L'ombra Della Sera 1r1p6s

Marco Azzolini

L'Ombra della Sera

….Che cosa so del destino dell’uomo?

Potrei dirvi di più a proposito dei ravanelli…

(Samuel Beckett)

Prologo

L’ambientazione di questo romanzo è la stessa del precedente, come del resto anche qualcuno dei personaggi. Siamo nel 2052 in uno degli stati dell’Unione Mediterranea, la nuova realtà socio-politica che ha raccolto i paesi nordafricani e dell’Europa meridionale dopo la dissoluzione dell’Europa Unita. I dissapori fra paesi imputabili a mai sopiti spiriti nazionalisti e xenofobi furono alla base dei contrasti che portarono alla fine del sogno europeo.

Contemporaneamente i paesi dell’area nordafricana ritrovarono, con i moti iniziati nel 2011, indipendenza dalla tirannia dei vari dittatori locali e si riappropriarono delle ricchezze naturali che vennero gestite in un ottica di sviluppo economico solidale. Di conseguenza e con rapidità questo permise l’aumento del livello di ricchezza e del tenore di vita della popolazione. Come diretta conseguenza lo sviluppo fu repentino e vivace anche nella gestione dell’imponente patrimonio artistico di quei paesi, arrivando a livelli ottimali paragonabili a quelli dei paesi che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo. Nacque così l’Unione Mediterranea, come unione fra paesi sovrani se pur uniti senza manifestazioni di intemperanze per differenze razziali e religiose. L’Islam assunse per i più la caratteristica di religione tollerante e non totalitaria incontrandosi con le altre dottrine e rifuggendo qualsiasi tentazione egemonica. Il problema dell’eterno conflitto fra Israele e Palestina si risolse facilmente, in questa nuova realtà, con la divisione in due stati collaborativi e di pari dignità. Nel pieno della dissoluzione dell’Europa Unita arrivò anche la secessione della Padania dal resto d ‘Italia voluta dall’allora partito predominante nel nord.

A causa del progressivo indebolimento della locomotiva trainante l’economia dell’Europa continentale, la Germania e del progressivo trasferimento nei paesi mediterranei della maggior parte delle attività industriali il tenore di vita dei cittadini dell’Europa continentale andò progressivamente deteriorandosi fino ad

arrivare a livelli impensabili un tempo. La catastrofe ecologica causata dalla esplosione di una centrale nucleare in Svizzera dette il colpo di grazie alla già traballante economia dell’Europa continentale. Così, nei paesi un tempo più ricchi, l’inflazione galoppante e lo sviluppo negativo creò sacche di povertà assoluta e disagio sociale. In questo quadro, nel precedente “Moebius 2051” si svolgevano le avventure di Jamil, professore di Storia al liceo di Perugia, e dei suoi alunni, alle prese con il furto di una componente industriale sperimentale che avrebbe causato non pochi problemi.

Pioggia

Hito amava la pioggia, d’estate era delicata e dolce sulla pelle, una carezza umida e calda che infondeva vigore e serenità. Anche d’inverno, con il freddo, quando sferzava l’asfalto dei lunghi viali di Beijing, era piacevolmente pulita e tutto diventava migliore.

Jamil odiava la pioggia, alle prime gocce cercava un rifugio e aspettava, aspettava fino a che era possibile, poi , se non c’era più speranza che smettesse, camminava rasente ai muri delle vie di Perugia saltando le pozze che si formavano nei marciapiedi con una smorfia di disgusto disegnata in volto.

John non amava e non odiava la pioggia, a Seattle pioveva sempre, e quando non pioveva nevicava fitto. Era impossibile amare o odiare la pioggia, faceva parte della vita quotidiana in qualsiasi stagione ed i cambiamenti riguardavano solamente l’intensità con cui l’acqua bagnava tutto e tutti.

Hito

Quel giorno a Beijing pioveva ma Hito non aveva la voglia di apprezzare questo, si stava dirigendo verso il suo laboratorio all’Università e quello che aveva visto la sera prima lo inquietava non poco. Era stato rinchiuso, senza mettere il naso fuori, fino a dopo mezzanotte, ad un certo punto un dolore allo stomaco gli aveva ricordato che non mangiava da quasi dieci ore, allora, sfinito e angosciato, era tornato a casa dove, dopo aver bevuto solo un po’ di latte caldo, si era buttato sul letto vestito addormentandosi immediatamente.

La mattina dopo si era alzato di buon ora, l’ottimismo aveva preso il posto della disperazione del giorno prima, dopo una ricca colazione uscì di casa e si diresse di nuovo verso l’edificio imponente della facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Beijing, dove era situato il laboratorio nel quale Hito trascorreva da più di dieci anni la maggior parte del suo tempo. Arrivato al suo tavolo di lavoro iniziò a sfogliare velocemente le numerose e-mail non lette e la sua attenzione si risolse subito su una in particolare che gli arrivava dal professor Gherardo Gherardi della Scuola Normale Superiore di Pisa: “Mio caro amico Hito” – diceva – “ho confrontato i campioni che mi hai inviato e li ho trovati del tutto identici a quelli che stiamo studiando qui, anche una verifica sul Dna ha dato lo stesso risultato". Comprenderai come questo mi ha profondamente stupito.

Ma non è nostro compito farsi prendere dalle emozioni, noi, se Allah vorrà, dobbiamo solo cercare una spiegazione razionale a quello che sta succedendo che ci permetta di evitare la catastrofe.”

Hito rimase con gli occhi fissi sul monitor rileggendo più volte la mail, non era possibile, più cercava una soluzione logica più questa si allontanava! Non c’era

tempo da perdere, doveva partire subito per l’Italia per vedere i campioni di Gherardo e con lui verificare tutte le ipotesi possibili fino alla soluzione. La sua origine giapponese prevaleva in questi casi su ogni altra considerazione.

Scienziato di fama mondiale, Hito lavorava in Cina da diversi anni a causa del declino nel campo della ricerca del suo paese e del contemporaneo sviluppo delle potenzialità cinesi dovute principalmente alla quantità enorme di fondi destinati da quel paese allo studio. Si trovava molto bene all’Università e anche i rapporti con i colleghi cinesi erano ottimi, ma quel poco di burocrazia che rimaneva, d’altra parte comprensibile visto l’enorme numero delle università, degli insegnanti e degli studenti attualmente in Cina, lo faceva irritare. Per questo decise di non comunicare a nessuno, se non alla sua segretaria, l’intenzione di partire e di dirigersi subito verso l’aeroporto ando solo prima da casa per preparare un minimo di bagaglio.

Jamil

A Perugia, quel giorno, il sole splendeva ed il cielo aveva quel colore azzurro pallido tipico della stagione estiva.

Jamil aveva deciso di andare a lavoro un po’ prima per finire di preparare le lezioni che doveva tenere ai suoi allievi del liceo dall’indomani, quando sarebbero partiti per un soggiorno di studio in Toscana e Lazio per visitare i siti archeologici etruschi di maggior pregio. Finalmente sia sca che Luca si stavano dimenticando della brutta avventura avuta la primavera ata, Luca non si svegliava più nel cuore della notte assalito dagli incubi, e sca sembrava di nuovo serena e completamente presa dal suo lavoro al centro di accoglienza per stranieri di Perugia.

Ormai lo strano susseguirsi di eventi che avevano portato Jamil e la sua famiglia a percorrere mezza Europa con il bagagliaio pieno di preziosi prototipi di “celle di Moebius” rincorsi da un pericoloso criminale, erano dimenticati e la vita, nella provincia umbra, aveva ripreso a scorrere lenta. La lezione che doveva completare riguardava il sito archeologico che Jamil considerava di maggior valore, la necropoli di Vetulonia, con le nuove tombe scoperte di recente ricche di affreschi. Oltre a questo aveva da poco saputo da un suo vecchio amico, ora sovraintendente agli scavi, che il giorno della loro visita sarebbe stata aperta una tomba ritrovata ultimamente. O’Neil, questo era il nome del suo amico, gli aveva anche detto che aspettava l’arrivo di un esperto dagli Stati Uniti per procedere all’apertura dell’ultimo diaframma.

Chissà se i suoi allievi avrebbero apprezzato l’emozione di essere fra i primi a vedere un opera di migliaia di anni prima riportata alla luce, certo in classe erano tutti elettrizzati e anche Hans, solitamente schivo, partecipava con costanza alla

programmazione del viaggio. Dopo quanto successo in primavera il ragazzo era molto cambiato ed anche i compagni ora la consideravano uno di loro, compresi anche Claude e sco che, subita la dura punizione per quanto accaduto, sembravano trasformati, più consapevoli e meno facili agli entusiasmi momentanei. La giornata trascorse nella leggera euforia della partenza prossima, infine Jamil arrivò a casa e iniziò a preparare le valige per la mattina dopo.

John

John era chiuso da dodici ore nel suo ufficio nel museo di arte antica di Seattle, non aveva degnato nemmeno di uno sguardo la finestra e non sapeva se fuori pioveva o no.

Aveva deciso di completare la sua relazione sui reperti trovati negli ultimi giorni e sulla interpretazione degli scritti. Era uno dei massimi esperti sulle lingue parlate secoli fa nel bacino del Mediterraneo e la sua collaborazione era spesso richiesta per la traduzione di antichi manoscritti e tavole. Oltre a questo aveva collaborato all’ideazione di una sonda per il controllo dall’esterno di siti archeologici in modo da permettere l’apertura senza rischio di causare danni, di tombe e altre costruzione chiuse da millenni., e proprio per questo era il più esperto nell’uso della sonda ora usata nei più importanti scavi archeologici. Il museo era nato per raccogliere preziosi reperti di una collezione privata che un magnate dell’industria elettronica aveva lasciato alla città alla sua morte, da questo il suo nome: “Museo di Arte Antica Bill Gates”.

John lavorava con piacere in quell’ambiente che trovava stimolante e ricco di interessanti prospettiva grazie alle collaborazione con innumerevoli centri di ricerca e musei dei paesi mediterranei. L’ultima collaborazione intrapresa era con la Sovraintendenza alle necropoli etrusche dell’Italia Centrale che lo portava spesso in Toscana ed in Lazio per l’esame e la catalogazione di interessantissimi reperti storici. Proprio per il giorno dopo era stato prenotato per lui un posto nel volo diretto per l’Italia dove, ad attenderlo, era un ritrovamento di incredibile importanza. In un sito che si pensava già da tempo completamente portato alla luce, erano di recente state scoperte un’incredibile serie di tombe etrusche di pregevole fattura e contenenti preziosi oggetti e iscrizioni.

Una di quelle aspettava il suo arrivo e le sue capacità per essere aperta. L’idea di vedere per la prima volta oggetti e manoscritti sepolti da millenni lo emozionava e gli confermava che il suo era il lavoro più bello del mondo!

Si decise ad uscire, doveva ancora mettere qualcosa in valigia e riposarsi in attesa del lungo volo. Seduto sul sedile della monorotaia che lo portava verso casa pensava a quanto sarebbe stato affascinante trasferirsi in uno dei paesi del Mediterraneo. John aveva ricevuto numerose offerte da importanti musei e università ma la giovane moglie, Edith, non ne voleva sapere di lasciare Seattle e gli Stati Uniti, sebbene negli ultimi tempi tutto sembrasse più difficile, la crisi economica in atto nel paese aveva rallentato molto lo sviluppo e sempre meno soldi erano a disposizione dello Stato che aveva da tempo iniziato a ridurre drasticamente i fondi per università e musei.

Scendendo dal treno si avvio verso casa riproponendosi di tornare sull’argomento con Edith al ritorno.

I Viaggi

Hito, già seduto nel suo posto nell’aereo che lo avrebbe portato a Roma entro cinque ore, rispose alla mail di Gherardo informandolo del suo imminente arrivo, poi iniziò a ripensare a come fosse possibile quello che stava succedendo. Da alcuni mesi Hito stava studiando una particolare varietà di pianta infestante con strane inflorescenze a forma di stella regolare che era stata trovata in una piantagione di riso della Cina meridionale, la stranezza era che questa pianta si era sviluppata solo in un territorio ben delimitato, di dimensioni geometriche ben precise, e che, dove si trovava, aveva pressoché soffocato tutti i germogli di riso. Tutti i tipi di diserbanti non riuscivano a distruggere la pianta che per pochi giorni, dopo di che riusciva fuori rinvigorita. Anche una completa disinfestazione del terreno non impediva che, una volta piantati di nuovo i germogli di riso, la pianta infestante rinascesse dal nulla tornando a soffocare il riso.

Da mesi nel laboratorio di numerose università cinesi, fra le quali quella di Beijing dove lavorava Hito, studiavano il fenomeno senza giungere ad alcun risultato. Nonostante questo il problema sembrava limitato a quella specifica piantagione, fino a che Hito, dalla corrispondenza tenuta con altri suoi colleghi in tutto il mondo, era venuto a conoscenza che alla Scuola Normale Superiore di Pisa, un suo amico e collega, il professor Gherardi, era alle prese con una pianta sempre appartenente alle graminacee, dalle caratteristiche simili a quella cinese e sviluppata in un campo di grano in Italia. Le implicazioni erano davvero devastanti, la pianta dalla forma di stella e dall’aspetto del tutto innocuo, in realtà rappresentava un grave pericolo, cresceva sia nell’ambiente umido delle risaie sia in quello secco dei campi di grano soffocando in breve ogni tipo di coltura. Una sua diffusione avrebbe portato carestie di dimensioni bibliche. Dovevano impedirlo immediatamente e portare a conoscenza dell’intero mondo scientifico il fenomeno che, fino a quel momento, era stato completamente sottovalutato. Hito sperava questo dal suo viaggio improvviso in Italia, sperava che la collaborazione con una della più importanti università dell’area

mediterranea rendesse consapevoli gli scienziati di tutto il mondo del pericolo che l’umanità stava correndo.

Scese dall’aereo mentre le prime luci dell’alba apparivano all’orizzonte, uscì dall’aeroporto e trovò, ad aspettarlo per portarlo a Pisa, un auto con autista della Scuola Normale Superiore. Durante il viaggio in aereo Hito non aveva chiuso occhio continuando ad esaminare i dati in suo possesso su quella maledetta pianta, una volta in macchina, avvolto nel silenzio assoluto mentre il paesaggio correva veloce intorno a lui, si addormentò d’improvviso svegliandosi solo quando l’auto rallentò uscendo dalla autostrada. Dopo qualche minuto era in Piazza dei Cavalieri, davanti alla storica sede della Scuola.

Jamil e i suoi ragazzi avevano visitato, nel primo giorno, la necropoli di Cerveteri, ritenuta, prima della scoperta delle nuove tombe di Vetulonia, la più importante. I ragazzi avevano partecipato con entusiasmo alla visita e Jamil era molto soddisfatto di questo, anche se il caldo soffocante lo aveva distrutto e a questo punto, aveva l’urgente necessita di una doccia, una buona cena ed un letto comodo. Nell’Unione Mediterranea, nata dopo la dissoluzione dell’Europa Unita e la contemporanea aggregazione dei nuovi stati democratici nati nel Nord Africa e dagli stati europei del Mediterraneo, si dava molto importanza allo studio ed alla conservazione dei reperti delle antiche civiltà. Ora che questa Unione rappresentava quanto di più innovativo e moderno ci fosse nel panorama culturale mondiale, oltre ad essere una solida e dinamica realtà economica, lo studio delle civiltà che erano nate nel bacino del Mediterraneo era motivo di orgoglio e di riappropriazione di un primato culturale ed artistico sempre avuto. Le rivoluzioni pacifiche iniziate nel 2011 avevano portato gli stati nordafricani ad uno sviluppo repentino seppur armonico e ben strutturato ed ora erano considerati alla stregua delle antiche e floride democrazie europee. Anche le loro ricchezze archeologiche erano tornate ad un nuovo splendore così come i musei e, complessivamente, il patrimonio artistico dei paese dell’Unione rappresentava da solo quasi l’intero patrimonio dell’umanità.

Come toccò il letto Jamil si addormentò di un sonno profondo non senza prima

pensare con entusiasmo alla visita dell’indomani a Vetulonia. John stava preparandosi per l’atterraggio all’aeroporto di Roma, per gli occhialini tondi che portava, i capelli biondi e radi, per la sua giovane età e la statura imponente appariva agli altri come il prototipo dello studioso americano in visita in Italia, del resto anche il suo atteggiamento, distratto e incurante di quanto gli succedeva intorno, confermava quello che poi realmente era. Avvicinandosi a Roma l’imponente aereo sorvolò a quota relativamente bassa la città, John era incollato al finestrino, la visione dall’alto della capitale dell’Unione era sempre emozionante come la prima volta, certo se Edith avesse visto quello spettacolo avrebbe riconsiderato l’ipotesi di lasciare Seattle, forse era quella la strada giusta, convincerla a venire una volta con lui per fargli apprezzare a pieno la bellezza di quei posti e la differente qualità della vita. Sceso dall’aereo si avviò verso la stazione sotterranea dove prese il primo treno che lo avrebbe portato di meno di un ora a Firenze. Qui avrebbe trovato il sovraintendente agli scavi con cui andare a Vetulonia il giorno dopo. L’aspettativa per l’apertura della tomba lo rendeva sempre più euforico e sapeva già che sarebbe stato ricompensato dalla vista di reperti nascosti da millenni.

John, quale studioso, conosceva “la sindrome di Stendhal” la strana sensazione che si provava davanti alla contemplazione della bellezza assoluta. Quando uscì dalla stazione sotterranea del treno nel piazzale Michelangelo a Firenze il leggero tremore alle gambe ed i brividi di freddo che gli percorrevano la schiena gli fecero venire in mente quel fenomeno. Respirò profondamente abbracciando con lo sguardo la città intera da qual punto di vista privilegiato. Poi, lentamente e di malavoglia, si incamminò verso l’ufficio della Sovraintendenza, poco distante dal piazzale.

Vetulonia

Il professor Gherardi aspettava impaziente Hito fuori dal suo ufficio e appena lo vide imboccare il corridoio gli corse incontro a braccia aperte. Oltre allo stesso amore per la natura li univa una sincera amicizia nata negli anni nei numerosi convegni ai quali i due studiosi avevano partecipato.

“Buongiorno, benarrivato in Italia” – lo accolse il professor Gherardi abbracciandolo vigorosamente tanto che a Hito sembrò di sentire uno strano scricchiolio nelle sue fragili ossa. In effetti Gherardo era a dir poco imponente, altro quasi due metri dalla corporatura robusta con due mani enormi che non sembravano certo destinate a maneggiare esili germogli e fiori delicati.

Eppure nella sua serra considerata storica dagli studenti, si muoveva con una tale leggerezza che sembrava non toccare terra. Al contrario Hito era esile e delicato come una porcellana prodotta nel suo paese natale anche se il suo aspetto nascondeva un carattere di ferro e ben determinato. Dopo i doverosi convenevoli i due scienziati si rinchio nell’ufficio di Gherardo per confrontare i dati raccolti. Anche alla vista i campioni delle piante raccolte dai due erano inspiegabilmente identici.

“Andiamo, ho già pronta l’auto del garage sotterraneo” –

disse Gherardo alzandosi dalla sua scrivania – “ti voglio portare a vedere da vicino il campo dove sono state trovate le piante a stella, è in Maremma, ma prima devi accompagnarmi in un posto meraviglioso.”

“ Dove “ – disse Hito un po’ spazientito dal possibile ritardo – “ non mi sembra che abbiamo molto tempo da perdere!”

“ Non te ne pentirai” – rispose Gherardo – “Come sai sono un apionato archeologo dilettante e un mio collega, sovraintendente agli scavi della necropoli etrusca di Vetulonia, mi ha invitato per assistere all’apertura di una tomba scoperta di recente, capisci bene che non posso rifiutare un invito di questo genere e che comporterà un ritardo di poco conto in quanto gli scavi sono molto vicini al campo di grano da esaminare.”

A quel punto erano già alla macchina con il motore elettrico e pronto a partire, Gherardo spinse l’acceleratore e l’auto con uno scatto partì veloce. “Tutto era cambiato in questi anni” – pensò Hito – “tranne il modo di guidare degli Italiani!”

Dopo meno di un’ora erano all’ingresso degli scavi dove un nutrito gruppo di persone, sopratutto ragazzi, aspettavano di entrare.

Jamil quando suonò la sveglia, era già sotto la doccia, si vestì in pochi minuti e cominciò il giro delle camere dove dormivano i suoi ragazzi bussando ad ogni porta con insistenza fino a svegliare l’intero albergo fra le proteste di tutti. Poi si avviò verso la sala dove erano servite le colazioni e si appropriò di una ricca dose di cornetti e fette di torta varie fino a riempire due piatti, una straboccante tazza di caffè completò la colazione.

Come sempre, alla fine di ogni pasto, il senso di colpa si impadronì di lui e, come sempre, si ripropose di non mangiare nulla per pranzo gettando lo sguardo verso lo specchio davanti a lui che ritraeva una persona dall’aspetto non

precisamente asciutto. Scrollò le spalle e si apprestò al faticoso censimento degli studenti sollecitando tutti a fare colazione in fretta per essere pronti al breve viaggio facendo presente che l’autobus era già fuori dall’albergo che li aspettava. Non senza fatica, dopo alcuni minuti, riuscì a far salire tutti i ragazzi e, dopo un breve viaggio attraverso le dolci colline della bassa Toscana, arrivarono a Vetulonia dove il suo amico sovraintendente lo aspettava all’entrata della necropoli.

John chiese in portineria del professor O’Neil, che si occupava come sovraintendente agli scavi della necropoli di Vetulonia, non l’aveva mai personalmente conosciuto e, quando lo vide scendere precipitosamente le scale, chiamato dal portiere, gli fece una bella impressione.

O’Neil era alto giovane e magro come un acciuga, aveva lo sguardo penetrante e vivace, prese la mano di John con tutte due le sue e la strinse vigorosamente guardandolo dritto negli occhi con espressione sinceramente cordiale.

“Ciao, benarrivato,” – disse O’Neil continuando a stringere la mano di John – “Non perdiamo tempo ci stanno già aspettando alla necropoli e tutta la strumentazione che ti serve è già lì.” Poi si avvio trotterellando verso l’uscita dove nel piazzale un furgone attrezzato aspettava i due.

Il viaggio verso Vetulonia fu piacevole, John e O’Neil parlarono dei vari progetti in corso e delle aspettative per quell’importante ritrovamento, in effetti fu molto di più O’Neil a parlare, John riusciva a malapena ad accennare l’inizio di un discorso subissato come era dal fiume di parole che usciva dalla bocca dello scienziato italiano.

Tuttavia la conversazione era gradevole e quello che diceva estremamente interessante. Giunti ai cancelli della necropoli iniziarono a mettere mano alla

complessa attrezzatura, nel frattempo arrivò una scolaresca con un professore amico di O’Neil che fu subito assalito dallo scienziato che lo interrogò su tutto quanto gli era successo dall’ultima volta che si erano visti senza dare tempo al povero professore di rispondere. Poi arrivarono due tizi, uno di origine orientale e l’altro un omone con un aspetto bonario su una macchina con le insegne della Scuola Normale Superiore di Pisa.

A quel punto O’Neil salì in cattedra, attirò l’attenzione di tutti con un possente richiamo e inizio a parlare.

Gli Etruschi

“Gli Etruschi sono un popolo affermatosi in un area denominata Etruria corrispondente alla Toscana, all'Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale a partire dal X secolo a.C. e, definitivamente inglobata nella civiltà romana entro la fine del I secolo a.C. Alla fine di un lungo processo di conquista e assimilazione culturale che ebbe inizio con la data tradizionale della conquista di Veio da parte dei romani nel 396 a.C.”

Il professor O'Neil si schiarì la voce e continuò la sua lezione mentre da parte dei ragazzi iniziava a serpeggiare una certa irrequietezza.

“Secondo Erotodo, uno storico del V secolo a.C. gli Etruschi proverrebbero dalla Lidia, ora Turchia Anatolica, Salpati da Smirne a seguito di una carestia."

Sotto la guida dei fratelli Tarconte e Tirreno, figli del re di Misia e sarebbero infine giunti presso gli Umbri, sulle coste occidentali dell'Italia. Qui avrebbero poi cambiato il loro nome in Tirreni dal nome del loro condottiero, e in seguito Etruschi. Vetulonia era una delle più importanti e ricche città etrusche, pensate che, nel periodo del suo massimo splendore, contava centomila abitanti, più di quanti ne contava all’epoca Atene. La necropoli ha acquisito una grande importanza con gli ultimi scavi che hanno portato alla luce un bel numero di tombe nella collina davanti alla necropoli già scoperta da anni. La caratteristica essenziale e che rende particolarmente ricca di reperti la zona e che le nuove tombe scoperte sono tutte di importanti personaggi dell'antica città etrusca, re o sacerdoti.

"Bene” - chiuse con soddisfazione O'Neil – “ora andiamo a vedere cosa c'è in questa tomba.”

E si avvio deciso all'interno della necropoli seguito dal corteo di visitatori.

John aveva evitato la lezione di O’Neil e si era avviato già verso la tomba, quando arrivarono tutti stava finendo di montare la complessa sonda a impulsi magnetici che avrebbe permesso una parziale visione del contenuto della tomba prima dell’apertura. Dopo l’esame con la sonda avrebbe praticato un piccolo foro sul restante diaframma di roccia che ancora proteggeva la tomba e fatto entrare una telecamera dalle dimensioni di qualche millimetro per avere una vista ancora migliore dell’interno. Solo dopo tutto ciò si sarebbe proceduto all’abbattimento del diaframma.

Una volta completato il montaggio John accese la macchina che inizio a fare dei rumori sordi e ritmici man mano che restituiva sul monitor una visione dell’interno della tomba fatta di strisce di colori più o mena accesi dal blu al rosso. Con grande piacere O’Neil fece notare che il contenuto era intatto, quindi, nei secoli trascorsi, nessuno aveva mai violato la tomba, questo avrebbe consentito di recuperare un buon numero di preziosi reperti chiusi, come era costume degli Etruschi, insieme alla salma.

L’esame non rivelò nulla che avrebbe potuto pregiudicare l’apertura della tomba, quindi John procedette a praticare il piccolo foro ed a far entrare la telecamera.

Questa volta l’immagine che apparve sui monitor fu fonte di una grossa emozione sui presenti tanto che molti si fecero scappare espressioni di meraviglia e ci fu addirittura, fra i ragazzi, chi accolse le immagini con battimani seguiti da sguardi severi di O’Neil e di Jamil.

L’interno era completamente affrescato con colori vivaci e reali, sembrava che l’artista avesse finito il suo lavoro da pochi giorni tanta era la freschezza del colore. O’Neil, con la voce rotta dall’emozione, iniziò a descrivere le scene rappresentate negli affreschi. Tutte le maggiori divinità etrusche, prese in prestito dai greci e che, in seguito, saranno state adottate dai romani, erano raffigurate: Tinia e la sua sposa Uri (Zeus e Era) erano nella parete principale e, dall’alto, guardavano un villaggio etrusco con contadini intenti alla raccolta del grano.

O’Neil tuono con la sua voce baritonale:

“Questa deve essere, con buona probabilità, la tomba di un sacerdote “aruspice” specializzato nel prevedere il futuro attraverso l’esame delle interiora di animali".

Infatti, sulla parete destra, accanto al sarcofago di pietra che conteneva le spoglie del sacerdote, potete vedere raffigurato il sacrificio di un caprone con il sacerdote che esamina il fegato e lo stomaco dell’animale. Questo sacrificio evidentemente è stato effettuato per salvare il popolo del villaggio da una grande carestia, come potete vedere su l’altra parete” – I diversi monitor avevano fissato le immagini della telecamera a 180 gradi in modo da permettere di esaminare contemporaneamente le tre pareti della tomba. Così tutti potevano avere uno sguardo d’insieme veramente emozionante. – “Le immagini della carestia ritraggono uomini e donne a terra, morti e i campi di grano devastati da quella pianta a forma di stella con striature interne marroni.”

Fu a quel punto che Hito incontrò subito lo sguardo di Gherardo, poi, quasi contemporaneamente, i due si avvicinarono al monitor che inquadrava la parete dell’affresco sulla carestia scansando precipitosamente gli studenti di Jamil che affollavano il piazzale.

“Non è possibile” – sussurrò Gherardo – “Non è assolutamente possibile, quella è la nostra graminacea, è identica e sembra avere la stessa proprietà devastante!”

“Ma se è la stessa” – rispose Hito – “che fine ha fatto per tutti questi secoli?" perché non se ne è mai sentito parlare prima? e soprattutto, perché e rivenuta fuori proprio ora?”

“Dobbiamo assolutamente parlarne con O’Neil e con l’americano, forse loro possono darci qualche indicazione, aspettiamo l’apertura della tomba!”

La Tomba

“Bene” – disse infine O’Neil – “John, penso che possiamo procedere, tenete conto che gli affreschi che avete visto sui monitor, una volta fatta entrare l’aria esterna, inevitabilmente si deterioreranno in modo rapido e che i colori reali andranno persi per sempre, d’altra parte è troppo importante esaminare tutti i reperti dentro la tomba e poi tutto rimarrà documentato dalle immagini riprese fin’ora dalla telecamera.”

John impugnò un piccone e delicatamente, saggiò l’esile parete che rimaneva fra loro e l’interno della tomba, poi assestò un colpo ben portato e il diaframma crollo alzando una piccola nube di polvere.

Lo spettacolo fu realmente emozionante, man mano che la povere si diradava i colori degli affreschi interni prendevano il sopravvento esplodendo in una tale varietà e raffinatezza che nessuno osò fare commenti, poi, con la velocità con la quale erano apparsi, i dipinti iniziarono a scolorirsi e l’intonaco a distaccarsi dalle pareti cedendo a terra con tonfi sordi.

ata l’emozione John e O’Neil, armati di spray fissante, entrarono di corsa nella tomba cospargendo quello che era rimasto nella vana speranza di salvare qualcosa.

I ragazzi di Jamil stavano già precipitandosi verso l’interno della tomba quando la voce possente di O’Neil gridò: “Fermi tutti, non entrate assolutamente dentro la tomba, dobbiamo prima controllare tutto noi.”

E si piantò davanti all’apertura a braccia aperte. Solo sco era entrato guardandosi intorno a bocca spalancata, stava per fare un altro o quando si accorse che stava per calpestare un frammento di intonaco pieno degli strani segni della scritture etrusca. Colto da un improvviso impulso raccolse il frammento e se lo mise in tasca. Fu allora che O’Neil si accorse del ragazzo e, prendendolo per le spalle, lo ricacciò fuori dalla tomba energicamente.

Fuori Jamil disse ai ragazzi: “Bene, avete assistito ad uno spettacolo unico che vi ricorderete per sempre, sete stati i primi a vedere questa meraviglia nascosta agli occhi degli uomini per molti secoli. Ora continuiamo il nostro giro della necropoli e lasciamo lavorare gli archeologi.

Di malavoglia i ragazzi seguirono il loro professore che si allontanava dalla tomba.

“Amico mio” – disse a quel punto Gherardo ad O’Neil –

“Lo spettacolo è stato veramente esaltante, ed io ti ringrazio perché mi hai dato la possibilità di essere presente. Però ti devo assolutamente chiedere un favore, abbiamo estremo bisogno di parlare con voi due in merito a quella pianta a stella raffigurata negli affreschi, credimi è un problema serio. Ci dovremmo vedere quanto prima giù negli uffici degli scavi, all’ingresso.”

“Come vedi il momento è particolare ma ti conosco bene e se mi dici così vuol dire che è importante. Lasciaci prendere le prime precauzioni per metter al sicuro la tomba, poi ci troviamo giù.

Mentre Gherardo e Hito si avviavano verso gli uffici della necropoli sentivano alle loro spalle gemiti di sorpresa, gridolini soddisfatti e strane imprecazioni che ognuno dei due archeologi emetteva nella propria lingua, man mano che scoprivano nuovi reperti.

La tomba si era rivelata una fonte ricchissima, sicuramente nel sarcofago di marmo di pregevole fattura, riposava uno dei sacerdoti più importanti della città e sia le suppellettili che lo dovevano accompagnare nel suo viaggio eterno, sia gli strumenti che dovevano servire per i suoi auspici erano di materiale prezioso e finemente trattato. Vi erano anche alcuni preziosissimi oggetti in oro lavorati con la tecnica della granulazione, tecnica che rese famosi gli etruschi presso gli altri popoli per la finezza dei manufatti.

La Stella

Gherardo eggiava nervosamente mentre Hito guardava fuori dalla finestra dell'ufficio di O'Neil, dove i due lo stavano aspettando. All'improvviso Gherardo esplose: “Non è possibile!” - Tuonò - “Non è assolutamente possibile, cosa cavolo c'entrano simboli etruschi con la nostra pianta a stella, non può essere che un caso, sicuro è un caso!”

“Eppure la somiglianza è impressionante” - replicò Hito -

“Ed il fatto che sia stata rappresentata come responsabile di catastrofi e carestie ci deve far riflettere!”

Poi i due tornarono alle loro occupazioni, Hito a guardare fuori dalla finestra e Gherardo a misurare l'ufficio con larghi i in silenzio.

Nel frattempo i due archeologi avevano terminato un sommario esame del contenuto della tomba e il personale della necropoli aveva già montato un cancello provvisorio chiuso da un grosso lucchetto. O'Neil e John si preparavano ad uscire a malincuore, il lavoro da fare era enorme, ma l'entusiasmo era alle stelle, mai avrebbero pensato di trovare un numero di reperti così ingente e sopratutto di così fine fattura. Mentre stavano uscendo arrivò trafelato Jamil. “Ciao O'Neil” - sussurro con un filo di voce, affannato dalla corsa che aveva fatto. “Sono riuscito ad affidare quei diavoli dei miei alunni all'altro insegnante e sono corso qui per vedere se era possibile visitare la tomba con voi.”

“Certo Jamil” - rispose sorridendo O'Neil soddisfatto per l’interesse dell'amico. “Vieni in ufficio con noi, i due professori vogliono sapere qualcosa che sembrerebbe molto urgente, cosa di pochi minuti, spero, poi torneremo alla tomba.”

Arrivati nell'ufficio O'Neil sprofondò nella sua poltrona dietro la scrivania mentre gli altri trovavano posto davanti a lui.

“Voi siete due fra i massimi esperti di storia etrusca” -

iniziò Hito - “ E noi siamo venuti da queste parti con l'unico scopo di esaminare un campo di grano qui vicino dove il mio collega ha rintracciato una pianta che ha la caratteristica di essere estremamente resistente e di soffocare ogni altra coltura presente,” - fece una pausa ad effetto, come per controllare le reazioni dei presenti. Poi proseguì: “Io vengo dalla Cina appositamente per verificare la somiglianza con una pianta analoga che ha infestato una piantagione di riso. Capite bene che il fatto che la pianta possa attaccare sia una piantagione di riso che un campo di grano e che, oltretutto, sia resistente a tutti i nostri tentativi di eliminarla, ha degli aspetti molto inquietanti;”

“Capisco la vostra apprensione” - Disse a quel punto O'Neil – Ma non vedo il motivo di questa convocazione, anche noi abbiamo del lavoro urgente da compiere, siamo davanti ad uno dei più importanti ritrovamenti nella storia dell'etruscologia e credetemi” - continuò accorato e con una punta di insofferenza nella voce - “la mole di lavoro che ci attende è veramente enorme.”

“Il mio collega non vi ha ancora detto la cosa più importante che ci ha spinto a parlare con urgenza con voi.” - Disse a quel punto Gherardo _ “L'aspetto veramente inquietante e inspiegabile è che la pianta con cui stiamo combattendo è senza ombra di dubbio la stessa che abbiamo vista raffigurata nella tomba

alcuni minuti fa!”

“La stella di Cibele?” - dissero i due archeologi all'unisono - “Impossibile!” Continuò O'Neil - “Non si sa neppure se è esistita davvero o se è solo il frutto della fantasia di qualche sacerdote!”

“In effetti” - Continuò John - “Si è sempre creduto che fosse una entità mistica, la pianta del male, che creava carestie e desolazione fra le popolazioni colpite dalla maledizione divina della Vergine Nera Cibele, venerata dall’antico popolo dei Rasna, nome con cui chiamavano se stessi gli etruschi”

“Dobbiamo sapere tutto quello che si conosce di questa pianta, per noi è vitale!” Disse Hito ai due.

John allora continuò:

“Il simbolo della pianta di Cibele è stato ritrovato in molte tombe, le scritte in merito dicono che è appunto frutto della maledizione che la Vergine Nera Cibele gettò sulla popolazione di un villaggio che non aveva accettato di erigergli un tempio votivo preferendo a lui altre divinità più generose. Per questo la stella di Cibele infestò tutti i campi coltivati del villaggio ed in breve le genti che lo abitavano dovettero trasferirsi altrove per evitare la carestia.

Però c'è anche un altro aspetto: Una iscrizione interpretata di recente su una tomba di Cerveteri dice che la pianta di Cibele era usata dagli etruschi per gettare nel panico le popolazioni che volevano conquistare devastando le loro piantagioni e privandole del cibo, di conseguenza, in seguito, era facile per loro presentarsi come salvatori e padroni delle città prese di mira, una volta debellata

l'infestazione nei campi.

“Allora gli etruschi conoscevano anche il sistema di eliminare la pianta!” Esclamò Hito - “Quindi esiste questa possibilità e dobbiamo trovarla!”

“Avrei qualcosa da dire anch'io a proposito della stella” -

disse timidamente Jamil che aveva ascoltato tutto con molta attenzione. “Ieri ero a Cerveteri con i ragazzi e ho visto anche la pianta a stella disegnata in una tomba, ma la cosa che ha attirato la mia attenzione è che il guardiano che ci faceva da giuda aveva tatuata sul polso una stella verde con le striature marroni simile a quelle dipinte dagli etruschi. Fin qui nulla da dire, mi sembrava una scelta adatta per il guardiano decidere di tatuarsi un simbolo etrusco nel polso,”

“Onestamente anche a me non pare che sia una cosa importante” - replicò Gherardo con fare impaziente -

“Mi sembra che ci sia poca attinenza con quello di cui parliamo!”

“Infatti” - rispose Jamil sempre più intimorito - “Ma la cosa strana è che un ragazzo ha notato come me lo stesso tatuaggio e ha domandato al guardiano se aveva qualcosa a che fare con l'affresco nella tomba: Il guardiano lo ha squadrato e con fare irritato gli ha detto: “E' il simbolo di chi governerà il mondo,” Poi si è voltato verso l'uscita.”

“Jamil!” - intervenne O'Neil - “Amico mio non capisco dove vuoi arrivare!”

“Aspetta un secondo” - replicò Jamil - “Fammi finire! A quel punto arrivò un signore molto ben vestito con giacca e cravatta nonostante il caldo che faceva nella necropoli e l’ho sentito chiaramente dire al guardiano: “Devi partire immediatamente per la nostra sede, il Lucumone ha bisogno di te urgentemente per un lavoro importantissimo, questo è il biglietto per Cheyenne, da li volerai a Rock Springs, l'aereo parte da Roma stasera!”

E si allontanò senza neppure salutare, ma la cosa più stupefacente è che, mentre consegnava i biglietti al guardiano ho visto chiaramente il segno della stella anche sul suo polso!”

“ Può essere anche una cosa da niente” - Disse John pensieroso - “Comunque conviene andare a fondo a questa vicenda. A quel che mi sembra di capire questa pianta a stella può essere molto pericolosa, quindi dobbiamo muoverci immediatamente!”

“ Domani mattina andremo tutti a Cerveteri per saperne di più di questo guardiano e tu devi venire con noi!” -

disse O'Neil rivolgendosi a Jamil - “Sei l'unico che ha visto i due tizi e che li può riconoscere.”

“Non è assolutamente possibile!” - stasera devo rientrare a Perugia con i ragazzi e domani avrò lezione!”

“Non ti preoccupare. E' una questione di massima importanza. Sistemerò tutto io

con la scuola. Telefonerò al preside e parlerò con il tuo collega che dovrà portare da solo a casa i ragazzi.”

Visto come si stavano mettendo le cose Jamil non osò replicare, chissà cosa avrebbe detto sca, ma in fondo si sarebbe trattato solo di un giorno di ritardo e la sua ione per il mistero stava, ancora una volta per prendere il sopravvento sul suo spirito sornione.

Non sapeva che sarebbe trascorso molto tempo e successe molte cose prima del suo rientro a casa.

Contagio

Appena fuori dall’ufficio Jamil cercò un telefono per avvertire sca del ritardo.

“Non ho capito bene cosa ci vai a fare un’altra volta a Cerveteri” – disse sca – “Ma ricordati che dopodomani devi andare al colloquio con gli insegnanti di Luca, io non posso assolutamente andarci, lo sai che ho quella famosa relazione da presentare e che il direttore mi sta pressando in questo periodo. Mi raccomando Jamil, non mi fare scherzi!” E interruppe la conversazione con un saluto molto freddo.

“Mah, gli erà” – pensò Jamil – “D’altra parte si tratta solo di un giorno e non posso rinunciare adesso!”

Hito nel frattempo, era rimasto con Gherardo negli uffici della necropoli per fare insieme il punto della situazione ma non ebbero il tempo di dire nulla che alle loro rispettive riceventi iniziarono a piovere messaggi dall’Organizzazione Mondiale dell’Agricoltura, di cui tutti e due erano consulenti scientifici.

I due scienziati si guardarono negli occhi impallidendo.

“Sta succedendo quello che temevamo” – esordì Hito –

“Da quello che segnala l’Organizzazione la stella ha infestato a macchia di leopardo diverse piantagioni e non solo di riso o di grano.”

“Si!” – rispose Gherardo – “Anche a me comunicano le stesse cose, Campi di granturco negli Stati Uniti e in Russia, Cereali in Germania ed ancora grano e riso, per ora i paesi colpiti, oltre alla Cina ed all’Italia sono questi.

Ma dubito che la cosa rimanga circoscritta.”

“La caratteristica davvero strana di questa cosa è essenzialmente una!” – replicò Hito – “La diffusione a macchia di leopardo è stranissima, come è mai possibile che la stella si posizioni con andamento quasi geometrico in settori ben delimitati, sembra quasi che ci sia un volontà ben precisa di colpire per settori.

Questo può voler dire solo una cosa: Dietro a tutto questo c’è una mano umana che è in possesso dei semi della stella e le pianta secondo una logica che attualmente ignoriamo ma che, temo, presto sarà molto chiara!”

“A questo punto l’unica pista che abbiamo è quella di cui ci ha parlato quel professore di Perugia, questi strani soggetti con il tatuaggio della stella possono avere a che fare con la diffusione della pianta. “ – lo interruppe Gherardo – “Vediamo cosa c’è di vero domani a Cerveteri, poi decideremo come muoversi. Intanto quasi tutti i laboratori delle regioni interessate stanno procedendo all’esame delle piante a stella sperando di trovare il modo di debellarle senza rendere il terreno sterile. A questo punto c’è ancora qualche ora di luce, andiamo a vedere da vicino questa benedetta Stella di Cibele nel campo di grano qui vicino.”

I due salirono nella macchina a loro disposizione e presero la strada che li avrebbe portati sulla vecchia via Aurelia, ora considerata quasi un monumento storico.

Qui giunti la imboccarono in direzione nord e, dopo poche decine di chilometri, arrivarono alla deviazione su una strada secondaria che costeggiava il famoso campo di grano.

Scesero dall’auto e videro subito le piccole stelle, dall’aspetto innocuo, quasi elegante, sovrastare le piantine di grano che erano già di un colore giallo paglia, praticamente secche.

Hito si avvicinò e ne colse una, si stupì del fatto che la pianta opponeva una inaspettata resistenza, poi, quando riuscì a strapparla, vide che la parte finale delle radici si sfaldava in mille piccoli frammenti che, leggerissimi, fluttuavano come sospesi per qualche secondo, per poi depositarsi a terra.

Forse era da questo insolito comportamento che dipendeva la facilità con cui si diffondeva la pianta.

“I nuovi preoccupanti sviluppi mi impongono di tornare immediatamente al mio laboratorio.” – disse Gherardo –

“Mi devo coordinare con le altre università per seguire una traccia comune nelle ricerche.”

“Anch’io dovrei tornare in Cina” – rispose Hito – “Ma prima voglio vedere domani a Cerveteri se la pista del professore di Perugia ci può portare a qualche risultato.

Più ci penso e più mi sembra impossibile che la diffusione della pianta sia casuale, ci deve per forza essere una logica e il fatto che proprio ora vengano fuori dei personaggi con il tatuaggio della stella di Cibele mi fa venire in mente molti dubbi. Domani dovrò essere a Cerveteri e verificare se ci sono attinenze altrimenti non posso ritornare in Cina con il dubbio di aver tralasciato qualche possibilità di soluzione.

“Bene!” – disse Gherardo – “Io ora ti riporto agli scavi di Vetulonia, puoi dormire anche lì, infatti dispongono di una foresteria a disposizione per gli ospiti. Io ritorno a Pisa e cerco di raccogliere più dati possibile dai nuovi luoghi di contagio e sullo stato delle ricerche in corso dagli altri laboratori. Appena ho delle novità te le comunico.”

Hito e Gherardo salirono in macchina e ripresero la strada verso Vetulonia. Fortunatamente il leggero bagaglio di Hito era sempre nell’auto. Una volta arrivati alla necropoli, dopo aver salutato Gherardo, prese possesso con sollievo della camera messa a sua disposizione nella foresteria. Qui, dopo una doccia veloce si cambiò d’abito e scese nel ristorante accanto all’ingresso della necropoli per mangiare qualcosa.

Nella sala ristorante vi erano solo poco tavoli occupati da dipendenti degli scavi e da turisti che avevano preferito mangiare lì prima di tornare alle loro dimore. Hito vide un tavolo occupato dall’archeologo americano e dal professore di Perugia, molto probabilmente anch’essi alloggiati nella foresteria. Con loro doveva l’indomani recarsi a Cerveteri, quindi si diresse anche lui al tavolo per conoscere meglio i suoi compagni di viaggio.

I due già al tavolo lo salutarono calorosamente e Jamil, questo era il nome del professore di Perugia, gli consigliò di mangiare il cinghiale alle olive che era veramente ottimo!

In effetti sia il piatto di Jamil che quello di John, l’archeologo di Seattle, erano perfettamente puliti, e, quando il cameriere venne al tavolo per l’ordinazione di Hito, Jamil non si fece mancare l’occasione di prenderne ancora.

I due erano simpatici e la conversazione era piacevole, Hito poté finalmente rilassarsi e, quando si toccò il tema della Stella di Cibele, apprezzò particolarmente l’interesse e la ione che avevano sia John che Jamil per lo studio della civiltà etrusca.

Jamil, forse reso più ardito da qualche bicchiere di buon vino toscana, si avventurò in un accesa discussione con John per dimostrare che gli etruschi non venivano dalla Turchia ne erano autoctoni dell’Italia centrale, ma erano uno dei popoli sfuggiti dal misterioso continente di Atlantide, sparito nel nulla a causa di una imponente catastrofe. Loro si erano stabiliti in Italia, altri si erano diretti verso le Americhe, sia al sud, dando origine alla civiltà Maya, sia al nord costituendo le varie popolazioni degli indiani d’America.

John, in modo molto pacato, gli faceva notare le contraddizioni presenti nei suoi ragionamenti fantasiosi da studioso ortodosso, quali era, della materia specifica.

Ma oramai nulla poteva fermare Jamil, era come un torrente in piena e argomentava deciso sulle similitudini esistenti fra gli Etruschi, i Maya ed i Pellerossa, infilandoci dentro anche gli Egizi.

Hito assisteva alla discussione con interesse ed anche con divertimento, soprattutto la simpatia che ispirava Jamil e l’allegria con cui argomentava la sua tesi, con argute battute e citazioni popolari, lo apionavano in modo particolare.

Erano lì per caso, pensò, tre persone che non si erano mai viste prima, che venivano da tre parti del globo opposte fra loro, davanti ad un bicchiere di buon vino scherzando su fantastiche supposizioni storiche in assoluta sintonia. Certo il mondo era molto cambiato da quello dei loro genitori, la lingua universale, l’inglese, era ormai parlata da tutti ed i rapporti fra popoli erano notevolmente migliorati. Esistevano ancora sacche di povertà, e popolazioni ancora in via di sviluppo, ma il fenomeno era limitato alle zone interne dell’Asia e dell’Africa. Vi era poi il problema della stagnazione economica di parte del continente europeo. l’Europa centrale, un tempo motore dell’economia mondiale, aveva ora invertito la tendenza e si era come rinchiusa su se stessa incapace di seguire il o dei paesi del Mediterraneo con cui confinava.

Nonostante tutto questo la qualità della vita era generalmente migliorata, anche grazie alle nuove scoperte che avevano rivoluzionato i sistemi di produzione dell’energia necessaria, a costi più bassi e, soprattutto, con impatto sull’ambiente praticamente nullo.

Dopo un bicchiere di ottima grappa i tre si diressero verso le rispettive camere dandosi appuntamento per l’indomani mattina.

Jamil si trattenne per telefonare a casa sperando che sca, sua moglie, fosse più accondiscendente e capisse il motivo del suo ritardo. Dopo l’uso sproporzionato dei telefoni cellulari culminato nel primo decennio del duemila, si era arrivati ad una sorta di repulsione, ora venivano adoperati solo in situazioni estreme, infatti era considerato molto maleducato il loro uso in locali pubblici o per strada. In pratica si era ritornati ai telefoni pubblici, situati da ogni parte e praticamente gratuiti. I soli portatili usati erano dei minuscoli rice-

trasmettitori di messaggi pratici e di uso discreto.

La conversazione con sca fu molto più pacata, Jamil raccontò brevemente gli accadimenti e la cosa apionò non poco la moglie che condivideva con lui l’interesse per i misteri della Storia. Si lasciarono con l’accordo che l’indomani ne avrebbero parlato più compiutamente.

Poi salì nella confortevole camera dove, una volta toccato il letto, si addormentò immediatamente.

Caere

Di buon mattino si ritrovarono davanti alla macchina messa a loro disposizione dalla sovraintendenza agli scavi e partirono alla volta di Cerveteri, l’antica Caere, che potevano facilmente raggiungere in meno di un ora.

O’Neil, all’ultimo momento, aveva deciso di non andare, la tomba venuta alla luce il giorno prima imponeva la sua costante presenza, quindi salutò i tre assicurandoli che avrebbe chiamato il sovraintendente di Cerveteri, il professor Franco Martini, che conosceva da tempo, per preannunciare il loro arrivo imminente.

Giunsero agli uffici della necropoli di Cerveteri all’orario di apertura dei cancelli, davanti a questi, ad aspettarli, c’era la figura imponente di un distinto signore vestito con un completo nero e cravatta scura, dalla carnagione abbronzata e molto elegante oltre che nell’abbigliamento, anche nei modi di fare. Si presentò ai tre e li fece accomodare nel suo elegante ufficio.

“Mi ha telefonato pochi minuti fa il mio collega di Vetulonia, il caro O’Neil” – disse con voce ferma e profonda – “Non indicandomi però il motivo della vostra visita. Avete qualcosa in particolare da chiedermi?”

“Siamo qui per chiedervi informazioni…….Hai!”- John si era improvvisamente fermato colpito dal gomito di Jamil che, senza che altri lo potessero vedere, si era rivolto verso l’archeologo e, guardandolo fisso, lo aveva sgomitato violentemente al fianco.

L’archeologo lo guardò prima indignato poi, seguendo lo sguardo di Jamil, si accorse della stella verde con nervature marroni tatuata all’interno del polso del sovraintendente.

“….Riguardo ad una tomba che ci ha segnalato O’Neil, essere particolarmente bella e adorna di meravigliosi bassorilievi.”

“ Certo!” – disse – “E’ senza dubbio la più famosa, è la

“Tomba dei Rilievi” se venite con me ve la posso mostrare in tutto il suo splendore, resterete rapiti dalla sua bellezza!”

Quindi si diresse verso la porta seguito dai tre.

Rimasti volutamente qualche o indietro, mentre Martini si era fermato a parlare con un custode, Hito disse ai due: “Ma siete impazziti, siamo venuti qua per saper qualcosa sui due personaggi con il tatuaggio e voi non chiedete nulla al sovraintendente?”

“Uno dei due è lui!” – disse sottovoce Jamil – “Ne sono sicuro e poi, l’ha visto anche John, ha il tatuaggio anche lui”

“Andiamo signori” – Disse Martini battendo le mani verso i tre – “Andiamo a vedere questa meraviglia!”

Arrivati alla tomba si fece aprire il cancello da un custode, poi invitò gli altri ad entrare. Lo spettacolo, dall’interno della tomba così vicini ai rilievi, era veramente meraviglioso, lo stato di conservazione ottimo e l’insieme denotava la grande capacità artistica dell’antico popolo.

“La Tomba dei Rilievi” – iniziò la lezione il Martini –

“detta anche Grotta Bella, è interessante per via dei bassorilievi e i rilievi in stucco sulle colonne,sui muri intorno alle nicchie sepolcrali, e sopra la banchina in pietra tutt'intorno alla tomba.

Gli oggetti rappresentati per lo più armi ed emblemi di guerrieri, scudi, elmi, corazze, schinieri, spade, lance, cinture, la collana di un nobile, e poi il sacro calice, lo scettro, il cane a guardia dell'uomo anche nell'estremo tragitto, due leoni fissi sul portale della vita o della morte, il tritone, e l'oca che nuota sulle acque e immerge il capo nella grande corrente del principio o della fine delle cose.

Capite bene il significato simbolico di tutto ciò, significato che è del resto in tutto ciò che gli etruschi ci hanno lasciato e che rende particolarmente coinvolgente lo studio di questa antica e ricca civiltà di cui si conosce sempre troppo poco.”

Martini sembrava essere particolarmente convinto di quanto diceva, addirittura mente pronunciava le ultime frasi la sua voce denotava una certa emozione come se l’ammirazione provata per l’antico popolo lo coinvolgesse emotivamente. Certo anni di studio avevano nutrito una sorta de devozione verso la civiltà etrusca, e il poter vivere giornalmente a contatto con i resti di quella gloriosa

stirpe lo riempiva di soddisfazione.

Con lo stesso tono continuò nella spiegazione di alcuni particolari che sicuramente pochi oltre a lui conoscevano, quindi, riprendendo l’aspetto del freddo burocrate, si avviò verso l’uscita senza dire altro. Da questo i tre capirono che la visita era finita, ora dovevano trovare il modo di sapere di più su quei misteriosi tatuaggi e cosa realmente rappresentavano per chi le aveva.

Scambiandosi un cenno d’intesa fra di loro seguirono il sovraintendente nel suo ufficio e, come se questi li avesse invitati, entrarono con lui. D’altra parte non vi erano stati saluti e questo presupponeva che il colloquio non fosse ancora terminato.

Colto da un po’ di imbarazzo il sovraintendente tentò di rimediare aprendo uno sportello dietro di lui e prese tre volumi.

“Questo è l’ultimo libro che ho scritto sulle origini della gente etrusca” – disse Moretti consegnando una copia ciascuno ai tre ospiti – “Spero che vi interessi.”

A quel punto era proprio difficile continuare la conversazione e sia Hito che John stavano per alzarsi dalle loro sedie per andarsene quando Jamil disse, con voce perentoria:

“Professor Martini, avrei da chiederle alcune cose su quanto abbiamo visto, sa, io sono un dilettante rispetto a lei ma insegno storia in un liceo e la civiltà etrusca e soprattutto le sue origini mi hanno sempre interessato.

Custodisco amorevolmente alcuni dei suoi libri che sfoglio con ione ad ogni occasione.

Ora che ho l’occasione di parlare con lei, non posso assolutamente perdere l’occasione di chiederle alcune cose. Naturalmente vorrà inoltre concedermi l’onore di autografare il suo dono prezioso”

L’espressione di Martini cambiò radicalmente, l’accentuata ione ed ammirazione nei suoi confronti con cui Jamil aveva parlato gli fece spuntare una vaga idea di sorriso sul volto prima privo di espressione.

“Mio caro amico” – disse, e già questa era una espressione che si pensava non potesse uscire dalla bocca di Martini – “ Vista questa sua ione possiamo benissimo vederci stasera e sarà mio preciso dovere rispondere a tutti i suoi quesiti, sappia che faccio parte di una organizzazione che ha lo scopo di riscoprire la cultura degli etruschi cercando di trasportarla nella contemporaneità. Ci riuniamo a cena tutte le settimane alla nostra sede presso l’Hotel del Giglio a Roma ed in queste cene partecipano spesso relatori molto importanti che espongono le loro teorie, se vuol venire una di queste cene è proprio questa sera ed io dovrò presentare proprio questo mio ultimo libro. Mi è consentito portare un ospite e mi piacerebbe che fosse lei.”

“Professore” – replicò Jamil – “Sarei entusiasta di partecipare, mi faccia solo organizzare la cosa con la mia famiglia, magari potrei tornare a Perugia, dove abito, dopo la cena.”

“Questo non è un problema” – rispose Martini – “Ci sono soci che vengono proprio da Perugia e certo saranno lieti di accompagnarla.”

“Magnifico” – disse con vera soddisfazione Jamil –

“Sono veramente entusiasta.”

“Va bene, allora ci vediamo qui alle sette stasera e andiamo insieme a Roma, buonasera a voi tutti”

E Martini congedò così i tre immergendosi di nuovo nel proprio lavoro.

Appena usciti dall’ufficio Hito si complimentò con Jamil:

“Ottima idea la tua” – gli disse entusiasta – “Sei riuscito ad entrare nelle sue grazie, così stasera puoi verificare se esiste un collegamento fra questa organizzazione, i tatuaggi e la stella di Cibele.”

“Non ti nascondo che non l’ho fatto solo per questo.” –

rispose Jamil – “Quello che ha detto Martini nella tomba e soprattutto l’entusiasmo che aveva nel parlare della civiltà etrusca mi ha impressionato ed incuriosito, non vedo l’ora di parlare un po’ con lui stasera.”

“ Mi raccomando.” – intervenne John – “Non dimenticare perché sei lì e cosa devi verificare, il contagio si sta diffondendo in un modo veramente preoccupante e dobbiamo in tutti modi capire di più su quanto sta avvenendo.”

Comunque rimaniamo così, domani mattina io e Hito veniamo a Perugia e tu ci racconti gli sviluppi della cosa, in base a questo decidiamo come agire.”

“Io o poco da decidere” – disse Jamil con un certo rammarico – “La scuola e la famiglia non mi permettono di seguire con voi questo caso ma spero vivamente che riusciate a venirne a capo.”

“Ora che sei entrato in contatto con l’organizzazione, se è la traccia giusta, non puoi certo mollare tutto per faccende personali.” – Replicò Hito – “Capisci bene l’importanza di quello che sta accadendo, se non fermiamo la diffusione, riuscendo a capire come avviene, le ripercussioni possono essere gravissime.”

“Bene ora lasciatemi mangiare qualcosa, poi mi riposerò prima di telefonare a mia moglie per comunicargli il nuovo ritardo, so già che la cosa non sarà di suo gradimento.

Diversamente da quanto pensava Jamil, sca si dimostrò d’accordo con la scelta del marito e addirittura disse:

“Certo che ci devi andare e mi raccomando, non fare come di solito, guardati attorno attentamente e quando torni a casa se dormo, svegliami e raccontami tutto.”

“Jamil, sorpreso ma felice di aver evitato una nuova discussione, salutò calorosamente sca e si diresse verso il luogo dell’appuntamento con Martini.

Puntualissimo Martini arrivò e fece salire Jamil nella sua auto, poi partirono per Roma.

La Sala Rossa

Il viaggio fu piacevole, Martini preferì percorrere la strada costiera dicendo che erano in anticipo quindi tanto valeva godersi un panorama unico come quello della costa tirrenica. In effetti il colore del mare era di un azzurro intenso e, all’orizzonte, sembrava fondersi con il cielo radioso, al largo si scorgeva solo qualche vela bianca essendo da tempo severamente proibito ai mezzi a motore quel tratto di mare.

La conversazione con Martini fu interessante e brillante, in alcune frasi riuscì ad essere persino spiritoso.

Purtroppo i tentativi di Jamil di parlare di argomenti attinenti all’attività dell’organizzazione e ai suoi scopi reali, oltre lo studio dell’antica civiltà, furono abilmente sorvolati dal sovraintendente.

Lasciarono la costa quando ormai erano in prossimità della capitale e imboccarono un modernissimo svincolo che le depositò sulla sopraelevata che circondava Roma.

Martini imbocco una delle prime uscite e, dopo poco tempo, erano nel parcheggio dell’Hotel.

Certo erano ben lontani i tempi in cui le città erano affogate di auto a benzina e di smog come gli avevano raccontato i suoi genitori, i più che efficienti mezzi pubblici che viaggiavano in continuazione sia sotto che sopra la città garantivano

spostamenti rapidi e sicuri, i pochi mezzi privati che per ragioni contingenti dovevano circolare in città, non rilasciavano nessuna emissione nociva ed erano silenziosissimi.

Entrati nell’hotel in anticipo per l’ora della cena Martini disse a Jamil: “Amico mio, le dispiace se la lascio solo fino all’ora di cena, volevo riare la presentazione ed integrarla in alcuni punti.”

“Non ci sono problemi” – Disse Jamil – “Ci troviamo qui alle nove se per lei va bene.”

Si lasciarono e Jamil iniziò a girellare per la hall dell’albergo scuriosando in giro mentre, con la coda dell’occhio, sorvegliava le mosse di Martini.

Lo vide avviarsi verso un ascensore più piccolo e discosto rispetto ai tre principali, ed entrare, usando una chiave che aveva in tasca. La cosa gli sembrò molto strana, perché Martini aveva la chiave di un ascensore di servizio dell’hotel? E soprattutto, dove portava quell’ascensore?

A quel punto si mise a sedere ad un tavolo vicino alla porta nascondendosi dietro ad un giornale aperto.

Dopo poco vide lampeggiare la luce che indicava che l’ascensore stava salendo e Martini uscire e dirigersi verso la sala del convegno.

Stava per alzarsi quando l’ascensore venne nuovamente chiamato, Jamil aveva

notato che la porta era molto lenta a richiudersi, quindi, appurato che nessuno fosse nei paraggi, si avvicinò sempre con il giornale davanti agli occhi.

Dopo pochi secondi uscì un altro uomo, sembrava la controfigura di Martini, anche lui alto, abbronzato e elegantissimo, si avviò frettolosamente verso la sala senza degnare Jamil di un’occhiata.

Approfittando del momento Jamil si infilò nell’ascensore e premette l’unico tasto che c’era.

Mentre scendeva velocemente pensò che, molto probabilmente, si sarebbe pentito di quello che stava facendo e della sua smodata curiosità che lo avrebbe di nuovo cacciato nei guai.

Fortunatamente la porta si aprì su un piccolo corridoio deserto, la moquette rossa in terra e le pareti adornate di riproduzioni di arte etrusca rendevano l’ambiente molto diverso dal resto dell’Hotel.

Sul corridoio si affacciavano tre porte, due laterali ed una in fondo.

Jamil si diresse direttamente verso quella in fondo, più grande delle altre due, a doppia anta.

Accostò l’orecchio alla porta e, non sentendo alcun rumore provenire dall’interno, provò molto lentamente a girare la maniglia che non oppose resistenza, aprì lentamente e, non vedendo nessuno, entrò.

La stanza era a pianta quadrata, le pareti erano adorne, come il corridoio di pitture in stile etrusco di colore nero con sfondo rosso come la moquette, alternate con piccoli specchi.

Al centro stava un imponente tavolo a forma di ferro di cavallo con una decina di sedie dalla spalliera molto alta, tutte delle stesse dimensioni.

Non notando nient’altro uscì dalla sala per esplorare le altre due stanze.

Quella di destra era aperta e sembrava un ripostiglio con ammassati disordinatamente libri e fascicoli vari. In un lato della stanza si apriva un'altra porta che nascondeva una scala a chiocciola che saliva al piano superiore.

Notò una piccola finestrina che dava direttamente nella sala principale, molto probabilmente non l’aveva vista nella sala perché nascosta da uno dei piccoli specchi.

Poi uscì e aprì l’altra porta che dava su una stanza delle stesse dimensioni ma molto più ordinata, doveva essere un guardaroba, vi erano numerosi ganci con appese delle tuniche rosse porpora bordate di nero e, sulle mensole sopra ai ganci, degli strani copricapo dello stesso colore a forma di tubo molto alti.

Ne contò dodici, poi uscì e solo allora pensò a come risalire, doveva solo sperare che nessuno lo vedesse quando apriva la porta nella hall. Poi si ricordò nella scala a chiocciola e si diresse verso la stanza magazzino. Iniziò a salire al buio e, quando si trovò davanti ad una porta girò la maniglia e uscì ritrovandosi nel

garage dell’hotel.

Jamil non sapeva perché ma, vedendo che la porta si apriva solo dall’interno non avendo maniglie all’esterno, fece come aveva visto in un film, tenendo la porta aperta con un piede prese dal portafogli una tessera magnetica, doveva essere quella dell’ingresso alla biblioteca cittadina, e la sistemò a contrasto con la serratura chiudendo delicatamente la porta, in modo che si potesse aprire dall’estero.

Poi si diresse verso l’uscita del garage salendo per la rampa da dove avano le auto.

Appena fuori girò lo sguardo verso l’hotel e subito incrociò lo sguardo con quello di Martini che, seduto su un tavolo nel giardino di fronte all’ingresso dell’albergo insieme ad altri con un aperitivo in mano, lo scrutava con aspetto interrogativo.

Poi si alzò e si diresse verso di lui trasformando la sua espressione perplessa in un aperto sorriso e dicendo:

“Salve professore, l’avevo cercata, fra poco inizia la conferenza e poi la cena, le volevo presentare degli amici di Perugia che si sono offerti di riaccompagnarla a casa dopo cena.”

Fatte le dovute presentazioni con due persone non più giovani, uno dall’aria svagata di studioso sempre con la testa fra le nuvole, vestito con un completo tabacco di lino che aveva visto sicuramente giorni migliori, l’altro che sembrava appena sbarcato da uno yacht, cosa improbabile nel centro di Roma,

abbronzatissimo con giacca blu, bottoni dorati e stemma marinaro sul taschino, capelli lunghi e ben curati.

I due si presentarono uno come suo collega professore di filosofia nell’altro liceo di Perugia, l’altro, lo skipper, come un avvocato con studio a Spoleto. Si dettero appuntamento per la fine della cena, nella hall dell’albergo. Poi si diressero tutti verso la sala del convegno.

All’entrata un cartello annunciava:

Circolo dei Nuovi Rasna

Hotel del Giglio

Roma, 3 luglio 2053

Il professor Franco Martini parlerà del suo nuovo libro:

“Il lungo viaggio dei Rasna”

I Nuovi Rasna

Quando tutti i partecipanti, Jamil ne contò circa ottanta, furono seduti, entrarono da una stanza laterale dodici persone che presero posto nel tavolo della presidenza, fra queste dominava la statura di Martini, impeccabile nel suo completo blu. Jamil scorse anche l’uomo che era salito con l’ascensore dopo Martini, il quale sedette accanto a quella che doveva essere la figura principale alla quale era stata riservata una sedia con la spalliera più alta e imponente al centro del tavolo.

Per la verità, rispetto agli altri uomini a donne, tutti elegantissimi e di aspetto regale, la “presidente del circolo”, così fu chiamata poi nella presentazione, sembrava più una massaia appena tornata da fare la spesa e pronta a mettersi ai fornelli per cucinare. Era bassa e grassottella, vestita in modo certo non appariscente e con capelli di un biondo pallido pettinati un po’ all’antica. Ma nel contesto della persona quello che colpiva erano degli occhi di un blu profondo, scurissimo che quasi tagliavano la sala guardando verso i partecipanti. Sembrava quasi che il viso fosse diviso in due parti, mentre la bocca piccola e ben disegnata era perennemente atteggiata ad un debole sorriso, gli occhi, severi riflettevano un carattere d’acciaio con una velatura di malinconia. La malinconia di chi non trova nessuno al suo pari ed è per questo irrevocabilmente condannata alla solitudine.

Jamil, dal suo posto la squadrava con interesse, non sapeva che molto presto, sarebbe stato lui il destinatario di quello sguardo di ghiaccio.

Dopo il saluto di prassi alla presidente, a tutti i partecipanti ed al comitato dei dodici che rappresentavano l’organo decisionale del circolo, la presidente introdusse Martini per la presentazione del suo ultimo lavoro. Martini, con

studiata lentezza, si alzo dal suo posto e si avviò verso il leggio con pochi fogli di appunti in mano, un leggero colpo di tosse, poi iniziò a parlare con voce calda e ben modulata:

“Buona sera carissimi amici, ringrazio tutti i ed in particolare la presidente Jaqueline Bliss per aver permesso questa mia presentazione” – Dicendo questo si rivolse alla “massaia”

che ricambiò il saluto con un impercettibile gesto del capo – Questo che vi presento è il mio quinto libro sulla civiltà etrusca, civiltà che ho iniziato a studiare ed amare anche prima di laurearmi e che mi ha portato ora a ricoprire il ruolo di sovraintendente alla necropoli di Caere, incarico per me di massima soddisfazione.

Scendendo un po’ nei particolari il libro tenta di spiegare le varie ipotesi sulla provenienza degli etruschi mettendo in rilievo le similitudini esistenti con altre civiltà che potrebbero far pensare ad una sorta di origine comune.

La lingua parlata dagli etruschi non ci è di molto aiuto nella ricerca in quanto risulta di diretta derivazione dal “sanscrito” che è poi all’origine di tutte le lingue.

L’ipotesi ufficiale e condivisa dal mondo accademico tradizionale afferma che gli etruschi sono un popolo autoctono dell’Italia centrale ed è qui che è nata, si è sviluppata ed è morta la loro civiltà.

Ora questa ipotesi sembra sorata da quella che vede l’origine degli etruschi in Lydia, a oriente di Smirne, citando Erodoto che scrive: "Raccontano i Lidi

che sotto il re Atys, figlio di Manes, vi fu in Lydia una grande carestia; per un po’ la popolazione vi tenne fronte, ma poi, visto che non cessava, … il re divise il popolo in due parti… A capo dei designati a rimanere pose se stesso; degli altri designati a partire, il proprio figlio Tirreno. Gli esuli scesero a Smirne, costruirono delle navi…e salparono alla ricerca di una nuova terra…, finché dopo aver costeggiato molti paesi, giunsero presso gli Umbri dove fondarono città che tuttora abitano…"

Da Tirreno poi il nome tirreni e quindi etruschi o meglio Rasna, come essi stessi si appellavano.

Ma una terza ipotesi sta crescendo d’importanza anche se ritenuta quasi blasfema dai tradizionalisti. C'è chi sostiene che i veri antenati erano i toltechi, la terza sotto-razza principe della stirpe che viveva nel misterioso continente di Atlantide. I toltechi erano giganti dal colore della pelle rosso e dall’altezza superiore a quella degli altri popoli, erano abilissimi nell’edilizia e nelle arti e costruirono una civiltà evoluta e moderna prima che la catastrofe naturale si fosse abbattuta sul continente facendolo sprofondare. I toltechi che ebbero il tempo di lasciare Atlantide si diressero in diverse direzioni, verso le Americhe dove fondarono la dinastia inca e degli indiani del Nordamerica, verso il Mediterraneo dove fecero nascere le civiltà egizia ed etrusca.

Il colore rosso della pelle distingue i discendenti dei Toltechi, ed è il colore rosso che vediamo negli affreschi della tomba di Triclinio e in quella degli Auguri a Tarquinia dove, uomini dalla pelle rossa sovrastano altri, di basso rango e dal colore più chiaro, e infine è il colore rosso che domina nella cultura egizia, in quella inca e negli indigeni del Nordamerica.

Grazie alla loro antica civiltà gli etruschi erano un popolo mite e non dedito alle armi a meno che non fosse minacciata la loro stessa sopravvivenza. Conquistavano le città limitrofe con la forza della civiltà, del progresso, come accadde anche con Roma dove molti dei re furono di origine etrusca.

Dopo Anco Marzio divenne il quinto re di Roma l’etrusco Tarquinio Prisco, ricco abitante di Tarquinia che fu fautore di opere importanti per lo sviluppo dell’Urbe come il drenaggio delle acque del Tevere, l’edificazione del Foro Boario, del Circo Massimo e del Tempio di Vesta.

Roma, da semplice villaggio di palafitte su una palude diventerà una delle dodici città dell’Etruria fino a che la componente avversa agli etruschi non insorgerà e, con una dura battaglia prima di palazzo e poi in armi, li respingerà di nuovo verso il loro territori di origine e poi, con l’avvento della repubblica, le assoggetterà definitivamente.

Terminò qui la mia esposizione scusandomi se ho annoiato qualcuno e ringraziando per l’attenzione.”

Così terminò Martini tornando al suo posto mentre i presenti applaudivano. Quindi prese la parola la presidente.

Jaqueline Bliss si schiarì a sua volta la voce ed iniziò a parlare, sempre in netto contrasto con il suo aspetto, la voce era ferma e sicura dal tono quasi maschile.

“Ringrazio il professor Martini che, con le sue pubblicazioni ed i suoi interventi ci fa capire meglio di altri la grandezza della civiltà dei Rasna.

Vi ricordo che il nostro scopo, lo scopo della nostra associazione, non è solo quello di studiare la società, l’arte e la concezione politica di un popolo, ma è quello di portare nel presente quanto di buono vi era nel ato.

Ora più che mai, ora che i valori morali sono in piena decadenza, che l’arte viene assimilata a strani congegni elettronici ed effetti speciali, che la poesia diventa sempre più incomprensibile e falsa, che l’economia non premia i virtuosi ma solo gli speculatori, ora è importante rifarsi ad antiche virtù” – a questo punto il tono si fece glaciale come i suoi occhi e le parole che pronunciò colpirono Jamil profondamente – “E soprattutto sgombrare il campo da falsi ed ipocriti pregiudizi sulla presunta eguaglianza fra popoli e razze, solo una è destinata a dominare per il bene dell’intera comunità, solo quella che discende dai più illuminati e saggi, solo quella dei Rasna!”

Aveva pronunciato queste parole come se improvvisamente, avesse preso il sopravvento su di se un'altra persona, forse si accorse di questo e mitigò quanto aveva detto con un largo sorriso dicendo:

“Naturalmente questo è solo nel libro dei sogni, ora pensiamo ad altro e godiamo dell’arte e della conoscenza che ci hanno tramandato, e godiamo anche dell’ottima cucina dell’hotel che ci ospita. Possiamo andare a cena!”

Le ultime parole furono accolte con un sospiro liberatorio e, come una scolaresca al suono della camla, tutti si alzarono rumorosamente e si avviarono verso l’uscita della sala.

Solo Jamil rimase al suo posto, defilato in fondo alla sala, le parole pronunciate dalla presidente gli riaffioravano nella mente, non pensava che ora potesse esserci ancora qualcuno che riteneva una razza superiore alle altre, ora che qualsiasi forma di discriminazione sembrava rilegata al secolo ato e che il concetto stesso di razza era sempre più relativo. Le immagini viste nei documentari che riportavano gli atti atroci compiuti dall’umanità accecata dal concetto di diversità razziale gli scorrevano in mente gettando un ombra ancora più cupa su quella strana e anacronistica organizzazione. I dodici intanto erano

rimasti sul palco a parlottare fra loro, la presidente sembrava quasi scusarsi con gli altri per la foga del suo discorso e l’atmosfera era molto tesa. Poi si avviarono tutti fuori mentre Jamil si nascondeva dietro un pannello seguendoli con gli occhi.

Non si diressero verso la sala da pranzo ma direttamente all’ascensore che portava nel corridoio rosso. Con molta probabilità , pensò Jamil, avrebbero indossato quegli strani paramenti e seduti al tavolo a ferro di cavallo dove si sarebbe tenuto il consiglio. Non poteva rinunciare a verificare la pericolosità effettiva dell’organizzazione, doveva per forza assistere a quel consiglio pur sapendo i rischi che correva entrando dal varco dal garage.

Il Consiglio

Jamil si diresse verso l’ingresso del garage, poi verso la porticina nascosta dove aveva lasciato la carta per impedirne la chiusura. Nel buio trovò la carta che sporgeva, e, con le dita, aprì la porta delicatamente cercando di fare meno rumore possibile. Mentre faceva questo la carta gli scivolò fra le dita sudate per la tensione.

Jamil imprecò silenziosamente e, mentre con un piede teneva aperto il battente, si piegò cercando a tentoni la carta nel buio, cosa praticamente impossibile. Stava ancora provando quando il rumore di un auto e due fari che tagliavano l’oscurità lo fecero sobbalzare, preso dal panico entrò nello sgabuzzino e la porta si chiuse alle sue spalle. Si sedette sugli scalini per riprendere fiato e la calma necessaria, poi pensò che avrebbe recuperato la carta dopo, e si avviò verso la finestrella nascosta.

I consiglieri non erano ancora seduti e parlottavano fra loro a gruppetti, erano vestiti con le tuniche rosse con bordi neri che erano nello spogliatoio, e gli strani cappelli a tubo erano posati nel tavolo, ordinatamente secondo la disposizione delle sedie.

Dopo poco fece il suo ingresso la presidente seguita da Martini e da un’altra consigliera più giovane e di bell’aspetto.

Quello era il segnale di inizio e tutti presero posto intorno al tavolo.

“Prima di iniziare porgiamo il nostro saluto a Trina, Uni e Menvra che ci indichino la giusta via da seguire e indossiamo il sacro copricapo che ci pone al cospetto del cielo e di Trina, dichiaro aperto il consiglio dei Lucumoni.” – Disse la presidente come una cantilena ormai consueta per l’evento – “Voglio precisare subito che non accetto alcuna critica su quanto ho ritenuto di dire davanti all’assemblea” – continuò cambiando tono con la freddezza che Jamil aveva già notato nella sala del congresso. – Ritengo che non sia più il caso di nasconderci anche ai nostri fratelli, tutti devono sapere quale è realmente la nostra missione e chi non è d’accordo è tempo che si tiri indietro e ci lasci compiere il nostro destino, ora procediamo, ci son notizie dal nostro Fratello Occulto?” – disse rivolgendosi ad un consigliere che sedeva dalla parte opposta del tavolo.

“Sorelle e fratelli del consiglio dei lucumoni” – disse l’interpellato, con voce tremolante ed emozionata – “Il Fratello Occulto mi ha confermato che tutto procede secondo i piani e che la divina stella di Cibele ha colpito nei punti stabiliti con la precisione necessaria a non gettare allarme nelle masse ma a rendere nota ai pochi le nostre potenzialità distruttive.”

“E’ bene far conoscere la potenza che Trina ci ha concesso per sottomettere i deboli ed imporre il suo divino potere!” - Disse interrompendolo la presidente –

“Continui!”

“E’ proprio quello che stiamo facendo, per quanto riguarda i successivi interventi e lo sviluppo del nostro progetto fino al suo compimento è stato indetto un consiglio supremo ed è per questo che sono qui, per chiedere la sua disponibilità a recarsi fra sette giorni a Rock Springs, nel ranch che il Fratello Occulto ha messo a nostra disposizione.”

“Sarò certamente presente” – disse la presidente – “non posso certo mancare.

Franco!” – disse poi rivolgendosi a Martini – “Tu verrai con me a Rock Springs, organizzati per tempo!”

Martini assentì con un gesto della testa, d’altra parte non sembrava che il tono della presidente ammettesse repliche!

“Ora che il consiglio è aperto e la luce divina è su di noi invito chi ha qualcosa da dire a farsi avanti”.

A queste parole della presidentessa si alzarono due mani, una di una giovane signora di aspetto elegante e di lineamenti moto piacevoli, l’altra di un tizio sui cinquanta dall’aspetto curato e dai capelli completamente bianchi.

“Bene Jane” – disse rivolta alla signora – “Sentiamo cosa ci deve dire, poi toccherà a lei Claudio!”

“ Fratelli e sorelle del consiglio.” – inizio Jane un po’

intimorita ma con piglio deciso – “La nostra organizzazione con questa operazione sta definitivamente lasciando la politica fin qui percorsa che ci ha permesso di diffondere la nostra verità pur assumendo un profilo non evidente ai più e senza esporci in modo aggressivo.

Quello che stiamo facendo ci farà per forza conoscere, e state certi che troveremo chi avverserà le nostre idee e cercherà di annientarci Inoltre la diffusione della stella di Cibele provocherà carestie e danni irreparabili di cui

dovremo assumerci la responsabilità, questo non può che nuocere alla nostra azione di proselitismo futura, chiedo dunque al consiglio di ripensare all’intera operazione e ridimensionare il nostro intervento.”

Dal consiglio si notarono dei vaghi segni di approvazione, anche se lo sguardo di tutti era rivolto verso la presidente il cui volto nulla faceva trapelare.

“Ora sentiamo cosa deve dirci Claudio, a lei la parola.”

“Ritengo che le parole di Jane siano dettate più dalla paura che dalla ragione. Vorrei ricordare al consiglio che la nostra unica missione è quella di vendicare gli antichi Rasna dall’umiliazione che la loro cultura e la loro civiltà superiore subì da Roma che rappresentava il potere mondiale in quei tempi. Questo è il momento di vendicare tutto ciò usando proprio l’antico sistema dei nostri antenati che combattevano i nemici con le armi solo in rare occasioni preferendo sottomettere i popoli facendogli conoscere la loro civiltà superiore. Poi procedevano ad introdurre fratelli Rasna in posizioni di particolare importanza decisionale e quindi alla presa di potere effettiva. E se qualcosa non andava ricorrevano alla sacra Stella di Cibele spargendo i suoi semi nelle coltivazioni dei popoli nemici fino a distruggere tutto intorno ed a loro. Così, dopo poco tempo una tremenda carestia si abbatteva sulla popolazione e solo i Rasna potevano salvarli in cambio del controllo della città. Con Roma non ci fu bisogno di usare la stella di Cibele infatti fu dominata dai re etruschi fino alla caduta dell’ultimo, Tarquinio il Superbo, e la presa di Veio, considerata la capitale dell’Etruria.

Noi, in questa fase, non intendiamo assolutamente imporci in forze allo scoperto, come erroneamente crede Jane, anzi vogliamo mostrare il nostro potere e ciò che possiamo fare ai pochi che possono decidere costringerli così a concederci le leve di potere occulto dalle quali poi potremo gradualmente imporre la nostra verità e la verità di Trino.”

A queste parole i gesti di approvazione furono più convinti e quasi unanimi, solo Martini, notò Jamil, si fece scappare un impercettibile movimento del capo in segno di dissenso per poi tornare immediatamente alla solita espressione indecifrabile.

“Bene!” – intervenne la presidente – “A mio parere le motivazioni di Claudio sono ineccepibili, egli ha illustrato perfettamente i futuri sviluppi dell’operazione che non è affatto destinata a rendere nota a tutti la nostra missione ma a permettere ancora più profondamente di ora la nostra presenza là dove sono prese le decisioni cruciali.

Come già sapete non è da ora che influenziamo e incanaliamo attraverso nostri adepti le scelte politiche ed economiche di vari paesi e grosse multinazionali. La nostra azione di interferenza è iniziata da tempo producendo risultati eclatanti e, soprattutto, mettendoci al riparo dall’attenzione dei più. Ora l’uso della stella di Cibele, riprodotta per noi nei laboratori di genetica delle industrie chimiche di proprietà del Fratello Occulto, ci farà fare un grosso balzo in avanti nella nostra strategia di sempre.

Se non c’è altro da dire dichiaro chiuso il consiglio, potete andare.”

E a queste parole tutti si alzarono per andare a togliersi gli assurdi paludamenti.

Jamil, più silenziosamente che poteva, si incamminò verso la scala a chiocciola e uscì dalla porta sempre al buio dimenticandosi completamente della tessera che aveva perduto e che si era proposto di cercare prima di lasciare i locali.

Entrato nella hall subito trovò i due che dovevano accompagnarlo a Perugia che lo stavano cercando fra i presenti.

“Ma dove si era cacciato!” – disse il “capitano” non l’ho vista neppure a cena, ma ora è tardi e dobbiamo fare diversi chilometri, venga andiamo alla macchina.

Poco fuori, nel parcheggio entrarono nell’auto e partirono verso Perugia.

La Squadra

Tolta la tunica Martini decise di non rientrare in hotel, conosceva perfettamente i locali e sapeva che dal magazzino si accedeva, attraverso una scala a chiocciola, direttamente nel garage dove aveva lasciato la sua auto.

Dopo un cenno di saluto agli altri si avviò frettolosamente verso l’uscita e quando aprì la porta che dava sul garage la luce dei fari di una macchina che ava illuminò per un attimo una tessera bianca per terra.

Martini si chinò a raccoglierla certo che appartenesse ad uno dei consiglieri, infatti solo loro potevano essere ati da quella porta.

Era troppo stanco e non aveva voglia di tornare indietro per cercare il proprietario, quindi se la mise in tasca riproponendosi di chiamare il giorno dopo chi l’aveva persa. Sali nella sua auto e partì verso Cerveteri.

Jamil entro in casa, dopo aver ringraziato i due accompagnatori, che era notte fonda e sia sca che Luca dormivano profondamente. La fame gli stringeva lo stomaco, era praticamente dalla mattina che non mangiava quasi nulla e non era certo il tipo da saltare i pasti. Aprì il frigorifero e fu preso dallo sconforto più assoluto, amava sua moglie ma di certo con lei non condivideva l’amore per il buon cibo. sca era così impegnata e attiva che considerava il mangiare come una perdita di tempo e, di conseguenza, si guardava bene da rifornire il frigorifero e la dispensa adeguatamente. I loro pasti erano spesso costituiti da cibi precotti e surgelati e la pura gioia che provava Jamil nel mangiare bene era soddisfatta solo quando la convinceva a mangiare fuori.

Conosceva tutti i ristoranti della zona e addirittura qualche cameriere gli dava del tu da quanto ormai erano entrati in confidenza.

Ma a quell’ora era improponibile cercare fuori, prese del latte e lo scaldò mangiandoci poi due scatole di biscotti di Luca. Poi salì in camere, si svestì ed entrò in bagno. Sotto la doccia provò a fare il punto di quanto aveva sentito.

Certo la situazione era veramente complessa e serviva un intervento immediato, non vedeva l’ora di parlarne con gli altri. Restò dentro la doccia più del solito per lavare via tutta la tensione accumulata quel giorno, poi si butto sul letto e si addormentò immediatamente.

Gli sembrava di essersi addormentato massimo da dieci minuti quando sentì la voce di sca che lo chiamava scuotendogli le spalle: “Sveglia Jamil. – stava dicendo –

“Svegliati, ci sono due giù che ti vogliono, uno è un orientale e l’altro è un ragazzone alto e grosso che sembra un giocatore di rugby e ti stanno aspettando!”

Jamil stava man mano riprendendo conoscenza e non capiva bene cosa voleva da lui sca. Sempre nella più assoluta incoscienza si ritrovò sotto la doccia e solo quando aprì l’acqua riuscì a rimettere in moto il suo cervello. Messo l’accappatoio scese da basso dove, in cucina, i due stavano prendendo un caffè fatto da sca, che anche in questo non era assolutamente capace e, a testimonianza di ciò, la bocca dei due era atteggiata ad una strana smorfia.

Jamil si ritrovò una tazza di caffè bollente in mano e vide a malapena sca che usciva dicendogli: “Io scappo sono in ritardo pazzesco, tu oggi sei libero quindi fra un ora sveglia Luca e portalo a scuola, ciao!”

Poi salutò gli altri e si volatilizzò d’incanto.

“Molto simpatica tua moglie Jamil” – disse Hito – “E poi così attiva”

“Sì, a volte anche troppo” – gli rispose Jamil – “Ma ora veniamo a noi!

Gli raccontò dettagliatamente cosa era successo la sera prima fin dal viaggio con Martini. Quando rammentò gli dei che veneravano i Nuovi Rasna John asserì dicendo che erano le principali divinità etrusche adottate poi dai romani come Giove, Minerva e Giunone. Inoltre disse che il consiglio dei Lucumoni era il massimo potere esecutivo del popolo etrusco e riuniva i lucumoni delle dodici principali città, parlò poi dei copricapo che Jamil gli aveva descritto insieme alla tuniche rosse.

“Erano i copricapo usati dai fulguratores, la massima espressione dei sacerdotiscimani etruschi.” – spiegò John - “Questi interpretavano il futuro attraverso la visione dei fulmini a seconda del loro posizionamento in relazione a coordinate ben precise. Considerato che, come anche presso i greci prima e i romani poi, Zeus/Giove/Trina era il signore degli dei e colui che lanciava i fulmini nel cielo, i fulguratores interpretavano direttamente il volere del signore degli dei ed erano quindi i più importanti.”

Quando Jamil terminò il racconto ci fu un attimo di silenzio preoccupato.

“La situazione è più grave di quanto credevamo” – ruppe il silenzio Hito – Loro sanno come diffondere la pianta a stella e noi non riusciamo assolutamente a debellarla.

Possono colpire dove vogliono indisturbati e saremo costretti a cedere alle loro richieste.”

“Ma non saranno così incoscienti da diffondere quella piaga terribile senza avere la possibilità di controllarla!” - -

rifletté ad alta voce Jamil – “Nessuno può essere così pazzo. Inoltre ho sentito chiaramente che la stella era usata dagli etruschi per conquistare una città nemica distruggendo con la pianta parassita le coltivazioni e riducendoli alla fame!”

“Questo significa che loro conoscevano il sistema per rendere di nuovo fertili le piantagioni dopo essersi impossessati del potere” - Intervenne John - “Altrimenti non avrebbe avuto senso conquistare una città ridotta allo stremo per sempre.”

“Jamil” – disse poi Hito – “Il tuo aiuto è stato importante ed ora conosci tutti i componenti del consiglio e le loro posizioni, quindi devi continuare a collaborare con noi, dobbiamo formare una squadra che cercherà di andare in fondo a questa brutta storia. Avvertiremo le autorità internazionali ma non possiamo pretendere nulla da loro se non che si continui a studiare in laboratorio questa misteriosa pianta per trovare il sistema di debellarla. Solo noi ci possiamo muovere con la dovuta velocità non avendo ostacoli burocratici a cui sottostare.

Ora John andiamo a riferire a Gherardo e decidiamo una strategia da seguire, senz’altro dovremo andare negli Stati Uniti dove potremo sapere di più di questo consiglio supremo, comunque vedremo poi. Ciao Jamil, ci sentiremo molto presto!”

Anche John salutò con un gesto del capo, poi i due se ne andarono.

Jamil rimase interdetto pensando alle conseguenze di quello che aveva detto Hito, poi, d’improvviso lo sguardo gli cadde sull’orologio. “Luca!” – pensò – è tardi, devo portare Luca a scuola immediatamente.”

Fece i gradini a quattro per volta e spalancò la porta della camera di Luca, piombò dentro e iniziò a urlare: “Dai Luca alzati, è tardissimo!”

Si capiva benissimo che Luca era suo figlio, aveva la stessa sua difficoltà a svegliarsi al mattino e riprendeva conoscenza solo dopo del tempo.

Comunque ce la fece e dopo solo dieci minuti erano in macchina tutti e due spettinati e vestiti non proprio accuratamente, ma pronti per partire.

Mentre Jamil guidava Luca mangiava qualche biscotto visto che la colazione era saltata.

“Mi raccomando.” – implorava Jamil – Non dire assolutamente nulla alla mamma, ecco, siamo arrivati vai a scuola forse ancora sei in tempo.”

In effetti, battendo tutti i loro record di risveglio improvviso, erano riusciti ad arrivare a scuola in tempo.

Più calmo Jamil girò l’auto e ritornò verso casa. Arrivato uscì dalla macchina e si diresse verso il portone. Pensò

“ma guarda che scemo, nella fretta ho lasciato la porta aperta.”

Entrò e si diresse spedito verso la cucina per farsi finalmente un caffè decente.

“Buongiorno Jamil.” – disse una voce alle sue spalle – “Se vuoi un caffè l’ho fatto proprio ora io, quello che era avanzato nella macchinetta aveva un sapore orribile.”

Jamil si girò di scatto e incrociò lo sguardo di Franco Martini che lo fissava comodamente seduto sul divano con una tazzina fumante in mano.

Martini

“Se non sbaglio questa tessera deve appartenere a lei” -

Disse Martini mostrandogli la tessera della biblioteca che aveva raccolto sul pavimento accanto alla porta nel garage dell'hotel. - “Molto probabilmente l'ha dimenticata quando è uscito nel garage dopo aver spiato la nostra piccola riunione fra amici.” - poi alzandosi e dirigendosi verso di lui - “Era dunque questo che volevate, lei ed i suoi amici, spiare la nostra organizzazione. Ma è stato uno sbaglio da parte sua, noi siamo molto più potenti di quanto può sembrare e ostacolarci può essere molto pericoloso!”

“Ma” - disse titubante Jamil - “Come ha fatto a trovarmi, la tessera è anonima, non c'è il mio nome!”

“Sì ma vedendo il marchio della Biblioteca di Perugia mi è subito venuto in mente lei, poi è bastato andare là e prendere un libro con la tessera. Sulla nota di consegna come vede.” - disse mostrandogli un foglio con l'intestazione della biblioteca. -”C'è il suo nome e l'indirizzo. Niente di più facile!, A proposito questo è il libro non dimentichi di restituirlo!”

Il tono sarcastico nelle ultime parole non piacque per nulla a Jamil che, vedendo che la situazione si faceva preoccupante, tentò di replicare a Martini: “Certo che vi ho spiato” - disse con tono concitato - “E non credevo mai di sentire oggi, in Italia, discorsi come quelli che ho sentito in quella “riunione fra amici” come dice lei.

Quella donna che voi chiamate devotamente presidente, è completamente pazza e chi la pensa come lei è egualmente da rinchiudere. Fortunatamente siete destinati alla sconfitta e nulla e nessuno potrà salvarvi. Quello che avete in mente è diabolico quanto stupido, ma pensate davvero di poter ricattare il mondo intero con una piantina? Quelli che erano con me a Cerveteri stavano appunto studiando questa cosi detta “Stella di Cibele” e dai loro discorsi ho capito perfettamente che sanno già come proteggere le colture da questa pianta infestante.” -

Jamil si accorse che stava forse esagerando ma ormai era partito e, come diceva sca, era come un treno in corsa. Notò comunque che l'espressione di Martini era cambiata quando, chiaramente mentendo, aveva detto che avevano già trovato la soluzione e continuo su quella strada.

“Non penserete mica che voi, vestiti con quelle ridicole palandrane rosse e quei cappelli a tubo, possiate seriamente impensierire le migliori menti del pianeta, addirittura imporre la predominanza di una razza sulle altre, mi creda, guardandovi dall'estero tutto è estremamente ridicolo.”

A quelle parole Martini sembrò perdere un poco della sua sicurezza, molto probabilmente Jamil non aveva fatto altro che dirgli cose che anche lui pensava. Finché si era trattato di immaginare astrattamente una civiltà che si rifaceva ad una cultura antica e pregevole era un conto, ma l'ossessione di Jaqueline, la presidente, di imporre la presenza di membri della comunità nelle leve di potere non era piaciuta a Martini. Poi questa operazione concordata con un personaggio, chiamato il “Fratello Occulto”, di cui poco si sapeva e quel poco non era certo positivo gli appariva assurda e pericolosa. Inoltre il non velato razzismo che traspariva dalle ultime parole della presidente era quanto mai allarmante. Egli aveva ricoperto la carica che ora era di Jaqueline per anni, poi, una specie di fronda interna, l'aveva relegato in una posizione marginale eleggendo la nuova presidente.

L'organizzazione, sotto la sua influenza aveva un impronta più culturale e le riunioni erano piacevoli dissertazioni su estetica e filosofia. Ora sembravano davvero personaggi di un film di scarsa fantasia su complotti internazionali. Aveva fatto benissimo a venire qui senza avvertire gli altri membri del Consiglio, d'altra parte, anche se poteva contare su molte amicizie e sapeva perfettamente che non tutti erano d'accordo con le idee di Jaqueline, doveva assolutamente cercare alleati esterni all'organizzazione.

“Bene professore, ha fatto la sua arringa, ora però è il momento di mettere la carte in tavola, anch'io non sono pienamente d'accordo con gli sviluppi che sta assumendo l'intera operazione e sono qui per verificare se è possibile una sorta di alleanza fra le forze sane dell'organizzazione e le istituzioni che rappresentate. Voglio parlare con le altre persone che si stanno interessando al fatto. Domani mattina vi aspetterò nel mio ufficio di Cerveteri, buongiorno.”

Detto questo si avviò verso la porta lasciando Jamil a dir poco sbigottito. Prima di uscire si voltò dicendo:

“Professore, non si preoccupi se mi ha mentito riguardo l'antidoto, so perfettamente che nulla è stato scoperto in merito.”

Jamil tiro comunque un sospiro di sollievo, si era già visto prigioniero di quella banda di fanatici, legato e imbavagliato in un cargo diretto in America.

Evidentemente non era la logica dei suoi ragionamenti ad aver colpito così profondamente Martini ma lui era venuto con lo scopo preciso di trovare alleati e l'aggressività iniziale era per saggiare le loro intenzioni.

Certo la sua versione sull'antidoto alla stella di Cibele era stata facilmente smontata. Era troppo importante avere l'appoggio di Martini per nascondergli le loro attuali difficoltà. Ora doveva mettersi in contatto con Hito e John e studiare con loro come servirsi di quel probabile aiuto inaspettato.

Nel frattempo Martini era già nella sua auto diretto verso Cerveteri. Quando si era trovato in tasca la tessera aveva subito notato la scritta “Biblioteca Pubblica di Perugia”, la cosa lo aveva insospettito e, inoltre, aveva notato un interesse strano del professor Jamil sulla organizzazione, durante il viaggio verso Roma gli aveva fatto numerose domande ambigue alle quali aveva risposto evasivamente.

Anche quando era piombato nel suo ufficio con gli altri due aveva intuito che non era una visita alla Tomba dei Rilievi che gli interessava. Ancora non era sicuro di aver intrapreso la strada giusta, i rischi che correva mettendosi contro l’organizzazione erano notevoli, ma tutta l’operazione non era stata mai da lui condivisa e aveva sempre contestato la gestione e le idee megalomani di Jaqueline. Ora poi che aveva manifestato pubblicamente i suoi convincimenti sui compiti dell’organizzazione tutto era cambiato.

Non c’era niente da fare se non cercare alleati e mandare a monte il piano criminale di Jaqueline e del ”Fratello Occulto” e, al momento, i soli su cui poteva contare erano Jamil ed i suoi compagni.

Prima di andare a prendere Luca, Jamil era ato dal Liceo dove il preside gli aveva detto che aveva chiamato la segreteria della Scuola Normale Superiore di Pisa, chiedendo la sua collaborazione a tempo indeterminato. Il preside era piuttosto stupito della cosa e anche un po’

dispiaciuto, avrebbe dovuto organizzare tutto per la sua assenza non sapendo fino a quando. Comunque le disposizioni erano queste e lo salutò augurandogli buona fortuna. Senza dubbio il professor Gherardi era intervenuto per averlo a disposizione come gli avevano anticipato.

Ora era in macchina davanti alla scuola di Luca aspettando la fine delle lezioni. Riflettendo su quanto era avvenuto era ancora positivamente sorpreso della sua reazione. Aveva scoperto di recente un lato del suo carattere che ancora non conosceva, si era accorto che provava una certa eccitazione nel pericolo ed era una sensazione, tutto sommato, piacevole. Anche il trovarsi nella situazione attuale, di fronte ad un complotto internazionale, avendo a che fare con personaggi pericolosi, non lo turbava, anzi lo rendeva partecipe e gli sarebbe dispiaciuto essere messo da parte.

La camla suonò ed i ragazzi uscirono dalla scuola con il solito baccano come sempre era stato e sempre sarà. Luca era fra gli ultimi e vide subito la macchina del papà che lo aspettava e si diresse verso Jamil un po’

imbronciato.

“Qualcosa che non va?” – disse Jamil – “Ti vedo turbato, ti è successo qualcosa a scuola?”

“Papà, non è stata colpa mia” – disse Luca quasi in lacrime – “La maestra mi ha brontolato perché ha detto che facevo confusione, ma era Lisa che mi stava dando noia e io gli dicevo di smettere.”

“Non ti preoccupare, con la maestra ci parlerò io, ora andiamo a casa.”

Appena arrivati a casa telefonò a O’Neil al numero del suo ufficio dei Vetulonia, era lì che avevano deciso di stabilire una sorta di base operativa ed era lì che riuscì a parlare con Hito ed informarlo sulla visita di Martini e su quanto aveva detto.

In un primo momento Hito sembrò titubante, non si fidava molto e aveva paura che Martini cercasse solo il sistema di portare a conoscenza dell’organizzazione le loro mosse, poi, comunque accettò di vederlo e si dettero appuntamento per la mattina dopo a Cerveteri.

Ora veniva la cosa più difficoltosa per Jamil: Come spiegare a sca tutto quello che era successo? Certo dopo le disavventure dell’anno prima la cosa non gli sarebbe piaciuta, ma lui non si poteva tirare indietro a questo punto. Decise di affrontare subito la questione, non appena sca fosse rientrata le avrebbe parlato tranquillamente e fatto intendere l’importanza di quello che stava facendo.

“Ma sei impazzito! Non ne voglio nemmeno sentir parlare di questa storia, non ti è bastato, professore, quello che abbiamo ato lo scorso anno?” – Così aveva accolto la spiegazione tranquilla e pacata sca, e quando lo chiamava professore voleva proprio dire che era arrabbiata nera – “Ma chi ti credi di essere, non sei mica un agente segreto, sei un professore di Liceo e quello devi fare!”

“Ti avverto” – continuo poi – se domani non vai alla tua scuola ad insegnare la tua materia alla tua classe puoi fare anche a meno di rientrare, per te la porta sarà chiusa!”

E con questo lo lasciò impalato andando a chiudersi nella loro camera senza dare a Jamil la possibilità di replicare.

“Ormai non poteva fare altro” – pensò Jamil – “doveva continuare. sca avrebbe capito e perdonato, ma domani doveva essere a Cerveteri o tutto, senza di lui, sarebbe saltato.”

Il Piano

Quando Jamil arrivò nel parcheggio della necropoli di Cerveteri vide Hito e John, mancava O’Neil e Gherardo.

Hito gli spiegò che Gherardo era rientrato a Pisa per coordinare con gli altri scienziati le ricerche in laboratorio sulla stella e O’Neil non poteva assolutamente lasciare la tomba appena aperta, quindi erano loro tre che dovevano seguire la pista dei Nuovi Rasna.

Si avviarono verso l’ufficio dove Martini li attendeva, il sovraintendente si alzo dalla sua sedia ed andò a riceverli salutandoli con una vigorosa stretta di mano, poi li fece accomodare.

“Bene signori” – esordì – “Naturalmente prima di parlare con voi mi ero già informato sul vostro conto con il collega O’Neil e ora so che siete persone capaci e soprattutto oneste e serie. Voglio fare una premessa, io sto tradendo l’organizzazione che ho contribuito a fondare non per bassi motivi di convenienza ma perché ritengo che il suo operato vada man mano discostandosi profondamente dagli scopi prefissi. Non sono assolutamente d’accordo con la gestione dell’attuale presidente e combatterò con tutte le mie forze affinché i Nuovi Rasna tornino ad essere intellettuali e studiosi della gloriosa civiltà etrusca. Detto questo vi vorrei spiegare l’organizzazione dei Nuovi Rasna così potete meglio comprendere la sua affettiva potenzialità.

Rifacendosi ai consigli dei Lucumoni dell’antichità ci siamo divisi per nazioni, e per ciascuna nazione dove siamo presenti esiste un consiglio formato da un

presidente e undici consiglieri. Esiste poi il consiglio supremo che si riunisce in casi di estrema importanza ed è composto da tutti i presidenti e da alcuni consiglieri di particolare rilevanza. Io, essendo stato a suo tempo presidente per numerosi mandati, faccio parte di questo supremo organo. La nostra organizzazione ha negli ultimi tempi infiltrato fratelli in importanti posti di comando, quindi può agire in diversi settori con assoluta tranquillità.

Ora io conto numerose amicizie nell’ambito del consiglio supremo e so che la linea battagliera imposta da Jaqueline, la presidente del nostro circolo, con altri che la pensano come lei, non è assolutamente condivisa da molti. Oltre a questo molti avvertono la pericolosità nel aver messo a disposizione di questo “Fratello Occulto” la possibilità senza alcun controllo di disporre della pianta a stella.

Ho bisogno, però, anche di aiuti esterni che possano garantire un appoggio ed un contatto diretto con le istituzioni, per questo vi ho chiamato qui.”

“Bene.” – Disse Hito a quel punto – “Ora abbiamo capito come la pensa ma ancora non sappiamo come bisogna agire e che iniziative intraprendere, ci deve dire quello che conosce della pianta a stella e che piani hanno attualmente i Nuovi Rasna.

“La pianta a stella” - Iniziò Martini – “Conosciuta più esattamente come “La Stella della Divina Cibele” è una pianta nota aagli etruschi che l’avevano portata con loro dalla Turchia centrale, da dove probabilmente alcuni provenivano. Si servivano di questa pianta per distruggere le colture intorno alle città da conquistare, poi, quando la carestia assaliva quei popoli, se ne approfittavano per prendere il potere senza colpo ferire, solo fornendo il necessario per sopravvivere. Dopo questo introducevano un elemento ora sconosciuto che faceva tornare fertile il terreno colpito.”

“Quindi, come supponevamo, gli etruschi conoscevano come debellare la stella.” Disse Jamil a sua volta.

“Di questo siamo certi ma ignoriamo come facevano.”

“Sì ma come avete fatto a ritrovare questa pianta ormai estinta?”

Domandò John.

“ L’organizzazione ha consegnato dei semi ritrovati in una tomba al “Fratello Occulto” che dispone di mezzi ingenti e laboratori genetici di avanguardia che sono riusciti a riprodurre i semi e far rivivere la pianta. Poi hanno infestato con i semi ottenuti alcuni terreni con culture differenti a dimostrazione della potenzialità distruttiva della stella. Il loro scopo è portare a conoscenza del mondo scientifico ed economico quello che realmente la stella può fare e così ricattare interi popoli a loro beneficio.”

“Bene Martini” – disse ancora John – “Ma come pensa di riuscire a sconfiggere l’organizzazione?”

“Questo ancora non lo so. Come ho già detto ho molti dalla mia parte e per tentare qualcosa dovete venire con me nella sede del consiglio supremo nel Wyoming. Una volta lì ci terremo in stretto contatto in modo da decidere a secondo degli eventi il nostro intervento. Il consiglio inizia fra tre giorni e per quella data dobbiamo darci appuntamento a Rock Springs.

“ Non se ne parla proprio!” - disse subito Jamil - “Io ho un lavoro e una famiglia, non posso certo mollare tutto e tutti per venire con voi!”

“Jamil” - ripose Hito contrariato - “Forse non hai compreso esattamente la gravità della situazione. Ormai siamo coinvolti tutti e nessuno può chiamarsi fuori!”

“Decidete voi” - Li interruppe Martini - “D'ora in avanti non ci dovremo più incontrare se non in caso di estrema necessità. Per qualsiasi cosa ci manderemo dei messaggi.”

Il tono era perentorio e i tre si alzarono ed uscirono dall'ufficio di Martini dirigendosi verso il parcheggio.

“Jamil dobbiamo assolutamente organizzarci per partire quanto prima” - Disse John appena fuori rivolgendosi a Jamil - “Non possiamo non sfruttare l'occasione che ci hai procurato conoscendo Martini. Io mi occuperò dei biglietti e vi farò sapere quando partiremo. Tenetevi pronti.”

Detto questo ognuno partì per le proprie rispettive destinazioni salutandosi.

Ora veniva il difficile per Jamil, avrebbe preferito affrontare tutto il consiglio dei dodici con i loro ridicoli cappelli che dire a sca del viaggio che lo attendeva.

Arrivò a casa ma sca non era ancora rientrata, decise di andare in camera

e cominciare a mettere qualcosa nella valigia. Sentì, di sotto, aprire la porta, era lei, scese le scale e se la trovò davanti.

“Ah” - Gli disse degnandolo appena di uno sguardo - “Sei qui.”

“Sono venuto solo per preparare le valige.” - Disse Jamil tutto d'un fiato come se stesse per levarsi un dente.” -

“Parto per gli Stati Uniti con gli altri due che hai conosciuto ieri. Credimi non ne posso fare a meno, non è uno scherzo.”

“Bene, mandami una cartolina!”

E se ne andò in camera lasciandolo di stucco nell'ingresso.

Jamil, a quel punto, alzò le spalle e andò in cucina per vedere se c'era qualcosa da mangiare. Mentre addentava un panino con una ricca dose di prosciutto umbro senti il suono di un messaggio arrivato al suo ricevitore. Era John che gli comunicava l'orario del volo, sarebbero partiti l'indomani mattina alla dieci da Roma. Decise che era inutile dirlo a sca e riprese a mangiare il suo panino versandosi anche un buon bicchiere di vino.

Wyoming

La mattina dopo, all'imbarco del volo, Hito e John aspettavano, già spazientiti per il ritardo Jamil, quando lo videro arrivare di corsa trafelato. Aveva un aspetto terribile, i radi capelli biondi spettinati, la barba lunga, con un vestito spiegazzato e la camicia fuori dai pantaloni.

“Scusatemi!” - disse con un filo di voce - “Ma ho avuto una nottataccia, sca non mi ha fatto dormire in camera e io mi sono arrangiato nel divano dove, credetemi, ho chiuso gli occhi solo per qualche ora.

Si imbarcarono per ultimi appena in tempo e, appena seduti, Jamil si addormentò russando rumorosamente.

Dopo cinque ore l'aereo atterrò a Chicago dove, dopo qualche ora, presero un volo locale che li portò a Rock Sprins in un ora e mezza.

Avendo guadagnato otto ore di differenza di fuso orario arrivarono in albergo che era sempre mattina inoltrata.

Jamil, se possibile, era ancora peggio di come era partito, appena in camera si buttò sul letto e si riaddormentò immediatamente. Si svegliò di pomeriggio inoltrato e solo una doccia di diversi minuti gli permise di riprendersi completamente. Scese nella hall dopo essersi fatto la barba e cambiato d'abito accolto da Hito e da John festosamente: “Benarrivato Jamil, dormito bene, qui la mogliettina non ti ha messo in castigo nel divano.”

A queste parole di Hito Jamil rispose con un sorriso tirato. La giornata trascorse senza avvenimenti particolari, Jamil tentò di telefonare un paio di volte a casa ma non ottenne risposta.

Alla sera uscirono dall'hotel per cenare in centro, Jamil aveva notato una steck house che prometteva piatti di dimensioni spropositate e convinse gli altri due a cenare lì. Seduti comodamente a tavola ordinarono la specialità della casa e, dopo poco, gli furono servite, adagiate su taglieri su una base di lattuga, delle bistecche dall'aspetto molto invitante, ben cotte e tenerissime. I tre si buttarono sui piatti senza proferire parola ed emettendo solo mugolii di soddisfazione. Finite le enormi bistecche, in attesa di un dessert, iniziarono a parlare di tutto fuorché del motivo per cui erano lì, piacevolmente come se fossero in vacanza. Discorsi oziosi e gradevoli che sciolsero la tensione e, nello stesso tempo, rinsaldarono la stima che avevano ognuno degli altri.

Ormai l'atmosfera si era tranquillizzata e allora, usciti dal locale, fecero una eggiata nei viali centrali ben tenuti della città e si fermarono, come era obbligo per chi viaggiava negli Stati Uniti, in un tipico locale dove un gruppo doverosamente dotato di camice a quadri e larghi cappelli, suonava musica County. Si sedettero su degli sgabelli al bancone ordinando whiskey e birra fino a che, appesantiti dall'alcool e dal cibo, tornarono in hotel.

Per Jamil fu una notte agitata da incubi su enormi buoi texani serviti interi su taglieri con contorno di stelle di Cibele. Al mattino era distrutto e la sola vista dei piatti pieni di uova strapazzate e pancetta nella sala colazione gli provocava pericolosi sommovimenti allo stomaco.

Salutò gli altri, prese un caffè e andò ad attenderli nella hall.

Hito e John uscirono dalla sala colazione per sedersi con lui continuando a magnificare le buonissime colazioni americane e a riparlare di come avevano mangiato bene la sera prima e come era tutto buono e perfettamente digeribile.

Poi, un messaggio al ricevitore di John, le riportò allo scopo del viaggio.

“E' di Martini.” - Disse - “E' già qui e ci comunica che ci sono importanti novità e vuole vederci oggi pomeriggio alle tre, in un caffè cubano, nella Main Street al 128.”

Alle due e mezzo erano già al caffè seduti ad una tavolo interno, John e Hito, sempre nella migliore tradizione, si erano divorati un hot dog di notevoli dimensioni mentre Jamil aveva solo potuto pranzare con un bicchierone di acqua gelata con due New Alka Selzer. Alle tre in punto entrò Martini, appena li vide si diresse verso di loro e a Jamil sembrò addirittura di vedere l'ombra di un sorriso sul volto di pietra del sovraintendente.

“Buongiorno signori!” - disse Martini toccandosi la punta del Borsalino bianco “Spero che il vostro soggiorno nel selvaggio Wyoming proceda bene!”

“Sa benissimo che non siamo qui per turismo.” - rispose Hito, irritato dal tono falsamente cordiale di Martini -

“Piuttosto, sentiamo cosa sono queste novità.”

“Benissimo, fatemi prima prendere un caffè, questo locale è celebre per il suo

cubano.” Detto questo Martini fece un leggero cenno con la testa al cameriere al quale ordinò quattro cubani che gli furono immediatamente serviti accompagnati da altrettanti bicchieroni di acqua di poco sopra alla soglia di congelamento.

“Ieri ho preso contatto con tutti i membri del consiglio supremo che ritenevo dalla mia parte, o almeno che supponevo tali. Ebbene la gradita sorpresa è che non solo loro ma anche altri sono nettamente contrari al piano di Jaqueline. Domani al consiglio, con molta probabilità e a meno di defezioni dell'ultima ora, saremo in maggioranza e potremmo ottenere l'abbandono del piano.” - Poi dopo una pausa d'effetto per finire di sorseggiare il caffè continuò - “Comunque non diamo tutto per scontato, l'influenza di Jaqueline è tanta e poi ha dalla sua parte il potere economico del “Fratello Occulto” , la partita che si giocherà domani rimane complicata.”

“Bene! - replicò Hito - “A questo punto noi cosa dobbiamo fare?”

“Il consiglio si svolgerà in un ranch poco fuori città di proprietà del Fratello Occulto, io posso portare con me Jamil facendolo are per il mio assistente. Lui farà da tramite con voi e vi riferirà cosa accade. Speriamo che tutto vada per il meglio e che non ci sia bisogno di ulteriori interventi. A domani.”- terminò Martini alzandosi - “Domani mattina verso le otto ero a prenderla all'hotel.” Disse poi rivolgendosi a Jamil prima di uscire.

I tre rimasero a guardarsi interdetti. “Bene.” - ruppe il silenzio John “Sembrerebbe che il nostro viaggio è servito a ben poco.”

Detto questo i tre si diressero verso l'hotel e la giornata si concluse senza novità.

La mattina dopo Jamil si svegliò di buon ora e di ottimo umore, finalmente era riuscito a liberare lo stomaco da quel mezzo bue che aveva ingurgitato e dopo una doccia purificatrice, si diresse verso la sala delle colazioni. Era praticamente digiuno, infatti anche la sera precedente in hotel, aveva solo assaggiato un brodo di pollo, si diresse al bancone dove il cuoco friggeva abbondanti porzioni di pancetta e se ne riempì il piatto con contorno di uova strapazzate.

Quando arrivarono John e Hito videro Jamil in stato di semi-catalessi davanti a due piatti vuoti mentre sorseggiava una enorme tazza di caffè.

“Vedo che ti sei finalmente rimesso.” - Gli disse John -

“Sei pronto per seguire il tuo amico Martini ed a fargli da segretario?”

“Voi scherzate ma io stavo proprio male, pensate che non ho neanche telefonato a sca, piuttosto che ore sono ora in Italia?”

“Qui siamo otto ore avanti” - Gli rispose Hito - “Quindi in Italia sono le tre del pomeriggio.”

“Ok, allora provo a chiamarla, forse è già a casa.”

Si diresse verso la hall e chiese al portiere la disponibilità di una cabina per telefonare in Italia.

Fatto il numero dopo pochi squilli sentì la voce di Luca.

“Ciao campione!” - gli disse Jamil, erano ati due giorni e gli sembrava ato un anno da quando lo aveva visto l'ultima volta - “Come stai, tutto bene?”

“Si papa.” - Gli rispose il ragazzo - “Tutto bene, ora ti o la mamma perché io ho un amichetto.”

“Pronto.” - La voce di sca non prometteva niente di buono - “Finalmente ti fai vivo, si può sapere da che parte di mondo sei?”

Jamil, dopo scuse interminabili, spiegazioni sul pericolo che stava correndo l'umanità intera, e rassicurazioni che la missione era compiuta, e che oggi stesso avrebbero potuto trovare il sistema di rientrare in Italia, riuscì finalmente a farsi perdonare da sca. Oltre all'arrabbiatura, si era seriamente preoccupata di quanto il marito gli aveva raccontato e non vedeva l'ora che tutto si risolvesse. Si lasciarono amorevolmente dandosi appuntamento telefonico dopo il consiglio.

Era notevolmente più sereno quando abbassò la cornetta, tanto che si era quasi dimenticato di Martini. Il bussare insistente al vetro della cabina di John lo fece trasalire.

“Sbrigati!” - gli urlò - “La macchina con Martini è fuori che ti sta aspettando.”

Jamil si precipitò verso l'uscita dove quasi andò a sbattere contro Martini che

stava entrando per cercarlo.

“Andiamo!” - Gli disse preoccupato - “Dobbiamo fare un po’ di strada per arrivare al ranch.

E partirono a bordo del taxi che aveva portato Martini all'hotel

Il Consiglio

Appena usciti dalla città a bordo del taxi si ritrovarono nel nulla. Il nulla assoluto, era questo il paesaggio dello Wyoming, non esistevano punti di riferimento, la pianura era tutta dello stesso colore uniforme, le colline sullo sfondo, lontano, erano tutte alte uguali e di una sfumatura di poco più chiara. La strada era un nastro grigio adagiato su quel nulla perfettamente diritto.

Martini durante il viaggio fu praticamente inesistente, la conversazione si limitò a qualche distratto commento sul paesaggio e sul paese in genere. Al tentativo di porre qualche domanda da parte de Jamil egli rispondeva a monosillabi troncando sul nascere il discorso. Si intuiva una certa tensione nel comportamento del sovraintendente, evidentemente la certezza dimostrata sull'esito del consiglio era solo di facciata. In realtà temeva molto Jaqueline e i suoi alleati. Il taxi, dopo poco, devio su una strada laterale, quindi si fermò davanti ad un enorme cancello che ricordava a Jamil uno identico visto e rivisto su una di quelle interminabili serie di telefilm americani che trasmettevano in Italia ad ore improbabili.

Ben presto iniziarono a costeggiare enormi porzioni di terreno recitante dentro alle quali pascolavano liberamente gli inconfondibili buoi texani.

Sullo sfondo si stagliava il ranch, la struttura era più modesta di come ci si sarebbe aspettato visto l'enormità del terreno circostante, ma avvicinandosi Jamil notava soluzioni architettoniche che, se pur in perfetta armonia con il contesto, denotavano una ricerca estetica non certo frutto dell'improvvisazione. Senz'altro a quella struttura avevano lavorato fior di architetti.

Il taxi li lasciò davanti all'ingresso principale dove un maggiordomo li aspettava per introdurli all'interno.

Un occhiata superficiale confermò quanto Jamil aveva pensato. Quello che appena appariva all'esterno era ben più evidente dentro il ranch. Stupendi arredi e accessori di design ultramoderno di cristallo e acciaio si sposavano mirabilmente con pezzi dei antiquariato americano di pregevole fattura. Alle pareti Jamil riconobbe dipinti di assoluto pregio sia contemporanei che del secolo scorso.

Sopra al sontuoso caminetto della sala d'ingresso troneggiava una testa di cervo e nel pavimento di legno pregiato si adagiavano pelli di orso con tappeti moderni.

L'impressione era di un insieme consegnato chiavi in mano, da un equipe di architetti e arredatori ad un ricco committente, infatti la cosa che mancava era la caratteristica personale che richiama il carattere di chi abita in una casa.

Nella sala sostavano una trentina di persone di diverse etnie e nazionalità, in un largo tavolo erano elegantemente esposti una infinità di piatti contenenti le più svariate specialità, un altro tavolo era coperto da bicchieri di tutte le fogge e bibite di varia natura, da magnum di champagne in secchielli d'argento a vini si e italiani a brocche colme di aperitivi di vari colori.

Jamil prese subito possesso di una posizione strategica analizzando scientificamente da dove iniziare per assaggiare tutto quando il maggiordomo che li aveva attesi all'ingresso suonò una camla dicendo che il consiglio stava per iniziare.

Profondamente amareggiato per un momento pensò di rimandare la sua partecipazione al consiglio, poi sentì la mano di Martini che gli batteva su una spalla.

“Andiamo.” - Gli disse - “E' il momento, lei sederà con altri assistenti nella sala accanto collegata con il consiglio con telecamere a circuito chiuso, mi raccomando, assuma un aria indifferente e finga di prendere appunti.”

Fu introdotto in una sala dotata di un lungo tavolo davanti a quattro enormi monitor che rimandavano, da diverse angolazioni, la sala del consiglio dove stavano prendendo posto i presidenti dei consigli locali oltre a Martini.

I consiglieri portavano cappelli e tuniche della stessa foggia già vista a Roma solo con bordi oro anziché neri.

Nel posto centrale si sedette un distinto signore anziano, dai capelli candidi e occhiali di tartaruga che, quando tutti gli altri furono seduti al loro posto, si rivolse agli dei con la stessa formula che Jamil aveva sentito da Jaqueline e dichiarò aperta la sessione.

La prima a prendere la parola fu la stessa Jaqueline in veste di presidente di quella che doveva essere la comunità più importante.

“Per prima cosa voglio comunicare al consiglio che il Fratello Occulto, pur avendoci messo a disposizione questo ranch, non ha potuto essere con noi per impegni improvvisi ma è in contatto telefonico e intende partecipare attivamente. A questo proposito gli cederei subito la parola per farci conoscere i progressi dell'operazione “Stella di Cibele”. Prego a te la parola:”

Dagli altoparlanti delle due sale uscì una voce secca e stizzosa, insopportabilmente acuta:

“Buongiorno a voi tutti e grazie di essere venuti fin qui, mi dispiace molto non essere con voi di persona ma ho avuto degli imprevisti. Sono estremamente contento di informarvi che il nostro piano sta procedendo secondo quanto stabilito ed è arrivato il momento di are alla seconda fase. Abbiamo iniziato un anno fa colpendo una piantagione di riso in Cina, poi un campo di grano in Italia e progressivamente in altri siti. Fino ad ora abbiamo mostrato solo marginalmente il potere di cui disponiamo, d'ora in avanti eremo a colpire in modo più massiccio. Sceglieremo i paesi più poveri ed a rischio carestie dove le conseguenze saranno maggiormente evidenti e richiameranno l'attenzione delle istituzioni.

Quindi eremo a prendere contatti con ambienti internazionali vicini ai personaggi più influenti della terra ai quali sarà proposto, anzi imposto, di soddisfare le nostre richieste. Questo ci consentirà di occupare posizioni strategiche e di rendere il mondo un posto migliore dove gli uomini vivranno in pace secondo antichi e saggi principi universali.”

“Ringraziamo il nostro anfitrione e fratello e iamo a gli altri interventi.” Disse il presidente - “Ha chiesto la parola il fratello Franco Martini, prego.”

Con molta probabilità Jaqueline non si aspettava che Martini intervenisse e gli gettò un occhiata fulminante.

Incurante il sovraintendente si alzo dal suo posto, pur con quello strano copricapo e paludato di rosso la sua figura incuteva rispetto, pensò Jamil.

Tutti si volsero verso di lui sicuri, conoscendolo, che non avrebbe detto nulla di scontato, ed effettivamente non si erano sbagliati.

“Sono molto dispiaciuto che il Fratello Occulto non sia potuto intervenire, sarà una mia brutta abitudine, ma mi sento più a mio agio quando guardo negli occhi la persona con cui sto parlando. Ed è effettivamente a lui che mi rivolgo in modo particolare, e questo non per mancanza di rispetto verso voi consiglieri, ma perché, a me sembra, tutto quello che stiamo facendo non è stato deciso e discusso qui, nel consiglio, dove da sempre sono prese le decisioni importanti, ma in una delle sue misteriose residenze.

“Prima che continui oltre” – lo interruppe la voce dell’altoparlante – “Tenga presente un fattore non marginale. Io ho investito il mio tempo e soprattutto i miei soldi nell’operazione. A me e solo a me si deve la ricostruzione genetica della Stella di Cibele da alcuni semi vecchi di migliaia di anni ritrovati in una tomba. Per fare questo i miei laboratori di genetica sparsi nelle mie aziende in tutto il mondo hanno per mesi sospeso importanti ricerche per destinare i loro sforzi a questa difficile operazione. Alla fine ci siamo riusciti e ora siamo ad un o dal risultati finale e……”

“Presidente!” – Questa volta fu Martini ad interrompere

– “Richiami all’ordine questo signore, non mi sembra che qualcuno gli abbia concesso di parlare e, oltretutto, non è neanche membro di questo consiglio.”

“E’ vero Martini, continui pure la sua illustrazione:” –

disse il presidente, poi rivolgendosi con un po’ di imbarazzo ad un altoparlante: “Lei potrà replicare in seguito e solo se gli sarà concessa questa possibilità.”

“Grazie presidente. Prima di essere interrotto lamentavo che le decisioni erano state prese non nel suo ambito naturale ma in altre sedi. Oltre a questo vorrei entrare nel merito di queste scelte. Tutta l’operazione sta snaturando la natura stessa dei Nuovi Rasna. Vorrei ricordare brevemente che la nostra organizzazione è nata con lo scopo di favorire l’inserimento di una nuova morale basata su concetti antichi ma sempre estremamente validi.

Abbiamo preso coscienza che noi tutti stiamo andando verso un benessere economico mai sperato e che le popolazioni si stanno avviando verso una convivenza reciproca e ad una tolleranza morale e religiosa che renderà questo benessere sempre maggiore. Ma proprio per questo ora, che tutto sembra perfetto, o almeno sulla via della perfezione, quello che per noi manca è una conoscenza più profonda delle nostre origini. Solo attraverso questa conoscenza potremo fare ancora un salto in avanti nella direzione di un progresso morale oltre che economico. Quindi noi siamo nati per favorire il progresso, la ricchezza morale e la saggezza antica. Ora ditemi, cosa c’entra questo con provocare carestie e morte? Cosa c’entra questo con ricattare interi governi con il solo scopo del potere?

Dunque chiedo di mettere immediatamente ai voti la mia proposta di abbandonare l’operazione chiamata Stella di Cibele e distruggere i campioni della pianta per evitare futuri pericoli.

“E’ stata messa ai voti una proposta, se nessuno deve intervenire si può procedere. “ – Disse il presidente, poi vedendo un cenno di Jaqueline gli disse. – “La presidente Jaqueline Bliss chiede la parola!”

“Quello che sta avvenendo è assurdo! Tanto più assurdo considerato che, chi ha parlato contro l’operazione, ha per anni favorito l’inserimento di nostri fratelli in posti di rilievo del potere politico ed economico, e questo non per questioni di predominio morale ma per rendere forte e influente la nostra organizzazione.

Ora che stiamo per arrivare realmente a compiere il o finale si oppone. Tutto questo non può essere causato che da profonda invidia, quindi vi chiedo di bocciare la proposta e assumere il ruolo che la storia ci impone, con il prezioso aiuto del Fratello Occulto che invito di nuovo a parlare.”

Ma dall’altoparlante non uscì nessun suono, il Fratello Occulto, molto probabilmente irritato dalla piega che aveva assunto la discussione, aveva lasciato cadere il collegamento.

Dopo qualche secondo la voce del presidente si fece sentire:

“Dichiaro aperta la votazione della proposta del fratello Franco Martini, prego alzi la mano chi è a favore!”

Le mani che si alzarono erano di gran lunga la maggioranza. A votazione conclusa un membro del consiglio, seduto accanto a Martini e che spesso Jamil aveva notato, parlottare con lui durante gli interventi, chiese al presidente di poter parlare. Una volta ottenuta la parola disse: “Da quanto risulta dalla precedente votazione la linea del presidente del consiglio della sezione italiana non è più in maggioranza. Quindi chiedo che il consiglio supremo in seduta adesso revochi la presidenza alla signora Jaqueline Bliss e indichi come nuovo presidente Franco Martini.”

Jaqueline, sentite queste parole e senza nemmeno attendere l’esito della votazione si alzò e si diresse verso l’uscita, a testa alta e senza degnare di uno sguardo tutti i presenti tranne Martini.

“Non finisce qui, lo sai vero?”

Disse chinandosi verso di lui.

“Invece finisce proprio qui cara Jaqueline, tu non sai che io conosco il segreto del vero nome del Fratello Occulto e che posso renderlo noto al mondo intero insieme con i suoi piani. Questo certo non favorirebbe i suoi affari e quelli delle multinazionali di sua proprietà.

A queste parole il volto tondo da massaia di Jaqueline si imporporò e lei riprese la via verso l’uscita seguita da alcuni suoi comprimari.

La votazione che seguì ebbe, come esito scontato, la nomina di Martini a presidente della sezione italiana.

“La decisione che avete preso è saggia, noi non ci dobbiamo interessare al potere economico ma a quello morale. L’operazione Stella di Cibele è definitivamente annullata. La seduta è conclusa.”

Con queste parole il presidente sciolse il consiglio.

Jamil, sempre seduto nella stanza accanto, vide alzarsi tutti i consiglieri rimasti e dirigersi verso Martini che, con aria di sufficienza, accolse le congratulazioni di tutti.

Dopo aver firmato dei fogli che il presidente gli aveva portato, forse inerenti alla nuova nomina, si avviò verso l’uscita e lo spogliatoio, dopo poco riuscì sempre contornato da consiglieri in abiti civili e stava per dirigersi verso l’uscita quando parve ricordarsi improvvisamente di Jamil. Tornò sui suoi i e, entrato nel salottino destinato agli assistenti, gli fece cenno di avvicinarsi.

“Bene professore, tutto sembra andato per il meglio, ora l’accompagno in hotel, voglio salutare lei ed i suoi due colleghi e ringraziarvi per aver avuto la cortesia di seguirmi fin qui.”

Detto questo, dopo aver salutato personalmente e calorosamente tutti i presenti, si avviò verso un taxi che lo aspettava con Jamil che lo seguiva come un cagnolino.

L’agguato

Comodamente seduti nel taxi mentre il solito paesaggio monotono scorreva davanti a loro, i due iniziarono a parlare in modo molto più sereno tanto che Martini si fece scappare anche qualche battuta spiritosa a riguardo di Jaqueline ed il suo aspetto non proprio marziale.

“Ma cosa le ha detto quando si è fermata prima da uscire?” Gli domandò Jamil curioso.

“Ha digrignato i denti come un bulldog e mi ha giurato vendetta, ma io l’ho subito messa al suo posto:”

“In effetti, non so quello che gli ha risposto ma ho visto il suo viso letteralmente, prendere a fuoco.”

“Gli ho semplicemente detto di non cercare una facile vendetta perché, pur conoscendo i mezzi e la scarsa moralità del suo socio in affari, io sono a conoscenza di un segreto che, se rivelato, metterebbe in grossa difficoltà sia lei che il Fratello cosi detto Oscuro.

“ Quale segreto?”

“Professore, mi sembra un po’ troppo curioso, comunque di lei mi fido. Io conosco la vera identità del Fratello Oscuro e so anche che rivelandola insieme al piano che avevano in mente lui e Jaqueline, il suo impero economico crollerebbe come un castello di carta.

Ora davvero la curiosità stava divorando Jamil, stava di nuovo per controbattere quando, con la coda dell’occhio, vide una grossa auto nera affiancarsi a loro taxi, poi, con un colpo di sterzo improvviso, toccare la fiancata mandare il taxi fuori strada,.

Dopo due o tre testa coda e minuti che sembravano ore il taxi si fermò in un cumulo di sabbia del deserto attraversato dalla strada. Jamil fu il primo ad uscire, si dette una rapida occhiata e, dopo aver visto che aveva solo qualche graffio,

piombò sulla macchina nera che si era fermata sulla strada. Mentre camminava riava mentalmente tutti gli insulti che conosceva in inglese e stava per snocciolarli quando un energumeno uscì dalla macchina con in mano una pistola che, agli occhi di Jamil poco pratico di armi, sembrava avere le dimensioni di un bazooka. Dal posto di guida ne scese un altro che si diresse verso il taxi dove fece scendere, prendendolo per la giacca, Martini. Poi dette un occhiata all'autista che nella collisione era svenuto e, appurato che non avrebbe potuto raccontare nulla, accompagnò non proprio gentilmente Jamil e Martini sull'auto. I due furono legati e imbavagliati, oltre a questo gli fu messo anche un cappuccio. Martini era davvero ridotto male, constatò Jamil, ed emetteva solo lamenti di dolore, con molta probabilità aveva qualche frattura e perdeva sangue abbondantemente da una ferita sul braccio destro.

Dopo un po' di tempo, che a Jamil sembrò un secolo, l'auto si fermò e gli scagnozzi fecero scendere i due, fatti un centinaio di metri furono fatti sedere in una panca dove gli tolsero il cappuccio ed il bavaglio, ma non gli liberarono le mani.

Senza mai parlare, come del resto avevano fatto dal loro sfortunato incontro, i due se ne andarono chiudendo una pesante porta alle loro spalle.

Jamil si guardò intorno alla luce di una piccola finestra posta nella stanza in alto. Erano in una specie di magazzino con solo qualche cartone appoggiato alla parete, non vi erano aperture se non la porta e la finestrina, non vedeva come poter uscire da quella situazione. Un occhiata a Martini gli confermò che il braccio doveva essere rotto data la posizione innaturale del gomito, gli doveva fare molto male ed era quasi sul punto di svenire.

Intanto il conducente del taxi era riuscito a rientrare nella strada con non poca difficoltà. L'auto aveva risentito poco del brutto incidente ed era solo ammaccata dove il potente mezzo dei rapitori l'aveva colpita. Visto come si mettevano le cose, aveva simulato uno svenimento per evitare guai peggiori. Ora però si

doveva rivolgere alla polizia altrimenti l'assicurazione non lo avrebbe risarcito.

Appena in città si fermò alla prima stazione di polizia dove raccontò tutto dettagliatamente al sergente di turno.

“Un tizio mai visto prima, si direbbe europeo, dall'accento e dal modo di vestire, mi ha trovato al parcheggio davanti alla stazione centrale. Mi ha chiesto se ero libero per tutto il giorno, poi mi ha fatto andare ad un hotel in centro a prendere un altro europeo e li ho portati ad un ranch fuori città.”

“Continui.” - Disse il sergente che raccoglieva la deposizione. - “Poi cosa è successo?”

Son rimasto in macchina ed ho girellato per il cortile del ranch per qualche ora, c'erano diverse auto di lusso e limousine, ma nessuno degli autisti mi è sembrato propenso a scambiare qualche parola, tutti erano molto abbottonati e hanno detto di non sapere cosa avveniva dentro al ranch.

“Naturalmente saprebbe ritrovare il ranch.”

“Certamente, sono dieci anni che faccio questo lavoro e conosco molto bene i dintorni”.

“Va bene, dopo ci fornirà le indicazioni, ora continui!”

Alla fine i due sono usciti insieme ad altri, anzi, a dire la verità la prima ad uscire è stata una signora dall'età indefinibile, sembrava quasi uscita da una di quelle trasmissioni che danno ricette. Decisamente inviperita, camminava svelta seguita da un codazzo di uomini. Poi ha chiamato in malo modo l'autista di una limousine, che non l'aveva vista uscire, ed è salita in macchina partendo immediatamente e lasciando il codazzo di stucco.

Comunque, i due sono risaliti nel taxi, sembravano molto contenti e distesi, e mi hanno detto di tornare verso la città.

“Ed è lungo la via del ritorno che vi hanno mandato fuori strada e rapito i due eggeri.”

“Si, proprio così”!

“Va bene.” - concluse il sergente - “Ora mando una macchina all'hotel che ci ha indicato così sapremo se qualcuno conosce il vostro eggero. Voi, per il momento, potete andare.”

Hito e John furono chiamati mentre erano seduti al ristorante dell'hotel, nella hall li attendevano due poliziotti.

“Buonasera.” - disse quello più anziano, che doveva anche essere il più alto in grado. - “Ci hanno riferito alla portineria che con voi, c'era un'altra persona che stamattina è salita in un taxi.”

“Certo!” - disse John -”Era con noi, è un professore italiano, si chiama Jamil Shotti, ed eravamo qui per seguire una ricerca su un congresso di una organizzazione internazionale che si doveva tenere in un ranch fuori città, stamani è partito con un altra persona, il sovraintendente Franco Martini per andare in questo ranch.”

“Ed è proprio mentre ritornava da questo ranch che i due sono stati rapiti.” Disse l'agente - “Ora mi dispiace per la vostra cena ma dovete seguirmi alla stazione di polizia, dobbiamo raccogliere la vostra deposizione. Poi vi faremo riaccompagnare.”

John e Hito si guardarono stupiti, il susseguirsi degli avvenimenti diventava sempre più preoccupante. Poi seguirono i poliziotti in macchina.

Arrivati nella stazione di polizia li fecero accomodare, con modi molto gentili, in un salottino.

“Data la natura del problema la Signora Hannah Fossil, capo della polizia del Wyoming, vuole farvi qualche domanda personalmente, sta arrivando!”

Disse uscendo un altro poliziotto.

“Cosa mai sarà successo a Jamil e a Martini, chi può averli rapiti in questo modo.” – Disse John una volta soli – “E

cosa c’entra ora il capo della polizia.”

“A questo punto sia che ci credano o no bisogna dire tutto quello che sappiamo.” – gli rispose Hito – “Non possiamo più gestirla da noi come dilettanti, Jamil sta effettivamente correndo dei rischi e le autorità vanno informate.”

“Si, sono d’accordo con te, dobbiamo avvertire anche O’Neil e Gherardo di cosa sta succedendo e sentire anche se ci sono stati progressi.”

“A proposito, non te l’ho ancora detto ma mi è arrivato un messaggio da O’Neil che mi dice di una scritta trovata nella tomba appena scoperta che parla proprio della nostra stella di Cibele.”

John prese dalla tasca il trasmettitore e lesse a Hito il messaggio di O’Neil:

“La scritta dice esattamente: Colpirai i campi dei tuoi nemici con la stella della vergine nera Cibele, poi le purificherai con…….

E a questo punto l’intonaco è distrutto e non si legge più niente:”

“Cosa può significare?” Gli chiese Hito.

“Sembra quasi che siano le istruzioni che il sacerdote dava per conquistare una città nemica avvelenando i loro raccolti con la stella.”

“Sì, ma cosa vuol dire che poi la purificheranno?”

“Può darsi che nel resto della scritta si trovassero le istruzioni per disinfestare i campi colpiti, purtroppo non lo sapremo mai se è scomparsa:”

“E’ un vero peccato, ma dal filmato che è stato fatto prima con la telecamera si vede la scritta?”

“Controlleremo meglio.” - Rispose John -”Ma da quello che ricordo è in una zona d'ombra.”

Proprio in quel momento entrò nella stanza, seguita da due poliziotti in divisa, una donna alta e magrissima, vestita con un serio completo di foggia maschile grigio.

Squadrò entrambi con attenzione poi disse:

“Buonasera, sono Hannah Fossil , scusate se vi ho fatto attendere ma il rapimento di due cittadini europei nel mio stato mi preoccupa molto, abbiate la cortesia di ripetere quello che sapete dell’intera faccenda.”

John e Hito, alternandosi fra loro, fecero la cronistoria di quanto era successo dalla scoperta della prima stella fino al rapimento di Jamil e Martini. Il tutto con dovizia di particolari e senza nulla omettere.

La Signora Fossil aveva seguito tutto in silenzio, quando ebbero finito disse semplicemente:

“Mi sembra sia abbastanza, ora è affar nostro Dovete lasciare immediatamente gli Stati Uniti perché anche voi state correndo dei rischi, quindi preparate le vostre valige e partite prima possibile, un agente vi scorterà in hotel e rimarrà con voi finché non salirete in aereo.

Detto questo li salutò e uscì. Dopo poco arrivò un agente in borghese che si offrì di riaccompagnarli in hotel.

Appena uscita Hannah Fossil entrò nel suo ufficio e alzò il telefono per effettuare una chiamata:

“Pronto?”

“Buonasera Jaqueline, ho parlato con i due e gli ho detto di ritornarsene subito a casa, gli ho anche messo addosso un agente fidato che li sorvegli fino a che non se ne vanno.”

“Benissimo Hannah, sei stata preziosa come sempre, anche se siamo stati messi in minoranza la partita ancora non è chiusa e quello che hai fatto non sarà dimenticato, a presto:”

La prigione

Nella penombra Jamil sorvegliava Martini e, quando si accorse che stava per chiudere gli occhi, prossimo al collasso, cercò con la spalla di scuoterlo per ottenere una minima reazione ma ottenne solo in risposta un flebile lamento di dolore.

Allora iniziò ad urlare per richiamare l'attenzione dei suoi rapitori sullo stato di salute di Martini e, quando ormai era quasi senza voce, la porta si aprì ed entrò uno dei due.

Si avvicino a Martini senza nemmeno degnare di uno sguardo Jamil e, almeno apparentemente, senza neppure ascoltare ciò che diceva. Con fare professionale e distaccato gli sentì il polso, poi gli guardò gli occhi e, senza dire una parola, se ne andò sbattendo la porta alle sue spalle. Jamil sentì la disperazione impossessarsi di lui, si era veramente messo in un brutto pasticcio, chissà cosa gli avrebbe detto sca, già sca, avrebbe potuto davvero rivedere lei e Luca? Cosa avevano in mente per lui i rapitori?

“Jamil ascoltami attentamente,” - sussurrò in quel momento Martini - “Non so se avrò la forza di ripetere quello che sto dicendo, è sicuramente Jaqueline che ha organizzato il nostro rapimento e lo ha fatto perché sa che io conosco la vera identità del Fratello Occulto. Il suo nome e Lactalis ed è una delle persone più influenti del pianeta. E' con lui che si è alleata Jaqueline, sono entrambi senza scrupoli e quello che fanno non lo fanno certo per scopi morali ma solo per ricavarne benefici economici.”

Poi cominciò a tossire come se avesse fatto uno sforzo immane per dire quelle poche parole.

“Stai calmo, ho capito, non parlare se non c'è bisogno.”

Martini fece un gesto con la testa e chiuse nuovamente gli occhi con una smorfia di dolore dipinta nel viso.

Jamil intanto aveva avuto un colpo al cuore sentendo il nome di Lactalis, era lui, proprio lui che gli aveva provocato tutti i problemi con quelle dannate celle di Moebius lo scorso anno, era lui il mandante di quel farabutto che lo aveva quasi ammazzato.

Mentre pensava questo la porta del magazzino si aprì nuovamente e questa volta, insieme a tutti e due gli scagnozzi, entrò traballando sulle piccole gambe Jaqueline.

“Sta molto male.” - finalmente aprì bocca uno degli scagnozzi indicando Martini appoggiato al muro.

“Sta male? Altro che male, se non lo portate subito in ospedale morirà!”

Urlò quasi Jamil che nei momenti critici veniva sempre preso da uno strano coraggio.

Jaqueline spostò lo sguardo su di lui e lo fulminò. Jamil lo aveva già notato ma non a spese sue. Gli occhi di Jaqueline avevano il potere di annientare la volontà di chi era oggetto del suo interesse. Fu solo un attimo, poi si rivolse a uno dei due complici:

“Mi serve vivo, voglio sapere quello che effettivamente sa, portatelo nella clinica della South Valley, il direttore è un nostro fratello, l’avviserò io del vostro arrivo:”

“E dell’altro cosa ne facciamo?”

“L’altro non mi interessa!”

Detto questo Jaqueline se ne andò e questa volta il panico si impossessò di Jamil.

I due, sempre senza dire nulla, presero di peso Martini ed uscirono con lui, sicuramente sarebbero presto tornati e non per liberarlo, doveva trovare una soluzione immediata, aveva visto tanti di quei film dove l’eroe era nella sua situazione e sempre si era liberato.

Jamil non aveva sicuramente il fisico o l’agilità di uno dei personaggi fantastici amati da Luca, eppure doveva trovare il sistema per togliersi da quella situazione!

Respirò profondamente per rimettersi dal panico e cercare di ragionare in modo più concreto, poi si guardò intorno cercando una superficie abbastanza affilata da

poter tagliare il nastro con cui era legato. Lo sguardo gli cadde su una scaffalatura metallica e, con uno sforzo gigantesco, si trascinò verso quella parte. Poi si girò di spalle e iniziò a muovere le braccia in modo da tagliare il nastro a contrasto con il ferro dello scaffale.

Dopo pochi minuti era un bagno di sudore ed il risultato ottenuto era pessimo. Evidentemente anche questo funzionava solo nei film. Sconsolato dette un altro sguardo intorno e vide, da un lato del magazzino, un vecchio telaio di una finestra appoggiato alla parete con il vetro rotto. Iniziò la difficile opera di avvicinamento, avrebbe provato con il vetro, sicuramente migliore del ferro dello scaffale. Dopo l’ennesimo imponente sforzo arrivò a poter provare ad usare lo stesso sistema con il vetro. Il risultato fu ancora peggiore e anche doloroso, Jamil dopo poco si ritrovò con il nastro intatto e profondi tagli nei polsi. La disperazione stava di nuovo per impossessarsi di lui quando, con la coda dell’occhio, notò un movimento in alto dietro alla piccola finestra. Guardò meglio e vide chiaramente una testa con un caschetto di capelli biondi e due occhi azzurri che lo fissavano.

“Ha bisogno d’aiuto signore?” Disse una vocina.

“Certo che ho bisogno d’aiuto, non vedi, da quanto tempo sei lì?”

“E’ da un po’ che la guardo ma non è troppo bravo, alla televisione ho visto di meglio.”

Jamil, combattuto fra la rabbia verso lo spettatore dei suoi sforzi e la speranza di un aiuto imprevisto disse:

“Chiama qualcuno, un poliziotto, qualcuno che mi liberi, fai presto!”

La testa bionda sparì e dopo poco Jamil vide affacciarsi la faccia di un poliziotto.

“Stia tranquillo, ora chiamo qualcuno che mi aiuti ad aprire la porta così la liberiamo.”

Trascorso qualche minuto sentì un rumore alla porta e, dopo un tonfo secco, vide la serratura cedere e due poliziotti entrare. Finalmente fu libero, poi, una volta curati i profondi tagli ai polsi e rassicurati i suoi salvatori sulle sue condizioni fisiche, fu fatto salire in una macchina della polizia e portato direttamente alla stazione per rilasciare una dichiarazione.

“Se la sente di dirci qualcosa ora o vuole prima riposarsi.”

– gli disse il sergente che stava per interrogarlo – “No, vorrei raccontare ora quello che mi è successo per poi tornare in albergo, prima di iniziare devo però fare una telefonata per rassicurare i miei compagni.”

Gli fu messo a disposizione un telefono dal quale chiamò in hotel e si fece are John.

“John sono io, Jamil, tutto a posto, mi avevano rapito, ora sono in una stazione di Polizia per rilasciare una dichiarazione poi torno in hotel.”

“Jamil, sono proprio contento di sentirti, anche noi siamo stati interrogati dalla polizia, anzi, una agente ora è con noi per proteggerci, ora gli dico che ti hanno ritrovato.

“ Va bene, a presto!”

Appena ebbe riattaccato la cornetta del telefono il sergente lo fece entrare nel suo ufficio.

“Bene cominci a dirmi come si chiama, da dove viene e perché si trova in città.”

Jamil aveva appena iniziato a declinare le proprie generalità che il telefono sulla scrivania squillò. Appena alzata la cornetta vide il sergente irrigidirsi come se avesse sentito la voce di chissà chi. Disse solo un si convinto e riattaccò.

“La sua deposizione finisce qui. – Disse a Jamil – Ora verranno a prenderla dalla centrale perché sembra che il suo caso sia di competenza delle alte sfere. Prego si accomodi nel salottino.” – poi rivolto all’agente che era nell’ufficio – “Accompagnalo e portagli qualcosa da mangiare e da bere.”

Quelle parole furono le più gradite a Jamil che era letteralmente affamato. Gli fu portato un panino ed una bottiglia d’acqua, poi, visto che il primo lo aveva mangiato in un secondo, altri due e una birra gelata.

Il terzo panino fu addentato con meno voracità, ora iniziava a riprendersi. Appena messo in bocca l’ultimo boccone entrò un altro poliziotto.

“Buonasera, sono della centrale di Polizia, il mio incarico per ora è di riportarla al suo albergo sotto nostra custodia. Domani lei ed i suoi compagni sarete accompagnati dal capo della polizia e, dopo aver parlato con lei, accompagnati all’aeroporto per prendere il primo volo disponibile per l’Italia.”

“Va benissimo.” – rispose Jamil - “Ma prima volevo dirle che insieme a me c’era Franco Martini che è stato ferito gravemente, attualmente dovrebbe essere in una clinica, mi sembra di aver sentito il nome, la clinica della South Valley.”

“Non si preoccupi, grazie dell’informazione, manderemo subito qualcuno a verificare, ora venga con me!”

Entrambi si avviarono lungo il corridoio che portava all’uscita, al portone il poliziotto gli disse:

“Aspetti un secondo solo, faccio una telefonata urgente e poi l’accompagno.”

Lasciò Jamil davanti al portone e si avvio verso il banco di ricevimento della stazione di polizia. Il banco era deserto, allora prese il telefono che c’era lì e compose un numero.

Jamil, sempre curiosissimo, gli si avvicinò da dietro e tese le orecchia.

“E’qui con me.” - Diceva al telefono il poliziotto. –

“Certo che lo tengo occhio fino a domani mattina, piuttosto ha detto anche che quell’altro….. si Martini, ha detto che si trova in una clinica della South Valley….no, non ci vado di certo………. Va bene lo porto in hotel e poi aspetto………..Si domani mattina nel suo ufficio, arrivederci.”.

“Bene andiamo!” – disse poi rivolgendosi a Jamil che si era allontanato in fretta e lo aspettava con fare noncurante. – “Ho la macchina nel garage sotterraneo.”

Jamil trovò Hito e John che lo aspettavano, nonostante l’ora tarda, nella hall dell’hotel. Entrò seguito dal poliziotto che andò subito verso il collega lasciato a sorvegliare gli altri due, che era seduto al bar.

Gli descrisse con dovizia di particolari la sua movimentata giornata fino alla conversazione carpita poco prima di uscire dalla stazione di polizia.

“Cosa significa questo?” – Disse Hito – “Che anche la polizia è in combutta con Jaqueline e i suoi?”

“Certamente non tutta la polizia ma senza dubbio qualcuno come i due che ci sorvegliano ora.”

“Allora è con loro anche il capo, la signora che ci ha interrogati, è lei che ha mandato il poliziotto a scortarci, e con buona probabilità, è con lei che il tuo parlava al telefono.”

“Certamente, allora il povero Martini, è sempre nei guai!”

“Non solo lui!” – disse allarmato John guardando i due poliziotti al bar – “Anche noi non siamo messi molto bene!”

“Non vi ho ancora detto la cosa peggiore!”

Disse a quel punto Jamil

“E cosa ci sarebbe di peggiore del guaio in cui ci siamo cacciati?” – Rispose un po’ alterato Hito – “Ricapitolando siamo nello stato del Wyoming, lontano dalle nostre case, sorvegliati dalla polizia che, con buone probabilità, è complice in un complotto internazionale che vuole affamare intere popolazioni, la persona che doveva risolvere tutto è in una clinica sorvegliato a vista e ridotto male. Quali sarebbe la cosa peggiore, forse un meteorite sta piombando sulla città? Oppure un astronave aliena sta atterrando per invadere il Wyoming?”

“Il motivo per cui siamo stati rapiti è perché Martini aveva appreso, non so come, chi era veramente il famoso Fratello Occulto, si chiama Lactalis ed è uno spietato affarista senza scrupoli che nasconde la sua vera natura dietro la figura di imprenditore e magnate a capo di importanti industrie multinazionali che operano in svariati settori. Lo conosco perché dietro ad una vicenda di spionaggio industriale e furto di prototipi che mi ha coinvolto lo scorso anno sembra ci fosse lui, anche se non si è potuto andare a fondo per le protezioni di cui gode.”

“Dunque è questo Lactalis che manovra tutto ed è lui che ha sicuramente in mano la possibilità di gestire le piante della Stella di Cibele.”

“Sì, quindi anche se i Nuovi Rasna hanno abbandonato il progetto votando per Martini siamo in una fase ancora più pericolosa. Non dobbiamo più temere una organizzazione di nostalgici ma non certo delinquenti, ma un individuo senza scrupoli e con un potere economico enorme.”

Mentre Jamil e Hito facevano queste considerazioni John sembrava assorto in altri pensieri.

“Dobbiamo liberare Martini, solo lui può darci un idea di come procedere, e dobbiamo farlo subito, prima che la polizia ci faccia lasciare la città!”

Disse alla fine.

La Missione

“Hai pienamente ragione!” – Disse Jamil – “Non possiamo lasciare quel poveraccio in mano agli avvoltoi e, d’altra parte, in questo momento solo lui ha conoscenze tali, nei Nuovi Rasna, che ci possano consentire di prendere l’iniziativa. Io ho un piano: Aspettiamo qualche ora, poi, quando i due poliziotti si saranno convinti che siamo a letto e non ci terranno più sott’occhio, usciremo dalla porta del garage dell’hotel e cercheremo la clinica dove hanno nascosto Martini. Nel frattempo magari mangiamo qualcosa, io in tutto il giorno ho mangiato solo due panini microscopici alla stazione di polizia!”

“Possibile!” – Gli fu brutalmente risposto da Hito – “La tua preoccupazione principale è quella di riempirti lo stomaco! Andiamo subito in camera e aspettiamo dieci minuti, poi ci troviamo al piano e decidiamo come uscire.”

Gli altri due assentirono e, insieme, si avviarono verso l’ascensore. Durante la salita lo stomaco di Jamil emetteva sinistri mugolii. “L’avevo detto!” – sospirò – “Io se non mangio qualcosa mi sento male!”

Entrato in camera si avventò al frigobar ma dentro trovò solo un pacchetto di noccioline ed una mini scatola di crackers che divorò in un minuto senza che il suo stomaco se ne fosse minimamente accorto. Poi telefonò a sca che gli rispose sempre più agitata. Jamil non disse nulla riguardo al rapimento ed ai guai susseguenti e tentò di tranquillizzarla anche se con scarsi risultati.

All’ora convenuta i tre si ritrovarono al piano. Gli ascensori portavano tutti alla hall, e solo da lì si poteva prendere un altro ascensore o una rampa di scale che

portava al garage. Decisero che non c’era altra via se non quella di scendere fino al primo piano, da lì prendere la rampa di scale che portava alla hall che era molto più vicina a quella per il garage.

Se qualcuno avesse sofferto di insonnia nell’enorme hotel e avesse deciso di fare due i per i piani avrebbe notato i tre strani individui che si aggiravano con fare sospetto che tutto avevano tranne la possibilità di are inosservati.

Comunque, soprattutto per lo stato di torpore che aveva sopraffatto gli agenti che russavano sonoramente sdraiati nelle poltrone della hall, il piano funzionò e si ritrovarono in strada.

“Ora!” – Disse Jamil – “Come facciamo a trovare questa clinica South Valley?”

“Niente di più semplice!”

John fermò un taxi che ava con un fischio e all’autista disse:

“Clinica di South Valley per favore:”

“Va bene!” Disse il tassista, e partì spedito.

“Pensavo fosse più difficile:” – ammise Jamil – “Ma, Non per sollevare problemi, ma se riusciamo a liberare Martini, cosa che dubito, dove diavolo andiamo dopo.”

“Se non avete un’idea migliore io andrei a casa mia, a Seattle.” – Gli rispose John – “In aereo sarebbe più veloce ma complicato. Con molta probabilità, quando si accorgono che non siamo in hotel, invieranno una segnalazione. Noleggiamo una macchina, ci saranno circa millecinquecento chilometri da qui a Seattle, se ci alterniamo alla guida in un giorno ci siamo.”

“ Bene.” – Disse Hito – “Poi vedremo, Ora pensiamo a come entrare in questa clinica.”

Il taxi li fece scendere davanti alla clinica, era una costruzione in stile coloniale, con facciata bianca e piccole finestrine con sbarre e persiane sempre bianche.

Una scalinata conduceva al portone di ingresso che, a quell’ora di notte, era chiuso.

“ Intanto che pensate a come fare” – Disse John – “Io mi faccio portare dal taxi a prendere un auto a noleggio.

L’aeroporto è qui vicino e lì i noleggi sono aperti tutta la notte. Poi vengo a prendervi così sappiamo come andare via da qui.”

“ Va bene, ora il primo problema è come entrare, poi vedremo come trovare Martini.”

Jamil pronunciò queste parole già perfettamente inserito nei panni avventurosi di

agente segreto in missione.

“Guarda che il portone non è chiuso!” – Gli rispose Hito che intanto era arrivato al portone, non nascondendo una certa ironia nella voce. – “E’ solamente accostato!”

“Bene! Qualcuno non ha preso le dovute precauzioni.

Entriamo!”

L’atrio all’ingresso era buio, illuminato solo da luci azzurrine notturne, così pure il corridoio, solo da una stanza laterale si intravedeva una luce accesa.

Jamil e Hito si diressero, cercando di fare meno rumore possibile, quando furono vicino alla stanza dalla quale usciva la luce Jamil si affacciò con precauzione e vide, in una sedia con le braccia appoggiate ad un tavolo, un uomo che dormiva russando sonoramente. Dalla stazza Jamil intuì che doveva trattarsi di uno dei suoi rapitori.

Stando ben attenti a non fare il minimo rumore, oltrearono la stanza e proseguirono. Salita un’altra rampa di scale si trovarono in un classico corridoio da corsia ospedaliera dove si affacciavano le porte della camere, alcune aperte altre chiuse.

Davanti ad una delle stanze, seduto in una sedia in modo molto precario dormiva l’altro rapitore.

I due si allontanarono dal corridoio e, sempre attenti a non farsi sentire, si infilarono in una stanza vuota, uno spogliatoio, per decidere cosa fare.

“Ho un piano!” – disse sottovoce Jamil – Indossiamo due camici, in questa stanza ci sono a decine, poi fingiamo una emergenza ed entriamo nella camera dove, sicuramente, è Martini. Lo mettiamo nella lettiga e lo portiamo giù, alla macchina che nel frattempo ha portato John.”

“Mi sembra un po' azzardato come piano, comunque dobbiamo aspettare che John venga con la macchina a noleggio.”

“Guarda c'è una finestra che da proprio sul cortile, da li possiamo vedere quando John arriva.

“Ma se vogliamo simulare un'emergenza ci serve che qualcuno suoni il camlo di allarme all'interno della stanza.”

“A quello ci penso io!” - Ormai Jamil si era immedesimato nella parte dell'agente segreto - “Mentre il guardiano dorme proverò ad entrare nella stanza di Martini.”

“Sei sicuro di quello che vuoi fare, fai molta attenzione, lo sai meglio di me quanto questa gente è pericolosa!”

Nel frattempo videro arrivare una macchina ed uscire John.

Jamil a quel punto decise che era arrivato il momento giusto per are all'azione e indossato un camice, si preparò ad uscire dando prima un'occhiata fuori, nel corridoio.

Subito si tirò indietro, l'uomo a guardia di Martini si era svegliato e stava eggiando davanti all'ingresso della camera.

“Niente da fare, si è svegliato!” - Sospirò Jamil -

“Dobbiamo fare in un altro modo!”

“Facciamo a modo mio ora.” - gli rispose Hito - “Invece che fare in silenzio facciamo il massimo di confusione!”

“Cosa intendi per fare confusione?”

“Vedi quell'armadio metallico?” - Disse Hito - “nella targhetta c'è scritto che contiene la centralina degli allarmi. Dobbiamo cercare di aprirlo e facciamo scattare tutti gli allarmi possibili, poi nella confusione che ne verrà fuori entriamo nella camera di Martini e lo portiamo fuori dicendo al guardiano che c'è un incendio.”

“Ottima idea, però non sarà facile aprirlo.” - Disse Jamil mentre, facendo un baccano d'inferno, tentava di forzare l'apertura dell'armadio - “Ci vuole qualcosa per sce la serratura!”

“Prova magari ad aprirla nel verso giusto.” - Gli rispose Hito girando la maniglia e aprendo l'armadio - “Vedi, non era difficile!”

Jamil lo guardo adombrato pensando a quanto poco gli erano simpatici i giapponesi.

Dentro all'armadio c'era una quantità enorme di strani congegni, interruttori, lampadine e grovigli di fili di tutte le grandezze e colori.

“Ora bisogna byare i fili giusti per far scattare l'allarme:” - iniziò Hito “Vedendo che questi due portano all'interruttore principale ed a quella serie di spie proviamo ad unire questo rosso con questo azzurro.”

Hito staccò con cura i due fili dai morsetti e li fece toccare fra loro ma..........non successe assolutamente nulla!

“Allora proviamo così.” E fece la stessa operazione con altri due fili ma con identico risultato.

Dopo il quinto tentativo infruttuoso Jamil iniziò a spazientirsi. “Proviamo così!” - Disse, e, preso un bel mazzo di fili di tutti i colori dette un forte strattone strappandoli tutti dalle loro sedi. Ci fu un attimo di silenzio assoluto mentre una serie di spie multicolori iniziarono ad accendersi una dopo l'altra, poi scoppiò l'inferno: Iniziarono a squillare due o tre tipi di sirene, tutte le luci sopra alle porte delle camere iniziarono ad accendersi ad intermittenza e, per finire, dalle bocchette nei soffitti iniziò a piovere acqua con la stessa intensità di un

temporale estivo.

“Andiamo, ora è il momento!” E i due si precipitarono fuori dallo stanzino vestiti con camici verdi e, arraffando una lettiga che si trovava nel corridoio, entrarono nella stanza di Martini sotto lo sguardo attonito dell'uomo alla porta. Martini era in stato di dormiveglia, come se gli avessero somministrato forti sedativi, sembrava non capire quello che i due stavano facendo quando lo presero e lo gettarono letteralmente nella lettiga, poi si fiondarono fuori ma, uscendo, gli occhi di Jamil incrociarono quelli del guardiano che assunse un tono interrogativo, stava cercando di capire dove aveva rivisto quell'uomo. Hito gridò: “Presto tutti fuori, è scoppiato un incendio!” Dalle altre camere cominciarono ad arrivare grida e imprecazioni varie mentre il personale presente correva su e giù per la corsia tutti mezzi svestiti.

Jamil e Hito infilarono nell'ascensore aperto e, all'uomo che cercava di seguirli Hito si oppose con un gesto imperioso. “No! Questo ascensore è riservato al personale, vada con l'altro o scenda per le scale!” E chiuse la porta.

Mentre scendevano si tolsero i camici e ne misero uno a Martini che si alzò barcollando dalla lettiga. Arrivati nell'atrio videro che John si era già preparato all'evenienza e si era piazzato all'uscita con l'auto in moto e gli sportelli aperti, i tre si precipitarono dentro e, con la coda dell'occhio, videro l'uomo che li aveva inseguiti e che si frugava nella tasca interna della giacca, come per estrarre una pistola, poi, vista la gente intorno, decise di soprassedere.

“Via, via, via!” - Disse Jamil - “Predi subito l'autostrada che va a nord prima che quei due ci raggiungano!”

Per il resto della notte John guidò sull'autostrada mentre sia Jamil che Hito non facevano altro che guardare se da dietro non li seguisse qualche macchina,

intanto Martini continuava a dormire profondamente, chissà cosa mai gli avevano dato per annientarlo così.

Mentre albeggiava Jamil disse: “Ora possiamo anche fermarci ad un autogrill, dobbiamo comprare qualche vestito per Martini e dargli una bella dose di caffè, e anche io avrei bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.”

Hito sbruffò a queste ultime parole ma anche a lui, pensò senza dirlo, una bella tazza di caffè non avrebbe fatto male.

Si fermarono al primo autogrill e, mentre John ricaricava le batterie dell'auto e Martini iniziava a dare timidi segni di ripresa, Hito e Jamil entrarono nel bar da dove uscirono con sei enormi bicchieri di carta in un vassoio e con una busta che doveva contenere panini per tutti.

Dopo aver mangiato e bevuto molto caffè, quasi costringendo il sovraintendente a ingoiarne due bicchieri, i tre si apprestarono a ripartire.

“Ora guido io!” Disse Jamil gettando gli altri nel panico Quindi si mise al volante e l'auto schizzò come se partisse per un rally.

Martini, dopo la massiccia dose di caffè, sembrava iniziare a connettere e, sempre con una strana voce strascicata disse: “Cosa diavolo è successo, dove stiamo andando!” -

Poi guardandosi la vistosa ingessatura - “Mi fa molto male il braccio, chi mi ha

ferito così!”

“Non ti ricordi nulla.” - Gli disse Jamil - “Un'auto ha mandato fuoristrada il taxi in cui viaggiavamo e due uomini ci hanno portato in un magazzino, tu, nell'incidente, ti sei rotto un braccio ed hai anche battuto la testa, poi è arrivata Jaqueline.”

“Jaqueline?” - Lo interruppe Martini - “Sì, lei, e ti ha fatto portare in quella clinica, dove ti hanno medicato e ingessato il braccio rotto, ma ti hanno anche intossicato con sonniferi e tranquillanti vari. Poi siamo arrivati noi e, facendo un po' di confusione, siamo riusciti a portarti fuori da li.”.

“Quindi mi avete salvato, nelle mani di Jaqueline sarei finito molto male!”

“E sì, ora stiamo andando a Seattle, a casa di John, per nasconderci dato che anche la polizia del Wyoming ci sta cercando, poi decideremo cosa fare.”

“La polizia? Cosa c'entra la polizia?”

“Il Capo è una complice di Jaqueline e di Lactalis, si chiama Hannah Fossil, la conosci?”

“Si la conosco, fa parte dell'organizzazione ed è molto amica di Jaqueline.”

“Hai qualcuno che ci può aiutare, siamo in pratica nelle mani di Jaqueline e di

Lactalis, tu rappresentavi la nostra unica speranza di venirne fuori. Apposta ti abbiamo liberato correndo grossi rischi. Non c'è qualche tuo amichetto etrusco che possa aiutarci a sconfiggere il piano di Lactalis.”

“Forse una vaga idea l'avrei, Jamil, ti ricordi quella bella signora mora, alta e dalla carnagione olivastra che è uscita poco dopo Jaqueline dalla sala del consiglio.”

“Come faccio a non ricordarmi di lei, era veramente una delle donne più belle che ho visto, ho notato anche che, prima di uscire, ha scambiato qualche parola con te.”

“Sì, in effetti credevo che fosse dalla mia parte e, quando l'ho vista uscire con Jaqueline non ho potuto fare a meno dei chiedergli una spiegazione. Lei mi ha risposto evasivamente molto impacciata.”

“Ma se sta con Jaqueline come speri che ci possa aiutare?”

“Sono sicuro che non la pensa come Jaqueline e che anche lei non condivide il piano di Lactalis. Se si è schierata con loro ci deve essere qualche altro motivo.

Comunque sono sicuro, per l'amicizia che ci lega da anni, per un periodo anche molto intima, che se riesco a parlare con lei da solo riuscirò a sapere di più sul piano di Jaqueline e di Lactalis.”

“Perché dovrebbe sapere tante cose?” Jamil incominciava ad essere impaziente.

“Perché Maya Milos, così si chiama, nonostante la giovane età, è un’alta dirigente della direzione della F.B.I.

di Atalanta ed è a capo della sezione che controlla i movimenti della finanza internazionale sospetti di destinazioni illecite.”

“Allora dovrebbe sapere tutto su Lactalis!” - L'interesse di Jamil aumentò notevolmente - “A questo punto questa rimane l'unica via percorribile, quanto ci vuole, John, per arrivare a Chicago?”

“Se ci alterniamo al volante e soprattutto se tu smetti di guidare “all’italiana”, penso che in dodici ore ci dovremmo essere !”

“Bene, adesso sono le sette, a Chicago ci siamo per l’ora di cena: ” – Disse Jamil – “Sbaglio o Chicago è famosa per le steck house?”

“ Basta Jamil!” – esclamò Hito – “Quella del cibo per te è una vera ossessione!”

Questa discussione, oltre alla nuova possibilità di sapere qualcosa di più dall’amica di Martini, contribuì a rasserenare gli animi ed il viaggio proseguì spedito. I tre, escluso Martini che ancora non si sentiva sicuro, si alternavano alla guida dormendo quando non era il loro turno e fermandosi solo per mangiare e ricaricare le batterie dell’auto.

Chicago

I calcoli di John non si rilevarono molto esatti, infatti giunsero a Chicago che erano le nove ate. Martini nel frattempo si era completamente ristabilito e anche la ferita gli faceva molto meno male. Sicuramente Maya Milos non era più in ufficio ma Martini conosceva a memoria il suo numero privato di casa. Sorvolando benevolmente su questo elemento, che faceva pensare a ben più di una solida amicizia fra i due, fermarono la macchina davanti ad un telefono e fecero scendere Martini che, sebbene un po’ recalcitrante per l’ora, chiamò Maya Milos a casa. Dalla macchina i tre scrutavano con trepidazione le espressioni del volto di Martini mentre parlava al telefono fino alla fine della conversazione. Poi Martini rientrò in macchina: “Ci vediamo fra un’ora all’Hotel Mayer dove, gli ho detto, cercheremo delle camere per la notte!” – Poi rivolgendosi a Hito che era al volante in quel momento – “Lo conosco perché mi fermavo sempre lì quando ero a Chicago, ti dico io come andarci!”

Grazie alle precise indicazioni di Martini, che doveva essere molto pratico della città, in breve furono all’hotel, dove gli furono assegnate le camere. Sfiniti dal viaggio, tutti salirono in camera per rinfrescarsi. Martini, prima di prendere l’ascensore, disse agli altri:

“Scendo solo io fra mezz’ora, per parlare con Maya, è più prudente, per ora, che lei non sappia di tutti voi. Restate in camera, vi avvertirò quando avrò finito.”

Jamil, appena entrato nella sua camera, si spogliò di corsa e si precipitò sotto la doccia per un buon quarto d’ora: Si cambiò d’abito, poi pensò che nessuno avrebbe fatto caso a lui nella hall dell’albergo, quindi poteva anche scendere, avrebbe controllato da lontano il colloquio fra Martini e la bella Maya, la curiosità era troppo forte!

Aprì la porta e, nel corridoio, trovò gli altri due, evidentemente spinti dalle sue stesse motivazioni. Si guardarono l’un l’altro con fare colpevole……poi accennarono a rientrare nelle proprie camere……. si guardarono di nuovo con fare meno colpevole ed infilarono tutti e tre nell’ascensore che scendeva giù.

Arrivati nella hall, notarono subito la bellezza prorompente di Maya seduta in un tavolo del bar con Martini. Lui era di nuovo vestito con un impeccabile completo blu, camicia e cravatta, evidentemente aveva fatto acquisti nella boutique dell’hotel. Lei costringeva tutti quelli seduti in torno a guardarla tanto era prepotentemente appariscente pur nell’eleganza sobria di chi starebbe bene anche con un saio monacale addosso.

Erano troppo lontani per carpire qualcosa della conversazione quindi, con fare noncurante, ando alle spalle di Martini, si diressero verso il bancone del bar.

“Prego.” – disse allora la voce di Martini – “Sedete pure con noi, ero sicuro che sareste scesi. Vi presento la mia cara amica Maya Milos.” – Poi rivolgendosi a lei – “Questi sono i miei salvatori e complici nella vicenda, te li presento.”

Fatte le dovute presentazioni, si sedettero tutti intorno al tavolo.

“Maya mi ha detto che è stata costretta a mettersi dalla parte di Jaqueline perché era ricattata per una vecchia vicenda oramai dimenticata ma che poteva nuocere alla sua brillante carriera. Ora, dopo che gli ho raccontato cosa è successo ed i mezzi che stanno usando, è dalla nostra parte. “

“Lactalis, con la complicità di Jaqueline, vuole portare a compimento il suo piano del tutto incurante della filosofia dei Nuovi Rasna. Egli vuole solo accrescere il suo potere economico, senza apparire in prima persona ma con precisi contatti con esponenti di spicco del potere mondiale che sta ricattando con la minaccia di diffondere carestie e morte nelle zone più a rischio del paese. Oltre a questo, sta imponendo la cessazione di ogni azione delle polizie internazionali, compresa l’F.B.I. dove io lavoro, nei suoi confronti. Infatti da qualche tempo, la collaborazione fra la giustizia di varie nazioni, stava mettendo alla luce loschi traffici di tutti i tipi che vedevano a capo Lactalis o società a lui riconducibile. Il rischio che correva era quello di essere finalmente scoperto e sottoposto a processi che avrebbero provato sicuramente la sua colpevolezza.

Quindi cerca di evitare la prigione ed il fallimento delle sue aziende con il ricatto avendo in mano, attraverso la stella, il potere di vita e di morte su intere popolazioni. “

“Come avete sentito.” – disse Martini – “Il piano è diabolico e tutto ora ha un senso:”

“Se il vostro scopo è rendere inoffensivo il piano di Lactalis.” – Continuò Maya – “Io sono dalla vostra parte e, già da domani, cercherò di scoprire se, dalle informazioni contenute nei nostri archivi, emerge qualcosa che possa aiutarci a sconfiggere Lactalis.

Domani vi farò sapere cosa ho trovato, buonasera.” – poi rivolta a Martini con uno sguardo molto diverso - “Ciao Franco, a presto:”

“A questo punto non ci rimane che aspettare domani.” –

Disse Martini - “Nel frattempo andiamo a mangiare qualcosa di decente, conosco un buon ristorante qui a due i.”

“Io non volevo dirlo per primo dato che tutti pensano che il cibo sia il mio unico interesse!” Disse Jamil accodandosi subito a Martini.

Dopo un’ottima cena, come promesso da Martini, si ritirarono nelle loro camere sfiniti.

Al mattino si ritrovarono per colazione, Martini disse che era rimasto d’accordo con Maya che lo stava aspettando nella sede dell’ F.B.I. per controllare insieme le notizie estratte su Lactalis e che si sarebbero ritrovati in hotel nel primo pomeriggio per decidere insieme come procedere.

Jamil fece una lunga telefonata a sca che era sempre più preoccupata provando a tranquillizzarla e promettendo un suo imminente rientro a casa. Hito si mise in contatto con i suoi colleghi, fra i quali Gherardo, ma non ebbe nessuna buona notizia sugli sviluppi dell’esame della stella. John si dedicò al riesame delle foto dei reperti trovati nella tomba con particolare attenzione alla scritta che parlava della stella. Le riprese effettuate prima dell’apertura, purtroppo, confermarono che la scritta non appariva leggibile. Da quelle fatte dopo l’apertura la fine della frase era scomparsa a causa del deterioramento istantaneo degli affreschi a contatto con l’aria esterna. Realisticamente John non pensava certo che nella frase finale ci fosse la soluzione di tutti i problemi, comunque sarebbe stato interessante sapere cosa c’era scritto.

Nel primo pomeriggio, come concordato, si ritrovarono tutti e quattro. Martini iniziò a riferire cosa aveva appreso da Maya:

“Dagli archivi delle polizie di tutto il mondo emerge che gli affari di Lactalis coinvolgono tutti i continenti. Le numerose aziende che fanno capo a lui, spesso con un sistema di scatole cinesi che tentano di occultare la sua partecipazione, occupano tutti i settori con confini molto incerti fra attività lecite ed illecite. Comunque questo si era già capito. La cosa più importante, e che sembra sia confermata anche da una frase che Jaqueline si è lasciata sfuggire parlando con Maya, è che la pianta della stella di Cibele nasce e cresce in serre costruite apposta che si trovano all’interno di un grosso stabilimento, sempre di proprietà di Lactalis, che si trova a Davos, in Svizzera.”

“Bene!” – intervenne Hito – “A questo punto basta avvertire le autorità svizzere e si risolve il problema:”

“Purtroppo non è così facile: Lactalis in Svizzera può contare su complicità ai massimi livelli. Maya mi ha detto che, in pratica, tutti i membri dei governi dei vari cantoni svizzeri sono nel suo libro paga. Quindi dobbiamo scordarci assolutamente un aiuto ufficiale.”

“Le notizie da chi sta studiando come eliminare la stella senza rendere sterili i terreni non sono incoraggianti.” –

Disse Hito – “Anzi sono proprio negative, nessuno ha fatto il minimo progresso.”

“Non ci resta che andare in Svizzera e vedere cosa possiamo fare.” – Disse Jamil nel cui pensiero aveva ripreso vigore lo spirito avventuriero. – “Prima andiamo e prima vediamo cosa si può fare!”

Questa volta tutti furono d’accordo con la proposta di Jamil e incaricarono John di organizzare il viaggio.

Il primo volo per Zurigo era in partenza alle cinque, quindi avevano due ore per preparare i pochi bagagli e farsi portare all’aeroporto.

Davos

Dopo cinque ore di viaggio l’aereo atterrò all’aeroporto di Zurigo. La Svizzera era molto diversa dai primi anni del secolo. Al grosso incidente ad una centrale nucleare ed al conseguente avvelenamento da radiazioni di campagne e città era seguita una vera catastrofe economica iniziata con il fallimento delle tre principali banche svizzere. Ora il paese era in una profonda crisi ed il tenore di vita degli abitanti, tra i più ricchi a livello mondiale fino a poco tempo prima, era ora il più basso d’Europa, considerato anche che in quell’area, la crisi aveva colpito pesantemente a differenza che nei paesi del Mediterraneo.

Dopo una dura battaglia per avere un’auto a noleggio partirono per Davos dove, dopo poco più di un’ora, arrivarono e poterono dedicarsi alla ricerca del complesso industriale a cui aveva fatto riferimento Maya.

“Mi ha dato delle indicazioni molto precise su dove dovrebbero essere le serre nelle quali crescono le stelle.”

Disse Martini indicando il percorso da seguire.

Dopo poco arrivarono nei pressi di un grosso capannone che dall’esterno, mostrava vistosi segni di degrado.

L’Aspetto contrastava enormemente con il paesaggio di Davos, circondata da vette di montagne incontaminate e da boschi di piante secolari altissime. Certo non sembrava che tutto fosse contaminato da un invisibile veleno radioattivo.

Il complesso industriale era circondato da un’alta rete di filo spinato che sembrava istallata di recente, e da gabbiotti dentro i quali s’intravedevano le figure di guardie armate. Facendo il giro del complesso videro un solo ingresso sbarrato da un cancello doppio e con guardie dappertutto.

“E’ praticamente impossibile espugnare questa fortezza:”

– Disse Jamil – Ci sono guardie ovunque, comunque è certo che siamo nel posto giusto perché l’aspetto del capannone cosi dismesso è chiaramente fatto apposta per non essere notato, mentre il servizio di vigilanza denota che, quello che c’è all’interno, è molto importante.”

“Poi avete notato:” – puntualizzò John – “Non c’è nessuna insegna, il complesso è del tutto anonimo.”

“E’ praticamente inespugnabile per le nostre forze.” -

Confermò Martini - “Dobbiamo ringraziare Maya ma ci troviamo davanti ad un ostacolo insormontabile!”

“Da noi certamente,” - Disse Hito - “Ma non tutte le speranze sono perdute. Io conosco un collega dell’università di Berna di cui sono molto amico.

Dobbiamo affidarci a lui. Sicuramente troverà le leve giuste per intervenire, anche, minacciando di rendere pubblico tutto. Detto da lui, che è un importante

protagonista del mondo scientifico svizzero, la cosa otterrà una grande visibilità ed allora le autorità non potranno fare a meno di intervenire e debellare la congiura. Torniamo in albergo, tanto qui non mi sembra che ci sia nulla da fare, io proverò a mettermi in contatto con lui.”

Tornati in albergo Hito dette seguito ai suoi propositi e telefonò al suo collega biologo, professor Kruger con cui, dopo innumerevoli convenevoli, fissò un appuntamento per la mattina del giorno dopo accennando vagamente al problema della stella. Kruger conosceva la questione essendo in contatto con i laboratori che studiavano la pianta, quindi si dimostrò molto propenso ad aiutare Hito e gli altri.

La sera a cena gli animi erano molto più sereni, il fatto di aver individuato le serre dove nascevano le piante e l’aiuto offerto da Kruger diffuse un cauto ottimismo tanto che i continui battibecchi fra Hito e Jamil originati da considerazioni in merito alle differenze culinarie fra Giappone e Italia, innescarono accese discussioni alle quali parteciparono tutti e quattro.

Alla fine si arrivò ad una sfida vera e propria che si sarebbe tenuta a tavola prima in un ristorante italiano scelto fa Jamil, e, in seguito in un ristorante di Kyoto conosciuto da Hito, naturalmente dopo la distruzione di tutti i germogli della stella di Cibele.

Finita la terza bottiglia dello scadente vino prodotto in Svizzera, con la testa pesante ed il o insicuro, i quattro andarono a letto nelle rispettive camere nell’attesa dell’importante appuntamento dell’indomani con Kruger.

Al mattino, appena alzato, Jamil chiamò al telefono sca, questa volta la telefonata fu particolarmente vivace e le mezze verità che Jamil confessava non avevano altro effetto se non quello di farla arrabbiare di più, solo quando disse di

essere in Svizzera, molto più vicino a casa e in procinto di tornare sca si calmo un po':

“A proposito ti ha cercato molte volte il tuo alunno, sco, sai quello che ci ha procurato tutti quei guai con le celle?”

“Certo che lo so, come potrei scordarmi di lui, e che voleva questa volta?”

“Alla fine mi ha consegnato un pezzetto di muro con una strana scritta, ha detto che gli dispiaceva molto ma che non ha potuto fare a meno di raccoglierlo quando l'avete portato nella tomba etrusca di Vetulonia, e che lo vuole restituire senza avere guai.”

“Non fa mai la cosa giusta, comunque mandami subito una foto per posta elettronica, qui con me c'è un esperto di scrittura etrusca, gli faccio vedere la foto così mi può dire se è importante o se non conta nulla. Ciao a prestissimo!”

sca riagganciò il telefono con un mugugno di saluto poco convinto e Jamil scese per la colazione.

Gli altri avevano già quasi finito quindi Jamil si abbuffò assaggiando tutto quello che vedeva con una voracità sorprendente, poi, uscendo, si fermò davanti ad un computer a disposizione dei clienti dell'hotel per stampare e far vedere a John la foto della scritta che sca gli aveva sicuramente mandata.

“Andiamo!” - gli disse Hito - “Non c'è tempo per gingillarsi con il computer,

Kruger ci aspetta.”

“Solo un attimo, devo far vedere a John questa scritta che un ragazzo ha portato via dalla tomba.”

“Gliela farai vedere quando torniamo:”

E si avviarono verso l'uscita costringendo Jamil a seguirli.

Giunsero a Berna dopo poco più di un’ora e trovarono subito l'imponente edificio dell'università. Sicuramente aveva ato momenti migliori, il prato che circondava l'edificio aveva bisogno di essere rinfoltito e presentava diversi tratti dove le erbacce lo soffocavano, l'edificio aveva urgente bisogno di essere restaurato e dalla facciata si erano staccati pezzi d’intonaco. Anche l'interno denotava mancanza di manutenzione e notevole incuria.

Arrivarono in portineria, dove gli fu detto con rudezza da un portiere maleducato e sfaccendato dove era lo studio del professor Kruger. Seguendo le indicazioni arrivarono ad una porta che portava una targa scolorita dove era scritto il nome del professore svizzero.

Dopo aver bussato, senza ricevere risposta entrarono.

Dietro alla scrivania la poltrona era girata e la persona che vi sedeva dava le spalle alla porta.

“Buongiorno Kruger!” Esclamò Hito.

“Buongiorno a voi tutti, ciao Franco!” rispose la voce di Jaqueline che sedeva nella poltrona girandosi lentamente verso di loro.

Sconfitta

“Pensavate che vi avessimo lasciato tentare di mandare a monte il piano indisturbati!” - Disse Jaqueline mentre scrutava i suoi interlocutori e Martini in modo particolare

- “E' perfettamente inutile per voi cercare aiuto qui in Svizzera, il professor Kruger, come tutti i maggiori esponenti scientifici e politici svizzeri, è nel libro paga di Lactalis e certo non muoverebbero un dito contro di lui.”

- Si alzò dalla poltrona e la sua voce si fece ancora più dura - “Avete provato ad ostacolarci ma sappiate che, nonostante la vostra fuga avventurosa, eravate sempre sotto il nostro controllo. Rappresentavate un piccolo pericolo per i nostri piani, in un momento in cui conoscere chi c'era dietro all’operazione stella di Cibele poteva essere un contrattempo. Ora abbiamo già avuto i contatti che ci interessava avere per permettere a Lactalis di uscire indenne dalle sue piccole grane giudiziarie.

Abbiamo deciso che siete inoffensivi, non potete provocarci nessun problema, quindi lasciate immediatamente la Svizzera e tornatevene a casa. Tenete presente che continuiamo a controllare voi e le vostre famiglie”- Poi scrutando Martini “Con te, Franco, naturalmente la partita non è chiusa, ci incontreremo molto presto!”

Con questa minaccia li congedò ed i quattro si ritrovarono nel corridoio più abbattuti che mai. Senza dire una parola si diressero alla macchina e ripresero la strada per Davos.

Durante il tragitto verso l’hotel Jamil notò un’auto bianca di grosse dimensioni che aveva tutta l’aria di seguirli, lo disse agli altri che, ormai delusi e sconfitti, risposero con un’alzata di spalle.

“Dobbiamo reagire!” – disse a quel punto nell’indifferenza totale degli altri – “Non possiamo assolutamente abbandonare la speranza di contrastare il piano di Lactalis.”

“Ma cosa stai dicendo.” – Lo interruppe Hito – “Mi dispiace infinitamente confessarlo ma siamo sconfitti, non vedo come si possa reagire.”

Nel frattempo erano già arrivati in hotel dove ognuno salì nella propria stanza per preparare quel minimo di bagaglio che l’aveva accompagnato per tutti gli spostamenti degli ultimi giorni.

Dopo pochi minuti erano in macchina, mancava solo Jamil che arrivò trafelato con la valigia semiaperta e salì al volo in macchina.

“Fermi”! – disse, però, prima di partire – “Ancora un momento, devo rientrare in hotel .”

Riuscì dall’auto sempre di corsa e rientrò nella hall, i compagni lo videro armeggiare nel computer a disposizione e stampare un foglio, poi ritornare.

“Allora!” – Disse Hito contrariato – “Possiamo partire ora?”

L’auto viaggiava sull’autostrada svizzera piena di buche e maltenuta, sempre seguita, a poca distanza, dalla macchina bianca i cui conducenti mostravano di non avere alcuna paura di essere notati.

Arrivati al confine con la Padania, la nuova nazione che si era divisa dall’Italia intorno al 2020, l’auto bianca si fermò mentre i quattro facevano la fila alla dogana controllati a vista da sospettosi gendarmi padani.

ata la frontiera, l’autostrada si fece, se possibile, ancora più precaria e, pur essendo già ata da un po’

l’ora di pranzo, anche Jamil convenne che era meglio fermarsi in Italia.

La Frase

“John!” – Esclamò Jamil ad un certo punto facendo sobbalzare l’americano che dormicchiava nel sedile posteriore – “Mia moglie sca mi ha mandato questa foto di un frammento d’iscrizione che un mio alunno si è messo in tasca a Vetulonia.”

“Begli alunni che hai, lo sai che questi reperti non devono essere trattati da souvenir!”

“Io lo so bene, ma questo ragazzo è un po’ particolare, se solo tu sapessi quanti guai mi ha procurato, comunque questa è la scritta, ti dice qualcosa?”

John guardò attentamente il reperto, poi aprì il piccolo computer che portava sempre con sé.

“E’ così difficile da interpretare?”

“No, assolutamente, c’è scritto “l’ombra della sera”

“E allora cosa studi con tanta attenzione?”

“L’ombra della sera è una famosa e inquietante scultura etrusca che rappresenta una figura umana, ritrovata a Volterra e qui conservata. Il nome alla statuetta si dice sia stato dato da Gabriele D’Annunzio, il famoso poeta italiano, per la sua strana forma allungata che ricorda le ombre nelle ore tarde.”

“E cosa c’è di tanto strano in questo?”

“Il tuo alunno incivile ha sottratto proprio il frammento che è caduto dalla scritta che abbiamo ritrovato nella tomba a Vetulonia.”

“Quella che parla della stella di Cibele?”

“Sì, proprio quella. Quindi la scritta completa dice:

“Colpirai i campi dei tuoi nemici con la stella della vergine nera Cibele, poi le purificherai con l’Ombra della Sera” . Però che senso ha tutto questo non lo capisco davvero:”

“E sì, cosa c’entra una statuetta con la pianta infestante.”

“Comunque è un dato importante, appena potrò, mi metterò in contatto con O’Neil per sentire se ha qualche idea a proposito. Tu Martini – Disse poi al sovraintendente che dormiva profondamente scuotendogli un braccio – Ti dice qualcosa .”

“Cosa mi dovrebbe “dire qualcosa”, stavo dormendo e non vi seguivo.”

“Niente, niente, continua a dormire che abbiamo molta strada da fare.”

Finalmente arrivarono al confine con l’Italia, da lì l’autostrada si fece molto più agevole e, al primo grill, si fermarono, finalmente, per mangiare.

A tavola nessuno aveva voglia di parlare e si scambiarono solo pochi discorsi su futili argomenti. Anche Jamil, cui una tavola apparecchiata metteva sempre allegria, era stranamente riflessivo e, addirittura, arrivò al punto di non finire la sua portata.

Arrivati in Toscana, decisero che Hito e John avrebbero accompagnato prima Jamil a Perugia, quindi Martini a Vetulonia per proseguire poi verso l’aeroporto di Roma.

Dopo aver lasciato la macchina a noleggio, avrebbero preso il primo aereo per le rispettive destinazioni di Seattle e Beijing.

Parlare di questo non piacque certo a nessuno, sembrava proprio uno “sciogliete le fila”. I quattro erano stati per pochi giorni, compagni di un’avventura irripetibile e, fra di loro, era nata una forma di complicità e di sincera stima reciproca. Era duro lasciarsi in questo modo, ognuno per la sua strada, con l’amaro sapore della sconfitta in bocca.

Arrivati a Vetulonia Martini scese dalla macchina e, con appena un cenno ed un

vago sorriso salutò gli altri tre.

Dopo poco, a Perugia, fu la volta di Jamil. Con lui il saluto fu più cordiale, anche perché la diffidenza che Hito aveva sempre avuto nei confronti del professore, nelle ultime ore, si era trasformata in stima. Si strinsero la mano e, con un po’ d’impaccio, accennarono ad un timido abbraccio. Con John invece l’abbraccio fu molto più vigoroso e quasi gli ruppe le costole. Jamil rimase sulla soglia di casa fino a che l’auto dei due non scomparve lontano, dietro ad una curva.

Entrò, sca era seduta su una sedia, in cucina.

Appena lo vide corse da lui e, quasi piangendo, gli buttò le braccia al collo. Istantaneamente tutta l’ansia accumulata scomparve e anche Jamil ritrovò un po’ di serenità. sca volle sapere tutto, dall’inizio alla fine e con dovizia di particolari. Lo rimproverò aspramente per avergli tenuto nascosti i pericoli che aveva corso, poi si apprestò a preparargli una buona cenetta. Nel frattempo anche Luca si era unito ai genitori felice finalmente di vedere tutti a casa, insieme.

Dopo cena, una volta messo a letto Luca, i due si sedettero sul dondolo nella loro veranda.

“Jamil.” – disse allora sca – “Il fatto che Lactalis la faccia franca in tutti i suoi processi e che acquisti ancora più potere di quanto ne ha ora ti preoccupa molto, vero?”

“Cero che mi preoccupa, non dico che tutto cambierà per questo ma certo che se personaggi di questo genere arrivano dove lui è arrivato usando i mezzi che lui

ha usato… beh, noi non lasceremo un bel mondo al nostro Luca.”

“E’ vero, anche a me non piace quello che sta succedendo. Guarda quel piccolo insetto, così elegante di un bel colore verde , lui non ha i nostri problemi, il suo unico interesse è per il cibo.”

“Che insetto è, non lo vedo bene, ah sì, è una mantide religiosa, veramente uno strano insetto.”

“Pensa.” – disse sca distogliendo lo sguardo dall’insetto e rivolgendosi al marito – sai cosa ho letto, che la mantide era sacra presso gli Etruschi e la chiamavano in un modo strano, non ricordo bene, mi sembra “ombra della sera.”

“Cosa!” – Jamil saltò dal dondolo quasi facendolo ribaltare – Che cosa hai detto! Gli etruschi chiamavano la mantide “ombra della sera”, ho capito bene?”

“Si hai capito bene, cosa c’è di tanto strano?”

“Ti ho raccontato tutto ma non una cosa: La scritta che ti ha portato sco, il mio alunno, significava proprio

“ombra della sera” ed era l’ultima parte di una frase relativa alla stella di Cibele che diceva che i campi infestati dovevano dopo essere purificati, quindi fatti tornare produttivi, con, appunto, l’ombra della sera. Forse gli etruschi, dopo aver infestato i campi, spargevano su questi le mantidi che si cibavano delle stelle di Cibele ed erano gli unici insetti che non permettevano alle terribili piante di

riprodursi! Scusami ma devo telefonare subito a Martini, spero di trovarlo nel suo ufficio:”

Detto questo, si precipitò al telefono e compose il numero di Martini. Il sovraintendente era sempre in ufficio a pensare ad una possibile soluzione, senza però nessun’idea in testa. Rispose di malavoglia al telefono dopo numerosi squilli e, alla cornetta la voce di Jamil quasi gli sfondò il timpano:

“Martini, ascoltami bene, non c’è tempo da perdere, lo sapevi che gli etruschi chiamavano le mantidi religiose

“ombre della sera”?”

“Sì, è scritto in un reperto trovato proprio qui a Cerveteri.”

“Possibile che lo sapevi tu, lo sapeva mia moglie e l’unico che non lo sapeva era proprio l’esperto in queste cose John. Comunque ora non importa, la scritta di Vetulonia dice che gli etruschi purificavano i campi infestati con l’ombra della sera.”

“Voleva dire quindi che spargevano delle mantidi, cioè delle ombre della sera sui terreni, e questi insetti riuscivano a non far riprodurre le stelle.” Terminò la frase Martini.

“Si è sicuramente così, dobbiamo sentire subito Hito, solo lui lo può confermare. Ora bisogna solo sperare che non sia già salito in un aereo per la Cina, facciamo

così, io parto ora per Roma con la mia macchina, ti o a prendere a Cerveteri e andiamo insieme all’aeroporto a fermare Hito.”

“Va bene, ti aspetto.”

Jamil dette un bacio di corsa a sca che aveva seguito tutta la conversazione, poi si precipitò verso la sua macchina e partì a razzo.

Dopo mezz’ora, arrivato a Cerveteri, fece salire Martini e, dopo appena una ventina di minuti inchiodò l’auto davanti all’entrata dell’aeroporto. I due lasciarono la macchina ed entrarono mentre un poliziotto di guardia li inseguiva per fargli spostare l’auto in sosta vietata.

Quando li blocco Jamil non lo degnò nemmeno di uno sguardo dicendo: “E’un’emergenza, faccia quello che vuole ma io non posso pensare alla macchina ora!”

Un’occhiata alla tabella delle partenze gli fece individuare il primo volo per la Cina con la partenza prevista entro venti minuti. Si precipitarono verso il cancello del volo e arrivarono proprio mentre Hito stava facendo controllare il suo biglietto.

“Fermate quell’uomo”! – disse Jamil con voce imperiosa

– “Fermatelo, Hito, siamo noi, non puoi prendere quell’aereo, forse abbiamo la soluzione.”

Sentendo chiamare il suo nome, Hito si voltò ma nella confusione non vide nessuno, poi, però sentì di nuovo urlare e riconobbe la voce di Jamil. Fu allora che lo vide.

“ma guarda com’è gentile.” – Pensò – “ E’ venuto fin qui a salutarmi di nuovo.” Salutò anche lui in direzione della sagoma di Hito e quindi si apprestò ad entrare nel corridoio che portava dentro all’aereo.

A quel punto Jamil non sapeva più cosa fare, vide che lo sportello accanto a quello di Hito era vuoto e s’impossessò del microfono collegato all’altoparlante, lo accese e gridò: “Hito, maledetto giapponese, torna subito indietro, abbiamo bisogno di te, forse abbiamo la soluzione.”

Dopo un minuto Hito era davanti a lui, rosso in viso e con le mani tremanti. “Spero che quello che hai detto sia vero, io ho perso l’aereo e, fino a domani, non c’è ne sono altri!”

“E’ importantissimo che tu mi dica una cosa.” – Disse Jamil – “E’ possibile che gli etruschi purificassero i terreni colpiti dalla stella con le mantidi?”

Hito rimase a prima vista perplesso, poi, mentre rifletteva, un sorriso cominciò a spuntare.

“Perché no, ho sentito quando John ti diceva della scritta, ma cosa c’entra l’ombra della sera con la mantide?”

“E’ proprio questo il punto, gli etruschi chiamavano la mantide così!”

“Ecco cosa non mi frullava nella testa e non riuscivo a capire!”

I tre si voltarono sentendo la voce di John alle loro spalle che aveva ascoltato tutto.

“Eccolo l’esperto, quello che da del tu agli etruschi.” – lo assalì Jamil – “Come fai ad essere qui!”

“Stavo aspettando il mio aereo quando ho sentito la tua voce che dava del maledetto giapponese a Hito, e allora sono venuto al suo cancello.”

“E’ vero.” – Disse allora Jamil rivolgendosi a Hito –

“Scusami ma ero un po’ eccitato, dimmi piuttosto è possibile che la soluzione sia questa?”

“Dobbiamo verificarlo in pratica, ma in teoria sappiamo che le mantidi sono voracissime e prediligono cibarsi della parte finale delle radici. Sappiamo anche, dagli studi effettuati sulle stelle di Cibele, che è proprio la parte finale della radice che fa poi ricrescere la pianta, anche se il resto viene distrutto dai diserbanti.

La stella di Cibele è molto particolare ed ha un metabolismo del tutto anomalo rispetto alle altre della stessa specie, quindi solo un intervento particolare può arrivare a distruggerla definitivamente, e questo gli etruschi lo sapevano e, a loro modo, c’e lo hanno comunicato.

La cena

Hito amava la pioggia, quella sera a Spoleto ne veniva giù tanta, dopo aver parcheggiato la macchina, si avviò verso il locale ed entrò togliendosi subito il soprabito bagnato di dosso.

Dal tavolo di fronte al camino gli giunse una voce:

“Hito, maledetto giapponese, è questa l’ora di arrivare, ti stiamo aspettando da un pezzo e io sto morendo di fame.”

“Jamil, sei sempre il solito, quando devi mangiare, non capisci più nulla.” – Disse Hito ridendo mettendosi al tavolo con John e Martini.- “Piuttosto, come state voi tutti, vi ho portato un regalo, - E dalla borsa che aveva con sé, tirò fuori tre piccoli vasi contenenti ciascuno una stella di Cibele – Questo servirà a ricordarvi della nostra avventura, ma, mi raccomando, tenetele di cura, come sapete, sono molto delicate.”

“Proprio delicate non direi” – Disse John ridendo –

“Altrimenti non ci saremmo nemmeno conosciuti.”

“Si dia inizio alla sfida” – Disse Jamil, poi chiamando lo chef - “Antonio, vieni qui, ti presento i miei amici, mi raccomando dai del tuo meglio perché questa è

una sfida vera. Fra le cucine italiana e giapponese, ed il secondo round è previsto a Kyoto.

Lo chef fece un cenno di assenso e tornò nel suo regno, nella cucina, immediatamente il cameriere uscì con un’incredibile serie di antipasti al tartufo e il sommelier iniziò a far assaggiare l’ottimo vino.

Fra un boccone e l’altro un mugolio di piacere ed un cenno di approvazione i quattro riavano quello che avevano trascorso solo sei mesi prima ridendo degli inconvenienti capitati.

“Ho letto qualche giorno fa sul giornale.” – disse ad un certo punto Martini – “Che di Lactalis si sono perse le tracce.”

“Si!” – rispose John – “L’ho letto anch’io, comunque il suo impero economico, dopo che il mondo ha appreso quali complotto aveva ordito, è crollato sotto il peso delle inchieste giudiziarie e delle condanne in tutti i paesi.

Pensate, ci sono stati processi anche in Svizzera ed è stato condannato anche lì.”

“Certo che quando è venuta fuori la notizia insieme alla soluzione delle mantidi è stato uno shock economico dal quale però siamo facilmente usciti. Piuttosto Franco. –

Disse Jamil rivolgendosi a Martini – “Di Jaqueline cosa ci sai dire?”

“Vi so dire che adesso la sua posta viene inviata presso le patrie galere dove ha una stanza vista cortile confinante con alcuni suoi complici. Anche i Nuovi Rasna sono stati sciolti dopo quello che era venuto fuori dalle teorie razziste che avevano coltivato alcuni dei suoi membri. E, tutto sommato, è meglio così. Io comunque parto la prossima settimana per gli Stati Uniti, dove ho un ciclo di conferenze proprio sulle stelle di Cibele.”

“Se non sbaglio, intuisco già dove terrai la prima conferenza, vuoi che te lo dica.” Disse con un sorriso Jamil.

“Sì, a Chicago, lo sai che sono molto affezionato a quella città!”

“Sì, e non solo alla città!”

Uscirono dal ristorante che aveva smesso di piovere, anche se faceva ancora molto freddo. Si salutarono abbracciandosi con la promessa di stare in contatto.

“Ciao a presto.” – Disse Jamil – “E se non ci vediamo nel frattempo l’appuntamento e fra sei mesi nel ristorante che Hito conosce a Kyoto, arrivederci amici!”

Fine.

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