Simona Urbinati
Oltre ai suoi occhi
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Indice dei contenuti
Oltre ai suoi occhi Io, Crystal Un incubo diventato realtà Missione incompiuta La lettera Hanno agito A prima vista Il messaggio segreto Gioco di lettere In cerca di soluzioni Il mercatino delle antichità Teniamola d'occhio L'appuntamento Grazie di essermi vicina, Angy Un grosso errore Incontro col ato Il diario di Soraya Dicembre
Smuoviamo l'acqua cheta I sogni tornano L'intruso La rivelazione Svanito nel nulla Missione compiuta Bisogno di sapere L'incontro P. Il segreto svelato Il gran capo Mi dispiace, papà L'inscrizione Appuntamento con l'amore Natale in casa Mancini Londra Nuovi indizi Celeste A casa di Daniel La riunione Il giorno più bello
Marzo La chiave E' tutto fermo L'agguato Il capo delle tenebre Riunione d'emergenza Scomparso Guai seri Il piano Il rapimento In trappola Salviamola Il aggio segreto Epilogo
Note
Oltre ai suoi occhi
A mio marito Simone,
che mi ha sostenuto in quest’avventura letteraria.
Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale.
“Così come nessuno può essere costretto a credere, nessuno può essere costretto a non credere.„ Sigmund Freud
Torino la culla dei misteri, il punto d’incontro delle punte di due triangoli magici, dove la magia bianca e quella nera si fondono a creare quel mondo parallelo che vive e si muove intorno a noi, senza che ce ne accorgiamo …
Stavo pensando alla mia città, mentre, seduta su una poltrona di vimini in terrazza, tenevo la testa inclinata all’indietro a guardare verso la luna piena di quella sera. Finalmente potevo godermi una fresca serata di primavera senza più paura, senza più preoccupazioni. A quel punto ero tornata a essere una ragazza normale … Che ironia la parola “normale”… alla fine che significa per una quasi ventiduenne, la cui vita è cambiata così inaspettatamente e radicalmente in così poco tempo. Tutto questo aleggiava nella mia mente, mentre orme silenziose accompagnavano i miei pensieri indietro nel tempo, fino a quel giorno in cui tutto cominciò …
Io, Crystal
I raggi del sole inondavano la stanza di nuova luce, giocando a infiltrarsi nelle fessure lasciate dalla serranda chiusa, fino ad arrivare al letto e solleticare la guancia della ragazza che giaceva addormentata. Dlin dlon, dlin dlon. Mi svegliai di soprassalto dal breve sonno, sentendomi più stanca che riposata. Avevo ato la maggior parte della notte sveglia, spaventata da quell’orribile incubo che ormai mi perseguitava tutte le notti da un mese a questa parte. Era sempre più completo, ogni volta si aggiungeva una nuova scena, come tasselli di un puzzle che si costruisce piano piano. In quest’ultimo brutto sogno avevo visto lo sconosciuto che, avvolto in un lungo cappotto grigio, col colletto alzato a sfiorargli le guance e il cappello calato sugli occhi, si allontanava con un coltello insanguinato e un ghigno malefico a incurvargli le labbra. Purtroppo non ero riuscita a vederne il viso, che era rimasto in ombra; dopodiché, l’uomo girò sui tacchi e s'infilò nel primo vicolo trovato. Dlin dlon, dlin dlon. Il camlo suonava insistentemente. Evidentemente mio padre, medico di successo, era già uscito per andare in ospedale a cominciare il turno e a far venire al mondo nuove vite. Mio padre … l’uomo alto, bruno, con quelle forti braccia tra cui, da bambina, mi ero sempre sentita al sicuro; quella persona speciale che mi aveva cresciuto con tanto amore da quando la mia mamma ci aveva lasciati. Non ricordavo molto mia madre … dalle foto mi somigliava tanto, aveva lunghi capelli biondi e lisci e occhi verde smeraldo come i miei. Nei cassetti della memoria avevo impresso il suo profumo dolce e quelle favole che mi raccontava sempre prima di addormentarmi e che inventava lei stessa.
Ora di lei mi rimaneva solo un antico carillon con la ballerina che da generazioni si tramandava di madre in figlia. D’altronde come avrei potuto avere altri ricordi? Lei era morta quando io avevo appena cinque anni e avrei desiderato tanto che accompagnasse la mia vita. Dlin dlon, dlin dlon. Ancora il camlo … forse era qualcosa di urgente. Mi obbligai ad alzarmi dal letto, presi al volo la vestaglia e me la infilai mentre mi precipitavo di corsa giù dalle scale. Guardai dallo spioncino ma non vidi nessuno. Cos’era, uno scherzo di cattivo gusto? Stavo per tornarmene a dormire ancora un po’ prima di prepararmi per andare all’università, quando sentii un lieve bussare alla porta. Mi stavo davvero irritando, chiunque fosse mi avrebbe sentito! Aprii di scatto la porta … nessuno … Ad un tratto un’ondata di panico mi avvolse … qualcosa o qualcuno aveva afferrato la mia caviglia! Combattendo contro la paura, abbassai lo sguardo. A terra, sui gradini dell’ingresso di casa mia, c’era un uomo brizzolato, sdraiato e rantolante. Aveva il volto bianco come un fantasma, gocce di sudore imperlavano la sua fronte, mentre un rivolo di sangue gli scendeva all’angolo della bocca. Mi pietrificai all’istante! Dalle mie labbra non usciva alcun suono, volevo gridare ma non riuscivo. L’uomo continuava a stringere debolmente la mia caviglia, così mi abbassai e tentai di aiutarlo.
«Signore, signore, che cosa le è successo?» chiesi in preda all’angoscia, mentre il mio respiro si faceva sempre più affannato. L’uomo svenne ed io, con fatica, lo rigirai sulla schiena. Un urlo muto mi si bloccò in gola, mentre il sangue mi si gelava nelle vene. Una macchia rossa si apriva sulla sua camicia al di sotto della giacca sbottonata. Sentivo la testa che mi girava, non avevo mai sopportato la vista del sangue. Feci appello a tutto il mio coraggio per essere forte e aiutare lo sconosciuto. Lo schiaffeggiai piano per risvegliarlo. Aprì gli occhi. «Si … signorina … Cry … Crystal?». Come faceva a conoscere il mio nome? «Non c’è tempo» sibilò l’uomo «de … devo darle un me… messaggio im… importante, o la mia morte sarà i… inutile». Avevo le lacrime agli occhi, mi sentivo impotente. Lo sconosciuto proseguì col poco fiato che gli rimaneva e la voce rauca «Pre… prenda la le… lettera nel ta… taschino interno de… della giacca e segua le i… istruzioni… la… la prego». Annuii e presi la busta bianca ripiegata, ma prima che potessi chiedere altro o chiamare aiuto, l’uomo spirò tra le mie braccia. Alzai lo sguardo e vidi un uomo in grigio che scompariva di corsa in un vicolo, in mano, un coltello insanguinato. Ebbi la forza di mettere la lettera nella tasca della vestaglia, poi urlai e iniziai a piangere convulsamente. Il mio incubo si era avverato come un sogno premonitore ed io non potevo, non volevo crederci.
I miei vicini di casa sentirono le mie urla, mi raggiunsero e, mentre il signor Belli telefonava alla polizia col suo cellulare, sua moglie si avvicinò a me sconvolta, mi abbracciò ed io precipitai in un buco nero.
Un incubo diventato realtà
Quando mi svegliai ero sdraiata sul divano del salotto di casa mia. Avevo la vista annebbiata, ma lentamente la foschia si diradò e ripresi del tutto i sensi. La signora Belli, una donna elegante sui quarant’anni, snella, con dei capelli neri tagliati a caschetto e il suo immancabile rossetto rosso, accorse con un bicchiere d’acqua, stampata in faccia, un’espressione scioccata. Ci misi un attimo a rammentare quello che era accaduto e per poco non svenni di nuovo. Dall’altra stanza sentivo provenire delle voci. Il mio viso doveva tanto assomigliare a un punto interrogativo, tanto che la signora Belli si sentì subito in dovere di spiegarmi. «Mia cara come stai? Ci hai fatto prendere un bello spavento! Ma l’importante è che tu ti sia ripresa. Ricordi qualcosa?». Annuii, ancora non riuscivo a parlare. Maria riprese: «Mio marito Angelo ha chiamato la polizia, stanno interrogando lui, ma appena te la sentirai vorranno parlare anche con te». Mossi la testa in segno d’assenso. Avevo ancora quelle terribili immagini che mi sfilavano davanti agli occhi. Mi assalì un senso di nausea. Possibile che un incubo ripetuto potesse diventare realtà? A quanto pareva sì. Ma cosa poteva significare? Chi era l’uomo morto sulla soglia di casa mia? E lo sconosciuto in grigio? E cosa avevano a che fare con me? Non avevo fatto nulla di male nella mia vita a parte le sciocchezze che fanno tutti i giovani. Ma non per questo muore qualcuno. Per ora sarebbero rimasti interrogativi senza risposta. Nel frattempo che io mi perdevo nei miei perché, arrivò mio padre che era stato avvertito da Angelo e corse subito a inginocchiarsi vicino al divano.
Con il mio papà a fianco mi sentii subito più forte e ritrovai anche la voce. «Piccola mia come stai? Che razza di domanda! Sei sconvolta!» disse mio padre. «Matteo, i poliziotti vogliono parlare con Crystal» s’intromise Maria. Mio padre fece cenno di sì «Te la senti cucciola?». «Sì papà. Tanto prima o dopo mi toccherà farlo». I poliziotti vollero sapere la mia versione dei fatti. Raccontai loro tutto quel che era successo, poi, andarono via, mentre l’ambulanza trasportava il cadavere verso l’obitorio. «Papà, vado in camera mia, ho bisogno di stendermi» dissi. «Vuoi che ti accompagni?». «No, tranquillo. Ce la faccio da sola». «Se hai bisogno, sono qui, oggi non tornerò a lavoro». «Grazie papà». Salii le scale, chiusi la porta e mi ci appoggiai contro. Ero ancora molto scossa, le gambe mi cedettero e scivolai per terra seduta. In quel momento mi ricordai della lettera.
Missione incompiuta
In un ufficio spazioso, dalle grandi vetrate e situato all’ultimo piano di un alto edificio, un uomo altero stava guardando fuori dalla finestra. Aveva i lineamenti duri, occhi scuri, naso aquilino e mascella squadrata. Sul viso compariva un’aria pensierosa mentre stava seduto comodamente su una poltrona di pelle nera, dando le spalle alla sua ampia scrivania, dove troneggiavano un computer, un telefono, delle foto e una pila di documenti. Si udirono dei i pesanti nel corridoio e subito dopo piccoli tacchi che rincorrevano la persona che la precedeva. La porta dell’ufficio si spalancò e l’uomo si girò lentamente. Subito dopo, comparve sull’uscio anche una donnetta scialba, con indosso un paio di occhialini rotondi fuori moda e i capelli raccolti in uno chignon. Sul viso, l’aria preoccupata di chi ha timore di essere rimproverata. «Capo, io ho provato a fermarlo, gliel’ho detto che prima dovevo avvisarla» espose tutto d’un fiato la segretaria. «Non ti preoccupare Carlotta, va bene così, torna al tuo lavoro». Detto questo, la donna si ritirò, tirandosi dietro la porta di noce. L’uomo guardò dritto negli occhi la persona che gli stava davanti «Accomodati Flavio e raccontami. Hai portato a termine la missione?». «Non mi è stato possibile». Il capo corrugò la fronte dominando l’impulso di arrabbiarsi e respirò prima di riprendere a parlare «Per quale motivo?». «L’informatore è riuscito a suonare alla porta della ragazza e, mentre stavo per prendere la lettera, lei è arrivata ad aprire». «Incapace!» urlò questa volta il capo battendo il pugno chiuso sulla scrivania «Era un compito semplice da assolvere! Ora le avrà raccontato tutto e ti avrà
anche visto in faccia! Non possiamo rischiare che risalgano a noi! Il nostro padrone non sarebbe contento… lo sai bene!». «Non ti preoccupare Giulio, ho risolto io la situazione, non le racconterà nulla». «Ah no? E come puoi esserne sicuro?». «Non parlerà». Un sorrisetto malefico si aprì sul viso del sicario «Ho zittito per sempre la sua bocca». Il capo ghignò insieme al sicario «Perfetto Flavio, finché la ragazza resterà all’oscuro di tutto, noi potremo procedere, poiché, anche se riceverà il messaggio, non potrà interpretare nulla». «Non sappiamo cosa c’è scritto». «Sicuramente sarà un tassello per arrivare al nostro scopo». «Non possiamo esserne certi». «No, ma a questo punto dovremo tenerla d’occhio senza che se ne accorga e al momento buono agiremo». «Certo Giulio! Conta su di me!». «Ora sarà meglio fissare un appuntamento col padrone, devo riferirgli l’accaduto». Detto questo, premette un tasto sul telefono «Carlotta, portaci due caffè e cancella gli appuntamenti del giorno».
La lettera
Senza spostarmi, cercai con la mano tremante nella tasca della vestaglia. Trovai la busta, la aprii e spiegai il foglio. Era una lettera scritta in bella grafia, quasi d’altri tempi. Iniziai mentalmente a leggere, mentre il battito del mio cuore accelerava:
“ Avvenimenti molto importanti non si devono verificare altrimenti sarebbe un guaio di notevoli, enormi dimensioni. Per questo bisogna proteggere il segreto e tutto ciò che ne fa parte. Non posso correre inutili rischi per spiegarti tutto. Dovrai seguire le istruzioni sperando che la tua mente e il tuo cuore siano abbastanza aperti da comprendere e capire. Sei pronta a lottare per noi? Per tutelare un mistero che da anni i maligni del mondo intero tentano di scoprire? Per ora non posso dirti altro, ma ricordati che tu sei la nostra stella di luce. Avrai presto altre notizie.
P.„
I miei occhi continuavano a scorrere veloci tra le poche righe impresse in inchiostro nero sul candido foglio. La mia mente non ne capiva il significato. Che volevano dire quelle parole? Sembrava tanto uno scherzo di qualche ragazzino che magari, adesso, stava ridendo a crepapelle in strada pensando alla mia stupidità. Non poteva trattarsi di una trovata adolescenziale … un uomo era morto per consegnarmi questa lettera e aveva pronunciato il mio nome.
Quante domande mi affollavano la testa. Perché non capivo, ma che stava succedendo alla mia vita? Fino a stamattina ero una ragazza come tante e ora… non lo so, non lo so, non lo so. La testa cominciò a scoppiarmi, la abbassai fino a posarla sulle ginocchia e poggiai le mani sulle tempie per calmare le spine che mi pungevano internamente. Non so per quanto rimasi in quella posizione, forse mi ero addirittura addormentata. Mi svegliai di soprassalto sentendo bussare delicatamente alla porta di camera mia. Mi alzai lentamente da terra, avevo tutte le ossa del corpo intorpidite per il lungo tempo trascorso rannicchiata e, controvoglia, aprii. «Ciao Cryssi, come stai? Non ti ho visto all’università, al cellulare non rispondevi, allora mi sono preoccupata e sono venuta a vedere che succede». «E’ una storia lunga Angy» risposi alla mia migliore amica dai tempi dell’infanzia. Angelica ed io eravamo cresciute praticamente come sorelle, i nostri padri erano molto amici e tuttora si frequentavano spesso, bisognosi di compagnia dopo la morte di entrambe le mogli. Eravamo tutte e due figlie uniche, tanto uguali quanto diverse. Angelica… la mia pacifica amica del cuore dai lunghi capelli ricci di un intenso castano scuro e occhi color cioccolato. «Hey! Pianeta terra chiama Crys!» rise allegramente Angy. Riemersi dai miei pensieri e risposi «Scusa, sono ancora molto scossa da quel che è accaduto, non so se…» «Abbiamo tempo Cry. Dimmi tutto, se non ti confidi con me con chi lo devi fare? Andiamo a sederci sul letto e inizia a raccontare». «E’ difficile…».
«Provaci…». Raccontai l’accaduto ad Angelica tutto d’un fiato, gli occhi ancora umidi di lacrime al ricordo. Lei mi ascoltò senza fiatare, annuendo col capo ogni tanto e sbarrando palpebre e bocca al momento peggiore della storia. «Mio Dio Cry!» furono le sue prime parole. «Ora capisco perché sembra che tu abbia visto un fantasma!» commento poi. «C’è dell’altro… ma non sono certa di che cosa si tratti». Estrassi la lettera dalla tasca e la diedi alla mia migliore amica da leggere. Lei corrugò un sopracciglio e mi guardò con aria interrogativa «Cos’è, uno scherzo?». «L’ho pensato anch’io, ma quell’uomo sulla soglia di casa mia ha detto che era molto importante che io leggessi questa lettera o la sua morte sarebbe stata vana. Ha detto di seguire le istruzioni, ma… non ci sono istruzioni qui». Angy si rigirò attentamente il foglio tra le mani scrutando ogni sua parte «Effettivamente no… ma se quel tipo ti ha detto che ci sono…». «… magari sono nascoste da qualche parte!» Finii la frase di Angelica, com’eravamo solite fare. Eravamo due menti un sol pensiero tanto ci conoscevamo bene; a volte non c’era neanche bisogno di parlare, bastava uno sguardo per intenderci. «Però Angy, non so se sia il caso di immischiarti in questa storia… quell’uomo ci ha rimesso la vita, io non so con cosa ho a che fare… e se fosse pericoloso? Non me la sento di far rischiare anche te» dissi con voce incerta. «Cry, siamo come sorelle. Ok, può essere rischioso, ma io non ti lascio a combattere questa battaglia da sola. E' sicuro che queste ipotetiche informazioni le desideri anche qualcuno senza scrupoli. Il punto focale è se tu vuoi andare fino in fondo a questa storia».
Ci riflettei un attimo su, mentre sulla mia fronte comparivano delle piccole pieghe «Ho paura… tanta… ma sì, voglio scoprire tutto. Devo solo capire da che parte cominciare». «Perfetto! Allora iniziamo cercando quello che in teoria non c’è». Mossi il mio sguardo in giro per la camera e, a un certo punto, fui attratta da qualcosa appoggiato sul pavimento… ma certo! La busta! Se le informazioni erano così importanti, non si potevano certo trovare in bella vista! Scattai in piedi e andai a inginocchiarmi per terra. Presi la busta bianca tra le mani e cominciai a scollare tutti i suoi lati… niente! Neanche lì! Ma era impossibile! Angelica si alzò dal letto e mi venne vicino «E’ quasi ora di pranzo, che ne dici se ti vesti e andiamo a mangiarci qualcosa?». Al solo pensiero del cibo mi assalì di nuovo la nausea dopo la terribile mattinata. «No grazie, una bella doccia la faccio volentieri, ma di mangiare non se ne parla. Al massimo una tazza di tè, ma tu puoi tranquillamente servirti dal frigo». «Agli ordini capo! Tu vai a rinfrescarti, nel frattempo io scendo in cucina a farmi un bel panino e a prepararti un dolcissimo tè… 4 cucchiaini di zucchero, vero?». Annuii, la ringraziai di cuore e mi avviai in bagno. Sotto il getto dell’acqua calda che mi massaggiava la pelle, finalmente riuscii a rilassarmi un po’. Inclinai il capo all’indietro e lasciai che le gocce scorressero sui capelli, sul viso, sul collo, fino alla punta dei piedi e cercai di liberare la mente da ogni pensiero. Quando uscii, mi sentivo meglio. Mi avvolsi in una morbida spugna e mi asciugai, per poi armi una crema nutriente sul corpo. Dopodiché infilai i miei jeans e un maglione rosa aderente, poi scesi al piano inferiore e mi diressi in cucina con i capelli ancora bagnati. «Cry lo sai che è autunno inoltrato? Vuoi prenderti la broncopolmonite?».
«Tranquilla Angy, ho solo bisogno del mio tè, poi vado ad asciugarli. Tra l’altro… in casa fa caldo!». «Sempre la solita pazza! Ammettilo che hai inventato tutto per saltare le lezioni… eh, furbastra?». Scoppiammo a ridere di gusto tutte e due. Decisamente solo lei poteva riuscire a strapparmi un sorriso quel giorno. ammo il pomeriggio a pensare a dove potessero essere nascoste le istruzioni. eggiavamo su e giù per la stanza, facevamo supposizioni, ma niente! Nessun risultato! A ora di cena Angelica mi salutò per andare a casa e ci accordammo per la mattina dopo. Ancora non mi sentivo di andare all’università e poi sicuramente sarebbe uscita la notizia dell’assassinio sui maggiori quotidiani, per cui avrei dovuto affrontare tutti i miei compagni e le loro domande. Meglio prendersi un periodo di riposo. Mio padre ordinò due pizze, una capricciosa per me e una al salamino piccante per lui. Mangiammo davanti alla televisione e parlammo un po’, ma evitai di dirgli della lettera. Non sapevo ancora di cosa si trattasse e non volevo fargli correre rischi. Avevo già perso mia madre, almeno dovevo proteggere mio padre. Dopo cena ci spostammo in salotto a guardare un film ed io cercai protezione tra le braccia del mio papà come quando ero bambina. Lui ne fu sorpreso perché ormai era un gesto che non facevo più da lungo tempo, ma non era dispiaciuto, ero e rimanevo pur sempre la sua piccolina. Verso la mezzanotte salii in camera mia, m’infilai il pigiama e mi misi sotto le coperte.
Guardai in giro nella mia stanza prima di spegnere la luce della lampada e chiudere gli occhi. Mi era sempre piaciuta. I mobili bianchi con le rose dipinte mi avevano sempre dato un senso di romanticismo; le pareti tinte di rosa pallido mi rilassavano e le molteplici foto appese alle pareti raccontavano la mia vita. Era il mio rifugio, il luogo magico dove mi ero sempre sentita al sicuro. Da bambina sognavo che una volta diciottenne, un principe avrebbe scalato la mia finestra con una rosa rossa in mano e sarebbe stato amore eterno. Sospirai… che fervida fantasia avevo… peccato che i principi esistessero ormai solo nelle favole! Non so cos’avrei dato per tornare all’infanzia e poter ancora credere che il mondo sia una bella fiaba a colori, dove il male è sempre sconfitto e la sofferenza non esiste. Era meglio tentare di dormire. Spensi la luce e serrai le palpebre, ma il sonno tardava ad arrivare. Ancora rivivevo le scene di quella mattina. Mi ero rassegnata a un’altra brutta nottata, quando finalmente le braccia di Morfeo mi avvolsero e scivolai in un sonno profondo.
Mi ritrovai a vagare per una grande casa riccamente arredata. Sul soffitto a volte erano dipinte scene celestiali. Non c’era anima viva. Percorsi un lungo corridoio pieno di ritratti che non riuscivo a vedere. Mi fermai dietro ad una porta socchiusa. Senza fare alcun rumore la aprii. Vidi una donna seduta elegantemente a una scrivania di mogano che sembrava essere molto antica. Aveva bianchi capelli soffici, acconciati in una lunga treccia che le scendeva sulla schiena e indossava una vestaglia bordeaux con ricami dorati.
Era voltata, per cui non potevo riconoscerne il viso. Muoveva il braccio come se stesse scrivendo. Poi la visuale cambiò e il mio sguardo fu proiettato sul piano della scrivania. Una mano anziana, ma ben curata, si muoveva rapida a intingere il calamaio nell’inchiostro, per poi procedere nella scrittura. Ma… conoscevo quella grafia e anche quelle parole! Attesi e poi vidi che poggiò il calamaio dopo essersi firmata P. Prese una strana penna che scivolava sul retro del foglio ma non lasciava traccia. Che cosa stava facendo quella donna? Infine si mosse a prendere qualcosa da un cassetto ed io rimasi allibita! Come avevo fatto a non pensarci? Ecco la soluzione! In quel momento la scena cambiò e l’uomo in grigio stava affondando il coltello nella carne di un altro uomo che suonava insistentemente un camlo.
Mi svegliai di colpo. Il pigiama incollato al corpo sudato. Fuori era ancora notte, i raggi della luna illuminavano la città. Avevo dimenticato di abbassare la serranda prima di andare a dormire. Scostai il piumone e mi andai a sedere sullo spazio ricavato sotto la finestra, dove avevo sistemato dei cuscini. Appoggiai il mento sulle mani posate sul davanzale e guardai fuori. Un altro sogno, un altro incubo. Poteva avere un senso quello che avevo visto? Oppure la mia immaginazione mi portava a creare immagini inesistenti? L’unico modo per scoprirlo era provare. Andai a recuperare la lettera che avevo riposto in un cassetto della scrivania, accesi la lampada e spiegai nuovamente il foglio.
Lo girai sul retro, poi presi una piccola torcia e lasciai scorrere la luce blu sulla carta. Era un gioco che da bambina facevo sempre con Angelica, quando non volevamo far scoprire i nostri segreti ai nostri padri. La chiamavamo la penna magica. Era un trucco che le nostre mamme ci avevano insegnato prima di andarsene. Da una parte mi allietai, ma dall’altra mi spaventai. Le scene che mi erano apparse durante il sonno erano reali! Di nuovo una premonizione! Avevo qualcosa che non andava? Certo, mi era stato d’aiuto ma… brr… che cosa inquietante! Non mi era mai capitata una cosa del genere! Il fascio di luce, scorrendo sul foglio, faceva apparire lettere che poi scomparivano quando l’oscurità se ne impossessava di nuovo. Lessi di nuovo e riportai il tutto su un post-it. Che razza di frase era? Latino? Greco? Russo? Spagnolo? Non riuscivo davvero a capire il senso di quel messaggio. Continuai a leggere e rileggere quelle parole senza senso:
“allegria albus apin pizaza scalleto deco celu id allest”
Non potevo sognare anche la soluzione? Ormai avevo fatto trenta potevo fare trentuno. Continuai a rimuginarci un’oretta scarsa, poi decisi di accendere il pc e mi collegai a internet. Le mie dita scorrevano veloci a esplorare siti, le mie pupille si muovevano leste da sinistra verso destra per leggere traduzioni e significati, il mio cervello era attivo, avido d’informazioni. Trascrivevo tutto quello che poteva essermi utile su un quaderno verde a
quadretti piccoli appoggiato sulla scrivania, finché non ottenni un elenco. Quando ebbi finito, cercai di trarre qualche conclusione, rileggendo i miei appunti:
Allegria ha un significato ovvio in italiano, ma è anche una raccolta di poesie di Giuseppe Ungaretti, oltre che il nome di locali e hotel. Albusapin non esiste in alcuna lingua. Pizaza è un ristorante londinese. Scalleto è il cognome di una famiglia la cui storia è stata scritta nel 1920. Deco è un cognome, il nome di locali, hotel, il diminutivo di decorazione e un tipo d’arte. Celu è la sigla spagnola per il certificato di uso della lingua, una parola dialettale siciliana usata per intendere l’acqua piovana e un nome argentino. Id è usato molto in internet, è un numero romano e una rivista britannica. Allest è il nome di un’azienda.
Avevo una gran confusione in testa, tutte quelle informazioni erano persino troppe e non avevano senso. Tentai di decifrare il messaggio provando a mischiare i risultati. Il Pizaza è un ristorante londinese gestito dalla signora Scalleto Allegria, una donna di origine siciliana e il locale s’ispira all’art decò. Oppure la raccolta Allegria di Ungaretti è conservata dalla famiglia Scalleto in Sicilia. Provai molte combinazioni, ma in nessuna riuscivo a far rientrare tutti i vocaboli. E in più mi sembravano delle incredibili sciocchezze.
Nel frattempo che riflettevo, uno sbadiglio mi colse alla sprovvista e guardai l’ora. Il mio orologio segnava le cinque del mattino. Sgranai gli occhi. Le cinque? Com’era possibile? Avevo ato tre ore seduta alla scrivania e il tempo era volato. Decisi di provare ancora mezz’oretta. Nel frattempo misi le braccia incrociate sul piano davanti a me e vi poggiai il capo. Le mie palpebre si fecero pesanti e si chio senza che me ne accorgessi.
Hanno agito
In un salotto dalle tinte porpora illuminato solo da candele erano radunate sei persone dai cui volti traspariva immensa preoccupazione. Una donna anziana, seduta in ombra su una comoda poltrona ottocentesca, prese parola «Purtroppo quello che temevamo è successo. Il nemico ha agito prima che noi potessimo terminare la missione, speravo non scoprissero dov’era diretto l’informatore». «Dovevamo proteggerla meglio, ora la terranno d’occhio e il rischio che arrivino a scoprire il segreto è troppo alto» commentò un uomo robusto nascosto nella penombra come tutti gli altri occupanti della stanza. «Hai ragione. Dobbiamo assolutamente trovare il modo di depistarli e far si che la ragazza sia al sicuro» intervenne una signora sulla cinquantina la cui luce della candela illuminava solo i capelli corvini. «Sempre se nessuno interferirà nella strada della conoscenza della ragazza. Hai calcolato quest’opportunità?» domandò l’uomo di prima appoggiato con le spalle al muro e le braccia incrociate sul petto. «Certo che l’ho tenuta presente! Non sono una sprovveduta, ma confido nella discrezione della ragazza. Dopo quello che è accaduto, non rischierà di mettere in pericolo suo padre. Gli è molto affezionata» affermò con decisione l’anziana signora. «Non puoi saperlo! Così rischiamo tutti di non poter rispettare il giuramento! Sono secoli che proteggiamo il segreto. E se Crystal andrà contro tutte le previsioni e informerà il genitore?» esplose una ragazza ramata e molto esile seduta sul divano. «Non posso saperlo, ma posso immaginarlo. E’ vero che non sono a stretto contatto con lei, ma sono sempre rimasta a osservarla dai margini in tutti questi anni». Negli occhi della signora dai capelli bianchi ò un lampo di tristezza e continuò «Pensate che l’avrei messa in pericolo se non fosse stato necessario? Finora mi è stato vietato di crescerla nel rispetto del codice, sua madre aveva cominciato il lavoro, ma le circostanze le hanno impedito di continuare e il padre la vuole tenere all’oscuro per proteggerla. Purtroppo è scritto nelle stelle che deve essere lei e ora che il nostro temibile nemico ha scovato la pista giusta,
dobbiamo essere molto prudenti». «Sono d’accordo, la ragazza non sarà sciocca e scopriremo presto se ho ragione. Mi offro io di proteggerla» parlò per la prima volta un giovane che era in piedi e teneva il braccio sinistro appoggiato sul caminetto di marmo bianco in cui scoppiettava allegramente un fuocherello. «D’accordo. Mi fido. Anche perché sei la persona giusta, avrei comunque scelto te. Tienila d’occhio e fa in modo che arrivi incolume alla conoscenza… e anche l’altra persona che fa parte del codice». Tutti asserirono, anche il ragazzo che non aveva proferito parola e che s’intromise in quel preciso istante «Sono mancato all’ultima riunione per cui non mi è chiaro un punto: non sarebbe più facile invitare qui la ragazza e istruirla?». L’anziana scosse la testa «Vorrei che fosse così semplice». Sospirò stanca e congiunse le mani in grembo «I problemi sono due: in primo luogo non c’è il tempo per insegnarle tutto e comunque, è difficile accettare questo tipo di conoscenza catapultandogliela addosso in una sola volta. Deve accostarsi con calma al suo destino e percepirne pian piano la sua importanza. Almeno non rischieremmo solamente di confonderla. Il secondo problema, invece, riguarda la chiave. In precedenza è appartenuta a sua madre» fece una pausa, poi riprese «Prima di morire l’ha nascosta in un luogo segreto che nessuno conosce. L’unico modo per scoprirlo è scritto nel suo diario ed io so dov’è custodito». «Allora qual è il problema? Recuperiamo il diario!» s’illuminò il ragazzo. «Non possiamo. E anche se lo avessimo noi, non potremmo aprire la custodia che lo contiene, solo Crystal può. La madre ha usato un qualche loro meccanismo segreto. Dobbiamo solo sperare che lei lo ricordi… aveva cinque anni quando la mamma mancò». «Perfetto! Siamo fregati quindi!». «Non è detto. I cassetti della memoria custodiscono più di quello che noi crediamo possibile e Crystal può aver ereditato il dono che fu della sua progenitrice».
«Cioè?». «Questo ve lo svelerò col tempo, se capirò che lo possiede anche lei. Inutile illudervi se non fosse così». «E se non lo avesse? Se non trovasse la chiave? Se cadesse in mani sbagliate? Come faremmo poi? E’ necessario che Crystal ricordi e accetti la sua discendenza, altrimenti non potrà arrivare al segreto e noi non potremmo più proteggerlo». L’altro ragazzo vicino al caminetto enunciò «Sono sicuro che si sistemerà tutto nel migliore dei modi, ora posso esprimervi la mia idea?». La ragazza ramata alzò una mano a indicare di far silenzio un attimo «Parlerai tra un secondo. Ripensavo alla frase di poco fa… chi è l’altra parte del codice? Ci stiamo occupando solo di Crystal, ma chi deve anche sapere?». Si guardarono l’un l’altro in cerca della risposta, esclusi l’uomo e la donna più maturi e la signora avanti con l’età che asserì «Per ora lo sappiamo esclusivamente noi adulti, voi ragazzi sarete informati a tempo debito». Alla ramata si punteggiò il viso di macchie rosse in segno d’irritazione «Ma come farà anche l’ultima persona ad aiutarci? Almeno non possiamo convocarlo o convocarla qui?». «Non possiamo perché è all’oscuro da tempo immemore». «Peggio di quel che pensavo. Quindi il lavoro sarà doppio!». «Tu non preoccuparti di questo, abbi pazienza e capirai». La giovane si calmò, lasciando esprimere il pensiero del ragazzo che aspettava di riscontrare l’approvazione per la sua idea di protezione di Crystal.
A prima vista
«Tesoro…». Mi sentii scuotere dolcemente la spalla. Era mio padre che cercava di svegliarmi. Aprii lentamente gli occhi e portai le mani chiuse a pugno a muoversi sulle palpebre. Papà si lasciò andare a una risata «Non credi di essere un po’ cresciuta per stropicciarti gli occhi?». Gli feci un ampio sorriso «Certe abitudini non ano mai». «Oggi devo andare a lavoro piccola, ho delle pazienti che devono partorire e non posso proprio assentarmi, ne va della mia professionalità, anche se vorrei restare qui con te ad aiutarti a riprenderti. Tra l’altro, come ti senti oggi?». «Un po’ meglio, ma quell’orribile immagine non ne vuol sapere di abbandonare i miei ricordi». «Mi dispiace davvero che tu abbia dovuto assistere a un’atrocità del genere. Come vorrei poter mandare indietro il tempo ed evitarti tutto questo». Mio padre si fece pensieroso e portò il pollice e l’indice a muoversi sotto il mento «Vorrei soltanto capire perché quell’uomo si trovasse sulle scale del nostro ingresso… non ne vedo il motivo, non lo conosco». «Neanche io papà, non l’ho mai visto prima d’ora». «Un’ora fa ha telefonato la polizia, si chiamava Vittorio Bacelli, volevano sapere se il suo nome mi fosse familiare, ma purtroppo non ho potuto aiutarli». «Vorrei poterlo fare io purché quella povera vittima abbia giustizia, ma purtroppo non ho idea di chi fosse». «Comunque alle dieci erà da casa un poliziotto e ti darà altre informazioni. Se puoi cerca di collaborare. Vorrei poter evitare che ti parlino ancora di ieri, ma non posso ostacolare il loro lavoro. Spero solo non sia troppo da sopportare per te».
«Tranquillo papà, sono grande ormai». «Lo so, ma per me rimarrai sempre la mia piccola bambina». Mi dette un bacio sulla fronte e dopo aver chiuso la porta della mia camera, sentii l’inconfondibile rumore dei suoi i scendere le scale diretti all’uscio principale per portarlo a lavorare. Mi stiracchiai e mi resi conto che avevo le ossa doloranti per aver dormito appoggiata alla scrivania. Diedi uno sguardo all’orologio e scattai in piedi. Le lancette segnavano le 9.15 e il poliziotto sarebbe arrivato nel giro di tre quarti d’ora. Corsi in bagno e quasi sbattei contro Alena, la nostra governante a cui ero molto affezionata e che mi aveva fatto da bambinaia fin da quand’ero nata. Viveva con noi da sempre e mi ricordai che quella mattina rientrava dalla Spagna, dove era andata a trovare i parenti. La mia tata era una donna di bassa statura, robusta, con una massa di capelli grigi striati di nero che portava acconciati in due trecce e iridi nocciola che mi avevano sempre dato un senso di dolcezza. A quanto pareva aveva già saputo tutto da mio padre perché appena mi vide allargò le sue possenti braccia e mi stritolò in uno dei suoi calorosi abbracci mediterranei «Madre de Dios! Niña mia! Che brutta experiencia! Cómo estás?». La sua parlata mezza italiana mezza spagnola mi aveva sempre divertito molto, mi metteva di buonumore. «Meglio di ieri tata, ma non sarà facile accantonare tutto». Mi liberò dalla stretta e mosse la testa avanti e indietro velocemente in segno d’assenso. «Scusa Alena, possiamo parlare dopo? Ho bisogno del bagno, tra un po’ arriverà un poliziotto e non posso farmi trovare in questo stato». Piegai le braccia vicino alla testa e le feci scorrere dall’alto verso il basso a indicare di guardarmi.
«Certo che no niña! Vai vai!». Prese l’aspirapolvere e si diresse verso la camera matrimoniale. Mi osservai allo specchio del corridoio. Decisamente avevo bisogno di rendermi presentabile. Avevo i capelli arruffati, le occhiaie per aver dormito poco e indossavo un paio di fuseaux blu e una t-shirt dello stesso colore che utilizzavo per la notte. Mi feci velocemente una doccia, poi mi truccai, mi pettinai e, avvolta nel mio morbido accappatoio bianco, mi diressi verso la mia cameretta per vestirmi. Scelsi un abbigliamento casual che era quello che preferivo: jeans elasticizzati, camicia rossa, maglioncino nero e stivali dello stesso colore in cui infilai i jeans. La sveglia segnava le 9.55. Ero giusto in tempo e prevedevo di far colazione con un caffè che avrei offerto anche all’ospite. Alle dieci in punto il camlo suonò. Immaginavo che all’esterno ci fosse uno dei tutori della legge che avevo visto in casa ieri. Andai ad aprire e la mia mano si strinse un momento sulla maniglia. Dovetti respirare a fondo. Inconsciamente, stavo rivivendo la scena del giorno prima quando avevo spalancato l’uscio. Per fortuna questa volta c’era un uomo vivo ad attendermi. Mi ripresi e aprii la porta. Per un attimo rimasi senza fiato e probabilmente feci la figura dell’ebete poiché rimasi piacevolmente sconvolta. Sull’ingresso stazionava un ragazzo sui venticinque anni con un fisico mozzafiato, occhi azzurri come il cielo d’estate e capelli di un caldo castano attraversati da fili dorati. Mi allungò una mano, mentre con l’altra teneva il cappello della divisa «Piacere signorina, sono Daniel Sartori, dovrebbero averla informata del mio arrivo» mi disse sfoggiando un meraviglioso sorriso. Finalmente tornai in me, scossi leggermente la testa, m’inumidii le labbra e
risposi stringendogli la mano tesa verso di me. «Io sono Crystal Mancini, prego entri pure…ma… possiamo evitare le formalità e darci del tu? Siamo giovani e trovo strano usare il lei». «Non è molto professionale ma in fin dei conti non lo saprà nessuno» accettò ammiccando. Mi spostai di lato per permettergli di entrare e lo indirizzai verso il salone. Lo feci accomodare sulla poltrona e, nel frattempo, comparve Alena che si offrì di preparare un buon caffè. Già prevedevo che si sarebbe presentata con la bevanda e un vassoio colmo di dolciumi. Presi posto sul divano e Daniel cominciò a parlare «Crystal, sono venuto qua per informarti sull’uomo deceduto ieri e tentare, se possibile, di capire il motivo per cui è stato assassinato». Sbiancai ripensando al cadavere che giaceva tra le mie braccia e barcollai. Daniel si avvicinò e mi prese per le braccia prima che svenissi. «Stai bene? Scusa se sono andato subito al sodo, cercherò di usare più tatto». «No, scusami tu, è inutile tergiversare, il discorso non cambia. Riprendiamo. Mio padre mi ha detto che si chiamava Vittorio Bacelli, ma io non ho mai sentito questo nome». Lui sembrò soddisfatto della mia risposta e ricominciò a parlare «Capirai che non posso darti ulteriori informazioni, ma devi mettermi al corrente di qualsiasi dettaglio ricordi. Ti ha comunicato qualcosa in particolare che ci possa aiutare o per lo meno il motivo per cui era qui». Il mio pensiero corse alla lettera e m’irrigidii. Non potevo raccontare nulla, non volevo coinvolgere anche la polizia e poi dovevo ancora capire io stessa il senso di quel messaggio e del mio sogno premonitore. Sperai non si fosse accorto della mia reazione e, mentre mi preparavo a mentire,
fece la sua comparsa Alena con un vassoio ben fornito, salvandomi inconsapevolmente dall’imbarazzo. Quell’interruzione mi diede il tempo di ritrovare una parvenza di calma che mi permise di rispondere con voce ferma «Grazie Alena, sei un tesoro». La mia tata sbuffò nel suo modo buffo da finta burbera e si allontanò a riprendere il suo lavoro. «Quanto zucchero?» chiesi. «Due cucchiaini grazie». Mescolai il dolcificante e porsi la tazzina a Daniel. Presi la mia e me la portai alle labbra con malcelata sicurezza. Lui mi colse alla sprovvista ed esordì «Sbaglio o ti sei irrigidita? Per caso qualcosa ti è riaffiorato alla mente?». Scossi la testa il più naturalmente possibile e con gesto nervoso mi ai le dita tra i capelli «Purtroppo no, solo il ricordo della sua voce flebile che chiedeva aiuto» risposi cercando di mantenere la calma, anche se i battiti del mio cuore erano diventati più frequenti del normale. «Ne sei proprio sicura?» m’incalzò circospetto. I suoi occhi indagatori si erano ridotti a due fessure. «Assolutamente. Se potessi essere maggiormente d’aiuto, sarei la prima a esserne felice». Mentii spudoratamente ma senza troppa convinzione. Il poliziotto sorseggiò il caffè, poi si alzò e si congedò. Sul viso gli si era dipinta un’espressione di sospetto. Quasi certamente non ero stata così brava a recitare, anche se speravo nel contrario. Non ero mai stata in grado di raccontare bugie senza farmi scoprire. Quando andò via, il mio cuore stava battendo in modo accelerato e mi sentii tremendamente in colpa per aver omesso la verità, ma non potevo fare altrimenti.
Presi il telefono e composi nervosamente il numero della mia amica «Angy sono io. A che ora arrivi?». L’altra rispose all’altro capo del telefono. «Perfetto. Allora ti aspetto tra mezz’ora. Dì a tuo padre che dormi qui stanotte, ho l’impressione che sarà una lunga giornata» detto questo riagganciai.
Il messaggio segreto
Il camlo trillò nuovamente quella mattina e mi precipitai ad accogliere Angelica. Aveva un’espressione eccitata e mi trascinò correndo su per le scale. Mi spinse dentro la cameretta per poi sbattere la porta dietro di noi. Si piazzò a gambe divaricate, con le mani poggiate sui fianchi e, senza neanche togliersi il cappotto che la proteggeva dal freddo pungente d’inizio novembre, esplose vivacemente «Raccontami tutto! Hai scoperto qualcosa di nuovo?». Mossi le braccia davanti a me intimandole di bloccarsi «Calma calma, sì, ho qualche novità, ma ti avverto che serve tempo e apertura mentale per spiegarti e comunque, non sono venuta a capo di nulla». «Ok, scusa ma questa storia m’intriga molto». «Io invece ho paura». Abbassai lo sguardo verso terra conscia che non era un gioco, non si trattava della caccia al tesoro che ci divertiva tanto da bambine. Sospirai «Prima di tutto appoggia lo zainetto per la notte da qualche parte, togliti il cappotto e poi t’informerò sulle novità». Angy eseguì rapidamente le azioni e si sedette a gambe incrociate sul letto, nella mia identica posizione, poi appoggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le mani sotto il mento, in palese attesa che cominciassi a parlare. Notai che oggi non si era truccata e aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo. Proprio lei, sempre molto attenta a essere perfettamente presentabile. Evidentemente era in ritardo come al solito, altro punto che ci accomunava ed era talmente curiosa di sapere, che si era precipitata a casa mia senza preoccuparsi di nulla. Sistemai due piccoli cuscini, uno grigio e uno bianco, contro la testiera del letto, mi ci appoggiai e scelsi con cura le parole da usare «Non so da dove cominciare…».
«Da qualsiasi argomento, purché io capisca». Misi ordine nei miei pensieri, poi iniziai a raccontarle della visita del poliziotto e del messaggio magicamente apparso grazie al gioco che facevamo da piccole. Angelica era allibita. Mi alzai e recuperai il quaderno, dove avevo segnato gli appunti, insieme al messaggio e alla torcia. Glieli consegnai e lei lesse avidamente le righe che avevo scritto, poi affermò delusa «Effettivamente ci sono mille soluzioni, ma non comprendo il senso di nessuna. Hai ragione, sarà un lavoro lungo». «Certo, ti avevo avvisato, ma confido nelle nostre capacità» le strizzai l’occhio e articolai un sorriso. Scoppiammo a ridere contemporaneamente. Poi mi rabbuiai un istante. «Ehi Cry, che succede?» Angelica manifestò preoccupazione. «Ecco… a dire il vero ci sarebbe un’ultima cosa che ti vorrei confessare, ma… mi vergogno. Ho paura che tu mi prenda per pazza» dissi mordendomi il labbro inferiore. Angy era confusa, lo compresi da come strinse gli occhi e dalla smorfia che comparve sulla sua bocca «Abbiamo sempre condiviso tutto, non ti schernirò se è questo che pensi» enunciò mentre incrociava le braccia sul petto. Segno palese di quanto l’avesse irritata la mia affermazione. «Lo so, il problema è che anch’io faccio fatica a crederci… e inoltre… è talmente assurdo…». «E che sarà mai?» fiatò. «Dunque… è la seconda volta che mi accade, non so se si tratti di una coincidenza, ma è improbabile, quindi sarà così, ma sono due episodi casuali che non si ripeteranno o sono io che ho scoperto un lato nuovo di me? Forse sì, forse no…» Le parole mi uscivano a fiumi senza che avessero un significato logico.
«Ragazza frena! Non ci sto capendo nulla, fai un discorso logico per favore». Respirai a fondo e con più tranquillità ripresi «Sai come ho scoperto il trucco del messaggio nascosto?». «No, se non me lo dici». «L’ho sognato». «Sognato?» ripeté. «Sì sognato. Hai capito perfettamente. Mi trovavo in una casa bellissima, antica. Esplorandola mi sono ritrovata davanti ad una stanza con la porta socchiusa. Ho sbirciato dentro ed ho visto che era occupata da una vecchietta seduta a una scrivania d’altri tempi che scriveva. Poi il mio punto di vista si è spostato improvvisamente sul foglio davanti a lei e ho notato che usava la torcia per far apparire la frase». «Quindi hai fatto un sogno premonitore!». «Credo di sì». «E’ possibilissimo! Ma è un episodio isolato? O ti era già successo?». «Non proprio. I primi sogni che ho fatto si sono protratti e ogni notte si aggiungeva un elemento a completare l’incubo, perché questo era». «Cioè? Spiegati meglio». «Cioè mi è apparso l’omicidio dell’uomo che è morto qua fuori due giorni fa». Rivelai prima di cambiare idea. Un brivido mi corse lungo la schiena e mi raggomitolai. «E' terribile! Perciò te lo aspettavi?». «Assolutamente no Angy, non avrei mai pensato che si avverasse. Credevo semplicemente di aver guardato troppi film horror e che la mia mente lavorasse d’immaginazione. E quando ho visto l’uomo in grigio introdursi furtivamente nel vicolo… ho capito che era divenuto realtà».
Angy sbarrò gli occhi «Quindi sai chi è l’assassino?». «No, non l’ho mai visto in viso, tutto quello che sapevo, l’ho raccontato alla polizia, ma certo non potevo informarli dei sogni premonitori, mi avrebbero preso per psicopatica o, nel migliore dei casi, mi avrebbero creduto sotto shock. In qualunque caso non mi avrebbero dato credito». Angy si avvicinò e mi abbracciò «Io ti credo! Forse il tuo è un dono, col tempo lo stabiliremo e se è così, ci potrà tornare utile». «Hai ragione, ma ora mettiamoci al lavoro, non sarà un’impresa facile». «No di certo, ma ce la faremo. Ne sono sicura». «Ovvio siamo noi! L’angelo e il cristallo all’attacco!» scoppiammo in una risata ilare, era un motto che avevamo inventato alle elementari giocando con la traduzione dei nostri nomi. Era terribilmente sciocco, ne ero consapevole ma, ogni tanto, faceva bene riportare a galla certe idiozie. Ci permetteva il lusso di illuderci che la vita fosse ancora una nuvoletta rosa. Trascorremmo le due ore successive tentando di dare un significato a quello strano messaggio incomprensibile. «Che ne dici di far pausa pranzo? Il mio cervello è in tilt e il mio stomaco reclama cibo!» esordii massaggiandomi la pancia. «Dico che è una buonissima idea! Andiamo a vedere cos’ha preparato Alena». Mi leccai le labbra al solo pensiero di gustare di nuovo i suoi manicaretti. Durante le due settimane che era stata in Spagna dai familiari, mi era molto mancata la sua cucina. Appoggiai quaderno e penna sul letto, sopra i numerosi fogli sparsi e appallottolati e mi alzai. Angelica ridusse a icona la pagina internet che stava leggendo e insieme scendemmo nella luminosa sala da pranzo bianca, dove al centro faceva bella mostra un tavolo rotondo, apparecchiato con una candida tovaglia color rosa antico e finissime porcellane decorate che aveva ereditato mia madre.
«Era ora mie niñe. Dovrei sculacciarvi a dovere, anche se siete cresciute» ci rimproverò bonariamente Alena comparendo sulla soglia, con indosso un grembiule bianco e sventolando un cucchiaio di legno verso di noi. Ridendo andammo ad abbracciarla. «Suvvia tata. Non ti arrabbiare. Avevamo perso il senso del tempo ma ora ti prometto che spazzoleremo via qualsiasi pietanza ci metterai nel piatto» le risposi amorevolmente e le depositai un bacio sulla guancia. «Fino all’ultima briciola» concluse Angy e fece lo stesso. Alena ci aveva preparato delle gustosissime lasagne e spettacolari melanzane alla parmigiana. Il pranzo trascorse sereno e ovviamente la mia tata mangiò come sempre con noi. Lei era una di famiglia, la persona che mi aveva fatto da mamma in quei lunghi anni ed io le volevo un bene infinito. Terminato il pranzo, aiutammo Alena a sparecchiare e poi tornammo al nostro “lavoro”. Dopo ore di tentativi inutili in cui avevamo cambiato innumerevoli posizioni, Angy propose «Basta per oggi Cry! Non ne posso più! Andiamo a prendere un aperitivo? E’ venerdì sera, usciamo un po’». Mi rabbuiai «Non lo so. E se incontriamo i nostri amici? Se cominciano a farmi mille domande sull’accaduto? Ancora non me la sento. Già ho risposto vagamente e controvoglia ai loro sms ed evitato le telefonate» risposi seria. Angelica notò il forte turbamento che mi aveva assalito «Se è per quello, stai tranquilla, è venerdì sera vanno tutti al quadrilatero! Noi cambiamo locale e non si porrà il problema». Accettai sconfitta dall’insistenza della mia amica «D’accordo. Cambiamoci e andiamo. Un po’ d’aria fresca non può farmi che bene». Naturalmente indossai i miei amati jeans elasticizzati, questa volta di un blu scuro e una camicetta bianca abbastanza scollata sotto a un maglioncino nero aderente. Calzai scarpe nere a tacco alto ornate da brillantini e fermai i capelli
con un cerchietto altrettanto brillante. Conclusi infilando il mio cappottino rigorosamente nero che mi aderiva alla perfezione. Angelica invece, indossò un paio di leggins neri, col bordo di pizzo, sotto a un vestitino grigio e calzò le décolleté nere. Tra i capelli alcune pinzette colorate a forma di farfalla. Ovviamente lei si truccò, io avevo già provveduto durante la mattinata per cui mi diedi solo “un’aggiustatina”. Scese in salotto salutammo Alena che era seduta sul divano, con le gambe distese sul tavolino davanti a lei. Muoveva velocemente i ferri che teneva stretti tra le mani, intenta a creare un nuovo maglione di lana verde. Ci salutò appena, borbottando qualcosa sull’avvertire prima per la cena. Fuori era già buio e l’aria fredda mi pungeva il viso. Quanto rimpiangevo l’estate appena trascorsa col suo sole, il suo caldo e le lunghe ore di luce. Amavo l’estate, mi metteva allegria e m’infondeva una dose inesauribile di energia. Scesi i pochi gradini dell’ingresso di casa mia e salii sull’auto di Angy, una mini cooper grigia metallizzata che era parcheggiata proprio lì davanti. «Meta?» domandai alla mia amica. «Piazza Vittorio va bene? Lì non dovremmo incontrare nessuno, ci vanno tutti domani sera». «Affare fatto!». Ci avviammo verso il luogo prescelto e mentre l’automobile scivolava leggera sulle strade cittadine, io vagavo con lo sguardo fuori dal finestrino, mentre dalla radio salivano lente le note di una canzone di Tiziano Ferro. Avvicinandoci verso il centro di Torino, apparve davanti ai miei occhi la Gran Madre e i ponti sul fiume Po illuminati dai lampioni. La mia città era veramente fantastica in tutti i periodi dell’anno. Peccato che non fosse abbastanza pubblicizzata da attirare più turismo, ne aveva di storia da offrire e di monumenti da visitare.
Con l’avvento delle Olimpiadi aveva acquistato popolarità, ma mi era parso che, comunque, quell’ondata di visitatori fosse diminuita drasticamente poco dopo. Mentre ero sovrappensiero, la mini iniziò a scendere una rampa e mi resi conto che eravamo arrivate nel parcheggio sotterraneo di Piazza Vittorio Veneto. Lasciata l’auto, salimmo le scale che portavano in superficie e ci dirigemmo al locale prescelto. Era pieno di gente, ma per fortuna nessuno che conoscevo. Ci sedemmo nell’ultimo tavolino rimasto vuoto e il cameriere prese la nostra ordinazione: una caipiroska alla fragola e una vodka lemon. A turno riempimmo due piatti dal buffet e mangiammo chiacchierando di argomenti leggeri. A un certo punto il mio sguardo si posò sul ragazzo che stava entrando insieme al suo amico. Angelica seguì la direzione dei miei occhi ed esordì «Wow! Ora capisco perché ti sei imbambolata! Sono due boni da paura!». Mi riscossi rendendomi conto che li stavo fissando «Smettila! Non è quello il motivo… però… è vero…non sono niente male… anzi!». «Niente male? Li definiresti solo niente male? Sono una visione divina!». Risi allegramente «D’accordo sono dei bellissimi ragazzi, ma non era quello il motivo per cui mi sono imbambolata» «Mmm… qui non ci vedo chiaro. Li conosci?». «Bé, conoscere è una parola grossa. Vedi quello più alto?». Angy corrugò il sopracciglio e atteggiò le labbra in una smorfia «Io non trovo differenza tra i due». Alzai gli occhi al cielo, c’era e come la differenza «Ok ok, vedi quello con il maglione a collo alto color panna, il giaccone marrone e i jeans scuri?».
Angelica annuì ed io proseguii «E’ Daniel Sartori, il poliziotto che è venuto a interrogarmi stamattina». «Quello????» Il tono di Angel era di qualche nota più alto del normale e i ragazzi seduti al tavolo di fianco al nostro si girarono. Mentre ridevo, con la mano che ondeggiava piano su e giù, le feci segno di abbassare il volume. Lei scrollò le spalle «Ma chi se ne importa se qua fanno gli snob. Tu mi vuoi dire che lui è il poliziotto? E l’hai lasciato andare via?». «E che dovevo fare? Rapirlo?». «Non so se ti rendi conto! E’ un fotomodello e pure l’amico… anzi perché non me li presenti?» domandò con estrema convinzione e piena di aspettative, pregandomi con i suoi occhioni da cerbiatta. «Angy! Ti pare che adesso vado pure a fare amicizia col poliziotto? Ho già abbastanza guai così». «Certo che sì! Forza chiamalo!». Mentre lei pronunciava queste parole, i due giovani si avvicinarono a noi. Daniel posò le mani sullo schienale di una sedia e asserì «Ciao Crystal! Anche tu qui?». Le mie guance avvamparono d’imbarazzo «Sì, io e la mia amica abbiamo deciso di provare un posto nuovo per l’apericena. Tu ci vieni spesso?». «In realtà è la prima volta che ci metto piede, però mi sembra un posto carino» disse mentre si guardava attorno compiaciuto. «Molto direi». Angelica colse la balla al balzo e manifestò il suo entusiasmo «Siccome sei un amico di Cry, perché non vi unite a noi? Ovvio, se non avete appuntamento con nessun altro».
Daniel sfoderò un sorriso meraviglioso «Veramente siamo soli stasera. Accetto volentieri se anche Andrea è d’accordo». L’amico di Daniel acconsentì e si sedettero al tavolo con noi ordinando un martini bianco con succo d’arancia e un mojito. Daniel aveva occupato il posto accanto al mio «Allora, come stai? Stamattina mi sembravi agitata». «Meglio grazie. Diciamo che non è un bel ricordo e parlarne mi fa quell’effetto. Stasera preferirei evitare l’argomento se non ti dispiace». «Affatto. Anzi, scusa se te l’ho chiesto». «Non fa niente, tranquillo» lo rassicurai. «Dato che siamo qui, direi di conoscerci un po’ meglio. Ti va? In effetti, io qualcosa di te lo so». Mi sorpresi, poi pensai che doveva aver letto i miei dati nel verbale della polizia. Giocherellando con il bicchiere sistemato davanti a me, chiesi maliziosamente «E cos’è che sapresti?». Lui si fece pensieroso e posò il braccio sul tavolo, portando una mano sul mento e guardando in alto nel vuoto «Dunque… che hai ventuno anni e che ti chiami Crystal». «Signor Sartori lei sa veramente troppo sul mio conto!» lo incalzai allegra. Esplose in una risata argentina ed io lo seguii a ruota. Parlammo un po’ di noi, scoprii che aveva venticinque anni e da tre era entrato a far parte della polizia. Mi raccontò di amare molto il calcio (tipico degli uomini) e le auto sportive, infatti, possedeva un’Audi TT nera. Io gli raccontai dell’università, delle mie amicizie e che amavo ballare i balli latino-americani, anche se la mia poca coordinazione mi rendeva alquanto ridicola. Lui m’informò che aveva seguito, a sua volta, qualche corso di salsa e bachata e non se la cavava niente male.
Il tempo trascorse velocemente in compagnia dei ragazzi e durante la serata notai che Angelica era molto rapita dai discorsi di Andrea. Alla fine decidemmo che era ora di andare a casa. Ci vollero accompagnare all’auto a tutti i costi e, mentre scendevamo le scale che portavano al parcheggio sotterraneo, Daniel rimase un po’ più indietro rispetto agli altri e mi tirò per un braccio fino a farmi fermare accanto a lui. «Crystal io…» balbettò «Ti andrebbe di rivedermi?» disse tutto d’un fiato prima di perdere il coraggio. Lì per lì arrossii e rimasi in silenzio. Le questioni sentimentali tiravano fuori il lato timido nascosto dentro di me. Daniel mi guardava intensamente con i suoi occhioni azzurri «Se non ti va, non c’è problema» affermò deluso. Mi resi conto di aver dato l’impressione sbagliata «Figurati! Certo che mi va. Scusami tanto, ma queste cose m’imbarazzano sempre e mi rendono imbranata». Rincuorato, mi chiese il numero di telefono estraendo il suo cellulare dalla tasca del giaccone. Glielo diedi e lui fece squillare il mio, in modo da rimanermi impresso il suo. Raggiungemmo gli altri e, salutati i ragazzi, ci dirigemmo verso casa mia. Angelica era entusiasta «E’ l’uomo della mia vita! Me lo sento!». «Angy, ogni volta che incontri un bel ragazzo è l’uomo della tua vita e poi dura sempre poco più di un battito di ciglia!». «Questa volta è diverso. Andrea è maturo, fa discorsi intelligenti ed è molto simpatico oltre che bello da impazzire! Hai visto che occhi?». Effettivamente anche Andrea era un bel ragazzo, anche se non era il mio tipo. Alto, con un bel fisico, portava i capelli neri lunghi fino alle spalle tenuti in ordine da una coda e aveva grandi occhi nocciola. «Non è il tipo di ragazzo che mi attira, ma devo ammettere che è molto
affascinante e che mi sono trovata bene in sua compagnia». Ironicamente Angy rispose «Eh, lo so io chi ha fatto colpo su di te…vero?». Mi sentii avvampare e mi volsi a guardare fuori dal finestrino «Non dire sciocchezze. Nessuno ha fatto colpo su di me». La mia amica mosse l’indice verso il mio viso «A chi vuoi darla a bere… Come se non avessi notato com’eri assorta a parlare col bel Daniel… Approvo in pieno! Sposatelo!». «Addirittura! Ok, mi piace e… mi ha chiesto il numero per rivederci. Ma non vuole dire un bel niente». Angelica fece un sorriso a trentadue denti «Davvero? E quando?». «Oh Angy, non cambierai mai! Mi ha invitato domani sera a cena. Gli ho detto che ci penso e gli do una risposta domani mattina». «Tu sei pazza! Ma come? Dovevi dirgli di sì!». «No invece» risposi abbassando il tono della voce «Voglio prima capire fino a che punto m’interessa e poi, dopo la batosta che mi ha dato Luca, voglio andarci con i piedi di piombo». Angelica si calmò e pacatamente affermò «Lo capisco. Hai sofferto molto per Luca e mentre tu piangevi, lui se la sava con sca. Ma adesso è rimasto fregato e a voler fare il doppio gioco è rimasto senza né una né l’altra. Ben gli sta! La ruota gira per tutti prima o poi e chi fa del male, se lo ritrova». Restai in silenzio qualche secondo poi dichiarai «Qualche sera fa mi ha mandato un sms». Angelica diventò paonazza di rabbia. Aveva giurato che se solo avesse provato a riavvicinarsi a me dopo quello che mi aveva fatto are, se la sarebbe vista con lei «Che coraggio che ha! E che voleva quel donnaiolo da strapazzo? Ma… perché non me l’hai detto?». «Volevo dirtelo, ma con la tragedia accaduta la mattina dopo e tutto quel che ne è seguito, mi è ato di mente. Aspetta che te lo leggo».
Estrassi il cellulare dalla borsetta, cercai il messaggio e cominciai a leggerlo «Ciao Cry. Ti starai chiedendo perché ti scrivo e forse non ne ho neanche il diritto. Volevo dirti che ho riflettuto molto e mi manchi. Ho bisogno di rivederti e parlarti. Ti prego dammi un’altra possibilità. Sono stato uno stupido e me ne sono reso conto troppo tardi». «Gli hai risposto?». Sospirai «No». Nel frattempo una lacrima solcò la mia guancia lentamente finché cadde nel vuoto e finì il suo percorso atterrando sui miei pantaloni. In quel momento arrivammo davanti a casa e la mia amica parcheggiò. Rendendosi conto del mio tono grave, si tolse la cintura di sicurezza e mi strinse in un abbraccio «Mannaggia Cryssi, questo proprio non ci voleva. Che hai intenzione di fare?». «Non lo so. Sono tanto confusa. Ho desiderato tanto che tornasse e ora… non so più cosa voglio. Quando ho scoperto che mi tradiva ho sofferto così tanto che mi sembrava di essere morta, di vivere la vita di un’altra e ora lui ricompare come se niente fosse. Che cosa devo fare Angy?» Scoppiai in un pianto dirotto. «Non lo so Cryssi, non lo so. Entriamo in casa e sotto le coperte ne parleremo meglio» Rovistai nella borsa in cerca delle chiavi con gli occhi appannati. Le trovai e aprii la porta. In silenzio salimmo le scale fino a ritrovarci nella mia cameretta. Infilammo il pigiama, ci struccammo e dopo aver tolto tutti i fogli sparsi sul letto, ci sistemammo sotto il caldo del piumone. Angelica riprese il discorso «Mi fa una tale rabbia! Adesso che ti stavi riprendendo ecco che arriva lui a rovinare tutto! Mi viene una gran voglia di prenderlo a calci nel sedere!». «A chi lo dici. Mi ha fatto stare malissimo e ora mi rivuole. Però… mi sto chiedendo se è tornato perché davvero si è reso conto di amarmi ancora o perché si sente solo e qui c’è la scema che l’ha sempre trattato meglio di un re». «Non saprei cosa risponderti. Tutto può essere. Lo sai che io sono dalla tua parte
qualunque decisione prenderai, ma stai ben attenta. Secondo me devi valutare bene anche questa nuova conoscenza. Daniel mi sembra un bravo ragazzo». «Sì e mi sono trovata molto a mio agio stasera, mi sono divertita. Diciamo che mi sento divisa a metà tra il ato e il futuro. Vedremo col tempo. Voglio sentire cos’ha da dire Luca, ma domani sera uscirò con Daniel. Che ne dici?». «Dico che è la soluzione migliore!». «Adesso dormiamo però, è molto tardi. Buonanotte Angy» «’Notte Cryssi».
Gioco di lettere
Ma che succede! Mi trovo al luna park e fa caldo! Finalmente è arrivata l’estate ed io sto così bene. C’è molto caos, le giostre sono piene. Strano che ci sono venuta da sola, non è da me. Io odio la solitudine. Forse i miei amici stanno facendo un giro sulla ruota panoramica ed io non sono salita perché soffro di vertigini. Allora perché non mi ricordo? Cammino per il parco divertimenti e guardo i visi dei bambini tutti arrossati e contenti. Poi noto la casa degli specchi e decido di entrare… senza biglietto! Non è possibile che il giostraio me lo permetta! Invece mi saluta allegro dalla sua postazione ed io mi avvio verso l’ingresso. Entro nella giostra e comincio a perdermi e sbattere tra gli specchi. A un certo punto, sopra la mia testa, sento muoversi qualcosa e, da un secchio appeso sul soffitto, cadono tante lettere dell’alfabeto di plastica. Mi abbasso per raccoglierle ma queste cominciano a muoversi da sole, animate da chissà quale forza. All’inizio mi spavento, poi rido divertita perché vedo che su ognuna spunta un visetto e tirano fuori manine e piedini che prima tenevano nascosti. Si prendono per mano e iniziano a correre. Io le seguo e senza difficoltà arrivo in fondo al labirinto magico, fino a trovarmi in un salone con un enorme specchio. Le lettere gli si fermano davanti e cominciano a mischiarsi tra loro, poi si fermano e si distendono a terra tornando inanimate. Mi avvicino e guardo contro lo specchio. Hanno formato parole senza senso o in una lingua a me sconosciuta. M’inginocchio e cerco di prenderne una in mano, ma queste si rianimano e ricominciano a mischiarsi fino a fermarsi di nuovo. Guardo di nuovo contro lo specchio e vedo che stavolta le parole hanno un significato logico.
Esulto di gioia! Ora ho capito!
Mi svegliai immediatamente e cominciai a scuotere Angelica per farle aprire gli occhi. «Che succede?» brontolò stropicciandosi gli occhi con le mani chiuse a pugno. «Forse ci siamo!». «Come scusa?» Diede uno sguardo all’orologio «Cry, sono le cinque del mattino! Siamo andate a dormire tre ore fa tra una cosa e l’altra». «Angy, forse non hai sentito bene. Ho fatto un altro sogno, forse ho la soluzione!». A quelle parole Angelica si alzò a sedere di colpo e sbarrò gli occhi subito attenta e in ascolto «Sono tutta orecchie, dimmi!». Le raccontai lo strano sogno contorto e poi arrivai al dunque «Quindi è un anagramma! Capisci? Dobbiamo mischiare le lettere delle parole del messaggio e probabilmente avremo risolto il mistero! Se penso a come siamo impazzite tutto il giorno…». «Io dico solo che a saperlo ti mandavo a dormire oggi pomeriggio». «Mica arrivano a comando questi sogni e, comunque, inizio davvero a pensare che facciano parte di me ed io non l’ho mai saputo». «Credo anch’io. Che bello! Ho un’amica medium!». «Ora non esagerare. Comunque ci penseremo domani. Ora torniamo a nanna». «Non sei curiosa?». «Moltissimo, ma il sonno è più forte della curiosità. Sarà comunque un lavoro lungo e non è detto che questo sia un altro sogno premonitore, per cui buonanotte nuovamente». Chiusi le palpebre e mi riaddormentai immediatamente. Il resto della mattinata la
ai senza altre interruzioni.
In cerca di soluzioni
Mi svegliai verso le dieci del mattino. Il pallido sole di novembre entrava dalla finestra e sembrava voler comunicare con la sua debolezza che l’autunno stava per lasciare il posto all’inverno in poco più di un mese. Stiracchiai le braccia verso l’alto e mi voltai. Angelica era già sveglia ed era immersa nella lettura dell’ultimo best seller uscito. Quando si accorse che mi ero svegliata esclamò «Finalmente! Mi chiedevo quanto avrei dovuto ancora aspettare per scoprire quel messaggio!». «Ti prego Angy fammi riprendere! Sai che ci metto un po’ a connettere appena sveglia. E poi che fretta c’è, ti ricordo che tutto ciò non è un gioco. Un uomo è morto tra le mie braccia per quella lettera e non è detto che siamo al sicuro!». «Lo so Cry, ma ormai siamo in ballo e balliamo. Sono sicura che per noi sia ancora presto per morire!». «Cavolo Angy! Rimango dell’idea che non è giusto che tu rischi con me, anche se devo ammettere che la tua presenza mi dà la forza e il coraggio di andare avanti. Da sola non so se ce l’avrei fatta». «Ce l’avresti fatta lo stesso, ma due menti sono meglio di una sola! Allora cominciamo?». «Tra un po’, prima direi di alzarci, rifare il letto, prepararci e fare un’abbondante colazione. Abbiamo tutto il tempo di far funzionare i nostri cervelli e poi… il mio non si avvia senza zuccheri!». «La solita golosa! Muoviamoci allora che la mia curiosità sta per arrivare al culmine!». «Io do la precedenza al barattolo di Nutella!». Detto questo, scalciai via le coperte e mi alzai.
Angelica seguì il mio esempio e dopo aver attivato il lettore cd, iniziammo a rifare il letto sulle note di Always di Bon Jovi. Subito dopo ci demmo il cambio in bagno per una doccia veloce e indossammo due tute: io rosa e argento, Angy viola e lilla. Scendemmo in cucina a preparare la colazione. Il sabato, Alena, di solito ava la mattinata al mercato a comprare squisitezze e chiacchierare con le sue amiche. A me non dispiaceva, mi piaceva destreggiarmi tra i fornelli. La mia tata mi aveva insegnato tutto quello che sapevo e molte volte la aiutavo. Quella mattina, comunque, sarebbe bastata la macchinetta del caffè a cialde e aprire lo sportello dei dolciumi. Mi misi a fare due cappuccini, mentre la mia amica sistemava sul tavolo un barattolo di Nutella, marmellata alle fragole e fette biscottate. Ci riempimmo la pancia spettegolando un po’ come si fa tra amiche. Poi riponemmo tutto e ci precipitammo in camera mia per metterci al lavoro. Prendemmo fogli e penne e ci sistemammo sul pavimento con il messaggio ricopiato in mezzo a noi due. Dopo qualche tentativo, però, iniziammo a scoraggiarci. Non riuscivamo a formare una frase logica. Sconsolata iniziai a fare il punto della situazione «Allora… allegria si trasforma in allergia e galleria» e lo trascrissi su un foglio pulito, poi ripresi «albusapin proprio non lo capisco; mentre pizaza può essere pazzia… ma non avrebbe senso». La mia amica intervenne «Oppure piazza!». «Si è vero, mischiando le lettere esce anche piazza; scalleto… scollate. Poi deco diventa cedo… celu può trasformarsi solo in luce, come id in di e allest diventa stalle o stella». Riguardammo il foglio sul quale avevo annotato tutto e cominciammo a formare
delle nuove frasi, per poi cancellarle poiché senza senso:
Allergia pazzia scollate cedo luce di stella Galleria piazza scollate cedo luce di stella Galleria della pazzia scollate cedo luce di stalle Galleria della pazzia scollate cedo luce di stella Allergia di piazza scollate cedo luce di stalle Allergia di piazza scollate cedo luce di stella
Mi tirai indietro i capelli sempre più abbattuta. Evidentemente la parola che non eravamo riuscite ad anagrammare era decisiva per dare un significato a quel misterioso messaggio. Nel frattempo si era fatta ora di pranzo e dal piano inferiore si sentiva arrivare un buon odore di pesce. «Hai sentito che profumino Angy?». «Sì, Alena sta cucinando e, in effetti, la mia pancia inizia a reclamare». «Io proporrei di andare a riempirla e poi torniamo su. Magari con una pausa arriveremo alla soluzione». «Sono pienamente d’accordo!». In un batter d’occhio eravamo sedute al tavolo da pranzo e davanti a noi c’erano due piatti contenenti della buonissima paella. «Alena sei un tesoro! Sai che la adoro!» affermai sorridente. «Certo mi niña! Volevo farti contenta!».
«Ci sei riuscita in pieno!». Subito dopo che finii la frase sentii girare la chiave nella toppa ed entrò mio padre. Mi fiondai ad abbracciarlo. Il giorno prima non l’avevo visto per niente ed ero contenta di poter pranzare con lui. «Papà! Che sorpresa! Non sapevo che tornassi per pranzo! Vieni subito a sederti che Alena ci ha preparato la paella!» gli dissi mentre si sfilava il giaccone e lo appendeva. «Mannaggia a questa tata» iniziò a dire sventolando un dito verso Alena in finto rimprovero «Continua a viziarci». Io risi e ci accomodammo entrambi sulle rispettive sedie. Intanto Alena, velocissima ed efficiente come al solito, aveva già aggiunto il posto per mio padre. «Buon appetito a tutti!» augurai. Dopodiché, iniziai a mangiare. Quando il piatto fu vuoto, esclamai «Fantastica! Era davvero buona tata!». Alena borbottò qualcosa d’incomprensibile. Dopo tutti quegli anni di servizio in casa nostra, s’imbarazzava ancora per i complimenti. Come secondo aveva preparato dei calamari fritti che tutti gustammo, accompagnandoli con della sangria. Finimmo il pasto con del bonet, un dolce tipico piemontese al gusto di cioccolato, con gli amaretti sbriciolati sopra. Papà ci raccontò che quella mattina aveva fatto nascere due bambini: un maschio e una femmina e, per fortuna erano nati entrambi sani. Mio padre amava il suo lavoro ed era davvero bravo nello svolgerlo. Avevo sempre pensato che se un giorno avessi avuto un figlio, sarebbe stato bello se fosse stato il nonno a farlo venire al mondo. Ovviamente erano solo pensieri, ero ancora troppo giovane, anche se l’amore era già riuscito a deludermi.
Mio padre si alzò e si andò a stendere sul divano. Aveva cominciato il turno alle sei del mattino e voleva riposarsi un po’. Gli diedi un bacio sulla guancia e, mentre Alena tornava alle sue faccende, Angelica ed io tornammo al lavoro. Ricominciammo a mischiare lettere e creare frasi finché riuscii a decifrare la parola mancante «Finalmente!». Angy alzò la testa in trepida attesa ed io non tardai a comunicarle la notizia «Sono riuscita a capire quella parola! E’ subalpina!». Angel cominciò ad applaudire «Brava Cry! Adesso dovrebbe avere un senso!». Annotai le nuove frasi:
Allergia subalpina piazza scollate cedo luce di stella Galleria subalpina piazza scollate cedo luce di stella o di stalle
«Non è possibile! Neanche così ha senso! Inizio a perdere le speranze di farcela!» dissi amareggiata. «Dai Cry, non ti buttare giù, vedrai che ce la faremo! E poi scusa, almeno l’inizio significa qualcosa… non ti viene in mente nulla?». Corrugai la fronte e mi misi a pensare, mordendomi il labbro inferiore per il nervosismo che provavo. Era un brutto vizio che avevo fin da bambina. Poi si accese la lampadina nella mia mente e i miei occhi s’illuminarono a festa «Hai ragione! Sei un genio! La Galleria Subalpina è in centro, si trova in piazza Castello!». Mi rinvigorii e trovai nuova energia, quando dichiarai «Castello non scollate! Avevamo sbagliato parola, per quello i conti non tornavano. Comunque rimane sempre qualcosa che non va… quel cedo nella frase non si accorda col resto».
Ricominciai a rimuginare, poi mi venne un’intuizione «E se…». Lasciai la frase a metà e Angelica rimase in attesa di capire cosa mi asse per la testa, ma aveva sul viso un’espressione speranzosa. Trascrissi la soluzione e battei le mani fiera di me stessa:
“Galleria Subalpina Piazza Castello code stella di luce„
Io e la mia amica del cuore esultammo come pazze, finché non arrivò una furibonda Alena a spegnere la nostra allegria «Chicas!» tuonò battendo il piede sul pavimento e tenendo le mani sui fianchi «Ma vi sembra il caso? Matteo sta riposando de abajo e se voi continuate con questo estrépito, lo sveglierete!». Angelica mi guardava interrogativa. La maggior parte delle persone, quando Alena parlava mischiando l’italiano e lo spagnolo, non la comprendevano; nemmeno la mia migliore amica che a casa mia c’era cresciuta. Risposi io per tutte e due con espressione colpevole «Hai ragione. Scusa tanto. Faremo silenzio». «Me lo auguro» Detto questo, girò sui tacchi e se ne andò. Angy mi guardò perplessa girando i palmi delle mani verso il cielo «Ma che ha detto?». Con voce imperiosa, imitando quella di Alena, risposi «Ragazze! Matteo sta riposando di sotto, smettetela di far chiasso o lo sveglierete!». Scoppiammo a ridere e riportammo la nostra attenzione al messaggio infine individuato. Esclamai «Hai visto dov’era il trucchetto? Noi ci ostinavamo a cercare delle parole italiane, invece deco si trasformava in code! In inglese!». «Si ok, fin qua ci siamo, però… non capisco lo stesso che informazione può
venirci da questa frase». «In effetti, non ha senso, non possiamo metterci a esplorare tutta la galleria e i suoi negozi». Ad Angelica venne un dubbio «Sei sicura di aver trascritto tutte le parole?». «Penso di sì, comunque vediamo». Ripresi la lettera originale e con la torcia ripercorsi la scritta. Era giusta. Riflettei un attimo, poi provai a guardare tutto il foglio dall’inizio alla fine a scoprii che c’era ancora una parola nascosta, solo che si trovava più in basso e non ci avevo fatto caso. Lo dissi ad Angelica «Hai ragione, qui c’è ancora scritto qualcosa, guarda». «Chittania» lesse Angy. Ci mettemmo poco a capire e finalmente il messaggio fu a nostra disposizione. L’ultima parola era antichità. Accesi il pc e mi collegai a internet. Digitai il tutto e mi apparve il risultato. Era un negozio che si chiamava “Il mercatino delle antichità” e vendeva articoli antichi e libri rari, aperta tranquillamente al pubblico. A quel punto entrai in confusione profonda. Che bisogno c’era di tenere nascosto un negozio e a cosa serviva un codice? Per comprare un libro o un vaso dell’ottocento? Proposi di andare subito a verificare, quando squillò il cellulare. Sul display appariva che avevo ricevuto due messaggi, uno evidentemente era arrivato quando stavo pranzando e in seguito ero troppo coinvolta nella risoluzione dell’anagramma per preoccuparmi di controllare se qualcuno mi avesse cercato. Il primo sms era di Daniel e diceva: “Buongiorno Crystal, come va? Spero di non disturbarti. Volevo sapere se avevi pensato all’appuntamento di stasera e se
hai deciso di accettare il mio invito a cena. Fammi sapere. Mi farebbe molto piacere„. Il secondo era di Luca: “ Ciao Cry, sono ancora io. Non hai risposto al messaggio che ti ho inviato e hai pienamente ragione a ignorarmi, ma ho davvero bisogno di parlarti. Forse è troppo chiederti di darmi un’altra possibilità, però almeno ascolta quello che ho da dirti. Possiamo vederci nel pomeriggio? Ti prego dimmi qualcosa. Mi manchi„. Se Daniel mi aveva messo allegria, Luca mi aveva intristito. Mi trovavo tra due fuochi. Da una parte ero tentata di seguire la nuova strada e vedere dove mi portava, anche se ormai non avevo un’alta concezione dei ragazzi dopo il comportamento del mio ex fidanzato; dall’altra volevo sentire cos’aveva da dirmi Luca, eravamo stati insieme quattro anni e quel forte sentimento che provavo per lui non si poteva cancellare facilmente, anche se erano ati nove mesi da quando c’eravamo lasciati. ai il cellulare alla mia amica, anche se prevedevo già la sua risposta «Ovvio che dirai di sì a Daniel, mentre Luca… rimango sempre dell’idea che dovresti continuare a non rispondergli. Ma tanto so già che lo ascolterai. Almeno evita di farti imbambolare. Ora hai Daniel per le mani, non fartelo scappare». Sospirai «Lo so che tu tifi per Daniel e mi attrae, davvero; ma con Luca ho condiviso quattro anni, non posso far finta di niente… non ci riesco». Angelica s’infervorò «E quando lui ti tradiva con sca, ha pensato ai vostri anni insieme? No! Non dubito che ti abbia amato, ma negli ultimi mesi non credo che provasse più quel sentimento e secondo me ora si sente solo e basta». Con le lacrime agli occhi risposi «E se non fosse così? Se invece si è accorto di amarmi? Lo so che mi ha fatto una cosa orribile! Ma è più forte di me, io devo vederlo». «Tu sei fuori di testa! Ti farai del male da sola se lo perdoni e ti farà soffrire ancora quando troverà la prossima poco di buono». «Non ho detto che ci tornerò insieme. Ho solo detto che lo voglio ascoltare». «Già solo il fatto che ci pensi e ti poni domande fa capire che ci stai riflettendo. Ti lascerò fare, spero che aprirai gli occhi e sceglierai la via migliore per te».
Annuii «Te lo prometto! Voglio essere sicura prima di prendere qualsiasi decisione, in modo da non illudere nessuno». «D’accordo Cry, proverò a fidarmi del tuo buon senso, sempre che tu ne abbia ancora». Risposi di sì a Daniel per la sera e lui mi confermò che sarebbe ato a prendermi per le otto. Con Luca, invece, fissai un appuntamento per il pomeriggio seguente. Oggi avevo ben altri progetti: una visita al mercatino delle antichità.
Il mercatino delle antichità
Dopo esserci vestite e truccate, io e Angy ci eravamo precipitate alla Galleria Subalpina, la più elegante fra le gallerie di Torino. Fu costruita nel 1873 su progetto dell’architetto Pietro Carrera e i lavori durarono un anno. Fu battezzata in questo modo perché ad assumersi l’onere della costruzione, fu la Banca Industriale Subalpina e collega Piazza Castello con piazza Carlo Alberto. Da molti è considerata il “salotto di Torino” poiché, al tempo di Torino capitale, rappresentava un aggio aperto, nel punto in cui si trovavano gli uffici del ministero delle Finanze. All’interno di questa galleria, si fondono elementi rinascimentali e barocchi e possiede aiuole e una bellissima balconata. Col are del tempo, non sono state apportate modifiche significative ed essa, continua a ospitare esercizi di alto livello come, ad esempio, il ristorante Arcadia e una galleria d’arte. Io e Angy trovammo senza difficoltà il negozio. C’eravamo sempre ate davanti senza farci mai realmente attenzione. Entrammo e il camlo situato sopra la porta trillò. Ci guardammo intorno. Eravamo circondate da scaffali ricolmi di libri dalle rilegature eleganti, vecchie stampe appese attentamente ai muri, vasi di porcellana venati d’oro, articoli da toeletta d’argento, scrittoi di legno perfettamente restaurati e quant’altro si potesse desiderare. Alle narici arrivò un buon odore di antico e mi sembrò di essere catapultata indietro nel tempo. Chiusi gli occhi per assaporare meglio quell’atmosfera. Quando li riaprii, mi accorsi che dietro al bancone era apparso un uomo, sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e una barba ben curata. Era alto, magro e vestito elegantemente. Quando si avvicinò, notai che aveva un portamento
signorile. «Buonasera signorine. Posso esservi utile?». Mi guardai intorno per assicurarmi che all’interno del negozio non ci fosse nessuno, poi presi parola «Spero vivamente di sì». «Mi dica pure, allora, sono a sua completa disposizione» rispose gentilmente. «Prima di tutto vorrei sapere se siamo soli all’interno del negozio». L’uomo mi guardò circospetto. Quindi aggiunsi «Lo so che è una richiesta strana, ma non ho cattive intenzioni, glielo assicuro. Purtroppo non ho neanche io un’idea precisa di quello che sto per chiederle». Il negoziante sembrò credermi e asserì che oltre a noi tre il negozio era deserto sia davanti sia nel retro bottega. Ero lieta che si fosse fidato «La ringrazio per la fiducia, non so se io avrei fatto lo stesso». «Di niente signorina. Mi sembra che lei abbia un viso affidabile, spero di non sbagliarmi». Feci di no con la testa e proseguii «Dunque… avrei bisogno di chiederle se esiste un libro che ha a che fare con una stella di luce». L’espressione sul viso del negoziante mutò e immaginai che stesse valutando se fossi per caso matta. Forse avevo sbagliato ad andare fin lì? Stavo già per chiedere scusa del disturbo e andarmene trascinando con me Angelica, quando finalmente parlò «Posso sapere il suo nome prego?». Mi allarmai e domandai nervosamente mangiandomi le parole «Per quale motivo? Ho detto qualcosa di male?». «No signorina, ma ho necessità di saperlo. Io mi sono fidato di lei prima, ora la
prego di fare lo stesso con me». Il suo discorso non faceva una piega. Guardai Angelica indecisa sul da farsi e anche lei alzò le spalle non sapendo cosa consigliarmi. Decisi di rispondere, altrimenti non sarei mai andata in fondo a quella storia «Crystal… Crystal Mancini». Il viso dell’uomo s’illuminò insieme ai suoi occhi azzurrissimi e mi strinse forte esclamando «La figlia di Soraya! Finalmente dopo tutti questi anni!». Una lacrima gli rigò il viso ed estrasse un fazzoletto dalla tasca per asciugarsi gli occhi. «Lei conosceva mia madre?». «Certo bambina! Eravamo molto amici, condividevamo lo stesso amore per i libri antichi e gli oggetti rari. Spesso visitavamo castelli, musei e monumenti. Eravamo sempre noi due e un’altra cara amica che si chiamava Celeste. Siamo cresciuti insieme.» Angy s’immobilizzò e chiese «Celeste Nardi?». L’uomo asserì «La conosceva?». «Era mia madre». Il negoziante ricominciò a piangere «Non ci credo! Oggi per me è una bellissima giornata! Le figlie delle due donne che per me erano come sorelle sono qui. Ringrazio Dio per questo miracolo». Si asciugò nuovamente gli occhi, poi strinse le nostre mani presentandosi «Mi chiamo Tommaso, avete mai sentito parlare di me?». Con imbarazzo risposi «Mi dispiace, ma devo ammettere di no». Tommaso non sembrava sorpreso «Lo immaginavo. Eravate troppo piccole quando le vostre mamme sono scomparse e i rapporti con i vostri padri si sono persi». Sospirò «Comunque è ora di are alle questioni importanti. Vieni Crystal,
vedrai cos’è che riguarda la stella di luce». Lo seguimmo in mezzo agli scaffali ed io, nel frattempo, mi guardavo intorno stupefatta. Quanti anni di storia erano conservati lì dentro. Copertine finemente decorate, pagine ingiallite dal tempo. Mi ripromisi che in futuro avrei fatto visita più spesso a Tommaso e al suo negozio incantato. Volevo andarci con più calma per potergli chiedere di raccontarmi della mamma attraverso i suoi ricordi. Da papà avevo raccolto notizie dall’anno in cui si erano conosciuti in poi, da Tommaso potevo sapere com’era Soraya nell’infanzia e nell’adolescenza. L’antiquario si fermò presso lo scaffale più nascosto e, dopo aver spostato alcuni libri, premette con la mano sul legno. Apparve una fessura abbastanza larga da permettere a Tommaso di infilarci la mano e subito dopo estrasse un sacchetto rettangolare che conteneva qualcosa. Premette di nuovo sul legno, questa volta sul lato e la fessura si richiuse. Rimise a posto i libri e ci fece segno di seguirlo. Ci condusse nel retrobottega e posò il sacchetto sul tavolo. Con cura estrasse il volume al suo interno e me lo consegnò. «Cos’è?» Chiesi senza capire. «La stella di luce» Mi rispose l’uomo. «Io non capisco… davvero…». Tommaso, sempre in tono basso proseguì «E’ il diario di Soraya. L’ha scritto per te. Voleva trasmetterti la sua conoscenza, ma non saprei dirti come si apre». In effetti, il volume era chiuso su tutti i lati e non si vedevano neanche le pagine. Come aprirlo non era il mio unico pensiero, allora tramutai in parole ciò che mi ava per la mente «Però, se questo è il diario di mia madre… come mai si trova qui e non a casa? E come mai era custodito in uno scomparto segreto?».
Sul viso di Tommaso comparve un’espressione triste e stanca «Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, insieme alle tue domande… ma non si può mai essere pronti a rispondere a questi interrogativi. Sedetevi. La storia che mi accingo a raccontarvi non vi piacerà, ma spero che ne capirete il valore». Angelica ed io ci sedemmo e Tommaso iniziò a raccontare «Soraya cominciò a scrivere questo diario quando nascesti tu. Doveva fare in modo che sua figlia la conoscesse e comprendesse tutti i suoi segreti. Ci mise due anni a riempire le pagine di questo volume. Poi però… tre anni dopo, cominciò l’ennesima battaglia che si combatte da secoli» Fece una pausa. Evidentemente il racconto gli costava fatica e pur facendomi male, sentivo che ciò che Tommaso aveva da dire mi sarebbe servito; oltretutto ero avida di conoscenza. Finalmente riprese «Non posso spiegarvi altro purtroppo, devi cercare da sola le risposte. Torna pure quando vuoi, ti aiuterò volentieri nel tuo cammino, ma per ora non posso rivelarti nient’altro. Sarebbe pericoloso se orecchie indiscrete udissero. Trova il modo di aprire il diario di Soraya e le tue domande inizieranno ad avere risposta». «E' assurdo…» replicai «Se puoi aiutarmi perché non lo fai? Perché è pericoloso? Mia madre non mi avrebbe mai esposto a rischi». «Non posso perché sono vincolato dal codice del segreto. Per quanto riguarda tua madre purtroppo ha dovuto, è nel tuo destino come lo era nel suo. Ora ti prego va e torna quando desideri. Sarai sempre la benvenuta qui». Ci alzammo tutti e tre e dopo esserci salutati, io e Angelica tornammo subito a casa mia.
Teniamola d'occhio
Flavio era nascosto nella Galleria Subalpina. Aveva seguito le mosse di Crystal e l’aveva vista entrare nel negozio di antiquariato, per poi uscirne con un volume stretto tra le braccia. Evidentemente era quello il nascondiglio del diario di Soraya. Il suo padrone sarebbe stato molto contento di quella novità. Ora non restava che farne il resoconto a Giulio, che lo avrebbe riportato al gran capo. Gli dispiaceva non potergli parlare direttamente. Magari, se avesse continuato a far bene il suo lavoro, gli avrebbe permesso di scoprire la sua identità. Era molto curioso… Seguì a distanza le due ragazze e quando vide che erano tornate a casa di Crystal, fece inversione con l’auto e si diresse verso una via nascosta in cui avrebbe dovuto incontrare Giulio alle diciassette in punto. Pochi minuti dopo era sul posto e l’auto del suo superiore era già posteggiata. Quando anch’egli si parcheggiò, Giulio mise fuori la mano guantata di pelle nera fuori dal finestrino e indicò a Flavio di salire. Flavio obbedì. «Allora?» domandò Giulio. «La ragazza si è mossa, è entrata in possesso del diario di Soraya». «Perfetto» Le rughe intorno agli occhi di Giulio accentuarono la sua aria soddisfatta «Ben fatto! Il capo approverà il tuo lavoro e sorvolerà sul primo errore che hai commesso». Flavio si accese una sigaretta e inspirò una lunga boccata di nicotina «Avrei una domanda». «Parla, ma vedi di non farmi perdere tempo. Ho da fare!». «Quando saprò finalmente per chi lavoro?» disse in modo strafottente.
«Per ora non ti è concesso conoscere certi dettagli. Ti basti sapere che obbedisci a me. Per oggi hai finito, ma domani ricomincerai a tenere d’occhio la ragazza. Appena farà la prossima mossa, dobbiamo essere pronti a entrare in possesso del diario». Flavio sembrò turbato «Ma non hai detto che ha una chiusura segreta? Avevate già provato a rubarlo». Giulio imitò il suo “dipendente” e si accese un sigaro «Che brutta parola… rubare… lo vogliamo solo prendere in prestito a tempo indefinito». Un ghigno malefico uscì dalle labbra dei due uomini, poi il capo riprese a parlare «Comunque sì, il diario è come chiuso in una scatola ed è dotato di una serratura senza chiave, ha solo un’incisione. Abbiamo provato a romperla, ma avremmo rischiato di rovinarlo perdendo di conseguenza informazioni importanti. Per questo abbiamo riportato il volume nel suo nascondiglio senza che il suo custode se ne accorgesse e abbiamo pazientato che la ragazza venisse a conoscenza del segreto e ci aiutasse involontariamente». «I conti non tornano però. Il capo come ha scoperto l’esistenza del diario di Soraya?». «Qualcuno ha fatto un o falso… col tempo saprai. Ora fuori! Ti ripeto che ho da fare!». Flavio uscì dalla BMW serie uno blu scuro e la vide allontanarsi sgommando. Pochi secondi dopo era solo nella via. Gettò a terra la sigaretta finita e la pestò per spegnerla. Con le mani in tasca e sovrappensiero, si avviò verso la sua Alfa 147 grigia metallizzata.
L'appuntamento
Angy parcheggiò l’Alfa Mito rossa. Io ero troppo agitata per guidare la mia auto o qualunque altro mezzo. Frugai nella mia borsa in cerca delle chiavi. Possibile che quando servono le cose non si trovano mai? Angelica mi prese di mano la borsetta spazientita e, quasi immediatamente, trovò ed estrasse ciò che cercavo. Ci misi un’eternità anche ad aprire la porta, le mani mi tremavano. L’emozione di essere entrata in possesso del diario di mia madre era fortissima. Salutai al volo papà e Alena e corsi nella mia stanza, tirando Angy per il braccio. Presi posto alla scrivania e accesi la lampada, poi, posai delicatamente il diario dinanzi a me. «Forse non sarebbe il caso che prima ti togliessi il cappotto e la sciarpa?» chiese. «Lo so, hai ragione, ma sono così felice di questa scoperta che tutto il resto a in secondo piano». «Anche l’appuntamento con Daniel? Sono le sette di sera, tra un’ora sarà qui fuori». «Oh cavolo! Me ne ero completamente dimenticata!». «Forza preparati! Hai vissuto finora senza quel diario, potrai pure aspettare fino a domani». «E’ vero. Ora lo nascondo per bene tra i vestiti, non voglio che nessuno lo trovi. Tu che farai stasera?». «Ho mandato un sms a Lara prima. Raggiungeremo gli altri in pizzeria». «Ok, non mi va che resti a casa. Se mi annoio, posso mandarti qualche messaggino?» implorai la mia amica facendole gli occhioni supplicanti.
Angelica sorrise e rispose «Non è che puoi… Devi! Voglio un resoconto completo! Anche se sono sicura che andrà bene. Me lo sento! Altro che quell’idiota con cui uscivi prima». La abbracciai forte e mi avviai verso l’armadio a frugare tra i miei vestiti in cerca di qualcosa di adatto da indossare. «Via di qui! Stasera a te ci penso io! Devi essere fantastica! Daniel deve rimanere a bocca aperta» Mi scansò e si perse tra le ante. Dopo qualche minuto ne riemerse con un vestitino nero stretch, un paio di leggins di pizzo dello stesso colore e una cintura argentata come accessorio. Mi cambiai e mi truccai, poi la mia amica diede il tocco finale ai miei capelli, abbellendoli con una forcina brillante. In ultimo aprì la scarpiera e ne estrasse delle décolleté a tacco alto. Appena terminata la preparazione, il mio cellulare trillò. Daniel era arrivato. Io e Angy ci infilammo i cappotti, prendemmo le borse e ci dirigemmo alla porta d’ingresso. Ci salutammo fuori, lei salì sulla sua mini ed io entrai nella TT di Daniel. Lo salutai «Ciao com’è?». «Ora bene. Quando non ho ricevuto tue notizie stamattina, pensavo che non avresti accettato il mio invito ed ho rimuginato fino al pomeriggio se sollecitarti o no. In realtà non speravo molto in una tua risposta affermativa, ma per fortuna mi sono sbagliato». «Non vedo perché non avrei dovuto accettare». «Non saprei, ma ora non pensiamoci più. Andiamo a cena». «Dove mi porti?». Daniel si aprì in un sorriso sornione «E’ una sorpresa!». «Bella?».
«Lo spero» Rispose abbassando il capo per assentire. Mi sistemai comoda sul sedile di pelle bianca e guardai scorrere la strada, mentre Daniel teneva una mano stretta sul volante e con l’altra, cambiava canzoni sul cd fino a fermarsi su I’ll be waiting di Lenny Kravitz. L’automobile sfrecciava veloce ed io mi sentivo completamente a mio agio. Mi complimentai da sola per aver accettato il suo invito. Era incredibile il senso di protezione e fiducia che m’infondeva Daniel. Costatai che fosse assurdo dato che lo conoscevo appena. Il mio accompagnatore si era diretto in centro. Lo capii perché ci trovammo a percorrere via Po tra i suoi maestosi palazzi antichi e decorati, i suoi portici pieni di negozi e i ragazzi che iniziavano a eggiare per andare a mangiare fuori, anche se il sabato sera entra nel vivo dalle 22 in poi. Al fondo, la via, si apriva in una grossa piazza intramezzata da una larga strada. Alla mia mente riaffiorò una frase che mia madre mi ripeteva spesso e chissà perché, decise di ricomparire nella mia memoria proprio quella sera «Torino non è solo una città, è un cuore che batte. Tutto è vivo, tutto si muove intorno a noi, bisogna solo essere disposti ad ascoltare». Niente risultava più vero di quelle parole… chi abita qui molte volte non se ne accorge, ma, soprattutto la sera, Torino è tutta da vivere, ogni cosa sembra animata, sembra sul serio di percepirne le pulsazioni, si ha quasi la sensazione di essere portati in un emisfero parallelo. Basta solo saper ascoltare… e guardare oltre il proprio naso. Davanti ai miei occhi si stagliava fiera e maestosa la Basilica della Gran Madre e, più in lontananza, si scorgevano le luci blu che illuminano la chiesa e il convento dei frati sulla collina chiamata Monte dei Cappuccini. Quando ci trovammo a percorrere ponte Vittorio che collega l’omonima piazza alla Basilica, Daniel riprese a parlare «Ho allungato un po’ il percorso ma ora mi dirigo al ristorante». «Come mai?» domandai senza capire. «Ho prenotato per le 20,45 ed eravamo in anticipo, così ho pensato di fare un giro in auto per non aspettare fuori dal ristorante».
«Hai fatto bene. Ora mi puoi dire dove andiamo?». «Eh, no. Ancora un po’ di pazienza curiosona!» Ed esibì uno tra i suoi migliori e affascinanti sorrisi. Pochi minuti dopo parcheggiò e capii finalmente dove aveva prenotato per la cena. Dinanzi a noi c’erano due scalinate, una a destra e una a sinistra, che incorniciavano in mezzo a loro la Fontana delle Quattro Stagioni che gettava acqua dalle sue cascatelle. Peccato fossimo a novembre… il parco del Valentino era nel suo maggior splendore in primavera, quando i suoi prati si riempivano di fiori e eggiare dava l’impressione di trovarsi nel regno di Alice nel paese delle meraviglie. Scendemmo i gradini parlando della giornata ed io mi guardai bene dal rivelargli del diario di mia madre. eggiammo sulle rive del Po incontrando qua e là coppiette intente a scambiarsi effusioni d’amore. L’acqua del fiume danzava al ritmo della leggera brezza che soffiava. Un brivido mi corse lungo la schiena e strinsi a me il cappotto. Daniel notò il mio gesto e mi ò un braccio intorno alle spalle domandandomi «Hai freddo?» «Un po’, ma erà». Arrivammo al ristorante e Daniel diede il nome al cameriere che scorse col dito sul libro delle prenotazioni fino alla nostra. Ci accompagnò al tavolo e, galantemente, Daniel mi prese il cappotto e mi scostò la sedia per farmi accomodare, poi, girò intorno al tavolo e si sedette di fronte a me. Era la prima volta che un ragazzo aveva tanta premura nei miei confronti e mi accorsi che era piacevole. Il cameriere ci portò i menù e li leggemmo alla luce soffusa della candela posata
sul tavolo. Ordinammo una cena a base di pesce e bevemmo vino bianco. Mi sentivo totalmente a mio agio. Daniel era molto sveglio e simpatico, con un pizzico d’ironia che non guasta mai. Parlammo delle nostre vite, del lavoro, degli studi, delle famiglie e dei nostri sogni. Quest’ultimo argomento non riscontrò in me molto entusiasmo. Daniel se ne accorse e me ne domandò il motivo mentre ci incamminavamo per tornare all’auto. «Uno dei miei sogni è impossibile da realizzare e in un altro non ci credo più come prima, anzi, quasi per niente» risposi appoggiandomi alla recinzione di legno che mi separava dalle acque del fiume e volgendo lo sguardo verso l’altra sponda. «Nulla è impossibile. Prova a parlarmene». Sospirai «Riportare in vita mia madre? Mandare indietro il tempo affinché mi cresca lei? Decisamente è un sogno irrealizzabile». «Invece no. Non potrai averla materialmente al tuo fianco, ma ci sono mille modi per sentirla vicino. Nel tuo cuore, con l’affetto che provi per lei, nella tua mente con i ricordi ed anche con le foto, i video, conservando oggetti che le sono appartenuti». «Non è la stessa cosa…». «No, ma è pur sempre una soluzione. La cosa peggiore sarebbe dimenticarla, non credi? A quel punto l’avresti persa sul serio». L’ottimismo di Daniel era contagioso. Annuii e lo presi sottobraccio ricominciando a camminare. «E l’altro sogno a cui ti riferivi?». Feci la sfuggente «Quello preferisco non rivelartelo… è più che altro una speranza e se te lo confido, non si avvererà».
«Non mi arrendo così facilmente. Alla fine lo scoprirò». «Ah, sì? E come credi di fare?». «So essere mooolto persuasivo» disse in un tono buffo. Scoppiammo entrambi a ridere. Arrivati all’Audi, chiesi «Dove siamo diretti adesso?». «E’ un’altra sorpresa. Credi di riuscire a tener testa alla curiosità per circa un quarto d’ora?». «Posso provarci». Il rombo del motore si fece sentire e ripartimmo verso la prossima tappa del nostro appuntamento. Daniel parcheggiò nuovamente e mi prese la mano «Dobbiamo sbrigarci Crystal o non faremo in tempo». «Per cosa?». «Lo vedrai». Camminammo velocemente e arrivammo sotto la Mole Antonelliana. Capii al volo che voleva portarmi in cima a vedere Torino dall’alto e iniziai a sudare freddo «Mica vorrai farmi salire lassù?» Domandai indicando in alto col dito. «L’idea era quella. Non ti va? Mi sembrava un’idea… romantica». «Ma lo sai quanto è alta?». «167 metri circa. Ma ci sarai già salita. Sei o non sei una torinese?». «Sono una torinese ma non ho mai messo piede sulla mole. Però sono anche un’universitaria e sai che si racconta che salirci prima di un esame porta sfortuna?».
«L’ho sentito dire… e tu ci credi?». «Assolutamente no, sono solo dicerie». «Allora qual è il problema?». «In realtà io… soffro di vertigini» Confessai. Daniel mi prese anche l’altra mano «Ti fidi di me? Non ti accadrà nulla. Te lo prometto». Annuii non troppo convinta e facemmo i biglietti per l’ascensore panoramico che ci avrebbe condotto alla balconata. Mentre l’ascensore saliva, ammirai la veduta del museo del cinema ospitato all’interno del monumento simbolo della mia città. Era magnifico su ogni piano e scoprii che in un punto erano collocate delle specie di chaise longue che permettevano di guardare comodamente delle proiezioni. Arrivati a destinazione, si aprirono le porte e le gambe ricominciarono a tremarmi. Eravamo soli lassù, non vi erano altri visitatori. Meglio! Almeno non avrebbero riso nel vedermi procedere incollata alla parete. Daniel scosse la testa divertito e i suoi capelli spettinati ad arte con l’aiuto del gel, si mossero. Rimasi a bocca aperta nel guardarlo come se l’avessi visto per la prima volta. Angelica aveva ragione, era di una bellezza sconcertante ed era lì con me. Quasi stentavo a crederci. Chissà, forse era tutta una messinscena, alla fine come potevo conoscere le sue vere intenzioni? Anche Luca sembrava la bontà in persona, tutti avrebbero scommesso sulla sua fedeltà e poi… Ma io avrei tenuto gli occhi bene aperti e sarei stata furba questa volta. Anche se era così magnificamente attraente… «Allora? Sei salita fino a qui per non goderti il paesaggio?». «Ehm… lo vedo anche da questa posizione».
«Sì certo. E ti aspetti che ti creda?». «Ci speravo» risposi ridacchiando nervosamente, mentre una paura folle m’immobilizzava nel punto in cui mi trovavo. «Speravi male… abbi fiducia in me. Combattere le tue paure ti renderà più forte. Non guardare in basso, tieni lo sguardo fisso nei miei occhi e seguimi. Io ti terrò per mano». Mi lasciai convincere e il verde smeraldo dei miei occhi si fuse con l’azzurro dei suoi. Piano piano mossi qualche o finché, senza accorgermene, mi ritrovai di fronte alle inferriate che proteggevano i visitatori. Non potevo crederci, non avevo mai visto Torino da quella prospettiva. Era uno spettacolo che mi catturava e mi emozionava fin nell’anima. Dimenticai all’istante le mie paure, ero rapita dallo scenario e girai intorno per godermene ogni singolo scorcio. Daniel mi seguiva soddisfatto di essere riuscito nella sua missione. Da quell’altezza avevamo tutta la città ai nostri piedi. Anche nella notte, i lampioni la illuminavano e riuscivo a riconoscere il Monte dei Cappuccini, la Basilica di Superga, Piazza Vittorio, Via Roma, Piazza Castello col Palazzo Reale… Quando riuscii a dominare il mio entusiasmo, mi fermai «Grazie Dan! Sei riuscito dove nessuno è mai arrivato. Non che a qualcuno sia mai interessato farmi vincere le mie vertigini». «Consideralo un piccolo regalo. Tutto questo meritava di essere visto» Fece un ampio gesto col braccio a indicare ciò che ci circondava. A un certo punto mi strinse in un abbraccio e cominciò a raccontarmi «Mio padre mi portava spesso in questo luogo fin da bambino. Diceva che lo aiutava a riflettere e che gli permetteva di ascoltare meglio il cuore della nostra città. Io non capivo cosa intendesse, annuivo sempre e mi ponevo mille domande». «Che buffo. Anche mia madre mi ripeteva una frase simile, mi è riaffiorata alla mente prima, mentre eravamo in macchina. E in seguito? Riuscisti a trovare delle risposte?» Domandai. Mi piaceva il suono della sua voce calda e
mascolina. «Sì, crescendo ho capito il significato di ciò che mi diceva perché, a poco a poco, presi coraggio e, ogni volta che ci ritrovavamo qui, gli ponevo uno dei miei interrogativi. Lui m’insegnò ad amare Torino e tutti i suoi segreti». «Piacerebbe anche a me conoscerli». «Sei disposta ad ascoltare? Senza pregiudizi e aprendo al massimo mente e cuore? Devi saper fondere razionalità e sentimento per poterti aprire a “Lei”». «Posso provarci se tu m’insegni». Non era da me parlare così. Che mi stava succedendo? Ero forse impazzita di colpo? Quel ragazzo mi faceva davvero uno strano effetto. «Non posso insegnarti tutto in una sera, per ora ti posso dire che Torino è come se fosse attraversata da una forza invisibile che porta ad amarla, come un filo che trascina e, anche se la si conosce a memoria è sempre come vederla per la prima volta. Bisogna imparare a guardare oltre i nostri occhi per vedere la sua vera magia». «Bé, non per niente è chiamata città magica». «Lo è più di quanto immagini…» Pronunciò questa frase in un tono appena percettibile, poi, abbassò il viso verso il mio, mentre una stella cadente attraversava il cielo di novembre, a testimoniare un piccolo miracolo che avveniva nella volta blu e in me stessa. Mi stavo convincendo che forse non tutto era perduto e che chissà… magari avevo ancora la possibilità di essere felice. Le sue labbra erano sempre più vicine alle mie, tanto che ne sentivo il respiro caldo che le sfiorava. Chiusi gli occhi completamente immersa nella miriade di emozioni che mi attraversavano, quando l’ascensorista ci interruppe «Ragazzi…» Si schiarì la voce «Mi dispiace interrompervi ma è ora di scendere. Capisco che in questo momento mi odierete, ma ho ordine di riportarvi di sotto. Dobbiamo chiudere». In effetti, io ero molto irritata! Ormai il momento era rovinato, perso per sempre!
Rispose Daniel per entrambi «Ci scusi lei, non ci eravamo accorti dell’ora. Veniamo subito» Aveva usato un tono cordiale e educato, ma dal suo viso traspariva un leggero nervosismo. Ci ritrovammo in strada ed io non riuscivo a guardare Daniel in viso. Avevo le guance imporporate per l’imbarazzo. Non ero mai stata brava a destreggiarmi al primo appuntamento. Anche Daniel guardava altrove, infine, si schiarì la voce «Scusami Cry, non avrei dovuto farlo». Alzai di scatto la testa incredula. Avevo udito bene? «Non fraintendermi. Tu mi piaci e molto. Ma dovevo trattenermi. E’ stata una cattiva idea». Punta sul vivo risposi sgarbatamente «Forse hai ragione, dimentichiamo tutto quanto». Mi avviai a i svelti. Avevo una tale rabbia dentro. Mi sentivo umiliata, aveva organizzato tutto quel bel teatrino per cosa? Ero stata una sciocca! Non dovevo fidarmi, gli uomini sono tutti uguali, quelli seri come ai tempi di mio padre non esistevano più. Ma per chi mi aveva preso? Per il suo giocattolo? Meglio guardare il lato positivo, almeno avevo scoperto subito di che pasta era fatto. Stupida, stupida, stupida! Ma come potevo solo pensare che quel ragazzo bello come un adone greco, così brillante, così… meravigliosamente perfetto s’interessasse a me? Era un’illusione da cui mi stavo risvegliando. Un miraggio in un deserto. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi ma le trattenni. Ero arrabbiata con me stessa per essermi lasciata imbambolare più che con lui. Daniel mi raggiunse e mi si parò davanti, bloccandomi le braccia con le sue forti mani «Aspetta Cry, dove vai?». Io guardavo per terra, non ne volevo sapere di alzare la testa e mostrargli i miei occhi umidi. «Lasciami andare. Non mi sembra che abbiamo più niente da dirci. Ti ringrazio
per la splendida serata. Buonanotte» risposi con astio. «Cry tu hai frainteso». Alzai finalmente il viso e lo guardai con aria di sfida «Frainteso? Io? Ammetti che volevi divertirti, poi ti sei accorto che non sono una di quelle ragazze facili che sarai abituato a frequentare e quindi volevi uscirne pulito». La mia voce esprimeva più rabbia di quanta avessi voluto. Ero davvero delusa. Ed era assurdo dato che lo conoscevo appena. Era la prima volta che mi succedeva di sentirmi così coinvolta da subito. Che fosse quello il famoso colpo di fulmine a cui non avevo mai creduto? «Non è come pensi. Non puoi capire». «Spiegamelo allora. O mi ritieni così poco intelligente?». «Non ho mai pensato una cosa del genere. Anzi! Ma non posso spiegarti, mi dispiace…». «Ovvio! Non sai cosa dire perché ho ragione!» Lo incalzai. «No invece! Fra qualche tempo capirai». «Non c’è niente da capire…» Pronunciai le ultime parole con voce tremante. Estrassi dalla mia borsetta il cellulare e composi un numero «Angy? Mi vieni a prendere per favore?». All’altro capo una voce preoccupata. «Ti spiegherò dopo, ho solo bisogno che tu venga a prendermi. Sono sotto la mole, mi sposto dove puoi fermarti con la macchina. Facciamo alla gradinata davanti all’università. Tra dieci minuti? Perfetto, grazie». Daniel era fermo poco più in là. Sul viso gli ava un’espressione dispiaciuta che non comprendevo. Per un attimo pensai di scusarmi per la mia reazione. Feci un o verso di lui, poi, la mia mente mi suggerì che non fosse dispiacere ma delusione per non aver ottenuto ciò che voleva e girai sui tacchi pronta a incamminarmi.
«Potevo riaccompagnarti io se avevi tanta fretta. Pensavo avremmo terminato la serata insieme». «Non ne vedo il motivo». «Crys…» M’implorò. Gli feci cenno con la mano di stare zitto «Non abbiamo più nulla da dirci. Buona serata» Detto questo, mi avviai verso il posto dove sarebbe venuta a prendermi Angelica.
Grazie di essermi vicina, Angy
Quella sera, dopo aver avvertito mio padre, mi fermai a dormire da Angelica. «Non ci posso credere… Sembrava un bravo ragazzo. Sono tutti uguali. Meno male che Andrea non mi ha chiesto di uscire, se sono amici saranno della stessa pasta». «Non è detto Angy. Il fatto che lui si sia comportato in questo modo, non vuol dire che l’amico sia uguale» mormorai tra le lacrime. «Va bè, non ha importanza. Tanto non mi ha chiesto neanche il numero di telefono». «Mi sento così sciocca a star qui a piangere per lui. Ma cavolo, neanche lo conosco a momenti. Com’è possibile star così male?». «E’ normale Cryssi. Ti senti delusa, ma quello che ci perde è lui». «Non perdiamoci in frasi fatte. Semplicemente si è accorto che io non ero abbastanza per lui, ci vuole molto di più per stargli a fianco». «Ehi, non voglio sentirti dire mai più certe sciocchezze! Devi avere più fiducia in te stessa, se ti fermassi un momento a guardarti allo specchio, ti accorgeresti che persona meravigliosa sei». «Ma non per Daniel…». «Ma chi se ne importa di Daniel! Se non sarà lui, sarà un altro. Arriverà chi ti renderà di nuovo felice». «Quello che mi fa più rabbia è che non so che idea mi è venuta di fidarmi di lui, senza fermarmi un attimo a riflettere. Lo sai che non è da me essere così irrazionale». «Penso semplicemente che stavolta hai sperimentato il colpo di fulmine. Succede ed è inspiegabile agli occhi degli altri». «Sarà… » dissi scettica.
Angy ridacchiò «Possibile che riesci a non crederci neanche avendolo provato?». «E’ più forte di me. Meglio così comunque. Un pensiero in meno e domani potrò dedicarmi ad ascoltare Luca senza distrazioni». La mia amica tornò seria «Cryssi» mi rimproverò bonariamente «Non parlare così. E’ la rabbia che ti spinge a ragionare in questa maniera. Vedrai che domani sarà tutto diverso». «Ti sbagli, sarà tutto uguale. E tutto tornerà al suo posto come in ato». «Non farlo Cry, ti prego». «Cosa?» «Sai benissimo cosa. Non tornare con Luca, sarebbe un terribile sbaglio». «Perché? Non ho nulla da perdere, solo da guadagnare». «Hai da guadagnare solo altra sofferenza con lui». «Non è detto». «Tornare al ato per ripicca è sempre un errore, bisogna guardare avanti nella vita. Tornare indietro serve solo a risvegliare vecchi fantasmi. Le persone non cambiano, anche se all’apparenza può sembrarci così». «Appunto per questo lo farò. Almeno so a cosa vado incontro. Niente incognite come per il futuro, solo certezze del ato». «Mi rattrista sentirti parlare in questo modo. Peccato che non posso far nulla per indurti a ragionare». Mi tirai le coperte sul viso e augurai la buonanotte ad Angy. Sapevo che aveva ragione, ma la rabbia e la delusione, m’impedivano di essere razionale. Se avevo un brutto difetto, quello era proprio l’impulsività.
Un grosso errore
Daniel partì sgommando sulla sua Audi e raggiunse un locale sito in piazza Vittorio, dove sapeva di trovare Andrea quella sera. Lo scorse quasi subito seduto a un tavolo con Jasmine, una loro cara amica e, dopo aver ordinato al bancone un forte cocktail si sedette con loro. I due si guardarono senza capire. Daniel aveva un’aria cupa e sorseggiava nervosamente il suo drink. Andrea finalmente spezzò il silenzio «Si può sapere che ti è successo? Tanto mistero stasera e ora arrivi in questo stato? Ma dove sei andato?» «Ho fatto un’idiozia». «Spiegati meglio». «Ero con Crystal». Jasmine sembrò risvegliarsi di colpo in quel momento «Con chi?» «Hai capito benissimo» ringhiò Daniel. «Ma sei pazzo?» Proseguì imperterrita la ragazza ramata, spostando dietro l’orecchio i capelli che le sfioravano appena le spalle. «Datti una calmata Jas. Non sono affari tuoi». «Tu fai certe sciocchezze ed io dovrei calmarmi? Non ci penso proprio!» «Basta litigare ragazzi. Non mi sembra il caso.» S’intromise Andrea «Però Jas non ha tutti i torti. Che ti è saltato in mente?» «Non lo so Andre, è stato più forte di me, quella ragazza mi affascina tantissimo. Non ho mai sentito un’attrazione simile per nessuna». Jasmine si alzò di scatto visibilmente infuriata, indossò il giubbotto e se andò, lasciando sul tavolo il suo Sex on the beach a metà nel bicchiere. Nessuno la fermò, ma Andrea tentò di giustificarla «Dany, non dovresti parlare
di certi argomenti davanti a lei». «E perché mai? Non vedo il problema». «Lo sai che è innamorata di te da sempre, così la fai soffrire». «Hai ragione, non ci ho pensato, però sono stufo di dover fare sempre attenzione a quel che dico o a quel che faccio. E’ ora che si guardi intorno». «Ti sembra facile? E’ come se io ora lo suggerissi a te. Ci riusciresti?» «No, ma è diverso. Non c’è mai stato nulla tra noi, sono sempre stato chiaro con lei. Sa che la considero come una sorella. Con Crystal il problema è un altro. Sentivo che anche lei era attratta da me». Daniel fece il resoconto della serata al suo amico, che ascoltò attentamente. «E questo è tutto». Andrea annuì comprensivo «E’ un bel problema Dany. Ora come farai? Non dovevi lasciare che accadesse. Non puoi. Non con lei». «Credi che non lo sappia? Sarà difficile tener fede al mio giuramento ora». «Hai accettato le regole Daniel. Se le infrangi, innescherai un meccanismo che non potrai più fermare e te lo sconsiglio vivamente». «E questo non vale anche per Jasmine allora?» «Certo che vale anche per lei. Ma lei risolverebbe il problema cedendo il suo posto alla sorella minore. Tu non potresti e Crystal neppure». «Lo so. Sarà difficile, ma non m’importa. Ormai il danno è fatto. Devo trovare il modo di spiegarle perché mi sono comportato in quel modo, sempre se sarà disposta ad ascoltarmi. Credo che dopo stasera mi odi». «Ci riuscirai. Spero solo che la voce non arrivi alle orecchie del consiglio o saranno guai». «Jasmine…»
«Esatto». «Non dovevo parlarne davanti a lei. Ero talmente arrabbiato col destino che non ci ho pensato». «Domani le parlerò io». «Grazie Andre».
Incontro col ato
Arrivò presto la mattina, accompagnata dalla consapevolezza di aver sognato la serata con Daniel e un senso di amarezza mi attanagliò lo stomaco. Salutai Angelica e andai a casa, avevo bisogno di stare un po’ da sola. Alle tredici mi obbligai a pranzare con mio padre e Alena anche se non avevo appetito; non volevo si accorgessero della tempesta che imperversava dentro il mio cuore. Più tardi m’immersi nella vasca da bagno colma di schiuma e mi lasciai cullare dal calore dell’acqua. Chiusi gli occhi, ma l’immagine di Daniel non voleva svanirmi dalla mente. Cercai di rilassarmi ma fu uno sforzo inutile, per cui rinunciai e uscii dalla vasca, mi asciugai e mi rivestii. Desideravo tornare alla comodità dei miei jeans. L’appuntamento con Luca era previsto per le quindici alla caffetteria che eravamo soliti frequentare quando stavamo insieme. Guardai l’orologio, segnava le 14.45. Era già tardissimo. Ero tentata di disdire, non avevo minimamente voglia di incontrarlo. La rabbia che mi aveva assalito la sera prima era svanita per lasciare spazio alla mia ben nota razionalità. Ma un lato di me, quello attaccato al suo ricordo, voleva dargli la possibilità di spiegarsi. Uscii da casa e mi avviai a piedi al bar. Per tutto il tragitto ebbi la sensazione che qualcuno mi seguisse, ma evidentemente era solo frutto della mia fantasia. Arrivai al luogo prestabilito cinque minuti in anticipo, ma il mio ex ragazzo era già lì ad aspettarmi. Mi accolse con un gran sorriso «Sono felice di vederti. Avevo timore che mi dessi buca e mi lasciassi qui ad aspettare inutilmente». «Mi conosci, non è da me».
Ero nervosa. Mi sentivo fuori posto. «Vieni, sediamoci». «Preferirei fare una eggiata se non ti dispiace». La mia voce non esprimeva alcuna emozione, era completamente piatta. Luca sembrò non accorgersene. «Come desideri». Ci avviammo e lui cominciò il discorso «Che cosa hai pensato dei miei messaggi?» «Che cosa avrei dovuto pensare secondo te? Devi spiegarmelo tu. Dopo tutto quello che mi hai fatto, penso sia il minimo». «Mi sento un verme per le mie azioni. Avrei dovuto usare il cervello prima di agire». «Non mi far commentare ti prego. Stavo per fare una battuta cattiva sui tuoi metodi di ragionamento, ma preferisco evitare». «Posso immaginare quale fosse, ma non mi offenderò, sei già stata fin troppo comprensiva ad accettare il mio invito. Mi manchi. L’ho capito quando il danno era fatto che volevo solo te. E’ stata una sbandata». «Carino il tuo concetto di sbandata… è durata solo otto mesi d’altronde» affermai sarcasticamente. «Non è come credi». A sentire quelle parole m’inalberai «Ma non è possibile! Vi fanno con lo stampino? Non la sopporto più questa frase!» Alzai le braccia al cielo e aumentai l’andatura. «Ma che ho detto?» chiese Luca disorientato accelerando per raggiungermi. «Lascia perdere, vai avanti». «Sono stato con lei perché ero convinto mi pie, ma più andavo avanti, più mi rendevo conto che stavo sbagliando. Ogni volta la paragonavo a te. Pensavo
sempre Cry avrebbe fatto, Cry avrebbe detto… Allora le ho detto la verità e l’ho lasciata». «Che onore…» dissi ironicamente. Poi proseguii «A me è giunta voce che è stata lei a lasciarti per Alberto». «Questo è quello che dice lei ed io l’ho lasciata fare». «Che cavaliere dall’armatura scintillante. Tipico di te lasciare che la cattiva reputazione se la facciano gli altri». A ogni frase il mio tono di voce diventava sempre più astioso e trovavo il tentativo di scuse di Luca sempre più ridicolo. «Dai Cry, è acqua ata». «Per te forse. Io non dimentico come mi hai diffamato. Hai raccontato a chiunque che mi hai lasciato perché io non ti facevo respirare e tu ti sei sentito oppresso. Peccato che la verità fosse un’altra… una verità con i capelli rossi e gli occhi verdi. Prima di conoscerla non mi sembravi così sofferente, anche perché ti ho sempre lasciato libero di fare ciò che credevi e questo lo sai bene. Poi chissà perché, tutto è cambiato improvvisamente». «Non è così. Ero confuso». «Confuso… anche quando m’infangavi eri confuso? Non prendiamoci in giro per favore. Sei abbastanza grande da assumerti le tue responsabilità. I sentimenti possono cambiare, avresti potuto parlarmene e saresti stato libero di uscire con chi preferivi». «Sì, è vero. Ma ti scongiuro Cry, riproviamoci. Sono cambiato. Che importanza ha il motivo che mi ha fatto rompere con sca. La cosa importante è che ho capito che io voglio te e che ti amo». «E ti ci son voluti nove mesi per capirlo? Un po’ troppi a parer mio». «Senti, ero un immaturo, ora sono cresciuto, credimi». «Sai che ti dico? Ho ato non so quanto tempo a immaginare questo momento. Ho desiderato ogni secondo che tu tornassi perché stavo male e non hai idea di quanto soffrissi. Ero diventata un vegetale, non mangiavo, non dormivo. Ho perso cinque chili in una settimana a causa tua. Poi, con fatica e
con l’aiuto della mia famiglia e dei miei amici mi sono risollevata e ho cercato di ricominciare a vivere. Purtroppo non ho mai smesso di sperare nel tuo ritorno». «Ora sono qui, possiamo ricominciare». «No Luca, non possiamo». «Basta crederci Cry. Mi dispiace da morire averti fatto soffrire così, non te lo meritavi, ma ora possiamo essere felici insieme». «Non possiamo più Luca». «Perché? Spiegamelo». «Come ti dicevo ho sperato, immaginato e sognato questo momento. Credevo che quando ti avrei rivisto sarei stata in grado di ricominciare. Lo dicevo anche ad Angelica che dovevo parlare con te, per quanto lei fosse contraria». «Ovvio. Ha sempre cercato di dividerci». «Sciocchezze. Lei ci ha sempre voluto insieme invece. Sei tu che ti sei auto convinto del contrario e non c’è mai stato modo di farti comprendere la verità. E’ sempre stato questo il tuo difetto, non hai mai guardato più in là del tuo naso. Ora mi rendo conto di quanto tu fossi egoista». «Non è vero Cry e lo sai». «Ah no? Sono sempre stata io quella che si è fatta in quattro per mandare avanti la storia. Ho sempre messo da parte i miei desideri per realizzare i tuoi. E tu cos’hai fatto per me?» «Non puoi dire che non ho mai fatto nulla per te». «Non dico che non hai fatto nulla, dico solo che non era abbastanza. Per quello ero così insicura. Io mi sentivo sempre al secondo posto rispetto ai tuoi studi, al tuo hobby, ai tuoi amici. Ho capito che non è quello che voglio, io desidero qualcuno che mi ami incondizionatamente, un uomo che mi sollevi sul palmo di una mano fino a farmi toccare le stelle. Voglio essere al primo posto e quell’uomo deve lottare per me, non scappare al minimo ostacolo che si trova di fronte».
«Sono pronto a farlo stavolta se mi dai un’altra possibilità. Sono cambiato». Ripeté lui. «No, Luca, non te la darò. Le persone non cambiano. Al massimo smussano un lato del loro carattere, ma non si può cambiare il proprio dna. Mi dispiace, a malincuore ti dico no. Non avrei mai creduto di riuscire a dirtelo, ma ora sto bene sai? Finalmente ho avuto la possibilità di dirti ciò che penso e mi sento libera. Tu sei tornato solo perché ti senti solo e sapevi che in me avresti trovato l’unica donna che ti ha sempre perdonato tutto. Peccato che non sia così, non stavolta. Addio per sempre Luca. Ti ho amato tanto, ma ora devo andare avanti con la mia vita, mi sono annullata troppo per te, è un errore che non ripeterò mai più». Feci per andarmene ma Luca mi bloccò «Ti dimostrerò che non è così». Mi strinse a sé e mi baciò, senza che io ebbi il tempo di rendermi conto di ciò che stava succedendo. Alle mie spalle un rumore rombò come infuriato e un’auto partì di corsa. Non sapevo che in quell’auto c’era qualcuno che avevo ferito terribilmente senza volerlo.
Il diario di Soraya
«Ma che cavolo ti è preso?» Urlai contro Luca mentre lo allontanavo con forza da me. «Quello che non avrei mai dovuto smettere di fare…» rispose Luca sicuro di sé. «Mi ascolti quando parlo? Ti ho detto chiaramente che non voglio tornare con te. E’ finita per sempre! In che lingua devo dirtelo?» «Dai Cry, lo so che non è quello che desideri veramente. Lo sappiamo tutti e due che sei solo arrabbiata». «Adesso sono furiosa!» Il mio tono cresceva sempre di più a ogni sillaba che pronunciavo. «Lo sarai per un po’… come sempre, ma poi capirai che siamo fatti l’uno per l’altra». «Illuditi pure». Mi girai e me ne andai correndo verso casa, lasciandolo con un’espressione soddisfatta a rallegrargli il viso. Arrivai a casa nel giro di qualche minuto e salii immediatamente a chiudermi nella mia stanza. Mi buttai sul letto con la faccia sprofondata nel cuscino che stavo abbracciando con tutta la forza che avevo in corpo. Possibile che la mia vita stesse prendendo quella piega? Non riuscivo più a riconoscermi. Ero uscita, seppur controvoglia, con la ferma intenzione di dargli la possibilità di spiegarsi, ma quando l’avevo rivisto… avevo compreso che, anche se avevo ato mesi a sperare nel suo ritorno, quella fantasticheria era dovuta solo al dolce ricordo della nostra storia d’amore… quanto l’avevo amato, forse più di quanto è umanamente possibile, gli avrei donato la vita se me l’avesse chiesto. Ma ora tutto era cambiato… Non l’avrei mai dimenticato, ma non avrei potuto neanche perdonarlo. Ora lo sapevo, come sapevo che quel forte sentimento era ormai svanito da parte mia.
Come in un film, mi erano scorse davanti tutte le scene del nostro addio. Pochi giorni prima non avrei mai creduto di riuscire a respingerlo, ma ce l’avevo fatta, avevo vinto la battaglia con me stessa. Non ero più la ragazzina debole il cui mondo girava attorno a lui, ora ero diventata la donna forte che si appresta ad affrontare la vita con coraggio e determinazione. Ero fiera di me stessa, però sentivo un vuoto profondo, nel mio cuore si stava aprendo una voragine che inghiottiva tutto quello che mi aveva tenuto a galla fino a quel momento. L’ora dell’ultimo crollo emotivo stava scandendo i suoi rintocchi, dopo, sarei stata veramente in grado di ricominciare. Per l’ennesima volta iniziai a versare lacrime dal sapore amaro, avevo un estremo bisogno di sfogarmi. Ora che non potevo più aggrapparmi neanche al ricordo dei momenti felici, mi sentivo sola, come non lo ero mai stata negli ultimi nove mesi. Pensai a Daniel, probabilmente l’incontro con lui era stato decisivo per trovare la forza di chiudere con Luca. Ma dovevo ammettere che la sera prima avevo davvero desiderato che funzionasse… Mi addormentai con l’immagine che la mia mente aveva fotografato sul terrazzo panoramico della Mole. Un paio d’ore dopo mi svegliai al suono insistente del cellulare. Che idea che mi era venuta di mettergli una suoneria dance! Era Angy. Sicuramente era preoccupata per l’esito del mio incontro con Luca. Sbadigliando risposi al telefono «Hola…» «Allora? Hai fatto qualche sciocchezza?» Arrivò subito al sodo. «Secondo te?» «O mio Dio! Vi siete rimessi insieme! No, ti prego! Pensaci! Non puoi farlo, non è la persona giusta per te, torna sui tuoi i…» Angelica si perse in un fiume di parole senza prendere fiato nemmeno un secondo. «Okay, okay! Messaggio ricevuto. Non c’è bisogno che ti scaldi tanto. L’ho
liquidato». La sentii tirare un sospiro di sollievo «Grazie al cielo! Sono stata in ansia tutto il pomeriggio. Ma non potevi almeno avvisarmi?» «Scusa, mi sono appisolata». «Va bene. La bella notizia valeva di essere attesa». «Immaginavo l’avresti presa in questo modo». «Non ti sento contenta però». «Non lo sono. Non è stato facile, è sempre una parte della mia vita». «Hai fatto la scelta giusta». «Sì, ma per il motivo sbagliato…» «Non capisco… Che vuoi dire…» «E’ più giusto affermare che i motivi erano due». «Cioè?» «La prima a spingermi è stata la rabbia, vederlo di persona mi ha fatto capire che non avrei mai potuto perdonarlo. Ormai, dietro di lui, vedo sempre l’ombra di sca. Ricominciare sarebbe equivalso a buttare al vento anche i bei ricordi che ho della nostra storia» «Questo mi sembra un motivo giusto. E l’altro?» Restai in silenzio e Angy intuì subito la risposta esatta «Daniel… Non pensavo che ti avesse colpito così tanto. Pensavo fossi solo risentita. Poteva essere la volta buona se non fosse stato così… così… Bé lasciamo perdere». «Infatti, meglio lasciar cadere il discorso. Ora vado Angy, vorrei dedicarmi al diario». «Okay. Domani verrai all’università?»
«Non me la sento ancora. Magari mi prendo un’altra settimana di vacanza». «Come vuoi. Quasi quasi prendo esempio». «Ciao Angy. A domani». « A domani». Chiusi la conversazione e guardai se avevo altre chiamate perse o sms. Niente… Avevo sperato inutilmente che Daniel si fe sentire. Andai a rovistare fra i vestiti in cerca del diario di mia madre. Quando lo trovai, mi sedetti alla scrivania e accesi la lampada per farmi più luce. Lo girai e rigirai più volte. Sembrava una scatola di legno rossa incollata. Sul lato destro possedeva una chiusura dorata con un’incisione:
§L’étoile à force de tourner in bleu velouté, elle emmène notes enchantées de la berceuse de coeur§
L’iscrizione era in se… perché non in italiano? Sicuramente c’era un nesso tra la lingua e la soluzione, ma in questo momento non riuscivo a trovarlo. Me la cavavo in se, per cui iniziai a tradurre.
§La stella gira e rigira nel blu vellutato,
porta con sé note incantate della ninna nanna del cuore§
Inarcai le sopracciglia per lo stupore. Ma che voleva dire mia madre con quella frase? Pensavo fosse un’indicazione per trovare l’apertura del diario; invece mi trovavo nuovamente in confusione. Iniziai a pensare, ormai dovevo essermi abituata alle stranezze; dalla lettera in poi, nulla nella mia vita era rimasto normale e potevo decisamente affermare che ero pienamente d’accordo col detto che le disgrazie non vengono mai da sole. In meno di una settimana avevo perso una nuova occasione per essere felice, mandato in fumo la possibilità di ricominciare e incasinato, involontariamente, la mia esistenza con quella caccia al tesoro che tesseva una tela sempre più intricata. L’unica certezza era che non si trattava di un gioco e dovevo fare di tutto affinché non rimanessi intrappolata nella rete del ragno… ma… chi era il ragno? Sentivo che prima o dopo, andando fino in fondo a quella storia, l’avrei scoperto. Decisi di andare a dormire, era l’unico modo per non pensare. Purtroppo non riuscivo a concentrarmi, il mio cervello aveva lavorato fin troppo negli ultimi due giorni e il mio muscolo cardiaco aveva sopportato infinite emozioni tutte in una volta. Riposi il diario nel suo nascondiglio, m’infilai il pigiama e mi gettai nel letto, dove mi rigirai fino a che i miei sensi si abbandonarono alla stanchezza.
Dicembre
Fuori la neve continuava a cadere, candida e bianca, tanto che se ne poteva intuire la sofficità solo osservandola. Poi, pian piano, discendeva fino a posarsi sul terreno, finché ogni fiocco contribuiva a formare la distesa immacolata. Ero appoggiata con la fronte al vetro della finestra della mia camera e le braccia incrociate sul petto. Ogni tanto tornavo a sedermi alla scrivania a studiare, avevo ripreso l’università ora che le acque si erano calmate e dovevo rimettermi in pari col programma; ma lo scenario climatico era irresistibile, allora mi alzavo nuovamente e lo osservavo anche per intere ore, vagando con la mente nel mio ato e chiedendomi perché il mondo continuava a girare e ad andare avanti quando per me la vita era diventata una distesa arida. Avevo ripreso a fare le stesse cose che riempivano le mie giornate prima della mattina dell’assassinio, ma non ne ero più soddisfatta. La mia autostima, che credevo ritrovata dopo aver dato l’addio a Luca (che peraltro non mollava), era crollata. Non ero riuscita a trovare la chiave per aprire il diario di mia madre, per cui a un certo punto avevo rinunciato e l’avevo archiviato, seppur con molto dispiacere. Neanche i sogni premonitori si fecero più vivi e, per concludere, Daniel era scomparso. Dovevo trovare un nuovo obiettivo che mi spingesse a reagire e ad andare avanti. Improvvisamente la porta si aprì di colpo. Non mi voltai neanche, sapevo già chi era «Ciao Angy». «Mia cara Crystal». Esordì attraversando a lunghi i la stanza «Adesso basta! Sono stufa di vederti in stato vegetativo. Ora ti vesti e vediamo di darti una bella scrollata. Ho in mente ciò che serve». Il suo occhio si strizzò sornione. «Oh mamma… non oso immaginare cosa ti a per la testa…» «Non devi pensare ma solo agire. Muoviti pigrona, il mondo non ti aspetta».
«Okay, okay. Non ti scaldare. Faccio in un attimo». Mi preparai in men che non si dica, poi Angelica mi caricò in auto e partì. «Si può sapere dove mi stai portando? La tua mente trita idee più velocemente di quanto possa correre una Ferrari». «Mai quanto la tua. Era una tua prerogativa questa ed io mi sono lasciata contagiare. Ma ora non ti riconosco più ed io rivoglio indietro la mia vecchia amica». «Tornerà, tornerà. Dammi solo un po’ di tempo». «Te ne ho dato fin troppo». «Punti di vista…» «Appunto. Direi che è ora che seguiamo i miei. Non pensavo che quel ragazzo in due volte che l’hai visto ti avesse colpito così». «Non è quello il problema. E’ che non trovo stimoli per andare avanti, tutto mi sembra noioso. E’ vero che ogni tanto penso a lui, ma solo perché non comprendo il motivo del suo comportamento e il dubbio rode, lo sai». «Lo so, ma non si può sempre stare in un angolo a vedere la vita scorrere davanti. Così rischi che le occasioni di felicità ti ino davanti e tu neanche te ne accorgi». «Lo terrò presente». Angelica svoltò un’ultima volta e poi parcheggiò. La nostra mèta era un centro di bellezza. «Eccoci arrivate!» «Wow… Devo ammetterlo, hai avuto una splendida idea. Ho proprio bisogno di rilassarmi e sciogliere i nervi». «Perfetto! Entriamo allora che ho prenotato un trattamento completo». «E se non fossi venuta?»
«Ero sicura del contrario e il fatto che sei qui lo conferma». Mi prese sottobraccio ed entrammo. L’ambiente era confortevole, le pareti erano dipinte in toni che variavano dall’azzurro al rosa e le dipendenti del centro erano estremamente gentili. Angy aveva prenotato un massaggio rilassante, una maschera al viso, manicure, pedicure e trucco professionale. Finito dall’estetista, mi portò verso la prossima tappa del tour benessere: il nostro parrucchiere di fiducia. Infine shopping pazzo tra i negozi di abbigliamento e accessori. Quel giorno mi sentii davvero rinascere, avevo bisogno di coccolarmi, non lo facevo da troppo tempo. Per terminare in bellezza prendemmo l’aperitivo in centro città e poi serata in discoteca con gli amici. Quel sabato era tornata a scorrere linfa vitale nelle mie vene grazie ad un piccolo grande gesto d’amicizia. Finalmente stavo ritrovando il divertimento, certo era solo il primo o, ma stavo ricominciando a percorrere il sentiero della mia esistenza. Stavo pensando che magari, ora che era ato del tempo, potevo anche ritentare di decifrare l’incisione del diario di mia madre. Decisi che l’indomani avrei tentato. Si avvicinava il Natale, mancava solo una settimana e, riuscire a leggere quelle pagine, sarebbe stato il regalo più bello.
Smuoviamo l'acqua cheta
Una nuova riunione si apprestava a cominciare nel salotto color porpora. L’anziana signora troneggiava come sempre sulla sua poltrona e presiedeva l’incontro, nuovamente alla luce delle candele che creavano misteriosi giochi d’ombra sulle pareti. «Miei cari, abbiamo atteso abbastanza. La ragazza ha rinunciato e noi non possiamo accettarlo. E’ necessario che ritrovi la voglia di andare avanti, ma non ho idea di come agire». L’unico uomo maturo presente dichiarò «Purtroppo non c’è modo di invogliarla senza svelarle subito il segreto». Lo sguardo della donna attempata si oscurò, mostrando le innumerevoli rughe che sottolineavano la sua senilità «Così facendo otterremo solo di spaventarla e non troverà mai la chiave». «E allora cosa proponi? Il piano originale era perfetto, non capisco cosa possa essere successo da portarla a perdere interesse per tutto» incalzò la donna dai capelli corvini. «Daniel» Riprese l’uomo «Tu l’hai tenuta d’occhio, non hai osservato nulla di rilevante?» «Niente, mi dispiace. Non so cosa sia accaduto. Non sono stato con lei ventiquattro ore su ventiquattro». «Dobbiamo scoprirlo prima che la chiave cada in mani sbagliate» osservò l’anziana. «Ma com’è possibile?» Intervenì in quel momento Andrea che era comodamente seduto sul divano e sorseggiava un bicchiere di vino rosso «Se alla chiave può arrivare solo Crystal, non vedo quale sia il pericolo». «E’ una domanda lecita. Come sai il nostro segreto protegge i sei aggi segreti della leggenda, voce che abbiamo messo in giro per sviare i curiosi e i malintenzionati. Ma come avete appreso, esiste una sola via esatta che porta alla meta. Se per caso, uno di questi furfanti, per pura fortuna, trovasse anche solo
uno dei luoghi in cui Soraya ha nascosto gli indizi, c’è il grosso rischio che riesca ad arrivare fino alla chiave. E sarebbe una rovina». Spiegò la donna austera con la pazienza della sua veneranda età. «Ora afferro. Spiegazione eloquente, grazie. Anche se m’interrogo ancora per sapere come hanno fatto a scoprire del diario…» «A questo quesito, purtroppo, non so rispondere». Jasmine continuava a contorcersi le mani nervosamente, poi scattò in piedi e parlò gesticolando animatamente «Basta! Non ne posso più di tenervi all’oscuro! Io conosco il motivo per cui Crystal ha abbandonato la ricerca». Tutti i presenti si girarono di scatto a guardarla. I più adulti con espressione di smarrimento e incredulità, Andrea e Daniel allarmati poiché sapevano che cosa avrebbe rivelato. «Non farlo Jas» La pregò Andrea. Daniel prese a fissare il pavimento con le braccia penzoloni lungo il corpo. Stava per arrivare la sentenza. «Perché non dovrei? Io non ho nulla da perdere a rivelare il vostro piccolo, sordido segreto». «Vergognati. Bell’amica che sei… complimenti…» Abbaiò Andrea. «Lascia stare Andre. Tanto ormai ha lanciato il sasso e tutti attendono solo di raccoglierlo, il discorso non cadrà più qui. Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità». Jasmine, accecata dalla gelosia che l’aveva spinta a parlare, intraprese la sua confessione «Bene. Crystal ha perso la curiosità e la fame di conoscenza a causa del nostro caro Daniel». Tre paia d’occhi si puntarono accusatori verso il ragazzo e Jasmine proseguì «Lui aveva promesso di proteggerla e l’ha fatto, oooh se l’ha fatto… Ha preso così seriamente il suo compito da chiederle un appuntamento e quasi l’ha baciata, per poi rendersi conto del suo errore e lasciarla lì a interrogarsi se fosse lei tanto sbagliata. Voglio dire… Il tradimento di Luca, l’abbandono improvviso
del romantico Daniel, il ritorno di Luca e il suo rifiuto a tornare insieme a lui… La ragazza si è sentita una nullità e si è chiusa nel suo guscio. Ecco, la verità è questa. Come faccio a saperlo? L’ho controllata io giacché qualcuno è venuto meno ai suoi doveri». Involontariamente Jasmine aveva dato a Daniel la notizia che aspettava da più di un mese. Dopo che aveva visto il bacio che si erano scambiati Crystal e Luca, pensava che tutto fosse perduto e, dato che la gelosia si era impossessata di lui fino a divorargli l’anima, aveva preferito non seguirla finché non sarebbe stato in grado di ragionare lucidamente evitando di compiere i falsi. «Daniel…» La voce dell’anziana era colma di sofferenza e lo risvegliò dai suoi pensieri «Che hai combinato… Ci fidavamo di te». «Ma sei impazzito?» Attaccò l’uomo cinquant’enne «Conosci le regole. Ogni chiave una famiglia diversa. Neanche i coniugi devono sapere del segreto, si tramanda solo di genitore in figlio e tu crei questo caos?» Alla fine intervenne anche la donna che era rimasta fino ad allora con la tazza del tè sospesa a mezz’aria per lo stupore «Già era stato un problema, anni fa, quando Soraya rivelò al marito la nostra missione e i risultati si sono visti… Ora, ci ritroviamo qui, vent’anni dopo, ad affidare le sorti di un segreto nascosto centinaia d’anni, nelle mani di una ragazza che è cresciuta all’oscuro del nostro mondo parallelo e tu complichi ulteriormente la situazione?» A quel punto, Daniel, capì di dover dare spiegazioni «Avete pienamente ragione, non vi ho detto niente per evitarvi ulteriori preoccupazioni e, lo ammetto, per scampare alla vostra reazione che prevedevo, sarebbe stata furiosa». S’interruppe un attimo per deglutire prima di riprendere il discorso «Che posso dire… Devo confessare la mia colpa? Se riguarda il fatto che è stato un colpo di fulmine, che sto facendo una fatica infinita a star lontano da quella creatura meravigliosa, allora sì, sono colpevole. Mi dispiace, al cuore non si comanda. Se ho fatto un errore è solo stato quello, dovevo fermarmi prima di uscire con lei e scoprire quanto sarà fortunato l’uomo che potrà averla. Volete scomunicarmi? Fatelo pure, le emozioni non si possono cancellare. Ma se sarete così magnanimi da offrirmi la possibilità di riscattarmi, lo farò. Solo non chiedetemi di starle ancora lontano. Non riesco a togliermela dalla mente e se, per starle vicino, dovrò abbandonare la missione, sono pronto a farlo. Andrò contro qualsiasi regola per far mio quel tesoro prima che sia troppo tardi».
Le bocche di tutti si spalancarono. Non avevano mai sentito parole d’amore così profonde, così vere. Daniel era pronto a sacrificare tutto per lei. L’anziana rifletté quel tanto che bastava a prendere una decisione «Desideri star con lei fino a questo punto?» Il ragazzo annuì, ma non proferì parola, per cui la donna diede fiato fino all’ultimo dei suoi pensieri. «Non voglio punirti, né scomunicarti, anche se te lo meriteresti. Per ora ti do un’altra possibilità. Proteggila e guidala alla scoperta della verità. Ma ti avverto, quando questa storia sarà finita e il nemico, si spera, sconfitto, il consiglio dovrà prendere una decisione sulla tua permanenza al suo interno come membro attivo». Negli occhi azzurri di Daniel ò un lampo di speranza «Non vi opporrete se provo a riconquistare Crystal?» «No, non potrei essere più tranquilla a saperla al tuo fianco. So che le tue intenzioni sono sincere perché hai parlato col cuore. Ma le chiavi dovranno essere divise. Di questo comunque, ci occuperemo in seguito. Ora vai, hai la mia benedizione e, dato che nessuno replica, immagino anche quella degli altri». «Adesso rimane solo da scoprire se lei mi vorrà ancora… » Inorridita, Jasmine si avviò verso la porta d’uscita e, con la mano sulla maniglia, asserì «Non ci posso credere». Poi si voltò e puntò un dito accusatorio verso la vecchia «Tu sei solo di parte, se l’avessi fatto io, sarebbe saltato su il finimondo. Per me questa riunione è terminata!» E se ne andò. Andrea, irritatissimo, dichiarò «A quella ragazza dovrebbero far bere una boccetta intera di Valium! La sua gelosia la corrode troppo, non vorrei che fe qualche sciocchezza». «Non c’è da preoccuparsi. Ha un’indole impulsiva, ma è una brava ragazza. Non ci metterà a rischio. Ha tanti difetti, ma la sua determinazione e la sua vocazione alla causa ne fanno un membro degno di fiducia». La giustificò la donna dai capelli color dell’ebano.
Tutti furono d’accordo e la riunione si sciolse fino alla prossima convocazione da parte del membro più anziano.
I sogni tornano
Era la notte del 20 dicembre, gli ultimi giorni li avevo ati a so per negozi per comprare i regali di Natale. Avevo comprato un nuovo orologio da polso a mio padre della marca più in voga in quel momento, uno scialle per la mia tata, un maglione per Giacomo, il papà di Angelica, che come tutti gli anni avrebbe ato le feste con noi e, infine, per la mia amica, un vestito stretch arricchito da paillettes per capodanno. Purtroppo non ero riuscita ancora a venire a capo del mistero del diario. Mi misi nel letto dopo aver finito di incartare i doni e scivolai nel sonno più profondo.
In un parco pieno di fiori una bambina bionda dalle lunghe trecce correva felice, tenendo le braccia sollevate verso il cielo. Si girò e vidi che ero io. Indossavo un vestitino a righe lilla e rosa e dei sandali bianchi. Trovai una coperta rossa a quadri verdi stesa sull’erba e mi ci sdraiai. Guardavo il cielo e di fianco a me si sdraiò la mia mamma. Era così nitida la sua immagine… allora in un cassetto della mia memoria il suo ricordo era ancora preciso e ora stava finalmente venendo a galla. Soraya mi strinse tra le braccia e iniziò a indicarmi le nuvole che si muovevano velocemente nella distesa azzurra che ci sovrastava. Giocavamo a capire a cosa somigliavano le strane forme del soffice cotone nebuloso. Si susseguirono elefanti, foche, draghi… poi una nuvoletta si staccò dispettosa dalle sue compagne e cominciò a danzare isolata. Si muoveva elegantemente come una ballerina classica e mia madre cominciò a cantare una canzone che usava sempre quando voleva farmi addormentare, anche se, a casa, era accompagnata da una dolce musica: “L’étoile à force de tourner in bleu velouté, elle emmène notes enchantées de la berceuse de coeur„ Mentre le note mi allietavano, mia mamma, con una mano mi stringeva e con l’altra giocherellava con la sua collana a forma di due esse sovrapposte che si
separavano. Mi diceva che un giorno me ne avrebbe regalato metà.
Mi svegliai… Finalmente i sogni premonitori erano tornati a farmi visita e questo mi aveva fornito la soluzione! Come avevo fatto a non pensarci prima! Avevo avuto la risposta sempre davanti agli occhi e non ci ero mai arrivata. Ringraziai mia mamma a bassa voce… Era lei che mi era venuta in aiuto. Accesi l’abat-jour e allungai la mano verso il mio comodino per prendere il carillon a cui ero tanto affezionata. Il mio sogno mi aveva riportato alla mente ricordi dell’infanzia. Mia mamma Soraya era solita mettermi a letto e, dopo avermi rimboccato le coperte, caricava il carillon e lo apriva. La ballerina iniziava a girare su se stessa col suo tutù, sullo sfondo di velluto blu della scatola in cui era contenuta, mentre la mia genitrice cantava le parole incise sulla chiusura del diario. Avevo sbagliato l’interpretazione! L’étoile era intesa come prima ballerina, non nel senso letterale di stella e l’imbottitura del soprammobile era il velluto, non il cielo. Mi stupii di quanto quelle parole fossero vere… La canzone della ninna nanna del cuore… Era l’amore che ci metteva mia mamma per cedermi alle braccia riposanti della notte. Cercai a fondo ando le dita tutto intorno e dentro il carillon, finché toccai un pezzo che si muoveva. Lo spinsi e la ballerina si piego su un lato, scoprendo uno spazio vuoto, al cui interno, trovai la collana col ciondolo a doppia esse appartenuto a Soraya. Lo guardai stupita e me lo strinsi al cuore. Quando trovai la forza di allontanarlo, mi alzai e portai sul letto anche il diario, poi divisi le due metà del pendente. Le appoggiai sulle due esse poste all’inizio e alla fine della frase sulla finta serratura che chiudeva il diario… Non successe niente.
Ci pensai un attimo e poi provai a premerle contemporaneamente. Sentii un click e la serratura scattò, lasciandomi aprire il volume contenitivo e trovando, al suo interno, dei fogli scritti dal pugno di mia madre. Ero così emozionata… Stentavo a crederci. Finalmente avevo tra le mani i segreti della mamma. La strada della conoscenza mi attendeva. Erano le quattro del mattino, ma non avevo più sonno, quindi mi sistemai comodamente e inizia la lettura in trepidazione:
“Mia cara bambina, se stai leggendo queste pagine è perché sei venuta in possesso del mio diario e sei riuscita a decifrare la mia allusione, anche se vorrà anche dire che io non sarò più accanto a te, altrimenti conosceresti già i miei segreti. Per cui la mia missione sarà fallita, ma almeno avrò protetto te e il segreto. La nostra e altre sei famiglie, da secoli, si tramandano le chiavi per proteggere un mistero celato ai più, di cui si raccontano tante leggende, molte delle quali sono voci messe in giro dagli stessi protettori per sviare curiosi e maligni. La scoperta di ciò che è nascosto nel posto che tuteliamo porterebbe a una terribile sorte se cadesse nelle mani sbagliate. Capisco che non comprendi ciò che scrivo, ma la via della conoscenza è lunga e devo iniziare a raccontare dal principio affinché tu possa prendere coscienza del tuo compito e portarlo avanti come ragione di vita, nello stesso modo in cui ho fatto io e chi prima di me. Fin da bambina sono stata istruita con giochi che in realtà erano trucchi per imparare a riconoscere la via. Queste credenze hanno radici molto antiche, ma pochi sanno che corrispondono a verità. Ma partiamo dal principio:
Secoli fa questo territorio era solo una pianura immensa, dotata di verdi prati e colline; senza palazzi, senza strade, dove due fiumi scorrevano quieti. Una leggenda narra che Fetonte, figlio della dea egizia Iside, fu cacciato dall’Egitto e vagò in cerca di un luogo che gli ricordasse la sua terra natia. Fetonte era un dio con la testa di toro e il corpo di uomo. Quando arrivò qua, sentì di trovarsi nel posto giusto; una landa circondata da due fiumi: il Po, che doveva rappresentare il dio Sole, la parte maschile e la Dora, cioè la dea Luna, la parte femminile. Così cominciò a costruire il suo regno e Torino nacque all’insegna della dualità, che, col are del tempo, si è affermata sempre di più. Il bene e il male, la luce e le tenebre, tutto ciò che esiste al mondo e il suo opposto hanno dimora in questa città. Non a caso Torino è costruita seguendo uno specifico disegno, composto di perfetti calcoli che collocano ogni cosa al giusto posto. Torino è un progetto ben definito, un cuore che batte, un polmone che respira, nascondendo i misteri tra le vie e i palazzi comuni e, pur avendoli sempre davanti agli occhi, gli abitanti di questa città fatata, non si accorgono del mondo parallelo che vive accanto a loro. Se ti sei mai interessata alle origini di questa metropoli, saprai che, non a caso, è posizionata sul 45° parallelo, che trova il suo culmine nell’obelisco di Piazza Statuto, il punto più negativo che abbiamo. Infatti, la piazza, è costruita su un’antica necropoli e c’è chi dice che lì, da qualche parte, si trovi la porta dell’inferno, poiché è il punto esatto dove Torino diventa il vertice del triangolo della magia nera, insieme a Londra e San Francisco. Menzogna o verità? Non ti saprei dire per quanto riguarda l’entrata degli inferi, ma so per certo che esiste un clan di protettori delle tenebre. Ma Torino non va vista solo in tinte noir, poiché, come ti ho spiegato, vive nel segno della dualità.
Infatti, è anche vertice della magia bianca, insieme a Praga e Lione. Noi ci occuperemo di questo, in quanto siamo il lato buono della frittata, non quello bruciato. Il punto massimo di positività, cade esattamente dove è posta la cancellata d’ingresso del Palazzo Reale in Piazza Castello e, a guardia, sono poste le statue di Castore e Polluce, i Dioscuri, probabilmente figli di Zeus o di Tindaro re di Sparta, in quanto avevano come sorella Elena di Troia. Proprio grazie a questa caratteristica di dualità, Torino diventò la città prescelta di artisti e soprattutto alchimisti. Anche la famiglia, allora regnante, dei Savoia credeva alla sua misticità e, nel secolo 1500, proclamò Nostradamus, come suo mago di corte. Oltre a lui, molti altri alchimisti trovarono ospitalità dai reali, nomi noti come Cagliostro. Questi uomini colti e dotati, studiarono e fecero molte importanti scoperte, alcune delle quali, devono essere assolutamente tenute segrete poiché, nelle mani sbagliate, sarebbero fatali. Ecco cosa proteggiamo figlia mia. Non posso rivelarti di cosa si tratta e dove si trova, sarebbe troppo pericoloso se questo diario, disgraziatamente, non arrivasse a te o fosse rubato o perduto. Ma non ti lascerò nell’ignoranza. Segui il percorso che ti ho lasciato e trova la verità. Spero ardentemente che saprai farti onore e che accetterai con ione e determinazione il tuo destino prendendo il mio posto.„
Il diario s’interrompeva in quel punto, mancava solo un’ultima pagina… sicuramente l’indizio. Io bisbigliai tra me e me «Certo mamma, il tuo diario è il mio tesoro. Onorerò la
tua volontà» Girai pagina e mi preparai a sconvolgere completamente la mia vita, anche se, ancora non lo sapevo.
L'intruso
“Parti dagli angeli che vegliano su di noi, loro custodiscono sogni e misteri, sapranno indicarti luoghi segreti che riposano nel simbolo della conoscenza„
Oh no! Un altro enigma… Ma che significava… Rilessi quelle righe molte volte, poi decisi di chiudere il diario ma mentre stavo per far scattare la serratura… Un forte rumore di vetri infranti mi fece sobbalzare… O mio Dio! Qualcuno aveva rotto la finestra della mia camera! Che vizio lasciare la serranda aperta! Saltai giù dal letto con l’affanno che la faceva da padrone, corsi verso la porta ma qualcuno mi afferrò forte per i capelli e mi obbligò a girarmi. Una voce gutturale uscì da quella faccia senza volto nascosta nel buio «Dov’è?» «Do… dov’è cosa?» Riuscii a malapena a pronunciare quelle parole tanto era il terrore che mi attanagliava. Sapevo che quell’uomo imponente e malvagio mi avrebbe fatto del male. «Non far finta di non capire! Il diario!» Mi abbaiò contro. Io sbarrai gli occhi… Che cosa poteva saperne quell’individuo… Cercavo di tenere gli occhi fissi su di lui cercando un modo per liberarmi. Una cosa era certa, chiunque fosse non gli avrei mai permesso di impossessarsi di un oggetto tanto importante per mia madre. «Non so di cosa parli!» dissi con coraggio, mentre la mia mano si allungava verso il comodino per afferrare l’abat-jour che con la sua flebile luce a poco
serviva per guardare in faccia il mio assalitore. «Smettila se non vuoi farti male! O forse te lo farò lo stesso, devo ancora decidere». Un ghigno gli uscì dallelabbra. Nel frattempo il mio tatto mi fece capire che ero arrivata alla meta e con velocità e forza diedi la lampada in testa al delinquente, mi alzai veloce e feci l’errore di voltarmi indietro mentre correvo verso la salvezza. L’uomo, pur sanguinante si alzò di scatto, mi afferrò e mi lanciò contro la scrivania. La mia testa sbatté contro lo spigolo. Sentii un dolore acuto, poi… svenni.
Successe tutto così in fretta da non rendermene quasi conto. Mio padre e Alena accorsero in mio aiuto avendo sentito del baccano provenire dalla mia stanza a quell’ora del mattino. «Crystal, Crystal apri gli occhi! Sono papà». Udii la sua voce spaventata come proveniente da un altro mondo per quanto la sentivo lontana. Cercavo di aprire gli occhi ma non riuscivo, li sentivo pesanti come enormi massi. Alzai lentamente la mia mano verso la nuca nel punto in cui sentivo provenire un bruciore tremendo, come se mi stessero conficcando mille spine pungenti. Ero bagnata ma… com’era possibile… A un tratto un flash mi attraversò la mente come una saetta impazzita, sbarrai gli occhi e mi misi a sedere di colpo. Guardai il mio arto tremante non più rosa, ma cosparso di un caldo liquido rosso scuro… sangue! «Aaaaaah!!!!!» Urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni! Alena piangeva disperata «Mi niña, mi niña, quante cose brutte», Pronunciava le parole mentre si faceva convulsamente il segno della croce. «Dios ayuta nosodros por favor».
Papà non sapeva cosa dire. Era terrorizzato. «Alena calmati per favore, vai a preparare una tazza di tè, io intanto chiamo la polizia e qualcuno che aggiusti questa finestra, dopodiché andremo all’ospedale a fare un controllo a Crystal». Cercava di prendere in mano la situazione ma si percepiva la sua agitazione e il timore che mi potesse succedere qualcosa di male. Ma oltre questo c’era qualcosa nel suo sguardo perso che mi sfuggiva, come un elemento del ato di cui non ero a conoscenza, come se avesse già vissuto questo terrore. Non osai porre domande, mi alzai con fatica rifiutando il braccio di mio padre per tranquillizzarlo sul fatto che stavo bene e mi andai a sdraiare sul letto, noncurante di sporcare la bella federa del mio cuscino col sangue proveniente dalla ferita. «Tesoro non voglio che tu stia in questa camera, non ora, vieni ti porto in salotto». «Ormai che vuoi che succeda più papà. Sarà stato un ladro che non pensava di trovare qualcuno in questa stanza». Cercavo di mostrarmi serena ma le mie bugie non erano mai state molto convincenti. «Sarà, ma io mi sento più tranquillo ad averti al piano di sotto con me. Ti prego tesoro, non porre resistenza». Di nuovo balenò qualcosa di strano nello sguardo profondo di mio padre. Che avesse intuito del diario? Impossibile, lui non poteva saperne nulla se era un segreto tra mia madre e me. «Va bene, lo faccio per te» asserii mentre muovevo la testa in segno d’assenso. Mio padre sorrise stancamente, mi afferrò per il braccio e la vita e mi accompagnò fino al divano del salotto.
La rivelazione
«Pronto polizia? Vorrei denunciare un’aggressione avvenuta in casa mia pochi minuti fa». Dlin dlon. Il camlo suonava. Dlin dlon, dlin dlon. Alena corse ad aprire e venne subito ad annunciare la presenza di un poliziotto. Mio padre si voltò e poi riprese a parlare al telefono «Come non detto. E’ arrivato un vostro uomo qui a casa, probabilmente era di ronda nei paraggi e deve aver assistito all’accaduto. Grazie lo stesso per la vostra disponibilità». Riappese la cornetta e si voltò verso l’agente che non aveva conosciuto quella famosa mattina dell’interrogatorio, ma che Alena aveva riconosciuto. «Buongiorno signor Mancini, mi presento sono Daniel Sartori. Avevo già avuto modo di conoscere sua figlia durante un interrogatorio in cui lei non era presente». «Piacere mio agente, si accomodi. Siamo ancora molto scossi». Mio padre crollò e si prese il viso tra le mani, strofinandolo su di esse con fare stanco. Mi sembrava invecchiato di colpo, lui che era sempre stato così vivo e giovane. «Posso capirla signor Mancini, in due mesi avete vissuto due brutte esperienze. Ero nei dintorni ed ho visto l’uomo che usciva furtivo dalla vostra abitazione con qualcosa sotto il braccio. L’ho rincorso, ma purtroppo c’era un’auto ad aspettarlo nel vicolo ed è riuscito a scappare. Ora vorrei sapere cos’è successo». Mio padre alzò il viso corrugato verso di me e mi prese una mano in quanto era seduto sul divano al mio fianco «Crystal te la senti?» Io ero ancora sconvolta dagli avvenimenti e dal fatto di trovarmi Daniel davanti dopo tutto quel tempo. Non saprei dire per quanto tempo rimasi inebetita. Provavo paura, rabbia, rancore. Un mix di sentimenti che si susseguivano impazziti all’interno del mio cuore.
Su Crystal sei grande ormai, fatti forza e lasciati aiutare. Pensai. «Certo agente, adesso le racconterò l’accaduto». Descrissi tutto d’un fiato l’aggressione fino al momento del mio buio. Daniel annuiva interessato con un’espressione molto professionale dipinta sul volto. Alla fine della mia narrazione s’intromise mio padre «Ma che sta succedendo agente? Possibile che non avete ancora scoperto niente? Prima l’uomo assassinato sulla porta, ora questo! Ma che abbiamo fatto di male?» Questa volta il suo tono era molto irato e fiamme rosse gli bruciavano nelle pupille. Daniel cercò di calmarlo «Capisco la sua agitazione signor Mancini e le prometto che scopriremo chi è e perché sta agendo in questa maniera. Ma lei deve aver pazienza e lasciarci lavorare». «Pazienza? Io non ho pazienza! Non più! Hanno già ucciso mia moglie, devo rischiare di perdere anche mia figlia?» Si rese conto tardi di aver parlato troppo. «U…uc…ucciso papà?» Un nodo mi serrò stretta la gola. Mio padre mi guardò sconsolato e sconvolto per la confessione. Ed io continuai imperterrita. Ora volevo sapere, avevo il sacrosanto diritto di conoscere la verità «Perché mi è stato sempre detto che la mamma è morta in un incidente d’auto? Perché? Perché?» Piangevo convulsamente e alzavo sempre di più il tono della mia voce. Una rivelazione assurda, spaventosa! Ma chi aveva voluto morta la mamma? No, no, era tutto un incubo e mi sarei risvegliata presto. Troppe emozioni mi dovevano aver messo fuori uso il cervello tanto da non rendermi conto che stavo dormendo. Ma purtroppo non era così. Mio padre allungò un braccio per calmarmi ma io lo respinsi con forza e scappai in camera mia. Improvvisamente la mia mente aveva creato una vocina che ripeteva Il diario
Crystal. Pensai alle prime parole impresse sulla carta. Dicevano che se io stavo leggendo significava che lei non sarebbe stata più con me. Come poteva prevederlo? Allora era davvero un gioco pericoloso quello che a cui stavo partecipando. Ma se la mamma aveva deciso di tramandarmi il segreto era evidente che in ballo c’era qualcosa di veramente importante.
Svanito nel nulla
E’proprio strana la mente umana, un attimo prima sei sconvolta, un momento dopo trovi la forza di rialzarti e lottare perché un qualsiasi motivo ti ha spinto a farlo. Siamo davvero complessi…
Arrivai al piano superiore col fiatone a causa della corsa precipitosa che avevo intrapreso nel salire le scale e mi rifugiai in camera. Posai una mano sul cuore, come se quel gesto mi potesse restituire una respirazione regolare. Alzai lo sguardo e scoprii il disastro… «Mio Dio no… Il diario è sparito» riuscii a dire con voce appena udibile anche a me stessa. Cercai ovunque. In preda al panico iniziai a lanciare in aria coperte, cuscini, libri e riviste poggiate sulla scrivania e sul comodino. Niente… Solo i cocci dell’abat-jour sul pavimento e il caos che avevo creato. Crollai in ginocchio disperata e giurai a me stessa che avrei recuperato quel diario a qualsiasi costo. Mia madre sarebbe stata orgogliosa di me! Adesso sapevo cosa dovevo fare. Presi una penna e il primo pezzo di carta che trovai e trascrissi la frase misteriosa che più volte avevo letto quella mattina, piegai in quattro il foglietto e lo nascosi nel primo cassetto della scrivania. Ci avrei pensato più tardi.
Missione compiuta
«Ottimo lavoro Flavio, il capo ne sarà contento». «Questo vuol dire che finalmente lo conoscerò?» «Non avere fretta, ancora non è il tempo» lo frenò Giulio. «Non è il tempo? Che cosa devo fare ancora per dimostrare la mia lealtà?» Chiese Flavio in tono arrogante. L’uomo al volante s’irritò molto della sfrontatezza del suo sicario. «Non usare quel tono con me Flavio o te ne pentirai amaramente. Sai che non scherzo». Flavio abbassò la testa per non mostrare la rabbia che gli stava crescendo dentro e fece cadere lì il discorso. Giulio cliccò sul pulsante del suo telecomando e le sbarre che davano l’accesso al parcheggio riservato dell’ufficio si aprirono per permettergli l’ingresso. I due uomini scesero dall’auto e si avviarono verso il lussuoso ufficio di Giulio. Si sistemarono ai due lati della scrivania e Flavio poggiò il diario che aveva nascosto nel suo giaccone sul piano di essa. Giulio si sedette sulla sua poltrona di pelle e si strofinò le mani in segno di vittoria. Prese tra le dita i fogli contenuti all’interno della scatola rossa e iniziò a leggerli avidamente come un bambino che avesse appena scartato il suo più bel regalo di Natale. Flavio era in trepida attesa, anche lui voleva conoscere il contenuto di quei rettangoli un po’ ingialliti dal tempo. «Dannazione!» Imprecò Giulio a denti stretti. Flavio lo guardò interrogativo non capendo tanta collera ora che avevano raggiunto l’obiettivo.
«Che succede?» «Questo non è il diario!» «Che significa non è il diario? E’ impossibile!» «Non hai capito stupido imbecille! Questi fogli sono solo l’inizio del diario, ma sull’ultima pagina c’è un enigma che dovrebbe portare la ragazza al prossimo capitolo del racconto di sua madre». «Ma ora abbiamo noi l’enigma Giulio. Basterà risolverlo». «Non credere che sia così semplice. Gli enigmi posti da Soraya alla figlia sono insegnamenti che lei avrebbe dovuto assimilare durante la crescita, ma se la madre è morta per un nostro grave errore, come avrebbe potuto insegnarglieli?» «Si giusto, ma l’altra ragazza?» «Celeste era in macchina con Soraya il giorno del rapimento, non doveva andar così». «Non capisco Giulio, so solo che Soraya è morta ma non com’è successo». «Penso che sia ora di metterti al corrente: Soraya e Celeste erano elette che custodivano due delle chiavi che permettono di aprire la via del segreto di cui noi siamo a conoscenza. Quella sera le stavamo seguendo essendo una notte di plenilunio, notte in cui gli eletti si riuniscono da secoli. Ma le due donne se ne accorsero e Soraya, che era alla guida, accelerò per seminarci. Noi gli stavamo alle costole e finalmente riuscimmo a fermarle». Giulio fece una pausa per accendersi un sigaro, poi riprese il racconto. «Loro scesero dall’auto e cercarono di difendersi, ma noi eravamo più forti. Avemmo la meglio, così le rapimmo con l’intenzione di farci consegnare le chiavi del segreto e ottenere quelle degli altri custodi. All’inizio gli offrimmo di tutto per la loro collaborazione: soldi, gioielli, ogni bene che potessero desiderare. Ma loro erano ostinate, allora cambiammo metodo e cominciammo a torturarle, ma non ottenemmo nulla.
Un giorno, come al solito, tornammo nel luogo dove le tenevamo prigioniere, pronti a sottoporle all’ennesimo supplizio. Varcata la soglia della camera, però, le trovammo inermi. Si erano tagliate le vene con un frammento di vetro pur di non rivelarci niente. A oggi è ancora un mistero come ne siano venute in possesso». «E come vi siete sbarazzati dei cadaveri? Sicuramente qualcuno le avrà cercate» domandò Flavio. La risposta di Giulio non tardò ad arrivare «Restituimmo i loro corpi al fiume facendo credere in un’aggressione, ma gli eletti hanno sempre sospettato che i colpevoli eravamo noi protettori delle tenebre». Flavio guardava Giulio come se gli stesse leggendo la favola di Cenerentola, era rapito dalle sue parole e ammirava le gesta del suo superiore e ancor più quelle del suo capo mai incontrato. «Ora basta Flavio e… mi raccomando, non parlare con nessuno di questa storia o…» Fece scorrere il dito indice da sinistra verso destra sulla sua gola. Flavio recepì il messaggio e annuì. Nel frattempo il cellulare di Giulio squillò. La conversazione durò pochi secondi. «Ora andiamo, a quanto pare è il tuo giorno fortunato, il capo ci ha convocato per una riunione d’emergenza al cunicolo nero». «Entrambi?» Domandò Flavio eccitato all’idea che finalmente avrebbe conosciuto il gran capo. «Si Flavio, entrambi. Ma non gongolerei se fossi in te. Una convocazione d’emergenza non è mai positiva. E dobbiamo comunicare le nuove notizie. Il gran capo non ne sarà per nulla felice».
Bisogno di sapere
Scesi di nuovo in salotto e, con una calma che spaventò mio padre e Daniel, chiesi di conoscere la verità. Avevo ventuno anni ormai, non ero più una bambina, per cui non mi sembrava corretto essere tenuta all’oscuro della faccenda. Mio padre, a malincuore, mi raccontò com’era avvenuta veramente la morte di mia madre e della madre di Angelica, ma omise di parlarmi del segreto e del diario. Capii da sola che lui sapeva più di quanto dichiarasse a causa dei lunghi intervalli che creava tra una frase e l’altra, come a voler evitare di dire qualcosa di sbagliato. Ma gliene avrei parlato più tardi, non certo davanti a Daniel che avrebbe trascritto ogni parola nel verbale della polizia. Mio padre terminò il suo discorso e si congedò sfinito. Avevo riaperto in lui vecchie ferite con le quali stava combattendo da una vita per poter andare avanti e crescere me in un clima sereno. Mi sentivo in colpa ma avevo diritto di conoscere la realtà dei fatti. Rincorsi mio padre e lo abbracciai, sussurrandogli all’orecchio che gli volevo bene e che mi dispiaceva. Mi strinse forte tra le sue braccia paterne e protettive e mi assicurò che stava bene, ma aveva bisogno di riposare. Gli diedi un bacio sulla guancia e tornai in salotto da Daniel. «Perfetto agente, hai sentito fin troppo, ora scrivi il tuo verbale e vattene per favore». Daniel si alzò dalla poltrona e venne verso di me, sul viso un’espressione sofferente. «Cry ti prego».
«Non chiamarmi Cry! Che cosa vuoi ancora da me? Hai svolto il tuo lavoro, ora puoi congedarti». «Crystal io ti devo parlare». «Come ti ho fatto presente l’ultima volta che ci siamo visti, non abbiamo più niente da dirci». «Ah no? Che ne dici del diario?» Lo guardai allibita… come faceva a saperlo? Mi aveva spiato in tutto quel tempo? «Non capisco a cosa ti riferisci» borbottai. «Oh si che lo sai, ma questo non mi sembra luogo per parlarne. Sto già rischiando l’espulsione per averti rivelato che ne sono al corrente, quindi ti prego andiamo in una stanza lontana da qualsiasi orecchio indiscreto». «Non ho segreti per Alena» asserii orgogliosa. Non volevo dargliela vinta anche se, la curiosità mi stava divorando. «Fai come credi». Daniel girò sui tacchi e fece per avviarsi verso l’uscio. Aspettai qualche secondo combattendo con me stessa. Poi cedetti «E va bene, vieni, andiamo in camera mia, avrà una finestra rotta ma è il posto più discreto». Daniel sfoggiò un attraente sorriso di vittoria (ma a cosa pensavo in quel momento?) e mi seguì su per le scale. Entrammo nel caos della mia stanza che ancora non era stata riordinata dopo l’avvenimento. Ci accomodammo com’era possibile e fissai Daniel con aria di sfida mentre attendevo che si decidesse a parlare. «Cry non so da dove cominciare… » Sbuffai «Ecco ci risiamo. Prova a partire da come fai a sapere del diario». «No, penso che prima sia giusto che tu sappia che se quella sera del nostro
appuntamento, dopo la Mole, mi son comportato così, è proprio a causa del diario». «E ti aspetti che ci creda?» Domandai scettica. «Crystal tu mi piaci molto, davvero, altrimenti non sarei qui a rischiare il tutto per tutto per provare a riconquistarti e aiutarti». «Sono problemi miei, tu non c’entri». «C’entro più di quel che credi…» Daniel si rabbuiò improvvisamente ed io mi preparai ad ascoltare la sua storia. «Vedi Cry, ho dovuto mentirti su alcuni aspetti della mia vita… Io non sono un poliziotto ma lavoro al negozio di antiquariato di mio padre… l’hai conosciuto». Stavo già entrando in confusione e mi stavo alterando perché mi sentivo ingannata da lui anche sulle informazioni più basilari, ma trattenni il mio istinto e lo lasciai continuare. «Anche stasera non ero qui per caso, immaginavo che gli adepti delle tenebre avrebbero mosso qualche o per impossessarsi del diario, quindi vegliavo su di te, come mi è stato ordinato ed io non avrei potuto essere più felice che il compito fosse stato affidato a me». La mia mente intanto viaggiava per conto suo… una frase mi aveva colpito nel discorso di Daniel… vegliavo su di te. «Comunque, arriviamo al punto. Io faccio parte del gruppo delle sette famiglie che custodiscono ognuna le chiavi del segreto, di cui immagino tua madre ti avrà parlato nel suo diario». Annuii fissandolo rapita da questo punto del discorso e, desiderosa di saperne di più, domandai «Ma qual è il segreto? Ho capito che io sono la discendente di Soraya e che quindi ne devo prendere il posto, ma… per fare cosa? Come faccio a proteggere un segreto se non so neanche di cosa si tratta?» Quando ero totalmente coinvolta da un argomento, parlavo a raffica senza accorgermene, ero un fiume in piena impossibile da fermare.
«Calma Cry, a questo non posso rispondere, non è compito mio». «E allora di chi? Perché nessuno mi dice nulla?» «Perché non è né il momento né il luogo adatto. Penso che sia ora che tu conosca una persona di cui forse ti ricorderai vagamente. Alzati e preparati all’incontro».
L'incontro
«Sono pronta». «Perfetto, ho già avvertito la tua governante che stiamo per uscire, ora andiamo». Uscimmo da casa mia e ci avviammo, per quanto mi riguardava, verso l’ignoto. «A questo punto posso sapere dove siamo diretti?» Attesi una risposta ma Daniel continuava a guardare dritto davanti a sé mentre la strada si allungava sempre di più dietro di noi. «Ehi parlo con te! Avrò pur diritto ad avere qualche risposta!» Silenzio… Si ostinava a guidare escludendo ogni forma comunicativa con me. Allora provai a osservare l’ambiente circostante sperando di riconoscere un luogo a me familiare. I negozi, i ristoranti, ci stavamo lasciando tutto alle spalle per dirigerci verso la periferia, per cui a un certo punto rinunciai. Ero all’oscuro dei piani di Daniel, ma il mio istinto mi diceva che potevo e dovevo fidarmi di lui, anche se mille interrogativi mi riempivano la mente.
Persa nei miei pensieri non mi accorsi delle campagne che avevamo raggiunto e, quando finalmente mi riscossi, vidi che davanti a noi si stagliava un’antica villa maestosa. Era bellissima e mi rapì lo sguardo. Sembrava una di quelle dimore descritte nei libri ambientati nel ato. Daniel si avvicinò all’imponente cancello e si fece riconoscere dal guardiano che ci aprì. Percorremmo un viale alberato che terminava in un cortile, al cui centro, troneggiava una fontana di marmo abbellita con due puttini che stringevano tra
le braccia altrettante anfore da cui usciva l’acqua. Io ero talmente impressionata da non rendermi conto che Daniel aveva parcheggiato e, dopo aver fatto il giro dell’auto, stava tenendo la portiera aperta tendendomi una mano. «Cry siamo arrivati. Pensi di riprenderti dallo stupore e scendere?» Mi domandò Daniel con voce tenera. «Oh, si scusa. Sono rimasta talmente affascinata che non mi ero accorta che l’auto si fosse fermata» risposi imbarazzata. Accettai la mano che Daniel mi tendeva e ci avviammo verso il portone d’ingresso.
Daniel bussò tre volte con il batacchio che si trovava al centro dell’enorme porta. Venne ad aprirci una donna anziana vestita come una governante d’altri tempi. «Buongiorno signor Sartori». «Buongiorno a lei, Amelia. La signora è in casa?» «Si certo ma… non mi ha avvisato che foste attesi». Nel pronunciare queste parole spostò lo sguardo verso di me con fare indagatore. «No infatti, ma è una questione di assoluta importanza». Amelia annuì e si spostò di lato per permetterci di entrare. Ci ritrovammo in un ingresso immenso e per l’ennesima volta quella mattina, mi sembrò di essere la protagonista di un romanzo ottocentesco. Il pavimento era di marmo bianco lucidissimo. Ai lati dell’atrio partivano due corridoi e, di fronte a noi, si ergeva una scalinata ricurva che terminava in una balconata dietro la quale, s’intravedevano porte chiuse. La voce della governante mi riportò al presente.
«Attendete un momento qui, avverto la signora del vostro arrivo». Detto questo, scomparve nel corridoio alla nostra destra. Io guardai Daniel ed esclamai «Mio Dio, quella donna mette i brividi! Ora mi vuoi spiegare dove ci troviamo?» Daniel mi sorrise e cercò di sembrare sereno, anche se, dal suo sguardo, percepivo la sua tensione. «Amelia è un po’ burbera, ma ti assicuro che è una brava donna ed è di grande o alla sua padrona». «Un po’? Dipende dai punti di vista! E comunque non hai risposto alla mia domanda. Che cosa facciamo qui e chi è questa misteriosa signora? Inizio a spaventarmi.» Daniel posò le sue forti mani sulle mie braccia e subito mi rilassai. Ancora non riuscivo a capire come fe a infondermi tanta calma. «Non devi te lo assicuro. Fidati di me, te ne prego…» Decisi di credere in lui… di nuovo… e accennai un sì col capo mentre i miei occhi si persero nei suoi. Daniel mi attirò a sé avvicinando le sue labbra alle mie. Stava succedendo un’altra volta ed io pregavo Fa che stavolta sia stato sincero nel dichiarare che mi rivuole… Amelia ci interruppe con finti colpi di tosse ed io arrossii imbarazzata per essermi lasciata cogliere in flagrante in un atto tanto intimo da una perfetta sconosciuta. Allo stesso tempo imprecai tra me e me per essere stati nuovamente interrotti prima che riuscissimo a baciarci. «La signora è disposta a ricevervi nel salotto azzurro». «Grazie Amelia, conosco la strada non c’è bisogno che ci accompagni». Detto questo, Daniel mi prese gentilmente per mano e mi guidò verso il corridoio, mentre Amelia si avviò verso il lato opposto borbottando qualcosa
d’incomprensibile. Arrivammo davanti ad una porta intagliata di quelle che avevo visto solo nelle gite ai castelli e Daniel bussò con le nocche della mano destra. «Avanti» rispose una voce dall’interno. Daniel abbassò la maniglia e si fece da parte per lasciarmi entrare, io trassi un respiro profondo e andai incontro all’ignoto.
P.
La stanza dove entrai si affacciava sul giardino sul retro della villa. Era possibile ammirarlo attraverso le enormi portefinestre situate sulla parete di fronte. Al centro del salotto erano posti due divani di velluto azzurro e altrettante poltrone. In mezzo ad essi, un tavolino basso e ovale. Un’anziana donna con i capelli bianchi raccolti in un elegante chignon, si alzò da una delle poltrone e ci venne incontro, ma, arrivata a pochi i da me si fermò come impietrita. I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma erano lacrime di gioia poiché i suoi enormi occhi color smeraldo riflettevano tale emozione. Si portò le mani alle guance «Crystal… Crystal… quanto tempo mia piccola Crystal…» Io mi sentivo spaesata, non sapevo chi fosse questa signora tanto regale che mi chiamava per nome. Istintivamente cercai la mano di Daniel e gliela strinsi forte. La bella signora torno in sé, si asciugò gli occhi con un fazzolettino bordato di pizzo e ci invitò ad accomodarci. Daniel mi strinse la mano per farmi forza e ci dirigemmo verso uno dei divani, mentre la donna tornava alla sua poltrona. Calò un silenzio imbarazzante finché l’anziana non decise di spezzarlo «Daniel sono felice e al tempo stesso molto indispettita per questa improvvisata. Come ti è saltato in mente di portarla qui senza prima parlarmene?» Ecco, adesso ero ancora più confusa e impaurita. Continuavo a stringere la mano di Daniel senza lasciarla un momento. «Scusa Perla ma non ho avuto scelta dopo gli sviluppi di questa mattina». La donna ora sembrava sinceramente allarmata «Cos’è successo?» «Un adepto delle tenebre si è introdotto in camera di Crystal, l’ha aggredita ed ha rubato il diario».
«Oh mio Dio! Sono arrivati a tanto? Non avrei mai immaginato si spingessero così oltre. Dobbiamo assolutamente prendere tutte le precauzioni possibili per la protezione di Crystal. Ma la cosa che più mi preme sapere è se stai bene» disse rivolta a me. «Si ora sì, solo un grande spavento, una piccola ferita e tanta rabbia per aver perso il diario di mia madre». Mi portai d’impulso una mano sulla bocca per paura di aver rivelato troppo, ma immediatamente realizzai che se Daniel parlava liberamente del diario con quella signora, non avevo nulla da temere. O almeno così speravo. «Sei più forte di quanto credessi ragazza mia!» Affermò orgogliosa, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione verso Daniel «Ora capisco perché hai deciso di condurla qui… Hai creduto che fosse il momento di scoprire le carte prima di esporla a ulteriori pericoli. Ma sai come la penso a tal proposito, deve avvicinarsi lentamente alla conoscenza per accettare la sua missione». «Scusi l’impertinenza signora», m’intromisi. «Ma… credo che sia giunta l’ora di farla finita con tutti questi segreti. E questo vale anche per te Daniel! Che qualcuno mi dica dove siamo, cosa sta succedendo e cosa volete da me. Ma soprattutto chi è lei che sembra conoscermi così bene». Esposi il mio pensiero tutto d’un fiato prima di perdere il coraggio, anche se il tono che usai fu più acido di quello che intendevo. Ma a quel punto ero stufa, stufa delle bugie, degli intrighi e dei segreti… Desideravo solo risposte e non me ne sarei andata finché non le avessi ottenute una volta per tutte. L’anziana mi guardò teneramente, aprì le labbra più e più volte cercando le parole finché finalmente dichiarò «Tesoro…io…io… sono tua nonna Perla…» Ero sbalordita da quella rivelazione e non riuscii a proferire neanche una sillaba… Mia nonna? Ma com’era possibile? Mio padre me ne avrebbe parlato… Era sicuramente una menzogna inventata appositamente per perseguire il loro scopo. Ritrovai il fiato e diedi voce ai miei dubbi «Mi credete così ingenua? Se avessi ancora una nonna in vita lo saprei». Mi volsi verso Daniel in cerca di una spiegazione. Lui capì la mia perplessità e
m’indicò il quadro appeso sopra al camino che prima non avevo notato. Raffigurava la donna presente nella stanza in versione più giovane insieme a una ragazza che mi assomigliava e che compariva in innumerevoli fotografie a casa mia. Quella ragazza era mia madre. «Nonna? Ho una nonna?» «Si tesoro, sono tua nonna Perla, la madre di Soraya». Finalmente mi rilassai credendo a quella dolce signora e, invasa dalla gioia, mi gettai tra le sue braccia. Mia nonna mi strinse forte al suo petto. Attendeva quel momento da molto tempo. Quando finalmente ci separammo, la nonna suonò un camlo. Dopo poco apparve Amelia e Perla le chiese cortesemente di portarci un succo d’arancia e qualche pasticcino per festeggiare. La governante annuì e scomparve dietro la porta rientrando poco dopo con un vassoio. Dopodiché ci lasciò di nuovo soli. «Oh, nonna! Posso chiamarti così? Ho così tante domande! Ma perché papà non mi ha mai parlato di te?» «Certamente cara. Devi chiamarmi nonna! E’ da molto che desidero sentirlo. Per quanto riguarda tuo padre… era molto arrabbiato e aveva paura». «Ma di cosa? E perché? Ti prego almeno tu dammi delle risposte. Ne ho bisogno, non ce la faccio più a sopportare il peso di questi misteri». Mia nonna attese un attimo, poi sospirò e cominciò a spiegare. «Come forse già saprai avendo letto il diario di tua madre, la nostra famiglia è una delle sette protettrici del segreto e ognuna custodisce una chiave». Io annuii e lei riprese «E’ importante che tutte le chiavi siano divise e ognuna delle famiglie non deve assolutamente conoscere il nascondiglio delle chiavi delle altre, in modo da preservare ancor meglio il segreto nel caso in cui, uno di
noi sia malauguratamente catturato o ci tradisse. Come si suol dire: fidarsi è bene…» «… ma non fidarsi è meglio» Conclusi io al suo posto. «Esattamente. Non è mai successo che nessun protettore tradisse la fiducia degli altri, ma da secoli si segue questo metodo per preservare il segreto da ogni eventualità». «Ho capito nonna e fin qua sono d’accordo, ma… qual è il segreto? Tutti mi date informazioni parziali e sembra che io sia l’unica all’oscuro. Dopo questa mattina anch’io sto rischiando molto e vorrei sapere esattamente per quale motivo. Penso che sia lecito chiederlo». «Hai assolutamente ragione. Finora non ti avevo voluto incontrare perché pensavo che sarebbe stato meglio farti avvicinare al segreto lentamente. Non è una realtà facile da accettare e soprattutto bisogna decidere di credere. Nessuno può essere costretto a farlo, deve scegliere di farlo. Ma, dopo gli ultimi sviluppi, a questo punto devo ricredermi e ammettere che Daniel ha fatto bene a prendere l’iniziativa di portarti qui. E’ ora che tu sappia, ma ti comunico che non sei l’unica all’oscuro del segreto». «E chi altro lo è?» «Questo lo saprai a suo tempo, è l’unica informazione che ancora non voglio darti perché non ho ancora la certezza di potermi fidare di quella persona». Ero contrariata ma non lo diedi a vedere, per lo meno, aveva accettato di svelarmi il segreto.
Il segreto svelato
«Dunque torniamo a noi… Tu sei l’ultima discendente della nostra famiglia, tua madre era la custode della chiave che avrebbe dovuto tramandare a te appena compiuti i ventuno anni». «Un momento». Alzai una mano interrompendo mia nonna. «L’uomo assassinato sulla porta di casa mia, mi ha consegnato una lettera pochi giorni dopo il mio compleanno… era firmata P… me l’hai inviata tu allora!» «Si piccola mia, era necessario che cominciassi ad avvicinarti al tuo destino. Non potevo contattarti direttamente. Dopo la morte di tua madre, io e tuo padre avemmo una brutta discussione e lui non volle più che io fi parte della tua vita. Era contrario al fatto che continuassi a istruirti sulla missione al posto di tua madre, la quale, ti stava già tramandando la conoscenza attraverso mille trucchi che tu credevi fossero giochi. Ammetto che avevo timore che non li ricordassi, ma apprendo con piacere che non è così, dato che sei riuscita a risolvere gli enigmi». Tentennai un attimo torcendomi nervosamente le mani «Bé… non è che proprio li ricordi… Ma lasciamo stare quest’argomento. Perché papà ti ha allontanato da me? Lui sapeva?» «Non avrebbe dovuto in quanto il segreto può essere tramandato solo di genitore in figlio e i coniugi dovrebbero rimanerne all’oscuro, ma… tua madre si fidava ciecamente di Matteo e lo amava a tal punto che non voleva avere nessun segreto con lui. Per fortuna tuo padre si è mostrato degno di fiducia e non ha mai rivelato nulla a nessuno. Ha sempre sostenuto tua madre nella missione per quanto contrariato dal fatto che potesse metterla in pericolo. Purtroppo la sua morte l’ha distrutto e non voleva rischiare di perdere anche te. Lo capisco da madre… è nostro compito proteggere i nostri figli, anche se, io, purtroppo, non ci sono riuscita…» «Nonna non è colpa tua! Dei delinquenti ce l’hanno portata via, mi hanno privato della gioia di crescere con una madre ed io voglio renderla orgogliosa di me. Per quanto riguarda papà posso capirlo ma non è comunque giusto che mi abbia allontanato da te. Sei mia nonna!» «Mia cara quel che è stato è stato, ma io lo capisco e lo perdono, era accecato dal dolore. Per cui perdonalo anche tu».
Annuii comprensiva. Ero d’accordo con mia nonna e poi amavo troppo mio padre per essere arrabbiata con lui. Quell’uomo che nonostante il dolore per la perdita della moglie non aveva permesso che mi mancasse nulla e si era fatto sempre in quattro per rendermi felice. Sì, adoravo mio padre e mi ripromisi di ringraziarlo per tutto quello che mi aveva sempre donato. «Ora veniamo al punto: noi siamo i protettori dell’ingresso delle grotte alchemiche. Ne hai mai sentito parlare?» «Vagamente» ammisi sconvolta da quella rivelazione «Pensavo fossero una delle tante leggende su Torino, ma, ormai inizio a non stupirmi più di niente e non riesco più a distinguere verità o fantasia». «Tutte le leggende nascono da un fondo di verità. Questo tienilo sempre a mente. E, purtroppo, come esistiamo noi, esistono anche i protettori oscuri. Comunque affrontiamo una cosa alla volta. Come ti dicevo le grotte alchemiche sono tre grotte con un solo ingresso, anche se da sempre noi protettori abbiamo sparso in giro la voce che esistano più vie d’accesso per depistare i malintenzionati». «Ma se c’è un solo ingresso perché ci sono sette chiavi?» «Perché per aprirne le porte, serve un pentacolo di luce». «Un cosa???» Mi sembrava di essere stata catapultata in un film di fantascienza. «Ora ti spiego meglio… Cinque delle chiavi corrispondono a cinque precise residenze sabaude. Se durante la notte dell’equinozio di primavera fossero collocate sul tetto di ognuna di esse, creerebbero dei fasci di luce che disegnerebbero nel cielo un perfetto pentacolo, cioè una stella a cinque punte. Dal centro di questa stella scenderebbe un ulteriore fascio di luce che indicherebbe la precisa ubicazione dell’ingresso delle grotte. In quel momento le chiavi delle altre due famiglie dovrebbero congiungersi in quel punto per aprirne il aggio». Io ero affascinata. «E quali sarebbero? E cosa succederebbe se si aprisse l’ingresso? Cosa si trova all’interno? Perché hanno tanta importanza?» Mia nonna sorrise pazientemente, rallegrata dal mio interesse e dallo scintillio di sete di conoscenza che intravedeva nei miei occhi tanto simili ai suoi.
«Le cinque residenze sono la Reggia di Venaria che rappresenta il fuoco, la Basilica di Superga che rappresenta la terra, la Palazzina di caccia di Stupinigi che rappresenta l’acqua, il Castello di Rivoli che rappresenta l’aria e il Castello di Moncalieri che rappresenta il metallo. Come avrai ben capito ogni residenza rappresenta un elemento naturale». «Fin qui è tutto chiaro. E per quanto riguarda le grotte?» Ero divorata dalla curiosità e mi stavo apionando in un modo imprevisto alla storia. Finalmente iniziavo a comprendere e a vedere tutta la faccenda sotto una luce diversa, dandole la giusta importanza e capendo per cosa mia madre aveva combattuto con tanto coraggio. Ovviamente decisi, contro ogni previsione, di mettere da parte la mia razionalità decidendo di provare a credere. «Le grotte sono porte interdimensionali. La prima grotta conduce a una dimensione molto simile alla nostra, mentre la seconda porta a un senso d’immaterialità. Infine, la terza, a una dimensione così diversa da quella che conosciamo, che non sarebbe più possibile tornare indietro, o, perlomeno, nessuno è mai tornato indietro per poterlo raccontare. I grandi alchimisti dell’epoca erano molto attirati dall’aura magica della nostra città sai?». «Ok, ma se portano solo ad altre dimensioni, qual è il pericolo? Perché tanta segretezza? Basta non entrare nella terza no?» «No cara, non è così semplice… Le grotte sono anche in grado di materializzare i pensieri dell’inconscio e capisci che non tutti i pensieri più segreti e profondi sono buoni. Inoltre custodiscono un gran tesoro d’inestimabile valore e potere». «Di cosa si tratta?» Domandai, incapace di trattenermi. «Della pietra filosofale». Sgranai gli occhi allibita. «La pietra filosofale? Esiste sul serio?» Adesso si che ero scioccata e combattevo con me stessa per decidere se fosse tutto vero o fossero solo fantasie tramandate da secoli. Ma d’altronde si poteva morire per delle fantasie? No decisi, se c’erano esseri malvagi disposti a uccidere, un fondo di verità doveva pur esserci e la mia sola scelta era se crederci oppure no. Certo non potevo pretendere che me lo mostrassero! Mia nonna proseguì «Sarebbe un disastro se la pietra filosofale cadesse in mani sbagliate, in quanto ha tre enormi poteri: può elargire la conoscenza assoluta del
ato e del futuro, è in grado di produrre un elisir che dona l’immortalità e infine può trasformare in oro qualsiasi metallo vile». «Ho capito…Se a possederla fosse un malvagio il mondo intero sarebbe in grave pericolo poiché sarebbe usata per scopi egoistici. Ti ringrazio nonna per le spiegazioni. E’ dura digerire tutte queste informazioni e crederci ciecamente, lo ammetto, ma farò del mio meglio per combattere per la causa. Ora, però, ho ancora un paio di domande… Dove si trova la nostra chiave? E chi sono le altre famiglie? Evito l’ultima mia curiosità dato che mi hai già detto che non vuoi rivelarmi chi è l’altra persona all’oscuro». Perla sospirò «Questo è uno dei problemi. Nessuno, neanche io so dove si trova la chiave della nostra famiglia. Ogni qual volta si a il testimone, il nascondiglio deve cambiare e ogni genitore inventa una rete d’indizi per il figlio in modo che, in casi estremi come quello di Soraya, la chiave possa comunque essere ritrovata. Anche se, dall’accaduto, ancora non mi spiego come abbiano fatto i protettori delle tenebre a scoprire che lei fosse una protettrice della luce. E ora sono preoccupata perché senza più il diario di Soraya non so come farai a trovarla e ho timore che chi l’ha rubato ci arrivi prima di noi». «Aspetta un momento nonna. Non possono arrivarci!» Perla e Daniel alzarono di colpo lo sguardo e mi fissarono interrogativi. «Il diario della mamma era un insieme di fogli che spiegavano ben poco della nostra missione e nell’ultima pagina c’era un ulteriore enigma. Dovrebbero riuscire a risolverlo ed è molto difficile anche per me… Solo che io ho un piccolo aiutino». Continuavano a fissarmi perplessi, così, seppur con la paura che mi credessero pazza, svelai il mio di segreto, che finora avevo condiviso solo con Angelica. «Ecco… So che potrebbe sembrarvi strano… Ma tutti i ati enigmi li ho risolti con l’aiuto di… sogni. Anzi ora ho capito che per decifrare l’indizio nascosto nella lettera… la donna con la treccia bianca che mi è comparsa e che intingeva il calamaio e poi usava la torcia… eri tu!» Mia nonna si alzò di slancio e congiunse le mani «Oh, bambina! Allora hai veramente ereditato il dono di Soraya! Che gioia! Non potevo essere certa che l’avessi poiché normalmente salta una generazione, solo in qualche caso è andata diversamente. Per esempio io non lo possiedo ma la tua bisnonna sì. Questa è
una bellissima notizia. Ma… siamo punto e a capo… Se il diario si trova in loro possesso… noi comunque non abbiamo più l’enigma». «E invece si! L’avevo riletto più volte stamattina e appena possibile l’ho trascritto su un foglio che ho poi nascosto nella mia camera. Comunque non capisco perché continuiate a chiamare quei fogli il diario… erano solo pezzi di carta accumulati». Perla e Daniel si guardarono e annuirono contemporaneamente, poi Daniel mi prese le mani. «Sai cosa vuol dire questo? Che quello non era il diario! Mio padre Tommaso mi ha sempre raccontato che il diario che scriveva Soraya per te aveva una copertina blu… non erano fogli sparsi… Per cui credo fermamente che tua madre fosse ancora più ingegnosa e furba di quello che pensavamo, per nostra fortuna. Quello non era il diario ma solo pagine di esso». «Bene allora dobbiamo risolvere l’enigma e trovarlo!» Affermai convinta «E… nonna? Per quanto riguarda le altre famiglie?» «Come avrai capito una è quella di Daniel, le altre le convocherò al più presto per una riunione in modo da farti conoscere tutti gli eletti». Rimanemmo d’accordo in questo modo. Pochi minuti dopo ci alzammo e ci congedammo da Perla «A presto, nonna. Sono felice di averti ritrovato». «Mai quanto me mia cara, mai quanto me». E mi strinse in un caldo abbraccio.
Il gran capo
«Eccoci al cunicolo nero». «Scusa ma a me sembra tanto l’ingresso di un condominio». «Taci Flavio» gli intimò Giulio. Scesero dall’auto e si avviarono. Oltrearono la soglia di un portone aperto che dava su un cortile e Giulio, dopo essersi accertato che non ci fosse anima viva, fece cenno a Flavio di seguirlo dentro ad una porta situata al piano terra. L’appartamento in cui entrarono era spoglio e polveroso. I pochi mobili presenti erano coperti con dei teli che una volta dovevano essere stati bianchi. In silenzio Flavio seguì il suo superiore all’interno di una stanza che una volta doveva essere stato un soggiorno. Giulio scostò un vecchio tappeto logoro e, sotto di esso, apparve una botola. La alzò e Flavio si avvicinò. Tutto quello che vide, fu un buco nero e una scala a pioli che portava di sotto. Gli vennero i brividi, non era più tanto sicuro di voler incontrare il gran capo. Non in quel luogo per lo meno. Giulio sbuffò «Cosa aspetti. Muoviti!» Flavio obbedì e cominciò a scendere le scale. Poco dopo Giulio scese i primi gradini, poi, ebbe l’accortezza di spostare nuovamente il tappeto sopra la botola e la chiuse sopra le loro teste. Alla fine della scala si trovarono in una stanza dalla quale partiva uno stretto corridoio illuminato solamente dalla flebile luce di alcune fiaccole appese alle pareti. Dove si trovavano ora, invece, vi erano appese alla parete sulla destra, delle tuniche marroni dotate di uno strano cappuccio. Giulio ne prese una per sé e ne lanciò un’altra a Flavio che la prese al volo. «Tieni. Indossala e bada bene che il copricapo sia ben posizionato».
«A cosa serve tutto questo? Credevo di andare a una riunione dei nostri». Giulio iniziò a irritarsi. «Non fare domande e ubbidisci!» Tuonò. Flavio intuì che non era il caso di insistere e obbedì. Una volta vestiti le uniche parti visibili del corpo erano gli occhi che spuntavano da due fessure nel cappuccio, le mani e le scarpe. Giulio si diresse verso il corridoio con o sicuro e Flavio lo seguì silenziosamente. Anche a un uomo opportunista, prepotente e sicuro di sé come lui, la situazione creava disagio, se non timore. Non era più molto sicuro di capire in cosa si era invischiato. Il corridoio terminò in un’altra stanza più spaziosa della prima, ma egualmente illuminata solo da fiaccole. Al centro di essa vi erano collocati sgabelli di legno sistemati in semicerchio e, su un rialzo, una sedia dall’alto schienale. Gli sgabelli erano quasi tutti occupati e loro si sedettero su due ancora liberi. Flavio si guardò intorno e poté solo supporre che sotto le altre tuniche ci fossero sia uomini che donne. Dopo qualche minuto, da una stretta porta situata sul lato sinistro, comparve un altro uomo incappucciato, ma con la tunica nera anziché marrone. Al suo ingresso tutti gli altri si alzarono in piedi. L’uomo si andò a collocare sulla sedia che, Flavio presuppose, simboleggiasse una sorta di trono. Al cenno di una mano tutti si risedettero e l’uomo misterioso cominciò a parlare «Innanzitutto volevo comunicarvi che oggi è presente un nuovo adepto. Flavio alzati in piedi e presentati». Flavio non sapeva bene come comportarsi, tutta quella situazione lo innervosiva, ma si alzò «Buongiorno a tutti» poi si volse verso quello che doveva essere il gran capo e a un suo cenno si sedette. L’uomo in nero riprese la parola «Vi ho convocato qui in pieno giorno perché la
situazione ci sta sfuggendo di mano. Mi è stato comunicato che stamane uno di voi ha aggredito la ragazza in casa sua per rubarle il diario di Soraya». Flavio capì che stava parlando di lui e cominciò a sudare freddo. Doveva intuire che se era stato improvvisamente convocato dal gran capo quando Giulio continuava a ripetergli che era presto per conoscerlo, la cosa non avrebbe portato a nulla di buono. Anche Giulio s’innervosì. Se lui non aveva ancora rivelato al gran capo del diario chi poteva essere stato? E chi poteva saperlo? L’uomo in nero continuò «Posso percepire lo stato di agitazione di alcuni di voi e per questo vi domando: chi vi ha autorizzato a entrare in casa dell’eletta? Avevo esplicitamente ordinato di seguire la ragazza e tenermi informato sui suoi i. Una volta che avesse trovato la chiave, allora, avremmo deciso come muoverci! Ormai si sarà spaventata e potrebbe decidere di abbandonare la ricerca!» Nella stanza ci fu un mormorio, ognuno si chiedeva chi fosse stato, tranne i due artefici. «Silenzio!» Ruggì l’uomo in nero «Sono stati commessi troppi errori imperdonabili ed io non sono più disposto a dare altre opportunità. Flavio in piedi!» A Flavio si gelò il sangue nelle vene. L’uomo nero si alzò e andò verso di lui, mentre dalla tasca della sua tunica estraeva un pugnale. «Oddio no no!» Urlò Flavio e tentò di giustificarsi «Io ho solo eseguito gli ordini. No, nooo». La voce di Flavio si disperse nella stanza mentre si accasciava al suolo in una larga pozza rossa. L’uomo in nero gli aveva tagliato la gola. Gettò a terra il pugnale e tornò al suo posto come se niente fosse. Congiunse le mani e si rivolse all’altro colpevole «Per quanto riguarda te Giulio, so che sei stato tu a impartire l’ordine». Giulio abbassò la testa in attesa della sentenza e l’uomo continuò «Per questa volta ti perdono ma che sia l’ultima! Ringrazia che siamo amici e soci da molto tempo o avresti subito lo stesso destino. Non hai pensato che la ragazza poteva anche non essere sola? Avete pensato che poteva esserci Angelica con lei? Tu e Marcello avete già creato un disastro enorme quando avete catturato Celeste
insieme a Soraya e sappiamo tutti com’è finita… Ora trovati un nuovo subordinato e non commettere più errori!» «Sissignore ma a mia discolpa posso dire che ero certo che la ragazza fosse sola in camera sua». «Giulio non ammetto scuse! Comunque ormai il danno è fatto, hai con te il diario?» Giulio si affrettò a rispondere «Si certo eccolo». Lo estrasse maldestramente dalla tasca e lo porse al suo padrone. Poi osò domandare «Posso chiedere chi ti ha informato dell’accaduto?» «Ti basti sapere che ho occhi e orecchie dappertutto». Giulio non proferì altra parola e tornò al suo posto attendendo l’ennesima sfuriata quando il padrone si sarebbe accorto che quello che gli aveva consegnato era solo parte del diario. La reazione non tardò ad arrivare. «E questo cos’è? Sono solo poche pagine! Mi prendi in giro?» «Assolutamente no. Questo è quello che ha trovato la ragazza. Soraya è stata molto furba a dividere e nascondere bene gli indizi. Posso dirti, però, che c’è un enigma nell’ultima pagina che potrebbe aiutarci». L’uomo in nero si affrettò a cercarlo e quando lo vide, era ancora più infuriato. «E come pensi che potremmo risolverlo? Sai benissimo che il modo di risolvere questi enigmi si tramanda di genitore in figlio e ogni modo è diverso perché studiato appositamente. Siamo a un punto morto. Torniamo al piano originale e teniamo d’occhio la ragazza, sperando che trovi la chiave prima dell’equinozio di primavera o dovremo aspettare un altro anno per riprovarci ed io ho già atteso abbastanza». Giulio sfidò la sorte e disse «D’accordo ma servono tutte e sette le chiavi, non solo quella di Soraya». «Lo so bene ma con una piccola “spintarella” saranno tutti pronti a collaborare…»
Risate maligne provenirono da tutti i presenti. L’uomo nero si alzò e prima di andarsene ordinò indicando il corpo esanime di Flavio «Pulite questo schifo. Poi sarete liberi di tornare alle vostre occupazioni».
Mi dispiace, papà
«Crystal?» Appena varcai la soglia di casa, mio padre comparve dal salotto e si piazzò davanti a me con le mani ben salde sui fianchi. Il suo viso esprimeva emozioni contrastanti che andavano dalla preoccupazione, al sollievo, alla rabbia. «Si può sapere dove sei stata? Sono ore che mi trovo in balia dell’ansia! Dovevamo portarti al pronto soccorso!» Risposi a mio padre con lo sguardo rivolto verso il pavimento, mi sentivo terribilmente in colpa. «Mi dispiace di averti fatto preoccupare… Avevamo avvertito Alena che era necessaria la mia presenza in un posto…» «Non prendermi in giro signorina! E non mettere la tua tata in mezzo a questa situazione!» Tuonò mio padre. Prima d’ora non l’avevo mai visto così infuriato. Esitai a parlare. Cercavo disperatamente un argomento valido che riuscisse a tranquillizzarlo, ma ottenni solo di farlo irritare ulteriormente. «Esigo immediatamente una spiegazione!» «Papà calmati, sto bene come vedi! La ferita era solo superficiale, l’ho disinfettata e…» «Adesso basta! Rispondi alla mia domanda! Dove sei stata?» Lasciai cadere le braccia lungo in corpo, dovevo raccogliere tutto il mio coraggio e confessare a mio padre di aver incontrato la nonna… Questa volta sarebbe stato inutile mentirgli. «Va bene, hai vinto, ti dirò tutto ma prima andiamoci a sedere sul divano e… ti prego, giurami che sarai comprensivo». Mio padre mi lanciò uno sguardo di fuoco e si diresse verso il salotto. Lo seguii rassegnata.
Lo osservai sedersi a braccia conserte in attesa di sentire cosa avevo da dire e andai a sedermi anch’io. Senza avere ancora il fegato di guardarlo in faccia cominciai «Ecco… il fatto è… cioè…» Non riuscivo a trovare le parole giuste, pur sapendo che non ne esistevano per rivelargli tutta la vicenda. Sentii papà che iniziò a battere il piede sul pavimento ripetutamente… la sua pazienza stava giungendo al termine. «Oggi… io… sono stata accompagnata in una villa bellissima fuori città e… ho… conosciuto nonna Perla». Istintivamente chiusi gli occhi e strinsi le palpebre in attesa di una sonora sgridata o addirittura di uno schiaffo, ma non arrivò nulla… se non il silenzio. Alzai lentamente la testa e vidi mio padre con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa tra le mani che tremava. Oddio cos’avevo combinato… Terrorizzata, urlai «Papà stai bene? Papà cos’hai? Ti prego dì qualcosa!» Senza cambiare posizione, mi rispose con voce tremante «No, Crystal, no… Perché quella donna si è messa in contatto con te, l’avevo avvisata di starti alla larga. Ho già perso tua madre a causa sua… Ora cosa vuole da te? Che anche tu rischi la tua vita?» Presi le mani di mio padre e gliele massaggiai dolcemente «Papà non è stata colpa sua… Sono stati gli avvenimenti degli ultimi tempi che mi hanno condotto a lei… sai… Tutto è cominciato la mattina che ho trovato quell’uomo sulla porta…» Così finalmente raccontai tutto a mio padre: della lettera, degli enigmi della mamma e dei fogli del suo diario. Dei miei sogni premonitori, della nonna e di Daniel… bé non proprio tutto di Daniel. «E questo è tutto quello che c’è da sapere». Mio padre si prese qualche secondo per assimilare le novità, poi inspirò profondamente e finalmente prese parola «Crystal sai cosa comporta tutto questo? Tua madre è morta per proteggere il segreto ed io ho promesso a me stesso che ti avrei protetto da questo mondo parallelo e pericoloso. Non voglio e non posso rischiare di perdere anche te…»
Guardai mio padre che, dopo la rivelazione, sembrava invecchiato di dieci anni nel giro di pochi minuti. «Papà ti capisco. Probabilmente al tuo posto avrei fatto lo stesso, però, mi rendo anche conto che se la mamma mi ha lasciato tutti questi indizi per arrivare alla chiave... ecco, credo che sia stato suo desiderio che io portassi avanti la sua missione. E voglio farlo, è importante papà capisci? Per tutti noi. Ti prometto che farò attenzione e che non mi perderai». «Lo spero Crystal, lo spero». «Questo vuol dire che sei d’accordo e mi lascerai prendere il posto della mamma?» «No tesoro. Significa che tu sei abbastanza grande per decidere da sola e che preferisco lasciarti la libertà di scegliere piuttosto che interferire e obbligarti a nascondermi ciò che fai o dove vai». Di slancio abbracciai forte mio padre. «Ti assicuro che sarò prudente, ma è il mio destino papà e dobbiamo accettarlo entrambi. Ti confesso che anch’io faccio fatica a credere che tutto ciò che ho sempre considerato leggenda sia invece realtà. Da una parte, però, mi sento speciale per avere la possibilità di farne parte». «Sarà… Ma ciò non m’impedisce di essere seriamente preoccupato per il tuo futuro». «Lo so papà e non finirò mai di ringraziarti per non ostacolarmi». «Tesoro mio, i figli non sono proprietà e anche se non sono d’accordo con le tue scelte, devo lasciarti libera di volare e intraprendere la strada che ritieni giusta per te. Fammi solo una promessa: non permettere che questa nuova parte della tua vita se intrometta con i tuoi programmi». «In che senso?» «Nel senso che proseguirai gli studi di psicologia e continuerai una vita normale con la tua famiglia e i tuoi amici». «Bé… normale è un parolone dopo tutte queste rivelazioni, ma sì te lo prometto.
E… papà? Posso farti una domanda?» Mio padre annuì e mi guardò circospetto «Quando la mamma ti ha raccontato della sua missione, non ti ha per caso svelato anche il nascondiglio della chiave?» «Purtroppo no, questo non lo so neanche io. Solo lei ne era a conoscenza». Presi a massaggiarmi il mento pensierosa «Allora dovrò assolutamente risolvere il prossimo enigma della mamma e continuare la caccia al tesoro. E spero di trovare la chiave prima della riunione in cui conoscerò le altre famiglie». «Tutte le famiglie?» «Credo di sì. Uno degli eletti è Daniel, una è la nonna e gli altri cinque non saprei proprio». «La nonna è un’anziana e sta solo presenziando al tuo posto finché non ti erà ufficialmente il testimone, quindi, vi conterei come un’unica famiglia». «Aspetta un momento… questo vuol dire che alla riunione parteciperanno solo sei famiglie, ma io so per certo che i custodi sono sette». «Esatto» Confermò mio padre. «Hai ragione! Ora ricordo che la nonna mi ha accennato che non ero l’unica all’oscuro della faccenda ma, non ha voluto darmi nessuna informazione riguardo all’altra persona». «Avrà avuto le sue buone ragioni». Guardai mio padre di traverso «Papà c’è qualcosa che vorresti dirmi?» «Non spetta a me tesoro. Se Perla crede che non sia ancora il momento di illuminare l’ultimo custode, allora è corretto che sia lei a decidere quando comunicarti di chi si tratta». «Quindi tu lo sai! Ma sì certo ed evidentemente è qualcuno che io conosco! Dimmelo papà, ti prego!»
«No Crys, mi dispiace. Questa volta non posso accontentarti. Come ben sai non dovrei neanche essere a conoscenza del segreto. Se devo fidarmi di tua nonna, vorrà dire che seguirò le sue regole. E, a questo punto, credo che potremmo invitarla a pranzo il giorno di Natale e riunire la famiglia. Ormai è inutile continuare questa faida». «Papà sei il migliore!» «Basta smancerie» disse sorridendo. «Sento un buon profumino venire dalla cucina e immagino che la cena sia quasi pronta». In quel momento la mia pancia borbottò, ricordandomi che avevo saltato il pranzo, presa com’ero dalla nuova piega che aveva preso la mia vita. Finalmente stavo ricominciando a sentirmi viva.
L'inscrizione
Per quel giorno ero satura di notizie per cui, dopo una doccia rilassante, decisi di andare a letto presto. Stavolta ricordai di abbassare la serranda, anche se, al posto del vetro rotto c’era un grosso rettangolo di nylon. Per fortuna mio padre aveva già preso accordi per farlo cambiare il giorno seguente. M’infilai sotto le coperte e mandai un messaggio ad Angy, chiedendole di are l’indomani mattina per il nuovo enigma. La risposta affermativa arrivò quasi immediatamente. Chiusi gli occhi e sprofondai in un sonno profondo.
Mi svegliai carica di energia. Scivolai giù dal letto, infilai una tuta e scesi a fare colazione. «Buongiorno Alena». «Mi niña! Hai dormito bien?» «Benissimo! E mi sono svegliata con una fame tremenda!» Alena mi piazzò davanti un pezzo di ciambella all’arancia ancora caldo e una tazza di tè fumante. Mentre mangiavo, mi rammentò «Querida ti ricordi che esta noche parto per la Spagna per il navidad». «Oh ma certo. Scusa Alena ma col trambusto degli ultimi giorni me ne ero completamente dimenticata. Aspettami qui un momento». Corsi al piano superiore facendo le scale a due a due per andare prendere il regalo per la mia carissima tata e ridiscesi in cucina. Sporsi il pacchetto verso Alena che borbottò «Querida! Ti ho detto che esta vieja tata non ha bisogno di nulla». Fece finta di essere contrariata ma si vedeva che
era felice delle attenzioni che le rivolgevo. Alena scartò il suo dono e strinse a sé lo scialle ricamato a mano che avevo scovato in un caratteristico negozio indiano. «Ti piace?» «Oh niña! E’ muy precioso! Esto è per te». E mi consegnò una scatolina quadrata. La aprii e dentro faceva bella mostra un bellissimo braccialetto d’argento con un ciondolo di cristallo a forma di goccia. «Tata è meraviglioso! Grazie!» «Ho visto il colgante e ho pensato è perfecto por mi cristallo».
Un’oretta dopo finalmente arrivò Angy. «Ciao Cry! Pronta per il nuovo enigma?» «Prontissima!» Porsi alla mia migliore amica il foglio su cui l’avevo appuntato. «Dunque vediamo… Parti dagli angeli che vegliano su di noi, loro custodiscono sogni e misteri, sapranno indicarti luoghi segreti che riposano nel simbolo della conoscenza. Questo è perfino peggiore degli altri!» esclamò Angelica. «Ti sei fatta un’idea? Ancora non hai sognato niente?» «Purtroppo no. Stamattina ho esplorato tutta la casa alla ricerca di angeli, ho pensato che si riferisse a qualche quadro o qualche statuetta che si trova qui». «E non hai trovato nulla d’interessante?» «Solo il quadro che si trova sopra il letto di mio padre. Raffigura due angeli con in mano una cetra e una pergamena che guardano verso la terra dalle nuvole». «E’ un inizio!» «Non credo. Ho fissato il quadro per mezz’ora ma non ho trovato alcun indizio
al suo interno». «Forse servono un paio d’occhi in più! Andiamo a riguardarlo insieme!» Non ebbi il tempo di rispondere che già si era catapultata verso la camera matrimoniale. «Vedi? Niente di niente. E’ un semplice quadro». Imperterrita, Angelica si tolse le scarpe e salì sul letto per esaminare l’opera più da vicino. Lo studiò da ogni angolo e distanza finché decise di arrendersi «Uff… hai ragione, qui non c’è nulla… anche se… Aspetta ho un’idea!» Scese dal letto e corse fuori dalla stanza per poi tornare poco dopo con una lente d’ingrandimento. «Si può sapere cosa vuoi fare?» «Un attimo di pazienza Crys, prima voglio verificare se ho ragione». Si avvicinò con la lente alla pergamena che uno degli angeli teneva in mano «Siiiiii! Qui c’è qualcosa!» Urlò entusiasta. «Sul serio?». Saltai sul letto e mi avvicinai ad Angy. «E’ vero c’è un’inscrizione ma non vuol dire niente. Potrebbe fare semplicemente parte del quadro originale». «O forse no! Scopriamolo!» Mi spronò. Studiammo la scritta. Si trattava di una frase tratta da “La scarpina di raso” di Paul Claudel “Sono io, io c’ero sempre, non ti ho mai lasciata, sono il tuo angelo custode. Credi davvero che tu eri senza di me fino ad ora? C’era una continuità tra noi, tu mi toccavi.„ «Mi sembra una semplice citazione e neanche scritta in italiano corretto» dissi. «Eppure qualcosa mi dice che non è così». Ribatté la mia amica. Senza scambiarci altre parole, ognuna persa nei suoi pensieri, scendemmo dal letto, aggiustammo le coperte spiegazzate e tornammo in camera mia.
Mentre Angy ancora rimuginava, il mio cellulare mi avvisò che avevo ricevuto un messaggio, così lo lessi. Dimenticai all’istante la citazione e mi concentrai a leggerlo e rileggerlo. Angelica si riscosse dai suoi pensieri e si rese conto che ero imbambolata sullo schermo. «Crys» mi chiamò. «Cryyyyyys» ritentò. Ero talmente assorta nella lettura da non sentirla. «Cryyyys. Pianeta terra chiama Crys a rapportooooo» mi urlò nell’orecchio destro. «Oh scusa Angy. E’ Daniel». Un ampio sorriso m’illuminò il volto. Lei mi strappò letteralmente il telefono di mano. «Fammi leggere! “Ciao Crys, come stai oggi? Mi auguro meglio. Se non hai impegni, ti andrebbe un aperitivo verso le 17.30?” E’ tornato alla carica? E cosa intende con stai meglio oggi? C’è forse qualcosa che devo sapere?» In quel momento la mia carissima amica svampita si accorse del nylon alla finestra e si allarmò. «Decisamente c’è qualcosa che devo sapere! Cos’è successo alla finestra?» Con il susseguirsi veloce degli avvenimenti del giorno prima non avevo avuto né modo né tempo di raccontare ad Angelica le novità e così mi apprestai a informarla. Come al solito m’interruppe continuamente per sapere i dettagli. Ero in dubbio se confidarle o no del segreto, ma alla fine mi convinsi, d’altronde stava rischiando quasi quanto me accompagnandomi nella ricerca. Inoltre, pensai che, dato che la nonna e Daniel a quanto pareva erano a conoscenza di qualsiasi cosa riguardasse la mia vita, sicuramente sapevano che Angelica mi stava aiutando; per cui immaginai che mi avrebbero redarguito al riguardo se non fossero stati d’accordo. E poi di Angy potevo fidarmi, non aveva mai tradito la mia fiducia. Quando ebbi finito Angelica era ancora a bocca aperta. «Quindi cosa sei? Una specie di Sailor Moon? Io posso fare Sailor Mars?»
Scoppiai a ridere di gusto, solo la mia migliore amica poteva farmi una domanda del genere dopo quello che aveva appena appreso. Una persona normale sarebbe fuggita a gambe levate, ma non lei! «Bé? Che c’è da ridere? Sailor Moon è un mito!» Ancora con le lacrime agli occhi la abbracciai e risposi «Ringrazio il cielo che esisti Angy». La mia amica ricambiò affettuosamente l’abbraccio. Poi si accese una lampadina nel suo cervello e mi allontanò tenendomi però, ancora per le braccia. «Questo vuol dire che alla fine Daniel è stato costretto a scaricarti? Allora non era il solito donnaiolo meschino! Wow che bella notizia! A proposito…» «Angy che fai!» Prese di nuovo il mio cellulare e prima che potessi fermarla aveva già risposto affermativamente al messaggio di Daniel al posto mio. «E se non volessi andare all’appuntamento?» «See see… Ma chi vuoi prendere in giro. Finalmente sta entrando un po’ di serenità nella tua vita Crys. Non aver paura e stavolta cogli l’occasione come meglio puoi. Sono tanto felice per te!» Archiviammo, per il momento, l’enigma della mamma e ci mettemmo a parlare dell’appuntamento, di Daniel e di un nuovo ragazzo per cui Angy aveva avuto l’ennesimo colpo di fulmine, come se fossimo ancora ragazze normali, quando eravamo convinte che le leggende fossero semplicemente delle favole.
Appuntamento con l'amore
Daniel arrivò puntuale a casa mia. Quando sentii suonare il camlo mi precipitai al piano inferiore, ma, prima di poter aprire la porta, mio padre m’intercettò. «Dove vai così di corsa? Esci con Angelica?» «Ehm… no. Angy è stata qui stamattina, è andata a casa verso mezzogiorno, aveva da studiare per un esame da dare dopo le vacanze di Natale. E tu come mai a casa? Non eri di turno?» Mio padre mi guardò circospetto ma con un mezzo sorriso, aveva capito che gli volevo nascondere qualcosa che m’imbarazzava. Quando fornivo troppi dettagli, lui intuiva che si trattava di un ragazzo. Non che ne avessi avuti molti prima dei quattro anni ati con Luca, ma qualcuno durato poco più di un mese o due c’era stato. «Sì ma ho preso un’ora di permesso. Tra poco vengono a cambiare il vetro della tua finestra. E comunque, tu quando pensi di studiare signorina?» «Stasera, te lo prometto!» Mi avvicinai all’uscio e lo spalancai. Daniel mi stava aspettando sulle scale, bellissimo come sempre. Indossava un cappotto grigio tortora che gli cadeva perfettamente addosso e dei jeans blu scuro. Mio padre si affacciò a “spiare”. «Oh buonasera Daniel». «Buonasera signor Mancini» rispose lui educatamente. «Chiamami Matteo. Ora che so che sei il figlio di Tommaso e Sara possiamo evitare le formalità. Sono certo che saprai che tuo padre era un caro amico di mia moglie e negli anni ho avuto anch’io modo di apprezzarlo. Tra l’altro come stanno?». «Stanno molto bene grazie». «Salutameli tanto quando li vedi… Anzi, viste le nuove direzioni che hanno preso le nostre vite, ti dirò che avrei tanto piacere di incontrarli di nuovo e
magari riprendere la nostra vecchia amicizia. Le circostanze del ato purtroppo ci hanno allontanato». «Certo glielo riferirò». «Se non avete programmi per il pranzo di Natale, avremmo piacere di avervi qui con noi». A udire quell’invito sbarrai gli occhi! Mio padre era forse impazzito? Sarebbe stato davvero imbarazzante se avessero accettato. Io, lui e i nostri genitori! E se l’appuntamento di oggi fosse andato male? Meglio non pensarci per ora. Daniel mi guardò con un sorriso accattivante e rispose «Proverò a domandarglielo e lo farò sapere a Crystal. La ringrazio comunque». «TI ringrazio» finse di sgridarlo mio padre. Daniel si rivolse raggiante verso di me. «Sei pronta? Andiamo?» Ah ah, allora anche lui era imbarazzato, glielo lessi in volto, ma a quanto pareva era molto più bravo di me a nasconderlo. «Crystal, un’ultima cosa, stamane ho anche invitato Perla che ha accettato volentieri». A quella notizia m’illuminai. «Davvero papà? E’ una bellissima notizia! A dopo». Salutai mio padre e mi diressi verso l’auto con Daniel. «Divertitevi!» Ci augurò mio padre strizzando l’occhio, gesto che mi fece arrossire all’istante.
«Dove siamo diretti? O è un’altra delle tue sorprese?» «Nessuna sorpresa, non ho fatto programmi, pensavo di dirigerci verso il centro e fermarci dove più ci piace». «La trovo un’ottima idea». Mi rilassai sul sedile mentre Daniel accendeva la radio e dalle casse partì
“Magnifico” di Fedez.
La scelta ricadde su un bar di cui mi attirò l’insegna mentre eravamo fermi a un semaforo. Dopo aver parcheggiato, entrammo e prendemmo posto a un tavolino appartato. Ordinammo due Spritz. «Sono contento che tu mi stia dando una seconda possibilità. E’ una seconda possibilità vero?» «Dipende…» Alla mia risposta quasi gli andò di traverso il salatino che stava masticando. «Dipende?» Mi chiese alzando un sopracciglio. «Sì dipende. E’ una seconda possibilità se mi prometti che tra noi non ci saranno più segreti». Daniel alzò una mano e posizionò l’altra sul cuore «Parola di scout!» Scoppiammo a ridere entrambi a quella battuta. Questa volta Daniel rettificò le informazioni sbagliate che era stato costretto a darmi in ato e mi raccontò che da circa due anni viveva da solo ed era una bella esperienza non dipendere più dalla famiglia, anche se lavorava comunque al negozio di suo padre. «Posso chiederti una cosa?» «Tutto quello che vuoi Crys». «Ieri, se non sbaglio, mi hai detto che finalmente avevi il permesso di stare con me… cos’è cambiato?» Daniel si adombrò «Non qui». Ci alzammo, Daniel pagò il conto e tornammo all’auto.
«Dove andiamo?» «Sul colle della Maddalena, parleremo lontano da orecchie indiscrete e ci godremo una vista romantica della nostra città che non guasta mai». Arrivati a destinazione, cominciammo a eggiare ed io rabbrividii per il freddo di dicembre. Per fortuna la neve si era sciolta, ma le temperature non accennavano a salire. Daniel mi mise un braccio attorno alle spalle e mi attirò a sé. Sembrava il remake di una scena già vissuta. Camminammo così abbracciati per qualche minuto, poi ci sedemmo su una panchina gelida. «Qui possiamo parlare più tranquilli che ne pensi?» Io annuii. «Come hai appreso recentemente, il consiglio mi aveva affidato il compito della tua protezione. Essendo all’oscuro di tutto eri la più vulnerabile tra noi. Il problema è sorto quando ti ho visto e conosciuto». Fece una pausa in attesa di una qualche mia reazione, ma io non avevo intenzione di interromperlo. «Ho provato subito una forte attrazione verso di te. Non mi era mai successo con nessuna te lo assicuro». Prese fiato e poi proseguì «Quando ti ho incontrata in quel locale con la tua amica, mi sono lasciato sopraffare da quello che provavo e ti ho chiesto di uscire, anche se non avrei dovuto. Ero lì per controllare da lontano che fossi al sicuro. In realtà non dovevo neanche avere ulteriori contatti con te dopo la sceneggiata del poliziotto». «Quindi non è stato un incontro casuale». «No. Ho voluto organizzare quella bellissima serata per avere la possibilità di stare da solo con te, desideravo farti are un appuntamento meraviglioso. Sulla Mole l’impulso di baciarti è stato fortissimo e solo dopo essere stati
interrotti dall’ascensorista, mi sono reso conto del guaio che avevo combinato. Se il consiglio ne fosse venuto a conoscenza, l’episodio avrebbe sollevato un polverone enorme. Così sono tornato sui miei i. So che tu hai frainteso le mie motivazioni». «Allora perché hai lasciato che ti credessi un donnaiolo da strapazzo? Perché piuttosto non hai inventato qualche scusa per evitare che ti odiassi? Mi hai ferito lo sai? Mi sono sentita una ragazzina ingenua che si era fatta abbindolare dal bel ragazzo». «Credi che io sia bello?» Mi s’imporporarono all’istante le guance e non per il freddo «Non cambiare discorso!» Lo ammonii usando un tono un po’ più acuto del previsto. Daniel ridacchiò e riprese «Avrebbe fatto differenza se avessi provato a spiegarmi? Ora sai che non potevo. Tra eletti è vietato avere relazioni, altrimenti le chiavi non sarebbero più separate». «E invece si che lo sarebbero se ognuno nascondesse la sua per conto proprio». «Ragiona Crystal. E se la coppia avesse un solo figlio? Dovrebbe portare il peso di due chiavi al momento del aggio del testimone? E se anche ipoteticamente se ne assumesse la responsabilità, non sarebbe possibile che le potesse utilizzare contemporaneamente in caso di necessità di apertura delle porte». «Effettivamente… Però mi sorge spontanea una domanda. Se le regole sono queste, per quale motivo hanno cambiato idea su di noi?» «Il consiglio ha deciso che tenermi lontano da te è più controproducente che lasciarci stare insieme». «E come pensano di risolvere il problema delle chiavi? Non c’è la possibilità che in futuro cambino opinione? Non lo sopporterei se succedesse». «Non ne abbiamo discusso, immagino lo stabiliranno a tempo debito. E al limite… vorrà dire che ci impegneremo a fornire due eredi» scherzò. Io mi finsi scioccata e gli diedi una leggera spinta scherzosa sulla spalla. «Signor
Sartori! La sua mente è già proiettata così lontano nel futuro? Ci conosciamo appena». Mi sfiorò la guancia tornando serio. «A me sembra di conoscerti da sempre». Guardandomi intensamente negli occhi mi tirò a sé e finalmente arrivò quel tanto atteso bacio che mi mandò in estasi.
Natale in casa Mancini
La mattina di Natale arrivò presto. Appena sveglia mi stiracchiai e, come spesso accadeva da due giorni, mi persi ancora a sognare ad occhi aperti il momento del primo bacio con Daniel. Era stato stupendo ed io camminavo a un palmo da terra per la felicità. Finalmente i dubbi avevano lasciato posto alle certezze e ora potevamo stare insieme. Ripensai alla frase che aveva pronunciato Daniel, anche a me sembrava di conoscerlo da sempre. Mi alzai e corsi in cucina, dove mio padre era già all’opera per la preparazione del pranzo di Natale. Lo trovai alle prese con il ragù per le lasagne ed io mi divertii, come sempre, a preparare gli antipasti: vol-au-vent ai funghi, affettati e formaggi misti, gamberetti in salsa rosa e triangoli di pane tostato con burro e salmone. Quando mio padre infornò le lasagne, ci dedicammo al pollo arrosto e alle patate. Infine andammo ad apparecchiare la tavola. Stesi la tovaglia rossa delle feste e contai i posti per piatti, bicchieri e posate: io, papà. Angy, suo padre Giacomo, nonna Perla e… Daniel con i suoi genitori che avevano accettato l’invito di mio padre. Finita la preparazione, andai a prepararmi per l’arrivo degli ospiti, volevo essere al meglio per il mio nuovo fidanzato. Ancora mi suonava strano chiamare Daniel in quel modo. Non riuscivo a credere che finalmente fosse tutto mio ed ero sicura che lo sarebbe sempre stato. Qualcosa mi diceva che ci appartenevamo. C’era un magnetismo tra noi che non avrei saputo spiegare. Alle tredici in punto arrivarono tutti gli ospiti e gustammo il pranzo tra risate, battute e ricordi. Vecchie amicizie si rinsaldarono ed io non ricordavo un Natale così allegro da molto tempo. Dopo il brindisi e il panettone, arrivò il momento dello scambio dei regali e mi resi conto che, persa nella mia nuova storia d’amore, non avevo comprato nessun
pensiero alla nonna e a Daniel. Che vergogna! Mi sentivo pessima! Aprii i miei doni. Angelica mi aveva regalato una borsa che avevo visto in una vetrina del centro e sapeva piacermi molto, mio padre un viaggio di tre giorni per due persone a Londra per Capodanno e la nonna mi porse una scatolina di velluto rosso. Conteneva un medaglione dorato di quelli che si aprono a metà pigiando un piccolo pulsante. Feci scattare la chiusura e mi scese una lacrima di commozione. «Oh nonna, è perfetto» la ringraziai. All’interno custodiva un ritratto di mia madre sulla destra e uno di mio padre sulla sinistra. L’incisione sul retro diceva “L’amore vero è la chiave della vita”. Anche mio padre si commosse e ringraziò mia nonna con un caloroso abbraccio. «Nonna mi dispiace molto di non averti regalato nulla. Con tutto quello che è successo, non ci ho proprio pensato» mi scusai. «Tesoro, io il mio regalo più grande l’ho già ricevuto, ho di nuovo la mia famiglia» mi rassicurò dolcemente. In quel giorno di festa la pace e la serenità tornarono in casa Mancini.
Dopo aver riassettato, i genitori si sfidarono a carte nei classici giochi natalizi, nonna Perla si appisolò sul divano e noi giovani ci rintanammo in cucina a chiacchierare. Mi faceva piacere che Daniel e Angelica andassero d’accordo. Erano due presenze importanti nella mia vita e l’una non avrebbe mai escluso l’altro. Il cellulare di Angelica squillò e lei si allontanò per rispondere. Daniel ne approfittò per attirarmi a sé e baciarmi. «E’ tutto il giorno che aspetto di farlo» confessò. Dopodiché estrasse dalla tasca un dono per me. Si trattava di un paio di
orecchini d’argento con le pietre a goccia. «Daniel ma è troppo! Ed io mi vergogno così tanto di non aver comprato nulla neanche a te!» «E’ solo un pensiero, ho visto il braccialetto che ti ha regalato Alena e ho pensato che si abbinassero perfettamente!» Gli saltai al collo e lo baciai con ione. «Ehi piccioncini! Non posso allontanarmi un momento che qui l’atmosfera diventa subito caliente». Ridemmo tutti quanti e tornammo ai nostri discorsi. Qualche ora più tardi la nonna, Daniel e la sua famiglia si congedarono ringraziandoci per l’invito. Mentre andava via, Daniel portò il pollice e il mignolo vicino all’orecchio e sillabò con le labbra che mi avrebbe chiamato più tardi. Rimaste sole io e Angelica ci rifugiammo in camera mia. «Indovina un po’?» Mi domandò Angy. «Cosa?» «Come cosa? Sai chi era al telefono?» «Fammi indovinare… Un nuovo spasimante?» «Ma smettila Crys! Era Jorge, ti ricordi lo studente spagnolo che studia qui col programma erasmus di cui ti ho parlato?» «Certo che mi ricordo! Il tuo nuovo colpo di fulmine» scherzai. Angelica finse di offendersi, ma poi proseguì «Mi voleva fare gli auguri di Natale e mi ha invitato a are il Capodanno con lui a una festa grandiosa». «E tu gli hai risposto che l’ultimo dell’anno saremo a Londra?»
«Stai scherzando vero? E’ l’occasione giusta per are qualche giorno sola con Daniel». «Sì con la benedizione di papà» risposi ironica. «Si convincerà, si vede lontano un miglio che Daniel gli piace». «Non si pone il problema tanto ho già deciso che partirò con la mia migliore amica. Abbiamo sempre festeggiato l’arrivo del nuovo anno insieme e questo non cambierà». «Cryssi non temere di ferirmi. Lo so che mi vuoi bene ma allo stesso tempo muori dalla voglia di portare Daniel con te. Abbiamo davanti a noi tanti altri capodanni da are insieme. Quando saremo due vecchie col bastone e la dentiera mi ringrazierai ricordando quanto sono stata altruista a ventun’anni. Era così tanto che non vedevo quello scintillio nei tuoi occhi. Parti con Daniel e divertiti, ok?» Abbracciai forte la mia migliore amica «Grazie Angy. Non so cosa farei senza di te». «Semplice, avresti molto più tempo libero».
Qualche ora dopo, quando ero già nel mio letto e stavo leggendo l’ultimo romanzo che avevo acquistato in libreria, squillò il cellulare. «Hey ciao, ti disturbo? So che siamo stati insieme tutto il giorno ma avevo voglia di parlare un po’ da solo con te». «Non mi disturbi affatto. Sono felice di sentirti e poi volevo farti una domanda». «Quale?» «Ricordi quel viaggio che mio padre mi ha regalato per Capodanno…» «I tre giorni a Londra. Immagino che partirai con Angelica. Mi mancherai Crystal, speravo di arlo insieme a te».
«In realtà… pensavo di chiedere a te di accompagnarmi». Silenzio. «Daniel tutto bene? Sei svenuto? Se non ti va sentiti libero di rifiutare. Non volevo sembrarti opprimente. Scusami, è stata una cattiva idea». «No scusami tu. Non me l’aspettavo. Accetto volentieri, sono felice che tu mi abbia invitato».
Londra
Il 31 dicembre atterrammo a Londra in tarda mattinata. Il cielo era plumbeo e faceva molto freddo, ma a me non importava. Non potevo ancora credere che avrei ato tre giorni in compagnia di Daniel senza paura e senza segreti da svelare. Solo due ragazzi e la loro storia d’amore. Convincere mio padre era stato più facile del previsto. Si fidava di Daniel, ma soprattutto, si fidava di me. Aveva capito quanto avessi bisogno di cambiare aria e quanto fosse importante per me partire con lui. Facemmo il check-in all’hotel ubicato nel centro città e, dopo aver lasciato i bagagli in camera, ci incamminammo alla scoperta di Londra. Buckingham Palace, il Tower Bridge e altre meraviglie ci sfilavano davanti agli occhi mentre seguivamo l’itinerario che c’eravamo creati a casa nei giorni che precedevano la partenza. Da quando stavamo insieme, il mio cuore batteva sempre più forte e mi resi conto che mi stavo perdutamente innamorando di lui. Non osavo confessarglielo però, probabilmente era troppo presto per sperare che anche lui provasse lo stesso. Scattammo milioni di foto, alcune belle e altre ridicole. Ovviamente, da brava turista, non potevo esimermi dal fare le smorfie alle guardie reali per provare a distrarle e farle ridere. Ogni tanto fermavamo qualche ante per ritrarci insieme.
La giornata volò via veloce e si fece ora di tornare in albergo a prepararci per il cenone di Capodanno. Ammetto che ero un po’ imbarazzata all’idea di dividere la camera con Daniel. Questo era un altro di quei casi in cui la mia timidezza emergeva prepotentemente. Avevo acquistato un vestito nuovo per l’occasione con l’aiuto di Angelica. Desideravo che lui mi trovasse incantevole. Era lungo e rosso, molto elegante.
Lo indossai mentre Daniel era sotto la doccia. «Wow sei bellissima!» Esclamò uscendo dal bagno avvolto, in vita, da un asciugamano bianco. Dio quant’era bello con i capelli ancora bagnati e qualche goccia d’acqua che gli scivolava sui pettorali perfetti. Crystal! Mi rimproverai mentre una vampata di calore s’impossessava di me. A cosa pensi! Quando Daniel fu pronto, lo osservai ammirata. Era stupendo abbigliato in quel modo. Aveva indossato dei jeans scuri abbinandoli a una camicia bordeaux lasciata sbottonata sul collo sotto a una giacca nera. Infilammo le scarpe e ci avviammo verso il ristorante dell’hotel per partecipare al veglione. La serata ò allegra e facemmo amicizia con una coppia d’italiani che alloggiavano anch’essi lì. A mezzanotte, calici in mano, brindammo al nuovo anno pieno di speranze. Poco dopo si sentirono dei rumori in lontananza e ci spostammo tutti in terrazza per goderci lo spettacolo dei fuochi d’artificio sul Tamigi. Io li osservavo incantata con la testa poggiata sulla spalla di Daniel. A un certo punto, Daniel portò l’indice sotto il mio mento e mi sollevò la testa verso di lui. Appoggiò dolcemente le sue morbide labbra alle mie, e quando si staccò, mi sussurrò all’orecchio «Credo di amarti Crys, sarà troppo presto per dirlo ma ho bisogno di farlo. Ti amo». «Ripetimelo». «Ti amo». «Non ci speravo Daniel… Ti amo anch’io. Non smettere mai di dirlo».
«Te lo prometto».
Verso le tre del mattino la festa terminò e tutti tornarono alle loro stanze. Ci infilammo sotto le coperte e Daniel mi strinse tra le braccia iniziando a baciarmi teneramente, poi, la sua bocca, si fece sempre più insistente. Io rispondevo ai suoi baci con ione, dominata dalla sete di lui. La nostra reciproca attrazione era arrivata alle stelle e desideravo quello che stava per succedere con tutta me stessa. Certo, stavamo bruciando le tappe, ma non m’importava. Non ero mai stata così sicura di niente nella mia vita. Daniel cominciò ad accarezzarmi. I suoi polpastrelli tracciavano il contorno del mio corpo attraverso la seta del pigiama mentre le mie dita si muovevano sul suo petto, per poi risalire le braccia e ridiscendere sulla schiena. L’atmosfera diventava sempre più calda e, quando fui incapace di resistere, iniziai a sollevargli la t-shirt che indossava. Lui se la lasciò sfilare ed io la lasciai cadere sul pavimento. Il resto degli indumenti seguì la stessa sorte. Al contatto del mio corpo nudo contro il suo fui pervasa da un’intensa frenesia che cercai di tenere a bada, per il momento. Daniel ricominciò a baciarmi, questa volta sul collo mentre le sue mani si spostavano in esplorazione. Poi le sue labbra iniziarono a scendere fino a trovare il mio seno. Mi sfuggì un gemito e m’inarcai verso di lui. Nel frattempo la mia mano si spostò verso il centro del suo piacere e lo sentii mugolare. Quando il desiderio si fece pressante afferrai con forza le braccia di Daniel e lo feci scivolare sopra di me. Intrecciai le gambe alle sue e mi donai a lui senza riserve. La nostra prima volta fu meglio di come l’avessi mai potuta immaginare.
Il giorno dopo mi sveglia piena di rinnovato vigore. Daniel dormiva ancora ed io rimasi a osservarlo. Aveva i capelli spettinati e teneva un braccio piegato sopra la testa. Sul viso, un’espressione rilassata. Venti minuti dopo aprì gli occhi. «Buongiorno amore mio. Dormito bene?» «Come un angioletto» risposi. «E’ molto che sei sveglia?» «Un po’» ammisi. Daniel alzò un sopracciglio «Un po’? E cosa hai fatto in questo po’?» «Ti guardavo dormire beatamente». «Ah ah! Ti ho beccato! Mi spiavi di nascosto, furbetta che non sei altra» scherzò rotolando su di me e bloccandomi le braccia sopra la testa. «Io? Figurati». Ridemmo insieme e poi ci perdemmo in un lungo bacio. Rifacemmo l’amore più lentamente ma con la stessa ione della notte precedente.
Dopo colazione uscimmo nuovamente alla scoperta di Londra e della sua storia, in quel misto di antico e moderno che ci affascinava. Nessuno dei due l’aveva mai visitata. Purtroppo anche la seconda giornata trascorse velocemente e giunta l’ora di andare a dormire mi rattristai al pensiero che l’indomani saremmo dovuti ritornare alla vita di tutti i giorni dopo la pausa nella nostra oasi felice. «Domani è già ora di ripartire. Vorrei stare qui con te per sempre» confessai a Daniel. «Sarebbe bello Crys, ma purtroppo non possiamo».
«Lo so» sospirai. «Sognare non costa nulla». «Assolutamente no ma evita di pensarci adesso. Abbiamo ancora mezza giornata libera prima del volo. Vieni a letto dai. Non roviniamo il tempo che ci rimane con questi pensieri». Quella notte mi addormentai nuovamente tra le braccia protettive di Daniel.
Ero di nuovo a casa mia, indossavo una lunga camicia da notte lilla e stavo scendendo le scale come in trans. Forse ero sonnambula e non lo sapevo. Aprii la porta dello studio di mio padre e iniziai a cercare tra i libri della sua biblioteca privata. Uno, due, tre. Ecco sì era lo scaffale giusto. Afferrai il terzo libro dal terzo ripiano del terzo scaffale. Aveva la copertina rossa. Mi diressi verso la scrivania di mio padre e mi sedetti sulla sedia di pelle imbottita. Presi dal cassetto un taglierino e aprii il libro. Cominciai a incidere lentamente la pagina incollata alla copertina e tirai fuori una busta color avorio. Feci lo stesso con l’ultima pagina e ne estrassi una seconda busta. Le tastai con le mani. La prima conteneva dei fogli ripiegati, la seconda un oggetto indefinito. Girai le buste. La prima era indirizzata ad Angelica. La seconda recava il mio nome così la aprii e scoprii che conteneva una chiave antica. All’interno vi era anche un foglio sottile piegato a metà, ma non feci in tempo a leggerlo perché mi svegliai di soprassalto mentre qualcuno mi scuoteva.
«Crystal, piccola! Svegliati!» Sbarrai gli occhi e guardai Daniel come se fosse un fantasma. Poi scossi la testa e mi ripresi «Daniel perché mi hai svegliato?» «Ti lamentavi nel sonno ed eri agitata. Mi sono preoccupato. Che è successo? Un altro sogno?» «Sì esatto». Raccontai a Daniel cosa avevo visto mentre dormivo e mi accorsi che si stava mordendo il labbro inferiore. «Bene, un altro indizio. Appena tornati ce ne occuperemo. Abbiamo già trascurato abbastanza i nostri doveri nell’ultima settimana». Annuii non troppo convinta. «Hai ragione, ma ci meritavamo una pausa per are del tempo come persone normali. Non sei d’accordo?» «D’accordissimo, ma non dobbiamo comunque dimenticarci chi siamo». «Lo so, lo so. Comunque c’è qualcosa che non mi torna…» «Cosa?» «Perché mia madre avrebbe nascosto una lettera indirizzata ad Angelica?» Era indeciso su come rispondermi, lo capii dalla sua esitazione, ma poi cedette «Non lo immagini?» Alzai la testa di scatto «Vuoi dire che è lei l’altra persona all’oscuro?» «Ora lo sai». «Devo avvisarla!» Presi al volo il mio cellulare e cominciai a digitare il numero di Angy. Daniel posò una mano sul mio braccio e mi fermò. «No Crystal, è notte fonda e poi non è compito tuo. Limitati a consegnarle la busta. Non sappiamo neanche cosa contenga esattamente». Decisi di ascoltare il consiglio di Daniel e mi sdraiai nuovamente, per poi
rimettermi subito dopo a sedere spaventata. «Allora questo vuol dire che stanno dando la caccia anche a lei? Angelica è in pericolo? Perché immagino che Celeste sarà stata l’altra custode dato che anche lei non sapeva nulla di questa storia finché non l’ha scoperta insieme a me» esposi il mio pensiero parlando a raffica. Daniel scosse la testa. «Non che io sappia. Ti ricordi Andrea? La sta tenendo d’occhio e non c’è alcun movimento sospetto che la riguardi». «Non capisco… proprio non capisco. Se Soraya ha nascosto la sua chiave, anche Celeste avrà fatto lo stesso, quindi in realtà le chiavi mancanti sono due. Cioè, non capirmi male, sono felice che Angelica non sia in pericolo». «A questo non ti so rispondere. Ce lo siamo chiesti mille volte anche noi. Anche perché quel terribile giorno Soraya e Celeste erano in auto insieme. Probabilmente non sapevano chi fosse. Non so davvero spiegarmelo altrimenti. Ora dormi ci penseremo a tempo debito».
L’indomani ci divertimmo un’altra mezza giornata a so nella metropoli e poi rientrammo a Torino col volo previsto.
Nuovi indizi
Quando Daniel mi riaccompagnò a casa trovai mio padre ed Alena che mi aspettavano a braccia aperte per salutarmi. «Ti sei divertita?» Domandò mio padre. «Oh sì papà. E’ stato un viaggio fantastico! Grazie di questo regalo!» «E Daniel si è comportato bene o lo devo redarguire?» «Papà!» Esclamai «Non ti preoccupare è un vero gentiluomo» dissi strizzandogli l’occhio. «Ehi ragazzina, ho ancora il diritto di essere geloso della mia bambina o no?» Scherzò mio padre. «Señor, señor» intervenne Alena ridendo e muovendo l’indice verso mio padre. «Crystal è ormai una mujer. Se ne faccia una razón». Mio padre diventò paonazzo e si girò di scatto verso di me. «Mujer? Mica ti sei sposata di nascosto?» Scoppiai a ridere a crepapelle. «Papà! Dopo tutti questi anni ancora non capisci Alena? Mujer significa donna non moglie». Mio padre tirò un sospiro di sollievo «Voi due mi farete venire un infarto un giorno o l’altro». Salii in camera mia e mi apprestai ad andare a dormire senza Daniel al mio fianco. Che tristezza! Mi mancava già tantissimo. Provai ad addormentarmi ma non riuscivo a prendere sonno. Il mio cellulare squillò «Non riuscivo a resistere fino a domani. Voglio sapere tutto!» «Ciao anche a te Angy». «Suvvia non far finta di esserti offesa, chi se ne importa dei convenevoli quando ci sono cose importanti da sapere».
«La solita curiosa. E tu non hai nulla da raccontarmi prima?» «Io? Ah sì. Ho scoperto che Jorge è un’idiota ma al veglione ho conosciuto Samuele e ti assicuro che è una bomba!» «Sei sempre la solita» risposi ridendo. «Io? Mica è colpa mia se non ne trovo uno normale. Tutti psicopatici!» «Arriverà il ragazzo giusto anche per te, vedrai». Trascorsi l’ora seguente a rendere partecipe la mia migliore amica dell’avventura londinese.
La mattina dopo mi svegliai di buon’ora. Sul cellulare un messaggio di Daniel “Mi manchi già. Ci sentiamo più tardi. Ti amo” “Mi manchi anche tu. A dopo. Ti amo” Scalciai via le coperte gongolando e scesi a far colazione. Alena stava ando l’aspirapolvere e mio padre stava sorseggiando un caffè leggendo le notizie su un quotidiano. «’giorno Pà». «Buongiorno principessa. Ti verso del caffè? L’ho appena fatto». «Tranquillo, me lo verso io». Presi la tazzina e una brioche e mi appollaiai su uno sgabello vicino alla penisola della cucina. Divorai la mia colazione e mio padre si apprestò ad andare a lavorare. «Finisco il turno alle diciotto, ci vediamo dopo». «Ok. Buon lavoro». Appena sentii l’uscio chiudersi alle spalle di mio padre, andai a controllare cosa stesse facendo Alena. Morivo dalla voglia di andare nello studio a verificare il
mio sogno. Purtroppo mi resi conto di dover aspettare. La nostra governante stava pulendo proprio quella stanza. Mi rassegnai a rimandare l’operazione a più tardi e decisi di studiare per l’esame che avrei dovuto sostenere da lì a pochi giorni all’università. Dopo pranzo Alena m’informò che usciva a prendere un tè con una sua amica e finalmente ebbi casa tutta per me. Mi precipitai nello studio e cercai “La scarpina di raso”; si trovava esattamente dove l’avevo sognata. Terzo libro sul terzo ripiano del terzo scaffale. Con attenzione aprii il volume e notai che riportava una dedica: “A Soraya, il mio unico vero amore. Per questo San Valentino ho pensato di regalarti il libro che stavi leggendo quando ci siamo conosciuti e che hai perso al parco. Mi ricordo quanto ti pie. Con amore tuo, Matteo” . Adesso capivo perché mia madre avesse scelto proprio quell’opera, faceva parte di un ricordo importante della sua vita. Un giorno avrei chiesto a mio padre di raccontarmi questa storia. Ora avevo problemi più urgenti che richiedevano la mia attenzione. Presi il taglierino e con delicatezza estrassi prima una e poi l’altra busta. Strinsi tra le mani quella recante il nome di Angelica e poi la misi da parte per aprire quella indirizzata a me. Rovesciai la busta e dal suo interno caddero sulla scrivania la chiave antica e il foglio ingiallito ripiegato a metà. Lo spiegai e lessi il messaggio:
“Mia cara bambina, se in questo momento stai leggendo l’ennesimo messaggio che ti ho lasciato, vuol dire che tutto sta procedendo secondo i piani. Scusami se ti sto facendo impazzire con tutti i miei difficili enigmi, ma è l’unico modo sicuro che ho escogitato per far sì che ti avvicini al tuo destino e per fare in modo che solo tu arrivi al nascondiglio della chiave della nostra famiglia.
Mi auguro che tu stia bene e che abbia accettato chi sei veramente. Purtroppo questo non posso saperlo ora che ti sto scrivendo, ma posso solo sperarlo. La nonna ti avrà spiegato che ogni genitore crea una rete d’indizi per il proprio figlio nel caso di complicazioni nella missione e sono certa che, se io per qualsiasi motivo, non sono stata in grado di farlo, abbia continuato la tua istruzione. Ammetto di averli resi un po’ più complicati dopo essermi resa conto che facevi i miei stessi sogni, quindi sono sicura che ti verranno in aiuto. E’ vero eri molto piccola quando li ho inventati, ma parlavi nel sonno quando dormivi e quello che raccontavi si avverava. Finora nessuno ne ha mai avuto bisogno perché nessuno conosce le nostre identità, come noi non conosciamo quelle del clan di protettori delle tenebre„
Alzai un momento gli occhi dalla lettera interrompendone la lettura. Mia madre non avrebbe potuto immaginare che mio padre e la nonna avrebbero preso strade diverse dopo la sua dipartita. E sapeva che facevo sogni premonitori. Allora perché in tanti anni non me ne ero mai resa conto? Forse non ci avevo semplicemente badato. Lasciai da parte i miei interrogativi e ripresi la lettura.
“Ho aggiunto questo nuovo indizio tre anni dopo aver terminato il mio diario. Non so spiegarti bene il motivo, ma ho la sensazione di essere in pericolo. Mi sento osservata e a volte ho l’impressione di essere seguita. Forse è solo la mia immaginazione, ma, per sicurezza ho deciso di dividere il mio diario in più parti, in modo che, se disgraziatamente cadesse in mani sbagliate, comunque non avrebbero tutto il volume. Se hai trovato anche l’altra busta nella copertina indirizzata ad Angelica Pavone, per favore consegnagliela. Io e sua madre Celeste siamo molto amiche fin dall’infanzia, per me è come una sorella e spero che Angelica sia lo stesso per te. Sarebbe fonte di gioia sia per me sia per Celeste. Ti chiederai perché ho nascosto io quella lettera. Celeste non è mai stata brava a creare gli enigmi, né tantomeno a risolverli, per cui, per la sicurezza di entrambe le chiavi, abbiamo deciso che quando tu saresti entrata in possesso della tua, avresti trovato un ultimo enigma che avrebbe rivelato ad Angelica l’ubicazione della sua. E’ contro il regolamento, ma non è la prima volta che
infrangiamo le regole. Ti comunico, se non lo sai già, che tuo padre è a conoscenza di tutto, tranne che del luogo dove si trova la chiave. Non ho voluto rivelarglielo per la sua sicurezza. Purtroppo se stai leggendo questa lettera, vuol dire che neanche Celeste è più con voi, altrimenti ti avrebbe rivelato il nascondiglio. Un’ultima cosa: la chiave che hai trovato nella busta ti servirà per rintracciare il prossimo capitolo del mio diario. Leggi l’incisione sul a chiave. Ti indirizzerà verso il luogo dove devi recarti. Tienila sempre con te. E sii prudente.
Ti voglio bene, Mamma„
Strinsi al petto la lettera. Mamma ti renderò fiera di me, te lo prometto. Dissi con lo sguardo rivolto al cielo. Presi la chiave dal piano della scrivania e lessi l’incisione:
“Princess, prince and kiss of awakening„
Principessa, principe e il bacio del risveglio? La favola della Bella Addormentata?? Ma che indizio era, troppo facile che si trattasse del libro di fiabe che amavo tanto da bambina. Questo indizio era diverso dagli altri. Era
anche vero che lo spazio sul a chiave non permetteva molto di più. Misi tutto a posto e decisi lo stesso di controllare il libro di favole. Se non ricordavo male, si trovava ancora nella libreria situata in camera mia. Seduta per terra cercai il volume e una volta aperto tastai la copertina e lo sfogliai fino all’ultima pagina in cerca di un indizio, anche se effettivamente non capivo come una chiave potesse aprire una serratura in un libro. Naturalmente non trovai nulla. Decisi di telefonare a Daniel. «Ehi piccola! Come stai? Io mi sto annoiando tremendamente a lavoro». «Tutto bene. Speravo fossi a casa… Ho delle novità e vorrei parlartene». «Finisco alle 19.30, per le 20 sono a casa. Puoi attendere fino a quell’ora? O preferisci are in negozio?» «Sei da solo?» «No c’è mio padre». «Allora preferisco aspettare» dissi e poi lo salutai. «A dopo. Sarà un’attesa lunghissima». «Anche per me». Chiusi la chiamata e composi un altro numero «Ciao Angy, hai da fare?» «Mi sto addormentando sugli appunti. Non erò mai quest’esame. Tu sei a buon punto per il tuo?» «Ho quasi finito. Vedrai che lo erai non è così difficile». «Vorrei avere la tua memoria! Comunque che avevi in mente? Un po’ di distrazione non può farmi che bene». «Nulla di particolare, volevo are da te se sei da sola». «No c’è mio padre in casa, oggi si è preso un giorno libero».
«Allora puoi are tu da me un’oretta al massimo? Non voglio essere artefice della tua bocciatura». «Certo! Ne approfitto subito! Sei proprio sicura che non devi dirmi nulla? Hai una voce strana e non ti sei mai preoccupata che ci fosse mio padre in casa». «Angy non fare troppe domande e vieni qua il prima possibile» ordinai risoluta. «Agli ordini capo! Arrivo immediatamente»
Celeste
Neanche mezz’ora dopo Angelica arrivò a casa mia. «Allora cosa devi dirmi Crys? Nuovi sviluppi con Daniel? Ha combinato qualcosa? Siete rientrati da un giorno solo e già ti ha fatto arrabbiare? Se la vedrà con me se è così!» «Tranquilla Angy, con lui va tutto bene. Lo vedrò più tardi». «Quindi immagino che hai scoperto qualcosa di nuovo. Hai risolto l’enigma?» «Veramente sì…» «E’ magnifico! Perché quel visino angosciato allora?» Raccontai ad Angelica del nuovo sogno e della chiave con il nuovo indizio, tralasciando per ora la lettera di sua madre. «Evviva! Per una volta sono stata veramente d’aiuto! Te lo dicevo che avevo la sensazione che l’iscrizione sulla pergamena voleva dire qualcosa!» «Lo ammetto, avrei dovuto darti retta. Dai non stiamo qui nell’ingresso, vai in salotto, io arrivo tra un momento». Angelica mi guardò interrogativa ma non fece domande e si diresse nella stanza indicatale. Nel frattempo io andai nello studio e recuperai la lettera di Celeste. Poco dopo raggiunsi Angelica e mi sedetti accanto a lei sul divano. «Crystal cosa mi stai nascondendo? Sei turbata, lo vedo bene e non mi piace. Ok, hai trovato un altro enigma ma ormai abbiamo capito che sarà una lunga ricerca». «Non si tratta di questo». «E di cosa allora? Mi sto seriamente preoccupando». Senza ulteriori indugi presi la busta dalla tasca della mia felpa e la consegnai ad
Angelica. «Cos’è? Mi hai scritto una lettera? No, non è la tua scrittura». «Non ti ho detto tutto. Insieme alla lettera di mia madre, ho trovato anche questa. E’ per te. L’ha scritta tua madre». Angy continuava a stringere la busta con entrambe le mani, ma non accennava ad aprirla, né a dire qualcosa. Per la prima volta da quando la conoscevo la mia migliore amica, era a corto di parole. Le appoggiai una mano sulla spalla e le chiesi «Angelica tutto bene? Parla ti prego». Si riscosse e mi rispose «Sto bene. Solo non me l’aspettavo e non capisco perché fosse nascosta con i tuoi indizi». «Aprila e lo scoprirai». «Tu lo sai cosa c’è scritto vero?» «No certo. Non mi sarei mai permessa di aprirla. Ma mia madre mi ha accennato di cosa si tratta. Solo che è giusto che tu lo scopra da sola». «La leggiamo insieme per favore?» «D’accordo, se è questo che vuoi. Forza aprila».
“Angelica, tesoro mio, ti scrivo questa lettera per ottemperare ai miei doveri. Se la stai leggendo, vuol dire che qualcosa è andato storto e non ho avuto la fortuna di esserti ancora accanto. Tutti noi protettori della luce, abbiamo il compito di creare una rete d’indizi per i nostri figli, in modo che, se non avessimo modo di are il testimone, la chiave di famiglia venga ritrovata. Purtroppo io non sono mai stata brava né a creare, né tantomeno a risolvere gli enigmi, per cui ho chiesto alla mia carissima amica Soraya di crearne uno per
te, per indirizzarti verso il luogo segreto. Facendo questo abbiamo infranto una regola fondamentale del nostro codice, per cui ti chiedo di non rivelare a nessuno che Soraya conosce il nostro nascondiglio. Ma stai tranquilla tesoro, lei è affidabile al 100% e spero che crescendo anche Crystal erediti questa qualità da sua mamma. Troverai l’indizio in due modi: o Soraya ti consegnerà la lettera il giorno del tuo ventunesimo compleanno o te la consegnerà Crystal se sua madre l’avrà già consegnata a lei.„
Il resto della lettera spiegava del segreto che in realtà Angelica conosceva già attraverso le mie scoperte. Al fondo dell’ultima pagina, però, Celeste aveva aggiunto un post-scriptum:
“P.S.: Devo confessarti un’ultima regola che ho infranto e di cui non è a conoscenza neanche Soraya. Non ho mai avuto segreti con lei, ma se le avessi detto cos’avevo fatto si sarebbe arrabbiata moltissimo perché ho superato tutti i limiti. Me ne sono accorta da sola anch’io, ma ormai il danno era fatto. Ho raccontato il mio segreto a tuo padre come Soraya ha fatto con Matteo e fin qui, Soraya lo sapeva. Solo che, dopo il caos che aveva già scatenato lei col consiglio, abbiamo deciso che temporaneamente sarebbe stato meglio evitare di metterli al corrente. Quello di cui era all’oscuro, però, è che ho rivelato a tuo padre anche il nascondiglio della chiave e di questo mi pento perché così ho messo in pericolo anche lui se mai qualche malvagio scoprisse chi sono. Promettimi che lo terrai per te. Tuo padre, dal canto suo, sa che potrà dirti solo di conoscere il segreto, ma ha il mio ordine di rivelarti il nascondiglio solo in caso di estrema necessità.„
Angelica aveva il volto rigato di lacrime quando finimmo di leggere la lettera «Oh mamma, cara mamma, è così bello leggere le tue parole». Io cercai di sdrammatizzare «Hai visto? Sei veramente Sailor Mars!» Angy si asciugò gli occhi e rise «Hai ragione Crys! Allora anch’io faccio veramente parte di tutto questo. Solo non capisco perché mio padre mi ha tenuto all’oscuro di tutto come te. Ok, Matteo aveva litigato con tua nonna, ma lui? Che motivi aveva?» «Non lo so Angy, probabilmente dopo la scomparsa di Celeste anche lui voleva proteggerti come mio padre fece con me. Se avesse scelto diversamente, dubito che ora saremmo qui a parlarne, non ci avrebbero più permesso di frequentarci». «Forse hai ragione. Ma voglio andare fino in fondo a questa storia». «Io credo sia meglio aspettare. Né parlerò con Daniel e poi andremo a trovare Perla e chiederemo a lei. Magari saprà fornirci qualche risposta». «Sì hai ragione. Non complichiamo le cose. Attenderò di parlare con Perla, ma non posso mostrarle la lettera, hai letto il p.s. di mia madre». «Sì certo. Tu intanto nascondila bene e per ora, fai finta di niente con Giacomo». Poco dopo la mia amica stava tornando a casa sua ed io mi apprestavo a prepararmi per l’appuntamento con Daniel.
A casa di Daniel
Arrivai puntuale sotto casa di Daniel. Parcheggiai l’auto e andai a suonare il citofono. Pochi minuti dopo mi trovavo sulla porta d’ingresso del suo appartamento. Lo salutai entrai per la prima volta nella sua dimora. La stanza si apriva in uno spazioso open space modernamente arredato. Un muretto basso divideva la cucina bordeaux laccata, dal salotto arredato con una parete soggiorno sospesa rossa e wengé con situati di fronte due spaziosi divani di pelle nera, al cui centro, era posto un tavolino basso di vetro. In un angolo era sistemato un piccolo mobile bar. Daniel mi fece accomodare su un divano e qualche secondo dopo tornò con una bottiglia di vino bianco e due calici. «Racconta, cos’hai fatto di bello oggi pomeriggio?» Mi chiese Daniel mentre versava il vino. «Ti ho accennato al telefono che ho delle novità. Ho seguito le indicazioni che ho sognato ed ho trovato le due buste. Ecco leggi». Daniel prese il messaggio di mia madre e lo lesse in silenzio. «Si sentiva minacciata. Perché allora non ne ha mai parlato col consiglio?» «Non saprei davvero. E’ strano in effetti. Piuttosto mi chiedo, se lei sospettava che fossero i membri del clan delle tenebre a seguirla, dato che ha diviso il diario apposta, perché non ha mai chiesto protezione? Poi per carità, nessuno sa chi è stato ad aggredire lei e Celeste, magari si sbagliava ed erano solo dei malviventi». «Crystal, Soraya non si è sbagliata. Noi sappiamo che sono stati loro» mi confessò Daniel. «Come fate a saperlo se lei non ha mai parlato delle sue paure col consiglio?» «Davvero non te lo ricordi?»
«Daniel! Che domande! Eri presente quando ho chiesto a mio padre spiegazioni sulla morte di mia madre. Fino a poco tempo fa ero convinta fosse accaduto a causa di un incidente stradale». «Hai ragione Crys, non ho riflettuto prima di parlare». Mi rilassai «Stai tranquillo, non fa niente. Ora però rispondimi». Per la prima volta vidi Daniel completamente a disagio. «Va bene, ma promettimi che non darai di matto. Non è una notizia facile da digerire». «Ok ok, te lo prometto, ma smettila di tenermi sulle spine». «Sei stata tu» ammise tutto d’un fiato. «Io? Com’è possibile! Avevo solo cinque anni e non ero con lei quand’è successo». «Non è proprio corretto». «Senti Daniel, non giriamoci attorno, sii più esplicito». «Crystal tu eri in auto». «No non è possibile. Allora perché non hanno preso anche me?» «Probabilmente non si sono accorti della tua presenza. Quel che sappiamo è che una donna che aveva visto la scena sentì piangere una bambina e si avvicinò all’auto dopo che se ne furono andati». «E non poteva intervenire? Chiamare aiuto?» «Sarà stata terrorizzata Crys, ed era sola. Comunque, dopo averti trovato, chiamò la polizia che ti riconsegnò a tuo padre». «E non fece una descrizione dei rapitori?» «Non poté. Raccontò ciò che aveva visto ma gli uomini avevano il viso coperto da un amontagna e, prima che me lo chiedi, non fece in tempo a leggere la targa del furgone su cui si allontanarono».
Ero sconvolta, ma dovevo sapere tutto a questo punto. «Se lei non li ha potuti descrivere, come facevo a saperlo io?» «Hai detto a tuo padre che uomini cattivi con una stella nera disegnata sul polso erano stati tanto cattivi con la tua mamma e lei sanguinava, ed era sporca e gridava». Ero sconvolta dalla rivelazione. Un’esperienza del genere avrebbe dovuto rimanere impressa nella mia mente anche se ero una bambina all’epoca. «Non ricordo nulla» sussurrai. Daniel mi prese le mani «E come potresti. Eri piccola e dopo quel momento sei stata sotto shock per giorni. Immagino che il tuo cervello abbia rimosso automaticamente per proteggerti». «Forse. E credo che in seguito mio padre abbia riferito l’accaduto a Perla». «Esatto. Erano tutti terrorizzati. Soraya e Celeste erano scomparse da giorni. Ovviamente tu hai utilizzato un linguaggio infantile per spiegarti, ma il tatuaggio che hai descritto ha fatto capire al consiglio che era opera dei protettori delle tenebre. Sappiamo che il loro segno distintivo è un pentacolo nero racchiuso in un cerchio. Non sappiamo invece, come abbiano fatto a scoprire l’identità di Soraya, ma purtroppo è successo. Pensiamo comunque che ci siano di nuovo loro dietro agli attacchi rivolti a te. Sei la discendente di Soraya e lo sanno». Annuii. «Per cui deduco che Angelica è al sicuro per ora dato che non ha subito attacchi. Forse non dovrei più coinvolgerla nelle ricerche finché non ritroverò la chiave. Non vorrei che le facciano del male se scoprissero chi è. E credo che neanche tu dovresti più aiutarmi, non sopporterei che ti succedesse qualcosa. Devo risolvere questa situazione da sola. E’ un problema mio». «Sono d’accordo per quanto riguarda Angelica, anche lei si è appena avvicinata alla sua nuova realtà ma, dato che, da quanto scrive tua madre, lei non ha una rete d’indizi da seguire, è inutile esporla a ulteriori rischi. Io, invece, non ti abbandonerò. Troveremo la chiave insieme. Non m’importa di infrangere le regole». «Ma Daniel io…»
«Shh…» disse posandomi l’indice della mano destra sulle labbra. «Stai tranquilla so difendermi e poi, se sapessero chi sono mi avrebbero già attaccato non credi?» Deposi le armi e accettai la sua scelta «Va bene, ma devi promettermi che sarai prudente». Daniel alzò un sopracciglio e ribatté «Io? Ti controllo da un bel po’ e non mi sono mai fatto scoprire. Tu piuttosto sii prudente quando non sono con te».
Lasciammo cadere il discorso con quell’ultima frase e godemmo della reciproca compagnia. Ordinammo cena cinese a domicilio e dopo ci rilassammo con della buona musica. Daniel possedeva dozzine e dozzine di cd e vecchi vinili collocati ordinatamente dentro uno scaffale di legno posto dietro il divano. A un certo punto io tornai con la mente al discorso di prima e dissi «Amore mi è sorta una curiosità». «E sarebbe?» «Se i malvagi hanno tatuata una stella nera sul polso come segno distintivo… anche noi ne abbiamo uno?» Daniel scoppiò a ridere, divertito dalla domanda «No piccola, non ne abbiamo bisogno. Siamo dei custodi, non una setta come loro». Alzai le spalle «Sarebbe stato carino però». Mi strinse a sé «Se lo dici tu…» Poco dopo Daniel si ricordò che non gli avevo raccontato della lettera di Celeste «Quando pensi di consegnare la lettera ad Angelica?» Mi scostai da lui «Oh giusto. Gliel’ho data oggi pomeriggio». «Ah… E cosa diceva?»
Gli descrissi le parole che Celeste aveva affidato alla carta affinché sua figlia le leggesse, ma tenni per me il post scriptum. Non potevo tradire la fiducia di Angy. «E questo è tutto. Le avevo detto che ne avrei parlato con te, ma dopo la tua rivelazione mi è ato di mente. Che ne pensi? Tra l’altro con Angy volevamo organizzare un incontro con la nonna e parlarne anche con lei». «Penso quello che ti ho detto prima. Cerchiamo di lasciarla fuori dal proseguimento di questa storia per ora. La sua sicurezza è più importante. Non credo ci sia altro da aggiungere alla lettera di Celeste al momento». «Ok l’idea di non metterla più in pericolo è stata mia, però credo che almeno abbia il diritto di poter porre domande a te o alla nonna o di partecipare alla riunione in cui mi presenterete le altre famiglie». «Te lo concedo. Su questo punto hai ragione». «Grazie» risposi un po’ imbronciata e misi le braccia conserte. Daniel mi guardò divertito «Dai piccola non far così. Vieni qua adesso e non parliamone più. Ti andrebbe di fermarti qui stanotte?» Oh sì che ne avevo voglia «Ma non ho portato il pigiama?» Finsi d’indignarmi. «Non ne avrai bisogno» rispose lui malizioso e si fece più vicino a me. «Ehi stallone aspetta!» Dissi mettendo le mani davanti a me e appoggiandole sul suo petto. «Ho comunque un padre da avvisare». Daniel si rilassò contro lo schienale del divano portandosi un braccio dietro alla testa. «Hai ragione scusa, vivendo da solo ho dimenticato come sia stare sotto lo stesso tetto dei genitori… Fai in fretta però». Gli schioccai un bacio tenero sulla punta del naso e andai nell’altra stanza a telefonare a casa che sarei rimasta fuori quella notte. Poco dopo tornai in salotto. «Tutto ok?» domandò Daniel.
«Sì, era un po’ contrariato ma si abituerà all’idea. Ha voluto il tuo indirizzo». «Giustamente. Penso che sia dura per lui sapere di non essere più il solo uomo nella vita di sua figlia». «Credo di sì. Tu gli piaci però e poi, conosce i tuoi genitori. Quando stavo con Luca non me l’aveva mai permesso». «Eri anche più piccola, ora sei più che maggiorenne». «E’ vero, ma non è solo questo. Lo accettava, ma non lo ha mai sopportato molto. Non si fidava di lui». «Il tempo gli ha dato ragione». «E ne sono felice perché adesso sono qui con te». Daniel mi baciò felice e premette le sue labbra sempre più apionatamente sulle mie. Avevo il corpo in fiamme. Mi sollevò sulle sue braccia forti e mi portò in camera, dove mi adagiò dolcemente sul letto. Mi spogliò delicatamente mentre mi riempiva il collo di baci. Le mie mani nel frattempo sbottonarono la sua camicia e lo liberarono. Poi le feci scivolare sulle sue spalle e sul suo petto. Daniel finì di spogliarsi in fretta e si adagiò su di me. Ricominciò a baciarmi e prese ad accarezzarmi i seni portandomi sempre più in estasi. Incapace di trattenermi lo spinsi giù e rotolai su di lui. Facemmo l’amore con tutta la ione di cui eravamo capaci.
La riunione
La settimana successiva ò velocemente. Non vidi Angelica poiché ognuna era impegnata a studiare sodo per l’esame da dare all’università. Io, dal canto mio, avo le giornate sui libri e la sera o ava Daniel a casa mia o andavo io da lui. Arrivammo così quasi alla metà di gennaio. Il 13 gennaio diedi il mio esame e all’uscita trovai Daniel ad aspettarmi appoggiato di fianco all’ingresso dell’ateneo. «Che sorpresa!» esclamai felice. «Com’è andato l’esame?» «Benissimo grazie. Come mai qui?» «Riunione. Stasera. Tu e Angelica. Le hai parlato?» «Non ancora, lo farò più tardi. Ma ci saremo». «Va bene. Ora però ti andrebbe di pranzare insieme?» «Certo! Ho una fame da lupi». «Non avevo dubbi» mi prese in giro lui. Gli diedi una leggera spinta scherzosa sul braccio e mano nella mano ci avviammo verso la paninoteca.
«Ciao Angy! ato l’esame?» Nel pomeriggio ero a casa sua. «Sì, avevi ragione è stato facile… dopo averlo ripetuto per la seconda volta». «Va bé dai, l’importante è avercela fatta. Andiamo in camera tua a parlare? Siamo state così prese dallo studio che non ci vediamo da una settimana».
«Sì e mi sei mancata tantissimo. Mi sento in colpa per aver ato tre sere con Samuele invece che con te». La guardai e mi accorsi che era raggiante. «Samuele? Il ragazzo di Capodanno?» le chiesi interessata. «Proprio lui. Sembra che vada davvero bene. Mi tratta come una regina ed io mi sento al settimo cielo». Abbracciai la mia migliore amica «Oh Angy, sono davvero tanto, tanto contenta per te! E non sentirti in colpa anch’io sono stata con Daniel». «A proposito come procede?» «Una favola! Credo davvero sia quello giusto! Se penso al ato, mi accorgo che non avevo assolutamente idea di cosa fosse l’amore. Lui mi fa provare una miriade di emozioni che non sarei neanche in grado di descrivere tanto sono profonde». ammo l’ora successiva a spettegolare di ragazzi e dei nostri sentimenti. Solo che ero lì per un motivo ben preciso e arrivò l’ora di affrontare i due argomenti. «Senti Angy, sono qui anche per informarti che stasera conosceremo le altre famiglie. Hanno finalmente indetto una riunione». «Wow, finalmente! Non capivo cosa aspettassero! Sarà l’occasione giusta per porgli le domande che mi affollano la mente?» «Questo non lo so. Anche per me è il primo incontro con loro». «E’ vero, però scusa, è questo che si fa alle riunioni, si discute. O mi sbaglio?» «Nel mondo normale mi troverei d’accordo con te. Nel loro funzionerà nello stesso modo?» «Ottima osservazione. Va bene, lo scopriremo stasera. Nel frattempo hai parlato con Daniel della lettera di mia madre?»
«Sì l’ho fatto». «E…» «E pensiamo che per la tua sicurezza sia meglio non coinvolgerti più nella ricerca finché non entrerò in possesso della chiave di famiglia». «Cooooosaaaaaaa? Mi auguro che tu stia scherzando Cryssi» mi urlò contro Angelica. «No Angy, non sto scherzando. Ho già subito un attacco e un uomo è morto sulle scale di casa mia. Se dovessero scoprire che anche tu sei una custode saresti in pericolo e non voglio che accada». «Forse dovevi pensarci prima non credi?» «Angy, sii ragionevole. Prima non sapevo con cosa avevo a che fare. Ora è diverso e voglio proteggerti». La mia migliore amica era davvero furiosa «Anch’io faccio parte di questa storia! Anch’io devo trovare la mia chiave di famiglia! Anch’io ho diritto di conoscere le mie radici! Chi vi credete di essere tu e Daniel per decidere cosa devo o non devo fare?» «Calmati Angy! Non capisci che è solo per il tuo bene?» «No non è per il mio bene! E’ per il vostro bene! Non mi volete in mezzo ai piedi. Da quando stai con Daniel sei cambiata Crystal, non hai più tempo per nulla, non hai più tempo per me! Sono stata paziente, ti ho spinto io a fidarti perché vederti felice era importante per me. Invece ora mi stai escludendo Crys e non è giusto. Questa storia non è più solo tua e questo ti dà fastidio. Sono speciale anch’io e questo non ti va giù». «Angelica! Mi auguro che tu stia scherzando! Stai dicendo una marea di sciocchezze! Non vuoi essere protetta? Bene! Poi non dire che non ti avevo avvertito». Angelica guardava in basso stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nella pelle. Tremava di rabbia. Non avevamo mai litigato in quella maniera, sempre e solo banali battibecchi.
«Fuori di qui…» disse piano la mia migliore amica quasi ringhiando. «Come?» Speravo di aver sentito male. Dopo ogni discussione c’eravamo sempre riappacificate nel giro di pochi minuti. «Fuori di qui ho detto!» gridò Angy alzando furiosamente un braccio e puntando l’indice verso la porta. «Angelica ti prego calmati. Ho capito, ho sbagliato, parliamone». «Non abbiamo più niente da dirci» mi girò le spalle ed io corsi fuori da casa sua. Chiusa la porta d’ingresso, mi ci accasciai contro scivolando a sedere. Mi avvolsi le ginocchia con le braccia e piansi copiosamente. Quando mi ripresi, provai a suonare il camlo di Angelica sperando che si fosse calmata e potessimo riappacificarci. Lei non venne mai ad aprire.
Il camlo sopra la porta del negozio trillò a indicare che era entrato un cliente. Sentii una voce familiare provenire dal retrobottega «Arrivo subito». Non risposi, attendendolo vicino al bancone. «Ciao amore, che bella sorpresa» disse prima di accorgersi quanto fossi sconvolta. «O forse no» concluse. «Che è successo?» Mi gettai tra le sue braccia stringendolo forte a me. Avevo bisogno di sentirlo vicino. Daniel mi abbracciò a sua volta preoccupato e appoggiò la testa sulla mia, aspettando pazientemente che fossi pronta a parlare. «Sono stata da Angelica. L’ho informata della riunione». «Bene, ma allora perché hai gli occhi arrossati? Hai pianto?»
«Abbiamo litigato furiosamente. Non era mai successo. E mi ha sbattuto fuori di casa. Io ho aspettato. Ho risuonato, ma lei non mi ha più aperto. Non credo voglia avere più niente a che fare con me». Parlai a raffica prima che mi venisse meno la voce per via del groppone che sentivo già risalirmi la gola. Daniel era visibilmente confuso «Avete discusso per la riunione? Pensavo sarebbe stata contenta di incontrare il consiglio. Poteva porre domande agli anziani». «Della riunione era entusiasta, non è per questo che si è infuriata». «Mmm… forse ho capito. Le hai detto che sarebbe meglio non coinvolgerla per un po’ nella ricerca vero?» «Esatto. Le ho spiegato che è per la sua sicurezza, che se mai il clan delle tenebre scoprisse chi è sarebbe in pericolo. Ma lei mi ha accusato di essere gelosa perché ora non sono più l’unica speciale e dice che io sto cambiando da quando sto con te». «Certo che stai cambiando Crys, ma non a causa mia. Stai cambiando perché questa situazione ti sta obbligando a crescere più in fretta del normale e, quando sarà il momento, toccherà anche a lei. Le hai spiegato che dopo aver trovato la tua chiave, cominceremo la ricerca della sua?» «Non me ne ha dato modo. Come non ho fatto in tempo ad avvisarla che abbiamo detto alla nonna solo che io l’avevo sognata come custode, omettendo la lettera. E se non volesse più parlarmi?» «Non preoccuparti siete come sorelle. Le cose torneranno come prima. Facciamo così, proveremo a farle illustrare i pericoli dal consiglio stasera e se vorrà ancora contribuire alla tua ricerca, allora non ci opporremo». «Ma Dany! Io non voglio che lei rischi per me!» «Crys, probabilmente abbiamo peccato di presunzione pensando di poter scegliere al posto suo. So che le intenzioni sono buone ed io ero d’accordo con te… ma forse abbiamo sbagliato». «Forse sì. A che ora è la riunione stasera?»
«Alle 21. Sarò sotto casa tua alle 20.15 e poi andremo a prendere Angelica». «Ehm Dany… come faccio ad avvisarla se non mi vuole parlare?» «Mandale un messaggio e vedremo che succede. Mi raccomando ricordati di informarla che Perla e gli altri non sanno della lettera. Noi comunque alle 20.30 eremo a prenderla. Spero che la rabbia non offuschi la sua mente e capisca che i rapporti personali non devono interferire con la missione». «Lo spero anch’io».
All’ora stabilita Daniel era sotto casa mia, salii in auto e ci dirigemmo verso casa di Angelica. «Novità?» Mi domandò Daniel speranzoso. Scossi la testa «Nessuna. Le ho scritto che saremmo ati alle 20.30 ma non mi ha mai risposto. Credi che verrà?» Daniel indicò qualcosa davanti a noi «Tu che ne pensi?» M’illuminai «Angy!» Scesi al volo dalla macchina e le corsi incontro ma Angelica alzò una mano per far si che mi arrestassi. «Ho deciso di partecipare alla riunione per me stessa e i doveri che ho, ma non alcuna intenzione di avere a che fare con te». Detto questo, mi scansò e salì sull’auto di Daniel. Io la seguii in silenzio. Per tutto il tragitto rivolse la parola solo a Daniel, escludendomi completamente.
Arrivammo puntuali alla villa della nonna. Suonammo e ci aprì la solita burbera Amelia che ci prese i cappotti e si dileguò. «Bene ci siamo. Sei pronta? Io sono un po’ agitata» provai a dire ad Angy. Lei per tutta risposta si rivolse a Daniel «Puoi comunicare alla tua ragazza che, anche se sono nervosa per l’incontro, non è affar suo?»
Daniel alzò gli occhi al cielo esasperato «Non mettetemi in mezzo a questa diatriba. Crystal prova a spiegare meglio le tue intenzioni ad Angelica e Angy, capisco che sei arrabbiata, ma tenta di dare a Crystal la possibilità di scusarsi e finiamola qui per favore. Abbiamo cose più importanti di cui occuparci. Dai ragazze! Comportiamoci da adulti, eh?» Guardai speranzosa Angelica. Per un attimo vidi are un lampo di comprensione nei suoi occhi ma durò poco, non voleva cedere «Vedremo. Per ora voglio solo andare a questa benedetta riunione». «Allora seguitemi». Daniel ci portò in un salotto porpora illuminato solo dalla luce delle candele. La nonna ci venne incontro e ci abbracciò affettuosamente, poi, si girò verso gli altri e proclamò «Amici miei, questa sera ho l’onore di presentarvi ufficialmente mia nipote Crystal e Angelica Pavone, l’amata figlia di Celeste». Si alzarono tutti tranne una ragazza poco più grande di me esile e dai capelli ramati. La nonna ci accompagnò a sedere e Daniel prese posto accanto a me, mentre Angelica si diresse verso lo spazio libero accanto ad Andrea. Voleva starmi proprio lontano! Nonna perla procedette con le presentazioni iniziando dalla signora di mezza età con i capelli corvini «Lei è Annalisa Bellucci, protettrice dell’elemento dell’acqua». Poi si spostò verso l’uomo robusto con la barba e gli occhiali «Lui è Ludovico Pontevecchio protettore del metallo». Fu il turno del ragazzo con i capelli raccolti in una piccola coda. Automaticamente lo salutai con la mano «Ciao Andrea». Lui sorrise e la nonna disse «Vedo che vi conoscete già, comunque lui è Andrea Del Moro, protettore dell’elemento terra. Infine, lei è Jasmine Palladino, protettrice del fuoco». «Mi fa piacere conoscervi finalmente tutti» dissi sinceramente. L’esile ragazza ramata sbuffò. Andrea la guardò storto «Jasmine hai promesso». Io e Angelica ci scambiammo uno sguardo interrogativo, poi guardai Daniel che mi sussurrò all’orecchio «Dopo ti spiego».
Angelica prese parola «Sono felice anch’io di essere qui a prendere il posto di mia madre Celeste. Spero di esserne all’altezza». Jasmine le rispose sorridendo «Le farai onore non preoccuparti». Allora ce l’aveva proprio con me! Cos’avevo fatto per meritare quell’antipatia gratuita? Perla si andò a risistemare sulla sua poltrona e chiese attenzione «Ora ragazze, vi starete domandando cosa proteggete voi». Annuimmo contemporaneamente e la nonna non tardò a informarci «Angelica mia cara, la tua famiglia è la protettrice dell’elemento aria, mentre tu Crystal, insieme a Daniel, siete i protettori della luce». Angelica intervenne «Ma esattamente come sono queste chiavi? Perché io continuo a immaginarle grandi, vecchie e arrugginite, come quelle che si usavano una volta per aprire le porte nei castelli». Mia nonna sorrise divertita «No cara, le chiamiamo chiavi, ma non sono letteralmente tali. Le vostre cinque sono gemme uniche al mondo, incastonate in medaglioni d’argento ognuno di forma diversa. A prima vista sembrano pietre come tutte le altre ma hanno un potere straordinario. Si chiamano pietre di luce. Il tuo in particolare ha la forma simile a un ventaglio per simboleggiare l’aria, quello di Jasmine ricorda una fiamma, per Annalisa abbiamo un’onda, Ludovico possiede il ferro di cavallo e Andrea un cerchio. Per quanto riguarda Daniel e Crystal, loro proteggono ognuno le due parti di uno stesso medaglione. Crystal, tu possiedi la parte a forma di mezzaluna, mentre Daniel la parte a forma di luna piena. In entrambe è incastonata una pietra bianca luminescente chiamata pietra di Selene». Nelle due ore successive il consiglio rispose a tutti gli interrogativi miei e di Angelica con grande disponibilità. Infine arrivò il momento di discutere della nostra controparte e Ludovico affrontò il discorso «Ora dobbiamo decidere come comportarci per affrontare il clan delle tenebre dopo i recenti attacchi». «Che cosa possiamo fare se non sappiamo neanche cosa vogliono da noi?» Domandò Jasmine.
«Cosa credi che vogliano? Il potere che guadagnerebbero se entrassero in possesso della pietra filosofale». «Ma non sanno chi siamo! Conoscono solo l’identità di Crystal e anche se venissero malauguratamente in possesso della chiave della sua famiglia, da sola non avrebbe alcun effetto». «Jasmine sarebbe comunque un disastro! Non possiamo permetterci di perdere nessuna chiave! E’ vero da sola non ha effetto ma credi che si fermerebbero dopo?» Daniel prese parola «Io credo che loro abbiano un piano ben più ampio che non solo arrivare alla chiave». «Cosa intendi?» Domandò Annalisa. «Ragionate. Proprio perché con una sola chiave non arriverebbero a nulla, avranno studiato un piano per possederle tutte». «Ma come farebbero?» «Questo non lo so, ma il discorso di Daniel non fa una piega. Per questo dobbiamo assolutamente essere il più discreti possibili ed evitare che vengano scoperte le nostre identità» rispose Ludovico. A quel punto s’intromise Andrea «Io continuerò a sorvegliare Angelica, anche se non ho visto alcun movimento strano che la riguardi. Sono d’accordo con Ludovico però, dovremmo essere ancora più prudenti e non dare nell’occhio. State lavorando in troppi agli enigmi di Crystal». Angelica si voltò di scatto. «Hanno coinvolto anche te in questa storia? Che cosa credete, che io sia una bambina indifesa?» Chiese stizzita. Andrea la guardò interrogativo e Angy capì che aveva formulato quel pensiero da solo, per cui si calmò «Scusate. Non volevo alzare la voce. Solamente mi sento estromessa. Dal principio ho aiutato Crystal in questa ricerca, non capisco perché ora dovrebbe essere diversamente e poi, dopo la lettera di mia madre, ci sono dentro anch’io fino al collo». La guardarono tutti, ma fu Perla a dar voce ai pensieri che aleggiavano sospesi
nella stanza «Mia cara, di quale lettera stai parlando?» Angelica era visibilmente agitata, capendo di aver fatto un errore, adesso avrebbero voluto vedere la lettera e lei non poteva fargliela leggere, per via della rivelazione di Celeste su suo marito, così intervenni in suo aiuto «Nonna, credo che sia ora di vuotare il sacco. Non ho propriamente sognato Angelica come custode, la verità è, che durante la mia ricerca, ho trovato una busta contenente una lettera che Celeste aveva affidato a Soraya. Spiegava che non essendo in grado di creare la rete d’indizi, affidava a lei il compito di crearne uno e nasconderlo insieme alla sua chiave, in modo che, una volta trovata la mia, Angelica avrebbe potuto cercare la sua». Calò un imbarazzante silenzio, spezzato da Annalisa «Quest’ultima novità cambia le cose e può crearci ancora più guai. Se gli oscuri venissero in possesso della chiave di Crystal, avrebbero in mano la possibilità di trovare anche quella di Angelica». Ludovico intervenne «Ma che sta succedendo in questo consiglio! Quante altre regole scopriremo essere state infrante! Non va bene, non va proprio bene». Perla sospirò «Ormai il danno è fatto e dobbiamo prenderne atto. Come procediamo?» Fu Andrea a parlare «L’unica soluzione è non tergiversare ulteriormente. Crystal dovrà sbrigarsi a trovare la sua chiave e poi dovremo aiutare Angelica che nel frattempo dovrà cercare di stare fuori dai guai che le piaccia oppure no». «Ma perché non posso aiutare! Così facendo faremo più in fretta» asserì la mia migliore amica. «Perché è troppo pericoloso. Troppe persone che si muovono insieme danno nell’occhio. Se non fosse necessario proteggerla, Crystal avrebbe dovuto lavorare da sola. D’ora in poi erò io più tempo con te in modo da non farti mettere nei guai e potrò proteggerti meglio». «Bravo segui le orme di Daniel mi raccomando, così avremo anche un ulteriore problema a cui pensare» disse stizzosa Jasmine. «Smettila Jas, ti stai rendendo ridicola» la sgridò Daniel.
«Io mi sto rendendo ridicola? E’ divertente detto dall’uomo tutto d’un pezzo che mi ha sempre rifiutato perché era contro il regolamento. Poi all’improvviso arriva quella sciacquetta e tu che fai? Infrangi tutte le regole e noi dobbiamo anche appoggiarti!» «Ehi!» Angelica balzò in piedi e si mise di fronte a Jasmine «Solo io posso permettermi di offendere Crystal. Sciacquetta chiamaci tua sorella! Tu sei solo gelosa! E’ palese! Chiedile immediatamente scusa!» Jasmine continuò a restare seduta senza mostrare alcuna reazione all’intervento di Angy «Scusa per cosa? Per aver detto la verità? Lo sa la tua amica che Daniel sta rischiando il suo posto qui per stare con lei? Lo sa che alla fine di questa storia il consiglio deciderà se espellerlo oppure no?» Mi alzai anch’io «Certo che lo so! E non credo sia un problema tuo! Comunque, se proprio vuoi saperlo, ci ho riflettuto a lungo. Alla fine di tutto ho deciso che sarò io a mettermi da parte e lascerò che decidiate a chi offrire il mio posto. Non chiederei mai a Daniel di rinunciare alla causa». «Se non te ne importa niente allora perché sei qui?» «Non mettermi in bocca parole che non ho detto. M’importa eccome della causa, onorerò fino in fondo la missione che è stata di mia madre e ancor prima di mia nonna. Ma nulla al mondo mi farà rinunciare a Daniel, NULLA! Tu saresti disposta a rinunciare a tutto per lui?» Jasmine abbassò la testa e guardò il pavimento, le mani che stringevano forte il cuscino del divano «Io sono stata cresciuta nel rispetto di ciò che siamo, tu ci sei in mezzo da qualche mese. E se proprio lo vuoi sapere sì, sarei stata disposta a rinunciarci, ho una sorella che potrebbe prendere il mio posto. Non avrei creato nessun danno, ma lui non ha mai voluto. Immagino che la verità a cui non ho mai voluto credere è che non gli sono mai piaciuta in quel senso». Jasmine non si era mai lasciata andare a confessioni private con il consiglio, era solita confidarsi solo con Andrea, ma quella sera, vedendo Daniel e Crystal così innamorati, la gelosia non le aveva più permesso di trattenersi. Tutti sospettavano che lei avesse una cotta per il ragazzo, ma non pensavano fino a quel punto.
Per quanto mi riguardava, in quel momento, tutta la rabbia che provavo, si trasformò in tenerezza per quella ragazza e il suo amore non ricambiato e capii che non era cattiva, si nascondeva dietro all’aggressività per mascherare la sua sofferenza. M’inginocchiai davanti a lei «Jasmine mi dispiace che vederci insieme ti faccia soffrire, ma non si possono comandare i sentimenti lo capisci vero?» Angelica si avvicinò e le posò delicatamente una mano sulla spalla «Se invece di intestardirti tanto con lui guardassi oltre il tuo naso, scopriresti che ci sono altri mille ragazzi sulla faccia della terra» le disse dolcemente. «E sicuramente tra loro ci sarà quello che potrà renderti felice. Ne sono certa» Finii la frase di Angelica. Inaspettatamente Jasmine mi abbracciò «Scusa Crystal, ero accecata dalla gelosia e ti ho mal giudicata senza conoscerti. Sei una brava ragazza. Non posso assicurarti che riuscirò ad accettare presto la cosa, ma ci proverò. Odiarti era più semplice». «Non ti preoccupare» risposi. Tornammo ognuno al suo posto e Perla parlò «Mi fa piacere che vi siate chiarite. Ora però torniamo alla questione di Angelica». «Dato che si parla di me, credo di poter decidere se avere o meno una “scorta”. Ho anche una vita privata io». «Se il problema sono io, dillo. Angelica qui non si tratta della tua privacy, ma della tua sicurezza. Non puoi accettare e basta di essere protetta finché questa storia non sarà finita?» Disse Andrea. «Non è questo. E’ che vorrei avere un po’ d’intimità quando esco col mio ragazzo» rispose Angy arrossendo. «Guarda che non starò con te 24 ore su 24 se è quello che pensi. Anch’io ho la mia vita al di fuori della missione». S’intromise Perla «Sei davvero testarda ragazza mia. E va bene, lasceremo le cose come stanno e non ti proibiremo di aiutare Crystal, se è questo che vuoi. In cambio, però, dovrai accettare la protezione di Andrea. Suvvia, non vederla
come una prigione, diventate amici, così sarà tutto più naturale. Noi siamo abituati a prenderci cura l’uno dell’altro». Angelica cedette «Va bene, sempre se Crystal è ancora d’accordo dopo il modo in cui l’ho trattata. Scusami davvero tanto per quello che ti ho detto, non lo pensavo sul serio. Mi perdoni?» «Scusami tu per aver creduto di poter scegliere al posto tuo. Ho solo paura che ti possa succedere qualcosa a causa mia e non me lo perdonerei mai, ma è giusto che ti lasci decidere da sola. Sei come una sorella per me» risposi entusiasta di aver di nuovo la mia amica. «Molto bene, allora. Per adesso è tutto deciso. Ci riaggiorneremo più avanti. Ora questa vecchia signora è molto stanca». Perla concluse così la riunione di quella sera.
Il giorno più bello
Dopo che gli altri si congedarono, chiesi a mia nonna il permesso di visitare la stanza che un tempo era stata di mia madre. Ero curiosa di vedere dove fosse cresciuta. «Certo tesoro, fai pure con comodo, questa è anche casa tua. Mi scai però se io non ti accompagno, ho necessità di riposare». «Ci mancherebbe nonna. Vai pure». «Mi raccomando chiudete la porta quando uscite, Amelia a quest’ora si sarà già ritirata nelle sue stanze». «Certamente nonna. Buonanotte e… grazie». Perla ci augurò a sua volta la buonanotte e sparì dietro la porta della sua stanza, dopo averci indicato la vecchia camera di Soraya. Quando entrammo, ebbi la sensazione di essere nella casa di Barbie. La stanza era tinteggiata di rosa pallido, al centro troneggiava un baldacchino bianco e, di fronte, un comò dello stesso colore fornito di specchiera e sgabello imbottito. Mi avvicinai, sopra vi erano ancora posati una spazzola d’argento e un portagioielli nero e viola. Alle pareti erano addossate una libreria e una vetrinetta piena di peluche e bambole di porcellana e di pezza. Mentre girovagavo per la stanza Angelica mi chiamò «Cryssi, guarda che bella fotografia». Sulla parete vicino alla finestra, era appeso un ingrandimento che ritraeva i miei genitori giovani e innamorati. La foto era stata scattata in un parco, loro erano seduti su una coperta di pile stesa su un prato e si stavano scambiando un bacio dolcissimo. Immaginai che la foto fosse stata scattata a loro insaputa e che dopo averla vista, la mamma l’avesse voluta inquadrare. Daniel si avvicinò a me ed io dissi «Sapete, quando ho trovato le buste dentro a “La scarpina di raso”, il libro riportava una dedica di mio padre a mia madre. Le
aveva regalato quel volume per San Valentino perché Soraya l’aveva perso al parco e sapeva quando le pie. Diceva inoltre che quando si sono conosciuti, lei lo stava leggendo». «Oh Cryssi, che cosa romantica! Chissà se Samuele farà mai un gesto così per me» asserì sognante Angelica. Daniel invece era pensieroso «Crystal, potrebbe essere una sciocchezza…ma… ti ricordi cosa diceva l’ultimo indizio di Soraya?» «Non esattamente, ma ho la chiave qui con me». La estrassi dalla tasca e lessi ad alta voce «Princess, prince and kiss of awakening. A cosa pensi? A me sembrava tanto la favola della bella addormentata». «E se, e dico se, fosse stata una metafora di vita?» «Che cosa intendi esattamente?» «Se tua madre intendesse che si è “risvegliata” quando ha conosciuto tuo padre?» «Dany sei un genio! Potrebbe essere, fammi controllare». Diedi la chiave a lui, mentre io tiravo giù il quadro dal muro. Lo rivoltai e tastai in tutti i sensi possibili, ma non c’era alcuna serratura». Ero delusa, pensavo davvero che avesse ragione. Mi andai a sedere sconsolata sul letto. Nel frattempo Daniel stava osservando l’oggetto che aveva in mano «Crystal, sei sicura di aver guardato bene la chiave? Mi sembrava un po’ troppo striminzito come indizio, diceva ben poco sul luogo». «Cos’hai scoperto?» «Guarda tu stessa». Daniel mi porse la chiave e notai che sulla lunghezza c’era un’altra incisione che prima non avevo visto. «La mamma mi ha scritto di guardare sul a chiave ed io mi sono limitata a
quello. Che sciocca sono stata. Dovevo controllare meglio» «L’importante è averlo visto ora. Ti dice niente?» Da una parte recava la scritta:
“Cerca dove dorme il bianco che avvolse„
Dall’altro:
“il nostro giorno più bello„
«Ma certo! Daniel avevi ragione, l’incisione sul a chiave è davvero una metafora di vita, intendeva il matrimonio» esclamai. «E il bianco dev’essere l’abito da sposa» intuì lui. «Esatto! Per una volta, forse non servirà aspettare i miei sogni». «Sai almeno dov’è conservato?» «Immagino sia in solaio. La maggior parte di ciò che non usiamo si trova lassù». «Bene, allora domani verificheremo. Ora andiamo è davvero tardi».
Portammo a casa Angelica e sotto casa mia salutai Daniel. Dopo essermi messa il pigiama, m’intrufolai sotto le coperte, ma continuavo a rigirarmi senza riuscire a prendere sonno. Ero troppo emozionata per aspettare che fe giorno, così, facendo attenzione
a non far rumore, salii le scale che portavano al solaio portando con me una torcia per evitare di accendere le luci finché non fossi giunta a destinazione. Aprii piano la porta e la richiusi dietro di me, dopodiché accesi l’unica lampadina che penzolava dal soffitto. Sul pavimento erano poggiati scatoloni e bauli pieni di roba che non usavamo più. Forse aveva ragione Daniel, era meglio aspettare l’indomani e farmi aiutare da lui, ma la curiosità mi divorava. Cercai di aprire tutti i bauli senza successo, finché ne trovai uno verde, lungo e basso, nascosto sotto ad altre scatole. Doveva essere per forza quello, era l’ultimo. Soffiai vicino alla serratura per togliere un po’ di polvere e poi inserii la chiave, la girai nella toppa e sentii il rumore di uno scatto. Sollevai il coperchio e, ben riposto all’interno, c’era il vestito da sposa di mia madre. Con attenzione lo tirai fuori e lo strinsi a me. Era bellissimo, una nuvola di tulle bianco con la gonna ampia. Il corpetto aveva inserti di pizzo cosparsi di cristalli. Le spalline erano morbide e ricadevano sulle braccia. Sul fondo c’era anche il velo ben ripiegato. Misi da parte l’abito e lo sollevai delicatamente. Trovai le altre pagine del diario nascoste nelle sue pieghe. Rimisi tutto a posto e tornai a letto. Quella notte dormii con “una parte” di mia madre sotto il cuscino.
La mattina dopo infilai le pagine del diario nella borsa dell’università e le portai con me. Terminate le lezioni chiamai Daniel «Ciao bell’uomo sei in negozio?» «No oggi dovevo fare delle commissioni. Tra poco sarò a casa. Mi raggiungi lì?»
«D’accordo a tra poco». Arrivai a casa di Daniel, lo salutai frettolosamente, poi lanciai letteralmente cappotto e scarpe e corsi a sedermi sul divano con le gambe ripiegate sotto di me. «Mamma mia, cos’è tutta questa fretta?» Gli risposi mentre cercavo nella mia borsa «Solo sana curiosità. Ieri notte non riuscivo a dormire così sono andata a cercare l’abito da sposa di mia madre e avvolti nel velo, ho trovato questi». Sventolai i fogli in aria con aria vittoriosa. Daniel venne a sedersi accanto a me con una birra in mano «Avevamo ragione dunque! Che cosa dicono?» «Non lo so ancora, volevo leggerli con te». «Cominciamo allora. Non ti nascondo che anch’io ho una certa curiosità.» Alzai un sopracciglio «Solo una certa curiosità?» «Ok lo ammetto, sto morendo dalla voglia di sapere cosa c’è scritto». Mi avvicinai il più possibile a Daniel e cominciammo la lettura.
“Mia cara bambina, questa parte del diario più che del segreto, vuole parlarti della storia della tua famiglia. Ciò che sei lo devi anche alla tua discendenza. Da dove cominciare… ho ato un’infanzia felice nella villa di famiglia, coccolata da mia madre Perla, mio padre Augusto e da mia nonna Isabella. Ho sempre avuto la migliore istruzione scolastica e un’intensa vita sociale. Come saprai il cognome della nostra famiglia è altisonante nella società piemontese. Ammetto che un po’ mi è sempre pesata la responsabilità di portarlo, ma alla fine dei conti, ne sono sempre andata fiera.
All’età di diciannove anni conobbi tuo padre, il bel Matteo. Ero al primo anno di università e avo il tempo a fissarlo di nascosto mentre lui si lasciava dietro una schiera di ragazze pazze di lui, senza mai interessarsi a nessuna. Com’era bello il mio Matteo: alto, forte, con i suoi bellissimi capelli scuri e i suoi intensi occhi color nocciola. Mi piaceva molto, ma ero troppo timida per avvicinarlo. E quante volte mi hanno scherzosamente preso in giro Celeste e Giacomo che già stavano insieme dal liceo. Un pomeriggio di giugno particolarmente caldo, decisi di andare a leggere un libro che mi piaceva molto al parco del Valentino e mi sedetti sulla fontana delle quattro stagioni per ristorarmi un po’ con la frescura che gli schizzi dell’acqua mi procuravano sulla pelle. Ero immersa nella lettura della “Scarpina di raso”, quando sentii una voce familiare. Matteo stava scendendo le scale insieme ad un gruppo di suoi amici. Quando mi vide, si staccò dal gruppo dicendogli di andare avanti che li avrebbe raggiunti. Si avvicinò a me e ci presentammo. Io non potevo credere che si stesse rivolgendo a me, e, sinceramente non lo presi molto sul serio. Mi sembrava un po’ sospetto che non mi avesse mai notato e proprio oggi, avesse deciso di avvicinarsi. Le ben quattro ore successive mi diedero torto e quando ci salutammo, dimenticai il mio amato libro sulla fontana. Da quel giorno fummo inseparabili, non potevamo stare lontani l’uno dall’altra. L’anno successivo partecipammo al matrimonio di Giacomo e Celeste. E pochi mesi dopo Matteo si laureò. Quello seguente ci sposammo anche noi. Fu una grande cerimonia, a cui parteciparono amici e familiari. La celebrammo in giugno nella chiesa in cui ero cresciuta e non vedevamo l’ora
di cominciare la nostra vita insieme come una famiglia. L’unica nota stonata era la mancanza di nonna Isabella che era venuta a mancare qualche anno prima. Quando mio padre mi accompagnò all’altare, avevo occhi solo per tuo padre ed era come se il mondo circostante non esistesse. C’eravamo solo io e lui. Dopo la cerimonia partimmo per la luna di miele. Un mese alla scoperta dell’Australia, che avevamo sempre sognato di visitare. Pochi mesi dopo Celeste mi comunicò di aspettare un bambino e un paio di mesi dopo scoprimmo con gioia che anche noi eravamo in tua attesa. Nascesti una fredda mattina di novembre ed eri un bellissimo batuffolo rosa. Eri una neonata tranquilla, ammetto che non ci hai mai dato problemi. Quando avevi un anno purtroppo persi anche mio padre a causa di un infarto. Amavo mio padre, ne ho sofferto molto, ma grazie al mio Matteo superai il lutto. Bambina mia, quello che voglio farti capire è che l’amore è la forza che spinge l’universo, da soli non si può mai essere abbastanza. Cerca, trova e tieniti stretto il tuo vero amore senza aver paura. E’ una grande avventura che sì, può spaventare, ma quando è giusto, può essere solo meraviglioso. Il nostro mondo purtroppo, a differenza di altri, non è solo quello che vediamo, come ormai avrai capito c’è ben altro. La maggior parte delle persone può ignorarlo ma non noi. Noi abbiamo un compito e lo dobbiamo affrontare con coraggio. Abbiamo avuto la fortuna di venirne a conoscenza e di discendere da una famiglia di pochi eletti per cui fanne tesoro. Io ho voluto fidarmi di tuo padre e confidargli il mio segreto. Il nostro amore è così grande che non avrei mai sopportato di vivere la mia doppia vita escludendolo. Ma so per certo che è un uomo di grande integrità. Non ne è contento, bada
bene, perché come ogni segreto, ha il doppio lato della medaglia e può essere pericoloso se scoperto. Nonostante tutto, però, mi ha sempre sostenuto, sa che non può cambiare ciò che sono, né può chiedermi di farlo. E questo, bambina, è vero amore. Accettare l’altro nella sua totalità. Questa è la mia storia, per i nonni è andata diversamente. Loro hanno avuto un matrimonio combinato tra due grandi famiglie ma fortuna ha voluto che l’amore bussasse alla loro porta e che fossero fatti l’uno per l’altra nonostante tutto. Non è cominciato per amore, ma lo è diventato. Non concepisco certi concetti di matrimonio, ma ai loro tempi era diverso, non c’era la libertà di oggi. Proprio per questo ho sempre avuto libertà di scelta, come io la lascerò a te. In ultimo volevo parlarti dei sogni. Ho ereditato dalla nonna Isabella il dono di fare sogni premonitori che compaiono per lo più nel momento del bisogno, come se l’inconscio ci venisse in aiuto. Chiamalo sesto senso, chiamalo come credi, ma sono sempre stati utili. Mia madre non lo possiede, poiché di solito salta una generazione ma credo che stavolta, tu l’abbia ereditato. Parli nel sonno e racconti ciò che vedi. Ho potuto constatare che corrisponde a realtà. Quindi bambina mia, ama e fatti amare più che puoi.„
Questa parte di diario s’interrompeva qui, ma in allegato c’era un’ultima pagina:
“Crystal, questa è la seconda parte che ho separato dal mio diario. Manca l’ultima e più consistente, dove ti parlerò soprattutto dei custodi della luce e del segreto. Essendo, come ti ho già spiegato nelle prime pagine, pericoloso se questo diario cadesse in mani sbagliate, ho deciso che l’ultima parte la scoprirai solo dopo aver trovato la chiave. Essa ti condurrà a lui„
L’ultimo indizio recitava:
“A volte non vediamo quello che è sempre stato sotto i nostri occhi. Non c’è miglior nascondiglio di ciò che abbiamo sotto il naso. Osserva bene ciò che un cuore di mamma ha creato per te„
Finita la lettura mi lasciai cadere sullo schienale del divano. Finalmente conoscevo la storia dei miei genitori. E attraverso le parole di mia madre, avevo finalmente capito quanto si fossero amati. «A cosa pensi?» Daniel mi riscosse dal viaggio della mia mente. «Penso a quanto si sono amati, a quanto fossero felici insieme. E sono arrabbiata, molto arrabbiata, perché le circostanze li hanno separati troppo presto. Avevano una vita davanti, dovevano invecchiare insieme». Daniel sospirò «Sono d’accordo. Puoi solo consolarti del fatto che almeno si sono trovati, anche se per pochi anni. Ci sono anime gemelle che si sono sempre sfiorate senza mai incontrarsi». «Hai ragione, ma non è giusto lo stesso». «E cosa c’è di giusto in questa vita? Dobbiamo cogliere il buono che ci viene
offerto». «Mi ha colpito molto come mia madre mi sproni ad amare. E’ un consiglio meraviglioso. Da quando ho te sono capace di un coraggio che non avrei mai immaginato di possedere. E’ proprio vero che l’amore è la forza che muove il mondo». «Ed è una forza altamente potente. Noi siamo stati fortunati, viviamo il nostro amore come lei avrebbe desiderato. Sei d’accordo?» «E me lo chiedi? Non desidero nient’altro di più al mondo. Tutto quello che mi serve sei tu».
Marzo
arono le settimane senza venire a capo di nulla, avevamo cercato ovunque in casa, ma non trovammo la chiave. Aspettavo che un sogno mi venisse in soccorso, ma non accadde. Ci trovavamo a un punto morto. Sconsolati accantonammo per un po’ la ricerca con la speranza di riuscire, alla fine, a trovare la soluzione dell’ennesimo enigma di mia madre. Nel frattempo continuavo a vivere la mia favola con Daniel, andavo all’università e lui continuava a lavorare al negozio di suo padre. Qualche sera uscivamo con Angelica e il suo Samuele, la cui storia sembrava proseguire nel migliore dei modi. Finalmente anche lei aveva trovato la persona giusta. Ogni tanto frequentavamo anche Andrea e Jasmine, la quale, si era rassegnata e cercava di abituarsi a me, seppur con fatica. Imparavamo a conoscerci e chissà, magari col tempo saremmo riuscite a diventare amiche. La notte, la avo sempre più spesso da Daniel, dove avevamo più privacy abitando lui da solo. Ormai il mio spazzolino da denti faceva bella mostra nel suo bagno e parte del mio guardaroba si trovava nel suo armadio e nei suoi cassetti.
Arrivò marzo senza accorgercene, la neve si era ormai sciolta da tempo e il freddo stava diminuendo, lasciando spazio a un timido sole che annunciava l’imminente primavera. Una sera mi appisolai sul divano di Daniel mentre lui era sotto la doccia e finalmente qualcosa si sbloccò. Era una calda mattina estiva, io avevo all’incirca cinque anni e portavo un vestitino arancione con stampati dei girasoli. Ero scalza e inginocchiata sul pavimento della mia cameretta.
Le mie mani erano piene di colla e c’erano tante pietre colorate e di diverse forme sparse intorno a me. La mamma entrò dalla porta e s’inginocchiò, posando a terra una scatola marrone di legno finemente intagliata. Ridevamo insieme mentre incollavamo le pietre su un pannello, anch’esso di legno, per creare un collage astratto. A un certo punto mia madre aprì la scatola e ne estrasse un oggetto a forma di mezza luna bianca. Lo rigirò al contrario, lo riempì di colla e lo attaccò insieme alle altre pietre, mischiandolo bene col resto. Una volta finito, la mamma lo sollevò e lo guardò soddisfatta, prima di appenderlo alla parete sopra il mio letto. Il pannello era a forma di cuore.
«Daniel!» Urlai. «Che succede?» Daniel uscì dal bagno mentre si stava ancora frizionando i capelli con l’asciugamano. «Lo so, so dov’è». «Come fai a saperlo?» «L’ho sognato! Mi ero appisolata mentre tu eri sotto la doccia e finalmente mi è apparso! Non ci speravo più!» Daniel corse da me, mi sollevò in piedi e mi scoccò un bacio sulle labbra «Quanto amo la mia streghetta! Raccontami tutto». Descrissi a Daniel la mia “visione” e lui mi ascoltò attento, senza interrompermi, annuendo ogni tanto. «Bene, allora domani andremo a verificare». «Domani? Dopo tutti questi mesi? Andiamo adesso!»
«Ok, ok, dammi solo cinque minuti per vestirmi».
La chiave
Neanche mezz’ora dopo eravamo a casa mia e ci stavamo precipitando su per le scale. Mio padre sentì il baccano e si affacciò dalla porta della sua camera «Chi c’è?» «Siamo noi papà non ti preoccupare, torna a dormire». «Che cosa fate qui a quest’ora? Avete litigato?» «No papà, è tutto a posto, devo assolutamente verificare una cosa». «Posso chiederti cosa?» «Fidati, non lo vorresti sapere». Mio padre intuì che si trattava di qualcosa che aveva a che fare con il segreto e lasciò cadere il discorso «Immagino di no ma ormai che siete qui fermatevi a dormire. E’ inutile che facciate avanti e indietro. Così, magari, domattina riusciremo a fare colazione insieme, è un po’ di tempo che ti vedo a malapena». «Certo, come vuoi. Buonanotte pà». «Buonanotte Crystal. Buonanotte Daniel». Detto questo, rientrò nella sua stanza e chiuse la porta, mentre noi giungemmo a destinazione. Lanciai le scarpe e salii sul letto per staccare il collage dalla parete. «Daniel ma qui non c’è niente. Com’è possibile? Sono solo un mucchio di pietre incollate a caso». «Non essere frettolosa, Soraya l’avrà mimetizzato per bene, non ti ricordi dove l’ha incollato?» Mi soffermai a pensare un momento «Mi sembra verso il centro, ma non proprio al centro». «Guardiamo bene».
Osservammo il quadro per dieci minuti buoni finché Daniel finalmente lo scorse «Eccolo! E brava Soraya, ha attaccato talmente vicine le pietre che quasi non si distingueva la mezza luna». «Se penso che abbiamo cercato ovunque e si trovava sotto il nostro naso». «Effettivamente l’enigma lo diceva Non c’è miglior nascondiglio di ciò che abbiamo sotto il naso». «E’ proprio vero. A essere sincera, non ricordavo che questo collage l’avessimo creato noi due insieme. Forse lei ci sperava». Daniel mi mise un braccio intorno alle spalle «Non fartene una colpa Crys, eri una bambina. Ora cosa vuoi fare? Lo stacchiamo o aspettiamo di trovargli prima un altro nascondiglio?» «No, dobbiamo staccarlo, insieme ci dovrebbe essere l’enigma per Angelica. Poi al massimo potremo incollarlo nuovamente». «Dubito che sia una buona idea, una volta che l’avremo tolto, si vedrebbe se provassimo a reinserirlo, la colla sotto si sarà seccata e resterebbe in rilievo rispetto alle altre pietre». «Vorrà dire che gratteremo via la colla e lo rimetteremo al suo posto. Se come nascondiglio ha funzionato fino ad ora, vuol dire che è sicuro ma affronteremo il problema più tardi, ora diamoci da fare». Cercai qualcosa di utile per aiutarci nell’impresa, alla fine trovai un piccolo cacciavite che per chissà quale motivo che non ricordavo, era finito in un cassetto della mia scrivania «Tieni, meglio che lo faccia tu, sono troppo emozionata e rischierei di fare un pasticcio». Daniel prese l’oggetto e cominciò a lavorare delicatamente intorno alla mezzaluna mentre io camminavo impaziente per la stanza. «Fatto» proclamò Daniel porgendomi il mio medaglione. Lo presi tra le mani con molta attenzione «Tutto qui?» Daniel scoppiò a ridere «Come tutto qui?! Quel medaglione ha un’importanza di
elevata portata e tu lo offendi così?» «Bé, mi aspettavo qualcosa di più luminoso e appariscente». Daniel scosse la testa divertito «Sei tremenda Crys, ma è anche per questo che ti amo». Gli sorrisi e poi gli domandai «E l’enigma? Effettivamente ho sognato solo la pietra di luna». Mi avvicinai e osservai attenta il pannello «Guarda Dany, sotto questa pietra c’è qualcosa, vedo un angolino che spunta fuori». Daniel staccò la pietra che gli avevo indicato e altre tre. Sotto trovammo un piccolo foglietto. «Credi che dovrei leggerlo?» «Decidi tu, ma io credo di sì. Sarai comunque tu ad aiutarla e poi… Soraya non ti aveva scritto che dopo la chiave avresti dovuto cercare l’ultima e più consistente parte del suo diario?» Confermai «Sì, diceva così. Va bene, leggiamolo».
“Per A.: Come sorelle ci muoviamo, come gemelle pensiamo, con lo stesso cuore creiamo„
“Per C: Il momento è arrivato, sfoglierai le pagine che
al segreto t’introdurranno; le anime che ti proteggono verso chi te lo svelerà t'indirizzeranno„
Sospirai sconfitta «Te lo giuro Dany, non ne posso veramente più di questa caccia al tesoro. Sono esausta». «Fatti forza. Un ultimo indovinello e sarà tutto finito». «Mi chiedo che senso abbia ormai cercare l’ultima parte del diario, ormai tu e gli altri custodi mi avete già istruito sul segreto». «Questo è vero, ma credo che sia comunque importante che tu lo legga. Almeno per rispetto al lavoro che ha fatto tua madre per te». Mi presi il viso tra le mani «Lo so, lo so. Andiamo a dormire, e speriamo che almeno i sogni arrivino senza farmi aspettare di nuovo un’eternità».
E' tutto fermo
Nel frattempo in una villa situata in collina un uomo giocava a biliardo nella sua sala ricreativa personale tenendo tra le labbra un sigaro ormai spento… «Si può sapere perché mi hai convocato a quest’ora di sera? Non è nulla che poteva aspettare fino a domani?» Esordì un uomo basso e tarchiato dai capelli scuri e ispidi. «Buonasera Marcello. Vuoi uno scotch? Un whiskey?» «Un whiskey grazie» rispose Marcello al padrone di casa mentre si accomodava su una poltrona di pelle nera sistemata in un angolo della stanza. L’altro uomo lo raggiunse e gli porse il bicchiere con il liquido scuro. «Ti ho convocato perché fra poco meno di due settimane sarà la notte dell’equinozio di primavera e noi siamo a un punto morto. Il capo è molto scontento». «Mio caro Giulio e perché chiami me? Se non sbaglio ti era stato ordinato di trovarti un nuovo subordinato». «Vero, ma i principianti creano troppi problemi». Giulio fece una pausa per riaccendere il suo sigaro. «Ho pensato che potremmo lavorare nuovamente insieme». Marcello sbuffò «L’ultima volta abbiamo fatto un gran casino o te lo sei dimenticato?» Giulio batté un pugno sul tavolino di legno di mogano alto e stretto che si trovava tra loro «No certo ma non c’è più tempo. Il capo non è disposto a pazientare ulteriormente! Rammento perfettamente l’errore commesso anni fa, proprio per questo credo che dovremmo elaborare un buon piano per riscattarci». «E cos’avresti in mente? Il capo vuole entrare in possesso del diario di Soraya per scoprire i nomi e i cognomi dei custodi della luce. Io, però, mi son sempre domandato se quel diario conterrà veramente l’informazione». «Non ti devi preoccupare di questo, il capo lo sa per certo. E una volta che
sapremo chi sono i membri, potremmo finalmente impossessarci delle chiavi e aprire l’ingresso delle grotte alchemiche». «Fin qui il piano non fa una piega ma credi che saranno disposti a consegnarci le chiavi così facilmente?» «Sì se gli diamo il giusto input…» rispose Giulio e dalla sua gola risalì una risata malefica. «Va bene, ci sto. Come pensi di muoverti?» «Sto tenendo personalmente d’occhio la ragazza, prima o poi si muoverà. Speriamo solo che lo faccia presto».
L'agguato
La mattina arrivò presto, mi ero svegliata più volte durante la notte e i sogni non mi vennero in soccorso come speravo. Daniel dormiva ancora, così mi alzai silenziosamente e andai a farmi un bagno rilassante. Riempii la vasca d’acqua calda, poi legai i capelli in alto sulla testa e m’immersi fino al collo nella schiuma creata dal mio bagnoschiuma preferito all’aroma di cocco e fiori di pesco. Per via del calore, o per via della stanchezza, mi appisolai.
E’ notte fonda, tutto intorno è buio, nel cielo solo una pallida luna nascosta dietro a nuvole nere che minacciano pioggia imminente. Qualcuno corre, ma non so di chi si tratta né dove si trova. A un certo punto le nuvole si allontanano dalla luna e le permettono di illuminare una costruzione bianca. La donna si volta e riconosco mia madre, che, prima di inserire la chiave nella toppa, si guarda attorno circospetta. Decide di entrare e si richiude la porta alle spalle. E’ di nuovo buio, poi appare un fascio di luce. Mi accorgo che proviene da una torcia. Intorno a lei riconosco nomi che ho sentito pronunciare durante la mia infanzia… Isabella, Augusto… si trova nella tomba di famiglia. Solleva il coperchio di uno dei grossi vasi che si trovano ai quattro angoli del mausoleo e ci infila dentro qualcosa. Esce furtivamente com’è entrata, chiude la porta alle sue spalle e sparisce nella notte, mentre una pioggerellina leggera comincia a cadere.
Mi svegliai di scatto! Sapevo dove dovevo andare. Le anime che ti proteggono… parlava dei miei antenati. Mi sciacquai velocemente e mi rivestii, pronta a comunicare la notizia a Daniel. Corsi in camera e aprii la porta di scatto «Daniel so…» Mi fermai accigliata, il letto era stato rifatto e di Daniel neanche l’ombra. Sentii delle voci provenire dal piano inferiore. Alzai le spalle, lo avrei informato dopo colazione. In cucina trovai mio padre e il mio fidanzato che ridevano allegramente davanti a una tazzina di caffè. «Buongiorno principessa, ti unisci a noi?» Chiese mio padre. «Certamente, ho una fame da lupi!» «Ovviamente» scherzò mio padre porgendomi un cestino pieno di croissant sfornati da poco. Ne presi uno e mi sedetti su uno sgabello. «Mmm… fantastici! Alena è sempre la migliore. Tra l’altro dov’è?» «E’ uscita poco fa per andare al mercato». «Peccato volevo salutarla». «Se non scappi, la vedrai più tardi». ammo circa un’ora a parlare del più e del meno, poi mio padre si avviò a lavorare. Rimasti soli, raccontai a Daniel del sogno che avevo fatto poco prima. «Stavolta non si è fatto attendere». «Sì, ma inizio a pensare che più che sogni premonitori, siano salti nel ato. Sogno avvenimenti già successi alla fine dei conti». «In effetti… ma comunque li chiami ci stanno aiutando. Parlando del presente,
sai dove si trova la chiave della tomba di famiglia di Soraya?» «Non saprei proprio lei è stata sepolta nel mausoleo dei Mancini ma immagino che nonna Perla avrà la sua copia, potremmo chiederla a lei». «Ottima idea. Chiamala e dille che nel pomeriggio eremo a casa sua. Per quanto riguarda l’enigma di Angelica non abbiamo ancora nessuna novità?» «No, niente purtroppo. Dopo quest’ultimo sogno, però, mi sento rinvigorita. Siamo giunti finalmente all’ultima tappa. Comunque aspetterei la sera per entrare, quando non ci sarà più nessuno». «E come pensi di entrare?» «La domanda giusta è: come pensi di uscire?» «Vuoi farci chiudere dentro?» «L’idea è quella». Daniel si portò una mano alla fronte e con voce disperata disse «Tu sei matta». «Oh oh, il mio uomo ha forse paura?» «Diciamo che non mi fa impazzire il pensiero di restare in un cimitero oltre l’orario di chiusura». Scoppiai a ridere tenendomi la pancia, quando lo guardai, avevo le lacrime agli occhi «Credi forse che escano gli zombie dalle bare?» Daniel finse di offendersi «Non è divertente». «Eccome se lo è. L’intrepido uomo ha una debolezza». Saltai giù dallo sgabello e tornai al piano superiore continuando a ridere.
Poche ore più tardi stavamo parcheggiando davanti a casa di Perla. «Buongiorno Amelia» salutai la governante che ci aveva aperto la porta «Dove si trova mia nonna?»
«E’ nel giardino sul retro, vi sta aspettando». «Grazie, la raggiungiamo subito». Ci dirigemmo verso il giardino, dove la nonna era seduta su un dondolo bianco coperto da cuscini imbottiti foderati con una stoffa a righe verdi e gialle. «Miei cari, avvicinatevi. Andiamo a sederci lì così vi offro un bicchiere di limonata fresca» disse indicando un set composto di quattro sedie e un tavolo di ferro battuto. «Nonna non senti freddo qui fuori? Si sono alzate un po’ le temperature ma non così tanto». «Sto bene tesoro e questo vecchio scialle è un buon alleato. Volevo godermi questo pallido sole dopo il freddo inverno». Ci versò la bevanda nei bicchieri e riprese a parlare «Dimmi tutto tesoro, sei stata molto enigmatica al telefono». «Solo per precauzione. Ho fatto un altro sogno stamane, so dov’è nascosta l’ultima parte del diario, si trova nella vostra tomba di famiglia». Mia nonna si rallegrò della buona novella ed io proseguii «Ho bisogno della chiave per entrare, tu ne hai una copia?» «Ovviamente. Te la consegnerò prima che andiate via».
Nel tardo pomeriggio, io e Daniel ci trovavamo davanti all’ingresso della tomba. Guardai l’orologio «Fra dieci minuti i cancelli saranno chiusi, vieni entriamo». Daniel rabbrividì «Se proprio devo…» «Forza fifone, faremo in fretta. Poi scavalcheremo il cancello qua dietro e saremo fuori da qui in men che non si dica». «Speriamo…» Scossi la testa divertita dalla fobia di Daniel e girai la chiave nella toppa.
Entrammo e, dopo aver richiuso la porta alle nostre spalle, accesi la torcia dirigendomi verso il vaso del sogno. «E’ quello in fondo a sinistra» dissi. Ci avvicinammo all’oggetto e Daniel sollevò il pesante coperchio. Dopodiché io infilai all’interno il braccio e cercai. «Eccolo!» Tirai fuori il volume e ci soffiai sopra per togliere la polvere finché non comparve una copertina blu. «E’ proprio il diario! Ce l’abbiamo fatta!» Lo aprii e notai, vicino al bordo, delle striscioline. Erano rimasugli delle pagine ritagliate da mia madre quando aveva deciso di dividerlo in più parti. «Possiamo andare adesso?» Domandò nervosamente Daniel. Io annui e tenendo stretto a me il diario, uscimmo dalla tomba. Lesti scavalcammo il cancello e corremmo verso l’auto di Daniel, ma, arrivati a pochi metri, ci fermammo di scatto. Due uomini erano appoggiati alla portiera del eggero. Uno aveva tra le labbra un sigaro spento e l’altro teneva le mani nelle tasche. L’uomo più alto lanciò per terra il sigaro e fece qualche o verso di noi «Guarda un po’ chi c’è, la piccola Crystal e, deduco, il suo fidanzatino». Feci automaticamente un salto indietro. «Chi sei? Come conosci il mio nome?» «Chi credi che sia… Ma non perdiamoci in chiacchiere. Consegnami il diario. Subito!» «Mai!» «No, no, no… Così non ci siamo. Non fare i capricci signorina. Forse non ci siamo capiti…» Mentre parlava estrasse dalla tasca una pistola. «O me lo consegni con le buone o faccio fuori in tuo fidanzato». Nel frattempo si avvicinava sempre di più a noi, mentre il suo compare lo seguiva. Daniel si avvicinò a me e mi ò un accendino sussurrandomi «Meglio bruciato che in mano a loro».
«Non posso, ti farà del male se non glielo consegno». «Non preoccuparti ho un piano. Tu dagli fuoco, questo lo distrarrà ed io gli toglierò la pistola». «Ho paura, non voglio. E se qualcosa andasse storto e ti fe del male?» «So quel che faccio, fai come ti dico». Aprii lentamente il diario e subito dopo avvicinai la fiamma alle sue pagine. «Scusa mamma» mormorai al cielo. «Noooo, cosa stai facendo!» L’uomo scattò verso di me per provare a recuperare il diario che avevo lasciato cadere per terra in preda alle fiamme. Da quel momento, tutto il resto successe velocemente. Daniel si lanciò verso l’uomo atterrandolo e facendogli scivolare la pistola di mano. L’altro cercò di correre in soccorso del compare ma inciampò, cadendo rovinosamente sul cemento. Nel frattempo, Daniel aveva assestato due forti pugni in faccia al primo uomo e ora mi stava trascinando verso l’auto. «Sali!» Mi ordinò. Obbedii più in fretta che potevo, poi, lui, mise in moto e partì sgommando lontano da quei brutti ceffi.
Daniel correva per le strade della città come un pazzo, schiacciando forte sull’acceleratore. Stringeva le dita al volante e guardava dritto davanti a sé con un’espressione dura in volto. Io ero terrorizzata da quella guida spericolata, ma ero ancora più sconvolta dall’esperienza appena vissuta, così non proferii parola.
Arrivammo a casa di Daniel in brevissimo tempo. Salimmo al piano dove si trovava il suo appartamento ed entrammo. Daniel chiuse la porta dietro di noi e vi batté sopra i pugni. Per diversi minuti rimase in quella posizione. Mi avvicinai a lui e gli poggiai una mano sulla spalla, non sapendo bene come comportarmi e, a bassa voce, domandai «Amore stai bene?» «No, non sto bene Crys! Siamo stati fortunati ma sarebbe potuta andare molto peggio. Non mi sarei mai perdonato se ti fosse successo qualcosa di male». «Ma come vedi, siamo qui! Anch’io ho avuto paura, anzi sono ancora terrorizzata, sto tremando tuttora. Ho avuto seriamente timore di perderti stasera!» Si girò e mi strinse forte a sé «Ringrazio il cielo che sia andato tutto per il meglio ma il diario è ormai perduto per sempre, non saprai mai cosa conteneva» «Non m’interessa, l’importante è che siamo qui a parlarne e che stiamo bene. Pensi che ora che il diario è andato perduto, rinunceranno?» «Non credo Crys, anzi, ho la sensazione che d’ora in poi sarà molto peggio. Senza più il diario non so cosa inventeranno di nuovo. Dovremo fare molta attenzione. Soprattutto ora che l’equinozio di primavera si sta avvicinando». «Dovremmo avvisare gli altri?» «Sì, dobbiamo chiedere una riunione domani stesso».
Il capo delle tenebre
«Maledizione! Siete degli incompetenti!» Un pugnò fu calato con forza sull’elegante scrivania situata di fronte ad un uomo alto e biondo, con dei fili d’argento che gli attraversavano la chioma. «Capo non potevamo immaginare…» «Fai silenzio Giulio! Non voglio sentire altro uscire dalla tua bocca! Hai fallito miseramente! E tu Marcello» disse rivolgendosi all’altro uomo presente «mi aspettavo di più da te». Marcello abbassò il capo e non rispose, capendo che era meglio così. L’uomo biondo uscì da dietro la scrivania e andò a versarsi un bicchiere di liquore, che bevve tutto d’un fiato. Si pulì la bocca con il dorso della mano e poi tornò a rivolgersi agli altri due «Non ho tempo per istruire e affidare il compito ad altri anche se mi liberei volentieri di voi due imbecilli. Solo che ora che il diario di Soraya è andato perduto per sempre dobbiamo escogitare un altro modo per far uscire allo scoperto gli altri custodi». Giulio alzò timidamente una mano «Capo? Io avrei un’idea…» «Fa che sia ottima. Hai già superato il mio limite di pazienza». «Ecco… io credo che…» Giulio espose il suo pensiero, mentre l’uomo biondo si era riaccomodato dietro la sua scrivania e lo ascoltava tamburellando le dita le une con le altre. Quando ebbe finito, si sentì aprire una porta in lontananza e il capo si allarmò «Bene Giulio, la tua testa stavolta ha partorito un buon piano. Fai in modo di non deludermi. Questa è sul serio la tua ultima possibilità. Ora andate, non ho più tempo per parlare». Detto questo, si alzò e uscì dalla porta in direzione della persona appena rientrata a casa.
Riunione d'emergenza
«Ora che siamo tutti presenti possiamo cominciare. Daniel spiegaci perché ci hai voluto riunire così in fretta. E’ successo qualcosa?» Chiese Perla preoccupata. Daniel si alzò in piedi e si accinse a raccontare «Vi devo comunicare che purtroppo l’ultimo parte del diario di Soraya è andata perduta». Un brusio generale pervase il salotto porpora dove si tenevano sempre le riunioni dei custodi della luce. «Fate silenzio e lasciatelo parlare» intimò Perla «Prego Daniel continua». «Ieri, nel tardo pomeriggio, ci siamo recati alla tomba di famiglia di Crystal, dove era custodito il volume. Quando siamo usciti dal cimitero, due uomini ci stavano aspettando e ci hanno aggredito». Angelica si portò istintivamente una mano alla bocca e interruppe il resoconto «Non vi hanno fatto del male vero?» «Tranquilla Angy, per fortuna stiamo bene» risposi alla mia migliore amica «Ma lasciamo che Daniel finisca di raccontarvi cos’è accaduto». Il mio fidanzato riprese parola «Quegli uomini volevano impossessarsi del diario, uno di loro aveva una pistola. Per evitare di consegnarglielo lo abbiamo bruciato». «E come avete fatto a fuggire? E soprattutto come facevano a sapere dove vi trovavate?» domandò Andrea, anche lui visibilmente preoccupato. «Devono averci seguito» risposi io. «Probabilmente stavano osservando le mie mosse ed io stupidamente ho abbassato la guardia. Daniel è riuscito ad atterrarne uno e a togliergli di mano la pistola. L’altro è inciampato ed è caduto a terra nel tentativo di aiutare il compagno. Questo ci ha dato modo di fuggire». Perla intervenne «Abbiamo abbassato tutti la guardia ed è stato un grosso errore. Mi chiedo cos’altro s’inventeranno. L’equinozio è vicino e credo che, per la tua incolumità, sia meglio che tu ti trasferisca da Daniel, almeno fino al 20 marzo. Non ci sono mai stati attacchi lì, per cui credo tu sia più al sicuro».
«E se mi avessero seguito anche a casa sua? » «E’ possibile, ma comunque preferisco che tu stia sempre al suo fianco, in modo che possa proteggerti meglio. Inoltre, sia tu che Angelica, sospenderete le lezioni all’università fino alla stessa data, per essere certi che non usino lei per arrivare a te». «Nonna, per me potrebbe anche andar bene, ma non credo che mio padre sarà molto d’accordo». «Verrò io con te a spiegargli la situazione domani stesso, quando eremo a casa tua a prendere ciò che ti serve. Per quanto riguarda stasera, vi fermerete a dormire qui. Meglio evitare troppi spostamenti». Angelica alzò timidamente la mano «Scusate, io sono venuta in auto con loro». «Dormirai qui anche tu, ci sono abbastanza stanze per tutti».
A riunione terminata, io, Daniel, Angelica e la nonna salimmo al piano superiore, dove Amelia ci mostrò le stanze che aveva preparato per noi. Quando la nonna si ritirò, ci ritrovammo tutti nella vecchia camera di mia madre che era stata assegnata a me. «Ti dispiace aver perso il diario?» Mi chiese Angy. «Un po’ sì, ma ammetto che preferisco avere ancora la mia pellaccia addosso». «Scusa se te lo chiedo in questo momento, ma se hai trovato la parte mancante del diario, vuol dire che prima sei entrata in possesso della tua chiave giusto?» Annuii ad Angelica e lei continuò «Quindi hai trovato il mio enigma?» «Sì, l’ho trovato. Scusami tu, con quello che è successo, non ci ho più pensato, l’ho conservato nel mio portafoglio, te lo prendo subito». Trovai il foglio accuratamente ripiegato e lo porsi ad Angelica. «Come sorelle ci muoviamo,come gemelle pensiamo,con lo stesso cuore
creiamo. Che cosa pensi voglia dire?» «Sinceramente non ne ho idea». «Potrebbe riferirsi al rapporto che avevano le nostre madri? Da quello che abbiamo appreso e dai racconti dei nostri padri erano unite come se fossero sorelle». «Può essere, ma comunque non ci indica nessun luogo». «A meno che non avessero un posto speciale. Tu sai se avevamo qualche hobby? L’indizio dice con lo stesso cuore creiamo. Magari pitturavano o scolpivano o che so io». «Non lo so davvero Angy. Sono ancora molto provata e vorrei cercare di dormire. Ti dispiace se ne riparliamo domani?» «Certo che no. Lo capisco. Buonanotte ragazzi». Daniel si avvicinò a darmi un bacio leggero sulla fronte «Buonanotte piccola, cerca di riposare». Fece per andarsene ma io lo trattenni per un polso «Non lasciarmi sola ti prego». «Se tua nonna si sveglia, non credo sarebbe felice di trovarmi qui». «Non ti preoccupare di questo. Non si scandalizzerà, non credo che pensi che stando in casa tua io dorma sul divano». «Probabilmente hai ragione, è più facile che sia Amelia a restarne scioccata». Mi sorrise e andammo a coricarci. Io non riuscivo a riposare, ogni qual volta mi addormentavo, le immagini della sera prima mi assalivano e mi svegliavo di soprassalto. Verso le tre del mattino rinunciai e cercai di distrarmi pensando all’enigma di Angelica. Forse non aveva tutti i torti, le nostre madri si muovevano come sorelle, facevano tutto insieme.
Improvvisamente una lampadina si accese nella mia mente. Il quadro! Anche Angelica aveva un collage in camera simile al mio, forse avevano utilizzato lo stesso nascondiglio. Felice di aver avuto un’intuizione, sprofondai finalmente in un sonno senza incubi.
Scomparso
Mi svegliai sentendo bussare forte alla porta della camera. Aprii lentamente gli occhi e mi stiracchiai. Girai istintivamente la testa alla mia sinistra e mi accorsi che al posto di Daniel c’erano solo delle lenzuola spiegazzate. «Avanti» dissi imbronciata. «Dormigliona pensi di alzarti?» Angelica fece il suo ingresso e venne a sedersi sul letto. «Devo proprio?» Risposi nascondendomi sotto le coperte. «Che domande! Certo che devi!» Asserì la mia amica prendendomi a cuscinate. «Va bene, va bene. Mi arrendo!» «Ottimo! Vai a prepararti. Ti aspetto di sotto che dobbiamo lavorare al mio enigma! Non sto più nella pelle!» «A proposito di questo, stanotte non riuscivo a prendere sonno così mi sono messa a riflettere sulle parole dell’indizio e forse… E ripeto FORSE ho avuto un’idea». «Sul serio? Sono tutta orecchie!» Urlò entusiasta Angelica mentre spalancava gli occhi in trepida attesa. «Bada che è solo un mio pensiero e potrei sbagliarmi, quindi non t’illudere troppo ok?» «Sì, sì, ho capito, ma smettila di tenermi sulle spine». «Dunque, la frase recita Con lo stesso cuore creiamo, la mia chiave era nascosta nel quadro a forma di cuore che si trova sopra il mio letto». «Com’è possibile?» «Il collage serviva solo a mascherarla. Hai presente com’è fatto? Tante pietre incollate vicinissime, tanto da nasconderne le vere forme. Sempre davanti agli occhi, ma mai veramente sotto di essi».
«Tua madre era un genio… Ha capito perfettamente che tutti guardiamo, ma raramente osserviamo ma questo cos’ha a che fare con me?» «Non ti viene in mente nulla? Cos’hai anche tu di simile in camera?» «Sicuramente nessun quadro a collage». «No certo, ma il coperchio del tuo baule dubito che sia stato fabbricato in quel modo…» «Oh cielo! E’ vero, è comunque un collage! Credi che l’abbiano fatto le nostre madri?» «Non lo so, forse loro, forse tu e Celeste. Eravamo troppo piccole per potercene ricordare». «Chiunque sia stato non ha importanza, ora più che mai ho intenzione di metterti fretta per prepararti! Dobbiamo andare a controllare!» Detto questo, Angelica saltò giù dal letto e uscì dalla stanza facendomi segno con le mani che mi concedeva dieci minuti al massimo per essere pronta.
Un’ora dopo ci stavamo mettendo in cammino verso casa mia in compagnia della nonna, come deciso il giorno prima alla riunione. Angelica non stava ferma un secondo sul sedile posteriore dell’auto di Daniel. Durante la colazione, la nonna ci aveva ricordato che prima di tutto saremmo dovuti andare a parlare con mio padre. Era necessario informarlo al più presto che mi sarei trasferita a casa del mio fidanzato almeno fino al 20 marzo, per ragioni di sicurezza; per cui, la ricerca della chiave di famiglia di Angy avrebbe dovuto subire un ritardo sulla tabella di marcia. Arrivati a casa mia, strinsi forte la mano di Daniel, sapendo che mio padre non avrebbe reagito bene alla notizia. Un po’ per l’idea del trasferimento seppur breve (accettava che dormissi spesso fuori di casa, ma sempre sapendo che sarei rientrata il giorno successivo), un po’ perché prevedevo l’ondata di terrore che l’avrebbe pervaso quando avrebbe
saputo dell’ennesimo attacco. Cercava in tutti i modi di fingere che tutto andasse bene, ma quest’ulteriore notizia l’avrebbe devastato poiché era consapevole di essere impotente di fronte a questa realtà parallela che vivevo. Respirai a fondo, girai la chiave nella toppa ed entrammo «Papà sei in casa?» Mio padre si affacciò dal salotto «Sì tesoro, oggi sono di riposo. Perla che bella sorpresa, a cosa devo l’onore?» Chiese mio padre in tono cortese ma circospetto. Una visita improvvisa della nonna dopo che avevo ato la notte alla villa, lo fece sicuramente insospettire. «Mio caro genero, colgo una punta d’ironia nella tua voce. So cosa ti sta ando per la mente e purtroppo devo confermarti che non si tratta di una visita di cortesia». «Lo sospettavo. Andiamo in salotto. Immagino che avrò bisogno di sedermi perché non sarà una conversazione piacevole». Mia nonna e Daniel lo seguirono dentro la stanza, mentre io e Angelica andammo a preparare la mia valigia. Mi sentivo troppo in colpa nei confronti di mio padre per assistere alla reazione che avrebbe avuto quando lo avessero messo al corrente degli ultimi sviluppi. Preparammo il bagaglio in completo silenzio, poi tornammo al piano inferiore e lo posai vicino all’uscio. Dopodiché ci dirigemmo timidamente in salotto. Mio padre batté un pugno sul tavolino di fronte a lui «No che non sono d’accordo. E no, non voglio capire! Ne ho piene le tasche di questa storia! Ho combattuto per tutta la vita per proteggere mia figlia! E ora venite qua a pretendere che io la lasci andare per la sua sicurezza! Non sono un inetto, anche se voi mi credete tale! Sono in grado di proteggerla!» Mio padre stava gridando come mai l’avevo sentito fare da che avevo memoria. Perla rispose con tutta la calma e la grazia che la contraddistinguevano «Matteo ti prego, non equivocare le mie parole. Non ho mai detto che tu non saresti in grado di proteggerla e nessuno te la vuole portare via. Si tratta solo di una
questione di locazione. Sanno dove abita e ha già subito un attacco proprio qui in casa sua. Pensiamo solo che a casa di Daniel sarebbe più al sicuro poiché crediamo fortemente che essi pensino a Daniel semplicemente come al suo fidanzato, non sanno che anche lui è un custode». «A maggior ragione non credo che cambierebbe molto per la sua sicurezza. Potrebbero attaccarla comunque». «Vero ma Daniel starebbe 24 ore su 24 al suo fianco ed è stato addestrato fin da bambino a difendersi e a difendere il segreto». «Posso essere d’accordo su questo punto, allora proverò a venirvi incontro ma alle mie condizioni». «Avanti esponicele» rispose nonna Perla. Più la conoscevo e più ammiravo il suo autocontrollo. Al posto suo io non sarei riuscita a mantenere la calma in quella maniera in una discussione. «Accetto che Daniel stia, come dire perennemente incollato a mia figlia, ma pretendo che sia lui a trasferirsi in casa mia e non il contrario. Converrai anche tu che due paia d’occhi sono meglio di uno». Mia nonna sospirò sconfitta, ma allo stesso tempo felice di aver concluso un accordo «Bene, così sia». Pochi minuti dopo Perla era pronta a congedarsi e noi ci infilammo i cappotti per riaccompagnarla alla sua dimora.
«Direzione casa mia!» Esclamò Angelica alzando le braccia al cielo in segno di vittoria dopo aver salutato nonna Perla. «Ovviamente» rispose Daniel divertito mentre risalivamo in auto verso la nostra nuova destinazione. «Risolviamo il tuo enigma e poi io e Crystal andremo a preparare il mio bagaglio». Angelica sollevò le spalle «Dopo fate quel che credete, ora non resisto più al
pensiero di essere così vicina alla soluzione». «Forse Angy, forse» le rammentai io. Arrivammo velocemente all’indirizzo prestabilito e Angelica letteralmente si fiondò in camera sua. Io e Daniel ridacchiammo sotto i baffi guardandoci e la seguimmo con calma. La trovammo già inginocchiata davanti al baule di legno tinteggiato di bianco che si trovava ai piedi del suo letto, intenta a osservarne il coperchio con attenzione. «Mmm… Ho la netta impressione che non sarà facile come credevo». Le andammo vicino e le dissi «Nessuno ha detto che sarebbe stato semplice, altrimenti non risulterebbe un nascondiglio sicuro, non credi? E ricorda che potrei essermi sbagliata, la mia è solo una deduzione». «Hai ragione ma io non demordo e ho fiducia nelle tue capacità intellettive» mentre parlava, si alzò le maniche della maglia fino ai gomiti con espressione concentrata. «D’accordo, mettiamoci al lavoro senza ulteriori indugi, in tre caveremo un ragno dal buco». Osservammo attentamente l’oggetto in questione, finché qualcosa attirò la mia attenzione «Angy cos’è questo?» Angelica diresse lo sguardo verso il punto che le stavo indicando e spalancò gli occhi all’improvviso «Oh no…» disse sconsolata notando anche lei lo spazio vuoto tra altre pietre. «Pensate quello che penso io?» «Ho paura di sì» confermò Daniel domandandole subito dopo. «Angelica pensaci bene, potresti aver estratto una pietra o magari potrebbe essersi scollata nel tempo?» «Non che io ricordi». «Ragazzi non facciamoci prendere dal panico, magari la mia era una deduzione
errata e la chiave non si è mai trovata sul coperchio» intervenni senza troppa convinzione. «Mi auguro che tu abbia ragione Crys, o questa volta siamo veramente in guai seri» rispose Daniel dando voce al timore di tutti.
Salutammo Angelica e andammo all’appartamento di Daniel a preparare la valigia per il suo temporaneo trasferimento. Mentre lui lanciava jeans, t-shirt, maglioni e camice sul letto io mi tenevo impegnata piegandole e sistemandole ordinatamente. «A cosa pensi?» Chiesi timidamente interrompendo il flusso dei suoi pensieri. «Qualcosa mi sfugge Crystal e non capisco cosa». «In che senso?» «Nel senso che ho la sensazione che tu avessi ragione e che il medaglione si trovasse esattamente dove l’abbiamo cercato». «Se così fosse, che fine avrà fatto? Pensi che qualcuno l’abbia trovato e se ne sia impossessato? O credi che si sia sfortunatamente staccato e Angelica lo abbia perso?» «Vorrei poterti rispondere». Terminammo il bagaglio in silenzio e ci spegnemmo le luci alle spalle, uscendo da casa di Daniel.
Dopo una cena gustosa in compagnia di mio padre e Alena in cui tutti parlammo ben poco, io e Daniel ci ritirammo in camera e ci coricammo presto dopo aver visto un film in televisione. Nessuno di noi aveva voglia di discutere, persi com’eravamo a cercare mentalmente una soluzione al dilemma.
Come mai mi trovo da Angelica nel cuore della notte? Lei dorme beatamente rannicchiata in posizione fetale ed io sono appollaiata sul davanzale della finestra aperta. E’ estate e c’è afa, ma un ventilatore rinfresca leggermente la stanza. La porta si schiude silenziosamente ed entra un uomo con o felpato. Il suo viso è sfocato e non riesco a scorgerne i tratti. Si guarda intorno ma non mi vede, è come se io fossi un fantasma. Si avvicina al baule e lo osserva. Poi, con un piccolo scalpello inizia a sollevare una pietra finché non la stacca del tutto. Il chiarore della luna mi mostra il medaglione di pietra di luce a forma di ventaglio che luccica sul palmo della sua mano. Lo stringe nel pugno e, silenziosamente com’è apparso, se ne va.
Mi alzai a sedere di scatto e scossi agitatamente Daniel per svegliarlo. Lui aprì a malapena le palpebre «Cos’è successo piccola…» mi chiese, ripiombando immediatamente nel sonno. «Daniel!» Lo richiamai. Lui riaprì gli occhi svogliatamente e si alzò a sedere con fatica «Ok sono sveglio, ti ascolto» disse sbadigliando. «Siamo nei guai…» Dopo la mia frase si svegliò sul serio e affermò «Ho paura di ciò che stai per dire». «E fai bene! Ho sognato la chiave di Angy. Un uomo si è introdotto nella sua camera mentre lei dormiva e l’ha rubato dal coperchio del baule». «Lo hai riconosciuto? Era uno dei brutti ceffi che ci hanno aggredito fuori dal cimitero?» «Purtroppo non ti so rispondere. Nel mio sogno il suo viso era sfocato». «Allora abbiamo un problema di enormi dimensioni».
Guai seri
«Non ricordo di aver mai partecipato a tante riunioni in tempi così ravvicinati» disse preoccupato Ludovico. «Penso di parlare a nome di tutti i presenti se ammetto di aver timore di sapere cosa dovete comunicarci di nuovo» commentò Annalisa. Daniel si ò una mano tra i capelli e si decise a riferire la terribile novità «Sembra che ultimamente si stiano susseguendo solamente episodi negativi, non ultimo ho il dovere di informarvi che abbiamo risolto l’enigma che ci ha condotto al luogo dove Celeste ha nascosto la chiave di famiglia». «A parer mio è una splendida notizia» dichiarò Jasmine. «Lo sarebbe se non fosse scomparsa». «Che cosa significa scomparsa?» Ludovico esortò Daniel a dare spiegazioni, ma io mi sentii in dovere di intervenire. «Credo che sia corretto che sia io a spiegarvi. Ieri ci siamo recati al nascondiglio» feci una pausa scegliendo con cura le parole da utilizzare sapendo di non poter rivelare del baule. «Continua» mi esortò Ludovico. «Abbiamo notato che lo spazio dedicato al medaglione era vuoto, ma non ne avevamo ancora la certezza, poiché l’ubicazione della chiave era solo una mia supposizione ricavata dall’enigma». «Fin qui abbiamo capito. E cosa ci dà la certezza della sua scomparsa se non siete neanche sicuri di esservi recati nel posto giusto?» «Uno dei miei sogni. Come credo sappiate, ho ereditato questo dono da mia madre e dalla bisnonna Isabella». «Perla ce l’ha accennato» affermò Annalisa «Ma cos’hai sognato esattamente? Scusa se insistiamo, ma non sappiamo bene come funzionino questi tuoi sogni e un minimo di scetticismo ce lo devi concedere». «Assolutamente. Comprendo che sia difficile aver fiducia in qualcosa che non si conosce, ma vi chiedo comunque di accordarmela, come io ho fatto nei confronti
vostri e del segreto». «Diamole credito» dichiarò Andrea. «In fin dei conti finora le sono sempre stati d’aiuto. Si tratta solo di aver fede, nello stesso modo in cui la diamo alla causa. Nessuno di noi ha mai aperto l’ingresso alle grotte alchemiche o mi sbaglio? La leggenda si tramanda di genitore in figlio e noi non ci siamo mai posti domande sulla veridicità dei fatti». «Suppongo sia corretto» confermò Annalisa. «Continua pure Crystal, ti ascoltiamo». «Grazie. Dov’ero rimasta… Ah sì, durante la notte ho sognato che un uomo s’introduceva sul luogo e rubava la chiave che Celeste aveva nascosto». «Di chi si trattava?» Chiese Ludovico. «Purtroppo non so dirvi altro e mi dispiace». «Allora immagino che siamo in guai molto seri. Come intendiamo muoverci?» Fu Perla a rispondere «Non lo so caro amico, non sappiamo di chi si tratta, di conseguenza non abbiamo nessuna pista da seguire. La nostra unica speranza è riposta in un nuovo sogno di Crystal». «E se non arrivasse mai? Se non avesse altre visioni notturne?» Replicò Jasmine. «In tal caso, scusate il termine, saremmo davvero fregati. Per il momento propongo di portare le chiavi sempre con voi. Non conoscendo l’identità del ladro, non possiamo sapere se attaccherà ancora». «Perla è pericoloso, te ne rendi conto? E comunque le nostre chiavi sono al sicuro» affermò Jasmine. «Mia cara non possiamo esserne certi». «Come potrebbero mai scoprire dove si trovano?» «Nello stesso modo in cui hanno trovato il “ventaglio”». «Peccato che non sappiamo come hanno fatto».
«E’ proprio questo che mi preoccupa maggiormente. A quanto pare posseggono più risorse di quanto immaginassimo». La riunione si terminò con uno sconforto generale.
Il piano
Nel cunicolo nero era in corso un incontro. Mancavano appena quattro giorni all’equinozio di primavera. L’uomo con la tunica nera tamburellava nervosamente le dita sul bracciolo del suo trono quando iniziò a esporre ciò che lo impensieriva «Il tempo è agli sgoccioli, fra poco sarà il 20 marzo ed io non ho intenzione di attendere un altro anno. E’ tempo di agire». Giulio si alzò dallo sgabello e provò a chiedere «Ho il permesso di procedere con il mio piano?» «Era proprio a questo che mi riferivo. Procedi pure. E spera per te che funzioni, altrimenti sai a quale punizione andrai incontro». Un rivolo di sudore imperlò la fronte di Giulio che si affrettò a rispondere «Non ho dimenticato la fine di Flavio. Non ti deluderò stavolta. Puoi starne certo». «Me lo auguro. Ora esponi la tua idea agli altri e arruola quanti adepti credi ti serviranno». «Per la prima parte dell’operazione ho bisogno dell’aiuto di Marcello, Cosimo ed Enrico. Successivamente pensavo di avvalermi di Ignazio e Miriana». «Perfetto. Vieni avanti ed esponi i dettagli».
Il rapimento
«Matteo è di turno stanotte?» Mi domandò Daniel mentre guardavamo il dvd del mio film musical preferito. «Sì, mi sembrava di avertelo detto». «Può darsi, scusami se sono un po’ distratto ultimamente, ma l’equinozio si avvicina e le mie preoccupazioni per la tua incolumità aumentano». «Non ti scusare, lo capisco. Se devo essere sincera, nonostante capisca il pericolo, sto diventando matta a restare sempre chiusa in casa». «Non sarebbe necessario con me al tuo fianco, ma almeno riusciamo a tenere a bada tuo padre in questo modo. E’ terrorizzato lo sai. Fai uno sforzo, solo pochi giorni ancora». «Ci proverò». «Brava bambina» scherzò Daniel, poi mi diede un bacio sui capelli e si avviò a fare una doccia. Io mi rannicchiai sul divano e continuai la visione del film rassegnata. Pochi minuti dopo mi diressi in cucina assetata e tornai in salotto con in mano un bicchiere di aranciata. All’improvviso, un braccio mi afferrò per la vita e una mano mi chiuse la bocca. Provai a urlare ma il suono uscì soffocato. Mi dibattei, ma lo sconosciuto era molto più forte di me. Riuscii a mordergli un dito e finalmente gridai. Lasciò la presa e corsi verso le scale in cerca d’aiuto. L’uomo soffocò un’imprecazione e mi seguì, riuscendo ad atterrarmi quando raggiunsi il secondo gradino. Sbattei violentemente il naso che cominciò a sanguinarmi copiosamente. Sentendo il gran chiasso, Alena comparve in cima alle scale con indosso solo la camicia da notte e si lanciò verso il mio assalitore, ma un altro uomo comparve e
le sferrò un pugno che la fece svenire. La vidi accasciarsi sulle scale. «Alena! » Strillai con tutto il fiato che avevo in corpo. Mi girai e assestai un calcio nelle parti basse del mio assalitore, il quale si piegò in due dal dolore. Mi alzai velocemente e cercai di scappare ma l’altro malvivente m’inseguì e mi catturò «Daniel aiuto! » Mi sgolai ma sentivo l’acqua della doccia che scrosciava, per cui capii che non avrebbe mai potuto udirmi. Provai lo stesso a lottare, ma invano. Nel frattempo l’altro uomo si era ripreso e sbarrai gli occhi perché lo avevo riconosciuto. Era lo stesso che ci aveva aggredito con la pistola fuori dal cimitero. Mentre mi trascinavano verso la finestra della sala che avevamo dimenticato aperta e che sicuramente avevano utilizzato per introdursi in casa, feci un ultimo tentativo di richiesta d’aiuto. Non sentivo più l’acqua scorrere al piano di sopra e mi auguravo che Daniel venisse a soccorrermi. Il mio disperato appello sortì l’effetto desiderato e Daniel si materializzò dietro di noi. Anche lui riconobbe l’uomo e si avventò contro i due. Cominciò una lotta, ma lui era da solo e svantaggiato. Cercai di riporre tutta la mia fiducia nelle sue capacità, d’altronde era già riuscito una volta nell’intento di salvarci. Mentre volavano calci e pugni, lo sconosciuto che mi stringeva nella morsa delle sue braccia, riuscì a spingermi fuori dalla finestra, dove un terzo uomo massiccio aspettava e m’intercettò. Mi prese in braccio e m’introdusse all’interno di un furgone nero dai vetri oscurati. Riuscii solo a notare che un quarto si trovava al volante, prima che un pugno mi spedisse nell’oblio, mentre l’urlo straziato di Daniel mi giungeva alle orecchie.
In trappola
Mi risvegliai in una stanza angusta, sporca e fredda, illuminata da una debole luce proveniente da una lampadina appesa al soffitto. Attorno a me c’erano solo delle casse accatastate e marce da cui probabilmente proveniva il cattivo odore che mi pungeva le narici. Gli arti erano indolenziti dalle corde che mi legavano stretta alla sedia di metallo. Sulla bocca avevo un fazzoletto annodato dietro alla nuca. Entrò nella stanzetta un uomo incappucciato vestito di nero, seguito da due dei “mostri” che mi avevano rapito. «Guarda un po’ chi abbiamo il piacere di ospitare stasera nella nostra umile dimora» disse quello vestito di nero che dedussi fosse il capo. Mi agitai sulla sedia e tentai di parlare, ma il bavaglio me lo impediva «Calma signorina, non abbiamo intenzione di farti del male se collabori. Ora ti liberiamo la boccuccia se prometti di non urlare». Una risata malefica seguì le sue parole. Mi arresi e annuii. L’uomo nero fece cenno con la testa a uno dei suoi accompagnatori che sciolse il nodo stretto sulla mia nuca. «Bene, bene, ti vedo più collaborativa della tua povera mamma». Provai a distinguere il timbro della sua voce, ma il cappuccio lo distorceva. «Sei stato tu allora… sei un essere orribile… Tutti lo siete» dissi a denti stretti. «Che brutti termini hai scelto… Non direi che siamo orribili, solo determinati. Ci definirei persone che ottengono ciò che desiderano puntando all’obiettivo senza badare alla forma». «Siete senza scrupoli» ringhiai. «Forse ma non è con gli scrupoli che si arriva al risultato. Meglio che impari presto la lezione ragazzina».
«Non intendo imparare niente da te». «Come vuoi. Non che m’interessi d’altronde». «Perché sono qui. Cosa vuoi da me?» «Da te voglio ben poco, sei solo uno strumento a dire il vero». «Non capisco». «Certo che capisci. Il tuo fidanzatino era così disperato quando il mio uomo ha avuto la meglio ed è riuscito a scappare. Povero caro, ha provato in tutti i modi a salvarti». «Cosa gli avete fatto!» Urlai in preda all’angoscia. «Nulla di cui debba preoccuparti, ha solo un graffietto al braccio». «Lo avete accoltellato!» Iniziai a piangere al pensiero che avessero fatto del male a Daniel. «Sopravviverà. Non è lui che ci interessa anche se l’hai coinvolto nella tua ricerca. E poi ci serviva vivo, gli abbiamo lasciato un messaggio da recapitare alla tua nonnina. Immagino che gliel’avrai presentata». La conferma che Daniel si sarebbe ripreso e che non fossero a conoscenza del fatto che anche lui era un custode, mi rasserenò. «Che messaggio?» «Adesso vuoi sapere troppo ragazzina». Girò sui tacchi e se ne andò seguito dai suoi uomini. Prima che si chiudessero la porta alle spalle, sentii solo che ordinava loro «Fate la guardia a turno qua fuori come concordato e se ha bisogno di andare in bagno chiamate Miriana».
Salviamola
Daniel correva verso la dimora di Perla. Il piede spingeva sull’acceleratore e lui non si preoccupava della velocità. Un solo pensiero fisso Crystal. Aveva avvisato la donna del suo arrivo e aveva preteso la convocazione di tutti i custodi. Arrivò in un batter d’occhio e si precipitò al salotto porpora senza neanche degnare di un saluto la povera Amelia che lo aveva fatto entrare. Aprì infuriato la porta della stanza prestabilita e la sbatté con forza dietro di sé. «Daniel che succede? E dov’è Crystal?» Chiese Perla allarmata. Daniel guardava in basso, i pugni serrati. Quando alzò lo sguardo, aveva le guance rigate di lacrime. Una voce rabbiosa uscì dalla sua bocca «L’hanno presa». Chi? Quando? Come? E tu dov’eri? Dovevi proteggerla! Non è possibile! Non di nuovo! Le domande e le affermazioni provenivamo da ogni lato della stanza. Perla riportò la calma «Silenzio! Fatelo parlare! Non è aggredendolo che risolveremo la situazione. Forza Daniel, spiegaci». Il ragazzo prese a camminare su e giù per il perimetro della sala. «E’ colpa mia, è solo e soltanto colpa mia. Dovevo proteggerla».
«Cosa è colpa tua? Parla chiaro o non ci capiremo nulla» lo incalzò Andrea. Daniel andò a sedersi e narrò la vicenda «Ero solo andato a farmi la doccia. Dieci minuti. Dieci maledettissimi minuti! Quando ho finito, mi sono rivestito ed ho sentito urla provenire dal piano inferiore di casa di Crystal. Sono immediatamente corso a vedere cosa stava succedendo e…» la voce gli si spezzò. Cercò di calmarsi un momento e poi riprese «Quando sono arrivato alle scale, ho visto Alena, la governante, svenuta sui gradini. Li ho scesi di corsa e due uomini stavano portando via Crystal facendola are dalla finestra. Fuori c’era un altro uomo ad attendere e di fronte era parcheggiato un furgone nero. Mi sono avventato contro i due uomini, ma non sono riuscito a salvarla. Uno di loro ha estratto un coltello da una fodera nascosta sotto la giacca e mi ha colpito. E’ colpa mia, è solo colpa mia. Non dovevo lasciarla sola neanche un momento». Daniel si tolse il cappotto e solo allora gli altri videro una macchia scura che si apriva sulla leggera maglia beige a maniche lunghe. Jasmine gli andò vicino e gli strinse una mano «Nessuno qui ti accusa Dany. Ti sei allontanato solo per farti una doccia, non potevi prevederlo». «Avrei dovuto». Perla era visibilmente devastata dal dolore ma cercò lo stesso di mantenere un certo contegno. «Hai visto chi erano?» «Sì certo, i due che si sono introdotti in casa erano gli stessi che ci hanno aggredito fuori dal cimitero. Il terzo che si trovava fuori dalla finestra invece, non l’avevo mai visto. Comunque non è finita qui. Dopo avermi colpito, mi hanno lanciato una busta, ordinandomi di recapitarla a te». Prese l’oggetto rettangolare dalla tasca dei jeans e lo porse a Perla. L’anziana donna lo prese con mani tremanti ed estrasse il messaggio dal suo interno cominciando a leggerlo. Quando giunse alla fine, lo lasciò scivolare sul pavimento e rimase come in trance. Jasmine lo recuperò e lo lesse ad alta voce per tutti:
“Abbiamo la ragazza. Ora, se non vuoi che finisca come per Soraya e la sua malcapitata amica che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, fai in modo che la notte dell’equinozio di primavera, a mezzanotte precisa, tutti custodi si trovino al loro posto e facciano in modo di indicarci l’ingresso delle grotte alchemiche. Noi porteremo la ragazza nei giardini reali, lontano da occhi indiscreti. Per quanto ti riguarda, ti aspetteremo lì e porteremo con noi la ragazzina. Spero per la sua incolumità che tu sappia dove è nascosta la sua chiave o la vedrai morire davanti ai tuoi occhi. „
«Che cosa facciamo adesso?» Domandò Jasmine. «La salviamo è ovvio» affermò Daniel. «Capiamo tutti che sei di parte ma dobbiamo valutare bene come muoverci. Non possiamo mostrargli l’ingresso delle grotte alchemiche. Sarebbe un disastro a livello mondiale se la pietra filosofale cadesse nelle mani di personaggi così malvagi» asserì Ludovico. Daniel si alzò e gli ringhiò contro «Non me ne importa un bel niente! Che cosa proponi allora? Di farla uccidere? Perché l’alternativa è questa. Se non volete neanche provare a salvarla, allora siete dei mostri anche voi!» «Daniel calmati. Non è questo che intendeva Ludovico» provò a spiegare Annalisa prima di continuare «E’ ovvio che proveremo a salvarla ma dimentichi che abbiamo altri due problemi: il primo è che non sappiamo dove sia la chiave di Crystal a meno che lei non lo riveli ai suoi rapitori e riescano da soli a entrarne in possesso; il secondo è che la chiave di Angelica è scomparsa. A proposito dov’è Angelica?» Erano talmente agitati che nessuno aveva fatto caso alla sua assenza. Toccò a Perla riscuotersi e rispondere «Non l’ho avvisata. Daniel mi ha chiesto di convocare tutti tranne lei ed io non ho fatto domande. Ora ho capito il motivo della sua richiesta. Crystal è come una sorella per lei, sarebbe impazzita di dolore e ormai che la conosciamo sappiamo che avrebbe avuto una reazione isterica e non sarebbe stata d’aiuto. Provvederò a metterla al corrente al più presto in separata sede. Ora torniamo a noi. Come prevediamo di aggirare
l’ostacolo delle chiavi, salvare Crystal ed evitare che il clan delle tenebre entri nelle grotte alchemiche?» Daniel condivise la sua idea con i presenti «Propongo di farci trovare ai nostri posti all’orario prestabilito come richiesto, fingendo che sia tutto a posto. Io, Perla e Angelica ci faremo trovare ai giardini reali e speriamo di salvarla dalle loro grinfie prima che si accorgano dell’imbroglio». «Il tuo piano non farebbe una grinza se non fosse per Angelica. Pensi che non si accorgeranno che non è al suo posto? E immagino che quando li incontrerete vorranno vedere la chiave di Crystal» intervenne Andrea. «Ho pensato anche a questo. La chiave di Crystal la recupero io, l’ho aiutata nella ricerca come ben sapete e so dove si trova. Per ora non gli ha cambiato nascondiglio. Per quanto riguarda Angelica, non sanno che anche lei è una custode, per cui manderò mio padre Tommaso al posto suo con una finta pietra. Sono sicuro che sarà disposto ad aiutarci e speriamo che non si accorgano dell’inganno». «Va bene Daniel, salvo che qualcuno non abbia altro da proporre, faremo come dici tu. Un tentativo è d’obbligo e speriamo vada tutto per il verso giusto» affermò Perla. «Un momento» questa volta fu Jasmine a parlare. «Stavo rileggendo il messaggio. Scrivono che si faranno trovare ai giardini reali ma come fanno a sapere che l’ingresso è lì?» Fu Perla a rispondere «Credo sia un caso. Immagino che abbiamo cercato un punto buio con poco aggio vicino al palazzo reale che sanno bene essere il punto più positivo della città». «Speriamo tu abbia ragione» replicò Jasmine. Dopodiché terminò la riunione.
Il aggio segreto
La notte dell’equinozio di primavera arrivò e tutti si diressero ai propri posti come concordato. Mentre Jasmine, Andrea, Annalisa, Ludovico e Tommaso, che si era reso disponibile per la missione di salvataggio, si recavano alle residenze sabaude; Daniel, Perla e Angelica si diressero ai giardini reali. Arrivarono puntuali e attesero. Pochi minuti dopo udirono un fischio poco distante. Un uomo con il viso coperto da un amontagna uscì allo scoperto dal suo nascondiglio dietro un albero, spingendo in avanti una ragazza imbavagliata, con gli occhi coperti da una bandana e i polsi stretti in una corda. «Crystal» chiamò Daniel. I tre si avvicinarono velocemente ma furono fermati dall’uomo che portò una pistola alla tempia della ragazza «Non un o di più se non volete che prema il grilletto. E che sorpresa! Il fidanzatino è un custode». Da quella distanza si notava il livido nero che si apriva sulla guancia di Crystal e Daniel strinse i denti cercando di non lanciarsi contro il rapitore. «Siamo qui come richiesto. Ora lasciala andare» gli intimò Perla. «Non così in fretta. Mi credete così sprovveduto? Ovviamente non sono qui da solo, dietro gli alberi circostanti ci sono i miei uomini pronti a intervenire se proverete a fare qualche sciocchezza. Ora, immagino che sarete in grado di mostrarmi la chiave che appartiene alla ragazza». Daniel rimase immobile e Perla gli sussurrò «Mostragliela te ne prego». Il ragazzo sfilò dalla tasca della giacca il medaglione a mezzaluna di Crystal e lo fece vedere all’uomo. Poi lo rimise al suo posto. Nel frattempo Angelica era sovrappensiero e Perla se ne accorse «Cos’hai?» «Nulla». «Dimmi la verità».
«E’ solo che mi sembra di conoscere quella voce, ma è impossibile». «A chi credi appartenga?» L’uomo seguì il discorso e le interruppe «Basta parlare tra di voi! Allontanatevi l’una dall’altra. Immediatamente!» Fecero come richiesto e Daniel provò a parlare con il rapitore «Ti ho mostrato la chiave. Lasciala andare adesso». «La lascerò andare solo quando ci sarà indicato il aggio». «E come credi di aprirlo se la tieni in ostaggio? Solo lei può usare la sua chiave» Daniel fece l’ennesimo disperato tentativo. «Non è un problema tuo ragazzo. Conoscerai la risposta a tempo debito. Tra l’altro credo che sia quasi ora». Daniel iniziò ad agitarsi, i suoi tentativi erano stati vani. Tra poco si sarebbe accorto dell’inganno e Crystal era ancora sua prigioniera. L’uomo se ne accorse ed esplose in una risata «Voi buoni siete talmente prevedibili. Andrà tutto secondo i miei piani, quindi non agitarti ragazzo. So per certo che avrete mandato tutti i custodi alle residenze sabaude. Ops, forse speravate che avrei liberato la ragazzina prima di essere entrato in possesso della pietra filosofale? Sbagliato! Saranno i miei uomini ad andarla a prendere e consegnarmela. Dopodiché la ragazzina sarà tutta vostra». «E se i custodi non fossero al loro posto?» Lo sfidò Daniel. Un’altra risata risalì la gola dell’uomo «Non fare il furbo con me. Dubito che il fidanzatino, la cara nonnina e l’amichetta rischierebbero la vita della ragazzina». Ormai Daniel non sapeva più a cosa appigliarsi per fare in modo che Crystal fosse consegnata a lui e decise di rischiare il tutto per tutto aggredendo l’uomo. Mentre formulava questo pensiero, una luce abbagliante esplose nel cielo e un raggio illuminò la fontana dei tritoni. I tre custodi erano allibiti, non era possibile! Tommaso aveva con sé una falsa
pietra di luce. Non ci fu il tempo di porsi ulteriori domande «Ottimo lavoro. Andiamo. Prima voi ovviamente». Daniel, Perla e Angelica si avviarono impotenti verso la fontana, seguiti dall’uomo che mi sospingeva in avanti. Quando giunsero alla fontana, il rapitore fischiò e altri quattro uomini uscirono da dietro agli alberi e li raggiunsero. «Tu! Vieni qua e slegala» ordinò a uno dei suoi. Quando fui libera, mi lanciai tra le braccia del mio amato. «Basta smancerie! Le chiavi!» «Piccola un ultimo sforzo e sarai libera» disse Daniel mentre mi porgeva il medaglione a forma di mezzaluna e tirava fuori dall’altra tasca il suo a forma di luna piena. «Non possiamo farlo» risposi. «Sì invece, la tua vita è troppo preziosa». «Sbrigatevi!» Ordinò l’uomo puntando nuovamente la pistola verso di loro. Io e Daniel incastrammo i nostri medaglioni. La fontana smise di erogare acqua e con un forte rumore, si aprì un aggio al suo interno in cui si riversò l’acqua presente. «Meraviglioso!» Esclamò l’uomo, distraendosi un momento per ordinare ai suoi uomini di scendere le scale appena apparse. Gli uomini cominciarono a scendere e in quel momento, Angelica che si trovava in una posizione favorevole, si lanciò contro l’uomo. Lui perse la pistola e Daniel intervenì bloccandolo a terra col suo peso. Accorsi in suo aiuto lasciando cadere a terra i medaglioni e riuscii a togliergli il
amontagna. Volevo vedere in faccia quell’essere che mi aveva rapito e tenuta prigioniera. Ciò che vidi mi sbalordì. Mai mi sarei aspettata di trovarmi di fronte una persona a cui volevo bene. «Tu!» Urlò Perla disgustata puntandogli un dito contro. «Papà?» Sussurrò Angelica sbiancando in viso prima di crollare a sedere. «Non è possibile, è solo un brutto incubo. Adesso mi sveglierò e sarà tutto ato» cantilenava la mia amica in preda allo shock, mentre si teneva le braccia strette al petto e dondolava avanti e indietro con lo sguardo perso nel vuoto. «Giacomo come hai potuto? Tu hai ucciso mia madre e tua moglie! Sei un demonio! E guarda in che stato è tua figlia!» Gli urlai contro. «Io non le ho uccise, hanno fatto tutto da sole. Non so dove abbiamo trovato il pezzo di vetro tagliente che usarono. E il rapimento doveva riguardare solo Soraya, i miei uomini hanno commesso un errore con Celeste, ma ormai era troppo tardi per liberarla». «Sei stato tu a rubare il medaglione di Celeste non è vero? Come l’hai trovato?» Chiese Daniel. «A questo so rispondere io» intervenne Angelica, che, nel frattempo, grazie a non so quale forza d’animo, era tornata in sé «Nella lettera che Crystal ha trovato, mia madre mi ha confessato di aver rivelato il segreto a mio padre, compreso il nascondiglio della chiave ma di questo era all’oscuro anche Soraya. Deve aver mandato un suo uomo alla mia residenza con il vero medaglione di pietra di luce. Ancora non mi capacito come hai potuto papà, come!» Angelica scoppiò in un pianto straziante. Io corsi a cercare di consolarla, nel frattempo Giacomo riuscì a spingere via Daniel e si rimpossessò della pistola. Non perse altro tempo e la puntò di nuovo verso di me poi, si rivolse ad Angelica «Mi dispiace Angy, per tutto, ma cerca di capirmi. Ho una missione. Ancora poco e saremo i padroni del mondo. Lascia stare questi inetti e vieni dal tuo papà. Lo sai che ti voglio bene e non ti farei mai del male. Sarai la principessa dell’universo». Angelica alzò gli occhi verso di lui con un’espressione infuriata e delusa allo
stesso tempo «Mai! Tu sei un mostro! Tu non sei mio padre!» Si alzò all’improvviso e gli si scagliò contro con tutta la forza che aveva in corpo. Nel caos generale, mia nonna ne approfittò per recuperare i medaglioni e separarli. Il aggio si richiuse, intrappolando gli uomini di Giacomo al suo interno. Le grotte alchemiche sarebbero state la loro tomba. Un istante dopo si sentì uno sparo. Rimanemmo tutti immobili, Angelica addosso a suo padre. Scese il silenzio e sembrò che il tempo scorresse a rallentatore, mi sembrava di essere in un film, ma purtroppo era la cruda realtà. Pregai con tutte le mie forze che Angelica non fosse rimasta ferita o peggio. Dai due corpi provenì un lamento. Ci avvicinammo tutti e tre incuranti di qualsiasi pericolo. Girai Angelica sulla schiena e mi accorsi della macchia che si apriva sul suo petto «No, no! Angy rispondimi! Ti prego resta con me…» «Cryssi….» disse la mia amica con voce appena udibile. «Oh Angy, sei viva! Resisti chiamiamo subito un’ambulanza! E’ tutto finito finalmente! Sei un’eroina come hai sempre desiderato». Giacomo rimase per terra senza più alcuna reazione. Aveva quasi ucciso sua figlia, l’unica persona al mondo che avesse mai amato, a causa della sua sete di potere.
Epilogo
«Ciao piccola». Daniel mi riscosse dai miei pensieri. Mi diede un bacio e si andò a sistemare sull’altra poltrona di vimini. «Eri sovrappensiero?» «Pensavo a tutto quello che è successo da novembre in poi, a come la scoperta di essere una custode mi ha completamente cambiato». «Non è stato facile lo capisco, ma finalmente è finita. Giacomo è stato incarcerato con l’accusa di rapimento e tentato omicidio della figlia, mentre Angelica è uscita dall’ospedale e sua zia si sta prendendo cura di lei». «Fisicamente si riprenderà ma non so se riuscirà mai a superare lo shock della scoperta che suo padre era a capo del clan delle tenebre». «In questo la aiuteremo noi, ma hai ragione, ci vorrà molto tempo». «Assolutamente, faremo tutto il possibile. Meno male che c’è anche Samuele al suo fianco. Non la lascia un secondo». «E’ positivo, l’amore può curare qualsiasi ferita». Annuii, Daniel aveva ragione. Era la forza che ci rendeva invincibili e che aveva il potere di trasformare l'impossibile in possibile. All’improvviso ricordai da dove arrivava «Scusa non ti ho chiesto com’è andata alla riunione. Gli hai spiegato che non me la sentivo ancora di partecipare?» «Tranquilla, hanno capito e sperano di vederti la prossima volta». «E per quanto riguarda te? Hanno deciso se espellerti oppure no? Sai che se così fosse sono pronta a rinunciare al posto tuo. Non mi perdonerei mai se ti mandassero via a causa mia». Daniel attese un attimo prima di rispondere, poi proclamò entusiasta «Hanno deciso che posso rimanere!»
Gli saltai al collo e lo baciai «Sono così felice! Te lo meriti! Quindi non hanno più sollevato la questione della divisione delle chiavi?» «Sì, ma sono stati tutti concordi che ci porremo il problema quando sarà ora di are il testimone. A tal proposito. Vuoi trasferirti definitivamente a casa mia?» «E’ una proposta di convivenza?» «Qualcosa del genere» «Qualcosa del genere? C’è qualcosa che mi sfugge forse?» «Diciamo che, volendo, potrei proporti il vestito bianco». «Dici sul serio o stasera sei in vena di scherzi?» «Sono serissimo! Stiamo insieme da pochi mesi certo, ma con tutto quello che abbiamo ato, non m’interessa di bruciare le tappe. Voglio vivere al massimo ogni momento. Quindi cosa mi rispondi?» «Sì Daniel, sì! La mia risposta non potrebbe essere diversa».
̴ Fine ̴
note
[1] Ringraziamenti
Un grazie speciale a mio marito Simone che mi ha sostenuto in quest'avventura e per la consulenza automobilistica.
Alla mia amica Sofia che è stata la mia prima fan e si è apionata fin da subito alla storia d'amore tra Crystal e Daniel.
Ai miei genitori Tiziana e Raffaele che mi hanno trasmesso fin da piccola l'amore per i libri.
A mia suocera Laura per la curiosità dimostrata per la lettura di questo romanzo.
Alle mie amiche Alessandra,Ilaria e Monica che credono in me.