PAMELA MACALUSO
Candida, soffice neve tentatrice
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Cowboy Who Came In From The Cold Silhouette Desire © 1998 Pamela Macaluso Traduzione di Anna De Figueiredo
Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A.
Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 1999 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5895-829-2
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1
«Tanto vale che salga sul furgone, signorina. Non la lascio certo qui. Una tormenta di neve non è una cosa da prendere alla leggera.» Patrice Caldwell spostò lo sguardo dalla propria macchina in panne nel fosso allo sconosciuto. Era molto alto e così intabarrato per il freddo che non riusciva a vedere altro che l'ombra degli occhi sotto lo Stetson. Da quanto ne sapeva poteva anche essere un maniaco assassino. Lei lanciò un'occhiata al fucile abbandonato sul retro del furgone. La mancanza di sonno, le lunghe ore di guida e lo shock che l'avevano spinta a quel viaggio folle da Phoenix, Arizona, a quel posto sperduto nel Montana, pesavano immensamente. Parlò senza pensare. O meglio, tradusse in parole i propri pensieri senza valutarne le conseguenze. «Morire congelati è meno doloroso che morire dissanguati per un colpo di fucile.» Lo sconosciuto scosse la testa, mormorando qualcosa di incomprensibile. Poi le si avvicinò e senza tante cerimonie la prese in braccio. Era la prima volta che le capitava. E fu sconvolgente. Come minimo. Persino attraverso tutti quegli strati di vestiario, intuì che l'uomo aveva un fisico duro come una roccia. Ribellarsi non era una scelta intelligente. Mettersi a discutere, inutile, visto che i suoi nervi erano già stati messi a dura prova nelle ultime ore. Lui aprì la portiera e l'aria calda dell'abitacolo le colpì il viso. Quando la depose sul sedile del guidatore, pensò per un istante di girare la chiavetta e filarsela. Ma lui le era troppo vicino. Così si spostò con un sospiro nel posto eggero, raccomandandosi a Dio. Lo sconosciuto mise subito in moto e lei si voltò indietro a guardare la spider. Non sopportava l'idea di abbandonarla lì in quel modo. Oh, Signore, tutte le mie cose!
«Aspetti! Aspetti! Le valigie!» «Non andranno da nessuna parte» rispose lui, continuando ad accelerare. «Non ho nemmeno chiuso la portiera.» Lui si abbassò la sciarpa sul collo. Ma la visuale non migliorò di molto. Aveva una folta barba scura e un paio di baffi gli copriva il labbro superiore. Comunque fu abbastanza per capire che faceva parte della categoria dei Belli e Sexy. Gli occhi, poi, erano di un blu incredibile, sovrastati da lunghe sopracciglia nere. Erano occhi grandi e seducenti anche se al momento sembravano solo annoiati. «Signorina, il suo bagaglio è al sicuro. Nessuno è così stupido da andarsene in giro con un tempo simile.» «Vuol dire nessun altro, immagino.» Le parole non furono necessarie. Lo sguardo che le lanciò parlava chiaro. Per la miseria, ma aveva idea di quanto era bello? Patrice doveva essere impazzita. Un tizio la rapiva in mezzo a una strada e lei non sapeva pensare ad altro che era un gran bel pezzo di figliolo. Forse il cervello le si era congelato. Tecnicamente era uno sconosciuto, certo, ma uno sconosciuto che lei aspettava e che era stata felice di vedere. Aveva parlato tramite il cellulare con lo sceriffo di Clancy e questi le aveva detto che avrebbe mandato qualcuno ad aiutarla con un carro attrezzi. Improvvisamente si rese conto che quello non era un carro attrezzi. «Lo sceriffo Jackson mi ha assicurato che sarebbe venuto qualcuno con un carro attrezzi» fece notare nervosamente. «Infatti. Solo che il mio era all'altro capo del ranch. E comunque non avremmo mai fatto in tempo.» «In tempo per cosa?» «Per metterci al sicuro prima che arrivi la tormenta.» «Allora l'aspettate davvero!»
Lui fece un grosso respiro. «Sicuramente quelle graziose quattro ruote rimaste in panne avranno una radio. Non l'ascoltava?» Lei ascoltava un CD. Musica dolce, balsamica, nel tentativo di calmare il tumulto della mente e dell'anima. «Sì, la spider ha la radio ma non l'ascoltavo.» Altra espressione annoiata. «E non ha neppure visto le nuvole addensarsi?» Altro che guardare le nuvole! Con tutta quella neve sulla strada aveva dovuto concentrarsi sulla guida. E comunque, sapendo dove la conversazione andava a parare, preferì non rispondere a quella provocazione. Dopo quelle trentasei ore, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualche novello predicatore le fe la paternale. Così si sistemò meglio sul sedile, strofinandosi le mani gelate. Grazie al cielo si era comprata guanti, berretto di lana, sciarpa e doposci nella stazione di servizio dove aveva fatto benzina. Se avesse avuto una giacca a vento sarebbe stato meglio. O un bel montone come lo sconosciuto. Lo sconosciuto in questione rallentò, guardò a sinistra e s'infilò tra due pali di metallo, chiaramente un segnale di riferimento per imboccare una specie di viottolo che s'addentrava nella foresta. Patrice cercò di memorizzare il posto ma non era facile: intorno vedeva solo alberi, sassi e tanta neve. Paletti di ferro segnalavano il percorso, ma chissà quanti ce n'erano nella zona. Sarebbe stata capace di ritrovare la strada da sola se avesse dovuto fuggire? Si agitò, i nervi tesi e all'erta osservando l'uomo di sottecchi. «Come mai saliamo? Non dovremmo scendere a valle?» «Il rifugio più vicino è da queste parti.» Rifugio? I fiocchi cominciavano a cadere più fitti, vorticando a mulinello. Se non fosse stato per i tergicristalli che mantenevano due piccole finestrelle sul paesaggio, la
visibilità sarebbe stata zero. Continuarono ad andare avanti per altri cinque minuti, poi la strada si allargò in una radura. Al centro sorgeva una baita in legno, un quadretto da cartolina di Natale davvero suggestivo: però Patrice al momento non riuscì ad apprezzarlo. Lo sconosciuto parcheggiò sotto una tettoia e spense il motore. Poi, senza dire una parola, si sporse verso di lei e prese un cellulare dalla tasca della portiera. Fuori il vento fischiava in mo do sinistro e il freddo era quasi insopportabile. Quando lo vide prendere il fucile, il tremore che la scuoteva s'intensificò notevolmente. «Deve proprio portarselo dietro?» gli chiese. «Be', gli orsi in questo periodo dell'anno sono in letargo ma non si sa mai.» L'uomo scese dal furgone e si diresse verso la baita. Orsi? Lei si guardò intorno preoccupata poi saltò giù e lo seguì in fretta sotto lo stretto portico. Un'insegna di legno pendeva sopra la porta. Vi erano incise, una intrecciata all'altra, una C e una G con il numero cinque accanto. L'interno era più ampio di quanto Patrice s'immaginasse, e immerso nell'oscurità. L'uomo si tolse i guanti e accese due lanterne al cherosene poste sul tavolo. Ne trasferì una su un cassettone sistemato accanto a due letti a castello. Vi erano due panche ai lati del tavolo e un piccolo divano. «Chiuda la porta» ordinò. Lei ubbidì, appoggiandosi contro la parete di legno, pronta a darsi alla fuga se necessario, e l'osservò mentre accendeva il camino di pietra e la stufa. Quando si accorse che aveva messo il fucile nella rastrelliera, si sentì molto meglio. Lo sconosciuto tirò fuori il cellulare e formò un numero. «Mack? Sono Stone. È qui con me.» Si spostò all'indietro lo Stetson e una ciocca di capelli corvini gli scivolò sulla fronte. «Sì... siamo al sicuro al rifugio cinque. Per piacere, riferiscilo a Jackson. Ci risentiamo a giorni... Okay, okay. Ciao.» Si chiamava Stone. Un nome austero che gli stava a pennello. «Stone è il suo nome o cognome?» gli chiese Patrice incuriosita.
«Il nome.» Lei gli si avvicinò tendendogli la mano. «Patrice Caldwell. È un piacere conoscerla, Stone.» Lui esitò per un istante, poi rispose al gesto. Aveva una stretta salda e ferma. Stranamente rassicurante. «Si rimetta i guanti, signorina. Ha le mani di ghiaccio. Ora preparo il caffè» l'informò, dirigendosi verso una credenza. Mentre Stone si dava da fare, lei curiosò in giro. Ogni cosa era catalogata in un elenco con la relativa sistemazione accanto. «È da molto che abita qui?» A lui sfuggì una bassa risata. «Non vivo qui. È soltanto un ricovero per gli uomini che si allontanano dal ranch e devono are fuori la notte. Oppure un rifugio dove ripararsi quando il tempo diventa troppo brutto, come oggi.» «Capisco... Allora lei è un cowboy?» C'erano ranch e cowboy anche in Arizona ma non ne aveva mai incontrato uno. Per Patrice i cowboy erano soltanto gli eroi dei film western che tante volte aveva guardato con il padre alla televisione. «Esatto.» «Le piace il suo lavoro?» Lui scrollò le spalle. «Immagino di sì. Non ci ho mai pensato.» Si girò verso la cucina. «Il caffè sarà pronto a momenti. Intanto vediamo se riusciamo a trovarle degli abiti più caldi.» Investigò nel cassettone in silenzio. «Ecco, sono certamente un po' grandi ma non ho altro.» Una maglia di lana, blue jeans, una camicia di flanella. «Grazie» disse lei rigirandosi tra le mani quegli enormi indumenti maschili. «Vedo se riesco a recuperarle anche un giaccone» aggiunse Stone, aprendo gli sportelli della seconda credenza. Vi erano cuscini, coperte, guanti, berretti e un paio di giacche a vento.
«C'è un posto dove posso cambiarmi?» «È tutto qui.» Il vento faceva sbattere le imposte chiuse. Forse pretendeva che andasse fuori? «Può girarsi, per favore?» «Certamente.» Le porse un montone e si volse verso il camino. «Mi avverta quando ha finito.» Lei appoggiò i vestiti sul letto superiore e incominciò a spogliarsi con un senso di disagio che ò non appena si sentì addosso gli indumenti più caldi. Le stavano tre volte grandi ma era un altro vivere. Si volse verso il caminetto e rimase senza respiro. Non che lui non fosse stato di parola. Tutt'altro. Era l'immagine che creava a turbarla. Stava appoggiato con un braccio alla mensola di pietra, l'altro abbandonato lungo il fianco, con il cappello in mano. Le fiamme giocavano in modo conturbante con il corpo solido e possente facendolo sembrare ancora più forte e più alto. Patrice si mise una mano sulla bocca, soffocando un'esclamazione di meraviglia e si diede un'occhiata. Se lui incarnava la fantasia di ogni donna, lei doveva avere l'aspetto di una bambina di cinque anni che giocava a fare la grande. Ridendo si arrotolò le maniche della camicia. «Può girarsi.» Fece lo stesso lavoro con i jeans e si tirò su. Il riso le morì sulle labbra davanti all'espressione intensa che vide dipinta in quegli occhi di cielo. All'improvviso si sentì nuda. «Nella credenza dovrebbe esserci della corda da usare come cinta.» La sua voce profonda era ancora più roca. Per fortuna ce n'erano diversi pezzi e uno era della sua esatta misura. Stone non si era mosso. Era di fronte al camino, totalmente a proprio agio, troppo bello e sin troppo sexy. «Il caffè dovrebbe essere pronto» mormorò alla fine, scuotendosi dall'immobilità. «Caffè...» ripeté lei in uno stato di trance da cui non uscì sino a che non le giunse il profumo della bevanda.
«Come lo prende?» «Di solito con un po' di latte.» «Le va bene lo stesso della panna in polvere?» Lei annuì. Non era il caso di fare la schizzinosa. Si sedettero al tavolo. Patrice strinse tra le mani il bicchiere caldo, colta un tratto da un pensiero inquietante. «C'è solo questa stanza?» «Come le ho detto prima, è tutto qui. Se comunque si preoccupa per il problema notte, stia tranquilla. Starò nel mio letto. E non russo.» Oh, Signore! Non ci aveva nemmeno pensato! Una volta addormentata, sarebbe stata totalmente in suo potere! Una cosa per volta, ragazza. «Veramente mi ponevo il problema del bagno.» «È fuori.» «Fuori nevica.» Lui bevve un sorso di caffè prima di rispondere. «Lo so. È per questo che siamo qui.» «E il bagno è all'esterno.» «Esatto.» «Chi ha disegnato questo posto?» «È nato come soluzione di emergenza. In termini di qualità prezzo un impianto moderno sarebbe stato uno spreco.» «E qualcosa di meno moderno?» Stone sorrise. Il primo vero sorriso da quando si erano incontrati. Un sorriso che la scosse dalla testa ai piedi. Patrice sospirò rassegnata. «Poco conveniente, eh? Ma essere mangiati da un
orso non sarebbe lo stesso uno spreco?» Di nuovo quel sorriso seducente. «Anche un daino arrabbiato potrebbe essere pericoloso.» Accidenti! Come se non bastassero gli orsi e il suo salvatore troppo sexy. Era stato proprio per evitare un grosso daino che era finita nel fosso. «Ce ne sono di taglia superiore alla media?» «Cosa intende per superiore alla media?» L'uomo aveva sollevato un sopracciglio con aria interrogativa. «Ne ha visto uno per caso?» «Mi ha tagliato la strada.» «Doveva trattarsi di un alce.» «Un alce? Sono più socievoli dei daini e di qualche orso sofferente di insonnia?» Lui ridacchiò divertito. «Temo di no.» «Lo immaginavo. Non credo di essere tagliata per il genere di vita Marlboro Country.» «Potevo dirglielo anch'io» «Se non mi conosce neppure!» «Decisamente non c'è bisogno. Se vi fosse abituata, non se ne sarebbe andata in giro con una spider per le montagne del Montana. Con un tempo simile poi!» «La cappotta era alzata.» Lui scrollò le spalle. Patrice si aspettava che iniziasse un'altra predica invece le domandò se voleva dell'altro caffè. «No, grazie.» Si alzò in piedi. «Vado a fare una eggiatina.» «Fuori?» chiese lui voltandosi verso la finestra. Patrice si limitò ad annuire.
«Allora mi faccia controllare che là dentro non si sia annidato qualcosa.» Non pensare alle infinite varietà di questo qualcosa, ragazza. «Si accomodi pure» concesse. Lo seguì fuori. C'era ancora della luce. La neve era aumentata a dismisura ma non abbastanza per impedirle di vedere la propria destinazione. Stava tornando alla baita quando Stone le apparve davanti all'improvviso tenendo in mano una corda. La paura le chiuse lo stomaco e d'istinto cercò con gli occhi un oggetto per difendersi. «Sto sistemando una specie di corrimano nel caso avesse bisogno di uscire in piena notte.» «Oh... grazie.» Patrice si sentì una sciocca. «Si figuri. Dovere» rispose l'uomo, sfiorandosi la falda del cappello. Allora lei si rifugiò dentro. Si tolse i guanti e si strofinò le mani sopra il fuoco. Quando udì il rumore dei i di Stone, tornò a mettersi sulla difensiva. «Mi faccia aggiungere della legna.» Lei si spostò, restando a guardarlo. Si muoveva come a casa sua, totalmente a suo agio. Le sfuggì uno sbadiglio. «Mi scusi.» Lui le lanciò un'occhiata al di sopra della spalla. «Ha avuto una brutta giornata. Forse dovrebbe mettersi a dormire.» E adesso, Patrice, è tempo di preoccuparsi di questa notte.
2
Stone tirò fuori dalla credenza due sacchi a pelo e due cuscini. Ne mise un paio sul letto superiore e un altro su quello inferiore. «Le suggerisco di dormire sopra.» Patrice sapeva benissimo che intendeva parlare di letti ma la sua fervida immaginazione le creò nella mente un'immagine piuttosto veritiera e sconvolgente. Un'immagine che coinvolgeva lei direttamente e non implicava affatto l'azione di dormire. «L'aria calda tende a salire. Conosco anch'io qualche principio di fisica» osservò, sforzandosi di alleggerire il disagio che l'aveva assalita. «Non me ne intendo di fisica. Ho dormito in entrambe le cuccette e le assicuro che starà più calda in quella superiore.» Lei slegò il sacco a pelo e lo srotolò sul materasso, consapevole dello sguardo penetrante fissò su di sé. Sprimacciò il cuscino con apparente indifferenza, imponendosi di agire con naturalezza nonostante la situazione imbarazzante. Per nessuna ragione voleva fargli capire quanto la prospettiva di are la notte lì da sola con lui la innervosisse. «L'estremità del letto è una scaletta» le fece notare Stone in tono impersonale. «Me ne sono accorta.» Patrice stessa si sorprese del tono secco della propria voce. Non era suo solito mostrarsi scortese. Tuttavia il modo in cui lui le spiegava le cose le dava l'impressione che la ritenesse una completa idiota. «Senta, so bene di aver peccato di superficialità a mettermi in viaggio senza informarmi sulle previsioni meteorologiche, ma sono perfettamente in grado di mettermi a letto per la notte.» Lo sguardo blu s'incupì e per un attimo lei pensò che le avrebbe risposto a tono. Invece le indicò la cuccetta con un cenno del capo. «Vada a dormire.»
Patrice salì sul materasso, scivolò nel sacco a pelo e appoggiò la testa sul cuscino, gli occhi fissi su Stone che aggiungeva legna nella stufa. Quando ebbe finito, si versò un'altra tazza di caffè e attraversò la stanza verso il camino. Aveva un modo di camminare tutto suo. I movimenti lenti, rilassati, naturali. Era bello da svenire, pensò lei per l'ennesima volta, colpita dall'intensità sorprendente del suo fascino e da come si adattava all'ambiente. Era come guardare un film western e vedere l'attore in carne e ossa. Nonostante i timori a proposito della propria vulnerabilità mentre sarebbe stata addormentata, il calore del sacco a pelo e la morbidezza del cuscino di piume le sedussero i sensi, portandola dolcemente verso il sonno. Poco prima di cadere tra le braccia di Morfeo, si ricordò delle parole di Stone. Rimarrò nel mio letto e non russo. Come faceva a sapere di non russare? Stone avvicinò il divano al fuoco prima di allungarvisi. O meglio, tentare di farlo. Era troppo piccolo per la sua statura e quindi non molto comodo. Comunque non c'era altro a disposizione, visto che un divano parecchio più grande e le relative comodissime poltrone erano rimaste a casa sua, a totale disposizione di Elwood, il suo labrador retriver. Lanciò un'occhiata in direzione dei letti a castello. La stanza era nella semioscurità, a parte il chiarore rossastro proveniente dal caminetto, per cui riusciva a vedere soltanto la sagoma della sua inattesa ospite. Ma era fin troppo. Poteva anche non avere molto buon senso per essersi messa in viaggio senza sapere della bufera in arrivo, ma era decisamente un fior di figliola. Una gioia da riempire gli occhi. Non che ragazze piccole, rosse, impertinenti e dagli occhi verdi fossero il suo tipo. Lui preferiva le bionde glaciali dalla gamba lunga. Comunque aveva fatto fatica a ricordare di essere un gentiluomo e a trattenersi dallo sbirciare mentre lei si cambiava. Era sì un gentiluomo ma sempre un essere umano. E stare lì, dando le spalle a una bella donna, sentendo i fruscii di tessuti che venivano sollevati, aveva messo
davvero a dura prova la sua cavalleria. Patrice Caldwell. Il nome le stava a pennello come gli abiti di sartoria e la spider rossa. Però doveva ammettere che gli abiti extralarge che le aveva dato, addosso a lei, sembravano addirittura carini. E poi era stata una sorpresa vedere la raffinata e seria Patrice scoppiare a ridere divertita mentre si arrotolava le maniche troppo lunghe. Non riusciva a fare a meno di fantasticare di toglierle di dosso quei vestiti e scivolare nel suo sacco a pelo... Specialmente dopo il breve tragitto con lei in braccio. Era piccola, minuta ma aveva le curve al punto giusto e, che il Signore lo perdonasse, a lui piaceva molto una donna con le curve al punto giusto. Okay, amico, è piacevole tenerla in braccio e guardarla ma datti una calmata. Incurvò gli angoli della bocca in modo impercettibile ricordando la sua reazione quando le aveva parlato del bagno esterno. Fare dello spirito in quella situazione non era da tutti. Per un istante gli fece pena, poi rammentò a se stesso che Patrice era la ragione per la quale ora si trovava bloccato in quella baita, strizzato in un divano troppo piccolo invece di godersi la partita alla televisione, stravaccato sul divano del suo studio. Almeno non doveva preoccuparsi per il ranch. Il suo sovrintendente Mack era in gamba e perfettamente in grado di occuparsi degli affari. Victoria, la governante, avrebbe pensato alla casa. Il lato più seccante di quel contrattempo era come tenersi occupato. Se non si fosse trovato qualcosa da fare, sarebbe diventato matto. C'era un discreto assortimento di libri, giornali, giochi da tavolo sugli scaffali ma la prospettiva non lo eccitava al momento. Almeno non quanto la sua inattesa ospite. Le imposte sbatterono al rafforzarsi del vento. A sua moglie piaceva ascoltare la voce del vento durante la notte. Adesso non metterti a pensare a Valerie, per favore!
Un ciocco scivolò sulle pietre incandescenti, mandando scintille. Stone inspirò profondamente e lasciò che il respiro uscisse piano piano. La baita cominciava a scaldarsi. Avrebbe tenuto il fuoco ben vivo ancora per qualche ora, poi si sarebbe concesso un po' di riposo. Diede un'occhiata ai letti a castello. Patrice non si era mossa. Con ogni probabilità doveva essersi addormentata... Che notte! Un test formidabile per il suo autocontrollo. Non aveva mai dormito con una donna in un letto a castello. Non in due cuccette separate almeno.
Patrice si sentiva tutto il corpo dolorante. Anche la sua mente era stravolta eppure non voleva saperne di smettere di rimuginare. Era la seconda volta che si svegliava. La prima era stata quando Stone aveva aggiunto dei ciocchi al fuoco. Dai rumori che provenivano dal basso e dato che le lampade erano spente ne dedusse che lui stava sistemandosi per la notte. Il cuore cominciò a batterle impazzito nel petto. Non farti prendere dal panico. Lui è nel suo letto e ti ha assicurato che resterà lì. Fuori il vento fischiava sinistro e implacabile. Non aveva altra scelta che convincersi di essere al sicuro con quell'uomo. E poi era vero... non russava. Di nuovo si chiese come poteva saperlo. Forse di solito dormiva con qualcuno. Una moglie? O un'amante? Forse a quel qualcuno non sarebbe piaciuto che lui stesse ando la notte con un'altra donna. E che differenza faceva? Domani sarebbero andati ognuno per la propria strada e forse non si sarebbero rivisti mai più. Lo scoppiettio del focolare la fece sobbalzare. Anche di sotto vi fu un po' di tramestio, fruscii, rumori soffocati come se Stone s'infilasse meglio nel sacco a pelo. Patrice si mise una mano sulla bocca per trattenere una risatina nervosa. Non aveva mai dormito così vicino a un uomo. Certo, c'era un materasso e almeno un metro di distanza tra loro ma comunque stavano dormendo insieme.
Be', senza dubbio non era come l'aveva immaginata. La sua prima notte con un uomo. Non si trattava nemmeno dell'uomo dei suoi sogni, ammise, mordicchiandosi il labbro. Però doveva riconoscere che era molto attraente. Bello. Gli occhi, poi, erano incredibili. Chissà quante donne doveva aver sedotto solo con uno sguardo? E se guardasse anche me in quel modo seducente? Finalmente sentì le palpebre farsi pesanti e il sonno attirarla tra le sue braccia. E con quella domanda ancora nella mente si addormentò.
Il mattino seguente si svegliò al profumo del caffè. Patrice aprì gli occhi lentamente. Le lampade erano accese e un barlume di luce diafana filtrava dagli scuri. Il sole era sorto un'altra volta e il vento continuava ancora a ululare intorno alla baita. Fece per muoversi ma ogni muscolo del suo povero corpo si ribellò. Strinse i denti per non lamentarsi e a poco a poco uscì dal sacco a pelo, mettendosi seduta con una certa fatica. Stone era seduto al tavolo. Un libro aperto davanti. «Buon giorno.» cominciò timidamente Patrice. Lui annuì. «... giorno.» Non sembrava molto contento. Non a torto del resto, vista la situazione meteorologica. «La bufera continua?» «Sì, purtroppo. Da quanto ho sentito ieri dovrebbe durare ancora per un paio di giorni.» Patrice non era sicura di aver capito bene. «Due giorni?»
«Esatto, signorina.» «Intende dire che siamo intrappolati qua dentro ancora per due giorni?» E che diavolo avrebbe fatto lei in quella baita per tanto tempo? «Veramente non potremo andarcene finché la neve non incomincerà a sciogliersi.» La cosa non le piaceva affatto. «E quando si scioglierà?» «Esattamente non posso dirlo ma siamo abbastanza bassi. Quindi quando arriverà il Chinook, ne godremo gli effetti e ci consentirà di potercela filare con il furgone.» «Mi scusi, odio far troppe domande, ma cos'è il Chinook? E quando verrà?» domandò Patrice sinceramente interessata. «Il Chinook è un vento caldo e dovrebbe arrivare tra una settimana o giù di lì.» Quando Stone aveva parlato al telefono con quel Mack e gli aveva detto che l'avrebbe chiamato tra qualche giorno, lei non avrebbe mai immaginato che intendesse farlo da lì. «Oh, Signore! Una settimana o giù di lì?!» «Guardi che non è una gita neanche per me!» Le sue parole la colpirono come un soffio di aria gelata. Patrice si sentì ingrata ed egoista. Se non fosse stato per lui, sarebbe rimasta bloccata nella sua macchina da città e sarebbe sicuramente morta assiderata. «Mi perdoni, non l'ho nemmeno ringraziata per essere venuto in mio soccorso. Le assicuro che apprezzo molto il suo gesto. Grazie di cuore. Meglio tardi che mai, no?» «Prego, Patrice.» Stone si alzò in piedi. «Farina d'avena per colazione?» Lei storse il naso. Un mezzo sorriso gli incurvò la bocca sensuale. «Meglio che si abitui all'idea. Non c'è grande scelta. Di solito si resta qui per un paio di giorni e non si fa in tempo a stancarsi. Non moriremo di fame ma il menù è molto limitato e non ci
saranno piatti speciali o raffinati.» «Come ha appena detto questa non è una gita di piacere. C'è qualcosa che posso fare per esserle d'aiuto?» Patrice si trasferì sino all'estremità del letto, mordendosi il labbro quando scese il primo piolo della scaletta. «Un po' dolorante?» «Molto dolorante.» Scese sino in basso, muovendo avanti e indietro le spalle nel tentativo di sciogliere la muscolatura. «Non capisco. Il letto mi è sembrato comodissimo ieri sera.» «La rigidità e l'indolenzimento hanno a che vedere con l'incidente di ieri.» Con ogni probabilità lui aveva ragione. L'impatto era stato violento e, come succede sempre in quei casi, Patrice doveva aver automaticamente irrigidito i muscoli, sottoponendoli a uno stress notevole. «Che strano, l'avevo completamente dimenticato» mormorò sorpresa. La paura per gli animali selvatici e l'idea di are la notte con uno sconosciuto, bello e affascinane tra l'altro, le avevano cancellato dalla mente il ricordo dell'incidente. L'incidente e gli eventi che l'avevano portata sin lì. «Ci sono degli analgesici nella cassetta del pronto soccorso e anche una crema balsamica.» Patrice trovò senza fatica un flacone di aspirina. La cassetta era sistemata nella credenza, così poté anche visionare i rifornimenti di cibo. Le scorte erano notevoli ma mancavano di varietà. Stone aveva ragione. Non sarebbero morti di fame. E dato che si trattava in maggioranza di cibi da scaldare e servire, o di minestre a cui aggiungere soltanto acqua calda, cucinare sarebbe stato uno scherzo. Lavorarono fianco a fianco per preparare la colazione e rimettere in ordine. Stone andò fuori a prendere altra legna da ardere e a raccogliere un paio di secchi di neve da usare per lavarsi e lavare i piatti, senza sprecare la riserva di acqua minerale. Quando proprio non ce la fece più, Patrice si decise a fare la sua eggiatina sino ai servizi esterni. Il vento era così forte che penetrava sotto i diversi strati di
abiti pesanti e il giaccone. Durante la notte non doveva aver mai smesso di nevicare. Il paesaggio era stupendo e preoccupante insieme. Di un candore abbacinante, la natura sembrava vestita a festa. Ghirlande bianche pendevano dagli alberi i cui rami si chinavano tanto erano carichi. Ma era come essere sospesi in un mondo alieno. Deserto. Lontani dalla civiltà. Rabbrividendo di freddo e di disagio corse verso la baita, chiudendosi in fretta la porta alle spalle. «Pensavo si gelasse qui dentro» ansimò, battendo i piedi per scaldarsi. «Ma fuori si muore!» «È freddo anche qui. Solo che fuori è molto più freddo.» «Sarà. Mamma mia! Ti penetra nelle ossa.» Si girò verso il camino nella speranza di sgelarsi più in fretta. Stone si era sistemato sul divano, un libro aperto sulle ginocchia. Nella stanza cadde un silenzio imbarazzante. Lei rise nervosamente. «Be', ci siamo presentati e abbiamo parlato del tempo. E adesso?» «Ci sono diversi libri sugli scaffali.» «Sufficienti per una settimana?» «Legga piano» ribatté lui con sarcasmo. Patrice sospirò. «Immagino che l'elettricità e un computer qui sarebbero stati uno spreco. Poco vantaggioso in termini di qualità prezzo.» «Totalmente a scapito del prezzo. E se avessimo l'elettricità, avrei messo televisione e videoregistratore piuttosto che il computer.» Chiuse lentamente il libro e lo mise accanto a sé sul divano. «Non mi sarei mai aspettata che il rapporto qualità prezzo fosse tanto importante per un cowboy.»
«Dirigere un ranch è un'attività commerciale come un'altra.» «Forse non ci ho mai pensato in questi termini. Sento la parola cowboy e automaticamente la associo a uomini con stivali e cappello che montano a cavallo e guidano furgoni scoperti.» Lui sorrise. Uno di quei sorrisi assassini che facevano saltare il cuore in gola a una donna. «Quella è la parte divertente, in realtà c'è molto di più da fare in un ranch.» «E io la sto tenendo lontano dal suo lavoro. Mi dispiace.» Patrice corrugò la fronte colta da un pensiero spiacevole. «Perderà il posto perché è rimasto bloccato qui per colpa mia? Se ha bisogno che spieghi al suo padrone...» «Sono io il padrone. E il mio lavoro non è in pericolo sino a che i prezzi dei buoi restano alti e non perdo troppi capi durante l'inverno.» «Mi sento sollevata. Già mi sento abbastanza in crisi per aver creato questa situazione. Se contribuissi anche a mettere a rischio il suo posto di lavoro, sarebbe molto peggio.» Lei si domandò quali conseguenze quella sosta forzata avrebbe avuto sulla sua vita privata ma non osò chiederlo. Che stupida! Hai paura di scoprire che ha una moglie e una dozzina di bambini? Lanciò un'occhiata di straforo alla sua mano sinistra. Non portava la fede e nemmeno anelli. Non che la cosa potesse essere in qualche modo decisiva. Ma se aveva una moglie, non avrebbe dovuto chiamare per avvertirla? Naturalmente poteva averlo fatto mentre lei era fuori. E poi, comunque fosse, non avrebbe avuto importanza. L'ultima cosa di cui aveva bisogno al momento era di un altro uomo nella sua vita. «Allora, cosa l'ha portata in Montana?» «La mia nonna materna vive a Clancy.» «Davvero? Ed è al corrente che è rimasta bloccata dalla bufera? Vuole
telefonarle?» «Veramente la nonna non sa neppure che stavo arrivando. Avevo in mente di farle una sorpresa.» Tirò un grosso sospiro. «Mi rendo conto che avrei dovuto avvertirla prima di partire. Mi avrebbe messo in guardia sulle condizioni del tempo.» Ma la nonna avrebbe anche sentito il dolore e la disperazione nella sua voce e lei avrebbe finito per tirar fuori i suoi problemi al telefono. Invece voleva parlarle di persona. Voleva averla vicino per ricevere i suoi abbracci di conforto, una tazza di tè aromatico e i bastoncini di cannella caldi. «Come vanno i dolori ai muscoli?» «Meglio, direi, a parte la gamba destra. Devo aver spinto con tutte le mie forze sul pedale del freno.» «Posso farle un massaggio, se vuole.» L'ultima volta che un uomo aveva cercato di scioglierle i muscoli indolenziti le era costato la sua attività e quasi tutto il denaro che possedeva. «La ringrazio ma non c'è bisogno. L'aspirina sarà sufficiente.» «Come preferisce ma l'offerta è sempre valida. E non ho intenzione di approfittare della situazione» affermò Stone in tono indifferente. Patrice non ci aveva neppure pensato. Forse avrebbe dovuto. Era questo il suo gioco? Conquistarsi la sua fiducia e poi colpire? Adesso non ricominciare, per favore!, si rimproverò, imponendosi di non lasciarsi prendere dal panico. Lui l'aveva salvata ed era un perfetto gentiluomo. Inoltre con quell'aspetto e quel fisico da urlo doveva avere certamente una donna fissa o una fila di donne adoranti. «Non credo approfitterebbe della situazione.» Qualcosa lampeggiò in quelle distese di mare turchino. «E se l'avessi fatto?» chiese lui.
Patrice non poteva dire con certezza se quella luce calda nei suoi occhi fosse divertimento o qualcosa di diverso. La stava prendendo in giro o cercava di tastare il terreno per capire quale sarebbe stata la sua reazione? «Ma non l'ha fatto.» «Può sempre usare l'immaginazione» ammiccò Stone. Non era una buona idea. La sua immaginazione poteva metterla in un mare di guai se l'avesse lasciata libera di correre. Già la notte scorsa lei si era lasciata andare a fantasticare su come si sarebbe sentita se l'avesse guardata in modo seducente. Non aveva alcuna intenzione di confessargli quali scene aveva immaginato. Lei che si scioglieva tra le sue braccia e rispondeva apionatamente ai suoi baci. Tra l'altro poteva anche capitare che, se lui avesse veramente cercato di sedurla, Patrice non fosse in grado di resistergli e, addirittura, che cercasse di facilitargli il compito. Poteva sembrare assurdo. E nessuno che la conosceva l'avrebbe creduta capace di tali, folli, spontanee azioni. Ma nessuno aveva mai messo gli occhi su Stone o si era sentito addosso quello sguardo azzurro e limpido come il cielo terso. Era sorprendente come nell'arco di meno di ventiquattro ore lei fosse divenuta sempre meno sospettosa nei suoi confronti e sempre più affascinata dalla sua rude mascolinità. Tanto più sorprendente in quanto aveva sempre preferito il tipico uomo d'affari raffinato. E guarda dove ti ha portato! Tutte le ore di duro lavoro spese per mettere su uno studio di commercialista, e adesso cosa le restava? Un anello di fidanzamento, che si era rivelato un semplice zircone senza valore, e la sua macchina impantanata in un fosso e sepolta da metri e metri di neve. Si augurò che tutto si risolvesse per il meglio e che non fosse rimasta danneggiata nell'incidente. Una volta tornata a casa aveva intenzione di venderla. Aveva bisogno di contanti sino a che non avesse trovato un nuovo lavoro. Sempre che la sua credibilità e la sua reputazione non fossero ormai rovinate
irrimediabilmente nella zona di Phoenix... «Ha intenzione di rispondere alla mia domanda?» la voce profonda di Stone la scosse dai suoi pensieri. «Ritengo sia molto meglio se non lo faccio» ammise lei con sincerità. Lui scrollò le spalle con indifferenza. «Okay. Eccone un'altra molto più facile. Ha in programma di trattenersi da sua nonna a lungo?» «Pensavo una settimana.» «Ha la possibilità di prolungare il suo periodo di vacanza?» «Be' sì... Sono in un momento di pausa tra un lavoro e un altro.» «Sviluppi recenti?» «Molto recenti.» Patrice non era riuscita a celare completamente l'amarezza. «Credo che darò un'occhiata ai libri.» Non aveva alcuna voglia di discutere le proprie traversie occupazionali, poiché sapeva bene che non ce l'avrebbe fatta a trattenere le lacrime. Doveva e voleva aspettare di essere al sicuro a casa della nonna, confortata dal suo affetto e dalle sue parole. Anche Stone avrebbe potuto offrirle conforto. Ma una volta tra le sue braccia quale donna dal sangue caldo sarebbe riuscita a pensare soltanto al conforto?
3
«Ci sarebbe davvero molta dispersione di calore se aprissimo gli scuri?» s'informò Patrice quando ormai era pomeriggio inoltrato e si sentiva sul punto di impazzire. «Aumenteranno gli spifferi» replicò Stone. Era già tutto uno spiffero. «Vorrei soltanto vedere un po' di luce prima che venga buio.» «Un attacco di claustrofobia?» Lei annuì, il viso serio, i grandi occhi verdi supplichevoli. Stone s'infilò giaccone, cappello e guanti e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Qualche minuto dopo apriva le imposte delle due finestre che si aprivano sulla facciata della baita. Lei si affrettò ad avvicinarsi ai vetri. Era coperto e molto nuvoloso, ma la vista del prato ammantato di neve e degli alberi addobbati a festa era molto piacevole. Di tanto in tanto riusciva a scorgere qualche fiocco scivolare lentamente a terra altrimenti aveva l'impressione che veleggiassero orizzontalmente nel cielo. Attraverso i ricami del gelo che ornavano la finestra ogni cosa appariva bella e pittoresca. Per la prima volta da quando aveva scoperto il tradimento del fidanzato, un senso di pace le invase l'anima, lenendone le ferite. Sì, la sua vita era un disastro totale ma adesso niente e nessuno poteva raggiungerla. La neve era come una barriera protettiva. Non un ostacolo che la teneva prigioniera ma un rifugio dal mondo ostile. Fece un grosso respiro, espellendo l'aria lentamente. La prospettiva di leccarsi le ferite in pace le appariva invitante. Si era focalizzata
sul problema economico, ma sapeva che stava evitando di proposito gli aspetti più dolorosi di tutta la vicenda. Il tradimento... Montagne di dolore e di rabbia stavano crescendo dentro di lei. E non solo perché quel bastardo era riuscito a derubarla di tutto senza che ne avesse avuto il benché minimo presentimento, ma soprattutto perché era stata tanto stupida da innamorarsi di lui. Stone ò davanti alla finestra carico di legna e lei si affrettò ad aprirgli la porta. «Grazie» le disse, sbattendo gli stivali per liberarsi dalla neve. Patrice richiuse in fretta per non far entrare il freddo e tornò al suo punto di osservazione. Si lasciò incantare dalla bellezza invernale della natura, godendo fisicamente del senso di pace che le trasmetteva. Persino il rumore di Stone che sistemava i ciocchi accanto al camino divenne parte della cura. «Avete anche voi tanta neve in Arizona?» Lui era in piedi alle sue spalle. Lei gli lanciò un'occhiata. «Come fa a sapere che vengo dall'Arizona?» «La targa della macchina.» «Sono di Phoenix. Lì la neve è rara.» Patrice tornò a guardare dalla finestra. «È fantastico lo spettacolo quassù.» «L'ho sempre pensato.» «Rimanete spesso bloccati?» «Non per lungo tempo. Il ranch si estende parecchio più in basso e poi abbiamo uno spazzaneve.» «Le è successo di restare bloccato qui prima?» «L'altro inverno ci sono rimasto da solo per una settimana.» «Oh, Signore! Una settimana da solo quassù?» esclamò Patrice stupefatta. «Esatto.»
«Mi sembra spaventoso. Sono ben felice che ci sia lei con me.» Si volse in modo impercettibile con la sensazione che lui si fosse avvicinato. Quello sguardo incredibile si posò per un istante sulle sue labbra. «Sul serio?» Il cuore di Patrice viaggiava a velocità supersonica. Se lei si fosse girata, sarebbe bastato un o per cadergli tra le braccia. Gli occhi blu le fissarono di nuovo la bocca e lei fu lì lì per cedere alla tentazione. Il crepitio della legna nel focolare la fermò in tempo. «Sì. Non mi piacerebbe affatto stare qui da sola.» Un mezzo sorriso incurvò le labbra di Stone. «Mia cara, se solo avesse una minima idea di quello che mi sta ando per la mente, vorrebbe essere fuori di qui in un battibaleno.» Lei tornò a specchiarsi nel vetro ghiacciato. Non riusciva a smettere di pensare a come le aveva guardato la bocca. Possibile che tutte e due stessero fantasticando nello stesso tempo l'uno dell'altro? La curiosità era troppo grande. Si girò, guardandolo dritto in faccia. «Perché ha detto quelle cose?» Patrice pensava che non le avrebbe risposto, invece Stone disse: «È tutto il giorno che mi sto domandando che effetto deve fare baciarla e negli ultimi minuti stavo considerando seriamente la possibilità di scoprirlo». Lei si mordicchiò il labbro inferiore con aria assorta. Non deve essere male nemmeno baciare te... «Non sono mai stata baciata da un uomo con la barba.» Non aveva idea di come quella frase le fosse uscita di bocca. Forse perché era la più innocua paragonata ai pensieri folli che le si formavano nel cervello. Come diavolo puoi desiderare che ti baci se non lo conosci nemmeno? Lui si ò le dita sulla mascella. «Mi faccio crescere la barba in inverno per tenere più caldo il viso.» Fece un o avanti. «Non è così ruvida come
sembra.» Allungò un braccio per prenderle una mano e se la portò alla guancia. Il respiro le si fermò in gola. Stone aveva ragione. Non era ispida. Anzi... Lei poteva quasi immaginare la sensazione di sentirla contro la pelle del viso o su quella più sensibile del seno... Un'ondata di calore l'avvolse, mettendola a disagio. Combatté a forza contro l'impulso di are il pollice sopra la linea ondulata delle sue labbra. I loro occhi s'incontrarono. Quelli blu erano diventati cupi e tenebrosi. Una distesa vellutata in cui lasciarsi affondare senza pensare a niente. Patrice si costrinse a scuotersi, a rompere l'incantesimo. «Perché?» chiese, la voce rotta dalla ione. «Perché non è ruvida come sembra?» «Perché vuoi baciarmi?» «E tu perché vuoi baciare me?» Lei ritrasse la mano e si allontanò sino a che non sentì la parete di legno contro la schiena. «Non ho mai detto che volevo baciarti.» Stone sorrise. «Non avevi bisogno di usare le parole. Ce l'avevi scritto in faccia.» Per un attimo lei fu tentata di mentire ma alla fine si decise per la verità. «Onestamente non ne ho idea.» Lui si diresse verso il divano. «C'è qualcuno di importante che ti aspetta in Arizona?» Lei scosse la testa. «Ero fidanzata ma è finita praticamente nello stesso periodo in cui ho perso il lavoro.» «Le due cose sono correlate?» «Sì, ma non ho voglia di parlarne.» Lui fece una scrollatina di spalle. «Va bene.»
«C'è qualcuno d'importante che ti aspetta al ranch?» Un'espressione ansiosa, quasi sofferta, ò per un attimo sui lineamenti marcati di Stone. «No. Sono vedovo.» «Oh, mi dispiace...» «È successo due anni fa.» Una sequela di domande le balzò alla mente: Com'è morta tua moglie? Da quanto tempo era vate sposati? E via di questo o. Ma non vo leva sembrare invadente. Inoltre quello che importava davvero era che non aveva legami. La notizia era decisamente positiva. Si rese conto che lui ancora non aveva risposto alla sua domanda. Forse aveva anche cambiato opinione visto che aveva aumentato le distanze... Stone si massaggiò pensieroso la barba. «Potremmo giocare a carte. C'è un mazzo nella credenza. A meno che tu non preferisca tornare al tuo libro.» «Proviamo con le carte per un po'. Ma ti avverto che non conosco molti giochi.» Finirono per optare per il cribbage. Patrice non vi aveva mai giocato così lui glielo insegnò. Era un maestro paziente e abile e per lei fu impossibile non chiedersi se fosse abile e paziente anche come amante. Stone mischiò le carte. «Clancy è una piccola cittadina. Come si chiama tua nonna? Forse la conosco.» «Dorothy Winston.» «Dorothy Winston? La signora Winston che insegna alla Clancy High?» «Proprio lei. Ma adesso è in pensione.» «L'ho avuta come professoressa negli ultimi anni del liceo.» Patrice cercò di immaginare Stone come un ragazzo di diciassette, diciott'anni. Era pronta a scommettere una fortuna che anche allora faceva strage di cuori. «Ho sempre desiderato averla come insegnante. Era brava?»
«La migliore. Le sue ore di inglese erano le uniche che mi piacevano.» Un sorriso malinconico gli incurvò impercettibilmente gli angoli della bocca. «Ho conosciuto Val proprio durante le lezioni della professoressa Winston.» Lei prese mentalmente nota di domandare alla nonna notizie su Val e Stone. Non capiva cosa poteva interessarle. Forse le avrebbe dato un accenno sul tipo di donna che gli piaceva. Ma a che pro? Girandosi verso la finestra si rese conto che stava calando l'oscurità. «Forse sarà bene che vada a fare la mia eggiatina fuori prima che diventi troppo buio» annunciò. «Buona idea.» Quando poi ebbero finito di cenare e riordinare, Stone uscì per chiudere le imposte. «Le riapriremo domani durante il giorno.» Si sistemarono ognuno a un'estremità del divano con un libro in mano. «Ho dimenticato di chiederti che significano quella C e quella G intrecciate sull'insegna?» «È il nostro marchio. Quello che mettiamo sul bestiame. Baron Garrett Cattle Company.» «Quel Barone sta per un titolo aristocratico o è un semplice nominativo?» «Il barone teneva molto al suo titolo. È arrivato qui nel lontano 1890. Da come viaggiavano allora le notizie avrebbe potuto sostenere di essere il re d'Inghilterra e nessuno avrebbe potuto dimostrare il contrario. C'è un suo ritratto al ranch. Alto, biondo, un aspetto aristocratico.» «Non c'è alcun modo di scoprire se fosse barone sul serio?» «Penso di sì. Val si era messa in testa di fare delle ricerche per arrivare alla verità ma non ne ha avuto il tempo.»
«Val era tua moglie?» «Sì. Io le dicevo che voleva scoprirlo perché le piaceva l'idea di essere chiamata baronessa.» «Sei imparentato col barone?» «Era il mio trisnonno.» Stone Garrett. Un bel nome per un cowboy, anche se di sangue blu. E gli si addiceva. «Sei figlio maggiore di un figlio maggiore?» «Sono figlio unico di un figlio unico» replicò lui. «Allora potresti essere un barone! Devo chiamarti my Lord?» Lui le regalò un sorriso. Un sorriso malizioso e seducente che le mandò il cuore in tilt. «Chiamami come vuoi, tesoro. Ma non chiamarmi tardi per cena.» A lei sfuggì una risatina nervosa. Per un attimo aveva temuto di avergli fatto venire in mente strani giochetti come quello serva padrone, invece lui stava soltanto scherzando. Era lei, al contrario, a immaginarsi con grembiulino e cuffietta, pronta a sottostare a qualsiasi suo desiderio. «Scusa la battuta. Non ho saputo resistere.» Il viso di Stone si allargò in un sorriso. Patrice rispose al sorriso. Non farlo era impossibile. Così, prima di commettere qualche follia come quella di buttarglisi tra le braccia e reclamare il bacio che gli aveva rifiutato nel pomeriggio, aprì il libro e si mise a leggere.
Stone alzò lo sguardo dalle pagine per l'ennesima volta. Aveva notevoli difficoltà a concentrarsi. Si girò verso Patrice. Al momento lei aveva la testa reclinata di lato, appoggiata al bracciolo del divano, e gli occhi chiusi. Il libro aperto giaceva
abbandonato sul suo grembo. La lampada sul tavolo alle loro spalle creava un alone dorato intorno ai suoi capelli ramati mentre il bagliore rossastro del fuoco danzava sui lineamenti delicati. Stone trattenne a stento un gemito sentendo come il proprio corpo rispondeva alla vista di lei. Aveva trascorso l'intera giornata totalmente eccitato dal desiderio del corpo di Patrice e la cosa cominciava a diventare dolorosa. A proposito di dolore, Patrice si sarebbe svegliata con un bel dolore al collo se continuava a restare in quella strana posizione. Così si alzò piano e andò a prepararle il sacco a pelo per la notte. Quando tornò al divano, cercò di svegliarla ma lei si limitò a mormorare qualcosa e si rincantuccio ancora di più contro i cuscini. Quei suoni dolci e sexy non fecero che aumentare le sue pulsioni. Senza pensare la prese tra le braccia e la portò verso il letto a castello. Patrice si strofinò contro di lui come una gattina affettuosa, strappandogli un ennesimo sospiro. Come diavolo ti è venuto in testa di prenderla tra le braccia, idiota! Stone la depose sul sacco a pelo, sfilandole con delicatezza gli stivali e chiudendo poi la cerniera. I bei capelli biondo ramato si erano sparsi sul cuscino bianco facendola sembrare un angelo. Osservandola ammirato Stone si chiese che tipo fosse l'uomo con il quale era stata fidanzata. Sicuramente il genere Wall Street. Poteva quasi vedere Patrice che gli apriva la porta, porgendogli un bicchiere di vino bianco e sciogliendogli la cravatta. Lei non aveva detto molto sulla rottura del fidanzamento, ma lui aveva colto un velo di pena nei limpidi occhi verdi. Qualsiasi cosa fosse successa, la fine di quella storia l'aveva ferita profondamente. E comunque, anche se non la conosceva bene, anzi non la conosceva affatto, era pronto a scommettere che chi se l'era lasciata sfuggire era uno sciocco. Lei meritava di più.
Tutto considerato e tenendo conto della situazione, si era comportata molto meglio di quanto si fosse aspettato. Si era preparato ad ascoltare lamentele e piagnistei, invece non ce n'erano stati affatto, a parte qualche battuta sarcastica più che comprensibile. Gli venne da ridere ricordando come Patrice desse sempre un'occhiata guardinga nell'area circostante prima di uscire dalla porta, e un'altra prima di mettere un piede fuori dal portico. Sì, forse esagerava un po' ma non era una brutta abitudine essere cauti quando ci si trovava a contatto con la Natura con la enne maiuscola. Mentre continuava a guardarla, le palpebre le sbatterono lentamente e Patrice aprì gli occhi. «Ti eri addormentata sul divano. Così ti ho portata a letto» le spiegò lui senza riuscire a staccarsi dalla contemplazione di quel viso d'angelo. «Grazie, Stone.» La voce di lei era bassa e roca. I grandi occhi verdi erano assonnati e un tenero sorriso le incurvava le labbra piene e tentatrici. Labbra che lui voleva assaporare. Prima aveva trovato la forza di resistere alla tentazione ma adesso sarebbe stato altrettanto bravo?
4
Patrice si sentiva le palpebre pesanti ma si sforzò di tenerle alzate. Sicuramente nessun sogno poteva essere così bello come la visione di Stone chino su di lei. Il viso marcato cominciò a offuscarsi e le sfuggì un'esclamazione soffocata quando si rese conto del motivo. Stava per baciarla. Aveva le labbra calde... no, bollenti. Sì, scottavano paragonate all'aria fresca della baita. Sapevano di caffè mentre un tenue profumo di legno bruciato indugiava sulla sua pelle. La barba era morbida contro le guance proprio come le era sembrata sotto le dita. Patrice rispose al bacio in uno stato di stordimento totale. Si spostò di più verso il bordo della cuccetta e gli mise le braccia al collo, attirandolo a sé. Poi dischiuse le labbra, ansiosa di poter sentire di più. Una vampata di calore la travolse quando Stone aprì le sue, e credette di andare letteralmente a fuoco quando lui accentuò l'intimità, muovendo piano la lingua. Giocherellò suadente e tentatore sino a che Patrice non imitò i suoi movimenti. Allora il bacio divenne più profondo, più avido, facendole impazzire il cuore e provare un piacere incredibile, mai sperimentato prima. Mai, nemmeno nelle fantasie più sfrenate, ave va immaginato che un semplice bacio potesse essere a tal punto meraviglioso. Un brivido la scosse tutta, cogliendola di sorpresa. I suoi capelli le si arrotolavano intorno alle dita. Erano soffici, setosi. Lei mosse le mani tra le ciocche corvine, godendo di quella sensazione. arono ancora lunghi, magici momenti prima che Stone interrompesse quell'incantesimo, raddrizzando la schiena senza però staccarle gli occhi di dosso. Nella semioscurità della stanza lei non poteva leggerne l'espressione. Patrice si ò lentamente una mano sulle labbra. Lui le mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Dovrei scusarmi?» domandò.
Con un sospiro lei appoggiò la guancia contro il palmo della sua mano. «Solo se ti dispiace.» «Neanche per sogno. E a te?» Dovresti essere arrabbiata!, le disse la voce della coscienza. «È stato un bel bacio della buona notte» mormorò lei in un sussurro. Come no! E gli asini volano, Patrice! «Bene. Allora, buona notte.» «Buona notte.» Lui si girò, dirigendosi verso il divano. Lei abbassò le palpebre ma non completamente, in modo da poterlo guardare di nascosto. Guardarlo e meravigliarsi di come la scintilla fosse scoccata tra loro in un tempo così breve. Il cuore batteva talmente da rimbombarle nelle orecchie. Era inutile negarlo. Lo desiderava da impazzire. Cosa le stava capitando così all'improvviso? Le erano sempre piaciuti i momenti di dolci effusioni sul divano quando era stata adolescente, o le carezze rubate in macchina nel parco. E anche i baci del suo ex fidanzato. Ma non si era mai sentita tentata di cambiare parere a proposito di fare l'amore prima del matrimonio. Aveva dato per scontato che una volta in luna di miele sarebbe venuto anche il desiderio di andare oltre. Tuttavia forse si era trattato solo di false speranze. Non aveva mai creduto alle storie romantiche del colpo di fulmine tra due persone. E nemmeno all'esplosione di fuochi d'artificio. Ma adesso che Stone l'aveva baciata era di tutt'altra opinione. Nel profondo dell'anima sapeva che se fosse stato il suo fidanzato, non si sarebbe posta nemmeno la questione di aspettare. Come mai aveva un tale desiderio fisico? Come mai adesso, dopo tanti anni e soprattutto con un perfetto estraneo? Perfetto, appunto. La parola aveva un
significato speciale se si applicava a Stone. Lo osservò, in piedi davanti al camino, lo sguardo fisso sulle fiamme, le dita che si muovevano tra la barba. A cosa stava pensando? Aveva detto che non gli dispiaceva averla baciata, ma perché? Era stata una forma di cortesia per non ferire i suoi sentimenti oppure anche lui in qualche modo aveva intuito quanto quel bacio l'avesse ammaliata, rapita, incantata? Cosa aveva provato mentre si baciavano? Aveva sentito come lei che era un momento speciale, prezioso? Oppure era stato uno dei tanti baci senza alcun significato che aveva distribuito all'universo femminile? Stone si girò di scatto nella sua direzione e in fretta Patrice chiuse gli occhi, facendo finta di dormire. Sapeva che ci sarebbe voluto tanto, tanto tempo prima di riuscire a prendere sonno. C'erano troppe domande ancora senza risposta che l'avrebbero tenuta sveglia. Per non parlare del sapore di lui nella bocca e sulle labbra.
Stone fissò le fiamme crepitanti. Un premio per le buone intenzioni, amico! L'aveva assalito un insopportabile vuoto alla bocca dello stomaco quando aveva capito che non avrebbe avuto la forza di trattenersi. Non era la prima volta che baciava una donna dalla morte di Val ma era la prima volta che aveva una reazione fisica così repentina e potente. Persino quando gli era capitato di dare un bacio sapendo che avrebbe finito per fare sesso, il desiderio non l'aveva afferrato in quel modo pazzesco. Non poteva toccarla di nuovo. Non poteva rischiare un'altra volta... A meno che non fosse stato certo che lei lo desiderava con la stessa, identica intensità. Tra l'altro c'era la faccenda della rottura del fidanzamento. Era vero, come alcuni dicevano, che una donna in momenti simili diveniva più vulnerabile e quindi era portata a lasciarsi andare?
Be', se era così, lui sapeva che non poteva approfittarne. Non importava quanto il suo corpo smaniasse di possederla. Al termine del bacio aveva sentito l'impulso di scusarsi. Non si conoscevano bene e Patrice era semiaddormentata. In realtà l'unica cosa di cui si rammaricava era di non poter essere andato oltre. Stone, sei proprio un cattivo soggetto!, si rimproverò, andosi una mano tra i capelli. Non aveva scelta. L'unico modo per essere certo di non comportarsi contro coscienza e contro ogni buon senso era starle alla larga il più possibile.
Quando Patrice si svegliò, scoprì ancora una volta che Stone era già in piedi. Non l'aveva sentito alzarsi, e nemmeno mettersi a letto, a dire la verità. Molto meglio. Dopo quel bacio di fuoco era così consapevole di lui, del suo fascino, del suo fisico maschio e perfetto che forse non sarebbe stata capace di chiudere occhio sapendo che dormiva nella cuccetta di sotto. Stone stava aggiungendo legna nella stufa quando lei scese dal letto. «Buon giorno» la salutò. «Dormito bene?» «Sì, grazie. E tu?» Lui distolse lo sguardo. «Oh, certo! Ho dormito benissimo.» La voce profonda sembrava un po' aspra quel mattino. Chissà, forse non era un mattiniero. Forse cominciava a carburare solo a giorno avanzato. E come faceva a saperlo se era solo la seconda mattina in cui si svegliavano insieme? Si rese improvvisamente conto dell'intimità della situazione e le mancò il respiro. Allora s'infilò in fretta stivali, giaccone, guanti e berretto e fece il suo viaggetto fuori. Non poteva esserne certa, però le parve che l'aria fosse meno gelida e che i fiocchi di neve scendessero meno vorticosamente. La prima cosa che notò al suo ritorno fu che Stone aveva aperto le imposte delle finestre sul davanti. Era sorprendente come un po' di luce potesse cambiare
l'aspetto delle cose e rendere più vivace un ambiente anonimo. Anonimo, non brutto. Sarebbe bastato un mazzo di fiori selvatici nella caffettiera di smalto blu. Poteva quasi vederla... Lì, in mezzo al tavolo... «Pronta per la colazione?» Lei non aveva fame ma era mattina e in teoria avrebbe dovuto avere appetito. «Sì.» Si sentiva le guance in fiamme. Forse la differenza di temperatura tra l'esterno e l'interno più caldo. E il ricordo di quel bacio notturno che non riusciva a togliersi dalla testa. Per fortuna lui non poteva leggerle nel pensiero. Se qualcuno li avesse osservati in quel momento non avrebbe mai potuto immaginare gli attimi di ione che avevano condiviso. Era persino difficile per lei credere che si fossero baciati sul serio. Chissà, forse aveva immaginato tutto. O l'aveva sognato. La conversazione mentre mangiavano fu praticamente inesistente. Quando ebbero finito di rimettere a posto e dare una pulita al rifugio, Stone prese il cellulare e chiamò di nuovo Mack, il suo sovrintendente. Borbottò qualcosa a fior di labbra quando la conversazione si concluse. «Problemi?» «Alcuni danni per colpa della bufera ma niente di tragico o di irrimediabile.» Si ò una mano dietro la nuca e Patrice non poté fare a meno di ricordare come fosse stata calda la sua pelle sotto le sue dita. Se non la smetti, ragazza, finirai in un bel guaio! Il resto della giornata ò lentamente. Lui fu molto gentile ma quella stuzzicante, reciproca consapevolezza della presenza dell'altro, quella traccia di rapporto che si era instaurato il giorno prima erano scomparse.
Lei continuò a ripetersi che doveva essere contenta ma non riuscì a fingere, almeno con se stessa, che non le mancassero. Nel tardo pomeriggio il vento era calato ulteriormente e la neve aveva smesso di cadere anche se il cielo restava grigio acciaio. «Sembra che la tempesta sia ata» osservò Patrice. «Infatti. Domani farò una eggiata per vedere le condizioni della strada.» Il pensiero di uscire fuori dalla baita anche solo per poco le piaceva. «Posso accompagnarti?» «Non vedo perché no. Basta che ti copra.» «Credi che potremo andar via presto?» Stone si ò le dita tra i folti capelli neri. «Mi farò un'idea più esatta domani. Fretta di scappare?» «Anche tu, immagino.» Avrebbe dovuto smaniare dalla voglia di andarsene, ma era davvero così? Quella pausa di pace doveva finire prima o poi, ma lei era pronta a rinunciarvi? Naturalmente, non sarebbe potuta rimanere nascosta per sempre. Anche se, in un certo senso, sarebbe stata la soluzione ottimale per tutti i suoi problemi. Aveva un fascino notevole la prospettiva di non tornare nel mondo reale. Di non dover affrontare di nuovo la vita. Smise di colpo di fantasticare quando si rese conto che i suoi pensieri la dipingevano lì, in quella baita, in compagnia di Stone. Accidenti, un bacio e lui si era stabilito in pianta stabile nel suo cervello! Alla fin fine quel rifugio di montagna si era rivelato una benedizione. L'unica cosa che desiderava, a parte restare in quel posto, era vedere la nonna. Tornare a Phoenix non l'attirava per niente. Tutto ciò che rimaneva laggiù erano solo i pettegolezzi della sua vecchia vita.
Presto avrebbe dovuto affrontarla di nuovo. La fuga si era presentata imprevista e gratificante però prima o poi sarebbe finita. Tristezza e rammarico minacciarono di sopraffare ogni altra emozione ma li ricacciò indietro per poter godere ancora del momento presente. Stone continuò a tenersi occupato per il resto della giornata. Seduto al tavolo, o scriveva sull'agendina che aveva tirato fuori da una tasca del giaccone o leggeva il libro. Patrice, invece, si dedicò completamente alla lettura di un giallo: prima di partire voleva scoprire come andava a finire. Di tanto in tanto alzava lo sguardo dalle pagine per posarlo sull'uomo affascinante poco distante da lei, domandandosi come mai aveva preferito la sedia al divano. E nonostante i buoni propositi, la mente ritornava al bacio. Man mano che la sorpresa si affievoliva, cominciò ad arzigogolare sul motivo che l'aveva spinto a baciarla. Una cosa era certa. Non le aveva risposto quando glielo aveva chiesto. Era vedovo, okay, ma usciva con qualche donna? O aveva una ragazza fissa? Avrebbe voluto saperlo... chiederlo. Ma che differenza avrebbe fatto? Nessuna. La propria reazione nei suoi confronti, tuttavia, la preoccupava. I baci di Neil erano stati piacevoli ma non l'avevano mai lasciata con quell'ansia, quel bisogno struggente di averne di più. Poteva ancora sentire la sua voce quando la salutava la sera. «Questo è tutto per ora, tesoro. Aspetteremo. Ti rispetto troppo.» Che verme! Il bastardo aveva già programmato di derubarla di tutto. Altro che rispetto! Però era strano. Se non la rispettava, perché allora non aveva fatto l'amore con lei? Erano fidanzati dopotutto. Molte coppie di fidanzati dormivano insieme. Come mai Neil aveva trovato così facile resistere? La risposta sembrava dolorosamente lampante. Lei non era desiderabile. Non c'erano mai state file di uomini davanti alla sua porta. Forse non era abbastanza sexy da attirare l'altro sesso.
Esaminò i vestiti larghi e sformati che la coprivano e ricacciò in gola un sospiro. Non c'era speranza che Stone s'interessasse a lei. Trascorsero quanto restava del giorno e della sera come due estranei.
Il mattino seguente Stone incominciò a preparare la colazione. Ogni tanto guardava verso la cuccetta superiore dove Patrice dormiva ancora. Avrebbe voluto che anche il suo sonno fosse stato così tranquillo. Invece non aveva fatto altro che sognare Val e i brevi momenti d'amore che avevano avuto. Con quelle immagini impresse ancora nella memoria era difficile non soffermarsi sulla solitudine della sua vita, e non provare la paura di trascorrere da solo quello che gli restava. Di solito il lavoro al ranch lo teneva molto occupato, così aveva poco tempo per pensare. Ma adesso aveva troppo tempo libero a disposizione... Patrice si mosse, sospirando. Cosa stava sognando? Il suo ex fidanzato? Il bastardo non meritava nemmeno un briciolo in più della sua vita. Nemmeno durante il sonno e tanto meno quando era sveglia. Ehi, amico, vacci piano. Non hai idea di cosa sia successo. Era vero. Non sapeva nulla di quanto aveva portato alla rottura. Tutto ciò che sapeva era che quel tizio l'aveva ferita. E anche se non la conosceva ancora bene, gli sembrava una personcina talmente a posto che meritava senza dubbio un compagno migliore. Mentre la osservava lei aprì gli occhi. Due finestre aperte su laghi di smeraldo, ancora un po' offuscati dalla nebbia notturna. Stone capì subito il momento in cui si svegliò del tutto perché un sorriso le incurvò la bocca generosa. «Buon giorno» mormorò, la voce ancora un po' roca. «Buon giorno» le rispose. Patrice mandò all'aria il sacco a pelo e si sedette. Con una mano si sistemò i
capelli dietro le orecchie. Erano tutti ingarbugliati ma stupendi lo stesso. Sapeva che sarebbe bastato affondarvi le dita perché le ciocche setose si sciogliessero, morbide e fluttuanti. Un'ondata di desiderio lo assalì, improvvisa e violenta. E quell'immagine fu seguita da altre... lui che le sbottonava la camicetta e faceva scivolare sotto le mani, sollevando la maglietta di lana e sfilandogliela dalla testa. La pelle candida, liscia appena coperta... A quel punto gli venne spontaneo domandarsi che genere di reggiseno indossasse. Bianco, nero o colorato? Di cotone, di pizzo o di seta? «Stone?» il suono della voce dolce lo riscosse da quelle follie. «Sì?» «Ti ho chiesto se hai visto com'è il tempo oggi.» «Ecco... sì, ho dato un'occhiata. Sembra che la bufera sia finalmente ata.» Una strana espressione ò per un attimo sui lineamenti delicati. Come una piccola nuvola a coprire il sole. Poi lui la vide sorridere di nuovo. «Allora non ci vorrà molto e potrai finalmente tornare al tuo ranch» commentò lei. «E tu riabbraccerai tua nonna.» «Non vedo l'ora di rivederla.» Non vedi l'ora anche di liberarti di me? Patrice si spostò vero l'estremità della cuccetta. Mentre lei scendeva, la stoffa dei jeans si tese sui fianchi. Un'inezia ma quanto bastava perché lui ricominciasse a vaneggiare e a desiderare che i loro corpi si fondessero. Maledizione, che gli aveva preso quel mattino! A essere onesti fino in fondo non si trattava solo di quel mattino. Quello stillicidio non era incominciato già dal giorno prima quando era stato assalito dall'impulso incontrollabile di baciarla? E averlo soddisfatto aveva soltanto peggiorato il problema. Ora stava male sul
serio. La osservò infilarsi il giaccone e accingersi a fare la sua solita eggiatina fuori. A parte le battute iniziali a proposito del rapporto qualità prezzo, non aveva espresso la minima lamentela su quell'effettiva scomodità. E se non fosse stato per la reazione del proprio corpo nei suoi confronti, Stone doveva riconoscere che averla come compagna in quel frangente era oggettivamente un piacere. Aveva finito di preparare la colazione quando lei ricomparve. Mangiarono e insieme misero in ordine. Patrice stava sistemando le tazze su un ripiano quando lui si avvicinò alla credenza per appoggiare la caffettiera su quello sottostante. Lei si volse. Stone sapeva che stava aspettando che si spostasse per farla are. Sapeva che avrebbe dovuto farlo. E fu lì lì per muoversi. Invece, all'ultimo momento, mandò al diavolo il buon senso e la correttezza e fece un o avanti, sfiorandola col corpo. La circondò con le braccia, attirandola ancora più vicino. Sentì che s'irrigidiva e prima che potesse protestare, si chinò a baciarla. Fu come assaporare il paradiso. Il calore di quella bocca tumida, profumata di... sì, aveva un delizioso profumo di vaniglia, rifletté in stato di trance, stuzzicandole le labbra con la punta della lingua. A poco a poco il corpo morbido perse la rigidità, i muscoli si rilassarono e lei si abbandonò al bacio. E questa volta, Stone poteva giurarci, non era né semiaddormentata né confusa. La pressione delle sue curve femminili contro il torace gli tolse il respiro. Con quella carnagione chiara doveva avere i capezzoli appena rosati, pensò, sopraffatto da una voglia pazzesca di accarezzarla tutta e affondare la testa sulla carne tenera e soda. Lei gli mise le braccia al collo, irrompendo nei suoi pensieri e provocandogli un brivido di puro desiderio mentre gli accarezzava la nuca. Poi si strofinò contro di lui, languida e sensuale e Stone credette di esplodere lì, in quel preciso istante. Le percorse la schiena arcuata con entrambe le mani, fermandosi sui fianchi e premendola forte contro di sé. Un tremito lo percorse
dalla testa ai piedi. Immagini di loro due nudi, le gambe intrecciate, affannati, gli balzarono alla mente, cancellando ogni altro pensiero. La prese in braccio e si diresse verso il letto a castello. La mise sulla propria cuccetta, lasciando che il suo corpo strusciasse contro il proprio. È come volersi dare la zappa sui piedi, rifletté in un bar lume di lucidità di fronte alla sensazione sublime e nel contempo dolorosa che provò quando gli sfiorò la cerniera dei jeans. Soffocando un gemito roco contro la pelle del collo esile, la riempì di baci prima di allontanarla e abbassare lo sguardo sul suo viso. I grandi occhi verdi erano di nuovo offuscati mentre si specchiavano in quelli blu. Stone le accarezzò piano una guancia, percorrendole con il pollice le labbra infiammate dai suoi baci. Lei gli toccò il polpastrello con la lingua. Le mise una mano sotto il mento e s'impadronì di nuovo della sua bocca mentre con l'altra le accarezzava la curva piena del seno. Patrice s'irrigidì, staccandosi. «Pensavo dovessimo andare a controllare la strada.» «Questo pomeriggio, quando l'aria si sarà scaldata un poco. Ci sono parecchie ore di tempo sino a quel momento, tesoro.»
5
Il pensiero di trascorrere tutte quelle ore tra le braccia di Stone le trasmise un brivido di eccitazione lungo la spina dorsale. Ma che senso aveva quell'osservazione?, rifletté un istante dopo ricordando le considerazioni che aveva fatto il giorno prima sulla propria mancanza di sex appeal. «Annoiato, Stone?» ribatté caustica. «Alla ricerca di un nuovo modo per are il tempo?» Lo spinse via e lui la lasciò andare. «Non intendevo in quel senso» protestò lui, seguendola al centro della stanza. «Volevo solo dire che avevamo tanto tempo a nostra disposizione.» Lei gesticolò con scetticismo, continuando a camminare. Ma non poté andare lontano. «Patrice, ascolta. Voglio fare l'amore con te, è vero. Ma certo non perché mi annoio. Se fossi onesta, ammetteresti che anche tu mi vuoi.» Ammetterlo non avrebbe migliorato la situazione, a parte forse farlo inorgoglire. Così lei non disse una parola. Ammetterlo con se stessa era tutta un'altra faccenda, ma al momento preferì non prenderla in considerazione. «Senti, la verità è che da quando ti ho intorno i miei ormoni sono impazziti. Non riesco a vederci chiaro. Figurarsi pensare.» Le parole di Stone riassumevano esattamente quello che provava lei. Non parlarono più fino a dopo pranzo quando lui annunciò che era ora di uscire per controllare le condizioni della strada. «Posso sempre accompagnarti?»
«Certo! Copriti bene.» Lei seguì il suo consiglio, aggiungendo un'altra maglia di lana e un altro golf con il risultato che poteva a mala pena piegarsi. Una volta sul portico vide le loro impronte sulla neve ma per il resto il prato era una distesa incontaminata di velluto bianco. Sembrava quasi troppo perfetta per essere vera. «Fa' attenzione a camminare. Ci sono parecchi sassi e radici nascosti sotto la neve. Anzi, faresti meglio a mettere i piedi sulle mie orme.» Lei ci provò, ma seguire la sua andatura era impossibile. La coltre era talmente alta che a volte si sprofondava sino al polpaccio. Non dovettero procedere a lungo per vedere che anche con quattro ruote motrici non sarebbero andati lontano. La baita era a diversi chilometri dalla valle e, prima che avessero finito di spalare la strada, sarebbe arrivata la primavera. Dal come Stone serrava la mascella, Patrice capì che era arrivata alle giuste conclusioni. Lui era in piedi in mezzo al viottolo, le mani sui fianchi, gli occhi fissi sul pendio. Quando si girò e lo sguardo color indaco si spostò su di lei, il respiro le si bloccò in gola. Intuì che stava pensando ai loro baci. Ne era certa, anzi. In pochi i lui le fu vicino. «Contenta della lunga eggiata?» «Molto.» Tanto lunga non era stata, ma alme no li aveva tenuti lontano dalle tentazioni. Stone le fece cenno di seguirlo e Patrice gli si mise dietro, attraversando il prato e poi su per la stradina che portava al rifugio. L'aria era gelida. Così gelida che le stava quasi bruciando i polmoni. Ma era bello stare all'aperto, avere spazi intorno a sé. Il fatto di stare sempre chiusa tra quattro pareti cominciava a pesarle parecchio.
Chissà, forse dipendevano anche da quel motivo i folli pensieri su Stone che le riempivano la testa. Di tanto in tanto il peso della neve sui rami degli abeti mandava spruzzate di polvere bianca sul terreno. Quando una cadde sulla spalla di Stone, fu impossibile non scoppiare a ridere. Lui si fermò, guardandola di sottecchi. «Credi sia divertente?» Lei cercò di frenarsi ma senza risultato. «No, ti giuro...» Rise anche Stone e il cattivo umore volò via, riportando il sereno. «Okay, tesoro. Comincio a trovarlo divertente anch'io.» Senza smettere di guardarla, si chinò a riempirsi una mano di neve e a lei non ci volle molto a capire che si trovava nei guai. Patrice corse a perdifiato a rifugiarsi dietro il tronco di un albero ma prima che fosse al riparo una palla di neve si disintegrò contro la sua schiena. A quel punto cercò di restituire la cortesia ma sembrava che tutte le palle gli arrivassero vicino senza riuscire a sfiorarlo. Alla fine si diede per vinta mentre lui rideva a crepapelle. Con atteggiamento severo Patrice si pulì i guanti contro la coscia e gli si avvicinò altezzosa. «Allora, che si fa adesso?» «C'è una cosa che vorrei mostrarti.» Camminarono per una decina di minuti sino a una radura. Pochi alberi distanziati e poi il vuoto. La parete rocciosa diventava improvvisamente uno strapiombo. Stone si fermò al limite del precipizio e Patrice gli si mise di fianco. Rimase senza fiato davanti allo spettacolo che le si apriva davanti. Erano in cima a un'altura che guardava su un'ampia valle sottostante. Lontano, quasi sulla linea dell'orizzonte si innalzavano verso il cielo i picchi di altre tre montagne. E tutto era ricoperto di bianco purissimo. Sembrava un paesaggio di fiaba. «È meraviglioso» mormorò lei emozionata.
«È sempre stato uno dei posti che preferisco. Mia nonna materna sosteneva che questo era un luogo sacro per la tribù di sua nonna.» «La tua trisnonna era imparentata col barone ovviamente.» «Era sua moglie.» Lei non si sorprese che avesse antenati pellerossa. I capelli neri e gli zigomi così sporgenti avrebbero dovuto darle la chiave di lettura. C'era davvero un potere strano lassù. All'improvviso l'aveva invasa un senso di pace infinito. Si sentiva minuscola e insignificante in quel paesaggio maestoso, eppure il solo fatto di farne parte era confortante. Incrociò le braccia al petto e in silenzio alzò lo sguardo verso il profilo scolpito di Stone. Aveva il viso seminascosto dal cappello ma lei poteva vedere... No, lo sentiva intimamente, che quella tranquillità stava ammorbidendo la rigidezza del volto marcato. E ancora una volta ebbe la sensazione che lui appartenesse all'ambiente circostante. A quella terra. «Sembra davvero un luogo sacro. Lo spazio, il silenzio» mormorò a bassa voce. Un pugno di neve cadde da un albero, sparpagliandosi ovattato sul terreno candido. «Non così silenzioso» disse lui con un sorriso. «L'ho rotto io per prima ma poi Madre Natura ha avuto l'ultima parola.» «Non ce l'ha sempre?» Lei scrollò le spalle. «Probabilmente tu ne sai molto più di me a proposito. Noi cittadini ce ne intendiamo poco.» «Credo che mi mancherebbe da morire non vedere tutta la sua gloria e i suoi mutamenti.» «Se non l'hai mai provato, non sai cosa ti perdi. Non ho mai visto le quattro stagioni darsi il cambio. Tu sì?»
«Eccome.» «Pensa, non avevo nemmeno idea di come fosse un inverno vero.» «Hai avuto un assaggio della peggior specie.» «Però ora sembra si stia addolcendo.» «Per il momento.» «Comunque è bellissimo.» «Bellissimo ma pericoloso. Non si deve sottovalutare il pericolo.» La voce si era fatta distante, come se non stesse più parlando dell'inverno. A cosa poteva riferirsi? Patrice guardò verso valle. «C'è un fiume laggiù?» «Sì. Nasce da lì. Vedi quella dorsale? Dietro c'è la sorgente.» «Mi meraviglia che non sia ghiacciato.» «Lo è a tratti.» Una brezza leggera le sollevò un lembo della sciarpa, facendola scivolare lungo il giaccone. Lei rabbrividì, mettendo le mani in tasca. «È meglio tornare.» disse Stone. «È così bello, mi dispiace andarmene. Ma fa tanto freddo...» Lui si mise davanti, facendo da battistrada finché Patrice non incominciò a inciampare e a cadere. Allora la prese per mano e le rimase a fianco, dandole un grande senso di sicurezza. All'improvviso le parve più alto e più forte. Un uomo su cui poter contare, un uomo duro ma generoso a cui chiedere aiuto. Poteva quasi immaginarlo come fratello maggiore. Se solo fosse riuscita a togliersi dalla testa quei baci! Quelli non avevano nulla di fraterno, ragazza!
Come se non lo sapesse! Non riusciva a non pensarci. Avrebbe voluto che la baciasse di nuovo o fe l'amore con lei. Patrice, dacci un taglio! L'esperienza con Neil non ti ha insegnato nulla? Non ti puoi fidare di un uomo. Eppure Stone sembrava talmente una brava persona... Doveva smetterla prima che diventasse un'ossessione. Tra breve avrebbero lasciato il rifugio e chissà se si sarebbero più rivisti. In fin dei conti erano dei perfetti estranei. Sì, avevano chiacchierato del più e del meno, ma ce ne voleva per diventare amici. E poi c'era la possibilità che avesse una ragazza a casa. La via del ritorno le parve molto più lunga anche se sapeva che era la stessa visto che stavano riando sulle proprie impronte. Quando finalmente arrivarono alla baita, lei tremava talmente che i denti le battevano in modo incontrollabile e il freddo le era penetrato sino alle ossa. Molto peggio del giorno in cui aveva avuto l'incidente. La prima cosa che fece Stone fu di mettere altra legna al fuoco e Patrice vi si mise subito davanti per scaldarsi. Tremava ancora quando lui le porse una tazza di caffè bollente. «Su, prova con questo.» Fu un problema bere senza versare tutto in terra e purtroppo l'effetto fu solo momentaneo. «Posso dare un suggerimento?» chiese lui. Patrice alzò lo sguardo verso il cowboy alto e macho che aveva tentato di sedurla al mattino, e sibilò: «Non pensare neppure di suggerire di spogliarci e tenermi calda col calore del tuo corpo!».
6
Stone incurvò la bocca in un mezzo sorriso. «Per quanto l'idea sia molto allettante, tesoro, non oserei mai proportela. Volevo soltanto suggerire di sistemare degli altri vestiti accanto al fuoco per scaldarli. Quando saranno cotti a puntino, ti cambierai.» Patrice sentì le guance avvampare per l'imbarazzo. Ma lui le aveva già girato la schiena, dirigendosi verso il cassettone. Rovistò tra gli abiti, spostò una panca davanti al camino e vi sistemò sopra il cambio. Poi andò a prendere il sacco a pelo e lo lasciò aperto davanti alle fiamme. Patrice, perché non conti fino a dieci prima di parlare? Bevve un altro sorso di caffè, appoggiando poi la tazza sulla mensola: quindi avvicinò le mani al fuoco e fissò le lingue guizzanti, evitando di guardare Stone. Forse prima aveva avuto ragione nel pensare che lui volesse fare l'amore soltanto perché si annoiava. A giudicare dal suo atteggiamento attuale, doveva aver cambiato idea. Dieci minuti dopo girarono gli abiti sull'altro lato. Ne trascorsero altri dieci, ma erano sempre in silenzio. L'unico rumore era il crepitio della legna. Alla fine Stone disse: «Dovrebbero essere pronti. Torno tra un quarto d'ora». «Va bene.» Perché usciva? L'ultima volta che lei si era cambiata, si era limitato a girarsi. Avrebbe dovuto essergli grata per la sensibilità, invece si scoprì ad arzigogolarci sopra. Chissà, forse pensava di cedere alla tentazione e di voltarsi... Quasi quasi sperava che fosse questa la ragione. Voleva dire che la trovava desiderabile. Ragazza, smettila!
Il problema non era la sua desiderabilità o meno. Quella era una faccenda che aveva a che fare con la condotta e il tradimento di Neil. Qualcosa che doveva imparare ad affrontare ma che non aveva nulla a che vedere con Stone. Dopotutto erano come due navi che s'incrociavano nella notte. Due persone fatte incontrare dal destino per pochi giorni. Non appena la porta si chiuse dietro di lui, Patrice cominciò a spogliarsi. Si tolse di dosso gli abiti gelati tremando come una foglia e, solo quando ebbe sulla pelle degli indumenti caldi, il gelo iniziò a sciogliersi. Rimase accanto al fuoco, bevendo il caffè nella speranza che la temperatura corporea tornasse nella norma, ma a poco a poco il calore dei vestiti diminuì, disperdendosi nell'ambiente. «Posso entrare?» Stone fece capolino dalla porta. «Sì, ho fatto.» Lui entrò battendo gli stivali sul pianerottolo, e appese il giaccone all'appendiabiti. «Va meglio?» «All'inizio sì. Ora sento freddo di nuovo.» Lui le si avvicinò, circondandole la vita con le braccia e attirandola contro di sé, le spalle curve come a volerla avvolgere col proprio corpo. E lei si sentì immediatamente sicura e protetta, e finalmente al caldo. Non si mosse, godendo di quella piacevole sensazione, poi volse la testa a sorridergli. «Serve?» le chiese Stone. «Sì.» «Bene.» Lentamente lui chinò il capo sino a che le loro labbra s'incontrarono e la fece
girare su se stessa. Con delicatezza, senza alcuna pressione. Patrice credeva di sognare. Era come entrare in un bozzolo caldo e accogliente. Vezzeggiata, coccolata. Il freddo come per magia scomparve e lei si schiuse come un bocciolo al sole del mattino, offrendosi tutta. I loro corpi si cercarono, strusciandosi smaniosi. A lei sfuggì un sospiro flebile e dolcissimo mentre Stone le accarezzava la pelle sensibile del collo. «Senti ancora freddo?» «No. Non sono brividi di freddo.» Lui si allontanò quel tanto che bastava per guardarla. E sorrise. «Ti annoi, Patrice?» Un vivo rossore le imporporò le guance. «No, non mi annoio.» «E la noia non ha niente a che fare col fatto che voglio fare l'amore con te. Vedi, ti desidero perché abbracciarti, baciarti mi piace troppo. E voglio baciarti perché so quanto è bello.» «Anche per me è così. Ma non capisco il motivo. Potrebbe trattarsi di una specie di febbre da rifugio?» «L'ho già avuta in ato. Una sensazione di irrequietezza, di claustrofobia, di essere in prigione, di vedere queste pareti e la neve come barriere alla propria libertà. Ma ti assicuro che non ha mai provocato un tale effetto su di me.» Stone lasciò scivolare il dorso della mano sulla guancia delicata di Patrice. «Non posso nemmeno tentare di dirti quanto ti voglio.» Quelle parole, lo struggimento, quasi la disperazione e il desiderio che lesse negli incredibili occhi blu le chio la gola. Dopo tutte le elucubrazioni tortuose e i dubbi sul proprio sex appeal, la dichiarazione di Stone agì come un balsamo sulla sua anima. Neil poteva anche non averla desiderata, ma Stone sì. La voleva e questa consapevolezza fu fantastica. Molto più bella di qualsiasi
sogno avesse fatto o di qualsiasi fantasia avesse creato la sua mente. All'improvviso una vocina le sussurrò che abbandonarsi così ai propri desideri non era una buona idea. Che presto si sarebbero separati. Che non vivevano nemmeno nello stesso stato. Ma per la prima volta nella vita lei non voleva ascoltare la voce della paura e della ragione. Stone la desiderava. Lei lo desiderava. E per il momento era tutto ciò che contava. Tutto ciò che lei valutava importante. «Oh, Stone! Ti voglio anch'io.» Il torace ampio e muscolo si espanse in un profondo respiro. Poi lui la strinse di nuovo a sé, catturandole la bocca in un bacio dolce e tenero. Un bacio che esprimeva il loro reciproco desiderarsi e la promessa di soddisfarlo. Mentre si baciavano lui insinuò le mani tra i due corpi, incominciando a sbottonarle la camicia di flanella. Patrice smise di respirare. Anche se ancora c'erano diversi strati di biancheria, ebbe un breve anticipo di quello che avrebbe provato quando le avesse toccato la pelle nuda. E divenne improvvisamente impaziente. Così, con dita tremanti lo imitò, aprendogli la camicia. Ma anche Stone indossava una maglia di lana e aveva entrambi gli indumenti infilati nei pantaloni. L'istinto le suggerì di accarezzarlo sul ventre piatto e sentì che i muscoli duri erano percorsi da un brivido. Lui allora interruppe il bacio per aiutarla. Poi le mise le mani sulla vita e le sorrise. Per un istante Patrice era stata colta dal panico, realizzando che non sapeva più cosa fare. Quel sorriso, invece, spazzò via i timori, dandole il coraggio di continuare. «Aspetta un secondo» mormorò lui quando rimasero solo con la maglietta sulla pelle. Prese i due sacchi a pelo e li aprì davanti al camino. Poi, prendendola per mano, la fece distendere, mettendolesi accanto. E a Patrice si aprirono le porte del paradiso. Stone cominciò ad accarezzarla sopra il tessuto di lana e lei gemette piano. A un tratto ogni sensazione di freddo scomparve e si sentì avviluppare da un delizioso,
languido calore. Quando lui le sollevò la maglietta e le dita ruvide per il lavoro le sfiorarono il pizzo rosa del reggiseno, credette di svenire per il piacere. Gli occhi chiusi, la testa abbandonata all'indietro, le labbra socchiuse, giacque immobile, totalmente soggiogata da quel suo modo dolce e sensuale di fare l'amore. Quando pensava che non avrebbe più resistito a quel tormento, Stone le sganciò il reggiseno e la bocca si alternò al gioco delle mani, riducendo il suo corpo a un fremito. Non avrebbe mai creduto che potesse esistere qualcosa di più bello. Invece lui si tolse la maglietta e la strinse a sé. «Che meraviglia!» le parole gli sfuggirono, la voce roca. Quando l'aveva soccorsa lungo la strada e l'aveva presa in braccio, Patrice aveva avuto l'impressione di un corpo duro come una roccia. E non si era sbagliata. Ma la morbida peluria scura che gli ricopriva il petto e le solleticava il seno le procurò un piacere che non avrebbe mai immaginato. Sospirò languida e Stone catturò quel sospiro nella sua bocca. Si abbracciarono con trasporto, consapevoli ciascuno della propria eccitazione e di quella dell'altro. Lui le sciolse la corda che le teneva su i jeans e lei gli aprì la cinta dei pantaloni. E così pezzo dopo pezzo si spogliarono reciprocamente. Patrice pensava di avere freddo ma lo sguardo azzurro si mosse su di lei come un'onda calda, scacciando anche l'imbarazzo e la timidezza. Tra l'altro la vista di quel corpo maschio, magnifico nella sua virilità, era sufficiente a farla restare senza fiato. Stone la tenne tra le braccia delicatamente, come un tesoro da maneggiare con estrema cura e con estrema cura riprese ad accarezzarla senza lasciare un centimetro del suo corpo inesplorato. Quando alla fine le si inginocchiò tra le gambe, Patrice non sapeva più chi fosse né dove si trovasse. L'unica cosa reale era l'uomo sopra di lei e il piacere sublime che le stava regalando. In una sorta di languido abbandono lo vide allungarsi verso i jeans e tirare fuori dal portafoglio un preservativo.
Qualche minuto dopo si allungava di nuovo su di lei e piano piano si fo l'uno con l'altro. Lei sentì una piccola resistenza, poi un fitta di dolore. Stone si fermò immediatamente, appoggiandosi sui gomiti per guardarla. «Patrice?» «Che c'è, Stone?» «Non dirmi che questa è la tua prima volta!» Come poteva confessare che se ne era dimenticata del tutto? Che si era così focalizzata sulle sensazioni che lui le aveva fatto provare da cancellare qualsiasi altro pensiero se non quello di loro due insieme. «E va bene. Non te lo dirò.» Lui affondò la testa nella curva del collo sottile e sospirò a denti stretti: Patrice aspettò che si scostasse ma Stone non si mosse. Allora lei gli circondò la schiena con le braccia, spostandole in modo da potergli accarezzare la testa. Sicuramente tra poco se ne andrà e io voglio imprimermi bene in mente ogni dettaglio. La sensazione del corpo nudo sopra di sé, il suo calore, il suo peso. Il suo odore, il sapore dei suoi baci. Il battito del suo cuore. I capelli morbidi che le scivolavano tra le dita. Tutto. Avrebbe racchiuso tutto nella memoria per poterlo ricordare. Il ricordo della prima volta in cui aveva quasi fatto l'amore con un uomo. Stone si mosse. Lei allentò la stretta e lui si scostò. «Avrei preferito che me l'avessi detto.» «Ero preoccupata.» Lui scosse la testa. «Tesoro, la prima volta di una donna non dovrebbe mai avvenire sul pavimento di una capanna.» «E dove dovrebbe avvenire? In un letto con lenzuola di seta?»
«Sì. E se non è possibile almeno su un letto vero.» «Allora spostiamoci nella tua cuccetta.» Patrice fece per alzarsi. «Aspetta! Non muoverti...» La voce era tesa e le parole gli uscirono soffocate. Lei sentiva la tensione dei muscoli d'acciaio sopra di lei mentre Stone lottava per non perdere il controllo. Ma era l'ultima cosa che desiderava. Se avessero perso tempo a spostarsi, lui avrebbe anche potuto cambiare idea. Si erano spinti sin lì, Patrice voleva che continuassero sino in fondo. Così ignorò la sua richiesta e, facendogli scorrere le mani lungo le spalle, inarcò la schiena muovendo i fianchi contro di lui. Piccoli movimenti ma sufficienti a spingerlo verso il precipizio. Con un gemito Stone si tirò indietro e poi prese a muoversi più rapido, togliendole il respiro. Il dolore si fece più acuto e si estinse, sostituito da una strana sensazione di piacere. «Stai bene?» le chiese. Lei sorrise. «Sì...» Era vero. Si sentiva calda, al sicuro e viva come mai era stata prima. Lui riprese a giocare con il suo corpo, toccandola, tormentandola, eccitandola con baci e carezze sino a che lei chiuse gli occhi e si abbandonò al ritmo dell'amore che divenne più frenetico e incalzante sino all'esplosione finale. Sentì la sua voce gridare per la meraviglia e la felicità. Stone la raggiunse qualche istante dopo e lei si stupì dell'intensità della sua reazione. Lo tenne stretto a sé finché l'ultimo tremito non lo abbandonò. Allora lui la baciò con tenerezza e rotolò dalla sua parte, tenendola tra le braccia. Patrice posò la guancia contro il suo petto e si godette quei momenti di sogno. Le fiamme danzavano nel focolare. Lentamente incominciarono a ipnotizzarla e a poco a poco, cullata dalle carezze di Stone si addormentò.
Il mento sulla testa di Patrice, i soffici capelli biondo rame che gli solleticavano la guancia, Stone rimase immobile. Ascoltava il respiro regolare della giovane donna tra le sue braccia, la mente in subbuglio. Non riusciva a credere che fosse ancora vergine. Non era certo una ragazzina e poi era stata fidanzata. Quasi sul punto di sposarsi. Si augurò che una volta sveglia non si pentisse di quanto era successo. Una domanda, però, lo ossessionava più di tante altre. Perché aveva deciso di regalare a lui la propria verginità? Oppure era stata travolta anche lei dalla stessa ondata di desiderio che l'aveva praticamente rapito e trascinato con sé? Forse si trattava di una strana forma di febbre da rifugio che avevano provocato loro due. Solo il cielo sapeva che non aveva mai provato sensazioni simili prima di allora. Quando gli aveva detto di essere vergine, aveva avuto tutte le intenzioni di fermarsi e di non andare oltre. E se lei fosse stata ferma, ce l'avrebbe fatta. Ma l'aveva provocato, spingendolo irrimediabilmente oltre il punto del non ritorno. Ed era stata perfetta. Un'amante perfetta in ogni singolo momento. o dopo o l'aveva seguito, apionata e spontanea, calda e sensuale, così ricettiva e ardente da scombussolarlo dalla testa ai piedi. Facendole scorrere le mani lungo la schiena, si meravigliò della morbidezza della sua pelle levigata. Le fiamme nel camino mandavano bagliori simili ai riflessi che danzavano sui capelli di Patrice. Un profondo respiro. Poi un sorriso gli incurvò le labbra. Solo allora Stone si rese conto di come si sentisse bene. In pace. Era una piacevole sensazione che non provava da lungo, lungo tempo. Così lungo che all'inizio non l'aveva nemmeno riconosciuta. Quel desiderio di volere che il momento presente durasse in eterno, di stare lì sul sacco a pelo, di fronte al fuoco con Patrice tra le braccia. Che tesoro di donna! Così dolce, così innocente e così fiduciosa, tutta rannicchiata contro di lui.
Davvero un peccato che vivesse tanto lontano. Si sarebbe potuto abituare facilmente ad averla intorno.
Patrice si svegliò a poco a poco. La prima cosa che notò fu il caldo che la circondava. Era bellissimo dopo tutto il freddo che aveva patito nel rifugio. Il rifugio? Quando aveva lasciato il rifugio? Spalancò gli occhi allarmatissima. Vide subito che si trovava ancora nella baita e ricordò quale fosse la fonte di quel magnifico calore: Stone. Il sole era tramontato mentre dormiva e, dato che non avevano le lampade, solo la luce palpitante delle fiamme illuminava la stanza, avvolgendo tutto di una tinta rosata. Si volse a guardarlo. Aveva gli occhi chiusi. Mentre lo osservava, si aprirono. Due pozze di cielo liquido, intenso e senza nuvole, che come al solito la rapirono con la loro magia. «Ciao» la voce profonda era roca e insonnolita. Lei gli sorrise. «Ciao.» Lui l'abbracciò stretta. «Come ti senti, bambina?» Come se fossi morta e salita in paradiso! «Bene. Mi dispiace di essermi addormentata.» «Ma scherzi! Ho dormito anch'io.» Le massaggiò la schiena con delicatezza. «Sul serio stai bene?» «Stone, sto bene.» «È che una donna fa per la prima volta l'amore col fidanzato o con un...» Le guance le si riempirono di rossore. «Lo so.»
«Avevo supposto che visto che eri stata fidanzata...» «Una supposizione logica.» «Ma errata in questo caso.» Saggia, aggiunse in silenzio. «Avevamo deciso di aspettare sino alla luna di miele.» «Cavolo, Patrice, perché mi hai permesso...» Stone s'interruppe per un attimo. «Sì, perché mi hai permesso di fare l'amore con te?» «Immagino che risponderti che sembrava una buona idea sia una spiegazione piuttosto stiracchiata.» «È questo il motivo?» Cosa poteva dirgli? Come confessargli che l'aveva fatta sentire viva e deliziosamente donna? Parlargli delle sue fantasie su loro due che restavano nella baita per sempre. Era troppo presto per innamorarsi di nuovo... Si erano appena incontrati! «Vorrei saperlo anch'io, ti giuro. Vedi, sei un uomo terribilmente affascinante. Siamo stati soli per diversi giorni. E strane sensazioni nascono dentro di me quando mi sei vicino. Soprattutto quando ci tocchiamo. Non so... forse sarà per questa ragione o forse per un insieme di fattori.» «La maggior parte delle donne vuole una dichiarazione d'amore e la promessa di un legame stabile prima di concedersi.» «Lo so, ho sempre pensato di essere quel genere di donna. Ma a quanto pare mi sbagliavo.» D'altro canto le dichiarazioni d'amore e d'impegno eterno di Neil si erano rivelate vuote come palloncini d'aria. Stone le mise un dito sotto il mento e le sollevò la testa. «Sarà l'isolamento forzato. La sindrome da rifugio provoca curiosi effetti sulle persone. Io, comunque, non avevo mai avuto una reazione di questo tipo.» Quelle parole la fecero sentire più a suo agio in una situazione senza dubbio
difficile. Un ciocco scoppiettò nel fuoco, cadendo in mezzo alla cenere e mandando scintille. «È meglio aggiungere un po' di legna» mormorò lui. Patrice fece per uscire dal sacco a pelo ma Stone la trattenne, prendendola di nuovo tra le braccia e chinandosi a baciarla con ione. Il corpo maschio, solido ed eccitato, si strusciò contro il suo, strappandole un sorrisetto di femminile soddisfazione. Significava tanto per lei avere la certezza, la dimostrazione lampante che quell'uomo la voleva ancora. Stone prese un altro preservativo dal portafoglio e fece di nuovo l'amore con lei. Questa volta con maggior delicatezza. Senza la minima fretta. Trascinandola sino all'orlo della follia. Raggiunsero il piacere totale quasi contemporaneamente e giacquero, sfiniti e appagati, ad assaporare ancora per qualche minuto quella piacevole stanchezza.
Quella sera, durante la cena, l'atmosfera era allegra e vivace: risero, si scambiarono sguardi languidi e languidi sorrisi. Quando Patrice uscì per la eggiatina serale, la luna occhieggiava tra i rami degli alberi, la faccia piena e argentata spandeva un chiarore bluastro sulla distesa di neve. Minuscole scintille di luce sembravano danzare sulla coltre candida, palpitando come luci magiche. Al suo ritorno, Stone stava fissando il fuoco, l'espressione seria e preoccupata. «Che c'è, brutte notizie dal ranch?» Cos'altro poteva avergli fatto cambiare umore in quel modo? «No, non ho parlato con Mack.»
«Allora... non capisco. Ho detto o fatto qualcosa che...» Lui le si avvicinò, mettendole un dito sulle labbra. «Shhh, piccola. Non hai fatto o detto nulla di sbagliato.» Tirò fuori una mano dalla tasca e le mostrò un pacchetto. «L'ultimo, tesoro.»
7
Patrice sentì il sangue affluirle alle guance mentre le si formava un vuoto alla bocca dello stomaco. «L'ultimo.» Stone annuì. «L'ultimo» ripeté tetro. E non era certo possibile fare un salto al supermercato più vicino per comprarne una confezione. «Resteremo bloccati qui per altri giorni.» Si girò a guardarla. «Non posso fingere di credere che sarà facile per me starti lontano.» Solo il pensiero delle sue mani di nuovo su di sé era eccitante. «E io non posso fingere che non ti desidero. Ma...» «Sì, sì, lo so.» Abbassò gli occhi sul pacchetto che aveva in mano. «La questione è: lo usiamo ora o lo teniamo da parte?» Avrebbe voluto corrergli tra le braccia e fare l'amore di nuovo. Ma la prospettiva delle giornate lunghe da are e delle notti che avevano ancora davanti... Si mordicchiò il labbro inferiore e scrollò le spalle in un gesto di frustrazione. «Dobbiamo aspettare» sentenziò Stone rassegnato. Si rimise la bustina in tasca e allargò le braccia verso di lei. «Vieni qui, piccola.» Patrice appoggiò la guancia contro la camicia di flanella e lasciò che lui la stringesse a sé. Lo sentì ridere. Una risata che gli scosse il petto e le arrivò sino all'anima. «Avrei dovuto fare provviste anche di preservativi. O almeno portarmene dietro una scorta.» L'assalì un'ondata di tristezza nel domandarsi quale sarebbe stata la prossima donna tanto fortunata da rimanere bloccata lì con Stone. Le possibilità che fosse di nuovo lei erano scarse. Non poteva giurarci ma l'emozione che la stava consumando assomigliava troppo alla gelosia.
Che diavolo ti succede, Patrice? Sembrava tutto così irrazionale. Conosceva a mala pena quell'uomo ed era già gelosa delle donne che avrebbero fatto parte della sua vita. Era naturale. Lui era il suo primo amante. E sarebbe sempre stato il primo. Probabilmente i sentimenti che provava, quel senso di gelosia, dipendevano da questo e forse anche dal fatto che intuiva che stava per innamorarsi. Stone le baciò la testa, affondando il viso tra i suoi capelli. «Ma se facciamo scorte di preservativi quassù e la voce si sparge nella contea, ci ritroveremo la baita piena di adolescenti in calore.» A lei fu impossibile non ridere. «E la cosa potrebbe diventare troppo costosa... e poco redditizia. Anzi, per nulla conveniente rispetto al rapporto qualità prezzo.» «Brava, vedo che hai imparato» fu la risposta divertita. Rimasero così, al centro della stanza. Lei appoggiata contro il corpo solido come roccia, gli occhi chiusi, felice. Lui le accarezzava piano la schiena, l'espressione assorta e tenera nello stesso tempo. Alla fine le prese il volto tra le mani, specchiandosi in quei laghi verdi. «Vuoi giocare a cribbage?» «Non molto, veramente.» Non era nello spirito di giocare a carte né di fare altro se non rimanere tra le sue braccia. Anche se non avessero più fatto l'amore, desiderava soltanto stargli vicino. «Ma se a te va, non c'è problema.» «Non sono dell'umore adatto per il cribbage.» Patrice si morse la lingua per evitare di domandargli quale fosse il suo umore. Poteva immaginare la risposta e avrebbe significato andare in cerca di guai. Sapeva benissimo che era più assennato aspettare, ma prima o poi sarebbe arrivata la resa dei conti. Perché ne fosse così certa, non se lo chiese neppure, ma era pronta a scommetterci. Stone le scompigliò i capelli quasi con affetto. «Su, andiamo a sederci sul
divano.» Si sistemò contro i cuscini, allungando le gambe. Poi la fece appoggiare di schiena contro il suo torace, le braccia intorno a lei, il mento sulla sua testa. Patrice poteva vedere il fuoco danzare nel camino e mandare bagliori sulle pareti di legno. «Leggiamo?» le chiese. «Va bene.» Lui si sporse verso lo scaffale per prendere i libri. Patrice aprì il suo, poggiandolo in grembo; Stone lo mise invece sul bordo del divano. arono così diversi minuti scanditi dal rumore dei fogli. Un rumore che divenne a poco a poco sempre più distanziato sino che alla fine con un grosso sospiro lei smise di fingere interesse per il giallo e chiuse il volume. Lui si mosse. «Hai già finito il tuo libro?» «No, ma preferisco guardare il fuoco che scoppietta.» «Piace anche a me. Cerco sempre di distinguere delle figure tra le fiamme.» «Io lo faccio spesso con le nuvole.» «Anch'io lo facevo quando ero piccolo.» «Che effetto fa crescere in un ranch?» «Per me è stato bello. Non posso spiegartene la ragione perché non ho conosciuto altra condizione. A volte invidiavo i miei amici che vivevano in città perché i lavori al ranch mi occupavano tutta la giornata. Loro, invece, sembravano poter godere di maggior tempo libero.» Patrice lo sentì chiudere il libro. Poi le prese il suo dalle mani e li posò entrambi sul pavimento. «Però io avevo accesso illimitato ai cavalli e una varietà incredibile di posti dove andare a cavalcare.» «Doveva essere molto bello davvero.»
«Lo è ancora. Soprattutto quando la stagione lo consente. Tu sai andare a cavallo?» «Lo facevo di tanto in tanto quando ero adolescente. Ma mai abbastanza per diventare un'amazzone provetta.» «Se hai tempo durante la tua permanenza a Clancy, puoi venire al ranch. Faremo una cavalcata.» Voleva continuare a vederla dopo che avevano lasciato il rifugio! Patrice sorrise, eccitata alla prospettiva che non vi fosse una fine a quell'incontro. Che nonostante la separazione, ci sarebbe stata l'opportunità di rivedersi. Ma la vocina del buon senso le ricordò che voler fare una eggiata a cavallo non significava desiderare di instaurare una relazione. E comunque cosa le stava ando per la mente? Non era forse appena uscita da una storia infelice? Sarebbe stata una follia anche solo pensare di buttarsi di nuovo nella mischia. Le fiamme scoppiettarono, facendola sobbalzare e lui ridacchiò divertito. «Non ti sei ancora abituata, eh?» «A volte il rumore mi coglie impreparata.» gli sorrise Patrice stringendosi al suo petto. «A cosa stavi pensando adesso?» Come poteva confessargli che stava pensando a lui? O meglio, come avrebbe reagito lui se l'avesse saputo? «Non pensavo proprio. Più che altro sognavo.» «Cosa?» Lei scrollò le spalle con indifferenza. «Così...» Stone la fece voltare con gentilezza per poterla guardare in viso. Si scambiarono un sorriso. Poi Patrice si sporse in avanti per baciarlo. Le sfuggì un gemito di piacere nel sentire di nuovo la sua bocca. Era fantastico. Baci meravigliosi...
Stone cominciò ad accarezzarla accentuando la sensualità del momento. E lei lo imitò, soddisfacendo finalmente il desiderio di toccarlo. Continuarono quel gioco sottile per qualche tempo sino a quando i loro respiri si fecero affannosi e Stone con un gemito roco non la prese tra le braccia e si diresse verso il letto a castello. «Ehi, non avevamo deciso di aspettare?» «Infatti. Aspetteremo prima di fare l'amore ma ci sono tanti altri modi di amarsi. Altri mezzi per dare un po' di pace a questa smania che ci consuma.» La mise seduta sulla cuccetta, le gambe oltre il bordo del letto. Le sistemò un cuscino sotto la testa, le tolse le scarpe e lentamente iniziò a sfilarle i blue jeans. Un tremito la percorse tutta mentre le toglieva i pantaloni, portandosi via nello stesso tempo le calze di lana e la biancheria intima. Le aprì le ginocchia con le mani calde, e si mise in mezzo alle sue gambe sinuose. Patrice trattenne il respiro quando incominciò a percorrere la parte sensibile tra le cosce con le labbra. Piccoli tocchi leggeri e struggenti, resi ancora più erotici dal solletico causato dalla barba. Quando aprì la bocca su di lei la trasportò di colpo sul ciglio del precipizio. Patrice si aggrappò alla sua camicia, tenendosi con un senso di disperazione al morbido tessuto come se fosse l'unico legame con il mondo reale. La camicia era reale, mentre il calore e il godimento sublime che i suoi baci le stavano regalando facevano parte di un sogno dolcissimo. E lei non avrebbe mai voluto svegliarsi. A un certo punto l'eccitazione, il piacere divennero tali che si rese conto di non farcela più a trattenersi. «Stone, forse dovresti fermarti» mormorò rauca. Lui alzò la testa a guardarla. «Non ti piace?» «Si, mi piace... anche troppo veramente. Io...» «Ci sei vicina?»
Lei si morse il labbro annuendo. Un sorriso compiaciuto fece brillare le pozze di cielo blu. «Allora lasciati andare, tesoro.» Quando riprese da dove si era interrotto, Patrice sospirò. Poi chiuse gli occhi e i sospiri si trasformarono in gemiti che presto divennero gridolini di piacere. Stone rallentò i movimenti sino a smettere di baciarla del tutto. Lei staccò le mani dalla camicia mentre il battito del cuore riprendeva un ritmo normale. Poi aprì gli occhi e scoprì che lui la osservava. Si sorrisero. L'unica parola che le veniva in mente era Uahuu!. Ma non si poteva considerare una conversazione intelligente, quindi preferì non dire nulla. Stone le mise le mani intorno alla vita stringendola a sé, poi appoggiò la testa contro il suo stomaco. Sarebbe stato facile abbandonarsi al sonno in quella posizione ma il suo senso di giustizia e di correttezza glielo impedì. Lui le aveva dato tanto senza chiedere nulla in cambio. Dal canto suo non era sicura come restituire la cortesia e farlo felice ma ci avrebbe provato, certa che Stone l'avrebbe aiutata a imparare. Affondò le dita tra i folti capelli neri, facendosi coraggio, il viso in fiamme già prima di incominciare a parlare. «Non sono pratica, lo sai, ma c'è qualcosa che posso fare per te?» Lui alzò la testa. «Solo se lo vuoi veramente.» «Non mi sarei offerta altrimenti. Ho solo bisogno di un piccolo insegnamento.» La luce che si accese negli occhi color indaco fu maliziosa e sensuale insieme. «Sono pronto a fare la mia parte.» Finirono di spogliarsi e s'infilarono insieme nel sacco a pelo di Stone. Fianco a fianco, stretti l'uno all'altro. All'inizio si limitarono a baciarsi, poi lui le prese una mano e lentamente la spostò lungo il proprio corpo. Incominciò a spiegarle con voce rauca cosa gli faceva piacere, e a poco a poco i
sospiri e i gemiti di Stone le dissero come regolarsi. Poteva anche essere una neofita, ma dal risultato che stava ottenendo evidentemente imparava in fretta: molto presto Patrice lo portò sino all'orgasmo. Rimasero distesi abbracciati a godere quei momenti di pace, scambiandosi ogni tanto qualche carezza. «Sonno?» le chiese Stone. «Direi di no. Ho fatto un riposino nel pomeriggio. E tu?» «Nemmeno.» Patrice posò le mani sul suo torace e il mento sulle mani, e lo guardò sorridendo. «Parlami ancora della tua vita di cowboy.» Lui le raccontò di cavalli, di bestiame, dell'emozione di vivere negli spazi aperti. Poi incominciarono a discutere dei libri che stavano leggendo e di libri in generale. La conversazione si spostò poi sui film e dai film arrivarono a chiacchierare di musica. «Ti piace Vivaldi?» si meravigliò lei. Lui sollevò un sopracciglio. «Certo. Non pensavi che ascoltassi soltanto musica country, no?» «Be', no... ma quella classica... Ecco mi sembrava improbabile.» Stone sorrise malizioso. «Guarda signorina che sono un ragazzo bene educato.» «Si può essere bene educati e non ascoltare musica classica» replicò lei con un lampo negli occhi. «Hai ragione.» «Potrei averlo scritto in calce?» Con un dito lui disegnò le lettere sulla schiena. «Patrice ha ragione, punto esclamativo.»
Il corpo di Patrice fu scosso da brividi di piacere: lui le lanciò un sorriso diabolico e lei scoppiò a ridere, sbadigliando senza ritegno un attimo dopo. «Credo che sia il caso di spegnere le lampade per la notte» annunciò, baciandola sulla punta del naso. Lei si spostò di lato in modo da permettergli di scendere. Stone aggiunse altri ciocchi al fuoco e alla stufa e spense le luci. Era incredibile come sembrasse parte integrante dell'ambiente anche senza abiti. Si muoveva con eleganza e naturalezza come un gatto sui tetti o un felino in mezzo alla giungla. Era ovvio che non erano lo Stetson o gli stivali da cowboy a dare quell'impressione. Era l'uomo stesso. Lui prese l'altro sacco a pelo dalla cuccetta superiore e prima di mettersi di nuovo a letto, lo distese sopra di loro. Patrice si rannicchiò contro il corpo solido, in un intreccio di gambe e di braccia. Parlarono ancora per qualche minuto, poi lei sentì che il sonno la stava catturando. L'ultima cosa di cui fu consapevole furono le labbra di Stone sopra le sue e la sua voce che mormorava la buona notte. «Sogni d'oro, tesoro.»
Per la prima volta dal suo arrivo al rifugio, non fu il profumo del caffè a svegliarla. Sorrise felice quando si rese conto del motivo. Stone non si era ancora alzato. Era lì nella cuccetta e la teneva stretta a sé. Notò qualcos'altro. Il fischio del vento intorno alla baita. Possibile che la bufera si fosse risvegliata? Da una parte l'idea le piaceva. Se doveva essere sincera l'idea di prolungare la loro permanenza forzata le piaceva da ogni punto di vista. Stone si mosse e lei si girò a guardarlo. Lui le sorrise. «Buon giorno.» «Buon giorno.»
Stone si sporse in avanti per baciarla. «Dormito bene?» «Molto bene. Sono stata calda e comoda.» Lui strofinò il viso nell'incavo del collo. «Anch'io. E se non mi alzo, farà ancora più caldo. Anzi si scoppierà.» Si baciarono di nuovo. Patrice aveva la sensazione che il sole fosse sorto proprio nella sua anima. E l'intensità di quell'emozione provocò il panico. Stone rotolò sulla schiena, prendendola con sé in modo che fosse distesa su di lui. «Ho detto buon giorno?» «Sì, credo tu l'abbia appena detto.» «Allora permettimi di fare una piccola correzione. Splendido giorno, tesoro!» Lei scoppiò a ridere ma non poteva che concordare pienamente. Quello era proprio un buon giorno splendido. La prima mattina in cui si svegliava tra le braccia di un uomo. Ed era meraviglioso. Certo, dipendeva in parte da quell'uomo in particolare. Ma che in parte, ragazza! Tutto dipende da lui. Era difficile credere che in così breve tempo fosse riuscito a penetrare attraverso le sue difese, fin dentro il suo cuore e i suoi pensieri. Nel loro caso, però, non si poteva parlare soltanto di giorni ma soprattutto di ore. Ore ate insieme eccetto quelle trascorse dormendo. In una relazione tradizionale ci sarebbero volute diverse settimane prima che una coppia fosse riuscita a are così tanto tempo insieme. Ma anche guardando le cose da quel punto di vista, non era sempre poco per innamorarsi? Fare l'amore non le aveva portato alcuna risposta. Anzi, aveva peggiorato le cose aggiungendo nuove domande. Continuarono a stare a letto abbracciati, scambiandosi tenerezze e bisbigliando, dividendo ricordi del ato.
Solo il brontolio dello stomaco di Stone li convinse alla fine ad alzarsi. Fecero colazione, portarono a termine la solita routine mattutina e poi si ritrovarono l'uno nelle braccia dell'altro sul divano.
Il vento continuò a fischiare per l'intera giornata e quando Patrice uscì fuori, non le parve poi un vento caldo, come Stone aveva definito il Chinook. Tutt'altro. Ma nel tardo pomeriggio, quando guardò dalla finestra, i cumuli di neve erano diventati più piccoli. Stone venne a mettersi dietro di lei. «Se continua così, saremo fuori di qui domani pomeriggio.» Lei si volse a lanciargli un'occhiata sorpresa. «Davvero?» Le costò una fatica immane sorridere mentre si sentiva stringere il cuore al pensiero del poco tempo che avevano ancora a disposizione. «Con ogni probabilità.» «Si scioglie con la stessa rapidità con cui cade?» «Talvolta, non sempre. A questa altitudine ne rimane una notevole quantità sul terreno, comunque non così tanta da non poterci are con la macchina.» «Ho sempre pensato che i veicoli a quattro ruote motrici potessero andare ovunque.» «In effetti rispetto a un mezzo normale sono in grado di funzionare anche su terreni piuttosto accidentati ma hanno i loro limiti.» Stone le mise un braccio intorno alle spalle. «Hai voglia di fare una eggiata?» «Mi piacerebbe ma c'è ancora troppo vento e anche se la neve si scioglie, non mi sembra faccia molto caldo.» Lui ridacchiò divertito. «No, immagino proprio di no.» «Forse più tardi... se cala un po'.» Patrice tornò a guardare fuori dalla finestra. Gli alberi si piegavano e i loro rami
scrollavano il loro peso in terra. Più lontano, al limite della foresta sembrava quasi che nevicasse di nuovo. «Forse dovrei finire di leggere il libro che ho iniziato visto che ce ne andremo presto» mormorò a mezza bocca. «Puoi portartelo via se non fi in tempo.» «Grazie. Ma se lo finirò non ce ne sarà bisogno.» «Abbiamo ancora un preservativo, tesoro mio.» Patrice si girò verso di lui. «Abbiamo un'intera notte davanti.» Stone annuì. «Hai ragione, come al solito. Okay, leggiamo. Però sistemiamoci sul divano come ieri.» «Va bene.» E come il giorno precedente Patrice trovò molto difficile concentrarsi. Era troppo consapevole dell'uomo che la teneva stretta a sé. Quando Stone poi incominciò a percorrerle il braccio su e giù con la mano, capì che non sarebbe mai riuscita a terminare la pagina che ave va davanti. Tanto meno ad arrivare alla fine del libro. Si appoggiò all'indietro, posando la testa contro l'ampio torace di lui. «Stone...» «Quel preservativo mi brucia da morire in tasca, tesoro.»
8
Patrice scoppiò a ridere. «Sto cercando di non pensarci.» «A chi lo dici! Solo che per me è fatica sprecata.» Stone le scoccò un sorriso malizioso e sensuale insieme. «Allora, cosa dici?» «Che è quasi ora di andare a letto.» «Appunto. Il sole tramonterà in meno di un'ora.» «Preferisci cenare prima?» Stone scosse la testa. «Non ho fame di cibo. E tu?» «Nemmeno io.» Patrice gli sorrise con uno sguardo d'intesa. Era affamata soltanto di lui e del modo fantastico in cui faceva l'amore. Come il giorno prima i libri finirono in terra. Lui si mise in posizione più eretta, facendola mettere a cavalcioni sulle sue ginocchia. Lei gli circondò il collo con le braccia, intrecciandogli le dita dietro la nuca. Poi, chinandosi in avanti, gli percorse la linea delle labbra con le proprie, facendolo gemere. A quel punto Stone l'attirò a sé impadronendosi della sua bocca morbida con tutta la ione che aveva dentro, le mani intorno alla vita sottile per premerla contro la propria prorompente eccitazione. I loro respiri si fecero man mano più affannosi mentre i baci divenivano più intimi e più erotiche le sensazioni provocate dai loro corpi che si cercavano. A quel punto divenne impellente il bisogno di toccarsi, del contatto di pelle contro pelle. Così, divincolandosi in modo da non dover smettere di baciarsi, si spogliarono l'un l'altro sino alla vita. Stone trasferì tutta la sua attenzione sui seni turgidi, strappandole suoni bassi e inarticolati di puro piacere. Patrice inarcò il dorso, languida e sensuale, offrendosi totalmente ai baci e alle carezze.
Stone sorrise, compiaciuto ed eccitato insieme. «Sei una meraviglia, lo sai? Così sensibile...» «È un fatto positivo?» ansimò lei, il corpo scosso da fremiti di godimento. «Molto positivo. Ogni uomo sogna di fare l'a more con una donna come te.» Quelle parole la resero felice e le infiammarono le guance. Ma dubitava che il tocco di un altro avrebbe avuto su di lei lo stesso, straordinario effetto. Almeno non a quel punto della sua vita. Forse mai più. Forse Stone sarebbe rimasto l'unico amore. Un amore che non sarebbe mai più stata capace di trovare per quanto si fosse sforzata. E quella forse era l'ultima volta che facevano l'amore. A meno che non avessero continuato a vedersi dopo il ritorno nel mondo civile. Naturalmente sarebbe stato più saggio non lasciare ingigantire le speranze. Se voleva godersi veramente quella notte, lei non doveva pensare a niente. Stone la strinse ancora di più contro di sé, impossessandosi della sua bocca famelico e insaziabile, e quando si staccarono per respirare, tremavano entrambi in modo incontrollabile. Patrice aveva come un nodo alla gola, un'emozione profonda mai provata prima. E specchiandosi negli occhi blu le parole Ti amo furono lì lì per sfuggirle. Ma come avrebbe reagito lui? In fin dei conti non le aveva detto niente di simile. Non si era mai esposto né impegnato emozionalmente in alcun modo. In quelle pozze di mare limpido poteva leggere desiderio e ione. Ma amore? Non le sembrava. E ancora una volta si chiese se non fosse ancora innamorato della moglie. Stone affondò le dita tra i soffici capelli biondo rame. «Andiamo a letto sino a che sono ancora capace di camminare?» «Oh, sì... Ti prego.» Lui l'aiutò a scendere dal divano e si alzò in piedi. Poi, mano nella mano si spostarono vicino al letto a castello. Terminarono di spogliarsi. Senza fretta, soffermandosi a baciarsi mentre ogni indumento finiva sul pavimento. Lui mise
il preservativo sotto il cuscino e si distese con lei nella cuccetta inferiore. Sembrava che tutta la smania di poco prima lo avesse abbandonato. Incominciò ad amarla con delicatezza, con estrema tenerezza e sensualità, prendendosi tutto il tempo necessario per portarla a poco a poco sino al limite dell'esplosione. Quando ormai Patrice credeva che si sarebbe disintegrata in un milione di pezzi, lui la fece finalmente sua. A lei sfuggì un'esclamazione soffocata e insieme un gemito. «Lo so, tesoro, lo so. È talmente dolce.» Un cenno di assenso fu tutto quello che riuscì a fare. Mettere in parole quanto stava provando era impossibile e poi non ne avrebbe avuto nemmeno la forza. Mai come quella volta la realtà presente cominciò a dissolversi. Il tempo e lo spazio divennero soltanto entità astratte mentre lei si sentiva sciogliere e diventare parte integrante di quell'uomo che le era entrato nel sangue. Cercò di memorizzare quel senso di euforia, di felicità, di completezza, di appartenenza. Avrebbe voluto che quel momento si protraesse in eterno ma Stone incominciò a tremare e perse il controllo. Avvinghiandosi a lui come a un'ancora di salvezza lasciò che quelle calde sensazioni la travolgessero. Stone le crollò addosso esausto, affondando la testa tra i suoi seni. Le ci volle tutta la forza rimastale per sollevare le braccia e lasciar scorrere le dita tra i suoi folti capelli. Rimasero così per diversi minuti, poi lui si spostò di lato, tirandola sopra il proprio corpo. Con un sospiro di beatitudine Patrice si rilassò, appoggiando la guancia contro il suo petto. «Ragazzi!» lo sentì esclamare. «Diventa ogni volta più bello. Se questa è la sindrome da rifugio, spero proprio che non mi i più.» L'assalì un'ondata di gioia. C'era in quelle parole un accenno a un futuro per loro? Stone aveva voluto dire che era sempre più bello stare insieme? Oppure parlava soltanto di se stesso? Mentre giacevano uno tra le braccia dell'altro, Patrice aspettò che approfondisse
il discorso. O che almeno continuasse su quell'argomento. Ma l'attesa fu vana. Quando il freddo cominciò a farsi sentire, Stone prese anche l'altro sacco a pelo e lo mise addosso a entrambi. Sembrava non aver fretta di mettersi a dormire, pago di tenerla stretta e di accarezzarla. Trascorsero quasi tutta la notte scambiandosi baci e specchiandosi negli occhi.
Patrice non ricordava di essersi addormentata. Ma, visto che si stava svegliando, doveva averlo fatto. Durante la notte doveva essere anche scivolata di lato ma Stone continuava a tenerla abbracciata. Abbassò di nuovo le palpebre, imprimendosi bene in mente ogni particolare. E contro ogni buon senso permise ai propri pensieri di fantasticare come sarebbe stato meraviglioso incominciare ogni giorno in quel modo. Un sogno stupendo, Patrice, ma non ti abitua re all'idea. Restava comunque un sogno molto allettante. Uno di quelli in cui adorava abbandonarsi e non svegliarsi più. Sentì le lacrime salirle agli occhi. Stone non doveva accorgersi che stava piangendo. Avrebbe voluto sapere perché. E forse non sarebbe stata capace di tacere, arrivando a confessargli di amarlo. Ma non voleva che lui la ricordasse così: triste e malinconica. Voleva che ricordasse quei giorni ati insieme pieni solo di divertimento, allegria e ione. Doveva rimanergli impressa nella memoria una donna allegra e un'amante apionata. Cercando di non svegliarlo, scese piano piano dal letto e si rivestì con gli abiti sparsi ancora in terra. Dopo aver aggiunto legna al fuoco incominciò a preparare la colazione. Era quasi tutto pronto quando sentì su di sé lo sguardo di Stone. Voltandosi vide che era sveglio e la stava osservando. Gli sorrise dolcemente. «Buon giorno.» «Buon giorno.»
Il sorriso divenne più accentuato. Le piaceva da impazzire il suono di quella voce profonda e un po' roca. Soprattutto al mattino aveva una nota sensuale che le riduceva le ginocchia molli come gelatina. «La colazione è pronta» gli disse avvicinandosi. Lui si stirò pigramente e si mise seduto. Il sacco a pelo scivolò giù, scoprendogli il torace nudo. Lei si sforzò di non guardare ma era una tale tentazione! Guardare le faceva venire voglia di toccare. E toccare li avrebbe portati su sentieri pericolosi dove non potevano andare anche se lo desideravano. Stone si massaggiò la barba. «Sarà il caso che mi dia una mossa.» Patrice si voltò in fretta, ritornando nella zona cucina per controllare che tutto fosse a posto. Rimase di schiena finché non sentì il fruscio della cerniera dei pantaloni. A quel punto si permise di girarsi e lo guardò infilarsi la maglia di lana e la camicia. Quando alzò la testa, Stone l'accarezzò con uno splendido sorriso. «Tutto pronto?» Il cuore di Patrice ebbe un sussulto. Pronto per cosa?, si chiese stordita. «Pronto?» ripeté in un sussurro. «La colazione.» «Oh, sì, certo.» Se fosse stata sola, si sarebbe sbattuta la mano sulla fronte. Ma dove aveva la testa? A cos'altro poteva riferirsi? Sarebbe stato assurdo che avesse finito di vestirsi per suggerirle poi di fare l'amore. Le guance le si coprirono di rossore. Patrice, ma che ti prende? Da dove ti esce tutta questa smania di sesso? Stone andò a sedersi al tavolo. Lei versò il caffè e servì la farina di avena con pesche sciroppate. Mangiarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Poi lui disse: «Prima di andarcene, dobbiamo fare una lista in modo che Mack possa in seguito riassortire le scorte».
«Immagino che sia importante soprattutto durante l'inverno tenere la credenza ben fornita.» «Infatti.» Continuarono a parlare di argomenti neutri ma ormai la partenza era diventato l'unico pensiero di Patrice. Una pulitina, l'inventario, un rapido controllo alla strada e si sarebbero messi in marcia per tornare ognuno alla propria vita. Il silenzio riempì di nuovo la stanza. Si misero a riordinare la zona cucina. Arrotolarono i sacchi a pelo. Sprimacciarono i cuscini e li sistemarono nell'armadio. Stone prese carta e penna, Patrice lesse l'inventario, lui controllò quanti pezzi c'erano di ogni articolo, glielo riferì e lei lo trascrisse. L'operazione non richiese molto tempo. Quando ebbero finito, Stone si mise in tasca il foglio. «Vado a controllare la situazione della strada» annunciò. «Va bene.» In piedi in mezzo alla stanza lei si guardò intorno, lasciando che i ricordi la assalissero: alcuni la fecero sorridere, altri le tolsero il respiro. Ma l'effetto complessivo fu quello di colmarle gli occhi di lacrime. A volte aveva avuto l'impressione di vivere lì con lui da sempre. Adesso, invece, le sembrava di essere appena arrivata. Raccolse gli abiti che indossava quando aveva avuto l'incidente e li ammonticchiò su una panca. La porta si aprì. In fretta si asciugò le tracce di pianto e si volse. «Come ti è sembrata la strada?» «Direi buona. Ho telefonato a Mack e lui mi ha riferito che la superstrada a valle è stata tutta ripulita sino in città.» Patrice si sforzò di sorridere. «È una buona notizia.» «Sì. Non ci resta che spegnere bene il fuoco e la stufa e partire.» Si prese cura prima della stufa, poi, andando verso il camino, si chinò a
raccogliere i libri in terra accanto al divano. «Vuoi portartelo via?» Patrice prese il libro, stringendoselo al petto. «Sì, se non ti dispiace. Grazie.» Lui annuì. «Figurati.» Lei pensava che si sarebbe girato verso il camino, invece continuò a fissarla. «Oh, al diavolo! Tesoro...» mormorò tra i denti allargando le braccia. Lei lasciò cadere il volume sul divano e corse a stringersi a lui. Poi si alzò in punta di piedi e gli offrì la bocca in un bacio avido e disperato. Prima che si rendesse conto di quanto stava succedendo si ritrovò distesa sulle tavole di legno davanti al focolare con il giaccone di Stone sotto la testa. In uno stato di totale stordimento, preda dei sensi e dell'amore che sentiva verso quell'uomo, lasciò che la spogliasse e si spogliasse. Poi gli tese le braccia. Lui sorrise e le si distese vicino, stringendola a sé. Si baciarono e continuarono a baciarsi. Avidi, affamati, inconsapevoli del tempo che ava e della ione che montava. Tutto si era cancellato. Patrice non aveva altro nella mente che le incredibili sensazioni che le percorrevano il corpo e lo splendido cowboy che gliele stava regalando. Dischiuse le gambe, desiderosa di averlo ancora più vicino e lui accolse l'invito, facendola sua un'altra volta. Con un sospiro lei chiuse gli occhi e inarcò la schiena, aggrappandosi alle sue spalle. Il loro amore non fu delicato e gentile come era stato durante la notte. C'era una disperazione di fondo che lo rese più violento. Quasi selvaggio. Primitivo. E li lasciò esausti e tremanti. Nella stanza riecheggiarono i loro ansiti e le loro invocazioni incoerenti. Poi rimasero soltanto il silenzio e il battito frenetico dei loro cuori. Patrice era così felice che avessero fatto l'amore un'altra volta prima di separarsi...
Un brivido gelido le percorse le ossa. «Oh, mio Dio no! Stone cosa abbiamo fatto?»
9
Stone abbassò lo sguardo su di lei, l'espressione appagata e soddisfatta di chi ha appena fatto l'amore. «Cosa abbiamo fatto?» ripeté come un automa. Poi sbatté le palpebre. Una, due, tre volte. I bei lineamenti si torsero in una smorfia di angoscia. Imprecò a denti stretti e si mise seduto. Prendendola tra le braccia se la strinse al petto. «Mi dispiace, Patrice.» Lei appoggiò la testa contro la sua spalla. «Anche a me.» «Maledizione, ma che mi è preso? So benissimo che non è il caso di far l'amore senza protezione. A che diavolo stavo pensando?» «Non è tutta colpa tua. Avrei potuto fermarti ma... Ecco, non mi è nemmeno ato per la mente che i preservativi erano finiti. Ci ho pensato solo dopo.» «Io nemmeno dopo. Per la miseria, tesoro! Sono stato un'idiota.» Lei si guardò il ventre. Quante probabilità c'erano che il bambino di Stone cominciasse a crescere proprio lì? È troppo presto per cedere al panico, Patrice. Ci sarebbe voluto ancora tanto tempo prima di scoprirlo. Era inutile preoccuparsi adesso. Poteva anche non essere successo nulla. E comunque ci avrebbe pensato al momento. Si raddrizzò. «Credo che dovremmo prepararci per partire.» Stone la strinse a sé. «Non credi che dovremmo parlarne?» «Forse è tutto a posto. Perché preoccuparci prima del tempo?» «Potresti essere incinta.»
«Potrei anche non esserlo.» «Dovremmo considerare ogni opzione nel caso lo fossi.» Lei tirò un grosso respiro. «Senti, perché non aspettiamo quando lo sapremo con certezza?» «Se abbiamo già un piano, non saremmo colti totalmente alla sprovvista nel caso dovesse arrivare un bambino.» «E se non arrivasse alcun bambino, avremmo sprecato il tempo a fare piani inutili.» Patrice rimase sorpresa nel sentirsi parlare in quel modo. Di solito era la prima a organizzare e pianificare in anticipo, compilando liste senza fine. Amava avere sempre pronto un programma di emergenza e uno di riserva. Soltanto quel viaggio in Montana era stato deciso al momento. Deciso e messo in atto così di getto. Chissà, forse era incominciata una nuova fase della sua vita. Si liberò dall'abbraccio e si alzò in piedi, mettendosi a raccogliere gli abiti. Anche Stone incominciò a rivestirsi, la mascella serrata, la fronte corrucciata. «Voglio che tu sappia che ti sarò vicino se dovesse accadere il peggio.» Una parte di lei gli era grata per quelle parole ma l'altra, quella che voleva che le dichiarasse il suo amore e non solo l'intenzione di aiutarla, si arrabbiò. «Forse non ci sarà nessun peggio di cui ti dovrai preoccupare» sbottò brusca. Stone si girò di scatto, le mani sui fianchi. «Arrabbiarsi non serve a nulla.» «Oh, scusi signor Garrett! Non mi sto arrabbiando. Sono già arrabbiata.» «Ho detto che mi dispiace.» Le tempie le pulsavano dolorosamente. Patrice avrebbe voluto urlare e mettersi a piangere. Scuoterlo in qualche modo. «Sì, lo so. E io ti ho risposto che non è stata solo colpa tua. Non sono arrabbiata per quello che è successo ma per il tuo
atteggiamento.» «Il mio atteggiamento? Ti sto soltanto offrendo aiuto. Saresti più contenta se ti abbandonassi a te stessa? Se ti lasciassi a gestire la situazione da sola?» «Sarei perfettamente in grado di cavarmela.» Certo, Patrice. Hai appena perso il lavoro. Come pensi di prenderti cura di un bambino e ricostruirti una vita nello stesso tempo? Ma forse non c'era alcun bambino... Doveva attenersi ai fatti. E adesso non c'era alcun fatto evidente. Doveva fare in modo che anche Stone non perdesse di vista la realtà. «Ah, sì? Va bene. Fa' come vuoi.» «Come vuoi cosa? Che intendi esattamente?» «Che ti comporti come la tipica ragazza di città ossessionata dalla propria indipendenza. Ma sappi che se c'è un bambino, anche io ho i miei diritti. E puoi stare certa che farò tutto ciò che è in mio potere per farli valere.» «È una minaccia per caso?» Il volto di Patrice si fece torvo. «No, tesoro. È un impegno sul nome dei Garrett. Chiedi in giro quando sarai a Clancy. Imparerai quanto peso abbia da queste parti.» Le girò le spalle e si diresse verso il caminetto per spegnere le braci. Lei, invece, raccolse i suoi vestiti e il libro preso in prestito e senza proferire parola uscì per andare a metterli sul sedile del furgoncino. «Cowboy maschilista e ostinato» borbottò tra i denti, fumante di rabbia. Era stata lì lì per rispondergli per le rime ma discutere su una situazione ipotetica le era parso proprio inutile. Decise di non rientrare nella baita ma di aspettarlo sul portico anteriore. Inoltre non aveva voglia di continuare a litigare né aveva bisogno di vedere la stanza vuota e di guardare di nuovo i posti in cui si erano amati.
Certo, avevano ato insieme dei momenti meravigliosi. Però non era saggio indulgere in quei ricordi dopo quanto era appena successo. L'ultima volta che avevano fatto l'amore era stato fantastico. Un tripudio sublime di sensazioni ed emozioni dilatate all'infinito. Purtroppo una fine c'era stata, e amara per giunta, se si consideravano le conseguenze che ne potevano derivare. Stone uscì dal rifugio, tenendo il fucile sotto braccio. Chiuse a chiave la porta, scuotendola per accertarsi che fosse ben sicura. Poi controllò tutte le imposte. A quel punto non rimaneva altro da fare. Montò in macchina, depose l'arma sul retro e mise in moto. Patrice lanciò un'ultima occhiata intorno e lo raggiunse. Stone le diede un'occhiata in tralice. Era tutta premuta contro la portiera proprio come quando l'aveva portata alla baita dopo l'incidente. Una parte di lui voleva chiederle scusa. Ritirare le espressioni irate e fare la pace. Un'altra sentiva che era meglio lasciare le cose come stavano. Dopo il modo in cui aveva perso il controllo della situazione e fatto l'amore con lei, tenere le distanze era la scelta più saggia. Val era stata l'unica donna, a parte Patrice, con cui aveva fatto l'amore senza preservativo. Quella sua dimenticanza era quindi molto strana e preoccupante. Pensare a Val lo portò su un sentiero che evitava accuratamente di percorrere con la memoria. Il bambino che portava in grembo. Il bambino che l'aveva persuasa a concepire. E adesso guarda cosa hai combinato! Che Patrice fosse incinta non era una certezza. Ma c'era una possibilità. Una possibilità che lui non avrebbe dovuto mai permettere che si verificasse. Una possibilità che sperava e pregava non si avverasse. Ciò nondimeno si scoprì a considerare cosa avrebbero dovuto fare se Patrice avesse davvero aspettato un bambino. Lei non sembrava certo il tipo di donna che scodellava un figlio, lo lasciava al padre e se ne andava per la sua strada. Tra l'altro non era neanche sicuro di volere una cosa simile. Avrebbe accettato di sposarlo?
Fermati, Garrett! Non sai neppure se ci sarà un bimbo. Era per questo che avevano incominciato a discutere. Avrebbe potuto risparmiarsi quelle osservazioni, rifletté tetro. Quello non era il mo mento adatto per discutere il problema. L'aveva messa sulla difensiva. La giovane donna dolce e serena dei giorni appena ati era scomparsa di colpo. Pur avendo conosciuto anche quel lato del suo carattere, non seppe trattenersi dall'immaginare come sarebbe stato svegliarsi con lei tra le braccia ogni mattina. Aveva ancora viva nella memoria la sensazione piacevolissima di addormentarsi insieme a lei dopo aver fatto l'amore. Ma come sarebbe stato ripeterle entrambe giornalmente per il resto della vita? Mah... non ne era tanto sicuro. D'altronde il loro ipotetico matrimonio avrebbe avuto qualche possibilità di durare anche se non si amavano? E il bambino non si sarebbe reso conto che non c'era amore tra i genitori? Lei, però ti piace. E ti piace anche averla at torno. Per non parlare di come ti piace amarla. Era vero. Ma era abbastanza per costruire un futuro?
Patrice si sentì sollevata quando vide il cartello stradale che annunciava il loro arrivo a Clancy. Il tragitto sino alla cittadina era stato caratterizzato da un silenzio pesante. Stone s'infilò nel Bob's Garage subito dopo aver superato il primo incrocio, e lei ne capì la ragione quando vide la propria macchina in riparazione nell'officina. Lui spense il motore. «Prendiamo le tue cose.» Lei annuì e scese. Stone le presentò Bob, poi caricarono i suoi effetti personali nel furgone e rimontarono a bordo. Il silenzio prese di nuovo il sopravvento mentre attraversavano la città diretti verso la casa della nonna. Stone parcheggiò nel vialetto. Dopo pochi minuti la porta della villetta si spalancava e Dorothy Winston usciva sotto il portico.
Patrice le corse incontro e la nonna aprì le braccia sorridendo. «Patty, tesoro! Che bella sorpresa!» Lei abbracciò stretta la donna minuta, sentendosi immediatamente assalire da un senso di pace. Un balsamo per il suo cuore ferito e i nervi tesi. «Ciao, nonna. Credi di poter sopportare un po' di compagnia?» Dorothy prese il viso di Patrice tra le mani. «Se si tratta della tua, anche per sempre.» Il rumore di i sulle scale di legno segnalò l'arrivo di Stone. Portava la valigia in una mano, il computer portatile e la borsa di pelle nell'altra. La nonna si staccò dalla nipote ma continuò a tenerle un braccio intorno alla vita. «Stone Garrett, non credo ai miei occhi! Come te la i?» «Bene, signora. E lei?» «Che vuoi che ti dica, ragazzo. Il ato è ato. Ora sono arrivata alla settantina.» Lui accennò con la testa alla valigia. «Vuole che la porti di sopra?» «Te ne sarei grata» rispose Dorothy. «La seconda stanza da letto sulla destra.» Quando Stone scomparve all'interno, Patrice disse: «Ho ancora qualcosa da prendere nella macchina. Mi accompagni?». La nonna l'accompagnò sino al camioncino, chiacchierando a ruota libera, felice ed eccitata per quella visita imprevista. Quando entrarono in casa, Stone stava scendendo le scale. I suoi occhi incontrarono quelli di Patrice a distanza. «Stone, ti farebbe piacere restare per cena?» gli propose la sua ex insegnante. «Mi ci vorrà una mezz'oretta per preparare. Non di più.» «La ringrazio molto per l'invito, signora, ma devo tornare al ranch il prima possibile.» «Ti ha causato molti danni la bufera?»
«Mack dice che la situazione non è poi così tragica.» «Allora sei stato assente in questo periodo?» Fu Patrice a intervenire. «Ti spiegherò tutto io, nonna. Accompagno il signor Garrett e torno.» «Va bene. Metto su l'acqua per il tè. È stato bello rivederti dopo tanto tempo, Stone. Adesso non sparire un'altra volta. Qui sei sempre il benvenuto.» Lui sorrise ringraziandola e si avviò con Patrice verso il vialetto. Quando arrivarono accanto al camioncino, lei si fermò costringendolo a voltarsi a guardarla. «Grazie per essere venuto in mio soccorso.» «Sono stato felice di poterti aiutare.» Patrice si guardò la punta degli stivali, poi alzò di nuovo lo sguardo. «Guida con attenzione.» «Sta' tranquilla.» Lui s'infilò le mani nelle tasche del giaccone. «Goditi la permanenza a casa di tua nonna.» «Senz'altro.» Aspettò qualche secondo nella speranza che lui aggiungesse qualcosa ma Stone si limitò ad annuire e ad aprire la portiera del furgone. Lei allora ritornò sui suoi i, dirigendosi verso la villetta. Si salutarono con un cenno della mano quando il camioncino s'immise sulla strada principale. Patrice rimase sotto il portico sino a che le luci rosse posteriori non svanirono in lontananza. A quel punto al posto del cuore sentì aprirsi un vuoto enorme. Se n'era andato. Era stato parte di lei per tutte le ore del giorno e anche per parecchie ore della notte, per giornate intere. E ora, improvvisamente, era andato via. Gli occhi le si velarono di pianto. Cosa provava lui adesso? Era sollevato di averla lasciata? Perché avevano litigato o soltanto per il semplice fatto di essersi liberato di una scocciatura? Del
resto fare l'amore con una donna non implicava sentire la sua mancanza a seguito di una separazione. Vederlo allontanarsi era stato per lei come morire. La pace e la tranquillità che aveva trovato su al rifugio e tra le sue braccia a poco a poco stavano svanendo. Chiuse gli occhi, stringendo i pugni e cercò di ricomporsi. Le lacrime avrebbero causato le domande della nonna e lei non aveva risposte logiche da dare. Ricordò che lui l'aveva invitata a fare una eggiata a cavallo. Però non aveva ripetuto l'invito. Forse aveva cambiato idea o più semplicemente se ne era dimenticato. Oppure era una proposta fatta tanto per dire senza alcuna intenzione di metterla in pratica? O era stata la loro discussione a fargli cambiare idea? Patrice raddrizzò le spalle, si ò il dorso di una mano sulle guance ed entrò in casa.
Stone guardò Patrice nello specchietto retrovisore fino a che fu possibile. Quando si erano incontrati lui aveva sperato soltanto che il momento dei saluti arrivasse presto. Voleva lasciarla sana e salva da qualche parte e tornarsene alla sua vita. Ora che stava vivendo quel momento, si sentita confuso e combattuto da diverse sensazioni. Inoltre sospettava che gli sarebbe mancata. Ma chi stava prendendo in giro? Gli mancava già. No, lo contraddisse il lato logico di sé, si era solo abituato ad averla intorno. Ecco tutto. Una volta rientrato nella routine del ranch, l'avrebbe presto dimenticata. Immagini dei giorni appena trascorsi gli attraversarono la mente: il suo dolce sorriso al mattino, il suono della sua risata, i gemiti sensuali e le sue grida di piacere mentre facevano l'amore. Eh, no, amico, non incominciare a pensare a quello! L'ultima cosa di cui aveva bisogno era soffermarsi sul lato fisico della loro breve storia altrimenti avrebbe dovuto mettersi sotto una doccia ghiacciata non appena
arrivato a casa. Per tutto il resto della giornata, dopo aver parlato con Mack a proposito del ranch e con Virginia a proposito dell'andamento della casa, dopo aver giocato con Elwood e dato un'occhiata ai recinti, la sua mente continuò a spostarsi su Patrice. Si domandava cosa stesse facendo e se stesse pensando a lui. Seduto alla scrivania del suo ufficio dopo cena dovette alla fine cedere le armi. Afferrò l'elenco telefonico e cercò il numero di Dorothy Winston. Mentre ascoltava il segnale di libero, lo sguardo gli si posò sulla mensola del camino e sulla sua fotografia di nozze. E di colpo si rese conto di un fatto incredibile. Tanto incredibile da lasciarlo al massimo dello sconcerto. Non aveva nemmeno per un attimo pensato a Val da quando aveva rimesso piede al ranch. Non era sicuro se sentirsi sollevato oppure in colpa. Val era stata l'unico amore della sua vita. Dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di lei, il suo cuore le era appartenuto. Era stato amore a prima vista. Il classico colpo di fulmine dal quale non si era più ripreso. «Pronto» il suono di una voce che rispondeva lo riportò bruscamente al presente. «Signora Winston, mi scusi, sono Stone Garrett. Potrei parlare con Patrice?» «Certo. E grazie per essersi preso tanta cura di mia nipote.» Stava per dire è stato un piacere. Ma si bloccò in tempo. Dato che l'osservazione corrispondeva in molti sensi alla verità, preferì evitarla. «Felice di essere stato d'aiuto, signora.»
Patrice aveva trascorso la maggior parte del pomeriggio a confidare i problemi e le delusioni che aveva avuto con Neil alla nonna. In cambio aveva ricevuto la simpatia e la comprensione di cui aveva bisogno quando era partita per quel viaggio in Montana. Sfortunatamente al momento c'era un altro grave motivo che l'angustiava.
Motivo che, tuttavia, non osava riferire alla nonna. Rimase sorpresa quando Dorothy le disse che la desideravano al telefono. Soltanto il meccanico e Stone sapevano che si trovava lì. Era troppo tardi perché l'officina fosse aperta e dubitava sinceramente che Stone avesse voluto parlarle. Il suo pensiero non l'aveva abbandonata per un istante. Anche se lei era molto felice di essere finalmente con la nonna, lui era stato una presenza costante. Forse perché avevano trascorso tanto tempo insieme in un ambiente molto ristretto. La forzata intimità poteva aver creato una strana forma di legame che ora li teneva uniti. Stare lontani adesso le dava quasi sintomi di astinenza. Continuava a ricordare brani di conversazione, il tocco delle sue mani sul suo corpo, la sensazione sublime di essere sua... «Pronto» disse all'apparecchio. «Ciao, Patrice.» «Stone.» Patrice rimase a bocca aperta. «Ho pensato di chiamarti per sapere come stavi.» «Sto bene, grazie.» Era una bugia solo in parte. In realtà parlare con lui la faceva sentire già meglio. «È strano non essere con te questa sera.» A lei sfuggì una risatina nervosa. «Sì, lo so.» «Mi manchi, tesoro» la voce profonda era bassa e sensuale. Lei diede un'occhiata verso la cucina per sincerarsi che la nonna fosse affaccendata prima di rispondere: «Mi manchi anche tu». «Mi dispiace di aver litigato con te oggi. Potevo risparmiarmelo.» Si stava scusando. «Dispiace molto anche a me» mormorò lei sorridendo. «L'intera circostanza mi ha colto impreparato e ho esagerato.»
«L'abbiamo fatto entrambi. Inoltre...» Patrice strinse ancora più forte la cornetta tra le dita. «Ecco, man mano che si avvicinava il momento di partire, mi rendevo conto che il rifugio mi sarebbe mancato.» «Anche la mancanza di servizi igienici adeguati?» Lei rise di nuovo. «Non tanto quanto la pace e la bellezza della natura.» La nonna fece capolino nella stanza da pranzo. «Invitalo a cena domani sera, Patty.» «Stone, la nonna vuol sapere se puoi venire a cena domani sera.» «Sì, grazie. Vengo con piacere.» Lei annuì in direzione di Dorothy che alzò il pollice con aria di vittoria. «A che ora, nonna?» «Le sei.» «Va bene alle sei, Stone?» «Benissimo.» «Okay, nonna. Tutto è a posto» riferì per correttezza. Dorothy sorrise e si diresse verso le scale. Patrice si ripromise di lavare gli abiti che aveva indossato durante la permanenza al rifugio in modo che fossero pronti per essere restituiti il giorno dopo. Se poi non ce l'avesse fatta, avrebbe avuto una scusa per andare al ranch... e rivederlo un'altra volta. Ma desiderava davvero continuare a frequentarlo? La risposta dipendeva solo da un fattore: se era ben accetta. Lui, d'altro canto, aveva affermato che avrebbe fatto valere i propri diritti. L'aveva detto in un accesso di rabbia? E quando le aveva assicurato che sarebbe stato sempre pronto per qualsiasi evenienza, intendeva finanziariamente o emozionalmente?
Lei non lo sapeva e non era nemmeno sicura di cosa desiderasse. Era quello il problema più sconcertante. Non sapere quello che voleva. Non capire cosa avesse in testa un altro era una cosa. Non capire se stessi era tutta un'altra faccenda. La maggior parte delle azioni e delle scelte che aveva fatto ultimamente non le si confacevano affatto. Specialmente il modo in cui si era innamorata e la facilità con cui gli era caduta tra le braccia. Con il dolore e la pena per il tradimento di Neil ancora così freschi nella mente e nel cuore, normalmente ci avrebbe messo mesi prima di posare lo sguardo su un altro uomo. Ma aveva fatto molto di più che posare lo sguardo su Stone. E adesso? Che cosa ne sarebbe stato della loro storia?
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La sera seguente Patrice era un fascio di nervi ancor prima che arrivassero le sei. Aveva scelto una gonna di lana con un golfino fatto a mano che aveva comprato per un viaggio d'affari a Chicago l'autunno precedente. Era un completo elegante, di moda e molto comodo. Curò in modo particolare anche il trucco. Dopo aver ato giorni senza nemmeno un filo di rossetto, le parve persino strana la propria trasformazione. Si mise anche i bigodini caldi in modo che i capelli le cadessero sulle spalle morbidi e ondulati. Almeno in apparenza era pronta per la sera che l'aspettava. Se solo avesse potuto tenere a freno le emozioni! Per l'ennesima volta andò in cucina a vedere se poteva essere d'aiuto. La nonna stava girando la purè in una casseruola sui fornelli. «Che eleganza! Su, girati.» Lei fece una piroetta. «Bene. Nessun pizzo di sottoveste che spunta.» Patrice sorrise. La nonna controllava sempre se spuntava la sottoveste anche se non si usava più. «Cosa posso fare?» le chiese la nipote. «Perché non vai in camera da pranzo ad apparecchiare?» «Subito.» «E sta attenta a sentire il camlo.» Come se le sue orecchie non fossero già in allarme da un'ora. «Certo» rispose Patrice. Trovò il servizio di porcellana nell'armadietto cinese e in pochi minuti aveva preparato la tavola per tre. Stava per tornare in cucina quando suonarono alla
porta. Rimase per un attimo come bloccata. Poi, mordicchiandosi il labbro, si lisciò la gonna e si diresse verso l'ingresso. Mise la mano sulla maniglia e prese fiato. Alla fine aprì, un sorriso stampato sulla bocca, il cuore praticamente in gola alla vista di Stone. «Sei arrivato puntualissimo.» Lo sguardo azzurro la squadrò dalla testa ai piedi e lei si sentì come un pugno allo stomaco. Non era più quello sguardo apionato a cui era abituata. Era freddo e impersonale. Era come avere davanti uno sconosciuto. Lui si tolse il cappello. «Buona sera, Patrice.» «Ciao.» Lei si tirò indietro. «Accomodati.» Una volta dentro le porse giaccone e cappello, osservandola mentre li metteva nello spogliatoio. «Tutto a posto?» gli chiese. «Sì. E tu come stai?» Quattro parole. Una domanda e una risposta. Difficile credere che avessero chiacchierato insieme per ore. Si era aspettata che la salutasse a braccia aperte e quell'atteggiamento distaccato la mise sulla difensiva, trattenendosi dall'essere spontanea e affettuosa. La stessa atmosfera pesante e imbarazzata si trascinò per tutta la cena e si protrasse anche durante il caffè. Se non fosse stata la nonna a tener viva la conversazione, probabilmente loro due non si sarebbero scambiati una parola. Nonostante la reticenza verbale, di tanto in tanto Patrice lo colse nell'atto di guardarla. Sempre con freddezza purtroppo. Soltanto una volta, quando lei era scoppiata a ridere per una battuta della nonna, captò un'espressione diversa sul viso marcato. Sofferta, quasi di pena. Ancora più doloroso fu il modo in cui si congedò. Troppo presto. Chiaramente quanto bastava per non essere scortese e non un minuto di più.
«Grazie per la cena, signora Winston.» «Devi andar via così presto?» chiese Dorothy. «È arrivato nel tardo pomeriggio un carico di attrezzature per fare le riparazioni e domani mattina ci dobbiamo alzare molto presto.» «Lascia almeno che ti prepari un pacchetto da portare a casa per fare un piccolo spuntino» disse la nonna. «Non è necessario» rispose lui. Ma prima che avesse finito di parlare Dorothy era già corsa in cucina. Una volta rimasti soli, Stone tirò dal taschino posteriore dei pantaloni il portafoglio, ne sfilò un biglietto da visita e lo porse a Patrice. «Se avessi bisogno di contattarmi nelle prossime settimane, ecco dove puoi raggiungermi.» Lei avrebbe voluto chiedergli di spiegarle come mai l'atteggiamento affettuoso della sera prima al telefono fosse svanito nel nulla; dove erano finite anche le scuse per essersi comportato in modo sgarbato. E come poteva darle quel biglietto da visita con tanta pacatezza quando l'unica ragione per la quale avrebbe avuto necessità di contattarlo era l'esistenza di un bimbo. Avrebbe potuto accettare quel modo di fare dal cowboy serio e taciturno che l'aveva soccorsa dopo l'incidente. Ma certo non dall'uomo tenero, premuroso che sorrideva, rideva e faceva l'amore con tanta dolcezza. Prese il biglietto e se lo mise in tasca. «Grazie.» «Chiamami pure anche se tornassi a Phoenix.» Soltanto l'arrivo della nonna le impedì di dirgli esattamente cosa pensava di lui. Invece sentì il cuore che le si torceva dolorosamente come se volesse spezzarsi. A quanto pareva c'era cascata di nuovo. Si era innamorata un'altra volta dell'uomo sbagliato. E non aveva nemmeno fatto in tempo a scoprirlo che aveva
commesso il primo errore. Oh, Signore, ma cosa c'era in lei che non funzionava? Era tornata nelle stesse, traumatiche condizioni di quando aveva deciso quel viaggio verso nord. L'anima ridotta uno straccio, ferita irrimediabilmente.
Stone spinse a tavoletta il pedale dell'acceleratore non appena fu sulla superstrada. Allora, amico, cosa stai pensando? La macchina, i vestiti che indossava quando l'aveva soccorsa... tutto di lei era la dimostrazione lampante delle differenze esistenti tra di loro. Lei, una fuoriserie; lui, furgoni da lavoro. Ma poi si era abituato alla bellezza semplice e pulita di quel viso delicato senza trucco. Alla piccola donna ingoffata in quegli abiti troppo grandi. Trovarsi all'improvviso davanti la donna sofisticata ed elegante che gli aveva aperto la porta era stato uno shock. Tutte le speranze di ricatturare qualcosa del l'incantesimo che li aveva incatenati al rifugio era schizzato via come un pickup su un lastrone di ghiaccio. E tutti i suoi pensieri sulle possibilità di crescere insieme il loro bambino diventavano ridicoli adesso che li riprendeva in esame. Non avrebbe mai funzionato. Mai! Nemmeno in mille anni. Altro che mille, nemmeno in un milioni di anni, maledizione! Le aveva dato il suo biglietto da visita e forse l'avrebbe chiamato. Se poi tra un mese non si fosse fatta viva, l'avrebbe cercata lui per sapere del bambino. A un tratto lo assalì uno strano nodo alla gola. Mentre non c'erano speranze per lui e Patrice, vedeva un futuro radioso per sé e per suo figlio. Padre part time o a tempo pieno, qualunque fosse stato il suo ruolo, ci si sarebbe buttato con tutto se stesso. Durante la notte immagini della loro permanenza nella baita lo tormentarono senza tregua. Immagini vive, reali, accompagnate dalle emozioni provate,
dall'effetto dei suoi sorrisi sulla sua pressione sanguigna, dalla gioia nel vedere la fiducia in quei grandi occhi color smeraldo. Ricordò anche il senso di attesa, di euforia che l'aveva tenuto sul filo del rasoio mentre aspettava che arrivassero le sei e il momento di rivederla. E poi il momento era arrivato e lui era rimasto sotto il portico a fissare una perfetta estranea. Il modo in cui era vestita, il trucco, i capelli probabilmente facevano parte della sua vita di sempre in Arizona. Forse lei non si era resa nemmeno conto di quanto potesse apparirgli diversa dalla donna che aveva imparato a conoscere. Quando il sole sorse, tuttavia, decise che non avrebbe chiuso la porta in faccia a Patrice così in fretta. In qualche posto, dietro quella facciata distaccata, c'era sempre la giovane donna allegra, innocente, apionata che aveva amato. Forse aveva sbagliato a chiudersi così in se stesso senza cercare di capire. Be', alla fine della giornata, sarebbe tornato in città e avrebbe rimediato alla propria impulsività.
Patrice continuò a sperare per giorni che Stone cambiasse idea e le telefonasse. Ma i giorni arono e di lui nessuna notizia. Non si era mai sentita così giù di morale. Le mancava da morire. Aveva l'impressione che una parte vitale di se stessa non ci fosse più. Quando aveva scoperto il tradimento di Neil, aveva provato dolore. Il cuore le si era spezzato. Ma adesso le sembrava che Stone avesse portato via con sé il suo cuore, lasciando un vuoto enorme e incolmabile. Durante notte, mentre la nonna dormiva, poteva piangere tranquillamente, soffocando i singhiozzi contro il cuscino. Durante il giorno viveva in uno stato di all'erta perenne, pronta a sentire suonare il telefono o il camlo della porta. Finalmente si decise a chiamare i genitori a Phoenix. E non si sorprese affatto
che non si fossero nemmeno accorti della sua assenza. Di rado le loro strade s'incontravano. Erano andati entrambi in pensione ed erano totalmente presi dal golf. La madre acconsentì ad andare a controllare se tutto era in ordine nell'appartamento e a dare l'acqua alle piante. Se non erano già morte. All'inizio della seconda settimana a Clancy, l'arrivo del suo ciclo le gettò il morale ancora più a terra. Il flusso non durò a lungo stranamente ma lei immaginò fosse a causa dell'altitudine e dello stress a cui era stata sottoposta. In complesso, tuttavia, ne fu sollevata. Sarebbe stato già abbastanza duro rimettere insieme i pezzi della sua vita pensando solo a se stessa. Ricostruirla e contemporaneamente prendersi cura di un bambino si sarebbe rivelato troppo difficile. Tranne che per il fatto che un bimbo avrebbe significato avere una parte di Stone. Un ricordo tangibile del loro tempo insieme e del suo amore per lui. Sarebbe stato giusto per un bambino affacciarsi al mondo con un solo genitore accanto? Lei avrebbe potuto tenere stretti a sé tutti i ricordi, ma a che prezzo? E se Stone avesse davvero fatto valere i propri diritti sul figlio? Aveva voluto precisare che ne avrebbe chiesto la custodia piena? Come sarebbe potuta sopravvivere se avesse dovuto perdere anche il bambino? Non sapeva nemmeno come avrebbe fatto a tirare avanti ora che aveva perso l'unico amore della sua vita. Ogni giorno prendeva in mano il suo biglietto da visita e restava a fissarlo, pensando di chiamarlo. Ma non lo fece mai. Non sapeva che dirgli. Se lui le avesse dato un segnale d'incoraggiamento, la sera della cena, sarebbe stato più facile. A quel punto doveva mettersi il cuore in pace e presumere che Stone fosse il tipico maschio sciovinista che approfittava del sesso libero quando capitava l'occasione. Insomma, ragazza, smettila di piangerti addosso e datti una mossa per rimettere in sesto la tua vita!
In qualche modo riuscì a costruirsi una maschera di felicità a esclusivo beneficio della nonna. E comunque stare in sua compagnia fu bello e rilassante come aveva sperato. Dorothy aveva sempre avuto quell'effetto su di lei. Era una delle costanti della sua vita. Qualcosa che non mutava mai anche se gli anni volavano via. Clancy era il posto dove sapeva avrebbe sempre trovato rifugio. Doveva essere difficile vivere per le persone che non avevano nessuno a cui rivolgersi. Il pensiero le corse a Stone e si domandò se avesse qualcuno con cui confidarsi quando la vita diventava troppo brutta. Suppose che la moglie avesse avuto quel ruolo. Ma adesso che era morta? Perché mai si stava preoccupando in quel modo? A quanto pareva lui non si era certo dato alcuna pena per lei.
Corrugando la fronte Stone si appoggiò contro la pila di cuscini nel letto dell'ospedale. Era stupito che la rabbia non gli uscisse dalle orecchie, mandando in funzione l'allarme antincendio. Non c'era niente che odiasse di più di essere inchiodato in quel letto. Specialmente quando quel maledetto ospedale si trovava miglia e miglia lontano da casa. Diede un'occhiata all'orologio, chiedendosi quando sarebbe arrivata l'ora della medicazione. Meglio prima che dopo... Il ginocchio gli batteva in modo pazzesco. Si era già fatto male anni prima durante una partita di football all'università, ma non gli aveva dato alcuna noia dopo l'intervento. Questa volta invece faceva un male cane. Si ò le dita tra i capelli, imprecando a denti stretti nel ripensare alla lastra di ghiaccio che non aveva visto in tempo: era scivolato e caduto come una pera cotta proprio su quel ginocchio. Si girò a fissare il telefono sul comodino. Forse era il caso di chiamare
l'infermiera perché venisse subito. La trazione gli impediva di muoversi liberamente. Aveva bisogno di assistenza anche per le sciocchezze. Questo era uno dei motivi che lo trattenevano dal telefonare a Patrice. Ma la ragione vera era il bisogno di guardarla in faccia mentre parlavano. Voleva essere in grado di controllare la sua reazione. Voleva vedere in quegli occhi verdi se c'era un flash della donna che aveva conosciuto. E purtroppo una conversazione telefonica non poteva fornire alcun aiuto. Il guaio era che sarebbe rimasto bloccato ancora per settimane. E allora non sarebbe stato troppo tardi? Sicuramente Patrice sarebbe partita per Phoenix prima che i medici lo dimettessero. Nulla gli vietava di volare in Arizona per andare a trovarla. Oppure poteva chiedere all'infermiera di comporre il suo numero di telefono. No, era meglio di no. Voleva parlarle avendola di fronte. Quindi non restava che avere pazienza e aspettare.
A poco a poco che si avvicinava il momento di partire per Phoenix, l'umore di Patrice diveniva sempre più abbattuto, e la nonna cominciava a preoccuparsi. «Stai bene?» le chiese Dorothy una mattina. «Dovrò andarmene tra qualche giorno e non ne ho alcuna voglia.» «Pensavo saresti stata felice di tornare a casa.» Lei scrollò le spalle. «In effetti ci sono ancora alcuni clienti che potrei recuperare, purtroppo però nel periodo in cui ho messo su l'attività e uscivo con Neil, ho perso i contatti con i miei amici. Ci sono mamma e papà, è vero. Ma non ci vediamo molto.» «Hai mai preso in considerazione la possibilità di stabilirti in qualche altro posto?» «No.»
«Che ne dici di trasferirti a Clancy?» «Trasferirmi qui?» Non ci aveva mai pensato ma non era affatto una cattiva idea. In fin dei conti vi si era rifugiata in ogni momento difficile della sua vita. Il Montana e la nonna agivano da balsamo sulla sua anima. E a parte il problema Stone, anche in quell'occasione si era sentita a casa. Tutte le persone che incontrava in città erano cordiali e gentili. Tra l'altro vivere a Clancy significava vedere la nonna quando voleva. Anche tutti i giorni. Ma c'era la possibilità effettiva di creare un'attività di consulenza commerciale? O avrebbe dovuto cercare qualche altra attività? Aprire un negozio, per esempio. E poi c'era il fattore Natura che l'attirava. Gli ampi spazi, i paesaggi maestosi, la pace, i ritmi meno frenetici di Phoenix. «Devo ricostruirmi una vita dalle macerie. Non vedo perché non potrei farlo qui.» La nonna le sorrise. «Appunto, tesoro.»
Patrice controllò le condizioni meteorologiche prima di partire per l'Arizona. E durante il viaggio attraverso le strade di montagna, il pensiero di Stone non la lasciò un attimo. Una volta a Phoenix permutò la macchina sportiva con un piccolo furgoncino a quattro ruote motrici. Parte delle sue cose le mise in un magazzino, il resto lo spedì in Montana. Quando contattò i clienti per salutarli, fu sorpresa di scoprire che molti speravano riaprisse. La loro lealtà le fece piacere ma non cambiò decisione. Aveva già accettato un impiego part-time in un negozio di hobby e fai da te. Si sarebbe occupata dei clienti e della contabilità. La nonna avrebbe voluto che si stabilisse da lei ma Patrice aveva preferito affittare un miniappartamento su Main Street. Era abituata a stare da sola da quando si era laureata e teneva alla
propria privacy. Come la nonna del resto. Durante il viaggio di ritorno verso Clancy ascoltò regolarmente le previsioni del tempo. Non che le dispie chiamare lo sceriffo Jackson. Ma non voleva rischiare che mandasse di nuovo Stone in suo soccorso. Non si preoccupò più di tanto della possibilità di incontrare Stone. Da quanto le aveva riferito la nonna erano anni che non lo vedeva in città. Comunque uno di quei giorni si sarebbe decisa a chiamarlo per informarlo che non era incinta.
Patrice entrò subito nel tran tran della nuova vita. Il lavoro, il piccolo appartamento, la nonna. Si vedevano ogni giorno o a casa o in paese. Tutto sembrava essersi messo per il verso giusto fino a che un pomeriggio fu assalita all'improvviso da un attacco di nausea. Durò diverse ore e poi scomparve di punto in bianco così come era iniziato. Non ci pensò più sino a che non si ripresentò il giorno dopo. E poi quello seguente. Il quarto giorno cominciò a preoccuparsi e prese appuntamento con il medico. Tre quarti d'ora dopo essere entrata nello studio, ne usciva con un elenco di indicazioni da seguire, un libriccino per mamme in attesa e una ricetta di vitamine per gestanti.
11
Patrice fu così scioccata dalla rivelazione del dottore che dimenticò completamente il matrimonio a cui aveva promesso di partecipare quella sera con la nonna. Quando le tornò in mente fu lì lì per rinunciarvi. Ma la nonna era così eccitata dal fatto che l'avrebbe accompagnata che le dispiacque deluderla. La nausea pomeridiana era scomparsa quindi non poteva nemmeno avanzare la scusa che non stava bene. Il dottore le aveva spiegato che non sempre quel malessere si presentava al mattino. Le aveva anche detto che a volte comparivano leggere perdite ematiche dopo il concepimento, rassicurandola nello stesso tempo che non significava che vi fossero problemi per la gravidanza. Una volta a casa cominciò ad affrontare il fatto che aspettava un bambino. Il figlio di Stone Garrett.
Era seduta nel banco tra la nonna e la moglie del pastore. La chiesa era tutta piena di fiori e di candele palpitanti. E lei non riusciva a fare a meno di pensare al matrimonio che aveva programmato con Neil e a quello che non ci sarebbe mai stato con Stone. Le costava una fatica terribile non guardare i festeggiamenti di quella sera con occhio cinico. Ma nonostante la sfortuna che la perseguitava, continuava ancora a credere che, da qualche parte, l'amore vero esistesse. Quello che l'addolorava era il timore che non esistesse per lei. L'organo cominciò a suonare mentre i sacrestani scortavano le famiglie degli sposi e i testimoni ai loro posti. La musica cambiò e le damigelle fecero il loro ingresso nella navata centrale, seguiti da un bambino e una bambina che portavano i fiori e un cuscino con le fedi. La marcia nuziale salutò l'apparizione della sposa al braccio del padre sulla
soglia della chiesa. Patrice si alzò come tutti i presenti, girandosi verso l'ingresso. La sposa era radiosa. Fu impossibile non sorriderle mentre le ava davanti. Prima di tornare a sedersi la sua attenzione fu attirata da un uomo bruno, molto alto. Le fece subito venire in mente Stone, anche se era senza barba. Poi i loro occhi s'incontrarono e lui chinò il capo per salutarla. Lei si girò di scatto, il cuore impazzito, una mano sullo stomaco in un gesto istintivo. Oh, Signore! Era l'ultima persona che si senti va di affrontare quella sera. Però com'era bello! Anche più bello senza barba. Aveva una mascella marcata e un mento che non avevano certo bisogno di una barba che li nascondesse. Anche se quella peluria lo rendeva terribilmente sexy... Il pastore cominciò a parlare e Patrice si sforzò di concentrarsi sulle sue parole nel tentativo di dimenticare Stone. Ma il sermone sull'amo re, l'impegno e la devozione verso la famiglia le fece pensare ancora di più a lui. Una volta che lo sposo e la sposa iniziarono a ripetere i voti matrimoniali con le voci rotte dall'emozione, fu costretta a smettere di ascoltare per cercare di mantenere un po' di serenità. In cuor suo augurava loro tutta la felicità del mondo ma udire quelle parole la faceva soffrire troppo. Prima che se ne rendesse conto, gli sposi si incamminarono raggianti verso l'uscita seguiti da uno scroscio di applausi La nonna le batté con delicatezza su un braccio. «È stato bellissimo, vero Patty?» le sussurrò con gli occhi lucidi. «Sì, nonna.» Dorothy prese la borsetta e uscì dal banco. «Adoro i matrimoni. Ma piangerò ancora di più al tuo.» La risposta che le salì alle labbra fu: Non trattenere il fiato. Ma si limitò a
stringerla in un abbraccio affettuoso. Gli invitati cominciarono a incolonnarsi per uscire. Lei cercò di localizzare Stone. Vide un uomo molto alto poco lontano da lei ma non poteva giurare che si trattasse di lui.
Stone si fermò nella sala di ricevimento attigua alla chiesa, tenendo d'occhio la porta. Era rimasto sorpreso nel vedere Patrice. Chissà come mai aveva prolungato le vacanze? Il suo aspetto non l'aveva scioccato tanto questa volta. L'aveva già vista tutta elegante e poi il fatto stesso di rivederla era di per sé un shock. Da quando era stato dimesso dall'ospedale era stato occupatissimo a riprendere in mano le redini del ranch, così aveva rimandato il viaggio a Phoenix per la fine del mese. Ma visto che lei era ancora lì... A meno che non cercasse di evitarlo e se la filasse via alla chetichella. Era sicuro che l'aveva visto e sapeva anche di averla colta totalmente alla sprovvista. Ma non credeva fosse così vigliacca da sfuggire a un confronto. Sapeva che non era una vigliacca. Una domanda, però, lo ossessionava più di ogni altra. Perché non l'aveva chiamato? Sicuramente adesso sapeva se era o non era incinta. Forse aveva paura di dirglielo. Paura che potesse toglierle il bambino. E la comprendeva. Era una paura legittima. Una paura che lui avrebbe potuto rendere reale. Ma se non era incinta, per quale ragione aspettare a informarlo? Doveva pur immaginare che fosse sulle spine. Oppure credeva che lui avesse dato per scontato che non lo fosse, visto che non si era fatta viva? Non aveva idea di quale fosse la verità. Però l'avrebbe scoperto presto.
Patrice non vide Stone finché non entrò nella sala di ricevimento.
Doveva essere rimasto in attesa perché venne subito incontro a loro. Non poteva esserne certa ma le parve che zoppicasse un po' con la gamba destra. «Stone» lo salutò Dorothy non appena le raggiunse. Lui annuì. «Buona sera, signore.» «Ciao, Stone» disse lei. «Sono molto sorpreso di vederti, Patrice. Immaginavo che fossi tornata in Arizona secoli fa.» Il volto della nonna si aprì in un sorriso e il cuore di Patrice finì sotto le scarpe. «Come, non lo sai? Patty si è trasferita a Clancy.» Lui sollevò un sopracciglio. «Sul serio? Non ne avevo idea.» Ci fu del trambusto sulla porta. Gli sposi avevano finito di fare le fotografie e si stavano accingendo a ricevere gli auguri degli invitati. «Nonna, forse dovremmo metterci in fila per congratularci con loro.» «Oh, sì, hai ragione. Stone, ti unisci a noi?» aggiunse Dorothy. Patrice si sentì venir meno. Non aveva bisogno anche di quella tortura. Ma ormai il danno era fatto. Come prevedibile, Stone accettò la proposta e tutti e tre si misero in fondo alla fila. Seguì uno scambio di saluti con gli altri invitati ma per tutto il tempo lei continuò a pensare a lui e al bambino che aveva in grembo. La sua presenza le dava un senso di tensione. Si guardò intorno per vedere se li fissavano. Ragazza, stai diventando paranoica. Chi vuoi che s'interessi a voi due e al tempo che avete ato da soli? Sì, certo. Però il dottore non le aveva chiesto chi era il padre. Sapeva già di lei e di Stone? Clancy era una piccola cittadina... Finalmente arrivarono davanti agli sposi, fecero i loro auguri, poi Dorothy si
diresse verso un tavolo, circondata dai suoi amici. Stone colse subito l'opportunità di sedersi vicino a Patrice. «Così ti sei trasferita a Clancy.» «Be'... visto che comunque dovevo ricominciare ex novo, tanto valeva farlo qui dove potevo essere vicino alla nonna.» «Di che cosa ti occupi esattamente?» «Avevo un'attività di commercialista.» «Pensi di riprendere anche qui?» Stone l'osservava con occhi penetranti. «Non ho ancora deciso. Al momento lavoro presso il negozio di fai da te. Curo anche la par te amministrativa.» «Non mi hai mai detto come hai perso il tuo lavoro e il tuo fidanzato. Mi è parso di capire che ci fosse un collegamento tra i due fatti, non è così?» Lei scrollò le spalle. «C'era, c'era.» Strinse le mani in grembo, a disagio. «Neil mi ha prosciugato il conto in banca e se l'è filata.» «Lavorava per te?» «No. L'ho conosciuto a casa di un amico. Siamo usciti insieme per parecchi mesi, poi ci siamo fidanzati. Una sera avevo fatto tardi in ufficio e lui è venuto con la cena. Il computer era , ero ormai entrata nel mio programma e tutto era accessibile.» «Non m'intendo di computer.» «Be', in poche parole dopo cena Neil mi ha fatto un massaggio rilassante e io mi sono addormentata. Così lui ha ripulito tutto. Denaro mio e parte di quello dei clienti.» «Qualche possibilità di beccarlo?» «La polizia non è molto ottimista. A quanto pare è un esperto in questo genere di furti. E tra l'altro anche se riuscissero a prenderlo, a quel punto si sarà già speso
tutti i miei soldi.» «I clienti ti hanno denunciato?» «Per fortuna avevo altri conti che lui non ha scoperto e sono riuscita a coprire le perdite della clientela. Le mie no, purtroppo.» «La vostra relazione era in crisi prima del furto?» «Se il suo proposito era quello di farmi quello scherzetto, era in crisi già prima di iniziare.» Stone si ò le dita tra i capelli. «Non avevi avuto alcun sentore?» «No. Il che rende l'intera faccenda ancora più penosa.» «Lo amavi?» Patrice alzò lo sguardo a guardarlo. «Pensavo di amarlo, ma ne ero solo infatuata.» Si raddrizzò di colpo, ricordando il loro bambino. E si alzò in piedi. Agitatissima. «Scusa, ma avevo promesso alla moglie del pastore di darle una mano in cucina. Se vuoi scusarmi.» E senza aspettare una risposta si allontanò. C'era davvero molto da fare. Così, tenendosi occupata con questo e con quello, riuscì in qualche modo a trovare sempre qualche scusa per evitare Stone. Lui accettava di buon grado ogni volta e ogni volta ci riprovava. Quando si accorse che erano finiti i tovagliolini di carta, Patrice andò nella dispensa. Il problema fu uscirne: Stone si era piantato sulla soglia. Lei rimase di sasso, i tovaglioli stretti al petto, gli occhi fissi prima sulla punta dei suoi stivali, poi lentamente sull'affascinante volto. «Perché mi eviti, Patrice?» «Non ti sto evitando. C'è un sacco da fare.»
I muscoli della mascella volitiva si tesero per un attimo. L'espressione si fece seccata. «E una marea di mani al lavoro.» «Non mi costa fatica rendermi utile.» «A me importa invece.» «Non ne vedo il motivo.» Lui fece un o avanti. «Il motivo è che dobbiamo parlare.» «Avevo in programma di chiamarti domani.» Stone sollevò un sopracciglio con aria scettica e ironica insieme. «Come no? È una storiella conveniente.» Patrice corrugò la fronte irritata. «È la verità, che tu mi creda o meno. E comunque avresti potuto chiamarmi anche tu.» Era l'ultima cosa che si aspettava di dire. E se aveva potuto sentire l'accusa e il rammarico nella propria voce, sicuramente anche a Stone non erano sfuggiti. «Avevo intenzione di chiamarti il giorno dopo essere venuto a cena a casa di tua nonna ma sono finito in ospedale.» La paura e la sorpresa per un attimo la lasciarono a corto di parole. «In ospedale?» ripeté a bassa voce. «Che ti è successo?» «Sono scivolato su una lastra di ghiaccio e sono caduto su un ginocchio che aveva già subito una frattura diversi anni fa.» Lei ricordò di aver notato che zoppicava leggermente. «Il ginocchio destro?» «Sì.» «Come va adesso?» «Molto meglio, grazie.» Fece un altro o verso di lei. «Quando finalmente mi hanno dimesso, ho dato per scontato che ormai fossi partita per Phoenix. Ho avuto necessità di sistemare delle cose al ranch, ma poi sarei venuto a cercarti.»
«In Arizona?» «Esatto.» Per quale ragione fare quel viaggio quando la nonna avrebbe potuto tranquillamente dargli il suo numero di telefono. «Perché?» «Credo che tra noi due siano rimaste alcune faccende in sospeso.» «Io... pensavo che fosse tutto sistemato.» Si morse il labbro, domandandosi come dirglielo. La dispensa di una chiesa non era il posto migliore per informare un uomo che sarebbe divenuto padre. Avrebbe dovuto essere un'occasione felice... da festeggiare accanto a un bel fuoco o con una cena a lume di candela. Oppure, secondo il vecchio cliché, con la moglie seduta a sferruzza re scarpette quando il marito ritorna a casa dal lavoro. «Niente è sistemato sino a che non ho una risposta precisa.» «Non mi riferivo a questo... Il fatto è che pensavo di conoscere la risposta ma poi ho scoperto di aver preso un grosso granchio. Io... ecco volevo chiamarti. Avevo proprio intenzione di farlo domani e di spiegarti.» «Bene. Vorrà dire che ti risparmio la telefonata.» Patrice si ricordò dei tovaglioli che aveva in mano. «Fammi prima mettere questi sul tavolo.» Gli occhi blu s'incupirono ma Stone si spostò ugualmente per farla are. Lei si diresse in fretta verso il salone e il buffet. Quando si girò, lui era proprio alle sue spalle. La prese per mano. «Questo ballo è mio.» A meno che non decidesse di divincolarsi facendo una scenata, non le restava altra scelta che assecondarlo. Così gli permise di portarla sulla pista, ma quando la prese tra le braccia, il respiro le venne a mancare.
La sensazione del suo corpo maschio contro il proprio aveva di colpo scatenato in lei un'ondata di ricordi. Sollevò la testa per guardarlo e desiderò immediatamente di non averlo fatto. Lui la stava fissando con la stessa espressione intensa e infuocata che aveva avuto al rifugio la prima volta che l'aveva baciata. La pena che le stava crescendo dentro era più grande di quanto potesse sopportare. Doveva allontanarsi prima che le lacrime strariero. Tenendo la voce bassa in modo che soltanto Stone potesse sentirla disse: «Tu vuoi sapere se c'è un bambino, giusto? Be'... sì, c'è». Lui rimase di ghiaccio, le braccia abbandonate di colpo lungo i fianchi, lo sguardo confuso. E lei ne approfittò per attraversare il salone verso il tavolo dov'era seduta la nonna. Si lanciò un'occhiata alle spalle e con sollievo vide che il pastore aveva intercettato Stone. Dorothy era tutta presa a chiacchierare con gli amici, così Patrice le diede un bacio, prese borsa e cappotto e si affrettò verso il parcheggio. Scendeva qualche fiocco di neve. La malinconia e il rimpianto si fecero struggenti. Nevicava copiosamente quando arrivò a casa. Le previsioni meteorologiche del resto prevedevano una bufera per la notte. Entrò nel suo appartamento tremando come una foglia. Ma non era sicura se la causa fosse il freddo o una reazione ritardata allo shock di essersi trovata davanti Stone. Indossò abiti più comodi e andò in cucina a mettere l'acqua per il tè sul fuoco, un senso di profondo sconforto nel cuore. Improvvisamente sentì bussare alla porta.
12
Non poteva esserne certa ma sospettava fosse Stone. Per la miseria, avrebbe dovuto immaginare che l'avrebbe seguita! Ancora una volta, quando si trattava di lui, agiva senza prima fermarsi a considerare le conseguenze. Ma che ti succede, Patrice? Aveva lasciato la macchina parcheggiata lì davanti. Quindi era inutile sperare che lui pensasse che non fosse a casa se non otteneva risposta. Inoltre era inevitabile affrontare il discorso della gravidanza. Non poteva continuare a fuggire. Prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine. Tutto sommato valeva la pena di cominciare a parlarne. Si volse verso la cucina a gas e spense il fornello. Poi raddrizzò le spalle, alzò il mento, fece un grosso respiro e si diresse verso la porta. Quando l'aprì ebbe la conferma dei suoi sospetti. C'era proprio Stone fermo sul pianerottolo. Aveva un'espressione chiusa. «Patrice, dobbiamo parlare.» «Lo so.» Si tirò indietro, aprendo completamente la porta così da permettergli di entrare. Prese il suo cappotto e lo appese nell'attaccapanni, poi lo precedette verso il soggiorno. Stone si sedette sul divano, il busto in avanti, le braccia poggiate sulle cosce, le dita intrecciate. «Mi hai detto la verità prima? Sei davvero incinta?» «Sì.» Lui si mise dritto, andosi una mano tra i capelli. Patrice osservò il gioco di emozioni sul suo volto. «Mi dispiace di avertelo
buttato in faccia in quel modo. L'ho saputo appena oggi e ancora non mi sono abituata all'idea. E poi non mi aspettavo di vederti al matrimonio...» «Un attimo, per favore. Una cosa alla volta.» Stone si alzò in piedi, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. «È difficile credere che hai aspettato tutto questo tempo per scoprire se eri in attesa. È ato più di un mese.» Patrice allora gli spiegò la faccenda delle perdite, che lei aveva scambiato per un ciclo regolare anche se breve, e gli riferì quanto il medico aveva detto in proposito. «Okay, posso capire come mai hai pensato di non essere incinta. Ma perché a quel punto non mi hai chiamato?» Lei si strinse le braccia al petto a mo' di scudo. «L'ultima volta che ci siamo visti mi sei sembrato così freddo e distaccato...» «Però ti ho dato il mio biglietto da visita e ti ho detto di contattarmi.» «Ma se ti fosse interessato sul serio, non mi avresti chiamato tu?» Lui abbassò lo sguardo sul pavimento. «Avevo intenzione di venire a scusarmi con te il giorno seguente.» «E invece sei finito all'ospedale?» «Esatto.» «Però non si spiega ancora come mai fossi così distante e freddo. Eri totalmente diverso da quando avevamo parlato al telefono la sera prima.» Stone smise di eggiare su e giù per la stanza e le venne vicino, appoggiandole le mani sulle spalle. «Non vedevo l'ora di are la serata con te. Ma quando hai aperto la porta, mi sei apparsa come una perfetta estranea.» «Non capisco.» «I vestiti, il trucco, i tuoi capelli... Non so, durante la nostra permanenza alla baita mi eri sembrata una donna totalmente differente.»
«Anche tu stasera sembri diverso nel tuo abito da cerimonia. Specialmente senza barba. Ma so che sei sempre tu.» «Mi rendo conto che la mia reazione è stata irragionevole. L'ho capito da solo quella sera stessa. Ma irragionevole o no, quando mi sei venuta ad aprire, sono stato colto alla sprovvista.» «Sono vestita elegante anche stasera. La cosa ti preoccupa?» «No. Stasera la sorpresa non è stata il tuo abbigliamento, ma la tua presenza qui.» La scrutò penetrante. «Se hai saputo soltanto oggi del bambino, allora non è per questo che ti sei trasferita a Clancy.» Patrice era curiosa di sapere quale effetto gli avesse fatto quell'imprevisto trasferimento ma non ebbe il coraggio di chiederglielo. Non era sicura di poter nascondere la propria delusione se la risposta fosse stata negativa. «No, il bambino non c'entra. L'ho deciso quando pensavo che non ci fosse. Stone, mi dispiace di non averti chiamato quando pensavo di non essere incinta.» Lui le strinse piano le spalle. «Pazienza! Tanto non sarebbe servito a nulla visto che in seguito le cose sono cambiate.» «Sì, però... Voglio dire, non è che non volevo dirtelo. È che pensavo non t'importasse.» Lui le accarezzò delicatamente una guancia col dorso della mano. «M'importa, tesoro. Credimi, m'importa.» La questione era se gli importava del bambino o di lei. Del bambino, era ovvio. Ma lei avrebbe voluto anche contare qualcosa. Anzi, quello che voleva veramente era che l'amasse. In altre parole è come desiderare la luna, ragazza. Anzi, forse avresti più probabilità. Stone la prese per mano e la fece sedere sul divano. Le si mise vicino, girato in modo da poterla guardare in viso. «Voglio spiegarti alcune cose che possono aiutarti a comprendere cosa significhi
per me questo bambino.» L'intensità e la serietà della sua espressione la resero nervosa. Ma doveva sapere. «Ti ascolto.» «Su al rifugio ti ho detto che sono stato sposato.» «Sì.» «Val è morta dopo quattro anni di matrimonio e cinque che stavamo insieme.» «Deve essere stata molto dura per te.» Lui annuì. «Molto. Soprattutto per come è morta.» Patrice se l'era domandato spesso alla baita ma non se l'era sentita di fare domande. Ora che lui stava per dirglielo, tuttavia, l'assalì un senso di disagio. Sapeva che Stone doveva aver amato moltissimo la moglie e si sentì all'improvviso presuntuosa nel pensare che avrebbe potuto amare anche lei. Lui si schiarì la voce. «Verso il nostro terzo anniversario ho incominciato a pensare che era tempo per noi di mettere su famiglia. Val avrebbe voluto aspettare ancora qualche anno, ma le sono stato addosso a tal punto che alla fine ha cambiato idea.» Non le aveva mai parlato di un figlio a casa. Ma l'argomento non si era mai presentato. «Ci volle qualche mese perché restasse incinta. Val era di sette mesi quando è arrivata la primavera. Alla fine dell'inverno faccio sempre un giro di perlustrazione per controllare le condizioni del ranch. Val stava bene, nessun problema. Non mi è nemmeno ato per la testa di lasciare qualcuno con lei o di telefonare durante la giornata.» Chiuse gli occhi, la fronte corrugata, le mani strette a pugno. Patrice si allungò a sfiorargli una mano. «Se non te la senti di parlarne, non me la prendo.» Gli incredibili occhi blu la fissarono tormentati. «Credo che tu debba sapere.»
«Come vuoi» mormorò, intuendo che aveva bisogno di sfogarsi. «Non abbiamo mai saputo esattamente cosa accadde, ma le conclusioni furono che Val ebbe un aborto con relativa emorragia. Non so neppure perché non abbia chiamato il dottore. Il telefono era sul comodino accanto al letto.» «Mi dispiace, Stone.» «Grazie. Comunque che ti piaccia o meno, a causa del nostro bambino, d'ora in poi la mia vita e la tua saranno legate.» Patrice sapeva che lui aveva ragione. Il bimbo sarebbe stato un legame tra loro, per sempre. «Suppongo che per alcuni aspetti sarà inevitabile.» Lui le guardò lo stomaco. «Infatti. Ecco perché credo tu debba sapere quanto questo bambino significhi per me.» Lei cercò di farsi coraggio davanti alla selva di ragioni che potevano spingerlo a chiedere la custodia del loro bambino. Invece lui proseguì: «Non mi fraintendere. Avrei sempre amato questo bambino indipendentemente dal ato. Però, proprio a causa di quanto è successo, ha un significato ancora maggiore. È una possibilità che credevo non mi si sarebbe mai più presentata». Quello che lei desiderava veramente era confessargli di amarlo, chiedergli di prendere entrambi con sé. Lei e il bambino. Permettere loro di riempirgli la vita. Non sapeva se alla fin fine sarebbe stata in grado di renderlo felice ma sapeva con tutto il cuore e tutta l'anima che voleva provarci. «Stone, sei giovane. Hai ancora tante possibilità, tanti anni per avere altri bambini.» «Il fatto è che non so se potrei mai scegliere di tentare un'altra volta. Val non c'è più ma io continuo a pormi da anni la stessa domanda: lei sarebbe ancora qui se non l'avessi convinta a darmi un bambino? Patrice poteva intuire la profondità di quel tormento. «Ti stai portando dietro un grosso fardello. Sensi di colpa mescolati a tanta tristezza.»
«Sì, immagino di sì. Ma non c'entra con quanto dobbiamo affrontare. Ho soltanto voluto che conoscessi il mio punto di vista.» «Ti ringrazio per avermelo spiegato» gli sorrise Patrice. Lui le prese una mano tra le sue. «Lassù al rifugio è successo qualcosa di speciale. Non sono sicuro di cosa si trattasse. Forse mi stavo innamorando di te.» Innamorando di te. Ma c'era anche quell'avverbio, forse, che proiettava un'ombra sulla gioia. Comunque lei non sapeva cosa dire. «Vedi» continuò Stone, togliendola d'impiccio, «con questo bambino in arrivo il mio primo impulso è di chiederti di sposarmi. Parte di me desidera afferrare questa seconda chance di felicità. Ma l'altra, quella più razionale, o irrazionale fa' tu, si preoccupa che la storia possa ripetersi di nuovo.» Nonostante la cocente delusione lei poteva capirlo. «È naturale, Stone.» Certo, lo comprendeva. Ciò nondimeno il suo rifiuto la feriva. E non soltanto perché non se la sentiva di sposarla. Patrice non aveva alcuna voglia di diventare insieme a suo figlio un sostituto di coloro che lui aveva perso. «Allora comprenderai se ti chiedo un po' di tempo per pensare all'intera situazione.» «Servirà anche a me. Dopotutto l'ho saputo oggi anch'io. E anche per me è stato uno shock.» «È vero, avrei dovuto pensarci.» Stone le lasciò la mano e si alzò in piedi. «È meglio che vada a casa adesso.» Patrice intuiva che era davvero la cosa migliore ma se fosse dipeso da lei gli sarebbe volata tra le braccia. Aveva bisogno dei suoi baci, delle sue carezze, del contatto di pelle contro pelle. Di rivivere quel piacere sublime che aveva dato vita al loro bambino. Ma non poteva accadere finché Stone continuava a piangere la moglie morta e il figlioletto perso.
Stone guidò verso il ranch in uno stato di totale confusione mentale. Stava per diventare padre. Patrice gli era sembrata così vulnerabile quando gli aveva aperto la porta, e aveva dovuto lottare contro l'impulso di stringerla tra le braccia. Tutta quella faccenda era piuttosto dura per lui. Figurarsi per lei. Lo preoccupava anche il fatto che era rimasto piacevolmente sorpreso nel sapere che si era trasferita a Clancy. Ma perché? Era solo una questione di sesso o voleva costruire un futuro insieme a lei? Forse era proprio questa la ragione. Sapendo che era in città, poteva cercare di approfondire il loro rapporto. E se si fosse innamorato? C'era una possibilità? Il primo momento che aveva posato gli occhi su Val, l'aveva amata alla follia. Niente di così drastico era accaduto con Patrice. All'inizio, anzi, almeno dal punto di vista emotivo gli era stata indifferente. L'aveva trovata subito attraente, sì. Ma era stata soltanto una damigella in difficoltà da salvare. Solo in un secondo momento avevano incominciato a conoscersi. E allora? Cosa provava adesso? Amicizia, desiderio o amore? Se era amore, di chi si era innamorato? Della donna elegante e sofisticata o di quella semplice e innocente del rifugio? Oppure la giovane donna allegra e apionata della baita era solo frutto della sua immaginazione? O forse tutto quello che provava non era che un bisogno disperato di amare e di essere amato? La perdita di Val l'aveva colpito duramente, congelandogli il cuore. Erano quelli i primi segnali di disgelo? Era un ritorno alla vita e non erano invece sintomi d'amore? Comunque, a parte i sentimenti che poteva provare per Patrice, era certo di amare il loro bambino. Lo amava tanto quanto aveva amato quello che Val aveva portato in grembo.
Come mai nutriva le stesse emozioni per quei due bambini e sentimenti così diversi per le loro madri? Si ò le dita tra i capelli assalito dall'insicurezza e dalla frustrazione. Tra l'altro Patrice non aveva mai detto di amarlo, quindi perché porsi tanti problemi?
Il mattino seguente Patrice si svegliò più stanca di quando era andata a dormire. Aveva avuto un sonno agitato anche se non ricordava alcun brutto sogno. Doveva andare in farmacia a comprare le vitamine. Il giorno prima era rimasta troppo frastornata dalle notizie e le era ato di testa. Durante la notte aveva nevicato in abbondanza ma non in quella quantità che avevano previsto i meteorologi. Così decise di fare una eggiata visto che il drugstore non era lontano. Una volta nel negozio diede la ricetta e si spostò verso lo scaffale delle cartoline e biglietti di auguri. Voleva mandarne uno alla madre per il compleanno. Il camlo della porta trillò, segnalando che era entrato un altro cliente. Patrice alzò lo sguardo con aria distratta e il respiro le si bloccò in gola quando vide Stone. Sperare che non si accorgesse di lei fu inutile perché già la stava raggiungendo. «Buon giorno» la salutò. «Ciao, Stone.» Lei tenne il tono freddo e formale, adattandosi a quello di lui anche se le spezzava il cuore tanto distacco. Aspettavano un bambino e si trattavano come due estranei. Lui vide il biglietto che aveva in mano. «È il compleanno di tua madre?» «Tra poche settimane.» «È carino.»
«Stone» lo chiamò il farmacista, «ti ho preparato il flacone.» Lui agitò una mano. «Arrivo subito.» «Non ti senti bene?» «Ho solo bisogno di un antidolorifico per il ginocchio. Sto troppo in piedi.» «Dovresti prendertela con più calma.» Stone scrollò le spalle, sistemandosi il cappello. «Hai qualche programma per il resto della giornata?» «Io e la nonna abbiamo intenzione di dare una ripulita alla soffitta.» «Speravo potessimo andare da qualche parte a parlare con calma.» «Non so quanto potremmo metterci» Patrice rispose frastornata dalle diverse sensazioni che si agitavano nel suo animo. «Per favore?» C'era una tale emozione nella voce profonda di lui che fu impossibile rifiutare. «Credo che la nonna non se la prenderà se rimandiamo.» «Ti farebbe piacere venire a casa mia?» le chiese Stone. L'idea l'incuriosiva, doveva ammetterlo. «Sì, grazie. Dammi il tempo di chiamare la nonna e di andare a prendere la macchina.» «Non c'è bisogno. Ti porto io.» «Ma poi sarai costretto a riaccompagnarmi.» «Non importa. Le strade sono ghiacciate. Preferisco non correre rischi.» «Guarda che sto imparando.» «Non lo metto in dubbio. Ritiro la medicina e sono da te.» Stone si girò per recarsi al bancone.
Lei lo seguì. «Devo prenderne una anch'io.» Si girò a guardarla, la fronte corrugata. «Stai bene?» «Sì. Sono solo vitamine per gestanti.» «Capisco.» Dopo aver pagato, Patrice uscì per andare a chiamare la nonna da una cabina telefonica. Dorothy fu molto comprensiva, specialmente quando seppe la ragione di quel cambiamento di programma. Patrice avrebbe voluto soffocare qualsiasi speranza su loro due come coppia, ma sapeva che era inutile. Quando riappese il ricevitore, Stone stava uscendo dal negozio. «Pronta?» «Sì. La nonna ti saluta.» «Ricambia i saluti, okay?» «Certo.» Stone indicò il furgoncino. «Da questa parte.» Le aprì la portiera e lei saltò a bordo. Perché ti comporti così, Patrice? Dovresti stargli lontano il più possibile fino a che non sei sicura che non voglia toglierti il bambino. Un breve momento di panico. Poi si rilassò quando lui salì al posto di guida e mise in moto. Durante il tragitto verso il ranch, lei notò che cominciava a cadere qualche fiocco di neve. E più si allontanavano dalla città più s'infittivano. «Avevo sentito dire che la perturbazione era ata.» «A volte anche i meteorologi sbagliano. Dal colore delle nuvole direi che tra poco saremo in mezzo a una bella nevicata.»
«Forse dovremmo tornare indietro e andare a parlare a casa mia.» «E perché mai?» Stone le scoccò uno dei suoi sorrisi assassini. «Se restiamo isolati, questa volta abbiamo tutte le comodità del mondo. Il ranch ha anche i servizi interni, sai?» Nonostante l'istinto la mettesse in guardia perché non si lasciasse incantare dal suo fascino, Patrice gli sorrise. «Mi tranquillizza saperlo.» Stone le indicò il segnale che indicava l'inizio della proprietà della Baron Garrett Cattle Company e lei fu sorpresa di sentire che si allungava per parecchi chilometri su entrambi i lati della superstrada. Ci furono brevi intervalli di conversazione ma per il resto del viaggio restarono in silenzio. Patrice di tanto in tanto lo guardava di sottecchi, percorrendo con lo sguardo le linee dure e affascinanti del suo profilo. Nonostante i dubbi e i timori sulle sue intenzioni di toglierle il bambino, doveva ammettere che era bello stare di nuovo con lui. Talmente bello che desiderava da impazzire scivolare sul sedile e posare la testa sulla sua spalla. Stone prese una traversa sulla sinistra. Una volta lasciata l'autostrada attraversò un tratturo e poi s'immise in una strada di campagna ben tenuta. Alla fine ò sotto un arco fatto di tronchi di quercia in cima al quale spiccavano incise col fuoco la C e la G intrecciate tra loro. La strada girava come un merletto intorno a un paio di colline per salire e scendere su per alcuni pendii che si rincorrevano l'un l'altro. E finalmente apparve una vallata, molto più ampia di quanto lei si fosse immaginata. Sparsi qua e là spuntavano diversi edifici e molti recinti e sulla cima di una piccola altura una grande casa bianca in stile vittoriano. La neve che vi vorticava intorno le conferiva un'aria incantata. Stone fermò il furgoncino sulla cresta della collina che era all'imbocco della valle. «Be', che ne pensi?» «È molto più grande di quanto credessi e più moderna. Molto più di una semplice casa.»
«Ti aspettavi una vecchia baracca corrosa dalle intemperie, un fienile e qualche recinto?» Patrice gli rivolse un sorriso di scusa. «Può sembrare stupido se la metti in questo modo. Ma sì, era proprio questo che mi aspettavo.» Lui scoppiò a ridere. «Non sentirti in colpa. Capita a tutti i non addetti ai lavori, ti assicuro. Sentono parlare di mandrie di bestiame e pensano ai vecchi film western con John Wayne. Il fienile rosso, tanti spazi aperti, staccionate e cowboy.» «Due su tre non è poi tanto male» lasciò cadere lei in tono scherzoso. Lui rise di nuovo e quella risata calda e di gola le diede un brivido lungo la spina dorsale. Prima di entrare nell'area da lavoro c'era una curva che portava direttamente alla casa. Stone s'infilò in un garage sul retro. Poi attraversarono un ampio cortile ed entrarono nell'edificio dal portico posteriore. Era davvero una bellissima costruzione, da qualsiasi parte si guardasse. «Complimenti. È incantevole» commentò Patrice sinceramente ammirata. «Il barone l'ha costruita per sua moglie e gliel'ha donata come regalo di nozze.» «Che romantico!» «Secondo la leggenda di famiglia il mio antenato aveva notevole fascino.» Come il pronipote, pensò lei tra sé e sé. Ma non era il caso di dirlo ad alta voce. La precedette sulle scale ma invece di farla entrare dalla porta posteriore, continuò sotto il portico sino all'ingresso principale. L'interno della casa era bello e curato come l'esterno. I mobili avevano tutta l'aria di risalire ai secoli ati e mantenevano intatta la bellezza e il fascino di quell'epoca lontana. Tutto era in ordine, perfetto e lucidato. Chiaramente opera di una governante
perché certo Stone non aveva tempo di fare le pulizie. Le mostrò il pianterreno, incluso lo studio con il ritratto del barone sul camino di marmo. Una figura formidabile che aveva una rassomiglianza incredibile con Stone. L'unico tratto diverso erano i capelli biondi. Si trattennero per qualche minuto nello studio dove Elwood, il labrador retriever, era disteso davanti al camino. Poi continuarono il loro giro sino a che Stone la portò in salotto. «Accomodati pure» le disse, indicandole il divano. Lei si sedette in un angolo, chiedendosi perché non le avesse mostrato il piano superiore. Be', forse era stato meglio. Era curiosa di vedere la sua stanza da letto, ma sapeva che l'immagine di lui poi l'avrebbe ossessionata durante la notte. «Desideri qualcosa da bere?» le chiese Stone. «Forse più tardi, grazie.» Si sedette anche lui sul divano di pelle, rivolto verso Patrice. Cominciarono a parlare insieme e insieme scoppiarono a ridere. «Prima le signore.» «Volevo solo complimentarmi con te per la tua bella casa.» «Grazie. Ho tirato giù dalla soffitta parecchi mobili originali e li ho fatti restaurare.» Lei si guardò intorno. «Mi piace» mormorò assorta, voltandosi di nuovo verso Stone. E il cuore le arrivò in gola davanti alla luce che brillava negli incredibili occhi blu. Il fuoco che aveva visto al rifugio palpitava di nuovo nelle loro profondità. «Stone...» Il nome fu come un sussurro. Lui, allora, colmò la distanza che li separava e senza staccarle lo sguardo di
dosso, le ò un dito sul contorno del viso, piano sino a fermarsi sulla bocca piena e morbida. Poi si chinò, accarezzandole le labbra con un bacio dolcissimo. Patrice sollevò le mani contro il suo torace. Il cuore saltò un battito, il morale volò in alto. I giorni e le settimane tristi e interminabili senza di lui svanirono nello spazio di qualche secondo al solo sentire il suo sapore, il suo odore muschiato. Mancava soltanto quel sottile sottofondo di fumo proveniente dal camino, l'odore che li aveva accompagnati durante la permanenza nella baita. Patrice lasciò che le sensazioni familiari fluissero in lei, tenendo fuori tutto a parte l'uomo che la stringeva tra le braccia. Era bellissimo. Era come essere tornata a casa. Era giusto. E un desiderio prepotente del corpo di Stone cominciò a tormentarla ancora una volta. Così, mettendo in azione tutto quello struggi mento che aveva nel cuore e nell'anima, rispose al bacio. Trascorsero diversi momenti apionati, poi Stone si staccò da lei e la strinse a sé. «Ti amo, Patrice. Mi ci è voluto parecchio per capirlo ma... meglio tardi che mai.» La voce di lui era bassa e roca. Emozionata. Il suo respiro caldo contro la pelle sensibile dietro l'orecchio. Patrice si tirò indietro. La sincerità che lesse in quelle pozze di cielo la eccitò e la sorprese nello stesso tempo. «Ti amo anch'io.» Stone sembrava confuso. «Davvero? E da quanto tempo lo sai?» «Eravamo ancora al rifugio.» «Non hai mai detto niente.» «Non mi sembravi interessato a sentire una cosa del genere. E non volevo mettere in pericolo quello che già avevamo.» «Ci ho messo tanto a capire quello che sentivo, lo so. Mi dispiace.» «Non devi dispiacerti. Sono sicura che c'era una buona ragione.»
«Non la considero una buona ragione ma è l'unica che ho.» Stone si appoggiò con la schiena contro il divano, facendola sistemare meglio tra le sue braccia. «Vedi, anche se non me ne rendevo conto, negli anni scorsi ho soltanto fatto finta di vivere. Il mio cuore e le mie emozioni erano rimaste congelate dal giorno della morte di Val.» «Devi averla amata molto.» «Sì. E in un modo che durerà per sempre. Ma il mio cuore era chiuso a qualsiasi altra cosa: poi in una piccola baita, in mezzo a una tormenta di neve, una rossa impertinente mi ha trascinato fuori dall'inverno, sciogliendo il ghiaccio col suo calore.» Le guance di Patrice si coprirono di rossore. «Non so che dire.» «Be', visto che mi hai già detto Ti amo, perché non dici che accetti di sposarmi?» «Sposarti?» Lui ridacchiò scompigliandole i capelli. «Non è quello che di solito fanno due persone che scoprono di amarsi?» Patrice si mordicchiò il labbro inferiore. «Immagino di sì. Il fatto è che tutto questo mi ha colto di sorpresa.» «Non me ne parlare. Comunque, anche se ci ho messo tanto a rendermene conto, non vedo quale sia la soluzione migliore di quella di averti qui con me ogni giorno, come al rifugio.» La prospettiva era meravigliosa. Al di sopra di qualsiasi sogno. Ma si era aggiunto un fattore importante adesso. «Stone, non resteremo soli a lungo. C'è il bambino.» Lui sorrise. «E allora? Non c'è problema. Adorerò anche un'altra testa rossa in famiglia.» Patrice aveva un ultimo dubbio da chiarire. «Se non ci fosse stato il bambino, mi avresti chiesto lo stesso di sposarmi?» Lui sospirò. «Avrei preferito che ti fidassi di me abbastanza per non
chiedermelo. Ma dato il mio comportamento e quello del tuo ex fidanzato, capisco che tu sia sulla difensiva e voglia essere molto cauta. Vorrà dire che dovrò dimostrarti che ti amo con tutta l'anima. E per rispondere alla tua domanda, sì, ti avrei chiesto di sposarmi anche senza il bambino.» Lei gli mise le braccia intorno alla vita, stringendosi al suo petto. «Anche la mia risposta è sì, amore mio. Non c'è nulla che desideri di più al mondo.» «Ne sono felice.» Patrice lanciò un'occhiata verso la finestra. «Ha incominciato a nevicare forte.» Si girò anche lui a guardare i fiocchi candidi danzare allegramente davanti ai vetri. «Credo che nevicherà tutta la notte.» Lei lo fissò con aria interrogativa. «Capita spesso che restiate bloccati?» «Non abbastanza per il sottoscritto.»
Epilogo
Patrice terminò di mettere il pannolino alla figlia Gwen, chiuse il pigiamino e la sollevò tra le braccia. Si avvicinò alla finestra, tirò le tendine rosa con tanti piccoli orsetti e guardò fuori. Un movimento sulla destra attirò la sua attenzione. Era Stone in sella al cavallo baio che si dirigeva verso le scuderie. «Bene, scricciolo dolce, a quanto pare questa sera vedrai il tuo papà prima di andare a nanna.» Gwen emise due gridolini di gioia e sorrise, agitando i pugnetti teneri in aria. Patrice le baciò la punta del nasino e rise. «Troppo carina. Proprio la degna figlia di tuo padre, tesoro.» Veramente anche della madre. La bambina, infatti aveva i suoi capelli biondo rame e gli occhi blu intenso di Stone. Lei se la strinse al petto, inebriandosi del suo profumo di pulito e d'innocenza. «Che dici, sei pronta per scendere giù?». La piccola si agitò come se fosse seduta sui carboni ardenti. «La interpreto come un'affermazione.» Patrice si diresse verso la cucina. Mise il biberon con il latte in polvere in una pentola di acqua calda. Mentre aspettava che arrivasse alla temperatura giusta, diede un'altra occhiata dalla finestra. Stone stava uscendo dalla scuderia e poco dopo lo vide avviarsi a i lunghi e decisi verso la casa, le mani nelle tasche del giaccone, Eldwood che gli trotterellava accanto. Entrarono attraverso il portico di servizio. Elwood si scrollò di dosso la neve e puntò dritto verso la stufa, accucciandosi il più vicino possibile a quella fonte di calore. Stone si trattenne in ingresso a poggiare cappotto, guanti e cappello e
fece capolino nella cucina. Sorrise non appena le vide. Poi si chinò a baciare Patrice sulla guancia prima di prendere Gwen in braccio. La piccola sembrava minuscola tra le braccia del padre. «Ehi, tesorino di papà, hai fatto la brava ragazza oggi?» «Stella, di' a papà che tu sei sempre una brava ragazza.» Stone scoppiò a ridere. «Be', diciamo per la maggior parte del tempo» si corresse Patrice. Lui le strizzò l'occhio divertito. «Proprio come la sua mamma.» Patrice controllò il biberon. La temperatura era perfetta. «È pronto?» chiese Stone. «Sì.» «Allora la porto su e dopo la metto a letto, va bene, piccola?» chiese ammiccando alla bambina. «Grazie. Io finisco di preparare la cena.» Stone la baciò di nuovo. Sulla bocca questa volta. Prese il biberon e uscì dalla cucina, confabulando in modo incomprensibile con Gwen. Una volta messa la cena in tavola, Patrice rimase davanti al lavandino a guardare fuori attraverso i vetri un po' appannati. L'erba verde aveva assunto un pallido color oro. E gli alberi, dopo le sfumature calde d'autunno, avevano perso anche il fogliame. Stone le circondò la vita con le braccia, facendola sobbalzare. Allora le sfiorò la base del collo con tanti, piccoli baci. «Scusami, amore.»
«Sembra che faccia freddo» mormorò lei, appoggiandosi contro i muscoli solidi del torace del marito e appoggiando le mani sopra le sue. «Infatti. L'inverno è arrivato, non c'è alcun dubbio. Sei pronta ad affrontare di nuovo il freddo? Forse anche un po' di neve e qualche tempesta?» «Lasciamo che venga l'inverno.» Patrice alzò lo sguardo verso il soffitto. «Conosco un posticino dove si sta sempre al calduccio.» Lui le mise le mani sui fianchi, attirandola a sé. «Uhmmm, che meraviglia! E scommetto che posso aiutarti a stare anche più al caldo. Ad andare a fuoco persino.» Patrice si girò a guardarlo, i grandi occhi verdi ridenti e provocanti insieme. «Lo sai che la cena è pronta, signor Garrett?» «Può essere sempre scaldata più tardi. Ecco perché esiste il forno a microonde.» Lei gli sorrise. «Non ti dispiace mangiare cibi riscaldati?» Lui la fece voltare, percorrendole col dito la linea del naso e la curva delle labbra. «Per niente. E se non ricordo male, non è nemmeno la prima volta che succede.» «E nemmeno la prima di questa settimana.» Un lampo si accese negli occhi di Patrice. «Hai perfettamente ragione, tesoro.» Il marito la prese in braccio. «Su, andiamo a spogliarci e godiamoci un po' di sano e stupendo calore umano, signora Garrett.»