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Beppe Forti, Quasi sedici!

© Beppe Forti

Collana “Ragazzi... e Genitori”

Prima edizione in formato pdf – 2011

Seconda edizione formato epub – 2012

Edizioni Esordienti E-book

ISBN: 978-88-6690-060-3

Immagine di copertina: (c) Can Stock Photo

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Beppe Forti

Quasi sedici!

Romanzo per ragazzi

1 – SCA E LUCIA Fino a quel giorno sca ne aveva combinate di tutti i colori, ma questa le mancava proprio. Prima di allora, infatti, non le era mai successo di ritrovarsi all'una di notte in un commissariato di polizia, guardata a vista dallo sguardo accigliato di un agente pieno di sonno. Non c'erano riviste da sfogliare in quella spoglia sala d'aspetto e la stretta panca su cui stava seduta non avrebbe potuto essere più scomoda di com'era. Dopo due ore d'attesa si sentì il fondoschiena piatto come un asse da stiro, ma non appena accennò ad alzarsi per sgranchire le gambe, il poliziotto la fulminò con lo sguardo. — Seduta! — le intimò. — Ma io... — provò a protestare lei massaggiandosi una natica indolenzita. — Seduta! — ripeté l'agente con l'aria di chi non ammette repliche. Raramente sca subiva un'imposizione senza protestare. Chiunque provava a contrapporsi a lei, madre, insegnante o amica che fosse, si trovava impelagato in un lungo ed estenuante dibattito al quale non c'era modo di mettere fine se non con l'imbestialirsi o con il cedere. Quella volta, però, sca comprese subito che non era né il momento né il luogo per piantare una grana e si rimise a sedere senza fiatare. Il poliziotto di guardia aveva l'aria assente di chi sogna la fine del turno di notte per rifugiarsi sotto le lenzuola. Un sogno talmente reale, che ogni tanto perdeva il controllo delle palpebre e le lasciava calare sugli occhi per qualche istante, in perfetta sincronia con il mento che gli pencolava sul petto. Il distacco dalla realtà durava non più di due o tre secondi, poi l'agente se ne rendeva conto e si scuoteva. Si guardava attorno con aria colpevole, gettava furtivamente lo sguardo sulla ragazza e, vedendola ancora al suo posto, tirava un sospiro di sollievo. Se fosse dipeso dall’agente, l'avrebbe sbattuta in cella di sicurezza senza pensarci due volte, ma il commissario aveva il cuore troppo tenero, e ora toccava a lui tenerla d'occhio in corridoio in attesa che qualcuno si fe vivo a riprendersela. A un tratto, in uno dei suoi piccoli cedimenti al sonno, l’agente iniziò perfino a russare e sca si lasciò sfuggire una piccola risata, dimenticando per qualche istante dove si trovava e perché.

— Che ridi a fare? — la rimproverò l’agente tornando improvvisamente in sé. Il sorriso della ragazza si spense in un nanosecondo. Quell'uomo aveva ragione, non c'era proprio niente da ridere. Una pattuglia l'aveva beccata con due amici mentre scorrazzavano in auto a più di cento all'ora in pieno centro, e nessuno di loro aveva la patente. Non poteva averla sca, poco meno che quindicenne, ma nemmeno i due ragazzi che lei credeva più grandi e che invece avevano appena diciassette anni, nonostante le arie da uomini fatti e vissuti che si erano dati quando li aveva conosciuti nel cortile della scuola qualche giorno prima. Il titolare dello studio di architetti in cui lavorava mamma Lucia aveva il pallino di discutere di importanti questioni di lavoro attorno al tavolo di un noto ristorante e capitava spesso che la donna uscisse di sera lasciando da sola sca. La ragazza ne approfittava alla grande e, appena la madre se ne andava, sgusciava fuori di nascosto anche se era buio pesto. Finora era sempre riuscita a rientrare prima di lei, infilandosi sotto le coperte e fingendo di dormire come un piccolo angioletto innocente, ma quella sera le era andata male. Intercettati da una pattuglia, i tre amici erano stati inseguiti per le strade di mezza città come volgari delinquenti e quando, finalmente, la polizia li aveva costretti ad accostare, si era verificato un fulmineo e confuso movimento all'interno della macchina che uno dei due ragazzi aveva sottratto di nascosto al padre. I poliziotti si erano avvicinati cautamente con le armi in pugno, ma avevano trovato vuoto sia il posto di guida, sia quello accanto, mentre i tre amici, pigiati sui sedili posteriori, li sbirciavano con l'aria più innocente del mondo. Gli agenti non avevano gradito lo scherzo. sca era stata fermata assieme ai compagni, caricata sulla volante della polizia, portata in commissariato, trattata come una criminale e perquisita da una poliziotta perfino dentro le mutande per controllare che non nascondesse della droga. Che vergogna! Mezzanotte era ormai ata e della madre di sca non si vedeva nemmeno l'ombra. Il suo capo pretendeva che durante le cene di lavoro i collaboratori spegnessero i cellulari e Lucia si dimenticava sistematicamente di riaccenderlo, così l'agente di guardia aveva dovuto accontentarsi di lasciarle un messaggio sulla segreteria telefonica di casa. I due amici della ragazza se n'erano già andati da un pezzo, presi in consegna dai

rispettivi genitori che, uscendo dal commissariato scuri in volto, avevano gettato uno sguardo truce su sca, attribuendole la colpa di tutto, come se una ragazzina di neanche quindici anni fosse davvero in grado di traviare due ragazzi di quasi diciotto. — Cosa ci si può aspettare da una come lei che porta il cognome di sua madre? No, in realtà non l'avevano detto, ma sca era sicura che l'avessero pensato. Così sicura che lei stessa, a volte, tentava di giustificare la propria irrequietezza agli occhi di mamma Lucia dando la colpa al fatto che lei non aveva mai avuto un padre. Era sicura, infatti, che una figura paterna sarebbe riuscita a contenere la sua esuberanza di adolescente inquieta. Era solo un alibi, lo sapeva benissimo, ma come argomento da opporre a Lucia non faceva una grinza e lo tirava fuori a ogni litigio. Per quanto riguardava la presenza materna, invece... beh, si poteva definire madre quella casinista che si ritrovava per casa? sca se lo chiedeva spesso. Più che una madre, infatti, Lucia sembrava una sorella maggiore rompiscatole che cercava disperatamente di imporle regole che lei stessa non riusciva mai a rispettare. Sempre affannosamente di corsa, Lucia non stava mai ferma un momento se non per rimproverare la figlia per quel che faceva e non faceva. Con la presenza di un uomo in famiglia le cose sarebbero andate diversamente, sca ne era sicura e fantasticava attorno a quadretti familiari molto simili a quelli che vedeva negli spot pubblicitari, con padre, madre e figli sempre felici e contenti di fare colazione con una famosa marca di biscotti, o a pranzare in perfetta armonia con un certo dado da brodo. La minestrina fatta con il dado era la base dell'alimentazione di casa Martini. Lucia lo metteva dappertutto risparmiando, forse, solo il caffè-latte e il tè, nella vana speranza che la sua insipida cucina si arricchisse di un po' di sapore. Mamma Lucia era sicuramente brava come architetto, ma come donna di casa e cuoca era una vera catastrofe. Per fortuna un paio di volte alla settimana andavano a pranzo o a cena dalla nonna e ogni tanto Maria Dolores, la colf colombiana, si impietosiva e si metteva ai fornelli preparando qualche gustoso piatto sudamericano. A prestare fede alla pubblicità, con tutto quel consumo di dadi, tra lei e sua madre avrebbe dovuto regnare un'armonia e una concordia invidiabili. Tuttavia l'unica cosa in cui sembravano andare d'accordo era nel finire ogni volta a litigare su tutto e per tutto.

sca aveva smesso da un pezzo di giocare con le bambole, ma alla bimba calma e riflessiva, un po' ingenua e pacioccona che era stata, si era sostituita in breve tempo una creatura inquieta e con una gran voglia di crescere. Come un serpente durante la muta, la ragazza tentava in tutti i modi di scrollarsi di dosso ogni traccia dell'infanzia, ma era costretta a un'interminabile e quotidiana polemica con la madre che si ostinava a vedere in lei sempre la stessa graziosa bambolina che era stata da piccola. Eppure sca, ormai, era alta come sua madre, tanto che, pur essendo un po' più esile, avrebbe potuto usarne il guardaroba, anche se difficilmente si sarebbe messa addosso quei tailleur sobri ed eleganti da professionista in carriera, rinunciando alle mini e ai jeans a vita bassa che portava abitualmente, nonostante gli inefficaci rimbrotti materni. Madre e figlia apparivano per il resto quasi come due gocce d'acqua: stesso ovale delicato del viso, stessa carnagione pallida, stessi tratti regolari, stessi grandi occhi castano chiari e stessi capelli, castani come gli occhi, con in più un'impercettibile sfumatura di rosso che Lucia amava accentuare con civetteria grazie ai sapienti ritocchi del parrucchiere di fiducia. Un miope avrebbe potuto scambiarle per due gemelle, ma mettendosi gli occhiali si sarebbe accorto di qualche lieve differenza negli zigomi, nel mento, nelle sopracciglia e nelle piccole ma inesorabili rughe d'espressione di Lucia, regalo non molto gradito degli anni. La somiglianza tra madre e figlia non si limitava all'aspetto fisico. Crescendo, infatti, sca aveva rivelato un carattere molto simile a quello di Lucia, caparbio, spigoloso e poco incline al compromesso. La somiglianza era letteralmente esplosa all'inizio dell'adolescenza e Lucia si rammaricava di non riuscire più a riconoscere nella figlia la piccola e adorabile Paciocchi , nomignolo che le aveva dato quand'era ancora poco più che poppante e sembrava pacifica, serena e per di più tonda come una pallina. Adesso che era cresciuta, sca appariva a volte a Lucia come un'intrusa odiosa e intrattabile che girava ciondolando svogliatamente per casa, studiava poco e male, aveva un pessimo rapporto con il mondo degli adulti e possedeva una straordinaria predisposizione per mettersi nei guai.

2 - IL COMMISSARIO VENTURA La porta del commissariato si aprì e Lucia entrò con un diavolo per capello. Bella ed elegante come sempre, la donna inquadrò la figlia con lo sguardo e si fiondò su di lei con il dito puntato, ignorando l'agente che si era rizzato in piedi con un po' di soggezione per chiederle in cosa potesse esserle utile. — Cos'hai combinato questa volta? — l'apostrofò inviperita. sca, senza quasi accorgersene, scoppiò in un pianto dirotto. Lucia restò sorpresa nel vedere la reazione della figlia e la sua rabbia sbollì in un istante. "Nonostante tutto è ancora una bambina", pensò. "Nonostante il comportamento ribelle, la minigonna, l'ombelico in bella vista e le sigarette che di sicuro fuma di nascosto, è sempre una bambina. La mia bambina!" — Ti credevo a dormire già da un pezzo, invece il letto era vuoto! E la segreteria telefonica mi annuncia che sei al commissariato! Cos'hai combinato, Paciocchi? — le chiese, addolcendo il tono della voce e tornando a usare dopo tanto tempo il buffo nomignolo. — Signora, il commissario le vuole parlare — la richiamò il piantone prendendola discretamente per un braccio. — Ma cos'ha fatto? — chiese con apprensione Lucia. — Le spiegherà tutto il commissario. Venga, intanto la ragazza l'aspetterà qui. La donna si sciolse dall'abbraccio con la figlia e si lasciò condurre dall'agente dentro una stanza. All'interno, seduto dietro alla scrivania, c'era un uomo sulla quarantina, alto, un po' stempiato e con i capelli leggermente striati di grigio. — La signora è la madre della minore Martini sca — annunciò il poliziotto. — Ah, prego, signora, si accomodi — la invitò cortesemente il commissario alzandosi in piedi e indicandole una sedia. — Cos'ha combinato mia figlia? — chiese Lucia sedendosi.

Rendendosi conto della straordinaria somiglianza della donna con la ragazza, il commissario restò a bocca aperta a guardarla, anche perché Lucia era davvero molto bella. — Cos'è successo a mia figlia, dottor Ventura? — ripeté la donna, sbirciando il nome del funzionario che campeggiava sulla scrivania. — Ragazzate, signora — dichiarò l'uomo tornando in sé. — Ragazzate che però potevano avere conseguenze gravissime — e in poche parole le spiegò l'accaduto. — Dio mio... Io non so più che fare con quella ragazza! — sca era rimasta sola a casa? — Speravo di potermi fidare. In fondo ha quasi quindici anni! — Evidentemente non sa ancora badare a se stessa. Il padre cosa dice? — Il padre non c'è... non c'è mai stato. sca porta il mio cognome. — Ah, non lo sapevo... — Che conseguenze avrà la bravata? — Trattandosi di minorenni, io sarei tenuto ad avvisare il Tribunale dei Minori e i servizi sociali. Però, come ho già detto ai genitori degli altri ragazzi, tenendo conto che in fondo non è successo niente, che non si sono fatti del male, né lo hanno fatto ad altri, beh, credo si possa chiudere un occhio. — Oh, grazie, dottor Ventura! — Non mi ringrazi, signora — sospirò il commissario dopo un istante di esitazione. — La realtà è che uno dei due ragazzi è figlio di un assessore comunale. Se mi sono state fatte pressioni per uno, devo per forza chiudere un occhio anche per gli altri due. Però sua figlia deve capire che l'ha combinata grossa e che non può andare sempre così bene. Se dovesse succedere un'altra volta... — Non succederà, dottor Ventura, ne stia certo! — lo interruppe Lucia con uno

sguardo carico di riconoscenza. — Me lo auguro, signora! E adesso è tardi, porti a casa sua figlia! — la esortò lui alzandosi e porgendole la mano. Lucia gliela strinse forte e si avviò verso la porta, ma prima di uscire si girò. — Lei dev'essere una brava persona, dottor Ventura. Ha figli? — gli chiese. — No, signora, non sono sposato — rispose l'uomo arrossendo. — Beh, nemmeno io, per quello! — sorrise impacciata lei uscendo dall'ufficio.

3 - LA RIVELAZIONE Una settimana dopo Lucia rientrò nel tardo pomeriggio e si diresse verso la stanza di sca che stava finendo i compiti seduta al tavolino. — Dio che stanchezza! Sono stata per cantieri tutto il giorno! — sospirò e si sedette sul letto togliendosi le scarpe e mettendosi a massaggiare i piedi doloranti. — Stamattina sono andata in questura a ritirare il aporto nuovo — riprese, smettendo per un istante di strofinarsi le estremità ed estraendo dalla borsa il documento. — Fammi vedere come sei venuta! — cinguettò sca scattando in piedi e togliendoglielo di mano. Lucia l'adorava quando aveva ancora quegli scoppi improvvisi di curiosità infantile. Peccato fossero ormai così rari. — Oh, mamma! — esclamò la ragazza scoppiando a ridere. — Sì, lo so, non sono venuta molto bene — sospirò Lucia. — No, mamma, non è per la foto! — rispose sca sganasciandosi dalle risate. — Che cosa mai ci sarà di tanto esilarante in un aporto? — le chiese la donna strappandoglielo di mano. — La data di nascita, mamma! Non te ne sei accorta? — Che avrà mai di tanto buffo la mia data di... — protestò Lucia che cominciava a seccarsi. — Oh, merda! — mormorò interrompendosi a metà. Qualche impiegato della questura si era sbagliato a trascrivere i dati anagrafici e l'aveva ringiovanita di vent'anni tondi tondi. — Hai diciotto anni appena compiuti, mamma, non sei contenta? — No, che non sono contenta! Con tutti gli impegni che ho, non potrò tornare in questura prima della fine della settimana prossima! L'unica volta che non mi prendo all'ultimo momento, guarda che cosa mi combinano gli altri! Era proprio vero, povera Lucia! Una volta tanto che riusciva a organizzarsi in

anticipo, era costretta, non per sua volontà, alla solita corsa contro il tempo! — Ne ho bisogno all'inizio del mese prossimo! Dobbiamo fare un sopralluogo in Turchia per la realizzazione di un villaggio turistico. Ah, tutta colpa del commissario Ventura! — concluse chiudendo il documento e gettandolo di malavoglia sul tavolino di sca. — Che c'entra il commissario Ventura? — chiese la ragazza incuriosita. — Ero allo sportello della questura mentre stavo ritirando il aporto. Il commissario era di aggio, mi ha vista ed è venuto a salutarmi. — Hai perso la testa e non hai controllato i dati! — insinuò sca con un lampo malizioso negli occhi. — Non dire stupidaggini, Paciocchi! — la rimproverò Lucia arrossendo e omettendo di raccontarle che Ventura l'aveva invitata a prendere un caffè e lei c'era andata, felice di andarci, perché quell'uomo non le dispiaceva. — È stato solo gentile! — Non è poi così gentile come credi il tuo commissario, mamma! Quando gli agenti ci hanno portato da lui, quella sera, ci ha trattati così male che perfino i due ragazzi sono scoppiati a piangere. Che figura di merda! — Ti ho insegnato io a esprimerti così? — Sì, mamma, tu lo dici sempre! L'hai detto anche un attimo fa! E qualche volta ne spari anche di peggio! — replicò prontamente sca. — Oh, beh... insomma... sempre... beh, sì, qualche volta mi sarà anche scappata qualche parolaccia, magari perché mi hai fatto perdere la pazienza... Comunque tu non lo devi dire! — Non capisco perché quel che vale per me non debba valere anche per te! — Perché io ho trentotto anni e tu quattordici! — Quindici! — Non li hai ancora compiuti! E poi io sono tua madre e tu sei mia figlia!

— Oh, mamma! — protestò la ragazza aprendo le braccia con aria sconsolata, perché qualche volta si sentiva impotente a rintuzzare i categorici diktat di Lucia, ignorando che la donna provava la stessa sensazione con lei. — Ogni volta che ci mettiamo a chiacchierare finiamo sempre per discutere e litigare! È mai possibile? — È vero, hai ragione — ammise la madre. — Sai perché ci becchiamo sempre, mamma? Perché io e te siamo troppo uguali e siamo sempre tra noi. Se ci fosse un uomo in famiglia, un padre, sarebbe diverso. — E dai, ancora con questa storia! Un padre non c'è e non c'è mai stato. Io l'ho accettata da un pezzo questa realtà! La devi accettare anche tu! — Vuoi vedere che sono nata per opera dello Spirito Santo? — Ma cosa stai dicendo? — la rimproverò Lucia scandalizzata. — Mamma, ormai lo so come nascono i bambini! Devo pure averlo avuto anch'io un padre! Perché non me ne vuoi mai parlare? Lucia era sempre riuscita a rintuzzare la curiosità della figlia, tuttavia era consapevole che sca non era più una bimba e aveva tutto il diritto di sapere. — Credo che tuo padre non sappia nemmeno che sei al mondo. E anche se lo sa, lo ha sempre ignorato — le rispose seria dopo un lungo silenzio. — Che significa? — le chiese sca con il cuore che batteva forte, perché le era parso che mamma Lucia si fosse finalmente decisa a raccontarle tutto. — Significa che frequentavo tuo padre da poco tempo quando lui decise di andare a fare un giro per conto suo in Sud America. Diceva che non aveva voglia di continuare a studiare. Preferiva tentare la fortuna in un paese che a quei tempi offriva un sacco di opportunità. — E tu l'hai lasciato andare? — E che potevo fare? Impedirglielo? E come? Da quel giorno non ne ho più

saputo niente, a parte una cartolina con l'indirizzo di un albergo di Santa Paz, la capitale del Belumbia, scritta un mese dopo la sua partenza. Mi chiedeva di raggiungerlo, ma io non avevo nessuna voglia di andare laggiù. Volevo finire l'università e non mi andava di ridurmi a fare la fricchettona nel Belumbia! — Ma io c'ero già? — No, quand'è partito né io né lui sapevamo che stavi arrivando. Quando me ne sono resa conto, gli ho scritto due o tre volte, ma lui non mi ha mai risposto. — Forse non ha mai ricevuto le tue lettere... — Non lo so e a questo punto poco mi importa. Tu sei nata e cresciuta. Senza di lui. — Ma... tu ne eri innamorata? — Sì, o almeno lo credevo, ma evidentemente a lui non importava nulla di me, altrimenti non sarebbe partito. — Perché non hai fatto nient'altro per cercarlo? Avrà pure avuto una famiglia qui in Italia... — È vero, anch'io l'ho pensato, allora. Ma quando ho capito che di me non gli importava un bel niente, per un po' mi sono disperata, poi mi sono resa conto che lui non meritava tante lacrime. Così ho deciso di lasciar perdere e di tirarti su da sola. Quanto a caparbietà e orgoglio, madre e figlia si assomigliavano parecchio e sca comprese perfettamente perché Lucia, sentendosi rifiutata, avesse preso la drastica decisione. Con la sua intransigenza, tuttavia, aveva privato lei della presenza di un padre. Avrebbe voluto farglielo notare, ma decise di lasciar perdere. Temeva che il momento magico si sarebbe interrotto e la confidenza che le stava dimostrando Lucia si sarebbe tramutata nell'ennesima discussione. — Non hai più saputo niente di lui? Sarà pure tornato in Italia qualche volta — si limitò a chiederle. — Tempo addietro un vecchio compagno di università mi ha detto di averlo incontrato per caso durante un viaggio di lavoro in Belumbia. Gli ha raccontato

di aver avviato laggiù una specie di attività commerciale, per cui penso viva ancora lì. — E come si chiamava? — Flavio Vitali — rispose mamma Lucia e senza dire altro si alzò in piedi rifugiandosi in camera sua. sca si morse un labbro. Forse quei discorsi avevano scatenato in sua madre ricordi troppo brucianti e le dispiacque. In fondo le voleva bene e le dispiaceva che il momento delle confidenze si fosse così bruscamente concluso. Dopo qualche istante, invece, la madre tornò con in mano una cartolina e una fotografia. — Ecco — disse, porgendo i due cartoncini alla figlia. — Questa è la cartolina con il suo ultimo indirizzo e questa è l'unica foto che ho di lui. sca afferrò con impazienza le due immagini. Nella cartolina appariva una cattedrale barocca annerita dal tempo e nel verso la ragazza lesse un laconico "Ciao! Perché non mi raggiungi?" seguito dalla firma e dall'indirizzo di un hotel di Santa Paz de Belumbia. Nella foto, invece, riconobbe la madre a poco più di vent'anni in compagnia di un ragazzo biondo, più o meno della sua stessa età e un po' più alto, con i capelli lunghi acconciati come i rasta giamaicani. Lui aveva un sorriso aperto e spensierato e stringeva in mano il manico di una chitarra, mentre con l'altra cingeva le spalle di Lucia. Il ragazzo non era male, però nell'immagine di quella coppia apparentemente felice c'era qualcosa che strideva. Lucia, infatti, aveva un'aria da ragazza tranquilla; lui, invece, mostrava un aspetto zingaresco, impertinente e scanzonato. Peccato che lo strano idillio fosse durato solo qualche mese, pensò sca. Tempo più che sufficiente, tuttavia, per mettere in moto la sua esistenza.

4 - LA SCOMPARSA DI SCA Il commissario Ventura era sommerso da una pila di carte. Giornata tranquilla quella. Tanto tranquilla da essere quasi noiosa. — C'è una signora che chiede di parlare con lei — gli annunciò il poliziotto di turno chiamandolo sulla linea interna e il commissario gli ordinò di farla are. Quando Lucia Martini si affacciò sulla soglia dell'ufficio, Ventura provò due sentimenti contrastanti. Da una parte fu piacevolmente sorpreso che dopo quel fugace caffè, la bella signora avesse pensato di are a salutarlo, dall'altra si rese conto che non poteva essere una visita di cortesia e che sicuramente la vivace figliola della donna doveva averne combinata qualche altra delle sue. — Dottor Ventura, mia figlia è scomparsa! — gli annunciò lei senza perdersi tanto in convenevoli. — Da quando, signora Martini? — le chiese lui facendola accomodare. — Non lo so. Il mio studio sta ristrutturando un casale in Umbria e mi sono dovuta assentare un paio di giorni per controllare i lavori. Così sca è rimasta a casa... da sola... — Ma come? Dopo quello che è successo l'altra settimana, lei continua a lasciarla a briglia sciolta? E per ben due giorni?. — Non è stata leggerezza da parte mia — replicò Lucia, un po' risentita che l'uomo la richiamasse ai suoi doveri di madre. — Vede, dopo quella sera sca sembrava cambiata e io ho voluto darle una prova di fiducia. Sapesse che caratterino ha mia figlia! Fino a qualche anno fa era buona, calma e tranquilla, ma da quando è cresciuta faccio una fatica! Ho provato a responsabilizzarla, nella speranza che il nostro rapporto potesse migliorare. Ieri sera l'ho chiamata e non mi ha risposto, né sul telefono fisso né sul cellulare, così ho lasciato perdere il casale in Umbria e sono tornata di corsa. Evidentemente mi sono sbagliata, non dovevo fidarmi! Il commissario non sapeva quanto costasse alla donna quella ammissione, ma qualcosa intuì quando, dopo un istante di silenzio, vide una lacrima scenderle sulla guancia.

— Suvvia, signora, si tranquillizzi! Vedrà che si tratta solo di un'altra bravata! — cercò di confortarla intenerendosi. — Lo spero tanto, dottor Ventura — rispose Lucia soffiandosi il naso. — Con tutto quello che si sente in giro, si teme sempre il peggio. Già, pensò l'uomo. Anche la sua professione lo induceva a temere sempre il peggio e di cose brutte ne aveva viste parecchie, anche di atroci, ma la bella signora seduta davanti a lui in quel momento aveva solo bisogno di essere rassicurata. — Inutile chiederle se ha già cercato presso amici e parenti. — Certo, dottor Ventura. Nessuno l'ha più vista da ieri mattina, neanche la colf che ieri pomeriggio ha pulito la casa. Le sue compagne mi hanno detto che non è nemmeno andata a scuola... — e così dicendo scoppiò in un pianto dirotto che a stento aveva trattenuto fino a quel momento. Ventura si alzò, fece rapidamente il giro dell'ampia scrivania e andò a metterle una mano sulla spalla. — Su, signora Martini, non pianga. Vedrà che tutto si risolverà in una bolla di sapone — cercò di confortarla, ma la donna scosse la testa e continuò a singhiozzare, tanto che Ventura chiamò un agente e si fece portare dell'acqua. — Su, signora, beva! — la esortò porgendole un bicchiere di carta. Lucia lo afferrò e ne bevve prima un sorso, poi un altro e infine trasse un profondo sospiro. — Mi perdoni, signor commissario, ma ne avevo un gran bisogno! — si scusò. Si soffiò il naso e dopo avere asciugato le lacrime con un fazzoletto di carta, bevve un altro lungo sorso d'acqua e finalmente si calmò. — Adesso andremo a casa sua e cercheremo di capirci qualcosa — dichiarò Ventura. — Frugheremo tra le cose di sua figlia, nella memoria del computer. Vedrà che qualcosa salterà fuori. Dopo nemmeno mezzora erano a casa Martini. Un giovane agente esperto di informatica si mise davanti al computer di sca e intanto il commissario seguì Lucia nelle varie stanze mentre la donna, su suo consiglio, cercava di capire cosa indossasse la figlia al momento di sparire nel nulla e se avesse portato con sé degli indumenti.

— Le sue cose sembrano tutte al loro posto e anche borse e zainetti — dichiarò sconsolata dopo una breve ricerca dentro armadi e cassetti. — Non se n'è andata con l'intenzione di stare via dei giorni! Ma allora è più angosciante ancora! — Non tragga conclusioni affrettate, dottoressa Martini — la esortò Ventura. — Guardi meglio! Guardi anche tra i suoi indumenti, non si sa mai! E poi controlli che per caso non abbia preso contanti, bancomat, carte di credito! Guardi bene! Lucia aprì l'armadio e cominciò a frugare tra i vestiti. — Ma... oh, questa, poi! Gli indumenti di sca sono tutti al loro posto, ma ne sono spariti un bel po' dei miei! — esclamò esterrefatta. — Avete la stessa taglia? — Praticamente sì, anche se lei è un po' più snella di me! Ma... che senso ha? Ventura non rispose. Si limitò a chiedere alla donna di verificare se era sparito qualcos'altro e lei, dopo una breve ricerca, si rese conto che avevano preso il volo anche una grossa valigia di plastica rigida e una borsa più piccola fatta a zainetto, che lei stessa usava come bagaglio a mano quando doveva spostarsi in aereo. — Che significa? — continuò a ripetere sempre più incredula, mentre una ricerca più accurata rivelò che era sparita anche una carta di credito e una tessera del bancomat. — Oh, no... — mormorò sgomenta, quando si rese conto che era sparito anche il suo nuovo aporto.

5 - FUGA DA CASA La mattina del giorno precedente, molto presto, sca era ancora in pigiama, seduta in cucina di fronte alla madre, che invece era già vestita e calzata, con la borsa pronta. Stavano facendo colazione assieme e Lucia aveva il muso lungo. — Non mi va di lasciarti da sola due giorni — mormorò a un tratto, rompendo il silenzio. — Quasi quasi telefono allo studio, dico che sto male e che in Umbria ci mandino qualcun altro. — Ecco, non ti fidi di me... — insinuò sca. Ben sapendo che la mamma ne avrebbe avuto tutte le ragioni, si sentì un verme. — No, non è che non mi fido. Il fatto è che ho paura che ti succeda qualcosa! Se la madre non fosse partita, il piano di sca sarebbe andato a rotoli e la ragazza decise di giocare il tutto per tutto. — No, la verità è che non hai nessuna fiducia in me! — replicò fingendosi risentita. Lucia si rese conto che sarebbe stata un'altra battaglia perduta e capitolò. — E va bene, me ne vado, ma mi raccomando! — disse alzandosi e spostandosi nell'ingresso. sca la seguì e Lucia esitò ancora qualche istante prima di aprire la porta per andarsene. — Fa' la brava — la esortò abbracciandola e sca si sentì una specie di Giuda in versione femminile. Per una frazione infinitesimale di secondo si chiese se non fosse il caso di lasciar perdere, poi si riprese e, con il cuore in tumulto, ricambiò con trasporto l'abbraccio. Lucia, separandosi da lei, la guardò in modo strano. Non era da sca dimostrarsi così affettuosa. — Vuoi che resti? — le chiese, quando aveva già un piede fuori della porta. — Nooo! Va' via! — sbottò la figlia alzando gli occhi al cielo. — Mi raccomando, non fare tardi a scuola — le raccomandò Lucia e dopo averle lanciato un ultimo bacio, se ne andò. sca corse alla finestra e restò a sbirciare la strada fino a quando vide la macchina della mamma immettersi nel

traffico. Subito dopo schizzò nello sgabuzzino, si arrampicò sullo scaffale e si tirò addosso una grossa valigia di plastica grigia. Con una furia e una rapidità che in quella casa non si era mai vista nel fare i bagagli, la riempì quasi esclusivamente con indumenti di sua madre, poi s'infilò in un tailleur che era allo stesso tempo sportivo e moderatamente elegante. Dopo aver raccolto i capelli sulla nuca come usava portarli la madre, si impegnò per almeno un quarto d'ora a stendere sul volto un trucco non troppo pesante che riuscì a conferirle almeno qualche anno in più. Si appropriò infine di un elegante zainetto in pelle e vi infilò dentro le ultime cose, i documenti per il viaggio scaricati da internet e il aporto di Lucia. "Funzionerà?" si chiese aprendolo e sbirciando foto e dati anagrafici errati. Con in corpo un'ansia mai provata prima, afferrò la cornetta del telefono e digitò il numero del radiotaxi, come aveva visto fare tante volte alla madre. Fu colta da un attimo di panico e un residuo di ragionevolezza le suggerì timidamente che sarebbe stato più saggio lasciar perdere, ma la voce stridula della telefonista schioccò nelle sue orecchie come una frusta. sca decise che ormai era in ballo e doveva ballare fino in fondo. Uscendo dall'ascensore si trovò davanti il ragioniere del terzo piano ed ebbe un tuffo al cuore. — Buon giorno, architetto! La trovo in gran forma! È in partenza? — le chiese l'uomo, accennando a sollevare leggermente il cappello dalla testa. — Sì, ragioniere, sto via qualche giorno! — rispose sca. — Beh, buon viaggio, allora! — concluse l'uomo infilandosi nell'ascensore. sca tirò un sospiro di sollievo, ma quel primo esame non faceva testo. Il ragioniere del terzo piano, infatti, era solo un vecchio bacucco miope e con la testa tra le nuvole. La vera prova avrebbe avuto luogo all'aeroporto. Scesa dal taxi all'ingresso delle partenze internazionali, per prima cosa sca si diresse verso una cassetta delle lettere, estrasse dallo zainetto una busta affrancata e la guardò per qualche istante quasi soppesandola, poi con un lungo sospiro la imbucò. Entrata nella grande hall dell'aerostazione, non impiegò molto a individuare il banco del check-in al quale presentarsi. Aveva già viaggiato spesso in aereo con Lucia e conosceva ormai la trafila. L'addetta al check-in ritirò il bagaglio e i moduli scaricati da internet, sbirciò il aporto e le

consegnò senza battere ciglio la carta d'imbarco. La ragazza si diresse verso la zona interna dell'aeroporto con le gambe che tremavano, infilò il bagaglio a mano nel piccolo tunnel dei raggi X e oltreò senza problemi il metal detector. Dovendo recarsi fuori dell'Unione Europea, sapeva che avrebbe dovuto sottoporsi al controllo del aporto e con la faccia più tosta che riuscì a tirare fuori, si presentò impavida al gabbiotto della polizia. Al di là del vetro c'era un agente molto giovane che dapprima guardò attentamente il documento, poi fissò sca in modo tale che per qualche istante lei ebbe la sensazione che il viaggio sarebbe finito ancor prima di cominciare. — Questa foto non le fa onore, signorina! — mormorò il poliziotto, ammiccando sornione. — La fa sembrare più vecchia! Lei è molto più carina al naturale! Così dicendo le restituì il documento e sca non rispose. Si limitò ad afferrare il aporto ostentando il sussiego di una vera signora e si allontanò con una smorfia di disapprovazione. "Possibile sia stato tutto così facile?" si chiese con le gambe che ancora le tremavano per l'emozione e per i tacchi che non era abituata a portare. Attraversando la lunga serie di negozi duty-free, il calo improvviso della tensione si manifestò con un crampo lancinante che si impadronì in pochi istanti delle sue viscere e sca dovette dirigersi poco gloriosamente e con una certa urgenza verso il bagno più vicino.

6 - L'AEROPORTO DI SANTA PAZ DE BELUMBIA — Il comandante ha il piacere di informare i eggeri che la discesa è già iniziata e tra pochi minuti atterreremo all'aeroporto internazionale di Santa Paz de Belumbia. Il tempo a terra è variabile e la temperatura è di trentadue gradi centigradi. Se volete regolare i vostri orologi sull'ora locale, a Santa Paz sono in questo momento le ventitré e quarantacinque. Si prega di tenere allacciate le cinture di sicurezza e di rimanere seduti fino al completo arresto dell'aeromobile. Il comandante vi ringrazia per la preferenza accordata alla nostra compagnia e vi augura un buon soggiorno in Belumbia. Più o meno fu questo il discorso che gli altoparlanti dell'aereo gracchiarono, prima in spagnolo e poi in inglese, mentre il malandato velivolo scendeva con improvvisi sbalzi di quota che avrebbero fatto are la voglia di volare anche al più navigato dei eggeri. sca aveva il cuore in gola e se ne stava con le mani aggrappate ai braccioli della poltroncina temendo che quella sarebbe stata davvero la sua ultima bravata. E pensare che era andato tutto bene, a cominciare dalla partenza dall'Italia, per finire allo scalo intermedio di Caracas. La parte drammatica del viaggio era iniziata quando, al momento di cambiare aereo, si era trovata davanti uno scalcinato bimotore a elica. Nonostante il sorriso a sessantaquattro denti di uno schianto di hostess mulatta che li attendeva sulla sommità della scaletta, i eggeri si arrestarono sgomenti davanti a quel catorcio che avrebbe fatto la sua bella figura dentro un museo dell'aviazione. L'alternativa era un viaggio in autobus di diversi giorni attraverso le ultime propaggini della Foresta Amazzonica, lungo una strada che spesso si interrompeva a causa di frane e inondazioni. Come dire che non c'era scelta! In realtà non erano molti i eggeri che si apprestavano a recarsi in quel piccolo paese dell'America centro-meridionale di cui gran parte del mondo ignorava l'esistenza. Nemmeno sca ne aveva mai sentito parlare, prima di scoprire che in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini avrebbe trovato notizie di suo padre. Si era documentata e aveva appreso che, se zanzare, mosche, anaconda e alligatori avessero avuto un valore di mercato, il Belumbia sarebbe stato un paese molto ricco. Anche una fonte inesauribile come il web aveva mostrato le sue lacune quando sca si era messa a cercare un volo economico per il Belumbia. Alla fine c'era riuscita e grazie alla carta di credito

di riserva di sua madre, adesso stava atterrando a Santa Paz, o almeno così sperava, perché gli sbalzi di quota continuavano e sentiva lo stomaco andarle su e giù. Perfino la hostess mulatta si era sbiancata e sembrava lì lì per restituire al mondo il suo ultimo pasto. In un modo o nell'altro l'aereo riuscì a toccare il suolo. Quando finalmente arrestò il suo zigzagare sulla pista e fu accostata alla fusoliera una scaletta arrugginita, i eggeri si precipitarono fuori sgomitando, mentre la hostess, sulla soglia della cabina di pilotaggio, inveiva in spagnolo contro il comandante, intercalando spesso nel suo concitato discorso la parola borracho [ubriaco]. Al momento di scendere dall'aereo e di sentire finalmente la terra sotto i piedi, sca giurò che al ritorno avrebbe preferito mille volte affrontare la foresta amazzonica. In quella giornata nella quale il sole sembrava non voler mai calare, finalmente era sceso il buio. Il viaggio, infatti, l'aveva portata ad attraversare parecchi fusi orari e, accompagnando il sole verso ovest, la luce del giorno sembrava non volersi più spegnere. sca pensò alla madre che ormai doveva essersi accorta della fuga. La sera precedente, non trovandola né al telefono fisso né al cellulare, sicuramente aveva lasciato a metà il sopralluogo in Umbria e si era precipitata a casa in preda a chissà quale angoscia. A quell'idea provò un po' di rimorso, ma cercò di convincersi che aveva già messo in conto ogni cosa e ormai era tardi per pentirsi. Guardandosi attorno, notò che l'edificio principale dell'aeroporto di Santa Paz de Belumbia non era molto più grande della stazione delle corriere della cittadina in cui la nonna andava a are l'estate. La pista era scarsamente illuminata e pur essendo l'aerostazione non più lontana di una cinquantina di metri, i eggeri furono invitati a salire a bordo di un autobus sgangherato il cui autista si dedicò per almeno una decina di minuti a far la corte alla hostess mulatta che non era ancora riuscita a riacquistare il suo splendido color caffelatte. Mentre attendeva che il mezzo si decidesse a mettersi in movimento, sca si sentì improvvisamente calare addosso tutta la stanchezza del viaggio. In Belumbia era solo mezzanotte, ma per lei era già mattina inoltrata ed era come se avesse ato la notte in bianco. L'autista dell'autobus non aveva ancora smesso di fare gli occhi dolci alla hostess e i eggeri aspettavano con rassegnata pazienza. Guardandosi attorno,

sca si sentì per la prima volta fuori posto, con documenti, abiti e identità che non erano suoi. Si rese conto che fino a quel momento il viaggio non era stato niente di fronte a ciò che l'aspettava una volta varcata l'uscita dell'aerostazione. Si ricordò improvvisamente di non avere ancora quindici anni e che, nonostante l'ala protettrice di mamma Lucia le fosse divenuta ormai insopportabile, era la prima volta che si trovava a districarsi da sola nel mondo, per di più in un paese lontano, sconosciuto e non privo di insidie. Si chiese se per caso non fosse impazzita e quando finalmente l'autobus si mise in movimento con uno scossone, ebbe la sensazione di essere sopra una specie di carretta dei condannati a morte. Sentì come se la propria esistenza dovesse cessare alla fine della corsa e pregò che durasse all'infinito, ma l'autobus, per quanto sgangherato, non ci mise che pochi secondi a percorrere la ridicola distanza che lo separava dall'aerostazione. sca si accodò agli altri eggeri e aspettò paziente che i bagagli fossero scaricati a mano sopra un piccolo tapis-roulant, poi si avviò verso i controlli doganali e quando finalmente mise piede all'esterno dell'aerostazione, si trovò in un piazzale quasi completamente deserto, circondato da una lussureggiante vegetazione tropicale appena rischiarata da qualche lampada. Davanti a lei gli altri eggeri sgomitavano e imprecavano in spagnolo per impadronirsi dei pochi taxi fermi ad aspettare. Qualcuno venne anche alle mani, ma alla fine tutti riuscirono a sistemarsi e a partire in direzione della città. Tutti tranne sca che, allibita di fronte a quella scena da assalto alla diligenza, si era tenuta prudentemente in disparte aspettando che gli animi si calmassero e ora si ritrovava da sola in un ambiente sconosciuto che improvvisamente le sembrava del tutto ostile. Non si sentì più tanto sicura di voler ritrovare suo padre. Si chiese cosa mai fosse venuta a fare in quel posto e si trovò a rimpiangere l'ala protettrice e invadente di mamma Lucia, che sicuramente avrebbe trovato il modo di indicarle una via d'uscita. "Chi volevo imbrogliare?" si chiese. Per la prima volta da quando aveva concepito quel viaggio, si rese conto di essere solo una ragazzina. Non sarebbe bastato il aporto della madre, né il tailleur che indossava, né tanto meno le scarpe con un po' di tacco a farla crescere all'improvviso. "Chi me l'ha fatto fare? Come me la cavo adesso?" si chiese scoppiando a piangere — ¿Qué pasa, señorita? — le chiese una voce femminile.

7 - I SOSPETTI DI LUCIA — Però, signora Martini... — osservò il commissario Ventura con una punta di ammirazione nella voce — Per aver architettato tutto questo da sola a nemmeno quindici anni, sua figlia deve essere una ragazza davvero in gamba! — Anche troppo, mi creda, dottor Ventura! Gliel'ho detto che talvolta sca mi sorprende, ma questa non me l'aspettavo proprio. — Secondo lei, sua figlia avrebbe approfittato dell'errore sul aporto e della vostra somiglianza, e sarebbe andata da sola alla ricerca del padre in Belumbia? — Proprio così! Non solo è sparito il aporto, ma anche l'unica foto del padre e la cartolina che lui mi aveva scritto da Santa Paz poco dopo la sua partenza. — Perché sca avrebbe fatto una cosa simile? — Perché quella del padre è sempre stata una fissazione per lei. Ne sentiva la mancanza e l'ha mitizzato. Qualche giorno fa è tornata sull'argomento e mi sono decisa a raccontarle tutto. Forse ho fatto male, perché in lei deve essere scattato qualcosa di imprevedibile. In quel momento qualcuno suonò alla porta e Lucia andò ad aprire. Era Maria Dolores, la colf colombiana, che da quando sca era sparita si era messa a completa disposizione di Lucia. — C'è posta per lei, señora Martini! — le annunciò brandendo una busta che aveva trovato nella cassetta delle lettere. Lucia gliela strappò dalle mani e riconobbe la grafia di sca. Ne lacerò con impazienza l'involucro e ne estrasse alcuni fogli fitti fitti scritti a mano. — È di sua figlia? — le chiese Ventura, ma la donna nemmeno gli rispose e iniziò a leggere avidamente. "Cara mamma, se tutto sarà andato come previsto, quando leggerai questa lettera io sarò già lontana. Immagino che tu abbia capito dove sto andando e ti starai chiedendo perché. In tutta sincerità, nemmeno io lo so. Ho in testa una gran confusione e

l'unica cosa che sento è che devo farlo. Ho sempre fantasticato su mio padre e tu lo sai. Da piccola mi piaceva immaginare che fosse un miliardario o un principe e quando mi hai parlato di lui e ho visto la sua foto, sono rimasta un po' sconcertata dalla sua aria scanzonata da zingaro felice. Bada bene, non ho niente contro gli zingari felici, ma non era il tipo di persona che mi sarei aspettata come padre. Tu spesso mi ripeti che l'abito non fa il monaco, ma mi sono fatta l'idea che Flavio doveva essere davvero molto diverso da te. Lui voleva andare in Belumbia a far fortuna e tu, invece, preferivi finire gli studi. Ho pensato allora che, pur volendogli bene, lo considerassi un po' troppo "per aria", mentre tu, invece, ci tieni ad avere sempre i piedi ben piantati per terra... o per lo meno ti piacerebbe, perché a volte, povera mamma, pianti anche tu di quei casini... Quando ho capito che tipo era il mio papà, ho cominciato a pormi delle domande. Mi sono chiesta, ad esempio, se per caso tu non avessi preferito allevarmi da sola perché non sopportavi l'idea che il carattere di Flavio potesse contagiarmi. Se fosse davvero così, sentivo che avrei potuto odiarti. Sostenendo, come al solito, di agire per il mio bene, in verità lo avresti fatto solo per il tuo, privandomi egoisticamente di un padre. Ti confesso che ho cominciato a parteggiare per lui, poi, però, ho avuto un dubbio: non poteva essere che, al contrario, Flavio fosse sparito perché non voleva assumersi la responsabilità di crescere una figlia? Mi sono resa conto che per trovare la risposta a tutte queste domande c'era un solo modo: sentire anche la sua versione. È stato così che mi è venuta l'idea di scappare di casa sfruttando l'errore sul tuo aporto e la nostra somiglianza. Ti assicuro che non è stata una decisione facile. L'idea a volte mi allettava, a volte, invece, mi metteva spavento: affrontare un viaggio del genere da sola non mi è mai sembrato uno scherzo. Mi chiedevo in ogni momento come avrei dovuto comportarmi. Continuare a fare la "brava bambina", come mi ero impegnata dopo la mia ultima bravata, o seguire l'impulso che mi spingeva a partire prima che tu riportassi il aporto in questura? Non sapevo davvero che fare, ma ero consapevole che, rinunciando, avrei rimpianto per tutta la vita di essermi lasciata sfuggire l'unica occasione per incontrare mio padre. Cara mamma, a volte mi sembra di avere in me due anime: quella tua, con la testa sulle spalle e quella zingara di Flavio. Spesso sento che le due anime fanno

a pugni tra loro e ti assicuro che ogni volta ci sto male da morire. È successo anche in questa occasione e tu hai già capito quale delle due ha vinto! Volevo scriverti un'e-mail, ma temevo che l'avresti letta prima del tempo e ti saresti fiondata in aeroporto a impedirmi di partire, così ti ho scritto una lettera come si usava ai tuoi tempi. La imbucherò domani mattina all'aeroporto, così quando la riceverai sarò già arrivata a destinazione... oppure al controllo dei documenti si saranno accorti dell'imbroglio e mi avranno riportato dal commissario Ventura che questa volta, temo, non mi farà più alcuno sconto! Mamma, perdonami, ti prego, e fammi tanti auguri. Credo proprio di averne un gran bisogno. Mi farò viva presto, Tua sca P.S. — Volevo usare i soldi del conto in banca che mi ha regalato la nonna, ma tu sai che senza la tua firma non posso toccarlo. Solo per questo ho usato il tuo bancomat e la tua carta di credito, ma non sono una ladra! Al mio ritorno andremo assieme in banca e ti restituirò tutto fino all'ultimo centesimo. Giuro!" Lucia aveva letto in silenzio la lunga lettera e il commissario era rimasto in attesa accanto a lei, mentre Maria Dolores girava nervosamente attorno cercando qualcosa da fare. Bofonchiando a mezza voce in spagnolo, la donna volgeva accorate preghiere alla Madre de Dios, alternandole a invettive contro Francisca, così la chiamava, che avrebbe spezzato il cuore alla madre, e contro la padrona che, a sentir lei, non era in grado di allevare come si deve una niña. — È proprio come pensavo... — mormorò Lucia consegnando la lettera ad Ventura. — Sua figlia scrive benissimo! Non si direbbe la lettera di una quindicenne! — si complimentò lui dopo averla letta. — Già, l'ho notato. E pensare che nei compiti d'italiano è un miracolo se riesce a strappare una striminzita sufficienza! — È diverso, signora! Qui non doveva parlare del Manzoni, ma di se stessa e dei suoi sentimenti! "Però..." pensò Lucia. "Ventura ha una certa sensibilità per essere un

poliziotto..." In quell'istante il giovane agente che era rimasto a esaminare il computer li raggiunse trionfante rivelando ciò che Lucia e Ventura ormai già sapevano: una settimana prima sca si era collegata a un sito che vendeva biglietti aerei via internet. Con un rapido controllo presso l'agenzia che lo gestiva, la polizia avrebbe potuto verificare la destinazione della ragazza, ma Lucia ormai la conosceva e non riusciva a darsi pace. Mentre Ventura telefonava in commissariato e dava disposizioni perché qualcuno andasse a controllare, la donna camminava avanti e indietro, misurando a larghi i il soggiorno. — Si calmi, signora! — la esortò il commissario. — sca è in gamba e saprà districarsi dovunque possa essersi cacciata. D'altra parte, credo l'abbia già dimostrato. Metteremo in moto la nostra ambasciata in Belumbia e vedrà che in poche ore la troveremo. E ora, mi dispiace, ma devo salutarla. — Ma come, se ne va già via? — Beh, signora, con gli elementi che abbiamo, dobbiamo solo verificare se i nostri sospetti sono fondati. Ho dato disposizioni perché la verifica sia effettuata in tempi rapidi e poi prenderemo i provvedimenti del caso. Lucia accompagnò alla porta Ventura e l'agente, e strinse le mani a entrambi. — Grazie di tutto, commissario. Gliel'ho detto l'altra volta e glielo ripeto... lei è davvero una brava persona — mormorò impacciata. — Anche lei, signora... — ricambiò Ventura arrossendo e infilandosi velocemente dentro l'ascensore assieme all'agente. — Beh, cosa c'è da ridacchiare? — rimproverò al giovane poliziotto appena si ritrovarono da soli. — E chi ridacchia, signor commissario? — si difese l'agente che, forse, pregustava già i pettegolezzi da scambiare con i colleghi appena rientrato in sede.

8 – PABLO — Siamo arrivati, señorita! — annunciò in spagnolo una voce che sembrava arrivare dall’oltretomba. sca si sentì scuotere, dapprima piano piano e poi un po’ più energicamente, fino a quando decise di aprire gli occhi e sobbalzò spaventata. L’auto in cui si trovava, il luogo e il viso femminile dalla pelle scura che aveva davanti le erano perfettamente sconosciuti. — ¡Bienvenida a Santa Paz, señorita! — le augurò un’altra voce più giovanile. sca si girò e si trovò davanti un ragazzo bianco sui diciott’anni che teneva spalancata la porta dell’auto invitandola a scendere. Santa Paz furono le parole magiche che le snebbiarono del tutto i ricordi e sca si rammentò dell’angelo mulatto che le era apparso improvvisamente sui gradini dell’aerostazione. — ¿Qué pasa, señorita? — le aveva chiesto un donnone dall’aria dolce e materna vedendola piangere. Era una delle addette alla pulizia che, finito il turno, si apprestava a ritornarsene a casa. Mossa a comione dal pianto della ragazza, la donna l’aveva caricata quasi di peso a bordo di una vecchissima e sgangherata macchina americana degli anni cinquanta, con le alette posteriori che la facevano sembrare un’astronave dei fumetti. I gesti della donna erano materni e ispiravano un’incondizionata fiducia e sca l’aveva lasciata fare, inoltre parlava proprio come Maria Dolores, addirittura con lo stesso accento. La colf colombiana era al servizio a casa Martini da sempre e quando si trovava da sola con sca si esprimeva con lei nella sua lingua. Visti gli impegni di lavoro, quando la figlia era piccola Lucia gliel’aveva affidata spesso e lo spagnolo era diventato per la ragazzina quasi una seconda lingua madre. Trovandosi a che fare con quel donnone mulatto, non ebbe quindi alcuna difficoltà a capire le sue parole quando le chiese dove voleva che la portasse. La ragazza le mostrò la vecchia cartolina di Flavio con l’indirizzo dell’hotel, ultima sua residenza conosciuta, ma dopo averne compitato il nome, la mulatta scrollò la testa. — Una señorita come lei in un postaccio come questo? — le chiese scandalizzata — Non è possibile, non è un alloggio sicuro per una ragazza per bene! Mettendosi una mano sul petto, le assicurò che l’avrebbe portata in un posto migliore, e sca continuò a lasciarla fare affidandole tutta la sua fiducia,

contenta di aver trovato qualcuno che si occue di lei. Il donnone mise in moto il monumentale catorcio e dopo due minuti sca si addormentò come un angioletto, nonostante il rumore infernale di una marmitta tenuta insieme con il fil di ferro e ridotta ormai a un colabrodo. — ¡Bienvenida a Santa Paz, señorita! — ripeté il ragazzo che teneva aperta la portiera. sca si accorse che dietro a lui c’era l’insegna di un hotel, piccolo, ma dignitoso e si decise a scendere, seguita dal donnone mulatto che l’aiutò a scaricare i bagagli. La ragazza mise mano al portafogli e volle offrire alla salvatrice un paio di banconote da cinque euro, ma la donna rifiutò sorridendo e li accettò solo dopo varie insistenze. Prima di andarsene la salutò facendole una carezza e raccomandandosi con il ragazzo. — Viene dall’Italia, signorina? — le chiese lui in italiano avviandosi con la valigia verso l’ingresso del piccolo hotel. — Parli la mia lingua? — gli chiese sca meravigliata, ando subito a dargli del tu. — Mio nonno era toscano — le spiegò il ragazzo. — È emigrato qui a metà del secolo scorso, ma ha voluto che figli e nipoti imparassero la sua lingua. Io mi chiamo Pablo e tu? — sca. — Oh, Francisca! — esclamò lui traducendo il suo nome in spagnolo e pronunciando la “c” come se fosse una “s” dura. Lei sorrise perché anche Maria Dolores la chiamava così. — Adesso, Francisca, ti porto subito nella migliore delle nostre stanze! Pensa che abbiamo cambiato lenzuola e asciugamani solo tre mesi fa! — Come? — esclamò sca arrestandosi inorridita. — Scherzo! Non temere! Il nostro albergo è modesto, ma è il più pulito della città! “Chi si crede di essere questo bel tipo? Perché si permette di prendermi in giro!” Pensò la ragazza, ma Pablo ispirava simpatia e fiducia a prima vista e non era per niente male, una spanna più alto di lei, con occhi e capelli neri e un bel

sorriso cordiale. Prendendo possesso della stanza al primo piano, sca poté verificare che Pablo aveva detto il vero. Sicuramente non si trattava dello Sheraton, ma l’Hotel Moretti, così si chiamava, era dignitoso, pulito e tanto le bastò. — Mi devi dare un documento, poi ti lascio dormire in santa pace — le disse il ragazzo. — Domani mi spiegherai perché sei venuta in questo postaccio. Se hai bisogno di aiuto puoi contare su di me! Quel ragazzo era simpatico e aveva davvero uno splendido sorriso. sca sarebbe rimasta ancora un po’ a parlare con lui, ma stava crollando. Gli consegnò il aporto e Pablo se ne andò. — Buona notte, Francisca! — le augurò chiudendo la porta della stanza. Uscito Pablo, lei si buttò vestita sul letto e, dopo nemmeno trenta secondi stava già dormendo come un ghiro.

9 - TERZO GRADO Quando la mattina successiva sca si svegliò, impiegò qualche istante a ricordare dov'era e perché se ne stava sopra un letto sconosciuto con addosso un tailleur di sua madre. Secondo il suo orologio era già pomeriggio e se ne spaventò. Come poteva aver dormito così a lungo? Si rese conto di non averlo ancora regolato sull'ora del Belumbia dove, se i suoi calcoli erano esatti, dovevano essere più o meno le nove del mattino. Si sentì addosso una gran fame e decise di scendere a fare colazione, ma appena si rizzò in piedi, si accorse di aver involontariamente usato il tailleur di sua madre come pigiama e tremò al solo pensiero dell'ira funesta di Lucia nel vedere uno dei suoi capi migliori ridotto a uno straccio tutto stropicciato. Se lo sfilò stendendolo per bene sopra una sedia, nell'illusione che sarebbe tornato da solo nelle condizioni primitive e dopo aver fatto un po' di toeletta ed essersi leggermente truccata, ne indossò un altro di un vivace color fucsia che aveva sempre invidiato a Lucia almeno per il colore, se non per il taglio da signora. Così combinata, decise finalmente di scendere e trovò Pablo che leggeva un libro dietro al bancone della piccola reception. Appena si accorse della sua coloratissima presenza, il ragazzo, si alzò e le andò incontro. — Oh, bene alzata, Francisca! Che eleganza! — la salutò accompagnandola nella saletta in cui veniva servita la prima colazione. La invitò ad accomodarsi e sparì nella piccola cucina adiacente alla sala. Dopo qualche minuto tornò con un vassoio e le servì una sontuosa prima colazione guarnita da una macedonia di frutta tropicale. — Posso farti compagnia mentre mangi? — le chiese. — Oh, certo! — rispose sca, lusingata dalle attenzioni del ragazzo. — Ieri sera dovevi essere davvero molto stanca! — Oh, sì! Non riuscivo nemmeno più a stare in piedi. Figurati che ho preso sonno senza nemmeno spogliarmi! — Già! Eri tanto stanca da non ricordarti nemmeno come ti chiami! — osservò lui ridendo. sca si rese conto solo allora di aver detto al ragazzo il suo

vero nome, mentre sul aporto c'era quello della madre. — Allora, chi sei? Francisca o Lucia? Alla ragazza non era mai mancata una buona dose di faccia tosta e anche questa volta la sua risposta non si fece attendere. — In realtà mi dovrei chiamare sca Lucia e così sono stata battezzata, ma all'anagrafe c'è stato un errore ed è stato trascritto solo il secondo nome, però tutti mi chiamano sca! — Ah, capisco! E hai compiuto da poco diciotto anni, vero? — Sì — annuì sca, insospettita dallo strano interrogatorio. — Però sembri più giovane! — Me lo dicono tutti che dimostro meno anni della mia età — rispose lei, temendo che fosse arrivato davvero il primo vero esame da superare. — E vai in giro sempre vestita così? — Perché, che cosa non va nel mio modo di vestire? — replicò sca, che con tutte quelle domande cominciava a sentirsi a disagio. — Oh, sei molto elegante! Non so se in Italia tutte le ragazze di diciotto anni si vestono così, ma da noi è diverso. Di solito sono le donne più grandi che si conciano come te, ma non tutte! Solo quelle piene di soldi, che non sono molte in Belumbia e se ne stanno ben chiuse nelle loro ville e palazzi. Se hai qualcosa di più semplice e sportivo da metterti, è meglio che ti cambi per andare in giro. Vestita così attireresti l'attenzione di tutta la città, ladri e borseggiatori in testa! Sai, Santa Paz si è molto degradata in questi ultimi vent'anni, da quando è finito il boom del petrolio. "Ecco" pensò sca "con la smania di sembrare più grande ho lasciato a casa jeans e magliette. Che faccio ora?" — A proposito, cosa sei venuta a fare quaggiù? — continuò Pablo. — La turista, che altro? — replicò sca, sempre più sorpresa

dall'imprevisto terzo grado. — La turista? — scoppiò a ridere Pablo. — Dovrebbero imbalsamarti e metterti in un museo, perché saresti la prima che mette il naso in Belumbia! Anzi, il museo lo dovrebbero costruire apposta per te, perché qui non ne abbiamo nemmeno uno! Non c'è proprio niente da vedere in Belumbia, Francisca! A meno che tu non sia una studiosa di zanzare, anaconda e alligatori! Oppure che commerci in droga! — Insomma, non credi che siano affari miei? — Scusami. Il fatto è che mi sembri alquanto sprovveduta. La donna che ieri sera ti ha lasciato qui, mi ha detto che le avevi chiesto di portarti all'albergo più malfamato di Santa Paz. Non so se da sola ne saresti uscita viva! Che cosa andavi a fare in quel postaccio? sca lo guardò fisso negli occhi. Pablo sembrava sincero e decise di fidarsi. Che altro poteva fare in un paese straniero che si stava rivelando sempre più infido e pericoloso? — Cercavo una persona e quello era l'ultimo suo indirizzo in mio possesso. — rispose mostrandogli la cartolina. — Beh, non so chi sia questo Flavio — osservò Pablo dopo averla letta. — Ma se alloggiava laggiù, non doveva essere un tipo molto raccomandabile. — Era mio padre! — Perdonami, non volevo offendere né te né lui. Ma anche se non c'è la data, dal francobollo mi sembra un po' vecchiotta come cartolina. È di quasi sedici anni fa! — aggiunse, dopo essere riuscito a decifrare il timbro postale. — Non mi dirai che da allora non l'hai più visto! — L'hai detto. — Speri davvero di trovare sue notizie dopo tanto tempo? — Sono venuta apposta. — rispose lei, cominciando a nutrire qualche dubbio sulle possibilità di successo del viaggio.

— Ti ci accompagnerò io e per maggior sicurezza chiederò a un amico di venire con noi, così nessuno ci darà fastidio. Ma ti prego, vestiti un po' più come Dio comanda!

10 - LUCIA IN VIAGGIO Il suono dolce del camlo si diffuse nell'appartamento e Maria Dolores si avviò ad aprire ciabattando e brontolando in spagnolo come al solito. Lucia si fiondò fuori dal suo studiolo e la prevenne aprendo personalmente la porta. — Oh, è lei, dottor Ventura? Ci sono novità? — chiese, trovandosi davanti il commissario. — Sì, signora Martini — rispose l'uomo entrando. — Le nostre informazioni concordano con quanto ha scritto sca nella sua lettera. Si trova già in Belumbia. — In Belumbia? Madre de Dios! — esclamò Maria Dolores alzando le mani al cielo e tornando alle sue faccende. — Come pensavamo, il giorno in cui sua figlia è scomparsa, ha preso un aereo per il Venezuela — continuò il commissario. — A Caracas ha cambiato ed è salita su un volo per Santa Paz, capitale del Belumbia. — Ho provato mille volte a chiamarla al cellulare, ma non risponde! — Forse i servizi di telefonia mobile in quel paese non funzionano a dovere, oppure non ci sono per niente. O magari sca tiene apposta il cellulare spento per non essere rintracciata. — Dobbiamo fare qualcosa e subito! Dobbiamo metterci in contatto con la polizia locale, o con l'ambasciata italiana in Belumbia! — Ci abbiamo già pensato, ma purtroppo ho scoperto che l'Italia non ha una vera e propria rappresentanza diplomatica in Belumbia. C'è solo un console onorario, un cittadino belumbiese di origine italiana, ma non riusciamo a metterci in contatto nemmeno con lui. — E la polizia locale? — Temo non sia molto affidabile. Mi sono informato e ho saputo che ha fama di non muoversi se non è opportunamente oliata e credo che lei capisca che cosa intendo dire!

— Ma in che razza di posto si è cacciata quella piccola sciagurata? — Nel paese più sottosviluppato dell'America Latina, con tutti i pericoli che lei può immaginare — rispose Ventura allargando le braccia. — Dio mio, Dio mio... Io non posso restare qui a far niente sperando in un miracolo, dottor Ventura. È da un po' che ci penso: prima che si metta nei pasticci la raggiungo in Belumbia con il primo aereo che riesco a prendere! — E che fa? Parte da sola per un posto insicuro come quello? — Se l'ha fatto mia figlia che non ha ancora quindici anni, potrò ben farlo anch'io, non crede? Quella piccola peste è tutta la mia vita. Ne morirei se le capitasse qualcosa di brutto! — Cosa vuole che le dica, signora Martini... Vada pure se vuole, però... — Però cosa, signor commissario? — gli chiese Lucia con uno spiraglio di speranza nel cuore. — Però, se permette, signora, verrei anch'io con lei. Non in veste ufficiale, ovviamente, visto che con il Belumbia non esistono accordi in tal senso, ma credo che una mano potrei dargliela ugualmente. Ho un sacco di ferie arretrate e se non ne usufruisco finisce che le perdo. — Oh, commissario! Speravo proprio che me l'avrebbe chiesto! — gli rispose lei con un gran sorriso.

11 - SHOPPING A SANTA PAZ sca camminava per le strade di Santa Paz de Belumbia scortata da Pablo e José, un armadio vivente dall'aria forse non molto sveglia, ma con una corporatura fuori misura e un cipiglio non molto rassicurante, anche se in realtà doveva essere una pasta di ragazzo. sca si guardava attorno curiosa, ma in quel paesaggio urbano non c'era proprio nulla di pittoresco. Le costruzioni erano basse, al massimo di due piani e quasi tutte avevano le facciate fatiscenti che non vedevano una mano di colore da chissà quanto tempo. Molte erano addirittura in legno e sembravano stare in piedi sfidando ogni legge della statica e dell'equilibrio. Le strade su cui si affacciavano non erano in condizioni migliori: l'asfalto o l'acciottolato erano logori e qua e là lasciavano scoperta la terra battuta, sommersa per lo più da larghe pozzanghere. Alzando la testa al cielo si vedeva un groviglio di fili stesi da una parte all'altra della strada senza alcuna apparente distinzione tra linee elettriche e linee telefoniche, come se ciascun utente si fosse collegato alla rete per conto proprio, aggiungendo un cavo a quelli che già c'erano e congiungendolo agli altri con del semplice nastro isolante. La gente che i tre ragazzi incontravano era perfettamente intonata all'ambiente: gli indumenti erano per la maggior parte lisi e talvolta perfino strappati e anche le persone che potevano permettersi un abbigliamento un po' più dignitoso, apparivano grigie e dimesse. Era comprensibile che un tailleur color fucsia potesse attirare tanto l'attenzione. Il aggio di sca per le strade di Santa Paz, infatti, non restò inosservato. Tutti, uomini, donne e bambini si giravano a guardarla e, come se ciò non bastasse, si era creato un gruppetto di tipi equivoci che seguivano da non molto lontano le sue mosse con finta noncuranza, tenendosi d'occhio l'un l'altro per evitare che qualcuno, più furbo e veloce degli altri, riuscisse a scipparla per primo. — Hai capito adesso, Francisca, cosa significa andare in giro per Santa Paz conciata a quel modo? — le fece notare Pablo. — Ti rendi conto che se non c'eravamo noi due, specialmente il mio amico José, ti saresti ritrovata in mutande dopo neanche dieci metri? Pablo aveva ragione, ma ricordando i frequentissimi te l'avevo detto io! di mamma Lucia, sca sentì che avrebbe anche potuto odiarlo.

A un tratto il ragazzo la spinse senza tanti complimenti dentro un negozietto di abbigliamento, minuscolo in apparenza, ma che all'interno era stipato di magliette, camicie, jeans e scarpe sportive. Nonostante il vasto assortimento, sca si rese conto che si trattava di indumenti fuori moda da almeno una decina d'anni e la qualità lasciava molto a desiderare. Non c'era nulla di firmato, ma fissando costernata Pablo, capì che non aveva scelta: volente o nolente, doveva rifarsi al più presto un guardaroba meno appariscente. — Ma questa roba è brutta e per di più costa l'ira di Dio! — protestò la ragazza accorgendosi che le magliette gettate alla rinfusa in un grande contenitore costavano prezzi a partire da sei o sette cifre. — Se fai i conti, ti accorgerai che un milione e mezzo di pesos belumbiesi valgono sì e no un dollaro, vale a dire meno di un euro! — sospirò Pablo. — Ti sembrano ancora care? Non lo sapevi che qui abbiamo un'inflazione galoppante? Di inflazione sca aveva solo sentito parlare e aveva la vaga idea che si trattasse di qualcosa che aveva a fare con i soldi. Sua madre se ne lamentava spesso facendo la spesa, ma alla ragazza non era mai ato per il cervello di approfondire da sola l'argomento. Nemmeno in quell'occasione ritenne di dover chiedere spiegazioni, perché sarebbe ata per quello che era davvero: una ragazzina di neanche quindici anni che sapeva tutto di attori, cantanti, veline e calciatori, ma poco o nulla delle cose che fanno girare il mondo. Fatti i conti, jeans e magliette erano davvero a buon mercato, anche se era pur sempre merce dozzinale. Se gliel'avesse fatto notare, sicuramente Pablo le avrebbe risposto che non si trovava in una boutique di Parigi, Roma o Madrid, ma in un bazar di Santa Paz de Belumbia e che la smettesse di rompere. Quel ragazzo, infatti, per quanto carino, con la sua aria di so tutto io e tu non sai niente, la stava davvero indisponendo. Pablo, tuttavia, aveva qualcosa che lo rendeva in qualche modo diverso dai ragazzi più grandi che sca conosceva in Italia. Si ricordò dei due amici che davanti al commissario erano scoppiati a piangere e si convinse che a un tipo come lui non sarebbe mai successo. Il ragazzo non aveva l'aspetto e i modi del duro, ma dimostrava una sicurezza che sicuramente era il frutto del luogo in cui viveva: non si poteva che diventare uomini e donne molto più in fretta in un ambiente come quello. Frugando qua e là nei contenitori, sca riuscì a mettere insieme un piccolo guardaroba che poteva sembrare almeno abile e pagò una cifra che in Italia

avrebbe speso sì e no per un solo capo d'abbigliamento economico. Come omaggio le diedero perfino una borsa di plastica dentro la quale finì il tailleur color fucsia, le scarpe con il tacco di sua madre e gran parte degli indumenti acquistati, tranne una maglietta, un paio di jeans che le sembrarono ascellari, abituata com'era a quelli a vita bassa, e un paio di scarpe da ginnastica che indossò subito. Quando Pablo se la vide comparire davanti così trasformata, non riuscì a nascondere una certa perplessità. — Cosa c'è ancora che non va? — gli chiese lei, anche se aveva capito perfettamente il motivo di quello sguardo. — Niente, vai benissimo così. Vedrai che nessuno si occuperà più di te. In realtà sca aveva bene interpretato l'occhiata del ragazzo: se la mascherata del tailleur era riuscita a farla sembrare un po' più grande, jeans, maglietta e scarpe da ginnastica le avevano restituito la sua vera età e Pablo, che non era stupido, doveva avere in proposito più di un sospetto.

12 - FINE DELLA MASCHERATA Alla fine di quella mattina, Pablo invitò sca a pranzo da lui e lei scoprì di avere in comune con il ragazzo l'assenza di un genitore. Se a sca mancava il padre, infatti, a Pablo mancava la madre, morta di malattia quand'era ancora bambino. Una presenza femminile comunque c'era, quella di una vecchia zia che si occupava delle faccende di casa. Fatte le presentazioni, sca si rese conto che l'atmosfera attorno al tavolo della famiglia Moretti era strana. Il padre, un bel signore sui quarant'anni, era gentilissimo, ma si avvertiva nei suoi modi una punta di sospetto e diffidenza. La ragazza si sentiva a disagio, ma cercava di dissimulare la spiacevole sensazione mettendo in atto tutte le regole della buona creanza che mamma Lucia aveva cercato disperatamente di inculcarle per quasi quindici anni. — Allora, Francisca, da quando sei arrivata non abbiamo fatto altro che parlare di te, lo sai? — le confidò Antonio, il padre di Pablo. — Oh, bella! E perché mai? — replicò la ragazza, anche se lo immaginava benissimo. — Perché abbiamo l'impressione che tu sia una piccola imbrogliona! — dichiarò serio l'uomo che, evidentemente, non aveva peli sulla lingua e andava diretto al nocciolo della questione. — Non solo! Abbiamo anche il sospetto che tu sia scappata di casa! — Questo non è vero! — Tu non hai diciotto anni come sta scritto sul tuo aporto e anche se la somiglianza è sorprendente, la persona ritratta nella fotografia è più grande e non sei tu. Di chi è quel documento? Di tua sorella maggiore, forse? — No, è mio! — rispose sca con una cerca veemenza, sentendo una vampata salirle al viso. — Non è vero! Dimmi la verità: di chi è il aporto? — replicò serio il señor Moretti. Che cosa avrebbe fatto il papà di Pablo se lei avesse continuato a negare? Avrebbe chiamato la polizia? Avrebbe telefonato a sua madre che la venisse a

prendere, tenendola segregata in hotel? A che serviva insistere con quella mascherata? sca sentì calarle addosso in un sol colpo tutta la stanchezza del viaggio che non era ancora riuscita a smaltire del tutto, assieme a una grande tristezza per quello che aveva tentato di fare e che ora rischiava di naufragare nel nulla. Era riuscita a ingannare poliziotti e doganieri, ma non Pablo e suo padre. Nonostante la sfrontata spavalderia che era solita ostentare, non riuscì a sostenere a lungo l'inganno davanti all'uomo che la fissava con aria severa. Chinò la testa e ammise l'impostura. — È il aporto di mia madre — confessò. — Non dirmi che sei riuscita a falsificare il documento! — esclamò scandalizzato il señor Moretti. — No, non arrivo ancora a tanto come delinquente! — rispose sca ritrovando la sua solita punta di sarcasmo e chiedendosi che cosa mai ci fe tra quella gente sconosciuta che le stava facendo il processo. — Ho solo sfruttato un errore dell'ufficio aporti! — Quanti anni hai, in realtà, Francisca? — le chiese l'uomo addolcendo la voce. — Quasi quindici... — Lo immaginavo. Però devo farti i miei complimenti per essere riuscita ad arrivare fino a Santa Paz imbrogliando tutti. Saresti riuscita a ingannare anche me, se avessi tenuto duro continuando a fare un po' più di commedia! — Che vuol dire? — Significa che ho bluffato! — rispose il padre sciogliendo il cipiglio severo da inquisitore in una fragorosa risata. — Tu assomigli in modo strabiliante alla foto del aporto e in fondo avresti potuto essere davvero una ragazza di diciotto anni che sembra più giovane, con una foto mal riuscita sul documento! Ma non avremmo potuto verificare i nostri sospetti se non avessi confessato! Come vedi anch'io me la cavo mica male come imbroglione! "Brutto..." pensò sca mordendosi un labbro e rimproverandosi di essere caduta nella trappola come un tordo. — Papà, sei sempre il solito! — lo rimproverò Pablo scuotendo la testa, mentre

il padre continuava a ridere. — Beh, adesso che intenzione hai, Francisca? — le chiese Antonio tornando serio. — Non lo so. Forse farei meglio a tornare a casa. — Dimostreresti di essere ragionevole. Tanto per cominciare, potresti chiamare tua madre e rassicurarla, non ti pare? — Ha ragione — convenne sca estraendo di tasca il cellulare con il cuore che batteva forte, perché avrebbe risentito dopo tanto tempo la voce di mamma Lucia. Accese il telefonino e richiamò dalla memoria il numero della madre, ma una voce registrata le rispose che l'utente selezionato non era raggiungibile. Non poteva immaginare che sua madre aveva spento il telefonino perché già da qualche ora era in volo sopra l'Oceano Atlantico assieme al commissario Ventura.

13 - LA RICERCA HA INIZIO Antonio Moretti si sentiva addosso una tremenda responsabilità per la presenza nel suo hotel di quella ragazzina italiana scappata di casa, ma il primo aereo per Caracas non sarebbe partito da Santa Paz che tre giorni dopo. Si fece promettere da Francisca che alla scadenza del terzo giorno sarebbe partita senza discutere, ma in cambio la ragazza ottenne di poter effettuare qualche ricerca e Antonio la affidò al figlio. — Sorvegliala discretamente e vedi che non si metta nei guai — gli raccomandò. Nel primo pomeriggio i due ragazzi, accompagnati da José, si immersero in un dedalo di viuzze e si spinsero al di là della piazza principale di Santa Paz, in fondo alla quale campeggiava la stessa chiesa raffigurata nella cartolina di Flavio, una malinconica cattedrale barocca annerita dal tempo e bisognosa di un restauro che nessuno sarebbe mai stato in grado di pagare. Tutta la città doveva aver vissuto tempi migliori, ma negli ultimi venti o trent'anni aveva subito un processo di degrado che appariva ormai irreversibile. Il quartiere in cui si trovava l'Hotel Moretti era dimesso, ma sca si accorse che le altre zone della città, abitate da persone che avevano la miseria stampata sul viso, erano ben più povere e fatiscenti. — Ecco, siamo arrivati! — annunciò Pablo fermandosi davanti a una porta in ferro battuto in gran parte arrugginita. Qua e là era rimasto sul battente qualche frammento dei vivaci vetri colorati che un tempo dovevano averla ornata e i numerosi squarci erano stati tamponati alla meglio con dei cartoni ondulati. — Sei sicuro che sia questo l'indirizzo della cartolina? — chiese esterrefatta sca. — L'hotel è proprio questo. Per quel che mi ricordo, l'ho sempre visto così! — rispose Pablo. Vieni, entriamo! — la esortò precedendola, mentre José la seguiva proteggendole le spalle. La piccola hall dell'hotel era lunga, stretta e buia. Dalle pareti pendevano brandelli incolori di un'antica tappezzeria che incombeva su alcuni vecchi divanetti sfondati ai quali il tempo aveva messo a nudo l'imbottitura di crine e qualche molla. Dietro al bancone faceva capolino la testa di un uomo anziano

dalla pelle rinsecchita che portava un paio di spessi occhiali con le lenti scheggiate e le stanghette tenute assieme da un grumo di nastro adesivo. Il volto era ricoperto da una barba ispida e mal curata e la bocca sdentata era infossata tra un naso adunco e un mento sporgente, tanto che il vecchio avrebbe potuto are per una versione maschile della strega di Biancaneve. sca avanzò timorosa dietro a Pablo e rabbrividì al pensiero che la sera precedente avrebbe potuto ritrovarsi là dentro da sola, davanti a quella mummia con gli occhiali. Il vecchio girò la testa e si limitò a sbirciare da dietro le lenti scheggiate i tre ragazzi che si avvicinavano al bancone. — Buon giorno — esordì Pablo. — Stiamo cercando notizie di una persona che è stata ospite in questo hotel qualche anno fa. — Perché? — chiese la vecchia mummia facendo sentire la sua voce acuta e sgradevole. — È parente di questa ragazza. — Che cosa vi fa pensare che sia stato qui? — chiese il vecchio con aria diffidente. — Questa cartolina con l'indirizzo dell'hotel. La persona si chiama Flavio Vitali e quest'altra è una sua foto — rispose Pablo porgendogli i due cartoncini. — Sì, mi ricordo di questo bel tipo! — dichiarò il vecchio dopo aver osservato attentamente l'immagine — È stato qui e quando è andato via non ha neanche pagato il conto! Me lo ricordo perché è stato il primo e l'ultimo che è riuscito a imbrogliare il vecchio Felipe — concluse battendosi una mano sul petto a indicare che il vecchio Felipe era lui. — Non lo ha più visto? — No. Però mi ricordo che qualche giorno dopo sono arrivate alcune lettere per lui. Le conservo ancora — rivelò il vecchio girandosi sulla seggiolina con le ruote e aprendo un vecchio schedario di legno. — Vitali... Vitali... eccole qui — annunciò brandendo nella mano rinsecchita tre buste ingiallite dal tempo. Pablo tese la mano, ma il vecchio tirò indietro il braccio scuotendo la testa.

— Eh no! Se volete le lettere, mi dovete pagare il conto di quel bastardo! — Dopo sedici anni? Ma andiamo! — Gli affari sono affari e i debiti si pagano! — E quanto vorresti, vecchio spilorcio? — Eh, a quel tempo sarebbe bastata una sessantina di pesos, ma con l'inflazione, oggi sono diventati almeno una sessantina di milioni! — Cosa? Sessanta milioni? Ma è impazzito? — esclamò sca. — Stai calma, Francisca... — le sussurrò Pablo in italiano — Sessanta milioni di pesos al cambio attuale sono meno di quaranta euro. — Non si possono vedere prima? — chiese al vecchio, tornando a parlare spagnolo e indicando le lettere. — Eh, no, cari ragazzi! Troppo comodo! Pagare per vedere, altrimenti fuori dalle scatole! — Quaranta euro? — chiese conferma sca. — Più gli interessi! — specificò l'uomo. — Vecchio spilorcio! — lo apostrofò Pablo. — E si può sapere quanto vorresti? — Considerando che sono ati quindici anni, mi dovete dare almeno quindici volte tanto, cioè novecento milioni di pesos! — C'è qualche problema? — chiese José, che fino a quel momento se n'era stato in disparte senza dire niente. Il vecchio lo sbirciò da sopra gli occhiali e trasalì notando la considerevole mole del ragazzo. — C'è qualche problema? — ripeté il giovane gigante allungando il braccio al di là del bancone e afferrando il vecchio per il bavero della giacca. — Ehi, piano! Che fai? — strillo l'uomo. — Ho chiesto se c'è qualche problema! — ripeté José senza battere ciglio, sollevando di peso le quattro ossa del vecchio e mettendole sedute davanti a sé sul bancone.

— Ma... ma... io ho avuto un danno dal mancato pagamento di quel conto! — balbettò l'uomo in preda al panico. — Più che giusto! — annuì José sfilandogli dalle mani le tre buste. — Quanto ha chiesto? — chiese a Pablo. — Novecento milioni. — Non ho capito in che cosa li vuole — chiese José. — In pesos, euro, dollari, sberle, pugni o calci nel sedere? — Non lo so, chiedilo a lui! — Ehi, andateci piano, ragazzi! — intervenne sca allibita. Quel vecchio era sgradevole e indisponente, ma il trattamento che i due amici si apprestavano a riservargli le sembrava eccessivo e sproporzionato allo scopo. — Non temere, stiamo solo scherzando! — la tranquillizzò Pablo in italiano. — Beh, ragazzi, in fondo sono ati quindici anni e io me n'ero quasi dimenticato... — balbettò il vecchio. — Più che giusto — approvò Pablo. — Io credo che possano andar bene due o tre milioni di pesos, che ne dici, viejo? — Sì, sì, vanno benissimo! — esclamò il vecchio che, vedendo come stavano andando le cose, non vedeva l'ora di togliersi dalle scatole quei tre scocciatori, specialmente il più grosso. — Bene, José. Puoi rimettere a posto il sacco d'ossa. E tu, Francisca dagli pure quanto ha chiesto. Quel che è giusto è giusto. Qualche istante dopo i tre ragazzi uscivano dall'hotel. Pablo e José sghignazzavano a più non posso, mentre sca stringeva al petto le tre buste senza avere il coraggio di aprirle. — Perché non le leggi subito? — la esortò Pablo. — Perché ho paura! — si limitò a rispondere la ragazza.

14 - ALTRE NOTIZIE SU FLAVIO VITALI I tre ragazzi uscirono velocemente dal quartiere più miserabile di Santa Paz e si rifugiarono dentro un caffè del centro che non era niente di speciale, ma che a sentire Pablo era il più elegante di tutta la città. Fu solo davanti a una spremuta di canna da zucchero, dolce fino alla nausea, che sca si decise finalmente a sbirciare le lettere. Erano tutte e tre indirizzate a Flavio Vitali e la ragazza riconobbe con una certa emozione la grafia di sua madre. Osservando la data del timbro postale, verificò che risalivano a un periodo antecedente sei o sette mesi la sua nascita, quando Lucia si era ormai resa conto d'essere incinta. Spedite a distanza di una quindicina di giorni l'una dall'altra, non erano mai state aperte e ciò significava che suo padre non le aveva mai lette. Era confortante per lei scoprire che Flavio non era al corrente della sua nascita e non l'aveva abbandonata di proposito al suo destino. Restava il fatto, tuttavia, che aveva tagliato i ponti con Lucia senza neanche una parola e l'effetto era stato lo stesso: sua madre l’aveva allevata da sola e lei si era ritrovata senza un padre. Mentre rifletteva sull'immagine di una giovanissima Lucia divisa tra biberon, pannolini, studio e lavoro, sca ebbe un'intuizione che le attraversò i pensieri con la velocità, il fragore e lo sconquasso di una folgore. Qualche anno prima, quando aveva cominciato a capire come vanno le cose, si era convinta di essere nata per errore e l'idea di essere il frutto d’una distrazione l'aveva sconvolta per molto tempo. Non che le dispie d'essere al mondo, ma avrebbe preferito esserci arrivata per un atto d'amore, non per un caso fortuito. Ora, all'improvviso, si rendeva conto che Lucia non si era sbarazzata di lei, ma l'aveva voluta lo stesso, nonostante la consapevolezza dei problemi e delle difficoltà da affrontare nel crescerla da sola. Per quale motivo si era sobbarcata un simile, gravoso impegno, se non per un supremo atto d'amore? sca capì di non essere al mondo per caso e si sentì pervadere da una forte commozione, provando nello stesso tempo un'infinita tenerezza per Lucia. Doveva arrivare in quel paese dimenticato da Dio per rendersi conto di non avere mai capito un bel niente di sua madre e di volerle un bene dell'anima? — Che hai, Francisca? — le chiese Pablo, accorgendosi che la ragazza appariva in preda a una forte emozione. — Ho scoperto una cosa che potevo scoprire benissimo a casa.

— Senza aprire quelle lettere? — Già! La scoperta sta proprio nel fatto che nessuno le ha mai aperte... — gli sorrise lei asciugando l'unica lacrima sfuggita al suo controllo. — Sei già terribilmente complicata per non avere ancora quindici anni! — Sì, forse hai ragione — ammise sca, anche se era un po' piccata che Pablo continuasse a sottolineare la sua giovanissima età. — E non ti interessa più sapere qualcosa di tuo padre? — Mi piacerebbe potergli consegnare queste lettere e vedere la faccia che fa. — Vedi quel tizio là in fondo? — le chiese il ragazzo indicando un uomo anziano che giocava a biliardo. — Quello è il console onorario che rappresenta l'Italia in Belumbia. Tutti gli italiani residenti qui, e gli oriundi come noi, prima o poi hanno avuto a che fare con lui. Vieni che gli chiediamo se sa qualcosa. Così dicendo, afferrò sca per mano e la trascinò verso l'uomo, un anziano non molto alto che vestiva un completo di lino bianco, un po' liso ma lindo di bucato. — Buon giorno, Don Fernando! — lo salutò in italiano. — Ola, Pablito Moretti! Come sta tuo padre? — gli chiese il console che portava un paio di occhialini dalla montatura dorata e aveva baffi e barbetta candidi e molto curati. — Bene, Don Fernando. La manda a salutare. — Ricambio di cuore, ragazzo mio, ma perché mi parli in italiano? — Perché questa ragazza è italiana e cerca suo padre. Lei, Don Fernando, forse lo conosce! — gli rispose presentandole sca. — Piacere, signorina — la salutò il console profondendosi in un anacronistico baciamano che lasciò sorpresa la ragazza. — Come si chiama suo padre? — Flavio Vitali — rispose sca.

— Flavio Vitali... Flavio Vitali... sì, questo nome non mi è nuovo, però dovrei consultare il mio archivio per potervi dire qualcosa di più — dichiarò Don Fernando proponendo a sca e ai due ragazzi di seguirlo presso quello che lui chiamava pomposamente Consolato, che però era solo un piccolo e angusto ufficio al primo piano di un palazzetto in pietra. Un tempo la costruzione era stata sicuramente una residenza signorile, ma ora cadeva in rovina e ostentava lenzuola, camicie e mutande stese ad asciugare a ogni finestra. — Accomodatevi — li invitò, facendoli entrare in un ambiente ingombro di carte polverose accatastate su mobili, sedie e perfino sul pavimento. — Oh, guarda! — mormorò accorgendosi che la luce rossa di una segreteria telefonica antidiluviana stava lampeggiando — Ogni tanto qualcuno si ricorda di me! Di sicuro sono rogne burocratiche in arrivo! Mai che arrivi una buona notizia e magari dei soldi! E poi si lamentano che non sono mai in ufficio! Don Fernando non sembrava morire dalla voglia di ascoltare il messaggio registrato. Era tutto assorto, infatti, nello sforzo di ricordare chi fosse quel Flavio Vitali di cui gli avevano chiesto. Ci teneva a fare bella figura, ma la memoria non voleva saperne di snebbiarsi, per cui si rassegnò a fare lo slalom tra le carte raggiungendo un classificatore metallico e aprendo un cassetto. — Vitali Flavio... adesso mi ricordo! — esclamò, dopo aver frugato tra le scartoffie. — Signorina Vitali... — si rivolse a sca brandendo una scheda — Signorina Vitali, mi rincresce doverlo dire, ma suo padre non è uno stinco di santo! La ragazza non se la sentì di contraddirlo, rivelandogli che portava il cognome di sua madre. — È stato qui sette od otto anni fa — continuò Don Fernando. — Mi ha raccontato una storia pietosa. A sentir lui aveva trovato un filone d'oro sulla Sierra Belumbiese ed era riuscito ad accumulare una discreta fortuna in pepite, ma una banda di ladri gli aveva portato via tutto e per di più il filone si era anche esaurito. Diceva di essere rimasto senza un peso e chiedeva un contributo in denaro perché era disperato e voleva tornare in patria, ma non poteva pagarsi nemmeno il biglietto aereo. Ho inoltrato la richiesta all'ambasciata italiana di Caracas da cui dipende questo consolato e da lì mi hanno spedito una somma in

denaro, ma ho fatto un errore. Dovevo acquistargli io il biglietto, invece gli ho dato i soldi in contanti pensando fosse una brava persona. Non l'ho più rivisto, ma non credo sia tornato a casa, dato che non si è mai fatto vivo per il rinnovo del aporto. In seguito sono venuto a sapere per caso che i soldi gli servivano per pagare un debito di gioco. — Non ha idea di dove si trovi adesso? — gli chiese sca, confusa dal quadro non molto incoraggiante che Don Fernando aveva fatto di suo padre. — L'unico recapito che ho è quello del villaggio di Los Pantanos, dove viveva quando ha fatto la sua domanda — rispose il vecchio. — Chissà, magari abita ancora lì... I tre ragazzi salutarono Don Fernando e se ne andarono. L'uomo si attardò all'interno del Consolato e dopo aver contemplato per qualche istante la segreteria telefonica incerto sul da farsi, si decise a riavvolgere il vecchio nastro e a sentire chi l'avesse chiamato. — Signor console — annunciò una voce maschile in italiano — Parla il commissario Ventura della polizia italiana. Stiamo cercando una ragazza di quindici anni scappata di casa e abbiamo ragione di credere che sia espatriata in Belumbia alla ricerca del padre. La minorenne si chiama sca Martini e viaggia con un ap... — La velocità del nastro cominciò improvvisamente ad alterarsi, la voce iniziò a squittire e infine assunse le tonalità cavernose di un film horror. Il messaggio registrato divenne incomprensibile e Don Fernando arrestò con un gesto di stizza l'apparecchio, poi ebbe un ripensamento. — Vecchia baracca! Ma... non sarà mica la ragazza che è appena stata qui? — si chiese e trovò da solo una risposta. — Ma no! Quella si chiamava Vitali, questa della telefonata, invece, Martini. Possibile che tutti i padri italiani vengano a perdersi in Belumbia? — E così dicendo spense la segreteria. — Per oggi il Consolato è chiuso! — esclamò tornandosene a giocare a biliardo.

15 - NOTIZIE DI SCA Alle prime ore del giorno Lucia Martini e Michele Ventura sbarcarono all’aeroporto internazionale di Caracas in Venezuela e non appena Lucia ebbe messo il piede a terra, si affrettò ad accendere il cellulare per tentare di chiamare sca. Questa volta il telefonino della ragazza era e il segnale era forte e chiaro, ma continuò a suonare a vuoto per un pezzo prima che qualcuno di decidesse a rispondere. — ¿Hallo? — rispose infine una voce maschile. — Chi è lei? Dov'è mia figlia? Perché sta usando il suo cellulare?— esclamò Lucia allarmata. — Lei è la signora Martini? — chiese la voce. — Sì, ma chi è lei? Perché non ha risposto sca? Mi i subito mia figlia! — ordinò Lucia in un modo che non ammetteva repliche. — Mi chiamo Antonio Moretti, signora. Gestisco un piccolo hotel a Santa Paz de Belumbia. Sua figlia sca è stata nostra ospite per un paio di notti. — E adesso dov'è? Me la i subito! — Signora, la prego, mi lasci parlare! Sua figlia sta bene, non le è successo niente! In questo momento non può rispondere perché si trova in una zona del paese che non è coperta dalla telefonia mobile e mi ha lasciato il cellulare nel caso lei avesse chiamato. — Non mi dica che ha già trovato suo padre! — esclamò Lucia, delusa per non poter parlare direttamente alla figlia, ma anche rassicurata, perché finalmente aveva sue notizie. — No, ma ieri ha scoperto una traccia e non stava più nella pelle — continuò Moretti. — Avrebbe voluto partire subito per raggiungere il villaggio dove pare abiti o abbia abitato il padre, ma non ci sono mezzi pubblici. Voleva fare l'autostop e abbiamo faticato a trattenerla, così siamo arrivati a un compromesso: l'avrebbe accompagnata oggi con la jeep mio figlio Pablo assieme a un amico. Sono partiti stamattina presto.

Lucia prese accordi con Antonio Moretti per il suo arrivo a Santa Paz, si scusò per essere stata sgarbata e lo salutò chiudendo la comunicazione. — Ha sentito? — chiese ad Ventura riponendo il cellulare nella borsa. Il commissario aveva ascoltato la telefonata incollato al telefonino che Lucia teneva leggermente discosto dall'orecchio per fargliela sentire. — È più tranquilla, ora? — le chiese lui. — Sì, ma lo sarò ancor di più quando potrò riabbracciare quella piccola peste. — sca è in buone mani e non serve a niente arrovellarsi. Sa cosa le dico? Il prossimo volo per Santa Paz parte fra tre giorni e se per un po' facciamo i turisti, non può che farle bene. Lucia avrebbe voluto rispondergli che era davvero un angelo ma le sembrò un complimento troppo ardito e si limitò a regalargli un malinconico sorriso.

16 - UN'INCREDIBILE SCOPERTA La vecchia jeep, simile a quelle dei film americani sulla seconda guerra mondiale, percorreva la disastrata rotabile per Los Pantanos ormai già da qualche ora. Pablo era alla guida, sca era accanto a lui e José aveva preso posto dietro. All'uscita da Santa Paz la strada non sembrava delle peggiori, a parte le voragini che ogni tanto si aprivano sul vecchio asfalto, ma dopo qualche chilometro Pablo aveva deviato infilandosi in una strada sterrata e la media oraria era notevolmente diminuita Tra buche, pozzanghere e piccoli guadi da superare, a volte la carreggiata si riduceva a una pista appena tracciata che qua e là spariva del tutto nella folta vegetazione, per riapparire come per incanto dopo una decina di metri. Ogni tanto qualche traccia d'asfalto dava l'illusione di un miglioramento del fondo stradale, ma al di là della prima curva il nastro fangoso tornava a mostrarsi molle e viscido, facendo svanire ogni speranza di poter procedere più speditamente. Il caldo e l'afa erano opprimenti e si avvertiva un tale tasso di umidità, che sca non si sarebbe meravigliata di vedere all'improvviso un branco di pesci attraversare l'aria davanti alla jeep. Senza contare i nugoli di insetti e di zanzare gigantesche che ogni tanto si abbattevano sul vecchio mezzo, rendendo isterici i eggeri, specialmente sca che non vi era abituata. Prima di entrare in quella giungla, Pablo l'aveva obbligata a spalmarsi sulle parti scoperte del corpo una pomata a dir poco nauseabonda e solo alle prese con quello stormo di insetti dalla taglia extra large la ragazza si era resa conto di come l'avrebbero ridotta se non gli avesse dato ascolto. — Perché non togliamo il telo? — chiese a un tratto, indicando l'incolore copertura della jeep, tenuta insieme da un telaio metallico ripiegabile all'indietro. — Perché? Aspetta e vedrai... — le rispose Pablo senza distogliere lo sguardo dalla guida. — Con po' più d'aria staremmo più freschi! — protestò la ragazza. — Aspetta e vedrai... — ripeté lui. sca non aveva ancora deciso se Pablo fosse più simpatico o più indisponente e si chiedeva perché la stesse aiutando. Era generosità, oppure lo

faceva solo per affermare il suo spocchioso complesso di superiorità e farla sentire in ogni momento come una larva? La ragazza non sopportava quel tono di paternalistica sufficienza che continuava ad assumere con lei. Gliel'aveva chiesto e ora sapeva che il ragazzo aveva compiuto da poco diciott'anni, solo tre più di lei. Perché continuava a trattarla come una poppante sprovveduta? In fondo era arrivata da sola in quel buco di paese attraversando un oceano, mentre lui, con tutte le arie che si dava, era nato e cresciuto in mezzo alla desolazione del Belumbia senza mai allontanarsene! Chi si credeva di essere? Non aveva capito che lei stava cercando un padre, non un rompiscatole di fratello maggiore? Dopo qualche chilometro, tuttavia, si rese conto che Pablo aveva le sue buoni ragione per non voler scoperchiare la vecchia bagnarola a motore. Di punto in bianco, infatti, e senza la minima avvisaglia, il sole sparì e iniziò a cadere una pioggia fitta e pesante che il telone tratteneva solo in parte, limitandosi ad attenuarne la violenza. Una buona quantità d'acqua, infatti, riusciva a filtrare attraverso la trama, inzuppando i eggeri fino all'osso. Eppure sca, incredibilmente, non sentiva freddo: nel cielo del Belumbia doveva esserci un enorme scaldabagno, perché l'acqua sembrava quasi calda! La pioggia si riversò dal cielo per non più di cinque o sei minuti. Poi, così rapidamente come se n'era andato, il sole tornò, ma il paesaggio ai lati della strada era cambiato e ovunque la foresta sembrava trasformata in palude. Scendendo dai declivi, l'acqua si raccoglieva ogni tanto in qualche stretto avvallamento e attraversava impetuosa la strada priva di scoli, interrompendola e rendendo pressoché impossibile il transito di uomini e mezzi. Alcuni contadini indios di aggio, a piedi o sopra instabili biciclette arrugginite, attendevano immobili presso i due tronconi di strada. Erano bagnati fradici, ma le loro espressioni apparivano imperturbabili, come se quel diluvio universale fe parte della normalità delle cose. Guardavano l'acqua scorrere e attendevano pazientemente che la furia della corrente diminuisse per guadare il torrente senza il pericolo di essere travolti. Non importava quanto tempo avrebbero dovuto attendere. Qualche minuto, qualche ora, o qualche giorno, per loro faceva lo stesso, o almeno così lasciavano intendere le loro facce inespressive. Di fronte alle fiumane che attraversavano la strada, Pablo arrestava la jeep per qualche istante, poi innestava la trazione su quattro ruote motrici e si avventurava lentamente in mezzo all'acqua, mentre i peones. appiedati osservavano i tentativi con rassegnata indifferenza.

Il viaggio continuò noioso e scomodo com'era cominciato, tra guadi, voragini che si aprivano improvvisamente sul piano stradale, scrosci improvvisi di pioggia, torrenti d'acqua fangosa e fugaci schiarite del cielo. Quando finalmente la jeep sbucò nella radura dove sorgeva il villaggio di Los Pantanos, erano ormai ate molte ore dalla partenza da Santa Paz e già si profilava la necessità di trascorrere la notte in quel buco dimenticato da Dio, perché non sarebbe stato possibile far ritorno prima del buio. In giro per le strade non c'era nessuno e il paese sembrava deserto. — La gente è ancora al lavoro nei campi — spiegò Pablo mentre sca, osservando Los Pantanos, si rendeva conto che in Belumbia non c'era alcun limite alla miseria. Se gli edifici della capitale erano fatiscenti, che cosa si poteva dire delle abitazioni di quel villaggio sperduto, sparse qua e là senza alcun ordine apparente, ma disposte in modo casuale, come l'erba matta in un prato rinselvatichito? Una buona parte di esse era costruita con legno e canne ed era ricoperta di paglia o, per i più fortunati, di lastre ondulate in plastica o lamiera. Le rare case in muratura non apparivano meno precarie, tappezzate com'erano da vistose macchie di umidità che salivano da terra e si estendevano lungo le pareti fin sotto il tetto, disfacendo ogni traccia residua di intonaco. Los Pantanos mise addosso a sca una grande depressione. Che cosa mai aveva spinto Flavio Vitali a rifugiarsi in un posto simile? In pochi minuti la jeep percorse le strade del paese e andò a fermarsi nel mezzo di uno spiazzo. — Plaza de la Iglesia... — mormorò Pablo ripetendo tra sé l'indirizzo di Flavio Vitali avuto da Don Fernando — Dovrebbe essere qui — osservò indicando una chiesetta che in origine doveva essere bianca, ma che ora presentava lo stesso color fanghiglia che abbondava dappertutto dentro e fuori il centro abitato. I tre ragazzi si guardarono attorno spaesati cercando qualcuno a cui chiedere informazioni, ma gli unici esseri viventi in quel piazzale erano alcuni maiali che grufolavano in mezzo alla melma e contendevano con prepotenza a una dozzina di galline chissà quali immonde ghiottonerie. Dopo qualche istante i tre ragazzi si accorsero che c'era dell'altro. Una delle galline, infatti, si era allontanata dalle altre e si era accostata al bordo della spianata alla ricerca di uno spazio libero dalla vorace invadenza dei maiali, quando qualcosa di indistinto si aprì e si chiuse con la velocità di un fulmine, lasciando come unica traccia del povero pennuto l'elegante e casuale volteggiare di un paio di piume. — Cos'è stato? — chiese allarmata sca, ma non ci fu il tempo per una risposta. Da una delle abitazioni in muratura che si affacciavano sullo spiazzo,

una giovane donna calzata di goffi stivali di gomma si scaraventò all'esterno e, brandendo una scopa come fosse uno spadone medioevale, si precipitò verso il punto in cui si era volatilizzata la gallina. La donna sguazzava nel fango con un'agilità sorprendente e menava a terra dei gran fendenti urlando coloriti improperi in spagnolo. sca e compagni pensarono che stesse dando di matto, ma i suoi energici colpi di scopa rivelarono una massa che fino a quel momento si era perfettamente mimetizzata nel fango. Sollevandosi su quattro zampe corte e tozze, la melmosa creatura si rilevò finalmente per quel che era: un alligatore lungo un paio di metri che, spaventato a morte, se la filò rapidamente, cercando di raggiungere un fiumiciattolo che scorreva sul limitare dello spiazzo. La giovane donna lo rincorse tempestandolo di colpi fino a quando il malcapitato animale scivolò in acqua. Non contenta, si attardò a lanciargli pittoresche maledizioni, chiamandone in causa la madre, la nonna, la trisavola e risalendo di parecchie generazioni tutto l'albero genealogico del rettile. Dopo essersi sfogata, ritornò borbottando sui propri i e solo allora si accorse della presenza della jeep e dei tre ragazzi. — Dannati alligatori! È la terza gallina che mi fanno fuori in una settimana! Ma cosa credono, che le ingrassi per loro? — si lamentò, per niente imbarazzata. Nonostante indossasse una vestaglia scolorita e dei goffi stivali di gomma, la giovane donna era molto bella. Poteva avere trent'anni o poco più e i suoi lineamenti erano una prova vivente di quanti popoli si fossero avvicendati in quei luoghi durante i secoli. In lei, infatti, sembravano concentrati tutti i tratti migliori di ogni razza: i capelli erano crespi, la pelle era scura, le labbra carnose, il naso era sottile e perfetto e gli occhi grandi, tagliati a mandorla, erano di un color verde smeraldo. Inoltre era alta, snella e slanciata e ricordava una modella di colore molto nota nel mondo della moda e dello spettacolo. — Che ci fate voi in questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini? — chiese. — Cerchiamo una persona, señora — le rispose Pablo. — Un italiano. Un certo Flavio Vitali. Lo conosce per caso? — E perché mai lo cercate? Vi deve forse dei soldi?— chiese la donna senza riuscire a nascondere una certa diffidenza. — No, señora. Flavio Vitali è mio padre! — replicò sca. — Tuo padre? — esclamò la donna incredula.

— Sì, mio padre! — Tuo padre? — ripeté la giovane donna scoppiando in una risata che mise allo scoperto due file di denti bianchissimi e perfetti. — Sì, è mio padre, cosa c'è da ridere? — ripeté sca un po' risentita. La donna non rispose. Si portò le mani ai lati della bocca e rivolse lo sguardo verso la casa. — Juanito! Presto, vieni a conoscere tua sorella! — urlò. "Ma che sta dicendo?" si chiese sca, mentre sulla soglia dell'abitazione si affacciava un ragazzino di otto, nove anni, molto somigliante alla madre, ma con la pelle color caffelatte e i capelli castano chiari. — Sei matta, mamma? Io non ho sorelle! — rispose il ragazzo. — Adesso sì! Adesso ne hai una, Juanito! — replicò la donna. — Che significa? — chiese sca, che si rifiutava di accettare quello che aveva già cominciato a intuire. — Credevi di essere figlia unica, niña? E invece no! Hai un fratello! — le rivelò la donna ridendo. sca restò a bocca aperta, incapace di proferire mezza parola e continuò per qualche istante a spostare lo sguardo dalla donna al ragazzino che la guardava altrettanto incuriosito e strabiliato. — Sì, hai capito giusto, niña — dichiarò la donna rispondendo alla domanda che sca non riusciva a formulare. — Tu e Juanito siete figli di madri diverse, ma il padre è lo stesso: Flavio Vitali!

17 - HELÈNA Helèna Herrera, così si chiamava la donna che aveva dato a sca l'incredibile notizia, accolse i tre ragazzi in casa sua insistendo per averli come ospiti. Helèna era molto affabile e, dopo l'iniziale imbarazzo, cominciò a trattare sca molto familiarmente. La ragazza, da parte sua, si rese conto che la scuola di spagnolo a cui l'aveva involontariamente sottoposta Maria Dolores fin dai primi anni di età le permetteva non solo di capirlo perfettamente, ma anche di parlarlo in modo più che accettabile. — Tu sei la moglie di Flavio? — chiese a Helèna dopo avere esitato a lungo. — No, niña. Non lo sono. E tua madre lo è? — No... nemmeno lei — rispose sca ed Helèna si mise a ridere. — Ah, Flavio, Flavio! — mormorò scuotendo la testa. — Ma lui dov'è? È qui? — No, niña. Sono anni che non lo vedo. — Ma lui sa di Juanito? — Certo! Ma non credo gliene importi molto! — rispose la donna e sca sentì una stretta al cuore. Se il comportamento di Flavio poteva avere qualche attenuante nei confronti suoi e di Lucia, non ne aveva alcuna nei riguardi di Helèna e di Juanito, che non diceva una parola e se ne stava seduto in disparte a osservare quella sorella chiara di pelle, piombata improvvisamente dal cielo in un modo che ancora non riusciva a comprendere. — Ho conosciuto Flavio a Santa Paz mentre finivo il corso di infermiera — spiegò Helèna, affettando la verdura per la cena. — Quando sono stata mandata qui per assistere il dottor Hernandez, lui mi ha seguita. — Allora ti voleva bene! — osservò sca, sperando di intravedere un barlume di umanità nella figura del padre. Sicuramente doveva amare moltissimo quella donna per seguirla in un posto come quello. E chi non l'avrebbe seguita, bella com'era?

— Anch'io lo credevo — rispose Helèna — ma con il tempo mi sono resa conto che l'unica persona che Flavio ama davvero è se stesso. Mi ha seguita solo perché aveva bisogno di un posto fuori mano dove nascondersi. Non so che traffici o che storie avesse a Santa Paz, ma sicuramente non era uno stinco di santo, anche se all'inizio mi aveva raccontato che si trovava in Belumbia per motivi di studio. Una scusa, naturalmente. Qui non c'è proprio nulla da studiare! — E poi? Perché se n'è andato? — Flavio non è il tipo che se ne sta fermo per molto tempo nello stesso posto. Dopo un po' partiva, ma poi tornava. Un po' alla volta mi sono resa conto che non lo faceva per me, ma solo perché Los Pantanos era un rifugio comodo quand'era nei guai. Però non volevo crederci e ogni volta lo accoglievo a braccia aperte. Che stupida, vero? sca pendeva dalle labbra di Helèna e aveva la netta sensazione di vivere una situazione fuori dal comune. Non capitava a tutte le ragazze di starsene a migliaia di chilometri da casa ad ascoltare le confidenze di una donna mai vista prima che era stata innamorata di suo padre e che le parlava come a una vecchia amica, nonostante la differenza di età. Le raccontava di un padre che lei non aveva mai conosciuto e la cui mitica immagine si veniva a poco a poco appannando. Altro che principe o miliardario! — E Juanito? Quando è arrivato Juanito? — chiese a Helèna sbirciando il ragazzino. — Beh, niña... ormai sei grandicella e puoi capirlo no? — rispose la donna sorridendo con una punta di malizia. — È stato durante una delle sue visite. Poi Flavio è sparito ed è tornato che il piccolo era già nato da un paio d'anni. — E che ha detto? — Sembrava contento di avere un figlio. Ho capito in seguito che fingeva, perché aveva solo bisogno di starsene tranquillo per un po'. Un bel giorno ha cominciato a parlare dei giacimenti d'oro che stanno un po' più a ovest e della possibilità di arricchirsi in poco tempo. Diceva che sarebbe tornato ricco, ci saremmo sposati e avrebbe portato via me e Juanito da questa fogna. — Gli hai creduto?

— No... anche se speravo di sbagliarmi... — sorrise Helèna rimanendo in silenzio per qualche istante. — Gli ho anche prestato dei soldi. Tutto quello che avevo! — Non l'hai più visto? — Né lui né i soldi, niña. Non s'è più fatto vivo e io non l'ho cercato. Ma se dovesse ripresentarsi... Così dicendo alzò il coltello e menò un gran fendente sopra una piccola zucca. sca sobbalzò spaventata fissando l'ortaggio spaccato esattamente a metà. — Sta' tranquilla! Non ti renderò orfana! — la rassicurò Helèna scoppiando ancora una volta a ridere — Non mi importa più nulla di lui! Mi ha lasciato solo un bellissimo ricordo e questo mi basta — concluse avvicinandosi a Juanito e scompigliandogli i capelli.

18 - LA RICERCA CONTINUA La casa in cui abitava Helèna era una delle meno disastrate di Los Pantanos. In origine era stata l'infermeria del paese, una specie di piccolo ospedale autosufficiente che poteva ospitare fino a una decina di pazienti. Poi il dottor Hernandez, di cui Helèna era l'assistente, aveva trovato un posto in un luogo un po' meno scomodo e se n'era andato, ma nessuno era mai arrivato a rimpiazzarlo. Da quel momento Helèna era divenuta l'unica autorità sanitaria di Los Pantanos e si era ingegnata a far di tutto, dalle suture all'estrazione dei denti. — Ma non senti mai il desiderio di andartene? — le chiese sca. — Se me ne vado io, chi mai presterà un minimo di assistenza ai poveri peones di Los Pantanos? Helèna avrebbe potuto fare con successo la modella, pensò sca, eppure era rimasta in quel buco fangoso a sacrificarsi per gli altri. Come aveva potuto innamorarsi di un tipo come Flavio Vitali? La cena era stata squisita. sca aveva assaporato gusti di spezie mai provati prima, poi Helèna aveva sistemato lei e i ragazzi in una stanza che un tempo era adibita a sala di degenza degli ammalati. — Sono lontani i giacimenti minerari di cui ha parlato Helèna? — chiese sca a Pablo, mentre sistemavano sui letti i loro sacchi a pelo. — Sei cocciuta, Francisca! Non ti basta avere scoperto che tuo padre era solo un grandissimo stronzo? — esclamò il ragazzo. — Piano, non offendiamo, è pur sempre mio padre! Semmai l'unica a potersi permettere di dirlo sono io! — È un privilegio che ti lascio volentieri! Che cosa vuoi fare ancora? Andarglielo a dire di persona? — Perché no? — rispose lei con aria di sfida. Pablo restò immobile per qualche istante a fissarla in silenzio. — Sei proprio tremenda! — sospirò scuotendo la testa.

— Ho ancora due giorni! Posso ancora farcela! — Non pensi che José e io potremmo avere cose più interessanti da fare a Santa Paz che seguire una ragazzina viziata e piantagrane che non ha il minimo senso della realtà? — sbottò Pablo, non sapendo di aver toccato pesantemente un tasto che non avrebbe mai dovuto nemmeno sfiorare. Sentendosi ancora una volta sminuita, la reazione di sca non si fece attendere. — Voglio raggiungere la zona mineraria. O con te o senza di te, è là che voglio andare! E non provare nemmeno a farmi cambiare idea! — dichiarò risoluta. — Questo è un ricatto! Sai benissimo che non ti lasceremmo mai qui da sola! Se non verrai con noi con le buone, ti legheremo come un salame e ti caricheremo di peso sulla jeep! Che ne pensi, José? — chiese all'amico, cercando approvazione. — Ma no, perché? — replicò il gigante, che pur non parlando italiano, aveva ugualmente compreso il senso della discussione. — In fondo, è vero: Francisca ha ancora due giorni di tempo prima della partenza dell'aereo e noi, dì la verità, che cosa dobbiamo fare a Santa Paz di tanto importante? Io sono curioso di vedere come va a finire! — Ah, bene! Hai trovato un alleato, piccola strega? Che cosa gli hai promesso? — esclamò irritato Pablo. — Ti prego, Pablo! — lo supplicò lei cambiando improvvisamente tono e spalancandogli due occhi languidi e imploranti — Se non troviamo Flavio alle miniere, accetterò di tornare a Santa Paz senza discutere! Te lo prometto! Difficile resistere a uno sguardo e a una richiesta come quella, ma al momento Pablo non rispose né sì né no e s'infilò nel sacco a pelo con un diavolo per capello. — ¡Adelante, Francisca! — si sentì chiamare la ragazza all'alba del giorno dopo — La strada per le miniere è lunga! sca ò istantaneamente dal sonno alla veglia e saltò al collo di Pablo che l'aveva svegliata. — Oh, Pablo! Sei davvero meraviglioso! — gli disse stampandogli sulle guance

due grossi baci e lui arrossì come un peperone alla griglia. In poco tempo i tre ragazzi furono pronti per partire, ma prima Helèna insistette perché consumassero l’abbondante colazione che aveva preparato per loro e al momento del commiato strinse a sé sca in un lungo abbraccio. — Tornatene a casa, niña! — le disse. — Tua madre starà in pena per te e Flavio non merita tanta attenzione! sca era commossa e quando Helèna sciolse la stretta, si guardò attorno per salutare Juanito, ma il ragazzino era scomparso. La madre lo chiamò a lungo, ma inutilmente e la ragazza si rammaricò di aver trovato e perso un fratello in così poco tempo. — Cerca di capirlo. Credo sia rimasto sconvolto per avere scoperto di avere una sorella. Forse sperava che ti fermassi un po' di più — lo giustificò Helèna. — Un giorno tornerò e porterò via te e lui da questo buco — le promise sca. — Oh, niña! Non farmi le stesse promesse di tuo padre! — sorrise malinconica Helèna. — Ma io le manterrò! — replicò risoluta sca. Helèna le sorrise ancora una volta e le accarezzò affettuosamente una guancia. — Sei la cosa più bella che sia mai ata da Los Pantanos! Sono contenta di averti conosciuta, ma ora vai, niña! La strada per le miniere è lunga! — la esortò con gli occhi rossi. La vecchia jeep si mise in moto e per lunghi minuti nessuno dei tre ragazzi parlò. Se sca avesse guardato negli occhi Pablo e José, si sarebbe accorta che erano rossi dalla commozione almeno quanto i suoi e quelli di Helèna.

19 - IL PONTE Quella notte piovve ininterrottamente fino al mattino e la strada era ridotta ormai a un torrente di fango. La jeep di Pablo ogni tanto slittava e il ragazzo doveva mantenere innestate in continuazione le quattro ruote motrici per non finire impantanato. All'uscita del paese aveva fatto il pieno presso una specie di emporio che vendeva di tutto, dagli spilli da balia alle videocassette, ed era l'unico posto a Los Pantanos in cui si potesse trovare anche della benzina, immagazzinata in vecchie taniche di metallo. Pablo aveva contrattato parecchio, ma alla fine il carburante gli era stato venduto a un prezzo più che ragionevole. Dopo avere ripreso la marcia, poco lontano da Los Pantanos i tre ragazzi si trovarono di fronte un fiume in piena, gonfiato a dismisura dalle piogge notturne e attraversato da un esile ponte di legno. Pablo arrestò la jeep indeciso sul da farsi e sca contemplò affascinata la fiumana tumultuosa che aveva trasformato il corso d'acqua in una rapida. Il fiume era largo una cinquantina di metri e aveva lo stesso color fanghiglia dei torrentelli guadati il giorno prima, ma la sua portata era ben più grande e la corrente premeva impetuosa sui piloni di legno del ponte. — Reggerà? — chiese sca. — Al nostro peso sì, ma non so se sarà in grado di resistere ancora per molto alla piena — rispose Pablo. — E allora sbrighiamoci a are! — suggerì la ragazza. Pablo non ne era molto entusiasta, ma piuttosto che rimettersi a discutere, innestò la prima e si affacciò sul tavolato del ponte. La jeep avanzò lentamente facendo rimbombare le assi di legno sotto le ruote. In Italia sca non aveva mai visto una struttura simile. Sembrava tenuta insieme con lo spago e la sponda dall'altra parte le appariva maledettamente lontana, specialmente quando il ponte iniziò a oscillare come una erella di corda sospesa sopra un dirupo. — Che succede, Pablo? Siamo troppo pesanti? — chiese allarmata. — No, non siamo noi. È la corrente che preme sui piloni.

— Sbrighiamoci, allora! — Non posso accelerare. Sopra un ponte come questo bisogna andare cauti. Non senti come vibra il tavolato? Era vero. Il frastuono era grande, ma sca si rese conto con raccapriccio che al rintronare delle assi e al rombo della corrente si era aggiunto un sinistro scricchiolio. Sottoposte all'enorme pressione della piena, le componenti della fragile struttura di legno sfregavano l'una contro l'altra e sembravano gridare di dolore, mentre l'oscillazione di poco prima si trasformava in un violento ondeggiare che rendeva difficile l'avanzata della jeep. Le ruote, infatti, tendevano a slittare sull'impiantito liscio e bagnato e tutto il ponte continuava a resistere solo perché era di legno e le sue parti si lasciavano deformare senza arrivare a sfasciarsi. — Oh, mio Dio... — mormorò a un tratto Pablo sbirciando negli specchietti retrovisori. — Che c'è? — chiese sca girandosi indietro a guardare. Nel riquadro aperto nella parte posteriore del telone, al di là della mole di José, le apparve uno spettacolo che le fece accapponare la pelle: l'estremità del ponte dalla parte di Los Pantanos stava cedendo alla forza dell'acqua e si piegava pericolosamente a valle staccandosi dalla sponda del fiume e lasciandosi travolgere dalla fiumana. Le assi volavano in alto e ricadevano in acqua sparendo tra i flutti. La metà del ponte su cui stava la jeep resisteva ancora alla piena, ma la struttura aveva iniziato a rovinare dalla sponda opposta trascinando rapidamente con sé tutto ciò che restava in piedi. Pablo si dimenticò della prudenza e schiacciò l'acceleratore. Il vecchio motore ebbe un guizzo d'orgoglio e la macchina schizzò in avanti. — Presto, Pablo! Presto! — gridò José rendendosi conto che a pochi metri dalla jeep il ponte non esisteva più e il crollo stava per coinvolgere progressivamente tutta la struttura. Girata indietro, sca non vedeva più il tavolato, ma solo la corrente impetuosa e limacciosa del fiume. Dal suo punto di vista ebbe la terribile impressione che la jeep fosse sospesa nel vuoto e che il tuffo nell'acqua fangosa sarebbe stato imminente. Pensò che solo un miracolo avrebbe potuto salvarli e si girò istintivamente in avanti, resistendo alla tentazione di aggrapparsi a Pablo. — Presto, Pablo! Presto! — continuava a urlare José, vedendo che a pochi i

dalla jeep il vuoto stava già quasi arrivando a ghermire le ruote posteriori. sca si girò a guardare in avanti e vide che anche l'altra estremità del ponte si stava pericolosamente inclinando di lato. Ancora qualche istante e la jeep si sarebbe rovesciata precipitando in acqua. Pablo affondò il piede sull'acceleratore e tentò di far compiere al povero e malandato mezzo l'ultimo e disperato balzo. Per una frazione di secondo sca ebbe l'impressione che la jeep fosse davvero sospesa in aria e quando si sentì piombare in basso, pensò che fosse arrivata la fine. Per il contraccolpo i eggeri si ritrovarono sbattuti contro il telone e quando ricaddero sui sedili si sentirono lo stomaco in gola, ma di una cosa si resero conto: le ruote non avevano preso contatto con la superficie limacciosa del fiume, ma con il terreno solido dell'altra sponda. I tre ragazzi si girarono indietro a guardare, ma del ponte erano rimaste solo alcune funi e due piloni di legno ai quali fino a qualche istante prima era ancorata la struttura. Il resto era solo una massa informe di pali e assi che la piena tumultuosa stava trasportando lontano.

20 - JUANITO

— Madre de Dios! — gemette Pablo girandosi verso la ragazza, pallida come un cencio, che lo guardava con occhi pieni di sgomento, ma anche di gratitudine e ammirazione. — Tutto bene? — le chiese. — A meraviglia... bravo Pablo! — rispose lei con un filo di voce. — Sì, Bravo Pablo! — si complimentò José assestandogli una vigorosa manata sulla schiena. — Oh, ragazzi, che volete che sia? — rispose il ragazzo ridendo nervosamente — Lo faccio tutti i giorni! La parte più difficile è trovare un ponte che sta crollando! Anche sca e José si lasciarono prendere da una risata liberatoria e Pablo rimise in moto per riprendere il viaggio, ma al momento di ingranare la marcia si fermò con lo sguardo fisso in avanti. — Oh, oh! guardate chi c'è! — esclamò. Davanti al cofano della macchina era improvvisamente comparso Juanito, il figlio di Helèna. — Che ci fai da questa parte del fiume? Come torni a casa adesso che il ponte è crollato? — gli chiese Pablo. — Tornare a casa? Non ci penso nemmeno! Sono qui perché voglio venire con voi! — dichiarò risoluto il ragazzino. — Non se ne parla! Torna da tua madre e non metterti strane idee in testa. — Come faccio a tornare a casa adesso che il ponte non c'è più? sca se ne stava a contemplare senza dire niente il fratellino color caffelatte. "Ecco perché non si è fatto vivo stamattina" pensò. "Aveva già

progettato di unirsi a noi e temeva un rifiuto da parte di Helèna!" — Perché vuoi venire con noi? — gli chiese. — Voglio vedere mio padre... cioè... nostro padre... — Ti ricordi ancora di lui? — No... — Perché vuoi vederlo, allora? — Voglio guardarlo negli occhi e chiedergli perché se n'è andato! — rispose Juanito e sca si ricordò la coltellata di Helèna che aveva tagliato a metà la zucca. — Beh, sicuramente non possiamo rimandarlo a casa! — commentò Pablo indicando il fiume alle loro spalle. — E allora che si fa? — chiese sca. — Intanto teniamolo con noi. Lo riporteremo a casa al ritorno facendo un'altra strada. — Ma sua madre starà in pensiero! — Oh, ma sentila! Si preoccupa della madre degli altri! E della tua non ti preoccupi? — la schernì il ragazzo e sca sentì che all'ammirazione di qualche istante prima si sostituiva un odio feroce. Non sopportava le persone convinte di avere sempre ragione, soprattutto quando ce l'avevano davvero. — Non preoccuparti — la rassicurò Pablo rendendosi conto, forse, del forte disappunto che traspariva dallo sguardo della ragazza. — L'emporio di Los Pantanos funziona anche come posto telefonico. Stamattina sono riuscito a chiamare mio padre per dirgli che non tornavamo subito a Santa Paz. Al prossimo paese faremo lo stesso con Helèna e la faremo avvisare che Juanito è con noi. Quell'aria da bravo ragazzo che pensa sempre a tutto fece montare i nervi a sca, ma questa volta non ce l'aveva tanto con lui, quanto con se stessa.

Perché certe cose a lei non venivano in mente e a Pablo sì? E perché quell'antipatico continuava a farglielo pesare? — Tuo padre è riuscito ad avere notizie di mia mamma? — gli chiese cercando di dissimulare la propria stizza. — Non lo so. Ho fatto appena a tempo a dirgli che tornavamo domani e la linea è caduta. Beh, che si fa con tuo fratello? Fratello... una parola che a sca suonava nuova e incredibile. Non riusciva ad abituarsi all'idea e si rese conto che forse ne provava addirittura un viscerale rifiuto, ma quel ragazzino dalla pelle scura che la fissava oltre il cofano della jeep stava sicuramente provando gli stessi sentimenti che avevano spinto lei ad attraversare l'oceano. — Cosa vuoi che ne facciamo? — rispose. — Vuoi che lo lasciamo da solo da questa parte del fiume? Se vuole venire con noi ne ha tutto il diritto, in fondo stiamo cercando la stessa cosa! Con un movimento del capo fece cenno a Juanito di salire e il ragazzino le sorrise.

21 - I CERCATORI D'ORO

La strada al di là del ponte era in condizioni leggermente migliori di quella percorsa il giorno prima e il viaggio poté proseguire per un paio d'ore un po' più speditamente. Per raggiungere la zona dei cercatori d'oro, tuttavia, i quattro ragazzi dovettero abbandonare la strada principale e arrampicarsi a o d'uomo lungo una ripida e tortuosa carreggiata, poco più di una mulattiera, che si inoltrava tra i monti della Sierra Belumbiese. La pioggia aveva finalmente concesso una tregua e il sole splendeva, ma nonostante fossero saliti ben oltre i duemila metri sul livello del mare, con il are delle ore la temperatura e l'umidità erano tornati a farsi sentire, senza contare l'accresciuta attenzione degli insetti che la ridotta velocità della jeep non riusciva più a lasciare indietro e che aveva costretto i quattro ragazzi a spalmarsi sulle parti scoperte del corpo la solita pomata repellente. Era ormai mezzogiorno quando, superato un o, avvistarono dall'alto un agglomerato di baracche attorno al quale c'era un certo movimento. Lo raggiunsero e si trovarono proiettati improvvisamente indietro nel tempo, in una specie di accampamento in perfetto stile vecchio west. L'unico segno di modernità era dato da un paio di malridotti fuoristrada e da tre o quattro moto da enduro altrettanto malandate in sosta davanti a una stamberga di legno che ostentava pomposamente un'insegna con su scritto EMPORIO, CANTINA Y POSADA. — Ma lo trovano davvero l'oro? — chiese incuriosita sca, notando che le pendici dei rilievi attorno al baraccamento erano bucherellate da numerose aperture puntellate con travi di legno, dalle quali entravano e uscivano, come da un formicaio, un gran numero d'uomini indaffarati, sporchi di terra e fango fin sopra i capelli. — Ci provano — rispose Pablo. — Ogni tanto qualcuno dice di aver portato alla luce un filone, ma non ho mai sentito di gente che sia veramente riuscita ad arricchirsi.

La jeep si arrestò davanti alla cantina e i quattro ragazzi scesero guardandosi attorno curiosi. — Cosa vi porta da queste parti, ragazzi? — chiese un uomo uscendo sull'uscio della stamberga con un grembiule unto e bisunto legato in vita. Sicuramente si trattava del gestore del locale, l'unica persona che in quel posto di frontiera riusciva a mettere da parte dei soldi senza doversi sporcare le mani scavando. — Cerchiamo una persona — rispose Pablo. — Un italiano di nome Flavio Vitali. Lo conosce? — Flavio Vitali? Non siete gli unici a cercarlo! È riuscito ad abbindolare anche voi? — esclamò l'uomo sogghignando. Fino a quel momento sca aveva sentito solo delle vaghe allusioni, ora avrebbe finalmente scoperto di che cosa si occupava suo padre e perché non aveva ancora trovato una persona che ne parlasse bene. — In un certo senso sì! Sono sua figlia... anzi, siamo suoi figli — rispose indicando Juanito. — Non vi assomigliate molto tra voi! In ogni caso vi sconsiglio di andare in giro a dire che siete figli di Flavio Vitali! — Perché? — Vedete quegli uomini che stanno lavorando sulle colline? — indicò il gestore puntando il dito in direzione delle aperture sui rilievi. — Gliel'hanno giurata a morte. Voi sicuramente non c'entrate, ma ogni volta che si parla di Vitali gli animi si scaldano. — Si può sapere cos'ha combinato? — Vitali è uno che sa parlare bene. Tanto bene che la gente sembra persino felice di farsi abbindolare da lui. Il problema, però, è che quando rinsavisce se ne rende conto ed è tutt'altro che contenta! — Insomma, ci racconti! — Non c'è molto da dire. È arrivato qui predicando che i minatori non avrebbero

ricavato alcun guadagno dalla ricerca dell'oro con i loro metodi antiquati, anzi, avrebbero sprecato intere fortune. Secondo lui dovevano organizzarsi meglio: mettere in comune una parte degli utili e costituire una cooperativa. Con i soldi di tutti avrebbero comprato attrezzature che da soli non avrebbero mai potuto permettersi. Solo così la ricerca dell'oro, diceva, si sarebbe trasformata in una vera e propria industria, smettendo di essere un'attività da disperati. — Non aveva ragione? — Certo che ne aveva! Peccato, però, che abbia preso il volo con gran parte dell'oro che i minatori erano riusciti a mettere insieme. Vitali aveva assicurato che sarebbe tornato con un notaio per formalizzare la fondazione della cooperativa e con un nuovo macchinario per setacciare il minerale grezzo, ma non si è più visto. sca aveva già intuito come sarebbe andato a finire il racconto e si ricordò della promessa non mantenuta che Flavio aveva fatto a Helèna. Ormai aveva capito di che cosa si occupava suo padre: ingannare il prossimo calpestando le aspettative, le speranze e i sentimenti di tutti quelli che incontrava. — Per farla breve — concluse l'uomo — Vitali è svanito nel nulla con il piccolo tesoro dei minatori. Dire che ci sono rimasti un po' male è poco! Capite adesso il motivo del mio consiglio? Ve lo ripeto: risalite su quella jeep e tornate immediatamente da dove siete venuti! — È meglio che facciamo quel che dice. Ormai ne sai abbastanza, Francisca. Andiamocene! — la esortò Pablo. — Non avete idea di dove sia finito? — chiese all'uomo la ragazza, ignorando l'invito di Pablo. — Ho sentito dire che ha perso tutto al gioco. Adesso pare che lavori con Manolo Sanchez. — Manolo Sanchez? — esclamò incredulo Pablo. — Già, proprio lui! Manolo Sanchez, il più grande trafficante di cocaina del Belumbia! Perché non andate a trovarlo e non gli chiedete se Flavio Vitali è riuscito a imbrogliare anche lui? Brava persona, tuo padre, muchacha!

"Traditore, truffatore, incallito giocatore che perde al gioco intere fortune sottratte ad altri e per giunta anche trafficante di droga!" pensò sca sgomenta. — Non ti basta ancora, Francisca? Andiamocene! — la esortò Pablo, ma la ragazza non sapeva che dire o fare. Aveva solo in corpo una gran delusione mista a rabbia. — La muchacha è figlia di Flavio Vitali? — chiese incredulo un uomo che, uscendo in quel momento dalla cantina, aveva casualmente sentito le ultime parole del gestore. — Ehi, compañeros! C'è la figlia di Flavio Vitali, correte! — gridò rivolgendosi a un gruppo di minatori sporchi e laceri che si stavano avviando a mangiare presso il locale. I minatori squadrarono allibiti la ragazza e affrettarono il o minacciosi. — È meglio che andiate via di corsa, ragazzi! — biascicò a mezza voce il gestore. — Andiamo, presto! — sussurrò Pablo, ma un altro gruppetto di minatori era sbucato da dietro la cantina tagliando loro la possibilità di raggiungere la jeep. — La figlia di Flavio Vitali? — si chiedevano l'un l'altro sghignazzando — Ma che bella sorpresa! — ¡Bienvenida, señorita! — esclamarono beffardi, mentre accorreva altra gente sempre più minacciosa — Ci hai riportato indietro l'oro? — Lasciateci andare! — li pregò Pablo. — Lei non c'entra con suo padre. Non l'ha mai conosciuto, non sa niente! Lo sta solo cercando! Non ha alcuna colpa di quello che ha fatto! — Ah, poverina! — la canzonarono i minatori, sempre più numerosi — Lei non sapeva niente! Ma adesso lo sa! Guardate quant'è carina! sca aveva solo una vaga idea di che cosa avrebbero potuto farle quelle belve inferocite, ma tanto le bastava per sentirsene atterrita. I due ragazzi attorno a lei cercavano di farle scudo, ma i minatori si avvicinavano sempre più minacciosi e sicuramente li avrebbero sopraffatti. Poi sarebbe toccato a lei, ma qualche istante dopo la ragazza si rese conto di aver sottovalutato José. Il giovane gigante si chinò di scatto e dopo aver afferrato uno dei minatori per i

piedi, lo sollevò facendolo roteare tutt'attorno come una clava e stendendo almeno altri sei o sette dei suoi compagni. Infine lo lasciò andare scagliandolo in mezzo al mucchio e sbattendone a terra altri tre o quattro. Senza dar tempo ai minatori di reagire, il giovane gigante ne afferrò subito un altro e lo usò allo stesso modo. Attorno a lui si fece finalmente un po' di spazio e il ragazzo ne approfittò per dirigersi con aria torva verso la jeep, seguito dai compagni. I minatori rimasti in piedi non osarono contrastarlo, anzi, gli fecero prudentemente ala, cercando di portarsi il più rapidamente possibile lontano dai suoi bicipiti. I quattro ragazzi ne approfittarono per balzare a bordo della jeep e per filarsela alla svelta.

22 - FLAVIO È VICINO!?

Pablo se ne scappò via veloce, per quanto potevano permettergli il motore sfiatato della vecchia jeep e la strada disastrata. Temeva, infatti, che i minatori decidessero di inseguirli e guidava con un occhio avanti e uno sugli specchietti retrovisori. Nessuno aveva osato proferire parola durante il tragitto. sca aveva addosso un gran magone e contemplava il paesaggio con aria assente. Pablo era pensieroso e ogni tanto la sbirciava con la coda dell'occhio, José sonnecchiava e Juanito, seduto dietro con lui, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla chioma castano chiara della sorella, raccolta sulla nuca da un elastico. Il ragazzino avrebbe voluto confortarla, spiegarle che non doveva prendersela, che lui aveva già capito da un pezzo com'era fatto Flavio. Si era unito a loro solo perché quella sconosciuta sorella maggiore dalla pelle chiara gli piaceva, anche se non l'aveva dato a vedere e voleva restare con lei un po' più a lungo prima che, come il padre, sparisse per sempre dalla sua vita. Queste e tante altre cose avrebbe voluto dirle, ma non sapeva da che parte cominciare. Lui era piccolo e non era bravo con i discorsi. — Che si fa, Francisca? — chiese Pablo tornando finalmente sulla strada principale. — Che vuoi fare? Riportiamo Juanito da Helèna e torniamo a Santa Paz — rispose la ragazza rassegnata. — Dobbiamo fare un ampio giro per aggirare il ponte crollato. Non ce la faremo a essere a Los Pantanos per questa sera. — Dopodomani devo prendere l'aereo — sospirò sca con rassegnazione. — E lo prenderai, sta' tranquilla — la rassicurò Pablo, contento che si fosse arresa di fronte all'evidenza, ma un po' dispiaciuto, perché la compagnia di quella ragazzina caparbia e risoluta cominciava a piacergli. — Perché non ci fermiamo da qualche parte a mangiare qualcosa? — brontolò José.

sca non aveva alcun appetito, ma accondiscese ugualmente, perché il povero José se lo meritava. Tuttavia davanti a una gigantesca tortilla di uova, patate e cipolla, che gli fu servita in un misero ristorantino lungo la strada, l'appetito le tornò e alla fine spolverò anche le briciole. — Flavio Vitali non si meritava tanta pena — sospirò alla fine. — Su, Francisca, non pensarci più! In fondo questo viaggio è servito a farti cambiare idea su tuo padre — cercò di consolarla Pablo. — Scusate, ragazzi — esordì in spagnolo un uomo con i baffi che stava mangiando un piatto di riso e fagioli al tavolo accanto — Anche se parlavate italiano, mi pare di avere capito che avete nominato Flavio Vitali! sca e i compagni lo osservarono con diffidenza, temendo l'inizio di un'altra sommossa popolare. — Oh, non preoccupatevi! — si mise a ridere l'uomo — Flavio Vitali è un carissimo amico! E se non ho capito male, è il padre di questa señorita ! Incantato di conoscerla! — esclamò porgendole la mano. — Non mi pare che Flavio Vitali abbia molti amici da queste parti! — osservò sca ricambiando la stretta di mano, ma senza riuscire a nascondere una certa diffidenza. — Oh, sono solo degli spiacevoli malintesi, señorita! — replicò l'uomo con i baffi. — Flavio è un uomo in gamba e onesto! Coltiva banane, pensate un po'! Il male è che in giro ci sono molti invidiosi! Come i minatori, ad esempio! L'unico che ha fatto un po' di fortuna con l'oro è stato lui e quelli vanno dicendo in giro che gliel'ha rubato! È solo gentaglia fallita, che ha bisogno di qualcuno sul quale scaricare le proprie frustrazioni! — Dite davvero? — gli chiese sca intravedendo uno spiraglio che potesse riabilitare il padre ai propri occhi. — Ma certo! — la rassicurò l'uomo — Scusate se ho orecchiato i vostri discorsi, ma non mi dica, señorita, che vuole tornarsene a casa senza nemmeno salutarlo! Abita non lontano da qui, lo sa? In un istante sca si dimenticò di tutto. Sua madre, Helèna, Juanito e i

minatori scomparvero d'un tratto dalla sua mente. Flavio era a portata di mano e lei era venuta in quel posto schifoso per incontrarlo. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto vedendolo. Forse gli avrebbe solo detto che era un grandissimo stronzo, oppure, chissà, gli sarebbe saltata al collo per la commozione. Ormai il più era fatto, perché rinunciare proprio adesso? — Dopodomani mattina devi prendere un aereo, Francisca, te ne sei dimenticata? — le ricordò Pablo, notando che lo sguardo della ragazza, spento e incolore fino a qualche attimo prima, aveva riacquistato la vivacità di sempre. — Mi spiega dove si trova mio padre? — chiese sca all'uomo con i baffi, ignorando l'obiezione e così la ragazza venne a sapere che Flavio Vitali viveva a Las Hojas, una località in collina, non molto lontana dalla strada principale per Los Pantanos e Santa Paz. — Oh, ti prego, Pablo! Hai già fatto tanto per me! Fa' un ultimo sforzo, poi non ti chiederò più niente! È quasi di strada! — lo implorò. "Lo sa l'effetto che fa questa piccola strega viziata quando sgrana i suoi occhioni imploranti?" Si chiese il ragazzo fissandola. "D'altra parte", pensò, sospettando che la ragazza lo sapesse benissimo, "Come posso dirle di no, se siamo davvero così vicini?" — Va bene, d'accordo, andiamo a Las Hojas — sospirò infine. — Grazie, Pablo! — esclamò la ragazza e per esprimergli tutta la propria gratitudine gli balzò al collo stampandoli un bacio su di una guancia. "Sei proprio una piccola strega!" pensò il ragazzo arrossendo. "Meno male che dopodomani te ne vai!" Non era questo, tuttavia, che il ragazzo pensava veramente.

23 - IN TRAPPOLA!

Seguendo le indicazioni dell'uomo con i baffi, Pablo deviò dalla strada principale dopo pochi chilometri e si inoltrò tra le colline lungo una strada rotabile che, al contrario delle altre, era in ottime condizioni, con tanto di suggestivi ponticelli di legno gettati sopra avvallamenti e piccoli corsi d'acqua. La stessa vegetazione ai bordi della strada era meno selvatica e più curata, del tutto diversa da quella che ricopriva gran parte del Belumbia. Interi appezzamenti di terreno erano ricoperti di arbusti dalle foglie ovali, alti dai due ai tre metri, disposti in file ordinate e con la base libera da erbacce. Sicuramente si trattava di una piantagione e qua e là si vedevano dei contadini che staccavano con cura le foglie dalle piante e ne riempivano dei piccoli rimorchi trainati da mini-trattori. — Non sembra una piantagione di banane... — osservò sca. Pablo, accigliato, non rispose. Dopo un po' si profilò sulla cima di una collina una specie di strano castello bianco, che qua e là aveva delle vere e proprie torrette di guardia. Anche lassù tutto sembrava lindo, pulito e affrescato da poco, in totale contrasto con gli edifici fatiscenti che sorgevano nel resto del Belumbia. sca era in ansia per l'imminente incontro con Flavio, ma in lei c'era anche un forte e irrazionale timore di ritrovarsi di fronte a qualche altra sgradita sorpresa. Erano appena usciti da un mare di guai, valeva la pena cercarne degli altri? Osservando la piantagione, anche Pablo aveva uno strano presentimento e intuendo l'incertezza di sca, provò a saggiare il terreno sperando che la ragazza avesse cambiato idea. — Ti vedo inquieta, Francisca! C'è qualcosa che non va? — le chiese. — Non so perché, ma tutto questo ordine mi puzza — dichiarò lei mentre la jeep arrancava lungo uno dei numerosi tornanti che portavano nella direzione del castello. — Anche la costruzione lassù è strana. Tutte le fattorie che abbiamo

incontrato lungo la strada erano povere e malandate. Quella, invece, sembra una residenza di lusso... La jeep continuò ad arrancare e i due ragazzi seduti davanti erano silenziosi. Pablo avrebbe voluto proporle ancora una volta di tornare indietro, ma esitava. Era giusto, si chiedeva, toglierle l'ultima possibilità di guardare in faccia suo padre solo per uno stupido presentimento? — Se quella lassù è la sua casa, non credo che Flavio abbia fatto fortuna solo con le banane — si limitò a insinuare. — Credo di capire che cosa intendi. Sono piante di coca quelle, vero? — chiese sca indicando la piantagione che fiancheggiava la strada. — Si, è così. Non sapevo come dirtelo, ma l'hai capito da sola. Mi dispiace. — Allora è meglio tornare indietro — consigliò lei triste e rassegnata. — Ne sei sicura? — le chiese il ragazzo provando per lei una gran pena. — Sì, Pablo, torniamo indietro — confermò lei calma. Lui avrebbe voluto dirle qualcosa per tirarla su di morale, ma non trovava le parole e si sentiva inutile. — In questo punto non posso girare la jeep — si limitò a rispondere — devo per forza continuare fino al primo slargo. Pablo continuò a salire sperando di trovare al più presto lo spazio per fare manovra, ma qualche istante dopo trasalì accorgendosi che sullo specchietto retrovisore era comparso improvvisamente un grosso fuoristrada nero che li seguiva tenendosi a una decina di metri. — E quello da dove è sbucato? — esclamò. — Chi saranno? — chiese allarmata sca girandosi indietro a guardare. — Sicuramente qualcuno che se ne va per i fatti suoi — cercò di tranquillizzarla lui, ma in realtà era preoccupato. Fino a pochi istanti prima la strada alle loro spalle era del tutto deserta. Che ci faceva ora lì quel grosso Hummer nuovo di zecca, così insolito in un paese come il Belumbia, in cui il parco macchine era costituito quasi esclusivamente da vecchi catorci?

"Mi sto preoccupando troppo" cercò di convincersi. "È sbucato da qualche strada laterale che non ho visto e se ne sta andando davvero per i fatti suoi! Adesso mi fermo e lo lascio are!" Accostò a destra e aspettò con ansia che il grosso automezzo lo superasse, ma il fuoristrada si fermò con il motore quattro o cinque metri più indietro. I vetri dell'Hummer erano oscurati e non si riusciva a vedere all'interno. Pablo sporse una mano e fece segno di are. Solo allora uno dei finestrini laterali del fuoristrada si abbassò, ma si sporse solo un braccio che rispose al segnale invitando il ragazzo a proseguire. Pablo ripeté il suo gesto e per tutta risposta il pesante mezzo si rimise in movimento, avvicinandosi lentamente alla jeep fino a toccarla con il suo vistoso paraurti. — Ma cosa vogliono? — si chiese spaventato Pablo, rendendosi conto che il grosso automezzo non si era limitato a toccare la jeep, ma la stava spingendo in avanti. Il ragazzo rimise in marcia e accelerò, ma il fuoristrada nero continuò a stargli incollato a un paio di metri. Pablo tentò di distanziarlo, ma quello, molto più potente, non lo mollava. Poco più avanti sbucò all'improvviso un altro veicolo identico al primo che, senza fermarsi, si piazzò davanti alla jeep stringendola in una specie di morsa dalla quale non avrebbe potuto sfuggire nemmeno se le fossero improvvisamente spuntati dei razzi. — Ci costringono a seguirli! — osservò Pablo, sempre più sconcertato. — Non c'è che il castello! È lì che ci stanno portando — commentò sca maledicendosi per aver voluto a tutti i costi fare l'ultimo tentativo per rivedere il padre. La ragazza non si sbagliava. Dopo pochi minuti, infatti, i tre veicoli raggiunsero la sommità della collina e si ritrovarono davanti a un alto muro bianco. Un pesante portone di metallo si aprì al loro arrivo e il primo fuoristrada ò oltre. Pablo, anziché seguirlo, si fermò, ma il grosso Hummer alle sue spalle si appoggiò con il paraurti al retro della jeep e riprese a spingerla, tanto che al ragazzo non restò che rimettere in moto e oltreare il portone.

24 - RICATTO! I ragazzi si ritrovarono all'interno di un vasto spiazzo delimitato da un alto muro, sulla sommità del quale eggiavano avanti e indietro alcuni uomini armati. Nel centro della spianata stava una lussuosa costruzione a due piani in stile messicano, con un ampio portico ornato da piante tropicali dai fiori coloratissimi. A lato c'era una piscina e più in là si scorgeva la sagoma di un elicottero. Dai fuoristrada uscirono otto uomini in bermuda, larghe camicie a fiori, occhiali scuri e pistole infilate con noncuranza nei pantaloni. Si avvicinarono alla jeep e fecero segno ai ragazzi di scendere. — Avanti, tartarughe, mettete fuori la testa dal guscio! — sghignazzarono, visto che sca e compagni esitavano. I quattro ragazzi si rassegnarono ad abbandonare il loro mezzo e con un gesto della mano uno degli uomini armati li invitò a seguirli. Con quattro gorilla dietro e quattro davanti, ai ragazzi non restò che ubbidire e lasciarsi condurre fino al bordo della piscina nella quale un uomo nuotava con vigorose bracciate. — Ci avete messo un bel po' ad arrivare! — esclamò una voce alle loro spalle e i ragazzi si girarono: spaparanzato sopra una sdraio stava lo stesso uomo con i baffi che li aveva convinti a fare la piccola deviazione. — Come ha fatto ad arrivare prima di noi? — gli chiese Pablo, sconcertato dalla presenza dell'uomo, che ricordava di aver lasciato al ristorantino alle prese con un piatto di riso e fagioli. — Attraverso i campi con una moto da cross! — rispose l'uomo con i baffi. — Dove sta nostro padre? — chiese Juanito. — Così anche tu, Cappuccino, sei figlio di Flavio? — rispose l'uomo con i baffi scoppiando a ridere. — Allora tua madre dev'essere la famosa infermiera di Los Pantanos! — Dov'è Flavio Vitali? — ripeté sca sbirciando l'uomo che nuotava in piscina. "È lui?" si chiese con il cuore che batteva forte. — Benvenuti a Las Hojas, ragazzi! — esclamò il nuotatore, issandosi sulla scaletta tutto gocciolante e indossando un candido accappatoio di spugna. Oltre

ad avere una pancetta accentuata, era tarchiato, di pelo scuro e ostentava una calvizie quasi integrale. "No, non può essere Flavio" pensò sca ricordando l'unica foto di suo padre. — Allora, Pepe — esordì l'uomo rivolgendosi all'uomo con i baffi seduto sulla sdraio — sarebbe questa la figlia di Flavio Vitali? — Sì, Manolo, ma pare ci sia anche un figlio! — gli rispose Pepe indicandogli Juanito. — Bene, bene! Abbiamo preso due piccioni con una fava sola, come dite voi in Italia! — esclamò l'uomo che Pepe aveva chiamato Manolo — Solo uno come Flavio poteva avere un figlio chiaro e uno scuro! — Lei ci ha ingannato! — protestò Pablo rivolgendosi a Pepe. — Tranquillo, ragazzo! — lo esortò Manolo — Tu in questa storia non c'entri e se non rompi troppo le scatole potrai andartene quando vorrai assieme al tuo amico. Voi due non ci servite, a meno che non vogliate arruolarvi nel nostro piccolo esercito, ma gli eredi di Flavio sì che sono preziosi. Se ha un briciolo di amore paterno non lascerà che Manolo Sanchez si vendichi sui figli per le sue malefatte! — Manolo Sanchez? Lei è Manolo Sanchez? — esclamò Pablo incredulo. — In persona, ragazzo mio! — sogghignò l'uomo. — Che cosa ha combinato ancora nostro padre? — chiese sca con un sospiro, rendendosi conto di avere davanti il più grosso trafficante di stupefacenti del Belumbia. — Mi ha imbrogliato, truffato, turlupinato come l'ultimo degli idioti! E un affronto come questo a me non si fa!— esclamò Manolo schiumando di rabbia. — Ma che c'entrano loro, señor Sanchez? — intervenne Pablo — Che colpa ne hanno? Francisca ha attraversato l'oceano solo perché voleva sapere qualcosa di suo padre che non ha mai conosciuto e Juanito l'ha seguita!

— Mi dispiace, ragazzo, ma gli affari sono affari e non esiste né la pietà né la comione — rispose duramente Manolo. — Flavio ha tradito la mia fiducia e ha preso il largo con una partita di merce del valore di parecchi milioni di dollari. Ho ragione di credere che l'abbia già venduta e allora voglio recuperare i soldi che mi ha turlupinato. Se non mi restituisce quanto mi deve, i suoi figli ne patiranno le conseguenze. — Flavio se ne infischia di noi due! — replicò sca. — Per quanto mi riguarda, non sa nemmeno che sono al mondo e quanto a Juanito, l'ha piantato assieme a sua madre senza farsene alcun problema! Ci lasci andare, perché ormai ci è ata la voglia di cercarlo e nemmeno a noi importa più niente di lui. Com'era finita in modo inglorioso, pensò sca, la smania di ritrovare a tutti i costi suo padre! E per di più era stato coinvolto in quella assurda impresa anche il povero Juanito che non c'entrava per niente. Aveva una gran voglia di piangere, ma sapeva di non poterselo permettere. — Lasci andare almeno mio fratello, señor Sanchez, la prego. Tenga me come ostaggio, lui è qui per colpa mia — lo implorò. Manolo restò qualche istante senza dire niente e si mise a eggiare avanti e indietro con le mani dietro alla schiena. — Mi hai dato un'idea, muchacha — le rispose infine. — Hai ragione, forse a Flavio non interessa davvero niente di voi due, ma ho l'impressione che quando tu vuoi qualcosa, riesci a essere molto convincente. Allora faremo così: Juanito resterà qui con me e tu te ne andrai con i tuoi amici a cercare Flavio. Se non riuscirai a convincerlo, Juanito... beh, ci siamo capiti! Dipende da te e cerca di deciderti in fretta. — Ho qualche alternativa? — No! — E dove lo trovo mio padre? — Flavio Vitali si trova nella zona di Las Mariposas, una cittadina dell'estremo ovest, ai limiti con la foresta amazzonica. — Perché non lo cerca lei stesso se conosce il suo nascondiglio??

— La regione in cui si nasconde è controllata dal colonnello Arrabal, comandante della Guardia Civil, l'equivalente dei vostri carabinieri ed è offlimits per noi! Sono convinto che Flavio abbia venduto la nostra merce al colonnello, che finge di fare il poliziotto e invece tratta i nostri stessi prodotti. Tra me e il colonnello c'è un tacito accordo secondo il quale le nostre due organizzazioni si devono tenere ben lontane dai rispettivi territori. In pratica, fintantoché tuo padre se ne resta a Las Mariposas, è come se fosse sotto la protezione di Arrabal. Tu devi scovarlo e convincerlo a tornare da me con i soldi che gli ha dato il colonnello. — Che intendete fare di lui se dovessi riuscire a convincerlo? — chiese la ragazza. — Dipenderà da come mi sarò svegliato quella mattina! Se sarò di buon umore mi limiterò a tirargli un po' le orecchie. — E se invece si sveglierà male? — Beh, allora gliele staccherò e le darò in pasto ai maiali! — rise fragorosamente Manolo, imitato dalle numerose guardie del corpo che stazionavano nei pressi di porte e finestre. — E non solo le orecchie, credo! — In parole povere io dovrei scegliere se sacrificare mio padre o mio fratello? — Hai qualche dubbio in proposito? — Le propongo un compromesso — gli propose sca dopo aver riflettuto qualche istante. — Io le riporto indietro i soldi e lei libera Juanito, ma mio padre resta dov'è. Prendere o lasciare, señor Manolo! — Non sei nelle condizioni di poter stabilire le clausole del nostro contratto, chica! — replicò l'uomo divenendo improvvisamente serio. — Se rifiuti di riportarmi Flavio, potrei gettare anche te e tuo fratello ai maiali, non credi? — Sì, ma lei sa benissimo che non le conviene. Io sono l'unica ad avere qualche probabilità di farle recuperare i soldi di mio padre! — replicò sca e Manolo restò qualche istante a fissarla in silenzio. — E allora? Che ne pensa della mia proposta? — chiese la ragazza decidendo di giocarsi il tutto per tutto e meravigliandosi lei per prima di come stava riuscendo

ad affrontare la situazione. Manolo riprese a fissarla in silenzio. Poi, quando lei cominciava già a scoraggiarsi e si vedeva ormai ridotta a mangime per i porci, distese il volto in un mezzo sorriso. — E sia, piccola strega, hai vinto — dichiarò. — In fondo i soldi sono meglio che niente. Tieniti pure quel bastardo di tuo padre, tanto, sono sicuro che risulterebbe indigesto anche ai maiali! Attenzione, però! Se non mi riporti i soldi, in pasto ai maiali ci finirà qualcun altro! — E così dicendo indicò minaccioso il povero Juanito. Il sole stava per calare e la partenza di sca e compagni fu rimandata al giorno dopo, ma quella notte sca non riuscì a prendere sonno, attanagliata com'era da mille pensieri. Ormai aveva capito di che pasta era fatto suo padre e avrebbe preso volentieri il largo da lui, ma ora aveva la responsabilità del fratello. Prima voleva ritrovare il padre, adesso doveva. A tutti i costi. Avrebbe voluto almeno avere vicino Pablo, poiché la sicurezza ostentata dal ragazzo che spesso lo rendeva scostante e antipatico, altre volte, al contrario, riusciva a infonderle fiducia. Tuttavia lui era rinchiuso in un'altra stanza e sca si rese conto solo allora di quanto le mancasse la sua presenza. "Bah... quello stupido neanche mi vede!" si rammaricò e trascorse gran parte della notte altalenando con i pensieri tra l'assurda situazione in cui si era messa e il disappunto per la scarsa considerazione che Pablo le dimostrava. Alla fine si addormentò esausta, ma dopo qualche ora Manolo bussò alla porta e fu costretta ad abbandonare il breve e rassicurante rifugio che era finalmente riuscita a trovare nel sonno. Era giunta l'ora di rimettersi in viaggio.

25 - PADRE MANUEL

— Papà, ho pochi spiccioli per il telefono, non interrompermi, per favore — esordì Pablo, che al primo posto telefonico lungo la strada per Las Mariposas aveva voluto fermarsi per chiamare suo padre. Quella degli spiccioli era una scusa ma, secondo il ragazzo, era l'unico modo per avvisare Antonio che il loro viaggio continuava, senza lasciargli lo spazio per esprimere il proprio disappunto e chiedere spiegazioni che sarebbe stato troppo complicato e imbarazzante fornirgli. — Abbiamo avuto un piccolo problema, per cui non riusciremo a tornare per stasera e sicuramente nemmeno per domani — continuò il ragazzo. — Quale piccolo problema? — lo interruppe allarmato il señor Moretti — State bene? — Sì, ma lasciami parlare, papà. Francisca prenderà il prossimo aereo. Se per caso riesci a sentire sua madre, avvisala! Dille che sta bene e che non si dia pena. Anche tu, papà, non preoccuparti! — Sì, ma... mi senti? Posso sapere cosa diavolo... Pablo non lo lasciò finire, decise che era venuto il momento di troncare la conversazione e riattaccò. — Ho messo nei guai anche te! Mi dispiace... — sospirò sca guardandolo di sotto in su con due occhioni da cagnolino bastonato. — Non dirlo nemmeno, chiquita! Trovare tuo padre non è più solo una tua fantasia. Ora è una necessità. Sei in ballo e non ti lascerò ballare da sola! — le rispose il ragazzo prendendole il viso tra le mani con un gesto affettuoso, così insolito per lui, che sca ne restò piacevolmente sorpresa, anche se non gradì del tutto di essere stata chiamata con lo stesso nome di una nota marca di banane. Avviandosi verso la jeep, Pablo le mise inaspettatamente una mano sulla spalla.

"Si è finalmente accorto che non sono né piccola né da buttar via?" si chiese lei, mentre il ragazzo la stringeva leggermente a sé. "Se è così, mi può chiamare come vuole, anche Mela Melinda se gli va!" pensò sca, rammaricandosi che la jeep fosse così vicina e che la stretta si sarebbe interrotta troppo presto. Il viaggio riprese, difficoltoso com'era cominciato. Verso il tardo pomeriggio, oltreato l'ennesimo valico, la cittadina di Las Mariposas apparve adagiata sul fondo di una valle. Non più di una decina di chilometri e sarebbero arrivati. — È grande! — osservò sca. — Come faremo a trovare Flavio? — Ci rivolgeremo al curato — propose Pablo. — È un compagno di scuola di mio padre e dirige la missione di Las Mariposas. Dicono sia un prete in gamba. Mezzora dopo i tre ragazzi entrarono nell'unica chiesa di Las Mariposas, un edificio dimesso e spoglio, come il resto della cittadina. Tra odore di incenso e pallide candele accese davanti a immagini sacre, i ragazzi scorsero una robusta figura maschile inginocchiata davanti all'altare maggiore. L'uomo era sui quaranta, quarantacinque anni e indossava un paio di pantaloni neri e una camicia grigia. I tre ragazzi si avvicinarono e il sacerdote si girò a guardarli interrompendo la lettura del breviario. — Se non sbaglio lei è Padre Manuel — esordì Pablo. — Sì, ragazzo e tu chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti — rispose l'uomo. — Sono il figlio di Antonio Moretti, se lo ricorda? — Se me lo ricordo! — esclamò il sacerdote alzandosi in piedi e abbracciando il ragazzo — Allora tu sei Pablito! Sei cresciuto un po' dall'ultima volta che ti ho visto! Cosa fai quaggiù? — Sto aiutando questa mia amica a cercare una persona — rispose Pablo presentandogli sca. — Un italiano che si chiama Flavio Vitali. — Mi sembrate tre bravi ragazzi e Flavio Vitali non è proprio uno stinco di santo. Perché lo cerchi, ragazza? — chiese il sacerdote rivolgendosi a sca. — È mio padre e vorrei incontrarlo. Lo conosce? — ripeté lei.

— Sì, lo conosco e so anche dove trovarlo, ma è meglio che andiamo a parlarne in canonica — rispose Padre Manuel invitando i tre ragazzi a seguirlo. — Dunque Flavio Vitali ha una figlia! — commentò, dopo averli fatti accomodare nel suo studiolo. — Beh, veramente di figli ne ha due! — sospirò sca e gli raccontò di sé e di Juanito, gli riferì dei guai nei quali il padre si era messo con i minatori e con Manolo Sanchez e gli rivelò il motivo che l'aveva portata a Las Mariposas. — Ragazza mia... — sospirò Padre Manuel — mi dispiace dirtelo, ma tuo padre ne ha combinate molte altre ancora. Sei proprio sicura di volerlo conoscere? Cosa ti aspetti da lui? — Non lo so... Ormai non è più mio padre che mi interessa, ma la salvezza di Juanito. Spero che Flavio si metta una mano sulla coscienza, sapendo del pericolo che corre suo figlio. — Scusa la franchezza, ragazza mia, ma Flavio una coscienza non ce l'ha proprio e tu devi essere preparata anche a una grossa delusione! — sospirò Padre Manuel. — Lei ha detto che sa dove posso trovarlo. — Sì, quelli come lui frequentano Los Dos Ladrones, un locale equivoco alla periferia di Las Mariposas. — E allora andiamoci subito, così ci togliamo il pensiero! — esclamò la ragazza scattando in piedi. — È meglio di no — la frenò il sacerdote. — Si sta facendo buio e laggiù è meglio andarci alla luce del sole. Ci sono le ronde del colonnello Arrabal che girano. Dovrebbero mantenere l'ordine, ma è la loro idea di legalità che mettono in pratica, non quella che hanno le persone oneste. Senza contare tutti gli sciacalli pronti ad approfittare delle loro briciole. Ti ci porterò io stesso, ma domani. Chi frequenta quel localaccio non è gente che consuma i ginocchi sui banchi della chiesa, ma rispettano la mia veste, se non altro perché dicono che porta sfortuna.

26 - PER FORTUNA C'È JOSÉ!

Quella notte sca e i compagni furono ospiti di Padre Manuel che prima li invitò a cena e poi li aiutò a sistemarsi in una stanzetta vuota, rammaricandosi di non avere di meglio da offrire. I ragazzi erano attrezzati con materassini gonfiabili e sacchi a pelo e lo convinsero che non c'erano problemi. José fu il primo a crollare dalla stanchezza. Si stese sul materassino e dopo nemmeno cinque secondi ronfava già come un ghiro. Pablo e sca rimasero svegli a chiacchierare sottovoce al buio, poi i loro discorsi si ridussero gradualmente a qualche frase intervallata da silenzi sempre più lunghi, finché entrambi tacquero. Non c'era molto spazio in quel bugigattolo e i tre ragazzi si erano sistemati molto vicini l'uno all'altro, i due maschi ai lati e sca in mezzo. José ronfava già da un pezzo e anche Pablo, a giudicare dal silenzio, doveva essersi assopito. sca, invece, non riusciva a dormire, perché erano troppi i pensieri che si affollavano nella sua mente. Flavio sembrava sempre a portata di mano, ma l'occasione di incontrarlo sfumava ogni volta, come un berretto strappato dal vento, che vola via quando si ha l'illusione di averlo ormai afferrato. Nonostante l'aria spavalda che amava ostentare con gli adulti, la ragazza si sentiva inadeguata al compito che Manolo Sanchez le aveva affidato, come se il trafficante di droga le avesse deposto un macigno sulle spalle con l'ordine di portarselo in giro per il mondo. Temeva che ne sarebbe stata schiacciata prima di riuscire a fare due i, eppure doveva provarci. Avrebbe avuto bisogno di una iniezione da cavallo di fiducia in se stessa, ma da chi le sarebbe venuta? Si ricordò quando, da piccola, si sentiva triste e sfiduciata. Zitta zitta, s'infilava nel letto di sua madre e trovava rifugio tra le sue braccia. Lucia qualche volta brontolava, poi la stringeva forte e la teneva lì, immobile, fino a quando prendeva sonno e la mattina dopo si risvegliava rasserenata. sca provò a richiamare alla memoria l'ultima volta che era successo, ma la sua smania di crescere ne aveva ormai rimosso ogni ricordo e la ragazza sospirò. In quel momento avrebbe voluto tornare quella stessa bambina che ritrovava tra le braccia materne la serenità momentaneamente perduta. La responsabilità di salvare un fratello era enorme e si sentì sola e impotente. Ripensando alla propria breve esistenza, le sembrò di aver commesso errori su errori ai quali difficilmente avrebbe potuto rimediare. Si sentì infelice come non le era mai

successo e a poco a poco si lasciò andare a un pianto silenzioso scosso appena da qualche soffocato singhiozzo. A un tratto avvertì un tocco leggero sul braccio e si rese conto che una mano l'accarezzava dolcemente, quasi a volerla rassicurare. La ragazza era coricata sul fianco e volgeva le spalle a Pablo. Nel dormiveglia il ragazzo aveva percepito il suo pianto soffocato e forse aveva esitato a lungo prima di allungare timidamente una mano. Dapprima sca ne restò sorpresa, poi sentì in quel tocco dolcemente goffo tutta la solidarietà di cui aveva bisogno. D'istinto si girò e senza quasi che Pablo se ne rendesse conto, gli fu addosso rifugiandosi tra le sue braccia e affondandogli la testa nell'incavo di una spalla. Lui restò sorpreso e per qualche istante non mosse un muscolo, poi la strinse a sé. Lei continuò a piangere sommessamente e si rannicchiò tra le braccia del ragazzo facendosi piccola piccola. — Non piangere, muñequita, non piangere! — le sussurrò lui accarezzandole i capelli e sca si lasciò andare a un pianto dolce e liberatorio, come quand'era piccola e la mamma la stringeva a sé sul suo letto. "Che ci faccio qui?" si chiese a un tratto, rendendosi conto che non erano le braccia di mamma Lucia a stringerla, ma quelle di Pablo. Per qualche istante quasi se ne spaventò, poi pensò che era stata lei a rifugiarsi in quell'abbraccio e che in fondo non ci stava male. Si sentiva solo un po' a disagio, perché non aveva la minima idea di come si sarebbe risolta l'insolita e per niente sgradevole situazione e provava allo stesso tempo curiosità e timore. — Che significa muñequita? — sussurrò a un tratto, tanto per dire qualcosa e sdrammatizzare l'imbarazzo — Non sarà mica un'altra marca di banane? Pablo soffocò una risata e le avvicinò la bocca a un orecchio. — No, significa bambolina... — le sussurrò e la ragazza sentì un improvviso flusso di brividi correrle su e giù per la schiena — "Bambolina! Mi ha chiamato bambolina!" pensò sca, incerta se considerarlo un complimento, o se Pablo volesse semplicemente ricordarle la loro differenza d'età. Decise che non le importava, perché abbracciata a lui si stava rasserenando e non se ne sarebbe mai staccata, né Pablo sembrava volerla allontanare, poiché continuava a tenerla stretta e ad accarezzarle i capelli. arono così lunghi e dolcissimi momenti, tanto che sca, concentrata

sulle insolite sensazioni di quell'abbraccio, si era ormai dimenticata di Flavio, Manolo, Juanito e della sorda disperazione di qualche istante prima. "Perché non mi bacia?" si chiese, rimanendo lei stessa sorpresa per avere concepito un pensiero così ardito. Il turbamento e l'esitazione che ne seguì non durarono che una frazione infinitesimale di secondo e sca decise all'istante di prendere l'iniziativa. Sollevò la testa e alla pallida luce della luna piena che filtrava da una finestrella guardò Pablo negli occhi. I loro volti erano molto vicini e lei decise di fare il primo o sporgendo impercettibilmente le labbra in avanti. sca lesse nello sguardo di Pablo un misto di sorpresa e incredulità e per un istante temette di essere brutalmente respinta, invece le labbra del ragazzo si posarono delicatamente sulle sue scoccandole un piccolo bacio. sca chiuse gli occhi e restò in attesa di una replica, ma il dolce contatto era durato solo un brevissimo istante e non si ripeté. "Tutto qua?" pensò delusa, ma non disse niente. Riaprì gli occhi e le parve che Pablo spiasse impacciato la sua reazione. "Sono qui, tra le tue braccia! Che aspetti?" pensò, provando una gran tenerezza per quel timido e imbarazzato indugio. "Baciami, stupido!" Come se le avesse letto nel pensiero, Pablo si sporse leggermente in avanti e lei non si sottrasse, ma chiuse gli occhi e offrì le labbra a un bacio vero, che questa volta fu lungo, ardente e sembrò non avere mai termine, fino a quando il ronfare di José che continuava a dormire ignaro accanto a loro, divenne per un istante un ruggito. — ¿Que pasa? — chiese il ragazzo svegliato dall'improvviso aumento di volume del suo stesso russare. Quasi sentendosi scoperti, sca e Pablo si staccarono istintivamente e José, senza aspettare una risposta, riprese a ronfare. A fatica i due ragazzi riuscirono a soffocare una risata, ma sca si rese conto che l'incanto si era rotto. — Per fortuna c'è José! — sussurrò Pablo girandosi sul fianco e volgendole la schiena. — Che vuoi dire? — gli chiese lei mettendogli una mano sulla spalla

— Esattamente quel che ho detto. Buona notte, Francisca. — rispose lui senza voltarsi. Se qualcuno avesse predetto a sca che avrebbe dato e ricevuto il suo primo bacio nel ripostiglio polveroso di una canonica, in un paese sottosviluppato dell'America centro-meridionale, si sarebbe messa a ridere, eppure era successo. Gli atteggiamenti e i discorsi disinvolti che lei ostentava in patria avevano sempre indotto amici e amiche a considerarla come la più navigata tra loro, eppure quello con Pablo era stato realmente il suo primo vero bacio. L'euforia per quella nuova e piacevolissima sensazione era annebbiata, tuttavia, dallo strano atteggiamento del ragazzo. Perché si era girato dall'altra parte e le aveva dato la buona notte a quel modo, quasi disconoscendo ciò che c'era appena stato tra loro? Era solo pudore per la presenza di José, o c'era dell'altro? sca avrebbe voluto chiederglielo, ma la completa immobilità e il silenzio di Pablo la dissuasero. Ritrasse la mano e si girò sul fianco girandogli le spalle.

27 - LUCIA ED HELÈNA

Antonio Moretti sbirciò oltre la porta a vetri dalla quale dovevano uscire i eggeri del volo Caracas-Santa Paz e non impiegò molto a riconoscere la mamma di sca. — La signora Martini, immagino! — si fece avanti porgendole la mano. — E lei dev'essere il signor Moretti! — rispose la donna ricambiando la stretta e presentandogli il commissario Michele Ventura che spingeva un carrello con i bagagli. — E sca dov'è? — chiese guardandosi attorno. — Mi rincresce, signora, ma i nostri ragazzi sono ancora in giro — si rammaricò l'uomo, raccontando dell'ultima telefonata di Pablo e di come non fosse riuscito a strappargli altre novità se non quella che non sarebbero ritornati in tempo per l'aereo del giorno dopo. — Non le nascondo che sono preoccupato — concluse. — Mio figlio di solito ha la testa sulle spalle, ma questa volta ho avuto l'impressione che mi volesse nascondere qualcosa e che la storia della mancanza di spiccioli per il telefono fosse solo una scusa. — Non sarà capitato qualcosa a sca? — si allarmò Lucia. — Non credo, signora. Penso piuttosto che sua figlia abbia trovato qualche altra traccia di Flavio Vitali e abbia convinto Pablo a continuare la ricerca. Ha un bel caratterino quella ragazza! Ma credo che questo lei lo sappia meglio di me! Lucia conosceva bene il carattere di sca, ma le sembrò ugualmente incredibile che una ragazzina di neanche quindici anni fosse riuscita a circuire un ragazzo più grande riuscendo a fargli fare quel che voleva. Si rese conto che forse la figlia aveva molte più risorse di quanto lei avesse mai sospettato e sospirò. — È sicuro che i ragazzi non potranno essere di ritorno in tempo per l'aereo di domani? — intervenne il commissario.

— Pablo l'ha escluso — rispose Moretti. — L'aereo è lo stesso con il quale siete arrivati voi e ripartirà domani mattina. Per i prossimi tre giorni non ce ne saranno altri. — Allora abbiamo tre giorni di tempo per trovarli. In fondo sono un poliziotto, e cercare la gente è il mio mestiere. — Vi metterò a disposizione il mio fuoristrada e, se permettete, verrò anch'io — si offrì Antonio. Quella sera Lucia e Michele Ventura furono ospiti di Antonio e la mattina successiva, di buon'ora, si misero in cammino per raggiungere Los Pantanos. Il tempo era migliorato e la strada era percorribile con minor difficoltà. Anche il fuoristrada di Antonio aveva un'età di tutto rispetto, ma era di fabbricazione più recente della jeep di Pablo e permise ai suoi tre eggeri di arrivare a Los Pantanos nel primo pomeriggio. Dopo aver chiesto qua e là, i tre si ritrovarono a bussare alla porta di Helèna. — È successo qualcosa al mio Juanito? — esclamò la donna trovandosi davanti tre sconosciuti. — Chi è Juanito? — le chiese Antonio che, come i due compagni di viaggio, non poté fare a meno di osservare quanto Helèna fosse bella. — Juanito è mio figlio! — Dice che è suo figlio — tradusse Antonio a Lucia e Ventura. — Sì, abbiamo capito — rispose Lucia che, grazie a Maria Dolores, aveva acquisito a sua volta una certa familiarità con lo spagnolo. — Loro sono italiani? — chiese Helèna — Allora stanno cercando Francisca! — È stata qui? — esclamò Lucia. — Certo, signora. Una ragazza adorabile. Immagino che lei sia sua madre. Le assomiglia come una goccia d'acqua! — Sì, ma lei...

— Io sono Helèna, la madre di Juanito — si presentò la donna, un po' imbarazzata. — Sì, ho capito, ma... — mormorò Lucia che non riusciva a comprendere perché Helèna continuasse a tirare in ballo il figlio. — Juanito e sca sono... fratelli... — Fratelli? Ma cosa sta dicendo? sca è figlia unica, non ha fratelli! — Fratelli forse no, ma fratellastri sì. Francisca e Juanito sono figli dello stesso padre... — Eh?! — Benvenuta! — esclamò Helèna sciogliendo l'imbarazzo in una risata. — Benvenuta nel grande Club delle Madri dei Figli di Flavio Vitali! Così dicendo abbracciò Lucia, stupita e ancora incapace di rendersi conto che aveva capito proprio bene: Flavio non aveva seminato di figli solo il vecchio mondo, ma anche il nuovo! Helèna li fece entrare e raccontò della visita di sca, Pablo e José e di come Juanito fosse improvvisamente scomparso. Riferì che dopo qualche ora l'avevano avvisata dal posto telefonico di Los Pantanos che il piccolo si era unito ai tre ragazzi, ma che non poteva essere riportato indietro subito per via del ponte abbattuto dalla piena. — Finora, però, Juanito non si è ancora visto — concluse. — Francisca e i suoi amici mi sono sembrati dei tipi in gamba, ma non ho saputo più niente e sono in pensiero. — Lei sa dov'erano diretti? — le chiese Ventura. — Sì, alle miniere d'oro, Francisca voleva a tutti i costi trovare qualche notizia di Flavio. Lucia non sapeva cosa pensare di fronte a quella splendida donna. Doveva provare per lei qualcosa di simile a una specie di gelosia retroattiva, considerandola una rivale? Capì che non c'era alcun motivo. Flavio era ato

come una meteora nella sua esistenza e ormai non gliene importava più niente di niente. No, non era gelosia che sentiva nei confronti di Helèna. Per quella giovane donna e per il suo sorriso, allo stesso tempo malinconico e luminoso, Lucia provava solo una grande solidarietà. Non doveva essere stato facile tirare su un figlio da sola in quel posto dimenticato da tutti e per questo sentiva di avere molto in comune con lei. — Allora proseguiremo anche noi per le miniere — disse Ventura. — Se permettete vengo anch'io — propose Helèna. — Per Bacco! Non deve nemmeno chiederlo! — esclamò Antonio che non aveva smesso un istante di staccare gli occhi dal bel viso della giovane mulatta. E così Helèna chiuse casa e prese con sé un po' di roba. Il sole era ancora alto nel cielo, e dopo il crollo del ponte bisognava allungare la strada, così i quattro si misero subito in viaggio.

28 - ANCORA SOLO TRACCE

La luce che entrava dalle finestrelle era ormai piena e sca aprì gli occhi. Si girò dalla parte di Pablo, ma lui non c'era più e anche José si era già alzato. Si mise seduta sul materassino e cominciò solo allora a riflettere su quanto l'aspettava quel giorno: incontrare Flavio e convincerlo a riscattare Juanito. Uscì dallo sgabuzzino e dopo aver fatto un po’ di toeletta, trovò i due amici davanti a un'abbondante colazione che Padre Manuel in persona aveva provveduto a preparare. sca cercò subito con lo sguardo quello di Pablo, sperando di leggervi qualcosa di diverso dopo quello che c'era stato tra loro. Non pretendeva di essere baciata davanti a Padre Manuel, ma almeno un gesto fugace, una strizzatina d'occhi, un sorriso complice, una furtiva carezza... e invece niente. Pablo non lasciò trasparire alcunché. sca si sentì delusa e tradita. Pensò che gli uomini erano davvero odiosi, a cominciare da suo padre, per finire con quella specie di frigida brutta copia di fratello maggiore, che da quando l'aveva incontrata aveva fatto di tutto per tenerla a distanza. "Stronzo, stronzo, stronzo!" continuò a pensare senza smettere di sbirciarlo. Sperava che prima o poi Pablo captasse il suo pensiero, ma niente da fare. Non c'era campo in quella testa di cavolo. "Eppure no, non è stronzo..." si rimproverò qualche istante dopo. "Se lo fosse davvero non si sarebbe fatto in quattro per me. Stronza sono io che l'ho coinvolto". — Credo che ora possiamo andare — disse Padre Manuel, interrompendo i pensieri di sca, talmente intensi che la ragazza trovò strano che le orecchie di Pablo non avessero iniziato a fischiare come un antifurto impazzito. Al momento di salire sulla jeep, sca cedette il sedile anteriore a Padre Manuel e prese posto dietro assieme a José. Pablo seguì le indicazioni del sacerdote e dopo una ventina di minuti raggiunsero il sobborgo più misero e malfamato di Las Mariposas, un ammasso informe di baracche fatiscenti messe

assieme alla meno peggio con i materiali più inverosimili e improbabili, dalle lamiere al cartone, fino alle carcasse arrugginite di vecchie automobili americane. Anche se si scoppiava dal caldo, padre Manuel aveva indossato la tonaca da prete, lunga e nera, e appena scese con i ragazzi davanti a un locale perfettamente in tono con il resto del paese, nessuno osò avvicinarsi. sca osservò sgomenta Los Dos Ladrones, la stamberga nella quale avrebbe dovuto incontrare Flavio. Dal vivo non aveva mai visto niente di simile e si ricordò le scene di qualche pubblicità di liquori sudamericani, o di qualche film di pirati, rendendosi conto che non si avvicinavano nemmeno da lontano allo squallore concreto e reale di quel posto. — Andiamo ragazzi, entriamo! — li esortò Padre Manuel e tutti e tre gli si accodarono guardinghi. Era mattina e nella sala buia, sporca e puzzolente, c'erano solo pochi avventori. Alcuni erano bocconi sul tavolo, intenti a smaltire qualche colossale sbornia iniziata la sera precedente. Altri, invece, si erano già in parte ripresi e guardavano stralunati l'insolito quartetto. — Buon giorno, padre — lo salutò da dietro il bancone un donnone dall'apparente età di sessanta, sessantacinque anni, truccata in modo pesante e vistoso e dalla voce grave — Posso fare qualcosa per lei? — Ola, Pedro, stiamo cercando un italiano. Si chiama Flavio Vitali, lo conosci? I tre ragazzi restarono allibiti. Quel mascherone grottesco in realtà era un uomo e Padre Manuel parlava con lui come fosse la cosa più naturale del mondo! — Mai sentito nominare! — rispose Pedro scuotendo il vistosissimo parruccone biondo. — Vedi Pedro... — continuò il sacerdote sporgendosi al di là del bancone e abbassando la voce — si tratta di un cosa importante. È morto un vecchio zio yanqui. [yankee, nordamericano] di Flavio Vitali e gli ha lasciato una fortuna, ma se il poveraccio non si presenta entro una settimana, perderà tutto. Sai, quello zio era un po' strano e ha messo questa clausola assurda nel testamento... Tu non sai proprio dove potremmo trovarlo? — Un'eredità? — chiese Pedro che sembrò all'improvviso molto interessato. — Sì, milioni di dollari. Se Flavio riuscirà a prenderne possesso, certo non dimenticherà gli amici di Los Dos Ladrones!

— Se è così, posso anche parlare, ma solo perché lei è un prete! Flavio Vitali lo conosco, ma non è più qui. Gli ultimi giorni era inquieto. Sembrava si sentisse braccato. — Da qualcuno in particolare, che tu sappia? — C'è un sacco di gente che ha dei conti da regolare con lui! Un paio di giorni fa era qui e qualcuno è entrato di corsa dicendo che stavano arrivando gli uomini del colonnello Arrabal. Beh, Flavio se l'è filata dalla finestra senza neanche pagare il conto! — Non hai idea di dove si possa essere rifugiato? — Mah... Qualche sera fa era ubriaco e delirava sul tesoro degli Incas. Diceva di avere scoperto dov'era nascosto e che presto le cose per lui sarebbero cambiate. È sempre la solita storia, padre. Lei la conosce bene. Poveraccio, proprio adesso che aveva ereditato una fortuna! Mentre il sacerdote e i ragazzi uscivano, uno degli ubriachi si scosse dal torpore. Si alzò a fatica dal tavolo, si trascinò barcollando dentro una sgangherata cabina telefonica, inserì alcune monete nell'apparecchio e faticò non poco a comporre il numero. — Pronto!? — sussurrò — È la Guardia Civil? Vorrei parlare con il colonnello Arrabal!

29 - IL TESORO DI FLAVIO

— Padre Manuel, cos'è questa storia del tesoro degli Incas? — chiese sca non appena si ritrovarono tutti e quattro a bordo della jeep. — Dicono che nelle propaggini della foresta amazzonica ci sia un tesoro nascosto da un gruppo di Incas arrivati fin quassù dopo la sconfitta da parte degli Spagnoli — rispose il sacerdote. — Mio padre si è messo alla ricerca di un tesoro? Non gli bastavano i soldi che ha soffiato a Manolo? — Forse non glieli ha soffiati davvero. Non mi meraviglierei se il colonnello Arrabal si fosse incamerato la droga di Manolo lasciando Flavio con un pugno di mosche. Il punto, però, è un altro. — Mi dica quale, padre, la prego! — lo implorò sca che cominciava a non capirci più nulla. — Se Flavio è partito per trovare il tesoro degli Incas, significa che ha toccato il fondo. Il tesoro non esiste. Se ci fosse stato davvero, in cinquecento anni qualcuno l'avrebbe trovato. Sono solo fantasie di chi non ha più nulla da perdere e si illude di avere ancora una possibilità. In realtà è solo una specie di suicidio mascherato, un tentativo inconsapevole di mettere fine alla propria disperazione con un'impresa senza speranza. — Flavio disperato? Uno che ha ingannato mezzo mondo? Non posso crederci! — Prima o poi la gente come lui finisce in un vicolo cieco e fa delle cose strane. Se Juanito ha bisogno di essere salvato, ne ha altrettanta necessità Flavio. Devi salvarli entrambi, Francisca! — Ma io, padre... io non ho nemmeno quindici anni — piagnucolò la ragazza con un nodo alla gola che non andava né su né giù. — Noi non la lasceremo sola, vero ragazzi? — chiese il sacerdote a Pablo e José.

— Saremo con te fino in fondo, Francisca, puoi contarci! — la rassicurò Pablo. — ¡Claro que sì! — confermò con entusiasmo José. — E io cosa racconto a Manolo Sanchez? — si chiese desolata la ragazza. — Un problema alla volta! Manolo non ti ha dato scadenze! Al momento è Flavio a correre il pericolo maggiore, perché dobbiamo salvarlo prima di tutto da se stesso. Quando ci saremo riusciti troveremo una soluzione anche per Juanito. E poi, chissà. Magari il mio Principale potrebbe anche decidere di darci una mano, che ne dite? — concluse Padre Manuel alzando gli occhi e le mani al cielo. — Come faremo a trovare Flavio? — C'è un unico sentiero per salire sulla Sierra in cui dicono sia nascosto il tesoro. Lo percorreremo anche noi cercando di trovare le sue tracce. Il resto della giornata fu dedicato a preparare la spedizione. Non c'erano strade nel territorio nel quale si era avventurato Flavio, ma solo qualche impervio sentiero. Padre Manuel si trasformò in investigatore e, indagando presso alcuni commercianti di bestiame, venne a sapere che qualche giorno prima il padre di sca aveva acquistato una sella di quarta mano e un cavallo più malandato di quello di Don Chisciotte. — Dobbiamo fare altrettanto — disse il sacerdote. — Chiederemo in prestito i cavalli a qualche parrocchiano di buon cuore. La giornata trascorse in fretta tra i preparativi per il viaggio e il corso accelerato di equitazione che Padre Manuel impartì ai tre ragazzi, non molto esperti di cavalli. Durante tutte quelle ore Pablo sembrava aver cancellato dalla memoria quanto era successo la sera precedente e continuava a trattare sca con la stessa amichevole familiarità di sempre. "Sarà la presenza di Padre Manuel a intimidirlo" pensò sca e aspettò pazientemente la sera, quando si sarebbero ritirati a dormire nello sgabuzzino. Sistemando i sacchi a pelo nella stanzetta della canonica, la ragazza si rammaricò della presenza di José, ma allo stesso tempo se ne sentì rassicurata. Se da una parte, infatti, aveva una gran voglia di restare da sola con Pablo,

dall'altra ne era intimidita come se, giunta finalmente al dunque, le sue curiosità e fantasie da adolescente le provocassero un'inspiegabile ansia. Provò un certo disappunto, tuttavia, quando si rese conto che José si stava sistemando accanto a Pablo e a lei non restava che stendersi al di qua, poiché lo spazio nel bugigattolo era esiguo. Si chiese se José non l'avesse fatto apposta e la sfiorò il dubbio che lo stesso Pablo avesse pregato l'amico di mettersi tra lui e la ragazza. sca si infilò imbronciata nel sacco a pelo e sperò che si fosse trattato solo di un caso, ma bastò il dubbio a rattristarla e si rese conto che l'idea di essere rifiutata da Pablo la faceva star male.

30 - UN'ALTRA TRAPPOLA

— Do you know an italian man called Flavio Vitali? — chiese il commissario Ventura al gestore dell'EMPORIO, CANTINA Y POSADA, che non capì una parola, ma che a sentire pronunciare il nome di Flavio Vitali alzò perplesso un sopracciglio e si guardò attorno sbirciando gli avventori del locale. — ¿Conoce usted un hombre italiano llamado Flavio Vitali? — ripeté Ventura nel suo spagnolo maccheronico. A sentire ripetere quel nome per la seconda volta, i clienti della stamberga alzarono gli occhi dai loro piatti di tortillas, o di riso e fagioli e dopo avere squadrato il commissario con sguardi per niente rassicuranti, si alzarono dai tavoli e lo circondarono minacciosi. — Ehi, vi ho solo chiesto se conoscete Flavio Vitali! — esclamò Ventura arretrando lentamente verso l'ingresso della stamberga e rimpiangendo di non essere armato. In quel momento sbucò provvidenzialmente alla sue spalle Antonio Moretti. — ¿Que pasa aqui? — chiese ad alta voce e i clienti della cantina iniziarono a inveire contro Flavio Vitali in un linguaggio pressoché incomprensibile che era per metà spagnolo e per metà dialetto indio. Anche se al commissario Ventura sfuggivano in gran parte i dettagli delle loro invettive, dai toni accesi delle voci e dagli sguardi pieni d'ira dei minatori non gli fu difficile intuire che il padre di sca non era molto popolare da quelle parti. Per fortuna c'era Antonio che, comprendendo e parlando quell’aspra parlata, rispose ai minatori tono su tono riuscendo almeno in parte a placarli. — Gli ho detto che sei un poliziotto e che hai un mandato di cattura internazionale per Vitali — riferì al commissario. — Mostragli tessera e distintivo, perché hanno capito che sei italiano e sospettano che tu sia un suo amico. Ventura si affrettò a mostrare quanto Antonio gli aveva chiesto e solo allora gli animi dei minatori si calmarono, pur continuando a sommergere i due uomini di anatemi e propositi di vendetta nei confronti di Flavio Vitali.

Da tutti quei discorsi Antonio venne a sapere che sca e compagni erano ati di là, ma dopo la loro partenza, un gruppo di minatori aveva deciso di seguirli sulle tracce di Flavio Vitali con l'intenzione di fargliela pagare una volta per tutte. Antonio e Ventura uscirono in fretta dalla cantina e misero al corrente di quanto avevano saputo Lucia ed Helèna che li aspettavano chiacchierando accanto al fuoristrada. — Il lupo perde il pelo ma non il vizio — mormorò Helèna sentendo il motivo per cui i minatori erano infuriati con Flavio e raccontò ai compagni di viaggio di quando, qualche anno prima, il padre di Juanito era sparito con tutti i suoi risparmi dopo averle promesso che sarebbe tornato per portare via lei e il figlio da Los Pantanos. — Con chi diavolo mi ero messa? — si chiese sgomenta Lucia. — Già, con chi ci eravamo messe tutte e due? — sospirò Helèna scuotendo la testa. — Non pensiamoci più. La cosa più importante, ora, è ritrovare i nostri ragazzi — la esortò Lucia e anche se fino al giorno prima Helèna era per lei una perfetta sconosciuta, la sentì ugualmente vicina come fosse una sorella minore da sostenere e aiutare — Non preoccupatevi ragazze, vedrete che li ritroveremo — cercò di confortarle Antonio, invitando i compagni di viaggio a prendere posto sul fuoristrada. Se non fossero stati tutti in ansia per la sorte dei quattro ragazzi, sarebbero sembrati quattro amici in gita che si conoscono da anni. Tornati sulla strada principale, i quattro si fermarono presso un malandato ristorantino per mettere qualcosa sotto i denti e quando il gestore venne a prendere le ordinazioni, gli chiesero se per caso avesse visto are di lì due ragazzi, una ragazza e un bambino a bordo di una vecchia jeep. — Come no? Li ho visti, sì! — annuì il gestore rivolgendosi poi a un tizio con i baffi che stava bevendo una birra al banco. — Ehi, Pepe! Questi signori chiedono dei quattro ragazzi che cercavano Flavio Vitali — gli disse. Lucia e compagni iniziarono a temere da parte dell'uomo con

i baffi una reazione simile a quella dei minatori, ma quello non si infuriò per niente, anzi, apri un sorriso da un orecchio all'altro e si avvicinò al loro tavolo con in mano il boccale di birra. — Flavio Vitali? Oh, sì, i ragazzi che cercate l'hanno trovato e credo siano con lui ormai da qualche giorno. Vi posso insegnare la strada per raggiungerli, se volete — rispose l'uomo. Lucia, Helèna, Antonio e Ventura si dimenticarono all'istante di essersi fermati per mangiare. Lasciarono il gestore del ristorantino con un palmo di naso si precipitarono a bordo del fuoristrada sgommando via veloci come il vento. Seguendo le indicazioni dell’uomo con i baffi, abbandonarono la strada principale e si inerpicarono sul fianco di una collina. — Ohi ohi! — esclamò Antonio indicando la vasta piantagione che si estendeva su entrambi i lati della carreggiata. — Che c'è? — gli chiesero allarmati i compagni di viaggio. — Quelle sono piante di coca! — rispose Antonio. — Cosa? — esclamarono in coro Lucia, Ventura ed Helèna. — E come se non bastasse, abbiamo compagnia — sospirò Antonio sbirciando gli specchietti retrovisori. Così com'era già successo alla jeep di Pablo, dopo qualche istante anche il fuoristrada di Antonio si trovò stretto tra due grossi Hummer neri che lo costrinsero a seguirli senza alcuna possibilità di scampo fin dentro il bianco castello di Manolo Sanchez.

31 - INSEGUENDO FLAVIO

All'alba Padre Manuel prese commiato dal suo giovane cappellano facendogli mille raccomandazioni di non far andare in malora la missione in sua assenza e s'incamminò a cavallo seguito da Pablo, sca e José. All'inizio il sentiero appariva molto frequentato ed era difficile distinguere una traccia dall'altra. Si trattava per lo più di orme lasciate da boscaioli e cacciatori, certamente non da contadini, poiché le pendici dei rilievi amazzonici che si apprestavano ad attraversare erano invasi dalla stessa lussureggiante e caotica vegetazione di tutto il Belumbia. — Abbiamo raggiunto il punto di non ritorno — annunciò Padre Manuel dopo mezza giornata di cammino. — Chi vuole andare e tornare da Las Mariposas in giornata non si spinge mai oltre questa zona. Se non ve la sentite di continuare, questo è il momento di girare i cavalli e tornare indietro. Altrimenti preparatevi a pernottare qualche notte all'aperto, con tutti i pericoli che si possono correre in una zona selvaggia come questa. — Abbiamo scelta? — gli chiese sca con aria sconsolata — Da noi dipendono la vita di Juanito e quella di Flavio. Voi che dite? — chiese rivolgendosi ai due ragazzi. — Ti seguiamo da qualsiasi parte tu decida di andare — la rassicurò Pablo. "Grazie di esserci... anche se non ti importa niente di me" avrebbe voluto rispondergli sca, poi si rese conto che doveva pure importargli qualcosa, se l'aveva seguita fin lì. Forse ciò che provava Pablo nei suoi riguardi era solo simpatia da parte di un ragazzo generoso che la considerava come una sorellina minore un po' rompicollo da aiutare a togliersi dagli impicci. Pazienza. Decise che la sua presenza era troppo preziosa e che doveva accontentarsi, anche se dopo quel bacio non le sarebbe dispiaciuto diventare per lui qualcosa di più. — E allora andiamo — sospirò sca. Padre Manuel aveva ragione. Le tracce diminuirono in poche centinaia di metri e

a un tratto cessarono quasi del tutto. Anche se Padre Manuel era un prete, si rivelò un esperto scout, in grado di riuscire a distinguere delle tracce dove una persona senza esperienza avrebbe visto solo un po' di fanghiglia secca pesticciata. Vedendo sul sentiero dei resti di sterco di cavallo, non esitò a raccoglierlo con le mani, a manipolarlo e ad annusarlo. — Padre Manuel, che schifo! — protestò sca e il sacerdote si mise a ridere. — Non è che mi piaccia farlo, ma è l'unico modo per sapere da quanto tempo è ato tuo padre! — replicò. Dopo l'accurato esame, Padre Manuel si pulì le mani e sentenziò che il aggio risaliva a non più di un paio di giorni prima. sca si trovò a riflettere sull'ironia della sorte che l'aveva condotta ad avere notizie di un padre tanto mitizzato attraverso della volgarissima cacca di cavallo! Eppure aveva voglia di tutto tranne che di ridere. Non lo dava a vedere, ma le sconfitte le bruciavano molto. Scoprire le malefatte di suo padre, infatti, non era certo una vittoria. Cercò di distogliere i pensieri da Flavio e di concentrarli su Pablo che le cavalcava davanti. "Perché non ti giri a guardarmi?" gli chiedeva in silenzio. "Girati girati girati girati..." continuava cercando di concentrarsi, ma evidentemente i loro pensieri non erano sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda. "Ma va'ff..." gli augurò infine, visto che l'esperimento di telepatia applicata era miseramente fallito. Solo allora Pablo si girò e le sorrise, lasciandola di stucco e con la speranza che si fosse trattato solo di una banale coincidenza.

32 - UN PIANO DI FUGA

Come prigione, la lussuosa residenza di Manolo Sanchez non era poi tanto male. Il trafficante, infatti, permetteva ai prigionieri di fare il bagno in piscina, ma non a tutti. Perquisendo Ventura, infatti, gli aveva trovato addosso il distintivo e il tesserino della polizia italiana e non ne era rimasto per niente contento. Ritenendolo il più pericoloso del gruppo, l'aveva confinato in una stanza al primo piano e tanto per essere più sicuro aveva rinchiuso con lui anche Antonio. Quanto a Lucia, Helèna e Juanito, Manolo pensava che due donne e un bambino non avrebbero creato problemi e aveva concesso loro un po' più di libertà, sia pure vigilata costantemente da un paio di angeli custodi armati. Solo durante i pasti era concesso a tutto il gruppo di riunirsi, ma la sorveglianza non veniva mai meno. L'incontro fra Helèna e Juanito fu commovente, ma quando la donna intese il motivo della presenza del figlio in quel fortilizio di trafficanti, alla gioia si sostituì una sensazione di sgomento e impotenza. — Davvero avete intenzione di fare del male a mio figlio? — chiese a Manolo Sanchez. — Dipende da cosa deciderà di fare Flavio Vitali. Io non sono Erode, ma gli affari sono affari — le rispose l'uomo. Qualche giorno dopo Manolo Sanchez riunì i prigionieri e annunciò la sua partenza. — Ora sappiamo dove trovare Flavio Vitali — disse. — Non potevamo avere via libera nel territorio controllato dal colonnello Arrabal, così abbiamo mandato in avanscoperta Francisca e i suoi amici. La ragazza è in gamba e con l'aiuto del curato di Las Mariposas ha fatto un ottimo lavoro. — Padre Manuel! Lo conosco! — mormorò Antonio. — Non ho mai creduto davvero che Flavio Vitali si sarebbe lasciato intenerire per un ragazzino, nemmeno se era suo figlio — continuò Manolo. — Durante la

notte in cui Francisca ha dormito qui, ho inserito una radiospia nel tacco delle sue scarpe, così abbiamo conosciuto in ogni momento la sua posizione. Sappiamo dove sta andando e abbiamo ragione di credere che sia finalmente sulle tracce di Flavio, così adesso ci muoviamo e andiamo a prenderlo a colpo sicuro. Se tutto va bene, al nostro ritorno potrete andarvene. — Perché non ci liberate subito? — chiese Ventura. — Perché qualcosa potrebbe andare storto e voi potreste servirci ancora — rispose senza mezzi termini Manolo. — Inoltre non sono molto sicuro che sia un bene per me e la mia organizzazione lasciarla andare, commissario! — Che cosa farete di Flavio e dei ragazzi? — gli chiese Ventura ignorando la velata minaccia. — È Flavio che ci interessa. Quanto al trattamento che gli riserveremo, è affare nostro. Se i ragazzi e il prete non ci creeranno problemi e ci lasceranno fare, non li toccheremo. Qualche minuto dopo Manolo e gran parte dei suoi uomini salirono a bordo dei loro Hummer e partirono di gran carriera in direzione di Las Mariposas. — Figuriamoci se sca non si metterà in mezzo, dopo aver fatto tanto per ritrovare suo padre! — commentò Lucia quando i quattro adulti si ritrovarono a pranzo. — Lo stesso vale per Pablo. Aiuterà Francisca fino in fondo — sospirò Antonio. — Vi dimenticate che nemmeno noi siamo al sicuro — ricordò Helèna. — Senza contare che anche la vita di Flavio Vitali è in pericolo — osservò Ventura. — Sai quanto c'importa! — commentarono quasi in coro le due donne. — Il vostro rancore nei suoi confronti è comprensibile — sospirò il commissario — Ma l'uccisione di un malvivente è pur sempre un assassinio e dobbiamo darci da fare per impedire che gli facciano del male. — Che possiamo fare noi, chiusi qui dentro? — chiese Antonio allargando le

braccia. Ventura sbirciò le guardie temendo che potessero sentirlo, ma gli uomini di Manolo erano intenti a seguire una partita di calcio alla televisione e non badavano ai loro discorsi. — Nel retro della villa c'è un elicottero. L'avete notato? — chiese abbassando la voce. — Chiacchierando con le guardie, ho saputo che il pilota è stato arrestato a Santa Paz. Ecco perché non l'hanno usato per scovare Flavio: nessuno della banda è in grado di pilotarlo! — E noi invece sì? — commentò ironico Antonio. — Ragazzi... — annunciò Ventura tutto trionfante. — Appena entrato in polizia ho frequentato un corso per elicotteristi! A essere sincero non sono mai arrivato a conseguire il brevetto di pilota. Più o meno nello stesso periodo ho vinto il concorso per diventare commissario, però mi ricordo benissimo come si fa a far volare un elicottero. Non credo che in questo paese qualcuno oserà farmi una multa se volerò senza brevetto! Il problema è come impadronircene! — Manolo si è portato via quasi tutta la banda e sono rimaste qui solo poche guardie — osservò Lucia. — A dire il vero non mi sembrano particolarmente sveglie — osservò Helèna sbirciando il gruppo degli scagnozzi che guardavano la partita. — Dovremo impegnarci tutti e quattro, anche voi due, ragazze — dichiarò Ventura rivolgendosi a Lucia ed Helèna, lusingate nel sentirsi chiamare ancora ragazze dopo tanto tempo. — Ascoltate il mio piano!

33 - UN GROSSO GATTO

La marcia di padre Manuel, sca, Pablo e José continuò per tutto il resto della giornata, interrotta solo da una breve sosta per mettere qualcosa sotto i denti. Quando il sole si avviò al tramonto, Padre Manuel propose di cercare uno spiazzo per are la notte e dopo qualche minuto si ritrovarono tutti con i piedi per terra e le schiene doloranti. Nessuno di loro era abituato a cavalcate così lunghe, anche se i cavalli procedevano al o. Per prima cosa il sacerdote ordinò ai ragazzi di raccogliere un po' di legna che sarebbe servita non solo per preparare qualcosa di caldo, ma anche per tenere lontano durante la notte le bestie selvatiche che avrebbero potuto rivelarsi pericolose. Alla fine il fuoco fu , anche se la temperatura avrebbe richiesto piuttosto un condizionatore portatile o un bel mucchio di ghiaccio. Padre Manuel scaldò un paio di scatolette di minestra e fece saltare sulla padella un po' di fagioli e pancetta, concludendo con un beverone che secondo lui doveva essere caffè. Terminata la cena, la serata si prospettava lunga e noiosa e avrebbe potuto ravvivarsi per sca solo se Pablo si fosse deciso a mostrarle un po' più d'attenzione. Tuttavia il ragazzo non ne voleva sapere e sembrava preferire un'incomprensibile e soporifera discussione filosofica con Padre Manuel sul conflitto tra fede e scienza. Prima di mettersi a dormire il sacerdote stabilì dei turni di guardia per alimentare il fuoco e per svegliare gli altri in caso di pericolo. sca ne fu esentata e il primo turno toccò a Pablo. La ragazza non aveva sonno e decise che avrebbe vegliato un po' con lui, con la speranza che si sarebbe ripetuta la magia di due sere prima. José e il sacerdote si stesero dentro i loro sacchi a pelo e dopo poco si addormentarono. sca era seduta su una pietra accanto a Pablo, ma non sapeva cosa dire o come cominciare, né lui sembrava intenzionato a rompere il ghiaccio e si limitava a giocherellare con un bastoncino, tracciando dei segni a caso sulla cenere ai margini del fuoco. Lei lo guardava di sottecchi e rimpiangeva il modo così spontaneo e casuale con il quale due sere prima si era ritrovata tra le sue braccia. Avrebbe dato chissà che cosa per scoprire ciò che ava per la testa

del ragazzo che taceva e continuava a tracciare segni sulla cenere. — Non hai niente da dirmi? — gli chiese, decidendo di prendere l'iniziativa. — No, cosa ti dovrei dire? — replicò lui. — Beh... l'altra sera è successo qualcosa, non ti ricordi? — L'altra sera? No, non è successo proprio niente. — Ma come! Mi hai baciata, vuoi farmi credere che non te lo ricordi? — Sì, me lo ricordo... — E allora? — E allora cosa? — Ma... io pensavo che... — Qualsiasi cosa tu abbia pensato, hai pensato male! — Ma... non ti piaccio almeno un po'? Che cosa c'è in me che non va? — chiese sca con un nodo alla gola, perché le sembrava incredibile che tanto interesse da parte sua non fosse minimamente corrisposto dal ragazzo. — Non è questo il problema, muñequita. Sei molto carina, in gamba e ispiri simpatia a prima vista... — E allora? — gli chiese lei, non riuscendo a capire perché, dopo tutti quei complimenti, il ragazzo continuasse a negarle le proprie attenzioni. — E allora sei troppo giovane. L'altra sera è stato solo un momento di debolezza. — Oh, certo! Il Grand’Uomo ha avuto un momento di debolezza, ma si è ripreso subito e ora ha la situazione perfettamente sotto controllo! — Oh, senti, piccola! — replicò lui con energia, tanto che Padre Manuel si scosse e si girò verso i due ragazzi rizzandosi sui gomiti. — C'è qualcosa che non va? — chiese assonnato.

— No, padre, tutto a posto — lo rassicurò Pablo. — Perché non ti metti a dormire, Francisca? — le consigliò il sacerdote. — La notte è più corta di quel che credi e domani la giornata sarà faticosa. — Sì, padre, adesso... — rispose lei e Padre Manuel tornò a stendersi bofonchiando. I due ragazzi rimasero qualche istante in silenzio, ma quando sca fu sicura che Padre Manuel avesse ripreso a dormire, decise che non era il caso di lasciar cadere il discorso. — Ma chi ti credi di essere? — sbottò, cercando di tenere il tono di voce più basso possibile — Hai solo tre anni più di me, Grand’Uomo! E anche se ho solo quindici anni, sicuramente ho fatto molte cose più di te che vivi in questo buco nero e merdoso di paese! Sì, era più giovane, ma riusciva a tenergli testa in modo egregio. Pablo, infatti, sembrava senza parole e sca decise di infierire. — E tanto per dirla tutta come sta, — continuò — da come mi hai baciata l'altra sera, mi sa tanto che non siano molte le ragazze che hai baciato prima di me, Grand’Uomo! Dopo la battuta che l'aveva sicuramente steso, sca considerò che un'uscita di scena a effetto avrebbe sicuramente rincarato la dose. Così si rizzò in piedi e si dileguò nel buio con aria sdegnata. — Ma dove vai? È pericoloso! — la richiamò Pablo. sca lo ignorò, ma dopo qualche o nell'oscurità, scorse davanti a sé due punti luminosi che la fissavano. Un istante dopo intese un soffio minaccioso simile a quello di un gatto, ma più rauco e profondo. — Pablo... — piagnucolò perdendo istantaneamente ogni baldanza. — Pablo... — ripeté visto che il ragazzo non le rispondeva. — Sta ferma e non muoverti — sentì sussurrare alle spalle. — Cos'è? — continuò a piagnucolare lei. — Ferma e zitta... — le raccomandò Pablo. Una massa infuocata andò a cadere molto vicina ai due punti luminosi e sca trasalì. Pablo aveva lanciato un

tizzone ardente e alla sua debole luce la ragazza intravide davanti a sé una specie di enorme gatto giallo-arancione dal pelo raso. Impaurito dal fuoco, il felino aveva fatto un balzo indietro, ma continuava a puntarla mostrando le zanne affilate. — Pablo... — piagnucolò per la terza volta sca, impietrita dal terrore e incapace di ogni movimento. — Sono qui, non aver paura — la rassicurò lui comparendo sulla destra, a braccia aperte e con in mano una grossa pietra. — Micio micio! Guarda qui! — sussurrò, cercando di distrarre l'animale. Il gattone distolse lo sguardo da sca e lo fissò sul ragazzo che si muoveva lentamente di lato cercando di attirare su di sé la sua attenzione. L'animale si spostò in avanti e Pablo cominciò ad agitare le braccia. Il gattone si fermò emettendo un ruggito e il ragazzo ne approfittò per scagliare la pietra. Colpito giusto sul naso, la belva fece un balzo indietro miagolando di dolore e scomparve nella foresta con la velocità di un lampo. — Oh, Pablo! — esclamò sca gettandosi impaurita tra le braccia del ragazzo che l'accolse stringendola. — È ato, muñequita! È ato, non aver paura. È andato via e si guarderà bene dal tornare! — la tranquillizzò accarezzandole i capelli. — Cos'era? — le chiese lei facendosi piccola piccola e ringraziando in cuor suo il gattone, senza la cui apparizione non sarebbe mai riuscita a replicare il dolce abbandono di due sere prima. — Un coguaro, o un leone di montagna, o un puma, come preferisci chiamarlo. Ne hai combinate sicuramente più di me, muñequita, ma sono sicuro che questa non ti era mai capitata, vero? — No, questa no.... — Già... queste cose succedono solo in un buco nero e merdoso di paese come questo! — osservò lui prendendosi una piccola rivincita. — Ma valgono diecimila volte una sola delle mie stupide bravate! — riconobbe sca, ridotta ormai a più miti consigli. Lui rise e la strinse più forte. Lei

sollevò la testa e alla debole luce del tizzone che ardeva a terra, lo guardò negli occhi e si sentì stringere il cuore: quel ragazzo le piaceva da morire! — Non sono troppo giovane! Vado benissimo per te, zuccone che non sei altro! — gli dichiarò, con un’espressione che non ammetteva repliche. Lui scoppiò a ridere, poi guardò verso il piccolo campo e si mise una mano davanti alla bocca soffocando la risata. sca continuò a fissarlo e lui le accarezzò i capelli, poi una guancia, infine le prese il mento tra pollice e indice e si abbassò lentamente a baciarla. Lei non aspettava altro. Chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Pablo sembrò mettercela tutta per convincerla di non essere la prima ragazza che aveva baciato in vita sua e, per quanto sca poteva intendersene, ci stava riuscendo perfettamente. — Eh, no! Questa no! — esclamò Padre Manuel alle loro spalle — È così che fai la guardia, sciagurato? Non si fanno queste cose, specialmente in presenza di un prete, anche se dorme! Tornate subito qua, piccoli depravati! sca e Pablo si staccarono ridendo sotto i baffi e tornarono verso il piccolo accampamento tenendosi per mano. — Ma padre... sca stava per essere assalita da un coguaro! Cosa dovevo fare? — cercò di giustificarsi Pablo. — Ma quale coguaro? Sei tu il coguaro! Assatanato che non sei altro! E pensare che sembravi un così bravo ragazzo! — Ma non facevamo niente di male! — protestò sca. — Questo, se permetti, lo decido io! È il mio mestiere! Sono un prete, cosa pretendete da me? E adesso basta, mettetevi subito a dormire, la guardia la faccio io! I due ragazzi si infilarono dentro i rispettivi sacchi a pelo sotto attenta e scrupolosa sorveglianza di Padre Manuel. — Cos'è quella roba? Via, via! — protestò, vedendo che Pablo aveva preso una mano a sca e la teneva stretta nella sua. I due ragazzi chio gli occhi, ma ogni tanto li riaprivano in perfetta sincronia e si guardavano sorridendo. — Dormire, adesso! — li esortò burbero Padre Manuel e dopo un po' i due

ragazzi si addormentarono davvero. — Ma guarda un po' cosa mi tocca! — borbottò il sacerdote levando gli occhi al cielo.

34 - AMORI DISPERATI

La luce costrinse sca ad aprire gli occhi e la prima cosa che vide fu Pablo che sbucava dal sacco a pelo, ma non riuscì a strappargli che un amichevole sorriso di saluto e niente più, come se la sera prima tra loro non fosse successo nulla. Mezzora dopo la piccola spedizione era a cavallo, pronta a iniziare un'altra giornata di inseguimento. Lungo quel tratto di sentiero la vegetazione si era fatta più rada e il panorama era velato qua e là da una cortina di nebbia, effetto dell'abbondante rugiada notturna che i primi raggi del sole avevano cominciato a far evaporare. Il silenzio era pressoché assoluto, rotto di quando in quando dai richiami degli uccelli. Ogni tanto il sentiero si allargava e sca ne approfittava per dar di trotto al cavallo affiancando Pablo. — Oh, sei qui! — la salutava lui ogni volta. "Sì, sono qui, dove vuoi che sia?" pensava lei "sono sempre io a correrti dietro, mai che venga in mente qualche volta anche a te di aspettarmi!" sca era una ragazza carina, né troppo alta né troppo bassa, snella e con un fisico aggraziato. Era facile per lei attirare i ragazzi e da quando aveva cominciato a rendersene conto, ne approfittava con una certa malizia. Provava, infatti, un gusto quasi sadico a lesinare le proprie attenzioni e a far girare i giovanissimi spasimanti come trottole senza mai concedere nulla, come fosse lei l'unica ragazza esistente al mondo. All'inizio aveva cercato di mettere in atto la stessa tattica anche con Pablo, ma il ragazzo doveva essere refrattario alle sue moine e le parti si erano invertite. Adesso era lei a mendicare dal ragazzo un segno, un sorriso, una piccola attenzione e si rese conto di essersi presa per lui una cotta con i fiocchi e controfiocchi. "Allora è così quando ci si innamora davvero" pensava. "Faresti follie per il ragazzo che ti piace e gli muori dietro, anche se lui manco ti vede..." Era proprio questo l'atteggiamento di Pablo nei suoi confronti. Se di sera era riuscita per due volte a strappargli un po' di tenerezza, di giorno non riusciva a scucirgli che qualche amichevole sorriso.

— Dobbiamo parlare! — dichiarò sca affiancando Pablo per l'ennesima volta. — E di che? — le chiese lui. — Di che cosa vuoi che parliamo? Di calcio? Di noi due, scemo! — Che cosa c'è da dire di noi due? — Non eri tu ieri sera e due sere prima? Eppure il tizio che mi ha baciata ti assomigliava molto! — Ci siamo dati solo un paio di baci! — E ti pare poco? Non avevo mai baciato nessuno prima di te! — protestò lei con rabbia, perché Pablo non aveva idea di quanto le costasse una simile ammissione. — Dai, non è una cosa così importante! — Per me sì! Cosa c'è in me che non va? Dimmelo! Non ti piaccio? — No, tu mi piaci molto, te l'ho già detto... — Allora pensi ancora che sia troppo giovane per te? — No, in fondo non è neppure per questo. — Si può sapere una buona volta perché? Vuoi per caso farti prete? — gli chiese, ricordando la discussione teologica della sera precedente con Padre Manuel. — Oh, no! La questione, è un'altra... — sospirò Pablo. — Credo di avere il diritto di conoscerla, dato che mi riguarda in prima persona. — Il fatto è che quando tutto questo sarà finito, tu tornerai dall'altra parte dell'oceano! — dichiarò Pablo e sca ammutolì. Si era resa conto con un certo sgomento che il ragazzo aveva ragione. — Vedi... — continuò lui dopo qualche istante di silenzio — tu mi piaci molto e

potrei anche innamorarmi di te, ma tra qualche giorno tu partirai e io non voglio star male. La mia vita è legata all'albergo e fin da piccolo è sempre stata piena di gente che andava e veniva, a cominciare da mia madre, che quasi nemmeno ricordo! Spariscono tutti dalla mia vita! sca provò una stretta al cuore e sentì che dopo quell'ammissione gli voleva ancora più bene. Nonostante la sicurezza che dimostrava e sapeva infonderle, anche Pablo aveva le sue fragilità e lo sentì più umano e più vicino. — Ma... ma... — balbettò lei — Io potrei restare! Potrei darvi una mano in hotel! Tanto, non ho nessuna voglia di continuare a studiare! La scuola mi rompe e io rompo alla scuola! Che ci torno a fare in Italia? — No, muñequita! In Italia c'è tua madre e la tua vita, molto meno disagiata di quella che vivresti qui. Non è questo il tuo mondo. Non ti ci abitueresti mai! sca si rese conto ancora una volta che Pablo aveva ragione. Lei prima o poi sarebbe tornata in Italia. Che speranze avrebbe avuto una storia a distanza come la loro? Si sentì improvvisamente un grande e malinconico peso sul cuore: aveva trovato il primo grande amore della sua vita e ancor prima di cominciare era già una storia senza futuro. Per il resto della giornata sca non si accostò più a Pablo, nemmeno quando il sentiero glielo avrebbe permesso. Si limitò a fissarlo da dietro, senza nemmeno sperare che lui si girasse a sorriderle. Anche il ragazzo era divenuto malinconico e lei lo capiva senza vederlo in viso, dal modo in cui teneva il capo, leggermente piegato verso il basso. "Povero ragazzo" pensò "Anche lui è cresciuto in una famiglia dimezzata..." Cercò di non pensare più a Pablo e di concentrarsi su Flavio e Juanito, ma inutilmente, perché i suoi pensieri e i suoi sguardi continuavano a posarsi sul ragazzo che cavalcava in silenzio davanti a lei.

35 - APPLAUSI E FISCHI

I quattro continuarono al o per quasi tutto il resto della giornata, procedendo a piedi ogni tanto per sgranchire le gambe intorpidite e fare riposare i cavalli. Era già pomeriggio inoltrato quando, nei pressi di un enorme masso, le tracce di Flavio svanirono nel nulla. Padre Manuel si guardò attorno incerto e andò in avanscoperta per qualche centinaio di metri, ma inutilmente e tornò indietro incredulo. — Sparito, volatilizzato... — commentò stupefatto guardandosi attorno — Come se avesse preso il volo! Non è possibile! Ci sarà sicuramente qualche altro sentiero di cui non ci siamo accorti. Cerchiamolo! Scesero tutti da cavallo e si misero a perlustrare tutt'attorno finché José richiamò l'attenzione degli altri. — Qui! Ha abbandonato il sentiero in questo punto! — gridò. sca, Pablo e Padre Manuel lo raggiunsero. A lato del sentiero, in corrispondenza del masso, c'era una grossa pietra piatta mezzo interrata e al di là, oltre un cespuglio, qualcuno si era fatto largo a colpi di machete. nell'intricata vegetazione. — Perché Flavio ha deciso di abbandonare il sentiero proprio qui? — chiese sca. — Forse perché quell'enorme masso e questa pietra interrata costituiscono due punti di riferimento ben precisi — rispose Padre Manuel. — Quindi Flavio non procedeva a caso, ma seguiva delle indicazioni — osservò Pablo. — Lo sapremo solo quando l'avremo raggiunto. Se ha dovuto aprirsi la strada a colpi di machete, sarà sicuramente andato meno spedito e sarà facile raggiungerlo, ma non oggi. Si sta facendo sera ed è meglio non farci sorprendere dalla notte in mezzo alla giungla. E così, anche se mancava ancora un po' al tramonto, i quattro si accamparono nei

pressi del masso e si apprestarono a are la loro seconda notte all'addiaccio. Il menù non fu molto diverso da quello della sera precedente, ma la cavalcata aveva messo un grande appetito a tutto il gruppo. Dopo cena Pablo e sca scivolarono con noncuranza dietro al masso, ma il movimento non sfuggì agli occhi vigili di Padre Manuel. — Fischiate e battete le mani! — gridò facendo ridere i due ragazzi che dimenticarono per qualche istante la loro tristezza. Seduti dall'altra parte dell'enorme pietra, Pablo cinse con un braccio le spalle di sca e la strinse a sé. — Tu credi si possa essere allo stesso tempo felici e infelici? — gli chiese lei — Perché è così che mi sento vicino a te! Ti prego, Pablo, tienimi qui con te in Belumbia! — Non dipende da me. E anche se fosse, non sarebbe giusto — le rispose lui baciandola in fronte e accarezzandole i capelli. — Non voglio andar via... — Non pensarci. Per adesso sei ancora qui! Non roviniamoci il poco tempo che ci resta per stare insieme. — Non sento né fischi né applausi! — gridò Padre Manuel dall'altra parte del masso e Pablo, sciogliendo la malinconia in una risata, si mise a battere le mani. — E i fischi? — urlò Padre Manuel. — Padre... — gli fece notare José dall'altra parte del masso — con tutto questo casino ci troveremo addosso tutte le belve feroci dell'Amazzonia! — Anche questo è vero! — ammise il sacerdote — Allora, José, fammi un favore, va' a fare un po' di compagnia ai due colombi! — Io? Che c'entro io? Non sono affari miei! Sei tu il prete! Mentre era in corso la discussione tra il sacerdote e José su chi dovesse vigilare sulla moralità della spedizione, dall'altra parte del masso sca e Pablo erano in piena apnea e stavano battendo ogni record mondiale nella specialità

bacio più lungo in assenza completa di respirazione. Non convinti della prima performance, la replicarono più volte migliorandola sempre più e fu un peccato che non fosse presente alcun arbitro ufficiale per poterla omologare nel Guinness dei primati. In quel momento per sca non esisteva altra cosa altro al mondo che Pablo e sarebbe rimasta dietro al masso per tutta la notte, infischiandosene di coguari, anaconde, alligatori e anche di Padre Manuel. Tuttavia, assieme a un gran desiderio di continuare all'infinito quel nuovo e apionante gioco, si accompagnava in lei una vaga sensazione di timore e disagio per una conclusione che le appariva del tutto naturale, ma per la quale non si sentiva ancora del tutto pronta. Fu così che all'ennesimo urlaccio del sacerdote, sia pure a malincuore si staccò dal ragazzo. — Andiamo, Pablo! Padre Manuel ha ragione, potrebbe essere pericoloso star lontani dal fuoco! — sospirò. Fu lui, questa volta, ad alzarsi di malavoglia e a seguirla mentre lei lo tirava per mano. Prima di sbucare davanti al masso, tuttavia, l'attirò a sé con uno strattone, l'abbracciò e volle darle un ultimo bacio.

36 - UNA FAVOLOSA SCOPERTA

La marcia riprese alle prime luci del giorno. Flavio aveva aperto la strada, ma procedere in mezzo alla folta vegetazione e alla nebbiolina creata dall'evaporazione della rugiada notturna non fu ugualmente facile. I quattro, infatti, dovettero avanzare a piedi tirandosi dietro i cavalli che male accettavano di muoversi in mezzo al groviglio di piante. Animali nati per scorrazzare nelle praterie, sotto un cielo aperto e tra orizzonti lontani, si sentivano soffocati da quella vegetazione oppressiva che limitava la vista in ogni direzione frusciando sui loro larghi fianchi e talvolta graffiandoli. Come se ciò non bastasse, ogni tanto fiutavano la presenza ostile di qualche serpente o di qualche animale da preda e si inalberavano rifiutandosi di procedere. Padre Manuel e compagni dovevano tranquillizzarli e blandirli accarezzandoli e offrendo loro la ricompensa di qualche zolletta di zucchero. L'intricata foresta sembrava non avere mai fine, tanto che sca a un tratto cominciò a provare la stessa sensazione claustrofobica dei cavalli. Cercò di non pensarci e continuò a camminare tirandosi dietro la cavalcatura. Avrebbe voluto avere accanto Pablo, che certamente sarebbe riuscito a tranquillizzarla, ma non c'era spazio per procedere affiancati in quello stretto sentiero aperto da Flavio. — Doveva avere una bussola con sé — osservò Padre Manuel durante una breve sosta in una piccola radura che aveva permesso ai quattro di riunirsi. — Ha seguito sempre la stessa direzione, anche dopo aver aggirato gli ostacoli. — Significa che sapeva esattamente dove andare e non procedeva a caso — commentò Pablo. — Già, proprio così — annuì Padre Manuel. — Vuoi vedere, Francisca, che tuo padre sa davvero dove si trova il tesoro degli Incas? — Se fosse vero, sarebbe l'unica cosa che gli è riuscita in vita sua! — commentò sarcastica la ragazza. — Non essere cattiva con lui! Noi non possiamo giudicarlo. Solo il Giudice

Supremo lo può fare! — Sei troppo indulgente, Padre Manuel! — lo rimproverò affettuosamente sca, alla quale si era affiancato Pablo. — Già, hai ragione. Anche con voi due lo sono un po' troppo! — brontolò il sacerdote osservando i due ragazzi che si tenevano teneramente per mano. — E adesso muoviamoci! — esclamò e il gruppo si rimise in movimento. Il sentiero aperto da Flavio s'inerpicava sul declivio di un rilievo che sembrava non avere mai fine e che rendeva la marcia doppiamente faticosa. I quattro, infatti, non solo erano costretti ad arrampicarsi a piedi, ma dovevano tirarsi dietro con un certo sforzo anche i cavalli che nonostante gli zuccherini continuavano a impuntarsi. Dopo parecchie ore di cammino, la vegetazione cominciò a diradare e finalmente il gruppetto sbucò sopra una specie di altopiano interrotto qua e là da qualche piccola altura. Lassù la vegetazione era per lo più bassa e permetteva una visione abbastanza sgombra del paesaggio. Il terreno più agevole permise a Padre Manuel e compagni di risalire a cavallo e fu un sollievo per tutti lasciarsi finalmente trasportare. Seguendo le tracce di Flavio arrivarono nei pressi di un rilievo roccioso alto una quarantina di metri e, dopo averne aggirato uno spuntone, si trovarono improvvisamente davanti un macilento cavallo legato a un arbusto che sporgeva dalla roccia. L'animale sollevò appena la testa e continuò tranquillamente a brucare. — Il cavallo di Flavio! — esclamò sca con il cuore che aveva iniziato improvvisamente a battere a più non posso. — Già... non può essere che il suo! — commentò Padre Manuel avvicinandosi. — E lui dov'è? — chiese la ragazza. — Non può essere lontano... — osservò Pablo scendendo a terra e avvicinandosi all'animale. — C'è una specie di grotta nella roccia, ma è strana! — annunciò, mentre anche gli altri scendevano da cavallo e si avvicinavano incuriositi all'apertura. — Non sembra naturale. L'ingresso è troppo regolare — osservò il ragazzo.

Padre Manuel si avvicinò e scostò i cespugli e le erbacce che circondavano l'apertura. — Che mi venga un accidente! È fatta di pietre intagliate! — esclamò strappando con tutte le sue forze un cespuglio e mettendo allo scoperto uno stipite scolpito con decorazioni geometriche e un bassorilievo che rappresentava una figura umana stilizzata. — Ma questo... no, non può essere! — esclamò il sacerdote infervorato, abbracciando con uno sguardo l'intero rialzo. — Ragazzi, questa non è una collina rocciosa! Questa è una piramide tronca fatta di pietre squadrate! Un tempio precolombiano, capite? È perfettamente mimetizzato dalla vegetazione, ma è una costruzione umana... e quelle... quelle... — balbettò indicando altre collinette che stavano tutte attorno — anche quelle sono tutte piramidi! Vi rendete conto cosa significa? — Nessuno si muova o sparo! — gridò improvvisamente una voce alle loro spalle. I quattro si girarono e si trovarono di fronte un uomo con una carabina spianata, sbucato dall'apertura alla base della piramide, vestito con un paio di jeans logori e una camicia a quadri. Era biondo, con i capelli lunghi raccolti sulla nuca da una cordicella e aveva una barba incolta che gli scendeva quasi sul petto. Non aveva più l'acconciatura rasta della foto con Lucia e sembrava precocemente invecchiato, ma sca lo riconobbe ugualmente ed ebbe un tuffo al cuore. Davanti a lei, finalmente, si trovava Flavio Vitali, suo padre.

37 - FLAVIO

— Chi siete e cosa fate qui? — chiese l'uomo con aria minacciosa, tenendo tutto il gruppo sotto il tiro della carabina. — Sono Padre Manuel — si presentò il sacerdote. — Non mi riconosci, Flavio? Non ti ricordi quella volta che ti ho nascosto nella soffitta della canonica, quando i contadini volevano farti la pelle? — Ah, già, Padre Manuel! Mi dispiace, ma in borghese non l'avevo riconosciuta — si scusò Flavio abbassando l'arma e avvicinandosi. — Che ci fa qui con questi tre ragazzi? — Chiedilo a lei! — rispose il sacerdote indicando sca che non aveva tolto un momento lo sguardo dall'uomo. — Devo chiederlo a questa bambolina, padre? — chiese Flavio avvicinandosi alla ragazza con una strana luce negli occhi. — La tua faccia non mi è nuova, non ci siamo già visti da qualche parte? Chi sei? — le domandò con un tono talmente mellifluo e insinuante che sca si sentì cogliere dalla nausea. L'aveva chiamata bambolina, lo stesso nomignolo affettuoso affibbiatole da Pablo, ma sentirlo risuonare in quella bocca non le piacque per niente. — Non mi vuoi dire chi sei? — ripeté l'uomo guardandola in modo malizioso e accarezzandole una guancia. sca si rese conto che nello sguardo e nella carezza di Flavio Vitali non c'era proprio niente di paterno. Ne provò una irresistibile ripulsa e scostò con rabbia la mano. — Sono tua figlia, stronzo! E qui c'è un po' di posta arretrata per te! — rispose seccamente, estraendo dalle tasche le lettere un po' sgualcite di Lucia. — Come ti permetti, Francisca! È pur sempre tuo padre! — la rimproverò il sacerdote. — Suo padre? Mi state prendendo in giro? — chiese Flavio allibito, rigirando tra le mani le tre buste.

— No, pare sia proprio tua figlia! — confermò Padre Manuel. — Ma io figli non ne ho! — E Juanito, allora, chi è? — gli chiese sca che riusciva a nascondere a stento il ribollire rabbioso di un vulcano sotto l'apparenza di un iceberg. — Juanito? Quale Juanito? — Il figlio di Helèna! — Helèna? Quale Helèna? — Helèna Herrera, l'infermiera di Los Pantanos! — rispose sca, provando per l'uomo qualcosa che non sapeva se fosse più rabbia, delusione o repulsione. — Ah, sì Helèna e Juanito — esclamò Flavio, come se la donna e il ragazzo fossero per lui solo dei vecchi conoscenti usciti dalla memoria. — Come stanno? — chiese poi, con l'aria di chi fa solo una domanda di circostanza, perché in realtà non gliene potrebbe interessare di meno. — Scommetto che non ti ricordi più nemmeno questa! — esclamò sca mostrandogli la foto con sua madre. — Questo sono io una quindicina d'anni fa! — mormorò incredulo l'uomo — E questa chi è? Sei tu? Il tempo non è ato per te? — Non sono io! — quasi urlò la ragazza, rendendosi conto che Flavio nemmeno si ricordava di Lucia. — Leggi quelle lettere e lo saprai! Flavio tornò a osservare confuso le tre buste che sca aveva diligentemente contrassegnato a matita con i numeri uno, due e tre, secondo l'ordine di spedizione. — Lucia... Lucia Martini! Adesso ricordo! — mormorò dopo averle aperte e lette velocemente una dietro l'altra. — Lucia Martini aspettava un figlio da me? — Sì, una femmina, per la precisione! — confermò seccamente sca — E ti sta davanti. Mi chiamo sca e sono figlia di Lucia. E a quanto mi risulta, tu dovresti essere mio padre.

— Ma... ma... Io non ne sapevo niente... cosa vuoi da me? — balbettò Flavio dopo un istante di smarrimento. — Flavio! — lo rimproverò Padre Manuel — Questa ragazza è scappata di casa per conoscerti! Ha attraversato l'oceano da sola e non ha ancora quindici anni! — Non le ho chiesto io di farlo! — replicò seccamente l'uomo. sca avrebbe voluto urlare tutta la rabbia, lo sdegno, la repulsione improvvisa per quell'individuo che, scoprendo di avere una figlia, non solo non batteva ciglio, ma ne sembrava addirittura contrariato, considerandola un banale e fastidioso contrattempo. La ragazza aveva sempre fantasticato su quell'incontro come un avvenimento bellissimo e commovente, con baci, abbracci e campane che suonavano a stormo. Niente di tutto questo. Non era né il principe, né il miliardario che aveva sognato da piccola. Era solo uno squallido e piccolo delinquente da quattro soldi, incapace di pensare a nessun altro che a se stesso. Capì che Lucia, messa a confronto con lui, era un gigante di umanità e sentì una gran rabbia montarle alla testa, assieme a una irrefrenabile voglia di saltare addosso a quell'uomo e picchiarlo a morte. Di lì a qualche istante l'avrebbe anche fatto, se Pablo non si fosse fatto avanti, mettendole un braccio sulla spalla e stringendola a sé. — Digli perché siamo qui e facciamola finita — la esortò. — Manolo Sanchez ha preso in ostaggio Juanito — esordì la ragazza ritrovando solo apparentemente la calma, perché il suo cuore continuava a galoppare. — Se non gli restituisci la partita di droga che gli hai sottratto, o almeno il suo valore in denaro, Juanito farà una brutta fine. Nemmeno tale notizia sembrò scalfire l'imperturbabilità di Flavio. Il sospiro che si lasciò sfuggire, assieme allo sguardo con cui levò gli occhi al cielo, denotarono solo insofferenza per una seccatura imprevista. — Anche volendo non potrei — rispose. — La droga gliel'ho rubata, è vero ed ero in trattative con il colonnello Arrabal per cedergliela, ma al momento della consegna quel figlio di buona donna se l'è incamerata con la forza senza pagarmi. È già tanto se sono ancora vivo! — Non hai più niente? — gli chiese sca sgomenta.

— No. — E l'oro dei minatori? — Perduto al gioco. — E come lo riscattiamo Juanito? — chiese la ragazza sull'orlo di una crisi di pianto. — E che ne so? — sbottò l'uomo come se il problema non fosse affar suo. — Ma è tuo figlio! — Che devo fare? Devo consegnarmi a Manolo? Pensi forse che si limiterebbe a tirarmi le orecchie e a raccomandarmi di non farlo più? Lo conosci Manolo? Lascia perdere, ragazza mia, non c'è niente da fare! Soldi o non soldi, Juanito farà comunque una brutta fine e io non voglio seguirlo! sca si sentiva distrutta. Non disse niente e si limitò a rifugiarsi tra le braccia di Pablo scoppiando in un pianto convulso che non era più riuscita a dominare. — Ma non ce l'hai un briciolo di umanità, Flavio? — lo rimproverò Padre Manuel — Possibile non t'importi niente che tuo figlio paghi per le tue losche faccende? Che colpa ne ha lui? — Anche Juanito ti stava cercando assieme a Francisca quando Manolo l'ha preso in ostaggio! Voleva solo rivederti! — rincarò la dose Pablo. — Oh, ma che volete da me? — sbottò l'uomo sempre più infastidito. — Un piccolo gesto, Flavio! A volte basta un piccolo gesto per cambiare un'esistenza! — rispose serio Padre Manuel. — Avete visto che cosa ho trovato? — chiese l'uomo indicando la piramide che li sovrastava e quelle tutt'intorno. — Perché cambi discorso? — lo rimproverò il sacerdote. — Poco prima di morire ubriaco, un cacciatore mi ha rivelato la strada per

arrivare fin qui — continuò Flavio, ignorando il rimbrotto di Padre Manuel. — Tutto questo dimostra che nelle antiche leggende qualche volta c'è del vero. Se tutto ciò esiste, esiste sicuramente anche il tesoro degli Incas. Se mi date una mano a cercarlo, faremo a metà e voi potrete dare la vostra parte a Manolo per riscattare Juanito. Più di questo non posso fare, né per voi, né per lui!

38 - PERICOLO PER FLAVIO

— È lodevole la tua proposta, Flavio — si complimentò Padre Manuel. — Allora non dobbiamo fare altro che riportare alla luce il tesoro degli Incas. Dicci dov'è. — Non lo so, bisogna cercarlo. — Cercarlo? Dove? — Non ne ho la minima idea. Però dev'essere per forza nascosto qui da qualche parte. — Ma tu sei pazzo! Ti sei guardato attorno? Non hai visto quante piramidi ci sono? Come pensi di poterlo trovare? Qui ci vorrebbe un'intera equipe di archeologi, con attrezzature elettroniche per la ricerca! Il lavoro potrebbe ugualmente durare mesi e mesi, se non anni! Come speri di potercela fare da solo? — Voi mi darete una mano — replicò Flavio, come fosse la cosa più naturale del mondo. sca si convinse che l'uomo non aveva il minimo senso della realtà e che Padre Manuel aveva ragione quando diceva che il suo stato mentale lo preoccupava almeno quanto la sorte di Juanito. — Io non ho fretta — dichiarò Flavio alzando le spalle. — Con tutta la gente che ce l'ha con me, se tornassi giù in pianura rischierei la pelle. Tanto vale che me ne resti qui finché non avrò trovato il tesoro. Se volete rimanere ad aiutarmi siete i benvenuti, altrimenti nessuno vi trattiene. — E Juanito? Che ne sarà di lui? — replicò sca. — Quando avrò trovato il tesoro lo riscatterò, ve l'ho promesso. — Ma potrebbe diventare adulto nel frattempo! Manolo non porterà mai tanta

pazienza! Flavio fece con la mano un gesto di insofferenza e alzò le spalle. Decisamente non lo considerava un problema suo. — Francisca, lascia perdere — la invitò Padre Manuel. — Quest'uomo non ci sta con la testa. Da Manolo ci andrò io e se sarà necessario porterò da lui l'arcivescovo di Santa Paz tirandolo per le orecchie! A sentir nominare Manolo Sanchez, l'atteggiamento di Flavio cambiò improvvisamente. — No, tu non andrai da nessuna parte! Non andrai a raccontare a Manolo del mio tesoro! — esclamò puntando il fucile addosso al sacerdote. — Non ci interessa il tuo tesoro! Ci interessa solo Juanito! — urlò sca. — Nessuno di voi si muoverà da qui! — continuò imperterrito Flavio, tenendo di mira Padre Manuel — Il tesoro è mio e nessun altro lo toccherà! — Non fare idiozie, Flavio... — lo pregò Pablo cercando di avvicinarsi. — Sta' fermo dove sei, ragazzo! Non fare un o o ti stendo! — gli gridò l'uomo puntandogli l'arma. — Flavio, calmati, ragioniamo! — lo supplicò Padre Manuel, ma l'uomo sembrava uscito del tutto di senno e continuava a puntare la carabina ando nervosamente dall'uno all'altro, con le mani contratte e il dito che tamburellava nervosamente sul grilletto. Il cuore di sca batteva forte. Decisamente non era quello l'incontro che aveva tanto sognato, ma si rese conto che l'unica a poter fare qualcosa in quella situazione, forse, era proprio lei. — Papà... — mormorò, meravigliandosi lei per prima di averlo chiamato a quel modo. — Papà... — ripeté deglutendo saliva e la parola ebbe un effetto inaspettato su Flavio. Dopo averle puntato rapidamente addosso la carabina, infatti, l'uomo l'abbassò. — Ti prego, sta' calmo, papà. Non vogliamo più niente da te e non diremo nulla

del tuo tesoro. Te lo promettiamo. E adesso, per favore, lasciaci andare senza fare storie. È l'unica cosa che ti ho chiesto da quando sono al mondo e mai più mi capiterà di chiederti qualcos'altro. Credo che tu possa accontentare per una volta una figlia che non hai mai vista e che non rivedrai mai più! Mentre parlava, Flavio guardava la ragazza con un'espressione indecifrabile, ma intanto aveva abbassato il fucile. — Quanti anni hai? — le chiese a un tratto, tornando apparentemente in sé. — Quindici, papà — rispose la ragazza, intravedendo uno spiraglio di luce negli occhi dell'uomo. — Beh, quasi quindici! — Come ti chiami? — continuò lui. — sca — sussurrò la ragazza. — sca... Quella volta avrei dovuto restare in Italia e finire gli studi come voleva tua madre! — sospirò Flavio. — Ci puoi tornare, se vuoi — gli assicurò la figlia, dubitando però che Lucia avrebbe voluto riprenderselo. — Ormai è troppo tardi, piccola! — le rispose lui scuotendo la testa con aria di rimpianto. — Tutto quel che posso fare è restare qui, in mezzo a queste piramidi, a cercare il tesoro fino all'ultimo dei miei giorni. Un'ombra di tristezza ò nello sguardo dell'uomo, restituendogli finalmente un briciolo di umanità. sca sentì un nodo alla gola e si rese conto in un solo istante che Flavio non era fuori di testa, per lo meno non del tutto. Flavio era disperato, proprio come aveva detto Padre Manuel. — È meglio che ve ne andiate, prima che cambi idea! — consigliò l'uomo indicando con la canna del fucile la direzione dalla quale erano arrivati. — Vieni con noi, papà! — lo pregò sca con la voce rotta dall'emozione. — No, piccola, il mio posto ormai è qui, te l'ho detto. — Non è vero, vieni con noi! Vedrai che le cose con Manolo si aggiusteranno!

Porterò qui anche il papa, se sarà necessario! — tentò di rassicurarlo Padre Manuel. — Oh, Padre! Fosse solo per Manolo! E tutti gli altri dove li mette? — mormorò Flavio — Ecco, vedi? Sono già qui! — sospirò accennando con un gesto della testa a qualcosa o qualcuno alle spalle della ragazza. sca si girò istintivamente e si accorse che dal niente era sbucata una decina di uomini dall'aria minacciosa, armati di pistole e carabine. — Ma voi chi siete? — chiese spaventata la ragazza. — Non ci riconosci, muchacha? — rispose serio uno degli uomini, mentre il resto del gruppo circondava Padre Manuel e gli altri. — I minatori... — mormorò Pablo. — Già, proprio noi! — esclamò quello che sembrava il capo. — Come siete arrivati fin qui? — chiese Pablo. — Seguendovi, ma con un po' più di prudenza. Noi non siamo finiti tra le grinfie di Manolo Sanchez. E tu, sei contento di vederci, Flavio Vitali? — chiese beffardo a Flavio assestandogli un pugno sullo stomaco che lo fece piegare in due. — Non fategli del male! — urlò la figlia precipitandosi in suo aiuto, ma il capo dei minatori le fece uno sgambetto e la ragazza finì a terra lunga distesa. — Non ce l'abbiamo con te. Abbiamo trovato tuo padre e ci basta — le disse l'uomo. — Vi prego, non fategli del male! — tornò a implorarli lei, mentre Pablo l'aiutava ad alzarsi. — Non temere, ci limiteremo a impiccarlo — replicò l'uomo. — E tu ringrazia tua figlia — disse rivolto a Flavio. — Se lei non fosse qui, non te la caveresti così a buon mercato! — Non potete farlo! È un assassinio! — protestò Padre Manuel.

— No, è giustizia! — ribatté l'uomo. — Non potete farvela da soli! — Chi altro può farla in questo paese? Lei è un prete, no? E allora faccia il prete! Lo confessi e dica qualche preghiera, ammesso che il diavolo non si sia già preso la sua animaccia sozza! — Facciamo presto! Portate la corda e un cavallo! — gridò il capo ai suoi uomini. Un gruppo di minatori trattenne Flavio, che tuttavia non opponeva alcuna resistenza e guardava nel vuoto con lo sguardo assente e rassegnato. Uno di loro gli legò le mani dietro alla schiena con un pezzo di corda. Altri fecero are sghignazzando un cappio attraverso il tronco di un alberello che era riuscito a mettere radici tra le pietre della piramide ed era cresciuto tutto storto, sporgendosi in fuori all'altezza di circa tre metri da terra. Qualcuno condusse il macilento cavallo di Flavio e il condannato fu issato sulla groppa. Per un po' sca guardò la scena, poi non riuscì a resistere e nascose il viso sul petto di Pablo, che la strinse forte a sé. — Non potete farlo, non potete... — gridò Padre Manuel, ma inutilmente, perché uno dei minatori, salito a sua volta a cavallo, mise il cappio al collo di Flavio. — La smetta, padre! Faccia il suo mestiere, invece! — lo esortò il capo. Rassegnato, il sacerdote si avvicinò a Flavio. — Vuoi confessarti? — gli chiese. — Lasci perdere, Padre Manuel — gli rispose il condannato a morte con un sorriso amaro sulle labbra. — Per raccontarle tutti miei peccati avrei bisogno di parecchie ore e questi gentiluomini non hanno l'aria di avere tanto tempo da perdere. — Io ti assolvo lo stesso, figliolo — sospirò Padre Manuel recitando la formula di rito e benedicendolo.

39 - UN'ALTRA FUGA

Quella stessa mattina, due uomini di Manolo Sanchez giocavano svogliatamente a carte all'esterno della stanza in cui erano rinchiusi Ventura e Antonio. A un tratto arrivò loro il rumore sordo di un tonfo e un attimo dopo sentirono uno dei due prigionieri chiamare aiuto. Immediatamente si precipitarono dentro e videro Antonio steso sul pavimento in preda a tremende convulsioni e Ventura chino su di lui. — Presto, fate qualcosa, sta male! — gridò il commissario alzandosi in piedi e mettendosi di lato, mentre uno dei due scagnozzi di Manolo si chinava a guardare cosa diavolo avesse il prigioniero. — È crollato a terra improvvisamente e ha cominciato a tremare! — spiegò Ventura. Come se aspettasse un segnale, Antonio si afferrò alla camicia dell'uomo e lo tirò a terra immobilizzandolo. Contemporaneamente il commissario, con una fulminea mossa di karaté, fece finire l'altro lungo disteso sul pavimento e altrettanto rapidamente lo disarmò impadronendosi della pistola. — E adesso buoni, ragazzi! — li esortò calmo tenendoli entrambi sotto tiro. — Non oseresti mai spararci! Gli altri sentirebbero il colpo e non avresti scampo! — lo provocò uno dei due uomini disarmati. — Vuoi mettere la soddisfazione di vedere un avanzo di galera come te con un buco in testa? Non saresti il primo delinquente che ammazzo, credimi! — gli rispose Ventura con aria truce. Dopo qualche minuto i due scagnozzi di Manolo erano già belli e impacchettati, legati come salami con la corda delle tende e imbavagliati con un lembo delle lenzuola. — Michele, davvero hai ammazzato qualcuno? — chiese Antonio. — Ci mancherebbe altro! No, non ho mai ammazzato nessuno... però fa sempre un certo effetto vantarsene! — confessò il commissario scostando leggermente la tenda e sbirciando la piscina sottostante. Juanito nuotava, mentre Helèna e Lucia, in bikini, fingevano di scherzare con i due scagnozzi incaricati di sorvegliarle e

ogni tanto gettavano uno sguardo furtivo verso le finestre. — Com’è bella... — sospirò Antonio. — Con chi ce l’hai? — Helèna... — tornò a sospirare Antonio. — Ah, Helèna...Te la guarderai un’altra volta, Romeo! Adesso non abbiamo tempo da perdere! Sbrighiamoci a fare questo segnale e scendiamo di corsa. Antonio, seminascosto da una tenda agitò una mano ed Helèna, intercettato il segnale, si grattò un orecchio come convenuto in precedenza. — Mi è venuta una gran sete! — cinguettò la bella mulatta qualche istante dopo, drizzandosi in tutta la sua splendida figura. — Che ne dite, ragazzi, se vado a preparare qualcosa da bere? — Mi dispiace, Helèna, ma non possiamo lasciarti andare da sola! — si rammaricò uno dei due. — E allora seguimi, caro! — lo invitò lei con un sorriso ammaliante, avviandosi verso la villa. Helèna fece il suo ingresso nella sala, e l’uomo la seguì docile docile con gli occhi pieni d’ammirazione. Fu facile per Angelo e Antonio coglierlo di sorpresa e sbatterlo a terra puntandogli addosso la pistola. In quattro e quattr’otto, e senza quasi rendersene conto, il poveretto si trovò legato e imbavagliato come i due colleghi al piano superiore. Fu la volta di Lucia, dopo qualche minuto, a recitare la sua parte. — Insomma! Che fanno quei due là dentro? E noi qui a morire di sete! Che ne dici se li raggiungiamo? — propose al secondo guardiano. — Con piacere, señora Lucia! — rispose l’altro seguendola, e dopo qualche istante si ritrovò a sua volta a terra legato e imbavagliato. — Adesso vestitevi, ragazze, e prepariamoci per la parte più difficile — disse Antonio.

— Ci sono due sentinelle che percorrono il perimetro delle mura — spiegò Ventura, ed altri stanno in una costruzione isolata dalla casa. Penso sia il laboratorio dove viene distillata la cocaina. Può darsi che si tratti di semplici tecnici, ma potrebbero darci fastidio. Tu, Helèna, stai con tuo figlio. Tu, Lucia vieni con noi. Angelo, Antonio e Lucia salirono al piano superiore e raggiunsero il aggio che metteva in comunicazione la villa con il recinto delle mura, una specie di ponticello in pietra sorretto da una decina di archi. Prima di attraversarlo, attesero di veder transitare una delle due sentinelle, e poi raggiunsero il muro procedendo piegati in due. Lucia si mise seduta sulla spalletta all’inizio del aggio, accavallando sapientemente le gambe e sistemandosi in modo altrettanto appropriato la scollatura della camicetta. Angelo e Antonio, invece, restarono in attesa nascosti dietro la spalletta, aspettando pazientemente che l’altra sentinella comparisse lungo il muro di cinta. Quando l’uomo di guardia girò l’angolo, vide Lucia e si avvicinò rapidamente. — Lei non può stare qui, señora! — la rimproverò. — Ah no? — esclamò lei fingendosi meravigliata e sgranandogli un paio d’occhi grandi come lanterne. Abbagliato da quello sguardo e da tutto il resto, l’uomo non riuscì a dire altro, perché si ritrovò improvvisamente addosso Angelo e Antonio che lo immobilizzarono e sotto la minaccia delle armi gli riservarono lo stesso trattamento degli altri quattro scagnozzi. — Manolo Sanchez avrà un gran da fare con le riparazioni di tutte le tende della sua megavilla! — commentò Antonio. — Adesso aspettiamo la seconda sentinella! Forza, Lucia, un ultimo sforzo! — la esortò Ventura. — Ma guarda un po’ che cosa mi tocca fare! Io, uno stimato architetto con una fulgida carriera davanti! — brontolò la donna tornando a sistemarsi sulla spalletta del ponticello. La scena che seguì fu identica, e la seconda sentinella finì impacchettata come la prima. Tornati rapidamente di sotto, Ventura e Antonio lasciarono Lucia assieme a Helèna e Juanito e raggiunsero rapidamente il laboratorio. — Conto fino a tre, sfondo la porta ed entro — disse il commissario. — Aspetta

qualche secondo e quando ti chiamo entra con la pistola spianata, come faccio io. Con un calcio Ventura spalancò la porta e balzò dentro impugnando la pistola con entrambe le mani. — Fermi tutti, nessuno si muova! Fermo tu, là in fondo! — lo sentì urlare Antonio da fuori. Un istante dopo sentì uno sparo seguito dal rumore di vetri infranti e per un attimo temette che Ventura fosse stato colpito, ma la sua voce tornò subito a farsi sentire imperiosa. — Fermo, ti ho detto! — urlò il commissario — Alla prossima mossa ti assicuro che prenderò la mira! Tutto sotto controllo! — gridò poi rivolto all'esterno. Antonio si precipitò all'interno della costruzione. Con la fronte imperlata di sudore, Ventura stava tenendo sotto tiro i tecnici e Antonio lo imitò spianando la pistola. Come aveva immaginato il commissario, il locale era il laboratorio nel quale veniva raffinata la cocaina che Manolo spacciava in mezzo mondo, dall'America all'Europa. All'interno c'erano cinque uomini in camice bianco che avevano la stessa aria innocua e professionale dei tecnici di qualsiasi altro laboratorio chimico, ma ben diverso era quello che producevano lì dentro. Una parte dell'ampio locale era occupata da strumenti chimici e bilancini di precisione, un'altra era adibita a magazzino e sugli scaffali erano stivati un gran numero di pani di droga, pronti per essere spediti. Dopo qualche minuto i chimici furono spinti fuori sotto la minaccia delle armi e chiusi dentro uno scantinato della villa. L'elicottero era ormai a portata di mano. Ventura, Antonio, Lucia, Helèna e Juanito lo raggiunsero e presero rapidamente posto a bordo. — Dobbiamo aspettare che le turbine siano a regime — avvertì il commissario armeggiando sulla consolle dei comandi. — E quanto ci vuole? — chiese Antonio. — Almeno cinque minuti — rispose Ventura mentre il motore del velivolo si avviava. — In cinque minuti qualcuno degli scagnozzi di Manolo riuscirà a sciogliersi! Hai controllato se c'è carburante?

— Il serbatoio è pieno — rispose Ventura. — Ehi! Qui dietro c'è un arsenale! — esclamò Lucia. Il commissario si sporse a guardare e tra i sedili posteriori vide un contenitore pieno di granate e altri ordigni esplosivi, per lo più bombe a mano del tipo ananas. — Sta' tranquilla, hanno la sicura e sono innocue — la tranquillizzò Ventura. — Però mi viene un'idea! — Dì a questo frullatore di scaldarsi in fretta, perché ho l'impressione che stia arrivando gente! — gridò Antonio accorgendosi che due degli uomini di Manolo erano riusciti a liberarsi e si stavano avvicinando minacciosi. — Non posso ancora alzarmi in volo! — Non sparano solo perché temono di danneggiare l'elicottero, ma se riescono ad arrivare fin qua, ci tireranno giù e ce le faranno pagare tutte! Gli uomini erano ormai a pochi metri. — Vai, vai, vai! — gridò Antonio mentre uno degli scagnozzi di Manolo saliva con i piedi sul pattino e si aggrappava al portello posteriore tentando di aprirlo. Solo in quel momento l'elicottero si staccò finalmente da terra e l'uomo restò aggrappato al portello con lo sguardo terrorizzato. — Ne abbiamo uno appeso ed è armato! — gridarono le due donne. L'uomo, infatti, si era aggrappato con una mano alla maniglia del portello e con l'altra puntava la pistola su Lucia, Helèna e Juanito attraverso il plexiglas del finestrino. A terra nessuno osava sparare per non danneggiare il velivolo e solo l'uomo appeso alla maniglia e con i piedi sul pattino puntava disperatamente l'arma sulle due donne e sul ragazzo, urlando qualcosa che il frastuono delle turbine impediva di sentire. — Scendiamo o ci spara! — gridò Helèna. — Lucia, non riusciamo a scrollarcelo di dosso? — chiese Antonio, mentre Ventura virava sul tetto della villa e si portava a perpendicolo sulla piscina. — Ci provo! — rispose lei e aggrappandosi alla maniglia interna, aprì di scatto il

portello. Colpito in pieno, l'uomo si lasciò sfuggire la pistola, perse la presa e precipitò nel vuoto piombando scompostamente nel mezzo della piscina dopo un volo di una decina di metri. — Un bel tuffo! Deve solo migliorare un po' lo stile — commentò Antonio, mentre Ventura riportava velocemente in quota l'elicottero e Lucia richiudeva il portello come se fosse quello di una macchina in corsa. — Dobbiamo fare un'ultima cosa prima di raggiungere Las Mariposas! Torniamo indietro e sistemiamo una volta per tutte l'azienda di Manolo Sanchez! a un po' di bombe ad Antonio, Lucia! — gridò Ventura effettuando un'ampia virata e puntando nuovamente sulla villa. — Cercherò di fermarmi sulla verticale del laboratorio di Manolo, voi fate scorrere i finestrini, togliete la sicura alle bombe e cercate di centrarlo! — disse. — La sicura? — chiese Lucia ando inorridita un paio di ordigni ad Antonio. — Fa' come fanno nei film di guerra! — spiegò Ventura. — Ma io non li guardo mai i film di guerra! Non mi piacciono! Preferisco le fiction d'amore! — protestò Lucia. — L'anello metallico! Strappalo e lancia! — sospirò Ventura portando l'elicottero sopra il laboratorio, mentre il recinto del fortilizio si stava animando. Tutte le guardie, infatti, erano riuscite a liberarsi. — Sganciate! — ordinò il commissario e i due eseguirono. Qualche istante dopo il tetto del laboratorio fu squarciato da un paio di esplosioni e le guardie corsero a ripararsi sotto il portico della villa. — Sganciate ancora! — ordinò il commissario e questa volta le bombe penetrarono all'interno dell'edificio attraverso lo squarcio sul tetto. L'esplosione fu più fragorosa e mentre il laboratorio prendeva fuoco, si sparse nell'aria un'impalpabile polvere bianca. — Missione compiuta! — esclamò Ventura. — E adesso, signore e signori, a Las Mariposas, senza perdere altro tempo!

40 - UN ALTRO PERICOLO PER FLAVIO

Nonostante uno dei minatori fosse sul punto di assestare la frustata fatale al cavallo, l'espressione di Flavio era rassegnata e quasi serena. sca era abbarbicata a Pablo e singhiozzava. Flavio la guardò e trasse un profondo sospiro. — Aspettate! Fatemi parlare un istante con lei! — esclamò accennando alla ragazza. — E sia, ma non metterci troppo tempo — concesse il capo dei minatori. — Flavio ti vuole parlare — sussurrò Pablo a sca e la ragazza si girò a guardare il padre. — Vieni qui, piccola — la pregò lui con un sorriso triste sulle labbra. sca si sentì incapace di muoversi e fu Pablo a cingerle le spalle e a sospingerla delicatamente accanto al cavallo di Flavio. — Davvero hai fatto tanta strada solo per conoscermi? — le chiese l'uomo, mentre Pablo afferrava le briglie del cavallo che si stava spostando piano in avanti. sca annuì. — Non ne valeva la pena, figlia mia — sospirò. A sentirsi chiamare a quel modo, alla ragazza venne la pelle d'oca. — Hai visto che razza di individuo è tuo padre! — continuò Flavio — Però ti ringrazio, perché adesso che sto per morire, mi rendo conto che averti conosciuto è stata la cosa più bella che mi sia capitata e posso andarmene contento. Salutami tua madre e pregala di perdonarmi, se può. — Oh, papà! — singhiozzò la ragazza senza riuscire a dire altro. — Signori ho finito. — dichiarò Flavio rivolgendosi ai minatori. — Potete procedere e tu, ragazzo, lascia pure le briglie! — concluse rivolto a Pablo.

Il ragazzo esitò, ma nemmeno i minatori sembravano più avere tanta fretta. Vivendo di sotterfugi e imbrogli, Flavio non era mai riuscito ad assumersi le proprie responsabilità e di fronte alle conseguenze delle proprie azioni si era sempre comportato da pusillanime, ma al momento di andarsene da questo mondo in un modo così drammatico, dimostrava un'insospettabile e inattesa dignità. Anche sca rimase stupefatta e smise di piangere. — Ragazzo, puoi lasciare le briglie! — ripeté Flavio, come se Pablo non lo avesse sentito. In quello stesso istante si sentì un rombo improvviso nell'aria e lo sguardo di tutti si spostò a scrutare il cielo. Un elicottero sbucò improvvisamente da un rilievo e si avvicinò velocemente alla spianata delle piramidi. Qualcosa cadde dal velivolo ed esplose con fragore toccando terra. I cavalli sobbalzarono spaventati, anche quello su cui stava Flavio, tanto che Pablo riuscì a fatica a trattenerlo. A Flavio sarebbe bastato uno scarto in avanti dell'animale per trovarsi appeso alla corda e il suo guardo ne dimostrava un'estrema e rassegnata consapevolezza. — Sembra l'elicottero di Manolo Sanchez — mormorò qualcuno, mentre il velivolo si avvicinava sempre più e i minatori si guardavano sgomenti. Non c'erano molti elicotteri privati in Belumbia e non potevano sbagliarsi. — Allontanatevi da quell'uomo! — tuonò una voce amplificata proveniente dal velivolo — Allontanatevi in fretta o la prossima granata cadrà molto più vicino! — È meglio che facciamo come dice — cominciarono a borbottare i minatori, che in realtà avevano paura più di Manolo che delle bombe. Raggiunsero i loro cavalli e si allontanarono al piccolo trotto, mentre Padre Manuel scioglieva rapidamente la corda che teneva legate le mani di Flavio. — Manolo Sanchez... La mia condanna a morte è rimandata solo di qualche minuto! — mormorò Flavio mentre, con le mani libere, sfilava la testa dal cappio e restava a cavallo, giudicando inutile lo sforzo di scendere. — Ma quale Manolo Sanchez! Quella era la voce di mio padre! — esclamò Pablo. Il pianoro davanti alla piramide era reso malsicuro dalla presenza di numerosi dossi e sfasciumi di roccia e il pilota dell'elicottero cercava invano uno slargo sufficientemente piatto per atterrare. Senza toccare terra del tutto, avvicinò il più possibile il velivolo a un piccolo spuntone, si aprirono i due portelli laterali e ne

balzarono a terra Antonio, Lucia, Helèna e Juanito. — Mamma! Che ci fai qui? — gridò sca correndole incontro, mentre l'elicottero riprendeva quota e andava a posarsi sull'unico spiazzo perfettamente piatto individuato dal pilota, in cima alla piramide tronca. — Oh, Paciocchi! — esclamò la donna abbracciando la figlia e liberando le lacrime. — Oh! Ci siete anche voi! — esclamò sca accorgendosi di Helèna e Juanito, e unendosi a entrambi in un unico abbraccio — E tu sei salvo, fratellino! — Ma che bella riunione di famiglia! — esclamò ironico Padre Manuel. — Ci sei anche tu, vecchio manigoldo di un prete! — lo salutò ridendo Antonio, dimostrando con il sacerdote una grande familiarità e amicizia. — Il tuo cappellano ci ha spiegato che eravate quassù. Abbiamo seguito dall’alto il sentiero e la traccia che avete lasciato in mezzo alla foresta. Con un po' di fortuna vi abbiamo trovato! Flavio era rimasto sul cavallo e osservava la scena in silenzio. Fu quasi per caso che Lucia alzò lo sguardo su di lui. — Guarda chi c'è... — mormorò scuotendo un braccio di Helèna. — Oh, chi si vede, dopo tanto tempo! Non ti butta molto bene a quel che pare! — esclamò la mulatta indicando il cappio che pendeva ancora dall'alberello, a mezzo metro dalla testa dell'uomo. Flavio Vitali appariva frastornato dalla piccola festa che si svolgeva ai suoi piedi e le due donne lo guardarono per qualche istante senza dir niente. Entrambe pensarono che in altri tempi ne erano state innamorate. Chiedendosi cosa fosse rimasto di quel sentimento, si resero conto che non rimaneva più niente nemmeno del rancore seguito all'abbandono. Quella specie di relitto umano invecchiato anzitempo, che portava sul collo le tracce lasciate sulla pelle dalla corda, faceva solo una gran pena. — Beh, ci siamo ritrovati e possiamo anche tornarcene a casa, no? — propose Lucia. — E quelli chi sono? — chiese Pablo, indicando un gruppo di una quindicina di cavalieri che avanzavano al galoppo sul pianoro. — Non saranno i minatori che

hanno cambiato idea? — No, non sono i minatori... — sospirò Flavio aguzzando lo sguardo dall'alto del cavallo. — Questa volta si tratta davvero di Manolo Sanchez e dei suoi scagnozzi.

41 - L'ULTIMO ASSALTO

— Ehi, per caso non sarà mica mio, quello? — fu la prima cosa che chiese Manolo appena scese da cavallo, indicando l'elicottero che frullava al minimo dei giri sulla sommità della piramide. — Eh, già, dev'essere proprio il mio! Come potreste essere arrivati fin qui prima di me? — osservò vedendo Antonio, Lucia, Helèna e Juanito. — E scommetto che ai comandi c'è il nostro caro commissario Ventura — commentò, rendendosi conto che l'unico dei suoi prigionieri a mancare all'appello era il poliziotto italiano. — Bene! Regoliamo un conto alla volta! — dichiarò Manolo mentre i suoi scagnozzi circondavano tutto il gruppo con le armi spianate. — Innanzi tutto terminiamo il lavoro iniziato dai cari amici minatori, poi vedremo di recuperare l'elicottero. Non sarà un problema con tutti voi in ostaggio! — Immagino che tu non abbia più né merce né soldi! — disse rivolto a Flavio, che se ne stava ancora ad aspettare gli eventi immobile a cavallo. — Se l'è presa il tuo amico Arrabal — rispose Flavio. — L'immaginavo! — dichiarò Manolo scuotendo la testa. — Ma questo non ti scusa dall'avermela soffiata! Sono cose che a Manolo Sanchez non si fanno! Te l'ha pagata bene, almeno, o ti sei giocato tutto un'altra volta? — Ti ho detto che se l'è presa. — Eh, già! Arrabal non paga mai quello che può prendersi gratis! Mi dispiace, muchacha — disse rivolgendosi a sca — I patti erano che mi dovevi portare i soldi, ma niente soldi, niente grazia per tuo padre. Juanito ve lo siete già ripreso e quindi siamo tutti contenti! Ci crediate o no, non mi piace ammazzare i bambini. E tu, Flavio, su, dai, non farci faticare! Infilati quel cappio da solo, non farci arrampicare fin lassù con questo caldo! Flavio sospirò, afferrò il cappio e vi infilò dentro la testa. Senza opporre alcuna resistenza, lasciò che uno degli scagnozzi di Manolo gli legasse le mani con lo stesso legaccio usato dai minatori, mentre Helèna abbracciava Juanito

nascondendogli la testa nel grembo perché non vedesse. L'elicottero tornò ad alzarsi in volo e cercò di scendere almeno a metà della piramide, tuttavia Manolo diede qualche secco ordine ai suoi, che puntarono immediatamente il fucile contro gli ostaggi. Ventura non poté far altro che riprendere quota e tornare a posarsi sulla sommità della piramide. In quello stesso istante un altro sparo risuonò nella spianata, e Manolo e scagnozzi si girarono allarmati con le armi spianate. — Arrenditi, Manolo! Non hai scampo! — urlò una voce da dietro un masso. — Chi sei, cabron? — esclamò il trafficante. — Il colonnello Arrabal e uno squadrone della Guardia Civil! — rispose la voce. — Vieni a prenderci se ne sei capace! — urlò Manolo scaricando la sua mitraglietta in direzione del masso. La voce tacque, ma dopo un istante risuonarono sulla spianata le scariche di numerose armi da fuoco automatiche, alle quali gli scagnozzi di Manolo risposero senza alcun risparmio di colpi. Il cavallo su cui stava Flavio s'imbizzarrì e scattò in avanti sbalzando di sella l'uomo che restò a oscillare nel vuoto appeso alla corda. sca lanciò un urlo e mentre i colpi grandinavano copiosi costringendo tutti gli altri a terra, si lanciò verso il padre piazzandosi con le spalle sotto ai suoi piedi che annaspavano nel vuoto. Sentendo che toccava qualcosa di solido, l'uomo puntò istintivamente le gambe e riuscì a mantenere per qualche istante un precario equilibrio, con la corda che gli impediva di cadere, ma che allo stesso tempo gli segnava dolorosamente la pelle del collo rischiando di soffocarlo a ogni istante. Flavio non sarebbe riuscito a resistere molto senza scivolare sull'appoggio instabile delle spalle di sca, né la ragazza sarebbe riuscita a sopportarne ancora a lungo il peso. Fu allora che, incurante della tempesta di fuoco, Pablo balzò in piedi e raggiunse padre e figlia, tagliando con un coltello la corda che teneva legati i polsi di Flavio. Sentendo le mani sciolte, l'uomo si liberò dal cappio e si lasciò cadere a terra trascinando con sé la ragazza. — sca! Hai rischiato la vita per me! — mormorò accarezzando fugacemente una guancia alla figlia, mentre attorno a loro la gragnola di proiettili non accennava a smettere. Questa volta si trattava davvero di una carezza paterna. La ragazza se ne rese conto e lo abbracciò senza dire niente.

Non era né un principe, né un miliardario americano. Era solo un avventuriero da quattro soldi che non ne aveva combinata una giusta durante tutta la sua esistenza, ma era pur sempre suo padre.

42 - L'ULTIMA FUGA

Tra gli scagnozzi di Manolo molti erano già caduti e se gli uomini di Arrabal avessero preso il sopravvento, Flavio sarebbe tornato per la terza volta a infilare la testa nel cappio. Il trattamento che il colonnello avrebbe usato a tutti gli altri non sarebbe stato certamente migliore e Pablo ne era consapevole. — Dove conduce quel aggio? — chiese a Flavio indicandogli l'apertura alla base della piramide. — C'è un corridoio e a metà parte una scala che porta in cima — rispose Flavio. — È la nostra via di salvezza! — esclamò il ragazzo. — In cima alla piramide c'è l'elicottero! Cerchiamo di strisciare fino all'apertura! Così fecero e scivolarono sull'erba ando la parola tra i compagni. L’apertura era molto vicina e uno dopo l'altro riuscirono a infilarsi tutti dentro senza farsi scorgere da Manolo e dai suoi scagnozzi, troppo impegnati nel combattimento a fuoco per rendersi conto della loro fuga. Padre Manuel era riuscito a trascinarsi dietro lo zaino e dopo averne estratta una provvidenziale torcia elettrica, si mise alla testa del piccolo corteo. A metà del corridoio iniziava una scala di pietra e tutto il gruppo iniziò a salire procedendo a tentoni, mentre il crepitare degli spari giungeva attutito e lontano e a un tratto cessava del tutto. — Muoviamoci o presto li avremo alle calcagna, chiunque di loro abbia vinto! — gridò Padre Manuel e la salita riprese frenetica, ma a metà la scala divenne ripidissima e i fuggiaschi dovettero arrampicarsi gradino su gradino. José procedeva per ultimo e improvvisamente gli sembrò di sentire qualcosa alle spalle. — Ci inseguono! — avvertì. — Cerchiamo di far presto o sarà tutto inutile! — gridò Padre Manuel. — Veloci, ragazzi! Veloci! — li esortò José, che in fondo al gruppo sentiva gli inseguitori avvicinarsi sempre più.

— Attenti, c'è un gradino che si muove! — avvertì Padre Manuel e la cautela per are l'ostacolo al buio rallentò la salita. José sentiva gli inseguitori ormai a pochi i e girandosi restò quasi abbagliato dalla luce di una torcia elettrica. — Eccoli, eccoli! — gridò qualcuno dietro alla torcia e chiunque fosse, Manolo o Arrabal, non importava, poiché nessuno dei due sarebbe stato tenero con i fuggitivi. Arrivato al gradino cedevole, José ne saggiò con le mani la mobilità. Si rese conto che forse avrebbe potuto scalzarlo del tutto e si mise a sedere sul gradino immediatamente superiore. Più in basso vide la luce degli inseguitori che lo stavano raggiungendo. Puntò i piedi sul gradino instabile, ma riuscì appena a sollevarlo. Puntò ancora i piedi e cercò di recuperare tutta la forza che aveva nelle gambe. La pietra cominciò a muoversi, ma ormai gli inseguitori gli erano addosso. — Che fai? Ti riposi? — gli chiese sghignazzando una voce e qualcuno gli puntò addosso una torcia elettrica. Chiunque fosse l'inseguitore, José se lo vide davanti. Ancora un o e assieme alla luce gli avrebbe puntato anche un'arma. Bastò tuttavia che l'uomo appoggiasse il piede sul gradino instabile per sbilanciarlo con il suo peso e scalzarlo del tutto. L'inseguitore cadde indietro con un urlo assieme alla pietra e la lampada volò per aria. Prima di ricadere, tuttavia, permise al ragazzo di intravedere un groviglio di gambe e di braccia che rovinavano in basso, le une sulle altre, senza riuscire a fermarsi. — José! Dove sei? — gridò la voce di Pablo dall'alto. — Eccomi! — gridò il ragazzo rizzandosi in piedi e balzando in avanti. Dopo una decina di gradini girò un angolo e fu investito da un mare di luce. Sbucando finalmente sulla sommità della piramide tronca restò abbagliato, ma ci pensò Pablo ad afferrarlo per un braccio guidandolo verso il portello dell'elicottero all'interno del quale si erano già ammassati tutti gli altri. — Ce la farà a sollevarsi con tutto questo peso? — chiese Antonio chiudendo il portello non appena Pablo e José furono a bordo.

— Adesso lo vedremo! — rispose Ventura aumentando i giri della turbina. — Vai, bello, vai, vai! — biascicò Antonio. La turbina era quasi al massimo e il velivolo non accennava ad alzarsi. Fu solo quando dall'apertura della scala sbucò la testa ammaccata di uno degli inseguitori che l'enorme libellula si sollevò finalmente dalla sommità della piramide e prese il volo.

43 - QUINDICI!

Pigiati come sardine, sca, Pablo, Padre Manuel, José, Flavio, Lucia, Ventura, Antonio, Helèna e Juanito fecero ritorno a Las Mariposas atterrando sul piazzale davanti alla chiesa. Padre Manuel scese di corsa dall'elicottero ed entrò in canonica come una furia, avvisando il povero cappellano che sarebbe stato via ancora qualche giorno e che portasse pazienza. Il sacerdote era elettrizzato dalla scoperta delle piramidi e voleva correre subito a informarne le autorità. — Ecco il vero tesoro! — continuava a dire — Un complesso archeologico come quello può diventare una formidabile meta turistica e competere con le rovine di Messico, Guatemala e Perù! Arriveranno i turisti a frotte e con loro, finalmente, un po' di lavoro e ricchezza per il povero Belumbia! Recuperato il sacerdote, Ventura si alzò nuovamente in volo e puntò in direzione di Santa Paz. Appena ripartiti, Lucia fissò a lungo sca, felice di averla ritrovata incolume, ma incredula di vederla seduta sul pavimento della cabina in braccio a un ragazzo, con la scusa che non c'era posto a sedere per tutti. Come se non bastasse, lui se la coccolava e lei lo lasciava fare come fosse la cosa più naturale del mondo, infischiandosene del pigia pigia all'interno dell'elicottero, anzi, approfittandone alla grande. Lucia si rese conto solo in quel momento che la sua piccola Paciocchi era cresciuta e si convinse che non poteva continuare a negare l'evidenza. Un'epoca era finita e da quel giorno avrebbe dovuto comportarsi con la figlia ribelle in modo diverso, anche se ancora non sapeva come. — sca, sai che giorno è oggi? — le chiese, cercando di non pensarci. La ragazza si rese conto di non ricordarlo più. Da quando era arrivata in Belumbia aveva perso ogni nozione del tempo e le sembrava di non essere mai stata altrove, come se l'infanzia e la prima adolescenza in Italia appartenessero a qualcun altro. Inoltre, standosene seduta sulle ginocchia di Pablo che le cingeva la vita, aveva l'impressione che il ragazzo ci fosse sempre stato e che un prima diverso non fosse mai esistito. Facendo un po' di conti, però... — Non sarà mica il... — rispose sorridendo.

— Sì, oggi è il tuo compleanno! Auguri! — gridò Lucia. — Auguri, sca! Auguri! — si unirono tutti gli altri attaccando uno stonatissimo coro in italiano e in spagnolo di Tanti auguri a te. Anche Flavio, pigiato tra Padre Manuel e José, sorrideva e biascicava sottovoce le parole della canzoncina, incredulo di trovarsi coinvolto in una festa così insolita. La vera festa, tuttavia, iniziò quando il gruppo arrivò finalmente a Santa Paz e, dopo aver abbandonato l'elicottero all'aeroporto, si trasferì in massa all'Hotel Moretti, nel quale non si ricordava da anni la presenza di tanti ospiti. Flavio era frastornato in quell'ambiente che ormai da molto tempo non era più il suo e se ne stava silenzioso in disparte, proprio lui che di solito aveva un'abilità straordinaria nell'incantare la gente con le sue chiacchiere. Fu in un momento di calma che Ventura, prendendolo in disparte, gli chiese che intenzioni avesse. — Non ne ho idea. Qui in Belumbia non c'è più aria per me! — rispose Flavio. — Anche Arrabal mi sta ormai alle calcagna, perché so troppe cose su di lui. — La polizia italiana ha seguito da lontano le tue imprese. Se rientri in Italia c'è un mandato di cattura per i tuoi traffici con la droga — lo informò il commissario. — Ah, è solo per questo che ti sei offerto di accompagnarmi in Belumbia, Michele? — chiese Lucia che, alle spalle del commissario, aveva ascoltato per caso le sue parole — È stato solo per arrestare un ricercato? Allora ce l'avevi davvero un mandato di cattura! E io che mi illudevo l'avessi fatto per me! Anche sca, casualmente, aveva assistito alla scena. Aveva notato l'espressione mista di delusione e disappunto comparsa negli occhi della madre e si chiese cosa fosse successo tra lei e il commissario Ventura nei tre giorni ati a Caracas in attesa dell'aereo per Santa Paz. — Così lei ha unito l'utile al dilettevole, dottor Ventura! — continuò Lucia in tono beffardo. — Chissà a quale delle due categorie appartenevo io! — concluse allontanandosi indispettita. — Continuiamo dopo — disse Ventura a Flavio con un sospiro. Raggiunse la donna e cominciò a parlarle fitto fitto. L'espressione di Lucia si ammorbidì e un istante dopo, credendo che nessuno la vedesse, si lasciò abbracciare. sca restò sbalordita. Era partita alla ricerca di un padre e, a quanto pareva, ora

c'erano tutti i presupposti per ritrovarsene due. Allora Lucia non era un insensibile pezzo di ghiaccio come lei aveva sempre sospettato. In quel viaggio madre e figlia avevano trovato entrambe qualcuno di speciale e se n'erano innamorate. Non erano così diverse, allora! Rappacificata con Michele Ventura e con il mondo intero, dopo qualche istante Lucia se ne andò in cucina a dare una mano e il commissario tornò accanto a Flavio. — Se mi segui in Italia, ti aspetta una condanna a sei o sette anni — lo informò. — Non è una bella prospettiva — sospirò Flavio. — È vero, ma credo che tu sappia molte cose sul traffico di droga tra il Sud America e l'Europa. Se collabori, i giudici ne terranno conto e la condanna ti sarà ridotta di molto — lo rassicurò Ventura. — Se poi ti comporterai bene, entro un anno e mezzo, al massimo due, potrai uscire in regime di libertà vigilata. — Non credo di essere obbligato a seguirti — replicò Flavio. — Hai ragione. Qui non ho alcuna autorità e non posso arrestarti — ammise Ventura, — ma se accetti di tornare con noi, ti prometto che farò di tutto per darti una mano e trovarti un lavoro quando avrai finito di scontare la pena. Non hai voglia di dare un taglio a tutto e ricominciare daccapo? Sei ancora giovane, puoi farlo! — Papà — intervenne sca avvicinandosi e prendendogli una mano — il commissario ha ragione. Non puoi continuare con questa vita! Vieni in Italia con noi e io ti aiuterò. Abbiamo quindici anni da recuperare e sono sicura che ci riusciremo! Io ti terrò d'occhio e ti prometto che ti tirerò le orecchie se non righerai dritto! "Ma senti un po' che cosa mi esce di bocca!" si meravigliò la ragazza. "Mi rivolgo a lui come fosse mio figlio e invece è mio padre! Sarò costretta a rigare dritto anch'io!" — Va bene, piccola, mi hai convinta e ci sto! Hai lo stesso giudizio che aveva tua madre e che io non ho mai avuto! — rispose Flavio sorridendole malinconico. Se c'era una cosa che sca aveva sempre odiato era proprio il giudizio di Lucia e ora scopriva con raccapriccio di averne ereditato almeno una

parte! Poco dopo sca si trovò faccia a faccia con sua madre. Aveva accuratamente evitato quel momento, anche se sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarla. La ragazza non poteva saperlo, ma anche Lucia aveva cercato di tenersi lontana da lei temendo che alla commozione e agli abbracci iniziali sarebbe seguito il solito scoppio di scintille. L'incontro avvenne sulle scale dell'Hotel Moretti, quasi per caso. Madre e figlia si trovarono di fronte e capirono che il momento del confronto non poteva più essere rimandato. — Sono stata in pena per te! — esordì Lucia. — Lo so, mamma, questa volta l'ho combinata davvero grossa — ammise la ragazza — ma prova a metterti nei miei panni! — Ci sto provando. È dura ma ci sto provando fin da quando sei sparita. Anche tu, però, devi cercare di metterti nei miei! — Sì, mamma, te lo prometto, ci proverò — rispose sca fissandola negli occhi, cosa che di solito non faceva mai quando doveva sorbirsi le prediche materne. — Che farai con tuo padre, se deciderà di tornare in Italia? — le chiese Lucia. — Cercherò di stargli vicino perché non combini altri guai — rispose la ragazza e la madre sorrise incredula. — Lo so a cosa pensi, mamma — sospirò sca — Ti chiedi come può una come me, che nei guai ci sguazza, tenere d'occhio un tipo come mio padre... — No, non è vero! — protestò Lucia temendo che le scintille stessero per scoccare. — E invece hai ragione. Nemmeno io so come farò, ma ci voglio provare. — Non sarò certo io a ostacolare i tuoi rapporti con Flavio. Anche se volesse riconoscerti e darti il suo cognome, io non avrei niente da dire. — Ma io sì avrei qualcosa da dire se me lo chiedesse, mamma! — replicò sca — Non lo voglio il suo cognome! È mio padre, ma in questi giorni ho

capito una cosa: è giusto che continui a portare il tuo! Era la cosa più bella che sca le avesse mai detto e questa volta fu la madre a non riuscire a sostenere lo sguardo della figlia. Infatti c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi e per la prima volta Lucia ebbe l'impressione di avere di fronte una donna. L'abbracciò forte senza riuscire a trattenere copiose lacrime di commozione. Si rese conto che ormai Paciocchi non c'era più e se ne rammaricò, poi capì che non era vero: c'era ancora, ma si era trasformata per sempre in sca.

44 - QUASI SEDICI!

— In tavola! — gridò Helèna e qualche istante dopo si ritrovarono tutti assieme davanti ai prelibati piatti belumbiesi da lei preparati con l'aiuto di Antonio, che per l'occasione aveva rispolverato le sue doti di chef, gareggiando con la bella mulatta tra pentole e tegami. — Siamo così lontani, fratellino! — si rammaricò sca con Juanito, che aveva voluto a tutti i costi sedersi accanto a lei — chissà quando ci potremo rivedere ancora! "E questo vale anche per te!" pensò, fissando tristemente negli occhi Pablo che le sedeva davanti. — Perché non ti trasferisci in Italia? — propose Lucia a Helèna. — Il mio studio sta realizzando una clinica privata e io conosco molto bene i proprietari. Il personale paramedico è molto ricercato da noi, potrei metterci una buona parola, così tu potresti avere un buon lavoro con un regolare contratto e i due fratelli potrebbero vedersi più spesso. — Sei grande, mamma! — esclamò sca. — Tu che sei un poliziotto, Michele, perché non ti informi su che cosa deve fare Helèna per avere un permesso di soggiorno? — continuò Lucia rivolta al commissario. — Temo che con le nuove disposizioni non sia così facile — si rammaricò lui. — Mi viene un'idea. — intervenne Antonio — È da tanto tempo che sto pensando di tornare in Italia, prima di veder finire in una nuvola di fumo i pochi risparmi messi da parte quando le cose qui andavano meglio. Potrei aprire laggiù una nuova attività... che ne so... un ristorante etnico, ad esempio, così Pablo potrebbe studiare in una università vera! Gli sguardi del ragazzo e di sca s'illuminarono e alla triste consapevolezza dell'imminente distacco, si sostituì istantaneamente un barlume di speranza.

— Dici davvero, o stai scherzando, papà? — gli chiese il figlio. — Dico davvero! Abbiamo conservato la cittadinanza italiana, quindi non avremmo bisogno di alcun permesso di soggiorno. sca e Pablo si guardarono e credettero di impazzire per la gran felicità. Era troppo bello quello che Antonio aveva detto! — A dire la verità, avrei anche un'altra idea... — continuò Antonio. — Anche per Helèna ci sarebbe un modo per acquisire automaticamente la cittadinanza italiana e non avere alcun problema burocratico. — Quale, Antonio? — chiese la madre di Juanito. — Mah, non so... sposarsi con un cittadino italiano, per esempio... — Buona idea, ma dove lo trovo un cittadino italiano disposto a sposarmi? — Ce l'hai davanti! — Ma che dici, Antonio? Ci conosciamo solo da qualche giorno! — Non ho mai fatto un discorso più serio di questo. E per di più davanti a tanti testimoni! Dal momento in cui gli era apparsa per la prima volta sulla soglia dell’infermeria di Los Pantanos, Antonio non aveva nemmeno provato a nascondere il suo interesse per la bella mulatta e l’aveva riempita di gentilezze e attenzioni alle quali la giovane donna non sembrava del tutto indifferente, anche se durante il loro breve viaggio i pensieri di lei erano tutti concentrati sulla sorte del figlio. Adesso tutto era finito per il meglio, Juanito era salvo e all’improvviso le si apriva l’insperata opportunità di una nuova vita. Helèna appariva frastornata ma anche piacevolmente sorpresa dalla proposta e si guardava attorno rendendosi conto che tutti i presenti pendevano silenziosi dalle sue labbra e spostavano gli sguardi sorridendo da lei ad Antonio e poi ancora su di lei aspettando una risposta. — Beh... lascia almeno che ci pensi un po'... — mormorò arrossendo. Tutti compresero che si trattava di un sì e si lasciarono andare a un lungo applauso.

Anche sca era frastornata e non sapeva cosa dire o pensare. Era partita dall'Italia per cercare un padre e ne aveva trovati due, Flavio e Michele. Ironia della sorte, uno era un fuorilegge e l'altro un poliziotto. Non solo. Aveva trovato anche un fratello e in Helèna una specie di seconda madre... e di conseguenza, se la donna avesse accettato di sposare Antonio, il papà di Pablo sarebbe divenuto per lei una specie di terzo padre, oltre che un potenziale futuro suocero. Sarebbe stata una gran bella famiglia, un po' incasinata e fuori dagli schemi, forse, ma pur sempre una grande e allegra famiglia per lei, che fino a quel giorno aveva avuto solo una madre e, occasionalmente, una nonna. E, non ultimo, c'era Pablo, il primo grande amore della sua vita e da come si adoravano entrambi con gli occhi, avrebbe potuto anche essere quello definitivo. — Avrò bisogno di tre o quattro mesi per mettere a posto le cose qui in Belumbia — continuò Antonio — e poi... Italia sei nostra! Che ne dici, Helèna? — Vedremo, vedremo... — sospirò la giovane donna, ma il sorriso incredulo con cui fissava Antonio non lasciava alcun dubbio sulla sua risposta. Alla fine del pranzo ci fu la torta con quindici candeline che sca riuscì a spegnere in un solo soffio e poi, mentre gli adulti si trasferivano in salotto a bere il caffè e a fare progetti per il futuro, la ragazza sgattaiolò con Pablo nel giardinetto sul retro dell'Hotel Moretti. — Tre o quattro mesi e poi saremo di nuovo assieme! Ti rendi conto? — sussurrò Pablo stringendola a sé. — Saranno i tre o quattro mesi più lunghi della mia vita! — sospirò lei. — Anche per me, ma eranno, eranno! — Ti riempirò ogni giorno di sms e di e-mail! — Anch'io! Però devi farmi una promessa — le chiese lui serio serio. — Quello che vuoi! — Nel frattempo cerca di crescere un altro po'! — la canzonò strizzandole l'occhio. — Sono già cresciuta, Grand’Uomo! — replicò sca fingendo di tenergli il

broncio. — Ormai quindici anni li ho compiuti! Ora, praticamente, ne ho... quasi sedici!