Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: The Billionaire in Penthouse B Silhouette Desire © 2008 Harlequin Books S.A. Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-158-9
Prologo
Cinque mesi prima
Lui aveva il volto magro e inflessibile di un combattente, e il bisogno di dominare era impresso sui suoi lineamenti bruni. Ma era un assassino? Jacinda Endicott recepì ogni particolare. I folti capelli castani, gli intensi occhi marroni e la mascella volitiva. Indossava uno smoking che poneva in risalto le spalle larghe, e in mano teneva una coppa di champagne. Un elegante Cary Grant o George Clooney. Tuttavia, non sorrideva, anzi era piuttosto imbronciato. Il suo sguardo era puntato sulla macchina fotografica, e tra lui e i suoi compagni c’era un leggero ma innegabile divario. Con la sua impressionante statura sovrastava facilmente la coppia alla sua destra e i due uomini alla sua sinistra. Jacinda fissò la foto sullo schermo del computer. Gage Lattimer era tipo da far battere il cuore a qualsiasi donna, pensò, avvertendo uno sgradito sussulto nel proprio e accigliandosi. Il capitalista milionario e amministratore delegato della Blue Magus Investments teneva un basso profilo pubblico, ma emanava un’aura quasi palpabile di potere e sicurezza di sé. Immaginava che fosse proprio il tipo di uomo del quale sua sorella minore, Marie, poteva aver subito l’attrazione... prima che la loro storia assumesse una piega letale.
Le si strinse il cuore. Le era difficile convincersi che Marie se ne fosse andata. Ormai da due settimane. Continuava ad aspettare che l’incubo si dissolvesse, invece, ogni mattina, prima ancora di aprire gli occhi, un senso di terrore si impadroniva del suo stomaco. Si chiedeva se la situazione si sarebbe mai normalizzata. Stando alla polizia, Marie si era gettata dal tetto del lussuoso edificio di Park Avenue in cui abitava. Un suicidio, avevano decretato i poliziotti. Ma Jacinda si rifiutava di credere che la sua vivace e bella sorella si fosse tolta la vita. Non avevano trovato un biglietto... e non ce n’era sempre uno nei casi di suicidio? Inoltre, l’autopsia non aveva rivelato tracce di droghe nell’organismo di sua sorella. Jacinda scosse la testa. Non aveva senso. Sua sorella si era trasferita da Londra a New York subito dopo essersi laureata all’università di St. Andrews, spinta da un senso di avventura. Marie aveva messo un oceano tra se stessa e la famiglia, allettata da una vita brillante e piena di imprevisti. A New York, sua sorella aveva trovato lavoro presso un’agenzia immobiliare, ma se n’era andata ben presto per iniziare un’attività in proprio. Il duro lavoro e una personalità scintillante le avevano procurato un considerevole numero di clienti facoltosi. E adesso Marie era morta. Stroncata nel fiore della giovinezza, a venticinque anni. Perché, qualunque cosa dicesse la polizia, in cuor suo Jacinda era sicura che la sorella non si fosse gettata da quel tetto. Era stata spinta. Ma la domanda era, da chi? E perché?
Jacinda si era imbattuta nel primo indizio per caso, quando si era recata a New York con i genitori e il fratello, subito dopo aver ricevuto la telefonata con la quale il detective Arnold McGray dava loro la sconvolgente notizia della morte di Marie. All’ufficio della sorella, aveva incontrato una ragazza che aveva lavorato alle dipendenze di Marie, e dalla quale aveva saputo che sua sorella le aveva accennato di avere una relazione con un tipo solitario, potente e straricco. Si era rifiutata di dirle come si chiamava, anche se l’aveva descritto come un uomo alto e bruno, con insondabili occhi neri e un’adorabile fossetta. Jacinda si era aggrappata a quella scarna informazione. Si era sentita anche offesa che Marie non si fosse confidata con lei. Ma poi aveva concluso che la sorella doveva averle tenuta nascosta la relazione perché sapeva che lei, per un qualche motivo, l’avrebbe disapprovata. E l’avrebbe sicuramente disapprovata se avesse sospettato che il suo ragazzo aveva pericolose tendenze omicide. Marie era stata uno spirito libero, a volta anche troppo impulsiva. Al liceo, aveva avuto un ragazzo che portava un anello al naso, e un altro che era uno svitato con una pettinatura a cresta di gallo. Ciononostante, a Jacinda non risultava che la sorella fosse mai stata così scriteriata nelle sue scelte sentimentali. Naturalmente, aveva riferito l’informazione alla polizia, ma loro le avevano risposto che avevano bisogno di molti più particolari per compiere il salto da un possibile amante a un aspirante omicida. Così, aveva ato al settaccio le cose di Marie, e ne era uscita a mani vuote. Non c’erano strane e-mail, né telefonate a un numero interessante. Niente di niente. O la relazione era un’invenzione oppure era stata molto clandestina, con un amante abbastanza scaltro da rimanere anonimo. Disperata, aveva continuato a scavare, ed era stato allora che, all’ufficio di sua sorella, le era capitata tra le mani la pratica della Blue Magus Investments.
Sua sorella era stata incaricata di trovare una nuova sede per i loro uffici. Scorrendo la pratica, l’occhio le era caduto su un nome, Gage Lattimer, e sull’annotazione a margine nella calligrafia della sorella: milionario, con ottime conoscenze e misantropo. Ricco. Potente. Solitario. Tornata in albergo, si era collegata con Google e aveva raccolto le poche informazioni esistenti sul conto di Gage Lattimer. Jacinda guardò di nuovo lo schermo del computer. Fisicamente, Gage Lattimer corrispondeva alla descrizione di sua sorella. E anche se non sorrideva nella foto che aveva davanti, le parve di poter distinguere un accenno di fossetta. Aveva trentacinque anni e, essendo divorziato, rappresentava un buon partito. Tramite un servizio on line per rintracciare le persone, aveva scoperto che Gage abitava in un attico al 721 di Park Avenue. L’ultimo indirizzo di sua sorella. Bingo, aveva pensato. Era una coincidenza ben strana. Almeno per lei. La polizia, tuttavia, la pensava diversamente. Sapeva che doveva scovare prove più concrete per risvegliare il loro interesse. Le avrebbero dato della pazza se avesse accusato di omicidio un uomo ricco e potente, e amante del quieto vivere. Jacinda voltò le spalle al computer e guardò fuori della finestra. Ma invece di vedere i tetti di Canard Wharf, il nuovo distretto finanziario di Londra, vide riflessa la propria immagine. Un viso di una bellezza classica. Occhi verdi – occhi da gatta, li definiva sua madre – con lunghe ciglia scure, un naso aquilino e una bocca con un labbro inferiore carnoso. I lunghi capelli castani e mossi erano in parte raccolti con un fermaglio tempestato di piccoli strass. Marie aveva avuto lineamenti simili, ma era di qualche centimetro più bassa del
suo metro e settantacinque. Se la polizia non era interessata a scoprire l’assassino di Marie, allora si sarebbe occupata lei di dissotterrare la verità. Lo doveva alla sorella. Marie non avrebbe mai avuto la possibilità di viaggiare per il mondo. Non avrebbe mai fatto la damigella alle nozze di Jacinda, né avrebbe mai conosciuto eventuali nipotini. Non si sarebbe mai sposata e non avrebbe mai avuto figli. Jacinda pensò che la morte della sorella la spingeva di colpo a volere tutto subito: un marito, dei bambini, una vita piena. Che cosa stava aspettando? Chi poteva sapere quanto tempo le era concesso ancora su questa terra? Il primo o da compiere era quello di chiedere un periodo di aspettativa alla ditta dove lavorava come dirigente della pubblicità, la prestigiosa Winter & Baker. Ma negli ultimi tempi, con il piano che prendeva sempre più forma nella sua mente, capiva di non avere scelta. Doveva trovare l’assassino di Marie a tutti i costi, altrimenti non sarebbe riuscita ad andare avanti con la propria vita. A differenza di lei, i suoi genitori e Andrew, suo fratello, avevano accettato, anche se con riluttanza, la conclusione della polizia, e cioè che Marie si era suicidata. Jacinda, invece, non era riuscita a placare un senso di inquietudine. Lei e la sorella erano state sempre molto legate e, più di chiunque altro, conosceva i sogni e i segreti di Marie. Era escluso che sua sorella si fosse tolta la vita. Jacinda tornò a voltarsi verso il computer. Gage Lattimer. Era forse lui la chiave per risolvere il delitto? Per non correre il rischio di ripensarci, sollevò la cornetta e compose il numero della reception dell’esclusivo edificio dove Marie aveva abitato. «721 Park Avenue» rispose una voce maschile. Il suo marcato accento newyorchese ricordò a Jacinda che doveva mascherare il proprio accento inglese se voleva che il suo piano avesse successo.
«Salve. Chiamo per conto di Gage Lattimer, uno dei vostri residenti.» «Sì?» Il tono dell’uomo era guardingo, al limite del sospettoso. Jacinda immaginò che fosse il portiere. Marie si era trasferita al 721 di Park Avenue soltanto l’anno prima, e Jacinda vi era stata un’unica volta, quando era volata a New York con i genitori e il fratello dopo la sua morte. All’epoca, aveva visitato l’appartamento della sorella da sola e sotto mentite spoglie, perché il suo piano aveva già iniziato a prendere forma e lei non voleva comprometterlo. Aveva detto ai genitori e al fratello che per lei era troppo doloroso recarsi nell’appartamento di Marie con loro. «Il signor Lattimer tornerà presto a New York e vorrebbe contattare la sua governante perché gli faccia trovare pronto l’attico» disse, in tono noncurante. «Sarà accompagnato da alcuni ospiti.» «E lei sarebbe?» Jacinda incrociò le dita. «La sua assistente personale.» «E lei non ha il numero di Theresa?» «No. Sono stata assunta da poco.» L’uomo rimase in silenzio per alcuni secondi, poi borbottò: «Un minuto». Jacinda trattene il fiato fino a quando l’uomo tornò all’altro capo della linea e le diede il numero di telefono di Theresa. Lei lo ringraziò e riagganciò. Per timore che, rimandando, si sarebbe persa d’animo, compose subito il numero e incrociò di nuovo le dita. Aveva finito di fingere di essere l’assistente personale di Gage Lattimer. Ma, con un po’ di fortuna, avrebbe presto recitato la parte della sua governante: Jane Elliott, americana nuova di zecca ed esperta di lavori domestici.
Due mesi prima
Lasciando cadere il cappotto e la cartella su una sedia nell’atrio, Gage entrò nel vasto locale che comprendeva la zona soggiorno del suo moderno attico su due piani. Non aveva fatto più di due i quando si arrestò di colpo, bloccato dalla veduta affascinante che si presentò ai suoi occhi. Un fondoschiena impertinente, fasciato in un paio di jeans, si muoveva avanti e indietro, e un paio di lunghe gambe terminavano in sandali neri dai tacchi a zeppa. Le viscere gli si contrassero. Gli ò per la mente che, mentre i sandali erano una concessione al caldo luglio newyorchese, i tacchi a zeppa potevano essere considerati una concessione alla praticità. Non c’era assolutamente niente altro di pratico in lei, per quanto era riuscito ad accertare. Era piegata in due e sembrava che stesse tastando – o spolverando? – la parte sotto di un tavolino accanto al camino. Non riuscì a trattenere un sorriso mentre si schiariva la gola. «Trovato qualcosa di interessante là sotto?» Lei si raddrizzò e si girò di scatto, rischiando di buttare a terra una lampada di vetro. Gage la osservò mentre si metteva una mano sul cuore e deglutiva, sbarrando gli occhi. Fantastico, pensò Gage. Quanto meno veniva ripagata con la sua stessa moneta. Era da mesi che lui era vittima di quella sensazione che mandava in fibrillazione il battito cardiaco. «Non sapevo che ci fosse qualcun altro nell’appartamento!» esclamò lei.
«Sono appena tornato a casa.» Rimasero a fissarsi, e Gage poté quasi avvertire nell’aria il ronzio della tensione sessuale. Uno schianto, pensò per l’ennesima volta. Aveva i lineamenti simmetrici e regolari di una modella, insieme con grandi occhi verdi e una criniera di lunghi capelli color castano che lo indussero a chiedersi che effetto avrebbero fatto sparsi sui cuscini del suo letto. Era di statura più alta della media, ma la sua figura, pur essendo snella e slanciata, era corredata di curve in tutti i punti giusti. Gli si contrassero di nuovo le viscere mentre si chiedeva come mai si guadagnasse da vivere facendo le pulizie. Anche le aspiranti starlet preferivano servire ai tavoli piuttosto che manovrare un aspirapolvere. Forse il motivo era la mancanza di conoscenze, oltre a una buona dose di ingenuità che le aveva impedito di sfruttare le sue ovvie doti. Era come una piccola pesca matura che gli era caduta in grembo. Peccato che quello fosse un albero dal quale non coglieva più. Ecco come un divorzio dai risvolti amari riduceva un uomo. Qualche mese prima, quando la sua governante, Theresa, gli aveva dato due settimane di preavviso, dovendo recarsi a curare la sorella malata, gli aveva raccomandato Jane Elliott. Piuttosto che perdere tempo a intervistare candidate, lui aveva accettato il suggerimento. «Di solito, tu non torni a casa così presto» disse Jane, rompendo il silenzio che era calato come una pesante cappa. Gage fece un breve cenno con il capo. «Ieri sera sono tornato da Los Angeles con l’ultimo volo notturno e sono andato direttamente in ufficio.» Fece una smorfia. «Sono in arretrato di sonno.» Benché la sua professione richiedesse un notevole impegno, qualche volta riusciva a tornare a casa – più spesso di quanto fosse saggio, a dire il vero – in tempo per trovare Jane ancora presa dalle faccende domestiche in uno dei tre
giorni che veniva lì. «La parte sotto di quel tavolino ha bisogno di essere spolverata?» chiese in tono inespressivo. «Ah...» La verità era che lei non poteva essere definita un’ottima governante. Tuttavia, benché in apparenza non fosse in grado di distinguere il detersivo per i vetri dall’anticalcare, Jane Elliott era un’esperta intenditrice di cibi e conosceva l’arte di intrattenere. Durante un cocktail party che lui aveva offerto due mesi prima per i suoi soci d’affari, aveva notato che sapeva quale coltello abbinare a un dato formaggio e che possedeva una buona conoscenza di vini d’importazione. Aveva posto domande pertinenti agli addetti al catering e aveva dato loro utili suggerimenti per la serata. A Gage era piaciuto ascoltare il timbro musicale della sua voce, lasciarselo scorrere dentro come un buon bourbon invecchiato, pur pensando che in quella donna c’era qualcosa che gli sfuggiva. Il suo non era l’accento di una newyorchese. Come quello di un’annunciatrice televisiva, era di origine indecifrabile. Quella donna era un puzzle e, suo malgrado, lui voleva metterne insieme i pezzi. In realtà, voleva infilarsi a letto con lei. Serrò le labbra. Si era scottato una volta, ricordò a se stesso, e, come un veterano segnato dalle cicatrici di una guerra chiamata divorzio, non avrebbe fatto niente di così stupido come lasciarsi incantare da un volto grazioso. Non che fosse semplicemente grazioso, fu costretto ad ammettere. Era decisamente bello. Perfino spettacolare. Abbastanza da far are in secondo piano le sue mancanze come governante, quando per esempio si dimenticava di spolverare i trofei di baseball conquistati al college. «Come hai detto che vi siete conosciute tu e Theresa?» le domandò di punto in bianco.
«Theresa e mia madre erano compagne di scuola al liceo.» «Giusto. Adesso ricordo che me ne avevi parlato.» Gage non poté fare a meno di fissarla. Era così seducente nella sua tipica tenuta da lavoro, T-shirt e blue-jeans. Quel giorno, il disegno verde della T-shirt faceva risaltare il colore degli occhi, oltre a fasciare il seno, pieno e alto, che attirava la sua attenzione. La osservò mentre si umettava le labbra e deglutiva. «Ho... ho finito qui.» Lei si voltò a prendere dal divano un piumino per la polvere. «Anche il resto dell’appartamento è quasi tutto pulito. Ancora qualche minuto e sarò fuori di qui.» Quando gli ò accanto, con l’aria di aver fretta, la seguì con lo sguardo mentre scompariva oltre l’arco del soggiorno. Dannazione. Era un masochista. Altrimenti, perché torturarsi in quel modo? Ma chi altri sarebbe stato disposto a tenere alle dipendenze una cameriera mediocre con un corpo alla Giselle Bundchen? Certamente non le arcigne matrone dell’alta società che si aggiravano per Park Avenue. E se Jane avesse avuto bisogno di denaro? Ciononostante, provava un’inquietante attrazione per la sua cameriera. Avrebbe dovuto fornirle buone referenze e licenziarla con qualche settimana di indennità. Prima che gli entrasse definitivamente nell’organismo. In quel momento, udendo lo squillo del suo cellulare, lo estrasse dalla tasca dei pantaloni. Dopo aver controllato chi era a chiamarlo, aprì l’apparecchio e rispose. «Reed, è un piacere sentirti.» «Non sarai così felice quando saprai perché ti chiamo» replicò Reed. Reed Wellington e sua moglie, Elizabeth, occupavano l’altro attico dell’edificio. Il milionario aveva investito in un paio di operazioni organizzate da Gage.
«Che cosa c’è?» chiese Gage, con una voce che suonò stanca alle sue stesse orecchie. «Deduco che tu oggi non abbia controllato la tua posta.» «Sono appena arrivato a casa.» Gage girò lo sguardo sulla stanza. Di solito, era Jane a ritirare la posta e a metterla sulla scrivania nel suo studio. «Siamo indagati dalla SEC.» «Cosa?» «Mi hai sentito.» «Per quale motivo?» Gage contrasse la mascella, di colpo completamente sveglio. «L’acquisto delle azioni della Ellias Technologies.» Gage ricordava il pacchetto azionario che aveva consigliato a Reed alcuni mesi prima. Aveva avuto un’intuizione a proposito della Ellias – una società di mezzi di comunicazione high-tech – quando ne aveva letto su una rivista specializzata. Ne aveva parlato con il suo agente di cambio, che gli aveva fornito alcune statistiche e gli aveva confermato che era un’operazione sicura. La sua fiducia si era rivelata ben riposta. Poche settimane dopo che lui e Reed avevano acquistato una corposa quantità di azioni, la Ellias aveva ottenuto una remunerativa commessa dal Ministero della Difesa per la fornitura di sistemi radio. Tranne che adesso la SEC, la commissione di controllo su azioni e obbligazioni, aveva avvertito puzza di bruciato. «Ci chiedono di fornire di nostra spontanea volontà i documenti relativi all’acquisto delle azioni» proseguì Reed. «Sono sicuro che hanno contattato il tuo broker.» «La SEC sospetta che possiamo aver commesso una frode?» chiese Gage, incredulo.
«Credo che abbiano in mente un caso di insider trading, amico mio.» «Tu e io ci conosciamo da diversi anni, Reed. Non penserai che ti abbia consigliato quelle azioni sulla base di informazioni che ho ricevuto sottobanco?» «Credo a quello che mi hai detto.» Gage sentì allentarsi la tensione che gli aveva contratto i muscoli delle spalle. «Dannazione. Quanto abbiamo ricavato da quelle azioni? Più o meno centomila? È una goccia nel mare per gente nella nostra posizione, e di sicuro non vale la seccatura di un’indagine della SEC!» «Lo so, lo so» concordò Reed, «ma vallo a dire ai federali.» «Dannazione.» Reed manifestò il proprio tacito consenso con una risata sarcastica. «Comunque, perché sospettano che abbia agito sulla base di informazioni riservate?» chiese Gage. «Ottima domanda» replicò Reed, con un’altra risatina. «C’è una coincidenza che ha dell’incredibile.» «Sputa.» «Indovina chi ho scoperto che fa parte della commissione del Senato che ha autorizzato il contratto con la Ellias?» Il cervello di Gage entrò in azione. Conosceva diversi funzionari pubblici. Il denaro parlava e, con il suo genere di ricchezza, erano molti i politici disposti a dimostrarsi compiacenti. «Kendrick» disse Reed, senza aspettare una risposta. Gage imprecò. «Già» gli diede ragione l’amico. Il senatore Michael Kendrick e sua moglie, Charmaine, avevano abitato nell’edificio fino a poco tempo prima. Gage ricordava che, al pari di tanti altri
residenti, aveva contribuito alla campagna di Kendrick per la sua rielezione. E adesso la SEC sospettava che Kendrick avesse fornito informazioni su un contratto governativo a lui e a Reed prima che fossero di dominio pubblico. «È peggio di quanto tu pensi» proseguì Reed. «Intanto c’è il fatto che Kendrick abitava nello stesso edificio. E poi l’ho contattato recentemente a proposito di una nuova società che opera in Internet e si occupa di ambiente.» «Dannazione» disse Gage. I colloqui di Reed con Kendrick non avrebbero potuto aver luogo in un momento peggiore. «Mi insospettisce il tempismo dell’indagine SEC.» «Come mai?» «Ricordi la lettera ricattatoria che ho ricevuto?» Gage afferrò al volo il collegamento. «Credi che ci sia un nesso tra le due cose?» «Già.» Reed aveva ricevuto una lettera nella quale gli si chiedeva di versare una grossa somma su un conto non rintracciabile alle isole Cayman, altrimenti il mondo avrebbe scoperto con quali sporchi metodi i Wellington avevano fatto i soldi. Naturalmente, da astuto uomo d’affari, Reed si era rifiutato di pagare. Non era tipo da sopportare prepotenze e ingiunzioni. Gage sarebbe stato felice di spiegarlo faccia a faccia al bastardo autore del ricatto. Era assurdo, più che assurdo. Reed non aveva niente da nascondere, ed era il motivo per cui, all’inizio, loro due avevano classificato la lettera ricattatoria come l’opera di uno fuori di testa. Quando si è immensamente ricchi ci si abitua alla gente che tenta di estorcere denaro. La sua ex moglie ne era un chiaro esempio, pensò Gage con una smorfia.
Era il motivo per cui lui teneva un esercito di avvocati sul suo libro paga. Fesserie. Avvertì gli effetti della stanchezza e della mancanza di sonno che confluivano in un’emicrania. «Gage, ci sei ancora?» La voce di Reed lo strappò alle sue frenetiche riflessioni. «Già, ci sono ancora. Devo chiamare il mio broker e i miei avvocati. Comunque, le indagini dimostreranno alla SEC che i loro sospetti sono privi di fondamento.» Aveva appena chiuso la conversazione con Reed quando l’attenzione di Gage fu attratta da un rumore proveniente dall’atrio, oltre l’arco del soggiorno. Si accigliò e un attimo dopo Jane fece capolino, allungando il collo oltre il bordo dell’arco. «Spiacente» disse, con aria colpevole. «Stavo spolverando un vaso e, accidentalmente, è caduto e si è rotto.» Gage si chiese se avesse origliato, ma liquidò subito quel sospetto. Che motivo poteva avere di interessarsi ai suoi affari finanziari? Se avesse avuto tendenze criminali, era probabile che avrebbe optato per rubare qualche oggetto di valore. Ma l’improvvisa ricomparsa di Jane spedì i suoi pensieri in una nuova direzione. Prima di poter riflettere sulla saggezza di quell’idea, si udì dire: «Dobbiamo discutere del tuo programma di pulizie». Un’espressione allarmata si dipinse sul volto di Jane, che avanzò di un o, abbandonando la protezione dell’arco. «Sì? C’è qualcosa che non va?» Niente a parte un caso di libidine sfuggito al controllo. Niente che non fosse possibile curare con un po’ di sano sesso. «Vorrei offrirti un posto comprensivo di vitto e alloggio.» Lei sbarrò gli occhi prima di riprendersi. «Ehm...»
«Questo appartamento è provvisto di un alloggio per la cameriera, anche se è stato usato di rado. Theresa dormiva qui di tanto in tanto, quando era necessario ripulire dopo un party.» «Oh.» «Ma, a dicembre, ricevo più del solito.» Gage fece una smorfia. «Anche durante le feste.» In realtà, si trattava soprattutto di ricevimenti utili a stabilire contatti vantaggiosi per gli affari. Jane deglutì. «Quindi, si tratta di una soluzione a termine?» Gage la squadrò. Dipende da quanto tempo impiegherò per superare questo folle attacco di libidine. «Perché non stiamo a vedere come vanno le cose?» le suggerì. «Durante il cocktail party di qualche settimana fa ho notato che ti sei destreggiata bene in cucina, e devo ammettere che anche il migliore dei catering finisce per venire a noia dopo un po’.» Jane socchiuse le labbra. «Vuoi che cucini per te?» Lui inarcò un sopracciglio. «È un problema? Hai risvegliato la mia curiosità sulle tue doti culinarie.» «No. Non è un problema.» «È un impegno occasionale. Spesso ceno fuori con clienti e soci d’affari.» Jane aggrottò la fronte. «Ho un mio monolocale...» «Non occorre che vi rinunci» la interruppe lui. «Avrai dei giorni liberi, anche se preferirei che non li prendessi durante il fine settimana. Che cosa ne dici di martedì e mercoledì?» A giudicare dalla sua espressione, Jane esitava, come se stesse cercando di valutare i pro e i contro della sua offerta.
«Naturalmente, avresti diritto a essere pagata per gli straordinari» disse Gage, per mettere alla prova la sua teoria secondo la quale era possibile che lei avesse bisogno di denaro. «Un aumento sostanzioso.» «La tua paga è già generosa.» «Sono disposto ad aumentarla per avere il meglio» replicò lui in tono pacato. Il migliore aiuto domestico. La cuoca migliore. La migliore modella/governante a gironzolare per il suo attico facendolo impazzire. «Be’...» tentennò Jane. «Riflettici.» Lei annuì. «D’accordo.» «D’accordo, ci rifletterai, oppure d’accordo, accetti?» I loro sguardi si incontrarono. «D’accordo, accetto.» «Fantastico.»
1
Dicembre
Non riusciva a credere di essere ancora impegolata in quell’impostura, pensò Jacinda mentre posava sul letto la sua sacca e una scatola piena di decorazioni natalizie. Era l’inizio di dicembre, e lei recitava quella parte ormai da cinque mesi. Cinque mesi lunghi e spossanti, in capo ai quali era ancora lontana dallo scoprire la verità sulla morte sospetta di Marie. L’unico raggio di sole era che suo fratello, Andrew, un paio di mesi prima l’aveva informata che la polizia aveva finito per convenire con il suo punto di vista e adesso anche loro nutrivano dubbi su quello che avevano classificato come suicidio. Tuttavia, lei non era convinta che avrebbero scoperto la verità, perciò si era impegnata per non scordare mai chi fingeva di essere e non abbassare mai la guardia. Era stato difficile continuare a parlare con l’accento americano, ma per fortuna era una brava imitatrice. Una carta d‘identità falsa, procurata grazie a un edicolante, la cui attività extra era quella di contraffare documenti, aveva fatto gran parte del resto. Jacinda lasciò vagare lo sguardo sulla stanza. L’alloggio della cameriera era situato al piano inferiore dell’attico a due livelli, accanto alla cucina. Non era lussuoso, ma era dotato di un letto a due piazze, un cassettone, un tavolino e un bagno. Si era abituata a vivere lì. In occasioni come quella, dopo un giorno di riposo, tornava portando con sé qualche vestito, scelti dal suo guardaroba nel piccolo
monolocale che aveva preso in affitto all’incrocio tra York Avenue e la 82esima strada. In realtà, era discutibile quale dei due fosse più grande: il suo monolocale o l’alloggio della cameriera nei seicento metri quadrati dell’attico di Gage. Il suo sguardo si posò sul vicino cassettone. L’unica cosa che mancava in quella stanza era una buona spolverata da parte di una cameriera... compito che sarebbe spettato a lei. Quando non era impegnata a indagare. Dal momento in cui aveva iniziato a lavorare per Gage Lattimer, in luglio, tutti i suoi sforzi per trovare un collegamento tra lui e la morte della sorella erano falliti. Non aveva scoperto niente ando al setaccio la sua rubrica telefonica, né frugando nei cassetti della sua scrivania o leggendo le sue e-mail. Niente, tranne che, in ottobre, aveva rischiato di farsi sorprendere a curiosare la volta che Gage era tornato a casa prima del solito mentre lei, in uno dei suoi disperati tentativi, stava esplorando la parte sotto del tavolino accanto al camino. Subito dopo, lui aveva ricevuto una telefonata che l’aveva preoccupato ma, per quanto si fosse sforzata, non era riuscita a ricavare niente di significativo dalla conversazione. Invece, malgrado l’aiuto di un aspirapolvere robotizzato, si era conquistata il titolo di peggior governante del mondo. Era difficile giocare a fare la detective dilettante e trovare il tempo per pulire i bagni. Aprì la borsa e iniziò ad appendere i vestiti nell’armadio. Era un miracolo che fosse riuscita a convincere l’ex governante di Gage a licenziarsi. Quando aveva contattato Theresa per telefono, le aveva detto che stava cercando un impiego molto speciale, essendo abituata a lavorare per una clientela ricca ed esigente, motivo per il quale non si era rivolta alle agenzie di collocamento. Per fortuna, la sua amica Penelope le aveva fornito referenze fasulle, garantendo per lei come sua ex datrice di lavoro. La sua amica più cara dai tempi della scuola aveva sposato un nobile ricco e con ottime conoscenze, ed era felice di aiutarla permettendole di sfruttare il suo nome.
Un ulteriore colpo di fortuna era stato che Theresa stava accarezzando l’idea di smettere di lavorare. ata da poco la sessantina, era ormai vicina alla pensione e aveva una sorella malata, della quale voleva prendersi cura. Era da tempo che meditava sul da farsi quando la telefonata di Jacinda le aveva offerto l’occasione giusta. Naturalmente, Jacinda ammetteva con se stessa di aver infiocchettato un po’ la verità. Dopo alcune abili domande, aveva indotto Theresa a credere che lei e sua madre avessero frequentato lo stesso liceo di Long Island. Per Gage, aveva forzato ancor di più la verità rendendo Theresa e l’inesistente Barbara Elliott non soltanto compagne di scuola, ma anche amiche intime. Era andato tutto per il verso giusto. Lavorando per Gage, aveva avuto la possibilità di indagare, ma era anche riuscita a mantenere una certa distanza, recandosi all’attico tre volte alla settimana, per lo più quando lui era in ufficio. Poi, in ottobre, Gage l’aveva sbalordita offrendole un posto fisso di governante, vitto e alloggio compresi. Colta di sorpresa, e ancora imbarazzata per aver rischiato di essere scoperta a curiosare e poi a origliare, aveva accettato l’offerta. In seguito, aveva giustificato la propria decisione con la scusa che così avrebbe avuto più tempo per tenere d’occhio Gage e provvedere al tempo stesso alle pulizie. Ma da allora, aveva ato le notti nel suo letto, sveglia e irrequieta, sapendo che Gage dormiva poco distante, con il lungo corpo muscoloso accarezzato dalle lenzuola color ruggine con cui lei stessa gli aveva rifatto il letto. Aveva tentato di dirsi che i suoi erano sentimenti naturali, causati dalla tensione e dall’ansia di trovarsi da sola sotto lo stesso tetto con un potenziale assassino. La verità, invece, era che i suoi sentimenti nascevano da pura e semplice attrazione. Gage era un tipo affascinante. Uomo di potere, ricco e con un corpo atletico, non poteva non fare colpo su ogni donna, se non fosse stato così chiuso in se stesso. Era il tipico lupo solitario. E invece di scorgere in lui una vena criminale, Jacinda gli leggeva nello sguardo
una diffidenza che parlava di un ato doloroso. Ne era rimasta colpita e avrebbe voluto tendergli una mano, sentendosi a lui vicina. Perché anche lei aveva subito una perdita dolorosa. Marie. Scrollò la testa per schiarirsela. L’intuito le diceva che Gage non poteva essere un assassino, ma non era possibile che l’attrazione fisica la stesse portando fuori strada? Una volta finito di appendere i vestiti, prese la scatola con le decorazioni natalizie e andò in soggiorno, dove l’aspettavano un albero di Natale in vaso e un vasto assortimento di altre decorazioni. Il giorno prima, aveva incaricato il personale del condominio di portarle su dalla cantina di Gage. Il resto, l’aveva comprato lei nei giorni precedenti, con il denaro destinato alle spese di casa. A essere sincera, l’aveva sorpresa che Gage possedesse una simile quantità di addobbi natalizi. Si era immaginata che le considerasse tutte sciocchezze. Sospirando, Jacinda tornò con la mente alle sue riflessioni di poco prima. Aveva tentato di scoprire degli indizi, ma continuava a trovare sulla sua strada quelli sbagliati. In base ai quali aveva compilato un dossier su Gage che avrebbe fatto smaniare ogni aspirante fidanzata. Possedeva tre vetture di lusso – una Mercedes, una Lamborghini e una Porsche – in un garage privato, anche se la maggior parte del tempo si serviva di una limousine con autista. Era proprietario di una villa alle Bermuda, a un paio di ore di volo da New York con il suo jet privato, che teneva parcheggiato a La Guardia, e che poteva pilotare di persona. Oltre alla villa alle Bermuda, c’era la casa nell’elegante quartiere londinese di Knightsbridge, e un cottage a Vail, in Colorado, per i weekend di sci. L’appartamento a Manhattan era in stile moderno, tutto vetri, metallo e spigoli, con soffitti altissimi, superfici in granito ed elettrodomestici in acciaio. Sistemi di allarme e di sicurezza della più moderna tecnologia completavano il quadro.
In pittura, i suoi gusti si orientavano sull’espressionismo astratto, e Jacinda aveva riconosciuto opere di Willem de Kooning e di Jackson Pollock tra quelle che ornavano le pareti. Si vestiva da Davies & Son e da Benson & Clegg, rinomate sartorie londinesi. Possedeva cinque orologi Rolex, conservati in una bacheca di legno e vetro. La marca di dentifricio che preferiva era Kiehl, e preferiva radersi con un vecchio rasoio a mano. E l’elenco non era ancora finito. Jacinda aveva tutti i particolari, tranne che non erano quelli che stava cercando. Chi aveva ucciso sua sorella? A essere sincera, non aveva nemmeno trovato la prova che Gage fosse interessato a corteggiare le donne. D’altra parte, a un cocktail party che lui aveva dato un paio di settimane prima, aveva sorpreso un paio di donne riservargli occhiate perplesse. Una volta o due l’aveva sorpreso a guardare lei con uno sguardo carico di sensualità. Rabbrividì a quel ricordo, quindi tornò a concentrarsi sugli addobbi natalizi. Cominciò a scartarne uno di vetro. Gage le aveva chiesto di comprarne alcuni perché gli piaceva variare la decorazione del ricevimento che offriva ogni anno a dicembre ad amici e soci d’affari. Jacinda sperava di poter trascorrere le feste a Londra, con la sua famiglia. Soprattutto quell’anno. Il primo senza Marie. Ma si era imposta un compito, e se Gage non era l’assassino, allora chi era? E chi l’avrebbe aiutata a trovarlo?
Fu la musica ad avvilupparlo per prima. Le note melodiose di Nat King Cole che cantava The Christmas Song. Seguì l’aroma di pane che stava cuocendo nel forno, e che gli stuzzicò le papille gustative. Gage si chiuse la porta alle spalle ed entrò nell’attico, con la fronte aggrottata. Si arrestò sotto l’arco che dava nel soggiorno, bloccandosi alla vista di un enorme albero di Natale che stava di sentinella accanto al camino. Il suo albero, tranne che questo era già in parte decorato con addobbi in rosa e oro. Il rosa non era uno dei suoi colori. Fu in quel momento che si accorse che lei stava canticchiando. Guardò verso la zona della cucina e scorse Jane al di là del banco dal ripiano di granito. Gli dava la schiena ed era china davanti al forno, ignara della sua presenza. Suo malgrado, paragonò quella scena dal sapore familiare con le festività del ato. Il ritorno a casa dal collegio del New England... i suoi genitori, benevoli ma distanti e fin troppo perfetti... la casa di Greenwich, nel Connecticut, decorata all’inverosimile ma priva di calore autentico. A differenza della scena che aveva di fronte. Dannazione. Posò la cartella su una consolle di vetro e metallo cromato e si tolse il cappotto. «Sono a casa» gridò. Si sentì ridicolo nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole. Quella non era la scena di armonia domestica di una sit-com televisiva. Si sarebbe trovato più a suo agio in un episodio di Sex and the City. Gli ò
per la mente una visione di Jane in scarpe dai tacchi vertiginosi e biancheria succinta che, sdraiata sul suo letto, curvava l’indice, invitandolo ad avvicinarsi. Accorgendosi che stava per eccitarsi, imprecò tra i denti. Proprio in quel momento, Jane si voltò e sbarrò gli occhi, stringendo tra le mani uno strofinaccio. Gage fu strappato bruscamente alla sua fantasia. Lo irritava che lei lo guardasse sempre con occhi sbarrati. Indicò l’albero di Natale con un cenno del capo. «Ti sei data da fare?» «Ehm... sì. Sì.» Lei girò intorno al banco, asciugandosi le mani prima di posare lo strofinaccio. «Ti...» Esitò un attimo. «Ti piace?» «Boh, sì.» La costante diffidenza di lei e una sgradita attrazione da parte sua lo spingevano a comportarsi in modo brusco. Jane abbassò le palpebre, nascondendo l’espressione degli occhi. «Bene.» Lui la studiò. Quel giorno indossava comodi pantaloni neri, un top color giada, teso sopra i seni, e un paio di stivaletti alla caviglia. I capelli, come al solito, erano raccolti e trattenuti da un fermaglio. Lui avrebbe preferito vederla vestita di seta, cachemire o raso. Con i capelli sciolti... Mise un freno a quelle divagazioni mentali. Lei si morse il labbro mentre, uno di fronte all’altro, si squadravano con aria bellicosa, una cosa che si ripeteva abbastanza spesso. «Ci sono patate al gratin, filetto mignon e pane fresco. Aspettavo che tu tornassi
a casa per rosolare i filetti in una padella di ghisa.» Gage avrebbe voluto dirle che lei era in grado di rosolare le sue fantasie. Invece, inarcò un sopracciglio. «Rosolarli in una padella di ghisa?» Ignorava perfino di possedere una padella di ghisa. Gli angoli della bocca di lei s’incurvarono all’insù. «È un trucco che mi hanno insegnato. Rosolare in padella rovente.» «Hai parlato di filetti, al plurale.» Lei batté le palpebre. «Sì. Da Lex li vendevano a coppie.» «In questo caso, dovrai cenare con me.» Gage la vide sgranare di nuovo gli occhi, come se lui le avesse suggerito di spogliarsi. In effetti, era un pensiero allettante. «Oh, io...» «Sai, è quello che facevano nel medioevo.» «Cosa?» «Il signore del castello aveva un assaggiatore. Per assicurarsi che il cibo non fosse avvelenato.» Gage finse di guardarsi in giro. «E dal momento che non c’è nessun altro, immagino che dovrai ricoprire il ruolo ufficiale di assaggiatrice di cibo, oltre a quello di cuoca e di governante.» Lei sembrava nervosa. «Stai insinuando che potrei avvelenarti?» «Oppure farmi soffocare in una nuvola di polvere» ribatté lui, con un mezzo sorriso. Aveva voluto fare una battuta ma, vedendola arrossire, ridivenne serio. Non doveva dimenticarsi chi era lui e chi era lei. La sua governante, per amor del cielo.
«Sarà un’occasione per discutere del cocktail party che intendo dare questo fine settimana.» Inoltre, lui odiava mangiare da solo. Le poche sere che cenava a casa, i suoi pensieri correvano sempre a Jane, nel suo alloggio. Si era chiesto che cosa stesse facendo e aveva avuto l’assurda tentazione di invitarla a tenergli compagnia. Tuttavia, la sua allusione al cocktail party era pertinente. Per quanto riguardava le questioni domestiche, il loro rapporto procedeva molto bene. Anzi, Gage si era abituato a lasciare in giro biglietti con indicazioni su ciò che andava fatto. Mi occorre la crema da barba. Abbiamo finito il caffè. Ritieniti libera di saltare nuda nel mio letto. Si bloccò e tornò indietro. Ricordava male. Ciononostante, malgrado l’iperattività della sua immaginazione, le loro comunicazioni avevano assunto un ritmo familiare, e anche lei aveva iniziato a lasciargli vari biglietti. Gli avanzi sono in frigo. Ritirato vestito dalla tintoria. Quasi come biglietti d’amore. Tranne che non lo erano. Rimasero a fissarsi. Gage avanzò e, simultaneamente, lei indietreggiò. Lui si allentò il nodo della cravatta osservando come Jane seguiva i suoi gesti. andole accanto, commentò a bassa voce: «L’odore è delizioso». Anche l’aspetto è delizioso, aggiunse tra sé. E io sono stanco di mangiare da solo.
Le aveva dato di volta il cervello, pensò Jacinda mentre tagliava la sua bistecca. Il tintinnio delle posate sui piatti di porcellana era l’unico rumore sul sottofondo di musiche natalizie. La voce di Bing Crosby che cantava di un bianco Natale aleggiava intorno a loro. Jacinda lanciò un’occhiata di sfuggita a Gage. Era ovvio che, mentre lei finiva di cucinare la cena, si era fatto una doccia e si era cambiato, indossando un paio di jeans e una camicia azzurra. Se Gage era stato l’amante di Marie, non era difficile capire perché ne fosse stata attratta. Sembrava proprio il tipo di uomo che lei stessa avrebbe potuto frequentare. In circostanze diverse. E mentre Gage si dava una rinfrescata, lei era riuscita a farsi prendere dal panico al pensiero di cenare con lui. Si era trastullata con l’idea di apparecchiare il lungo tavolo in sala da pranzo, con se stessa a un’estremità e lui all’altra, ma le era parso troppo formale, malgrado la sua battuta sull’assaggiatore di cibi. Si augurava che non fosse rimasto sorpreso dal modo in cui aveva reagito alla sua battuta, anche se il cuore aveva rischiato di schizzarle fuori dal petto quando lui aveva accennato al veleno. Certo, se aveva fatto del male a sua sorella, sarebbe stata felice di picchiarlo fino a tramortirlo o, quanto meno, di vederlo assicurato alla giustizia. Ma ormai dubitava sempre di più che fosse implicato nella morte di Marie. Inoltre, Gage aveva ragione. Dovevano discutere dei particolari del party. Il risultato era che aveva deciso di apparecchiare il tavolo più piccolo in soggiorno, visibile dalla cucina, da dove si sarebbero goduti la vista dell’albero di Natale, decorato a metà, e del fuoco che ardeva nel camino.
Erano seduti ad angolo retto, Gage a un’estremità del tavolo e lei alla sua destra. Lo osservò mentre beveva un sorso di vino. Un merlot della California, annata 1990, se ricordava bene l’etichetta. La prima volta che aveva visto la sua notevole collezione di vini, aveva fatto scorrere le dita sulle bottiglie allineate nelle rastrelliere e aveva pensato che le sarebbe piaciuto cucinare dei pasti da abbinare ai vari vini. In futuro, avrebbe dovuto essere più prudente nel formulare desideri, dal momento che adesso si trovava a pranzare con lui, per lo più in silenzio. Tranne che per il crepitio di energia sessuale nell’aria. «Qualche settimana fa ho incaricato la mia assistente di spedire gli inviti» disse Gage, in apparenza ignaro del suo nervosismo. «Abbiamo trenta risposte affermative e cinque in forse.» Jacinda annuì. «Ho contattato un caterer. Uno nuovo.» Gage inarcò un sopracciglio. «Ti piacerà» si affrettò a proseguire lei. «Il New York ne ha scritto bene. Le loro braciole d’agnello sono superbe.» «Hai assaggiato la merce?» Lei sentì di arrossire. «Me l’hanno offerta quando ho visitato le loro cucine.» La verità era che, a volte, non sapeva come impiegare il suo tempo libero. Oltre, cioè, a preoccuparsi a morte per quell’assurda impresa in cui si era imbarcata. Ea piangere la sorella. Gage storse le labbra. «Mi fido di te come assaggiatrice di cibi.» Lei rimase in silenzio, non trovando niente da dire. Mettendosi in bocca l’ultimo pezzo di filetto e dopo averlo masticato con cura, Gage aggiunse: «Perché non ti vesti per l’occasione?».
Jacinda lo guardò a bocca aperta. «Scusami?» L’aveva colta di sorpresa, ed era trapelato il suo accento inglese. Si augurò che lui non se ne fosse accorto. «Per il party.» «Oh.» Meno male che non era come aveva pensato all’inizio, e cioè che lui la stesse criticando per come era vestita quella sera. Come doveva vestirsi una governante? Tuttavia... «La tua è una critica?» Lui le diede un’occhiata enigmatica. «No, un suggerimento. Sarà un’occasione allegra e sarebbe carino che partecii anche tu.» «Sarò impegnata a infornare salatini.» Invece di risponderle, Gage indicò l’albero con un cenno del capo. «Ti sei data da fare.» «Ma non è ancora finito.» «Ti aiuterò.» Aiutarla. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di appendere decorazioni fianco a fianco con un misterioso milionario fin troppo affascinante. Dagli altoparlanti nascosti arrivò la voce di Josh Groban che cantava il desiderio di are il Natale a casa propria. Di solito, pensò Jacinda con una stretta al cuore, avrebbe trascorso le vacanze a casa dei suoi, e avrebbe decorato l’albero con Andrew e Marie. Invece, si trovava lì, con Gage. Respinse la sedia, pronta a sparecchiare. «È un compito che spetta a me.» Avevano appena finito di mangiare, ma un’energia nervosa la rendeva irrequieta. Quando si allungò per prendere il piatto di Gage, lui lo spostò, e le loro mani si sfiorarono.
Si immobilizzarono entrambi e i loro sguardi rimasero avvinti. L’espressione di Gage era imibile, ma i suoi occhi mandavano bagliori cupi. Jacinda ricordò a se stessa che era un uomo potente, fisicamente forte e che, finanziariamente, apparteneva a un altro mondo. Poteva servirsi della sua ricchezza e della sua influenza per annientarla se avesse scoperto chi era in realtà. Non riuscì a reprimere un brivido. «Ti aiuterò» ribadì lui. «Voglio farlo.» «D’accordo» acconsentì lei, non avendo altra scelta. Un po’ più tardi, dopo aver assistito alla scena impensabile di un milionario bello come un adone che caricava la lavapiatti, Jacinda si trovò davanti all’albero, con una decorazione in mano, indecisa su dove appenderla. Osservò Gage mentre si chinava per sistemare una palla rosa, e le sfuggì un sospiro involontario. Lui si interruppe e la guardò. «Qualcosa non va?» «No. Niente.» Vedendolo poco convinto, aggiunse con riluttanza: «Stavo per riempire proprio quello spazio». «Accomodati» la invitò lui. «Mio fratello e mia sorella non erano così gentili» replicò lei, senza riflettere. «Decorare l’albero era motivo di liti?» «A volte. Tu, invece, non hai per niente l’aria di uno che si è dovuto battere per difendere il proprio territorio.» «Esatto. Almeno, per quanto riguarda fratelli e sorelle.»
Se quello che aveva letto sul suo conto era vero, pensò Jacinda, negli affari Gage non concedeva neanche un centimetro. «Non hai né fratelli né sorelle?» chiese, pur conoscendo la risposta. «No.» Lei indicò l’albero. «E sei un decoratore dilettante.» «Esatto, di nuovo.» Gage la guardò con malizia. «È il tuo modo per dirmi che sto facendo un pessimo lavoro?» «Maneggi le decorazioni con cautela» replicò lei. «Come se questa per te fosse la prima volta.» Gage fece una smorfia. «Ero convinto che me la stessi cavando bene, considerando l’abbondanza di decorazioni rosa.» Jacinda si accorse di essere arrossita. D’accordo, aveva esagerato un po’ quando aveva aggiunto un tocco personale alla sua costosa e raffinata collezione di decorazioni. Ma il risultato era che, per una volta di più, aveva visto quanto lui sapesse essere divertente se abbassava la guardia. «Non sono riuscita a trattenermi» si scusò. «Ho scelto qualche decorazione rosa.» «Qualche?» «Sono sicura che la spesa abbia inciso per una frazione microscopica sul tuo reddito.» Le parole le uscirono di bocca prima che potesse trattenersi. Lui storse le labbra. «Hai un debole per il rosa?» Jacinda sollevò il mento mentre lo informava con pretesa importanza: «Il rosa è il nuovo blu». Gage inarcò un sopracciglio. «Stai scherzando? Forse non leggo abbastanza riviste di moda.»
«Oggigiorno, le donne sono abbastanza sicure di sé per vestirsi di rosa. Non si sentono obbligate a vestirsi come gli uomini. Il rosa è sinonimo di potere.» Per un attimo, Jacinda ebbe la sensazione di essere di nuovo al lavoro, impegnata nella presentazione delle tendenze del mercato e di campagne pubblicitarie coronate da successo. Nella sua vita di dirigente di un’agenzia pubblicitaria si vestiva di rosa, ma ora doveva comportarsi come se non sapesse niente di quell’esistenza. «Ho pensato che il tema rosa e oro fosse una simpatica variazione.» Era naturale che lo fosse, in contrasto com’era con il resto dell’appartamento, dove predominavano il nero e il vetro. Gage la guardò, confuso. «Giusto.» Jacinda fece retromarcia. Dopotutto, era lui il boss. «Se non ti piace, posso sempre cambiare.» «No, non credo» replicò Gage, guardando dall’albero a lei. «Proviamo questa variazione.» «Una simpatica variazione» lo corresse lei. «Giusto. Come ho potuto scordarmene?» «Perché non mi spieghi come mai sei così inesperto nella decorazione degli alberi di Natale?» «A casa dei miei, se ne occupava il personale, ed era già tutto pronto quando tornavo dal collegio per le vacanze.» Si sarebbe detto che la sua infanzia non fosse fatta di bei ricordi. «A quale collegio sei andato?» chiese Jacinda, pur conoscendo la risposta. «Al Choate.» «Oh, conosco...»
Jacinda s’interruppe. L’ha frequentato uno dei miei clienti. Ma, nel suo ruolo di governante, non avrebbe dovuto essere così esperta di scuole del New England. «Conosci...?» la sollecitò Gage. «Si trova nel Massachusetts, vero?» «Sì. Faccio parte del consiglio di amministrazione.» Lei aveva scoperto che faceva parte di numerosi consigli di amministrazione, nella sua veste di capitalista che investiva denaro in svariate e importanti aziende. «A volte, ti senti più in famiglia a scuola che non con i tuoi.» No, sembrava che non conservasse un solo bel ricordo. «Mi dispiace.» «Non devi. È un dato di fatto. I miei non erano dei cattivi genitori. Erano soltanto anziani, e attaccati a convenzioni sociali proprie della loro generazione.» Jacinda guardò l’albero. Forse avrebbe dovuto ingegnarsi per cenare con lui settimane prima invece di nascondersi nell’alloggio della cameriera. Aveva la sensazione di notare, finalmente, le crepe nella facciata di Gage Lattimer. Si schiarì la gola mentre appendeva la decorazione nel punto che lui le aveva concesso. «I tuoi sono ancora vivi?» «Sì. Cinque anni fa si sono ritirati a vivere in Svizzera.» Lei avrebbe voluto chiedergli in quale località della Svizzera, perché vi era andata a sciare un paio di volte con degli amici, ma si trattenne. Forse era per via della musica natalizia, o forse dipendeva dal fatto di essere lontana da casa durante le feste, ma dovette resistere all’impulso di toccarlo. Trasse un respiro profondo, decidendo di prendere il toro per le corna. Doveva chiedergli della morte di Marie. Era rimasta a corto di alternative, e le sue indagini non avevano dato risultati.
Era disperata. «Ti è piaciuto lavorare qui?» le chiese Gage di punto in bianco, cogliendola di sorpresa. Jacinda serrò le labbra e lo fissò. Lui sembrava non meno stupito di lei da quella domanda. E anche a disagio. Jacinda prese un’altra decorazione dalla scatola. «A chi non piacerebbe lavorare in un attico nel cuore di Manhattan?» ribatté in tono leggero, prima di aggrottare la fronte e abbassare di proposito la voce. «Anche se qui sono accadute cose strane.» «Per esempio?» Lei si costrinse a guardarlo negli occhi. «Ho sentito dire che qualche mese fa c’è stato un suicidio.» Fece una pausa. «Una donna che si è gettata dal tetto, mi sembra.» «Dove l’hai sentito dire?» «Oh, sai come succede. Credo che uno dei tuoi vicini ne abbia parlato, salendo con l’ascensore.» «Sì. È stata una tragedia.» «La conoscevi?» Andavi a letto con lei? Ti prego, Signore, fa’ che non sia lui. D’un tratto, era di importanza cruciale che Gage non fosse implicato in nessun modo nella morte di Marie. «Era la mia agente immobiliare.» Jacinda si costrinse a rimanere imibile. «Oh?» Si guardò in giro. «Credevo che abitassi qui da parecchi anni.» «È così. L’avevo incaricata di trovarmi un appartamento, ma per i nuovi uffici della Blue Magus.» «Ed era l’unico motivo per cui conoscevi Marie Endicott? Era così che si
chiamava, vero?» «Ne fai di domande» disse lui, in tono scherzoso ma non troppo. «Semplice curiosità» rispose Jacinda, stringendosi nelle spalle. Gage appese la decorazione che aveva in mano, quindi si rivolse a lei. «Sì, era la mia agente immobiliare. Niente di più. Ma, dopo la sua morte, ho sospeso la ricerca di una nuova sede per gli uffici per diversi motivi.» «Oh» mormorò Jacinda, sollevata. «Perché sei così curiosa, Jane? Vuoi sapere se ho legami seri?» Lei detestava ammettere che era così. «Ne hai?» «No.» Tu mi hai ipnotizzato... «E tu?» ... sono così pazza di te che il sollievo è enorme. «No.» Lui le si avvicinò e Jacinda si dimenticò di respirare mentre le prendeva una ciocca di capelli e se l’avvolgeva intorno a un dito. C’era un ronzio nell’aria quando lei socchiuse le labbra e puntò lo sguardo sulla sua bocca. Aveva labbra scultoree. Eppure sembravano così morbide, come se potessero dare e ricevere un piacere infinito. «Jane.» Lei inspirò bruscamente... e un secondo più tardi la realtà la colpì. Jane. Non Jacinda. Jane.
Che cosa stava facendo? La sua era tutta una menzogna. Indietreggiò. «De... devo fare una telefonata.» Era una scusa debole, e dalla sua espressione capì che non si era lasciato ingannare. Jacinda si voltò per rimettere la decorazione nella scatola. Subito dopo fuggì, in preda a sentimenti contrastanti che minacciavano di sommergerla. Era arrivata a New York decisa a odiare Gage Lattimer ma, fin da allora, aveva dubitato della sua colpevolezza. E l’intera questione era stata offuscata dall’attrazione fisica che provava per quell’uomo. Se Gage non era responsabile della morte di sua sorella, forse sarebbe stato in grado di aiutarla... sempre che fosse riuscita a tenere sotto controllo l’attrazione. Peccato che non potesse assolutamente correre il rischio di rivelargli che l’aveva ingannato. Oppure sì?
2
«Andrew!» esclamò Jacinda mentre, carica di pacchetti, percorreva la 73esima strada. «Come stai?» Quando il suo cellulare era squillato e aveva riconosciuto il numero del fratello, si era sentita in obbligo di rispondere. Era inutile far preoccupare la famiglia più di quanto lo era già. Soffrivano a sufficienza, e sapeva che sua madre era ricorsa a un analista. «Potrei chiederti la stessa cosa» replicò Andrew. «Come stai?» «Sto bene.» Con la sua famiglia, aveva sempre sostenuto che il viaggio a New York era una specie di pausa, che le sarebbe servita per sistemare gli affari di Marie e per concedere a se stessa un po’ di respiro dal lavoro per accettare la morte della sorella a modo suo. Jacinda attraversò di corsa la strada mentre un taxi strombazzava nella sua direzione. Quando raggiunse il marciapiede opposto, alzò gli occhi al cielo. Era una giornata nuvolosa e fredda. In effetti, le ricordava il tempo di Londra. «Hai avuto altre notizie dalla polizia?» chiese, in parte per allontanare l’attenzione dall’argomento pericoloso del vero motivo per cui si trovava a New York. Contava sul fratello perché la tenesse informata sulle indagini della polizia. Non voleva chiamarla lei stessa da un numero locale, e rischiare di sollevare interrogativi sulla sua presenza da quella parte dell’oceano Atlantico. E di sicuro non voleva che la polizia la chiamasse sul suo cellulare, con il rischio che Gage fosse nelle vicinanze. «In effetti, è per questo che ti ho telefonato» rispose Andrew.
«Oh?» Jacinda rizzò le orecchie mentre svoltava in Park Avenue. Gli alberi lungo lo spartitraffico erano decorati con luminarie. «Stamattina ho parlato con il detective incaricato delle indagini» proseguì Andrew. «McGray.» Jacinda ricordò che il detective McGray aveva preso contatto con la sua famiglia subito dopo la morte di Marie. Ma, avendo già in mente di agire sotto copertura, aveva evitato di incontrarlo di persona. «E? Non tenermi in sospeso.» «Sembra che si siano verificati numerosi tentativi di ricattare i residenti del 721 di Park Avenue.» «Cosa?» «Mi hai sentito. Alcuni residenti hanno ricevuto richieste per un milione di dollari o più. E la polizia pensa che il ricattatore possa essere anche responsabile della morte di Marie.» «Da quanto tempo hanno questa teoria? Certo non avranno appena scoperto che diverse persone venivano ricattate.» «Hanno collegato i due fatti un po’ di tempo fa, ma hanno ritenuto opportuno comunicarmelo soltanto adesso.» Per Jacinda, era un’ulteriore prova che le indagini della polizia andavano a rilento ed erano prive di metodo. Si costrinse a continuare a camminare anche se le tremavano le gambe. «Hanno idea di chi ci possa esserci dietro tutto questo?» «No, anche se pensano che sia qualcuno che conosce bene l’edificio, dal momento che i reati coinvolgono i residenti. Inoltre, la notte della morte di Marie non risulta annotato nessun visitatore sul registro del portiere.» Jacinda serrò gli occhi. Tutta quella storia stava diventando sempre più intricata per le sue capacità. Era possibile che l’assassino fosse anche il ricattatore.
Subito dopo avvertì un senso di vuoto allo stomaco. Gage. Quella poteva essere l’informazione cruciale per eliminarlo dall’elenco dei sospetti, e ciò significava che, negli ultimi tre mesi, lei aveva seguito una pista sbagliata. Un miliardario non aveva bisogno di ricattare la gente per un misero milione. Che cosa doveva fare? Se soltanto avesse potuto reclutare Gage, pensò, con il cervello che lavorava freneticamente, anche se non in modo molto razionale. Se Gage era innocente, allora poteva rivelarsi un alleato prezioso nella sua ricerca del criminale. Lui possedeva il denaro e le risorse. Il potere e l’autorità. Il potere. In realtà, era stato soprattutto il potente fascino maschile di Gage a farla sentire insicura in quegli ultimi mesi, quando si era scoperta a dubitare sempre di più che lui fosse coinvolto nella morte di Marie. Jacinda ricordava la scena di alcune sere prima, davanti all’albero di Natale. Grazie al cielo, Gage era partito la mattina dopo per un viaggio d’affari di alcuni giorni. Aveva avvertito l’insistenza con cui la guardava, ed era fuggita dalla stanza, in preda a una vampa di calore che non aveva niente a che fare con il fuoco che ardeva nel camino. Ma la reciproca attrazione sessuale non faceva che complicare ancor di più una situazione già abbastanza complicata. Lei l’aveva ingannato. L’aveva avvicinato facendosi are per una governante, con un falso accento americano e un ato inventato.
Qualcosa le diceva che un tipo dell’importanza e dell’intelligenza di Gage non avrebbe reagito bene scoprendo di essere stato imbrogliato. Fece una smorfia. «Jacinda? Ci sei ancora?» «Sì» rispose lei, alzando gli occhi sulla targa della strada. Si stava avvicinando al 721 di Park Avenue. «Ora, però, devo lasciarti. Sono quasi arrivata.» «D’accordo, ma tieniti in contatto. E, Jacinda?» «Sì?» «Abbi cura di te.» Se soltanto suo fratello avesse saputo... «Lo farò.» Dopo aver chiuso la comunicazione, Jacinda si fermò al Park Cafè, un locale alla moda non lontano dall’edificio di Gage. Perlustrò con una rapida occhiata l’interno e, non notando niente di preoccupante, andò al banco per ordinare. Appena arrivata a New York, aveva preso l’abitudine di are dal Park Cafè, un buon punto per osservare i vicini di Marie. Ma nessuno dei tanti aveva suscitato i suoi sospetti. Aveva parlato anche con la barista, la quale ricordava che Marie si fermava al bar per un bicchiere di latte, ma non le sembrava di averla mai vista in compagnia di un possibile fidanzato. Ciononostante, in quei giorni Jacinda continuava a fermarsi al bar prima di recarsi al lavoro, nell’assurda speranza che saltasse fuori qualcosa di interessante. Doveva ammettere che quel giorno in particolare vi era entrata nell’illusione di una vincita alla proverbiale lotteria che la tirasse fuori da quel pasticcio. Se fosse riuscita a trovare un indizio, sarebbe potuta andare alla polizia per poi lasciare subito la città, prima che Gage scoprisse il suo inganno. Ma quella non era destinata a essere la sua giornata fortunata, come aveva rivelato una rapida ispezione del locale, semivuoto.
Al banco, Jacinda salutò la barista e ordinò una cioccolata calda. Aveva bisogno di una bevanda che la rincuorasse dopo le notizie ricevute da Andrew. Rassegnata, si rese conto di essere destinata a continuare a mentire a un uomo che era probabilmente innocente, mentre dava la caccia all’assassino di Marie. In qualità di governante di Gage, era autorizzata a frequentare il 721 di Park Avenue senza destare sospetti, e quello era un particolare ancor più cruciale ora che la polizia credeva che il responsabile della morte di Marie fosse uno dei residenti. Dopo aver preso la sua cioccolata calda, Jacinda uscì dal bar e si diresse all’ingresso del 721. Aveva appena salutato il portiere, Henry Brown, quando nell’atrio fu accolta dall’abbaiare di due cani, e rischiò di versare la sua cioccolata. Impiegò un paio di secondi per riprendersi, quindi disse: «Salve, signora Vannick-Smythe». Non aveva mai provato simpatia per la gran dama, e di sicuro non ne provava per i suoi due cagnolini, che abbaiavano contro tutti senza distinzione. La signora Vannick-Smythe le rivolse un sorriso spettrale prima di ordinare: «Louis, Neiman, a cuccia». Dopo un attimo, le due bestie smisero di abbaiare e ubbidirono. Jacinda ringraziò l’anziana donna con un sorriso, ma la matrona la ricambiò scrutandola con uno sguardo penetrante. Come al solito, Vivian Vannick-Smythe indossava un tailleur, e gli argentei capelli tagliati corti ponevano in risalto gli occhi di un azzurro slavato. Dovendo azzardare un’ipotesi, Jacinda avrebbe detto che il tailleur – di lana color mirtillo con bottoni d’oro – era uno Chanel o un St. John. Jacinda spostò il peso da una gamba all’altra. La signora Vannick-Smythe e i suoi cani le davano sempre l’impressione che fossero in grado di annusare un impostore anche a chilometri di distanza.
«Bene, meglio che vada al lavoro» borbottò, dirigendosi a lunghi i all’ascensore e premendo il pulsante per salire. Per fortuna, l’ascensore arrivò qualche secondo dopo e lei entrò nella cabina. Un uomo la seguì prima che le porte si richiudessero. Jacinda gemette dentro di sé mentre gli dava un’occhiata. Sebastian Stone, altrimenti noto come principe Sebastian di Caspia. Un vecchio compagno di classe di suo fratello al ginnasio. Era alto, bruno e di bell’aspetto, con forti lineamenti aristocratici. Sapeva che Sebastian Stone abitava in quell’edificio – Andrew vi aveva accennato dopo la morte di Marie – ma lei si era data da fare per scoprire qual era il suo appartamento e che aspetto aveva, in modo da poterlo evitare. E per fortuna, fino a quel giorno, le loro strade non si erano mai incrociate. Sapeva che ava all’estero lunghi periodi perché aveva fatto amicizia con la sua ex governante, Carrie Gray, la quale adesso era sposata con un altro residente, magnate di un impero mediatico ed ex playboy, Trent Tanford, del 12C. Ma, a quanto sembrava, la fortuna di Jacinda era destinata a esaurirsi proprio quel giorno. Poteva solo sperare che Andrew non gli avesse mostrato delle sue foto, in occasione di qualche loro recente incontro. Quando il principe Sebastian la guardò con aria perplessa, si irrigidì. «Mi scusi se le sembro importuno» disse lui, con la voce che tradiva un lieve accento, «ma... non ci conosciamo, vero?» «Ecco...» Lui le tese la mano. «Sebastian Stone.» Jacinda deglutì ed esitò.
Sebastian sembrava perplesso, ma continuò a tenderle la mano. «Non abito qui» disse lei con il suo miglior accento americano, evitando di guardarlo. «Sono la governante dell’attico B.» Si augurava di aver parlato con un tono adeguatamente rispettoso. «Oh?» Il principe Sebastian ritirò lentamente la mano. «Avrei giurato...» «È probabile che mi abbia notato in giro per il palazzo» fu la pronta replica di Jacinda. Con la coda dell’occhio, lo osservò annuire. «Dev’essere così» ammise lui, anche se non sembrava per niente convinto. Quando le porte dell’ascensore si aprirono al dodicesimo piano e, ringraziando il cielo, il principe Sebastian uscì, lei respirò di sollievo. «Le auguro una buona giornata» disse lui. «Altrettanto a lei» borbottò Jacinda, premendo già il pulsante per richiudere le porte. Imbattersi nel principe Sebastian rientrava nella norma di una giornata che stava andando di male in peggio. Prima la telefonata con Andrew, poi Vivian VannickSmythe e, per colmare la misura, il principe di Caspia. La sua situazione diventava sempre più precaria, malgrado la sicurezza con cui aveva tranquillizzato il fratello. Che cos’altro poteva andare storto? Fu allora che si ricordò che il cocktail party di Gage era fissato per quella sera.
«Buone feste!» Gage sorrise mentre si chinava per offrire la guancia al bacio di Elizabeth Wellington.
«Giusto in tempo» disse, sapendo che il ricevimento alle sue spalle stava animandosi e l’orchestrina aveva intonato un altro canto natalizio. «Abbiamo portato un cabernet d’annata» annunciò Reed, porgendogli la bottiglia. «Per cortese concessione delle cantine Wellington, naturalmente.» «Grazie» ribatté Gage, con un’occhiata eloquente e arguta. «La metterò nella dispensa. Sono sicuro che Jane saprà sfruttarla per cucinare uno dei suoi piatti.» «Il tuo vino non è adatto allo scopo?» replicò Reed con prontezza. «E io che mi sforzavo di migliorare i tuoi gusti.» Elizabeth scosse la testa, fingendosi rassegnata. «Piantatela, voi due. In questo periodo dell’anno non bisognerebbe essere tutti più buoni?» Quindi, rivolta a Gage: «Grazie per averci invitati». «Sono contento chesiate riusciti a venire, dal momento che aspettare un bebè è molto faticoso.» «Non essere sciocco» lo rimbeccò Elizabeth. «Dopotutto, abitiamo sullo stesso pianerottolo!» «La verità è» la prese in giro Reed, «che ho dovuto letteralmente strapparla da Lucas, anche se era in buone mani con la babysitter.» Elizabeth guardò il marito con affetto. Gage sapeva che i Wellington stavano adottando il nipote di Elizabeth, Lucas, rimasto orfano a undici mesi. Da loro irradiava una nuova aura di gioia, non solo a causa di Lucas, ma anche perché lei aveva da poco annunciato di essere incinta. Gage si fece da parte. «Entrate. Alcuni dei nostri vicini sono già arrivati.» «Non dirmi che hai invitato Vivian Vannick-Smythe?» mormorò Elizabeth andogli accanto. «Ho dovuto» rispose Gage a voce bassa. «Ma non ti preoccupare... i cani sono rimasti a casa.»
«Grazie al cielo.» Gage alzò lo sguardo e notò Jane che si stava avvicinando. Per un attimo, parve volerla mangiare con gli occhi, ma si affrettò a mascherare la sua espressione. Indossava un abito nero da cocktail senza maniche che le fasciava le curve. I capelli erano raccolti in modo da formare una cascata di riccioli che le incorniciava il volto, e le scarpe da sera rivelavano un paio di gambe capaci di far impazzire un uomo. Gage sentì che i muscoli del suo corpo si contraevano. Era soddisfatto che avesse seguito il suo suggerimento di vestirsi con una certa eleganza. Quanto meno, osava sperare che si fosse vestita pensando a lui. Da quando, giorni prima, erano stati sul punto di baciarsi, prima del suo ultimo viaggio a Chicago, non era più riuscito a togliersela dalla mente. In realtà, aveva sofferto le pene dell’inferno. Come può uno mettersi in testa di sedurre la propria governante? Era una domanda ridicola. Lo faceva sentire come un lord di tarda epoca vittoriana, che tentava di approfittare di nascosto della servetta. D’altro canto, ragionava, erano tutti e due adulti, e perché avrebbe dovuto importargli se lei era la sua cameriera? Dopo quegli attimi davanti all’albero di Natale, sapeva che l’attrazione era reciproca. Sapeva di non aver frainteso la luce che le aveva visto negli occhi. Avrebbe dovuto sedurla e farla finita. Togliersela dalla testa e proseguire per la propria strada. Si sarebbe cercato un’altra governante. E lei... be’, se voleva, poteva cercarsi un altro lavoro a New York. L’avrebbe aiutata. Da quando aveva divorziato, c’era stato un andirivieni di donne, ma con tutte Gage aveva messo bene in chiaro che poteva offrire soltanto avventure eggere. Non voleva perdere la testa o il cuore, mai più.
Certo, era da oltre sei mesi che non frequentava più nessuna. Adesso che ci pensava, da prima dell’arrivo di Jane. E, dopo aver visto com’era vestita quella sera, l’idea di sedurla l’attirava ancor di più. Quando li raggiunse, Jane guardò da Reed a Elizabeth con un sorriso sulle labbra. «Gradite qualcosa da bere?» chiese, voltandosi verso i due baristi assunti per la serata. «Sarà un piacere andarvi a prendere un drink.» Elizabeth la ricambiò con un sorriso spontaneo e genuino. «Ciao, Jane. Per caso, hai visitato il mercato delle specialità sulla Second Avenue che ti ho suggerito?» «Un suggerimento di cui ti sono grata» rispose Jane. «Era da tempo che non gustavo un soufflé così ottimo.» Elizabeth infilò il braccio sotto il suo. «Voglio un racconto particolareggiato.» Guardò Gage al di sopra della spalla. «Non ti dispiace se sequestro la tua governante, vero, Gage?» «Niente affatto.» Gage seguì le due donne con lo sguardo mentre si allontanavano. Tuttavia, fu strappato alle sue divagazioni quando si rese conto che Reed aveva detto qualcosa. «Scusami?» Reed scoppiò in una risatina. «Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto.» «Adesso che me lo fai notare...» «Ho detto che lei è fantastica, non credi? Con quelle gambe...» Gage si accigliò. «Tu non sei felicemente sposato?» Reed rise di nuovo. «Non ti è nemmeno ato per la mente che mi stessi riferendo a mia moglie, vero?»
Maledizione. «Lascia perdere, Wellington.» L’ultima cosa di cui aveva bisogno, pensò Gage, era di dare l’impressione di voler far colpo sulla sua governante. Anche se era vero. Reed sembrava disposto a cambiare argomento perché ridivenne serio. «Be’, quanto meno non dobbiamo più preoccuparci delle indagini della SEC per insider trading.» Gage annuì. «Esatto.» L’indagine della SEC, in ottobre, aveva scovato una e-mail che aveva coinvolto uno degli aiutanti del senatore Kendrick e due dei suoi soci in un caso di insider trading. Non erano risultate prove a carico di Gage e Reed, così la SEC aveva smesso di indagare su di loro. Buon per lui e per Reed, pensò Gage, e male per il senatore Kendrick. Il quale aveva declinato l’invito al party di quella sera, e Gage supponeva che fosse perché non si era ancora liberato del tutto dall’odore dello scandalo. Gage osservò Reed mentre storceva di nuovo la bocca, e lo guardò con aria interrogativa. «Un’altra cosa» disse Reed. «Non preoccuparti che Elizabeth voglia rubarti la governante.» «Perché dovrei preoccuparmi di una cosa del genere? Reed si strinse nelle spalle con noncuranza, ma Gage non si lasciò ingannare. «Dal modo in cui guardavi Jane, qualcuno potrebbe pensare che tra voi due ci sia qualcosa di più delle faccende domestiche.» «Me la farei con la mia governante?» ribatté Gage in un tono di deliberata ed esagerata incredulità. «Non credo proprio.»
Le sue fantasie, comunque, erano un’altra questione. «Da come è vestita, sembra più una padrona di casa che una semplice dipendente» commentò Reed. «Le ho suggerito io di mettersi qualcosa di elegante» rispose Gage senza scomporsi. «Il successo della serata è in gran parte merito suo. Perché non dovrebbe goderselo?» Reed lo guardò inarcando le sopracciglia. «Credo che andrò a controllare quale pietoso surrogato offri come vino stasera.» «Accomodati pure.» Mentre l’amico si allontanava, Gage abbassò lo sguardo sulla bottiglia che teneva in mano e fece una smorfia. Un cabernet del 1996. Reed non si smentiva mai. Decise di portarla in cucina e quindi di dedicarsi a ricevere residenti ati e presenti del 721 di Park Avenue. Trent Tanford con sua moglie, Carrie, si presentarono alla porta precedendo Amanda Crawford e il suo fidanzato, Alexander Harper. In breve, i nuovi arrivati si mescolarono a Vivian Vannick-Smythe e agli altri ospiti davanti all’albero di Natale, mentre i camerieri si aggiravano tra di loro offrendo antipasti e aperitivi. Con il progredire della serata, Gage notò che Jane sembrava aver stretto diverse amicizie mentre lui era impegnato altrove. I suoi vicini, naturalmente, avevano partecipato ai suoi party anche in ato. Ma quell’anno, dal momento che Jane sembrava in rapporti cordiali con quasi tutti, il party aveva più l’aria di un raduno di amici. Lo sguardo di Gage si soffermò su Jane, intenta a incoraggiare Steve Floyd, uno dei suoi clienti, ad assaggiare il prosciutto affumicato e altre specialità, esposte su un tavolo vicino.
Steve era chiaramente affascinato e di lì a poco si mise a flirtare apertamente con Jane. Gage socchiuse gli occhi mentre provava un moto di fastidio. Se non avesse saputo che Jane sarebbe rimasta a casa sua alla conclusione della serata, sarebbe stato tentato di intervenire e interrompere il loro interludio. La tentazione perdurava, ma non voleva fornire a Reed più munizioni di quelle che già aveva per avvalorare l’ipotesi che lui si fosse infatuato della sua governante. Comunque, non c’erano dubbi che Jane si fosse insinuata nella sua vita, ragionò Gage. Anche i suoi clienti ne restavano incantati. La domanda era, fino a quando ancora sarebbe rimasta lontana dal suo letto?
3
Mentre la serata progrediva, Jacinda si ritrovò accanto a Gage in un gruppo di residenti dell’edificio. Riteneva che il ricevimento stesse andando splendidamente e sembrava che anche Gage si stesse divertendo. Cioè, tranne quando l’aveva sorpreso con un’espressione corrucciata mentre lei parlava con Steve Floyd. Adesso, guadandosi in giro, notò che Elizabeth e Reed Wellington erano riuniti in cerchio con lei e Gage, Carrie e Trent Tanford e Amanda Crawford e Alex Harper. Jacinda si era industriata per fare amicizia con quante più persone possibili al 721 di Park Avenue – con l’eccezione di Sebastian Stone – nella speranza di scoprire qualche indizio sulla sorella. Purtroppo senza ottenere risultati concreti. Tutti erano d’accordo nel sostenere che la morte di Marie era stata una tragedia. Non c’era da stupirsi che quelli dei suoi vicini che l’avevano conosciuta meglio, la ricordavano come una giovane donna allegra e piena di energie. Ma quando Jacinda aveva suggerito che forse anche un fidanzato o un amico speciale stava piangendo la sua morte, nessuno era riuscito a ricordare che frequentasse qualcuno regolarmente. Jacinda non era riuscita a ricavare informazioni utili nemmeno dai portieri. Henry Brown, in particolare, era stato piuttosto abbottonato sull’intero argomento della morte di Marie, come se il suo codice di portiere discreto gli proibisse di spettegolare. «State aspettando che arrivi qualcun altro di nostra conoscenza, stasera?» chiese Trent Tanford, insinuandosi nelle sue riflessioni. Gage scrollò il capo. «Max e Julia Rolland hanno dovuto declinare l’invito perché Julia partorirà da un giorno all’altro. Se ne stanno tappati in casa.» «Julia non vede l’ora che il bambino nasca» intervenne Amanda. «Le ho parlato
stamattina e giura che ormai, quando cammina, assomiglia sempre di più a una papera.» Jacinda sapeva che Julia e Amanda avevano diviso l’appartamento 9B fino a quando Julia si era sposata, in luglio – poco dopo che lei stessa era arrivata a New York – e si era trasferita. Poi, il mese prima, Jacinda aveva notato che Amanda sfoggiava un anello di fidanzamento e, quando si era informata con discrezione, lei le aveva confessato di essersi fidanzata. «Ho invitato il senatore Kendrick» stava dicendo Gage, «ma anche lui non potrà venire.» A Jacinda il nome suonava familiare. Ricordò che Marie aveva lavorato come volontaria per la sua campagna elettorale. Aveva trovato dei volantini nell’appartamento e nell’ufficio della sorella. «Non sapevo che tu e il senatore foste amici» commentò, rivolta a Gage. Lui le diede un’occhiata, quindi abbassò la voce e aggiunse, solo per le sue orecchie: «Non socializzo con lui, ma l’ho aggiunto all’elenco degli ospiti perché può sempre tornare utile». Jacinda annuì, mascherando il brivido che la vicinanza di Gage le aveva procurato. «Che cosa mi dici del principe Sebastian e di Tessa Banks?» chiese Carrie. «Anche loro si sono scusati. Partono stasera per Caspia. Devono occuparsi dei preparativi per il loro imminente matrimonio. A causa di affari di stato, hanno dovuto rimandare la cerimonia alla primavera.» Jacinda aveva appreso dai giornali che c’era stato un fiorire di pettegolezzi quando, in settembre, avevano annunciato che l’erede al trono di Caspia avrebbe sposato la sua assistente personale, un’americana. «Parlando di matrimoni» disse Trent, sorridendo alla moglie, «spero che abbiate ricevuto l’invito al mio e di Carrie per l’ultimo dell’anno. Ci sposiamo di nuovo, questa volta con una cerimonia in chiesa.»
«Due volte in un anno?» commentò Alex Harper in tono scherzoso. «Devi avere nervi d’acciaio, amico.» «Questa volta faremo le cose per bene» intervenne Carrie, mentre Trent l’attirava a sé. «Sarà una sontuosa cerimonia serale, e non una cosa improvvisata.» «Congratulazioni» mormorò Jacinda. All’inizio di agosto, il New York Post aveva pubblicato le foto di Trent Tanford mano nella mano con sua sorella al Beatrice Inn, nightclub alla moda di Manhattan. I media, e perfino la polizia, non si erano risparmiati fosche congetture. Jacinda, comunque, sapeva che non c’era niente di scandaloso. Marie le aveva confidato che, appena trasferita al 721 di Park Avenue, era uscita un paio di volte con il famoso playboy, ma la cosa non aveva avuto seguito. Jacinda credeva invece a quello che le aveva detto la socia della sorella, e cioè che Marie si vedeva con un tipo misantropo, straricco e potente, del quale non aveva voluto dirle il nome. Inoltre, Trent Tanford non era un misantropo. Era stato un playboy di fama internazionale, con mucchi di donne che andavano e venivano, fino al suo matrimonio, in agosto, con Carrie. La quale, all’epoca, badava all’appartamento del principe Sebastian durante le sue assenze. Era molto probabile che Marie non fosse stata niente altro che una della lunga lista di donne con cui Trent se la sava. Per giunta, Jacinda aveva constatato di persona che Trent era un inguaribile sciupafemmine quando aveva cominciato a lavorare al 721. Più di una volta si era imbattuta in lui, e ogni volta aveva al braccio una donna diversa. Naturalmente, ad agosto inoltrato, era rimasta sorpresa dall’improvviso e inatteso matrimonio di Carrie e Trent. Jacinda sapeva che Carrie disapprovava la vita sregolata di Trent. Ciononostante, non le era abbastanza amica da chiederle spiegazione per quel voltafaccia. «Credi che potrai esserci, l’ultimo dell’anno, Gage?» domandò Carrie.
«È mia intenzione» rispose lui con un sorriso. «E chissà?» intervenne Reed con un’espressione maliziosa. «Forse Gage ci sorprenderà arrivando accompagnato.» Gage lo guardò accigliato, e Jacinda, sorprendendo Amanda che le sorrideva, fissò il contenuto del proprio bicchiere. I vicini di Gage sospettavano che ci fosse qualcosa tra lei e il suo datore di lavoro? Se sì, come sarebbero rimasti sconcertati nello scoprire la sua vera identità! «Fa così piacere ricevere qualche buona notizia in questo edificio, dopo la tragica morte di Marie Endicott l’estate scorsa, poveretta» commentò Elizabeth. Jacinda si irrigidì. «Secondo la polizia si è trattato di un delitto» disse Reed. «Ma stanno ancora cercando il videotape scomparso, con la registrazione di quella notte.» «È naturale che pensino a un delitto!» esclamò Amanda. «Sanno che qualcuno ha tentato di ricattarci. È una storia losca.» Jacinda immaginava che i residenti dello stabile non fossero imbarazzati a discutere dei ricatti tra di loro perché tutti loro ne erano stati vittime. «Le indagini della polizia procedono con una lentezza frustrante» fece notare Carrie. Jacinda le diede ragione in silenzio. «Il detective McGray è oberato di lavoro e sottopagato» disse Elizabeth. «Inoltre, spetta a lui indagare sia sui ricatti sia sulla morte di Marie.» Gage annuì. «Arriveranno presto a una soluzione.» Al di sopra della spalla di Gage, Jacinda vide Vivian Vannick-Smythe allontanarsi di soppiatto e dirigersi all’ingresso. In tutta la serata, non aveva avuto quasi occasione di scambiare una parola con
l’anziana donna, ma non se ne rammaricava. Di che cosa avrebbero potuto parlare? Aveva sempre avuto la fastidiosa sensazione che Vivian avesse intuito che era un’impostora. «Purtroppo, devo andare» annunciò Amanda, controllando l’orologio. «Domani devo incontrarmi con un cliente che, la settimana prossima, darà una grande festa al 21 Club.» Guardò Jacinda e le strizzò l’occhio. «Un ricevimento straordinario. Se hai in mente di cambiare lavoro, fammelo sapere.» «Lo farò» rispose Jacinda, sentendosi più che mai ipocrita. Poco dopo, anche gli altri ospiti cominciarono a congedarsi, e lei tornò in cucina per sorvegliare camerieri e baristi mentre sgomberavano. A un certo punto, alzando la testa vide Gage che chiacchierava sulla porta con una coppia che si era attardata più di altri: Carrie e Trent Tanford. Un po’ più tardi, notò Gage che aiutava i musicisti a rimettere a posto i mobili dopo che avevano riposto i loro strumenti. Rifletté, e non per la prima volta, che Gage era un tipo sorprendentemente alla mano per essere un uomo molto ricco. Quel pensiero la fece sorridere, di nuovo. Mezz’ora dopo, tuttavia, scoprì di essere molto meno rilassata. Del personale addetto al servizio non restava più nessuno, e lei era sola con Gage. Gli altoparlanti trasmettevano canti natalizi e poteva vedere Gage che, in cucina, stava stappando una bottiglia di vino. Lui alzò la testa e Jacinda dovette deglutire perché le si era seccata di colpo la gola. «Bene, credo che andrò a letto» annunciò. Letto. Parola sbagliata. Soprattutto perché, da troppo tempo, aveva sconvolgenti e ricorrenti visioni di Gage e di un letto.
Le labbra di lui si incurvarono in un sorriso. «Resta e brinda con me a un party ben riuscito.» «Non occorre che mi ringrazi» replicò lei, inumidendosi le labbra. «È il mio lavoro.» «D’accordo, allora diciamo invece che ci concediamo il bicchiere della staffa. È un’usanza, prima del ritorno a casa.» «Ma noi dormiamo tutti e due qui» gli fece notare Jacinda. In letti separati. «È vero» replicò lui con un altro sorriso disinvolto. «Ma l’attico è enorme, e può essere un lungo tragitto fino alla camera da letto.» Jacinda era indifesa contro quel nuovo Gage, che flirtava in modo così seducente. «D’accordo.» Gage prese la bottiglia in una mano e due bicchieri per il gambo con l’altra. «Vieni a sederti sul divano.» Il divano? Adesso sì che era nei guai. «Ho conservato il meglio per ultimo» disse lui, girando intorno al banco della cucina. «Cosa?» esclamò Jacinda, in tono un po’ stridulo. Lui la guardò con aria innocente. «Il mio vino migliore.» «Oh, giusto.» Come era stata sciocca a pensare che alludesse ad altro...
Fuori, le luci di Manhattan baluginavano attraverso le tende delle portefinestre del salotto. Dentro era un’altra questione, pensò Jacinda. Mentre la voce di Johnny Mathis si
diffondeva nell’appartamento, si sentiva troppo tesa per la vicinanza del lungo corpo atletico di Gage che si accomodava accanto a lei sul divano, dopo averle porto un bicchiere. «Ottima festa. Congratulazioni.» Lei bevve un sorso di vino per placare i nervi. «È facile organizzare un bel ricevimento quando disponi di un budget quasi illimitato.» Gage strizzò gli occhi, divertito. «Non proprio illimitato. E il ricevimento è stato un lavoro impegnativo. Non sminuirti. Spero soltanto che anche tu ti sia divertita un po’.» «Oh, sì.» «Già, ti ho visto parlare con Steve Floyd.» Un sorriso le affiorò sulle labbra. Non usciva con un uomo da... be’, da parecchio prima che Marie morisse. Era stato bello dimenticare per un momento i guai e permettere che un bell’uomo flirtasse con lei. «Steve è un tipo fantastico. Ha un’incredibile scorta di aneddoti su New York.» «Non fartelo piacere troppo» l’ammonì Gage. «Steve gode fama di essere uno che le donne le prende e le lascia.» «Come te?» Le parole le uscirono di bocca prima di riuscire a trattenerle. Lui le diede un’occhiata eloquente. «Tesoro, non sono più uscito con una donna da prima dell’estate scorsa. Nel caso non te ne sia accorta, ho viaggiato molto negli ultimi mesi. Il lavoro è stato... be’, lavoro.» La parola tesoro le scivolò lungo la schiena come una carezza impudente, e le provocò un formicolio in tutto il corpo. Gage stava flirtando con lei? Come in risposta alla sua domanda, lui inclinò la testa. «Tu mi incuriosisci,
Jane.» «Davvero?» «È ovvio che sei istruita, e sei anche intelligente. Perché fare la governante?» Prima che potesse rispondere, lui la scrutò e le chiese: «Quanti anni hai?». «Ventinove.» E Gage ne aveva trentacinque, come aveva scoperto mentre compilava il dossier su di lui. «Hai davanti a te tutta la vita.» Sì, pensò Jacinda. A differenza di Marie, alla quale la vita era stata rubata. Provò una stretta al cuore e un’emozione improvvisa le chiuse la gola. Era un periodo di vacanza e lei era a migliaia di chilometri dalla sua famiglia, impegnata in una missione che, per il momento, era finita in un vicolo cieco. Si schiarì la gola. «Forse sono uno spirito libero» disse, con un’impertinenza un po’ forzata. «Questo lavoro mi permette di vivere in una serie infinita di case lussuose che sono al di fuori delle mie possibilità.» Era una risposta che le suonava convincente, e si augurava che lo fosse anche per Gage. Comunque, prima che lui potesse rispondere, orientò la conversazione su un terreno più sicuro. «Cosa mi dici di te? Sei uno stacanovista del lavoro e hai ammesso che non esci con una donna da prima dell’estate.» Gage bevve un sorso di vino. «È la conseguenza di aver assaggiato l’amaro gusto del tradimento, e non è facile dimenticarlo.» Jacinda si chiese se alludesse alla sua ex moglie. Se era disgustato dalla falsità
femminile, che cosa avrebbe pensato della sua messinscena? «Perciò» aggiunse lui, «potresti dire che la mia situazione è una strada scelta di proposito piuttosto che un vagabondaggio senza meta.» «Ah.» Lui si chinò in avanti e posò il suo bicchiere su un tavolino. Quindi si voltò, le tolse il suo dalle mani, di colpo prive di forza, e lo mise accanto al compagno. «Co... cosa stai facendo?» «Un’altra scelta deliberata» le mormorò lui contro la bocca. «A quanto pare, la mia strada conduce alla tua porta. Considera questo come il bacio della buonanotte.» Jacinda chiuse gli occhi mentre le loro bocche si univano e le labbra di lui accarezzavano le sue con languida lentezza, risvegliando tutti i suoi sensi. Infilandole le dita nei capelli, lui le mise la mano a coppa sulla nuca e l’attirò più vicino. Lei aprì la bocca, permettendogli di approfondire il bacio e attizzare l’attrazione tra loro due. Con la mente annebbiata, Jacinda pensò che da molto tempo non le capitava niente di così bello. Si appoggiò a Gage e sospirò, sentendo che i capezzoli si indurivano. A poco a poco il bacio perse d’intensità, fino a diventare un lieve sfiorarsi e, quando si separarono, lei si rese conto che il cuore le batteva più forte del solito. «Afferriamo quel poco di felicità che ci viene offerta» le mormorò Gage contro la bocca. Perché no?, furono le prime parole che arono per la testa di Jacinda. Aveva difficoltà a ricordare perché avrebbe dovuto combattere l’attrazione che
provava per quell’uomo. Era ormai quasi del tutto sicura che Gage non fosse né un omicida né un ricattatore. La verità era che loro erano due anime sole e tristi mentre tutto il mondo era in festa. Perché negarsi quella piccola consolazione? Il lieve cenno che fece con la testa era tutto l’incoraggiamento di cui lui aveva bisogno. Un attimo dopo si stavano di nuovo baciando, questa volta quasi con frenesia. Jacinda gli mise le braccia intorno al collo e lui l’attirò sulle proprie ginocchia. Le insinuò la lingua in bocca, incoraggiandola a intrecciare una danza erotica che era il preludio a piaceri ben più eccitanti. Jacinda gli si premette contro, ansiosa di sentirsi un tutt’uno con lui. Trovarsi tra le sue braccia era come sentirsi avvolgere da un’oasi di luce e di serenità in un mondo che da sei mesi era pieno di ombre e tormentato. Ebbe l’impressione di fluttuare in aria, trasportata sulle ali di sensazioni squisite, mentre si liberava di tutte le angosce che l’avevano oppressa per troppo tempo. «Gage» mormorò quando lui sollevò la bocca dalla sua e la guardò con occhi velati di desiderio. «Tesoro, lascia che ti dia piacere. È da tanto tempo che aspetto questo momento.» «Sì, Gage» acconsentì lei, eccitata. Lui si alzò e la sollevò tra le braccia. «Che cosa stai facendo?» «Ti porto a letto. Nel mio letto.» «Sì.» In sottofondo, Dean Martin cantava Baby, It’s Cold Outside.
Già, là fuori c’era un mondo freddo, ma lì dentro lei si sentiva al riparo tra le braccia di Gage. Lui la portò al piano di sopra e, per tutto il percorso, Jacinda godette nel sentire come gli batteva forte il cuore. Era stata decine di volte nella camera da letto di Gage, perciò sapeva dell’illuminazione diffusa, dei pavimenti di lucido legno, del grande letto posto su una piattaforma di mogano e delle lenzuola, di costoso lino se. Lui la depositò accanto al letto. Standole dietro, le scostò i capelli su una spalla e, così facendo, le accarezzò il collo con il dorso della mano. Un attimo dopo le posò entrambe le mani sulle spalle nude e tracciò una scia di baci dalla base del collo fino alla cavità dietro l’orecchio. Gemendo, lei gettò la testa all’indietro, offrendosi alla sua bocca. Quando le mordicchiò il lobo dell’orecchio, si sentì attraversare da vampate di calore e gli si appoggiò contro. Sentì che lui trovava la lampo del vestito e, quando l’aprì, l’improvviso contatto con l’aria fredda la fece rabbrividire. «Hai freddo?» mormorò lui. Jacinda avrebbe voluto dirgli che era stato lui a provocare una simile reazione. Tuttavia, prima che potesse reagire, il caminetto a gas si accese, e lei capì che Gage doveva aver azionato un interruttore. Lui le fece scivolare il vestito lungo le spalle e lasciò che finisse in un mucchietto intorno alle sue scarpe di vernice nera. Jacinda si sentiva vulnerabile... ed eccitata. Gage le ò le mani sull’esile vita, sulle curve dei fianchi prima di accarezzarle le gambe fasciate dalle calze. Alla fine, rifece il percorso inverso e gliele chiuse a coppa sui seni, stringendosi
a lei in modo da farle avvertire la pressione del suo membro eccitato. Con le punte degli indici tracciò il contorno delle coppe del reggiseno, prima sopra, poi lungo la base. Lei non era un tipo da curve prosperose, ma aveva il potere di scatenare la sua libidine. «Ah, tesoro. Che tentazione sei» mormorò, massaggiandole le tenere rotondità e strappandole un sospiro di piacere. Come se avesse intuito che era ormai prossima a capitolare, le mordicchiò l’orecchio, quindi, con la punta della lingua, ne tracciò il contorno, mentre le sue mani le esploravano il corpo, marchiandone a fuoco la pelle. Lei sollevò le braccia e le allungò dietro di sé per intrecciargliele intorno alla nuca e attirarlo più vicino. «Profumi di buono» disse Gage, stuzzicandole il collo. «Mmh...» Jacinda temeva che le gambe le avrebbero ceduto da un momento all’altro. Le mani di lui le scesero lungo i fianchi, trascinando con sé gli slip, per poi insinuarsi ad accarezzarla nella sua zona più calda e intima. Chiudendo gli occhi, Jacinda gemette e si inarcò per facilitargli l’accesso. «Gage, non so quanto ancora riuscirò a sopportare.» «Abbiamo appena iniziato.» «È proprio di questo che ho paura.» Il sangue nelle sue vene era ormai simile a lava infuocata. «Scendi da questi trampoli di scarpe.» «È un ordine?» «Prendilo come vuoi, tesoro, ma sappi che la caccia è finita.»
Lei ubbidì, quindi si tolse anche le calze. Gage le slacciò il reggiseno e, abbassando le braccia, lei lo lasciò scivolare sul pavimento mentre lui la costringeva a voltarsi. Il suo sguardo ardente le percorse tutto il corpo prima di incontrarne gli occhi. «Sei bella... e sexy da morire.» Era lui a farla sentire bella. Tuttavia, invece di rispondere, lo afferrò per il davanti della camicia, lo attirò a sé e lo baciò con tutta la ione che le aveva scatenato dentro. Dopo un iniziale attimo di sorpresa, Gage la ricambiò con pari ardore. Quando alla fine si separarono, erano tutti e due senza fiato. Lui la sollevò tra le braccia e l’adagiò sul letto, quindi si raddrizzò e, senza mai lasciarla con gli occhi, si spogliò. Man mano che si sbarazzava dei vari indumenti, Jacinda lo seguiva affascinata, ammirandone il corpo scultoreo. D’un tratto, tuttavia, lui si guardò in giro e si accigliò. «Dannazione, non ricordo dove ho messo i preservativi.» «Secondo cassetto, comodino di destra» lo informò lei. Conosceva ogni particolare del suo appartamento. Gage la studiò e, subito dopo, un sorriso gli si allargò sul volto. «Lo sapevo che c’erano dei vantaggi ad andare a letto con la mia governante.» Lei inarcò un sopracciglio. «Ti è già capitato?» «No, tesoro, tu sei la prima.» In quel momento aveva un’aria scanzonata e fanciullesca e appariva così diverso dall’uomo introverso che era di solito che il cuore di Jacinda ebbe un sussulto. Lo osservò mentre apriva il cassetto e prendeva un sottile pacchetto. Quando si sedette sul letto al suo fianco, Jacinda si allungò ad accarezzarlo, esultando
quando lo vide contrarre i muscoli dello stomaco e inspirare bruscamente. «Ah, tesoro...» Gli attimi trascorsero lenti e il suo respiro divenne sempre più spezzato, contribuendo così ad avvamparle i sensi. Alla fine, l’afferrò per il polso e la immobilizzò. Si affrettò a munirsi di protezione e, trascinandola con sé, si distese al suo fianco. Le mani di Jacinda gli massaggiavano i muscoli delle spalle mentre lui l’accarezzava e la baciava. Quando ormai lei non sopportava più di aspettare, Gage la sorprese obbligandola a voltarsi su un fianco e mettendosi dietro di lei, a cucchiaio. Si mise la sua gamba sulla propria e trovò il suo punto più caldo. Mentre lei trasaliva, le mordicchiò il collo e scivolò lentamente dentro il suo corpo accogliente. «Gage...» La sua voce si spense mentre un fuoco liquido la invadeva. Quella posizione era una novità per lei. Una delle sue mani la toccò davanti, facendole provare una sensazione squisita. Se chiudeva gli occhi, un’esplosione di colori le colorava le palpebre abbassate. Gage le scivolò dentro e fuori, e ogni affondo era sottolineato dai loro gemiti rochi. Jacinda non si era mai eccitata in così poco tempo, non aveva mai conosciuto un così vorticoso e rapido crescendo fino alle vette sublimi del piacere. «Concediti a me» le mormorò Gage. Il tono basso e sensuale della sua voce sublimò quel momento e lei si mosse e si strofinò contro di lui con improvvisa energia. Gage le artigliò il fianco e si spinse dentro di lei, in profondità.
Pochi istanti dopo, si accasciavano tutti e due, esausti e appagati. Fu allora che le arrivarono le note di Have Yourself a Merry Little Christmas, e le lacrime le salirono agli occhi.
4
Gage si svegliò con un senso di appagamento. No, ancor meglio, si corresse aprendo gli occhi. Si sentiva felice. Ed era tutto merito di Jane. Guardò verso il lato opposto del letto... che era vuoto. Jane si era già alzata, ciò che era sorprendente, essendo lui molto mattiniero. Dando un’occhiata alla sveglia, vide che erano le sei e mezza. Il profumo di caffè gli fece capire che Jane stava già preparando la colazione. Si sollevò contro i cuscini e si stirò. Una cosa era certa alla luce del giorno. Aveva aspettato troppo prima di cedere all’attrazione che c’era tra lui e Jane. Non gli era mai importato di quello che poteva pensare la gente sapendo che andava a letto con la sua governante. Era abbastanza ricco per infischiarsene, e da un pezzo non aveva più bisogno dell’approvazione della società. Inoltre, Jane era genuina, a differenza di molte delle donne di sua conoscenza. Come la sua ex moglie, per esempio. Volgendo i pensieri in una direzione più piacevole, meditò di rintanarsi con Jane nel suo rifugio alle Bermuda e trascorrervi il weekend successivo, lontano dal trambusto di Manhattan. Si chiese come avrebbe reagito lei e, impaziente di scoprirlo, si alzò e si infilò i pantaloni di una tuta. Quando scese di sotto, scoprì che Jane era in cucina e stava parlando sottovoce al suo cellulare.
Era evidente che non l’aveva sentito arrivare. Le bastò vederla per sentirsi pungolare dal desiderio. Lei indossava una vestaglia di seta che le arrivava alle ginocchia e che fasciava la sua figura a clessidra, ponendo in risalto le rotondità del fondoschiena. Portava i capelli sciolti sulle spalle e le gambe ben tornite sembravano interminabili. Provò il desiderio di possederla di nuovo, lì sul posto, subito. Poi, gli giunsero all’orecchio un paio di parole, e si accigliò. Si rese conto di non riconoscere la voce con cui parlava. Il suo era un accento... britannico. Si avvicinò. «La polizia sa qualcos’altro sulla morte di Marie?» Gage si immobilizzò. «È così frustrante. Lo so che nostra sorella non si è tolta la vita.» Gage socchiuse gli occhi. Che cosa diamine stava succedendo? Era ovvio che stava parlando di Marie Endicott, ma se Jane era la sorella di Marie, perché non ne aveva mai parlato? La sua mente vagliò velocemente varie possibilità, e scoprì che non gliene piaceva neanche una. Con il crescere dei sospetti, cresceva anche la collera. Sembrava proprio che fosse stato raggirato. Da una donna. Di nuovo. Doveva aver fatto rumore perché Jane si voltò di scatto, con gli occhi sbarrati e un’espressione allarmata.
«Andrew, devo andare» disse nel ricevitore, continuando a fissarlo. «Chi diavolo sei?» le chiese Gage appena ebbe riagganciato. «Io...» Lui riusciva a vedere gli ingranaggi del suo cervello al lavoro, come se stesse cercando di capire quanto aveva udito della conversazione per escogitare una qualche spiegazione. Una scoperta che lo fece infuriare ancor di più. «Aspetta, lo so. Sei la sorella di Marie Endicott.» Pur impallidendo, lei sembrò prendere una decisione. «Mi chiamo Jacinda Endicott» dichiarò, sollevando il mento. «Ottimo accento britannico» commentò Gage. «E ora ti dispiace dirmi che cosa ci fai nei panni di una governante?» Jacinda raddrizzò le spalle. «Posso spiegartelo, se me lo permetti.» In altre circostanze, lui avrebbe ammirato il suo coraggio. Ma la situazione l’aveva colpito su un nervo scoperto. Le aveva permesso di entragli nel sangue, dannazione. Incrociò le braccia. «Augurati di essere convincente.» «Sono venuta qui perché ho saputo fin dall’inizio che mia sorella non poteva essersi uccisa. Ma ero disperata perché la polizia aveva archiviato la sua morte come suicidio.» Jacinda parlava in fretta, come se temesse di essere messa alla porta da un momento all’altro. Lui dovette ammettere che i suoi timori erano fondati. «E io che cosa c’entro?» «Ho deciso di prendere in mano la situazione...» «Lavorando come governante nell’edificio così da poter curiosare?» terminò Gage per lei. «Sì» ammise lei, dopo una breve esitazione.
Aveva un’aria vulnerabile e sexy da morire. Anche in quel momento, lui non poteva impedirsi di reagire alla sua spontanea sessualità. «Perché proprio io? Tra tutti i residenti?» «Ho scoperto che tu e Marie vi conoscevate.» «Esatto. Era la mia agente immobiliare. Mi aveva colpito la sua intraprendenza, così l’avevo assunta anche se era giovane e inesperta.» Jacinda si morse il labbro. «Pensavo che tra te e Marie ci fosse qualcosa.» Colpito da un sospetto improvviso, Gage sentì crescere la collera. «Mi stai dicendo che sospettavi che io fossi coinvolto nella sua morte?» Quando lei annuì, la fissò incredulo. Si era fidato di lei, dannazione. «Sei venuta a letto con me pur pensando che ero coinvolto nella morte di tua sorella?» «No! Ormai ti avevo escluso» replicò lei, accalorandosi. «Oh, davvero? Come? Scoprendo l’omicida?» «A parte essere suo cliente, non ho trovato nessuna prova che ti legasse a lei.» «Fantastico, semplicemente fantastico. Io sono stato sincero con te fin dall’inizio, mentre tu giocavi a fare la detective.» Jacinda si strinse nelle spalle. «Perché era questo che facevi quando ti scordavi di spolverare la libreria o di pulire il lavandino» l’accusò Gage. «E io a chiedermi perché lavorassi come cameriera invece di aspirare a far carriera nel mondo del cinema, come fanno tutte a New York. Non sapevo che tu stessi già esercitando le tue doti di attrice!» Lei trasalì, con un’espressione colpevole sul volto, ma si riprese subito. «Ieri mio fratello, che è in contatto con la polizia, mi ha telefonato da Londra. Mi ha riferito dei tentativi di ricatto e della nuova teoria della polizia, secondo la quale
il responsabile sia dei ricatti sia della morte di Marie sarebbe uno dei residenti.» Gage inarcò un sopracciglio. «Sapevo che tu non potevi essere un ricattatore. Non hai bisogno di denaro. Non aveva senso!» «E sai anche che rientro nel numero dei ricattati?» Lei scrollò il capo, confusa. «Oh, è così» proseguì lui, in tono sarcastico. «Reed Wellington è stato ricattato, e quando si è rifiutato di pagare, sembra che qualcuno sia andato alla commissione di controllo su azioni e obbligazioni con la falsa storia che noi avevamo tratto vantaggio da informazioni riservate.» Rimasero a fissarsi per un lungo istante. «Dovrei licenziarti sui due piedi» dichiarò lui, a denti stretti. Poteva licenziarla, certo, ma non sarebbe stato altrettanto facile sradicarla dalla propria vita. Aveva il suo profumo sulla pelle. Tutto l’appartamento recava la sua impronta. «Come sei riuscita a farti raccomandare da Theresa?» le chiese, provando l’impulso perverso di conoscere tutti i particolari. Jacinda aprì la bocca, poi esitò. «Non sognarti nemmeno di non dirmi tutta la verità.» «Un’amica mi ha fornito referenze false, e ho lasciato che Theresa pensasse che lei e mia madre avevano frequentato lo stesso liceo a Long Island.» «Intelligente.» Gage non lo disse come un complimento, e lei si guardò bene dal prenderlo come tale. «Te l’avrei detto...» «Certo. E devo dedurre che la notte appena trascorsa servisse a rabbonirmi?»
Lui ebbe la soddisfazione di vederla impallidire di nuovo. «L’altra sera, quando si è parlato della morte di Marie, sei rimasta in silenzio» l’accusò. «Non avevo intenzione di dirti chi ero di fronte a tutti i residenti dell’edificio!» «E tutta quella storia a proposito di essere uno spirito libero? Una montagna di bugie.» «In realtà, è una caratteristica di famiglia» disse lei, con un filo di voce. «Lo spirito libero o la tendenza alle menzogne?» Jacinda sbiancò. «Perché partire dal fatto che Marie era la mia agente immobiliare per concludere che io ero implicato nella sua morte?» Lei sembrava prossima alle lacrime. «Marie aveva una relazione, ma l’ho scoperto soltanto dopo la sua morte. Aveva descritto l’uomo con cui usciva a una delle sue collaboratrici come un tipo molto ricco, potente e misantropo. Fisicamente alto e bruno, con una fossetta che si notava.» «E da quella descrizione hai concluso che fossi io?» «Mi era sembrata una copertura perfetta. Le telefonate con il pretesto di trovare una nuova sede per gli uffici mentre in realtà...» «Avevamo una relazione segreta?» concluse Gage, incredulo. «Non ti è mai ato per la mente che dove c’è fumo non sempre c’è arrosto?» «So che adesso sembra assurdo...» «È inconcepibile!» «... ma ero stordita dal dolore, e sapevo che mia sorella non si era uccisa.» «E questa sarebbe la tua spiegazione per avermi mentito e ingannato?» «Ho bisogno del tuo aiuto.»
Gage l’ammirò per una tale audacia, anche se la sua impudenza lo mandava su tutte le furie. «Spiacente, non posso aiutarti» disse, allargando le mani. «Fino a poco fa ero tra i sospettati, ricordi?» «Non so a chi altri rivolgermi.» C’era una nota di disperazione nella voce di Jacinda. Lui la studiò. Lo stava supplicando. E, malgrado le migliori intenzioni, non era insensibile alla sua supplica. Non aveva smesso di desiderarla. Poi si rese conto che, mentre da parte sua continuava a desiderarla, lei aveva bisogno di lui. E un’idea cominciò a prendere forma. Assunse quella maschera di fredda imibilità che usava quando doveva affrontare un avversario al tavolo delle trattative. «Hai bisogno del mio aiuto» dichiarò con calma. Lei annuì, con diffidenza. «Potrei fare pressioni sulla polizia, servirmi dei miei contatti...» Lei annuì di nuovo. «Già, esatto.» «A un prezzo.» «Non ho niente da darti» ribatté Jacinda, confusa. «Se si tratta di denaro...» «No.» «Guadagno bene come dirigente di un’agenzia pubblicitaria, ma niente che possa far gola a un milionario. Quindi, che cosa vuoi?» «Te» rispose Gage, categorico. «Voglio te.» Lei trasalì. «Come?» «Mi hai sentito. Voglio te nel mio letto.»
«Vuoi comprarmi... come se fossi un immobile o un oggetto d’arte?» «Preferisco il termine amante.» Jacinda aprì la bocca e la richiuse. «Sei sposata? Fidanzata? Frequenti qualcuno?» Lei scosse la testa. «Bene, in questo caso non dovrebbero esserci problemi» dichiarò Gage, un po’ meno teso. «Non parli sul serio!» «Se vuoi la mia collaborazione, questo è il prezzo da pagare.» arono un paio di minuti carichi di elettricità. Alla fine lei disse a voce bassa: «Sono disposta a fare quello che mi chiedi». Gage la squadrò dalla testa ai piedi. «Oh, tesoro, non te ne pentirai» disse, quindi decise di darle un assaggio di quello che l’aspettava. Attirandola a sé senza preavviso, ebbe una fugace visione dei suoi occhi sbarrati prima di impadronirsi della sua bocca in un bacio privo di tenerezza, prepotente. Un marchio di possesso che nessuno dei due poteva fraintendere. La pressione delle sue morbide curve fece deflagrare il desiderio e quando le invase la bocca con la lingua, ci fu un’esplosione di fuochi d’artificio, proprio come era accaduto la notte precedente. Tuttavia, dopo un attimo la lasciò libera. Jacinda indietreggiò, coprendosi la bocca con la mano. Rimasero a fissarsi finché lei l’abbassò lungo il fianco. «Avrai il mio corpo, ma niente di più, stanne certo» disse, andogli accanto.
Contrariare un milionario era stata un’esperienza più sgradevole di quanto avesse immaginato, pensò Jacinda, mentre faceva ordine in cucina. Erano le dieci di sera e si sentiva irrequieta. Quella mattina, Gage le aveva lasciato un biglietto dicendole di non preoccuparsi per la cena perché si incontrava con un socio d’affari. Vagare per un appartamento grande come una piazza d’armi la colmava di malinconia, soprattutto sapendo che, fuori, la gente si stava godendo quel periodo di feste. Chiuse gli occhi e riandò con la mente al tempestoso colloquio con Gage. Aveva sbagliato tutto fin dall’inizio, e aveva combinato un grosso pasticcio. Avrebbe dovuto confessare a Gage chi era prima che lui lo scoprisse nel peggiore dei modi. Fece una smorfia, ricordando come si era infuriato. Poi tentò di dirsi che, anche se fosse stata sincera, Gage si sarebbe infuriato comunque per essere stato ingannato. Alla fine il risultato non sarebbe stato molto diverso. Rimise un paio di pentole al loro posto in una credenza. Così come stavano le cose, aveva fatto un patto con il diavolo. Preferisco il termine amante. Le parole che la ossessionavano ormai da quarantotto ore le tornarono bruscamente alla mente. Si era venduta in cambio del suo aiuto. «Amante di un milionario» disse, rigirando le parole sulla lingua. Mai, neanche nelle sue più folli fantasie avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe fregiata di quel titolo. Se soltanto amici e colleghi avessero potuto vederla adesso.
La sua famiglia, naturalmente, ne sarebbe rimasta inorridita. Una figlia morta e l’altra che faceva la mantenuta di un uomo con cui non aveva niente da spartire. Gage. Non riusciva a credere che potesse averle fatto quella proposta indecente con tanta fredda insensibilità. Mentre lei, negli ultimi mesi, aveva lottato con tutte le sue forze per non innamorasi di lui, da parte sua Gage non aveva mai provato niente. Jacinda era mortificata... e furiosa. Oh, sapeva di avere la sua parte di colpe, ma anche se la testa le diceva di essere razionale, il cuore non poteva impedirsi di soffrire. Possibile che la loro notte di ione per lui non avesse significato niente di più di una sessione di sesso casuale con la cameriera? A quanto pareva, era così, dal momento che le aveva fatto un’offerta prendere-o-lasciare. E lei aveva dovuto prendere. Non aveva fiducia che la polizia risolvesse quel caso, ed era disposta a tutto pur di ottenere giustizia per Marie. Aveva bisogno del denaro, del potere e dell’influenza di Gage. Ma la tormentava soprattutto rendersi conto che il fatto di dover tornare nel letto di Gage non la disturbava tanto quanto avrebbe dovuto. La notte trascorsa insieme era stata una rivelazione. Prima di allora, non aveva mai provato un’attrazione così improvvisa e incontrollabile per un uomo. Un uomo che si era rivelato un amante esperto e ricco di fantasia. Si sentì avvampare mentre le affioravano alla mente immagini della loro notte di ione. Gage era riuscito a farla reagire con una ione e una sensualità di cui non sapeva di essere capace. Adesso, tuttavia, era contenta di aver giurato di non aprirgli il proprio cuore. Poteva avere il suo corpo, ma niente di più. Per fortuna, lui non aveva insistito, e lei era tornata nell’alloggio della cameriera
e vi era rimasta. Era come se Gage avesse intuito che avevano bisogno di una pausa, come due pugili quando riparano ai rispettivi angoli. Come se fosse stato evocato dai suoi pensieri, udì lo scatto della porta d’ingresso e, voltandosi, vide Gage entrare nell’appartamento. Si arrestò quando la vide, quindi si tolse il cappotto. «Andiamo alle Bermuda» annunciò di punto in bianco, cogliendola di sorpresa. «Domattina presto» aggiunse, avvicinandosi a lei. «Possiedo una casa laggiù.» Jacinda lo sapeva, naturalmente. Era al corrente di tutte le sue proprietà immobiliari. «Ci sei mai stata?» Lei scosse la testa. Gage si fermò dalla parte opposta del banco della cucina. «Dove hai la tua roba?» Jacinda ritrovò la voce. «Nel monolocale che ho preso in affitto in York Avenue.» Lui annuì brevemente, come se stesse assimilando un ulteriore particolare che riguardava lei e la sua complicata messinscena. «Puoi usare una delle mie valigie.» «Non ho molto di adatto per il caldo delle Bermuda.» Le sue labbra si storsero in un mezzo sorriso. «Non preoccuparti. Puoi comprare sul posto quello che ti serve e addebitarlo a me.» Lei sentì di arrossire sentendosi ricordare il patto che avevano stretto. «Perché ci andiamo?» «Perché ho lavorato troppo e ho bisogno di riposo e relax.»
Jacinda si chiese di che cos’altro avesse bisogno oltre al riposo, e capì, dalla sua espressione, che lui aveva intuito la direzione presa dai suoi pensieri. Si sforzò di assumere una maschera imibile, rifiutandosi di dargli la soddisfazione di capire che l’aveva turbata. «E come ci arriviamo?» «Il mio jet. Da La Guardia. Diciamo che ci sarò io al volante.» Naturalmente. Lei sapeva che aveva il brevetto di pilota. «Capisco.» «Non ti preoccupare» la rassicurò lui con sarcasmo. «C’è anche un copilota e un equipaggio, sebbene ridotto.» Jacinda alla fine cedette alla collera. «Non è di questo che mi preoccupo. Credevo che mi avresti aiutata a risolvere il mistero della morte di mia sorella.» «E io credevo che tu avessi accettato di diventare la mia amante.» «Sì, ma non di volare alle Bermuda.» «Ti preoccupa il famoso Triangolo? Non ne hai motivo. L’ho sorvolato una ventina di volte. Sei in buone mani.» «Oh, naturalmente» ribatté lei. «Ho erroneamente dedotto che fosse un piano per sbarazzarti di me.» Gage le rivolse un sorriso privo di allegria. «Intendevo dire» proseguì lei con freddezza, «come possiamo risolvere qualcosa standocene alle Bermuda?» «Ho già parlato con il detective McGray.» Jacinda lo fissò, sorpresa. «Come? Quando?» «Dall’ufficio.» Lui la guardò con aria beffarda. «Non ti sarai aspettata che lo fi con te accanto, ad ascoltare ogni parola, vero?» Accidenti a lui! «Che cosa gli hai detto?»
«Niente della tua piccola messinscena. Dubito che McGray e la polizia sarebbero stati felici di sapere che tu avevi invaso il loro territorio giocando a fare la detective.» Lei immaginò che avrebbe dovuto essergli grata per non averla tradita, ma le parole si rifiutavano di uscirle dalla bocca. «Ho informato il detective McGray che sono personalmente interessato al caso di Marie Endicott» proseguì lui, come se si fosse alla fine impietosito, «e voglio che sia risolto. Ho anche accennato di sfuggita che sono in rapporti amichevoli con il sindaco, il questore e varie altre personalità.» Jacinda sentì rilassarsi i muscoli delle spalle quando la tensione cominciò piano piano ad allentarsi. «Sono un contribuente generoso delle cause politiche e filantropiche della città» aggiunse Gage. «Grazie per il tuo aiuto.» Con un breve cenno del capo, lui si diresse alle scale. «Sogni d’oro, Jacinda. Non vedo l’ora di partire.» Lei pensò che era come se avesse detto: Non vedo l’ora che tu rispetti la tua parte del patto. Qualsiasi altra donna non sarebbe stata nella pelle all’idea di un soggiorno in un paradiso tropicale con un milionario aitante e superdotato. Non lei, si disse. Non in quelle circostanze. La vita aveva un bizzarro senso dell’umorismo, anche se provò, al tempo stesso, uno strano fremito al pensiero di un idillio romantico con Gage.
5
Era un bastardo. E pilotare il proprio jet privato per un paio d’ore, pensò Gage, gli concedeva molto tempo per riflettere e ammettere di essere davvero un gran bastardo. Guardò il cielo che si estendeva all’infinito ed eseguì una serie di controlli di routine. Il suo copilota, un tipo sulla cinquantina che lavorava spesso per lui, si era assentato per una breve pausa, ma sarebbe tornato appena avessero iniziato la discesa sulle Bermuda. Nel frattempo, poteva godersi il volo. Di solito, amava la sensazione di libertà che si provava a quelle altezze. Era una breve tregua dalla continua tensione dovuta alle sue numerose responsabilità. Ma quella volta c’era una responsabilità che non si era lasciato alle spalle. Era seduta nella cabina alle sue spalle, e stava sicuramente riflettendo sul loro patto. Jacinda. Non si era ancora abituato a pronunciare quel nome. Jacinda, il suo vero nome. Le si addiceva meglio di Jane. Sapeva che Jacinda veniva dalla parola di origine greca giacinto, e per una volta fu contento di aver studiato i classici. Gli sembrava giusto che l’avessero chiamata come quel fiore fragrante. Lui intendeva odorarne il profumo durante quel viaggio. Voleva che sbocciasse per lui. Negli ultimi due giorni aveva scoperto anche di preferire il suo naturale accento britannico a quello americano contraffatto. Avrebbe dovuto essere furioso per il modo in cui l’aveva ingannato. E lo era, ma
la collera iniziale si era stemperata. A differenza della sua ex moglie, Jacinda aveva agito oppressa da un dolore insopportabile. Immaginava che, se avesse avuto una sorella, sarebbe stato altrettanto determinato a scoprire la verità sulla sua tragica morte. Perfino la polizia adesso cominciava a sospettare che la morte di Marie non fosse un suicidio. E con buoni motivi, pensò Gage. Riò mentalmente la telefonata che aveva fatto al detective McGray, un veterano della polizia di New York. In termini più che espliciti, gli aveva fatto capire che doveva darsi una sveglia. A metà telefonata, Gage avrebbe potuto giurare di aver sentito il tonfo sul pavimento dei piedi del detective quando li aveva tolti dalla scrivania. Si disse che l’aveva fatto per avere in cambio Jacinda come amante. Era stato così furioso con lei per averlo ingannato, e furioso con se stesso perché la desiderava comunque. Così, aveva deciso che ci voleva una punizione, anche se, pretendendo che diventasse la sua amante, non era chiaro chi stesse punendo. Lei non aveva nascosto di non gradire la proposta. Da parte sua, avrebbe dovuto continuare a lottare per non lasciarsi sopraffare da un grave caso di libidine. Per nessuna donna aveva mai provato un desiderio fisico così intenso, che scattava nell’istante stesso in cui la vedeva, e che la recente notte di ione aveva acuito piuttosto che smorzare. Il copilota lo raggiunse e, preparandosi ad atterrare all’aeroporto delle Bermuda, Gage si chiese fino a che punto era disposto a spingere il suo patto con Jacinda. Diverse ore più tardi, dopo che erano arrivati alla sua villa sulla costa sudoccidentale dell’isola, non aveva ancora trovato una risposta. Aveva comunque dato ordine al personale di portare la valigia di Jacinda nella camera da letto padronale. Aveva notato che lei, dopo una breve esitazione, vi si era diretta per disfarla.
In seguito, avevano pranzato, quindi lui si era ritirato nello studio per fare alcune telefonate di lavoro. A un certo punto, guardando fuori dalla finestra, aveva visto Jacinda che stava esplorando la casa e il giardino. Tuttavia, quando il sole era ormai prossimo al tramonto, l’aveva trovata raggomitolata su un divano in salotto con un libro. Indossava un prendisole di cotone senza maniche, con un disegno a fiori e un corpetto che lasciava nude le spalle. Prima di partire, lui aveva ordinato al personale di fare qualche acquisto, così che avrebbe trovato qualcosa da indossare al suo arrivo. Anche lui si era cambiato e ora indossava un paio di pantaloni di cotone color sabbia, una camicia azzurra aperta sul collo e mocassini marroni. «Vieni a sederti qui ad ammirare il tramonto con me» disse, aprendo le porte scorrevoli che davano su una terrazza. «Berremo un bicchiere di vino prima di cenare.» Notò che esitava prima di annuire e raggiungerlo. «Hai intenzione di intontirmi con l’alcol prima di ottenere quello che vuoi?» gli chiese lei, caustica, seguendolo sulla terrazza. Gage capì che, sotto quella facciata impudente, era nervosa. Posò su un tavolo un secchiello del ghiaccio con una bottiglia di vino e due bicchieri che si era fatto portare da un domestico. «È questo il modo di mostrare la tua gratitudine?» ribatté con un’ombra di scherno. In realtà, non scherniva soltanto lei ma anche l’intera situazione. «Vedo che hai trovato i vestiti che ho dato ordine di comprare» aggiunse. «Sì, è stato... un pensiero gentile.»
«Ammetto di essere sorpreso che tu abbia scelto proprio questo prendisole.» Era evidente che non indossava reggiseno e, vedendo come il leggero tessuto di cotone aderiva alla sua snella figura, Gage non riuscì a restare indifferente. «Ho deciso di vestirmi in modo adeguato alla parte.» Non era necessario che specificasse a quale parte alludeva. A quella di amante. «Stai facendo un buon lavoro» le fece i complimenti, con un mezzo sorriso. «Quanto meno, quella che ritengo sia la parte. Non ho idea di come si comporti un’amante.» Sempre sorridendo, Gage versò il vino nei bicchieri. «Lo stesso vale per me» disse, porgendogliene uno. «Sei la mia prima.» Jacinda non nascose lo stupore mentre accettava il bicchiere. Le loro mani si sfiorarono e il vino minacciò per un attimo di traboccare. «Ex moglie, sì. Amante, no» spiegò Gage. «Com’è possibile?» «Semplice. Scelgo con cura le donne che frequento, ma non mi interessa averne a... disposizione una in particolare.» Fino a quel momento. A pagamento. La vide arrossire all’allusione alla sua nuova condizione di mantenuta. «Come facevi a sapere che taglia porto?» «Ho controllato i vestiti nella tua stanza prima di partire da New York.» Lei lo fissò a bocca aperta. «Credevi di essere l’unica capace di frugare tra i beni personali di qualcuno?» Jacinda arrossì di nuovo.
La verità era che anche Gage aveva svolto indagini approfondite. «So anche che, a Londra, tu sei una dirigente della Winter & Baker.» «Attualmente in permesso.» «Giusto. Comunque un incarico di tutto rispetto.» «Sono brava nel mio lavoro.» Gage sollevò il bicchiere in un tacito brindisi. «Ho sempre ammirato chi è in grado di intuire le tendenze. Crearle, perfino. In un certo senso, è quello che hanno in comune la pubblicità e la finanza.» «Come hai scoperto che lavoro faccio?» «Con una semplice ricerca on line. Volevo assicurarmi che non mi avessi mentito anche questa volta.» Un’espressione colpevole le ò sul volto. Era troppo facile metterla a disagio, anche se dimostrava di essere combattiva, pensò lui con rispetto. «Che cos’altro hai scoperto?» Jacinda si sedette in una delle poltroncine di vimini e lui fece altrettanto, osservandola mentre chiudeva gli occhi e offriva il viso alla calda brezza dell’oceano. «Preferisci le melodie romantiche. Celine Dion, Natalie Cole e Alicia Keys.» Lei aprì gli occhi e lo guardò. «L’hai scoperto grazie a una ricerca su Internet?» «No. Dalle playlist sul tuo iPod. Ho dato un’occhiata mentre eri fuori.» «L’hai fatto per rivalsa?» «Semplice curiosità.» E Gage aveva scoperto che era così. Era sinceramente curioso di capire com’era
la donna che si nascondeva dietro una facciata falsa. «Cos’altro hai scoperto?» «Vivi a Londra. Hai un fratello più grande che si chiama Andrew, e che lavora per una finanziaria. I tuoi genitori, Eleanor e George, possiedono una loro attività di catering.» «Molto bene» mormorò Jacinda. «Merito degli articoli sui giornali dopo la morte di Marie.» «L’avevo immaginato.» «Hai una preferenza per i cosmetici MAC, i formaggi si e la linea di abbigliamento di Stella McCartney.» «Solo quella dei grandi magazzini, soprattutto nel mio recente ruolo di governante.» «Avrai un guardaroba griffato, te lo prometto.» Come Gage si aspettava, lei abboccò subito. «Mi hai già comprato abbastanza roba. Grazie.» «Non c’è di che, ma l’offerta è ancora valida.» Lei si limitò a serrare le labbra. «Hai frequentato la Woldingham School, quindi la facoltà si scienze delle comunicazioni al King’s College di Londra.» Doveva aver ricavato il suo curriculum vitae dal sito web della Winter & Baker. «Mi dispiace che i nomi non siano così altisonanti come Choate o Princeton» ribatté Jacinda. «Spero, comunque, che le mie qualifiche siano sufficienti per il ruolo di amante.» «Basteranno.» «È un sollievo.»
Quella volta, Gage non trattenne un sorriso. «Dovresti sapere che il sarcasmo non mi tocca.» «Hai dimenticato che mi piace sciare» disse lei, ignorando il suo commento. «Sono stata diverse volte sulle Alpi svizzere.» «Fantastico. Allora dovresti sentirti a casa a Vail. Vi possiedo uno chalet.» «Lo so» disse Jacinda in tono sarcastico. Per un attimo, anche se con riluttanza, si scambiarono un’occhiata divertita. «Sei una brava cuoca... e una pessima governante.» «Ero impegnata in altre faccende.» Quella volta toccò a lui dire: «Lo so». I loro sguardi si incrociarono per un momento, prima che Gage si voltasse a guardare oltre la ringhiera della terrazza. «Il sole sta per tramontare.» «Sì.» Lui la osservò mentre, a occhi bassi, respirava l’aria dell’oceano, con un sorriso sulle labbra. «Ti piace qui?» le chiese. «È bello. Tranquillo.» Gage era contento che le piero le Bermuda. Da parte sua, ne era entusiasta, e adesso Jacinda non faceva che accrescerne la bellezza. Per lui. «Ho visto che prima esploravi la proprietà.» «È una villa stupenda.» «In una posizione perfetta.»
Appena l’aveva vista, Gage l’aveva comprata, attirato dalla tranquillità di quel posto isolato, su una delle migliori spiagge delle Bermuda. La proprietà era dotata di piscina, campo da tennis, cottage per gli ospiti e per la servitù, e giardini disegnati da architetti del verde. Jacinda si voltò a guardare gli ultimi raggi del sole e Gage ne studiò il volto, soffuso di luce dorata. Era veramente bella. I lineamenti classici avevano la trasparenza della porcellana, i capelli castani le formavano una cascata intorno alle spalle. Gli occhi, di un verde chiaro, erano ombreggiati da folte ciglia scure. Avrebbe potuto essere la protagonista, oltre che la creatrice, di una pubblicità. Ma anche se l’aveva accusato di volerla comperare come un oggetto d’arte da aggiungere alla sua collezione, la verità era che lui voleva possedere sia il suo corpo sia la sua anima. Rimasero in silenzio a osservare il sole che scompariva all’orizzonte, accompagnato dal mormorio delle onde che lambivano la spiaggia. Guardando il proprio bicchiere, quindi quello di Jacinda, e notando che erano vuoti, Gage si augurò che il vino avesse avuto un effetto rilassante su di lei. Si alzò. «Vieni, è quasi ora di cena.» Lei lo guardò per un attimo come se non lo vedesse, quindi si alzò, con l’espressione di chi è stata strappata ai propri pensieri, e lo precedette in casa. Seguendola, Gage la trattenne per le braccia da dietro e le posò un bacio sulla spalla nuda. «Dobbiamo assicurarci che tu prenda un po’ di sole in questi giorni» mormorò. Lei si immobilizzò. «Indossando cosa? Quel bikini striminzito che ho trovato insieme con gli altri vestiti?»
«C’è un bikini striminzito? Di che colore?» «Verde smeraldo, se vuoi saperlo.» «Mmh...» commentò lui, divertito. «Ricordami di dare una gratifica al personale.» Le strofinò il naso contro il collo e l’orecchio. «Non avevi detto che era ora di cena?» chiese lei con voce velata. «Quasi» la corresse Gage. «Non mi dispiacerebbe concedermi prima un piccolo preludio.» «Intendi dire interludio nel senso di interludio romantico?» replicò Jacinda mentre lui le scioglieva il nodo del top. «Tu cosa dici?» Il top le scese in vita e lui le prese i seni nelle mani a coppa. Quando tracciò dei cerchi intorno alle areole, lei gli si abbandonò contro con un gemito e, allungando le braccia all’indietro, si aggrappò alle sue cosce per sostenersi. «Ah, Jacinda» le sussurrò Gage. «Forse non ci fidiamo l’uno dell’altro, ma tra noi due ci sarà sempre questo, non credi, tesoro?» «Non so che cosa intendi dire.» Lui le ò la lingua lungo il contorno dell’orecchio e ne mordicchiò il lobo. «Bugiarda. Credo che tu lo sappia, invece.» Un attimo dopo la costrinse a girarsi tra le sue braccia e la spinse contro la parete, impadronendosi delle sue labbra. Jacinda sospirò quando la sua lingua le invase la bocca, e gli mise le braccia intorno al collo. Gage le sollevò la gonna, arrotolandola intorno ai fianchi, e le accarezzò la pelle morbida della coscia. Lei profumava di fiori, di sole e di aria salmastra. E lo stava conducendo alla
pazzia. Scostandole gli slip, si insinuò nel cuore caldo della sua femminilità, godendo nel vederla socchiudere le labbra mentre le si offuscava lo sguardo. «Lasciami entrare in te» mormorò con voce bassa e roca. «Era nei patti» replicò lei, e anche la sua voce era flebile. Gage si immobilizzò per un attimo. Che cosa si era aspettato? Tra di loro c’era un patto. Lei aveva accettato di diventare la sua amante, non se lo ricordava? Ma, dannazione, lo irritava che glielo avesse ricordato con tanta freddezza. Voleva coinvolgere anche la sua mente, le emozioni e le sue più sfrenate fantasie. Mirava a una sua totale capitolazione, patto o non patto. «Esatto, tesoro» disse a voce alta, facendola sussultare quando massaggiò il centro nevralgico del suo piacere. «Gage.» Jacinda si dimenò contro di lui. «Ah, Jacinda, lasciati andare.» In quel momento, per lui non c’era niente di più erotico che farle raggiungere l’orgasmo tra le sue braccia. Lei gli affondò le unghie nelle braccia. «Gage...» «Sì?» Un attimo dopo, la osservò inarcare la schiena mentre tutto il suo corpo era scosso da spasimi incontrollabili. «Credo di aver avuto la mia risposta» le mormorò all’orecchio, baciandola con dolcezza.
Si scostò e armeggiò con i bottoni della camicia, faticando a contenere l’eccitazione. Mentre si svestivano, si baciarono di nuovo, con crescente frenesia. Quando furono nudi, Gage si sedette sul bordo del letto e l’attirò davanti a sé, in piedi. Quindi si allungò a prendere dal cassetto del comodino un preservativo. Ma prima che potesse aprire la confezione, lei gliela tolse di mano e, dopo che gliela ebbe infilata, Gage si allungò sul letto, trascinandola con sé, così che lei si trovò a cavalcioni sopra di lui. Colse un lampo di sorpresa nei suoi occhi verde smeraldo. «Non faremo mai sesso nel modo tradizionale?» gli chiese Jacinda. «Cosa? Banale sesso senza fantasia? No, se posso evitarlo.» Mise entrambi in posizione, quindi la osservò e assaporò ogni istante mentre scivolava sopra di lui. «Muoviti per me, Jacinda» mormorò, prima di smarrire la ragione travolto da un’ondata di libidine e desiderio come non aveva mai provato per nessun’altra. Lei si mosse, abbassandosi e sollevandosi sopra di lui, e Gage la incitò chiudendole la bocca su un turgido capezzolo. Il silenzio della stanza era rotto solo dai loro gemiti e mugolii. Il ritmo divenne sempre più frenetico e, d’un tratto, lui la sentì contrarre i muscoli intorno al suo membro. Un secondo dopo, Gage si unì a lei, travolto da una marea di sensazioni paradisiache.
6
La mattina seguente, Jacinda fu costretta a venire a patti con la sua nuova condizione. Amante di un milionario. Era andata a letto con Gage ed era, ufficialmente e in ogni senso, una mantenuta. Avrebbe dovuto provare orrore, e in realtà si era sforzata di appellarsi al suo senso di indignazione. Invece, a essere sincera con se stessa, doveva ammettere che le era piaciuto fare sesso con Gage. Lui era un amante meraviglioso, e la sera precedente tra loro due era stato come accostare un fiammifero a una catasta di legna secca. Gli lanciò un’occhiata. Occupava una sdraio accanto alla sua, sul bordo della piscina, e stava leggendo un fax arrivato quella mattina. Pochi minuti prima le aveva spalmato la schiena di crema, e l’effetto delle sue mani sulla pelle le aveva procurato brividi di piacere, come anche la sua voce che mormorava parole di apprezzamento per il bikini ed era densa di promesse. Mentre lei stava ancora riprendendosi dalla magia del suo tocco, Gage, sembrava ora completamente concentrato su questioni di lavoro. Come era possibile che un uomo riuscisse a trasformarsi con tanta facilità da amante apionato in freddo magnate? Gage aveva detto di aver avuto un assaggio del tradimento. Poteva spiegarsi così, almeno in parte, la sua diffidenza, la sua capacità di chiudersi a riccio? La curiosità ebbe il sopravvento. «Mi è ato per la mente...» Gage alzò la testa, aspettando che continuasse.
«Mi è ato per la mente che, mentre io fingevo di essere quella che non sono, tu sei un maestro della finzione.» Lui posò il fax. Benché avesse gli occhi nascosti dagli occhiali da sole, Jacinda capì di avere tutta la sua attenzione. «Che cosa te lo fa pensare?» «Ti tieni strette le carte che hai in mano, metaforicamente parlando, e non le fai vedere a nessuno.» «Negli affari è considerata una dote.» «Sei enigmatico» insistette lei. «È tutto qui quello che hai scoperto dopo mesi ati a curiosare?» la canzonò lui. «Mi deludi.» «Avrei dovuto dire diffidente.» «Lo sono la maggior parte dei milionari ricattati.» Jacinda scosse la testa. «Credo che risalga a molto prima. Hai detto di aver avuto un assaggio del tradimento.» «Esatto. Si potrebbe dire che ho avuto guai con donne menzognere prima della tua recente esibizione.» «La tua ex moglie?» Gage storse le labbra. «È saltata fuori da una ricerca su Internet, vero?» «Google è uno strumento portentoso.» «Avrei dovuto immaginarlo.» «Ho sentito dire che i fondatori oggi sono straricchi.» «E hanno tradito la categoria rivelando informazioni personali sugli altri soci del club» disse Gage, in tono tutt’altro che benevolo.
«È un peccato per te.» «Sono ancor più dispiaciuto di non avere avuto l’occasione di finanziarli quando hanno iniziato» confessò lui, facendola sorridere. Quindi aggiunse: «Allora, che cosa ti piacerebbe sapere sul conto dell’orribile signor Gage Lattimer?». «Hai divorziato dopo neanche due anni di matrimonio.» Quella di Jacinda era un’affermazione, ma nascondeva l’implicito invito a sviluppare l’argomento. «Sì, ed è successo otto anni fa. Quando non ero ancora tanto ricco, ma ero comunque considerato un buon partito.» «Non ne dubito.» «Ed ero anche troppo innamorato per pensare di chiedere un contratto prematrimoniale quando ho conosciuto Roxanne. Aspirava a fare la cantante e stava cercando la sua grande occasione. Mi sono reso contro troppo tardi che ero io la sua grande occasione.» Ahi, pensò Jacinda. «Un anno dopo, quando mi ha chiesto il divorzio e ha tentato di ridurmi al verde, i miei avvocati hanno svolto alcune indagini.» Gage fece una pausa. «Hanno scoperto che aveva nascosto alcuni particolari interessanti sul suo ato.» Jacinda ebbe una strana premonizione e le si strinse lo stomaco. «Furti di carte di credito e l’abitudine a dare la caccia a uomini ricchi» proseguì Gage. «In altre parole, era quella che si può definite una donna interessata. Per sua sfortuna, quei piccoli particolari hanno influito sulla cifra stabilita per gli alimenti.» «Ma, da allora, ti è andata bene.» «Per forza, non ho più avuto mogli» commentò Gage con ironia. «Chissà come si è pentita di non essere rimasta, visto che adesso sei multimilionario.» «Può darsi, ma allora aveva messo gli occhi su un pesce più grosso. Io le ero
servito per essere introdotta in società, dopodiché non aveva più bisogno di me. Il divorzio le dava la libertà di dare la caccia a tipi ricchi che avevano le sue stesse priorità, e cioè essere accettati negli ambienti che contano e dare la scalata alla gerarchia sociale.» «Capisco.» Il guaio era che capiva fin troppo bene. In ritardo, purtroppo. Con la sua messinscena, aveva colpito un punto dolente di Gage. Non c’era da stupirsi che fosse andato su tutte le furie quando aveva scoperto il suo sotterfugio. Ai suoi occhi, lei era soltanto un’altra donna che l’aveva avvicinato assumendo un’identità falsa. L’unica differenza era che non l’aveva fatto per denaro, ma per carpire informazioni. Chissà quanto era costato a uno come Gage, cresciuto da genitori freddi e formali, aprirsi con un’altra persona. Era plausibile che, dopo il tradimento della ex moglie, si fosse di nuovo chiuso in se stesso. Che le avesse proposto di diventare la sua amante d’improvviso acquistava un senso, pensò Jacinda. Lui aveva già imparato a essere diffidente e cinico. «Perciò, quando hai scoperto che ti avevo ingannato» disse, ragionando a voce alta, «hai deciso di punirmi.» Lui inarcò un sopracciglio. «La notte scorsa ti è sembrata una punizione?» Jacinda si sentì avvampare. «Dal momento che siamo in argomento, parliamo della persona che ha influenzato la tua vita. Tua sorella.» L’allusione a Marie le strappò un sorriso malinconico. «Mia sorella era impulsiva... ma sempre piena di energie. Avevo quattro anni quando è nata, ed è stata un vulcano fin dal primo giorno.» Gage la guardò inclinando la testa. «Tu le assomigli. Avrei dovuto notare la somiglianza fin dall’inizio. I capelli castani e mossi, i grandi occhi verdi.»
Lei si agitò, innervosita dal suo attento esame, quindi annuì. «Sì, tranne che Marie era più bassa di cinque o sei centimetri.» «E tu sei sempre stata la sorella maggiore, responsabile.» «Posata, noiosa» aggiunse lei con una risata. «Non a letto.» Jacinda riusciva a malapena a distinguere i suoi occhi dietro le lenti scure e, in quel momento, la stavano fissando. Sospirò. «Non riuscivo a credere che Marie avesse una relazione clandestina e che non avesse detto niente a me.» «Probabilmente aveva i suoi motivi.» «E temo che sia a causa di quei motivi che è morta.» Gage annuì. «Capisci perché devo scoprire l’identità di quell’uomo? Mi aiuterai?» «Ho detto che l’avrei fatto.» Lei tacque per un attimo e, non trovando niente altro da aggiungere, indicò il fax. «Qualcosa di interessante?» «Soltanto una società di cui sono socio. In questo momento, hanno urgente bisogno di un aiuto nel campo del marketing.» Jacinda si incollò un sorriso affascinante sul volto. «Mettimi alla prova. Sono brava con gli slogan.» Lui rise. «Hai qualcosa che faccia rima con Mandew? È il cognome del fondatore, e si occupa di start-up per l’economia.» «Se vuoi di più, il tuo guru è Mandew.» Gage rise di nuovo. «Non male per un’idea tirata fuori sui due piedi. Intravedo gli inizi di una fantastica collaborazione.»
Lei trattenne il fiato. Restava da vedere quale tipo di collaborazione poteva esserci tra loro due, pensò, e comunque, la loro relazione si complicava ogni giorno di più.
Quando tornarono a New York, Gage era più rilassato di quanto si fosse sentito da un tempo immemorabile. La fuga con Jacinda alle Bermuda era stato il toccasana che l’aveva fatto ringiovanire. L’aveva battuta a tennis, ma aveva dovuto faticare, e avevano trovato anche il tempo per andare in barca a vela e fare sci d’acqua. Di sera, avevano cenato al chiaro di luna e avevano visitato i locali cittadini, dove si ascoltava musica e si ballava. E, naturalmente, le loro serate si concludevano a letto, dove facevano l’amore con foga apionata. In quei giorni, Gage aveva appreso alcuni particolari interessanti sul conto di Jacinda. Amavano tutti e due cimentarsi con le parole crociate. Lei era divertente, soprattutto quando messa alle corde, e aveva sempre la battuta pronta. Era in grado di parlare con competenza di qualsiasi argomento, dal mondo degli affari alle più recenti scoperte scientifiche. Erano arrivati a New York in tarda serata, in tempo per l’inizio del weekend. In quel momento, in cucina, Gage si versò una tazza di caffè e ne bevve un sorso, aspettando che Jacinda finisse di fare la doccia, si vestisse e lo raggiungesse. Mentre studiava la decorazioni dell’albero di Natale, non poté trattenere un sorriso. Forse quella sera l’avrebbe trascinata al Radio City Music Hall per l’annuale show natalizio. Poteva incaricare una delle sue assistenti di rimediare due biglietti, oppure potevano scegliere uno degli spettacoli in scena a Broadway. A Jacinda sarebbero piaciuti sia l’uno sia l’altro. Si chiedeva se avesse mai fatto un giro per la città, e ne dubitava.
Quel pomeriggio, potevano anche andare in giro a fare shopping. Gli vennero in mente nomi come Barneys, Bergdorf, Tiffany. Gage sorrise. Riusciva a immaginare quanto avrebbe protestato Jacinda se le avesse comperato un gingillo in una famosa gioielleria, e pregustava già la sua reazione. In quei giorni si divertiva, perfino troppo, a punzecchiarla. Avrebbe potuto abituarsi alla presenza di un’amante. Peccato che, in quel momento, l’unica donna che riusciva a vedere il quel ruolo fosse Jacinda. Ma non era attratto soltanto dal suo corpo. Lei era dotata di una mente sveglia, per non dire scaltra. Era stata abbastanza astuta da reggere una finzione che l’aveva ingannato per più di cinque mesi. Lei lo sfidava, lo incuriosiva, con il risultato che la desiderava sempre di più. Un rumore di i lo strappò alle sue fantasie. Quando Jacinda apparve, notò che indossava uno di quei jeans che, negli ultimi mesi, l’avevano fatto impazzire. Fasciavano tutte le sue curve ed erano abbinati a un top color arancio ruggine, altrettanto aderente. Il tutto era completato da stivali in pelle nera. Portava i capelli sciolti, come succedeva spesso negli ultimi tempi, e Gage ne era felice. «Ciao. Vuoi del caffè?» le chiese, andando a prendere un’altra tazza. «Stavo pensando a cosa potevamo fare oggi. Forse ti piacerebbe andare in giro a scegliere i regali di Natale. Ti va se iniziamo da Tiffany?» La osservò mentre lei aggrottava la fronte. Ci siamo, pensò, mascherando un sorriso. «In realtà, pensavo che saremmo andati all’appartamento di Marie.» Il buonumore di Gage si appannò. Studiando itinerari per la giornata non gli era nemmeno ato per la mente di includervi l’appartamento di Marie. «E perché dovremmo andarci?»
«C’è ancora tutta la sua roba. So che sembra assurdo, ma potremmo dare un’altra occhiata, nel caso ci sia qualcosa che finora ci è sfuggita.» «Sai che la polizia c’è già stata.» Jacinda annuì. «Ci sono stata anch’io, ma...» Lui posò la tazza sul banco invece di dargliela. «Jacinda, lascia che sia la polizia a occuparsi delle indagini.» Lei sollevò il mento con aria di sfida. «Hai detto che mi avresti aiutato.» «E l’ho fatto. Ho chiesto a McGray di interessarsi al caso.» «Che non hanno ancora risolto.» «Giusto. E potrebbe esserci un assassino a piede libero. Non è necessario che sia tu a rischiare, non ti pare?» Il pensiero di Jacinda esposta a pericoli lo metteva in agitazione. «Che rischi potrebbero esserci in una visita all’appartamento di mia sorella?» «Se il delitto è stato commesso da qualcuno che abita nell’edificio, e quel qualcuno scopre che tu vai in giro a curiosare, potrebbe innervosirsi.» Lei serrò le labbra, in un gesto che lui interpretò come di ribellione. «Sono stata discreta.» «Nessuno ti ha visto entrare o uscire dall’appartamento di Marie?» «Nessuno» confermò lei, quindi esitò. «Be’, tranne una volta, quando ho preso l’ascensore al sesto piano e nella cabina c’era Amanda Crawford.» Gage la guardò inarcando un sopracciglio. «Esattamente quello che intendevo.» Lei sembrava esasperata. «Non penserai che Amanda...?» «No, ma qualcun altro, in un altro momento, può averti visto o udito senza che tu te ne accorgessi.»
Lei girò sui tacchi. «Con o senza di te, io ci vado.» Gage girò intorno al banco e la trattenne per un braccio. «Allora, sarà con me. Ma prima facciamo almeno colazione.» Non era tipo da permettere a qualcuno di batterlo, ma lei l’aveva messo alle corde. Non le avrebbe permesso di entrare da sola nell’appartamento di Marie, sapendo che c’era un assassino in libertà. Jacinda si rilassò. «Preparo la colazione.» «No, me ne occupo io» la corresse lui, sorridendo della sua aria sorpresa. «Sono capace di preparare una misera omelette al formaggio.» «Questo è da vedere.» «Finora ho tenute segrete le mie doti culinarie perché mi divertiva che tu cucinassi per me» scherzò Gage. «Avrei dovuto intuirlo.» Un’ora più tardi, dopo una colazione deliziosa, si recarono nell’appartamento di Marie. C’erano due camere da letto, una cucina ordinata e un soggiorno, il tutto arredato in colori vivaci e mobili razionali. Sparsi qua e là c’erano numerosi scatoloni riempiti in parte. Fermandosi accanto a uno dei tanti nella camera da letto di Marie, Gage notò una foto in cornice, posta in cima al contenuto. La tirò fuori e la studiò. Marie e Jacinda sorridevano alla macchina fotografica. Giovani e spensierate, ognuna aveva il braccio intorno alla vita dell’altra. Jacinda lo raggiunse. «Quella è stata scattata durante una vacanza alle Canarie.» «Era ovvio che eravate molto legate» commentò Gage. Jacinda annuì e quando lui la guardò, vide che aveva gli occhi lucidi di lacrime.
Dannazione. Ecco un altro dei motivi per cui era stato riluttante a seguirla lì. Sapeva che sarebbe rimasta sconvolta dalla visita. «Diamoci da fare e finiamo il lavoro» suggerì in tono burbero. Lei indicò intorno a loro. «Rovista in giro e seleziona quello che ti sembra interessante. Tu guardi con occhi nuovi e potresti vedere qualcosa che a me è sfuggita.» Gage guardò la superficie sgombra di una scrivania lì vicina. «Sarei propenso a cominciare da e-mail e file di computer, ma immagino che la polizia li abbia già esaminati.» «Già» confermò Jacinda. «Ho saputo da Andrew che hanno sequestrato il computer e il cellulare di Marie appena le indagini si sono orientate su un probabile omicidio. A me non è rimasto altro che imballare i suoi beni personali.» Si strinse nelle spalle. «Non è molto, ma non voglio lasciare niente di intentato.» «D’accordo, allora io comincerò dal soggiorno, mentre tu ti dai da fare qui» suggerì Gage, cercando di mostrarsi ottimista. Jacinda annuì. Gage dubitava che avrebbero trovato qualcosa di interessante, ma un patto era un patto. Con quel pensiero in testa, tornò nel soggiorno, prese uno scatolone vuoto e si avvicinò a una libreria. Gli scaffali erano un ottimo posto per nascondere pezzi di carta o altri oggetti significativi. Mezz’ora più tardi, tuttavia, non si sentiva altrettanto fiducioso. Aveva scoperto che le letture preferite di Marie erano i romanzi popolari e alcuni classici, ma niente di più.
Dopo aver messo un paio di libri nello scatolone, afferrò il successivo dallo scaffale, una copia rilegata in pelle di Cime tempestose. Fece una smorfia. Aveva saputo che sua madre avrebbe voluto chiamarlo Heathcliff, tutt’al più abbreviato in Heath. Senza una particolare curiosità, aprì il libro e ne sfogliò le pagine. Un attimo dopo si impietrì. Invece di contenere pagine stampate, il libro era composto da fogli scritti a mano, in una calligrafia femminile. Sembrava che fosse un diario. Il diario di Marie. Imprecò sottovoce. Jacinda si affacciò alla porta della camera da letto. «Hai detto qualcosa?» Gage alzò la testa, e la sua espressione perplessa doveva aver parlato per lui perché Jacinda gli si avvicinò. «Che cosa stai guardando?» gli chiese. «Credo che sia il diario di tua sorella.» Jacinda scosse la testa, incredula. «Non sapevo nemmeno che ne tenesse uno.» «Non soltanto lo teneva» disse Gage, chiudendo il libro, «ma si è anche presa il disturbo di nasconderlo in quello che, all’esterno, sembra una copia rilegata in pelle di Cime tempestose.» «Oh, Marie» mormorò Jacinda, con gli occhi colmi di lacrime. «Perché tutti questi sotterfugi?» «Dobbiamo consegnarlo alla polizia.» «Non prima di averlo letto!» «Jacinda...» l’ammonì lui.
«Non qui» insistette lei. «Di sopra, nel tuo appartamento. Dovremo chiamare la polizia e consegnarlo. Ma c’è tempo.»
7
Nell’attimo in cui tornarono nell’appartamento di Gage, Jacinda si lasciò andare sul divano e aprì il volume. «Ha cominciato a scriverlo all’inizio dell’anno scorso» disse, mentre Gage si sedeva al suo fianco. «Riconoscerei la sua calligrafia dovunque!» Impaziente, lesse la prima pagina, che era una descrizione di una festa al Limelight. Niente di straordinario. Ciononostante, Jacinda era in preda alla tensione e le tremavano le mani al pensiero che forse avevano trovato la chiave per risolvere il mistero della morte di Marie. Continuò a sfogliare una pagina dopo l’altra, ma non sembrandole di procedere abbastanza velocemente, saltò alla fine del libro. L’ultimo scritto risaliva a due giorni prima della morte di Marie. Conteneva alcuni banali particolari su un suo potenziale affare immobiliare. Frustrata, Jacinda sfogliò il libro, soffermandosi su delle pagine a caso. ... ho visitato il Met... ... comprato un vestito favoloso da Sacks... ... sto pensando di trasferirmi in un appartamento più grande... ... oggi ho chiamato casa... parlato con Jacinda... La vista del proprio nome scritto dalla sorella le procurò una fitta al cuore. Oh, Marie. Voltò le pagine rapidamente... finché Gage le bloccò le mani. «Jacinda, tutto questo non ti fa bene. Sei esausta.»
Lei liberò le mani dalla sua stretta e gli lanciò un’occhiata ribelle. «Devo!» Dopo un momento, lui sospirò, in apparenza rassegnato a lasciarla fare. Jacinda riprese a sfogliare le pagine. 6 settembre – Dovrò chiamarlo Ted perché non oso scrivere il suo vero nome nemmeno qui. Jacinda si immobilizzò. Ted doveva essere stato l’amante segreto di Marie. Colpito dalla sua reazione, Gage si protese a leggere al di sopra della sua spalla. Ci siamo dati appuntamento in uno dei migliori alberghi di NY. Lui ha i modi di un’altra epoca, a differenza della maggior parte degli uomini che conosco. Ed è fantastico a letto! Sapevo che era sbagliato. Lui è sposato, ma è stato più forte di me. Jacinda sentì un vuoto improvviso e sgradevole allo stomaco. «Marie aveva una relazione con un uomo sposato» disse con voce strangolata, come se dirlo a voce alta rendesse più facile crederlo. «Lo so. Stavo leggendo con te.» Angosciata, lei guardò Gage. «Perché non me ne ha parlato?» «Sono sicuro che non voleva deluderti.» Il volto di Gage esprimeva comprensione, perfino dolcezza. Se non fosse stata così sconvolta, Jacinda avrebbe trovato sorprendente quell’atteggiamento in un uomo altrimenti coriaceo. Annuì in silenzio, ma l’emozione ebbe comunque il sopravvento. Mentre i singhiozzi la squassavano, Gage le tolse il libro dalle mani e l’attirò tra le braccia. «Piangi pure» mormorò. «Sei stata anche troppo forte e coraggiosa.»
Lei gli nascose la testa nella spalla e Gage le accarezzò la schiena. Jacinda credeva di aver sparso tutte le lacrime di cui era capace sulla morte della sorella, ma quell’ultima scoperta aveva abbattuto le sue difese, lasciandola vulnerabile. Che ironia che a confortarla fosse proprio l’uomo che un tempo aveva sospettato di essere il responsabile della morte di Marie. Ma, in quel momento, non c’era nessun altro posto dove avrebbe voluto trovarsi se non tra le braccia di Gage. Le offrivano un rifugio che era al tempo stesso inaspettato e gradito.
Jacinda abbassò la testa per difendersi dal vento gelido che soffiava lungo Park Avenue mentre si dirigeva al 721. Il giorno prima, subito dopo la sua crisi di pianto, Gage aveva chiamato il detective McGray, quindi si erano recati al distretto di polizia. Gage si era presentato, poi aveva presentato lei come la sorella di Marie. Dalla sua espressione, era evidente che Arnold McGray era rimasto sorpreso nel vederli insieme. Senza fornire ulteriori spiegazioni, Jacinda gli aveva spiegato che stava imballando la roba della sorella e che Gage le dava una mano. La sorpresa del detective si era trasformata in interesse quando aveva saputo del diario di Marie. Aveva appreso senza muovere un muscolo che ora c’erano prove concrete della relazione segreta di Marie e, con un’occhiata a Gage, aveva promesso di fare di tutto per risolvere il caso. Jacinda si conficcò le unghie nei palmi. Lei aveva avuto ragione, e la polizia torto. In quel momento, entrando nell’atrio del 721 di Park Avenue, osservò distrattamente che non c’era ombra di portiere in vista.
Tuttavia, attraversando l’atrio diretta agli ascensori, udì delle voci provenire dal ripostiglio delle scope. E, dal tono di quelle voci, sembrava che due persone stessero litigando. Rallentò il o quindi, cedendo alla curiosità, si arrestò accanto alla scrivania del portiere. Il tappeto orientale che copriva il pavimento di marmo aveva attutito i suoi i, e non sembrava che le due persone nello stanzino si fossero accorte della sua presenza. Il livello del litigio era sorprendente. Nessuno discuteva, nemmeno bisbigliando furiosamente, nell’atrio del 721, che trasudava ricchezza, lusso e raffinatezza. Jacinda non poteva esserne sicura, ma aveva l’impressione che le voci appartenessero a Henry Brown e Vivian Vannick-Smythe. Si chiese di cosa si stesse lamentando Vivian, e si stupì che Henry rispondesse. Forse faceva il portiere da talmente tanto tempo da non temere più la collera della gelida matrona dell’edificio. Tese l’orecchio per cogliere qualche parola ma, dopo diversi minuti, non essendo riuscita a captarne neanche una, rinunciò. Non era da lei origliare. L’attimo successivo, tuttavia, invece di procedere verso gli ascensori, si scoprì ad avvicinarsi in punta di piedi allo stanzino. Aveva fatto quattro o cinque i quando le arrivò la voce di Vivian. «... Marie Endicott...» Jacinda si impietrì. Perché Vivian avrebbe fatto il nome di Marie durante una discussione con Henry? Scrollò il capo. Il suo udito le stava giocando un brutto scherzo? Era così ansiosa di risolvere il
mistero della morte della sorella da avere l’impressione che fosse tutto collegato a lei? Udendo un fruscio, si affrettò a girare sui tacchi e a dirigersi di nuovo verso gli ascensori. Un’occhiata al di sopra della spalla le permise di vedere Henry Brown emergere dallo stanzino e accigliarsi quando la scorse. Lei lo gratificò di un sorriso smagliante. «Salve» lo salutò. «Fa freddo oggi.» «Domani nevicherà sicuramente» rispose lui, rasserenandosi, ma non al punto di ricambiare il suo sorriso. Un secondo più tardi, uno dei cani di Vivian apparve al fianco di Henry e cominciò ad abbaiare. «Così ho sentito dire» disse Jacinda, affrettandosi a premere il pulsante per chiamare l’ascensore. Con la coda dell’occhio, notò che Henry si dava un gran daffare con alcune carte che aveva sulla scrivania mentre il cane al suo fianco le ringhiava contro minaccioso. Respirò di sollievo quando l’ascensore arrivò e lei poté finalmente rifugiarsi nella cabina. Soltanto quando le porte si richio, si rese conto che Vivian non era ancora uscita dallo stanzino. Appena arrivata di sopra, telefonò a Gage in ufficio. «Ciao. Va tutto bene?» le chiese lui. Jacinda trasse un respiro profondo. «Ecco, in effetti...» «Che cosa c’è?» si insospettì Gage. «Ho appena attraversato l’atrio e ho udito Vivian Vannick-Smythe litigare a
bassa voce con Henry Brown nel ripostiglio delle scope.» «E con questo?» ribatté Gage, rilassandosi. «Vivian è abbastanza scorbutica da sfogare il malumore su uno dei dipendenti dello stabile.» «Non ne sono sicura, ma mi sembra di averla udita fare il nome di Marie.» «E?» «Penso che Henry e Vivian possano sapere qualcosa che noi ignoriamo sulla sua morte.» Dopo un momento, Gage sospirò in modo udibile. «Jacinda, smettila di giocare a fare la detective dilettante. Soltanto perché Vivian ha nominato Marie non significa che c’entri con la morte di tua sorella. Da quando è successo, tutto l’edificio ne parla.» «Non mi credi?» Jacinda era delusa, come se l’opinione di Gage per lei contasse più di quella di chiunque altro. «Hai detto tu stessa di non essere sicura che abbia nominato proprio Marie.» «E poi c’è un’altra cosa che è strana. Hai notato che i pestiferi cagnetti di Vivian non abbaiano mai a Henry?» «No.» «Credo che tra quei due ci sia qualcosa che ci nascondono.» «È naturale che i cani non abbaino a Henry. Lui è il portiere, una figura a loro familiare.» «Mmh... penso che ci sia sotto di più.» «Jacinda, piantala» l’ammonì Gage, quindi aggiunse, colpito da un sospetto improvviso: «Qualcuno ti ha sorpresa a origliare?». Lei esitò. «Henry è uscito dallo stanzino e mi ha scorto mentre mi dirigevo agli ascensori.» Udì Gage imprecare sottovoce.
«Jacinda, per l’ultima volta, lascia che la polizia faccia il suo lavoro.» «Mentre io faccio il mio?» ribatté lei, sarcastica. «Vale a dire, mi prendo cura di te?» «Non era questo che intendevo.» «Allora, che cosa intendevi?» «Abbiamo appena trovato il diario di Marie, e tu sei ansiosa di scovare altre tracce. Ma lascia che le indagini della polizia seguano il loro corso e tu evita, nel frattempo, di lavorare di fantasia.» Quello che diceva era così ragionevole, così convincente... Forse Gage aveva ragione, pensò Jacinda. Dopotutto, il suo istinto si era già sbagliato una volta, quando aveva pensato che fosse lui il responsabile della morte di Marie. Da allora, il suo era stato un voltafaccia completo. Anzi, in quei giorni, più di ogni altra cosa temeva di innamorarsi di quell’uomo. «Non prendere iniziative fino al mio ritorno» l’ammonì Gage. «D’accordo» ripose lei con riluttanza. «Oh, Jacinda?» «Sì?» «Può darsi che faccia un po’ più tardi del solito, stasera.» «D’accordo. Va bene.» Dopo aver riagganciato, Jacinda si guardò in giro. Che cosa doveva fare un’amante nel proprio tempo libero? Andare per negozi? Invitare qualcuno a pranzo? Sfruttare la vettura con autista che Gage le aveva messo a disposizione?
Non conosceva nessuno abbastanza bene per un invito a pranzo. Elizabeth Wellington, della porta accanto, sembrava abbastanza simpatica, e lei sapeva che Gage e suo marito erano amici, ma in quei giorni, Elizabeth era occupatissima a fare da mamma a un bambino piccolo. Inoltre, nessuno era al corrente della sua trasformazione da governante in amante, e avrebbe fatto una strana impressione se lei si fosse messa a distribuire inviti a pranzo. No, l’unica cosa che in quel momento le premeva fare era risolvere finalmente il mistero della morte della sorella. Forse avrebbe potuto fare una eggiata. E che male c’era se i suoi vagabondaggi l’avessero portata al distretto di polizia? Che male c’era a riferire al detective McGray quello che aveva udito per caso? La polizia non avrebbe apprezzato qualsiasi traccia, anche se si fosse dimostrata falsa? Aveva detto a Gage che sarebbe stata tranquilla, ma questo non escludeva un’innocua eggiata per il quartiere.
Dopo la telefonata con Jacinda, Gage rimase a fissare l’apparecchio per qualche istante. Prendendo una decisione, staccò il ricevitore e compose il numero che aveva annotato due settimane prima. Al secondo squillo gli rispose una voce brusca. «McGray.» «Sono Gage Lattimer.» «In che cosa posso aiutarla?» Il detective sembrava già più attento. «Jacinda Endicott ha appena ascoltato senza volerlo una discussione nell’atrio dello stabile tra una delle residenti, Vivian Vannick-Smythe, e uno dei portieri, Henry Brown.» «E?»
«A quanto pare, la discussione verteva su Marie Endicott» spiegò Gage, omettendo di rivelare al detective che Jacinda non era del tutto sicura di ciò che aveva sentito. «Interessante.» «Lo penso anch’io.» «Può darsi che sia il caso di fare un’altra chiacchierata con la signora VannickSmythe e con Henry Brown.» «Può darsi» convenne Gage. «E, detective?» «Sì?» «Se scopre qualcosa di interessante, le sarei grato se mi informasse al più presto. Sono in contatto con Jacinda Endicott.» Non soltanto, ci vado anche a letto. «Non si preoccupi, sarà fatto» lo rassicurò McGray prima di porre fine alla comunicazione. Dopo aver riagganciato, Gage fissò pensieroso l’apparecchio. Era possibile che la traccia non conducesse a niente. D’altronde, era anche possibile il contrario.
8
Fu una vigilia di Natale dolceamara. La sua prima senza Marie. La sua prima con Gage. Jacinda cosparse di pinoli il filetto di sogliola che aveva davanti, sul banco della cucina. Quando era stato chiaro che Gage avrebbe trascorso il Natale da solo a New York, Jacinda aveva deciso di restare anche lei. Non che Gage glielo avesse chiesto, ma lei si era detta che, con i recenti sviluppi nel caso di Marie, non poteva permettersi di lasciare la città. Naturalmente, la versione più complicata, che lei si rifiutava di ammettere con se stessa, era che Gage rappresentava un ulteriore motivo per non muoversi da New York. Le piaceva la sua compagnia, e ne era fortemente attratta. In altre circostanze, conoscere un uomo come Gage l’avrebbe mandata in estasi. Ma lei era soltanto un’amante a tempo determinato, e la scadenza era la soluzione del caso di Marie. Doveva prepararsi ad affrontare con coraggio quel giorno perché, anche se Gage non aveva nascosto di essere molto soddisfatto della loro relazione, Jacinda sapeva che si era già scottato una volta in ato. E non si illudeva che avesse dimenticato che anche lei si era introdotta nella sua vita con l’inganno. Sospirò mentre si puliva le mani dalle briciole dei pinoli. Cucinare era un modo per sfogare energie e irrequietezza perché, per quanti progressi avessero fatto, accanto alla morte di Marie restava un grosso punto interrogativo.
La sua famiglia non era rimasta entusiasta quando aveva annunciato loro che avrebbe ato le vacanze sulla sponda opposta dell’Atlantico. Le erano sembrati preoccupati al pensiero che lei continuasse a macerarsi nel dolore. E lei non aveva voluto suscitare false speranze mettendoli al corrente dei recenti sviluppi, soprattutto della scoperta del diario di Marie. Dal momento che la sua famiglia sembrava ignorare quell’ultima novità, Jacinda aveva dedotto che il detective McGray doveva aver dato per scontato che l’avrebbero saputo da lei. Pensando al detective McGray, le tornò alla mente la visita che gli aveva fatto nel suo ufficio, il giorno prima. Proprio come Gage, anche lui non aveva dato eccessiva importanza alla discussione tra Vivian e Henry. Contrariata ma disposta a tenere a freno la lingua per non inimicarsi la polizia, aveva accettato l’opinione del detective con apparente calma. Tuttavia, in cuor suo continuava ad aggrapparsi alla convinzione che qualcosa di importante fosse trapelato dalla conversazione tra Vivian e il portiere. Così, eccola impegnata a convogliare le sue energie verso qualcosa di positivo, e cioè la preparazione di piatti che sarebbero stati l’orgoglio di un chef de cuisine. Per l’indomani, aveva in programma una tradizionale cena all’inglese, con tacchino ripieno, patate arrosto e il classico pudding alla frutta. Quella sera, invece, lei e Gage avrebbero consumato un pasto più leggero. Un delicato filetto di sogliola ai pinoli, con contorno di asparagi e couscous. Stava appunto infilando le sogliole nel frigorifero quando, dalla porta d’ingresso, le arrivarono delle voci. Si voltò, sorpresa, ma prima di poter reagire, Gage entrò seguito dal detective McGray. Vedendo l’espressione cupa di Gage, si innervosì. Cattive notizie la vigilia di Natale?
Pochi minuti prima, Gage era sceso nell’atrio a ritirare la posta. In quel momento si fermò e fece un cenno con il capo al di sopra della spalla. «Jacinda, conosci il detective McGray. L’ho incontrato dabbasso.» Lei uscì dalla cucina. «Detective McGray.» «Signorina Endicott» replicò lui, burbero. Se McGray trovava strano che lei stesse cucinando nella cucina di Gage, non fece commenti. «Vuole darmi il suo cappotto?» gli chiese. Era ridicolo. Sapeva che il detective era lì per discutere di qualcosa di molto importante, ma aveva l’impressione di vivere un’esperienza extra corporea. «Mi occupo io del cappotto, Jacinda» disse Gage. «Perché tu e il detective non vi sedete?» Alla sua occhiata interrogativa, Gage aggiunse: «C’è stato uno sviluppo nel caso». Jacinda e McGray presero posto sui divani, uno di fronte all’altro, e Gage li raggiunse subito dopo. Lei notò, non per la prima volta, che il detective McGray aveva l’aspetto di tutti i veterani della polizia di New York, oberati di lavoro e sottopagati. «Signorina Endicott, qualche ora fa abbiamo arrestato il senatore Michael Kendrick per l’omicidio di sua sorella» disse il detective, saltando i preamboli. Per Jacinda fu come un pugno allo stomaco. «Come?» «Abbiamo recuperato il nastro della videocamera di sicurezza sul tetto dell’edificio, quello relativo alla sera in cui è morta sua sorella. A quanto risulta, sua sorella e il senatore Kendrick hanno avuto un litigio e lui l’ha spinta nel vuoto.» Jacinda trasse un respiro profondo e sentì il pizzicore delle lacrime negli occhi.
Finalmente. Finalmente. La verità era venuta alla luce. Gage le accarezzò il braccio. «Va tutto bene?» Incapace di parlare, lei si limitò ad annuire. Alla fine, quando ritrovò la voce, disse: «Come mai? Secondo una vostra teoria, il responsabile dell’omicidio era uno dei residenti». «Tu non lo sapevi?» rispose Gage al posto del detective. «Fino a luglio, Kendrick ha abitato all’8C con sua moglie. Hanno traslocato e hanno messo in vendita il loro appartamento.» Proprio all’epoca in cui Marie era morta, pensò Jacinda. E subito prima che lei assumesse l’identità di Jane Elliott. «Abbiamo le prove che tra il senatore e sua sorella ci fosse un legame sentimentale» disse McGray. «La moglie del senatore sapeva che il marito la tradiva, ma non con chi. Probabilmente è questo il motivo per cui si sono separati. Oggi, quando abbiamo arrestato il senatore, Charmaine Kendrick ci ha consegnato delle lettere d’amore che aveva trovato, e che suo marito aveva ricevuto dalla sua anonima amante.» Jacinda si accigliò. «Mi sorprende che la moglie del senatore sia disposta a collaborare. Non sembra la tipica moglie di un politico.» «Non hai mai conosciuto Charmaine, vero?» le chiese Gage. «Ho la sensazione che fosse infelice con lui ormai da parecchio tempo. Ed essendo la moglie vilipesa, offrirsi di fornire le prove della colpevolezza di suo marito accresce il suo potere in un processo per divorzio. E credimi» aggiunse con amarezza, «ne so qualcosa di divorzi.» «Come avete fatto a trovare il nastro dopo tutto questo tempo?» chiese Jacinda a McGray. «L’abbiamo avuto da Vivian Vannick-Smythe.» Davanti all’espressione sbalordita di Jacinda, McGray si schiarì la gola e proseguì. «La signora VannickSmythe del 12A e il suo amante, Henry Brown, ricattavano i residenti di questo edificio.»
Jacinda lo guardò a bocca aperta. «Cosa? Come ha fatto a scoprirlo?» «Quando abbiamo interrogato Vivian e Henry a proposito di quanto era accaduto qui, all’inizio hanno negato ogni coinvolgimento.» Jacinda annuì. «Naturalmente.» Non riusciva a immaginare che l’algida matrona del dodicesimo piano ammettesse qualcosa. Era probabile che Vivian Vannick-Smythe si ritenesse contaminata per essere stata interrogata dalla polizia. «Ma Vivian si è innervosita quando le abbiamo detto che stavamo interrogando anche Henry Brown alla stazione di polizia» proseguì McGray con aria cinica. «Così ci ha proposto di fare un patto. Dopo aver conferito con il suo avvocato, naturalmente.» «Mi lasci indovinare» intervenne Gage. McGray sorrise, poi proseguì: «Ha accettato di collaborare dopo aver avuto la garanzia che non infieriremo contro di lei». «In pratica, ha deciso di vendere il suo amante» concluse Jacinda. «In sintesi, è così» disse McGray. «Per quanto possiamo dedurre confrontando le versioni di Vivian e di Henry, fin dall’inizio erano implicati tutti e due nei ricatti. Il nastro della videocamera sul tetto era l’arma con cui ricattavano il senatore Kendrick. Ecco perché non ce l’avevano consegnato.» Jacinda si conficcò le unghie nei palmi delle mani. Vivian Vannick-Smythe era un essere spregevole. Non aveva mostrato la minima considerazione per il dolore suo e della sua famiglia e, per motivi egoistici, aveva nascosto la prova cruciale, quella che avrebbe permesso di risolvere il mistero della morte di Marie. «Vivian ha accettato di collaborare in cambio dell’assicurazione che non la perseguiremo per ricatto e per aver occultato delle prove» disse McGray. «E Henry è crollato e ha parlato?» chiese Gage. Lo sguardo di McGray si spostò da Jacinda a Gage. «Dopo aver saputo che Vivian l’aveva accusato di essere l’ideatore dei ricatti, ha confessato di essere
stato l’amante di Vivian, e che lei l’aveva convinto a diventare suo complice.» Jacinda provò un moto di solidarietà per Henry, incastrato per una serie di reati mentre Vivian non avrebbe subito conseguenze per le sue azioni. «Ha detto che il nastro era uno degli elementi con cui ricattavano Kendrick» insistette Gage. «Ce ne sono altri?» Jacinda guardò i due uomini, perplessa. «Perché? Perché uccidere mia sorella? Non ha senso.» «Purtroppo, ne ha» la corresse McGray. «Probabilmente Kendrick sospettava che a ricattarlo fosse proprio lei.» Jacinda trasalì a quella rivelazione così imprevista. «Vede» proseguì il detective, «Henry ha confessato che, all’inizio, lui e Vivian ricattavano Kendrick minacciandolo di rendere pubblica la sua relazione extra coniugale, rovinandogli così la carriera politica.» «E dal momento che Kendrick era stato così prudente e discreto riguardo la sua storia con Marie» suggerì Gage, «deve aver dedotto che non poteva esserci che lei dietro il ricatto.» «Esatto» disse McGray. Jacinda scosse la testa, incredula. «Come hanno fatto Vivian e Henry a scoprire la loro relazione?» Guardando il detective, aggiunse: «Lei e io non abbiamo trovato niente, eppure tutti e due abbiamo ato al setaccio le cose di Marie». «Henry ha ammesso che lui e Vivian si sono introdotti nell’appartamento dei Kendrick quando abitavano qui. Suppongo che abbiano messo le mani su una o due lettere d’amore, come ha fatto poi la signora Kendrick.» «Ma perché noi non abbiamo trovato lettere nell’appartamento di Marie?» McGray si strinse nelle spalle. «È probabile che Kendrick le abbia distrutte. Dopo essere stato ricattato, si è innervosito, così deve essere entrato nell’appartamento di Marie per impadronirsene.»
Jacinda scrollò di nuovo il capo. «Come facevano a essere così discreti e, al tempo stesso, a lasciare in giro lettere d’amore?» McGray tossicchiò. «Le lettere d’amore erano firmate con nomignoli ed erano probabilmente consegnate a mano, oppure nascoste in luoghi che solo loro due conoscevano.» «Dunque, Vivian e Henry sapevano che Kendrick aveva una relazione extra coniugale con qualcuno» rifletté Gage, «ma hanno scoperto con chi soltanto quando hanno messo le mani sul nastro.» «È probabile che sia così» ammise McGray. «È un vero peccato che Kendrick non si fosse reso conto che c’era una telecamera sul tetto.» «Kendrick ha confessato di aver ucciso mia sorella?» chiese Jacinda. McGray sogghignò. «Kendrick è un politico... per di più, uno potente. Non ha ammesso niente, ma si è procurato un avvocato. Questa faccenda esploderà alla grande quando i giornali se ne impadroniranno. Al confronto, i problemi di Kendrick con il suo staff e le accuse della SEC sembreranno bazzecole.» «Adesso ricordo che Marie aveva accennato di lavorare come volontaria per la campagna elettorale del senatore Kendrick» rifletté Jacinda a voce alta. «Vivendo per di più nello stesso edificio, avevano una copertura perfetta.» Perché lei non aveva sospettato niente? Era stata troppo ingenua per credere che la sorella potesse avere una relazione con un uomo sposato? E potente? Oh, Marie. «Stando alla confessione di Henry Brown» proseguì McGray, «il senatore Kendrick è stato l’unico dei residenti del 721 a pagare il ricattatore. Tutti gli altri si sono rifiutati e si sono rivolti alla polizia.» «Kendrick è un idiota» borbottò Gage. Jacinda lo guardò. «Più che idiota. È un assassino.» Adesso che lo shock iniziale provato scoprendo chi aveva ucciso sua sorella si era attenuato, si ruppe la diga che aveva arginato la sua frustrazione.
Per sei mesi aveva condotto una battaglia solitaria. Il suo sospetto iniziale aveva trovato conferma: sua sorella era stata uccisa. Lei aveva avuto ragione, e la polizia torto. E, piuttosto che offrirle il suo aiuto disinteressato, Gage si era detto disposto a darglielo se avesse accettato di essere la sua amante. «Vorrei vedere il videotape» disse, rivolta al detective. Lui esitò. «È sicura di essere pronta? È questo che vuole? Noi cerchiamo di risparmiare alle famiglie i particolari più crudi.» Jacinda sollevò il mento. «Me ne parli.» McGray abbassò lo sguardo e studiò il tappeto. «Sembra che sua sorella e Kendrick stiano discutendo» disse in tono burbero. «Presumo che lui l’abbia attirata sul tetto con la promessa di un convegno tra amanti, mentre intendeva invece affrontarla e accusarla del ricatto. In ogni caso, sembra che Marie stia negando, scuotendo la testa poco prima...» Il detective non terminò la frase. «Poco prima che Kendrick la spinga nel vuoto» concluse Jacinda, trattenendo a stento le lacrime. «Tutti mi hanno scoraggiato, ma io sapevo, sapevo, fin dall’inizio che mia sorella non si era suicidata.» «Signorina Endicott, capisco che adesso lei sia sconvolta...» «È da sei mesi che sono sconvolta» lo interruppe bruscamente lei, quindi si alzò. «Grazie, detective. Apprezzo che sia venuto di persona a darmi la notizia.» Il suo tono era freddo, impersonale. Dopo un attimo di sorpresa, e dopo aver lanciato un’occhiata a Gage, McGray si alzò. «Le faccio le mie condoglianze, signorina Endicott.» Jacinda annuì, con aria assente.
«Accompagno il detective alla porta» la informò Gage. «Grazie» disse lei, a nessuno in particolare, quindi si voltò e uscì dal soggiorno. Aveva chiuso con la polizia... e con Gage.
«Tutto bene?» chiese Gage sulla porta della camera da letto padronale. «Tutto bene» rispose lei, senza guardarlo e continuando a riporre oggetti da toilette in una valigia. «Non hai l’aria di stare bene.» In realtà, pensò Jacinda, si sentiva come se avesse sostenuto nove round contro un avversario fantasma. Comunque, l’incontro era finito. Alla fine, l’assassino di Marie era stato individuato. Ma mentre lei era venuta lentamente a patti con la perdita della sorella nel corso dei mesi ati, adesso doveva affrontare la prospettiva di perdere anche Gage. Le faceva male il cuore. Subito dopo si riscosse. Era assurdo soffrire. Aveva più senso essere arrabbianti, anzi, furibondi con Gage. L’aveva costretta a pagare per avere il suo aiuto. Poi, se n’era lavato le mani, più interessato a continuare la loro relazione piuttosto che ad aiutarla a risolvere un delitto. Ma ora che il caso di Marie era chiuso, e il loro accordo non aveva più valore, non gli avrebbe permesso di gettarla da parte come un giocattolo rotto. Doveva proteggersi battendolo sul tempo e dicendogli addio per prima. «È tardi a Londra, ma dovrò chiamare Andrew... e i miei...»
«C’è tempo» replicò Gage. «È sempre stata la tua filosofia, vero?» Gage aggrottò la fronte. «In che senso?» «Nel senso che non ti sei mai dimostrato troppo ansioso di aiutarmi a risolvere l’omicidio di Marie. Andiamo alle Bermuda, Jacinda» disse lei, facendogli il verso. «Lasciamo che la polizia faccia il suo lavoro, Jacinda.» Gage si accigliò ancor di più. «In realtà, eri felice che le indagini andassero a rilento, a condizione che continuassi a essere la tua amante!» Jacinda rimase soddisfatta nel vederlo impallidire. «Volevi soltanto toglierti una soddisfazione... continuare a punirmi per averti ingannato!» «È questo quello che credi?» «È quello che so» ribatté lei, chiudendo la cerniera della valigia e prendendo la borsetta. «Il caso di Marie è stato risolto perciò, secondo le clausole del nostro patto, la nostra relazione è finita.» Jacinda si diresse alla porta. «Dove stai andando?» chiese Gage. «A casa, a prendere la mia roba» rispose lei, senza guardarlo. «Se mi sbrigo, potrei anche riuscire a tornare a Londra prima che le feste siano finite.» Era sull’orlo delle lacrime, ma le trattenne. «Che splendido regalo sarebbe!» Che Natale deprimente, pensò tra sé. Ciononostante, continuò a camminare, anche se le tremavano le gambe. Fu soltanto quando si trovò sul marciapiede fuori dall’edificio, e alzò una mano per chiamare un taxi, che diede libero sfogo alle lacrime.
9
Dannazione. Appena udì la porta d’ingresso chiudersi alle spalle di Jacinda, Gage avvertì lo strano silenzio di trovarsi da solo la vigilia di Natale, in una città di oltre otto milioni di abitanti. Era tentato di seguire Jacinda, ma vinse quell’impulso. Lei l’aveva confuso accusandolo di non essersi impegnato per risolvere l’omicidio di Marie perché già pago di averla come amante. La sua reazione istintiva era stata di negarlo, poi si era trattenuto. Si era costretto a mettere a confronto motivazioni che, in precedenza, non era stato disposto a esaminare. L’accusa di Jacinda corrispondeva a verità. Almeno in parte. Gage si ò una mano nei capelli e girò lo sguardo sulla camera da letto. Jacinda vi aveva lasciato la sua impronta. Nell’aria permaneva il suo profumo. Gage guardò il letto e ripensò alle notti apionate che vi avevano trascorso insieme. Tra le sue braccia aveva provato un senso di sollievo – no, di libertà – che non aveva provato con nessun’altra donna. Lei era ambiziosa ma comprensiva, esattamente quello che lui stava cercando. Era ricorsa all’inganno per insinuarsi nella sua vita, tuttavia, una volta entrata nella sua casa, era diventata una parte della sua vita della quale non poteva fare a meno.
E adesso se n’era andata. La nostra relazione è finita, aveva detto. Era vero che aveva stretto un patto con lei, uno di cui, in retrospettiva, non andava molto orgoglioso. E adesso che Kendrick era stato arrestato, Jacinda non aveva più motivo di restare. Non c’era modo di indurla a restare... a meno che, forse, lui non avesse rischiato il tutto per tutto. Era tempo di dimenticare il ato. Di lasciar perdere che la loro relazione era partita con il piede sbagliato, con un delitto seguito da inganni e un patto spregevole. Soprattutto, era tempo che lui si liberasse del fardello amaro del suo divorzio, che aveva contribuito a guastare la sua relazione con Jacinda. Gage controllò l’ora. Erano le quattro e qualche minuto. Se si fosse sbrigato, avrebbe avuto il tempo di scegliere un nuovo regalo di Natale per Jacinda, quindi raggiungere il suo appartamento prima che lo lasciasse per recarsi all’aeroporto. Contava sul fatto che avrebbe impiegato un po’ di tempo per fare le valigie e contattare una linea aerea. Comunque, se fosse stato necessario, l’avrebbe seguita fino a Londra. Aveva già scelto un costoso e raffinato orologio d’oro per lei, ma decise di conservarlo per un domani. Sempre che ci fosse un domani. Al momento, doveva trovare qualcosa di più significativo. Era anche pronto a scommettere che il suo autista ricordasse l’indirizzo di Jacinda. L’aveva accompagnata spesso a fare commissioni o al suo monolocale, ogni volta che doveva andare a prendere qualcosa che le serviva. Uscendo dalla camera da letto, trovò il suo cellulare e chiamò l’autista, chiedendogli di tenersi pronto, subito. Nell’atrio, afferrò il cappotto, se lo infilò e, quando aprì la porta, si imbatté nei Wellington. Loro si voltarono a guardarlo, sorpresi. Elizabeth teneva in braccio Lucas e Reed
aveva appena infilato la chiave nella serratura del loro appartamento. «Buone feste, Gage!» gli augurò Elizabeth. Al momento, a Gage non sembravano per niente allegre, ma si augurava di porvi rimedio. «Hai sentito le novità?» chiese Reed. «Siamo appena stati contattati dalla polizia.» Dunque, il detective McGray e i suoi colleghi non avevano perso tempo, pensò Gage. Le notizie si diffondevano in fretta. Presto se ne sarebbe impadronita anche la stampa, sempre che non fosse già successo. «Ho sentito» rispose Gage, laconico. Reed lo guardò con maggiore attenzione. «Qualcosa non va? La polizia ha chiamato anche te?» «In effetti, il detective McGray in persona mi ha fatto visita.» «Sorprendente» mormorò Reed, perplesso. «Non proprio, dato che la mia governante è la sorella di Marie Endicott.» I Wellington lo fissarono, increduli. Reed fu il primo a riprendersi. «Ti sei dedicato a risolvere delitti nel tuo tempo libero, eh?» commentò con sarcasmo. «Sapevo che c’era sotto qualcosa, tra te e Jane!» esclamò Elizabeth. Gage premette il pulsante dell’ascensore. «Si chiama Jacinda e al momento devo raggiungerla prima che salga a bordo di un volo per Londra.» Per la prima volta, notò il quadretto di felicità familiare che i Wellington offrivano. Una coppia felicemente sposata, con un bambino e un secondo in arrivo. Era quello che lui avrebbe potuto avere. Era quello che lui voleva. D’un tratto, ebbe una chiara visione del futuro.
Se si fosse affrettato. «Naturalmente» lo sollecitò Reed. «Non vogliamo trattenerti.» «Buona fortuna!» gli gridò Elizabeth mentre le porte dell’ascensore si aprivano e Gage entrava nella cabina. «Grazie» rispose lui prima che le porte si richiudessero. L’autista arrivò pochi minuti dopo che Gage aveva raggiunto il pianterreno. E, per fortuna, ricordava di aver portato un paio di volte Jacinda in York Avenue, dove aveva il suo monolocale. Dopo una rapida deviazione per procurarsi il regalo per Jacinda, l’autista si diresse verso York Avenue. Procedevano lentamente perché era l’ora di punta e c’era anche un notevole traffico pedonale. Gage tamburellava con le dita sul bracciolo del suo sedile. Quando arrivarono all’indirizzo di Jacinda, balzò a terra e imprecò tra i denti vedendo che l’edificio era munito di telecamera di sicurezza, ma non c’era un portiere. ò in rassegna le targhette del citofono e respirò di sollievo constatando che il nome Elliott era scritto sotto il camlo dell’appartamento 5B. Sapeva che lei poteva rifiutarsi di farlo salire, comunque suonò e aspettò. Quando non ci fu risposta, provò di nuovo... e di nuovo. Lo stava ignorando? Oppure, e quel pensiero lo gettò nel panico, era arrivato troppo tardi e lei era già diretta all’aeroporto? Per fortuna, gli furono risparmiate ulteriori angosce quando comparve uno dei residenti. Sorrise all’anziano signore e, mentendo spudoratamente, confessò di non riuscire a trovare la propria chiave.
L’anziano diede un’occhiata al suo costoso vestito e gli permise di seguirlo all’interno. Arrivato al quinto piano, Gage si fermò davanti all’appartamento 5B e bussò. Quando non ricevette risposta, guardò la fessura tra la porta e il pavimento. Nessuna luce. Nessun rumore. Dannazione.
Jacinda era pronta a giurare che, in quel momento, non ci fosse un solo taxi libero in tutta Manhattan. Avanzò lungo la 82esima strada, tirandosi dietro il trolley. Era ancora sotto shock per gli avvenimenti della giornata. Il senatore Kendrick era stato arrestato per la morte di sua sorella. Una volta arrivata nel suo monolocale, aveva cercato su Internet la foto del senatore. Appena l’aveva vista, le si era accesa una lampadina. Kendrick era alto, con capelli neri, occhi neri e una fossetta ben visibile. In seguito, aveva chiamato i suoi a Londra per informarli che il mistero della morte di Marie era stato risolto. La telefonata era stata un supplizio emotivo. Insieme con la madre, aveva sparso lacrime in abbondanza. Aveva concluso dicendo ai suoi che avrebbe tentato di trovare un posto su un volo per Londra, anche se le probabilità erano contro di lei. Tuttavia, una delle cose che non aveva previsto era quanto sarebbe stato difficile trovare un taxi. Alla vigilia di Natale, Manhattan era invasa da una folla di turisti e di gente in giro a fare shopping. Oltretutto, aveva freddo, era infelice e sempre più demoralizzata e depressa.
Naturalmente, avrebbe potuto prendere il treno navetta per l’aeroporto o uno dei bus che partivano dalla 42esima strada. Ma, in entrambi i casi, avrebbe dovuto raggiungere il luogo di partenza con la metro, e la fermata più vicina distava diversi isolati. Ciononostante, cominciava a rendersi conto che quella era la sua unica alternativa. Voltando l’angolo tra la 82esima e York, alzò la testa... e si arrestò di colpo. Gage. Era chino, affacciato al finestrino dal lato del eggero di una limousine nera, intento, a quanto sembrava, a parlare con l’autista. Lei rimase immobile sul posto mentre lui si raddrizzava e perlustrava la strada in su e in giù. Quando il suo sguardo si posò su Jacinda, si bloccò. Lei non era sicura di riuscire a sopportare un altro incontro. Perché si trovava lì? Dopo un momento, Gage andò verso di lei, con un’espressione indecifrabile sul volto. Le si fermò davanti, diede un’occhiata alla valigia, quindi la guardò. «Ti occorre un aggio?» La sua era un’offerta provvidenziale. Oppure no? «Devo andare all’aeroporto» disse Jacinda, sollevando il mento. «L’avevo immaginato» replicò Gage. Lei lo guardò con diffidenza. «Qui non troverai un taxi.» «E tu intendi costringermi ad accettare un aggio da te, così come mi hai costretta a diventare la tua amante?»
Lui contrasse la mascella, quindi si rilassò. «Suppongo di essermelo meritato.» Quel mea culpa la colse di sorpresa. Gage indicò la vettura alle sue spalle. «Comunque, l’offerta è sempre valida.» Jacinda esitò, quindi si mosse, anche se con riluttanza. «Accetto, ma solo perché sei la mia unica alternativa.» Quando gli fu vicino, lui si chinò e afferrò il manico della valigia, obbligandola a fermarsi. «Questa la prendo io» disse. Lei lo guardò, e i loro volti quasi si toccarono. «Bene. Grazie.» C’è qualcosa di più esaltante di un milionario che si offre di portarti la valigia?, si disse Jacinda. Le sue amiche e le colleghe dell’ufficio di Londra avrebbero pensato che fosse pazza a rinunciare a un tipo come Gage. Subito dopo si riscosse da quei pensieri. Non era affatto pazza. Stava facendo la cosa giusta. Dopo aver messo la sua valigia nel baule della vettura, Gage le aprì la portiera. Lei salì e sprofondò nei morbidi sedili. Gage salì dalla parte opposta, dopo aver scambiato una parola con l’autista. Avendo notato che un vetro isolava loro due dal conducente, Jacinda decise che la cosa migliore era guardare fuori del finestrino. La vista della folla frettolosa e carica di pacchi e sacchetti la immalinconì. Tutto il mondo sembrava felice... tranne lei. «Jacinda?» «Mmh?» «Guardami.»
Lei voltò la testa. «È un ordine?» «È una richiesta.» «Molto generoso da parte tua.» «So che ti ho fatto soffrire.» «La morte di Marie mi ha fatto soffrire.» «Sono stato un imbecille.» «Bene, un punto a tuo favore per essere capace di ammetterlo!» «Comunque, devi sapere che ho subito telefonato alla polizia per riferire i tuoi sospetti su Vivian e Henry, dopo che me ne avevi parlato.» La sua dichiarazione la sorprese. «Davvero?» Lui annuì e, per la prima volta, Jacinda ebbe l’impressione di scorgere un’ombra di vulnerabilità sul suo volto. «Il detective McGray non ha dato molta importanza ai miei sospetti quando l’ho messo al corrente del litigio tra i due.» «Probabilmente perché a quel punto ne era già informato» disse Gage. «L’ho chiamato subito dopo la tua telefonata.» «Oh.» Quindi, non aveva liquidato come insignificanti i suoi sospetti. «Henry ha confessato alla polizia che lui e Vivian erano in disaccordo sulla spartizione del denaro estorto al senatore» proseguì Gage. «Secondo i patti, a Henry sarebbe spettato il venticinque per cento dei soldi ricavati dai vari ricatti, ma visto che nessuno, tranne il senatore, ha pagato, Henry ha ritenuto che gli spettasse una percentuale più alta. Era di questo che stavano discutendo nel ripostiglio quando tu li hai sorpresi.» Gage fece una pausa prima di aggiungere, con sarcasmo: «Avrei dovuto intuirlo che non mi avresti dato retta e che non te ne saresti stata tranquilla». «Certo, e avevo ragione ad andare alla polizia.»
«Mi hai accusato di non essere interessato a risolvere il mistero della morte di Marie perché volevo prolungare la nostra relazione.» «Sì.» Jacinda si sentì avvampare perché adesso sapeva che la sua accusa non era del tutto fondata. «Perché non mi hai detto che avevi telefonato al detective McGray? Perché hai insinuato che, riguardo Vivian e Henry, mi stavo lasciando trascinare dalla fantasia?» Gage sospirò. «Dopo aver riflettuto, mi sono reso conto che la conversazione udita da te apriva nuove prospettive. Ma non volevo che tu corressi qualche pericolo. C’era un assassino in libertà, e la polizia era convinta che fosse uno dei residenti.» «Capisco.» Jacinda si sentì allargare il cuore. Gage teneva a lei. «E le tue accuse erano giuste soltanto in parte.» Cogliendo l’espressione del suo sguardo, lei trattenne il fiato. «Volevo prolungare la nostra relazione, ma non come punizione» disse Gage, guardandola negli occhi. «La verità era che ti volevo. Mi stavo innamorando di te.» Lei socchiuse le labbra. «Sono innamorato di te, Jacinda.» A quelle parole, il cuore le batté come un forsennato contro le costole. «Sono stato uno stupido, ma erò il resto della mia vita a ricompensarti, se me lo permetterai.» Jacinda avvertì il pizzicore delle lacrime. «Comunque, è una decisione che spetta a te» proseguì Gage, e nei suoi occhi riapparve quella traccia di vulnerabilità che lei vi aveva scorto poco prima. «Ti
accompagnerò all’aeroporto, ti lascerò tornare a casa dalla tua famiglia, e non ci rivedremo mai più, se è questo che vuoi.» «Non... non... puoi essere innamorato di me» balbettò lei. «Perché no?» la contraddisse Gage, guardandola con tenerezza. «Di solito, siamo due persone diffidenti, ma abbiamo abbassato la guardia l’uno nei confronti dell’altro.» «Non puoi...» «Che cosa ci vuole per convincerti?» scherzò Gage, tastandosi la giacca come se cercasse qualcosa. «Magari il tuo regalo di Natale?» Mentre infilava una mano in tasca, Jacinda sgranò gli occhi. «Avevo scelto un oggetto per te ma, quando hai lasciato l’appartamento, mi sono reso conto che questo era più adatto.» «Io non ho qui con me il tuo regalo! L’ho...» «Gettato nel secchio della spazzatura?» terminò Gage per lei. «Ho lasciato a casa la cravatta.» «Ne avevo proprio bisogno.» «Che cosa consigli di regalare a un milionario?» ribatté acida. «Ho parecchi suggerimenti su cosa potresti dare a questo milionario, e che lo farebbe molto felice» rispose lui in un tono così allusivo che lei si sentì avvampare. Gage estrasse una scatoletta da gioielliere, l’aprì, e Jacinda sentì che le si fermava il cuore. Un diamante di forma rotonda, incastonato in un intreccio di filigrana, brillava su un fondo di velluto. «È un gioiello di famiglia» spiegò Gage. «La mia ex moglie non l’ha mai indossato perché era interessata a oggetti più vistosi. Strada facendo, mi sono
fermato da un amico gioielliere che conserva alcuni oggetti per me nella sua cassaforte.» Jacinda aveva la gola chiusa per l’emozione. «È bello.» Gage le prese la mano. «Jacinda, mi vuoi sposare?» «Ma... ma io non ho detto di amarti!» «Ti accetterò a qualsiasi condizione.» «Non ti arrendi mai?» Le sfuggì una risata che era un mezzo singhiozzo. «Non quando è in gioco qualcosa che desidero tantissimo. Ti amo, Jacinda.» Le lacrime le rigarono le guance. «In questo caso, sei proprio fortunato, perché ti amo anch’io!» «Ah, tesoro.» Gage le asciugò una lacrima con il pollice. «Non piangere.» «Pare che non riesca a farne a meno.» L’attimo seguente, Gage la prendeva tra le braccia e la stordiva di baci. Quando alla fine si separarono, lei gli posò le mani sul torace. «Come potrà funzionare?» gli chiese, in tono un po’ preoccupato. «Tu vivi a New York e io a Londra.» «Ho una casa a Londra. Se vogliamo, riusciremo a trovare una soluzione.» «La mia ditta ha una filiale a New York. Potrei sempre chiedere il trasferimento.» «Tu faresti questo per me?» «Vorrei continuare a lavorare, ma sono ancora disposta a essere la tua mantenuta» lo provocò lei. Gage gemette. «Dovrò sudare sette camicie per fartelo dimenticare.»
Jacinda ridivenne seria. «Firmerò un contratto prematrimoniale. So che la tua ex moglie...» «Non voglio contratti con te» la interruppe lui. «Tesoro, sono disposto a restare tuo schiavo d’amore per il resto della mia vita.» La risata di Jacinda sapeva di lacrime. «Sei sempre decisa ad andare all’aeroporto? Perché lo capirei se tu volessi are le vacanze di Natale con la tua famiglia, soprattutto dal momento...» Lei scosse la testa. «Ho già dato loro la notizia per telefono. No, voglio are il venticinque con te, Gage. Il mio posto è qui, accanto a te.» L’espressione che gli lesse negli occhi le gonfiò il cuore di gioia. «Ma sarei felice se venissi quanto prima a Londra con me per conoscere i miei.» Gage le afferrò la mano e se la portò alle labbra. «Naturalmente. Che cosa ne dici di andarci subito dopo Natale?» «Dico che è perfetto.» Dopo aver dato istruzioni all’autista di invertire la marcia e tornare in città, Gage l’attirò a sé. «Vieni qui e permettimi di mostrarti come consegnare un regalo di Natale che apprezzerei davvero molto.» Jacinda rise, quindi lanciò un’occhiata all’autista. «Gage, non siamo soli!» «Ecco a che cosa servono il divisorio e i finestrini fumé» replicò lui. Da quel momento furono così presi l’uno dall’altro che non ci fu più bisogno di parole.
Epilogo
«CHE COSA STAI facendo?» chiese Gage, incuriosito. Jacinda smise di guardarsi intorno. «Prendo appunti.» «A che proposito?» Erano al secondo matrimonio di Carrie e Trent Tanford, una festa sontuosa all’ultimo dell’anno. Dopo la cerimonia in chiesa, si erano trasferiti nella sala da pranzo del Metropolitan Club, uno spazio di marmo bianco su due piani, con una doppia scalinata a un’estremità e un camino enorme all’altra. Da dove erano seduti, Jacinda girò lo sguardo sull’ambiente. «Dettagli matrimoniali. Voglio che il nostro sia perfetto.» Anche Gage osservò l’ambiente, decorato in argento, oro e bianco, tenendo a mente sia il tema delle nozze sia quello della vigilia di Capodanno. «Stai pensando di scegliere il rosa e l’oro per il nostro matrimonio?» chiese, non resistendo all’impulso di prenderla in giro. «Ridi pure se vuoi» ribatté lei, fingendosi offesa. Gage era rimasto soddisfatto nel notare che, negli ultimi tempi, Jacinda aveva un’espressione luminosa e raggiante. Una volta che Kendrick era stato arrestato per la morte di Marie, aveva ammesso di essere pronta a riprendere la propria vita, dopo sei mesi ati in una specie di limbo. E quando la sua vera identità era stata rivelata agli altri residenti del 721 di Park Avenue, tutti l’avevano accolta nella loro cerchia ristretta, trattandola come un’altra vittima dei reati che erano stati perpetrati nell’edificio. «Sai, anch’io sto prendendo appunti» disse Gage, accarezzandola con gli occhi. Lei parve sorpresa, felice. «Su cosa?»
Chinandosi, lui le bisbigliò all’orecchio. «Su come farò per tirarti fuori da questo vestito.» Jacinda gli diede uno schiaffo scherzoso sul braccio. Lui la divorò con lo sguardo. Era semplicemente stupenda. Il vestito di satin color rosso cremisi, con la scollatura a V, era quello che le aveva comprato da Saks un paio di giorni prima. Senza maniche, l’abito metteva in mostra e valorizzava le spalle e il collo. Lui aveva insistito per completare il tutto con una collana di diamanti e rubini, che le aveva mostrato a sorpresa poco prima di uscire per recarsi al matrimonio. «Di che cosa state cinguettando voi due colombi?» chiese Reed, seduto a tavola di fronte a loro. «Delle stesse cose di cui tu stai cinguettando con tua moglie» ribatté Gage, suscitando una risata generale. Distribuendo i posti, Carrie e Trent avevano riunito intorno a uno stesso tavolo molti dei residenti del 721 di Park Avenue. «Ne dubito» replicò Reed mentre, al suo fianco, una Elizabeth più radiosa che mai sorrideva. «A meno che non steste parlando di come combattere le nausee mattutine o dei della dentizione in un bambino di undici mesi.» Gage non aveva mai visto Reed più felice. La condizione di genitori si addiceva ai Wellington. Non avevano fatto altro che scambiarsi tenerezze per tutta la serata, in una delle loro rare uscite senza il piccolo Lucas. Ciononostante, Gage non resistette alla tentazione di prendere in giro il suo vicino. «Bravo, ci hai provato. Vallo a raccontare alla fata del dentino.» Ci fu un altro scoppio di risa. «Sul serio, Reed» intervenne Julia, «perché non ci fate un fischio se vi capita di essere in piedi alle due del mattino? L’altra notte, Emma ha tenuto me e Max svegli fino alle tre.»
Dalle foto che Gage aveva visto prima, i Rolland avevano avuto una bella femminuccia. «Ah, ecco che cosa ci aspetta» si lamentò Alex in tono scherzoso, mettendo un braccio sulle spalle di Amanda, la sua fidanzata. «Oh, piantala di fare quella faccia, Alex» replicò Reed, in tono bonario. «Abbiamo visto tutti come sei rimasto incollato ad Amanda per tutta la sera. Quando arriverà il momento, eggerai avanti e indietro con un fagotto frignante in braccio come tutti noi, e ti piacerà.» «Parlando di matrimoni» intervenne Sebastian, «Tessa e io speriamo che voi tutti verrete al nostro, tra un paio di mesi, a Caspia.» Jacinda batté le mani, entusiasta. «Io e Gage non mancheremmo per nulla al mondo. Non capita tutti i giorni di essere invitati al matrimonio di un erede al trono. Scommetto che ci saranno giornalisti da tutte le parti del mondo...» «Basta così» la interruppe Tessa, alzando una mano. «Il solo pensiero mi fa venire la nausea.» «Be’, noi tutti possiamo sopportare un po’ di attenzione dei media se riguarda argomenti piacevoli» commentò Gage. Sulla stampa non si era parlato d’altro che dell’arresto del senatore Kendrick. «Mi associo» disse Trent Tanford. Voltando la testa, Gage vide gli sposi che si avvicinavano al loro tavolo. «Siamo venuti a dirvi che, tra pochi minuti, ci sarà un ballo di mezzanotte per salutare l’anno nuovo» annunciò Trent. «Sarà un anno buono per noi tutti» disse Gage. «Vivian ha messo in vendita il suo appartamento e si è già trasferita altrove.» «Davvero?» esclamarono Sebastian e Trent all’unisono. Gage annuì; sapeva che i loro appartamenti erano sullo stesso piano di quello di Vivian e tutti e due non erano mai stati entusiasti della loro vicina. «L’unico
motivo per cui Vivian non è dietro le sbarre è perché ha collaborato con la polizia fornendo prove contro il senatore Kendrick e coinvolgendo il suo amante, Henry Brown.» «Quello che voglio sapere» disse Julia, «è come e perché. Come ha fatto?» «Buona domanda.» Gage guardò i commensali a uno a uno. «Probabilmente, molti di voi non sanno che il 721 di Park Avenue era di proprietà della famiglia di Vivian. Sono stati costretti a venderlo quando si sono trovati in difficoltà finanziarie, ma hanno conservato un appartamento, quello di Vivian. A quanto dice la polizia, il suo defunto marito era capo della sicurezza per l’edificio.» Reed fece una smorfia. «Dunque, Vivian, la regina di ghiaccio, non disdegnava di andare a letto con il personale.» «Ammetto che è interessante» commentò Gage, notando che aveva l’attenzione di tutti i presenti. «Significava anche che era a conoscenza dei sistemi di sicurezza dell’edificio.» «Perciò» concluse Max, «Vivian sapeva come introdursi nei vari appartamenti per sfruttare le indiscrezioni della gente a loro danno.» «Esatto» disse Gage. «In effetti, credo che sia il motivo per cui la SEC ha iniziato a indagare su di me e su Reed un paio di mesi fa. Vivian deve essersi introdotta nel mio appartamento, o in quello di Reed, e ha frainteso, forse di proposito, alcuni appunti relativi a una vendita di azioni effettuata da entrambi. Quando Reed si è rifiutato di pagare, Vivian si è vendicata facendo intervenire la SEC.» Trent annuì. «Adesso ha tutto un senso logico. Lei e Henry devono essere entrati nel mio appartamento, dove hanno trovato delle foto di me con Marie. Devono aver copiato la scheda digitale della mia macchina fotografica e l’hanno rimessa a posto prima che io mi accorgessi che era scomparsa.» Rimase un attimo soprapensiero. «Quando ho rifiutato di lasciarmi ricattare, devono aver consegnato le foto alla stampa.» «Lei o Henry devono essersi introdotti in tutti i nostri appartamenti» disse Max. «Era quello il punto di partenza dei ricatti.» «Ma perché?» chiese Julia. «Perché tentare di ricattarci?»
Gage sogghignò. «La domanda è da un milione di dollari, se mi ate un altro gioco di parole di pessimo gusto. Stando alla polizia, Vivian è rimasta a corto di contanti dopo la morte del marito. Per mantenere il suo dispendioso stile di vita, ha iniziato a ricattare i residenti facoltosi con l’aiuto di Henry.» «Io avevo paura di quelle sue bestie che abbaiavano sempre» confessò Elizabeth Wellington. «Bene, adesso non te ne devi più preoccupare» la rassicurò Trent. «Nessuno di noi deve più preoccuparsene.» Jacinda ne era felice. Ciononostante, non poteva fare a meno di pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente. «Se non fosse stato per il comportamento criminale di Vivian» disse con tristezza, «mia sorella forse sarebbe ancora viva. È stato il ricatto di Vivian a spingere Kendrick a un’azione estrema. Credeva che fosse Marie a ricattarlo, minacciando di rendere pubblica la loro relazione. Sembra che lui, al pari di tutti noi, non abbia mai sospettato di Vivian o di Henry.» Elizabeth le toccò il braccio, per dimostrale la sua comprensione. «Jacinda, mi dispiace tanto. In tutta questa storia, tu hai sofferto molto più di noialtri.» Ci fu un mormorio di approvazione intorno al tavolo. «Grazie» rispose Jacinda, stringendo la mano di Elizabeth. «Per fortuna, adesso che il senatore Kendrick è dietro le sbarre, ho raggiunto il mio scopo.» Girò lo sguardo sui volti intorno al tavolo, che esprimevano solidarietà e sostegno. I suoi vicini. I suoi nuovi amici. «E mi auguro che questo significhi un nuovo capitolo nella vita del 721 di Park Avenue.» «Intendi dire adesso che hanno eliminato i vermi che allignavano tra di noi?» domandò Max. Jacinda sorrise. «Oltre a quello, abbiamo in programma una successione di campane nuziali ed è in arrivo più di una cicogna.» Guardò Gage, il quale, in quei giorni si era aperto e non era più l’uomo diffidente che aveva conosciuto sei mesi prima.
Lo sguardo di Jacinda sorvolò di nuovo la tavolata. «Per iniziare, venerdì sera Gage e io apriremo il nostro appartamento per brindare alla fine della settimana lavorativa.» Gage inarcò le sopracciglia, ma subito dopo le strizzò l’occhio. «Naturalmente, la cameriera farà le pulizie prima del vostro arrivo» aggiunse lei, in tono scherzoso. Una risata generale accolse le sue parole. «Mi era parso di riconoscerti quando mi sono scontrato con te nell’ascensore» intervenne Sebastian. «Mi dispiace, ma sono stata costretta a mentire.» Vedendo l’espressione perplessa di Amanda, Jacinda spiegò: «Sebastian ha frequentato il ginnasio in Inghilterra con mio fratello. Era da anni che non ci vedevamo, ma quando mi sono imbattuta in lui nell’ascensore, ha creduto di riconoscermi. Era ovvio che dovevo convincerlo che ero la governante di Gage, così da poter scoprire il responsabile della morte di mia sorella». «E tu e Gage ne avete approfittato per innamorarvi» aggiunse Tessa con un sorriso. «Che storia romantica.» «Gage, vecchia volpe» interloquì Sebastian. «E noi tutti che sospettavamo che stessi soltanto facendo sesso con la cameriera. Invece, era molto più complicato di così.» Mentre Gage sorrideva in modo enigmatico, Jacinda si morse la guancia per impedirsi di ridere. Era inutile rivelare che, fino a poco tempo prima, aveva ingannato anche Gage, pensò. Non le dispiaceva lasciarli nella convinzione che lui avesse intuito la sua messinscena fin dall’inizio. Dopotutto, si era conquistata il suo eroe. Tuttavia, non resistette alla tentazione di burlarsi di loro fingendosi scandalizzata. «Sospettavate tutti che Gage stesse facendo sesso con la
governante?» Elizabeth scoppiò a ridere. «Sì, perché il suo umore era migliorato!» «Già, e il motivo poteva essere uno solo» aggiunse Reed con un sorriso malizioso. Jacinda sentì di arrossire ma, al suo fianco, Gage scoppiò a ridere con aria sorniona. In quel momento, l’orchestra riattaccò a suonare, interferendo nella conversazione. «Credo che questo sia il segnale per noi» Carrie disse a Trent. Accompagnati da un applauso, gli sposi si prepararono al tradizionale taglio della torta. Poco dopo, Jacinda salì sulla pista da ballo con Gage e le altre coppie del 721 di Park Avenue per unirsi agli sposi e agli altri ospiti per il ballo di mezzanotte. Premuta contro il corpo di Gage, Jacinda sospirò e, chiudendo gli occhi, appoggiò la testa sulla sua spalla. «Felice?» le mormorò lui all’orecchio. «Non si vede?» bisbigliò lei di rimando. Gage rise adagio. «È lampante.» Le strofinò il naso sulla tempia prima di aggiungere: «Questo boom di nascite nell’edificio mi fa venire certe idee». Lei sollevò la testa per guardarlo, con il cuore che le sfarfallava nel petto. Si rese conto che voleva avere un figlio con Gage. Lui sarebbe stato un ottimo padre. Premuroso, amorevole. Tutte qualità che le aveva già dimostrato di avere. Inclinando la testa, gli chiese in tono scherzoso: «Ma non è meglio sposarci prima?». Di comune accordo, avevano deciso che si sarebbero sposati a Londra, il mese di maggio, quindi si sarebbero stabiliti al 721 di Park Avenue. Lei aveva già chiesto
di essere trasferita alla filiale newyorchese della Winter & Baker. Gage le diede un’occhiata malandrina. «Sì, ma nel frattempo potremo esercitarci. Molto.» «Oh, sì, ti prego» rispose lei, ridendo. A quanto pareva, avrebbe dovuto ben presto chiedere un altro permesso alla Winter & Baker. La settimana precedente, ato il Natale, lei e Gage erano volati a Londra e da lì in Svizzera, per dare la notizia del loro fidanzamento ai loro genitori. Naturalmente, le famiglie di entrambi avevano accolto con gioia quella notizia. Soprattutto la sua, rifletté Jacinda, che aveva appena superato un anno molto difficile. Quando aveva confessato di aver trascorso gli ultimi sei mesi a New York indagando, i suoi erano rimasti sconvolti, anche se lei e Gage avevano risparmiato loro i dettagli riguardanti il suo ruolo di governante. In quel momento, mentre le ultime note della melodia si dissolvevano nell’aria, il cantante del complesso prese il microfono. Tutti i presenti si voltarono verso il palco. «Sono gli ultimi secondi, gente» annunciò il cantante. «Dieci, nove...» «Ci siamo» sussurrò Gage. Intorno a loro, tutti stavano contando. «... sei, cinque...» Lei alzò lo sguardo su Gage. «Non ti amerò di meno l’anno prossimo.» «Buono a sapersi» rispose lui. «... uno...»
La bocca di Gage si impadronì della sua mentre intorno a loro la folla gridava: «Felice anno nuovo!». E nella mente di Jacinda non c’era ombra di dubbio che quello sarebbe stato un anno felice per lei e Gage. Il primo di molti, si augurava. Il futuro aveva in serbo molto per loro: un matrimonio, dei figli, una vita da vivere insieme. Due anime gemelle che si erano trovate.