Ogni Bacio 3s3a4b

Table of Contents

Title Page

Legal Page

Book Description

Dedica

Riconoscimento dei marchi

Capitolo Uno

Capitolo Due

Capitolo Tre

Capitolo quattro

Capitolo cinque

Capitolo sei

Capitolo sette

Capitolo otto

More exciting books!

Sull’autrice

Una storia di musica, amore e altre sofferenze

OGNI BACIO

C.J. BURRIGHT

Ogni bacio ISBN # 978-1-80250-040-0 ©Copyright C.J. Burright 2019 Copertina di Erin Dameron-Hill ©Copyright Dicembre 2019 Tradotto da Cecilia Metta Design interno del testo di Claire Siemaszkiewicz Totally Bound Publishing

Questa è un’opera di finzione. Tutti i personaggi, i luoghi e gli eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non devono essere confusi con fatti reali. Qualsiasi somiglianza con persone, in vita o morte, eventi o luoghi è puramente casuale.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in qualsiasi forma materiale, sia tramite stampa, fotocopia, scansione o altro mezzo, senza il permesso scritto dell’editore, Totally Bound Publishing.

Le richieste devono essere inviate in prima istanza, per iscritto, a Totally Bound Publishing. Atti non autorizzati o limitati a proposito di questa pubblicazione possono comportare procedimenti civili e/o penali. L’autore e l’illustratore hanno fatto valere i loro rispettivi diritti ai sensi del Copyright Designs and Patents Acts 1988 (come modificato) per essere identificati come autore di questo libro e illustratore dell’opera d’arte.

Pubblicato nel 2021 da Totally Bound Publishing, Regno Unito.

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, scannerizzata o distribuita in qualsiasi forma stampata o elettronica senza permesso. Si prega di non partecipare né incoraggiare la pirateria di materiale protetto da copyright in violazione dei diritti di autore. Acquistare solo copie autorizzate.

Totally Bound Publishing è una siglia editoriale di Totally Entwined Group Limited.

Se avete acquistato questo libro senza copertina dovete sapere che questo libro è proprietà rubata. È stato segnalato come “invenduto e distrutto” all’editore; né l’autore né l’editore hanno ricevuto alcun pagamento per questo “libro spogliato”.

Musica, amore e altre sofferenze: l’antefatto

Lui è dolce, affascinante, arrogante e crede di poter ottenere tutto quello che vuole, compresa lei. Negarglielo è una sfida cui lei non può resistere.

Sei mesi fa, Gia ha perso l’amore della sua vita e la scintilla che le ha fatto guadagnare il soprannome di “Ragazza scintillante”. Quando il Natale si avvicina, oltre al suo compito di decorare l’ufficio e di nascondere il vischio per le scommesse segrete sui baci delle feste, Gia indossa la sua maschera e finge di non soffocare lentamente. Ma quando Ian, un avvocato presuntuoso e delizia per gli occhi, scommette che sarà lei a baciarlo sotto il vischio, Gia fa una scommessa tutta sua. Non bacerà mai Ian.

Ian O’Connor rifiuta di perdere, sia in aula, sia in camera da letto, sia che si tratti di una scommessa sui baci sotto il vischio. Dal giorno in cui Gia è entrata nel suo studio legale, ha perseguitato le sue fantasie con i suoi tacchi a spillo e il suo sorriso solare. Ora che lei è di nuovo single, farà di tutto per eliminare la sua malsana attrazione verso di lei, un lusso che non può permettersi senza esporre il suo ato tormentato.

Ma mentre la loro guerra e la loro chimica crescono d’intensità. Sia Gia sia Ian potrebbero scoprire che c’è un rischio ancora maggiore che perdere una scommessa quando ci si abbandona a un bacio sotto il vischio.

Dedica

A Brenda, sono così fortunata ad averti trovato in questo mondo selvaggio, buio e pazzo

Riconoscimento dei marchi

L’autore riconosce lo stato di marchio e i proprietari dei seguenti marchi menzionati in quest’opera di finzione:

Jingle Bell Rock: Joseph Carleton Beal e James Ross Boothe Il Grinch: Dr. Seuss Enterprises, L.P. Geisel-Seuss Enterprises, Inc. Batman: DC Comics General Partnership Il Signore degli Anelli: J.R.R. Tolkien Porsche: Dr ING HCF Porsche AG Corporation Winter Wonderland: Felix Bernard and Richard B. Smith Cenerentola: Disney Enterprises Inc. Macbeth: William Shakespeare

Capitolo Uno

Una pioggia di brillantini pioveva nell’ufficio di Gia. Il rosso e il verde scintillavano sul file bianco che stava fissando da dieci minuti, persa nella tana del coniglio della tristezza. Si appoggiò alla sedia e inclinò il mento verso l’alto, sollevando lo sguardo verso la fonte della nuvola di brillantini: Karen, la sua collega, custode di tutti i pettegolezzi dell’ufficio e anche la sua più cara amica alla Hamilton & Associates, il miglior studio legale di Graywood, che offre sostegno nella cittadina con una qualità da grande metropoli e con prezzi monumentali. “Ho pensato che qualcosa di scintillante avrebbe attirato la tua attenzione, ragazza scintillante.” Karen sorrise e soffiò sulla testa di Gia gli ultimi brillantini che teneva nel palmo della mano. “Visto che quest’anno nessuno si è offerto volontario, ho bisogno di aiuto per le decorazioni di Natale.” Le parole esprimevano con tono scherzoso un’accusa, ma la ghirlanda di decorazioni che Karen aveva sistemato attorno al collo di Gia sembrava una minaccia. Da quando due anni prima aveva iniziato a lavorare alla Hamilton & Associates, quando San Valentino era trascorso senza alcuna decorazione, Gia si era nominata coordinatrice delle feste interne e festeggiava ogni stagione e ogni festa importante con delle decorazioni colorate. Quando quell’anno aveva saltato Halloween, nessuno aveva protestato. Ma in quel momento sembrava che il suo periodo di lutto non era più tollerato e che il Natale non sarebbe trascorso senza di lei. Anche se lo desiderava. Gia sfoggiò un sorriso e finse che sembrasse reale. “Solo se riesco ad appendere il vischio in posti strategici.” “Ci contavo.” Karen avvolse una ghirlanda scintillante intorno alla sua gola esile e ne fece roteare l’estremità come un boa. “Non vedo l’ora di vedere Lisette intrappolare O’Connor vicino alla fotocopiatrice e osservare come lui cerca di sottrarsi strisciando a un vero bacio.”

Per un istante, il sorriso di Gia sembrò meno finto. Ogni anno tutto l’ufficio scommetteva su quante volte Lisette – la segretaria che aveva quasi la stessa età dello studio – avrebbe intrappolato O’Connor sotto il vischio. Poiché Ian con le donne seguiva la regola di una sola notte, regola che non infrangeva mai, era divertente vedere Lisette raccogliere la sfida e batterlo… almeno per quanto riguardava i baci. Gia aveva fatto la sua parte posizionando il vischio in luoghi inaspettati e discreti e lasciando una mappa a Lisette. Forse guardare qualcun altro trovare un po’ di romanticismo avrebbe cancellato l’ombra che attanagliava ancora il suo cuore. Gia si alzò e si sistemò la gonna nera. Il suo maglione di cashmere rosa ammorbidiva l’austerità e, per quanto fosse stufa di indossare indumenti di colore nero, le sembrava disonesto rinunciarvi completamente. Prese i sacchetti con le decorazioni verdeggianti e i nastri rossi che le lanciò Karen. “L’Operazione Vischio è in corso.” dichiarò Gia. “Spero che quest’anno tu abbia qualche idea creativa.” Gli occhi verdi di Karen brillarono, afferrando una manciata di decorazioni. “Non appena avremo sistemato le decorazioni, O’Connor andrà alla ricerca del vischio e cercherà il modo di evitarlo.” “O cercherà di capire come usarlo a proprio vantaggio.” “Mi va benissimo che lui usi il vischio con me.” Karen inarcò le sopracciglia ramate. “Quest’anno potrei anche competere con Lisette.” Gia scrollò le spalle. Ian era attraente fisicamente, nessuno poteva negarlo, ma l’unico uomo che lei aveva desiderato negli ultimi tre anni era stato Joey. Joey era stato il suo tutto. Le mancò il respiro e strinse il sacchetto di plastica dei nastri finché non svanì la minaccia delle lacrime. Si schiarì la gola. “Mi stai dando una soffiata dicendo che dovrei scommettere su di te e non su Lisette?” “Lisette ha dalla sua parte la vecchiaia e l’inganno. La mia lussuria e la mia determinazione non possono competere con lei.” Karen socchiuse le labbra color rubino e strinse gli occhi, entrando in modalità contabile. Si sistemò distrattamente la matita dietro l’orecchio. “Ma io scommetto due a uno che Lisette metterà Ian nell’angolo almeno cinque volte e che lui per tre volte sgattaiolerà via.”

“Come fai a tenere il conto?” Gia estrasse un nastro di velluto dal sacchetto. “Hai delle telecamere nascoste? Delle spie? Un esercito di ragni che osserva e ti riporta i segreti durante la notte?” Karen fece finta di annusare. “Non rivelo mai le mie fonti. Lo sai.” Gia legò il nastro attorno a un rametto di vischio, afferrò il contenitore di plastica delle puntine rosse e verdi che Karen aveva sistemato sulla scrivania e si diresse verso la porta. “Conosco il posto perfetto.” “Aspetta, ragazza scintillante.” Karen si alzò, con la sua gonna a quadri, il maglione verde bosco con scollo a V e gli stivali di pelle nera. Con i suoi capelli corti color castano e il suo sorriso impertinente secondo Gia assomigliava a una fata troppo cresciuta che si dedicava alle marachelle. Indicò la porta dell’ufficio di Gia. “Hai dimenticato il posto più ovvio.” “Preferisco ammirare i baci da lontano e mi rifiuto di restare intrappolata nel mio ufficio o di essere costretta a pagare un pedaggio per entrare o uscire.” Esclamò guardando Karen. Anche se Gia avrebbe potuto giocare la carta del dolore e fuggire, c’erano un paio di membri dello staff che avrebbero assolutamente approfittato del vischio appeso all’architrave. “Hai ragione.” Karen si stropicciò il naso lentigginoso. “Ma stavo pensando più a me che a te. O’Connor gironzola spesso senza motivo nel tuo ufficio.” “Veramente?” Karen sollevò la testa con un’espressione completamente incredula. “Veramente non lo hai notato? Come hai potuto non accorgerti di tutta quella bontà maschile? Sono preoccupata per te, G.” Anche se apprezzava la battuta, tutti i motivi per cui non avrebbe notato un altro uomo rimanevano non detti sulla punta della lingua. Perché ero completamente innamorata di Joey. Perché Joey possedeva il mio cuore. Perché avevo tutto quello che volevo. Tutti i suoi motivi erano spariti, scomparsi per sempre. Ma lei era ancora viva e piangere non avrebbe cambiato nulla. Lo aveva fatto abbastanza negli ultimi mesi per saperlo.

Gia sorrise di nuovo. “Se ti dà un vantaggio, mio romantico folletto del gioco d’azzardo, correrò il rischio.” Karen iniziò a battere le mani saltando da una parte all’altra. “Prendo la scala.”

Mezzo minuto dopo, Gia era in equilibrio sul gradino più alto della scaletta. Nemmeno i suoi tacchi da dieci centimetri erano sufficienti per raggiungere la sporgenza superiore dello stipite della porta. Si allungò tenendo un rametto di vischio con un nastro in una mano e una puntina rossa nell'altra. “Vedo che la mia premonizione del pericolo non era sbagliata.” Il timbro morbido della voce di Ian O'Connor si avvicinò, ma Gia si concentrò sull'appuntare il vischio. Se si fosse guardata alle spalle, avrebbe potuto perdere l'equilibrio. “Cominciavo a sospettare che quest’anno l'ufficio saltasse il Natale.” “E perdere l'occasione di vedere il signor Hamilton ballare Jingle Bell Rock alla festa annuale di Natale?” Non era possibile non notare nella risata di Karen la sua volontà di flirtare. “Neanche per sogno. Anche quest'anno distribuisci regali, vero?” “Qualsiasi cosa per lenire la mia reputazione di Grinch per un giorno.” “Stai sopravvalutando il potere dei regali. Per te, comprano solo un'ora di buon umore, al massimo.” Karen fece quasi le fusa con la sua voce. “Poi torni a essere un bastardo dal cuore di ghiaccio di due taglie troppo piccole.” “Come dovrei essere.” Gia sbuffò dolcemente e appuntò il vischio. Ian Non sembrava preoccupato che qualcuno potesse considerarlo senza cuore e considerando la sua reputazione tutti denti e una pelle abbastanza dura da sopportare qualsiasi attacco verbale - la sua mancata reazione non l’aveva sorpresa. Fuori dall'aula, la fama di Ian era altrettanto brutale. Si atteneva alla regola ferrea di una sola notte prima di freddare le sue partner romantiche, senza eccezioni. Eppure sembrava avere sempre una selezione di vittime consenzienti. Doveva essere particolarmente abile in camera da letto. Non che fosse interessata.

“Signorina Hellman, credo che il nastro sia storto.” Gia si accigliò di fronte alla decorazione perfettamente dritta. “La mia abilità con i nastri è irreprensibile, signor O'Connor. Come si permette?” “Non mi riferivo al bel nastro legato a un qualsiasi rametto di vegetazione.” Aggrappandosi allo stipite della porta per non perdere l'equilibrio, Gia diede un'occhiata sopra la spalla. Ian le stava fissando le gambe e le fiamme nei suoi occhi blu non avevano niente a che fare con l'allegria o la gioia, ma piuttosto con i regali che lei avrebbe potuto offrirgli più tardi. Ian sollevò lentamente lo sguardo verso di lei, scrutandone ogni centimetro. Anche se era stato sorpreso a guardare, la sua espressione non tradiva un barlume di vergogna o di rimorso. “Sto parlando del delicato nastro rosa sull'orlo della sua gonna, naturalmente”. “Lo sapevo.” Il viso di Gia avvampò un po', ma si rifiutò di distogliere lo sguardo. Non lo stava lasciando andare così facilmente né ammetteva alcuna debolezza, specialmente l'inaspettato traballare delle sue ginocchia. Ian fece scivolare fuori le mani dalle tasche dei pantaloni. “Posso?” “Purché continui a comportarsi in modo educato.” Gia gli fece il suo sorriso più dolce. Una corrente d'aria che trasportava la colonia di lui, leggermente speziata e ridicolmente costosa, le invase i polmoni quando Ian si avvicinò. Dopo un leggero strattone all'orlo della gonna, l’uomo si raddrizzò e inclinò la testa, studiando il suo lavoro. “Così va meglio”. “Mi dispiace che il nastro indisciplinato della mia gonna abbia offeso la sua sensibilità delicata, signor O'Connor.” “Scuse accettate, signorina Hellman.” Gia avvertì uno sfarfallio nello stomaco e scese dalla scala prima di fare qualcosa di sconveniente, come poter riconoscere il motivo di quella sensazione. Si girò verso di lui. Guardando Ian, non poteva negare perché una ragazza potesse essere tentata di sprecare una notte con lui. Vestito in modo impeccabile

con pantaloni blu, camicia gessata e cravatta rosso sangue, poteva darle del filo da torcere in una gara di moda. Doveva aver finito le sue udienze in tribunale per quel giorno, perché si era tolto la giacca e aveva arrotolato le maniche della camicia. I suoi avambracci nudi lo facevano sembrare pronto a giocare invece che a lavorare. “Quante di quelle mostruosità intende piantare – mi perdoni, appendere – quest’anno in posti poco appariscenti?” Lanciò un'occhiata al vischio sopra la scala. “Questo è un'informazione riservata.” Gia sbatté le ciglia, con un’aria innocente, e l'innegabile voglia improvvisa di adescarlo. “E il suo nome non è su quella lista, quindi dovrà trovarli tutti come tutti gli altri, un bacio alla volta”. “Che ingiustizia.” La protesta dell’uomo, proferita con un tono così benevolo, non aveva peso. “Potrei convincermi a rivelare qualche posizione.” Gli sorrise Karen, tutta maliziosa. “A un prezzo.” Ian si strofinò per un momento il labbro inferiore e rivolse uno sguardo alle due donne, come se stesse considerando i rischi e i benefici. “Prenderò in considerazione la tua offerta generosa.” “Non ci sarà nessun sabotaggio dei segreti del vischio, Karen.” Gia sollevò il mento e afferrò le sue decorazioni, tenendole vicine. “Se non riesce a gestire le sorprese, O'Connor, le suggerisco di nascondersi nel suo ufficio fino all'anno nuovo o di condurre i suoi affari fuori orario, dove può sgattaiolare senza paura di essere messo alle strette dalle ammiratrici.” “Le sorprese non mi dispiacciono.” Un lato della sua bocca si arricciò in un sorriso pigro e sexy, e sostenne spudoratamente lo sguardo di Gia. “E forse stavo progettando di fare anch'io un po' di sorprese.” Gia incontrò il suo sorriso con uno dei suoi. “Sono sicura che Lisette sarà tutta un fremito nel sentirlo.” “Quali sono le probabilità contro di me quest'anno?” Ian si infilò di nuovo le mani in tasca, con i suoi occhi blu scintillanti, e Gia non poté fare a meno di chiedersi se si stesse davvero divertendo con le battute o se fe tutto parte

della sua maschera. “Non ti è permesso scommettere su te stesso, e se te lo dicessi, manipoleresti tutti e tutto per rovinare le probabilità.” Karen fece roteare la matita tra le dita, con gli occhi stretti. Per quanto si fosse presa una cotta per Ian, prendeva sul serio il suo ruolo di giocatrice d'azzardo in ufficio. “Vero.” Ian dondolò indietro sui talloni. “Molto bene... Quali sono le scommesse sulla signorina Hellman?” Gia tirò su con il naso. “Non ce ne sono...” “Dieci a uno che Chuck della pubblicità si becca un bacio per pietà, cinque a uno che Hamilton si becca un bacetto e…” Karen lanciò a Gia un'occhiata colpevole e si voltò di nuovo verso Ian “due a uno che tu vai a segno con un bacio a fior di labbra, cinque punti in più se dura più di trenta secondi.” “Ma che...? Chi? Seriamente?” Gia sbatté le palpebre e si schiarì la gola. “Pensavo che non si potessero rivelare i dettagli delle scommesse alle persone coinvolte.” Karen si aggiustò l'orpello che ancora portava al collo come una sciarpa. “Tu non giochi mai d'azzardo, quindi ho pensato che fosse sicuro.” “E lui?” Gia agitò una mano verso Ian, rifiutandosi di guardarlo. Il fatto che i suoi colleghi stessero scommettendo qualcosa su di lei, le fece chiedere esattamente cosa le fosse sfuggito mentre negli ultimi mesi annaspava nella nebbia. “Io credo in te, ragazza scintillante.”. Karen gettò un braccio intorno alle spalle di Gia. “Non avresti mai permesso a O'Connor di manipolare le probabilità a suo favore”. Gia scosse la testa. “Siete malati, tutti... e hai assolutamente ragione sul fatto che non mi lascerò manipolare da O'Connor.” “Io la chiamo persuasione. Sono su per giù la stessa cosa.” Ian si lisciò distrattamente la cravatta già diritta. “Parteciperà alla festa di Natale, signorina Hellman?”

Onestamente, Gia ci aveva pensato solo brevemente, senza molto entusiasmo, il che equivaleva a un probabile 'no'. Prima di Joey, aveva amato le feste e gli incontri sociali, sempre e ovunque. Ora... Le si attorcigliava lo stomaco. Ora stava venendo meno alla promessa fatta a Joey. Gli aveva promesso che avrebbe impedito a sua sorella Adara di sprofondare nella solitudine una volta che lui se ne fosse andato, e che l’avrebbe trascinata agli eventi sociali. Da allora non era stata molto in vena di festeggiare. “Non si preoccupi se non vuole andare,” disse Ian, con tono gentile. “Capisco benissimo.” Gia sostenne lo sguardo di lui, troppo sorpresa dall'inaspettata comione dell’uomo per rispondere. Nemmeno una volta Ian le aveva espresso comione per la sua perdita - nemmeno un biglietto o una parola gentile - e Gia aveva sempre pensato che la morte lo mettesse troppo a disagio. Nonostante lavorassero nello stesso ufficio, non era come se fossero amici. Lui non le doveva niente. “Se fossi in lei, non ci andrei nemmeno io”, continuò lui in tono serico, “non con tali probabilità che coinvolgono me, il vischio e i baci di trenta secondi. Dato che non sarà responsabile delle decorazioni alla festa, sarà in netto svantaggio e nulla impedisce a una persona più competitiva di portarsi in giro un rametto di riserva” - sorrise - “per aumentare le probabilità.” Proprio quando aveva pensato che Ian potesse avere un po' di umanità... Gia strinse gli occhi. “Supera se stesso, O'Connor. Sì, ci sarò. E le suggerisco, invece di puntare i suoi soldi su quella scommessa, di darli in beneficenza. È meglio che ne benefici qualcuno che ne ha bisogno, visto che perderà.” “Io non perdo, signorina Hellman”. La sfida scintillò negli occhi dell’uomo. “Mai.” “C'è sempre una prima volta.” Gia sorrise di nuovo dolcemente. Ian sostenne lo sguardo di lei ancora per un istante, abbastanza a lungo da risultare scortese, prima di continuare a camminare. “Attente a dove mettete i piedi, signore”. Ian lanciò un'occhiata al vischio appeso sulla porta dell’ufficio di Gia, mentre ava. “I druidi credevano che le bacche di vischio rappresentassero lo sperma degli dei, un fatto divertente da considerare mentre

preparate le vostre trappole per i baci.” Sorridendo, scomparve dietro l'angolo. “Che schifo.” Gia strappò la bacca bianca dal rametto che aveva in mano e la lanciò nella direzione in cui era andato Ian. Rimbalzò sul tappeto e rotolò in un angolo. “Pensi che stesse flirtando con te per arrivare a me?” Chiese Karen in tono sognante. “Come posso sapere cosa succede nel pantano della mente di Ian O'Connor?” Gia raccolse il vischio e i nastri rimasti, considerando già tutti i posti malvagi e creativi dove nasconderli. Avrebbe avuto bisogno di altre decorazioni per distrarre dalla vera minaccia: luci, orpelli e alberi. L'intero edificio sarebbe sembrato un grande magazzino natalizio impazzito. “Non posso credere che si sia trattenuto dall'affondare i suoi denti nel tuo culo. Si vedeva che voleva farlo.” Le labbra di Karen si socchio. “Forse preferisce non giocare in pubblico.” Gia fece una pausa e disse: “O forse si rende conto che mordermi il sedere sul nostro posto di lavoro gli costerebbe molto di più di una pestata sul piede con i miei tacchi a spillo.” Karen trasalì. “Ahi! Ma seriamente, G.” La punzecchiò sul braccio con la gomma della matita. “Stai davvero dicendo che resisteresti a baciare Ian se ti trovasse per caso sotto il vischio? È il più bell'esemplare maschile di Graywood e scommetterei tutte le bottiglie della mia cantina che quando bacia una ragazza, lei non lo dimentica mai.” Gettando le decorazioni sul pavimento, Gia entrò nel suo ufficio, prese venti dollari dalla borsa e li diede a Karen. “Scommetto che non avrò problemi a resistere a Ian O'Connor. Zero baci da me, non importa la manipolazione.. “Scommettere su se stessi non è permesso,” ripeté Karen. Studiò Gia per un momento poi scrollò le spalle, sfoderando un sorriso malizioso. “Ma in questo caso, credo che potrei fare un'eccezione.” “Certo che sì.” Gia recuperò ancora una volta il vischio e marciò lungo il

corridoio, con Karen che la seguiva da vicino con gli orpelli. Ma il sorriso che sfoggiaca era autentico e, per la prima volta dopo mesi, facilmente animato.

Capitolo Due

Dopo aver tirato il gol vincente per la Squadra dei Tutori della Legge alla partita di calcio settimanale del venerdì dopo il lavoro con i ragazzi, Ian si chinò e appoggiò le mani sulle ginocchia. L'aria frizzante di dicembre gli bruciava la gola e i polmoni mentre la aspirava, riprendendo fiato. La giornata si era rivelata più stimolante di quanto avesse previsto e solo in piccola parte grazie alla sua vittoria mattutina in aula e al gol contro la Squadra dei Vigili del Fuoco pochi secondi prima. Si aspettava sempre di vincere. Non si aspettava l'incontro di buon auspicio con Gia Hellman nel corridoio fuori dal suo ufficio. Raddrizzandosi, mise le mani sui fianchi e chiuse gli occhi, costringendo il respiro a fermarsi. Dannazione. Quella donna lo teneva teso e pronto a scattare senza nemmeno provarci. Non riusciva a individuare esattamente quale caratteristica lei possedesse che continuava ad attirarlo davanti al suo ufficio. Potevano essere i suoi riccioli biondi, sempre eleganti e di classe, indipendentemente dall’acconciatura. Tutto il suo viso, dai suoi occhi blu alla sua bocca rosa e perfetta, era sufficiente a dare a qualsiasi uomo un impulso istantaneo di fare cose malvagie. Giorno dopo giorno, le sue curve adorabili erano accentuate da abiti alla moda e colorati, sistemati per fargli battere il cuore all’impazzata. Avrebbe giurato che lei lo fe apposta, se non fosse stato per l'accenno d’innocenza senza pretese che guizzava sempre sotto la sua superficie. Sentì qualcuno avvicinarsi e Ian aprì gli occhi. “Ben fatto, ragazzo prodigio.” Roman, suo compagno di squadra, amico e poliziotto locale, gli diede una pacca sulla spalla e scosse la testa, spruzzando gocce di sudore. “Stasera non avevo nessuna voglia di comprare pizza e birra per Derek e i suoi compagni fumatori.” Ian fece un lungo respiro ed espirò, il suo battito cardiaco rallentava, le gambe

gli dolevano per le lunghe corse sul campo. “Non ho mai questo desiderio un'altra ragione per cui mi rifiuto di perdere, specialmente con i pompieri dalla lingua lunga.” “La prolissità è un'abilità necessaria quando si combattono gli incendi,” Derek ò di corsa, la sua tuta sporca di fango fino ai polpacci e in tutti i vari punti che segnavano le volte in cui era scivolato o era stato spinto. Le loro partite di calcio non si svolgevano sempre civilmente. “Non che tu possa capire. Entrare in edifici in fiamme non è paragonabile ai pericoli che affrontiamo noi, come chiacchierare con i clienti, tagliarsi con la carta e mangiare troppe ciambelle.” “Non parlare delle sacre ciambelle,” protestò mitemente Roman. “Non ne sei degno.” “E tu sottovaluti quanto profondamente possa ferire un tagliacarte.” Ian lanciò a Derek uno sguardo di superiorità. “Ho le cicatrici che lo provano e le ore che ho investito nella mia esperienza di socializzazione superano di gran lunga il tempo che tu trascorri effettivamente a lavorare. Sollevare pesi, tirare la manichetta non necessariamente quella che spegne gli incendi - e determinare vari modi per scivolare lungo il palo antincendio in attesa di un allarme difficilmente equivale al lavoro.” “È giusto ammettere che sono geloso, avvocato.” Derek ruotò su se stesso, correndo all'indietro per il tempo necessario a sogghignare. “Ci vediamo da Antonio per la pizza, Scansafatiche. E niente piatti vegetariani, senza glutine, senza latticini. Prendete le specialità.” Mentre una pioggerella fredda cadeva dal cielo come schegge di cristallo, Ian si precipitò verso il suo pick-up. Roman lanciò un’occhiataccia alla schiena di Derek che si allontanava e abbassò la voce in modo che solo Ian potesse sentire. “Cos'è uno Scansafatica?” “Non è un complimento. Credo che in termini più semplici voglia dire pigro, sprecone e buono a nulla.” Ian non si preoccupò di sprecare energie con Derek e i suoi insulti. Se fosse stato per lui, la Squadra dei Vigili del Fuoco avrebbe scaricato il suo capitano per qualcuno che non usasse così liberamente la rabbia che aveva sulle spalle. “Torna al tuo Shakespeare, O'Connor. Ci ha chiamato scansafatiche dei tempi moderni. Mi sento profondamente insultato.”

Ian sorrise alla monotonia del suo amico. Niente ha mai arruffato le piume di Roman. Era uno dei motivi per cui erano una grande squadra, dato che Ian aveva la tendenza a spennare piuttosto che a lisciare. Non per la prima volta, si chiese cosa potesse entrare nella pelle di Roman tanto da irritarlo veramente. “Siamo ancora d'accordo per domani?” Roman si scostò i capelli neri umidi dalla fronte, i suoi occhi scuri sempre attenti e vigili, anche tra amici. “Certo.” Ian si allontanò dal campo e si diresse verso il parcheggio. Ogni sabato lo trascorreva con Roman nel suo progetto segreto per la comunità, e anche se gli costava qualche drink e la compagnia femminile per una notte, la causa valeva il sacrificio. “Ma non il prossimo sabato.” Allo sguardo interrogativo di Roman, aggiunse: “Festa di Natale a lavoro.” “Fantastico. Sarò il tuo accompagnatore, visto che non ne avrai uno… Anche stuzzicando, Roman non sorrise. Il fango gli aveva macchiato il viso pallido e sotto il cielo grigio e invernale, con le luci del campo che avevano appena iniziato a brillare e la pioggia che cadeva più velocemente, sembrava appartenere all'oscurità. “Ti prometto che sarò bellissima quando verrai a prendermi, ma non pensare di non fermarti a prendere un bouquet di fiori. Preferisco le rose.” “Se sei così annoiato, Mangiatore di bacon, sentiti libero di unirti a noi.” Ian calpestò i tacchetti sul marciapiede, cercando di togliere un po' di fango. “Mi piacerebbe cambiare un po’ d’aria e la Hamilton sa come organizzare una bella festa.” Roman si sollevò la maglietta e pulì il viso dal sudore e dalla terra. Ian sbuffò. “Vuoi dire che ha un open bar.” “Anche quello.” La bocca di Roman si contorse. “Ho la sensazione che la festa di quest'anno sarà... produttiva.” Se fosse stato onesto con se stesso – e lo era sempre - avrebbe fatto di tutto per attirare Gia alla festa di Natale. Dal giorno in cui era stata assunta alla Hamilton & Associates, era rimasto incuriosito da lei, dai tacchi a spillo sexy che indossava ogni giorno ai capelli dorati destinati a portare una corona. E lei era stata completamente e incondizionatamente presa. Nonostante la sua reputazione senza cuore, c'erano alcuni limiti che non aveva

mai superato e il tradimento era uno di quelli. Per quanto Gia lo tentasse inconsapevolmente, lui si era rifiutato di fare qualcosa riguardo a quell'attrazione mentre lei era devota a Joey, nonostante le innumerevoli volte in cui lei aveva infestato le sue fantasie, invaso i suoi sogni e - con suo grande dispiacere invaso i suoi pensieri diurni. Nessuna donna era mai riuscita a disturbare la sua concentrazione. Ma ora lei era libera, e lui aveva tutte le intenzioni di eliminare il fascino di cui lei lo aveva involontariamente contagiato. Scommesse a parte, l'avrebbe persuasa con baci, vischio o no, l'avrebbe convinta ad andare con lui, poi avrebbe ato la notte fino all'alba a dar vita a tutte le sue fantasie della Ragazza scintillante. Si sarebbe assicurato che entrambi si godessero ogni secondo e al mattino sarebbero tornati ad essere colleghi occasionali, senza danni, solo un piacevole ricordo circondato da Babbo Natale e luci natalizie. Non poteva permettersi di infatuarsi di nessuna donna, non con l'oscurità di suo padre che gli scorreva nelle vene. Una sola notte con una donna era una regola che non infrangeva mai e non aveva mai fallito. Una notte con Gia avrebbe spento il fuoco che lei aveva alimentato in lui nell'ultimo anno e Ian avrebbe potuto andare avanti e tutti i suoi segreti sarebbero rimasti nascosti, al sicuro. L'attesa lo stava uccidendo dolcemente. “Perché sorridi come se stessi tramando qualche piano malvagio complicato?” Roman strinse gli occhi. A quell'uomo non sfuggiva nulla. Un brivido gli scivolò lungo la schiena con la pioggia invernale e Ian mise da parte i suoi pensieri su Gia per dopo. Raccolse il suo borsone impermeabile in disparte e tirò fuori le chiavi. “Non c'è bisogno di allarmarsi.” Sorrise. “Mi sento semplicemente molto fortunato.” “Non c'è bisogno di allarmarsi?” Roman sbuffò scuotendo la testa. “Terrò la mia radio di servizio accesa e con il volume alzato, così saprò quando avrai bisogno di essere salvato.”

* * * *

Le luci di Natale, le ghirlande, le decorazioni, gli alberi e le persone con cappelli e maglioni colorati riempirono il centro commerciale di un'allegria natalizia che contagiò Gia. Per la prima volta dopo mesi, si sentiva quasi di nuovo se stessa. Respirò l'aria profumata di panini alla cannella e caffè appena sfornati e sospirò. “Non è stata una buona idea?” Lanciò un'occhiata ad Adara, seduta accanto a lei sulla panchina, tenendo il caffè stretto tra le mani come se qualcuno potesse tentare di rubarlo. Gia ebbe l'impulso di sibilare “il mio gioiello,” solo per vedere cosa avrebbe fatto Adara. “Sì, favolosa.” Era impossibile non notare del sarcasmo nel tono dell'amica ma Gia scelse di ignorarlo. “Avevo dimenticato quanto fosse divertente essere sballottata da estranei maleducati che farebbero di tutto per comprare ai loro bambini monelli lo stupido giocattolo dei loro sogni che dimenticheranno dopo una settimana. Non c'è nient’altro che preferirei fare.” “Non stavi facendo niente, Dar.” “Non è vero. Guardare in pigiama video di gatti è estremamente importante.” “Ho capito.” Gia sorrise. Almeno il senso dell'umorismo di Adara stava tornando. Perdere suo fratello Joey era stata dura per lei. Adara usciva di casa solo per andare al suo lavoro di insegnante alla scuola elementare o per correre per ore. Con i suoi eleganti capelli scuri e la pelle pallida, sembrava un fantasma intrappolato tra i vivi. Non aiutava il fatto che si vestisse di nero ventiquattro ore su ventiquattro. Joey sapeva cosa stava facendo quando aveva chiesto a Gia di trascinare Adara a eventi sociali di qualsiasi natura dopo che fosse morto. E se non avesse fatto promettere ad Adara di accettare gli inviti di Gia - senza bisogno di suppliche o manipolazioni - lei non sarebbe lì ora. “Dovresti venire con me a trovare la mia famiglia a Natale, Dar. Resterò solo una settimana e mi farebbe comodo un po' di sostegno.” Adara distolse lo sguardo dal trenino in miniatura che portava bambini strillanti su un binario e lanciò a Gia uno sguardo inespressivo. “È un invito non negoziabile?” Gia scosse la testa. “Un suggerimento e non sto scherzando riguardo ai rinforzi.

Conosci la mia famiglia. Sono impegnativi.” “Posso sopportare di parlare di pistole, criminali e giorni di gloria dei poliziotti solo per cinque minuti e anche solo pensare di conversare educatamente con tua madre su argomenti sociali, fingendo di essere un tipo a posto, mi fa venire voglia di vomitare.” I suoi occhi grigi si ammorbidirono, come se si rendesse conto in ritardo di quanto fosse stata maleducata. “Apprezzo l'offerta, G. Davvero. Ma io...” Scosse la testa e la sua presa sulla tazza di caffè si fece più stretta. “Non posso.” “Anche tu sei la mia famiglia, Dar. Ma lo capisco. Sappi solo che l'offerta è sempre valida e se dovessi cambiare idea.” “Non lo farò.” Adara guardò in lontananza e, per un secondo, assomigliò così tanto a Joey che il cuore di Gia si strinse. Era la versione tranquilla e seria di suo fratello selvaggio e divertente, eppure avevano gli stessi occhi grigi e pungenti, gli stessi capelli corvini e lo stesso senso dell'umorismo. L'espressione sul volto di Adara, struggente e quasi smarrita, era la stessa che Joey aveva avuto quando aveva scoperto di avere il cancro, come se ci fossero solo domande senza risposte. “Sai che c'è un tavolo di scommesse nel mio ufficio?” domandò Gia, sentendo il bisogno di rompere il momento prima che le lacrime nei suoi occhi si gonfiassero fino a diventare inarrestabili. Non aspettò che Adara annuisse. “C'è una scommessa su di me quest'anno, che bacerò quell’avvocato arrogante e donnaiolo, Ian O'Connor. È assolutamente... senza speranza”. Aveva quasi finito di dire “senza speranza” e avvertì una sensazione di colpevolezza al petto. Il suo amore per Joey era rimasto, forte come sempre, e trovare qualcun altro anche solo lontanamente interessante la pugnalava come un tradimento. Ma Joey non c'era più. Lei era ancora qui, viva, con il cuore che ancora batteva. Lui le aveva detto di vivere, senza rimpianti, senza sensi di colpa. Come poteva farlo quando tutto quello che aveva sempre voluto era lui? Joey era insostituibile... eppure, senza di lui, la solitudine la stava lentamente mangiando viva, lo vuoto che si era lasciato alle spalle era troppo grande ed echeggiante. Se fosse rimasta lì più a lungo, avrebbe potuto vagare troppo lontano e non trovare più la strada del ritorno. Forse era per questo che aveva accettato la sfida di Ian. Per quanto ridicolo fosse avere un obiettivo, qualcosa su cui concentrarsi oltre il

vuoto anche solo per un breve periodo, avrebbe potuto fornirle l'ancora di salvezza di cui aveva bisogno per tornare nel mondo reale. Non poteva parlarne con Adara. Il solo accenno a qualcosa legato a Joey la faceva sprofondare in un silenzio devastante e la sua amica non avrebbe assolutamente capito la reazione di Gia nei confronti di un altro uomo, involontaria o meno. “La gente è idiota.” Adara la guardò, quasi a cercare segnali che il fatto che i colleghi di Gia avrebbero piazzato la scommessa avesse ferito sua cognata. “È vero, ma ho fatto una scommessa per conto mio e ho sabotato le decorazioni natalizie in modo che Ian si pentirà di avermi infastidita. Ti ricordi di Lisette?” Adara alzò le sopracciglia scure. “È ancora viva? Deve avere almeno un secolo. Sei sicura che non sia una strega o un vampiro? Nessuno potrebbe vivere così a lungo senza qualche dispositivo soprannaturale.” Gia scoppiò a ridere. “Ha solo settant'anni. La sua mente è acuta come sempre e ha ancora il fiato sul collo. È assolutamente impenitente riguardo ai suoi bisogni fisici e va dietro a chi vuole.” “Troppi dettagli.” Adara fece una smorfia. “Ogni anno, Lisette usa il vischio come scusa per mettere all'angolo Ian e baciarlo una o due volte. Le scommesse su di lei sono folli. Da quando mi sono assunta il grande onere di decorare l'ufficio per le feste, ho dato tante opportunità a Lisette di realizzare i suoi desideri natalizi con Ian nascondendo il vischio ovunque - e fornendole una mappa.” Adara annuì in segno di approvazione. “Spero che ne possa avere uno come si deve. Sembra un tipo meritevole.” “Assolutamente sì.” E per ragioni che non voleva esplorare, non vedeva l'ora di vederlo accadere. Assicurarsi di vincere la propria scommessa - e battere Ian O'Connor evitando lui e il vischio contemporaneamente alla festa di Natale dell'ufficio - sarebbe stata un'emozione tutta sua. E ora era il momento di dare ad Adara la brutta notizia. Raddrizzò le spalle, preparandosi alla battaglia. “In realtà ti ho invitata a fare shopping per un motivo

valido, Dar. Abbiamo bisogno di vestiti.” “Noi?” Il sospetto nel tono di Adara fece trasalire Gia. “Sì. Preparati alla battaglia. Invito sociale non negoziabile in arrivo.” Adara strinse gli occhi e Gia sospettò che se fosse stata un'altra persona senza promesse di morte da usare sia come arma che come guinzaglio, Adara sarebbe già scappata. “La festa natalizia della Hamilton & Associates è sabato prossimo. Tu ci verrai.” Gia si alzò dalla panchina, sorridendo vivacemente. “Il che significa nuovi abiti da festa e abbiamo un appuntamento dal parrucchiere tra dieci minuti. Andiamo.” “Ti odio, Gia.” Adara si alzò così bruscamente che per poco non andò a sbattere contro una coppia di adolescenti di aggio, che erano ignaramente avvinghiati l'uno all'altra. “Lo sai, vero?” “Ti sentirai meglio dopo essere stata coccolata per un'ora.” Gia prese Adara a braccetto e la tirò nel flusso costante di acquirenti. “E anch'io ti voglio bene. Ci divertiremo tanto. Fidati di me.” “Non credo che la mia definizione di 'divertimento' sia la stessa della tua e sicuramente non mi fido di te.” Ma nemmeno il ringhio nel borbottio di Adara riuscì a smorzare l'umore di Gia. Circondata da colori, luci e risate, non poteva negare un senso di anticipazione di essere all'apice di qualcosa di eccitante che aveva solo bisogno di una spruzzata di magia natalizia per farla accadere.

Capitolo Tre

All'improvviso spruzzo di colore scuro sulla porta del suo ufficio, il lunedì pomeriggio, Gia smise di digitare sulla tastiera e sollevò lo sguardo dallo schermo del computer. “Potenziale incontro con il vischio nella biblioteca di legge,” sussurrò Karen in fretta e furia, le guance arrossate e gli occhi lucidi. “Lisette si sta muovendo.” Con la stessa rapidità con cui era arrivata, Karen se n'era andata lasciando una scia profumata di cannella. Gia saltò in piedi così velocemente che la sedia girò su se stessa. Arrivò alla porta appena in tempo per scorgere come in un lampo il plaid nero, un maglione verde bosco e i capelli ramati di Karen che sparivano dietro l'angolo in fondo al corridoio. Quella donna si muoveva come un proiettile anche con gli stivali con il tacco alto. Affannandosi per arrivare in tempo in biblioteca - non si sarebbe mai persa Lisette che piantava un bacio sdolcinato su O'Connor - Gia si affrettò lungo il corridoio, con il cuore che le batteva forte. Forse non avrebbe dovuto eccitarsi così tanto per gli scherzi infantili dell'ufficio, ma era l'unico periodo dell’anno in cui Hamilton allentava i fili e si voltava dall'altra parte mentre lo staff si divertiva. Non aveva intenzione di perderselo e, se doveva essere onesta con se stessa, aveva bisogno di questo... aveva bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa che la riportasse pienamente nella terra dei vivi. Non sicura come Karen quando si trattava della combinazione di velocità, equilibrio e tacchi a spillo, agganciò l'angolo con le dita mentre faceva la curva e sbatté direttamente contro un petto sodo e maschile. Delle mani forti la afferrarono mentre stava inciampando e la tennero ferma con la guancia incollata contro una morbida camicia di lino e una cravatta di seta. Uno strano tipo di scossa la attraversò a quel contatto inaspettato. “Oof, scusa...” Le parole le uscirono prima che Gia riconoscesse l’odore della colonia speziata appartenente a Ian. Afferrando i forti avambracci di lui,

riacquistò l'equilibrio e sollevò lo sguardo fino a guardarlo negli occhi. “Ha fretta di rispettare una scadenza, signorina Hellman?” Gli occhi blu di Ian scintillavano di malizia mentre la teneva stretta come se lei potesse cadere di nuovo. Il suo sorrisetto era in tutto e per tutto peccaminoso. “Non più.” Gia tiro su con il naso e si liberò, sollevata - e il suo lato femminile leggermente deluso, un fatto che avrebbe tenuto per sé - che lui la lasciasse andare così facilmente. Stare vicino a lui non era affatto una difficoltà. Gia sospettava che lui lo sapesse e lo usasse a suo vantaggio. “Perché è qui?” Ian appoggiò una spalla al muro e, per qualche ragione che lei non riusciva a definire, quella posa rilassata le fece rivoltare lo stomaco. “Dovrei essere da qualche altra parte?” Nella biblioteca giuridica a farti sbaciucchiare da Lisette. “Nel tuo ufficio, in tribunale o a seminare odio e malcontento tra la brava gente di Graywood.” Gia sbatté le ciglia. “Avevo bisogno di una pausa caffè.” Il modo in cui Ian disse la parola “caffè”, la sua voce profonda e suggestiva, diede alla caffeina una nuova definizione di dipendenza. Gia sollevò un'anca e, nonostante i camli d'allarme nella sua testa, si rifiutò di tirarsi indietro e tornare alla sicurezza del suo ufficio. Cresciuta in una famiglia altamente competitiva, aveva imparato la dinamica di quando arrendersi e quando respingere. Non era il momento di cedere, certamente non a quest'uomo, che l'avrebbe considerata una debolezza e avrebbe sfruttato il suo vantaggio. “Questa direzione è una strada tortuosa per arrivare alla saletta del personale, non è vero?” “Ci sono certe occasioni in cui prendere la strada più lunga è sia gratificante che” - l’attenzione di Ian si spostò per un attimo sulla bocca di lei - “stimolante. Mi piace tenermi in movimento tutte le volte che posso.” “Per favore, mi risparmi i dettagli delle sue attività extracurricolari.” Gia tirò su con il naso, ignorando il modo in cui il suo cuore aveva deciso di battere più forte. Ancora una volta, Ian aveva in qualche modo aggiunto un'allusione sessuale a parole che solitamente erano noiose e del tutto innocenti. Forse aveva seguito un corso per crediti extra alla scuola di legge - Come distorcere parole

comuni a vostro piacimento. Ian si lisciò la cravatta blu navy, tenendo ancora in ostaggio Gia con la forza dei suoi occhi, abbastanza vicino che il calore del suo corpo le sfiorava la pelle. “È un peccato che non abbia piantato del vischio qui.” Ian guardò le ghirlande aggrovigliate e scintillanti di orpelli bianchi e blu e gli ornamenti con le stelle appesi vicino alle gronde. “O lo ha fatto?” “Se lo avessi fatto, non sarei qui con lei a portata di bacio.” Ma i battiti di Gia aumentarono mentre scorreva mentalmente tutti i luoghi in cui aveva nascosto il vischio in tutto l'ufficio. Sarebbe stato umiliante perdere contro Ian il primo giorno, ma no. Il rametto che aveva nascosto da queste parti tra due lampadine penzolanti era sulla parete opposta. Whew. “Potrei averne un po' in tasca.” Il sorriso di Ian si allargò fino a diventare malvagio. Gia incrociò le braccia e, sdegnata, inarcò un sopracciglio. “Nonostante lo sfortunato incontro con lei un secondo fa, sono più veloce di quanto sembri. Sarei andata via da un pezzo prima che lei lo potesse tirare fuori.” Gia usò un tono un po’ sdolcinato, tenendo casualmente sotto controllo le mani di lui. “Le ripeto, signor O'Connor... Avrebbe dovuto donare i soldi della scommessa in beneficenza, invece. La Humane Society potrebbe usare i fondi extra e se non voleva adottare un animale domestico, forse avrebbe potuto trovare lì qualche nuova conquista femminile. Ha davvero perso un'opportunità favolosa.” “È un'idea meravigliosa.” Ian si strofinò il mento con un’espressione seria. “Dopo che avrò vinto la scommessa - e lo farò - donerò la mia vincita alla Humane Society e chiederò che intitolino una sezione del loro edificio a lei, dato che i miei guadagni saranno senza dubbio abbastanza grandi. Preferisce i gatti? O i cani?” Uomo insopportabile. “Gli uccelli, in realtà, specialmente quelli colorati che starnazzano e imparano a ripetere parole come 'Ian ha perso' o 'l'eccesso di fiducia uccide'“. Gia sbatté le ciglia e si sistemò il maglione rosso stropicciato. “Ma immagino che le piacciano di più i roditori.” “Più sono selvatici, meglio è. Non mi dispiace essere morso e rispondo sempre con un morso.” Ian infilò le mani in tasca. Ancora una volta, aveva dimenticato la giacca e le maniche erano arrotolate, esponendo gli avambracci forti e sexy

che lei aveva usato solo un minuto prima per non perdere l'equilibrio. Gli uomini che erano più pericolosi per la salute di una ragazza sembravano arrivare sempre nei pacchetti migliori. “Questo spiega la sua natura rabbiosa.” Gia digrignò i denti. “Con i soldi della sua scommessa avrebbe potuto comprare un vaccino o due. Ma forse, potrebbe non esserci alcuna cura per il suo tipo di infezione.” “Ho un'idea ancora migliore.” Ian abbassò la voce con un timbro smielato e la sua attenzione scese di nuovo sulle labbra di Gia e vi rimase. “Potremmo rinunciare a tutte le scommesse e al vischio. Non c'è nessun altro qui in giro. Può baciarmi ora per trenta secondi, forse un minuto, ma se vuole che continui più a lungo, dovremo andare nel suo ufficio e chiudere la porta.” La bocca di Ian si arricciò in un mezzo sorriso. “Prometto che non lo dirò a nessuno.” Gia ebbe un sussulto e si portò una mano alla gola, fingendo solo a metà. “Mi sta facendo una proposta, signor O'Connor? Sono scioccata, per non dire inorridita, che lei arrivi a essere così sordido per vincere una scommessa.” Ian si avvicinò di più e il suo sguardo andò alla deriva sul viso di Gia e poi lungo il collo, come se non riuscisse a decidere dove volesse iniziare a mordicchiare. “Lei non ha idea di cosa arriverei a fare per lei, signorina Hellman.” Le si bloccò il respiro e non aveva niente a che fare con la finzione. Il sangue di lei iniziò a correre più veloce, improvvisamente troppo caldo, e un formicolio le invase le labbra, come se lui l'avesse già baciata, duro e affamato, e l'avesse lasciata desiderando di più. Porca miseria, quest’uomo è una minaccia. E Gia non riusciva a smettere di guardare la bocca di Ian, non riusciva a smettere di chiedersi se lui potesse davvero mantenere tutte le decadenti, deliziose promesse riflesse nei suoi occhi scuri. Forse. Ma non era disposta a perdere la scommessa per scoprirlo. Sottilmente, come se fosse stata attirata contro la sua volontà, si avvicinò di più, mantenendo la sua attenzione rivolta sulla bocca di lui. Anche con i suoi tacchi da dieci centimetri, dovette sollevare il mento per avvicinare le labbra a quelle di Ian. Gia rese la sua voce morbida e sensuale. “Vischio o no, non la bacerò, né oggi, né domani, né in qualsiasi momento di sabato.” Gia gli diede una pacca sulla guancia. “Si abitui a perdere.”

Lui le catturò il polso prima che lei potesse ritirare la mano, tenendola dolcemente prigioniera. Gli occhi di Ian erano blu fuoco. “Io non perdo mai.” “Continua a ripetertelo, O'Connor.” Sostenendo lo sguardo di lei, Ian premette la bocca all'interno del polso di Gia. Era un bacio setoso, persistente, irragionevolmente inebriante... I formicolii le percorrevano il braccio e una carica elettrica le pulsava nel corpo, facendole male nei punti migliori. Gia aveva un terribile desiderio di infilare le dita nei suoi capelli scuri, premere contro il corpo di lui sodo e magro e scoprire se aveva lo stesso sapore che aveva sulla sua pelle. Un rapido rumore di i in avvicinamento interruppe quel momento, salvando Gia dal fare qualcosa di stupido. La giovane si liberò con uno scatto della mano dalla presa di lui e strinse gli occhi, nel caso in cui lui avesse scambiato il calore del suo viso per qualcosa di diverso dal fastidio. “È sempre un piacere, signorina Hellman.” Con un sorrisetto compiaciuto, Ian si allontanò, superando Karen che stava svoltando l'angolo. Lui le fece un cenno con la testa. “Karen.” “Ian.” Karen si appoggiò contro il muro e lo fissò finché non scomparve dalla sua vista. Poi la sua attenzione si concentrò su Gia. “Che cosa mi sono persa? E non far finta di niente, perché sembra che tu abbia un disperato bisogno di un margarita forte - o di qualche altro oggetto di uguale o maggiore forza - per placare la tua sete o fame o qualsiasi cosa ti abbia fatto eccitare.” Gia si raddrizzò e si sistemò il maglione. “Infastidita, non eccitata. C'è un'enorme differenza.” Gia fissò l'angolo dove Ian era scomparso. “Quell'uomo è così pieno di sé.” Karen si appoggiò al muro e sospirò con aria sognante, guardando anche lei il punto in cui Ian era scomparso. “Non mi opporrei a essere piena di lui.” “Tieniti questi commenti per te e non alimentare il suo ego. Pensa di poter conquistare qualsiasi donna solo rivolgendole uno sguardo rovente o con qualche parola sensuale.” O con un bacio rovente nemmeno piantato sulla sua bocca. Gia resistette per non sventolarsi, le fiamme nel suo sangue ancora divampavano. Nessun bacio - così piccolo, così insignificante - avrebbe dovuto avere un tale

effetto su di lei. Forse c'era un ingrediente segreto nella colonia di lui, qualcosa come l'erba gatta per le donne. Ci volle tutta la sua forza per non inalare e attirare il profumo persistente in profondità nei suoi polmoni. I baci di Joey le avevano fatto arricciare le dita dei piedi, le avevano riscaldato il sangue fino all'ebollizione e ammorbidito il corpo con il desiderio, ma c'era qualcosa di diverso nel bacio di Ian. Bruciava come un marchio invisibile sulla sua pelle, una pretesa che non si aspettava e certamente non voleva. Joey possedeva ancora il suo cuore. Gia non era pronta a riprenderselo, non ancora. “Seriamente, G” - Karen si sistemò - “mi stai dicendo che non hai mai pensato a come sarebbe are una notte con lui? Neanche una volta?” Forse stasera. “Certo che no.” Gia alzò il mento e tornò verso il suo ufficio. “Ho rinunciato alle scappatelle quando ho incontrato Joey e, anche se non lo avessi fatto, non tornerei a casa con Ian O'Connor.” “Perché no? Sarebbe l’uomo perfetto per l’avventura di una notte, una notte senza legami, di un’apionata scopata, che ti fa urlare, e non bacia e non parla mai, almeno da quello che ho sentito dire.” Karen fece l'occhiolino. “E sai che lo avrei sentito.” “Hai veramente detto 'scopata'?” Sulla soglia del suo ufficio, Gia sgranò gli occhi. “Non importa come lo chiami, se significava perdere la scommessa contro di lui?” Gia scosse la testa. “Questo è un grande e grosso 'certo che no'.” Karen posò una mano su ciascuna delle spalle di Gia e la guardò profondamente negli occhi, con un’espressione solenne. “Ragazza scintillante, se non riesci nemmeno ad ammettere che Ian è fisicamente attraente, devi rimettere in moto i tuoi sensori. Lui è come quel gigantesco lecca-lecca colorato nella vetrina del negozio di caramelle che nessuno compra mai perché è troppo costoso, troppo dolce, troppo tutto. È inutile negare di volerlo - tutti lo vogliono - e anche se non ti piace più lo zucchero, non lo rifiuteresti se lo vincessi a una lotteria.” La bocca di Karen si arricciò in un sorriso, tutto malizioso. “Il primo o verso la libertà è ammettere la verità.” Gia scrollò le mani e sbuffò. “Preferisco tenermi tutti i denti e ho la sensazione che basterebbe una leccata di Ian per farmi marcire dall'interno.” Karen sorrise. “Forse, ma dannazione... che modo di morire.”

“Esistono degli specialisti per il tuo tipo particolare di malattia.” Gia la spinse fuori dalla porta. “Fammi sapere quando sarai pronta a cercare aiuto.” “Mai. Malata e contorta è il mio stato d'animo naturale.” Karen lanciò un'occhiata alle sue spalle con un occhiolino. “Ti terrò informata su qualsiasi azione di Lisette.” “Ottimo.” Gia chiuse la porta alle spalle dell'amica e respirò profondamente. Il suo corpo ronzava ancora e il polso dove Ian aveva premuto le labbra pulsava a tempo con il suo cuore, come il ricordo di una scottatura infantile. Karen aveva ragione su un punto. Era meglio confessare la verità che vivere nella menzogna, ma ammettere qualcosa su Ian O'Connor, anche a se stessa, avrebbe potuto influenzarla in modo irreparabile. E Gia aveva la sensazione che se avesse lasciato che Ian la influenzasse in qualche modo, la strada verso la guarigione sarebbe stata lunga e dolorosa. Lacrime improvvise le ostruirono la gola. Non voleva essere influenzata, non quando Joey infestava ancora i suoi sogni e i suoi pensieri, non quando il “per sempre felici e contenti” che aveva immaginato con lui le sembrava che stesse ancora ando al setaccio tra le dita invece di essere già svanito nell'oceano infinito del mai. Si asciugò gli occhi umidi e sollevò il mento. Aveva già perso la parte più importante e vibrante della sua vita. Perdere qualsiasi altra cosa senza lottare, anche se si trattava di una stupida scommessa con un tipo come Ian O'Connor, per quanto sexy potesse o meno essere, non sarebbe successo. Avrebbe lottato per vincere, perché era sicuramente meglio che sedersi e restare a piangere mentre il premio scivolava via silenziosamente.

* * * *

Ian rintracciò Karen nella saletta del personale, dove si stava versando il caffè nella sua tazza di zucchero. “Non so perché ti prendi il disturbo.” Ian si appoggiò al bancone e prese una tazza pulita dalla credenza. “Sarebbe più facile mangiare semplicemente lo zucchero direttamente dal contenitore.”

“Mi piace un po' di oscurità con i miei dolci, se sai cosa intendo.” Karen leccò il cucchiaio, a lungo e lentamente, una spiegazione sufficiente perché anche l'uomo più ottuso potesse capire. Ian riempì la sua tazza di caffè scadente e fece del suo meglio per ignorare il seno di lei che gli premeva contro il braccio mentre Karen gli ava davanti per prendere una cannuccia. Fuori dall'ufficio, generalmente non avrebbe fatto nulla per scoraggiare qualsiasi attenzione femminile, ma la Hamilton & Associates era un terreno sacro e lui teneva sempre separati il lavoro e il gioco. Con una possibile eccezione. Avrebbe preferito mantenere lo status quo, ma la sua crescente attrazione per Gia Hellman doveva essere affrontata. Rapidamente. Sembrava che non riuscisse a impedirsi di are davanti al suo ufficio, sperando di vederla solo di sfuggita, il che era abbastanza disastroso per il suo autocontrollo. Imbattersi in lei, averla tra le braccia anche solo per pochi secondi, era stato deleterio per la sua salute mentale. Il dolce profumo di lei era ancora sulla sua camicia ed era quasi andato a casa a cambiarsi, semplicemente per cancellare il ricordo di lei premuta contro di lui. Ma Ian si conosceva abbastanza bene da capire che un semplice cambio d'abito non sarebbe bastato a cancellare Gia dai suoi pensieri. Avrebbe avuto bisogno di più di qualche secondo di lei per allentare la dolce e dolorosa tensione che lei suscitava in lui. “Ho saputo che hai evitato Lisette e il vischio.” Karen aggrottò le sopracciglia. “Finora.” “Non mi dispiace baciare Lisette,” disse lui, dolcemente. “Semplicemente io la faccio lavorare per questo. Si aggiunge all'intrigo.” “Non ti ho mai preso per un tipo caritatevole.” Karen rise. “E io non ti ho mai preso per un tipo difficile da conquistare.” Ian sorrise benignamente, lasciandola arrivare alle sue conclusioni, poi tirò fuori dalla tasca una banconota da cento dollari. “Una nuova scommessa.” Le porse il denaro. “Punta tutto sulla signorina Hellman.” Gli occhi di Karen brillarono come fuochi d'artificio mentre gli strappava la banconota dalle dita. “I particolari?”

“Lei mi bacerà prima della fine della festa di sabato e il bacio durerà sicuramente più di trenta secondi. Non mi interessa quali siano le probabilità.” “Non puoi scommettere su te stesso, O'Connor.” Tutto l’umorismo di Karen era svanito e Ian non era sicuro se fosse per la concentrazione sulle prospettive di gioco o sulla scommessa stessa. “Hai permesso alla signorina Hellman di scommettere su se stessa. Esigo lo stesso trattamento. Questo è un luogo di lavoro con pari opportunità, no?” Ian aspettò la risposta di Karen, sapendo di aver già vinto dalla rassegnazione riflessa nell’espressione di lei. Il commento che Gia aveva scommesso su se stessa era stata solo un'ipotesi educata - la sua improvvisa competitività era stata troppo feroce per essere basata solo sul principio. “Questa sarà la sola e unica volta che permetterò alle parti di scommettere su loro stesse.” Karen gli puntò la matita contro, con aria feroce. “È troppo facile manipolare le probabilità e dato che la manipolazione ti viene naturale, altera completamente i numeri, cosa che odio.” Karen scrollò le spalle e sorseggiò il suo infuso zuccherato. “Ma, in questo caso, dato che sembra aver ispirato Gia, per qualsiasi motivo, ne vale la pena. Odio vederla spegnersi.” Qualcosa si contorse nel cuore di Ian, strano ed estraneo. Non ci aveva pensato in quel modo, ma Karen aveva ragione. Se Gia non sorrideva e non spargeva arcobaleni ovunque andasse, il mondo sembrava... meno. E sapere che lui aveva contribuito, nel suo piccolo, a riportare in vita quei colori vibranti dopo che il dolore li aveva spenti, gli procurava una calda e indesiderata scarica di piacere. Un brivido cancellò quella sensazione di calore. Non poteva lasciare che quella sensazione attecchisse e per domenica mattina, anche l'accenno di questa crescente ossessione per la “ragazza scintillante” dell'ufficio sarebbe stato completamente e accuratamente soddisfatto, trascinandolo di nuovo nel territorio sicuro, da solo, dove aveva bisogno di stare. Ian si allontanò dal bancone e sfoderò il suo sorriso da squalo mentre usciva dalla saletta con il suo caffè. “Lunedì erò a ritirare la mia vincita.” “Ogni campione alla fine deve perdere, O'Connor.” Il sorriso di Karen era altrettanto tagliente mentre sollevava la tazza in segno di saluto. “Io continuo a puntare tutto su Gia.”

Ian non si preoccupò di rispondere. Anche lui scommetteva su Gia Hellman, ma la sua scommessa non aveva nulla a che fare con il denaro.

Capitolo quattro

“Sei sicura che Lisette stia arrivando?” Sussurrò Gia all'orecchio di Karen. “Se il suo tempismo non è perfetto, lo mancherà.” Non era necessario sussurrare, considerando che erano sole... per il momento. Gia quasi vibrava per l’attesa. Forse era ridicolo nascondersi dietro un cassonetto vicino alla porta sul retro dell'edificio della Hamilton & Associates, accovacciata come una vagabonda, il cappello di lana tirato sui capelli, solo per essere testimone che Ian venisse colto alla sprovvista dal rametto di vischio nascosto nella gigantesca corona di pino e nastro rosso sopra la porta. Ma non poteva negare di provare i brividi. Karen guardò il suo telefono. “Ian si sta muovendo. Lisette dovrebbe arrivare dall'altra parte dell'edificio da un momento all'altro.” “Non posso credere che Ian l'abbia evitata per tutta la settimana. È già l'ora di uscita del giovedì e nemmeno un'occasione per un bacetto sulla guancia. La settimana è quasi finita.” “Vero? È sempre sfuggente, ma quest'anno ha alzato il tiro. Le scommesse sono frenetiche in questo momento. Faccio fatica a star dietro a tutte le nuove scommesse. Sono tutti in fibrillazione, soprattutto perché non ha ancora messo a segno un bacio con te.” “Cretini,” mormorò Gia, raddrizzandosi il cappello. “Sh-h.” Karen le strinse il braccio, dicendole di fare silenzio, mentre dei i si avvicinavano. Sollevò il telefono, con la macchina fotografica pronta. Ian avrebbe preteso delle prove se avesse creduto che non ci fossero testimoni oculari. La porta aveva una rientranza di diversi metri ed era coperta da una tenda da sole: la configurazione perfetta. Ian non avrebbe visto Lisette finché non fosse stato troppo tardi. Gia si tese. L'aria invernale le rinfrescava le guance e minimizzava qualsiasi odore proveniente dal cassonetto. Con l'oscurità quasi serale che si insinuava in un cielo che prometteva pioggia a breve, Gia poteva immaginarsi facilmente nei panni di uno dei suoi fratelli, a sorvegliare una scena del crimine, a caccia di un

criminale. Ian era assolutamente adatto alla situazione. Possedeva tutti i tratti degli elementi criminali sotto la sua superficie e faceva assolutamente suonare un allarme al suo radar interno. Il solo fatto che lei lo stesse pedinando - anche se tutto per un malvagio divertimento vacanziero - sarebbe dovuto essere un altro avvertimento, come un tuono che ringhia in lontananza, il segno di una tempesta inevitabile. Ma questa settimana aveva trovato più facile trascinarsi fuori dal letto e affrontare la giornata, e non se ne sarebbe pentita. Lisette apparve dietro l'angolo, avvolta in una giacca a vento di una bella tonalità di fucsia con sciarpa, cappello e guanti abbinati. Camminava a o svelto, con lo sguardo attento alla porta sul retro. Per essere una donna di settant'anni, era snella, acuta e scaltra. Il suo soprannome in ufficio - sempre sussurrato con riverenza e una punta di paura - era 'il Coyote d'argento'. Lo scricchiolio della porta che si apriva fece trattenere il respiro a Gia. Lo schianto stava arrivando. Gia non poteva aspettare. Lisette arrivò alla porta proprio mentre usciva un uomo con un cappotto scuro. Chuck della pubblicità si scontrò quasi con Lisette, scusandosi con un sorriso. “Dannazione,” mormorò Karen, abbassando il telefono. “O'Connor non è caduto di nuovo nella nostra trappola.” Gia sorrise, mentre Lisette indicò il vischio e stropicciò le labbra. Si prese un bacio da Chuck, che non sembrò affatto dispiaciuto, anche quando Lisette gli strinse il cappotto e lo tenne lì più a lungo del necessario. “Lisette è un animale. Spero di essere almeno la metà della donna che è lei quando avrò settant'anni.” “Ragazza, non sarai single a settant'anni, continuando a lavorare perché non hai niente di meglio da fare con il tuo tempo.” Karen fece un cenno con la mano in segno di congedo e si alzò. “Hai consultato la tua sfera di cristallo per conto mio?” chiese Gia, ancora accovacciata. Karen sbuffò. “Sei una principessa, G. E se le principesse non ottengono il loro lieto fine, non c'è speranza per noi plebee.” Karen tirò l'estremità della sua

sciarpa bianca sulle spalle. “Vado a casa. Chiaramente, Ian ci ha superato e non si è presentato. Ci vediamo domani.” Gia rimase accovacciata vicino al cassonetto mentre Chuck e Lisette andavano insieme verso le loro auto, temporaneamente legati da un momento sotto il vischio. Le ultime parole di Karen erano state come piccole spine nel suo petto. Con Joey, Gia aveva creduto nelle favole. Senza di lui, la magia era svanita. Non condivideva la fiducia di Karen che non sarebbe stata single a settant'anni, prendendo baci ovunque e comunque potesse. Aveva avuto il vero amore e lo aveva perso. Le probabilità di trovarne un altro, di trovare un altro uomo che la amasse esattamente per quello che era - ingoiò il nodo che avvertiva in gola erano astronomicamente basse. Non voleva essere sola. Voleva indietro Joey, voleva quello che avevano avuto insieme, ma quel sogno era finito. Forse Lisette aveva ragione: trovare qualsiasi frammento di felicità e prenderlo con entrambe le mani il più a lungo possibile, che fosse reale o no. Il pensiero le fece male allo stomaco. Si tiro su in piedi e infilò le mani nelle tasche del cappotto. Invece di andare alla macchina e guidare fino a casa sua, allegramente colorata ma vuota, arrancò fino a Main Street e vagò sul marciapiede. Main Street, dove la Hamilton & Associates si ergeva al centro della piazza, era quasi festosa come il lavoro di decorazione che lei aveva fatto all'interno dell'ufficio. I lampioni erano avvolti da rami di agrifoglio e nastri scintillanti. Le vetrine dei negozi brillavano con luci di ogni colore e alcune presentavano ambientazioni invernali con pupazzi di neve e Babbo Natale, presepi o piccoli alberi di Natale con palline, stelle e orpelli. L'aroma del mais caramellato aleggiava nell'aria fredda e, per quanto dolce fosse il suo profumo, Gia non riusciva a pensare di mangiare qualcosa. Si fermò fuori da Heelcandy, il suo negozio preferito a Graywood, dove ogni dipendente la conosceva per nome e le mandava un messaggio ogni volta che arrivavano delle nuove scarpe che una “Ragazza scintillante” avrebbe potuto apprezzare. Di solito non poteva permettersele, ma questo non cancellava mai il divertimento di guardare e sbavare. L'anno scorso, Joey aveva scherzato sul fatto di comprarle un paio di stivali da rocker per Natale invece degli scintillanti tacchi a spillo rosa che lei amava e ancora indossava.

Gia respiro profondamente, guardando un treno che trasportava lentamente stivaletti e décolleté su un binario sotto un albero di Natale appeso con tacchi di tutti i tipi e calze da festa. Doveva capire come andare avanti con il buco a forma di Joey nel suo cuore, ma non aveva idea di come. “Sta sognando come avrebbe speso la vincita della sua scommessa, signorina Hellman?” La cadenza strascicata di Ian fu seguita da una vampata della sua colonia, e il suo calore rotolò su di lei mentre lui le camminava accanto e si affacciava alla vetrina, come se avesse intenzione di comprare delle scarpe. “Qualcosa del genere,” rispose lei, senza guardarlo. Per quanto le piero le loro battute, non era dell'umore giusto. E certamente non aveva bisogno di tutta la sua... Iannosità per ricordarle che era di nuovo single, per ricordarle quanto sarebbe stato facile annegare per una notte la sua solitudine tra le sue braccia. Perché era improvvisamente molto tentata di arrendersi solo per provare di nuovo qualcosa, anche se solo temporaneamente. Ian fece una pausa e anche se imitava la posa da vetrina di Gia, il suo sguardo incontrò quello di lei nel riflesso del vetro. “Ho sempre preferito i tacchi alle scarpe basse.” Ian scrollò le spalle. “Mi piace sentirmi alto.” L'affermazione inaspettata le scatenò una risata stupita. Lui la guardò di sfuggita. “Sicuramente non trova che sia castrante se un uomo indossa i tacchi, vero?” “Niente affatto. Penso che starebbe benissimo con quei sandali leopardati su quella carrozza.” “Non hanno la mia misura. Ho già controllato.” Ridendo attraverso un sospiro, Gia finalmente lo guardò. “Cosa ci fai qui, Ian?” Lui sollevò il mento e rivolse verso di lei, i suoi occhi blu scintillanti come ghiaccio alla luce del sole. “Lavoro qui accanto in quel posto chiamato Hamilton & Associates. Forse ne hai sentito parlare. Assumono solo i migliori avvocati e raramente perdono una causa, non che io sappia nulla di queste perdite.” “Forse perché non accettano casi che potrebbero perdere.”

“Niente affatto. Ogni vittoria è frutto di pura abilità e persuasione superiore.” “O di manipolazione.” Gia inarcò un sopracciglio. Ian sorrise. “Sono stato attirato dal sushi di Kaito dall'altra parte della strada, ma poi ho visto questo delizioso paio di...” Il suo sguardo scese lentamente dagli occhi fino alle dita dei piedi di Gia. Lei lo fulminò e si portò una mano sul fianco. “Sarà meglio che la tua prossima parola sia 'occhi' o 'piedi', O'Connor.” “Scarpe.” Il sorriso di lui era malizioso. “Bel salvataggio.” Gia riportò la sua attenzione sulla vetrina mentre il treno che trasportava i suoi regali di scarpe emergeva attraverso un tunnel di montagna completo di alberi innevati e uno scoiattolo in miniatura. “Goditi il tuo sushi.” Ian esitò, ancora rivolto verso di lei. “Ho il sospetto che io apprezzi un paio di scarpe ben fatte quasi quanto te,” disse l’uomo, con un tono sorprendentemente morbido e senza flirtare come faceva solitamente. “E non importa quanto costino o quanto io le lucidi, le ripari o le riponga con cura dopo l'uso, non durano mai. Ma il bello è che ci sono sempre più scarpe tra cui scegliere e, inevitabilmente, ne trovo un altro paio che, anche se non proprio uguali, sono altrettanto apprezzate.” Gia lo studiò per un istante, cercando qualsiasi traccia d’inganno nei suoi bei lineamenti, ma la sua espressione era sincera, nemmeno un accenno di sorriso sulla sua bocca baciabile. Per quanto entrambi amassero le scarpe e la moda, lei sapeva che lui non stava affatto parlando di calzature. Non era sicura che le pie il fatto che il dolore nel suo cuore fosse improvvisamente scomparso. “Smettila.” Gia si raddrizzò il cappello, avendo bisogno di tenere le mani occupate per non cedere al malsano impulso di infilare le braccia intorno alla vita sottile di lui, appoggiare la testa contro il suo petto delizioso e vedere se lui avrebbe fatto finta di essere una persona comionevole e l'avrebbe tenuta per qualche secondo. “Mi stai facendo pensare che sei quasi umano.” “Non si preoccupi, signorina Hellman. Sono sicuro che domani farò qualcosa che le ricorderà cosa sono veramente.” Le fece l'occhiolino.

“Cosa è?” Ian sorrise mentre si voltava e attraversava la strada verso Kaito, tenendo le mani in tasca. “Io voto per Uomobestia!” gli disse, incapace di fermare un sorriso. Ian poteva essere un predatore in un vestito firmato, ma lei non era un agnellino innocente che si faceva sviare facilmente, non importava quali inaspettate profondità lui nascondesse sotto l’armatura. Riprendendo il suo girovagare per Main Street, con i suoi i un po' più leggeri, Gia lasciò i suoi sogni sulle scarpe e seguì il dolce profumo del mais caramellato.

* * * *

Nel primo pomeriggio di venerdì, Ian si appoggiò al davanzale della biblioteca giuridica e aggrottò la fronte guardando il libro che aveva in mano, e rileggendo lo stesso paragrafo per la terza volta. C'erano diverse ragioni potenziali per la sua incapacità di concentrarsi. Non aveva dormito molto la notte precedente, ma quello era il suo solito stato d'animo. Era venerdì pomeriggio e la scadenza per il caso su cui stava facendo ricerche non era prima di un'altra settimana - due punti a sfavore della sua attuale mancanza di motivazione. Ma per quanto volesse dare la colpa a questioni mondane, conosceva la vero colpevole della sua condizione. Gia Hellman. Le parole sulla pagina si confondevano mentre i suoi pensieri vagavano di nuovo alla bocca perfetta e imbronciata di lei e al sorriso che le aveva strappato la sera precedente. Quel poco sonno che era riuscito a fare includeva sogni di lei premuta contro di lui, sia con che senza vestiti. “Credeva davvero di potermi sfuggire quest'anno, signor O'Connor?” Alla voce inaspettata vicino al suo gomito, Ian sollevò lo sguardo dal libro che non stava leggendo. Lisette gli sorrise con le labbra rugose scintillanti di un

lucido color lampone. Dannazione. Indipendentemente da quello che aveva detto a Karen all'inizio della settimana, non gli interessava particolarmente distribuire casualmente baci in ufficio, in pubblico, dove altre persone aspettavano e guardavano con gioia. Era avvilente. E quest'anno, aveva voluto evitare tutte le scommesse, tranne quella che aveva su Gia. Oggi era stato così distratto che aveva dimenticato di controllare se ci fosse del vischio nelle vicinanze prima di piantare il suo culo. Un lampo di capelli dorati svanì dietro una libreria vicino alla porta e lui nascose un sorriso rassegnato. Adesso non osava indagare su ciò che lo circondava. Gia avrebbe potuto vincere questo round, ma lui era abbastanza orgoglioso da volerle far credere che aveva intenzione di perdere... o almeno non gli dispiaceva. “Lisette,” disse Ian, chiudendo di scatto il libro e appoggiandolo sul tavolo accanto a lui. “Sei bella come sempre e per te il tempo si è fermato a quarant’anni. Qual è il tuo segreto?” “Il sesso,” rispose lei, con un’espressione assolutamente seria. “Tanto. Mantiene una ragazza agile e ben oliata.” Ian riuscì a mantenere un’espressione di lieve interesse e le mani rilassate - un piccolo miracolo, considerando che l'impulso di raschiare via l'orribile sapore che aveva ora sulla lingua era molto forte. “Continua così e sopravviverai a tutti noi.” Le prese la mano e le baciò le nocche, cercando di essere cavalleresco e sperando che fosse sufficiente. “Mi stai mettendo alla prova con gesti all'antica, giovanotto?” Gli occhi di Lisette lampeggiarono, ma lei non allontanò la mano e si protese verso di lui. Forse Ian aveva scambiato l’irritazione della donna per qualcosa di completamente diverso. “Non sottrarti ai tuoi obblighi.” Lisette indicò il pupazzo di neve appeso al soffitto, dove un rametto di vischio si annidava tra l'agrifoglio sul suo cappello di feltro nero. Certo che sì. Non poteva mancare il ghigno ovattato che proveniva da dietro la libreria. “Credo che tu ti sia fatta un'idea sbagliata.” Sostenendo lo sguardo di Lisette, la tirò più vicino e le fece scivolare un braccio intorno alla vita. “Baciarti non è mai un obbligo. Dovresti saperlo.”

Lisette si leccò le labbra. Gia non lo sa ancora, ma si farà perdonare per questo momento. Prima che potesse ripensarci - o scappare come un pazzo - Ian si tuffò su Lisette. E mentre lei starnazzava di sorpresa, lui la baciò... a lungo, con grande entusiasmo e, Dio lo aiuti, con la lingua. Quando la sollevò di nuovo in piedi e la rilasciò, lei vacillò, gli occhi vitrei, il lucidalabbra sbavato. Lasciando il libro sul tavolo e Lisette al suo torpore, Ian si allontanò e sperò che la sua espressione non rivelasse nulla, mentre si ripuliva dalla saliva e dal rossetto sulla bocca. Quando si avvicinò alla libreria dove Gia fingeva di cercare un volume nella sezione del diritto di famiglia, si fermò. “È spesso incline al voyeurismo, signorina Hellman?” Ian appoggiò una spalla al mobile e incrociò le braccia. Le guance di Gia erano arrossate, le sue labbra umide. Quella vista fece provare a Ian una stretta allo stomaco e gli fece pulsare il sangue. Aveva sperato che mentre baciava Lisette, Gia avesse immaginato che fosse stata lei a premere contro di lui, che fosse stata la sua bocca a essere invasa dalla lingua di lui. Il solo pensiero che ci fosse riuscito rendeva il momento di sofferenza del tutto meritevole. “Non ho idea a cosa si riferisca, signor O'Connor.” Gia sollevò il mento e finalmente incontrò lo sguardo di Ian. Gli occhi di lei brillavano, scintillanti e blu, abbastanza caldi che ci volle uno sforzo per non scivolare più vicino al suo morbido calore e inalare il suo dolce profumo di zucchero filato fino a curare la sua malattia. “Stai insinuando che non eri tu a sghignazzare quando Lisette mi ha trovato sotto una foglia di vischio abilmente nascosta?” Ian inarcò un sopracciglio. “Era Karen. Sono troppo rispettosa per ridacchiare in biblioteca.” Gia sorrise maliziosamente come una gattina sexy. Per un momento, il mondo di Ian si fermò completamente ed esisteva solo Gia. L'aveva vista sorridere un centinaio di volte negli anni in cui era stata impiegata alla Hamilton & Associates, ma non gli aveva mai rivolto un sorriso simile. Era come un'iniezione di sole - calda, potente e innegabilmente da far tremare il mondo.

Un secondo dopo, il tempo riprese annunciato da un martellamento nel suo petto. Ian aveva bisogno di esorcizzarla dalla sua mente, di alleviare il bisogno di lei dal suo corpo. Lei era troppo infida per il suo status quo. “Nel caso in cui tu stessi pensando di sostenere che Gia sia una testimone imparziale che hai perso la scommessa del vischio,” disse Karen, comparendo da dietro un altro scaffale, “ho ripreso il bacio.” Karen sollevò il suo cellulare e sorrise. Meraviglioso. Il bacio che Ian aveva dato a Lisette era stato immortalato e aveva pochi dubbi che sarebbe stato su Internet entro mezz'ora. “Non metterei mai in dubbio l'integrità della signorina Hellman, né negherei le mie azioni.” “Allora forse le piacerebbe fare un altro giro?” Lisette si avvicinò al gomito di lui, con un luccichio quasi zelante negli occhi. “Non ho bisogno del vischio.” Forse non avrebbe dovuto baciarla così profondamente, solo per depistare Gia. “Sono lusingato, Lisette, ma credo di aver contribuito alla tua fonte di giovinezza abbastanza per un giorno. Quando si tratta di vischio e scommesse, mi attengo alle regole.” “Nessuno ha mai conquistato il mondo attenendosi alle regole, ma ti darò il tempo di ripensarci. Parleremo dopo che le decorazioni natalizie saranno rimosse. C'è sempre Capodanno.” Lisette gli strinse i bicipiti, facendo scorrere lentamente le dita lungo il muscolo e poi se ne andò. Ian si sforzò di mantenere un'espressione innocua finché Lisette non fu fuori dalla vista. “Sto già pensando a una dozzina di scommesse diverse per l'ultimo dell'anno.” Karen mise un braccio intorno alle spalle di Gia. Entrambe sorrisero come demoni. “Ne sono sicuro.” Ian si allontanò dallo scaffale. “Ci vediamo domani alla festa, signore.” Per Capodanno, avrebbe avuto Gia Hellman completamente e accuratamente fuori dal suo programma e non gli sarebbe importato di investire su altre scommesse dell’ufficio. Ma nel frattempo questo non gli avrebbe impedito di strapparle ogni grammo di piacere. Le spalle di Ian si rilassarono mentre lasciava la biblioteca. La sera

seguente sarebbe stata indubbiamente elettrizzante.

Capitolo cinque

Il country club era infiammato da così tante luci scintillanti che la villa sembrava un palazzo invernale incantato in attesa dell'arrivo dei reali. “Guarda che splendore,” disse Gia mentre entrava nel parcheggio con Adara imbronciata sul sedile del eggero. “Lo scintillio, il colore, il profumo della festa. È impossibile non divertirsi in un posto come questo.” Gia parcheggiò la macchina e spense il motore. “Quella lì è magia natalizia.” Adara lanciò un'occhiata indifferente alla villa che si profilava oltre il confine di un labirinto di siepi da favola. “Sono tantissimi soldi sprecati da avvocati che fanno pagare prezzi esorbitanti e usano qualsiasi scusa possibile per ubriacarsi. Non c'è nulla di magico in questo.” “Non hai mai visto il signor Hamilton con un cappello da elfo.” Gia sorrise. Adara sospirò. “Sarà orribile, vero?” Sganciando la cintura di sicurezza, Gia si spostò verso di lei. “Sarà divertente. Dillo.” “Non mi piace mentire.” Adara digrignò i denti. “Dar,” disse Gia, con un tono autoritario, “non ho detto una parola quando hai comprato un vestito nero per la festa.” Adara aggrottò le sopracciglia e rivolse lo sguardo al suo semplice vestito nero con il colletto a collo alto, le maniche lunghe e la vestibilità a sacco, fingendo di non capire. “Pensavo che i vestitini neri fossero ideali per le feste.” “Solo se sono sexy - e il tuo non lo è - e in qualsiasi altra occasione oltre al Natale. Smettila di interrompermi. Non ho detto nulla quando hai rifiutato l'eyeliner, il mascara, un po' di colore sulle guance, il rossetto, persino una dannata macchia di brillantini sul gomito.” Gia strinse gli occhi e indicò Adara con le chiavi. “So che non vorresti stare qui e se non vuoi essere alla moda con

me, lascerò correre quest'anno, ma questo è tanto per te quanto per me.” Adara incrociò le braccia e fissò Gia, senza bisogno di parole per esprimere il suo disappunto. Gia la fissò a sua volta. “Va bene. Abbiamo fatto delle promesse e le manterremo.” Gia addolcì la voce. “Non riusciremo mai a superare tutto ciò se non ci proviamo almeno, Dar.” Gia non si preoccupò di dare una descrizione più precisa di cosa significasse la parola 'ciò'. Sapevano entrambe che riguardava questioni molto più importanti della festa di Natale, ma nominare Joey ad alta voce peggiorava sempre le cose. E la verità nelle sue parole si posò su di lei come una rete di seta, morbida e aderente. Superare il dolore era impossibile senza fare uno sforzo, senza cercare dei modi - non importava quanto fossero sciocchi, creativi o sconsigliabili - per rendere la vita tollerabile fino a quando la coltre di nuvole non fosse svanita. Sapere che alla fine il sole sarebbe sorto di nuovo era una sensazione dolceamara. Non voleva lasciare andare Joey. Allo stesso tempo, non poteva rimanere nell'oscurità da sola con i ricordi. Non sarebbe sopravvissuta a lungo. Stasera voleva sfuggire a tutto questo, anche solo per un po', ne aveva bisogno, prima di soffocare sotto il peso. “Bene.” Adara aprì la portiera della macchina e scese. “Magnifico.” Gia saltò fuori dall’auto e chiuse le portiere prima che Adara potesse cambiare idea. Il freddo le colpì il viso, lasciandole una sensazione pungente. La temperatura era scesa abbastanza da farle chiudere il cappotto e rimpiangere di non aver portato il cappello e la sciarpa... quasi. Aveva ato troppo tempo ad arricciare i suoi capelli in onde perfette per rovinarli coprendoli e il suo abito da cocktail blu navy era fatto per mettere a nudo il collo e le spalle. I cristalli cuciti sullo strato di tulle della gonna scintillavano come stelle in un cielo di mezzanotte anticipando ciò che il limpido cielo crepuscolare prometteva presto - e le sue scarpe scintillavano d'argento ad ogni o. Gli occhi truccati con un ombretto sfumato e le labbra color petalo di rosa completavano la sua veste da ‘Ragazza scintillante’. Era la prima volta che si vestiva bene dall'ultima fase della malattia di Joey e per un po' la faceva sentire di nuovo vicina alla normalità.

Quella sensazione stava già svanendo, e, se non avesse fatto qualcosa in fretta, sarebbe sparita. Non era pronta al ritorno di quella sensazione di vuoto. Gia prese Adara a braccetto, sia per avere un sostegno sia per assicurarsi che Adara non cercasse di scappare, e guidò l'amica attraverso il parcheggio verso l'apertura nella siepe, dove le aspettava la erella che portava al club. Dando una rapida occhiata alle auto parcheggiate, Gia non vide la Porsche rossa di Ian, il che significava che aveva almeno qualche minuto di tempo per prepararsi. I ciottoli scricchiolavano sotto i loro tacchi e il ritmo della musica proveniva dalla villa, troppo debole per distinguere la melodia, mentre si muovevano tra le auto degli ospiti già presenti. Un pergolato di ferro ricoperto di rose e viti offriva il punto d'ingresso a un altro regno, dove i desideri si avveravano e le fiabe esistevano ancora... per qualche ora. “Visto che chiaramente stasera non hai intenzione di bere o di ballare, ho una missione per te.” Gia sollevò le sopracciglia verso Dar in segno di sfida. “Se pensi di farcela.” “Non voglio distrarre Chuck dal ballare di nuovo con te. Non posso digerire un'ora di battute pubblicitarie. Dovrei ucciderlo e non voglio davvero occuparmi di un omicidio. Richiede così tanto tempo.” “Chuck potrebbe fare al caso tuo. Tutti quei capelli rossi... Probabilmente terrebbe il fuoco durante le fredde notti invernali.” Adara le rivolse uno sguardo, incenerendola. “Sto scherzando. Calmati.” Gia sgranò gli occhi. Ma se fosse stato per lei, Adara avrebbe trovato un po' di magico romanticismo quella sera, che fosse con Chuck o con qualcun altro. Aveva assolutamente bisogno di un bacio da far tremare le dita dei piedi e da far tremare la terra per scioglierla, qualcuno che le fe dimenticare tutto, anche solo per una frazione di secondo. Forse sarebbe bastato a farla sorridere, cosa che faceva raramente. “Ricordi la scommessa dell'ufficio del vischio di cui ti ho parlato la settimana scorsa?” Adara annuì, le linee intorno alla bocca si ammorbidirono un po'. “Quante volte Lisette ha fatto centro?” “Solo una volta purtroppo.” Il ricordo le era rimasto impresso nella mente, ma mentre i dettagli su Lisette erano sbiaditi, quelli su Ian erano chiari. Non avrebbe

mai dimenticato la flessione delle sue braccia ferme mentre stringeva Lisette e la sua mano forte sulla schiena di lei. Il modo in cui si era chinato su di lei come un dio oscuro che accetta un sacrificio da violentare. Il calore e l'accenno di fame selvaggia nel suo bacio - anche se non erano state le sue labbra a essere baciate le bruciavano ancora il sangue. “E?” Incitò Adara, interrompendo il delizioso ricordo. “E la scommessa contro di te?” “Devo ancora superare questa notte per vincere ed è qui che entri in gioco tu”. Gia si strinse ad Adara e camminò più velocemente, con il freddo che le intorpidiva il naso. “Non ho idea di dove possa essere il vischio nel country club, il che significa che non so in quali punti debba evitare di essere attirata, trascinata o comunque portata controvoglia. Ho bisogno che tu faccia una ricognizione della zona per me, così potrò stare alla larga da tutte le trappole potenziali.” “Va bene.” Il sollievo nella voce di Adara era quasi ridicolo. Avrebbe fatto quasi qualsiasi cosa per evitare di socializzare. La corteccia delle betulle che fiancheggiavano il sentiero brillava di bianco nell'oscurità, emanando una luce quasi paurosa. Il gelo scintillava sui tronchi e sui rami spogli, scintillando sulle statue e sui lampioni di ferro, la magia della natura all'opera. La musica divenne più forte - una versione di Winter Wonderland degli anni ottanta - e il bagliore dalle finestre del club le illuminò. Un brivido percorse Gia mentre salivano le scale, e non aveva niente a che fare con la temperatura gelida. Questa notte per un momento sarebbe stata Cenerentola, dove il mondo reale cessava di esistere e tutto poteva accadere, dove si applicavano le regole della magia e della mezzanotte. Gia aveva intenzione di assaporare profondamente la fantasia il più a lungo possibile.

* * * *

“Mi sento decisamente troppo vestito.” Roman si raddrizzò il suo papillon rosso e lo sguardo che lanciò a Ian aveva il peso di una leggera accusa. “Avresti potuto

avvertirmi del dress code, amico.” Ian sorrise, osservando lo smoking di Roman mentre eggiavano sul viale del country club. “Ma sei così elegante.” “È vero.” Roman annuì, solenne, i suoi occhi neri che scintillavano come quelli di un corvo nel buio, intelligenti e attenti. “Tuttavia, la verità non ti esonera dalla colpa.” “Non controllo le tue supposizioni.” Con la sua giacca di pelle foderata, Ian non si preoccupò di dire al suo amico che il dress code di quella sera lasciava spazio all'interpretazione ed era completamente opzionale. Dato che Ian indossava dei completi cinque giorni alla settimana, aveva optato per un maglione di lana merino leggero e dei pantaloni abbinati, tutti neri. Avrebbe indossato il cappello di Babbo Natale appropriato per apparire nella parte mentre distribuiva i regali alla gente. Per il resto, non aveva alcuna intenzione di divertirsi... finché non avesse avuto Gia da sola. Non aveva smesso di pensare a lei dall'incidente della biblioteca giuridica di venerdì, che aveva reso la notte molto lunga e il sabato ancora più lungo. Aveva impiegato una quantità esorbitante di tempo per scegliere il suo abbigliamento per stasera, radendosi, assicurandosi che i suoi capelli fossero elegantemente arruffati, con una spruzzata perfetta di colonia in tutti i posti giusti. Era quasi imbarazzante quanto assomigliasse a un adolescente che aveva una cotta. Peggio ancora, non gli importava tanto quanto sospettava di doverlo fare. L'anticipazione lo stava distruggendo lentamente nel miglior modo possibile. “Hai di nuovo quello sguardo,” disse Roman. Le luci delle vetrate lo irradiavano donandogli un bagliore ultraterreno, come se fosse una creatura rara dell'oscurità che veniva irresistibilmente attratta dall'allegria dell'interno. “Quale sguardo?” Chiese Ian mentre salivano i gradini del club. Un leggero solco apparve sulla fronte di Roman. “Quello che dice che qualcosa di perverso viene da questa parte e con 'qualcosa di malvagio', intendo te.” Il sorriso di Ian si allargò. “Le tue capacità di osservazione sono impeccabili.” “Già.” Roman aprì un’anta delle doppie porte scintillanti che conducevano alla

villa e uscì una corrente d'aria calda, portando con sé una miscela speziata alla mela e al pino. Furono attratti all’interno dalle risate e dalla musica di una festa che iniziava a prendere vita. “Ho una domanda per te, ragazzo prodigio. Qual è il livello di guai che stai progettando? È del tipo che dovrei tornare alla macchina a prendere il mio scanner e rimanere in allerta, o posso godermi questa festa senza preoccuparmi che più tardi una donna sputi nel mio piatto dopo aver scoperto che siamo amici?” “Balla quanto vuoi e bevi quanto più puoi dei soldi di Hamilton senza far arrovellare la tua bella testolina.” Ian gli diede una pacca sulla spalla e si scrollò il cappotto una volta che le porte si chio dietro di loro, lasciando fuori il freddo. “Non ho alcuna intenzione di condividere i miei problemi stasera.” “Questo non è per niente confortante,” disse Roman vagamente tenendo lo sguardo già sulle porte aperte della sala da ballo in fondo al corridoio, dove delle luci rosse e verdi brillavano da una palla da discoteca e la musica rock natalizia rimbombava. Roman si incamminò, come ipnotizzato dalla promessa di divertirsi, sembrando di essersi già dimenticato di Ian. “Verrò a controllarti prima di andarmene.” Non mi troverai. Ian consegnò la sua giacca all'addetto del guardaroba mentre il suo amico lo abbandonava, senza preoccuparsi di parlare ad alta voce. Roman probabilmente non l'avrebbe sentito, comunque, e l'avrebbe capito quando non avrebbe trovato Ian perché se n'era andato. Con Gia. Elegantemente in ritardo, si attardò vicino alla fontana gorgogliante al centro del foyer prima di prendere il corridoio verso la sala da ballo. Hamilton lo aveva invitato qui per la prima volta anni fa, uno dei tanti gradini nella scala verso l'approvazione finale. Il foyer del country club brillava come il ghiaccio, decorato elegantemente con cristalli d'argento che scintillavano sotto la luce dell'enorme lampadario appeso al soffitto a volta, senza una foglia di vischio in vista. Ora era un socio ma più per strofinare i gomiti con l'elite di Graywood che per giocare a golf, una necessità malvagia cui avrebbe preferito rinunciare se ottenere lo status di socio con Hamilton non fosse stato il suo obiettivo finale. Odiava fingere di essere gentile, odiava ancora di più il golf, ma era diventato un esperto nell'essere chi la gente si aspettava che fosse, quando e come gli conveniva di più.

Rivelare chi era veramente sarebbe stato il biglietto più veloce per distruggere tutto ciò per cui aveva combattuto così duramente e stasera non si trattava di essere gentile. Stasera, prevedeva solo cattiveria. Infilandosi le mani in tasca, camminò verso la sala da ballo e si fermò fuori dalla porta. Dei tavoli decorati con agrifoglio e candele si annidavano vicino alle pareti, lasciando la maggior parte della pista libera per ballare. Un palco e un microfono erano stati allestiti nella parte anteriore della stanza, dove Hamilton avrebbe tenuto qualche discorso sulla prosperità per poi are il testimone a lui, dato che era il responsabile della distribuzione della montagna di regali incartati su un lato del palco. Hamilton selezionava accuratamente a mano ogni regalo, un'altra spinta all'eccitazione di ricevere un assegno bonus per le vacanze il lunedì. La Hamilton & Associates non era il posto peggiore in cui lavorare. La futura Hamilton & O'Connor sarà ancora meglio. L'intero ufficio, più gli ospiti, sembravano essersi presentati per i festeggiamenti. Risate e conversazioni filtravano attraverso la musica, la pista da ballo era piena di festaioli e la gente si sparpagliava tra i tavoli, con bicchieri e bottiglie che, ad ogni spostamento, scintillavano sotto le luci rosse e verdi. Ma lui stava cercando solo una persona. Quando avvistò Gia con un gruppo di altre donne che ballavano e ridevano, il filo d'acciaio che era stato teso in tutto il suo corpo da venerdì pomeriggio si strinse ancora di più. Il vestito blu navy che Gia indossava, esaltava le sue curve generose, lasciandole scoperti il collo e le spalle. Il resto di lei scintillava: la gonna con i suoi cristalli, i luccichii sulle gambe nude e i tacchi a spillo che brillavano come diamanti al chiaro di luna. Mai, nemmeno per un secondo, aveva desiderato un’altra donna come stava desiderando Gia. Era malsano il bisogno che aveva di lei, troppo vicino all'ossessione per chiamarlo in altro modo. Forse non era abituato ad aspettare o a essere negato, ma aveva perfezionato la pazienza in ogni altro settore della sua vita. O forse lei era stata off-limits per così tanto tempo che persino toccarla gli sembrava proibito. Eppure, l'eccitazione che lei suscitava in lui era naturale come il respiro, innocente e libero. Si era chiesto se lei gli avesse resistito perché non voleva volerlo - il che poteva essere afrodisiaco di per sé - ma il modo in cui lo aveva guardato dopo che lui aveva baciato Lisette, i suoi occhi caldi...? Non si poteva negare il desiderio.

Ian rilasciò un lungo respiro, riprendendo il controllo del suo corpo e dei suoi pensieri. I perché, i come e i se alla lunga non facevano alcuna differenza. Stanotte, si sarebbe liberato di questa cosa aggrovigliata tra loro che stava salendo troppo vicino alla superficie della semplice lussuria, minacciando di liberarsi. Il suo futuro dipendeva da questo. Ian scivolò nei festeggiamenti e mise in moto il suo piano.

Capitolo sei

Gia aveva capito subito il momento in cui Ian era arrivato alla festa. Un brivido le aveva percorso la schiena, come se fosse sorto in risposta allo sguardo di lui. Per un'ora di balli ininterrotti, si era costretta a smettere di guardare l'ingresso a ogni giro sulla pista da ballo, ma quando quell'elettricità le aveva percorso la pelle, aveva dato un'occhiata. Santo cielo. Ian era in piedi sulla porta, con le mani in tasca, come un re che sorveglia il suo regno. Era tutto vestito di nero, casual e assolutamente non festivo, eppure Gia non poteva paragonarlo all’abbigliamento di Adara. Il nero dava al suo solito aspetto garbato un tocco pericoloso. Di solito, il pericolo non faceva per lei, ma su Ian? Era tentata di diventare temeraria. Era stata un'altra ora e tre margarita fa. Lui non aveva nemmeno provato a parlarle, a flirtare o a coinvolgerla in altro modo. Questo la rendeva nervosa. Ian aveva in mente qualcosa. Ma Gia si stava divertendo comunque e i margarita la aiutavano. Rise quando Karen le si avvicinò e fece un moonwalk perfetto. Adara le bloccò improvvisamente la vista e si avvicinò per parlare sopra la musica. “Ci sono solo due posizioni del vischio di cui ti devi preoccupare.” Adara scivolò con grazia nel cerchio dei ballerini e rimase lì ferma, rifiutandosi di partecipare alla baldoria come una roccia immobile al centro di un fiume. “Un mazzo di ramoscelli è appeso sopra la scala che porta al secondo piano. L'altro è sopra la porta dello spogliatoio degli uomini.” Un sopracciglio scuro si contrasse. “Chuck è uscito mentre ero lì. L'ho scampata per un pelo.” “Bel lavoro, Dar.” La canzone finì e Gia, avendo bisogno di una pausa, seguì Adara tra la folla. Prese il suo bicchiere di margarita mezzo vuoto dal loro tavolo e lo bevve. La tequila alimentò il fuoco nel suo sangue che era stato dal ballo, dimenticando tutto al di là del ritmo e della libertà del semplice movimento. “Sei sicura che il vischio sia solo là?” Gia posò il bicchiere vuoto e guardò Adara. “Solo due posti da evitare mi rendono nervosa.”

“Non mi dispiace fare un altro giro.” Adara si spostò e storse la bocca mentre un assistente legale inciampava su una gamba della sedia e faceva cadere il suo drink, quasi schizzando le punte delle sue scarpe. “Per quanto tutto questo sia avvincente, è possibile che me ne sia perso uno.” Gia annuì, come per confermare il ragionamento di Adara. “Controllerò di nuovo.” Prima che Gia potesse parlare, Adara scivolò via come un'ombra. Portando due margarita, Karen costeggiò il bordo della pista da ballo e ne porse uno a Gia. “Salute, Ragazza scintillante.” Fece tintinnare il suo bicchiere con quello di Gia e lo scolò in un lungo sorso. “Adoro la generosità natalizia di Hamilton. Cosa pensi ti abbia regalato quest'anno?” L'anno scorso era stata una sciarpa di seta della sua tonalità preferita di rosa non che lui potesse sbagliare con un rosa qualsiasi. Gia non aveva ancora capito come Hamilton avesse saputo che il rosa garofano era il suo preferito, o forse era stato semplicemente un colpo di fortuna. “Dopo un altro di questi” - Gia sollevò il bicchiere e mandò giù il suo drink mentre Karen guardava, sorridendo - “anche se è un cerchietto di pelo di capra, probabilmente ne sarò felice.” Karen rise. “Basta che non sia un...” Karin aprì la bocca e fissò oltre Gia, dimenticando quello che stava per dire. “Ho trovato il signore delle tenebre,” disse in tono sommesso. “Sono sicura che mi perdonerai per avergli sacrificato il mio corpo.” Voltandosi, Gia si trovò faccia a faccia con Ian. Da lontano, era sembrato bello e alla moda come sempre. Da vicino, era delizioso - ed era molto, molto vicino. Il calore del corpo di lui le lambiva le braccia nude e la colonia che portava la avvolgeva, drogandola. I suoi occhi blu sembravano quasi d'ebano. “Signorina Hellman.” Ian lanciò una breve occhiata a Karen. “Karen. Ti sei divertita finora?” “Non tanto quanto potrei,” rispose Karen facendo le fusa da dietro Gia. Gia improvvisamente avvertì un bisogno impellente di un altro drink. La sua bocca era asciutta e il resto di lei si stava surriscaldando rapidamente. Semplicemente stando lì, Ian sembrava succhiare l'aria dai suoi polmoni. Lui spostò il suo sguardo sul suo collo e sulle sue spalle e la sua pelle formicolò, come se lui l'avesse accarezzata e avesse lasciato una scia di polvere di stelle.

“Ti va di ballare più tardi?” chiese a Gia, sistemandosi sulla testa il cappello di Babbo Natale con un'inclinazione sbarazzina. “Ho dei doveri da assolvere, ma dopo...” Ian abbassò la voce in un timbro smielato, pieno di promesse oscure. “Ti troverò.” “Regali!” Karen batté le mani. La distrazione diede a Gia abbastanza tempo per distogliere i suoi pensieri da tutto ciò che era Ian O'Connor e dal modo inquietante in cui lui la influenzava per rispondergli finalmente. “Non credo, signor O'Connor.” Gia sollevò il mento. “La minaccia del vischio nascosto da qualche parte è semplicemente troppo grande per stare così vicino.” Sobbalzando, Gia si rese conto che lo stesso ragionamento si applicava a questo momento. Tutto quello che serviva a Ian per vincere la scommessa era che lui tirasse fuori un rametto. Il fatto che non l'avesse fatto era quasi allarmante. Che cosa sta facendo? Gia si allontanò e si diresse verso il bar, lasciandolo alla mercé di Karen. Se fosse rimasta accanto a lui un secondo di più, non era sicura di quello che sarebbe potuto succedere, perché il magico pulsare nelle sue vene non poteva essere interamente imputato all'ebbrezza della musica, dei margarita e della baldoria. La mossa più intelligente che poteva fare era evitare del tutto Ian, non solo per vincere la scommessa ma per cancellare il rischio di ogni tentazione. Prima di Joey, non avrebbe evitato affatto Ian. Si sarebbe immersa nelle sue attenzioni, si sarebbe innamorata del suo fascino e sarebbe stata una delle innumerevoli altre donne che credevano di poter cambiare la sua regola di una sola notte, perché forse sarebbe stata l'unica ragazza di cui lui non ne avrebbe avuto mai abbastanza. E, al mattino, le sarebbe stato ricordato che non era poi così speciale. Joey, mi manchi. Un groppo le si formò in gola, facendo vacillare la sua determinazione a dimenticare il mondo esterno per la notte e lo inghiottì mentre raggiungeva il bar. Rivolse al barista il suo sorriso più luminoso, senza preoccuparsi se sembrasse falso o meno. “Un altro margarita, per favore. Fallo doppio.” Mentre aspettava il suo drink, la musica tacque. Il signor Hamilton salì sul palco

e si tuffò nel suo discorso annuale sulla giustizia, sulla prosperità e su come la Hamilton & Associates giocava la sua parte nel grande schema di Graywood. Gia amava il suo lavoro, e per quanto volesse fare la differenza, per quanto il signor Hamilton assicurasse che la loro interazione con la comunità era importante, la sicurezza di lui non la contagiò come aveva fatto l'anno precedente. La gente la circondava da tutte le parti. Si era immersa nella festa, nella musica, nelle risate e nelle luci. E la solitudine minacciava di consumarla. “Il suo drink, signorina.” Gia distolse lo sguardo dal palco e ringraziò tranquillamente il barista mentre il signor Hamilton concludeva il suo discorso e affidava a Ian il compito di consegnare i regali. Si scolò il suo margarita mentre la voce di Ian usciva dal microfono e scivolava sulla sua pelle, un crudele promemoria del fatto che era rimasta intrappolata tra due mondi - quello che aveva voluto con Joey e il futuro - dove era sola e non aveva alcuna garanzia di trovare qualcuno che l'avrebbe amata incondizionatamente e le avrebbe ricordato ogni giorno che era speciale, qualcuno che glielo avrebbe fatto credere, qualcuno che l'avrebbe fatta sentire viva e libera e... importante. Era viva e, allo stesso tempo, stava morendo. Invece di ordinare un altro drink, si voltò verso l'uscita della sala da ballo e continuò a camminare finché non fu fuori dalla portata delle luci lampeggianti della festa, dell'allegria festosa e della voce sexy del microfono, finché il rumore dei suoi tacchi sul marmo non si attutì e l'inverno le morse la pelle nuda. Gia respirò quell’aria gelida e lottò contro l'impulso improvviso di singhiozzare. Attraversò un piccolo patio coperto da listelli aperti intrecciati di edera e lucine bianche che offrivano uno sguardo alle stelle. Voleva più di una sbirciatina al cielo e, nonostante il freddo e l'assenza di un cappotto, camminò fino al bordo del marciapiede. Camminò sull'erba, grata che i suoi tacchi a spillo non bucassero la terra gelata e si mosse tra le braccia aperte dell'inverno. La siepe del labirinto si estendeva in una massa scura davanti a lei, l'ingresso era illuminato fiocamente da due lampioni di ferro e sorvegliato da un fauno di marmo con un flauto di pan. Non era abbastanza stupida - o abbastanza disperata - da accettare quella sfida.

L'ultimo margarita le aveva conferito un piacevole calore e una leggerezza che non aveva ancora aiutato ad alleviare la fitta di dolore. Lontano dalle luci, Gia si fermò e sollevò lo sguardo. Le stelle punteggiavano il vellutato cielo notturno, belle e intoccabili e così irraggiungibili che il suo cuore le fece così male fino a pensare che potesse cedere. Si strinse le braccia a sé. Ogni magia della notte era scomparsa e ogni incanto si era trasformato in una maledizione ineluttabile. “Spero che non abbia intenzione di restare qui fuori fino a mezzanotte solo per evitarmi. Non vorrei bruciarmi le labbra sul ghiacciolo che diventerebbe sicuramente e avere la lingua bloccata, congelata alla sua. Sa com'è con i duelli.” Gia chiuse gli occhi alla voce familiare di Ian dietro di sé. Ian faceva parte della magia, ma non era sicura se fosse solo l'arma o lo stregone stesso, non che avesse importanza. Aprì gli occhi quando il morbido maglione di lui le sfiorò il braccio, non essendo ancora abbastanza intorpidita da perdere il contatto o il suo calore. “Pensavo che stesse distribuendo i regali.” Gia riprese a guardare le stelle. Se non lo guardava, forse lui non le sarebbe entrato nella pelle. “Lo sto facendo.” Ian le porse una scatola scintillante d'argento legata con un fiocco di raso rosa. Sospirando, lei la prese. “Come mi ha trovato?” “Ho... avuto un sentore e ho seguito i miei sospetti. Suppongo di essere stato fortunato.” La voce di Ian si irrigidì mentre sollevava la giacca di pelle ripiegata sul braccio e la sistemava sulle spalle di Gia. “Da quanto tempo è qua fuori al freddo? Anche se apprezzo la sua dedizione nel giocare alla regina della moda invernale, il congelamento non è necessario.” Gia si rannicchiò tra il morbido tessuto, realizzando troppo tardi che era avvolta nel profumo di Ian. La circondava, la accarezzava, ma lei non riusciva a trovare la forza di volontà per restituirgli la giacca. “Avrei potuto prendere il mio regalo più tardi, ma grazie per averlo portato qui fuori. Le restituirò il cappotto quando torno dentro.”

Ian inarcò un sopracciglio. “Mi sta congedando, signorina Hellman?” Signorina Hellman. Era un altro promemoria del fatto che le scintille tra loro, per quanto calde, non erano nemmeno abbastanza profonde per usare i nomi di battesimo. Gia non riusciva nemmeno a fare un sorriso finto. Il sorriso di Ian svanì mentre la studiava e lei non voleva sapere cosa vedeva nella sua espressione, non voleva sapere come l'avrebbe manipolata. Ian le tese una mano. “Balli con me.” Gia fissò la mano di Ian, tentata e nervosa allo stesso tempo. Se Gia avesse accettato, sarebbe stata una dolce resa - e lei, improvvisamente, era stanca di giocare. Eppure il fatto di accettare implicava un tradimento, dei suoi ricordi di Joey e di quello che lui aveva visto in lei. Ma Joey non sarebbe tornato. Lei era da sola. Quanto danno poteva fare un solo ballo al suo cuore in coma? Gia incontrò lo sguardo di Ian, un ultimo sforzo per controllare l'attrazione magnetica tra di loro. “Vedo diversi problemi in questa richiesta.” “Quali?” “Per prima cosa, la musica è troppo lontana per essere ascoltata.” “Non è necessaria la musica per ballare.” Ian storse il naso con una punta di fastidio. “Se vuole, canticchio, anche se devo avvisarla che non riesco a tenere il ritmo. Se lo trova troppo offensivo, ò il mio telefono.” Gia non poteva smorzare il piccolo sorriso che spuntava all'angolo della sua bocca. “Le avevo detto che non volevo ballare con lei.” “Le donne cambiano idea continuamente.” Gli occhi di Ian brillavano come le stelle che li sovrastavano, ma più caldi, più vicini, pieni di malizia. “Chiederlo due volte non è un crimine, signorina Hellman.” Dal momento che Ian era coinvolto, Gia non ne era così sicura. “Ballare con lei mi mette in netto svantaggio quando si tratta di vischio.” Ian inclinò la testa. “Se avessi voluto ingannarla con il vischio, avrei potuto farlo

già una dozzina di volte stasera. Inoltre, non ci sono testimoni che confermino eventuali baci di entrambe le parti.” “Non mentirei su questo.” Anche se sarebbe stato uno schifo perdere, Gia avrebbe incassato il colpo e mantenuto la sua integrità. “Lo so.” Ian aspettava, fissandola, con la mano ancora tesa, aspettandosi che lei la prendesse. Gia non doveva prenderla. Anche se le stelle sembravano più luminose e la notte più accogliente, doveva andarsene. Era una fantasia credere che Ian volesse qualcosa al di là del suo corpo, che stare tra le sue braccia avrebbe cambiato lo stato della sua solitudine. Questa è una pessima idea. “Una canzone,” disse Gia, facendo scivolare le braccia nelle maniche della giacca di lui e appoggiando la mano su quella di Ian. “Ne farò una lunga.” “E se si rimangia tutto e tira fuori anche solo una foglia di vischio, me ne vado.” Stringendo la presa sulle dita di Gia, Ian la tirò vicino a sé. Fece scivolare il braccio libero sotto la giacca e intorno alla vita di lei, tenendola delicatamente ma fermamente prigioniera. “La mia posta in gioco nella scommessa non è il denaro,” disse dolcemente. “Non verrò meno a ciò che ho detto.” Gia deglutì, incapace di distogliere lo sguardo. L’abbraccio di Ian era forte e possessivo, le sue dita le marchiavano il fianco con il loro calore. I suoi lineamenti erano calmi, blandi, nessun segno del trionfo che lei si aspettava di trovare, ma i suoi occhi ardevano, caldi e brillanti. Ian cominciò a ondeggiare su qualche ritmo lento che solo lui poteva sentire, tenendo il suo sguardo sempre rivolto su Gia. Le accarezzò le nocche con il pollice in lenti cerchi e lei non poté fare a meno di rilassarsi. Sospirando, lei gli avvolse un braccio intorno alla schiena e appoggiò la testa su quello di lui. Un fremito sorprendente attraversò il corpo di Ian, come se la concessione di Gia colpisse più del suo ego o della stimolazione fisica, e che ne

avesse l'intenzione o meno, lui strinse la presa. Il maglione di Ian era peccaminosamente morbido sotto le sue dita, il suo petto esattamente come lei lo aveva immaginato - deliziosamente duro e muscoloso - e con il suo profumo dolce e speziato e il calore che la circondava, Gia chiuse gli occhi e lasciò che la fantasia prendesse il sopravvento per qualche minuto. Le loro scarpe facevano rumore sull'erba ghiacciata mentre si muovevano insieme allo stesso, lento ritmo, in sincronia come se esistessero solo loro nella notte eterna, collegati da fili d'oro. Una melodia proveniva da molto lontano, così distante che Gia poteva solo distinguere una nota ogni tanto, e che fosse stato il margarita di troppo o la sua immaginazione alimentata dalla magia del Natale, avrebbe giurato che aveva un che di ultraterreno, come se le stelle stesse cantassero in una lingua che le orecchie umane non potevano decifrare. Ho decisamente bevuto troppi margarita. “Probabilmente mi pentirò di averlo detto,” sussurrò Gia, “ma preferisco ballare con lei che con Chuck.” Una risata soffocata rumoreggiò sotto la sua guancia. “Non sono sicuro che sia un complimento.” Ancora ondeggiando come se anche lui potesse sentire la musica lontana, Ian le inclinò il mento con un dito, attirando lo sguardo di Gia verso di lui. Un calore minacciò di inghiottirla. “E non mi pentirò mai di averlo detto.” La voce roca di Ian. “Preferirei baciare lei piuttosto che chiunque altro. “Non può saperlo,” disse lei con tono incerto. Gia non riuscì a trattenersi dallo scrutare le labbra di Ian, il margarita nel sangue la spingeva a continuare, riportando a galla il desiderio che aveva tentato inutilmente di allontanare. “Non mi ha mai baciato prima. Potrebbe odiare baciarmi. Potrei essere la baciatrice peggiore dell'universo.” “Ha ragione,” mormorò Ian continuando a tenere la mano sotto il mento di Gia, facendole sentire il suo respiro caldo profumato di whisky sulla guancia. “Ma è un rischio che sono disposto a correre.” Il cuore di Gia iniziò a battere con un ritmo affrettato quando lo sguardo di Ian si spostò sulla bocca di lei e vi rimase. La notte sembrava tacere e chiudersi, lasciando fuori ogni intrusione del mondo. Quando Ian le sfiorò il labbro inferiore con il pollice, quella sensazione di calore le increspò i nervi. Sarebbe potuta scappare se si fosse allontanata dopo che Ian le aveva consegnato il

regalo, ma ormai era troppo tardi. Tutte le volte che aveva immaginato di baciarlo nell'ultima settimana avevano demolito ciò che restava delle sue difese, che comunque non erano state molto più di un fossato poco profondo stasera. Perdere una stupida scommessa per sapere cosa si provava a baciarlo, a lasciare libere le sue fantasie per qualche altro minuto, ne sarebbe valsa la pena. Gia sollevò il viso verso quello di lui, invitandolo silenziosamente. Ian fece scorrere le dita lungo la mascella di lei e piegò la testa. Le labbra di lui sfiorarono quelle di Gia con una morbidezza inaspettata, lenta e sensuale, che per qualche motivo era molto più accattivante dell'assalto carnale che lei si aspettava, come se lui intendesse darle un semplice assaggio per farla abboccare, il primo o verso la dipendenza. Ian la baciò lentamente come se la volesse cullare e attirare a sé. Non era affatto difficile capire perché così tante donne si sarebbero accontentate di una notte con lui. Ogni volta che Ian faceva scivolare la sua bocca vellutata su quella di lei, le afferrava il fianco affondando le dita e Gia avvertiva il sangue ribollire nelle vene. E Ian non aveva ancora usato la lingua. Un gemito che non aveva intenzione di emettere, sorse dal profondo di Gia, bisognoso e disperato, e quando gli strinse la parte posteriore del maglione e lo attirò più vicino, il gemito di Ian ebbe l'eco di una diga che si rompe, spalancandosi. Ian fece scivolare la mano tra i capelli di Gia e arricciò le dita intorno alla testa di lei, tenendola ferma e la spinta dei fianchi di lui contro quelli di lei rese impossibile ignorare l'evidenza dell’eccitazione di Ian. Gia ansimò contro le labbra di lui e fu rapita sentendo la lingua di lui scivolare contro la sua. La spinta setosa le risvegliò tutti i sensi mettendoli in allerta e Ian la accarezzò proprio tra le cosce. Ian sapeva di whisky, di vita e di decisioni avventate e Gia voleva ubriacarsi con lui. Gia mise le mani sotto il maglione di lui e si aggrappò alla maglietta sottostante, avendo bisogno di sentire la pelle di lui sotto la punta delle sue dita mentre la bocca di Ian divorava la sua, implacabile e urgente. Lui la attirò contro il calore deciso del suo petto, come se condividesse lo stesso pensiero frenetico che, per quanto fossero vicini, non lo erano abbastanza. Tutti i pensieri si intorpidirono sotto la corrente elettrica che la attraversava come un temporale estivo e fu solo quando la sua schiena colpì la superficie solida di un muro che Gia si rese conto

che Ian l'aveva guidata o dopo o sotto il portico fuori dalla villa. Lui la mordicchiò e la leccò fino alla gola, con le sue labbra perfide e dolci e le bloccò i polsi sopra la testa. Gia chiuse gli occhi e lasciò che la sua testa si appoggiasse al mattone freddo dell'edificio, fondendosi con Ian. Il corpo di Gia soffriva, il suo sangue ribolliva e non era neanche lontanamente sufficiente. Il ato, il futuro e tutto quello che c'era in mezzo erano diventati insignificanti. Solo questo momento contava, solo Ian e il modo in cui lui faceva scintillare il suo mondo in una vita pulsante. Si era sbagliata, chiedendosi se fosse lui il creatore della magia o la sua arma. Ian stesso era la magia e con ogni bacio, Gia rimaneva sempre più irretita dall’incantesimo di lui, librandosi libera in aria.

Capitolo sette

Annegare. Ian stava annegando beatamente: il suo corpo teso, il fuoco nelle vene, che batteva, dolorante per la richiesta. Perdersi in qualcuno o qualcosa non era un lusso che Ian poteva permettersi, ma con l’inatteso vacillare del suo controllo, si rese conto che una notte con Gia poteva non essere sufficiente a sradicare il fascino malsano che provava verso di lei. Ian stava iniziando a dubitare del suo giudizio. Una notte era sempre stata sufficiente a soddisfare l'intrigo con qualsiasi donna e non si era mai pentito della sua rigida aderenza alla regola, non aveva mai messo in dubbio il fatto di non aver concesso una seconda notte o una terza. Ma baciando Gia, con i suoi seni perfetti premuti contro il suo petto, la mano di lei aggrovigliata tra i suoi capelli e la punta delle sue dita che gli sfiorava la pelle nuda della schiena sotto la camicia e il maglione, sospettava di aver sottovalutato completamente la situazione. Lei sapeva di lime e tequila, di luce del sole e di estate e lui non riusciva a prendere fiato. Ian non riusciva a smettere di baciare la bocca di Gia, non riusciva a smettere di toccarle la pelle setosa. E inoltre si trovavano troppo allo scoperto e sotto gli occhi di tutti per tutte le cose perverse e private che voleva farle. Smise di baciarla e le tracciò la curva dell’orecchio con la lingua, godendosi il brivido conseguente di Gia, il suo gemito di protesta e incoraggiamento. “Vieni con me,” le sussurrò, con un tono rude che sembrava quasi un ringhio esprimendo il suo bisogno. “Solo pochi i.” Splendidamente spettinata, le labbra gonfie per il bacio, gli occhi azzurri leggermente vitrei, Gia non si oppose mentre Ian la conduceva rapidamente nella villa del country club. Gia si aggrappò alla mano di lui come se Ian fosse l'unica cosa che le impedisse di fluttuare via, verso le stelle. La risposta di Gia diede all’ego di Ian un'ulteriore spinta, ma lui era lontano dall'aver finito con lei.

La tirò nella prima stanza che incontrarono, grato che non fosse un ripostiglio. Aprendo la porta, grazie al bagliore fioco che entrò nella stanza, Ian intravide una piccola scrivania, degli scaffali e una fotocopiatrice, poi chiuse la porta, rinchiudendo entrambi nella completa oscurità. “Ian?” Gia vacillò e Ian si chiese per un attimo se non avesse sottovalutato quanto lei avesse bevuto, ma poi Gia gli avvolse le braccia intorno al collo. Premette contro di lui, lasciandogli una scia di baci caldi a bocca aperta sulla gola e Ian si sentì di nuovo perso per lei. Dopo essere stati fuori al freddo, il caldo all’interno della stanza era quasi insopportabile. Ian si portò il maglione sulla testa e lo gettò nell'oscurità. Ora che erano veramente soli, mise da parte la fretta e la lasciò cuocere a fuoco lento. Lentamente, sfilò la giacca dalle spalle di Gia, memorizzando lo scivolamento satinato della pelle di lei sotto le sue dita, la curva delicata della clavicola, la linea liscia delle braccia. L'ufficio deserto del country club, mentre i loro colleghi e amici festeggiavano a pochi metri di distanza, non era il luogo ideale per prendersi del tempo per esplorare il paesaggio di Gia Hellman. Non era il posto in cui voleva stare con lei facendola gemere e ansimare, ma non riusciva a trattenersi. Aveva intenzione di sedurla. Non aveva intenzione di essere sedotto. Non poteva permettersi di essere sedotto. La giacca di Ian cadde a terra lentamente, lasciando tra loro solo jacquard, tulle e cotone. Doveva andarsene mentre aveva ancora una parvenza di ragione e controllo, lasciare intatto il fascino e soffocarlo in qualsiasi modo possibile che non includesse Gia, giorno dopo giorno, finché non si fosse spento. Ma il sussurro del vestito di lei contro le sue gambe mentre lei si avvicinava sembrava essere il canto di una sirena e, pur conoscendo il pericolo, Ian si chinò e le leccò la parte interna del polso. Il gemito soffocato e disperato nella gola di lei minacciò di scioglierlo. “Baciami ancora,” mormorò Ian. Le parole avevano la stessa disperazione, troppo, troppo intensa. Senza aspettare la risposta di Gia, Ian le prese la bocca con la sua e la sollevò tra le braccia, portandola vicino a dove credeva fosse la scrivania. Senza mai smettere di baciarla, annaspò solo una volta su una sedia, prima di trovare la superficie piatta che cercava. Qualcosa di metallico tintinnò

quando lo spinse da parte per liberare uno spazio e il rumore delle penne che si disperdevano si mescolò ai loro respiri affannosi. Ian si sedette e sistemò Gia sul suo grembo. Lei si adattava così perfettamente al suo calore, il suo corpo era un soffice dono alla dura tensione di lui. Il fruscio della gonna di lei che si spostava verso di lui gli rendeva il sangue più caldo, la tortura di Gia che si muoveva contro di lui era il dolore più dolce. Con grande fastidio di Ian, il tuono del suo cuore risuonò nella sua testa e la sua mano tremò mentre accarezzava la curva del seno di Gia attraverso la corazza sottile del vestito. Gia trattenne il fiato e affondò le mani nei capelli di Ian. Le unghie di lei gli sfiorarono la testa, lo baciò con un’impeto che evocò in lui il bisogno più profondo e oscuro, impossibile da resistere. Ian era stato con molte donne, non ne aveva mai fatto segreto, ma con Gia, era come se, fino a quel momento, fosse stato affamato di essere toccato. Le dita di lei lasciavano un'impronta ovunque toccassero e il movimento della sua lingua contro quella di lui lo avvolgeva ancora di più nella sua serica rete di seduzione. Mentre le mordicchiava e le succhiava le labbra, conquistandole la bocca, fece scorrere una mano lungo la gamba di lei sistemata sopra la sua. La pelle di Gia era liscia anche lì, tesa sui muscoli magri. Incapace di fermarsi, Ian continuò a far scivolare la mano fin sotto gli strati spumeggianti della gonna di Gia fino alla sua coscia perfetta. Il contenersi si sfilò il guinzaglio e rimase appeso per una sola lunghezza alla catena. Il polso di Ian batteva, fremendo a ogni estremità. La tentazione di continuare, di dimenticare dove si trovavano, di prendere il suo piacere velocemente e duramente, lottava per essere soddisfatta. Pochi minuti con Gia non sarebbero bastati. Sopravvivere a questo desiderio famelico che lei ispirava in lui avrebbe richiesto abbastanza tempo per divorare ogni centimetro di lei, per saziare il fuoco empio che lo faceva implacabilmente tremare e pulsare. Dei momenti rubati in una stanza sul retro non avrebbero cancellato gli effetti del sorriso solare di Gia sulle ombre del cuore di lui. Ian aveva bisogno di più round, di un numero imprecisato di ore, ma certamente più di una notte. Ian si staccò dalla bocca ammaliante di Gia e lottò per calmare il suo respiro. Incorniciò il viso di lei tra le mani per tenerla a distanza, cercando così di pensare. “Vieni a casa con me.” La voce di lui raspò, da qualche parte tra un

ringhio e un gemito, e quando la mano di lei gli scivolò nella cintura, Ian provò un brivido. “Lascia che ti goda come si deve. Lascia che ti dia piacere come si deve. Non voglio che sia una sveltina in una stanza buia a una festa dell’ufficio.” Questo sembrò stordirla. Gia fermò la mano contro la sporgenza affilata dell'osso dell'anca di lui. “Ian, io...” Ian appoggiò la fronte contro quella di Gia, senza sapere come avrebbe fatto se lei avesse rifiutato. “Vieni a casa con me, Gia.” Il fatto che avesse quasi aggiunto un “per favore” avrebbe dovuto terrorizzarlo, ma era troppo perso in lei per riconoscerlo completamente. “Ti prometto che non te ne pentirai.” La giovane donna fece di nuovo una pausa. “Mi hai chiamato Gia.” Un senso di meraviglia riempiva il suo tono di voce, come se l'uso del suo nome fosse una specie di miracolo di Natale. “Non mi hai mai chiamato Gia prima d'ora.” “Ti chiamerò come vuoi tu.” Ian le accarezzò le labbra con la sua, lasciandole una scia di baci rapidi e feroci. “Vieni a casa con me.” Non ò molto tempo prima che Gia si ammorbidisse, appoggiandosi di nuovo a lui. Non aveva bisogno di dire altro per sapere che lui aveva vinto. L'avrebbe fatta uscire di nascosto dal retro, avrebbe evitato la festa, avrebbe assegnato il compito di consegnare gli ultimi regali a chiunque gli fosse capitato per primo. Non le avrebbe dato il tempo di ripensarci. Una volta a casa, non l'avrebbe lasciata andare finché non fosse stato completamente sicuro di essere di nuovo al sicuro, libero dalle scintille che lei gli aveva iniettato nel sangue senza permesso. Ian avvertì troppo tardi il rumore della porta che si apriva. Al tocco dell'interruttore seguito da una luce accecante, sia lui che Gia si bloccarono, colti con le mani nel sacco. L'amica di Gia, una bellezza naturale, alta e snella, vestita di nero funebre, stava in piedi sulla porta, con gli occhi grigi spalancati. Sembrava tanto stupita di trovarli quanto loro di essere trovati. “Ciao, Adara.” Con il braccio ancora agganciato al collo di lui e la mano libera immersa sotto la cintura, la voce di Gia aveva un suono stridulo. Sembrava troppo sconvolta per giustificare la loro posizione compromettente. Lentamente, Adara incrociò le braccia. Gli occhi della donna si restrinsero in un

bagliore scintillante, e nonostante tutta la sua pratica in aula e la sua alta tolleranza all'intimidazione, un brivido corse lungo il collo di Ian. “Immagino che ora posso smettere di cercare il vischio nascosto.” “Ne hai trovato altro?” Chiese Gia, usando un tono disinvolto, sperando che forse avrebbe allentato la tensione che si irradiava da Adara. Invece, Adara si irrigidì. “Dannazione, G.!” Rivolse la sua espressione spaventosa su di lui. “E suppongo che questo” - sollevo la mano esile verso Ian come se fosse la spazzatura putrida del giorno prima che doveva essere trascinata fuori sul marciapiede - “sia l'avvocato arrogante, donnaiolo e incorreggibile di cui mi hai parlato.” “Scusa,” mormorò Gia sottovoce, senza guardarlo. Ian indossò il suo sorriso da squalo. Era stato chiamato molto, molto peggio. “Se tu non avessi usato un tono così meschino, avrei potuto essere tentato di negare tutti quegli aggettivi appropriati riguardanti il mio carattere.” Adara fece il pugno con la mano. “Adara, questo è Ian O'Connor,” disse Gia rapidamente, come se intuisse l'imminente violenza e cercasse di farla deragliare. Gia fece scivolare la mano fuori dai pantaloni di lui, un fatto che al loro severo pubblico non sfuggì, nonostante le imbarazzanti presentazioni in atto. “Ian, Adara Dumont, la mia migliore amica.” Fece una pausa. “E sorella di Joey.” Joey. Naturalmente. “Piacere di conoscerla, signorina Dumont.” Ian suppose che fosse troppo tardi per togliere la mano dalla coscia soda e setosa di Gia senza sembrare dispiaciuto, cosa che non era. Invece di toglierla, scivolò lentamente lungo la gamba di lei, assaporando ogni centimetro, memorizzando il brivido di Gia finché non fu completamente impigliato nel tulle costellato di stelle. Gli mancava già il contatto. Gia scivolò dal grembo di Ian e si sistemò il vestito, il segno universale che qualsiasi cosa lei avesse sottinteso poco prima era stata molto probabilmente schiacciata dalla realtà e da Adara. Ian capì che convincerla ad andare via con lui ora avrebbe richiesto più delle sue capacità di persuasione. Ma arrendersi non era nel suo stile.

Adara rimase al suo posto vicino alla porta, chiaramente non andando da nessuna parte, rivolgendo all’uomo il suo sguardo di disapprovazione. “Quindi è uno di quei tipi.” Gia scosse la testa. “Dar...” “Sono sicuro di non sapere a cosa si riferisce,” la interruppe Ian, dolcemente. Ma lui lo sapeva. Era uno di quei tipi. Il ragionamento dietro l'azione non faceva differenza agli occhi del mondo. Per fortuna, a Ian non importava il modo in cui la maggior parte del mondo interpretava le sue azioni. “Allora sono felice di chiarire.” La voce di Adara scattò con biasimo e sebbene l'avesse solo incontrata, Ian sospettava che sarebbe stata una formidabile avversaria in tribunale. “Una feccia succhiasoldi che sfrutta donne vulnerabili che affogano il loro dolore in troppa tequila.” Ian alzò le sopracciglia per l'accusa inaspettata. Non era esattamente il tipo che si era assegnato. Si staccò dallo sguardo tagliente di Adara per studiare brevemente Gia. I capelli di lei erano scompigliati ma le donavano un aspetto sexy, la sua bocca gonfia e rosea dai suoi baci e... dannazione. Era tentato di spingere Adara fuori dalla porta, chiudersi dentro con Gia e continuare a baciarla finché a nessuno dei due importasse chi lo interrompeva. Ma il rossore sul volto di lei poteva essere dovuto a troppa tequila, non solo al desiderio, e il luccichio nei suoi occhi da cielo estivo sembrava troppo simile al rimpianto per liquidarlo come uno stordimento indotto dalla lussuria. Ian avvertì il suo stomaco contrarsi in un modo fastidioso e indesiderato. Forse Adara aveva ragione e l'unico motivo per cui Gia era qui con lui ora era perché aveva bevuto troppo nel tentativo di dimenticare l'amore che aveva da poco seppellito. Poteva essere un manipolatore, poteva giocare per vincere, ma non si era mai approfittato di una donna ubriaca, che si trattasse di una scommessa o altro. E non apprezzava come tutti quei pezzi insieme gli spingessero un chiodo invisibile nel petto, dove si fermava, dolorante a ogni respiro. “Ha appena perso l'amore della sua vita.” La mano di Adara tremò leggermente mentre si sistemava i capelli color ebano dietro l'orecchio. “Non mi dica che non lo sapeva.”

“Non tutti interpretano sei mesi fa allo stesso modo, signorina Dumont,” rispose Ian con tono mite, senza far trapelare nulla delle oscure emozioni che si agitavano così vicino alla superficie. Sicuramente Gia non avrebbe ballato con lui, fingendo che fosse Joey. L'aveva baciato, non volendo che fosse la sua bocca ad assaggiare, a pizzicare, a divorare la sua. “Vada a farsi fottere, signor O'Connor.” Adara sollevò il mento. “Non merita nemmeno di parlare con Gia, figuriamoci di sedurla e il suo livello di ebbrezza non ha alcuna rilevanza su tutto ciò.” Questo, almeno, è vero. Gia gettò la testa indietro e gemette verso il soffitto. “Non sono completamente distrutta, Dar. Torniamo alla festa.” Ma Adara non aveva ancora finito con lui. “Joey era qualcuno di cui lei è incapace di essere all'altezza, in qualsiasi veste. Ha avuto un impatto positivo sul mondo, non ha scroccato il dolore e la sofferenza delle persone come un parassita succhiasangue. Amava Gia profondamente, completamente, in un modo che uno del suo stampo non potrà mai sperare di comprendere. La sua sola vicinanza a lei è un’offesa alla memoria di mio fratello.” A quel punto, Gia inspirò e sbiancò in viso. “’Stampo’ è una parola così ambigua.” Ian si raddrizzò dalla scrivania e si infilò le mani in tasca, avendo bisogno di un’ancora. Lui non era Joey, non gli interessava affatto la profondità dei sentimenti di Joey per Gia, non aveva alcun desiderio di competere con un fantasma. L'opinione di Adara non aveva alcun peso su chi o cosa fosse lui, ma aveva chiaramente colpito Gia con i riferimenti a Joey. Ian non ebbe problemi a decifrare negli occhi di Gia il guizzo di colpa che non c'era prima, i ripensamenti nei suoi bei lineamenti. Stava sul punto di ridere ad alta voce di fronte all'inamovibile blocco stradale che aveva davanti. Che la sua regina di bellezza lo desiderasse o meno, il solo stare con lui era un tradimento del suo amore per Joey. L'unico modo per curare la sua malattia era allontanarla da un ricordo e lui, più di molti altri, aveva capito che i ricordi potenti non cedevano mai la loro influenza, aggrappandosi con una presa eterna. “Quando Joey è morto,” continuò Adara, con la voce leggermente rotta

dall’emozione, “il mondo ha perso un organo vitale, una sua parte che non ricrescerà.” Gli occhi di Gia scintillarono, luminosi e feroci come un fulmine. “Quel giorno noi abbiamo perso una parte vitale delle nostre vite e non c'è niente su questo mondo che possa sostituirla, certamente non un'indecorosa palpata in una stanza buia sul retro.” Le spalle di Gia si afflosciarono e la devastazione totale sul suo volto fece un danno irreparabile alla coscienza volubile di Ian. Avrebbe potuto perdere l'opportunità di eliminare la sua crescente infezione per lei quella sera, ma poteva assolvere Gia dalla colpa di Adara, almeno per quanto riguardava Joey. Non era disonorevole per la memoria di qualcuno desiderare qualcun altro dopo una perdita, e se Adara credeva o meno che sei mesi fossero sufficienti per il lutto, era evidente che Gia non ci credeva abbastanza da prendere posizione. Avvocato qual era, abituato ad abusi di ogni tipo, avrebbe difeso il caso per Gia, gratuitamente. Ma lei era da sola con il resto della situazione di Adara. “Non ho nessuna voglia di infangare il prezioso ricordo di suo fratello, signora Dumont.” Ian ignorò lo sguardo sprezzante della donna. “E la signorina Hellman non sarebbe mai stata in questa stanza buia con me se io non avessi, come lei ha generosamente detto, approfittato di una donna vulnerabile.” Ian ignorò il peso dell'attenzione di Gia su di lui e scrollò le spalle. “C'era la scommessa che non sarei riuscito a convincerla a baciarmi prima della fine della festa. Non perdo mai e se l'avessi persuasa ad andare oltre un bacio, non avrei certo giocato all'eroe d'onore e perso l'opportunità.” Adara si irritò, ricordandogli un gatto nero che inarca la schiena, gonfio e pronto a tirare fuori gli artigli. Ian fu leggermente sorpreso che Adara non sibilasse. “Lei è una triste scusa per un essere umano di livello inferiore.” “Così mi hanno detto.” Ian si incamminò verso l'uscita, recuperando lungo la strada il suo maglione e la giacca di pelle. Sulla porta, incontrò brevemente lo sguardo di Gia. Lei lo studiò con un'espressione strana, come se lui fosse un enigma che non riusciva a risolvere, senza il disgusto che si aspettava. Ian annuì. “Godetevi il resto della festa, signore.” Le parole mormorate da Adara, tutte rivolte al suo carattere o alle sue mancanze, svanirono sotto il sordo ruggito nella sua testa mentre continuava ad andare avanti, creando più distanza tra sé e dove voleva essere. Joey. Andato, quasi

dimenticato, un muro invalicabile tra lui e Gia, una barricata all'antidoto di cui aveva un disperato bisogno. Gestire il futuro con Gia vicina e intoccabile, con l'eco dei suoi baci al lime e tequila e le sue curve morbide che gli bruciavano dentro come una febbre, sarebbe stata una sfida, una sfida che sospettava avesse il potenziale di distruggerlo. Rubare un assaggio di lei stasera gli era costato. Prima, il suo fascino era stato feroce ma gestibile. Ora la voleva con una forza che era scomodamente vicina alla disperazione. Ma finché Gia non fosse stata pronta, avrebbe dovuto esplorare le sue opzioni, trovare altri rimedi temporanei e sperare di sopravvivere alle fiamme che lei gli aveva lasciato nelle vene. Avrebbe dovuto praticare la moderazione ed evitarla in ufficio il più possibile, non parlarle e certamente non toccarla. Chiuse brevemente gli occhi al ricordo bruciante della pelle di velluto di Gia, della sua bocca dolce e peccaminosa sotto la sua. Poteva aver vinto la scommessa dell'ufficio stasera, ma aveva perso il vero premio.

Capitolo otto

Lunedì sarà uno schifo. Afferrando la gonna per trattenersi dal correre dietro a Ian e colpirlo con la scarpa, Gia si accontentò di fissare lo spazio dove lui era scomparso. Non era sicura di cosa avrebbe fatto se lo avesse raggiunto, in ogni caso, o quale emozione lanciargli addosso. Ce n'erano troppe che le giravano intorno con una forza da tornado per concentrarsi su una sola. Inoltre, non aveva individuato se la stanza che girava fosse il risultato dell'assunzione di margarita o i postumi dei momenti ionali al buio con Ian O'Connor. Gia si appoggiò alla scrivania dove aveva pensato di godersi tutto il piacere che Ian aveva da offrire. Porca miseria, quest’uomo sa baciare. Tutta la frustrazione che la avvolgeva, lasciandola dolorante e vogliosa, era interamente colpa di lui. E il modo in cui se n'era andato con tanta disinvoltura, come se l'ultima mezz'ora l'avesse lasciato indifferente, come se non avesse significato nulla, aveva aggiunto un tocco di furia... Pur sapendo cos'era, cosa voleva da lei, si era innamorata del suo fascino, stordita dalla luce delle stelle, dalla sua bocca straordinaria e dalle sue mani ammalianti. Ma per quanto le sarebbe piaciuto biasimarlo per averla sedotta e aver vinto la scommessa, quella perdita era tutta colpa sua. In un momento di debolezza, si era lasciata manipolare da lui. Peggio ancora, non riusciva a pentirsene. Affatto. Sulla porta, con le braccia conserte, Adara la fissava con occhi color grigio tempesta, aspettando chiaramente che Gia fe la prossima mossa. La gola di Gia si strinse. E fu allora che arrivò il peso del rimpianto: non il fatto di aver lasciato che Ian sciogliesse le sue inibizioni o di aver perso clamorosamente la scommessa e di doverne affrontare le conseguenze lunedì, ma il dolore di Adara. Osservare il breve crollo di Adara era stata la ragione per cui non aveva rincorso Ian o si era difesa e invece era rimasta insensibile, incapace anche solo di sollevare una lieve protesta mentre lui sopportava il peso dell'ira di

Adara. L'agonia nelle sue parole, il dolore nella sua espressione, così profonda e cruda, aveva fatto a pezzi Gia. Abbandonare Adara dopo quell'inusuale manifestazione di emozioni, scegliere Ian invece del loro comune dolore, la connessione che condividevano attraverso Joey, sarebbe stato un tradimento imperdonabile. Per Adara e per l'imperituro amore e rispetto che ciascuna di loro conservava per Joey, avrebbe cercato di dimenticare che, per un momento, aveva di nuovo tenuto la magia in entrambe le mani, solo per farla sparire con la luce. Per il suo bene, avrebbe fatto del suo meglio per ignorare che era stato Ian a riaccendere quella scintilla. Avrebbe dato la colpa della sua debolezza a un margarita di troppo e avrebbe lasciato il ballo, il bacio e il brivido di stare al buio con Ian alle fantasie segrete di mezzanotte. Ma non condivideva la convinzione di Adara che la vita fosse rimasta in pausa dalla morte di Joey. Il mondo di Gia aveva vacillato nel perderlo - non l'avrebbe mai negato - e anche se sei mesi non erano abbastanza per far finire il periodo di lutto, erano abbastanza per respirare di nuovo. Gia aspirò una profonda boccata di ossigeno e ed espirò. “Dar, stai bene?” “Perché non dovrei stare bene?” Gli occhi di Adara lampeggiarono come un fulmine. “Non sono io quella che stava in una stanza buia con un libertino.” Gia strinse le labbra e distolse lo sguardo, decidendo di non parlare. Dire ad Adara di farsi gli affari suoi avrebbe creato una spaccatura che non voleva. Ricevere in faccia il dolore di Adara era troppo crudele. Difendere Ian e le sue scelte le avrebbe fatto guadagnare una lezione di una settimana. Spiegarle che era stata più che disposta a rimanere fino all'alba al buio con lui avrebbe potuto provocare un'esplosione nucleare. “Non ti sto accusando di nulla, G. È solo che non voglio vederti soffrire.” Le linee intorno alla bocca di Gia si ammorbidirono e Adara disincrociò le braccia. “Sai perché Joey mi ha fatto promettere di accettare ogni invito agli eventi sociali che mi proponevi?” Sì, per impedirti di isolarti dal mondo e affogare nel tuo dolore. “Perché ami le feste?” “Dannazione.” Adara roteò lo sguardo. “Perché sapeva che avresti dimenticato

come ti amava, che non hai bisogno dell'approvazione o della lussuria.” “Non l'ho dimenticato.” Gia sentì le lacrime bruciarle gli occhi. Attraversò la stanza e gettò le braccia attorno ad Adara. “Mi manca.” “Lo so.” Non essendo una persona che amava gli abbracci, Adara le diede una goffa pacca sulla schiena. “Voglio che tu mi prometta una cosa, G.” “Certo.” Gia sbatté le palpebre bagnate e si rilassò. “Qualsiasi cosa.” “Basta con Ian O'Connor. Sei meglio di quello che ti offre in cambio. Ti meriti un uomo che ti ami veramente - tutta te stessa, per sempre - non che ti à solo per qualche ora.” “Io...” “Promettimelo, G.” Adara posò una mano su ciascuna delle spalle di Gia e strinse delicatamente, sostenendo il suo sguardo. “Non baciare più nessun tipo di avvocato marcio e schifoso. La tua identità non è legata a nessun uomo, non a Joey e certamente non a Ian O'Connor. Se un uomo ti sceglie per qualsiasi motivo, tu non sei obbligata a sceglierlo. Voglio che tu sia felice, e svendersi non è il modo per trovarlo.” Dopo la confessione plateale di Ian e l'averla mollata senza un briciolo di rimpianto, non le aveva dato alcuna prova per credere che fosse stata più che il suo obiettivo della serata, messo da parte senza un secondo sguardo. La reputazione di Ian parlava da sola e Adara aveva ragione. Non voleva un altro uomo che la vedesse solo come un oggetto sessuale. Non le importava quanto sconvolgente potesse essere stato il mondo finché era durato. Per Dar. Per Joey. Per me stessa. “Prometto che terrò le mie labbra lontane da qualsiasi avvocato succhiasangue, specialmente se sono coinvolti i margaritas.” Adara sollevò il mento e nei suoi occhi brillarono sia il sollievo che l'umorismo. “Che si sappia che la legge sul pericolo di Ian O'Connor è ufficialmente stabilita.” “Brindiamo a questo, o...?”

“Assolutamente no.” Adara prese Gia a braccetto e la tirò verso la porta. “Ti accompagno a casa.” Ma mentre tornava a casa, nella quiete della macchina e nella notte che ava, Gia non riusciva a respingere la sensazione delle mani di Ian sulla sua pelle, delle loro bocche unite e di come, per un istante breve e ardente, nel buio fosse stata pienamente, fieramente viva.

* * * *

Il lunedì non era proprio quello che Gia si aspettava. Nessuno aveva sghignazzato quando aveva varcato la soglia dell’ingresso degli impiegati della Hamilton & Associates. Non c'era stato un solo movimento delle sopracciglia mentre appendeva il cappotto di lana, la sciarpa e il cappello, né un sorrisetto o un commento sprezzante da parte dei pochi colleghi che aveva incrociato mentre si infilava nei corridoi con tutta la dignità possibile fino al suo ufficio. Nessuno si era nemmeno sorpreso del fatto che avesse indossato un vestito beige e delle scarpe neutre per mimetizzarsi meglio tra le pareti. Era tutto come al solito. Forse sono entrata in un universo alternativo. Tutti dovevano sapere che aveva perso la scommessa con Ian, che lui l'aveva baciata stupidamente. E che aveva reso i sogni del suo fine settimana ridicolmente eccitanti. Ma era stato il regalo che aveva trovato sulla scrivania del suo ufficio, con la sua scintillante carta da regalo argentata e il nastro rosa vellutato, che le aveva fatto rivoltare lo stomaco. Erano trascorsi dieci minuti e ancora non l'aveva aperto. Gia appoggiò i gomiti sulla piccola pila di documenti che aspettava la sua attenzione e guardò la scatola. L'aveva lasciata nella tasca della giacca di pelle di Ian il sabato alla festa, dove l'aveva nascosta prima del fatidico ballo, quando tutte le sue inibizioni e il buon senso erano crollati sotto il sortilegio di lui. Il fatto che lui l'avesse lasciata nel suo ufficio prima che lei arrivasse al lavoro, piuttosto che sfruttare l'opportunità di molestarla, flirtare o tentare in altro modo di sedurla di nuovo, era una prova sufficiente che ogni parola detta ad Adara

fosse vera. Voleva vincere la scommessa - niente di più, niente di meno. Odiava che quella conferma le fe un po' male al cuore. “Buon lunedì, ragazza luccicante.” Karen entrò saltellante, indossando un dolcevita bianco, una gonna di pelle marrone e un paio di stivali al ginocchio in pelle scamosciata nera. Sollevò la mano per darle il cinque. “Dammelo.” Gia le diede una pacca sulla mano. “Cosa stiamo festeggiando?” “Va tutto bene, davvero”. Karen piantò i palmi delle sue mani sulla scrivania di Gia e si chinò con un’espressione seria. “Non devi fingere.” Gia sentì il viso avvampare. Tanto valeva far finire l'umiliazione. “Speravo di evitarlo almeno finché non avessi preso il tè del mattino.” “Il tè lo offro io. Grazie alla tua forza inarrestabile e alla tua inumana resistenza al fascino, mi hai fatto guadagnare qualche soldo in più per le spese di Natale.” Gia sbatté le palpebre. “Di cosa stai parlando?” “Le scommesse.” Karen tirò fuori una busta dalla cartella sotto il braccio e la gettò sulla scrivania accanto al regalo di Gia. “Ecco la tua parte.” Gia scosse la testa. “A essere sincera, ho scommesso contro O'Connor solo per sostenerti. Non pensavo che avresti vinto veramente.” Gli occhi verdi di Karen brillarono. “Sei un milione di volte più forte di me, Ragazza Scintillante.” Ci deve essere un errore. Forse le fonti di informazione di Karen avevano sbagliato tutto. “Sono sorpresa quanto te che Ian abbia confessato liberamente di aver perso” Karen appoggiò un fianco alla scrivania e giocherellò con la matita dietro l'orecchio - “soprattutto perché c'era la possibilità e nessuna prova del contrario. C'è stata, naturalmente, una speculazione quando siete spariti entrambi dalla festa per un po', ma non l'ho notato in tempo e tutti i miei uccellini si stavano divertendo troppo per rintracciare uno di voi due. La mia squadra di testimoni ha fallito.” Karen arricciò il labbro in segno di disgusto. “Saranno puniti per questo.” Ian ha mentito. Gia non riusciva a parlare, non riusciva a capacitarsi della

cosa. Perché Ian avrebbe dovuto mentire quando la verità gli avrebbe portato solo vantaggi? Odiava perdere e permettere ai loro colleghi di credere che non fosse riuscito a ottenere un bacio da lei sarebbe stato un duro colpo al suo ego maschile. Il battito di Gia ebbe un sussulto. L'ha fatto per me? “Ma quando se n'è andato con una delle bariste dopo la festa, ho capito che avevi vinto.” Karen si raddrizzò e si sistemò il maglione. “Non sarebbe mai andato a casa con lei se avesse potuto avere te.” Quel saltello nel suo cuore si appiattì. “Sentiti libera di gongolare.” Sorridendo, Karen agitò la cartella che aveva in mano e si voltò verso la porta. “Ho altre vincite da distribuire. Ci vediamo all'ora di pausa per il tè. Offro io.” Gia si appoggiò alla sedia. Affrontare le conseguenze di aver perso la scommessa con Ian sarebbe stato preferibile al sapere che lui era andato a casa con qualcun’altra sabato sera dopo aver ballato con lei sotto le stelle, averla baciata fino a farla diventare più inebriata da lui che dai margarita e averla accarezzata con quelle sue mani magiche. La pelle di Gia formicolava ancora ripensando a quelle carezze. Un avvocato succhiasangue. Indipendentemente dalle ragioni di lui per mentire, lei si sarebbe tenuta i soldi della scommessa. Avendo bisogno di qualcosa che le risollevasse l’umore, slegò il nastro rosa del regalo del signor Hamilton e sollevò la parte superiore della scatola. All’interno c’era un braccialetto con dei cristalli rosa dello stesso colore del nastro e dei ciondoli d'argento. Come sempre, Hamilton sapeva cosa comprarle. Gia si infilò il braccialetto al polso e andò a rimettere il coperchio sulla scatola. Una piccola busta bianca giaceva sul fondo, spuntando da sotto la carta velina. La tirò fuori e la aprì. Un buono regalo. Da Heelcandy. Un buono regalo molto generoso per Heelcandy. Il replay della settimana precedente, quando fissava la vetrina di Heelcandy e si sentiva triste, la colpì duramente. Come Ian si era presentato e la solitudine era diventata sopportabile.

Incapace di trattenere un sorriso, infilò di nuovo il buono regalo nella busta e lo rimise nella scatola per il futuro, quando avrebbe potuto permettersi di trovare il prossimo, perfetto paio di scarpe. Con cautela, Gia rimise il nastro e nascose la scatola nella sua scrivania, insieme ai suoi ricordi di una notte sotto le stelle tra le braccia di un uomo di cui ogni bacio era fatto di magia.

Iscriviti alla nostra newsletter e scopri tutte le nostre uscite di libri romantici, vendite e promozioni di eBook, anteprime ed eBook romantici GRATUITI!

Dai un'occhiata ai nostri altri marchi e alle librerie dedicate alla narrativa romantica:

Sull’autrice

C.J Burright è nata in Oregon e si rifiuta di andarsene. Membro della Romance Writers of America, anche se ha lavorato per anni in uno studio legale, sceglie di evitare di scrivere thriller legali (per ora) e invece invade il mondo del paranormal romance, fantasy, e contemporary romance. C.J. ha anche la sua cintura nera 4° Dan in Tae Kwon Do e crede che una storia non sia completa senza almeno una scena di lotta. Il suo scarso tempo libero viene speso per allenarsi, fare rifornimento di moka, fare giardinaggio, ingozzarsi di Assassin's Creed e tifare per i Seattle Mariners... sempre con la musica. Condivide la vita con suo marito, sua figlia e un devoto branco di gatti.

C.J. Burright restare in contatto con i suoi lettori. Potete trovare le sue informazioni di contatto, i dettagli del sito web e la pagina del profilo dell'autore su https://www.totallybound.com