro numeri sono davvero impressionanti, ma le nostre mura sono alte e robuste, il nostro esercito è addestrato e numeroso, il morale è alto.»
considerò Zandras cercando di confortare più se stesso che altri. «Cinquantamila soldati esperti certo, Zandras, ma anche centocinquantamila abitanti da rifornire di cibo ed acqua… Le nostre riserve, a causa del pessimo raccolto, sono piuttosto scarse, e, se decidessero di volerci prendere per fame, la nostra autonomia non arriverebbe a superare il paio di menses. A razioni ulteriormente ridotte, potremmo forse arrivare a tre, ma poi...» asserì realista il generale. «Non penso che intendano prenderci per fame generale, amano la battaglia ed il sangue, si getteranno all’assalto con tutte le loro forze!» convenne sicuro l’ufficiale. «Lo penso anch’io, dunque non ci resta che attendere, convoca tutti gli ufficiali, li voglio nella sala delle armi tra un’ora, ora va!» ordinò il generale. Zandras batté i tacchi e si allontanò lungo il camminamento delle mura, fino a sparire dalla vista di Argolas. *** Nella tenda regale Go-Liah teneva a rapporto i suoi ufficiali illustrando loro il piano d’attacco che doveva scattare alle prime luci dell’alba. «Signori questa notte i nostri esploratori finiranno di ispezionare, palmo a palmo, il terreno a ridosso delle mura, questa volta non voglio sorprese. I fossati con i pali appuntiti e con l’acqua benedetta, che ci avevano causato tante perdite in ato, sono già stati tutti identificati e segnalati. Sono pronti centinaia di ponti e erelle mobili per i nostri assaltatori, ora non ci resta che scegliere dove posizionare le nostre torri d’assalto.» esordì il Mago Oscuro con uno sguardo sornione e soddisfatto. «Le nostre avanguardie sono tutte in attesa nei pressi dei picchetti, aspettiamo solo i vostri ordini Sire.» riferì un generale. «Appena avremo le mappe complete con gli ostacoli e i sentieri d’assalto, ve le farò recapitare, poi seguirà il segnale d’attacco: tre suoni lunghi alternati con due brevi. La prima ondata sarà formata da circa diecimila assaltatori, che si muoveranno dopo che baliste, catapulte ed onagri avranno bersagliato le mura e la città per almeno un paio d’ore. Mi raccomando voglio in linea quanti più
proiettili incendiari possibile, dobbiamo scatenare un vero inferno di fuoco sulle mura e sulla città.» definì con baldanza Go-Liah «Ed ora tutti ai vostri posti e non abbiate alcuna pietà per il nemico. Buona fortuna a tutti!» Go-Liah, congedati i suoi generali, dopo essersi fatto servire, in un calice d’oro tempestato di rubini, del vino corretto con miele, brindò al buon esito dell’attacco sorridendo. *** Nell'altro campo Argolas era preso anch’egli dagli ultimi preparativi, e, convocati i suoi ufficiali, illustrò loro la situazione assegnando a ciascuno incarichi e compiti. Fu particolarmente fermo e determinato, non nascondendo la delicatezza della situazione e la grandezza del pericolo che incombeva su tutti loro. Quando le tenebre iniziavano a dileguarsi, lasciando posto ai primi bagliori dell’alba, tre suoni lunghi e due brevi squarciarono il silenzio. In pochi istanti un vero inferno di fuoco si scatenò dal cielo, sotto forma di proiettili incendiari e dardi di tutte le dimensioni, che, atterrando su mura, case, uomini, seminarono panico, morte e caos tra i difensori. Argolas si affannava sulle mura impartendo ordini alle varie staffette, mentre squadre di volontari civili si dannavano correndo qua e là nel tentativo, spesso vano, di spegnere gli innumerevoli focolai di incendio che sorgevano un po’ ovunque. Una disperata, ma efficiente, catena umana faceva correre i secchi ricolmi d’acqua dalle fontane e dalle cisterne verso gli incendi che parevano sempre assetati, ingoiandone litri e litri. Ma, nonostante la grande abnegazione di tutti, sembrava una battaglia già persa in partenza, per ogni focolaio che veniva spento, se ne accendevano, infatti, altri due o tre da qualche altra parte. I crolli dei tetti e delle mura degli edifici contribuivano ad acuire il panico tra i civili che si riversarono in massa nelle strade cercando di sfuggire al sistematico, terribile, bombardamento. Le possenti mura esterne continuavano a resistere, profonde e solide quali erano. Ma, a decine, caddero i soldati, trafitti dai proiettili delle baliste e degli onagri
che cadevano a grappoli riducendo in ammassi sanguinolenti di carne ed ossa i malcapitati che venivano centrati. Argolas, dalla sua posizione privilegiata, osservava attentamente il susseguirsi degli eventi incitando i suoi soldati ed invitandoli a mantenersi al coperto in attesa del momento dell’assalto vero e proprio. Il rumore dei tonfi e degli scoppi era assordante, le rovine fumanti di case private ed edifici pubblici saturavano l’aria di un acre e soffocante fumo nero, mentre il disgustoso odore di carne bruciata toccava già lo stomaco dei più sensibili. Il tempo sembrava quasi essersi fermato, solo la rovina aumentava di minuto in minuto per effetto di un bombardamento incessante e sempre più preciso e distruttivo. Ad un certo punto si ebbe la percezione che il terreno tremasse, straziato dal rotolamento dalle possenti ruote di legno e ferro delle macchine da assedio che percorrevano la spianata per portarsi sotto le mura. Argolas si sollevò sul parapetto, rischiando di prendersi in pieno petto una freccia di balista, che lo mancò d’un soffio, e quello che vide lo riempì di sgomento: un numero impressionante di torri d’assalto stava lentamente avvicinandosi alla cinta muraria. Immediatamente strillò ai suoi soldati l’ordine di lasciare i ripari e di portarsi ai posti di combattimento. Quasi dal nulla migliaia di elfi si spostarono all’unisono, lasciando i loro ripari, per prendere posto sulle mura. I serventi accorsero ai loro posti, sui camminamenti di ronda e nelle torri, presso le grandi macchine da difesa, attorniate da mucchi di pietre, dardi e calderoni fumanti. Migliaia di arcieri e i balestrieri si accovacciarono invece vicino alle feritoie ed iniziarono a tendere le corde di archi e balestre. D’improvviso, così com’era iniziato, il bombardamento cessò, un silenzio quasi irreale scese sul campo di battaglia mentre la tensione raggiunse il massimo. «State pronti….Al mio segnale scagliate tutto quello che avete sul nemico!» ordinò Argolas con voce ferma.
Un coro di urla agghiaccianti squarciò il silenzio seguito, subito dopo, da una massa urlante di bestie e soldati che si slanciarono verso le mura sotto l’ombrello protettivo di una pioggia fittissima di frecce. Gemiti di dolore e tonfi sordi punteggiarono i camminamenti sulle mura da cui a centinaia caddero i difensori che si erano esposti troppo. Nel frattempo, rotolando, le torri d’assalto si stavano avvicinando sempre di più alle mura. «Ora!» urlò Argolas dando finalmente l’ordine di rispondere al fuoco nemico. Migliaia di proiettili, scagliati da catapulte e onagri, e di dardi, scoccati da archi e balestre, disegnarono nel cielo le loro traiettorie ricurve alla ricerca di corpi in cui terminare la loro corsa letale. Il frastuono dell’impatto contro scudi, corazze e carne viva fu impressionante, nelle fila degli assalitori si aprirono spaventosi vuoti, che però vennero subito colmati dalle nuove ondate di creature furiose che sopraggiungevano. Centinaia di pesanti pietre e calderoni di olio fumante vennero versati sulle truppe che si stavano ammassando sotto le mura seminando panico e morte. Urla agghiaccianti di dolore rimbalzarono dal terreno fino a giungere nitide ai difensori sugli spalti, ma le macchine d’assalto vennero comunque addossate alle possenti mura. «Il fuoco, presto, scagliate le frecce incendiarie sulle torri.» urlò freddo il generale degli elfi. Argolas e Zandras si affannavano lungo i camminamenti impartendo ordini e non lesinando incitamenti ai soldati, la reazione dei difensori era adeguata e proporzionata alla furia degli attaccanti. I vuoti che iniziavano ad aprirsi fra le truppe di Go-Liah erano spaventosi. Un nuovo pericolo si palesò ai difensori quando, in una sequenza, quasi ritmica, si udirono in rapida successione una serie di sorde ed impressionanti esplosioni. Un denso fumo, provocato dalla cenere e dalle macerie, si levò nel punto in cui le mura si incastravano nelle torri di guardia. Ordigni di polvere nera, portati a ridosso delle mura da squadre di assaltatori, avevano prodotto i loro nefasti effetti brillando nei punti più deboli.
Argolas si sporse oltre il parapetto e cercò di capire cosa fosse successo sotto la sua torre. Vide così un enorme cratere laddove le mura esterne si innestavano nella torre e, con orrore, notò anche le centinaia di nemici che già stavano iniziando a fluire all’interno della città. Sbiancò quando, osservando alla sua destra e alla sua sinistra, vide la medesima scena in prossimità d’ogni torre. “Dannazione, le mura sono ormai perdute, è l’inizio della fine!” pensò amaramente il generale. Argolas mantenne tuttavia il suo sangue freddo e diede immediatamente incarico alle staffette di ordinare ai vari ufficiali di ritirarsi dietro la seconda linea di difesa. Mentre dava un ultimo sguardo alle torri d’assalto che stavano riversando sui camminamenti decine di soldati e creature, sentì un colpo fortissimo appena sotto la spalla destra. Vide con la coda dell’occhio una freccia con le piume nere che aveva trovato un pertugio non protetto tra il collo e l’attacco della cotta di maglia. Il dolore era lancinante, gli pareva quasi che la spalla stesse andando a fuoco, ma la cosa davvero preoccupante era la quasi impossibilità di muovere spalla e braccio. Argolas, arrancando, abbandonò la sua postazione e discese i gradini di legno per correre verso il cuore della città. Guadagnata una delle arterie principali venne subito inghiottito da un mare di civili e soldati sbandati che fuggivano disordinatamente, incalzati da presso da una massa urlante di nemici che stava esondando dai varchi aperti nelle mura. Una creatura possente, armata di un’ascia bipenne, gli si parò di lato, Argolas si mise subito in guardia e, non senza fatica, riuscì a parare il primo affondo dell’avversario. Non avendo la protezione dello scudo poteva difendersi solo con la spada, che impugnava con la mano destra. L’altro braccio, inerte, pendeva, ormai inutile, lungo il fianco, mentre il dolore della freccia nella spalla gli ottenebrava i riflessi. Con sempre crescente difficoltà riuscì a parare altri due affondi del suo avversario, poi vide la testa della creatura finire lontana, spiccata dal collo da un preciso colpo d’ascia che un elfo in ritirata aveva messo a segno. «Grazie» riuscì a farfugliare, ma quello non ebbe neppure il tempo di
rispondergli che una lancia lo traò abbattendolo. Argolas riprese a correre facendosi strada a furia di spinte e fendenti. Si combatteva ormai di strada in strada, casa per casa. I soldati elfi, abbandonate le mura, ripiegarono, secondo il piano prestabilito, con l’intento di creare un cuscinetto che permettesse ai civili di rifugiarsi all’interno della seconda cinta di mura. Era quello l’ultimo ridotto di difesa, che proteggeva il palazzo reale, gli edifici pubblici e la zona residenziale della nobiltà di Edar. Argolas, intanto, sempre più sofferente, continuava a trascinarsi combattendo nel tentativo di percorrere la mezza lega che lo separava dalle mura interne, ma, quasi ad ogni incrocio, doveva arrestarsi ed incrociare le lame con nuovi feroci assalitori. In uno slargo in cui confluivano due strette vie si ritrovò così a dover fronteggiare un troll ed un non morto umano. Parò con la spada l’affondo di quest’ultimo, poi si spostò di lato piegandosi, per evitare il colpo di mazza ferrata portatogli contro dal troll, ma i suoi movimenti risultavano sempre più lenti e prevedibili. Il secondo assalto lo trovò leggermente sbilanciato e la sua reazione non fu adeguata alla bisogna. L’elfo riuscì ad evitare il colpo inferto dal troll con la mazza ferrata, ma non anche l’affondo portato dal non morto con la spada. La lama d’acciaio penetrò così nel suo addome aprendo uno squarcio profondo da cui iniziò a fuoriuscire copioso il sangue. Argolas sentì le forze venirgli improvvisamente meno e crollò sulle ginocchia mentre un freddo innaturale stava già iniziando ad avvolgerlo. Levò ancora una volta gli occhi al cielo, azzurro e rischiarato da un sole caldo e luminoso, mentre un sorriso appena accennato gli increspò le labbra. L’ultima cosa che vide fu la partenza del fendente del non morto che gli spiccò di netto la testa dal collo. Il corpo, ormai decapitato, rimase ancora in ginocchio per qualche istante, poi crollò rovinosamente al suolo, presto travolto da centinaia di piedi che si affrettavano verso il centro della città. La barricata, approntata a trecento piedi dalle mura, e che doveva fungere da cuscinetto di sicurezza, venne travolta come un fuscello dalla marea di assalitori. Le truppe che la difendevano vennero letteralmente fatte a pezzi da troll, gnomi, non morti, goblins e lycas che vi si scagliarono contro come bestie furiose.
Le porte della cittadella rimasero colpevolmente aperte per qualche momento di troppo permettendo agli assalitori, animati da una ferocia ed una forza inarrestabili, di avere la meglio su chi tentava di chiudere le pesanti ante di ferro. Le truppe di Go-Liah poterono così irrompere nel cuore della cittadella. Le scene che animarono il seguito della giornata furono apocalittiche, edifici messi a ferro e fuoco, civili e soldati fatti a pezzi, donne stuprate e mutilate, vecchi e bambini ati a fil di spada senza alcuna pietà. Il palazzo reale venne assaltato da una massa inferocita di creature che, penetrata nelle grandi sale, distrusse arazzi, quadri, suppellettili, mobili, uccidendo chiunque opponesse resistenza. Al termine della giornata gli unici sopravvissuti alla mattanza risultarono i personaggi più eminenti del regno: la famiglia reale al gran completo ed i consiglieri del re, che vennero tutti fatti prigionieri. Quando le prime ombre della notte calarono su quella giornata di orrori di Edar rimanevano ormai solo cumuli di macerie fumanti. Le strade e le case devastate erano piene di cadaveri mentre un acre odore di morte permeava di sé l’aria calda della serata estiva. Se il giorno era stato un’apocalisse, la notte fu un vero inferno, le truppe del Mago Oscuro, ebbre di vittoria, attuarono una vera e propria caccia all’elfo. Soldati, civili, donne, vennero stanati, catturati, stuprati, uccisi, squartati, messi al rogo, senza soluzione di continuità e con ferino godimento, fino al sorgere della nuova alba, preannunciata da un cielo rosso sangue. Go-Liah, nella sua tenda-quartier generale, ascoltava compiaciuto i resoconti dei suoi generali, le perdite erano state spaventose, più di trentamila dei suoi soldati erano stati inghiottiti nel mattatoio in cui si era trasformata Edar, ma il nemico era stato praticamente annientato. L’esercito elfo a protezione della città era stato completamente distrutto, la popolazione civile sopravvissuta, non più di ottantamila anime, era ormai tutta in catene. Nuovi schiavi in quantità per il suo regno! Quando il sole raggiunse lo zenit Go-Liah, accompagnato dai suoi consiglieri più fidati e dai generali, entrò finalmente nella città. Lo spettacolo che si offrì alla loro vista era desolante, della splendida capitale
degli elfi rimanevano ormai solo macerie. Le strade e gli splendidi giardini erano ricolme di cadaveri e di membra sparse ovunque, il lezzo dei corpi in decomposizione e del sangue sparso dappertutto riempiva l’aria caldissima aggredendo le narici e lo stomaco di chiunque si avventurasse in quell’inferno. «Bene, direi che è stato fatto proprio un ottimo lavoro, gli elfi del nord hanno imparato a loro spese cosa vuol dire opporsi a Go-Liah, ora non ci resta che cancellare del tutto questo sito.» disse compiaciuto il Mago Oscuro con una sonora risata. Rivoltosi ad uno dei suoi più fedeli generali ordinò asciutto: «Magua, forma subito delle squadre miste, desidero che tutto quel che resta venga cosparso di pece e altre sostanze infiammabili. Appena avrete finito procedete appiccando il fuoco, e, quando tutto sarà arso fino alle fondamenta, cospargete del sale su tutta l’area cittadina. Di Edar non deve rimanere alcuna traccia, in seguito provvederemo a cancellarne il suo ricordo anche in tutte le scritture!» In quel modo l’onta della sconfitta nelle Guerra delle Rune, che aveva prodotto il suo lungo esilio, era stata alfine lavata, Go-Liah si lasciò andare ad un rilassato e compiaciuto sorriso.
Capitolo XVII - Zhora
Zhora, ritornata in forze, iniziò a pensare seriamente a come fuggire da quel posto maledetto. Studiò a fondo i suoi carcerieri e decise di giocarsi le sue carte provando a sedurre il più giovane dei due sacerdoti del Sole Nero, quello che fin da subito l’aveva guardata con lascivia e desiderio. Quando Adras si presentò nella sua cella, lei gli sorrise maliziosa, lo chiamò a sé e iniziò a blandirlo. «Cosa fai Regina, lo sai che non posso, ne va della mia vita.» tentò di difendersi il monaco, gli occhi ardenti di desiderio. «Forza Adras, non lo saprà mai nessuno, non è forse questo che vuoi? Ho visto come mi guardi fin dal primo giorno.» gli sorrise la vampira avvicinandosi con andatura sinuosa. «Il mio ordine prevede il voto di castità per i suoi membri, non posso proprio, lasciami stare, ti prego!» si schernì il sacerdote senza troppa convinzione. Adras cercò di allontanarsi dirigendosi verso la porta. Zhora lo apostrofò allora con voce mielosa: «Adras, sei davvero sicuro di non voler approfittare di questo?» Il monaco, guardandola intensamente, esitò. Con una mossa sensuale la regina si fece cadere dalle spalle la rozza tunica di iuta che indossava, offrendo alla vista dell’uomo un corpo, tornato florido ed invitante, che un sorriso ammiccante rese ancor più desiderabile. «Sei un demonio tentatore Regina. Allontanati!» quasi urlò il monaco con il fiato ormai corto. Adras aprì in modo impacciato la porta e se la richiuse rumorosamente alle spalle lasciando Zhora sola, sconfitta e furiosa.
La regina si rivestì mestamente, maledicendo la propria sorte, poi scagliò una coppa di legno contro le pareti della cella e si lasciò cadere infine sul giaciglio di foglie secche mentre lacrime salate le rigavano il viso. ò qualche tempo, poco, tanto… Zhora aveva del tutto perso la cognizione spazio-temporale, quando la serratura della porta cigolò nuovamente e la porta venne bruscamente spalancata. Entrarono Beras, l’altro sacerdote, e due carcerieri dal viso butterato ed orrendo, il cui odore animalesco penetrò nella cella invadendola. «Eccola! Quella è la puttana del demonio, datele una bella lezione!» ordinò il sacerdote con la sua voce flebile ed effeminata. I due bruti si avvicinarono al giaciglio e tirarono per i capelli Zhora, che scalciava urlando, le strapparono la tunica di dosso ed iniziarono a percuoterla con schiaffi, pugni e calci. La regina tentò invano di difendersi e urlò per il dolore senza riuscire a destare alcuna pietà nei suoi aguzzini. I due bruti continuarono a picchiarla con forza finché, dopo un tempo che le sembrò eterno, Beras non ordinò loro di smettere. «Basta così ragazzi, possiamo andare ora, la nostra regina ha imparato la lezione!» li congedò con un’espressione di malcelata soddisfazione sul volto. Il corpo di Zhora era squassato dal dolore, il volto era completamente tumefatto, lividi viola coloravano la sua pelle diafana, fitte terribili alle costole e al bacino la facevano sussultare ad ogni respiro. Rannicchiata sul freddo e polveroso pavimento di terra nera rimase, stordita, a fissare il soffitto della cella. Le ore arono come se non le appartenessero, le pareva quasi di potersi osservare dall’alto mentre giaceva inerte, in un dormiveglia agitato da sogni ed incubi, e la sua voce atona pronunciava parole sconnesse. Finalmente, ato un tempo che le sembrò breve ed eterno al tempo stesso, ritornò gradualmente in sé, si alzò con fatica e, avvicinatasi al bacile di latta, si lavò il volto e le ferite e cercò di mangiare gli avanzi di cibo trovati nel vassoio vicino al giaciglio.
Ci vollero più di due settimane per rimettersi in piedi e ritornare a respirare senza provare più dolore. Nei periodi in cui era stata incosciente qualcuno si era preso cura di lei, come notò dalle bende che aveva addosso e dall’odore forte di unguenti e pomate che le erano stati spalmati su lividi e tagli. “Non può essere stato che Adras a curarmi. L’ordine di conciarmi in questo modo non è partito da lui, è sicuramente stata un’iniziativa personale ed intimidatoria di Beras, che, non so come, deve aver intuito qualcosa. Non posso essermi sbagliata a tal punto!” pensò dubbiosa. Il rumore secco prodotto dalla chiave nella serratura la distolse dai suoi pensieri. Adras si affacciò nella cella, guardingo e imbarazzato, Zhora lo guardò e gli disse grata: «Grazie per esserti preso cura di me dopo quello che mi hanno fatto.» «Mi dispiace molto mia Signora, non avrei mai potuto immaginare che, dopo aver confessato a Beras i miei turbamenti, ti fe picchiare a sangue.» si scusò balbettando il giovane monaco. Adras si avvicinò al giaciglio e poi si lasciò cadere in ginocchio: «Mi potrai mai perdonare? Io provo pensieri e desideri impuri per te, lo sai? Lotto notte e giorno per scacciarli, ma non ci riesco, non ce la faccio a non pensare a te, a non desiderarti.» si dichiarò arrossendo. Il monaco iniziò a baciarle i piedi, poi salì, colmando di baci apionati le lunghe e affusolate gambe, infine arrivò al pube e vi affondò la testa cercando il sesso con la lingua. Zhora lo afferrò per i capelli, gli accarezzò la testa: «Lasciati andare Adras, non puoi sfuggire al tuo destino, io sono quello che hai sempre cercato e rifuggito, e questo è il momento, prenditi tutto il piacere che desideri, fammi godere!» lo incoraggiò maliziosa. Il loro amplesso toccò tutte le corde del piacere, prima tenero, inesperto e quasi impacciato, poi sempre più apionato, infine quasi violento, animalesco. I due si baciarono con dolcezza, quando, spossati, si ritrovarono avvinghiati in un abbraccio quasi disperato. «Mia Regina, non avevo mai pensato, ma neppure solo immaginato, che si potesse provare un simile piacere, non ho parole…» disse il monaco esausto ed appagato.
«Adras, sei il mio primo uomo dopo che Go-Liah mi ha… mi ha reso solo donna, per questo ti ricorderò per sempre. Ma adesso, ti prego, devi aiutarmi a lasciare questa cella. Io devo assolutamente scappare, Go-Liah mi farà a pezzi quando tornerà.» lo supplicò mielosa Zhora. «Il palazzo è sorvegliatissimo, nessuno può entrare o uscire senza essere visto, è impossibile fuggire da qui.» sentenziò Adras. «Voi due vivete nel palazzo?» chiese la vampira interessata. «No, viviamo nel nostro convento a cinque leghe da qui» rivelò il monaco. «Quando entrate vi perquisiscono, avete qualcosa da cui vi riconoscono?» indagò la donna. «Io sono sempre perquisito e interrogato... sì. Ma, ora che mi ci fai pensare, Beras, no! Lui a sempre senza che nessuno lo importuni, anche con il cappuccio del saio tirato su a volte.» rammentò e le svelò il giovane. «Perfetto, allora sarà Beras il mio aporto per la libertà.» asserì convinta Zhora. «Cosa avete intenzione di fare mia Signora?» chiese il giovane monaco curioso. «Nulla che tu debba sapere, non voglio che ti succeda qualcosa di spiacevole. Meno sai e meno potrai dire se le cose dovessero mai andare male, ma adesso, vieni da me!» concluse premurosa la vampira attirandolo nuovamente a sé. I due ripresero i loro infuocati giochi d’amore raggiungendo più volte il culmine del piacere, tanto che la sera li ritrovò, sfiniti, ancora l’uno nelle braccia dell’altra. Adras si rivestì lentamente e osservò Zhora con uno sguardo velato di malinconia: «Questa è stata la nostra prima ed unica volta, vero? Non ci vedremo mai più?» chiese retoricamente il monaco. «Mio caro Adras, la vita va vissuta e gustata attimo per attimo, e noi abbiamo avuto un momento tutto per noi, piacevole ed appagante. Domani è però un altro giorno e la vita va avanti verso il destino che è stato scritto per noi.» lo consolò la donna con occhi velati di lacrime.
Si abbracciarono e si baciarono un’ultima volta, poi Adras si richiuse la porta dietro di sé scomparendo dalla vista di una Zhora nuovamente combattiva. Quando, il mattino seguente, sentì la serratura sbloccarsi, la donna finse di dormire. Beras si avvicinò inconsapevole al giaciglio, rassicurato dal respiro regolare della regina, poi le voltò per un attimo le spalle. La vampira, rapida come solo una creatura della notte poteva essere, assalì il carceriere alle spalle stringendogli le mani attorno al collo taurino. Beras cercò di reagire e di liberarsi in tutti i modi dalla morsa che si faceva sempre più stretta e ferrea, ma i suoi sforzi risultarono vani. La sua resistenza lentamente si affievolì fino a che il corpo del sacerdote si afflosciò, inerte, privo di vita. Zhora, un ghigno sinistro a stravolgerle l’espressione del viso, fece scattare i suoi canini e li affondò nel collo del monaco, succhiando fino all’ultima goccia il sangue che era in circolo. Quando si chetò, finalmente sazia, e pienamente in forze, un rivolo di sangue colava ancora dal lato sinistro della bocca. La vampira sorrise soddisfatta riassumendo un’espressione innocua e femminile. Fece cadere dalle spalle la sua tunica e, dopo aver spogliato Beras, ne indossò il saio e sistemò il corpo sul giaciglio coprendolo fino a metà del viso con la coperta. Si sistemò per bene e, con il cuore che batteva all’impazzata, infilò la chiave nella serratura che si sbloccò dandole accesso allo scuro corridoio esterno. Adras le aveva sommariamente descritto il percorso che doveva seguire per raggiungere l’uscita, e adesso, con le gambe che le tremavano per la tensione, si ritrovò a percorrere lunghi corridoi, ballatoi e scale, finché, finalmente, arrivò nei pressi del portone d’ingresso dov’era situato il corpo di guardia. Un troll, le rivolse appena uno sguardo distratto, un non morto invece le fece un cenno con la mano: «Signore, come sta oggi la prigioniera?» Zhora fu colta dal panico, la sua voce l’avrebbe tradita, il silenzio avrebbe destato sospetti, decise di azzardare e fece un segno per rappresentare che stava dormendo.
Il non morto, evidentemente soddisfatto, si alzò, aprì il cancelletto laterale e la lasciò uscire. La Regina Nera, fece ancora alcuni i incerti per allontanarsi dalla vista delle guardie poi, svoltato l’angolo, si diresse sicura verso il denso bosco che si intravvedeva in lontananza.
Capitolo XVIII – Flor-Hjan
A Nuova Roma, ispirandosi agli scritti trovati nella biblioteca, Flor-Hjan e Merenwen continuavano intanto il loro processo di costruzione politica e militare della nuova città. Era ato ormai più d’un ciclo dalla fondazione e dal matrimonio, periodo in cui le strutture civili, sociali e religiose erano state approntate e si erano andate sviluppando, non senza qualche contrasto e tra non poche difficoltà. La popolazione continuava a crescere, richiamata dalle notizie di una nuova comunità ispirata a principi democratici ed il tessuto sociale iniziò a prendere una fisionomia più definita. Flor-Hjan aveva studiato con particolare attenzione la struttura dell’esercito e, in particolare, quella della legione, che ne era il cuore ed il fulcro. Imparare le tattiche di combattimento, fabbricare ed usare le armi, riprodurre le uniformi erano state attività tutt’altro che banali e semplici. Ma era stato soprattutto l’addestramento a creare difficoltà ardue ed impreviste, l’efficacia della legione risiedeva proprio nella coesione dei reparti e nella ripetitività, fino allo sfinimento, di manovre e movimenti, che dovevano raggiungere un grado di perfezione praticamente assoluto. Instillare nelle reclute concetti sconosciuti e farli propri fu dunque un compito gravosissimo per Flor-Hjan, cui una grossa mano fu data dai tre figli maschi adottivi, che si meritarono per impegno, abnegazione e capacità il grado di centurioni. Merenwen, di contro, avvalendosi dell’intelligenza e della collaborazione sempre fattiva di Gundar, anch’esso particolarmente attratto dalle vicende dell’antichissimo Impero Romano, dedicò tutta se stessa alla creazione delle strutture sociali, politiche e burocratiche della città. Il territorio cittadino venne diviso in tribù, nel numero di dodici, vennero creati i
comizi elettorali, venne istituito il diritto di voto, legato alla nascita nel territorio senza distinzione di sesso e censo, che permetteva l’elezione di dodici rappresentanti nell’organo legislativo: il Senato. A questa assemblea elettiva spettava il compito di legiferare e di eleggere i due consoli che erano, per un ciclo, i reggenti della Repubblica, con medesimi poteri ed eventuale diritto di veto sull’operato del collega. A cascata seguivano poi tutte le altre cariche del cursus honorum, la pretura, il tribunato militare, l’edilità e la questura. Mettere per iscritto tutte queste regole richiese tempo e fatica ma, alla fine, venne approvata e promulgata la costituzione della nuova Repubblica. Nelle prime pubbliche elezioni la carica di Console toccò a Merenwen e Gundar. La città, gradualmente, si sviluppò nel rispetto delle nuove dinamiche democratiche permettendo alla popolazione di progredire e di godere di condizioni di vita in ato sconosciute ai più. *** Le notizie che arrivavano dalle terre confinanti continuavano invece a parlare di battaglie sanguinose, di assedi e di stragi mai viste prima. Nel corso dei tre cicli successivi Evyland e Salara erano state in gran parte occupate da Go-Liah e dalle sue truppe; Nylia, con le sue paludi, lagune, fiumi ed acquitrini, era invece da sempre una terra ostile e, anche in quell’occasione, rimase fuori dalle direttrici d’attacco principali, venendo occupata solo nelle sue zone strategiche. Gli unici regni che conservarono la loro libertà ed indipendenza furono Torios e Woralia. La guerra e le carestie portarono ancora molti profughi a Nuova Roma, tanto che, ben presto, non ci fu più spazio nei confini cittadini, e nel contado, per ospitare tende e ricoveri di fortuna. In quel periodo nacque così per Nuova Roma l’esigenza di fondare nuovi insediamenti fuori dai limitati confini cittadini.
*** Ad inaugurare l’ampliamento della Repubblica provvidero alcuni reparti della Legione Primigenia (i cui effettivi arrivarono, solo dopo un paio di ciclo, ai 5500 uomini previsti, suddivisi in 10 coorti di fanteria e 4 squadroni da 30 cavalieri). Un mattino di primavera, due coorti erano infatti uscite attraverso le mura, ancora solo parzialmente di pietra, per andare ad occupare le lande circostanti, per altro quasi tutte abbandonate e indifese. Flor-Hjan stesso, nel ruolo di Console, alla guida della prima coorte, la più numerosa (il cui numero di effettivi ammontava a novecentosessanta uomini in luogo dei rituali quattrocentoottanta, divisi in sei centurie da ottanta uomini), dopo aver lasciato a protezione delle prime terre occupate le varie centurie della seconda coorte, si ritrovò davanti a sè il Fiume Vorticoso, che segnava il confine naturale tra Darkland e Evyland. Rivoltosi a Kahr, Flor-Hjan disse con enfasi: «L’identificazione con la Roma antica sembra quasi incombere su di noi, oggi mi pare quasi di essere al posto di Caius Iulius Caesar quando si trovò a dover oltreare il fiume Rubicone, dando inizio alla guerra civile...» «Console, la similitudine è quanto mai calzante, ma se ora attraversassimo il fiume invadendo il regno degli Elfi rischieremmo di entrare in guerra contro un popolo fiero e temibile, che dovrebbe essere nostro alleato e non nemico.» considerò intelligentemente il giovane centurione. «Sei molto più saggio di quanto non lascerebbe suggerire la tua età Kahr, e ne sono davvero orgoglioso. Restare al di qua del fiume significa anche decidere di consolidare il nostro controllo su terre ampie e fertili, in cui un giorno potremo far insediare i nostri coloni traendone risorse e ricchezze. Ma il punto è invero più sottile: qual è infatti il destino che desideriamo per Nuova Roma? Quello di essere una potente città libera e gelosa della propria autonomia, o invece quello di diventare la città guida di un nuovo stato multietnico e vasto?» spiegò Flor-Hjan con una visione strategica che neanche lui immaginava di possedere. Kahr sorrise enigmaticamente e rispose: «Mi conosci bene e sai che aspiro a grandi cose e a grandi imprese e quella di trasformare Nuova Roma nel faro di
Arasia è forse la sfida più ambiziosa che ci possa essere. Ne sono certo, un giorno, riusciremo a realizzarlo, ma non ora, vero Console?» convenne il giovane tribuno. Flor-Hjan lo guardò con grande rispetto ed ammirazione: «Figliolo ho sempre saputo che eri un leader nato, ma ora mi stai dimostrando anche di essere molto saggio. Un giorno varcheremo questo fiume, ma non è oggi quel giorno. Adesso ordina pure agli uomini di arrestarsi e di iniziare a fortificare in modo permanente le sponde del fiume. Questo corso d’acqua rappresenterà da adesso il confine tra Evyland e i territori di Nuova Roma. Tu resterai come comandante della guarnigione di stanza qui. Alla città che vi sorgerà intorno, che avrai l'onore di fondare, darai il nome di Rubicodium. Ti invierò appena possibile dei coloni per popolarla. A presto e non abbassare mai la guardia Khar!» si raccomandò congedandosi Flor-Hjan. «Grazie, padre! Sarai orgoglioso di me!» Nel percorrere a ritroso le terre occupate Flor-Hjan considerò soddisfatto che la vecchia Rainbowfort aveva, in pochissimo tempo, compiuto i da gigante, si era trasformata da fattoria fortificata in piccolo villaggio, poi in città ed ora in stato, e questo era solo l’inizio. *** Dopo poco più di quattro cicli il territorio di Nuova Roma si estendeva ormai su tutto quello che precedentemente era stato di Darkland. In esso erano state fondate molte nuove città e la popolazione continuava a crescere con regolarità. Flor-Hjan, di ritorno a Nuova Roma, dopo una visita nei territori di confine, accorse subito da Merenwen che, con un messaggio fattogli recapitare con una staffetta, gli aveva comunicato di essere incinta. «Tesoro, che bella notizia...» la salutò raggiante il comandante. «Sì amore! Avremo dei figli nostri, se tutto andrà bene, non mi sembra ancora vero.» gli rispose felice la donna. Flor-Hjan corse ad abbracciarla, si baciarono con intensità e ione e si guardarono con occhi diversi.
«Come sono andate le cose al sud?» le chiese curiosa. «Il confine è sicuro, le pattuglie armate che lo controllano regolarmente non segnalano alcun tipo di problema. Le città stanno crescendo con ordine e senza eccessi, le fattorie lavorano a pieno regime ed i campi sono coltivati e produttivi. La Repubblica sta insomma crescendo lentamente, ma nel modo corretto, in attesa delle future sfide che ci aspettano. Ho avuto modo di vedere e trascorrere un po’ di tempo con Kahr. Mi ha davvero sorpreso quel ragazzo, finora avevo pensato che fosse solo un grande guerriero, invece ha la saggezza e l’intelligenza di un futuro leader. Ha fatto davvero un gran bel lavoro a Rubicodium.» la ragguagliò franco l’uomo. «Vedrai che anche gli altri nostri ragazzi ti sorprenderanno.» le sorrise radiosa Merenwen.
Capitolo XIX – Go-Liah
Ma-Tek, nel corpo di Wald-Hur, stava gestendo al meglio la vita politica di Torios non destando alcun sospetto nei suoi collaboratori e nel popolo. Come primo o, per puntellare al meglio il suo potere, aveva provveduto a richiamare, ricorrendo ad un complicato rito di magia nera, la Coorte Bianca, un reparto d’elite formato da guerrieri ritornanti. Erano essi soldati finiti, per un atroce gioco del destino, anziché nel regno dei morti, in quello, sospeso tra vivi e morti, di Noades. Nelle loro fila aveva provveduto a scegliere le sue guardie del corpo e gli ufficiali da destinare ai vari reparti e ai ruoli di comando dell’esercito. Il suo uomo di maggior fiducia, quello più in vista, sotto tutti gli aspetti, era comunque Hanias, il valoroso e feroce comandante della Coorte Bianca. *** Dopo le fondamentali conquiste di Evyland e Salara, costate tre lunghi cicli di sanguinose battaglie ed un numero impressionante di perdite, le truppe di GoLiah, dopo mezzo ciclo di pausa, necessaria a riprendersi e a ripristinare i ranghi falcidiati, si mossero verso Torios. Il piano prevedeva un attacco portato da due diverse direttrici, da nord, direttamente dal confine di Evyland, e, attraverso Nylia, da nord-ovest. Woralia, popolata dai feroci e valorosi Albi, grazie alla sua posizione defilata a sud-est, rimase invece, per il momento, ancora lontana dalle mire delle schiere di Go-Liah. Per il Mago Oscuro era dunque giunto il momento di giocare la penultima mano nella partita per la conquista di Arasia. Go-Liah, nelle more della partenza, ricevette un messaggero che gli consegnò un contenitore cilindrico di pelle, chiuso dal sigillo di Torios. Quando Go-Liah iniziò a leggere la pergamena che vi era contenuta per poco
non sobbalzò sulla sedia, sorpreso e preoccupato, era infatti scritta e vergata niente meno che dal Signore delle Tenebre. Rimasto solo il Mago Oscuro rimuginò molto sulle parole di Ma-Tek e sulla sua proposta. Era indubbiamente allettante, anche se, solo considerare l’ipotesi di dover dividere il potere sul continente, dopo tutta la fatica e il sangue versato, lo faceva ribollire di rabbia. Il mattino successivo, dopo una lunga e travagliata notte in cui alfine aveva preso la sua decisione, inviò la sua risposta a Torios. Un tempo Go-Liah e Ma-Tek erano stati buon amici, poi la vita e le diverse scelte ed esperienze li avevano allontanati e portati in schieramenti opposti. Il Mago Oscuro era tuttavia conscio che, nonostante tutto il suo potere, sfidare in campo aperto il Signore delle Tenebre era una partita troppo impegnativa e dall’esito più che incerto. Ma-Tek, dopo aver letto con grande interesse la risposta di Go-Liah, inviò subito alcuni dei suoi emissari nell’accampamento del Mago per illustrare la parte successiva del piano. *** Poche settimane dopo, seguendo le linee del piano concordato, Go-Liah si presentò nella capitale di Torios alla guida di una delegazione che era quanto di più spaventoso gli abitanti della città avessero mai visto. La scorta armata che lo accompagnava, variopinta ed eterogenea, era infatti composta da elfi oscuri, troll, gnomi, lycas, vampiri, ritornanti e non morti che cavalcavano le bestie più strane che avessero mai calpestato il suolo di Antarya ed incutevano terrore solo a guardarli. Era stata allestita, in un vasto spiazzo tra le mura della città ed il Fiume Dorato, una grande area in cui era stato innalzato un enorme padiglione che punteggiava di giallo ocra la verde prateria. I rappresentanti di Torios, guidati da Ma-Tek, nelle abituali sembianze di WaldHur, e quelli di Awonya, con Go-Liah in testa, si incontrarono sotto la enorme tenda. Dopo i convenevoli di rito si accomodarono tutti intorno ad un grande
tavolo ovale di solida quercia e diedero il via ai colloqui. Il cicaleccio, tipico dei luoghi molto affollati, lasciò ben presto posto ad un silenzio attento quando le parti arono a trattare. Dopo infinite discussioni, proposte e controproposte, veti e assensi, l’atmosfera si mutò in spettrale nel momento in cui Go-Liah, all’improvviso, sbottò, si alzò dal suo scranno e, sprezzante, estrattala da uno scrigno, gettò sul tavolo una pergamena. Un segretario di Ma-Tek, dopo aver rotto i sigilli, iniziò, con voce atona a leggerne il contenuto, vergato con un inchiostro rosso brillante che richiamava il colore del sangue. Le poche righe più che punti di un trattato parevano un vero e proprio diktat. «È inutile che continuiamo a discutere, queste sono le mie condizioni, o le firmate accettandone tutti i punti o ci prenderemo Torios dopo averla messa a ferro e fuoco ed aver massacrato o ridotto in schiavitù tutti i suoi abitanti!» disse con tono minaccioso Go-Liah rivolgendosi ai membri della delegazione di Torios. Il Mago Oscuro, dopo aver guardato negli occhi Ma-Tek, tornò a sedersi sul suo scranno ed attese, osservando le reazioni degli astanti. Si diffuse un cupo brusio, che era un misto di sorpresa e panico, mentre sui volti dei rappresentanti di Antarya la preoccupazione era lampante. Un silenzio di tomba cadde sull’assemblea, quasi che ognuno avesse paura anche solo di respirare. Il primo a riaversi, recitando da consumato attore, fu, Ma-Tek. Il Signore delle Tenebre raccolse dal tavolo la pergamena, la rigirò tra le mani ed iniziò a leggere con voce chiara e profonda, rivolto a tutti gli astanti: «1.Accettiamo la resa senza condizioni di Torios. 2.Tutti gli eserciti dislocati sul territorio dovranno deporre le armi e consegnarle ai nostri rappresentanti. 3.Ogni famiglia, comunità, villaggio e città dovrà consegnare il 65% di quanto
prodotto dalla terra, di quanto estratto nelle miniere e di quanto pescato. 4.Nostri presidi militari occuperanno fattorie, villaggi e città e rappresenteranno l’unica autorità legittima. 5.Chi non rispetterà gli editti che emaneremo verrà giudicato e punito, anche con la pena capitale, se previsto. 6.Il potere ed il governo su questo continente eranno nelle mani del nuovo, e legittimo, unico sovrano, Go-Liah di Behemont.» Ma-tek, con l’uditorio in suo potere, fece una studiata pausa e poi riattaccò con voce ferma e risoluta: «Questi sei punti sono un vero sproposito! Non c’è stata alcuna battaglia, né una lunga e sanguinosa guerra che giustifichi il trattamento del mio popolo non da vinto, ma da schiavo…Queste condizioni sono inaccettabili per quanto sono assurde!» sbottò furioso Ma-Tek. Go-Liah sorrise divertito e, con toni aspri e graffianti, ribattè: «Che vi piacciano o meno, queste sono le mie condizioni, e lo sottolineo per l’ultima volta, sono le sole che vi proporrò! Avete da adesso ventiquattro ore per riunirvi e decidere, poi darò il segnale d’attacco e per voi e la vostra città non ci sarà alcuna pietà! Questo è tutto, ci rivediamo domani per ascoltare la vostra risposta.» Le due delegazioni tornarono, l’una, nello sterminato accampamento che si estendeva a perdita d’occhio dal Fiume Dorato fino alle pendici delle prime colline, l’altra, tra le bianche e turrite mura di Antarya. La riunione del Consiglio dei Sacerdoti, allargato per l’occasione ai più importanti rappresentanti delle forze economiche e militari del paese, fu agitata e movimentata. I due partiti, quello fautore della guerra e quello fautore di una pace, certo umiliante, ma che lasciava ancora aperta la speranza di un futuro, si affrontarono con argomentazioni e toni che rischiarono più d’una volta di sfociare in rissa. Dopo infruttuose ore di attacchi, proposte, veti, considerazioni, si rese indispensabile porre una fine al contraddittorio ed affidare la decisione finale ai voti. Il destino, beffardo, volle che i voti favorevoli alla guerra e quelli favorevoli alla
pace fossero esattamente in egual numero, e, come previsto dalla costituzione di Torios, il voto decisivo sarebbe spettato al Gran Sacerdote, Ma-tek. Il Signore delle Tenebre, con argomentazioni che furono un vero esercizio di equilibrismo dialettico, si espresse alla fine per la pace. Il giorno successivo, all’orario prestabilito, il solo Ma-Tek si recò all’incontro con Go-Liah e gli consegnò la pergamena vergata e ratificata dalle firme di tutti i rappresentanti politici di Torios. «È fatta, eccoti Torios! Il momento del trionfo si avvicina, Go-Liah, Arasia è quasi completamente conquistata. E se consideriamo che Awonya è già sotto il tuo controllo, ora quasi due terzi di Laxyra sono sotto il nostro controllo!» convenne Ma-Tek sornione. Go-Liah, pur profondamente inquieto e intimamente contrariato, sorrise apparentemente soddisfatto: «Hai davvero superato te stesso Ma-Tek! Hai tessuto la tua ragnatela meglio di un ragno e i tuoi sudditi vi sono rimasti avviluppati senza neppure rendersene conto!» lo gratificò il Mago Oscuro «Anche se, ad essere pignoli, per poter festeggiare davvero ci manca ancora Woralia, e gli Albi, lo sai anche tu, sono da sempre il più temibile, forte e pericoloso dei popoli del continente» puntualizzò il mago. Dopo aver sottoscritto il trattato e brindato, con un delizioso e forte vino salariano, i due si misero intorno ad un tavolino rotondo e iniziarono a concordare le mosse future. Fu Go-Liah a focalizzare la discussione su quella che era la immediata priorità: «Per conquistare Woralia e distruggere gli Albi avremo tempo e modo, con calma. Ora dobbiamo invece dedicare tutte le nostre energie ed attenzioni al rito che dovrà riportare in questa dimensione Awonya. È tempo che l’esilio forzato del mio continente cessi…» quasi implorò il Mago Oscuro. *** Le affannose ricerche, condotte nelle biblioteche e nei templi del continente di mezzo, portarono, alla fine, al rinvenimento, in un cassetto segreto di un armadio dello studio del Gran Sacerdote, della preziosa pergamena su cui era vergato l’incantesimo di Mors.
Quando Go-Liah apprese da Ma-tek la notizia i suoi occhi brillarono di gioia e rispose subito al suo sodale con una missiva in cui gli dava appuntamento per il successivo plenilunio. I poteri del Mago Oscuro e del Signore delle Tenebre erano dunque pronti a fondersi per adempiere al complesso rito che doveva riportare Awonya su Laxyra, sottraendola a quella eterna notte in cui, per due secoli, l’aveva relegata il vero Wald-Hur con il suo incantesimo. *** Nel Senato di Nuova Roma era in corso un’accesa seduta, quando, improvvisamente, la sacralità del luogo venne violata da un confuso brusio. Le grandi porte di quercia vennero spalancate e, scortata da due ali di soldati, fece il suo teatrale ingresso, seguita da tre novizie di bianco vestite, un'elfa dalla bellezza straordinaria. L’attenzione dell’uditorio, quasi ipnotizzato, fu calamitata, dai suoi lineamenti delicati, dagli occhi grigi, dalla figura alta e slanciata, fasciata in una candida tunica che non lasciava nulla all'immaginazione. Sul suo collo diafano campeggiava un monile di lapislazzuli contenente un ritratto che raffigurava la Dea Lasa. «Permettete che mi presenti, sono Nemeris.» Un silenzio assordante invase l'aula.
Legenda
Personaggi Adras: sacerdote del Sole Nero, guardiano nella prigione di Zhora con cui avrà una fugace relazione carnale. Agoyt: generale e stratega dell’esercito di Go-Liah. Alexar: elfa di nobili natali, costretta a fuggire da Edar per un omicidio, si rifugia a Vahel e diviene uno dei comandanti più importanti dell’Orda Nera, si innamorerà di Flor-Hjan Ambros: losco figuro, lacchè di Go-Liah Antras: ufficiale dell’Orda Nera. Argolas: valoroso comandante della guarnigione di Nysok, elfo di una nobile casata di Edar, capitale di Evyland, e fratello di Alexar. Arfen: nano tarchiato e forte, figlio adottivo di Flor-Hjan e Merenwen Bana: sacerdote del Sol Levante, membro del Consiglio dei 12. Beras: sacerdote del Sole Nero, guardiano nella prigione di Zhora. Coorte Bianca: la schiera di guerrieri ritornanti, punta di diamante delle forze di Ma-Tek Fellow: gran ciambellano di Zhora di cui è lacchè, consigliere ed ambasciatore. Flor-Hjan: generale, costretto a fuggire per un omicidio commesso in una rissa, diventa ufficiale e poi comandante sul campo dell’Orda Nera, nonché favorito di Zhora che lo incatena a sé con un maleficio. Franos: sacerdote del Sol Levante, membro del Consiglio dei 12. Fraster: generale della centuria di Nani nella guarnigione di Nysok.
Gartis: sacerdote del Sol Levante, membro del Consiglio dei 12. Go-Liah: il mago oscuro, un tempo il più grande mago di Torios, sedotto dalla magia oscura e posseduto da Ra, è relegato, con tutta Awonya, in una dimensione parallela per effetto di una maledizione lanciatagli da Wald-Hur: attraverso il Ponte della Vita partirà alla conquista di Arasia. Ghur: orco pallido, è uno dei più efficienti ed efferati comandanti dell’Orda Nera, luogotenente di Flor-Hjan. Gualis: sacerdote del Sol Levante, membro del Consiglio dei 12, principale collaboratore e vice di Wald-Hur. Gundar: guaritore e personaggio eminente di Nuova Roma. Gwen: piccola elfa, perennemente allegra, ma molto volitiva, figlia adottiva di Flor-Hjan e Merenwen Kahr: adolescente determinato e con le caratteristiche del leader, figlio adottivo di Flor-Hjan e Merenwen Jonas: giovane albi, guascone, svagato e sempre pronto alla battuta, figlio adottivo di Flor-Hjan e Merenwen. Koryos: altro nome della dea Lasa, la dea guerriera che trae forza dalla luna nera a cui sono devote mercenarie e sacerdotesse. Lasa: divinità guerriera, protettrice di Nuova Roma Legio primigenia: la prima legione di Nuova Roma Legione di Thanos: le mille guerriere non morte che costituiscono la guardia scelta e fedele di Zhora. Lisis: guerriera, vice in comando di Merenwen, di cui prenderà il posto. Magua: uno dei generali più potenti delle armate del Mago Oscuro. Ma-Tek: demone, Signore delle Tenebre, un tempo membro del Consiglio dei 12, inseparabile amico di Wald-Hur e Go-Liah.
Mercenarie di Koryos: compagnia di ventura di mercenarie di sesso femminile devote alla Dea della Luna nera Koryos. Merenwen: guerriera, comandante della compagnia di Mercenarie di Koryos, che diventerà moglie di Flor-Hjan. Muat: generale e stratega dell’esercito di Go-Liah. Muryel: ninfa con la ione delle erbe e della medicina, figlia adottiva di Florh-Hjan e Merenwen. Nemeris: elfa di stirpe reale, la miglior maga e guaritrice dell’Accademia delle Scienze, considerata la femmina più bella di Laxyra, per cui persero la testa, tra gli altri, Ma-Tek, Go-Liah e Wald-Hur. Orda Nera: esercito multietnico di Darkland, formato da reietti, tagliagole e criminali di ogni risma, comandato da Flor-Hjan, e agli ordini di Zhora, la Regina Nera. Orda Oscura: lo sterminato esercito di creature e non morti sotto il comando di Go-Liah Ordine del Sol Levante: la setta di sacerdoti, guidata da Wald-Hur che professa il culto del Sol Levante e forma il Consiglio dei 12. Ra: la divinità malefica che ispira e possiede Go-Liah. Sacerdoti del Sole Nero: i sacerdoti adepti del Dio Ra, la divinità oscura che ispira e guida Go-Liah. Sacerdotesse della Luna Bianca: setta di sacerdotesse, adepte del culto positivo della Dea Lasa Sartyl: ragazza muscolosa ma molto civettuola, figlia adottiva di Flor-Hjan e Merenwen Sarvah: comandante ardito e feroce dei Lycas, destinato a compiere straordinarie imprese e a farsi strada nell’esercito di Go-Liah. Shawna: guerriera mercenaria di Koryos, legata sentimentalmente a Merenwen
Sost: generale e stratega dell’esercito di Go-Liah. Zafor: capo di una centuria di mercenari umani. Zandras: ufficiale elfo alle dirette dipendenze di Argolas, di cui è luogotenente ed amico d’infanzia. Zaras: sacerdote del Sol Levante, membro del Consiglio dei 12. Zhora: la Regina Nera, maga-guerriera trasformata in una vampira non-morta da Wald-Hur, per due secoli sarà la incontrastata padrona e regina di Darkland, grazie anche al ricorso ai riti oscuri della magia proibita. Wald-Hur: uno dei maghi più potenti di Torios, amico di Go-Liah e Ma-Tek, da cui si discosterà per divenire il paladino di Anaos, che reggerà in pace ed in prosperità per due secoli, fino alla sua perdizione finale.
Geografia ed altro
Accademia delle scienze: la più importante e rinomata scuola di magia di Arasia, vi si formarono i migliori maghi del continente, compresi Wald-Hur, Go-Liah, Ma-Tek e Nemeris. Anaos: la confederazione dei cinque regni (Evyland, Woralia, Nylia, Torios e Salara) retta dal Consiglio dei 12, con sede a Nysok, presieduto da Wald-Hur e composto dai sacerdoti del Sol Levante. Antarya: la ricca e splendida capitale di Torios. Arasia: il Continente di mezzo, tra Awonya a nord e Belosia a sud, nel suo territorio si trovano le città-stato ed i territori indipendenti di varie razze e i cinque regni: Evyland, abitato dagli Elfi, Woralia, abitato dagli Albi, Nylia, abitato dalle Ninfe, Salara, abitato dai Nani e Torios, abitato dagli uomini. Awonya: lo sconfinato e tetro continente scomparso, abitato da Go-Liah e dalle sue creature infernali, con Pinair come capitale. Behemont: la città nelle Terre Libere di Belosia, che ha dato i natali a Go-Liah. Belzeba: drago femmina, su cui si sposta in volo Go-Liah. Belosia: il continente insanguinato, territorio di grandi contrasti, con immensi deserti, foreste lussureggianti, monti impervi, e zone di nevi perenni, diviso tra regni, città-stato e territori indipendenti. Bluelands: le montagne del nord, abitate dai Troll Black Highlands: catena montana che attraversa i territori più a nord di Arasia, abitata dai terribili Orchi neri. Bosco di Essit: la fitta foresta, cupa ed opprimente, abitata dagli Gnomi Castello di Copios: il poderoso maniero in cui si insedia, ad Anaos, Go-Liah Castle’Snow: l’ultimo ridotto di difesa di Zhora, situato in un luogo impervio tra
le alture, sempre coperte di neve, nel nord di Darkland. Ciclo: unità di misura del tempo su Laxyra, equivale ad un giro completo del pianeta intorno al suo astro, suddiviso in dodici menses. Crossar: valle che dà l'accesso da nord est, attraverso il Lago Itan, a Evyland. Darkland: territorio all’estremo nord di Arasia, governato da Zhora con ferrea disciplina che trascende spesso nella brutalità, vi dimorano genti di ogni razza, fuggite spesso dalla giustizia nelle loro terre d’origine. Dunia: regno abitato dagli Albi a Belosia. Edar: capitale di Evyland, sfarzosa ed elegante. Evyland: il regno, nel nord di Arasia, popolato dalle varie tribù di elfi, raffinato e ricco, retto da leggi molto liberali ma rigide, con capitale Edar. Fiume Argento: uno dei fiumi più importanti del nord di Evyland. Fiume Dorato: fiume navigabile che scorre nei pressi di Antarya. Fiume Vorticoso: un largo fiume, sempre impetuoso per lo scioglimento delle nevi perenni delle montagne a nord, linea di confine naturale tra Anaos e Darkland (e poi Nuova Roma). Foresta di Endar: oscura foresta ai confini tra Evyland e Darkland. Foresta di Koren: uno dei maggiori polmoni verdi del nord di Evyland. Grotta Rossa: il sotterraneo dove Zhora compie molti dei suoi riti di magia proibita, vi si trova anche una piscina ricolma del sangue delle vittime sacrificate. Houpian: capitale del regno degli Albi, Woralia. Icelands: il quarto continente, un’isola sperduta nel nord, sempre coperta da ghiacci, abitata dai feroci guerrieri del Drago. Incantesimo di Mors: il potente incantesimo con cui Wald-Hur è riuscito a relegare Go-Liah in un'altra dimensione.
Koryoslake: base delle mercenarie di Koryos. Lago Itan: grande lago di acqua dolce che segna un confine naturale tra Evyland e Salara. Laxyra: il pianeta diviso in quattro continenti e teatro della storia. Libro dei Misteri: contiene il sapere e le profezie con cui governano i sacerdoti del Sol Levante. Lowlands: catena di montagne che divide Darkland dalle terre alte di Evyland. Mar Kau: l’infido oceano, popolato da pesci e creature mostruose che divide Arasia da Belosia. Mondo dell’Oblio: dimensione parallela, sospesa nel nulla, in cui sono stati confinati Go-Liah ed il continente di Awonya, e, in un’altra landa lo stesso Ma-Tek. Noades: mondo magico sospeso tra quello dei vivi e quello dei morti, da cui arrivano i guerrieri ritornanti. Nuova Roma: città-stato, repubblica ispirata all’antica Roma, fondata da Flor-Hjan e Merenwen, destinata a divenire un polo d’attrazione per le genti in fuga dalle violenze di Ma-Tek e Go-Liah. Nylia: completamente ricoperto di fiumi, laghi, foreste, paludi, nel nord ovest di Arasia, è il regno popolato da ninfe, silfidi e satiri, con capitale Yessa. Nysok: cittadella-fortezza in cui risiede Wald-Hur con il suo Consiglio dei 12, con cui amministra il potere sulla confederazione di Anaos. È difesa dall’élite degli eserciti dei cinque regni (che vi inviano ognuno i loro mille soldati migliori): gli Invincibili. Piana di Lochar: imponente e fertile pianura del nord di Evyland. Pinair: capitale di Awonya. Ponte della Vita: tratto di terre emerse che uniscono Arasia con Awonya.
Qaar: piccolo villaggio a dieci leghe da Castle'Snow Rainbowfort: la fattoria fortificata, primo nucleo di Nuova Roma Remti: regno abitato dai nani a Belosia Rubicodium: il borgo fortificato a protezione dell’accesso al territorio di Nuova Roma, che ospiterà la barriera di protezione dal male creata da Nemeris. Salara: a nord ovest di Arasia, in gran parte impervio, con i suoi alti picchi e le profonde valli, è il regno abitato dalle varie tribù di nani, con capitale Eore. Sidrom: bevanda alcolica distillata da una speciale qualità di mele, tipica delle terre del nord. Torios: nel cuore di Arasia, di cui è il regno più popoloso e potente, abitato dagli uomini, centro nevralgico del potere, con capitale, Antarya, il suo avamposto più a nord, sede del Consiglio dei 12, è Nysok. Vahel: capitale di Darkland, vi risiedono Zhora e le truppe d’élite dell’Orda Nera. Vhalaria: regno abitato dagli elfi a Belosia. Valle di Fenin: aggio obbligato per accedere da Darkland a Evyland. Zalam: regno abitato da ninfe e satiri a Belosia. Wasam: terra insalubre e malsana, punteggiata di calde paludi, abitata dai temibili Goblins. Woralia: il regno più meridionale di Arasia, popolato dal fiero ed invitto popolo degli Albi, con capitale Houpian, ha nella flotta e nella pirateria i suoi punti forti ed è la porta per l’accesso a Belosia.
Indice
Pag. 003 – Prologo Pag. 007 – Capitolo I – Zhora Pag. 025 – Capitolo II – Go-Liah Pag. 037 – Capitolo III – Flor-Hjan Pag 051 – Capitolo IV – Zhora Pag. 063 – Capitolo V – Merenwen Pag. 082 – Capitolo VI – Go-Liah Pag. 092 – Capitolo VII – Flor-Hjan Pag. 104 – Capitolo VIII – Merenwen Pag. 114 – Capitolo IX – Flor-Hjan Pag. 119 – Capitolo X – Sarvah Pag. 127 – Capitolo XI – Zhora Pag. 134 – Capitolo XII – Flor-Hjan Pag. 140 – Capitolo XIII – Ma-Tek Pag. 146 – Capitolo XIV – Zhora Pag. 151 – Capitolo XV – Flor-Hjan Pag. 159 – Capitolo XVI – Argolas Pag. 171 – Capitolo XVII – Zhora Pag. 178 – Capitolo XVIII – Flor-Hjan Pag. 184 – Capitolo XIX – Go-LIah Pag. 192 – Legenda
Ringraziamenti
A mia madre Anna, che mi ha sempre spinto a coltivare le mie aspirazioni e che non può vedere che qualcosa, nel mio piccolo, sono alla fine riuscito a combinare. A mio padre Salvatore, che fin da piccolo ha instillato in me l’amore per la lettura. A mio fratello Gianluca, compagno di mille avventure e ioni, tra cui quella per il fantasy, scritto e su celluloide. A tutti i miei amici e conoscenti che mi sopportano e ano nelle mie strampalate disquisizioni su nani, troll, elfi e vampiri. A Andrea Maglia, per il quale mi onoro di collaborare nella sua rivista online di critica letteraria ed artistica dietrolequinteonline.com, per il o e l’opera di revisione a questo testo.