Un Caso Comune: Delitti Di Provincia 1 506n3

Un caso comune: delitti di provincia 1

Annarita Coriasco

© 2011 Annarita Coriasco

Edizione Smashwords

Prima edizione

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Un caso comune: delitti di provincia 1

21 MAGGIO -Non c’è più! -Non c’è più? -No, non c’è più. Gli occhi stralunati del Sindaco Mondanotti, si fecero dapprima mortalmente preoccupati e poi estremamente minacciosi. -Segretario, le va di scherzare? Pennachione divenne rosso fin sulla pelata, poi sbiancò nuovamente. -Signor Sindaco, la prego di credere che in vent’anni di carriera onorata, mai, e sottolineo mai, mi successe un accadimento della fattispecie. “Ma come cacchio parla questo” pensò il Sindaco. Quindi, a voce alta tuonò: -E’ impossibile! Se la pratica c’è stata rimandata col nullaosta dall’organo competente per la supervisione, deve esserci. -Non c’è. – Si prostrò il segretario. -Avete setacciato l’archivio? -Si. -L’ufficio tecnico, i computer... Ma neppure sul computer l’avete registrata? -Si, li c’è. C’è anche in entrata alla registrazione. E’ la pratica che non c’è. -Il responsabile! Voglio il responsabile. -Non c’è. -Come “non c’è”! Ma qui non c’è niente. Non vorrà mica dirmi che si è suicidato? – ironizzò tetramente Mondanotti – Del resto avrebbe fatto bene...

-Non c’è un responsabile perché la pratica in questione pur essendo regolarmente tornata al comune, non è mai nella fattispecie pervenuta ad ufficio alcuno. -Cerchi nel suo di ufficio, che è sempre un bailamme. L’occhio poco socievole del dott. Pennacchione si fece ancor più ufficialmente scostante. Incassò a stento l’accusa niente affatto velata del Sindaco e replicò, con un conciliante freddo sorriso: -I miei sottoposti hanno spulciato ogni anfratto del mio ufficio e non vi hanno trovato altro che i biglietti d’auguri di Natale che l’altr’anno sparirono dall’ufficio suo. -Che cosa vuol dire con questo? – chiese il Sindaco con lo sguardo che mandava lampi. -Niente più di quel che dissi. Li trovò Stenti dietro il mobile di rappresentanza. -Quello con le targhe e i regali del comune gemellato? -Si, quello. -In questo comune accadono cose ben strane... -Mondanotti uscì da dietro alla scrivania, buttando le matite che aveva temperato a mezzo sul ripiano. Due o tre caddero a terra e prontamente Pennacchione si chinò a coglierne una. -Vi voglio tutti a rapporto: ufficio tecnico, segreteria, anagrafe, vigili, messo... Tutti! Il segretario posò la matita sulla scrivania trasalendo involontariamente. -Anche il ragioniere? – chiese in tono professionale. -Si. Anche il ragioniere. Pennacchione salutò e uscì prontamente per eseguire. Un sorriso beffardo gli increspava i baffi ben curati. Avrebbe mandato dal Sindaco il rag. Perticoni. Per primo, e da solo.

22 MAGGIO, ORE 14,00 -Avete chiesto ai dipendenti? – il maresciallo Bentivoglio diede un’occhiata furtiva all’orologio da polso. -Certo – si affrettò a dire il segretario. -E a questo organo competente? Il segretario e il Sindaco si guardarono in faccia per un istante. Si vedeva che stavano sulle spine. -Vede maresciallo – esordì il Sindaco – il messo comunale che l’ha registrata in arrivo, assicura che la pratica fino a tre giorni fa in comune c’era. Lui l’ha posata sullo scrittoio dell’ufficio competente per lo smistamento. -Ho già capito signor Sindaco, ma vede che a noi un caso del genere mai capitò. Non credo che sia di nostra competenza. -Ma è stata rubata... - obiettò il segretario. Il maresciallo lo squadrò con una certa dose di accondiscendenza e quello divenne rosso sulle gote e sulla punta del naso. Poi il maresciallo si rivolse ad entrambi, con alternante attenzione. -Ma, capite a me: chi volete che si rubi una pratica d’allacciamento idrico. – e sorrise sbirciando ancora discretamente l’orologio. – Sentite, io devo presenziare ad una riunione importante. Non posso arrivare in ritardo... Vi mando il brigadiere Pucci. Oh, badate bene... Un elemento di mia fiducia, un vero e proprio investigatore. Sentite a me, se nessuno e, dico nessuno, se l’è persa, Pucci ve la ritrova senz’altro. Comunque, per sicurezza cercate ancora. -Quando verrà il brigadiere? – chiese il Sindaco preoccupato. – Perché, vede maresciallo, non vorrei che la cosa si risapesse. -Ma che, scherza? – il maresciallo Bentivoglio si alzò in piedi e salutò militarmente. Anche Pennacchione si alzò, ometté per fortuna il saluto.

-Capisco che è cosa delicata, ma il brigadiere ufficialmente viene da lei, Sindaco, per informarla sugli sviluppi delle indagini su di un furto perpetrato nella sua casa in montagna... Lei ce l’ha una casa in montagna, no? -Mia moglie, si. -Bene. Mettete in giro la notizia del furto. Domani verrà il brigadiere. Va bene alle sette? Il Sindaco consultò mentalmente la sua agenda di impegni improrogabili e rispose che andava bene. Il maresciallo strinse la mano ad entrambi, inciampò leggermente in una delle poltroncine in velluto rosso a piedoni leonini dell’ufficio del Sindaco e si dileguò accompagnato da Pennacchione.

22 MAGGIO, ORE 16,00 Lo stanzino con la macchinetta del caffè si era appena svuotato dei dipendenti che vi entrarono l’assessore Melagna e l’assessore Belloni. Il primo era vestito di tutto punto, con cravatta e “lobbia” sulla testa rasata a sfumatura alta. Il secondo era in jeans e stivaloni da pesca. -Che freddo giù al fiume. Sono ato a prendermi un caffè prima di tornare a casa perché gelavo. “E anche perché qui costa meno che al bar” pensò tra sé il cav. Melagna sorridendo bonariamente al collega. -Io invece vengo dal ricevimento per la posa di una prima pietra al paese di origine di mio zio Silvestro. -Ah! – fece l’altro annuendo e premendo il bottone del congegno dispensatore di bevande calde. “E ti credo, con quel che t’ha lasciato.” -A proposito, lo sai già che si sono persi l’allacciamento idrico del nuovo campo per gli zingari? -Si – rispose il Belloni – mi hanno telefonato. Ma si dice che non l’hanno perso, che l’hanno rubato apposta.

-Apposta? E perché? -Boh! -Il terreno non è del comune? -Si – fece il Belloni distratto dall’aroma del caffè che era di già sotto il suo naso. -E allora chi se lo ruba l’allacciamento. Mica c’è stato un esproprio – buttò lì Melagna. -Saranno i vicini, quelli dei campi confinanti. -Mah! E come cacchio hanno fatto? – anche Melagna premette un bottone e posò la lobbia sul tavolino, vicino all’unica finestra dello stanzino. -Comunque è venuto il maresciallo Bentivoglio da Ciriè. -Per la pratica? – si stupì il Melagna, ritardando di qualche secondo l’emissione dello zucchero nel bicchierino di carta. -Non so. Sembra che sia per qualcosa di personale di Mondanotti. -Eh! Volevo ben dire. Chiamare un maresciallo per una pratica idrica... Salterà ben fuori! Per me se l’è persa quel casinista di Pennacchione. -E sarà così. Mi sa che hai ragione. Ciao Mario, neh! – il Belloni si riabbottonava già la giacca a vento e sparì prima che l’eco del suo saluto di dissolvesse. -Ma robe da ciò... (1) - borbottò il cav. Melagna – è così “verde” (2) che se potesse mangerebbe alla mensa della scuola materna. Che roba! – e mandò giù l’ultimo sorso di caffè, poi col cucchiaini si ciucciò ogni traccia di zucchero. Posò il bicchierino sporco sul ripiano davanti alla macchinetta ed entrò negli uffici. Direzione scelta: ragioneria.

23 MAGGIO, ORE 19 CIRCA -Ehi, Stenti. Guarda un po’ dalla finestra se sta arrivando il brigadiere da Ciriè. –

il ragionier Perticoni rientrò nel suo antro (pardon, ufficio). Stenti allungò svogliatamente il collo verso la finestra e disse a voce alta –Macché non è arrivato. ò qualche istante, poi il ragioniere emerse pian pianino dalla porta cigolante e si appressò alla scrivania dello Stenti. -Hai visto? Il Sindaco non l’ha chiamato, “di che trattasi”. -No – constatò sorridendo senza molta partecipazione l’impiegato. Onestamente lui non capiva la personale guerriglia di Perticoni contro il segretario Pennacchione. L’avversione, si. Perché quell’uomo era insopportabilmente caotico e allo stesso tempo insopportabilmente pignolo. Un vero controsenso vivente. Una contraddizione di termini. Il suo modo di esprimersi era un punto interrogativo, incombente come una spada di Damocle e in perfetta sintonia con il suo modo di agire. Stenti si rimise al lavoro e dopo poco tempo il Sindaco gli chiese per interfono di guardare dalle finestre, per vedere se fosse arrivato o no il brigadiere. Egli storse nuovamente il collo, ma questa volta fece più attenzione. Niente. Non c’era nessuna divisa e nessuna auto dei carabinieri. Nel medesimo istante si aprì la porta ed entrò un uomo tarchiato, di mezza età, con i baffi e il volto atteggiato ad una austerità che i lineamenti non suggerivano. Poteva essere il prototipo di un brigadiere, ma non era in divisa e Stenti chiuse la comunicazione col Sindaco e alzò interrogativamente un sopracciglio puntando gli occhi sul nuovo venuto. Il brigadiere Giacomo Pucci si rassettò l’impermeabile grigio cenere e si presentò senza qualificarsi. -Ho un appuntamento con il Sindaco – aggiunse. -Il Sindaco? Ma non so, forse dovrà attendere perché il professore sta già aspettando un’altra persona da dieci minuti buoni... -Lo so, e me ne scuso, perché è chiaro che quella persona sono io. -Ah! Brig... - Stenti si impappinò e tacque. Forse il brigadiere voleva mantenere l’anonimato. Pucci lo scrutò imibile. -L’accompagno... - tagliò corto l’impiegato, il cui volto stava già virando verso il

magenta.

23 MAGGIO, ORE 19,30 CIRCA -Il brigadiere Pucci ascoltava paziente le spiegazioni di come tecnicamente la pratica era sparita dal comune. Non era né troppo attento né troppo distratto. Semplicemente, faticava a concentrarsi per via di un odorino di soffritto che giungeva dalla strada attraverso la finestra accostata. Ogni tanto il suo occhio grigio-azzurro si spostava dalla figura segaligna del Sindaco, seduto alla scrivania di fronte a lui, alla finestra alle sue spalle. Era dalla mattina che non aveva più mangiato altro che un panino. Ad un certo punto Mondanotti interruppe la spiegazione e gli chiese con affettata premurosità se gli desse fastidio l’aria. –Sa, oggi fa piuttosto freddo, ma io soffro di allergia alla polvere e tengo aperto anche d’inverno. Il brigadiere, che però non s’era tolto l’impermeabile, lo assicurò che stava bene. -Non tema signor Sindaco. Non osservo la finestra per il freddo ma per deformazione professionale. Sa, io noto tutto. E a volte annoto pure. – sorrise di sotto ai baffi alla propria battutina. Il Sindaco non afferrò ma sorrise di riflesso. -A proposito – continuò il brigadiere contento di avere fermato in qualche modo la fiumana oratoria che gli stava di fronte –Fin qui è tutto chiaro, ma le volevo chiedere una cosa. -Dica, dica pure brigadiere. -Questa pratica di che specie è? Il Sindaco fece tanto d’occhi. Che gli avessero mandato un cretino? -Ma glie l’ho detto: allacciamento idrico. -Si, ho capito – si affrettò a precisare Pucci. –Ma che specie, cioè chi allaccia, quale via, quali case, quali fabbriche? -Ah! –si illuminò il Mondanotti fugando felicemente all’istante ogni dubbio sul

quoziente intellettivo del brigadiere -Il nuovo campo nomadi. -Quello sulla via che va alla provinciale? -Si. Abbiamo solo quello. -Capisco. –commentò brevemente il Pucci. -Lei crede che possa c’entrare qualcosa? –chiese il Sindaco preoccupato. -Lei no? I due si guardarono dritto negli occhi, poi Mondanotti distolse lo sguardo. -Non credo, non so. Qui non abbiamo mai avuto problemi di nessun genere. E’ un paese tranquillo, di gente alla buona... -Vorrei interrogare qualche dipendente –disse il brigadiere. -Ma, non so... -il Sindaco sembrava allarmato. -Non tema, anche se sono qui in borghese, ormai lo sanno già tutti. -Ma, il maresciallo mi ha assicurato che non si sarebbe... -Lo so –l’interruppe Pucci –Mi ha detto che lei ufficialmente ha subito un furto. Ma vede, se non parlo con nessuno della pratica è difficile che riesca a capirci qualcosa. Ah, poi voglio assolutamente parlare con il geometra capo. D’altra parte lei si sarà già raccomandato con i suoi dipendenti per un silenzio totale e avrà già loro ricordato il giuramento che hanno fatto all’assunzione. -Si, ma sa... -il Sindaco posò entrambe le mani giunte sulla scrivania. -Per quanto riguarda le mie indagini esterne al comune sarò più che discreto. Lo prometto. Comunque, questi dipendenti me li prepari un po’, me li minacci un pochino magari. Il Sindaco non aveva proprio pensato ad eventuali indagini al di fuori del comune. Ora si che era veramente preoccupato e si vedeva. Tentò ancora di obiettare qualcosa.

-Le ripeto –lo rintuzzò con un mezzo sorriso il brigadiere –sarò discretissimo. Una vera ombra professor Mondanotti. Si alzò e tese la mano per la stretta di commiato. -Se lei me lo assicura... -rispose il Sindaco alzandosi e stringendo la mano del brigadiere. Ma gli occhi da furetto un po’ cerchiati di scuro non esprimevano eccessiva fiducia.

25 MAGGIO, ORE 8,30 Il cavalier Melagna posò la lobbia sulla scrivania del geometra Cavezza Giacomo, nipote del già Cavezza Osvaldo, presidente della Pro-Loco. La signora Davidoni incombeva sulla sedia girevole con la sua mole e si stava appressando ad accendere il terminale. -Non c’è il geometra? –le chiese il cavaliere. -E’ via per un rilevamento... -Quando torna? -E che ne so, io! –si impermalì subitaneamente la Davidoni –Noi non stiamo mica qui a grattarci il culo, sa? Melagna, che la conosceva bene non si fece impressionare. Se la chiamavano “bidon-bidon” come il generale della guerra del Golfo, non era per caso. -Volevo solo un’informazione, ma forse ma la può dare lei... L’occhio indagatore della Davidoni si fece più attento, se non addirittura interessato. Ma, fedele al suo personaggio, rispose scostante: -Se si spiccia, che io non ho tempo da perdere. -Lei sa già della pratica scomparsa?

La Davidoni annuì e accese il computer contemporaneamente, senza degnare di uno sguardo il Melagna, che le si era avvicinato. -Lei sa se qualcuno sta facendo delle ricerche, delle... -Indagini? –finì per lui la Davidoni, piantandogli gli occhi addosso. –Mah! C’è qualcuno che ci deve parlare... -e distolse nuovamente lo sguardo per concentrarsi sul videoterminale. Era restia. Melagna pensò divertito che il Sindaco li aveva già “ammaestrati”. -Quando? –chiese poggiando una mano sulla spalliera della sedia girevole ove era issata la Davidoni. -Mah! Oggi pomeriggio alla pausa del caffè. -Tutti quanti? -Non lo so. Io so del geometra e del segretario. -Capisco. Va beh. Melagna tolse la mano dalla spalliera e raggiunse la sua lobbia per poi calarsela in testa. -Bene, non le faccio perdere altro tempo. Se viene il geometra le dica che sono ato. Lei bofonchiò un “si, certo”. Lui salutò e uscì pensando che il geometra, suo amico, gli avrebbe certo telefonato per raccontargli come e chi l’avesse interrogato. O almeno, lo sperava.

25 MAGGIO, ORE 16,30 La porta dell’ufficio del segretario era chiusa. Nel corridoio avano impiegati indaffarati, con fogli vari in mano da fotocopiare. In verità la fotocopiatrice la si sarebbe potuta raggiungere anche in un modo più agevole, però senza are davanti a quella porta...

All’interno il brigadiere Pucci chiese in tono pacato al geometra: -Chi mi assicura che la prassi è così, come dire “sfilacciata”? -Abbiamo sempre fatto così. Un impiegato preleva da quella scrivania le pratiche in entrata e la posta e le smista ai vari uffici. Le mette in quel casellario che le abbiamo mostrato. Poi da ogni ufficio, una volta al giorno, viene qualcuno e si prende la sua roba dalla vaschetta con la sua brava etichetta corrispondente all’ufficio. -Le assicuro – intervenne il segretario allentandosi la cravatta e dimenandosi un poco sulla sedia – che nella fattispecie corrente tutto è regolare. Quasi tutti fanno così. -E quei pochi che non lo fanno? – chiese Pucci. -Sono le grandi città, i comuni grandi... - iniziò il geometra. -Capisco. – tagliò corto il brigadiere. Smise di eggiare lentamente avanti e indietro e si chiuse la zip della giacca a vento – Vi ringrazio. Gli altri due si alzarono e gli strinsero la mano di gran fretta. Il brigadiere percorse l’oscuro corridoio e finì nel confondersi tra le persone che aspettavano al bancone dell’anagrafe. Si diede un’occhiata intorno pensoso, poi uscì. Nel frattempo tutt’e quattro le impiegate, indaffarate com’erano, trovarono il tempo di cercarsi brevemente con lo sguardo. Le due che erano sedute vicine intente a compilare dei documenti su vetuste macchine dattilografiche, si parlarono con aria da cospiratrici. -Era il brigadiere, eh? -Certo. E’ in borghese, ma Sarti me l’ha descritto. Era lui... E il rumore assordante dei tasti percossi si ravvivò immediatamente.

25 MAGGIO, ORE 17,30 Il brigadiere Pucci infilò un piede nel fango occultato dall’erba già alta. Si

produsse in un’imprecazione da caserma mentre sentiva il freddo dell’acqua impregnargli la calza. Ci aggiunse una bestemmia, poi scorse chi faceva al caso suo e tentò di assumere un atteggiamento tra lo sfaccendato e il curioso. Nel contempo aumentò la velocità del suo o per appressarsi alla figura, lontana una decina di metri. -Buongiorno. Il contadino alzò gli occhi dalle erbacce, ma non spense la falciatrice elettrica a disco. Anzi, si rimise subito a ripulire il fossato dalle erbacce. -Buongiorno! –ripeté impavido Pucci –Ho sentito dire che da queste parti si vende una casa colonica. –buttò lì. -Le interessa? –fece quello squadrandolo scettico dalla testa ai piedi calzati nei mocassini inzaccherati. -Certo. Ci vorrei fare un localino... Il contadino concentrò meglio la sua attenzione sul sorriso accattivante del brigadiere. Il motore della falciatrice scese al minimo. -Sa –proseguì Pucci mentendo spudoratamente – Ho un figlio grande che non trova un lavoro stabile. E’ fidanzato... Lo vorrei sistemare. Il contadino spense il trabiccolo e indicò un casolare perso tra i campi a mezzo chilometro circa. -A l’è un po’ fuori mano –osservò con diffidenza. -Meglio. E’ di moda. Mio figlio ci fa una specie di agriturismo di giornata... -Ah, per fortuna non è mio, né! – fece il contadino asciugandosi il sudore con la maglietta larga e scura. -Perché “per fortuna”? – chiese il brigadiere simulando una preoccupazione che non provava. -Lo vede, là? – disse quello indicando col braccio teso un’area indefinita alla loro sinistra – da là, a quasi là – e spostò l’indice e tutto il braccio verso il

casolare – ci fanno un campo di zingari. -Ah, capisco – Pucci fece di si con la testa e l’interesse che provava questa volta era genuino. -Io, per me, non son fatti miei, ma io andrei a cercare da un’altra parte. -Ma c’è qualcuno in quella casa? -Certo! C’è Desolina e suo figlio Eustachio. Due mezzi matti. -Mezzi matti? -Eh, già, lei da giovane è stata in manicomio due volte. La chiamano “La mata rossa”, in italiano “la matta rossa”, che ci ha i capelli rossi come le carote. Volevano anche espropriarle un pezzo là, vicino alla casa. – e ripuntò il braccio indicatore verso il casolare – Ma lei c’è corsa dietro al geometra col forcone, poi c’è corso dietro all’assessore sempre col forcone... E n’autra vòlta pure dietro il vice Sindaco e al geometra messi assieme. -Col forcone? – s’informò divertito il brigadiere. -No, con la roncola – spiegò tutto serio il contadino. -Ah! – il brigadiere a stento riuscì a rimanere serio. Quell’altro lo guardò quasi scandalizzato -A l’è ‘na mata. Dovrebbero rinchiuderla. Ma sì in Italia, i manicòmi a esisto pì, non esistono più! -Beh, grazie. Cercherò altrove. -Prigo... Brav, brav, cèrca! – fece quello e riaccese il tosaerba.

26 MAGGIO, ORE 15,00 Il brigadiere Pucci raggiunse al telefono il Sindaco di Foli. – Sono il brigadiere Pucci. Le telefono per dirle che oggi non posso indagare. Sono di servizio per un trasferimento al carcere di Torino.

-Verrà domani? -Senta, questa faccenda non ha molti sbocchi. Chiunque può aver trafugato la pratica dal casellario. Il corridoio da dove si a per accedervi dà nella zona aperta al pubblico dell’anagrafe e la porta non è mai chiusa. E anche quel corridoio è un via vai di impiegati. Inoltre da quel corridoio si va anche in bagno e c’è una scala che mi dicono vada in archivio. Chiunque avrebbe potuto nascondersi lì e aspettare il momento buono. Le consiglio di far cercare bene in archivio a qualcuno di estrema fiducia. Potrebbe anche darsi che qualcuno l’abbia nascosta là. -Perché di fiducia? –chiese un tantino allarmato il Sindaco – Sospetta di qualche dipendente? -Dipendente, amministratore... E come si fa a non sospettare... Non ci sono elementi che possano escludere qualcuno, sinora. -Allora faccio controllare. -Faccia... -Ma lei quando torna? -Onestamente, potrei anche indagare ancora, ma non so se non ciondolerò avanti e indietro per nulla. -La prego, insista. -Ma non fa prima ad avviare un’altra pratica? -Non è questo il punto. Un comune non può smarrire le sue pratiche. La prego brigadiere, lo faccia per l’amicizia che mi lega al maresciallo Bentivoglio... La risposta di Pucci tardò un po’ a venire. -Va bene. Sarò lì appena mi sarà possibile. Si ossequiarono e il brigadiere interruppe la comunicazione. Questo richiamo all’amicizia col suo superiore diretto non gli era piaciuta un granché.

27 MAGGIO, ORE 9,00 Il messo comunale scivolò inciampando su un faldone caduto a terra da chissà quanto tempo. Stenti lo soccorse immediatamente. -Ti sei fatto male? -Un po, al didietro... Accidenti, mi sembra di avere i pantaloni umidi... -E’ meglio che cerco di togliere gli scuri dai finestrotti. Quando Stenti cercò di fare ciò che diceva, una delle tavole di legno gli si spezzò tra le mani e una nuvola di segatura marcia si sprigionò attorno alle sue gambe. -Porca zozza! -La luce non funziona proprio – Lo informò il messo Stempia. -Mah! L’altra settimana funzionava, dicono... Comunque io questi li tolgo. Se si spezzano ne metteranno degli altri, tanto sono marci. – ed eseguì. Fuori era una giornata di sole accecante, ma là, sotto i tetti, penetrarono solo due fasci di luce simili a degli improbabili “occhio di bue”. Stenti e Stempia si guardarono intorno. L’ambiente era basso e sbilenco. I mattoni nudi erano ornati di tendoni e di ragnatele e anche i faldoni sopra i ripiani ne erano abbondantemente avvolti. La polvere poi, li ingrigiva fino a farli somigliare a delle statue di pietra. Solo una sezione era spolverata e nitida: la più recente. Stenti si mosse verso quella parte e un nugolo di polvere si alzò d’intorno al movimento dei suoi piedi. -Non c’ero mai venuto qui, ma certo che ci sarebbe bisogno di un’impresa di pulizie. -La maggior parte di quelli –disse lo Stempia, indicando i faldoni prigionieri di ragnatele e polvere – si sbriciolerebbe solo a arci uno straccio. -Sarà meglio che ci muoviamo –disse lo Stenti afferrando un faldone pulito per portarlo sull’apposito tavolo di consultazione che pareva vecchio più del comune

dov’era collocato. Quando con una certa vivacità posò il fascicolo, si sollevò una nuova cortina di polvere. -Apri la finestra, presto! – disse al messo tra un colpo di tosse e l’altro – meno male che non soffro d’allergia – e si portò il fazzoletto alla bocca, otturando anche il naso. L’altro tentò di eseguire con entrambi i finestrotti. -Sono bloccati, dovresti venire ad aiutarmi... No, forse è meglio che apro la porta. Non vorrei che si rompessero anche questi, che poi quelli sono capaci di detrarceli dallo stipendio. Ma la porta l’aveva già aperta lo Stenti. Iniziarono la consultazione tossicchiando entrambi. -Non finiremo mai, altro che due giorni! – disse sconsolato lo Stenti. -Questi saranno una trentina – asserì il messo – gli altri li controlliamo solo da fuori, tanto per essere zelanti... Tanto qui dentro nessuno ci può mettere niente. Te l’ho detto che si sbriciolano. E’ capitato al messo che c’era prima di me vent’anni fa. Figurati! -Si – ne convenne l’impiegato – poi oltre tutto si vedrebbe che mancano ragnatele e polvere. Ma lo stesso trenta faldoni non sono uno scherzo. -Già – confermò il messo – ma che ci vuoi fare. Queste sono le belle pensate dei Carabinieri! La polvere si abbassava lentamente e loro cercavano tra le carte la pratica di allacciamento idrico che il Sindaco si diceva quasi certo si trovasse lassù per errore. -Bah! – borbottò lo Stenti – Semmai qua ci fosse la pratica non sarebbe certo un errore. Lo Stempia tossicchiò ancora ripetutamente. Poi disse: -Ci venissero il Sindaco e il brigadiere a cercarsi sta’ pratica!

28 MAGGIO, ORE 20,00 La sala consiliare era ancora deserta. Il consiglio si sarebbe tenuto alle nove. Il Sindaco sorrise al brigadiere Pucci, venendogli incontro. -Caro brigadiere, è andato bene il trasferimento? -Si, grazie. -Si accomodi dove preferisce, la prego. Pucci si sedette e Mondanotti aumentò la gittata del sorriso sedendogli di fianco. Si tolse il giubbetto senza maniche e lo depose sul tavolo. -Mia moglie è fissata con l’aria serotina. Dice che fa male alla salute e che può far raffreddare anche a primavera inoltrata. Ma esagera: fa un caldo! Il brigadiere in maglietta “polo” che esaltava un po’ la pancetta, annuì benevolmente, sorrise persino e venne al dunque. -Lai può escludere che sia stato un membro della famiglia che possiede il cascinale adiacente all’area nuova per i ROM? Il Sindaco lo squadrò un po’ sorpreso e smise involontariamente di sorridere. Poi riaprì il “boccascena” ed esclamò: -Ma si figuri! Quelli in comune non vengono da anni. E non erebbero inosservati, sa. Come lei già saprà sono madre e figlio e vanno in giro vestiti da campagna anche in pieno centro. Se fossero entrati in comune lo saprei già, sono impossibili da non notare: a parte il vestiario lui ha i capelli color carota lunghi e la madre li porta raccolti a crocchia mezzi arancioni e mezzi grigi. – sorrise amabilmente – E poi quei poveretti non distinguerebbero un paracarro da una deliberazione. Impossibile. -Potrebbero aver pagato qualcuno, oppure conoscere qualcuno che ha suggerito loro cosa fare.

-Non hanno mica tutti questi soldi... Però potrebbe essere... Ma escludo che lo abbiano fatto personalmente. Glie l’ho detto: non distinguono un giornale da un libro. -Bene. Io continuerò le indagini sia in direzione del cascinale che in altre. Ma come le ho già detto, siamo ad un o da un punto morto. Lei non cambia idea? -Non posso, caro brigadiere, non posso. -Ha fatto iniziare le ricerche in archivio? -Si, ma per ora niente... Penso che ne avranno ancora per un giorno o due... Ma per ora, niente. -Se permette verrò durante il lavoro di ricerca a dare un’occhiata. -Va bene – rispose Mondanotti con non eccessivo entusiasmo. -Il brigadiere si alzò lentamente. -Bene – disse – Se ora vuole scusarmi... -Ma senz’altro! – s’affrettò tutto sussiegoso il Sindaco, alzandosi anch’egli in piedi. -Verrò lunedì- puntualizzò Pucci porgendogli la mano da stringere. -Il Sindaco parve un po’ dubbioso, poi si illuminò brevemente. -Ah si, il giretto!- esclamò. -Già – ne convenne il brigadiere. -Quindi quest’ultimo uscì senza indulgere in ulteriori ossequi, LUNEDI’ 31 MAGGIO ORE 10 Lo stanzino del caffè era stracolmo di bicchierini di carta usati, sparsi per ogni dove. Ne erano stati posati persino due sul davanzale dell’unica finestra.

Due ritardatarie dell’anagrafe finivano di sorbire il loro caffè. Uno dei vigili era appena uscito per rientrare in servizio borbottando tra sé e sé che sempre a lui toccavano le notifiche del messo che faceva la talpa su in archivio. Le due donne, certe Anna Maciurlatti e Teresa Cosentino si erano scambiate uno sguardo d’intesa ed erano scoppiate a ridere del vigile incacchiato. Poi la più giovane, la Teresa, ancora da maritare, iniziò a ripulire la macchinetta del caffè con l’apposito strofinaccio, mentre la Maciurlatti coniugata Cagnasso e madre di una poco graziosa pargola, si mise di buona lena a raccattare i bicchierini per poi gettarli nel cestino. -Bisogna che ci decidiamo a venire prima, sennò toccherà sempre pulire a noiosservò seccata quest’ultima –Guarda che razza di porci... - Bisognerebbe essere di più in anagrafe, così avremmo meno da fare e potremmo venire prima... - fu la risposta sospirata dalla collega. - Si, buonasera... Qui esistono tutti meno noi! Non hai visto quanti trimestrali hanno preso per gli altri uffici? E a noi solo due in due anni... E pensare che in certi uffici che non sto a dire non fanno altro che girarsi i pollici! In quel momento entrò il brigadiere Pucci con un golfino unisex firmato, smesso dalla figlia che gli dava un’aria tra il vacanziero e il démodé e: - Oh, pardon!- esclamò –Non credevo di disturbare... La Maciurlatti rimase con una manciata di bicchierini sporchi a mezz’aria e un sorriso incerto stampato sul volto dozzinale. -Credevo di poter prendere un caffè senza disturbare... - precisò sorridendo Pucci. - Ma s’immagini se lei disturba!- s’intromise la Cosentino prendendo in mano la situazione. S’avanzò ostentando i suoi enormi seni come faceva solitamente quando si palesava un qualunque individuo di genere maschile nell’arco di una ventina di metri. -Ora lo preparo io il suo caffè Sa, questa macchinetta fa un caffè meraviglioso, però bisogna conoscerla bene... Sapere dove pigiare... - e sorrise maliziosa con

l’occhio felpato di quando voleva fare colpo. Il brigadiere attese in un prudente e sorridente silenzio. Si sorbì quindi il caffè non trascurando di decantarne brevemente la bontà. Poi ringraziò e salutando fece le mosse di andarsene. Ma immediatamente parve ripensarci sopra e si fermò, voltandosi verso le due impiegate. Quindi disse senza preamboli, dando per scontato com’era in effetti, che come tutti anche queste due sapessero chi era: -Avete notato nei giorni addietro tra il pubblico una o più persone che si dirigevano verso la porta che da agli uffici interni? Le due si guardarono brevemente con apprensione. Poi, con sicurezza, la Maciurlatti disse: -Uno si... Mi ha chiesto di andare in bagno. Me lo ricordo perché non capita di sovente, sa... Mica uno viene in comune per fare i suoi bisogni! L’ho accompagnato proprio io fin davanti alla porta dei servizi e l’ho visto entrare. -Naturalmente non ha atteso che uscisse. – affermò per lei il brigadiere –Quindi non sa dove abbia potuto dirigersi in seguito... -Non ci ha messo tanto, perché pochi minuti dopo l’ho servito... -Che aspetto aveva? Chiese Pucci lisciandosi un baffetto grigiastro. - Era il giovane Giampiero, figlio dei Coriandoli che stanno nella zona del nuovo campo per i Rom, penso a due chilometri scarsi. –puntualizzò la precisissima funzionaria dell’anagrafe. -Per che cosa era venuto? Per la carta d’identità. Mi ha detto che doveva fare una gita in Francia con la scuola tra venticinque giorni. – la memoria da computer della Maciurlatti, soprannominata da tutti PC, stava ingranando a pieno regime. Le gote le si erano arrossate e il naso sottile e adunco, pareva ancora più puntuto del solito, ora che aggrottava le sopracciglia ben disegnate. - Questo qui fa la seconda ginnasio in città, alla Leopardi, ho sentito dire... .E’ a

pochi isolati dalla vostra staz... - accorgendosi di aver forse detto troppo , divenne paonazza. Poi biascicò qualcosa di intelligibile, sperando in cuor suo che il Sindaco non venisse a sapere di quella incauta allusione alla stazione dei carabinieri di Ciriè. Non voleva certo are per l’unica dipendente che si interessava delle manovre sotterranee del Sindaco per cercare di ritrovare quella benedetta pratica di allacciamento idrico. Il brigadiere non mostrò di essersi accorto di ciò che aveva detto nell’ultima parte del suo discorso e neppure parve notare il suo imbarazzo. L’impiegata si sentì leggermente sollevata, ma il nervosismo aleggiava nel piccolo locale. La sua collega osservava la scena con malcelato interesse. Aveva ripreso da tempo a strofinare inutilmente la macchinetta e il banco su cui era appoggiata che ora scintillavano di luce propria. Il brigadiere rifletté un istante, quindi ringraziò la Maciurlatti, salutò entrambe e disparve da dove era venuto. Fu nel corridoio che prese la direzione che conduceva ai bagni e alla scala del solaio. Così facendo ò nell’ufficio dell’anagrafe, dove il pubblico era già affluito e c’era un bailamme infernale. Le due donne, che vi erano già penetrate da altra direzione, non lo notarono neppure. Una loro collega seccata le stava rimbrottando a bassa voce per non farsi udire dalla gente che ivi stazionava. Ma dalla faccia alterata si capiva benissimo che non era al settimo cielo. Pucci ò lestamente oltre. Si fermò a riflettere ancora qualche istante d’innanzi alla porta del gabinetto semiaperta, dalla quale provenivano certi effluvi non esattamente corrispondenti a quelli esalati dalla violette di Parma. Le sue mosse erano ora sotto la stretta sorveglianza del ragionier Perticoni, il quale s’appressava a rientrare in ufficio, reduce da un ennesimo scontro verbale col segretario comunale. Il brigadiere sparì in pochi istanti su per le scale buie che portavano all’archivio, non prima di concedersi di salutare pomposamente il ragioniere seminascosto dall’attaccapanni a piantana strabordante di maglie e spolverini. Questi contraccambiò untuosamente, sorridendo nervosamente.

31 MAGGIO ORE 11,30 CIRCA

La villetta che un gentile pensionato molto ciarliero gli aveva indicato essere quella abitata dai Coriandoli era di fronte a lui, con i suoi pini e il salice mezzo seccato, il tetto di ardesia e il portone di legno scurito dal tempo e dalle intemperie. No, non si poteva dire che i suoi proprietari la curassero molto. Suonò il camlo e al citofono una voce femminile chiese chi era con un certo fastidio. Un cane vecchio spelacchiato quanto il salice tentava di correre zoppicando vistosamente, verso il cancello in ferro battuto fortuna lo separava dal brigadiere. Una signora di media età, media altezza e media corporatura, con un volto mediamente sfiorito, era uscita dal portone e si faceva ombra con la mano a mo’ di visiera sulla fronte. Il brigadiere sorrise amabilmente, come solo lui sapeva sorridere, a volte. Bel cane!- mentì – Come si chiama? -Teodoro- disse la signora distendendo i lineamenti duri ad un tenero sorriso – Ma una volta era bello... Ormai ha già più di undici anni... Non li dimostra mica, ha ancora una bella struttura.- fu la susseguente menzogna di Pucci. Lei dice?- la signora si avvicinò un tantino di più al cancello. Se vende qualcosa, le dico subito che non compro. – puntualizzò adombrandosi nuovamente, ma solo in parte. -Non tema signora. Volevo solo un’informazione, poi me ne vado via. Anzi, mi scusi per il disturbo . Magari l’ho disturbata mentre stava preparando da mangiare... Oh no, è ancora presto. Noi mangiamo all’una. Sa, chi lavora, chi studia... Il cane abbaiò stancamente, quindi decise di ritornare alla sua cuccia. Ho saputo che qui intorno c’è qualcuno che vende un cascinale. Volevo chiederle se per caso ne sa qualcosa. L’agenzia mi ha dato un indirizzo, ma non riesco a trovarla. – e il brigadiere estrasse da una tasca un’agendina microscopica in

similpelle che un cugino particolarmente tirchio gli aveva regalato per Natale. Finse di consultarla. Sfogliando le pagine completamente bianche si lamentò: Non riesco proprio a trovarla... Eppure l’indirizzo l’ho scritto qui... - E’ dall’altra parte di quel prato, dietro gli alberi, se vuole le spiego come arrivarci, perché questa strada non ci arriva, bisogna tornare indietro... - la donna ora si era avvicinata alle sbarre e stava allungando il collo verso l’agendina, Pucci la chiuse lestamente, con la massima noncuranza. Grazie – disse tutto sorrisi e socievolezza – Ma ha lei le risulta che li vicino ci costruiranno un campo per gli zingari? A Ciriè qualcuno lo dice, ma all’agenzia mi hanno assicurato che sono tutte chiacchiere. Lei si fiderebbe? Certo che no. Le voci sono giuste. Pensi che hanno già tracciato il perimetro. Comunque non è proprio davanti, ma abbastanza vicino e di fianco. Allora avevano ragione giù al bar... Sa, io sono pensionato e o molto tempo al bar con quelli come me... Li mi dicevano che era meglio che fi altro... - Si, forse è meglio. Dipende anche da quali sono le sue esigenze. – la signora guardò l’ora di sfuggita, sfiorando appena il proprio polso con lo sguardo. - Mi sa che non vado neppure a vederla. Pensi che ci volevo fare un maneggio! -Non credo sia il caso, allora. Chi verrebbe a cavalcare in mezzo alle roulotte... - Ma lei li conosce i proprietari? E’ vero che sono, come dire, poco malleabili? - Scommetto che glie lo hanno detto in comune – Pucci annuì con seria compostezza –Non è vero niente di quello che dicono. Sono persone apposto. E’ che questa faccenda del campo nomadi li ha agitati molto... Non sanno con chi prendersela esattamente e allora se la prendono con chiunque venga dal comune. - Lei li conosce bene, allora. Sono miei vicini da tanti anni... Forse sono un tantino appartati e poco socievoli, ma lei sa meglio di me che i contadini lo sono un po’ tutti, chi più chi meno... E pensare che se facevano una strada in più che andava dritta alla provinciale evitavano di fare il campo proprio di fronte a loro. Le amministrazioni non ne

fanno mai una buona, creda a me. Da una parte o dall’altra, sono tutti della stessa razza... E meno male che noi abbiamo questo boschettino che ci isola da quella parte di lì.- la signora sorrise amaramente, poi controllò ancora l’orologio, questa volta in modo molto meno furtivo. Pucci si asciugò il sudore dalla fronte col fazzoletto, poi iniziò a profondersi in convenevoli e ringraziamenti, dispensò ancora un complimento all’esausto cagnaccio e tornò alla sua Panda pensando ancora una volta a quanto potevano cambiare i punti di vista su una cosa o una persona. Era proprio vero che la teoria di Einstein si poteva estendere a tutto ciò che esisteva nell’universo, ivi comprese le relazioni sociali e interpersonali. Non l’aveva mai confessato ad anima viva, ma secondo lui l’arte investigativa si fondava addirittura su questo principio. Si, anche nel crimine tutto era relativo.

1 GIUGNO ORE 16 Anna Maciurlatti camminava per una via secondaria del paese. Una di quelle vie che se uno è alto come lo fu il grande Primo Carnera, dispiegando le braccia può arrivare a toccare le mura delle case da entrambi i lati. Pucci era in auto e procedeva a o d’uomo. Occhieggiava le due gambe un po’ storte che uscivano da una castigata gonna blu oltremare danzavano in modo sincrono con una sporta ricolma di pacchetti e ciuffi di sedano. - Posso aiutarla? La donna volse lo sguardo verso l’auto, alquanto perplessa. Quindi riconoscendolo all’istante, s’illuminò in volto e gli sorrise. - Lei spunta dappertutto come i funghi... - e senza por tempo in mezzo lo ringraziò dell’aiuto insperato e gli rifilò la sporta attraverso il finestrino aperto. Mentre la donna ava dall’altro lato per prendere posto vicino a lui, Pucci ebbe modo di stupirsi di come la presenza della Maciurlatti lo emozionasse più del dovuto. Pensare a Franca non gli giovò affatto e represse sul nascere ogni larvato accenno all’esistenza della moglie perché fuggevoli fitte di colpevolezza gli turbavano la coscienza. Quando lei salì e il profumo della primavera parve investirlo decise di rimanere imibile e per aiutarsi iniziò insistentemente a pensare ai suoi sessanta anni e

a Lei nel frattempo gli indicava la strada da seguire per raggiungere casa sua. - Meno male che è ato lei, brigadiere. Sono in un ritardo mostruoso. – ora che erano soli lei gli sorrideva e lo guardava continuamente parlando a più non posso. Con soddisfazione estremamente autolesionistica, lui si avvide che la Maciurlatti aveva dei denti alquanto brutti e un po’ cariati. Poi però vide anche la scollatura della camicetta attillata e distolse subitamente lo sguardo, anche se di malavoglia. Già in comune aveva notato la figura molto voluttuosa dell’addetta all’anagrafe. L’aveva notata così tanto da tralasciare quasi completamente i particolari trascurabili del naso un po’ adunco e delle gambe un tantino storte. Quanti anni poteva avere? Trentacinque decise. Non uno di più. Ma stava parlando. Cosa stava dicendo? Si costrinse a prestarle attenzione. Non doveva dimenticare che stava conducendo un’indagine., anche se piuttosto insolita, per la verità... La signora Maciurlatti stava parlando di quanto fosse difficile al giorno d’oggi fare la spesa, soprattutto se si avevano dei figli in giovane età. -... Non sai mai cosa gli dai da mangiare... Meno male che adesso ci sono i prodotti biologici... - Lei conosce bene i Coriandoli?- chiese senza tanti preamboli Pucci. Non voleva assolutamente che l’eccessiva confidenza lo distogliesse ulteriormente dal suo dovere. Lei rimase un tantino interdetta dalla domanda così repentina e distante anni luce da quello di cui lei stava parlando. Non si offese perché sapeva benissimo che il brigadiere doveva fare il suo lavoro e anzi, lo apprezzò per questa sua decisione di non indulgere in frivole questioni. Dimostrò l’apprezzamento con un caldo sorriso che Pucci recepì sin troppo bene. Distolse definitivamente lo sguardo da lei per fissarlo sulla strada. - Io conosco tutti qui... - disse la Maciurlatti. –Però, a guardar bene, io non dovrei parlare con lei di queste cose... - si ò nervosamente le maniglie in bambù della sporta da una mano all’altra. - Si sbaglia – disse Pucci scansando una vecchietta in bici che teneva mezza strada – Lei non deve parlarne con i suoi colleghi, famigliari e amici. Io svolgo

le indagini. - Non ufficialmente, almeno per il Sindaco. Lasciamo perdere le strane idee del Sindaco. Con me deve parlarne. Se dessimo retta al Sindaco come cavolo farei io a scoprire qualcosa? - Si, ma io sono una dipendente del comune... - protestò debolmente la donna. -Non avrà mica paura di ritorsioni? Noi non stiamo spettegolando del più e del meno ed è molto difficile che io vada al bar a parlare di ciò che apprendo da lei. La funzionaria era ancora titubante, purtuttavia, dopo aver detto che era giunta a casa ed aver indicato il luogo dove parcheggiare l’auto a Pucci: Lei vuole sapere qualcosa di preciso su questi Coriandoli? – chiese lasciando andare definitivamente i manici della borsa che tanto aveva bistrattato. –Allora venga su da me che ne parliamo con calma. Questa volta era Pucci ad essere titubante. –Non vorrei disturbare... - balbettò, mentre assurde idee di seduzioni oscure gli si accavallavano nella mente . -Ma chi vuole disturbare? Ci sono solo mia madre e mia figlia... - lei sorrise invitante. Scesero dall’auto e lui si offrì di portarle la borsa. Se ne pentì quasi subito: era così pesante che pareva che dentro vi fossero due manubri per il sollevamento dei pesi. In cuor suo si augurò che l’ascensore ci fosse e fosse funzionante. Entrarono in una palazzina anonima, ma recente, assediata da antichi ruderi riattati. In ascensore la solita nube di profumo si riacutizzò. Pucci per ovviare all’inconveniente ritornò sulla questione dei Coriandoli. -Sono stati i primi a voler comprare la cascina. Tutto qui. - Ma sembra che le famiglie vadano abbastanza d’accordo... . -Lei come fa a saperlo?- si stupì la Maciurlatti. Poi, subito dopo: -Che stupida,

lei è un investigatore... .- e gli sorrise tutta compiaciuta. Per fortuna l’ascensore si aprì al piano, proprio mentre Pucci stava divenendo pericolosamente rosso in viso. - Potrebbero essere stati loro a suggerire un simile furto alla signora... - Alla matta rossa? Potrebbe anche essere... Ma è difficile dirlo. Non credo siano mai stati in eccessiva confidenza nemmeno con i Coriandoli quei due... Non fino a questi punti. - Però è innegabile che sono tra quelli che si avvantaggerebbero se il campo dei Rom non venisse fatto. Forse la cascina andrebbe a loro... - O forse no. Perché la rossa, prima che il comune decidesse di fare il campo, vendeva un giorno si e uno no. E’ una persona totalmente inaffidabile, secondo me. Entrarono in casa. Lui fu presentato ad una anziana signora con il naso adunco e ad una bambina con gli occhi tristi e le orecchie a sventola. Poi la Maciurlatti fece consegnare la sporta alla vecchia madre e si chio in salotto dove lei tirò fuori del porto e due bicchieri di cristallo con relativi sottobicchieri in argento. Il salotto era arredato riccamente, ma si vedeva che mai nessuno ci metteva piede. Le poltrone e il divano erano così intonsi che si sarebbero potuti vendere come nuovi in un qualsiasi mobilificio quel giorno stesso. -Certo è – osservò Pucci seduto rigidamente su una sedia foderata di damascato –che sarà difficile risolvere in tempo breve questa questione... Anzi, credo sia proprio difficile risolverla. Anche in comune potrebbe nascondersi il colpevole della sparizione. Un dipendente scontento, un amministratore invidioso, uno dell’opposizione. - Si... Potrebbe essere- ammise lei –I sindaci hanno sempre i loro bravi nemici. Però lo scandalo, in caso si risapesse, non so se varrebbe la pena... Nel caso di un dipendente, poi, si rischia il licenziamento... - E la strada che porta al cascinale? – chiese Pucci dopo un breve istante di riflessione – Che mi dice di questa strada? -Lunga, piena di buche e sassi... Un vero schifo. Altro non saprei... -disse piano

la signora, squadrandolo con uno sguardo vellutato che rimise in subbuglio le vene colesterose di Pucci. -Volevo dire... ehmm... Farne una più breve che colleghi direttamente alla provinciale? – bevve di gran fretta l’ultimo sorso di porto. - Alcuni, anche nell’opposizione dicono che sarebbe stato meglio... Certo che i Bonaudo, la “mata rossa” e il figlio, non avrebbero avuto nessun fastidio... Però l’amministrazione dice che non sta bene sulla provinciale. -Eh, si. Ci sono anche dei negozi, non è vero? Lei sorrise maliziosa. –Bè, alcuni di loro sono dei sostenitori del Sindaco. Però io qui lo dico e qui lo nego. – e la signora Maciurlatti, così dicendo, accavallò molto graziosamente le gambe, scoprendo polpaccio, ginocchio e anche un tantino oltre. Tossicchiando Pucci si assestò sulla sedia. Lei rise divertita e ancora il brigadiere poté bearsi della visione di quel dente guasto che gli serviva per ritornare per così dire, alle cose terrene. - Signora Anna – disse alzandosi dalla sedia e posando contemporaneamente il bicchiere ormai vuoto –La ringrazio molto, ma ora devo proprio andare... Lei si alzò e il brigadiere con una sorta di accanimento terapeutico notò nell’ordine: sopracciglia troppo folte, la tinta rossa che non le donava affatto e ancora il solito dente mezzo guasto. Però notò anche il petto piuttosto dirompente, anche se non strabordante come quello della collega conosciuta anzi tempo in compagnia della Maciurlatti. Nel petto un po’ sovrappeso del brigadiere il cuore diede un balzo capriccioso.

MARTEDI’ 2 GIUGNO ORE 9 La stazione dei carabinieri era un piccolo fermento, ora che una volante era uscita sgommando con il suo vociante frastuono sotto la spinta dell’ennesimo allarme dalla banca in centro. Era il quarto dalla sera prima. Evidentemente c’era

qualcosa che non andava negli impianti, ma il direttore non si decideva a chiamare gli stramaledetti tecnici. Il Maresciallo capo Bentivoglio dava le spalle a Pucci. Dalla finestra osservava il selciato sottostante e borbottava fuggevoli invettive all’indirizzo della famigerata banca. Una pioggerellina insistente inzuppava tutto da ore, rendendo persino i muri delle case viscidi come serpenti. Si era persino alzato un freddo insolito per la stagione primaverile. - Qui le cose non possono più andare avanti in questo modo – disse Bentivoglio. E Pucci per un momento non seppe spiegarsi se si riferiva alle sue indagini sulla pratica dall’allacciamento idrico, o agli avanti e indietro che da ore i suoi carabinieri erano costretti a fare per inseguire fuggevoli fantasmi di rapinatori di banche. - Allora lei Pucci mi assicura che ha una sia pur minima percentuale di speranza nell’ottenere risultati stando appresso a questa benedetta pratica? Eh, si, ora non c’erano più dubbi, Bentivoglio stava parlando proprio della sua situazione. - Ma come faccio ad assicurarla Maresciallo. Potrebbe essere stato chiunque... un dipendente, un amministratore, uno dell’opposizione, i Coriandoli che avevano l’occasione di comprare la cascina con notevole vantaggio, altre due, o forse tre famiglie che speravano... a detta d’un vigile, persino uno di Torino che non sono ancora riuscito ad identificare. A parte il fatto che se non posso interrogare le persone liberamente e direttamente in qualità di brigadiere per una indagine vera e propria, anche a trovare uno stuzzicadenti ci metterei un’eternità... Io devo lavorare sui sentito dire, sui pettegolezzi... E poi, andiamo! Magari se la sono dimenticata chissà dove, oppure un dipendente ci ha versato sopra un caffè o dell’inchiostro e se ne sta zitto per paura di chissà che! Tutto e il contrario di tutto è possibile. Persino lo scherzo di cattivo gusto. - E no! Così non va! Io ho bisogno di lei qui in stazione. Non siamo mica in tanti qua... Adesso telefono al Sindaco di Foli e lei va ad interrogare quel Prota, il ricettatore. Vada pure Brigadiere... Il brigadiere si calò il berretto in testa e salutò militarmente. Uscì tutto soddisfatto. Non ne poteva più di andare avanti e indietro per prati, campi, uffici e citofoni, alla ricerca del ladro d’una pratica d’allacciamento idrico. Il

Maresciallo, ormai solo in ufficio, si sedette alla scrivania, tirò un bel respiro rilassante e compose il numero del telefonino personale del Sindaco di Foli Giuseppe Mondanotti. -Buongiorno caro Sindaco! Sono il Maresciallo Bentivoglio!- esordì con fin troppa giovialità. - Oh, caro Maresciallo, che piacere! – rispose quello con altrettanta enfasi – Lei mi ha proprio favorito, sa. Il brigadiere ... insomma, quel brigadiere lì che mi ha mandato ... - Pucci, caro Mondanotti, Pucci... - Ah si! Come ho fatto a non ricordare... Una persona squisita. Volenteroso, attivo, discretissimo... Purtroppo non ha scoperto molto sinora, ma è una situazione talmente delicata... - Pensi un po’, proprio di questo le volevo parlare. Caro dottor Mondanotti, senta a me, questa faccenda non è cosa. Veda, l’esperienza insegna: difficilmente la pratica è stata rubata. Per me è una sparizione del tutto accidentale. A proposito: come vanno le ricerche che il brigadiere mi disse di aver consigliato? - Niente di niente... Ma non ne dubitavo... Io sono ancora dell’idea che mi sia stata sottratta a bella posta. Il suo bravo brigadiere forse è sulla pista giusta. Si tratta solo di insistere un po’. Certo che però questo Pucci è un uomo molto riservato e delicato. Pensi che se veniva da me io gli fornivo tutte le indicazioni che voleva sul campo Rom . Ma lui ha preferito non disturbarmi, sapendomi così impegnato come sono in questo periodo. Veramente un elemento d’oro, caro Maresciallo. - Lo so , caro Sindaco, lo so. Pucci è un uomo di grande esperienza. Peccato che si avvicini inesorabilmente all’età di pensionamento. Però, senta a me, dottore: sarebbe tutta un’altra musica se si trattasse di cosa più consona all’esperienza d’un investigatore... -Sento, caro Maresciallo, che lei si vede costretto a privarmi del brigadiere per utilizzarlo per scopi ben più importanti. Ma io come faccio? Con le elezioni tra pochi mesi e questa responsabilità d’una pratica così decisiva per le sorti di questo mio piccolo comune... Anche alla Regione, che diranno mai?

Il Maresciallo alzò gli occhi al cielo. Mondanotti stava alzando il tiro. -Certo che la capisco. Ma anche lei capisca a me. Io non posso privarmi a lungo... Ho così pochi elementi... - E’ un vero peccato. Anzi è uno scandalo che lei sia così privo di elementi in una stazione d’una cittadina importante come Ciriè. Mi sentirà chi di dovere, caro Maresciallo. Ancora Bentivoglio alzò gli occhi al cielo. -Potrei mandargliene uno più giovane, sa Pucci ha già superato i sessanta... Tutto questo marciare in mezzo ai campi lo affatica un po’. Ma in questo momento non posso proprio... Perché non prova con un investigatore privato? - La prego, chieda a qualcuno dei suoi se è disposto a seguire il mio caso anche nelle ore in cui non sia in servizio... Pochi ritagli di tempo, per carità. Io non ho ancora perso le speranze... Certo che se fosse Pucci, ne sarei più sollevato. Bentivoglio alzò nuovamente gli occhi al cielo. Era seccatissimo, tanto da lanciare la biro a terra con nervosismo. Ma la sua voce rimase gentile e rispettosamente bassa. - Non è la prassi, ma per lei, chiederò senza meno. - La prego, lo chieda per primo a questo Pucci. Ci tengo... Si salutarono ossequianti e contrariati entrambi.

GIOVEDI’ 4 GIUGNO ORE 11,25 Il Vicesindaco Soffiotti si grattò a lungo la testa, proprio sul cocuzzolo a spazzola. Indi ò ad un orecchio color porpora forse a causa delle frequenti libagioni. Poscia, prese a tormentarsi il naso carnoso e un po’ venato. Il Sindaco, nel frattempo, parlava: - Qui la situazione è grave. Siamo lo zimbello dell’opposizione che, com’era prevedibile è venuta a sapere tutto. E se becco chi è stato a fornirgli ogni

particolare della sparizione compresa la presenza del brigadiere, gli faccio are un brutto quarto d’ora. La pratica non si trova, il colpevole neppure e noi dobbiamo procedere all’inaugurazione dei lavori prima delle elezioni. - E rifacciamo sta pratica... siamo ancora in tempo... - Soffiotti parlò seguitando a grattarsi. Ora era ato ad un sopracciglio arcuato e cespuglioso. –Non capisco perché dobbiamo stare qui ad aspettare che venga ritrovata... Per me è inutile. - Se rifacciamo la pratica sotto le elezioni, tutti sapranno che ci perdiamo le pratiche, o peggio, che ce le sottraggono di sotto il naso. L’opposizione cavalcherà su quest’ondata di scandalo e di ridicolo e saremo fritti... - Se lo dici tu!- Soffiotti finì di grattare il sopracciglio per are istantaneamente ad una gota porporina e porosa. - Lo dico si! In questo comune finché ci sono io tutto è sotto controllo! Lo deve essere!... Ma hai finito di grattarti? Cos’hai, la rogna? - Guarda che così la prima pietra non la poseremo mai. Io non dico di fare pubblicità al fatto che rifacciamo la pratica, ma è pur sempre meglio mettere le mani avanti... - Perché tu credi veramente sia possibile rifare quella pratica senza che nulla trapeli? Bisognerebbe tagliare la lingua a troppe persone, dico io. - Tanto quelli che avranno i Rom accampati tra le loro case non ti voteranno di certo. - Se fosse solo per quei quattro voti, sai che preoccupazione... E piantala una buona volta di grattarti! Mi innervosisci! - Ma rifai sta pratica e posa la prima pietra. Ci difenderemo. Non è la prima volta che l’opposizione ci attacca. - Leggi un po’ di più, invece di giocare sempre a bocce e vedrai che non c’è niente che uccide come il ridicolo. La storia è piena di uomini potenti che messi in ridicolo da una qualche loro azione o da qualcosa che è loro successo e sono stati schiantati dai loro nemici.

- Se è per questo, è anche piena di gente che s’è schiantata da sola prendendo per mare un bicchiere d’acqua! Se tu non vai alla cerimonia perché sei senza allacciamento farai proprio questa fine, secondo me. - E’ una questione di principio, invece. E poi io ho fiducia nelle forze dell’ordine. - Ma cosa c’entrano le forze dell’ordine. Quelli non caveranno un ragno dal buco e tu finirai cornuto e mazziato. Se non vuoi rifare la pratica, fai la cerimonia senza l’allacciamento.- il Soffietti finì temporaneamente di grattarsi e iniziò a soffiarsi il naso. - Ma ragiona! Un campo non è una costruzione: il cemento, servizi sanitari, l’allacciamento della luce e dell’acqua. Non ci sono scuse che tengano. Dopo l’allacciamento idrico, che è l’ultima cosa da fare, il campo è bello che pronto. Non posso mica ordinare una perizia suppletiva. Senza la pratica l’acqua non me la mettono e io che scusa ci trovo agli elettori? - Ma nel frattempo ti avranno già eletto. - Niente da fare. Io sono il primo cittadino e devo rispettare le leggi. La cerimonia d’inaugurazione senza la pratica, io non la faccio. E’ una questione di stile. Se venissi rieletto... - Lo sai benissimo che ti rieleggeranno... - Ragione di più per non esporsi ad un attacco. -Perché così invece? - Per adesso si limitano alle battutine... - Battutacce, caro Mondanotti, battutacce... - Se sapessero che faccio la cerimonia senza allacciamento mi sotterrano. E se ammetto di aver perso la pratica mi frantumano e se per caso dico che è stata rubata sono capaci di dire che è una mia invenzione per dare la colpa a loro

dell’accaduto. -Secondo me, ti fai troppe idee sbagliate. Se vuoi fare così, fai, ma per me l’investigatore privato è una cagata colossale. Così si che ci coprirai di ridicolo. Già si sghignazza perché si dice che abbiamo chiesto alla Finanza e si sono rifiutati, allora abbiamo dovuto ripiegare sui carabinieri. - Chi lo dice? Quei cani dell’opposizione, vero? - Lo dicono i nostri, Giuseppe, i nostri... Il Sindaco e il Vicesindaco si guardarono per un lungo istante. Poi Mondanotti disse: - Non ho chiamato nessun investigatore privato. Un carabiniere lavorerà per noi nelle ore libere. Questo è tutto. Non si può pretendere che il Maresciallo ci fornisca dei suoi uomini con tutta la criminalità che si è sviluppata in vallata.

GIOVEDI’ 4 GIUGNO ORE 16,30 L’assessore Specchio e il Cavalier Melagna parlavano fitto fitto col ragionier Perticoni. La dottoressa Ponza rompeva le scatole all’applicato Stenti con una lettera da mettere giù come voleva lei, indirizzata ad una certa professoressa d’un certo coro che avrebbe dovuto esibirsi alla festa del paese nella chiesa grande. Il vice Sindaco Soffiotti traguardava voglioso i seni enormi della Costantino che ballonzolavano piacevolmente mentre la donna era tutta intenta a battere a macchina delle carte d’identità. Di lì a mezz’ora ci sarebbe stata la riunione col Sindaco. Negli uffici regnava il caos totale e un vocio da stadio. Non ne erano risparmiati neppure l’ufficio tecnico, dove i dipendenti erano alle prese con il prof. Polena, tutto intento a spiegare come si dovesse agire per iniziare certi scavi archeologici atti a portare alla luce insediamenti celtici che lui era sicuro da anni, si trovassero proprio lì... E i vigili? Tutti fuori sede alla ricerca di salvezza e multe. Il messo comunale rispondeva al telefono con la velocità d’una cucitrice meccanica, coadiuvato in

questo da un’impiegata avventizia. Nel contempo ascoltava per modo di dire il solito sermone del dottor De Rossi sull’importanza della caccia ai pidocchi nei locali pubblici in una società civile. Il frastuono fu breve, ma tuttavia assordante, spaventoso. I più impressionabili sulle prime credettero ad un terremoto o ad un attentato. Le impiegate all’anagrafe si fiondarono strillando come galline verso l’uscita più vicina, travolgendo nella loro corsa il vice Sindaco. Quest’ultimo si rifugiò sotto il bancone che divideva le impiegate dal pubblico, colto da irrefrenabile singhiozzo. Perticoni, il cavalier Melagna e il commercialista dottor Specchio, si fiondarono nel locale caffè, da dove per loro c’era l’uscita più vicina. - Sta crollando l’archivio!!- si sentì urlare da qualche parte. La Davidoni si alzò di scatto dalla scrivania e con la sua mole mandò tutto a gambe all’aria. Il professor De Rossi e il geometra Cavezza si precipitarono a soccorrerla. Il geometra inciampò così in un faldone che era caduto e si torse una caviglia. Tutto questo e altro ancora accadde nell’ordine d’una manciata di secondi. Dopodiché venne l’urlo disumano. Il primo a riconoscerne la provenienza fu lo Stenti che si precipitò verso l’ufficio del Sindaco e del segretario che si trovavano lungo il famoso corridoio che dava sui bagni, sull’archivio ai piani soprastanti e, a sinistra, si immetteva nell’anagrafe, dalla parte aperta al pubblico. Nella corsa dovette scansare Soffiotti che, in preda ad un singhiozzo ormai devastante, era uscito di sotto il bancone e con o stentoreo, ora, si dirigeva anch’esso verso la fonte dell’urlo. Ma lo Stenti non riuscì a scansarlo completamente, anche perché si trattava d’un uomo estremamente tarchiato che se non in altezza, in larghezza teneva assai spazio. Il vice Sindaco finì a terra e sbatté il nasone sul piede d’una scrivania, lo Stenti invece riuscì a stare in piedi, anche se per via del contraccolpo sbatté

violentemente la spalla contro il muro. La sua corsa non si esaurì per questo. Sbilanciato com’era, si fiondò caracollando verso l’ufficio del Sindaco che ormai non era che a pochi metri. All’imbocco del corridoio notò che la porta dell’ufficio del segretario era chiusa, invece quella del Sindaco era spalancata. Nella penombra, seminascosto dall’attaccapanni a piantana, c’era il segretario Pennacchione. Stenti lo raggiunse. Ansante, notò la camicia bianca insanguinata in più punti, il volto livido e gli occhi così terrorizzati da apparire ancora più bovini ed inespressivi del solito. Mentre gli chiedeva cosa era successo, Stenti si avvide anche di numerose macchie di sangue sulla pelata del segretario, sulle maniche della giacca chiara. Pennacchione gesticolava ampiamente, ma non riusciva a dire granché: - Non io... Presto... Un’ambulanza... Lo Stenti si precipitò nell’ufficio del segretario e si attaccò alla cornetta. Non sapeva cosa e a chi fosse successo quel qualcosa, ma la sola vista del segretario che pareva un fantasma insanguinato era più che sufficiente per convincerlo dell’immediata necessità di seguire il consiglio di Pennacchione. Terminato che ebbe di chiamare l’ambulanza, ecco che sentì un sussurro dietro di se. Si voltò. Pennacchione si era lasciato cadere su di una sedia. Davanti allo stipite della porta aperta era comparso Soffiotti con un fazzoletto premuto sul naso. Questi ripeteva: -Che le è successo segretario... Il segretario lo ignorò e continuò a tentare di spiegarsi con lo Stenti che nel frattempo gli si era avvicinato e, non sapendo che fare per lui, gli aveva porto un fazzoletto perché si pulisse il volto e la testa schizzati di sangue. Ma il segretario teneva il fazzoletto nella mano inerte e come un fantoccio dalla carica sempre più stanca, ripeteva: - Non è il Sindaco... Non è il Sindaco... E’ Belloni... Belloni. Ma l’ambulanza è inutile... E’ morto, mi creda... Nel frattempo il Soffiotti con il suo fazzoletto sul naso sanguinante era giunto con o claudicante sulla soglia dell’ufficio del Sindaco.

- Oh Signur, Signur! – ripeteva in un rivolo di costernato orrore – Oh Signur, Signur... - e non si decideva a muoversi da lì. Stenti l’aveva già raggiunto e fu costretto a spostarlo quasi di peso, inebetito com’era. Quando poté guardare, dovette distogliere lo sguardo e un conato di vomito lo assalì a stento trattenuto. Il lampadario in ferro battuto, onore e vanto dell’ufficio del Sindaco, nonché dell’amministrazione tutta e persino degli oppositori, donato al comune dal commendator Amilcare Tosatto, spirato in odor di beatitudine alla veneranda età di novantotto anni ben vent’anni prima, era precipitato dal suo naturale alloggiamento sul capo di Giuseppe Belloni. Il poveretto era letteralmente sepolto alla vista, dalle candele d’avorio mezze divelte dall’impatto, cristalli infranti e volute e putti arabescati in pesantissimo ferro, giustappunto, battuto. La punta graziosamente acuminata era conficcata in tutta la sua lunghezza nel massello di quercia del ripiano della scrivania del Sindaco, che, ora, il manufatto occupava per intero, seppellendo sotto di se la testa e gran parte del busto sanguinante del Belloni. Macchie e schizzi di sangue ovunque. Vetri conficcati nel corpo della vittima, e persino nei libri alle sue spalle. Uno schizzo di sangue era finito persino sull’effigie del Presidente della Repubblica in carica. Proprio sul mento, come se si fosse tagliato nel farsi la barba.

GIOVEDI’ 4 GIUGNO ORE 17 Una folla di curiosi gremiva la piazza antistante il comune. Persino il parroco, don Verinoni, ancora ignaro di tutto, era sul sagrato della chiesa e osservava perplesso le due auto di carabinieri e le persone che avevano formato pingui e ristagnanti capannelli di volti scuri e ciarlieri. All’interno del comune il bailamme era solo più ristretto, ma non meno efficace. Tutti erano un poco sollevati dal fatto che Belloni non fosse morto sul colpo come si sarebbe potuto credere. Ancora stazionavano negli uffici i due volontari dei vigili del fuoco che avevano aiutato il personale paramedico ad estrarre il Belloni dalle macerie del lampadario. Così già tutti sapevano del serissimo

trauma cranico riportato, nonché delle diverse fratture che crescevano e si moltiplicavano ad ogni aggio d’informazione. I dipendenti, dal canto loro, non parlavano neanche più. Erano stati invitati a sostare nell’ufficio del ragioniere per non intralciare i carabinieri e per essere disponibili per eventuali interrogatori. Ma gli amministratori intralciavano eccome. Ognuno voleva dire la sua. Chi chiedeva l’aiuto del buon Dio, chi chiamava persino in causa velatamente l’opposizione come autrice del supposto miserevole attentato. Insomma, L’aiuto di Pucci, appuntato Casapiccola tentava invano di stanziarli nell’anagrafe per dar modo agli addetti di fare i rilevamenti del caso sul luogo del presunto incidente. Ma ogni tanto ne partiva uno per la tangente e s’intrufolava nel corridoio prendendo di punta il povero Pucci, per suggerire, per chiedere, ma più che altro per suggerire... E per saperne di più. Proprio in quel momento la dottoressa Ponza veniva portata via quasi di peso dal farmacista perché colta da lieve malore. “Due di meno” pensò l’esasperato brigadiere. Il Sindaco dava fondo a tutta la sua abilità oratoria tentando di dividere non le acque, ma i suoi amministratori, impresa altrettanto, se non di più, miracolosa, che però non gli riusciva affatto. Il segretario, ancora nel proprio ufficio, parlava a rotta di collo, interrogato da un carabiniere, su come avesse visto accadere il tutto. Uno Stenti sull’orlo del crollo nervoso seguiva il discorso senza capire niente, si puliva di continuo le mani che aveva sporcato di sangue nel vano tentativo di sollevare un poco il lampadario dal Belloni. Lo stomaco era in subbuglio e la mente ancora di più. Ad un certo punto entrò il brigadiere. Il segretario tacque come per incanto fissandolo attonito. Stenti si ò una mano tra i capelli e si bevve un sorso d’acqua che il messo Stempia era riuscito a fargli pervenire mediante un vigile del fuoco. Pucci si sedette di lato a lui e ignorando il segretario che stava all’altro capo della scrivania e il carabiniere che lo interrogava, in piedi, chiese allo Stenti: - Da quanto tempo il lampadario era lì appeso? - Ma, non so... - iniziò confusamente il giovane – Quando ho iniziato a lavorare qui dieci anni fa, era già in comune... Forse se chiedete al messo Stempia. Lui sa tutto del comune. E’ il più anziano qui.

- Però lei saprà dirmi se era controllato regolarmente?! Qui dentro nessuno vuole starmi a sentire. Lei che mi sembra ben disposto, la prego, faccia uno sforzo di memoria... - Una volta all’anno, credo. - Con questa è la quarta... - sbuffò Pucci. – Lei può farmi avere dei documenti che testimonino questi controlli. - Deve chiedere al ragioniere. E’ lui che si occupa di queste cose. - Chi sarebbe?- chiese Pucci estraendo un taccuino consunto. - Il ragionier Perticoni. Pucci se lo segnò, quindi posò il taccuino e la biro sulla scrivania e la sua attenzione cadde sulla faccia del segretario. Dottore, vuole che la faccia accompagnare a casa?- chiese sinceramente preoccupato dal suo pallore cadaverico. - No, no, non si disturbi – s’affannò quello – Sto a duecento metri da qui. Forse potrei ancora esservi utile... Magari telefono a mia moglie che, nella fattispecie, vedendo tale trambusto e non osando venire qui, si preoccupa... - Ma no, vada pure- concesse Pucci –L’ho già interrogata e se dovessi chiederle ancora qualcosa, mi farò vivo io. - Lei è molto gentile. Allora, se mi scusa, io andrei... Non mi sento troppo bene... - La faccio accompagnare da un collega- e senza attendere risposta – Casapiccola!- urlacchiò, tanto che Stenti sobbalzò sulla sedia. Quando il segretario fu uscito Pucci si rivolse allo Stenti con un sorriso un po’ mesto. Vada anche lei – gli ingiunse paternamente. – Per ora non ho molto da chiedere e – sorrise con aria d’intesa –comunque il segretario glie l’ho tolto dai piedi.

LUNEDI’ 8 GIUGNO ORE 13,40

-Avantiii!- gridò seccato il Maresciallo Bentivoglio. Il fatto era che si era appena macchiato il pantalone e la manica della divisa con la pittura fresca alle pareti, non del tutto asciutta. Colpa dell’ufficio così stretto, bisognava strisciare come dei vermi... -Acc. Porca vacca... - imprecò tra i denti . Il brigadiere Pucci entrò e si mise sull’attenti come faceva tutte le volte che il Maresciallo per una qualche ragione gli pareva inviperito. - Ah, è lei... Presto, vada a prendere qualcosa, uno straccio... dell’acqua... Mi sono macchiato la divisa con sta tintura beige. Pucci scattò verso i servizi e tornò con uno strofinaccio nuovo per pavimenti zuppo d’acqua. - Ma che vuole, farmi il bidet! Sono macchie di pittura, prenda uno smacchiante o anche dell’acqua, ma non così tanta. -Lasci fare a me Maresciallo – replicò Pucci con sufficienza e si avvicinò inesorabile al Maresciallo . Questi si scostò infastidito e il brigadiere con modi bruschi lo afferrò per un braccio: - Mio padre era imbianchino – sentenziò – Questa quando è fresca va via con molta acqua, sennò lascia l’alone per sempre. Bisogna darsi da fare prima che cominci a seccare... Il Maresciallo sbuffò poco convinto, ma lasciò fare. La macchia sulla giacca sparì del tutto, almeno così sembrava, allora Pucci iniziò ad attaccare quella sul lato della coscia e finì per inginocchiarsi. - Oh, insomma!- esplose il Maresciallo –Non sono mica Gesù che mi si debba adorare... Senta a me, sono capace anch’io a strofinare- e strappò di mano il cencio al brigadiere. Poi, mentre puliva, squadrò di sbieco il brigadiere che nel frattempo si era rialzato. - Che diamine... - borbottò ancora contrariato –Grazie Pucci- gli concesse infine –Vede che posso fare da solo? Terminato di porre rimedio il Maresciallo ebbe un sospiro di sollievo e ringraziò nuovamente Pucci con un sorriso.

Sono proprio sparite... -confermò incredulo –Meno male... - quindi depose lo strofinaccio tutto appallottolato sul calorifero li vicino e: Voleva dirmi qualcosa?- chiese con un tono decisamente più rilassato. - Ah, si, certo – Pucci si schiarì la voce –Senta, io ho pensato molto alla disgrazia accaduta al comune di Foli. - E allora?- chiese Bentivoglio già meno socievole. - Bè, mi è venuta la sensazione che... - Senta a me, caro Pucci, non andiamoci a creare dei problemi con le sensazioni. Io so già dove vuole andare a parare, ma noi non siamo il divino Otelma, noi non ci occupiamo di sensazioni, ma di fatti: Eppure io non sto tranquillo.- obiettò il brigadiere. Il Maresciallo, suo malgrado fece segno a Pucci di accomodarsi in una delle sedie di fronte alla sua scrivania. Il fatto era che le sensazioni di Pucci spesso in ato avevano portato verso la strada giusta. Era risaputo. Però Bentivoglio sapeva che non era sempre così e siccome non aveva molto entusiasmo di impegolarsi in qualcosa dove ci fosse di mezzo anche il Sindaco di Foli, ora si era nuovamente fatto scuro in volto. Pucci si sedette. - Senta caro Pucci, siccome le avevo già chiesto di occuparsi della faccenda dell’allacciamento idrico nelle ore in cui, libero dagli obblighi della stazione, si sentiva di farlo, io la autorizzo ad occuparsi anche delle sue sensazioni. Anzi, quando non ci saranno cose urgenti potrà farlo anche negli orari di lavoro. Ma mi raccomando, sia molto discreto. Le sensazioni a volte non ci portano da nessuna parte. E ora vada pure. So che deve interrogare quel ladro di autoradio... Pucci si alzò assentendo gravemente con il capo. Stava per uscire quando il Maresciallo lo richiamò:- Mi raccomando, la massima discrezione e... Già che c’è, veda pure di fare qualcosa per sta benedetta pratica di allacciamento idrico...

LUNEDI’ 8 GIUGNO ORE 17,00

Lo Stenti alzò gli occhi dal lavoro esclamando al contempo stancamente: -Oggi l’ufficio di segreteria è chiuso. Lo so – rispose una voce che gli era sicuramente nota, ma che non riusciva ad inquadrare. Si tolse gli occhiali e alzò lo sguardo nel tentativo di mettere a fuoco la persona che gli stava davanti. Era il brigadiere, quel Pucci. Ed era pure in divisa. -Sono ato solo per dare un’occhiata in archivio... Una mia idea, le dispiace? - Vada pure, ma stia attento che nel corridoio ci ano continuamente con roba in mano. Stanno tentando di rimettere su il lampadario. - Ma era tutto in frantumi... - Lo so, ma il Sindaco non ci vuole rinunciare... Per adesso lo mettono su senza cristalli, aggiustano solo le candele che si sono divelte. - Capisco. Allora io vado. - Prenda questa- e Stenti estrasse una pila portatile da un cassetto a destra in basso, nella scrivania –In archivio la luce non funziona e al posto degli scuri rotti ci hanno messo dei ferrivecchi molto pesanti da spostare... - Grazie. Il Sindaco non c’è?. - No. Oggi è andato a Torino per delle pratiche e erà al CTO per vedere come sta il Belloni. E’ in sala di rianimazione... Ha pure il naso mozzato. - Credono che se la caverà? - L’hanno operato alla testa, ma è sempre in coma. Dicono che è quasi profondo... - Strano modo di lasciarci la pelle. Lo Stenti lo guardò interrogativamente. - Voglio dire... Un lampadario che sta su da vent’anni. Neppure si può dire che non lo ispezionassero: due volte all’anno negli ultimi due anni...

- Bè, come s’è visto, un lampadario così pesante può essere pericoloso. - Specialmente in un ufficio così piccolo... E’ sempre stato lì? - Non credo. Proprio stamattina ne parlavo con Stempia e lui diceva che i primi anni era in sala consiliare. - Chissà perché l’hanno spostato... - E chi lo sa... - Il naso mozzato... - ripeté tra sé il brigadiere mentre si allontanava verso il corridoio che accedeva all’ufficio del segretario, a quello del Sindaco e all’archivio. All’incirca mezz’ora dopo Stenti se lo ritrovò davanti mentre compilava un documento piuttosto impegnativo. - Il segretario non c’è – constatò Pucci in attesa di una qualche spiegazione che non tardò a venire. - Si è preso tre giorni di mutua. Dice che lo spavento gli ha scombussolato la pressione. - Lei non è scombussolato? – chiese con paterna partecipazione il Pucci. - L’ufficio non può rimanere deserto. Poi ho del lavoro arretrato che non si immagina... Poi io preferisco lavorare, mi distrae. Pucci depose la pila sulla scrivania, davanti allo Stenti e lo ringraziò. - Lo sa che gli operai non ci sono più? - Hanno già finito? - Non direi: il lampadario giace a terra di fianco alla scrivania. Il brigadiere pensò per un istante a quando, poco tempo addietro aveva esaminato l’oggetto incriminato. Rivide la punta del tondino di ferro cavo che aveva sorretto il lampadario e conteneva i fili elettrici divelti. Aveva chiaro nella mente il punto esatto dove si era spezzato. Pareva proprio un brutto incidente,

ma c’era sempre qualcosa che non si sapeva spiegare. Lo Stenti parlava e parlava ancora, ma lui non lo ascoltava. Ad un certo punto lo ringraziò ancora, sorrise fuggevolmente e sparì com’era venuto. Stenti rimase lì interdetto. “Che strano tipo” pensò “Non riesco ancora a decidere se ci è o ci fa”. Tornato alla stazione Pucci aveva preso il solito caffè obbrobrioso alla macchinetta, aveva scritto un verbale su di un pirla ubriaco che era finito da solo contro un platano con la bicicletta e cadendo nel fosso s’era rotto l’osso sacro. Costui era stato denunciato da una vecchietta che viveva nei pressi perché finendo contro il platano le aveva schiacciato un gattino persiano a cui era molto affezionata. Poi si ricordò di aver lasciato il Maresciallo alla festa dell’opera Pia senza telefonargli come convenuto per fornirgli una scusa per venire via. La cena era a base di farro e Bentivoglio era un carnivoro con la C maiuscola. S’era tanto raccomandato... “Chissà come è incaz... ” pensò con apprensione il brigadiere. Con desolata sollecitudine abbrancò la cornetta e compose il numero del telefonino di Bentivoglio. - Ah, è lei!- sussurrò il Maresciallo, non appena il brigadiere si fu qualificato. – Perché tutta sta fretta? Sono solamente alla minestra di farro... - Poi, a voce abbastanza alta perché i commensali potessero sentire – Certo eminenza, senz’altro eminenza... Riverisco eminenza... - quindi mise giù. Era proprio incavolato nero. Pucci consultò l’orologio. Erano circa le sette di sera. Avrebbe potuto andare a casa e mangiare insieme alla sua Franca, ma il pensiero di quel lampadario non gli dava requie. Per l’ennesima volta tirò fuori dal taschino le due fotografie che aveva scattato in fretta e furia con la polaroid che aveva celato agli occhi di Stenti, nascondendola abbastanza maldestramente all’interno della giacca. Eppure pareva tutto normale. L’asta spezzata... Consultò ancora l’orologio: era meglio andarsene prima che il Maresciallo arrivasse in stazione.

MARTEDI’ 9 GIUGNO ORE 8,30 CIRCA

In segreteria lo Stenti navigava in un mare di pratiche nella più perfetta solitudine. Anche l’avventizia che gli era stata assegnata provvisoriamente si era sentita male e aveva preso due giorni di mutua. Il segretario aveva telefonato ordinando a destra e a manca, come al solito, senza alcun costrutto. Lui stesso, lo Stenti, aveva un terribile mal di testa e avrebbe tanto voluto essere a casa sua, nel proprio letto. Fu in questa atmosfera di solitaria disarmonia totale che comparve il solito brigadiere, sorridente, affabile e privo di divisa. - Buongiorno signor Stenti – lo abbordò quello allargando la gittata del sorriso. - ‘Ngiorno... - biascicò l’impiegato. - Senta, lo so che la disturbo e che probabilmente avrebbe voglia di buttarmi dalla finestra, ma io avrei bisogno d’un favore da lei. - Lei è qui per indagare, no? Mi dica.- lo Stenti si dichiarava disponibile, ma pareva sul piede di guerra. - Posso anche tornare in un altro momento, se vuole... - a Pucci non piaceva avere a che fare con delle persone maldisposte, si rivelavano spesso inaffidabili e controproducenti. Ancora sorrise. - Sarebbe la stessa cosa brigadiere... Ho come l’impressione che questa settimana sarà tutta sulla falsariga di oggi. Mi dica. – finì con l’esortarlo nuovamente l’impiegato. -Avrei bisogno di sapere i dati riguardanti l’ultima manutenzione del lampadario. Me li può procurare? -Forse sarebbe meglio chiedere al Sindaco. Non so... - Capisco cosa pensa, ma io devo continuare le mie indagini nel più assoluto riserbo. Mi dica come faccio se vado dal Sindaco... In questo modo sono sicuro che tra ordini e contrordini ai dipendenti, dopo un po’ tutti lo verranno a sapere. - Quindi lei pensa che io sia un tipo riservato. - Ho ragione?- sorrise il brigadiere.

- Direi mio malgrado. Vede io non sono un tipo molto simpatico ai più. Non amo il calcio, né lo shopping, né le mondanità... Non so ballare e non faccio vacanze alternative. Sono un noioso e quasi tutti mi evitano. - Lei è perfetto, allora. Ero sicuro che lei avrebbe fatto al caso mio. Senta, può farmi pervenire queste notizie che mi servono entro la giornata? - Si tratta di consultare una fattura in ragioneria. Credo che per l’una potrò farle sapere qualcosa. - Ha un numero telefonico di casa o del telefonino? Lo Stenti, senza aggiungere parola rimestò un po’ nel taschino della camicia e porse al brigadiere un bigliettino. - Mi telefoni dall’una e mezza alle due, saprò dirle qualcosa... - Mi raccomando, si concentri su ciò che è stato fatto al lampadario. - Lei crede che l’incidente possa non essere tale?- chiese niente affatto sorpreso lo Stenti. - Chi lo può dire... - sorrise il brigadiere. Poi offrì la mano da stringere all’impiegato, si salutarono e disparve.

MARTEDI’ 9 GIUGNO ORE 19 CIRCA - Aspetti, Maresciallo!... - l’interpellato, in borghese, si stava infilando nella propria auto. - Ah, è lei brigadiere. – osservò con una punta d’insofferenza Bentivoglio. –Che vuole a quest’ora? - Devo parlarle d’una cosa importante... - Ma proprio adesso me ne deve parlare? Devo andare a ritirare la torta per il compleanno di mia figlia... - Oh, non sapevo... Auguri a sua figlia Silvana, Maresciallo...

- Silvana è la mia ex moglie. Mia figlia si chiama Berenice, brigadiere. - Ma certo, dove ho la testa... Ci ho anche un pensierino, ma l’ho dimenticato su in ufficio. - Non importa Pucci – e il Maresciallo tentò di chiudere lo sportello, ahimè, invano. Pucci si appoggiò alla portiera, trattenendola. - Per carità, Maresciallo, le devo parlare. - Alle sette e mezza mi chiudono la pasticceria. Va bè, senta a me, salga. - In ufficio? - Ma che ha capito, Pucci! In macchina, no? Vada dall’altra parte che le apro... e detto fatto s’allungò sul sedile per aprire la portiera. “Oh mio Dio” pensò Pucci “speriamo bene”. Il Maresciallo, oltre che per il suo intercalare di “senta a me” e per la risata equina, era anche noto per la sua guida. Vi era negato totalmente. Le marce e i freni per lui erano degli optional da usare a caso, il clacson risvegliava in lui la sua predisposizione a suonare la tromba, strumento che tanto amava. Il suo soprannome nell’ambiente era: “il mangiapedoni”. Al brigadiere Pucci non rimaneva che “Obbedir tacendo, sperando di non dover morir”. Salendo sul marciapiede con due ruote il Maresciallo lo esortò nervosamente: - Embè? Non aveva una cosa importantissima da dirmi? Con voce strozzata dal salto di quattro centimetri buoni, Pucci rispose: - Sono andato a riesaminare il lampadario... - Ancora con questo lampadario, brigadiere? E’ vero che l’ho autorizzata a compiere ulteriori indagini, così per scrupolo... Ma non si dimentichi che abbiamo anche chiamato la scientifica e non ci hanno trovato niente di sospetto. Il Maresciallo svoltò improvvisamente a sinistra beccandosi due strombazzate

non meglio identificate e un insulto da un pedone. Poi accese i fari perché stava sopraggiungendo l’imbrunire. - Gli abbaglianti!- esclamò Pucci. - Come? - Guardi la spia... Lei ci ha su gli abbaglianti! Il Maresciallo mise subito le luci più basse e seccato lo esortò ancora: -Allora? Cosa ha scoperto: un biglietto dell’assassino infilato in un cassetto della scrivania? - Il 29 aprile è stata fatta l’ultima revisione. Controllarono il gancio portante, sostituirono lampadine e una candela d’avorio con una in simil avorio, lucidarono il lampadario. Il Maresciallo frenò bruscamente per evitare di tamponare un furgoncino. Pucci si fece forza, staccò la mano dal cruscotto e si attaccò con entrambe alla cintura di sicurezza che indossava. - Non capisco dove stia tutta sta scoperta... Il brigadiere prese il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni d’ordinanza e si deterse il sudore dalla fronte. - C’è il problema della bacchetta. - Che problema, scusi? Il Maresciallo frenò un paio di volte a singhiozzo e grattò orribilmente la seconda. -Già che c’ero, visto che ho saputo quale fosse la ditta incaricata delle operazioni, sono andato anche da loro. Hanno confermato ciò che c’era scritto sulla fattura... - Insomma, arrivi dove vuole arrivare... Non mi stia lì con il contagocce!

Il Maresciallo frenò bruscamente. Erano giunti di fronte alla pasticceria. “Se non avevo la cintura allacciata” pensò Pucci “Mi spiaccicavo nel vetro” - Per uno dei miei soliti scrupoli avevo eseguito delle foto mie personali al lampadario in questione, con la polaroid. - Embè? Non la prenda alla larga che sono le sette e venti!- Bentivoglio si slacciò la cintura e spense il motore. Aveva parcheggiato in un modo indicibile, da fare inorridire anche un diciottenne con il foglio rosa. - Ho fatto vedere il lampadario al titolare della ditta che da dodici anni esegue i lavori di manutenzione. Dice che la bacchetta del lampadario non è quella sua. - E come è possibile? L’avranno sostituita loro e non l’hanno scritto. Magari si sono presi i soldi sotto banco. - Il titolare è pronto a giurare che il 29 c’era una bacchetta ben diversa. Dice che questa ci assomiglia, ma che non è adatta a sostenere un simile peso. Non è di ferro battuto. - Come fa a dirlo da una fotografia. - Lui si dice sicuro. Comunque, con il suo permesso lo farei venire in comune a visionare il lampadario, anche perché se lo rimettono su così e il titolare ha ragione, quello mi cade in testa a qualcun altro. - Già... - fece il Maresciallo soprappensiero. D’un tratto Pucci lo riscosse intimandogli di andare in negozio che erano le sette e venticinque ate. Bentivoglio si dileguò in fretta e furia. Quando ritornò il Maresciallo era più pensieroso di prima. Depose distrattamente la torta sul sedile dietro. - Pucci, faccia andare quell’uomo in comune a visionare sta bacchetta e se dice ancora che non è la stessa di prima, la manderemo alla scientifica con tutti i dati di peso, volume ecc. del lampadario. Così vedremo se quella bacchetta non poteva sostenere il lampadario che si è schiantato. - A proposito, Pucci – disse come colpito da un pensiero improvviso, prima di

ripartire – Lei lo sa che io ho la fama di guidare molto male. Pucci stava replicando che no, non era a conoscenza di simile fama, ma Bentivoglio lo interruppe. - La prego, non menta, per favore. Lo so benissimo. So anche che mi si chiama “Mangiapedoni”. Tuttavia, oggi mi sono lasciato trascinare da una sorta di desiderio di vendetta, lo confesso. Pucci lo guardò interrogativamente. Il Maresciallo svoltò maldestramente, grattò un po’ una marcia e disse: - E’ un’innocua vendetta. E’ poca cosa di fronte a tre ore di opera pia. – e rise sotto i baffi, anche se non li aveva proprio. Il brigadiere che finalmente aveva capito non era altrettanto divertito. - Non se la prenda – disse Bentivoglio, inchiodando di fronte alla stazione. –Ciò le sarà di aiuto nel diffidare dei pettegolezzi. Impari, Pucci. Ha visto che tornando indietro non ho guidato poi così male? Pucci scese e disse: - Va bene, Maresciallo. Comunque è stata una dimenticanza. - Che mi è costata cara. Il farro è orribile, non sa quanto. Mi perdoni, comunque, Pucci. Il brigadiere sorrise richiudendo la portiera e Bentivoglio ripartì sgommando. “I pettegolezzi a volte servono” ghignò dentro di se il brigadiere “Io l’ho sempre detto che in ogni leggenda c’è più di un fondo di verità”. Il Maresciallo guidava proprio male. Vox populi...

MERCOLEDI’ 10 GIUGNO ORE 18 Il salotto buono del Sindaco Mondanotti era tutto uno sbrilluccichìo di vetri,

laminature e cristallerie moderne. L’enorme divano in pelle rosso ciliegia, spiccava in mezzo a tutto quel bianco alle pareti, al pavimento, ai tendaggi. E quel grigiastro luccicore del “design” moderno metteva una certa apprensione. Il divano era scomodissimo e Soffiotti il vice Sindaco, ci stava seduto sopra come direbbero a Napoli “in pizzo”. Per paura di non riuscire più ad alzarsi stava con la schiena così ritta che pareva aver ingoiato un manico di scopa. Da un quarto d’ora teneva in mano due dita di cognac in un’enorme palla di cristallo “fumé”. -Io non sono dell’idea che hai fato bene. Tu mi dici che gioverà alle elezioni, ma io non vedo come. – asserì Soffiotti. -Queste indagini faranno di me un martire. Non dimenticare che il lampadario era nel mio ufficio. Anche il dottor Specchio se ne dice sicuro. -Specchio è un cretino e guarda troppo la tele. Noi siamo in provincia e qui lo scandalo, i giornali e magari le TV private e chissà che altro ancora non portano bene. Qui la gente vuole stare tranquilla! E poi qui l’unico martire è il povero Belloni – Soffiotti s’agitava e gesticolava tanto che quasi cadde dal divano. -A proposito: hai avuto notizie di lui? – chiese il Sindaco anche per sviare il sanguigno Soffiotti. -Sempre in coma... - disse sinceramente dispiaciuto. Quindi si decise ad assaggiare con estrema cautela il cognac. – Adesso quel brigadiere girerà il paese in lungo e in largo... Pensa che ieri l’ho visto nel negozio di Ettore. -Ma certo! E’ per la faccenda del lampadario, no? -Quello ficcherà il naso dappertutto. Te lo dico io – s’infervorò il Soffiotti. -No. Solo dove occorre. E poi noi non abbiamo niente da nascondere – Mondanotti si alzò dalla poltrone e si andò a versare dell’altro liquore. – Vuoi? – chiese al Soffiotti ostentando la bottiglia in cristallo di Boemia. -No, grazie. Per carità! Non sono mica abituato... - e posò il boccione quasi intatto sul tavolino di vetro azzurrato di fronte al divano. Quindi si alzò facendo attenzione a non pestare più di tanto il tappeto persiano. – Io vado – disse – ciao. -Si. Ci vediamo in Comune. A proposito, oggi requisiscono la bacchetta e pesano il lampadario. Se vai in comune e vedi qualcuno della scientifica o magari il

brigadiere, ti prego, sii gentile e discreto. Soffiotti lo squadrò con aperto scetticismo. – Per me, puoi dare l’addio al trono. – sentenziò torvo. -Può darsi che tu abbia ragione, ma io non credo. E poi chi non risica non rosica e io tutto questo scandalo non ce lo vedo. Anche se fosse un attentato, non è mica colpa nostra. E che diamine! -Sarà... Su, su con la vita Egisto, siamo nel duemila... -Appunto... - e il vice Sindaco uscì bofonchiando un ulteriore saluto, al quale non attese risposta. Rimasto solo il Sindaco pensò “Vecchio scemo retrogrado. Non posso mica impedire al maresciallo di fare delle indagini. Discrezione! Sono mica io l’assassino... ” Come spesso gli era accaduto negli ultimi giorni, lo riassalì il “tic” al sopracciglio destro. Si versò altro cognac e, proprio in quel momento, entrò la moglie: casalinga ed ex ballerina di fila al teatro regio di Torino, magra come un chiodo, di pelo rosso ed energica come un maciste. -Sei di nuovo li che bevi? – l’apostrofò collerica slacciandosi il foulard di seta dal collo lungo e segaligno. – Vuoi finire agli alcolisti anonimi? Posa subito quel bicchiere... E piuttosto cambiati, non ricordi l’invito a cena del professor Castellazzi? Guarda che è per le sette e mezza e non ti sei ancora fatto la doccia! Il Mondanotti aveva già posato il cognac e senza fiatare si dirigeva in bagno per fare la doccia. -Metti il tappetino di resina, sennò scivoli! – gli gridò dietro la consorte, già indaffarata a nascondere bottiglie e bottigliette – Ne compra di continuo... Non so dove andremo a finire...

GIOVEDI’ 11 GIUGNO, ORE 16 CIRCA L’ufficio del brigadiere Pucci era un guazzabuglio di fogli, cartelle e scartoffie

varie, messi alla rinfusa su scaffali metallici e scrivanie. L’appuntato Casapiccola scriveva a macchina su una monumentale e decrepita “Remington” manuale, nera. L’ufficio risuonava del crepitio dei tasti, proprio come se ci fosse stata una sparatoria: L’unica differenza era il camlo di fine riga, sonoro come quello di un obsoleto modello di “graziella” (3). Pucci pensava, alla finestra, guardando senza vedere le strade assolate e piene di traffico. Ogni tanto trasaliva ad una esplosione più forte del catenaccio su cui Casapiccola pestava già da un buon quarto d’ora, e gli lanciava un’occhiataccia infastidita. Stava per dirgli qualcosa, quando si aprì la porta. Gli strali di Pucci erano lì lì per cambiare bersaglio, quando il volto severo e gli occhi furbetti del maresciallo Bentivoglio fecero capolino, riducendo il brigadiere a più miti consigli. -Disturbo? – flautò insolitamente di buonumore il superiore. -No di certo, maresciallo. Entri! – e con altro tono di voce, all’appuntato – Casapiccola, e basta con sto’ rumore! Facci un caffè e continui dopo... L’appuntato smise e si alzò di malavoglia. Salutò il maresciallo e uscì. -State sempre a litigare per quella carcassa? – chiese Bentivoglio indicando la “Remington”. -Disturba il pensiero, maresciallo. Più che una macchina da scrivere sembra una mitragliatrice... Non se ne può più. -Pazienza, brigadiere. Presto arriveranno quelle nuove. -Euh! Quando arriveranno sarò già in pensione. E poi quello là non è mica contento: la macchina elettrica non gli piace, dice che è troppo complicata. Ma lo sa che mi mette in croce perché tenga la “Remington”? Come se io non avessi altro da pensare! -Senta a me, s’abituerà. E poi quelle a mano non le fanno più. Ah, senta a me, volevo ringraziarla per la bambola. -Bambola? – si stupì il brigadiere. Il maresciallo lo osservò perplesso. –Ah, certo- si rammentò d’improvviso Pucci – la bambola per la piccina... Bereng... No, cioè, Berenice... Oh, è un pensierino, maresciallo. Niente di che.

-Ma che dice? E’ molto bella, non doveva disturbarsi così... A proposito... -e qui Pucci smise di sorridere perché sapeva che gli “a proposito” del maresciallo cambiavano sempre il discorso per finire su ciò che gli premeva veramente – Tutto fatto con sto’ lampadario? -Si, certo. La bacchetta è alla scientifica con i dati di peso e volume del manufatto. Poi ho iniziato le indagini, quelle ufficiali, reinterrogando quelli della “Brillalux”, la ditta incaricata della manutenzione... Ci ho qui il verbale... -No, e che è! Mi dica lei, riassuma con parole sue. -Il Pomiglio Ettore giura di non aver mai ricevuto ordine di cambiare la bacchetta né di averlo mai fatto di sua iniziativa. Io stesso ho visionato le ultime cinque fatture. Il maresciallo si sedette sulla sedia di Pucci. Il brigadiere proseguiva imperterrito: -Ho interrogato tale Pachino Giovanni che è il ragazzo che controllò gancio e bacchetta. Lui asserisce che era tutto a posto e che la bacchetta era quella giusta. Lei mi potrebbe dire che il volume tra le due bacchette non era così diverso e che quindi il ragazzo potrebbe non essersene accorto... -Ma che dice Pucci, lei non l’ha vista l’altra bacchetta... -Si che l’ho vista. Stamattina. La rintracciò tale Stempia Pietro, messo comunale. Al messo pareva di aver visto giorni addietro, mentre posteggiava il motorino, una spranghetta di ferro nel cassone dell’ “Ape” dei cantonieri. Me la portò dubbioso perché gli ricordava l’oggetto in questione. Il titolare della “Brillalux” la riconosce come l’oggetto in questione senza ombra di dubbio. Abbiamo rilevato un solo tipo di impronte sul lampadario. Dovrebbero risalire a dopo l’intervento della Brillalux, perché il figlio del padrone mi dice che ha lavato il lampadario. Però potrebbero anche essere le sue e quindi mi sono permesso di far fare un confronto. -Embè? –chiese il maresciallo irritato. -... Del resto erano solo due... Erano le sue. -E non poteva dirmelo subito? Sta a fare dei giri di parole. Non poteva dirmelo

subito! – il maresciallo s’alzò dalla sedia. – Mi raccomando, mi tenga informato e segua il caso bene bene. Il resto, lo demandi, salvo eccezioni gravi, ai sottoposti. -Sarà fatto, maresciallo. -Si ricordi che c’è sempre un tentato omicidio di mezzo! -E la pratica d’allacciamento idrico? -E che c’entra sta’ fesseria – s’adombrò Bentivoglio. -Eh, maresciallo... - fece sornione Pucci – Ora come ora, chi lo può dire... Il maresciallo ristette perplesso. Poi annuì, frettoloso e lieto come faceva quando non afferrava bene, ma non voleva che lo si capisse. -Bene, bene – aggiunse –Ma mi raccomando...

VENERDI’ 12 GIUGNO, ORE 10 CIRCA L’appuntato Casapiccola fermò la gazzella nel cortile della cascina di fronte alla quale c’era l’area dove stava per sorgere il nuovo campo nomadi. -Ma proprio stanotte doveva piovere, mannaggia. – imprecò il brigadiere, che scendendo dall’auto aveva messe piede in una pozzanghera. Casapiccola osservava il cascinale con gli infissi quasi tutti chiusi, d’un verde scrostato e stinto che metteva tristezza. Il brigadiere, saltellando qua e la per schivare la fanghiglia, si raccomandò: Vado io, ma tieni il motore , che questi pare abbiano il cervello rivoltato. -Sissignore –rispose l’appuntato –stia tranquillo. -Tranquillo... Tranquillo –borbottò tra sé Pucci –Si fa presto a dire... Ormai siamo in ballo e balliamo. Accidenti! – e giù il piede in una bella fetta di melma con un vago sentore di letame. Imprecando pian piano giunse alla porta del cascinale. Il camlo non c’era e quindi bussò educatamente esclamando a

voce alta il rituale “C’è nessuno?”. Niente. Dopo un po’ bussò più forte. Niente ancora. Alla fine di numerosi tentativi, bussò “forza sette” –Carabinieri! Aprite! Niente ancora. Pucci prese a girellare lì intorno e poi tentò di aprire la porta, ma era serrata. Tentò con due scuri, ma anche quelli si sarebbe dovuto scardinarli. Nel frattempo, di tanto in tanto ripeteva a voce alta: -Aprite! Carabinieri, aprite! Guardò verso l’appuntato che era sceso dall’auto senza spegnere il motore. Questi gli veniva incontro e lui gli disse: -Che fai, vai in macchina. -Ma brigadiere, non c’è nessuno... -Vai in macchina e restaci. Ma l’appuntato l’aveva quasi raggiunto. Proprio in quella si sentì uno strillo sovrumano. Il brigadiere trasalì e si girò verso la fonte dell’urlaccio. Una donna massiccia, sui cinquanta, con i capelli mezzi rossi e mezzi grigi, correva verso di loro dalla stalla che si trovava a lato dell’abitazione. Ormai non era che a pochi metri da loro e brandiva un lungo forcone. -La matta, brigadiere!- urlò Casapiccola. E nello stesso istante tirò fuori l’arma e sparò un colpo in aria. Poi intimò: -Ferma o sparo! Il brigadiere, che già se la dava a gambe, lo esortò rudemente: -Vieni, scimunito... Che “fermo o sparo”, se già spari! –e intanto correva verso la gazzella. Poi scivolò lungo e tirato nella mota che d’un sol colpo gli riempì naso, bocca e persino gli occhi. Ma tentò subito di rialzarsi, che nella mente aveva il forcone che lo infilzava tra le scapole. Si sentì un altro sparo. Poi una specie di ruggito. Il brigadiere riuscì a mettersi in piedi e un po’ traballante si girò per vedere che stesse accadendo. La donna era a terra, seduta, e si lamentava stringendo la caviglia.

-Che hai fatto, disgraziato! –urlò il brigadiere avvicinandosi. -Niente –rispose affannato Casapiccola, agitando la pistola qua e là nella frenesia del momento – Sparai in aria e quella scivolò nella mota. Forse si spezzò la caviglia... -Smetti di agitare sto coso, per carità... Mi vuoi far secco?! – e Pucci strappò l’arma di mano a Casapiccola, e glie la depose nella fondina. -E’ matta, ma proprio matta... Se non mi scansavo m’infilzava come un tonno. – gesticolò ancora l’appuntato. Per tutta risposta il brigadiere lo piantò li e tornò all’auto. -Un’ambulanza alla cascina di Foli, in via Pialpette, mi pare. Comunque, di fianco all’area campo nomadi... Ma sì, chiamala, no? E sennò che te lo dico a fare. Sbrigati! -Brigadiere, presto, in macchina! –gridava Casapiccola. Un uomo enorme lo seguiva e urlacchiava: -Av manda ‘l sindich, eh? Ij sèj fortunà ch’jé nen ël fusil!(4) E fu così che anche Casapiccola scivolò nella melma e quello gli fu addosso. Lo prese per la gola e iniziò a strattonarlo come una bambola di pezza. Il calcio della pistola del brigadiere mise fine alla faccenda. Dovette usarlo per ben tre volte. Quello lasciò la presa e in ginocchio com’era cadde di schianto su Casapiccola. -Aiut... -l’invocazione mezzo soffocata si spense sotto la mole abbattuta sul povero appuntato. Pucci tirò e tirò, strappò persino la camicia di quella specie di orco dai capelli rossi. Lo afferrò per il collo taurino e usò ogni sua energia sino a che non cadde a terra nel fango. Si alzò. Respirava ormai affannosamente: -Resisti, figliuolo! Ti tiro f... f... fuori! –e ancora insisté con tutta la forza che gli rimaneva, fino a che non sentì una fitta che poteva essere benissimo una recrudescenza della punta d’ernia che aveva operato in gran segreto due anni prima durante le ferie, per evitare l’ufficio perenne. L’aveva però smosso quasi tutto e Casapiccola benché ammaccato e rintronato, riuscì a disincastrarsi di sotto le gambe. Alle loro orecchie giunse il suono della sirena dell’ambulanza. I

due si scrutarono ansanti. Erano pieni di fango ovunque e il colore della divisa si intravedeva a stento. Casapiccola tentò di alzarsi, ma ricadde seduto lamentandosi: -Sto’ fetente mi ha rotto la gamba... -Ma no –ansimò il brigadiere –Magari s’è solo storta. –e si alzò barcollante e sfinito. Raccattò il cappello dal fango, ma si guardò bene dal metterlo in testa che già così lo spettacolo era assicurato. Gli infermieri gli venivano incontro con la barella, parevano incerti su chi caricare e guardavano il brigadiere tra il divertito e il dubbioso. Il medico si chinò sulla donna che lo spintonò malamente. Dopo di che fu immobilizzata dai barellieri e gli si fece un’iniezione. Quindi la caricarono sull’ambulanza. L’uomo era già rinvenuto e sedeva nel fango lamentandosi e toccandosi la testa. Il brigadiere disse al dottore: -Faccia una puntura a quello scimmione lì che se si sveglia per bene sono guai. E siccome quello pareva titubante aggiunse: -Guardi me e il mio collega, siamo venuti qua prendendoli sottogamba e questo è il risultato. Il dottore si appressò con circospezione all’uomo e gli iniettò un bel tranquillante.

VENERDI’ 12 GIUGNO, ORE 15,30 CIRCA Pucci sentì suonare il camlo. Poi avvertì il rumore ritmico di Franca che ciabattava andando ad aprire. Sentì una fitta al braccio e si sistemò meglio sul divano. Quindi spense la TV per sentire chi fosse il visitatore. -Mannaggia, il maresciallo – borbottò tra i denti. S’alzò lesto dal divano e fece sparire cuscino e coperta in un mobile. Poi s’infilò la vestaglia, afferrò una rivista e si schiantò sulla poltrona, uggiolando un po’ per il dolore al braccio. Però la pancia non si era fatta sentire, e ciò lo sollevava. Il maresciallo stava dicendo a Franca che era ato prima di recarsi fuori per servizio. Lo sentì che chiedeva come stesse, e poi sentì pure quella stupidona che diceva delle fitte alla pancia. “Speriamo che non gli spieghi tutta la mia ernia” pensò alzando gli occhi al cielo in una muta imprecazione. Seguì un parlottamento indistinto e Bentivoglio che diceva a Franca ad alta voce che sarebbe riato a sera. Ora andava in ospedale

ad interrogare il Bonaudo figlio e a vedere come stava Casapiccola. La porta si richiuse e dopo un po’ Franca entrò in salotto. -Meno male che non gli hai detto dell’operazione. Lei lo guardò storto e andò verso il mobile a colpo sicuro. -E invece dovrei dirglielo. – esclamò furente estraendo il cuscino dall’armadio. – Lo sai che ti manca poco alla pensione?- tuonò buttando il cuscino sul divano per poi avvicinarsi a Pucci. -Io voglio andare in pensione da maresciallo e vedrai che ci riesco.

DOMENICA 14 GIUGNO, ORE 16 CIRCA -Ehilà, Lagna! Come va? – La motocicletta pareva un petardo e il casco di Alabichino era nero con il muso di una pantera che ruggiva dove cominciava la faccia ridanciana del consigliere. Come al solito Melagna alzò gli occhi al cielo, ma continuò a zappare l’orto che confinava col muro di cinta sul retro della villa. Quel “satanic” lo scovava sempre. Non c’era proprio modo di sfuggirgli. Alabichino non si lasciò impressionare dalla scontrosità del cavaliere. Senza aspettare una risposta attaccò: -Hai sentito? – e spense il motore – Hai sentito che i Bonaudo hanno mandato all’ospedale Sherlock Holmes e Watson? – rise di gusto – Mi dispiace solo che non è toccato a Mondanotti. Pensa un po’: quel damerino stopposo coinvolto in uno scontro fisico... -Te sei solo un malevolo – si impermalì il cavaliere, che ammirava sopra ogni cosa le persone come il Mondanotti, dotate dell’eleganza innata che lui non possedeva – E poi non sai niente. Il brigadiere sta benissimo e quell’altro ha solo una distorsione al ginocchio, per via che è scivolato nel fango. -Ehi, vedo che la “gazzetta comunale” ti ha già informato. Chi è stato, il Perticoni?

Melagna tacque mandando lampi di fuoco, con lo sguardo rivolto alla terra che non aveva smesso di zappare. -Sono proprio dei piciu... Non hanno trovato la pratica e non troveranno niente anche sul lampadario. -Senti! –Melagna smise di zappare e lo guardò dritto negli occhi- Ormai le indagini sono ufficiali e io sono pur sempre un Assessore. Se non la pianti lì, riferirò a chi di dovere... -Ma si, a Mondanotti! Però non ti confondere: non prendere il ragioniere per il Sindaco, eh? – e Alabichino fece una grassa risata. Melagna lasciò cadere la zappa a terra e fece per andarsene. -Vedi che ti offendi per niente? – lo derise Alabichino – Se te ne vai così, chissà quando saprai le ultime novità... L’altro, vincendo la repulsione per l’individuo, si voltò nuovamente. -E cosa sarebbero ste’ novità? – chiese in tono di sarcastica sfida. -Questa, Perticoni non la sa ancora: pare che il maresciallo abbia interrogato Bonaudo, il rosso, e che questo gli abbia detto che hanno fatto così con i Carabinieri e con gli altri venuti prima, perché ricevono lettere minatorie e telefonate già da mesi. Melagna spalancò gli occhietti cisposi in un’espressione di autentico stupore. Incoraggiato, Alabichino proseguì: -Poi, siccome che il maresciallo non ci credeva più di tanto, gli ha fatto vedere l’ultima lettera che aveva dietro quando ha aggredito i Carabinieri. L’aveva ricevuta il giorno prima. -E perché non hanno sporto denunzia? – fece scettico il Melagna. -Due ne hanno sporte, contro ignoti. Pare proprio che alla stazione ci siano. -E la lettera? Cosa diceva sta’ lettera... -Ah, questo non lo so mica. – Alabichino accese il motore, diede gas un paio di

volte e concluse – Poi, anche se lo sapessi, non te lo direi mica, eh... Ciao piciu... - e partì, sollevando un mucchio di ghiaia e polvere e sparendo tra i campi coltivati a granturco.

LUNEDI’ 15 GIUGNO, ORE 18,06 Il dottore, lo aveva visitato al brigadiere, e gli aveva detto che ancora uno strapazzo di quel genere e si sarebbe dovuto rioperare. La domenica l’aveva ata nel quadrilatero divano/cucina/bagno/letto. Con una drammatica interruzione della sorella di Franca e di quel fesso del marito, autista d’autobus, che venivano a sincerarsi sulle sue condizioni. Meno male che poi era arrivata sua figlia Paoletta, sennò sarebbe scoppiato. Quelle due che parlavano a mitraglia e quell’ebete incollato ai novantesimi minuti... La mattina del lunedì aveva decisa di andare a fare la spesa, con buona pace della signora Franca che aveva inveito e strillazzato tutto ciò che le veniva in mente, e anche qualcosa di più... Siccome stava proprio di fronte alla stazione, mentre tornava dalla spesa ci era ato. Si era fatto raccontare dal Vicebrigadiere Miccichè le fasi salienti dell’interrogatorio Bonaudo. Chiese di Casapiccola e gli dissero che stava assai meglio. Disse loro che quella sera sarebbe andato a trovarlo. E quella sera fece così, solo che prima pensò bene di fare un salto al Comune di Foli. Voleva parlare con la funzionaria dell’anagrafe, quella soprannominata “PC” (personal computer). Ma proprio quando stava per entrare, aveva cambiato idea. Forse era meglio incontrarla fuori dagli uffici. Lì anche i muri avevano orecchie e persino occhi. Anzi, stetoscopi e cannocchiali... Ma, eccola... Era Anna Maciurlatti, sola e raminga si avviava sola verso casa. Accese il motore della sua FIAT 500 “base” e attese che svoltasse l’angolo, lontana dagli occhi indiscreti dei colleghi. Quando la affiancò con l’auto, lei non se ne accorse. Indossava una gonna a fiori svolazzante e lunga sulle gambe storte ed un golfino e una borsetta, entrambi di un’improponibile color fucsia. Lunghi orecchini scuri scendevano oltre il caschetto castano, schiarito dai colpi di sole. Vista così, col profilo imponente mezzo nascosto dal volume dei capelli e la gonna lunghissima, l’attenzione era attirata tutta dal golfino attillato sui seni generosi. Certo che vista in questa ottica era proprio appetibile. Pucci si perse un istante nell’osservare l’ancheggiare sinuoso. Poi, ignorando il

tutto esclamò: -Signora! Lei aumentò la “gittata” del o e di conseguenza dello sculettìo. -Signora, sono io... Il brigadiere Pucci. – la signora Anna lanciò uno sguardo fuggevole e preoccupato verso l’auto. Incrociò una vecchia con i capelli rossi e i pantacollant neri su due gambe da ragno. -Sono il brigadiere! – quasi urlò Pucci. La “tacchinata” si fermò di colpo e lo osservò attentamente. Gli venne subito incontro. Ora era ad un o dal finestrino aperto e l’aria portava fino al brigadiere folate di profumo di lavanda misto ad inchiostro da bollo. Giacomo Pucci fece un sorriso leggermente ebete. Lei ricambiò il sorriso e l’involucro d’oro del canino sinistro brillò agli ultimi raggi del sole, che abbandonava mollemente quell’angolo sperduto del mondo. -Mi scusi se la disturbo, signora Anna. Lei arrossì un po’. Forse le faceva piacere che il brigadiere si fosse ricordato il suo nome. -Così in borghese non l’avevo riconosciuta, brigadiere. -Può entrare qualche istante in auto? Devo parlarle dell’indagine. Il sorriso luccicante sparì immediatamente dal volto della Maciurlatti. -Oh, no brigadiere. Sa com’è... Il paese, le malelingue... Se fosse per me, per carità, ma... -Capisco.- tagliò corto delicatamente il sorridente Pucci. Posso seguirla fino a casa sua? -Ma certo. Là c’è mia madre, la bambina... Voglio dire, tutti lo sanno e nessuno può sparlare... -Bene –disse il brigadiere- allora guardi, la precedo e l’attendo.

Lei fece segno di sì con la testa sorridendo. Dopo qualche minuto erano nell’ascensore. Pucci si sentì in imbarazzo perché l’abitacolo era esiguo e ovunque si sistemassero finivano per sfiorarsi. Per spezzare la tensione prese subito a parlare: -Volevo chiederle delle informazioni riguardo l’affluenza di gente in Comune. Non solo il pubblico ma anche, che ne so, ex dipendenti, pensionati. Nel frattempo l’ascensore si fermò ed entrarono al piano. - Certo, non so assicurarle che mi ricorderò... E’ un po’ difficile, ma cercherò di fare del mio meglio – e suonò alla porta. Una specie di nana rinsecchita con i capelli biondo platino, corti e ricci, venne ad aprire. La funzionaria presentò i due sul pianerottolo. Poi, finalmente entrarono e l’anziana richiuse la porta. Una bimba alta e magra, col naso lungo e sottile e le orecchie a sventola, venne loro incontro e salutò la madre iniziando a parlare di un bel voto che aveva preso a scuola. La Maciurlatti le fece dei complimenti sbrigativi e la presentò al brigadiere. -Bella bimba – mentì il nostro – Come ti chiami? – le chiese. - Aurora – rispose la settenne con ben poca socievolezza. - Su, su, vai con la nonna e aiutala in cucina. Io devo parlare di lavoro con il signore – e rivolta alla madre – Noi andiamo in salotto. - Va bene. Vuole un caffè signor Pucci? – la figlia nelle presentazioni aveva sorvolato sul grado di brigadiere. - No. Non si disturbi. Grazie, l’ho già preso nel pomeriggio. - Venga, venga signor Pucci. – fece l’Anna, disincagliandolo dalle spire materne. Chiusa che fu la porta, ci furono i brevi convenevoli d’ospitalità intesi a

collocare il Pucci sulla poltrona in pelle più lontana dal tappeto persiano. Lei si sedette su una delle sei sedie in stile liberty laccate in nero che davano mostra di sé, attorno ad un tavolo da pranzo rotondo dall’unica gamba laccata, la quale traspariva dal ripiano in cristallo brunito. Poi attese un po’ trepidante slacciandosi il golfino su una camicetta sobriamente bianca.- Vede, signora Anna, noi stiamo attendendo i risultati della scientifica ed io potrei pure far niente e aspettare... Che mi dicano che sono stati quelli della Brillalux... - ...Si, ma lei non crede affatto che siano stati loro... E neppure che ci sia da indagare tra i cantonieri. - Beh, le dirò, in questi giorni saranno interrogati... - A proposito, non le ho ancora chiesto come sta... Sa, ho saputo di quei due pazzi che vi hanno assaliti. - Bene, grazie – rispose laconico il brigadiere – Io voglio cercare altre piste, glie l’ho già detto, e lei mi deve aiutare. - Ma certo- lo assicurò lei, visibilmente emozionata- Vuole qualcosa da bere? – chiese premurosamente, indicando il mobile bar con le bottiglie nella vetrina scura. - No, grazie.- rispose Pucci secco, ai limiti della maleducazione. Subito appresso incalzò: - Lei deve pensare ai due, al massimo tre mesi prima della disgrazia. Anzi, guardi, prima di tutto mi dica se ci sono state delle visite ai vostri uffici, magari assidue, di una o più persone, che magari tempo prima venivano di rado o mai. Persone che non abbiano a che fare col comune per motivi diretti di lavoro... Anche parenti di amministratori, amici, o che so... La signora Anna già si era immersa nei suoi casellari mnemonici. Osservava il soffitto con gli occhi in su, uno, il destro, leggermente socchiuso. Dopo un minuto buono, rispose: - Guardi. Venne per qualche tempo in anagrafe Elvira Ponza, ma la escluderei: è un ex dipendente che andò in pensione a febbraio. Veniva solo in anagrafe: nostalgia! – e lo guardò fisso negli occhi con l’aria di chi la sa lunga. –Ora non

viene più perché ha trovato un tizio, sa è zitella, e vanno a ballare e in giro insieme... Fino ad un mese fa, tutte le mattine veniva Vaccarulo. Andava in ragioneria perché Perticoni gli aveva sbagliato non so che cosa e non prendeva la quota giusta di pensione, ma poi ha preso gli arretrati e ora la pensione è giusta... non viene più da un mese... Però – e lì la Maciurlatti si agitò sulla sedia – E’ un ex cantoniere... - e fece di nuovo la faccia di chi la sa lunga. Pucci rifletté un istante: -Potrei anche parlarci, ma... L’aveva su con qualcuno, oltre che con Perticoni? - Beh, un po’ col segretario... Un po’ col Sindaco. Ma non insultava nessuno... Li stressava... - Le sembra un tipo da lettere anonime? - Oh no! A malapena sa leggere e scrivere... - I figli, la moglie? - La moglie è morta dieci anni fa. Un figlio lavora in Germania e l’altro è prete. La figlia è sposata qui a Foli, ma... Il dubbio allignava sul volto dell’impiegata. Si capiva che tentennava, ma avrebbe detto, se incoraggiata, e anche poco. - Ma? – l’esortò il brigadiere – Cos’è che le fa pensare che non potrebbe... magari solo le lettere anonime ai Bonaudo, o il furto della pratica stessa. - Non viene mai in comune e, il Sindaco... ecco... le ha fatto ottenere un posto di inserviente all’ospedale civile. - Ah!- commentò il Pucci – Si, è difficile allora. Però parlerò con il pensionato. – indi borbottò tra sé “Potrebbe aver fatto sparire l’allacciamento idrico per ripicca”. - E altri niente? – chiese ad alta voce. - No... non so... non credo. Il Pucci consultò l’orologio – Beh, è meglio che vada, si fa tardi. – e si alzò.

- Davvero non prende niente? - Per carità, a quest’ora? Soffro un po’ di gastrite, sa... Prima di cena, niente! Lei annuì’ tutta compresa. Uscirono nel corridoio. La madre e la figlia di Anna avevano chiuso la porta della cucina e il televisore strombazzava il solito quiz serale. Allora mi saluti tutta la famiglia, signora - Anche lei. Si dettero la mano e lui uscì sul pianerottolo. Lei lo salutò ancora, sorrise e richiuse. Lui si voltò e si abbottonò la giacca del vestito gessato, quello che sfinava. Scese le scale. L’ascensore, da solo, non lo prendeva mai. Scendendo incrociò un tipo magro come la morte, alto come un palo telefonico e con le orecchie a sventola, libere da qualsiasi occultamento tricotico: era praticamente raso a zero. Si affiancarono e gli sguardi un po’ diffidenti si incrociarono. Uno, gli occhi cilestrini, furbetti, l’altro, l’occhio un po’ rotondo e comatoso, segnato da occhiaie bluastre. Quando il brigadiere fu uscito, lui entrava nell’appartamento dal salotto mezzo liberty e mezzo no. Era il marito della Maciurlatti.

MARTEDI’ 16 GIUGNO, ORE 7,30 Il telefono squillò mentre Pucci si radeva in canottiera e braghe del pigiama. Sentì la moglie rispondere brevemente e poi il grido: -E’ per te! Arrivò ciabattando, con mezza faccia coperta di schiuma da barba. -E’ il maresciallo? –chiese. -No. E’ una signora. – insorse la moglie, calcando talmente sul “signora”, da farla sembrare una parolaccia. Gli ò dinanzi scrutandolo con astio e sparì in

cucina. Il brigadiere la seguì brevemente con lo sguardo, fece spallucce e raccolse la cornetta dal tavolino. Quindi se la schiaffò sulla schiuma da barba – Acc... Pronto, chi parla? -Sono Anna... - la voce era poco più che un sussurro. -Anna... -ristette il brigadiere. Poi s’illuminò tutto e divenne estremamente gioviale, anche se contenuto nel volume della voce. -Ah, è lei Anna! A che devo l’onore, cara signora... -Mi dispiace disturbarla a quest’ora. Stanotte me ne sono venuti in mente altri due – ora il tono della sua voce era da vera e propria cospirazione. -Bene, mi dica – l’invitò Pucci, contenendo la giovialità, perché ben sapeva che la moglie stava origliando. -Mi spiace per l’ora, ma poi devo portare Aurora a scuola e andare al comune... -Mi dica – il brigadiere cambiò lato del volto e si impiastricciò di sapone da barba anche la guancia già rasa e pulita. -Uno è un cugino dei Bonaudo, Aurelio. Veniva per vedere se c’era posto ai “Cantieri di lavoro”. Uno sfaccendato, attaccabrighe e forte bevitore. E sempre in bolletta, arrestato in gioventù per furti d’appartamento e di autoradio. -Interessante, a l’altro? -Beh, l’altro è uno zio del Sindaco. Vive all’ospizio. Poveretto, anche adesso, ogni tanto viene da noi... S’annoia e con la scusa che è parente del Sindaco è sempre tra i piedi. Non me lo ero ricordato, perché ormai è quasi come fosse una scrivania. Cambia spesso ufficio, rompe un po’ qua e un po’ la, ma è innocuo. Asfissiante ma innocuo, sa non ci sta tanto con la testa... -L’altro viene ancora? -Chi, il disoccupato? No, no... Sono già più di due mesi che non si vede più. Però, come le ho già detto, è un tipo pericoloso. -Matto come i cugini?

-Non credo. Furbo e aggressivo. Di più non so. Adesso devo proprio andare, spero solo di non averla disturbata per nulla. -Lei non mi disturba affatto e mi è molto utile. Se le viene in mente altro, telefoni anche in stazione e lasci detto per me. Anche dopo le venti. -Ah si? Se sapevo... Ma no, non le mento. Non avrei resistito comunque: glie lo dovevo dire subito. Son fatta così! -Ma va benissimo signora. Grazie ancora... -e misero giù. Poi quatto quatto il brigadiere s’avvicinò alla porta chiusa della cucina e la spalancò di colpo. Franca fece un salto così, che a momenti si bruciava. Si stava scaldando il latte. Il brigadiere, quasi deluso, si scusò e disse che gli era scappata la porta. Annunciò che avrebbe mangiato in mensa, perché aveva molto da fare. Lei lo guardò imibile e annuì senza parlare. Si salutarono piuttosto freddamente e il brigadiere uscì. Non poteva impedirsi di sentire dispiacere perché lei non era stata li ad origliare come al solito.

MERCOLEDI’ 17 GIUGNO, ORE 12 Tra scippi e due risse, la giornata di martedì era volata via. Ma ora era finalmente solo nel suo ufficio e poteva pensare. Non avrebbe mangiato nulla, così magari gli calava un po’ la pancia. Doveva consultare il taccuino con gli appunti sui personaggi che potevano essere sospetti. Chiunque altro avrebbe lasciato perdere, ma non Pucci. Lui ci credeva sempre. Era un uomo come tanti, con velleità da mastino e quando si incaponiva era peggio di due suocere. Forse un “Super Pippo” come qualcuno lo chiamava di nascosto, pensava sovente non senza una certa soddisfazione. Dopo la breve consultazione, scartò il cugino dei Bonaudo. Tre fissati in famiglia gli parevano troppi. Stranamente al brigadiere veniva sempre più da pensare che la spedizione della pratica, il crollo del lampadario e forse anche le telefonate e le lettere anonime ai Bonaudo, fero parte di un unico disegno. “Bastava scovare il fumettista della situazione!” Si disse. –Come se fosse facile – borbottò. Riconsultò le tre lettere anonime che parevano più significative, non certo per ilo contenuto, in quanto dicevano tutte più o meno: “Dovete sloggiare” oppure “Per voi c’è il manicomio”. Ma piuttosto per come erano state fatte: col normografo. Le precedenti, infatti, erano state compilate con sillabe di giornali e riviste. Naturalmente la scientifica avrebbe

provato anche a scovare il DNA. Ma anche l’avessero trovato, a che serviva? Il colpevole, e questo Pucci se lo sentiva, non era un tipo da casellario giudiziale e per fare la comparazione, prima bisognava scovarlo. Ma il normografo bisogna pur acquistarlo da qualche parte. E lo si doveva tenere per casa... Pucci sbuffò. Tutte cretinate. Non era quello il modo. Che faceva? Un mandato di perquisizione per ogni individuo di Foli? Neppure Torquemada glie l’avrebbe firmato. Sospirò e si alzò seccato dalla scrivania. Ma si, tanto valeva iniziare dallo zio del Sindaco. Era il più improbabile, ma anche il più facile. In fondo era vecchio e tempo ne aveva più di un disoccupato. Pucci afferrò la cornetta del telefono e dopo breve consultazione della sua agenda, compose il numero dell’anagrafe di Foli. Rispose una voce sconosciuta e lui chiese della signora Maciurlatti. Era il mezzo più breve e sicuro per sapere che lavoro avesse fatto il vecchio prima della pensione.

MERCOLEDI’ 17 GIUGNO, ORE 18,30 Il Cavalier Melagna osservava, oltre i vetri della sala di rianimazione, il volto del Belloni. Aveva gli occhi tumefatti peggio di un boxeur. Il naso, o meglio quel che ne rimaneva, era sepolto sotto un ammasso di gesso. Un tubo gli usciva dalla bocca e una ragnatela di tubicini si diramavano un po’ qua e un po’ la. Pareva un grosso ragno al centro della sua tela. Dove c’era il Cavalier Melagna c’era anche il consigliere Alabichino. Infatti era li in compagnia di un amico di “Rifondazione” con la camicia a quadri, il gilet di cuoio e i pantaloni con la piega, color grigio topo. Appeso a un braccio teneva il casco con la pantera nera ed il suo amico un casco rosso con un’enorme falce e martello gialla. Melagna si mise un poi di spalle e fece finta di non averli visti. Mai avrebbe salutato in pubblico quei due: uno pareva il Peppone del “Don Camillo”, l’altro, con la camicia in jeans a frange ed i jeans porpora stinti su toni bianchi, era più terremotato di un figlio dei fiori. Il cavaliere si aggiustò la cravatta scura e la vista quasi gli si annebbiò: tutta sola stava sopraggiungendo la dottoressa Ponza. Una situazione terribile. Che fare? Unirsi alla strana coppia di compagni o sopportare le profferte amorose della nipote di Marthy Feldman? Decise di darsi alla fuga, ma il quel mentre giunse proditoriamente il Vicesindaco. Soffiotti era con la sua signora, ma Melagna gli si fiondò addosso senza neppure lasciare che si avvicinassero a ciò che rimaneva del Belloni. Fu così che Alabichino si accorse di lui e la Ponza riconobbe la voce

del suo agognato amore. Il consigliere con l’amico si fiondò festante sui colleghi e la dottoressa innamorata come bracco sulla cacciagione si intromise anch’essa nella brigata. Diceva Soffiotti: -M’hanno detto che si è aggravato... E la dottoressa Ponza: -Ma no! Ma se proprio oggi ho saputo che stava un po’ meglio... Quindi l’intervento della moglie di Soffiotti: -Poveretto, che pena... E Alabichino rivolto al suo amico: -Lo sai che se muore è omicidio? Quando Melagna stava giusto per dire la sua, sopraggiunse la caposala che con estremo tatto e gentilezza li buttò fuori tutti.

MERCOLEDI’ 17 GIUGNO, ORE 15 Nel recinto dell’ospizio, alto, di mura in mattoni pieni, quelli di una volta, c’era un gran fermento. Nei due campi da bocce sotto le acacie si giocava un torneo, il cui primo premio erano una cintura del dottor Gibaud ed un libro di Alberto Bevilacqua. Partecipavano anche da fuori, e tra gli altri c’era l’ex segretario comunale di Foli, il ragionier Curtatoni, ex partigiano e nota personalità locale. Il brigadiere, che era li per altro motivo, si ritrovò in mezzo ad una baraonda di vecchietti che eggiavano un po’ ovunque. Discutevano in mezzo ai roseti mezzi secchi, tubavano in nuove garrule coppie sulle panchine disseminate un po’ ovunque. L’edificio era tetro e antico e dentro, nel salone il cui antico pavimento era stato foderato di pratico linoleum, c’era una gara d’uncinetto per le signore. Tutte e dieci le partecipanti stavano presentando i lavori fatti in un mese alla giuria, composta da: la moglie del Sindaco, Presidente, la cugina del Vicesindaco, la nonna novantaseienne del presidente della Pro-Loco e la sorella sessantenne della dottoressa Ponza. Il primo premio era una coppa di lamiera dorata e l’abbonamento annuo alla rivista “Uncinettiamo”. L’apparizione del brigadiere, per di più in borghese, ò del tutto inosservata. Tra il personale scorse un infermiere che abitava nel suo quartiere, ma altrimenti non conosceva nessuno. Si rilassò e eggiò a destra e a manca nel tentativo di reincrociare quel conoscente. Finalmente lo trovò che sbevazzava un quartino seduto ad un tavolo di cemento sotto ad una acacia. Dopo aver rifiutato dieci volte un sorso e

aver risposto quattro volte che Paoletta e Franca stavano bene, il brigadiere poté chiedere all’infermiere brillo che gli indicasse qual era lo zio del Sindaco. -Mondanotti Eusebio? Sta giocando a bocce! Lo sa che ha una camera da solo? La più bella, sto’ fetente... Invece la mia prozia, con tutto che io lavoro qui, è in una camera a quattro di fianco ai cabinetti (hic!)... Il Pucci lestamente chiese: -Caspita! Ha la più bella camera? E qual è? -La 26 al terzo piano, di fianco all’ascensore e col terrazzino – e l’infermiere finì di tracannare il bicchiere. Pucci si era già allontanato e si involava verso l’interno dell’ospizio. Evitò prudentemente la gara di “croquet” ed entrò in una hall deserta infilandosi nel primo ascensore che gli si parò dinanzi. Con suo profondo disappunto era un ascensore a gabbia. Però la stanza di Mondanotti zio era proprio li, all’uscita dell’ascensore sulla destra. Il brigadiere si accorse di non aver pensato alla chiave, ma quando girò la maniglia la porta si aprì. All’interno, vatti a fidare degli ubriachi, sdraiato sul letto c’era un vecchio. Era supino, e dall’aspetto, con quattro ceri intorno, si sarebbe anche potuto iniziare un’orazione funebre. Pucci lo guardò, lo osservò sempre più scettico. “Quello sostituire la bacchetta del lampadario? Mah...” ma oramai era li e si concentrò sulla ricerca sommaria del normografo, cullato dal lieve ronfare della mummia sospettata. Ad un certo punto nel cassetto ne trovò veramente uno, ma non lo toccò. Rinchiuse la scrivania vecchia e malandata e uscì. Poi bussò, forte e a lungo. Il cadaverico Mondanotti aprì. -Chi è lei? –chiese tra l’assonnato e il seccato. -Perché, aspettava qualcuno in particolare? –chiese sorridendo Pucci. -Non so proprio cosa possa interessare a lei! –ringhiò la mummia. -Sono il brigadiere Pucci, posso entrare? Vorrei parlarle... -E di che? Non so proprio cosa possa volere da me. -Ma mio caro signor Mondanotti, io faccio parte della giuria del torneo. Tutti si chiedono che fine ha fatto e... -L’ho detto! Non sto bene! -. E il vecchio fece per chiudere la porta.

Pucci vi infilò un piede. – Mi chiedevo sa, già che ero qui e lei è parente del Sindaco, se potevo farle qualche domanda su suo nipote. Lei lo conoscerà bene. -A che scopo... Non capisco... -Senta, mi lasci riposare e se ne vada. -Potrei anche farlo però, sa, io sono Carabiniere – il vecchio strattonò un po’ la porta – se vedo una cosa non la posso ignorare. -Mi lasci in pace! – gridò il vegliardo e diede un altro strattone alla porta. -Nel cassetto della sua scrivania c’è un normografo. Lei va a scuola signor Mondanotti? -E se anche ci fosse, lei come fa a saperlo? Non sarà mica entrato a ficcare il naso nelle mie cose! – e il vecchio lasciò andare la porta. -Deve ringraziarmi – Pucci entrò nella camera. Il vecchio traballò un po’ e lui lo sorresse. -Mi lasci! Io sono lo zio del Sindaco. Io la denuncio, la... -Signor Mondanotti – lo interruppe piuttosto duramente Pucci – si calmi e mi spieghi perché possiede un normografo, in modo che io non debba pensare che lei sia uno scrivano un po’ particolare... Mondanotti Eusebio non poteva impallidire più di quanto già non lo fosse, e allora divenne paonazzo e dovette sedersi sul letto. Impietosito, Pucci corse nel bagno e gli portò un bicchiere d’acqua, quindi gli slacciò la camicia. -Si calmi, per carità! Anche se lei avesse scritto le lettere anonime ai Bonaudo non sarà poi una tragedia... Vedrà. -Come ha fatto a capirlo, lei – il vecchio lo soppesò con occhio tra il malevolo e il comatoso – con quella faccia che ha... Il brigadiere sorvolò suo malgrado sul commento denigratorio.

-Però ne ho scritto solo due, le ultime – precisò tutto contegnoso il Mondanotti. -E’ chiaro. Qui dentro non si trovano giornali da tagliuzzare – rispose il brigadiere – tutto è contato, inventariato. E lei non ha soldi per comprare riviste e giornali: lei non ha la pensione perché lavorò per anni come riparatore di caldaie in Bolivia. La sua pensione si è persa tra l’oceano e l’Italia... -Vedo che è ben informato. Però io con il resto non c’entro niente, niente. Glie lo assicuro brigadiere – il vecchio aveva le lacrime agli occhi – io lo volevo aiutare, a mio nipote, proprio per quello che fa per me. Pensavo che se quelli se ne andavano lui poteva fare il campo per gli zingari. -Non le credo signor Mondanotti. Due lettere su sessantuno non avrebbero senso... A meno che quelle altre non le abbia fatte il Sindaco. -Eh no! Questo non lo deve dire. Mio nipote non si abbasserebbe mai a fare una cosa del genere. Se avesse voluto, avrebbe potuto farli internare quei due matti... Altro che lettere anonime! -Ma così non si spiega –il brigadiere ebbe un gesto di stizza- non ha senso. Sessantun lettere in un modo e due in un altro... Ma lei però di ferri se ne intende, no? -Il vecchio lo guardò senza capire. Pucci infilò con la mano guantata il normografo in un sacchetto di plastica e se lo mise in tasca. -Vedremo... -disse prima di uscire.

GIOVEDI’ 18 GIUGNO, ORE 14. Erano arrivati gli esami della scientifica. C’erano anche tracce di DNA sulla bacchetta del lampadario, ma con che cavolo si potevano comparare? Per il nervoso il maresciallo Bentivoglio dispose l’interrogatorio di tutti i dipendenti del Comune e giudicò inconcludente il lavoro di Pucci. Il brigadiere si recò a casa del disoccupato segnalato dalla signora Maciurlatti.

Fece alcune domande alla madre, vecchia comare del paese, piissima. E nel mentre domandava vide un posacenere colmo di mozziconi sul tavolo bisunto e ingombro di tazze e bottiglie. -Lei fuma? – chiese alla donna – Lei si schermì e parlò di polmoniti e pleure per dieci minuti. Pucci si congedò e alzandosi intascò furtivamente un paio di mozziconi. A questo punto, non si buttava via niente: sia il portadentiera dello zio del Sindaco che quei mozziconi dovevano essere analizzati dalla scientifica. Un bell’esame del DNA non era poi una così cattiva idea...

VENERDI’ 19 GIUGNO, ORE 14. Il brigadiere uscì dalla stazione sbattendo la porta. Un’ora prima aveva preso due giorni di ferie che gli scadevano. Due ore prima, alla notizia della morte del Belloni, le indagini erano ate al brigadiere Scognamiglio, coadiuvato dal vice Miccichè. Inoltre, quella mattina Casapiccola si era ripresentato al suo posto, proprio in tempo per assistere allo scorno del brigadiere Pucci. Pucci respirò a pieni polmoni e si diresse verso la sua auto. Avrebbe fatto un giretto. Di tornare a casa non ne aveva voglia. Franca lo guardava storto e alternava lunghi silenzi immusoniti, a rimbrotti immusoniti e sarcastici. Decise che sarebbe andato a Torino dalla figlia. Poi però, tornò sulla sua decisione: tra università e lavoro, quando mai era a casa quella! Finì ai giardinetti pubblici in mezzo a vecchietti, mamme, baby sitter, bambini vocianti e cacche di cane. “Proprio il posto ideale per un vecchio brigadiere in pensione” si disse. La promozione forse era sfumata, ma sul suo orgoglio non ci potevano are sopra così. Un conto era fare indagini senza un indirizzo preciso, un po’ così alla carlona, per far piacere ad un Sindaco immanicato. Ma ora che la cosa si faceva seria, anche se il vecchio Pucci aveva scoperto la manomissione del lampadario e un paio d’altre cosucce, ora toccava ai più giovani e quotati, non a quel panzone perditempo. -Eh no! –esclamò Pucci alzandosi di colpo in piedi – troppo comodo! Si accorse di aver urlato e si guardò intorno preoccupato. Un bimbetto seduto

nella sabbia lo stava fissando a bocca spalancata, con un grissino sbocconcellato stretto nella mano a mezz’aria, gli occhi scuri già pieni di lacrime e la boccuccia piegata all’ingiù. Bambini più grandicelli giocavano a rincorrersi più in là. Una vecchia s’era abbioccata sulla panchina con la testa ciondoloni e il berretto che le si stava sfilando dalla testa grigia. Avrebbe voluto avvicinarsi al bimbo e prenderlo in braccio per consolarlo, ma fece forza su sé stesso e andò via, ignorandolo. Ci mancava solo che qualcuno, rintronato dai bombardamenti televisivi lo accusasse pubblicamente di pedofilia.

SABATO 20 GIUGNO, ORE 6 DEL MATTINO Franca dormiva ronfando neanche tanto sommessamente. Oggi Pucci avrebbe voluto starsene a casa. Più tardi sarebbe arrivata Paoletta da Torino. Ma non poteva. Le pareti gli stavano strette. E quando uscì rabbrividendo nel camiciotto celeste alla leggera brezza mattutina, scoprì ben presto che anche il quartiere gli stava stretto. Il fatto era che, ovunque stesse camminando si sentiva come nel mirino. Prima su di un fianco, poi all’altro, alla schiena. Perché là, sempre là, c’era la stazione dove si svolgevano le indagini, senza di lui. Ritornò sotto casa evitando di guardare dall’altra parte della strada, ma udì il motore di un “Alfa” e ora sapeva che Miccichè era uscito per indagare su quello che lui considerava ormai il suo caso. Ravanò nelle tasche dei jeans e trovò prontamente le chiavi. Prima di salire in auto telefonò a Franca. Lei rispose subito. Lui parlò, le spiegò che doveva lavorare anche quel giorno al caso di omicidio. Franca disse solamente –Ma oggi viene Paoletta. E lui giù a spiegare quanto Bentivoglio avesse insistito. - E’ la volta che vado in pensione da Maresciallo – azzardò.

Il fatto era che non aveva detto a Franca come stavano le cose. Sapeva di sbagliare, ma l’amor proprio l’aveva avuta vinta. - Saluta la bambina per me e dalle un bacio... - Ma non vieni neanche nel pomeriggio?- si lamentò la consorte. - Non so... Ci proverò... Ciao. Già mentre chiudeva la comunicazione, si sentì un verme. Salì in auto e andò via a tutto gas, destinazione Foli. Franca riaccostò la tendina di pizzo verde della finestra di cucina. Scosse la testa e si sedette al tavolo, appoggiando le mani alle guance un tempo paffutelle e rosee. Un bigodino di spugna rosa scattò per aria e finì sul tavolo, sotto il suo naso. Fece un mezzo sorriso, poi si nascose il volto tra le mani.

SABATO 20 GIUGNO, ORE 8, 30 Pucci aveva iniziato col fare il giro delle rivendite di lampadari e stava andando verso una fabbrica che si trovava sulla provinciale tra Foli e il paese prima. Ma non ci credeva neanche lui... Sapeva benissimo che un’asta simile era recuperabile da un altro lampadario vecchio, o era comprabile in mille e mille posti, non esclusi i supermarket, dov’era praticamente impossibile rintracciare un acquirente, per giunta di mesi addietro. Era il motore della volante di Miccichè che lo faceva andare avanti: l’inerzia della disperazione. Alla fabbrica fecero del loro meglio, ma per i pezzi singoli, venduti a clienti occasionali, era evidente che non tenevano registrazioni. Anche se la risposta ufficiale fu: “Noi vendiamo solo lampadari e pezzi di ricambio all’ingrosso”. Comunque non si ricordavano acquirenti anziani, o giovani e trasandati e neppure d’altro genere, interessati all’acquisto di un’asta negli ultimi mesi.

A mezzogiorno aveva terminato le ferramenta e i venditori di lampadari di tre paesi compreso Foli. “Così non si va da nessuna parte” pensò addentando un panino al cotto e strappando la linguetta d’una birra comprati nel primo alimentare che aveva avuto sotto il naso. Mangiava in auto, in una stradina verso l’argine del fiume che lambiva il confine sud di Foli. Pensava a Miccichè che sicuramente stava interrogando uno per uno i cantonieri, per via che l’asta era stata ritrovata sull’ape, nel garage del Comune. Poi avrebbe interrogato chiunque avesse avuto la possibilità di accedere a quel garage, ben sapendo che una spranga dentro a un cassonetto di un’ape la si può gettare in qualunque momento, anche se fosse parcheggiata sul monte Everest. Poi pensò anche a quanto poco la scientifica li potesse aiutare e a quanto avevano ciondolato avanti e indietro in quelle settimane. Quando ebbe finito la birra tirò un po’ giù il finestrino e dopo aver ruttato così sonoramente da far fuggire un cagnetto che stava facendo la pipì su una ruota della macchina, smise di pensare a Miccichè. Improvvisamente gli venne in mente un negozietto di robivecchi che aveva notato proprio di fronte alla Brillalux. Ricordava un cortile adiacente, visibile dalla strada, con un fico enorme dal tronco semisommerso dai rottami più disparati. Quando si è disperati non si guarda molto per il sottile e Pucci mise in moto e partì verso il centro di Foli, con l’animo sollevato e ansioso al tempo stesso.

SABATO 20 GIUGNO, ORE 12,40 Il Sindaco Mondanotti vide un tipo che gli pareva di conoscere, entrare nel negozietto di Pedercini chinandosi goffamente, perché la saracinesca era mezza abbassata. Si stupì, rallentò, poi rammentò l’appuntamento, fece spallucce e tirò via mandando fuori giri il suo splendido fuoristrada americano. Pedercini sorrideva dubbioso stringendo la mano che il brigadiere Pucci gli porgeva. Quest’ultimo si era qualificato e stava spiegando che era lì per le indagini riguardanti la morte di Belloni. Il negoziante divenne subito serio e atteggiò i lineamenti a cordoglio: -Povero Belloni, una così cara persona... -attaccò, ma senza poter finire.

-Già, già –convenne frettolosamente Pucci –ma io dovrei farle alcune domande. Pedercini si produsse in un sorriso mesto – dica, dica... Se posso esserle utile. -Lei – chiese il brigadiere – non ha mai venduto pezzi di ricambio per lampadari? -Oh, no, io tengo solo cose antiche. -Ma tra le cose antiche ci sono anche i lampadari... -Si, forse ne avrò qualcuno... Sul retro... -Me li fa vedere? –azzardò il brigadiere. Pedercini lo guardò dubbioso. Si vedeva che già era in allarme. Lo condusse sul retro, dove tra ciarpami vari, brillava di sciatteria propria una serie di vecchi lampadari usati, ammonticchiati in un angolo. -Non ne ha venduti molti –constatò Pucci. -Beh, io più che altro vendo mobili, mobiletti, stipi, soprammobili... I lampadari la gente li preferisce nuovi, a parte quelli in ferro battuto. -E allora perché li tiene? –lo incalzò Pucci sorridente. -Mah, può capitare di venderne dei pezzi. La gente nata prima della guerra aggiusta tutto. -Allora li vende solo agli anziani –constatò Pucci ispezionando qua e la con occhio acuto. -No, anche a quelli più giovani. Qualche persona particolarmente morigerata. -Qualche taccagno – semplificò Pucci. -Ma non è pericoloso assemblare dei pezzi in questo modo? -Ah, io non so. Può darsi di si, ma che vuole... -Però lei li vende –constatò Pucci puntandogli gli occhietti in volto.

-Se è per questo, certi lampadari di oggi fatti con lo sputo sono ben più pericolosi di questi. -Posso? –chiese il brigadiere, mentre già rovistava nel mucchio. Il negoziante si fregava le mani in un tic nervoso abbastanza insolito. -A questo qui manca l’asta –disse Pucci sollevando un lampadario di pseudo ferro battuto, ma leggero come lamiera ondulata – perché? Pucci pensò “Forse ci siamo, stai calmo e pensa prima di parlare”. -Mah, non so... L’avrò venduta. -Lei rammenta vero che il lampadario del Comune è caduto in testa al povero Belloni? -Certo, ma non vedo cosa... -le mani del venditore si contorcevano che era una bellezza. Pucci cambio tattica, si avvicinò con premura rustica al pover’uomo –Suvvia, non si agiti così. Nessuno l’accusa di niente! -Lo credo bene... Io sono un uomo onesto... -farfugliava quello, mentre Pucci lo guidava ad un gruppo di sedie di seconda mano e ne sceglieva una sulla quale far sedere l’ansioso. Questi si rifiutò anche fisicamente. -No, quella non regge –squittì divincolandosi. Pucci lo lasciò andare e il Pedercini si sedette su quella accanto. Il brigadiere iniziò il secondo assalto. -L’asta è stata cambiata. Prima era di ferro battuto, poi al crollo s’è scoperto che ce n’era una di tipo simile, ma di peso e consistenza ben inferiori. Ma io le assicuro che non c’entro niente... - Pedercini balzò in piedi, sconvolto. – Io l’ho venduta quell’asta lì, ma se ne vendono di cose... - si aggrappò letteralmente al braccio di Pucci. Gli occhi, di un celeste slavato erano pieni di lacrime e il viso smunto aveva assunto il colore tipico del gallinaccio. –

Brigadiere, lei deve credermi – farfugliò. – Io non ho mai neanche visto il lampadario del comune... L’ultima volta che ci sono stato era per una carta d’identità. Pucci lo spinse con garbo sulla sedia e gli slacciò il papillon azzurro. - Che disgrazia, che disgrazia- continuava a biascicare il rigattiere guardando fisso d’ innanzi a sé. - Si calmi Pedercini – lo esortò con buona grazia Pucci – Nessuno l’accusa di niente... La bacchetta che lei ha venduto potrebbe essere una traccia. Ma Pedercini non lo stava neppure a sentire. Ancora si abbarbicò al suo braccio e: - Mi creda brigadiere, E’ vero che venticinque anni fa sono stato in prigione per aggressione... Ma sono cambiato, mi creda... Io sono cambiato... - Le credo, Pedercini, le credo – tentò di rassicurarlo Pucci. Suo malgrado il brigadiere si commosse alla vista di quell’uomo anziano che, nel pieno marasma, credeva fermamente d’essere sospettato a causa dei suoi precedenti. – Lei deve calmarsi- esclamò in tono burbero –Le ripeto che non le succederà un bel niente.- Gli porse un fazzolettino di carta perché si asciugasse le lacrime. Pedercini si soffiò rumorosamente il naso. - Lei deve solo sforzarsi di rammentare a chi ha venduto quella bacchetta. E’ tutto quello che io voglio da lei, glie lo giuro. – lo assicurò abbastanza platealmente il nostro. - Non credo neppure d’averla venduta- asserì dopo qualche istante di meditazione il rigattiere. Ora si era un po’ calmato e guardava Pucci con un’espressione che stava a metà tra l’impaurito e il riconoscente. - Ci sono molte persone che entrano qui e girano... - si soffiò ancora il naso – Mi faccia pensare... Pucci gli chiese se voleva che gli andasse a prendere un bicchiere d’acqua. Il vecchio rifiutò cortesemente. Il Brigadiere gli porse un altro fazzolettino. Pedercini si asciugava il sudore dalla fronte e rifletteva.

Nel frattempo Pucci un po’ per deformazione professionale e un po’ per una specie di rimorso che l’assaliva per aver spaventato così tanto quel vecchio, si era nuovamente avvicinato al mucchio di ferraglia dove giacevano i resti del lampadario incriminato. Mentre esaminava il rigattiere esclamò: - Però, un mese fa qui è entrato qualcuno che io non c’ero... forse... - Come forse? – chiese con improvviso interesse Pucci. - Il fatto è che è una faccenda strana. Nulla mi è stato portato via. La cassa c’era tutta. Però ho trovato delle cose spostate e proprio quel mucchio lì dei lampadari era come... diverso, ecco! Li per lì non è che mi sono preoccupato più di tanto... Ho pensato che fosse qualche bambino ... sa come sono i ragazzini oggi. Ma adesso, dopo questo fatto potrebbe essere diverso... - Così lei è sicuro che qui è entrato qualcuno in sua assenza. - Be, adesso ne sono più convinto. Ma un mese fa ho finito per convincermi che era la mia immaginazione... - Non c’era effrazione ne asportazione di denaro o di grossi quantitativi di merce. Certo, è così. Forse hanno preso qualcosa , ma non molto, altrimenti me ne sarei accorto subito. Ho tutto qui nel cervello, sa- e il Pedercini si tocco la fronte spaziosa e rugosissima con il dito adunco. - Ed è stato in pieno giorno?- chiese il brigadiere. - Dalle tre alle quattro e trenta circa. Me lo ricordo bene perché ero andato a fare un esame all’ospedale. Sa il diabete... - E lei non ha idea di chi possa essere stato? – lo incalzò Pucci ignorando cautamente la faccenda del diabete per non rischiare di sentirsi raccontare per filo e per segno ogni sviluppo della malattia negli ultimi cinque anni. - L’ho già detto, no: Uno non può neppure immaginare che un adulto entri qui dentro per rubare delle piccole sciocchezze... - Lei ha dei clienti fissi?

- Uno o due. Ma sono anziani ed interessati a vere e proprie antichità dell’arte povera... Sa com’è! Pucci che non sapeva affatto com’era e che non aveva nessunissima intenzione di venirlo a sapere, annuì come se le anticaglie e l’ambiente che le circondava fossero per lui ordinaria amministrazione. - Sono il Vicesindaco Soffiotti e il ragionier Perticoni – si lasciò sfuggire d’un sofferto soffio il rigattiere. Lo sguardo di Pucci si perse alcuni istanti nel vuoto. Ma non fu che per qualche istante, dopodiché ritorno fra i mortali e si rimise a rassicurare nuovamente il Pedercini che se interrogato avrebbe detto loro che il famoso panettiere gli aveva spifferato il loro nome. Fra mille ringraziamenti, raccomandazioni e patemi d’animo il rigattiere lo accompagnò sino sulla soglia del proprio negozio.

SABATO 20 GIUGNO ORE 15 Mentre si recava alla villa di Soffiotti il brigadiere rifletteva intensamente e più rifletteva più si sentiva convinto che prima di parlare sia con il ragionier Perticoni che con il Vicesindaco Soffiotti ne doveva sapere un po’ di più su di loro. Fermò la macchina in una piazzola cosparsa di cacche di mucca fresche fresche e fece una conversione ad U. Al suo ritorno il piazza puntò deciso verso la viuzza dove abitava la Maciurlatti. Quando fu sotto casa di lei, con l’auto già parcheggiata consultò l’orologio e s’avvide che erano le quindici e dieci. Telefonò a casa, ma il tentativo fu inutile, non rispose nessuno. - Ma perché accidenti non hanno messo la segreteria... - borbottò furente. Compose il numero della vecchia zia di sua moglie e quando quest’ultima rispose ebbe confermata in breve la sua ipotesi. Franca era lì. Per non perdere tempo disse alla zia Rosa: - Dille che sono un po’ bloccato per via delle indagini... Non me la are, non ho tempo di fare discussioni ora... C’è anche mia figlia? Salutala, dille che mi dispiace tanto e che le telefono io stasera a Torino... - Mentre spegneva il telefonino lo assalì un senso di colpa e un rimpianto per sua figlia enormi. Ma

l’istinto del “bracchetto” come lo chiamavano segretamente i suoi sottoposti a causa del suo accanimento nelle indagini unito alla sua bassa statura, era troppo forte. Non poteva perdere tempo con cose che non fossero quella faccenda assurda. Era già divenuta una faccenda personale. Prese l’ascensore. Era fortunato: mezz’ora appena e la signora sarebbe uscita col marito per fare la spesa settimanale. Lei lo fece entrare con il solito sorriso. La madre di lei, onnipresente, gli si fiondò sopra come un polipo sulla preda e lo ricoprì di saluti rispettosi, cerimonie e domande scontate sulla vita del carabiniere. La figlia fece in modo che sparisse in cucina a controllare chissà quale manicaretto che sobbolliva sul fuoco e lo pilotò anche questa volta in salotto. Mio marito, come forse lei sa già, è un edile. Un piccolo impresario. Mi ha promesso che si liberava, ma so che ritarderà almeno d’un ora.- disse con l’evidente sottinteso che avrebbero potuto parlare con calma che il tempo non mancava. – E’ sempre così: se ci fosse un giorno in più nella settimana, lo ebbe per lavorare... - sorrise con mestizia. Si sedettero al tavolo da pranzo mentre lei già spiegava che la figlia era uscita con la sua amichetta del cuore per andare alle prove del coro parrocchiale. - ... Quando esce andrà a prenderla mia cugina perché sarà già quasi buio e al giorno d’oggi non si può mai sapere... Si sentono certe cose... Pucci annuì con partecipazione. Lei proseguì imperterrita: - Con i bimbi al giorno d’oggi bisogna fare molta attenzione e anch’io non me la sento di andare al supermarket da sola... Nell’esatto momento in cui le argomentazioni della signora parevano languire, Pucci ne approfittò destramente per pilotare la conversazione su ciò che gli premeva. Era il momento giusto, se avesse tardato un solo istante la Maciurlatti avrebbe attaccato con il rincaro dei prezzi a causa dell’Euro. Pucci disse: - Siccome lei sta attendendo suo marito vorrei venire subito al nocciolo della questione, se mi permette – lei gli sorrise invitandolo a proseguire con un lezioso cenno del capo. – Gradirei sapere qualcosa sul Vicesindaco Soffiotti e sul ragioniere Perticoni... che tipi sono, se hanno dei lati chiacchierati nella loro vita,

se sono oggetto di invidie, rancori o se a loro volta ne hanno verso qualcuno. Qualcosa sulla loro carriera, sulla loro vita in generale... - So dove vuole arrivare- sorrise imperterrita la Maciurlatti – Lei vuole sapere se mal sopportano il Sindaco, se avrebbero interesse a rovinarlo, o a fare in modo che avesse un incidente... Pucci si guardò bene dal puntualizzare che lui non sospettava minimamente dei due, non ancora per lo meno. Qualunque cosa avesse potuto far luce su quel caso era ben accetta. Poi stava a lui vagliare, approfondire. Lasciò quindi che l’impiegata proseguisse, ma con sua sorpresa, date le premesse, non ci furono rivelazioni sconcertanti che avrebbero potuto dare una svolta all’inchiesta. - Io non credo che quei due abbiano a che fare con questa faccenda. Soffiotti è succube del Sindaco Mondanotti. Non fa un respiro se Mondanotti non gli da l’ordine di farlo. Ci discute, si arrabbia anche, ma quando si arriva al dunque Soffiotti fa tutto quello che Mondanotti ha detto di fare. – la Maciurlatti rise brevemente, ma di gusto. – E il ragioniere non trafugherebbe mai nulla che appartenga al suo adorato Comune ed in più, per riferirsi alla faccenda del lampadario, Perticoni non ha alcuna manualità. Non sa neppure cambiare una lampadina, credo che sia in difficoltà anche con il cambio delle mutande... - rise ancora –Sa, a volte Perticoni non sa esattamente di violette di campo... - anche Pucci sorrise. –Quell’uomo sa solo manovrare numeri. Per lui l’universo è una partita doppia... E’ un uomo senza alcuna fantasia e quindi non può contemplare più di una cosa o due al massimo. In questo momento, a parte i numeri, direi che la sua attenzione è totalmente concentrata sul segretario Pennacchione. Lo odia e non ne fa mistero. - Potrebbe allora aver trafugato la pratica d’allacciamento idrico per far dispetto al rivale- osservò Pucci mentre il sole iniziava a morire filtrando come oro brunito tra le splendide tende di mussola bianca che ornavano la porta finestra del salotto. Lei ristette, come se fino a quel momento una simile probabilità non le avesse mai sfiorato la mente. - Forse... Ma non mi sento di pronunciarmi. Perticoni mi sembra troppo rincoglionito per giungere a tanto. Lui la pratica d’allacciamento glie la tirerebbe in testa... E’ più nelle sue corde. E’ così stupido che non può nuocere a qualcuno più di quanto nel farlo non nuocerebbe a sé stesso.

SABATO 20 GIUGNO ORE 15,30 CIRCA Pucci guidava nervosamente verso la villa di Soffiotti. La Maciurlatti si era detta sicura che l’avrebbe trovato a casa, perché il sabato pomeriggio lo dedicava alla sua più grande ione: il modellismo con i tappi di bottiglia. Più la villa si avvicinava, più la mente del brigadiere s’allontanava nel limbo del rimuginare che lo assaliva sempre quando la sua vita o le sue indagini erano ad un bivio, e cioè, quasi sempre. “Forse è meglio interrogare prima il ragioniere” pensava a tratti e gli veniva quasi da fermarsi nella medesima piazzola infestata di cacche di vacca. Ma quando ne fu in prossimità tirò diritto. Il suo cuore dava balzi d’insofferenza quasi potenti come quelli del motore della sua cinquecento acquistata a rate tre anni prima. Alla villa non c’era nessuno. Il custode tutto spettinato e con la giacca scucita sull’orlo lo accolse con poca socievolezza. Ma quando seppe che Pucci era un brigadiere cambiò subito linea di condotta sfoderando un bel sorriso ingiallito dal fumo. - Il dottore? E’ in montagna che si cura l’asma... - E’ strano – fece Pucci – Da fonti certe so che il sabato pomeriggio si dedica al modellismo qui in villa... - Na volta, prima del fatto in Comune. Ora va a so tutti i sabati e le domeniche e io sto qua a fa la guardia... - Da quando il lampadario dell’ufficio del Sindaco è caduto in testa all’assessore? - Già. - Ha una casa in montagna il dottor Soffiotti? - Macché, lui la montagna ci fa schifo... Penzi che ci ha la barca a punta Chiappa, in Liguria. No, va in casa del Sindaco che lo viene a prendere de mattina.

- Vanno su da soli? Si. Perché la moglie va da sua madre con i figli e l’altra moglie, quella del Sindaco non va proprio da nessuna parte. Che po... - e gli si avvicinò con un’aria complice e un lezzo di vino scadente da far svenire – Lo sanno tutti che lei ci ha l’amante che gli è caduto il lampadario in testa... - e rise sguaiatamente grattandosi i capelli sudici. - Davvero? – finse d’interessarsi Pucci, così bene che quell’altro si sentì autorizzato a continuare con le sue confidenze. - Ma non c’è da prendersela che il Sindaco in quanto ad amanti non resta indietro a nessuno. Penzi che si è fatto quasi tutte le funzionarie del comune. - Anche la Maciurlatti dell’anagrafe? – buttò lì il brigadiere provando suo malgrado un tuffo al cuore, quando si sentì rispondere. - Quella è l’ultima... che li ho visti insieme io un po’ di tempo indietro che si tenevano per mano fuori dal motel che c’è sulla tangenziale.

SABATO 20 GIUGNO ORE 15,45 CIRCA Ci sono cose che le persone fingono molto bene di non sapere, ma che in fondo al cuore sanno perfettamente. Per esempio il brigadiere Pucci sapeva benissimo di non essere un granché come inquirente. ionale, impulsivo, a volte credulone, cuore troppo tenero, pasticcione, esitante. Spesso e volentieri si innamorava d’un particolare e ci si incaponiva con gran scorno delle stesse indagini. Però era anche il “bracchetto” e il suo fiuto, anche in mezzo alla tempesta ormonale non mollava mai. E siccome era anche un bracchetto fortunato, alle volte cascava sulla pista giusta per inerzia di naso. Questa volta si era incaponito su di una persona. Ma non nel solito modo. Quel suo ancheggiare, quel frullare di capelli lunghi e biondi che gli avevano ricordato i tempi in cui la signora Franca non era ancora la sua signora, avevano ritmato il suo furioso ciondolare più degno d’un pendolo che d’un detective. Era solo perché il suo naso si era rifiutato di stanare la preda? Era giusto ciò che da tempo cercava di ignorare, ma che ora più che mai sentiva come la pista giusta?

Si augurò che le parole del custode fossero chiacchiere vuote e che quel “non so che” che sentiva in presenza della signora Maciurlatti fosse solamente un’attrazione “fatale”. Cercò con la mente i particolari di lei che non gli piacevano affatto. Il naso un po’ troppo lungo, il dente che brillava al sole e i polpacci un pochino storti... Pensò persino alla frase che gli rodeva dentro. Pensò al modo in cui l’aveva detta. Ma non servì a cambiare il dispiacere che sentiva e la speranza di sbagliarsi che disperatamente lo animava. Diede un’accelerata e lasciò un buon due etti di gomme sull’asfalto picchiato dal sole e tempestato dalle mucche.

SABATO 20 GIUGNO ORE 24 Aveva mangiato all’osteria dopo aver telefonato una scusa alla Franca. Non se la sentiva di guardarla in faccia ora che era costretto a pensare al dispiacere che provava nel sospettare la Maciurlatti. Alle sette aveva telefonato a lei, alla Maciurlatti. Alla signora Anna. L’aspettava sulla piazza deserta, nell’auto posteggiata. Era mezz’ora che l’aspettava. Era stato per due ore a bere birra in uno squallido bar pieno di pensionati che giocavano a carte e di ragazzini che giocavano sui videogame. Avrebbe voluto telefonare alla moglie, ma non ce la faceva. Anzi, aveva persino spento il telefonino, per evitare che lei gli telefonasse. Pensò, come per scusarsi con sé stesso, che l’indomani sarebbe stato a casa tutto il giorno. Si, il riposo tra le mura di casa, in compagnia dei propri rimorsi, cercando di essere gentile e paziente con la Franca... I giovani... A quell’ora erano tutti a caccia di discoteche. Poi c’erano i meno giovani, in giro con gli amici o con le amiche... Tappati in casa a cambiare pannolini tra uno spot e un programma pieno di ballerine mezze nude. Lui era lì che sentiva i i dal finestrino mezzo giù. Poi la vide dallo specchietto che si avvicinava un po’ furtivamente. Entrò nell’abitacolo lasciandosi cadere sul sedile di fianco al suo. Un profumo di saponetta ai fiori assalì le narici di Pucci che deglutì e si costrinse a mettere in moto. - No, stiamo qui – disse lei stranamente.- Se ci muoviamo qualcuno di sicuro ci

vedrà in giro insieme.- Pucci pensò per un sublime momento che lei avesse frainteso. Anzi, gli parve che in fondo non fossero lì che per uscire insieme, di nascosto da tutti... poi incontrò lo sguardo di lei e il dubbio si dissolse. - Che mi capiterà? – gli chiese ansando spaventata. Pucci rimase sorpreso. Per telefono le aveva solamente detto. – Credo di aver capito cosa è successo nel Comune di Foli e penso che il Sindaco e il Vicesindaco siano implicati nella faccenda. Devo parlarle. Ma era ovvio che avrebbe capito. Era troppo perspicace per non intendere che quella telefonata con la richiesta di vederla sottintendeva che lei non era estranea ai fatti. Ma Pucci si aspettava qualcosa di diverso da quella resa incondizionata e gli mancò il fiato per ribattere. - L’idea non è stata mia. – disse lei in un sussurro. . Lo giuro- Di Soffiotti? Del Sindaco? Del ragioniere?- chiese Pucci. - Credo di Soffiotti... No, del Sindaco. - Perché l’ha fatto, signora Anna? – sospirò Pucci. - Non so... Mi sembrava così facile, naturale... Quando Pa... Mondanotti me ne parlò mi disse. Se lo fai tuo marito avrà l’appalto per il bocciodromo. Mio marito non va molto bene con il lavoro... Mia figlia ha iniziato a studiare canto... Poi non potevamo prevedere quello che sarebbe successo. Non si voleva uccidere nessuno. Li, in quell’ufficio, non ci entrava mai nessuno. Solo Mondanotti, ogni tanto, per parlare con la gente su appuntamento. -E ultimamente, neanche lui, vero? – concluse per lei Pucci –Perché sapeva benissimo quanto potesse essere pericoloso sedersi a quel tavolo, giusto? – le chiese stancamente. Lei distolse lo sguardo. Scoppiò a piangere. - Ma cosa potevo fare? –si disperò – E’ stato un imprevisto, una disgrazia che non doveva capitare... - tirò fuori un fazzoletto dalla tasca del cardigan beige –E’ stato terribile... - singhiozzò portandosi il fazzoletto al naso. Le mani le tremavano visibilmente. Pucci fece forza su sé stesso per dominare l’impulso d’abbracciarla per consolarla. Sospirò gravemente.

- Com’era esattamente il piano? – insisté. - Ma che ne so, io... - singhiozzò la donna. Si soffiò il naso. Parve calmarsi un poco e stringendo il fazzoletto, guardando innanzi a sé, la piazza deserta, proseguì: -E’ una cosa di voti... Ci saranno le elezioni e quelli che non vogliono il campo di zingari e quelli che li vogliono... Si dovevano convincere gli indecisi che sono sempre la maggioranza... Un bel giorno Mondanotti mi dice che Soffiotti ha rubato delle cose dal rigattiere... Lo fa spesso, in molti negozi... Pare che sia un cleptomane.- la signora volse lo sguardo verso di lui nella penombra e Pucci distolse il suo prontamente. - Quando il lampadario fosse caduto e si fosse scoperto che era stato manomesso si sarebbe creato un bel clima di prima linea, come mi ha detto Mondanotti. - Quindi la pratica d’allacciamento idrico l’avete fatta sparire voi, no? - Si. Serviva per avere una scusa... - Per attirare i carabinieri in vista della prossima caduta del lampadario, no? - Già. – lei si soffiò il naso. - Lo sa signora Maciurlatti che avete ucciso un uomo per delle stronzate? Lei si rimise a frignare. - Per fare del Sindaco il martire delle minoranze etniche avete commesso un omicidio. - Non è vero – gridò la donna – Lui non doveva sedersi li... E’ stato perché quel cretino di Paolo è arrivato in ritardo... - Lei intende dire il Sindaco, non è vero? Vedo che siete molto amici lei e il Sindaco... - Lo so che ha saputo che lui è stato il mio amante... L’ho fatto per l’appalto e anche se non è servito a niente l’avrei rifatto... - Ma suo marito non può partecipare alla gara d’appalto perché lei lavora in quel comune, lo sa, signora?

- La ditta è iscritta come società tra un suo cugino fidatissimo e un amico... L’avevamo fatto per ottenere un credito dalla banca... - Così Mondanotti richiede una riunione in fretta e furia e si dimentica di dire al segretario che preferisce che ne so, farla in sala di consiglio piuttosto che nel suo ufficio com’erano soliti fare. Poi arriva in ritardo, magari perché si è trattenuto proprio con lei... e zac! Il lampadario finisce in testa al povero Belloni. E tutto nasce casualmente da un atto di impulso del Soffiotti? Non ci credo... La bacchetta è stata smontata da un vecchio lampadario e il Soffiotti è penetrato nel negozio sapendo che il Pedercini si era dovuto assentare per andare in ospedale... No. Voi avevate studiato ben bene il piano e l’idea non è nata dalla bacchetta rubata dal Soffiotti... La bacchetta è stata rubata apposta. La cleptomania qui non c’entra un bel nulla... - Così mi ha detto il Sindaco. Io non ne so nulla... Io dovevo sostituire la bacchetta. - Come ha fatto? - Ho aspettato che quelli della Brillalux venissero a collaudarlo come ogni anno. Quelli vengono sempre sul tardi e la tirano per le lunghe. Lo fanno apposta per andare a mangiare a gratis alla nostra mensa giù al refettorio della scuola materna... Ines è una cuoca molto brava. Così l’ho sostituita proprio in quel momento, perché sapevo che non sarebbero tornati prima di un’ora. Avevo tutto il tempo che volevo. Poi loro l’avrebbero issata... - E il gioco era fatto. L’avete persino buttata nell’ape dei cantonieri per simulare chissà quale intervento esterno... Per confondere le acque... - Una cosa ancora. – disse Pucci premendo la chiusura centralizzata dell’auto. – Come sapevate che sarebbe andato giù proprio nel periodo che vi serviva... - L’importante era che fosse poco prima delle elezioni... E poi io andavo a controllarlo, ogni tanto... Avevo paura che... Me lo sentivo che sarebbe successo qualcosa di brutto... - si rimise a singhiozzare.

MERCOLEDI’ 23 GIUGNO ORE 20,00

Giacomo Pucci sedeva davanti alla televisione. La moglie era in cucina a spignattare. Da quando aveva saputo che “quella là” , come la chiamava lei, era un’assassina pareva quasi allegra. Che avesse dubitato qualcosa? Comunque Pucci amava trastullarsi con l’idea che Franca fosse stata gelosa. In qualche modo quella stessa contentezza lo rassicurava e gli ammorbidiva il senso di colpa per essere stato “tentato” dalla Maciurlatti. L’essere contento di quell’antipatia di Franca lo rendeva sicuro del sentimento immutato che nutriva per sua moglie. C’era anche un altro motivo di soddisfazione non indifferente. Tutti credevano che Pucci si fosse accorto da tempo che la signora Anna poteva c’entrare qualcosa in quella brutta faccenda. Tutti pensavano che lui l’avesse sempre tenuta d’occhio attendendo che si tradisse. Tutti meno Franca? Questo non l’avrebbe mai saputo. Era meglio non sfidare ulteriormente il destino, si era detto. Il paese di Foli dopo i primi momenti di comprensibile sbigottimento, ora lo adorava all’unanimità e così pure i suoi colleghi. Quella punta di rimorso che stentava ad andarsene era il giusto prezzo da pagare. Pucci sentiva il piacevole sfrigolio delle patate nella padella che si univa in coro con la voce di sua moglie che intonava una canzone dei bei tempi andati, i tempi in cui lei era bionda e lui stesso teneva tutti, ma proprio tutti, i capelli sulla testa. In quel momento squillò il telefono. Franca gridò che rispondesse lui che aveva da fare con le patate. E il brigadiere si alzò dal divano per eseguire. - Pronto, è il brigadiere Pucci? - Si, certo... - Sono Eusebio Mondanotti. Le devo parlare. Pucci fece fatica a collegare quel nome al vecchio zio del Sindaco indagato. Poi ricordò la sua visita all’ospizio, il normografo e tutto il resto. - Mi dica, che c’è? – chiese grattandosi la pancia così tanto per grattare. - Voglio confessare.- esordì quello con un tono da funerale. - Confessare che cosa? – trasecolò il Pucci. - Sono stato io a mandare le sessantuno lettere anonime ai Bonaudo... Pucci fece meno fatica a rammentare madre e figlio Bonaudo che per poco non

avevano mandato il suo collega al creatore. - Volevo aiutare mio nipote... - continuò il vecchietto – La prego di ascoltarmi, sto dicendo la verità. Sento del rimorso per quei poveretti che sono stati persino ricoverati nel centro di igiene mentale. - Ma stia tranquillo, a quest’ora sono già usciti... E poi guardi che quelli sono veramente pericolosi. Hanno aggredito due pubblici ufficiali, due carabinieri e persino un medico curante. - Ma sarà sicuramente a causa delle mie sessantuno lettere... - Non credo proprio signor Mondanotti. Ad ogni modo i manicomi non esistono più ed i signori se non accoppano qualcuno non saranno mai internati. - Ma resta il fatto che io ho commesso un reato. Non vuol sapere come ho fatto Brigadiere? - Fatto cosa? - Le lettere anonime... Pucci alzò gli occhi al cielo. Si configurava forse per il Sindaco un ulteriore reato: la circonvenzione di incapace. Forse si sarebbe dovuto approfondire la questione. Ma perché infierire su di un povero vecchio? Lui aveva già i suoi arresti domiciliari senza revoca e senza appello... - Lasci perdere Mondanotti... Oltretutto potrebbe danneggiare suo nipote... Creda a me, non è un reato così grave- mentì disinvoltamente il brigadiere – e oltretutto alla sua età non la metterebbero neppure in prigione. Espii con il pentimento e se crede si confessi con don Settimio. - Lei è un uomo veramente buono brigadiere. Nella mia famiglia tutti la odiano perché non capiscono che chi ha sbagliato deve pagare. Loro sono convinti che mio nipote sia innocente solamente perché non voleva uccidere nessuno. -Lasciamo perdere signor Mondanotti... Anzi, guardi, se va in chiesa, dica una preghiera anche per me... - Lo farò senz’altro, brigadiere. Grazie, grazie ancora... E mi saluti la sua

signora... Si, pensò il Pucci mentre riagganciava l’apparecchio, una preghiera era d’uopo in questo caso, perché un carabiniere non avrebbe dovuto lasciar correre, sorvolare su un simile reato. - Tanto tra poco andrò in pensione!- borbottò tra sé e sé. - Cosa hai detto Giacomo? – chiese la Franca che l’aveva da poco raggiunto in salotto. Aveva i capelli tutti scomposti, un mestolo in mano, il grembiule bisunto e il volto atteggiato ad un immenso punto interrogativo. Le sorrise, finalmente sollevato. In quel preciso istante aveva capito che l’amava ancora come il primo giorno.

NOTE DI TRADUZIONE DAL PIEMONTESE

1)-In piemontese “Roba da chiodi”; 2)-Avaro; 3)-Antico tipo di bicicletta; 4)-In piemontese (dialetto canavesano): “Vi manda il Sindaco? Siete fortunati che non ho il fucile!”

LIBRI DI ANNARITA CORIASCO

“UN CASO COMUNE – Delitti di provincia 1” (giallo) “OMICIDI TRA LE RIGHE – Delitti di provincia 2” (giallo) “LO SPECCHIO, LA SPADA, IL FUOCO E LE CATENE” (fantasy) “MOVIE PLANET” (giallo fantascientifico) “PROFILO D’AUTORE” (umoristico) “DISARMONY – Racconti rosa ‘sciocching’” (umoristico) “SUL SERIO MA NON TROPPO” (umoristico) “SABBIE MOBILI” (poesia) “VOCI FUORI CAMPO” (poesia) “ODI BUROCRATICHE” (umoristico) “UNICO INDIZIO: UN FILO D’ORO – Le indagini di Lady Costantine (Torino 1806)” (giallo) “IL SUONO SEGRETO DELL’ARPA – Delitti di provincia 3” (giallo)

LIBRI DI DANILO CORIASCO “POESIE E PENSIERI POSTUMI DI UN CARRELLISTA FIAT” (poesia)

© 2011 Annarita Coriasco

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