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Susanna Fois

La Porta celeste

Battitore libero

Titolo originale: “La Porta celeste”

© 2013 Giovane Holden Edizioni Sas - Viareggio (Lu)

I edizione cartacea novembre 2013

ISBN edizione cartacea: 978-88-6396-387-8

I edizione e-book dicembre 2013

ISBN edizione e-book: 978-88-6396-441-7

www.giovaneholden.it

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Indice dei contenuti

Premessa I II III IV V Appendice Epilogo Ringraziamenti L'Autrice

Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi. È la pozione amara con la quale il medico che è in voi guarisce il vostro male. Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenità e in silenzio. Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta dalla tenera mano dell’Invisibile. Kalil Gibran, Il profeta, traduttore G.F. Brambilla. Milano, Feltrinelli, 2006.

Premessa

Il mio caso è un cancro al seno, scoperto in fase iniziale grazie alle visite annuali che ero solita fare come prevenzione. Uno duttale e uno lobulare di grado G3, di un tipo invasivo e infiltrante, di quelli che per quante cure si facciano o precauzioni si prendano, dicono gli oncologi, recidivano con facilità, radicando all’interno dei tessuti ed espandendosi. Ma la letteratura oncologica afferma anche che ogni caso è un caso a sé e pur nell’ambito della stessa patologia e grado di tipologia ogni persona ha il suo tipo di cancro. A metà del settembre 2010, quando è iniziata questa tappa in salita della mia vita, ho considerato di avere un problema, uno come tanti se ne presentano nella vita, che avrei affrontato e cercato di risolvere. Non ho mai perso la serenità e la mia lucidità mentale pur non perdendo di vista la serietà del problema, anche se confesso che certe notizie, soprattutto quando ancora non esiste un quadro clinico completo, preoccupano non poco e inducono pensieri deprimenti e futuri scenari tristi. Con ancora tanto da dare e da fare, con ancora tanto da costruire e sogni da realizzare è difficile pensare che sia arrivato il tuo momento e che tutto debba finire per colpa di un corpo estraneo che ha invaso una parte del tuo corpo. Ho scelto di reagire e ho scelto di farlo a modo mio, accostandomi a quelle scelte terapeutiche di cui avevo sentito parlare e di cui ero informata, perché sono sempre molto curiosa e interessata ai più diversi argomenti, e con l’utilizzo di fitoterapia e omeopatia, terapie alternative che pratico e adopero da anni nelle più diverse situazioni, approfittando quindi di una buona base di conoscenza. Ho scelto di non farmi curare con le terapie ufficiali, né chemioterapia né radioterapia, certa del fatto che la complessità del fenomeno cancro imponga un trattamento multimodale in quanto sono convinta che sia una malattia multifattoriale. Ho contattato due diversi oncologi di Roma per comodità di spostamento e ho

cominciato la spola per i viaggi volti alle consulenze che mi permettessero di formulare un piano terapeutico adatto e consono alle mie necessità, al mio modo di essere. Uno dei medici contattati mi ha seguito per la terapia Di Bella e un altro oncologo per un ciclo di ipertermia, che ho scelto di fare sostituendola alla radioterapia, tra gennaio e febbraio a Roma dove ho dovuto risiedere per un mese. Sono state dieci sedute di ipertermia profonda localizzata, praticata come da linea guida a giorni alterni. La cura Di Bella non è stata applicata interamente come da protocollo e come da indicazioni del medico, per mia scelta, ma solo con sciroppo a base di retinoidi e betacarotene e dosi massicce di melatonina coniugata, ata da prodotti di satterapia che è una pratica terapeutica che utilizza medicamenti omeopatici. Nel mio caso la terapia di o è stata mirata a rinforzare gli organi emuntori, il cervello, i nervi e i vasi sanguigni contemporaneamente alla somministrazione per via intramuscolare di micro iniezioni intorno al seno in numero di otto che mi praticavo anche da sola una volta alla settimana, in composizione di tre diversi prodotti miscelati insieme. Al mio rientro da Roma, alla fine del ciclo di ipertermia, ho ripreso subito le lezioni di Qi Gong, disciplina di filosofia orientale e seguivo gli insegnamenti del mio Maestro. Consigli riguardanti soprattutto la meditazione con visualizzazione, molto esercizio fisico e cambio abitudini alimentari per cui mi sono affidata a un nutrizionista. Per sostenere e rafforzare il sistema immunitario ho fatto un ciclo di assunzione di curcuma in capsule consigliatomi dal mio oncologo. Faccio periodicamente il digiuno terapeutico per permettere agli organi interni di fermarsi a riposare lasciandoli liberi di non lavorare, una sorta di fermo biologico in cui ci si riposa anche dal pensiero del cibo e che consente al corpo di rigenerarsi, depurandosi ed eliminando tossine. Sono ati tre anni da che tutto è cominciato, non prendo nessuna medicina per contrastare la patologia. Solo, come forma di prevenzione assumo periodicamente un composto a base di aloe e altri trattamenti di fitoterapia dagli effetti immunostimolanti, come l’uncaria tomentosa, una radice sudamericana dagli effetti straordinari e antimutageni in grado di stimolare e modulare le difese immunitarie regolandone l’omeostasi che è antiossidante,

antinfiammatoria e antireumatica nonché antivirale, usata da sempre dagli indigeni dell’Amazzonia per curare il cancro in maniera naturale. In alternativa uso fare dei cicli a base di Caisse formula, miscela di sette erbe in formulazione più avanzata e moderna evolutasi nel corso degli anni rispetto alla formula originale degli indiani Ojibwa che sostituisce, potenziandola, la vecchia formula usata da René Caisse che era composta da quattro erbe di origine canadese, coltivate biologicamente e raccolte in natura. Subito dopo l’operazione mi sono procurata la pianta adatta e ho preparato da sola il composto a base di aloe secondo la ricetta di padre Zago, assumendolo per due mesi nell’attesa che mi convocassero per conoscere le terapie assegnatemi dall’ospedale oncologico della mia città. Sedici cicli di chemioterapia totali con epirubicina e ciclofosfamide per i primi quattro mesi e in seguito quattro cicli di taxotere in concomitanza al trastuzumab che avrei dovuto continuare per un anno intero. A conclusione dei cicli di chemioterapia erano previste trenta applicazioni giornaliere di radioterapia, oltre all’ormonoterapia con Arimidex per cinque anni. Questa era la “cura” ufficiale e da protocollo… Ho litigato con tutti: medici, familiari, parenti e amici che non capivano e non si spiegavano come potessi, davanti a una situazione così grave e delicata, pensare di non affidarmi ciecamente alla medicina ufficiale e volessi fare tutto di testa mia, come un’incosciente irresponsabile. Sono arrivate le minacce, il terrorismo psicologico, i tentativi di lavaggio del cervello. Tutto inutile… E ho dovuto constatare (almeno è successo nel mio caso), che i medici oncologi pur di aver ragione sul paziente e quindi convincerlo a intraprendere la terapia ufficiale, non lesinano minacce di futuri eventuali peggioramenti. Fanno atti di vero e proprio terrorismo psicologico che spaventano il paziente mancando, a mio avviso, completamente di sensibilità, umanità e tatto, qualità indispensabili considerata la delicatezza e la gravità di certe situazioni. Di fatto, anziché essere di o e porsi come un riferimento, evidenziano la netta differenza tra medico e paziente trattando quest’ultimo come un subalterno al quale si impone un certo tipo di trattamento, che è poi quello ufficialmente riconosciuto, pena l’esclusione dal sistema rapporto medico-paziente basato sulla fiducia. Privato di ogni possibilità di collaborazione ma soprattutto della sua capacità di discernimento e scelta, senza che si tenga conto del suo coinvolgimento nel processo di guarigione, il paziente viene di fatto escluso da ogni e possibile

decisione lo riguardi. Ho cercato informazioni sul metodo Di Bella setacciando in internet i vari riferimenti, senza pensare per un momento che fosse una terapia caduta in disuso. Ho letto e studiato ando i pomeriggi e le sere davanti al PC, saltando da un link all’altro, documentandomi a fondo senza lasciare niente in sospeso o di intentato, telefonando per cercare contatti e appuntamenti e ho cominciato così molto semplicemente a formare il mio piano terapeutico. Ho pensato poi di abbinare l’ipertermia, terapia di cui non conoscevo l’esistenza, ma trovata in rete mentre cercavo altre informazioni e aprendo dei link che fortunosamente e in maniera del tutto casuale mi hanno portato a formarmi un’idea ancora più personale della situazione e ad approfondire le mie conoscenze, scoprendo questa terapia assolutamente non invasiva e dalla provata efficacia. È stato un bell’impegno fisico e mentale, ma soprattutto psicologico anche perché ho dovuto constatare che le persone, anche quelle più vicine, in certe circostanze perdono completamente l’equilibrio e finiscono per essere un ostacolo più che un aiuto. Ci si confronta con persone totalmente impreparate a are ed essere materialmente e psicologicamente d’aiuto non essendo in grado di sostenere, ascoltare e partecipare alla vita di quei giorni di forte disagio che inevitabilmente si stanno vivendo. A oggi non ho avuto alcun problema di recidiva o problemi di salute che in qualche modo possano essere conseguenza del cancro primario, mai avuto un giorno di dolore fisico per questo motivo, ma solo qualche giornata di sfinimento mentale che considero fisiologico e normale, abbinato a qualche malumore dato dalla situazione, soprattutto nei giorni che mi hanno vista alla ricerca di un programma da attuare, quel percorso che io volevo fosse rispondente a me e a quello che sentivo di voler fare. Ho pianto qualche volta di nascosto, ma questo non lo racconto molto volentieri. Sin dall’inizio di questo percorso ho sempre avuto la sensazione e la percezione di essere stata veramente guidata in tutte le scelte e in tutti i i che ho fatto e anche se seguivo una sorta di mia ispirazione personale era come se seguissi un filo logico che mi portava da una scoperta a un’altra, sapendo bene di avere il o della mia guida spirituale, i cui messaggi attraverso la canalizzazione entrarono a far parte di questo percorso, a o delle scelte terapeutiche. Ho “attaccato” il cancro da più fronti senza rassegnazione, ma anzi traendo lo spunto per mettermi alla prova non solo fisicamente ma anche sul piano

spirituale e mentale. Mi ha guidato sempre l’intuito, come se sapessi cosa e come fare, come muovermi e da cosa farmi attrarre o da cosa allontanarmi. Mi è stato di grosso aiuto l’essere stata sempre molto informata sia in campo medico tradizionale che in quello della medicina alternativa, in particolare quella olistica, secondo la quale qualsiasi malattia è vista nell’ambito di uno squilibrio di una delle nostre tre componenti: mente, corpo e spirito, e in cui l’uomo viene considerato nella sua totalità. Se una di queste si ammala, inevitabilmente si ammalano anche le altre e il corpo andrà a manifestare fisicamente il problema generando il sintomo. Quando la mente soverchia e governa le emozioni che diventano ingestibili, il corpo è probabilmente destinato ad ammalarsi in qualche sua parte. Credo che l’uomo non debba essere violato nella sua naturale biologia con cure traumatizzanti, invasive e dannose e che debba essere curato in maniera naturale e individuale personalizzando la cura. Ogni individuo è unico, ogni cura va adattata al singolo caso, in ogni suo aspetto, e credo ancora che sia necessario riparare i danni e non indurne e provocarne altri come comunemente succede con l’assunzione prolungata di medicinali. Non serve curare il corpo se la mente rimane malata o lo spirito è indebolito da problemi, stress, traumi. Soprattutto non serve curare il sintomo, la manifestazione fisica della malattia senza rimuovere la causa, che non elimina e non risolve alla radice il problema. Se la mente è malata, nel senso che gravano su di essa pensieri o problemi, preoccupazioni e malattie fisiche di vario genere, anche la nostra parte spirituale si incupisce e precipita nel buio, non riesce più a trovare un equilibrio e a bilanciare armonicamente i vari processi e il corpo continua ad ammalarsi ingenerando un circolo vizioso: più si sta male e ci si demoralizza o ci si deprime, più si devono assumere medicinali, sommando altri problemi al problema originario, indebolendo sempre di più il sistema immunitario. La mente nel frattempo diventa sempre più oppressa e depressa e continua a mandare segnali negativi all’organismo, di resa, di disfatta e di sconfitta. Bisogna riequilibrare, armonizzare, riportare energia là dove l’energia si è interrotta o è bloccata.

Qualche tempo fa leggevo che la notizia data a un paziente che è ammalato di cancro genera un trauma che viene ammortizzato solo temporaneamente, nel tentativo di dover pensare a come gestire la situazione nell’immediato, ma che

può provocare recidive negli anni a venire, nonostante le attenzioni e le cure ufficiali e no. Il paziente a cui viene diagnosticato e comunicata la patologia tumorale, solitamente vive una situazione di panico. Il cancro ancora oggi viene presentato e vissuto come una disgrazia, e il panico sarebbe il nuovo choc all’origine di quelle che vengono chiamate metastasi. È lo stesso trauma della notizia a mettere in moto quel processo mentale che porterà probabilmente problemi fisici in seguito. Si arriva a un certo punto a essere completamente schiacciati dalla nostra emotività che riesce a governarci privandoci della capacità di separare emozioni e raziocinio, portandoci in balia del solo negativo che la nostra mente in certi momenti riesce a rendere il pensiero dominante. Voglio dire che, togliendoci lucidità, siamo completamente immersi in una condizione di sudditanza della mente, che invece dovrebbe sovraintendere alle nostre funzioni al pari dello spirito e del corpo. Ed ecco la malattia… ecco ancora che una persona sana ed equilibrata perde la sua razionalità perché governata totalmente dalla sua parte emozionale. Non è semplice vivere ugualmente le emozioni e i sentimenti, continuando a gestire quel distacco che serve anche a mantenere la lucidità in certi momenti, anzi è difficile, ma è solo questione di imparare a conoscersi profondamente e a gestirsi. Nel Qi Gong la mente è vista come un piano armonico idealmente separato dal corpo e dallo spirito dove tutto il nostro pensiero, tutti i nostri problemi, le emozioni e i sentimenti vengono vissuti con serenità e chiarezza in maniera tale da poter affrontare tutto con distacco e obiettività, come appartenessero ad altre persone, anche se vissuti con intensità. In questo modo, i problemi si affrontano con la mente più acuta e razionale, meno coinvolta emotivamente portandoci sicuramente a elaborare la maniera migliore per la soluzione di ogni conflitto, anche interiore. Non significa affrontare i problemi e le situazioni con superficialità, ma anzi consapevolizzarli al meglio, senza ingigantirli e senza perdere di vista gli obiettivi da conseguire. Non significa perdere sensibilità e non provare emozioni, ma viverle più intensamente sotto una luce e una prospettiva diversa. Bisogna considerare che ogni nostra intenzione, pensiero o convinzione subconscia, crea intorno a noi e nell’universo una forza che modifica la struttura e l’interazione delle frequenze vibratorie e delle particelle di energia che costituiscono la nostra realtà. Siamo spesso preda di emozioni conflittuali, risentimenti, delusioni, nervosismi, stress, conflitti interiori e creiamo intorno a noi una forza disarmonica, senza alcun equilibrio.

Capita di attraversare momenti di stasi energetica o emozionale, disarmonia o carenza energetica che essendo energie a bassa frequenza vibrano dentro e fuori di noi rilasciando negatività che non portano benessere, perdurando nel tempo le stesse condizioni che le hanno ingenerate. Esse possono produrre dei seri danni ai nostri campi sottili quali i meridiani, i chakra e l’aura producendo a volte un segnale fisico, la risposta al malessere, quello che chiamiamo sintomo. Per essere rilevato dagli esami strumentali l’alieno ha bisogno almeno di otto, dieci anni per formarsi, quindi nel momento in cui si formava ero un’altra me stessa, fragile e psicologicamente manipolabile dagli eventi e dalle situazioni. Devo la serena gestione della mia situazione al fatto che quando è successo ero già una persona diversa da quella di dieci anni prima e per quanto possa sembrare paradossale, la patologia mi ha dato ancora una volta l’occasione di misurarmi con me stessa, con le mie capacità fisiche e mentali, di confrontarmi con gli altri e ne sono uscita molto più rafforzata di prima. Ancora paradossalmente direi che, a parte il colpo iniziale, è stata e l’ho vissuta come un’esperienza costruttiva, e tutto sommato non spiacevole, in qualche modo formativa. Fa parte di me. Ricordo quel periodo ato con molto affetto. Ho accettato il mio problema cercando di comprenderlo e consapevolizzarlo. Sono sempre stata serena, dall’inizio sino a oggi, e come gestire questa patologia ormai non è uno dei miei pensieri principali. Ho dovuto fare quasi tutto da sola, ata solo per le questioni pratiche, ma non mi sono mai persa d’animo. Viaggiavo da sola, vedevo medici e decidevo, pensavo e riflettevo. Il mio impegno è stato molto esercizio fisico, è stato meditare, una buona dose di ottimismo, tante risate e buonumore nonostante tutta la situazione che vivevo. La mente fa cose sorprendenti se solo siamo capaci di comprendere, trovare l’accesso giusto e avere la volontà di farlo. Non ci viene regalato niente, neanche la salute e nessun risultato viene raggiunto senza impegno, dedizione, sacrificio e conoscenza. Inutile dire ora che se avessi avuto prima queste consapevolezze probabilmente non mi sarei trovata a gestire questo problema. L’importante ora, che ho più coscienza di me stessa è lavorare affinché non capiti più, ma sempre molto serenamente e senza subire stress inutili. Non mi preoccupo del domani o del fatto che il male possa ripresentarsi, sono in piedi e godo di buona salute, ho tutte le mie facoltà attive, soprattutto non mi sono abbruttita o ammalata con la

cura chemioterapica, né depressa per gli inevitabili effetti collaterali che si sarebbero manifestati e che sicuramente sarebbero sopraggiunti. Questo è già un risultato e per ora sto vincendo io. Qualora il problema dovesse ripresentarsi, niente si può escludere a priori, ne prenderò atto e vedrò come sarà conveniente comportarsi. Ora questo problema non mi appartiene e non c’è questo pensiero a rendere pesanti le mie giornate. È il cambiamento interiore che porta alla maggiore comprensione attraverso la consapevolezza e che fa scoprire che c’è un altro modo di vivere e vedere le cose, un altro punto di vista da cui guardare la vita nelle diverse situazioni che si presentano. Anche nella quotidianità, nelle piccole cose che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi, alle quali non diamo importanza e il giusto valore, che sfuggono proprio perché si è troppo distratti dall’esterno e dall’esteriorità con cui si affronta la vita. Perciò non si riesce a rapportarsi con se stessi e a godere di tanti piccoli momenti di introspezione che sono di fondamentale importanza per cercarsi e trovarsi, scoprendo forse anche una persona diversa da quella che appare all’esterno. Una persona che interpreta un ruolo che finisce per nascondere o schiacciare del tutto la vera essenza interiore, protetta da corazze. Il punto di vista personale è sempre una conseguenza della nostra prospettiva, il modo in cui si guarda alle cose e a come ci si rapporta a esse. La prospettiva con cui ci proiettiamo all’esterno è sempre una manifestazione di quello che siamo interiormente o di quello che si sente di essere, pur se protetti da maschere con le quali interpretiamo la nostra vita. Riuscire a modificare il punto di vista e ampliare la prospettiva regala una visione differente, una percezione di se stessi e un’apertura mentale che ci fa vedere l’esterno in un modo totalmente diverso dall’usuale, a cui non avremmo mai neanche pensato. Ci si accorge che un altro modo c’è, che è sempre il nostro, ma proiezione di quello che siamo diventati. Riuscire a cambiare interiormente, ritrovandoci e riappacificandoci con la parte profonda di noi e con gli altri, ci porta a vedere e gestire diversamente tutto quello con cui ci rapportiamo, acquisendo una consapevolezza e una comprensione differente fuori e dentro di noi. È la pace interiore che ci sorregge e ci indirizza al meglio e io questa l’ho faticosamente conquistata già prima della comparsa dell’alieno, accettando quello che sono ed essendo soddisfatta di quello che ho. Accontentarsi potrebbe essere interpretato come un atto di rassegnazione, un comportamento o un modo di vivere che nasconde una mediocrità interiore, una debolezza che non permette di aspirare a più alti traguardi e a condizionare gli obiettivi che tutti ci mettiamo.

In realtà io penso che accontentarsi sia un atto di coraggio, una conquista mentale che regala sicuramente meno tensioni, meno conflitti interiori, meno invidie verso l’esterno, minore stress emotivo, meno ansia e angosce e un approccio al materialismo libero dall’ambizione e dal condizionamento dell’avere e del possesso a ogni costo. Tutto viene ridimensionato e corretto dalla raggiunta serenità ed equilibrio interiore che porta a dare il giusto valore a ogni cosa. È stato questo, l’equilibrio mentale e la serenità interiore, che mi hanno sostenuto, dato la forza e l’energia necessaria per affrontare il tutto senza drammi. Ho tantissimi interessi, una vivacità e curiosità mentale forse non comuni. Ecco perché non c’è posto nella mia testa per occuparmi dell’alieno e per dedicargli del tempo. Anzi, grazie all’alieno ho sviluppato altri interessi perché mi ha dato la possibilità di ampliare ulteriormente le mie informazioni e conoscenze. Crescere spiritualmente e formarmi come persona in grado di darmi e di poter dare ando e aiutando altri che vivono situazioni di difficoltà e disagio, è diventato il mio compito.

Alla visita per stabilire l’iter di cura, l’oncologo mi disse che la probabilità di recidiva a breve termine, entro sei mesi, senza l’ausilio della chemioterapia e radioterapia come da protocollo ufficiale e quindi da sua prescrizione era del sessanta, settanta percento. Con la terapia medica le recidive potevano assestarsi intorno al trenta, quaranta percento. Ho scelto la strada più rischiosa, quella più inusuale e difficile, ma sicuramente quella meno invasiva dal punto di vista fisico e psichico. Quando ho fatto presente all’oncologo che avrebbe dovuto seguirmi, che il mio sistema immunitario era già inequivocabilmente compromesso dal fatto che ho diverse intolleranze alimentari e allergie ai farmaci, fans e acido acetilsalicilico, mi rispose che purtroppo quello era il protocollo e quello doveva applicare e non c’erano alternative, né aggiustamenti o accomodamenti ad personam. La mia impressione è che i chemioterapici mi avrebbero uccisa in tre mesi o che mi avrebbero ridotta in brevissimo tempo alla stregua di una morta che cammina, molto prima di quanto avrebbe impiegato la malattia da sola a finirmi. E ancora durante la stessa discussione, parlandomi delle comuni e più blande

avvertenze sulla triade vomito, nausea e perdita di capelli mi comunicò che uno dei farmaci impiegati (antraciclina) avrebbe potuto provocarmi dei danni cardiologici, ma che solitamente queste complicazioni non erano gravi e risolvibili con la sospensione del medicinale. In ogni caso si sarebbe potuto intervenire con un altro farmaco adatto a sostenermi nel problema, se questo si fosse verificato. Ho sempre avversato le terapie della medicina ufficiale riguardo al problema cancro, ne ho sempre diffidato e le mie ricerche in merito, quando mi sono trovata nella condizione patologica di dover provvedere alla cura del mio caso hanno confermato le mie ragioni. Nella composizione della maggior parte degli antiblastici sono presenti sostanze mutagene e teratogene, potenzialmente o del tutto cancerogene. Quello che si evince dal sito del Ministero della Sanità è che l’oncologia attuale per curare il cancro utilizza delle sostanze chimiche che sono cancerogene cioè provocano il cancro, mutagene cioè provocano mutazioni genetiche e teratogene cioè che possono provocare malformazioni nei discendenti. Ovviamente la medicina ufficiale non tiene a pubblicizzare o evidenziare sperando che il danno provocato sia minore del beneficio ottenuto e dello scopo che si prefigge, cioè scongiurare il rischio di recidive e nuovi focolai in altri distretti. “I chemioterapici antiblastici sono stati classificati dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) in gruppi ‘cancerogeni certi per l’uomo’ e nel gruppo ‘cancerogeni probabili per l’uomo’. L’Agenzia è arrivata a queste definizioni prevalentemente attraverso la valutazione del rischio ‘secondo tumore’ che nei pazienti trattati con chemioterapici antiblastici può aumentare con l’aumento della sopravvivenza. Infatti, nei pazienti trattati per neoplasia è stato documentato lo sviluppo di tumori secondari non correlati con la patologia primitiva”. Tra le sostanze riconosciute cancerogene per l’uomo il Ciclofosfamide, tra i probabilmente cancerogeni l’Adriamicina, l’Aracitidina, la Procarbarzina, ma anche le mostarde azotate, le quali vengono così definite nel sito della Sanità alla voce Emergenze Sanitarie:“…furono prodotte per la prima volta negli anni ’20 e ’30 come potenziali armi chimiche. Si tratta di agenti vescicatori… sono fortemente irritanti per pelle, occhi e apparato respiratorio. Sono in grado di penetrare nelle cellule in modo molto rapido e di causare danni al sistema

immunitario e al midollo osseo che si manifestano già dopo 3-5 giorni dall’esposizione, che causano anche anemia, emorragie e un maggiore rischio di infezioni. Quando questi effetti si presentano in forma grave, possono condurre alla morte… Sono note anche con la rispettiva designazione militare HN-1, HN2 e HN-3…” Quindi nella lotta al cancro e quale cura vengono utilizzati degli agenti vescicanti, prodotti militari usati nelle guerre chimiche. Il fatto è che queste sostanze provocano la distruzione di ogni singola struttura cellulare ed è vero che distruggono quelle tumorali, ma semplicemente perché non essendo farmaci intelligenti, fanno terra bruciata tutto intorno. Questa aggressiva azione mortale, distruggendo cellule neoplastiche e cellule sane, provoca una immunodepressione di gravi proporzioni non calcolabili nel breve periodo, con ripercussioni gravissime sulla salute nell’immediato o che si manifestano sotto varie forme di malattia nel corso degli anni, non ultima la comparsa di metastasi in altri distretti diversi dal primario e naturalmente di recidive nella stessa sede del primario. Si cerca di distruggere queste cellule tumorali con farmaci citotossici ma questa feroce operazione non essendo in grado di distinguere i tessuti tumorali da quelli sani, colpisce e distrugge l’intero organismo vivente. La medicina ufficiale occidentale si limita a considerare la persona come solo fisico, cura il sintomo ma non la causa. Per quanto riguarda il cancro, ma anche qualsiasi altra malattia, la causa è sempre uno scompenso energetico che altera l’equilibrio psicofisico. Nel cancro si ha in effetti un’alterazione del proprio patrimonio genetico che da origine alla cellula malata che originerà il cancro, ma la causa è sempre interiore a noi, qualcosa che ci ha traumatizzato, ferito, offeso, dispiaciuto… Perché una cellula diventi tumorale, deve accumulare una serie di danni al suo sistema di controllo della riproduzione. Infatti il cancro è una malattia genetica delle cellule somatiche. Tutte le cellule cancerose presentano delle alterazioni anche molto estese, del loro assetto cromosomico: il numero di cromosomi presenti nel loro nucleo può essere alterato e i cromosomi stessi sono danneggiati, multipli o mancanti. L’alterazione cromosomica fornisce la prova che in tutti i tipi di tumore le cellule cancerose discendano da una unica cellula madre poiché tutte condividono la stessa forma di danno genetico. Ci hanno detto che l’unica cura efficace per i tumori è proprio la chemioterapia, ma tralasciano di dirci che queste sostanze chimiche sono dei veri e propri veleni omettendo anche quelli che sono gli effetti di queste combinazioni tossiche. Si limitano a parlare degli effetti collaterali che la medicina considera come

normale conseguenza, risolvibili e facilmente superabili una volta finito il ciclo di cura. L’alopecia, la nausea e il vomito, sono le conseguenze più note e sembrano essere i motivi per cui tante persone preferirebbero non fare la chemioterapia, e anche quelli più immediatamente riferibili al paziente oncologico ma sono una piccolissima goccia d’acqua dentro una bottiglia da un litro, il male minore. L’Istituto Superiore di Sanità italiano ha fatto stampare un fascicolo dal titolo Esposizione professionale a chemioterapici antiblastici con le avvertenze per tutti gli addetti ai lavori, cioè per infermieri professionali e/o medici che maneggiano le fiale per la chemioterapia. Fiale che andranno poi iniettate ai malati. In merito alle combinazioni chimiche e tossiche usate per la chemioterapia è quindi adottato in tutti gli ospedali oncologici la guida del Ministero della Sanità a uso dei medici e degli operatori sanitari che vengono in contatto o semplicemente manipolano gli antiblastici per la somministrazione al paziente. In caso di contatto fortuito anche solo esterno sono obbligati a una serie di operazioni per scongiurare spiacevoli conseguenze al paziente e a se stessi se anche avvenisse il travaso di una sola goccia di sostanza. In un altro documento, sempre del Ministero della Sanità (Dipartimento della Prevenzione– Commissione Oncologica Nazionale) dal titolo Linee guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario c’è scritto: “Uno dei rischi rilevati nel settore sanitario è quello derivante dall’esposizione ai chemioterapici antiblastici. Tale rischio è riferibile sia agli operatori sanitari che ai pazienti”. Qui si parla espressamente dei rischi per operatori e pazienti. Nello stesso documento si legge: “Nonostante numerosi chemioterapici antiblastici siano stati riconosciuti dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) e da altre autorevoli Agenzie internazionali come sostanze sicuramente cancerogene o probabilmente cancerogene per l’uomo, a queste sostanze non si applicano le norme del Titolo VII del D.lgs n.626/94 ‘Protezione da agenti cancerogeni’. Infatti, trattandosi di farmaci, non sono sottoposti alle disposizioni previste dalla Direttiva 67/548/CEE e quindi non è loro attribuibile la menzione di R45 ‘Può provocare il cancro’ o la menzione R49 ‘Può provocare il cancro per inalazione”. Quindi queste sostanze, nonostante provochino il cancro non possono essere etichettate come cancerogene (R45 e R49) semplicemente perché sono considerate “farmaci”…

Nel sopracitato documento del Ministero della Sanità, Esposizione professionale a chemioterapici antiblastici, si legge ancora alla voce Antraciclinici, (doxorubicina o adriamicina e la daunorubicina), che dopo la sua assunzione può causare: “Stomatite, alopecia e disturbi gastrointestinali sono comuni ma reversibili. La cardiomiopatia, un effetto collaterale caratteristico di questa classe di chemioterapici, può essere acuta ma raramente grave o cronica con una mortalità del 50% dei casi. Tutti gli antraciclinici sono potenzialmente mutageni e cancerogeni, come anche la ciclofosfamide e il cisplatino”. Quindi il cinquanta percento dei pazienti che si ammalano in seconda battuta di cardiomiopatia in seguito a chemioterapici e ne muoiono, non sono considerati affetti da una complicazione grave.Nella ricerca di una migliore antraciclina soltanto pochissimi analoghi hanno raggiunto la fase di sperimentazione clinica; tra questi la epirubicina e la idarubicina… Epirubicina, la famigerata rossa… Dal suo bugiardino si legge: “Se durante la somministrazione fuoriesce dalla vena, possono derivare lesioni tissutali fino alla necrosi”. E questa sostanza la iniettano per endovena… È un dato di fatto che al paziente oncologico queste sostanze vengano iniettate in vena per flebo, senza alcuna contromisura che non siano ancora altri medicinali per cercare di contenere i diversi problemi di salute che insorgono, legati all’assunzione dei chemioterapici nell’immediato o che si manifestano nel tempo. Misure precauzionali tra l’altro dagli esiti incerti o inutili se si somma immunodepressione ad altri disturbi o problemi a carico del midollo osseo, reni, polmoni e nervi, sangue e cuore. Per quanto riguarda infine lo smaltimento dei rifiuti, il documento sulle linee guida riporta: “Tutti i materiali residui dalle operazioni di manipolazione dei chemioterapici antiblastici (mezzi protettivi, telini assorbenti, bacinelle, garze, cotone, fiale, flaconi, siringhe, deflussori, raccordi) devono essere considerati rifiuti speciali ospedalieri. Quasi tutti i chemioterapici antiblastici sono sensibili al processo di termossidazione (incenerimento), per temperature intorno ai 1000° C. La termossidazione, pur distruggendo la molecola principale della sostanza, può comunque dare origine a derivati di combustione che conservano attività mutagena. È pertanto preferibile effettuare un trattamento di inattivazione chimica (ipoclorito di sodio) prima di inviare il prodotto a incenerimento. Le urine dei pazienti sottoposti a instillazioni endovescicali dovrebbero essere inattivate prima dello smaltimento, in quanto contengono elevate concentrazioni di principio attivo”. Queste sostanze, che vengono sistematicamente iniettate nei malati, anche se incenerite a 1000° C

“conservano attività mutagena”. Le informazioni in corsivo sono tratte dal sito www.disinformazione.it

I

Non siamo noi a trovare la Verità. È la Verità a trovare noi. Dobbiamo solo prepararci. Si può invitare un ospite che non si conosce? No. Ma si può mettere la casa in ordine, così che quando l’ospite arriva, si è pronti a riceverlo e a conoscerlo. Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra

Sulla spiritualità Le canalizzazioni, cominciarono o meglio ripresero improvvisamente un giorno dell’agosto del 2010. Sono una forma di contatto che permette di instaurare un ponte di collegamento con i mondi invisibili e quindi di comunicare con una guida spirituale, un’entità disincarnata, oppure più semplicemente con il proprio sé superiore, per ricevere informazioni, intuizioni, immagini o suoni. Mentre tenevo in mano una penna nel tentativo di concentrarmi e disegnare una scena vista durante una seduta di ipnosi regressiva, di cui avevo un vivido ricordo e che volevo riprodurre disegnandola, con mia sorpresa sul foglio bianco, vennero scritte delle frasi, un nome, e uno slogan da allora usato a conclusione della comunicazione e come saluto. Ricominciava dopo sedici anni la mia corrispondenza con le entità oltre il velo. Iniziarono dopo la morte di mio padre con contenuti molto terreni e che vertevano soprattutto su consigli pratici e sostegno spirituale per il lutto che tutti soffrivamo in maniera abbastanza deprimente, attività durata qualche anno e poi interrotta per mia volontà. A quella prima fase ne seguirono altre, tante quante volte io ero ispirata a prendere la penna in mano. Furono trasmessi pensieri di alto contenuto spirituale da quell’entità che si presentò come la mia guida, Oman, a cui fecero seguito dopo qualche tempo, alcuni messaggi dell’Arcangelo Uriel, di diverso spessore spirituale e rivolti all’umanità intera. Non è stato casuale il fatto che il fenomeno

si presentò in agosto… Mentre ancora io non sapevo niente di quel ciclone che avrebbe poi investito la mia vita da lì a poco, loro sapevano già e da allora non hanno mai mancato di accompagnarmi durante tutte le fasi che io vivevo, darmi suggerimenti e consigli, aiutarmi moralmente e incoraggiarmi nei momenti più tristi e incerti sulle diverse strade da prendere. Una forza d’insieme la nostra: loro la mente e io il braccio. Seguivo il mio istinto e intuito, quanto sembrava a me più congeniale, perché lo percepivo nel profondo e sapevo con certezza che quella era la strada giusta e puntualmente arrivavano, anche anticipatamente, le loro rassicurazioni e il loro incoraggiamento a percorrere quel cammino. Umanamente ho avuto diversi momenti di cedimento e sconforto, in cui riflettevo su quanto facevo in merito al cancro e le conseguenti decisioni che prendevo. Spesso mi chiedevo se non stessi facendo male a fidarmi e affidarmi a quanto mi veniva detto, seguendo solo delle intuizioni e parole che arrivavano dall’altra parte, da una dimensione diversa dalla mia e di cui non potevo avere riscontro tangibile, visibile, concreto e immediato. Tante anche le volte in cui mi sono messa in discussione chiedendomi se tutto questo non fosse generato dalla mia mente, proiezione di quello che forse volevo sentirmi dire, surrogato di quello che nella vita reale mi mancava, cioè la possibilità di parlare e confrontarmi su tutto quello che organizzavo, pensavo e facevo. Tante le volte in cui ho dubitato di me, della mia integrità mentale e della mia capacità di raziocinio ma anche tante le volte in cui arrivavano dei riscontri in positivo di quello che loro mi anticipavano, quando i fatti puntualmente accadevano. Erano le volte in cui riacquistavo fiducia e mi affidavo dicendomi che capitava, stava capitando a me e che dovevo prenderne atto, fidarmi di loro e lasciarmi condurre, lasciarmi portare da questa corrente di amore che mi veniva regalata, fatta vivere e sentire mentre li scrivevo, mentre cercavano di portarmi a sempre più alti livelli spirituali, guidandomi in quello che chiamavano “il progetto della mia vita”, lo scopo per cui sono nata, lo scopo stesso della mia vita. Ho ato mesi in questa incertezza e in questo alternarsi di stati d’animo nonostante avessi già avuto modo di constatare che quello che mi veniva detto corrispondeva al vero, cioè quanto dopo si sarebbe palesato, la malattia e il suo

decorso, quello che avrei fatto, le mie azioni e le decisioni che avrei preso. Nel frattempo mi hanno formato all’apertura verso l’esterno, per poter dare sostegno e o agli altri e anche se non lo sapevo ho vissuto per questo, sino a che con la malattia tutto è stato chiaro e ogni tassello è andato al suo posto. Sono grata alla malattia che mi ha fatto crescere, ho imparato tanto grazie e a causa di quella situazione. Sono oggi una persona serena, ma veramente nella profondità dell’animo, così difficile anche da spiegare. Non mi scompongo più ormai, tutto arriva quando deve, quando è il momento giusto e tutto fluisce se solo noi lo permettiamo senza paletti preclusivi. Anima e cuore aperti, sono il segreto! Ancora non avevo neanche pensato che sarei partita a chiedere pareri e consulti perché ancora non avevo creato le “mie” condizioni che avrebbero portato a quella scelta e loro già mi dicevano di partire tranquilla. La mia parte razionale e lucida si chiedeva dove dovessi partire, se non avevo previsto o programmato nessun viaggio e solo dopo, quando mi sono trovata ad affrontare veramente la programmazione di uno dei tanti viaggi che ho fatto in quel periodo, mi scoprivo a ricordare e a dirmi che avevano avuto ragione e che come al solito mi avevano anticipato il fatto. Con quelle loro parole mi davano approvazione e conforto e partivo quindi motivata e serena, consapevole del fatto che non ero sola, perché questa loro forza la sentivo e la percepivo come nessun altro sostegno avrebbe potuto darmi, perché la sentivo dentro di me, nella mia parte più profonda e la sentivo vera. Bastava da sola a colmare ogni inquietudine e a lasciarmi un grande senso di pace, indispensabile per continuare a essere serena e affrontare ogni cosa che capitava con grande determinazione. A queste canalizzazioni si accompagnavano, a sostegno di quanto mi veniva detto e impartito, anche i messaggi di Kryon, che ricevevo per email settimanalmente e sembrava spesso mi parlassero direttamente, così precisi e acuti nell’individuare uno stato d’animo o un particolare momento di debolezza fisica o altri momenti di crescita e sviluppo di facoltà metapsichiche e che sembravano fare il paio con i messaggi celesti che continuavo a ricevere dalle mie guide spirituali. Kryon è un ‘entità angelica, mai incarnatasi in un corpo fisico. Si autodefinisce come un agglomerato di energia o gruppo di pensieri, contenente vibrazioni energetiche sia femminili che maschili, le quali si manifesterebbero alternativamente a seconda del compito specifico da svolgere e del destinatario

del messaggio. Kryon dichiara di abitare una realtà oltre lo spazio-tempo, quella dell’adesso, che definisce come “la terza dimensione temporale”. Non potevo più pensare a delle coincidenze o al caso perché si sa, tante coincidenze finiscono con il diventare una prova, e quello che io stavo vivendo era appunto la prova che qualcosa di grande stava succedendo, che qualcosa di incredibile aveva incrociato la mia vita o al contrario che la mia vita aveva incrociato qualcosa di incredibilmente grande. Rimanevo sempre stupita e meravigliata, quando con riscontri tangibili riuscivo ad avere un segno concreto di quello che leggevo e di quello che mi veniva detto. Per mesi mi sono chiesta perché stesse succedendo proprio a me che pensavo di non avere particolari meriti umani e ancora ritenevo e ritengo di essere una comunissima persona, con tanti difetti e limiti come la maggior parte delle persone. Spesso scrivendo mi sorprendevo a sorridere per il coraggio e l’amore che riuscivano a infondermi, per le continue rassicurazioni che tutto quanto sarebbe andato bene. Dicevano che tutto si sarebbe svolto secondo quanto scritto nel cammino della mia vita e in base a tutto quanto era già stato deciso e che avrei avuto una vita lunga e serena perché dovevo ancora essere utile a loro per realizzare il disegno divino che era previsto per me ed essere utile per gli altri, come poi in seguito avrei capito e sarei riuscita a realizzare. Sono stata molto severa con me stessa e penso di aver messo alla prova ogni mia capacità intellettiva e razionale proprio per non dovermi rimproverare di essere stata troppo credulona e avere ceduto a queste manifestazioni con troppa faciloneria, considerato anche che stavo rischiando e non poco la mia salute e di conseguenza la mia stessa vita, in una partita a tre che vedeva me e loro contro il cancro. Nella vita sono una persona fondamentalmente onesta con me stessa, non mi piace prendermi in giro e raccontarmi frottole costruendo una vita artificiosa per non pensare a quella vera, sono sempre molto rigorosa cercando di essere coerente con me stessa e con le mie idee nel rispetto degli altri e delle loro idee e posizioni, e sono oltremodo critica nei miei confronti, non mi assolvo né mi giustifico con facilità e quando sbaglio me ne assumo le responsabilità. Non mi è mai piaciuto raccontarmi fandonie e inventarmi un mondo ideale, dove

tutto è perfetto falsificando la realtà per non doverne prendere atto. Anzi… anche in questo caso ho applicato questi principi della mia vita. Il tempo mi ha detto che hanno sempre avuto ragione loro a indirizzarmi verso un determinato percorso dove ho camminato o a o di fianco a loro e dove mi sono sempre sentita amata e importante, unica come spirito e indispensabile a loro come essere umano. A loro devo il mio coraggio e la forza che ho dimostrato di avere, uscendo dalle regole e dalle certezze rassicuranti che potevano farmi adagiare su decisioni altrui e su strade già percorse, definite sicure e garantite per la guarigione, facendomi indirizzare da altri che volevano scegliere per me quello che più mi era necessario e consono per la cura dell’alieno: il famigerato protocollo ufficiale.

Mi sono data una spiegazione di questo. Con il percorso di ipnosi regressiva di cui sono sostenitrice apionata e convinta, che ho studiato e che applico su me stessa, si capisce con l’apprendimento e la pratica nel tempo, che quello che la vita ci riserva e ci prepara a ricevere è tutto parte di un progetto di vita che abbiamo stabilito prima di tornare a essere incarnati e che fa parte di quel programma di lezioni che scegliamo di apprendere in questa vita per crescere e avanzare spiritualmente. È come se prima di tornare sulla terra e di vivere questa vita che ho scelto, io abbia scritto su un foglio bianco tutto quello che mi sarebbe successo nel corso della mia esistenza. Gli accordi e gli altri impegni presi con quelle anime che sarebbero diventati poi i miei genitori, da mio figlio a mio marito, dalle amicizie alle diverse persone che a vario titolo ho incontrato in questo cammino che ancora mi vede in marcia e che gli altri hanno preso in accordo con la mia anima, concertando i ruoli che avremmo poi assunto, le esperienze da vivere insieme. Qualcuno apprendendo a superare dei limiti o errori commessi in una vita precedente e qualcuno insegnando come apprendere quelle lezioni utili per continuare a crescere interiormente. Sembrerebbe semplice e lo sarebbe se se ne acquisissero i principi fondamentali, per aiutarci e sostenerci a rivedere molte posizioni e punti di vista e si potrebbe riuscire a riscrivere molti comportamenti personali e di relazione verso gli altri, aprendoci alla comprensione e all’amore verso le anime che gli altri sono, come noi, in cammino verso una continua evoluzione. Servirebbe a evitare o limitare tanti e tanti di quei problemi che incontriamo per strada o ci creiamo da soli nelle nostre menti e che spesso ci

causano malessere e disagio, creandoci ansia e stress, limitando enormemente il nostro tenore di vita spirituale e psicologico e l’apertura a una vita più felice e piena di gioia e voglia di vivere.

Messaggi Celesti 6 settembre 2010 Oman, guida di luce mandato dal disegno divino per guidarti e assisterti. È un impegno la tua anima che cerca la mia, è l’anima che cerca la sua anima. Posso essere luce e anima che cerca la sua luce, la sua anima. Sei tu! Ascolta bene il tuo cuore e la mente parla. La tua mente e il tuo cuore avvertono e parlano per noi. Tutto quello che senti, tu fanne tesoro e ogni cosa che ti viene detta anche con la mente non è mai casuale. Noi siamo sempre vicini a te, parliamo continuamente, ti ispiriamo i pensieri e anche le parole. Tu stai crescendo molto velocemente e tutto si sta evolvendo come nel disegno. I progressi e il progetto ti verranno presto comunicati così anche tutto quello che ti riguarda e di cui sarai informata. Potrai così consapevolmente conoscere il tuo disegno e il progetto a te riservato. La conoscenza libera dalle paure, libera la mente dagli orpelli e tutto viene riscritto e ristabilito secondo un principio che non è più terreno ma di più alta formazione. Cuore e amore sono le basi per la conoscenza, senza conoscenza non c’è comprensione, senza comprensione non c’è amore. Amore è la chiave eletta a cui tutto si inchina. Grande pace nel cuore.

Il servizio di Kryon “Credete nell’intuizione divina? È il sistema guida che vi aiuta a sapere a quale velocità andare e quale via prendere. Non avverrà in anticipo e non avrete la risposta prima di partire. Accadrà quando meno ve lo aspettate, nel momento in cui ne avrete più bisogno…” Tratto da Diventare Maestri su www.stazioneceleste.it

Sul paranormale I miei primi ricordi riguardo al paranormale risalgono alla prima infanzia. Ero ancora una bambina e mi capitavano cose strane che non riuscivo a capire e spiegare e ho dei ricordi ben precisi di questo, episodi che sono talmente forti e nitidi che ancora li ricordo con dovizia di particolari e sin nei dettagli. Non ne parlavo con nessuno, tenendo tutto per me, ed ero spesso soggetta a dei forti mal di testa che ora credo di capire fossero di tipo tensivo non potendo esternare quello che mi capitava e trattenendolo dentro, senza tra l’altro capire cosa succedesse, senza poter avere un confronto e riuscire ad avere una spiegazione o una rassicurazione. Visioni di angeli, esperienze di bilocazione, intuizioni, un sesto senso sempre molto spiccato e la particolare capacità di capire in anticipo le situazioni e anche le loro conclusioni, l’evolversi delle situazioni. La psicanalisi e il paranormale sono le mie grandi ioni e anche se non per professione ho però ato la vita a studiare questi argomenti informandomi e leggendo costantemente. Alla morte di mio padre, con tutto il bagaglio di informazioni che avevo comunque acquisito precedentemente e le esperienze vissute da bambina, si ripropongono i fenomeni paranormali e così sono arrivata alla scrittura automatica o canalizzazione, alla psicofonia o metafonia, metodo per mettersi in contatto con i defunti tramite radio o registratore e registrarne le voci, e a tutta una serie di piccole e grandi manifestazioni inspiegabili razionalmente, visioni e manifestazioni di defunti, strane coincidenze, fatti, circostanze sorprendenti che si rincorrevano di situazione in situazione sino a farmi comprendere che niente di quello che mi succedeva era più un caso, quasi ci fosse una mano o una trama a guidare il tutto. Situazioni che sono andate avanti per qualche anno, sin quando ho smesso di praticare. Ho sempre però studiato e mi sono spesso documentata in merito. In questo lungo lasso di tempo mi avvicino alle letture dei maestri ascesi per acquisirne gli insegnamenti e comincio anche gradatamente a mutare visione del mondo esterno, del mio modo di relazionarmi verso le persone e, attraverso un sempre più intenso cammino interiore acquisisco maggiore consapevolezza di me stessa.

Comincio anche a interessarmi di ipnosi regressiva, che mi ha consentito di avere ancora maggiore comprensione di quello che succede alle nostre vite e soprattutto mi ha permesso di capire e spiegarmi il perché e la dinamica di molte delle cose e dei fatti accaduti nella mia vita, compresi i conflitti con le diverse persone incontrate, il perché di certi incontri e rapporti di questa vita e ancora le lezioni da imparare, le situazioni lasciate incompiute e da concludere. Così prendo a interessarmi di Brian Weiss, il capostipite della ipnosi regressiva contemporaneamente alle letture dei maestri ascesi come Kryon, che mi guidavano nei miei vari gradi di crescita e consapevolezza. Avevo già letto e studiato della Nuova Medicina Germanica e del suo inventore dottor Hamer nel 2008, in seguito a una forma di artrite reattiva invalidante che mi colpisce in maniera improvvisa e acuta. Proprio in quel periodo comincio a mettere in relazione psiche, spirito e corpo. Ho allargato poi il concetto comprendendolo meglio con la pratica del Qi Gong, disciplina di arti marziali di stile interno, con la meditazione e unendo a ciò nozioni di filosofia taoista. Nel frattempo ho ripreso a fare canalizzazioni e poi sono arrivate anche le facoltà di chiarosenzienza, avere cioè cognizione diretta delle cose per intuizione accompagnata dalla forte percezione di sapere una determinata cosa senza possibilità di errore, la precognizione o chiaroveggenzal e altre facoltà metapsichiche, così che attualmente ricevo dai miei maestri e dalla mia guida informazioni e consigli, riesco a vedere attraverso visioni improvvise e spontanee avvenimenti e situazioni anche che andrò a vivere e ho constatato, provato e sperimentato che sono tutte situazioni e fatti che poi si avverano, si verificano, accadono, succedono.

Messaggi Celesti 7 settembre 2010 La strada è tortuosa, solo con le salite si può apprezzare il piano. Senza fatica e senza prove non si capisce, non si può apprezzare la bellezza di essere arrivati alla meta. Il tuo percorso è ancora irto di difficoltà ma arriverà al piano e tutto diventerà più semplice. Devi sapere che, comunque, ognuno ha la sua strada da seguire, non dolertene e togli il peso che ostacola il tuo pensiero. Serenità e tanto amore, ancora non è il momento.

Nessuno può, in ogni caso, fermare il cammino di un’altra anima, quello che è stato scelto di percorrere ha un inizio e una fine per tutti nel piano fisico. Tutto deve svolgersi secondo il piano. Stai serena e allenta la tensione dai tuoi pensieri, vivi nel presente e godi di quello che è ora, oggi, per te. Puoi solo stare a vivere per te e per gli altri che ti stanno vicini. Quando un tracciato è da percorrere, anche se la strada è irta di problemi, difficoltà o dolori, questo deve compiersi. Tu, stai serena con fiducia nei nostri pensieri per te. Diletta, non adombrarti, sorridi per te e sorridi per chi ti ama, tutti devono confidare in te. Il tuo peso è grande ma tu hai tante spalle su cui appoggiarti. Non dubitare di noi, non dubitare di te, ma lascia che tutto si compia con serenità. Pace a te, pace nel cuore. Oman

Incomincia l’avventura 22 settembre 2010 Questa mattina ho l’appuntamento per la visita ecografica di controllo. Ormai sono tanti anni che annualmente mi sottopongo a queste visite, ecografia e mammografia, che sfortunatamente non mi è stata prenotata oggi, dato che non c’erano spazi utili per un appuntamento ed è stata rimandata al prossimo gennaio. Accidenti, è la prima volta che non posso fare le visite contemporaneamente e un po’ mi secca… Era rassicurante poter avere subito i referti, archiviare il pensiero di averla sfangata anche questa volta e riprendere la mia vita di sempre. Pazienza… Da quando mamma si è ammalata di cancro al seno, a detta degli oncologi sono diventata una paziente a rischio da monitorare con controlli periodici, essendo già da qualche anno sotto osservazione per una displasia al seno destro. Ed eccomi qui ormai, rassegnata ma anche rassicurata da questo appuntamento annuale. Il radiologo si affaccia nella stanza dove un collega sta per terminare l’ecografia: “L’aspetto nell’altra sala?”

“No, veramente oggi non ho la mammografia da fare.” “Come mai non la deve fare, non gliel’hanno prescritta?” “Sì, dovrei farla, ma non hanno trovato uno spazio per inserirmi e mi hanno prenotato per gennaio.” “Ma quale gennaio… mi aspetti nella sala fuori, appena ho finito con la paziente vengo a chiamarla. Ha l’esame precedente?” “No, non serviva, non l’ho portata!” “Riesce ad andare a casa e prenderla, così che quando torna facciamo la visita?” “Sì, certo, appena finisco qui, vado a prendere la mammografia dell’anno scorso. Va bene, grazie.” Sono rientrata nella sala d’aspetto e mi siedo, dopo essere dovuta andare a casa a prendere la precedente mammografia per poterle confrontare. Nell’attesa di essere convocata mi guardo intorno, come tante altre volte prima di oggi. Una grande sala d’attesa, molto luminosa, con delle seggiole in vinile blu e gialle, rosse e nere, con delle riproduzioni dei quadri di Mirò alle pareti. Mi chiedo se l’arredamento di questo studio medico sarà stato studiato di proposito o se sarà stato un caso questo abbinamento di colori, perché le seggiole riportano esattamente i colori vivaci dei quadri di Mirò. Avranno pensato prima alle sedie o prima ai quadri? Quindi di conseguenza avranno prima comprato le sedie oppure… Vengo distratta dai miei pensieri quando sento chiamare il mio nome e mi avvio per la visita. Dopo qualche tempo il radiologo si affaccia in sala d’aspetto, reggendo la busta del referto in mano. “Signora, vuol seguirmi che il medico le vuole parlare?” Ho capito in un nanosecondo che c’era qualcosa che non andava. Ci siamo, mi sono detta, è arrivato, lo sapevo… me l’aspettavo. Dentro di me, in qualche angolo recondito della coscienza sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarlo e non solo perché paziente a rischio come mi dicevano. No no, la mia era una sensazione che rasentava la certezza di questo momento che si sarebbe presentato e che avrei dovuto affrontare. Me l’aspettavo, ma cazzo…

“Signora, io credo di doverle consigliare di fare al più presto, anzi direi con una certa urgenza, una visita oncologica per indagare bene e con certezza quello che risulta dal referto dalla mammografia. C’è una zona che appare più chiara ed è necessario sottoporla a ulteriori controlli.” “Ecco qua, bella giornata oggi, non c’è male, cominciamo proprio bene…” “Va bene, lo farò senz’altro quanto prima. Cosa potrebbe significare quella zona più chiara?” Sto prendendo tempo per riuscire a respirare normalmente… mi manca il respiro… Lo so già cosa significa… “Signora, lei viene qui da tanti anni, glielo voglio dire con franchezza, faccia questa visita urgentemente. Questa zona più chiara che vede qua potrebbe indicare una neoplasia, anche se è tutto ancora da verificare!” “La ringrazio per il consiglio, lo farò!” Sono già in strada sovrappensiero quando mi sento chiamare: “Signoraaa!” Levo lo sguardo in alto individuando da dove arriva la voce e uno dei radiologi che ha assistito al colloquio mi sventola un foglio: “Ha dimenticato questo, glielo mando giù da qui”. E con questo mi fa volare il referto sull’asfalto, lanciandolo attraverso la finestra che nella fretta e soprattutto nella confusione di pensieri che mi avevano assalito, ho dimenticato di ritirare dalla scrivania del dottore che lo leggeva e lo commentava. Sono tornata a casa in macchina come un automa, i piedi conoscevano i gesti e la mente conosceva la strada, come con il pilota automatico inserito. Spesso guidavo in questo stato quando andavo e tornavo da casa all’oncologico o viceversa dove era ricoverata mia madre, sovrappensiero, carica di ansia e preoccupazione, giorno dopo giorno, nell’attesa senza speranza di una data che sapevo prima o poi sarebbe arrivata, fissa e definitiva. Non sapevo quando, ma sapevo che sarebbe arrivata. Durissime le sue ultime settimane, motivo di carico di stress emotivo e dolore che diventava a volte insopportabile tanta era la tensione. Il dolore nel vedere la sua sofferenza, il dover continuamente fingere che stava a poco a poco ristabilendosi e riprendendosi quando lei, comunque spesso inconsapevole e quasi incosciente, aveva qualche sprazzo di lucidità e chiedeva e si informava sul suo stato di

salute. Lo ricordo bene… “Quando mi mandate a casa, dottoressa?” “Presto, molto presto.” La dottoressa stava mentendo intenzionalmente perché le sue gravi condizioni mal si conciliavano con questa speranza di dimissioni a breve termine e in quel momento, ho sentito un forte dolore e il mondo crollarmi addosso. Ma non era il mondo che cascava, era solo la consapevolezza della fine della speranza, uno stato d’animo che può assumere una connotazione materiale, di dolore spesso e quasi fisico perché in quel momento io ho capito che era solo questione di poco, pochissimo tempo e la dottoressa intendeva solo dire che in ogni caso avrebbe lasciato l’ospedale ma non viva, da morta. La fine della speranza e la fine di ogni residuo di fiducia che le cose anche gravi e irrimediabili, chissà, possano andare diversamente. Quella era la fine, decretata in forma dolorosa e spessa, avvolgente e traumatizzante. E ora questa situazione la stavo vivendo io. L’inizio di quella situazione che allora mi era sembrata un incubo. Naturalmente appena rientrata a casa, mi attivo per informare quelle poche persone che so essere interessate molto da vicino a questa mia situazione. Poche persone selezionate delle quali ho piena fiducia, con le quali c’è un rapporto più profondo che con altri e che so essermi sinceramente affezionate e per le quali so di essere veramente importante. Quindi solo pochi parenti e pochi amici. Pochissime rimarranno anche in seguito… Ho scelto di non dirlo, di non farlo sapere a chiunque capiti e mi chieda come sto, lasciando che fuori da questa piccolissima cerchia di persone, si ignori tutta quanta la situazione che sto vivendo. Voglio evitare di vedere visi turbati da falsa formalità e soprattutto voglio evitare quell’imbarazzo che prende di solito le persone che vengono messe al corrente di situazioni simili nelle quali si rimane senza parole o al limite si dicono le solite banali parole di circostanza. No, questo voglio evitarmelo. Una persona cara partecipa con empatia a tutto quello che si sta vivendo in quei momenti di difficoltà inziale, cercando attivamente di sostenere e sopportando anche parte della tensione di quei momenti. Si capisce che le domande che pone

e l’interesse che dimostra non sono vuote e formali o dettate dall’educazione ma vere e sofferte. Per questo fa ancora più male parlarne, perché in quel momento si sta dando ad altri una parte del proprio peso e li si fa responsabili in solido del problema. Saranno inevitabilmente chiamati a viverlo insieme, con un ruolo secondario e non da protagonisti, ma sempre in prima linea. Domani mattina abbiamo la visita oncologica. Recuperati tra il pomeriggio e la sera consigli e strategie da attuare consultando il medico di base, abbiamo già fissato l’appuntamento per domattina molto presto, orario visite ammalati che fanno la fila con l’ansia e il cuore in gola, in attesa che il medico dia il colpo di grazia finale con un verdetto più o meno fausto, o infausto. La situazione che stavo vivendo avrebbe potuto rafforzare la sensazione che avevo sempre avuto e che in certe circostanze diventava quasi tangibile: che la mia vita terrena sarebbe finita presto. Dicevo con tono scherzoso ma con una convinzione che percepivo forte, che nella mia vita avevo voluto bruciare le tappe velocemente perché sapevo di non avere molto tempo da vivere a disposizione. Ricordo una discussione con un’amica in cui lei mi prospettò un punto di vista diverso e a cui non avevo ancora mai pensato. E cioè che potevo anche pensare e vivere questa sensazione di morte che mi portavo impressa dentro come una possibile morte spirituale con relativa rinascita, morte di vecchi schemi mentali, di comportamenti abitudinari e modi di pensare, di evoluzione e crescita interiore. Devo darle atto che aveva visto giusto e il tempo le ha dato ragione. Quando mi avvicinai all’ipnosi regressiva cominciai a considerare questa teoria, soprattutto grazie alle mie escursioni nelle altre mie vite ate grazie alle quali presi atto di diverse situazioni drammatiche vissute in precedenza. Mi convinsi che tutte le mie percezioni erano dovute al fatto di aver veramente vissuto in altre epoche e in altre situazioni una vita breve o brevissima, oltre che tormentata e piena di sofferenza, e spesso con morti violente. Tutto quanto scoperto mi fece capire che portavo le mie sensazioni impresse nell’anima come esperienza già vissuta e si riproponevano sotto forma di pensiero di morte precoce che spesso avevo. Una volta chiarito da dove arrivasse questa mia convinzione e liberata dal fardello che mi portavo dietro, ho sostituito quel pensiero con un altro più confortevole: che la morte è solo un cambio di stato dal materiale all’etereo e

che può anche essere intesa come rinascita interiore o mentale o ancora come condizione di elevazione spirituale. Tutto quello che è avvenuto dopo ne è la prova e conferma quanto elaborato nel periodo precedente e quanto successo dopo l’avvento dell’alieno. Una cosa è certa… Avendo già ormai accantonato l’idea di morte precoce e preso possesso di questo pensiero rivolto al rinnovamento, alla notizia della malattia ho reagito con la mia parte razionale e quindi facendomene trasportare appena un po’. Giusto il tempo di dirmi che la malattia non significava morte certa, che la patologia non è che portasse direttamente a una condizione sicuramente grave e irrimediabile, che la partita era aperta e ancora tutta da giocare. Confortarmi quindi, dicendo che no, non era ancora arrivata la mia scadenza e confortata anche dai messaggi celesti andare avanti, come al solito…lancia in resta.

Messaggi Celesti 21 settembre 2010 Oman si anima con il tuo richiamo e corre da te, ti sta accanto, vicino a te sempre. Sono il tuo angelo di luce, guida a te assegnata e gli altri sono i maestri che mi seguono sempre. Arriverà per te il tempo della pace, avrai modo di essere serena. Parti pure tranquilla, vai con la pace nel cuore, è previsto che tu vada. Nulla è mutato, niente è distrutto, tutto si evolve come deve. Anche questa è una tappa da affrontare, stai serena. Pace a te, pace nel cuore. Oman

II

Una strada c’è nella vita… Quando vivi non lo vedi il filo, eppure c’è. Perché tutte le decisioni che prendi… sono determinate da qualcosa dentro di te che è innanzitutto il tuo istinto… Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio

Davanti alla certezza 23 settembre 2010 La notizia ti arriva in un momento, con tutta la potenza di una forte mazzata. È incredulità, è spavento, è un turbine di pensieri che prendono a vorticare velocemente, più veloci di quanto si riesca a stargli dietro. È arrivato, alla fine. Posso dire che me l’aspettavo, posso dire che l’ho sempre saputo, che dentro di me sapevo che prima o poi avrei trovato l’alieno sulla mia strada? Posso permettermi di pensarlo in questo momento? In questo momento, mentre sono seduta davanti a un oncologo che ci chiarirà la situazione devo essere presente e vigile e non posso permettermi di far divagare la mente. Il dottore è un uomo di mezza età, alto e dall’aspetto giovanile, che ci accoglie alzandosi dalla sua scrivania per le presentazioni e ci invita a sedere di fronte a lui, mio marito e me. Con la competenza della sua professione e con termini che dovrebbero essere i più comprensibili mi sta dicendo che gli esami non lasciano spazio a diverse interpretazioni, che si farà un intervento per rimuovere la lesione, che l’iter successivo sarà applicare la cura di chemioterapici e radioterapia come da protocollo, che tutto andrà a posto e che in futuro si faranno periodicamente dei controlli per monitorare l’andamento e l’efficacia della cura. Mi dice che l’alieno è di quelli aggressivi, che si infiltrano e radicano, camminano espandendosi e infiltrandosi nei tessuti vicini e nei

linfonodi, ma che siamo arrivati in tempo perché è ancora molto piccolo…Che culo!!! Tutto il resto delle informazioni lo si dovrà affidare alla biopsia che si fissa tra qualche giorno e solo dopo il referto della biopsia si potrà dire in che grado collocare la patologia e quindi anche la reale situazione quanto a gravità. “Chiariamo subito che non farò chemioterapia, né radioterapia, tanto per evitare inutili discussioni. Non so cosa farò e se farò qualcosa ma so esattamente quello che non farò. Non ne ho nessuna intenzione.” “Ne parleremo magari meglio in seguito di questo, vedremo quale terapia seguire, quella più adatta al suo caso. Perché cosa vuole fare, niente? Non si vuole curare?” “Non farò quello che mi sta proponendo, cosa farò non lo so ancora, sicuramente non la chemioterapia, non ho bisogno di pensarci. È un no il mio, è deciso e senza nessuna possibilità di ripensamento.” Mi guardano prima allibiti e poi straniti, il medico e mio marito con sguardo indagatore e perplesso, interrogativo. So cosa stanno pensando, glielo si legge in faccia che pensano che sia improvvisamente uscita di senno. Mio marito balbetta: “Ma, ma, ma, prima di decidere ascolta quello che ti sta dicendo…” Il dottore continua: “Per il momento pensiamo a tutto quello che è da fare nell’immediato e intanto fissiamo le date per le visite da fare in pre ospedalizzazione e anche il giorno dell’intervento. Poi vedremo come procedere. È un errore questa sua chiusura, sembra una presa di posizione… la chemioterapia è attualmente l’unica cura riconosciuta e valida per la cura del cancro, a disposizione dell’oncologia moderna”. Ma pensa, in un giorno ti dicono che hai il cancro al seno, poi ti dicono che devi fare tutto questo programma verso cui nutro una profondissima disistima, verso cui non ho la minima fiducia e anzi, ho tutta una mia visione e considerazioni molto personali della cura ufficiale e della medicina allopatica… Non ci penso proprio. La chiama presa di posizione… Lo è infatti! Molto compreso nella parte mi dice: “Se si rendesse necessario questa cura la farei fare a mia moglie, alla quale tengo molto e certamente non vorrei che ne avesse un danno. Oggi la chemioterapia si è molto evoluta e non è più così invasiva com’era un tempo, hanno migliorato moltissimo la composizione dei medicinali, così che gli effetti collaterali sono controllati e ridotti al minimo…”

Okay, dottore, falla fare a tua moglie, anche se non ti auguro che ti capiti di dover prendere una tale decisione, quindi… tu fai pure come vuoi, pensa per te che io penso a me… Lo guardo direttamente negli occhi perché voglio che capisca che non mi ha impressionata per niente. “Sarà anche come dice lei, non lo metto in dubbio, non sono informata sui miglioramenti che in questi anni hanno apportato alla chemioterapia, ma è relativamente importante per me. Non ho detto che deciderò in seguito cosa fare. Ho già deciso sin da ora che non farò e non seguirò quel tipo di terapia.” Mi rimanda uno sguardo duro mentre, alzandosi dalla scrivania, pone termine al colloquio porgendoci la mano per salutarci e allungandomi un foglio con il quale dovrò presentarmi per eseguire la biopsia, qualche giorno dopo. Mi curerò a modo mio, seguendo le mie inclinazioni alla medicina naturale, e soprattutto seguendo il mio istinto. Sono fiduciosa che ancora una volta, il mio innato sesto senso mi indicherà la strada da percorrere e da fare. Non so ancora come e cosa ma qualcosa mi inventerò, qualcosa penserò e lo adatterò a me. Il momento è di confusione totale, quando ancora non si ha l’esatta dimensione della portata del problema. Un cancro è una faccenda serissima e bisogna essere molto ben equilibrati per non lasciarsi trascinare in questo budello scuro che sembra richiamarti, per farti sprofondare nella disperazione, per fagocitarti ogni minimo residuo di lucidità. Eppure è proprio in questa situazione che non ci si può permettere di perdere la propria razionalità. Con razionalità affronto il problema, con l’istinto seguirò il mio iter. Per ora tutto quello che è molto chiaro nella mia mente è che escludo a priori le cure proposte dalla medicina ufficiale. Qualsiasi sia la gravità della situazione, che ancora non si conosce del tutto. Mi fissano il giorno del ricovero, quello delle visite in pre ospedalizzazione e il giorno dell’intervento. Un o alla volta, un impegno alla volta, un pensiero e un problema alla volta, ché se mi lascio trascinare nel baratro non mi ammazza il cancro, mi ammazza lo spavento e la paura. Nessuna paura, cerco di ragionare, ogni cosa che verrà sarà affrontata come deve essere, così come si presenta. Ognuna delle persone interessate al mio problema ha qualcosa da dire, una sua particolare visione di

come reagire, affrontare, fare fronte comune. Tanti pareri discordanti, supposizioni e consigli, suggerimenti che sembrano quasi imposizioni, tanto arrivano a essere specifici e insistenti. “Io se fossi in te non mi farei neanche operare…” “E fai questo… e fai quello…” “…Prima di decidere qualsiasi cosa consulta altri medici così hai almeno altri pareri…” “No, guarda, tu devi fare così e così…” “Se io fossi al tuo posto…” Decido, tanto per tranquillizzare i parenti, di chiedere un consulto fuori regione, in uno degli Istituti per lo studio dei tumori più importanti e accreditati della penisola. E partiamo…

Messaggi Celesti 26 settembre 2010 Diletta figlia, sappiamo bene e conosciamo il tuo stato d’animo. Affidati fiduciosa alla Luce che tutto vede e affidati a noi. Quando sarà il momento capirai ogni cosa e anche il motivo di questa prova dura che ti è stata data. Lascia che il tempo ti porti ancora tante opportunità e pensa che ancora hai da lavorare con noi e per gli altri... Devi ancora sapere che tutto quanto avviene ha un senso e tutto questo, che avviene per un motivo, avrà la sua conclusione felice in ogni senso. Quello che avverrà sarà per te sereno e una vita nuova avrà inizio. Non dubitare mai che ti sono vicino. Pace nel cuore, pace a te. Oman

Trasferta consultiva…

1 ottobre 2010 Oggi si parte di buon’ora per Bergamo, Orio al Serio. Ho dovuto ripiegare su questo aeroporto per esigenze di orari dei voli che ci permettevano di arrivare con più comodità alla struttura scelta per il consulto, per raggiungere la quale bisogna prendere diversi mezzi pubblici e di conseguenza impegna molto tempo. Con i voli di linea rischiavamo di non arrivare per tempo all’appuntamento fissato a Milano per le quattordici. Deciso che sarei partita per avere un altro consulto per sentire come avrebbero affrontato il mio caso e in base alla visita decidere se fare anche l’intervento fuori regione, mi sono ritrovata a dover organizzare questa trasferta di una giornata per due, tanto mio marito ha insistito a volere venire ad accompagnarmi. Sarei partita anche da sola e sono certa che non mi sarei persa neanche questa volta, ma forse pareva brutto farmi andare senza compagnia, data la situazione, e così si è offerto. Biglietti prenotati su internet, benedetta invenzione, percorso scaricato da internet, quali tipi di trasporti e numero mezzi pubblici da prendere e soprattutto da quale punto della città, anche questi scaricati da internet. Non che avessi tutta questa voglia di organizzare tutto e tutto da sola, ma di necessità virtù e se serve bisogna lasciare da parte i pensieri cupi e darsi da fare. Durante il viaggio le uniche parole che gli ho sentito dire sono state: “Se vuoi riposare, appoggiati a me”. Per il resto ha ato un’ora di volo a studiare l’allegato di Repubblica, “Il Venerdì”. Sbarcati dall’aereo abbiamo preso il pullman di collegamento con la stazione centrale di Milano e dopo siamo arrivati in taxi fino a piazza Duomo, da dove avremmo preso il primo pullman che ci avrebbe avvicinato alla struttura. Dopo aver comprato i biglietti per i mezzi pubblici ci avviamo a piedi. Nel frattempo che cercavo nella cartina la via dove dovevamo recarci per prendere l’autobus, mio marito guardava il panorama intorno. Ovviamente, senza aver consultato cartine, mappine o altro ancora, lui pretende di sapere dove dobbiamo andare e pensa anche di indicare la direzione da prendere a me che, cartina alla mano, continuo a dirgli che non può essere che si debba andare da quella parte. Se la strada da prendere è quella indicata a destra avrà una sua ragione di essere e qualche differenza con quella a sinistra ci dovrà pur essere, ma lui insiste perché

se la fermata del treno è sulla strada a destra nella cartina è ovvio che il mezzo arrivi da sinistra. Come è ovvio che ci perdiamo o perdiamo tempo! Forse non ti è chiaro, ma io non ho tutta questa voglia di girare a vuoto e di tirare a indovinare dove devo andare a Milano. Forse ti sarai dimenticato che qualche altro pensiero in testa ce l’ho! È chiaro che abbiamo perso tempo, perché quel mezzo pubblico, quello che serviva a noi, non ava per la strada di sinistra dove lui è voluto andare ad aspettare alla fermata, veniva da un’altra direzione e poi girava a destra, come dicevo io… Alla fine siamo arrivati anche con un poco di anticipo e dopo essere ata per l’accettazione, decidiamo di fare una eggiata per guardarci intorno, prendere qualcosa da mangiare e infine entrare nella sala d’aspetto del professore dove lui, aperto diligentemente il giornale, prende a leggere con molto interesse lasciandomi sola e in balia di mille pensieri inespressi, a leggere costantemente il nome nella targhetta fuori dallo studio medico dove, a breve, saprò con assoluta certezza e senza possibilità di ripensamento, di che morte metaforicamente dovrò morire. Anche se vestita di nero con pantalone d’ordinanza e scarpa bassa, questa sciarpa viola che ho portato con me è rassicurante. Voglio essere fiduciosa e positiva. Lui legge, io aspetto… lui commenta il giornale, io ho paura… lui riesce persino a buttare li una scemenza inopportuna alla situazione, io tremo… Sola, senza che una mano stringa la mia, senza che nessuna parola mi porti un po’ di conforto… Si apre la porta e sento il mio nome. “Vuoi che venga anche io?” “Sei venuto a Milano a leggerti il giornale? Certo che voglio! Muoviti e vieni con me…” Il professore mi visita e mi fa alcune domande, con tono cordiale e pacato, rassicurante guarda gli esami delle visite già fatte, compila un foglio con le indicazioni terapeutiche da seguire e da consegnare ai colleghi della mia città e per la modica cifra di duecentoquaranta euro mi dice, liberandomi da un peso, che l’intervento è semplice, uno di quelli di routine, che posso tranquillamente farlo fare nella mia città di residenza senza alcun problema. Il professore, se tanto mi dà tanto vale mille euro all’ora perché in un quarto d’ora è riuscito a

fare un consulto dignitoso ed esaustivo, esauriente e veramente prezioso, in tutti i sensi. Il resto del viaggio è stato a ritroso verso piazza Duomo, dove mi sono festeggiata con un bel cannolo siciliano e un caffè, alla faccia della mia celiachia, seduti al tavolino di un bar di fronte al Duomo. Dopo la eggiata obbligatoria in Galleria, e data l’incipiente stanchezza che sopravveniva, complice anche la tensione che si andava sciogliendo, decidiamo di avvicinarci in aeroporto per il rientro con un larghissimo anticipo. Meglio seduti al riparo dalla folla, che eggiare senza avere niente da dirsi in mezzo alla folla. Nessuna discussione, nessuna strategia da concordare, nessun piano da discutere, nessuna esplicita manifestazione di gioia per le rassicurazioni del professore. Lui prende atto e si adegua immediatamente. “Sei più tranquilla ora?” “Sì sì, mi ha tranquillizzata, certo. Dal momento che l’intervento può essere fatto senza problemi, rimango a casa di sicuro. Per lo meno è consolante sapere che qualcuno potrà venire a trovarmi in ospedale, che non lascio nessuno preoccupato perché sono lontana e non potete essere con me, a vedere e a sapere, informarvi. Certo, sono contenta, questo è già più incoraggiante.” Non è fatto per i grandi discorsi, non è fatto per consolare e are. Due parole che per lui possono bastare quando io avrei voglia di parlare e parlare, per buttare fuori tutto quello che mi porto dentro e che non posso esternare con tutti. Se non con lui, con chi? Di fatto rimane inespressa questa parte di me che non può e non riesce a confrontarsi con lui, che pure dovrebbe essere interessato a sapere cosa penso, cosa provo e soprattutto come sto in un momento così particolare. A volte preferisce non sapere e non conoscere, ma nel frattempo ogni suo silenzio mi scava un vuoto dentro. Il volo di rientro l’ha ato studiando la Repubblica che poco e niente aveva potuto leggere prima o durante il pomeriggio. Non parole per distrarmi, non scemenze per divertirmi, non la mano che tiene la mia, solo silenzio. Il problema, il pensiero che mi rode dentro sembra archiviato. Sarebbe stato meglio un’amica… Io con la testa immersa nei miei pensieri e che pensieri… Lo dicevo io che era meglio se partivo da sola, almeno avrei avuto la giustificazione di pensarlo, che ero sola e come tale dovevo comportarmi. Sola, come durante il mio Cammino di Santiago, esperienza che spiritualmente porto nel cuore e

materialmente, sotto forma di diario, sempre con me in qualsiasi posto io vada. Il mio spartiacque di vita, quella esperienza che segnandomi così profondamente ha dato il via alla mia trasformazione interiore portandosi dietro tutto quello che da allora è successo e il cui pensiero è quotidianamente la mia fonte di coraggio e determinazione… La mia copertina di Linus, che adesso riposa dentro la borsa.

Dal Cammino di Santiago 22 novembre 2009 Sola, nell’inverno freddo della Galizia, in condizioni spesso difficili e disagiate. Pioggia, vento e freddo le costanti. Ma anche un viaggio all’interno di me stessa, in compagnia della mia solitudine e con il mio zaino come compagno di viaggio. Un’esperienza incredibile, un viaggio dell’anima ricco sotto ogni aspetto e molto al di là delle mie aspettative. La necessità era quella di buttare fuori tutte quelle pesantezze e situazioni non risolte o solo accantonate che nel corso degli anni hanno formato una zavorra pesante, difficile da sostenere per poter proseguire una vita consapevole e più serena. A costo di piangere tutti i fardelli negativi che mi porto dentro, sperando che le lacrime mi aiutino a eliminarli o per lo meno a capirli e accettarli con più serenità. Credo che i miei cinquant’anni oltre a essere già da soli un’età importante siano anche un buon punto di partenza per riflettere, rivedere e correggere certi comportamenti e per risolvere situazioni in sospeso. Ho davanti molti meno anni da vivere di quanto non abbia già vissuto e vorrei poter proseguire con un approccio alla vita, diverso da quello seguito fino a ora. Sono consapevole che questo percorso è già iniziato da tempo e anche che nel corso di questi anni il mio modo di essere, il mio modo di rapportarmi agli altri, ai problemi e alle difficoltà che la vita ci mette davanti sono cambiati in maniera considerevole. Mi serve ora continuare e terminare questo percorso di crescita interiore e avevo bisogno di venire qui a cercare di chiudere le ferite che i dolori ci lasciano aperte e a cercare risposte… Faccio ordine nei cassetti, insomma… Si deve cominciare a fare pulizia per poter andare avanti. L’ho programmato in maniera che fosse un percorso da affrontare con tranquillità, senza la fretta che abitualmente si vive nella quotidianità e con la

calma che è, a mio avviso, indispensabile per questo tipo di esperienza. Andare senza fretta e godersi i paesaggi, vedere ogni sasso che viene calpestato che entrerà dentro e rimarrà impresso negli occhi per sempre, godersi le albe, i tramonti e il cielo stellato di notte così pulito e luminoso da farti pensare a un miracolo… E poter scambiare quattro parole con le persone che si incontrano, potersi fermare quando e quanto si vuole e prendersi il tempo per pensare e per riflettere e godersi i momenti che si vivono. Viaggiare all’interno della propria anima e cercarsi e cercare di capirsi e accorgersi che anche se con pochi mezzi e anche se tutto quello posseduto durante il Cammino sta dentro a uno zaino è in fondo tutto quello di cui si ha bisogno, perché niente altro può dare la serenità interiore e la felicità infantile che si provano anche solo guardando un albero o respirando questa libertà assoluta fatta di vallate verdi e di i che sai che condurranno alla meta… E capire strada facendo che la meta non è il fine ultimo del Cammino ma solo l’inizio di un altro percorso, più personale e intimo di quanto non sia stato sino a ora perché solo camminando si scopre che non tu stai facendo il Cammino ma è il Cammino che sta lavorando su di te e ti sta percorrendo e attraversando entrandoti negli occhi, nel cuore e nell’anima. È questa la bellezza del Cammino, fatto di attimi che si colgono solo se si ha il tempo e l’attenzione che meritano e se ci si apre a loro. Attimi che regalano momenti di autentica felicità e gioia per tutto quello che si vede e si sente, che si impara dalla fatica attraverso il sudore, per la libertà totale della mente che regala una condizione di innocente apertura a ogni condizione e situazione nella quale ci si può imbattere.

Messaggi Celesti

30 settembre 2010 Devi solo aver fiducia ed essere tranquilla, andrà tutto come deve, andrà tutto bene. Noi tutti saremo con te, chiamaci nel momento del bisogno e noi saremo là. Siamo insieme per tenerti per mano, per sostenerti in questo che altro non è che una prova, una tappa del cammino. Ora tutto si svolge secondo il progetto. Non diversa tu sarai ma ancora migliore per te e per chi di te avrà bisogno. Pace nel cuore. Oman.

Orario ricoveri 18 ottobre 2010 L’appuntamento in ospedale era per la mattina presto, orario ricoveri. Sono tranquilla, l’intervento andava fatto quanto prima e per ora mi accingo a questa prima fase del programma da attuare per combattere l’alieno… La mia compagna di camera è una giovane signora che è stata ricoverata per la ricostruzione del seno, verrà dimessa già domattina. Domattina per me comincia tutto, mi operano per rimuovere la lesione, per lei invece è già un altro piccolo o verso la normalità che vuole ritrovare anche attraverso l’estetica, perché mi dice che quella ferita e quel vuoto la feriscono ogni giorno quando si guarda allo specchio. La guarigione a anche attraverso il volersi vedere integre e non mutilate nel corpo, sperando che quel vuoto corporeo da riempire possa anche occupare e riempire quella parte di cervello che costantemente rimanda al problema dell’alieno in tutte le sue varianti e colmarlo fino a farlo straripare, annullandolo e allontanandolo. Sono seduta sul letto e dopo essermi cambiata dagli abiti civili ho indossato un pantalone largo con coulisse in vita, a righe blu, verde e viola, i miei colori preferiti, di cotone leggero con una maglia larga e lunga dello stesso tono di verde del pantalone. Non mi piacciono i pigiami coordinati e in generale detesto le tinte chiare e color caramella dei pigiami da donna. Se proprio costretta in un pigiama preferisco quelli da uomo, dai colori più seriosi ma dalla comodità impareggiabile. Quello che indosso è molto comodo e mi permette di sedere nella posizione del fiore di loto. È allegra la mia compagna e invoglia cordialmente alla chiacchiera, loquace mentre mi racconta tantissime cose di sé e velocissima mi aggiorna della sua situazione. Mi chiede di me, del mio stato di salute e del perché del ricovero. “E tu cosa devi fare, per cosa ti hanno ricoverata?” “Domani mattina mi operano, ho un cancro al seno, piccolo per fortuna, mi fanno il quadrante.”

“Anche a me una decina di anni fa hanno fatto il quadrante. Io non ho fatto la chemioterapia, non ho fatto la radio, non l’ho voluta fare.” “È esattamente quello che intendo fare io, sono contraria a questo tipo di cure, non ho ancora pensato e deciso cosa farò, ma sicuramente non quello. Già me l’hanno detto, figurati… chemio e radio.” “Quanti litigi che ho dovuto fare, quante discussioni, mi hanno trattata malissimo, come fossi una delinquente… due anni fa è tornato nel seno sinistro, mi hanno operata di nuovo e ora sto facendo la ricostruzione e come allora non ho voluto fare nessun tipo di cura convenzionale.” “Li immagino i litigi, prevedo lo stesso scenario anche per me… E come la fanno questa ricostruzione, che tecnica usano?” “In pratica fanno degli innesti di grasso, prelevano il tessuto adiposo con la siringa e lo reiniettano, dopo averlo centrifugato in un macchinario, nella mammella.” “Fa un po’ senso a sentirlo dire… questo centrifugato di grasso, però è una cosa naturale, per lo meno utilizzano qualcosa che è già tuo…” Mi vede pensierosa e interpreta il mio silenzio come preoccupazione. “Sei preoccupata per l’intervento, ti spaventa?” “No, non sono spaventata, sono tranquilla. Una volta deciso che avrei fatto fare l’intervento, perché sulle prime ho considerato anche il non volermi fare operare, adesso sono convinta che era necessario, prima di fare qualsiasi altra mossa, far togliere la lesione e ripartire da quella condizione. Guarda, ti dico una cosa… Mi conforta molto la coincidenza della data del ricovero con quella che è la data di nascita di mio padre. Oggi è il 18 ottobre, per me è una data molto importante e mi ha sempre portato bene, da quando lui non c’è più. Sono serena anche per questo… so che è una buonissima coincidenza, un modo di farmi capire che lui mi sta vicino, e questo è rassicurante. Tu ci credi a queste coincidenze?” “Sì, lo penso anche io, è una bella dimostrazione di affetto che in qualche modo ti è arrivata. Io credo che i nostri cari ci stiano vicini e in qualche altra dimensione continuino a seguirci e a occuparsi di noi. Credo in queste manifestazioni e credo che ci arrivino segnali e segni che possiamo riconoscere,

se siamo attenti a coglierne il significato.” “Ma sai che la pensiamo nella stessa maniera? Mi piace parlare di questi argomenti e sono contenta quando trovo persone con cui si può parlare liberamente. Io mi interesso di paranormale, anzi, direi che ha sempre fatto parte della mia vita, sin da quando ero piccola.” “Addirittura, da sempre… Ti saranno successe tante cose quindi!” Questa donna probabilmente non la vedrò mai più in tutta la mia vita e a volte, in certe circostanze, è molto più facile parlare di noi stessi con un estraneo che con una persona vicina e cara, verso la quale possono nascere imbarazzi a lasciarsi andare completamente e raccontarsi. E io voglio raccontare. Voglio almeno dire quello che mi pesa ancora in qualche angolo nascosto, o forse voglio solo parlare e raccontare quello che mai prima mi è capitato di voler e poter raccontare… Tanto domattina io ho un appuntamento importante, ho uno degli impegni più gravosi e seri della mia vita e andrò via presto e lei al mio ritorno in stanza non ci sarà più. “Sì infatti, ero una bambina e già mi accadevano fatti inspiegabili. Ho dei ricordi così nitidi che ancora oggi, quando ci penso, mi sembra di rivivere le stesse situazioni. Pensa che una volta, avrò avuto circa sei anni… Abitavamo in una casa con un piccolo cortile. Sta arrivando Natale e ci lasciano sole in casa, mia sorella che ha circa un anno e me, perché mamma e babbo erano usciti a fare compere, dovevano fare ancora degli acquisti. Mia sorella si sporca e io mi attrezzo per pulirla e lavarla. Prendo un catino con dell’acqua e poi prendo la bambina e la metto sdraiata sul tavolo, la spoglio, la pulisco e la lavo dentro il catino. Le tolgo anche le calze per non bagnarle, poi la asciugo e la rivesto ma quando cerco le calzine per rimettergliele ne trovo solo una e pur cercando l’altra non riesco a trovarla. Cerco e cerco questa calzina, tutto intorno a me e sotto il tavolo ed è proprio rialzandomi che spostando lo sguardo verso l’alto la vedo sospesa sul soffitto, e non appena la guardo cade giù, sul tavolo. Rientrano i nostri genitori e non parlo con nessuno di quello che è successo, della calzetta che ho visto sospesa sul soffitto, perché avevo paura della reazione, che comunque arriva. Prendo un paio di schiaffi e rimproveri perché aver lavato la bambina con l’acqua fredda poteva farle venire il raffreddore. Mi sembra di sentire il rimprovero e vedo mia mamma mentre mi colpisce. Sento ancora l’umiliazione e la frustrazione di quel gesto, incomprensibile per me dato che

avevo solo cercato di fare la cosa più giusta in quel momento.” “Strano questo fatto della calza appesa al soffitto. Una sul tavolo e una sospesa nell’aria, chissà cosa voleva significare…” “Che stavano per arrivare schiaffi… e ancora ho un altro ricordo… sono nel piccolo cortile a pianta quadra della casa, sul quale si affacciavano le porte interne, che aveva una scala in muratura sul lato destro che portava al terrazzo. Pensa che mi rivedo con i capelli scuri tagliati corti e una frangetta altrettanto corta, indosso un vestitino colorato, a grandi quadretti gialli e marroni con una decorazione sull’orlo di ochette gialle in fila nella gonna a palloncino. Mi vedo ferma nel centro del cortile, con il visino in su mentre guardo in alto verso il parapetto in muratura del terrazzo dove sto volando e fluttuando in questo spazio, che era visibile dalla mia posizione. Guarda, è stranissima questa sensazione quando mi rivedo in quella scena. Ferma e con lo sguardo in alto guardo me stessa mentre fluttuo nell’aria. Una chiara manifestazione di bilocazione. E naturalmente non ho detto niente a nessuno.” “Ma che tipo di bambina eri tu se non potevi raccontare quello che ti capitava?” “Abbastanza solitaria e introversa, anche perché mia madre tendeva a non farmi socializzare troppo con gli altri bambini, era soffocante da questo punto di vista, perché aveva paura che mi sporcassi, non voleva sentire chiasso e schiamazzi, perché aveva paura che mi fi male… Fatto sta che stavo spesso sola, a causa di questo. Non ne parlavo con nessuno perché probabilmente temevo di non essere creduta e di essere considerata una bugiarda.” “Accidenti, che tristezza! E quindi che facevi, com’è stata la tua infanzia?” “La mia infanzia, ma anche l’adolescenza sono state disastrose. Non sono stati anni tranquilli, con quella leggerezza e spensieratezza che solo i bambini possono avere. Sono sempre stata oltremodo responsabilizzata in maniera troppo gravosa per la mia età, non ricordo molti episodi felici o sereni, neanche di aver giocato con le bambole… Sono la seconda di tre figli, la più grande delle femmine, destinata secondo una certa mentalità a fare la donnina di casa e a supplire la madre se necessario nelle faccende di casa e nella cura della famiglia. E in casa mia era necessario. Sin da piccola mi sono dovuta prendere cura di mia sorella più piccola, di mio fratello e di mio padre quando mia madre, che soffriva di depressione in maniera cronica, veniva assalita da frequenti mal di testa che la

costringevano a letto per giorni e giorni. E così dovevo rigovernare la casa, preparare qualcosa da mangiare, occuparmi della più piccola e infine pensare anche a me, ai compiti e alla scuola.” “C’è da dire che per una certa mentalità di tanti anni fa, era normale questo tipo di gestione familiare. Le figlie femmine venivano educate per essere mogli e madri. Le si insegnava a fare i lavori di casa e dovevano essere in grado di padroneggiare la famiglia per quando l’avessero avuta. Certo oggi i tempi sono cambiati, fortunatamente.” “Per fortuna sì! Pensa che ho questo ricordo della mia infanzia mentre corro per arrivare in orario a scuola, alle elementari, ma ero già in ritardo cronico come sempre, dovuto al tempo che dovevo dedicare alle faccende di casa e ad altre questioni, e quindi corro con la cartella in mano, con un’ansia e una fortissima tachicardia, il nodo in gola e il pianto che sta per sfogare in singhiozzi… Giusto per dare un’idea.” “E sono ricordi che rimangono questi, rimangono dentro e fanno male… Si vive con una sensazione perenne di frustrazione e umiliazione.” “Mi sembra quasi di capire che anche la tua vita non sia stata esattamente una eggiata. Se capisci così bene quello che ti sto raccontando, credo che siano stati d’animo che anche tu hai vissuto.” “Infatti, so come ci si sente in certe situazioni, ricordo bene anche io molti episodi negativi. Rapporti molto conflittuali e devastanti da certi punti di vista, soprattutto quello psicologico.” “Dillo a me! Mi sentivo trascurata e maltrattata da mia madre, non ricordo episodi di incoraggiamento o sostegno ma solo cattiverie e spesso botte, e soprattutto insulti o offese per far cessare ogni e qualsiasi azione io volessi fare o stessi facendo quando a lei dava fastidio quanto le succedeva intorno. Ricordo le derisioni e le offese se solo mi sentiva cantare mentre giocavo. Mi piaceva cantare a squarciagola ma a lei infastidiva tanto e quindi mi faceva smettere. Pensa che mia madre, mi aveva eletta a sua amica e confidente, e mi trattava come fossi un’adulta e anche se piccola ero costretta ad ascoltare per ore i racconti della sua sfortunata esistenza, della sua infanzia nel tempo di guerra, della sua vita di orfana, imponendomi uno stress emotivo e un carico psicologico troppo grande per una bambina… Io così piccola, che avevo bisogno che

qualcuno si occue di me e mi insegnasse a crescere, ho fatto da sostegno a lei perché poi, in definitiva era una persona fragile, molto insicura, bisognosa di continue conferme e rassicurazioni.” “Roba da segnalazione ai servizi sociali. Oggi certi comportamenti non sarebbero più tollerati, e meno male! Dicevi prima della tua adolescenza… quella com’è stata?” “Ah, l’adolescenza poi... divieti, obblighi, imposizioni. Non avevo la possibilità di scegliere neanche le amiche. Mio padre le ava al setaccio, voleva conoscere tutto e soprattutto sapere della loro famiglia, perché potessero frequentarmi. Voleva essere sicuro che non corressi pericoli di nessun genere. I miei genitori erano sempre terrorizzati che ci succedesse qualcosa e pretendevano di gestire tutto di noi figli. Di fatto ci hanno iperprotetti e soffocati in ogni modo. Pensa che quando io uscivo, quelle rare volte che potevo uscire c’era l’imposizione del rientro a casa prima che tramontasse il sole, pena la totale consegna chiusa in casa per giorni e giorni. Oppure mi davano un piccolo lasso di tempo in cui dovevo uscire, fare qualche commissione e rientrare a casa, tutto nell’arco di tempo che avevano stabilito dovesse bastare! Era un continuo vivere nell’ansia di non riuscire a fare quello che dovevo, nel breve tempo che avevo a disposizione.” “Così non avevano dubbi che avresti fatto nient’altro che quello per cui eri dovuta uscire. Mamma mia, però, che oppressione! Comunque era molto frequente questo tipo di educazione, rigida e molto severa. E sugli ultimi anni, che magari hanno la risposta della nascita del tuo cancro?” “Infatti, è triste anche solo ripensarci! Gli ultimi anni sono stati veramente difficili e pesanti… E c’erano anche delle situazioni irrisolte che mi portavo ancora appresso dal ato e che pesavano in maniera imponente. La morte di mio padre, la malattia e la morte di mia madre per cancro al seno, il licenziamento dal lavoro. Tutto nel volgere di un paio d’anni, traumi e stress, dolore e sofferenze che hanno poi pesato negli anni a seguire, sino a che proprio due anni fa, a settembre, mi ammalo di una forma grave di artrite reattiva che mi ha paralizzata per più di un mese.” “Davvero? Addirittura paralizzata, cioè cosa ti è successo?” “Sai che l’artrite reattiva colpisce solitamente una delle grosse articolazioni?

Ecco, a me ha colpito la gamba, il braccio, il bacino e pure lo sterno. Per farla breve non potevo camminare, né muovere il braccio, né sedermi e neppure sdraiarmi. Dolori fortissimi e lancinanti dappertutto e senza poter prendere neanche un antidolorifico perché sono allergica ai fan. Ho dovuto sopportare tutti quanti i dolori fino a che il cortisone che mi avevano prescritto ha cominciato a fare effetto e a poco a poco ho ricominciato a recuperare l’uso degli arti. Come direbbe dottor Hamer era arrivato il blocco da conflitto decisionale…” “Ma conosci le teorie di Hamer? Ma pensa te… anche io mi sono interessata della sua medicina, tanti anni fa, la prima volta che si è presentato il cancro. Ho cercato di capire l’origine psicologica della sua manifestazione, la causa del conflitto. Non avrebbero potuto metterci insieme meglio assortite, nella stessa camera! E quindi, mi dicevi?” “Io mi sono interessata di Hamer in questa occasione e proprio in quel periodo comincio a mettere in relazione psiche, spirito e corpo e le sue manifestazioni sotto forma di sintomo, quando viene a mancare l’equilibrio interiore. E ti dirò di più… io mi sono riconosciuta nelle sue teorie perché al manifestarsi di questa malattia istintivamente capii, che era arrivato un punto di rottura, e che in qualche modo la mia mente e il mio organismo gettavano la spugna, dichiaravano la resa. Ho capito che era arrivata la mia resa, che mi sentivo sconfitta. La paralisi al braccio e alla gamba mi indicavano che era arrivata la voglia di fermarmi, come quando tutto può andare in malora e non te ne importa più niente e vada come vada. Si è solo stanchi, senza più nessuna voglia o lo stimolo di reagire. E io non avevo più voglia di reagire, di combattere, di oppormi. A tutte le brutture della vita, ai dispiaceri, a un modo di vivere che non mi piaceva e sentivo lontano dal mio modo di essere, che subivo e dal quale non riuscivo a uscire e dal quale non potevo liberarmi.” “Lo capisco bene… Ricordi cosa dice Hamer a questo proposito? Ogni malattia è causata da un trauma emotivo che ci coglie impreparati, ci prende in contropiede, un trauma che viviamo in solitudine e che non sappiamo come risolvere e anche che l’intensità del trauma emotivo determinerà la gravità della malattia, mentre il tipo di emozione determinerà la localizzazione nel corpo. Quindi la malattia è un simultaneo squilibrio a livello psichico, cerebrale e fisico… Senza conflitto non vi è malattia.” “Esatto, lo ricordavo. È illuminante no? Calza a pennello! Comunque devo dirti

che questo lungo periodo di invalidità è stato in qualche modo l’inizio di un percorso, un processo evolutivo che cominciava senza che io ne fossi consapevole e mi ha portato, alla fine, a capire che quello che mi aspettavo dovesse venire dall’esterno per aiutarmi a superare situazioni e problemi era invece sempre stato dentro di me e che aspettava solo il momento e l’occasione di manifestarsi. Dentro di me ho trovato la forza necessaria e le risposte che cercavo, senza rivolgermi più altrove e senza caricare gli altri delle mie ansie e delle mie aspettative e di conseguenza della mia sofferenza alla vita, nell’attesa che gli altri risolvessero per me e al posto mio i miei conflitti e i miei problemi. Mi ha dato come la carica, una forza interiore a reagire. Tu pensa che tutti i reumatologi consultati mi hanno detto che ci sarebbero voluti almeno due anni prima di poter riprendermi e tornare a fare una vita normale. Tutti i medici consultati per analisi, visite o controlli mi dicevano che sarebbe stato un lungo periodo da sopportare, che in questi casi ci vuole tanta pazienza per venirne fuori e che a volte può bastare un niente perché l’infiammazione si riaccenda e comprometta tutta la cura fatta fino ad allora. Invece sai che ho fatto?” “Ti sei messa alla prova? Immagino di si se hai avuto la stessa forza e la stessa determinazione che ho dimostrato io tanti anni fa. Quando ho dovuto fronteggiare tutte le situazioni che derivavano dal voler affrontare il cancro in una maniera non convenzionale, quando i medici telefonavano anche a casa mia per parlare con mio marito, cioè per convincere lui che stavo facendo la scelta sbagliata e speravano che lui potesse convincere me. Assurdo!” “Roba da pazzi! Davvero telefonavano? Ma pensa le cose che si sentono! Comunque sì, mi sono messa alla prova, volevo dimostrare prima di tutto a me stessa che potevo riuscire a gestire diversamente quella situazione e mi sono data da fare per reagire. All’inizio del 2009, proprio per contrastare i cortisonici e cercare il recupero fisico in seguito all’artrite reattiva mi iscrivo in una Accademia di Discipline Orientali dove ancora oggi faccio bioenergetica, attività che favorisce il benessere psicofisico, e in seguito mi iscrivo al corso di Qi Gong che sto ancora seguendo.” “Mai sentito parlare di questo Qi Gong. Cosa sarebbe e a cosa serve?” “È una disciplina di arti marziali, un metodo che studia e insegna come coltivare l’energia interna del corpo attraverso specifici esercizi la cui pratica migliora la salute e rinforza il fisico armonizzando respiro, postura e pensiero. Quindi gli esercizi, che sono statici o dinamici, mirano soprattutto a rinforzare il sistema

immunitario e a purificare il sangue. È anche di o alla Medicina Tradizionale Cinese, ne fa parte integrante, ed è considerata la disciplina della longevità, perché prevede anche pratiche di meditazione taoista. Ti dicevo… poi nel maggio del 2009 ho fatto qualche giorno di vacanza a Madrid, seppure con qualche fatica perché la ripresa funzionale era lenta, a giugno sono volata a Edimburgo per un’altra breve vacanza e nel novembre dello stesso anno sono partita da sola per il Cammino di Santiago.” “No dai, davvero, non dirmi! Ma sai che è uno dei miei desideri? Mi piacerebbe tanto partire per fare il Cammino… Ma davvero sei partita sola? Non sei stata un po’ incosciente? Immagino che non sia stato un viaggio facile e poi in inverno, con il freddo! Sei stata coraggiosa! Ti ammiro molto… chissà che non riesca anche io a realizzare questo sogno?” “Perché no? Se vuoi davvero realizzarlo datti da fare perché si realizzi. Non limitarti a sognare di poterlo fare, organizzati e parti, ché può farti solo bene. Mentalmente è stata un’iniezione di autostima incredibile, che ti lascia dentro una straordinaria fiducia in te stessa. È meno difficile di quanto possa sembrare. Quando sono partita, una volta preparato il mio programma, l’ho fatto d’istinto e senza pensarci… Come ti ho detto era novembre e date le mie condizioni di salute appena ate, i miei non erano per niente tranquilli sulla decisione di intraprendere questo viaggio, temevano che potessi stare male e che soprattutto il freddo e l’umido potessero riacutizzare i dolori che sembravano ormai spariti e l’infiammazione che ormai era ata. Ho affrontato un viaggio lungo e articolato, fatto di molte soste logistiche, ma avevo visto giusto. Sentivo un richiamo che non potevo più ignorare… Mi chiamava e ho risposto alla chiamata… Ho pianto tanto durante il percorso senza che potessi darmene una spiegazione, pensavo che mi stessi liberando da fardelli e pesi accumulati negli anni, e non è che non ne avessi da buttar fuori… Quando sono tornata ho capito e realizzato cosa era veramente successo… rivivendo certe situazioni di fatica fisica, disagi e dolori dell’anima avevo ripercorso non solo la mia vita, di cui il Cammino ha rappresentato la metafora, ma anche i rapporti affettivi conflittuali, con mia madre e altre persone che avevo incontrato nella mia esperienza di vita. La consapevolezza l’ho avuta in seguito, quando capii che avevo perdonato loro ma anche me stessa, per il tutto il male e il dolore che mi avevano impedito di essere serena per cinquant’anni. Il loro pensiero non mi pesava più e la maggiore comprensione delle persone che sono state mi ha permesso di rivedere anche il mio giudizio su di loro.”

“Bellissimo questo racconto… la metafora della vita. Che bella esperienza deve essere stata. Dura e difficile sotto tanti aspetti, ma comunque formativa e utile, no?” “Secondo me, senza ombra di dubbio. Sono convinta che il Cammino sia stato per me il vero punto di partenza della mia evoluzione interiore, l’evento che mi ha profondamente e definitivamente cambiata. È un’esperienza che io raccomando e consiglio a tutti, tanto ritengo che possa essere utile sia per ritrovare se stessi, sia per ritrovare una dimensione umana più vivibile e sostenibile. Soli e con pochi mezzi, è una bella sfida con se stessi. E poi credo che in definitiva fosse quello che doveva succedere a un certo punto della mia vita. Io penso che le cose che ci capitano nella vita siano capitoli di un percorso che scegliamo di fare prima di incarnarci nuovamente e tornare a vivere.” “Ma credi anche nella reincarnazione? Pensi che le nostre anime tornino più e più volte a vivere nuove esperienze, nuovi ruoli e condizioni di vita diverse ogni volta che ci si reincarna? Io sono titubante, non sono molto convinta di questo…” “Io ne sono convinta invece… Leggo e studio per approfondire gli argomenti seguendo le esperienze che racconta dottor Weiss, un medico e psichiatra che è il maggior esperto di ipnosi regressiva, che ha preso a studiare e a documentare questo incredibile avvicendarsi delle nostre anime. La nuova vita, per esempio, è un percorso che scegliamo prima di incarnarci nuovamente, è un nuovo progetto che pianifichiamo insieme ai maestri ascesi e che è indirizzato all’elevazione dello spirito e alla crescita interiore, per diventare anime più elevate e continuare a evolverci attraverso le esperienze terrene.” “Intendi dire con tutti i problemi che ci capitano nella vita, con la sofferenza, le malattie?” “Non solo, anche nelle manifestazioni più normali. La scelta di un lavoro, un talento che emerge, un hobby, ma anche le persone che incontriamo, con le quali intrecciamo dei rapporti di qualche genere, una paura infondata o l’avversione inspiegabile per qualcosa. No, non è che più sofferenza significhi più crescita interiore ma scelte di vita, progettate in anticipo per permetterci di crescere ed elevarci spiritualmente più rapidamente, apprendendo le lezioni che ci sono utili in questa vita e preparandoci per la prossima…”

“Bah, non so… mi devo documentare ancora meglio prima di avere un’opinione più precisa e potermi esprimere meglio… Sai che sarebbe ora di spegnere la luce e dormire?” “Mi sa che hai proprio ragione, abbiamo fatto tardi… Sono ore che chiacchieriamo ma mi ha fatto molto piacere, davvero. È bello trovare persone informate e preparate con le quali si può parlare di tutto.” Spengo la luce e mi distendo sul letto… Domani è un gran giorno, uno dei più importanti nei diversi capitoli della mia vita.

Messaggi Celesti 6 ottobre 2010 Nel silenzio del tuo cuore tu già sai, tu sapevi tutto quanto, conoscevi… Era solo il momento di ricordare, ora tutto quello che avviene è perché tu puoi ricordare quello scelto. La tua strada, il tuo progetto è così come doveva essere. L’anima tranquilla, tu sai… l’anima serena, tu conosci… l’anima colma di speranza, tu sai quello che ti aspetta… Ancora non è il momento ma sai che tutto deve evolversi e progredire. Tutto questo avviene perché tu hai scelto. Quello che avviene è quello che tu hai scelto di vivere e come tu sai le prove e le difficoltà, il dolore sono parte del cammino. Segui con serenità la strada e la strada seguirà te. Non dolerti di niente, tutto andrà come deve e tu sai, perché senti nel tuo profondo che la tua strada è ancora lunga e che devi ancora lavorare con noi e per noi e noi tutti saremo a tenerti la mano. Non dubitare mai che ti amiamo tanto e sei preziosa per noi. Tu ancora crescerai e ancora ti aspetta la serenità. Anche questo fa parte del tuo percorso, arriverai a essere felice. Pace a te, pace nel cuore. Oman

In ospedale 19 ottobre 2010 “Signora… signora, mi sente? Si svegli, respiri!”

Non riesco a respirare, sento questa voce, ma non riesco a respirare… Respiro, apro gli occhi e sono tre visi di fronte a me, vicini. Mi guardo intorno, intontita e con la testa che sembra che mi giri, ora ricordo… È una sala chirurgica, sono sul tavolo operatorio di una sala di ospedale. Le luci, forti, mi colpiscono tanto quanto quel dolore che avanza da qualche parte ma che ancora non capisco da dove provenga. Mi sento sollevare e posare su un lettino accanto, mi sistemano coprendomi bene e mi portano all’esterno. Mi sistemano parcheggiandomi di fianco a un altro lettino, dove una paziente si lamenta e piange. La riconosco, è Bianca. La chiamo piano: “Bianca cos’hai?” “Mi fa male tutto!” dice con la sua voce roca e ancora impastata dall’anestesia. “Non preoccuparti, ci sono qua io, Bianca, mi senti? Sono vicino a te, mi vuoi dare la mano?” Mi allunga faticosamente la mano e per quello che posso, con il mio dolore e la mia fasciatura fresca di sala operatoria le afferro due dita. Sarà il contatto ma Bianca un po’ si tranquillizza, smette almeno di piangere. Forse deve essersi sentita sola, la capisco bene o forse era spaventata. Magari non si rendeva conto di dove fosse e cosa era successo. Tante volte anche io mi sono sentita sola... però ora è meglio non pensarci perché ho freddo, sto sentendo molto freddo e dolori, tanti dolori. Attraverso la nebbia della mia mente mi sembra di vedere i medici che si preparano per un altro intervento chirurgico, vedo la paziente stesa sul tavolo perché hanno lasciato la porta aperta e approfitto di qualche infermiera che ci chiacchiera vicina per dirle che ho tanti dolori e freddo. Il fatto è che nel torpore della mia anestesia, mi sembra di essere lucida ma forse non lo sono più di tanto, non so come chiamarla, non mi vengono in mente le parole adatte. E allora mi sento dire: “Signora, signora, mi sente?” Si avvicina a chiedermi cosa voglio e flebilmente le dico che ho male al seno e che sento molto freddo. Le chiedo un antidolorifico… Più tardi arriva con una coperta che mi stende addosso e con una siringa in mano, allontanandomi da Bianca che nel frattempo si è calmata. Mi fa l’iniezione e penso che andrà tutto bene, che ora andrà sicuramente meglio. E a poco a poco, confortata dal tepore

che sale e dall’idea che tra poco starò bene, mi rilasso e mi sento trascinare verso l’incoscienza. Mi sento bene ora, in questo limbo di esistenza che mi fa perdere il senso del tempo e del luogo. Potrei essere ovunque, non lo so. Immagini che mi ano per la testa, come un album fotografico. Ricordi, colori e odori, sapori, lacrime e risate, pensieri e pensieri. Mi rivedo camminare… Vedo una persona che cammina infreddolita a testa china ma con i capelli tutti bagnati dal sudore.

Dal Cammino di Santiago 23 novembre 2009 Non una lunga tappa oggi, saranno stati circa quindici chilometri. Questa mattina sono partita intorno alle otto, quando ha cominciato a rischiarare e c’era un po’ di luce. I tre maschi presenti nell’ostello sono partiti tutti intorno alle sette e mezzo ed era ancora buio pesto. Ho tirato via un po’ del fango secco rimasto sul pavimento della camerata perché mi sembrava doveroso lasciare almeno un po’ d’ordine e pulito, così come l’ho trovato io… Stanotte ho dormito dentro al sacco a pelo come in un sarcofago… Come mi giravo rimanevo imbrigliata nel poco spazio interno a disposizione e finiva la corsa, non mi potevo più muovere. Una brutta esperienza fastidiosa, ma era necessario perché faceva molto freddo e ho dovuto anche mettere sopra la coperta che per sicurezza avevo chiesto nell’ostello. Oggi sono andata tranquilla per nove chilometri e ho fatto la prima sosta in un paesino intorno a mezzogiorno, dopo aver attraversato il ponte sul fiume Mino neanche tanto in piena, che regalava la vista di vallate placide a perdita d’occhio, belle da togliere il fiato, verdissime. Una sensazione di libertà che apriva il cuore e i polmoni… Un paesino con poche case e poche persone in giro. La piazzetta e una fila di case ai lati, poche altre ancora. Dopo una salita ripida si arriva al centro, che poi sono pochi negozi e qualche pensione. Mentre, finalmente seduta, prendevo un cappuccino in un locale, ho valutato con le spalle libere e con lo zaino che riposava sulla sedia accanto alla mia, se fermarmi o meno in una pensione, ma dopo essermi riposata un po’ ho deciso di ripartire. Dopo aver mangiato qualcosa ho proseguito per

altri sei chilometri e sono stati veramente duri e difficili per le mie gambe da principiante. Il percorso prevedeva molte salite e nello sforzo di arrancare arrivavano le vampate e con queste il sudore, la pressione forte mi faceva pulsare la testa e subire la tachicardia. Il cuore batteva forte e sentivo il sudore scorrere nella schiena nonostante il caldo soffocante che mi avvolgeva mentre intorno a me la temperatura era bassissima e faceva freddo. Ho creduto a tratti di non potercela fare, le gambe rifiutavano di proseguire, i polpacci diventavano duri come marmo e mi facevano male i piedi che annunciavano vesciche. E infatti ne ho trovate due belle grandi, una per piede sotto l’alluce, per par condicio. Arrivata a Gonzar, paesino di una decina di case e una stalla per le mucche, prendo un letto nell’ostello dove mi fermerò per la notte. È moderno e pulitissimo con una dozzina di letti a castello e travi in legno a vista nel soffitto della camerata. Al piano terra una bella cucina ampia e la sala da pranzo con ampie porte finestra che si aprono su un giardino interno. Quando arrivo sono completamente sola, non c’è nessun altro, ma non mi pesa per niente e mi abituo subito. Faccio la doccia e apro le vesciche, metto i cerotti e la crema per evitarne altre, poi massaggio piedi e polpacci con la crema all’arnica e metto gli infradito per farli respirare. Fa talmente freddo che dopo mezz’ora ho due filetti di merluzzo surgelati al posto dei piedi. A pochi i dall’ostello c’è un punto ristoro dove più tardi andrò a cenare per poi andare subito a dormire perché sono stanca e fa freddo… Ho quindi cenato nel locale adiacente all’albergue gestito dallo stesso custode dell’ostello nelle ore notturne. In pratica quello che ci chiuderà dentro alle ventitré. Bar o ristorante è un grosso complimento… in realtà è una sala disadorna e deprimente che sa molto di sporco e trascurato e odora anche degli stessi. Sarebbe anche il bar dove fare colazione domani mattina. Con me non ho niente da cucinare non avendo trovato, lungo la strada, nessun negozio dove poter acquistare qualcosa e ho dovuto adattarmi. L’oste e sua moglie, che arriva insonnolita a prendere l’ordinazione, quando si guardano sbadigliano in sincrono. Appena lui accenna a sbadigliare lei lo imita e viceversa. È così che ho ordinato la cena, mentre lei sbadigliava e prendeva nota dell’ordinazione e lui stava a fianco ad ascoltare sbadigliando e con le mani in tasca!

In ospedale 19 ottobre 2011 Sento che mi sto muovendo e mi rendo conto, pur con la nebbia ancora fitta nella testa che un infermiere mi spinge per il corridoio, destinazione ascensore… si torna in camera… Mi sento stanca e dentro l’ascensore rispondo a mugugni alle domande che mi vengono poste. Uscendo dall’ascensore mi guardo intorno e riconosco le persone che, al piano, erano in attesa che io tornassi nella mia camera. Mi si fanno tutti intorno e vedo i loro visi mentre o sulla barella spinta dall’infermiere, in ansia di avere notizie circa l’operazione e vedere come stessi. Ci sono tante persone, i parenti, le amiche… “Sto bene!” accenno un debole sorriso, tutto bene farfuglio, sto bene… Con il mio camicino usa e getta il personale di reparto al quale mi affidano mi dirottano sul mio letto dove vengo ben sistemata e ridotta come una mummia dalle pressioni premurose di un infermiere che mi rincalza tutte le coperte perché sento freddo, di nuovo e ancora tanto freddo. Qualcuno mi si avvicina e mi dice: “Come sei bella!” Ho pensato, pur ancora sotto gli effetti dell’anestesia: Ma chi è questo demente, non sarà mica l’infermiere? Chiederò più tardi a qualcuno, quando avrò voglia di parlare, ora non chiedo altro di poter dormire e riposare… Mi culla il ricordo e il suono ovattato delle ruote che si muovono nel corridoio e continuo a camminare. Nella mia mente ancora flash di paesaggi estesi e verdi, sereni e placidi, tanta pace intorno e dentro di me. Ho naturalmente perso la cognizione del tempo che è ato, ma nel dormiveglia vedo dei visi che ogni tanto si affacciano dalla porta a guardare dentro la camera in attesa che mi svegli del tutto e che possano entrare senza disturbare. Nel giro di due ore sono abbastanza sveglia e cosciente da potermi mettere seduta con i cuscini a sostenermi le spalle e in grado di parlare e raccontare. Tutto il pomeriggio e tutta la sera è un’incessante processione di visite di parenti, amiche e amici e parenti delle altre ricoverate che per fare orario venivano a vedere come stessi e si meravigliavano di come fossi non solo già sveglia, ma allegra e loquace mentre parlavo con i miei ospiti e si rideva e si parlava di tutt’altro che non fosse l’intervento appena affrontato… Fiori e fiori, per me! Tutti sul tavolino utilizzato per i pasti, a occuparne una buona parte. Per fortuna la signora ricoverata questa mattina, mia nuova compagna di stanza, sta bene e non viene infastidita da questo viavai di persone.

Mio marito preoccupato dal mio gesticolare nel parlare comincia a manifestare la sua apprensione, unita alla stanchezza e alla tensione che si sta sciogliendo: “Stai ferma con le mani”. “Perché, cosa sto facendo con le mani?” “Stai gesticolando troppo, ti si stacca l’ago della flebo.” “Ma quando mai… guarda che l’ago è dentro in profondità, non può uscire, ma per caso ti impressiona?” “No no, per niente ma stai ferma con le mani, guarda che ti fai male.” “E basta con questa fissa, non può uscire l’ago.” E continuo a parlare, a ridere e a scherzare con amici di vecchia data… “Ma tu ti ricordi di quella volta che siamo andati in macchina e stavamo strettissimi, tutti al distributore a trovare Mauro che aveva trovato quel lavoretto, che casino che abbiamo fatto, in sette dentro la vecchia 127 verde…” Insistente continua: “Lascia ferme quelle mani…” “E basta, adesso smettila, non mi succede niente!” “Ho capito, me ne vado che faccio la cosa più giusta, ti lascio libera di fare come credi, tanto con te non si può dire niente. Vuoi muovere le mani? Agitati come ti pare, io non ce la faccio a guardarti gesticolare in quel modo, mi infastidisce.” Uffa, che antipatico che è. Al consueto giro serale dei medici per verificare le condizioni dei pazienti, un’allegra e vivace dottoressa particolarmente portata per le battute spiritose butta lì: “E tutti questi fiori, chi è che ha partorito? Lei? Questi vanno a casa che qui non possono rimanere, disturbano, fanno odore e possono dar fastidio”. Profumano, non fanno odore… i fiori profumano. La mente prende a vagare… quelli erano odori più che profumi, odori forti e decisi, di boschi e di foglie. Estraggo dal cassetto la mia copertina di Linus e prendo a leggere, perché attraverso quelle parole che mi riportano alla mente ricordi e mi sostengono, prendo forza e ispirazione per andare avanti. Domani sarà un altro capitolo.

Andrà tutto bene, andrà tutto tutto bene…

Dal Cammino di Santiago 24 novembre 2010 Era cominciata male… Tutto in salita, bisognava salire e si cominciava a scendere solo dopo sette chilometri di marcia. I soliti problemi: faticavo a salire, il peso dello zaino mi trascinava all’indietro, lo sforzo e il peso mi facevano sudare mentre salivo affannando e sentivo il sudore corrermi lungo la schiena e gelarmi facendomi rabbrividire, nonostante il caldo. Ho attraversato i soliti paesini di una decina di case, ma anche di solo quattro o cinque case incredibilmente abitati. ando mi era sembrato di vedere un’abitazione con la stanza di sinistra adibita a stalla, con la paglia per terra e una mucca all’interno. Nella stanza di destra invece, due anziani contadini seduti vicini, fissavano il nulla della strada dalla finestra spalancata. Sono anche tornata indietro per accertarmene perché mi sembrava di vedere qualcosa di veramente irreale. Incredibile! La mucca era anche ben accudita, per carità, aveva anche la paglia sul pavimento… A volte non si respirava dal tanfo. Dappertutto le corti aperte sulle stradine dove cammino fanno defluire all’esterno le deiezioni degli animali che con la pioggia colano in strada e si mischiano al fango, formando uno strato di melma puzzolente, rendendo difficile riuscire a non arci sopra. Dopo aver penato in maniera incredibile per le salite, con il dolore ai piedi per le vesciche e lo zaino che sembrava pesare due volte il suo peso e non senza essermi chiesta a ogni o chi caspita me l’avesse fatto fare, arrivo finalmente al piano, dove il sentiero per i pellegrini seguiva una strada provinciale, in mezzo ai boschi di pini, da ambo il lati. Finalmente! Mi rivedo camminare… Alla base dei pini crescevano delle felci dall’incredibile colore rosa che con il verde degli alberi formava un contrasto così delicato da commuovere. Nessuno in giro! Per ore non ho visto una sola macchina transitare o una sola persona. Eppure, in mezzo a questo silenzio, con il buio del folto del bosco da una parte e dall’altra e nessuno in giro non ho mai avuto paura, la più piccola o minima preoccupazione. Questi paesaggi danno uno strano senso di pace e serenità ed è molto difficile associare queste sensazioni alla paura, pur

rendendomi conto di essere sola, completamente sola. Ecco, la paura che succeda qualcosa, che qualcuno mi importuni, di incrociare qualche male intenzionato o che mi senta male non fa parte dei miei pensieri, totalmente lontani da qualsiasi cosa mi possa aspettare. E infatti quello che proprio non posso prevedere è che all’improvviso, da una stradina laterale, proprio poco più avanti da me, esce all’improvviso un piccolo branco di cervi giovani, saranno tre o quattro, si fermano un attimo e sembra che mi guardino, poi attraversano la strada e spariscono nel folto del bosco. Bellissimi… sono rimasta senza fiato, non ho fatto in tempo a fotografarli ma l’emozione è stata tanta. Il rosa delle felci e i cervi… I miracoli a volte succedono, anche sotto queste forme che la natura ci regala… Ho camminato per ore senza sentire una voce umana se non la mia quando prendevo a cantare a squarciagola, o ridevo ripensando a qualcosa o imprecavo a voce alta quando mi sembrava di non farcela più, tanta era la stanchezza che cominciava a virare verso lo sfinimento. E ricordo con emozione la prima voce umana udita dopo tante ore di silenzio ad augurarmi buen camino.

Il servizio di Kryon E se prima di poter fare qualunque cosa, doveste imparare ad amare? E se vi dicessi che questa energia d’amore accende una luce che dà effettivamente inizio a un processo di vibrazioni più elevate? Lo sapevate? E se questa energia d’amore fosse praticamente il catalizzatore di ogni processo che l’umano desidera? Tratto da L’energia dell’Amore su www.stazioneceleste.it

III

Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso. Madre Teresa di Calcutta

Un semplice sorriso 21 ottobre 2010 Ieri sono rimasta quasi tutta la giornata nella mia camera avendo deciso che era il caso di stare a riposare tranquilla e di riprendere un po’ di forze, dato che ho pur sempre subito un intervento chirurgico e non di poco conto, anche se non accuso problemi di nessun genere. In mattinata è ato il prete per portarci il suo sostegno e il suo conforto e quindi per sapere se avevamo bisogno di parlare e di sfogarci confrontandoci con lui e con il suo punto di vista, quello cattolico. Mi ha chiesto come stavo, se avevo bisogno di sostegno psicologico. Non ho resistito… Gli ho attaccato un pistolotto sull’aver accettato tranquillamente quello che la vita mi aveva mandato da sopportare e che non mi gravava psicologicamente per niente il pensiero che si trattasse di un cancro invece di un’altra malattia. Gli ho detto che consideravo la situazione una tappa nel cammino della mia vita, una prova da superare e da considerare alla stregua di uno dei tanti problemi che capitano nella vita di ognuno, da affrontare senza ingigantirlo o esasperarlo e senza farsene travolgere. Nessun riferimento a Nostro Signore Gesù Cristo che ci dà i mali per temprarci e fortificarci e farci espiare già in questa vita, da accettare con fede e rassegnazione. È andato via frustrato… Lo so, non sono di quel partito e a volte lo faccio di proposito: rompo deliberatamente le palle al prossimo. Sinceramente non mi andava proprio l’idea di ascoltarlo per la seconda volta, dopo che la mia compagna di banco nel letto affianco al mio gli aveva già chiesto la benedizione e lui aveva già avuto modo di esercitare il suo vicariato.

Nel pomeriggio ho girovagato un po’ nelle camere vicine alle mie ritrovando le persone già viste il giorno del ricovero e intraviste il giorno dell’operazione, a seconda del loro turno perché, dal momento che io sono stata prelevata intorno a mezzogiorno, avevo visto are qualche barella con relativa paziente sdraiata. Lei si chiama Lorella, ha circa trentacinque anni, due bimbe piccole ed è la seconda volta che viene ricoverata per essere operata, perché il referto dell’esame istologico del materiale prelevato durante la prima operazione, riguardante il linfonodo sentinella, ha dato esito positivo. Mi colpiscono i suoi occhi tristi e un certo modo di stare sul letto in posizione fetale, quasi a volersi proteggere e preservare da altro dolore, quasi che raccogliendosi in se stessa potesse riuscire a evitare altro male o altra sofferenza. Una tutela, una forma di resistenza. Questo luogo è un posto di dolore e di sofferenza e per quanto io non riesca a farmene coinvolgere più di tanto e a sentirlo nei miei riguardi, non posso fare a meno di notare e percepire il dolore degli altri, e di respirare quest’aria pesante che è fatta di preoccupazione, di ansia e paura. Del domani e delle incognite che accompagneranno ognuna di queste persone nel percorso e nelle scelte che saranno chiamate a fare. Inevitabilmente… “Come stai? Come ti senti?” “Per niente bene, mi fa molto male il braccio e non riesco a muoverlo.” “Con il tempo… ora è ancora troppo presto, ti hanno operata appena due giorni fa. Ti hanno dato un antidolorifico?” “Sì, l’ho già preso ma non mi è ancora ato. Mi pulsa la ferita nell’ascella… Sono preoccupata… sentivo dire che è difficile recuperare la funzionalità dell’arto quando è stato operato per lo svuotamento ascellare. Erano sei i linfonodi interessati e hanno dovuto operare abbastanza a fondo.” “Non precipitare le cose, andrà a posto a poco a poco. Servirà anche fare un po’ di riabilitazione fisica, magari ti diranno… non preoccuparti adesso.” “Ne ho tante preoccupazioni: le bambine sono piccole e hanno bisogno di me invece sono stata costretta a trascurarle per pensare alle visite e ai ricoveri e poi sinceramente sono stanca, sono preoccupata per come andrà tutto quanto e ho paura perché sino a ora ho solo dovuto subire tutto quello che è arrivato.” “Ti capisco, lo so bene cosa vuoi dire, ma abbattersi è inutile e porsi dubbi e farsi

prendere dalla paura di quello che sarà, adesso è prematuro. Cerca per ora di vedere il lato positivo di quello che si è appena concluso… Hai affrontato ancora un intervento, sei stata coraggiosa sino a oggi, un altro o fatto e hai da cercare di recuperare questo stato. Poi ci penserai, con più calma.” “Lo so che hai ragione e sarebbe questo il giusto atteggiamento ma è difficile non farsi travolgere dai pensieri e i pensieri riguardano le bimbe, la mia famiglia. Io sono giovane e mi spaventa non sapere cosa succederà e come sarà il futuro. Non so neanche se ci sarà un futuro. Penso alle mie figlie senza di me…” “Ma neanche per idea, così non va proprio bene. Tu non devi né pensare né immaginarle queste situazioni. Senti un po’, ascoltami per favore! Tu pensi giustamente alle tue figlie e sei preoccupata per loro, ascolta allora questo paragone. Io penso che un cancro è per sempre, come un figlio che nasce… solo che le circostanze sono diverse e c’è ben poco da festeggiare. Quando arriva questo problema è vero che niente sarà mai più come prima. Lo so bene che ti cambia la vita, è inevitabile! Cambia la tua visione della vita, delle scelte, delle priorità, delle consapevolezze, cambia l’atteggiamento di chi hai intorno, a volte in meglio e a volte in peggio. Come per tutti i fatti e gli avvenimenti importanti che capitano nella vita, non potrai più ignorarlo e far finta che niente sia successo tanto ti trasforma. L’importante, al pari degli altri problemi o situazioni difficili nelle quali ci imbattiamo è il nostro atteggiamento nei suoi riguardi. Capisco la tua stanchezza, la tua paura e le tue preoccupazioni. Conosco quella pesantezza in cui tutto sembra farti scivolare in un vicolo buio senza possibilità di intravedere una luce. È allora indispensabile che sia tu a cambiare atteggiamento. Senti, da domani fai questo esercizio e poi lo tieni come atteggiamento anche quando torni a casa?” “Ti ascolto. Cosa mi consigli di fare?” “Domattina sorridi, dalla mattina quando ti svegli sino a quando andrai nuovamente a dormire. Non importa se gli altri ti guardano straniti, non curartene, se qualcuno ti chiede perché sorridi o se ti guardano come tu fossi scema, quasi canzonandoti. Sorridi sempre quando esci da casa, alle bimbe quando stai con loro, quando vai a fare la spesa o qualsiasi altra cosa e fallo diventare il tuo modo di essere. Il sorriso ci rimanda alla mente una sensazione piacevole e serena, di qualcosa che ci ha fatto star bene ed è importante che la mente acquisisca questa informazione perché poi la rielabora e la rimanda sotto forma di benessere generale. Sorridi perché ti sei svegliata a un nuovo giorno,

sorridi perché sei viva, sorridi perché ami la vita e le tue bimbe, sorridi perché sei bella dentro e fuori, sorridi perché fai parte di questa meraviglia che è l’universo tutto. Anche se tu sei solo una piccola parte del tutto, sei importante perché hai il tuo ruolo nella vita, sei importante per le tue bambine e per tuo marito, per chi ti vuole bene. Sorridi perché ami e sei amata e soprattutto sorridi a te stessa perché ti ami. Impara a volerti bene e vedrai che tutto sembrerà meno tragico e anche se non sarà tutto più facile, sarà almeno più semplice e meno complicato da affrontare e porterà via anche questi brutti pensieri cupi e tristi. Lo farai?” Torno lentamente nella mia camera sorridendo al ricordo del calore umano e quasi intimo che ci siamo appena scambiate. Mi sorride la mia compagna di camera quando entro e la saluto allegramente mentre le dico: “Sta bene, è tutto a posto?” “Sì grazie, è appena andata via l’infermiera, mi ha lavata e pettinata, ora sono in ordine e sto proprio bene.” Come si fa a non sorridere ancora davanti a questa semplice soddisfazione? Sdraiandomi sul letto penso a domani, il giorno delle dimissioni, quello anelato e temuto da tutti quanti qui dentro, per la grossa mole di pensieri che comporta e per tutto quello che sarà da affrontare. Un baratro, un salto nel buio. Si torna a casa e mi preparo ad affrontare tutti i problemi che questo comporta, problemi di ordine pratico che mi vedranno impegnata nel pensare a un programma di cura soddisfacente da seguire. “Forza, forza, non bisogna arrendersi, mai desistere, avanti sempre!” Tiro fuori dal cassetto del comodino il mio libretto magico e lo stringo a me.

Dal Cammino di Santiago 25 novembre 2009 Solo una grande determinazione ad andare avanti, unita a una forza che non so neanche come mi abbia sostenuto, ha permesso che oggi finissi la tappa prevista. Sono le diciotto e cinquanta, sono seduta in una panchina di un parchetto e

scrivo per are il tempo perché più tardi andrò a ritirare tutta la biancheria che ho portato in lavanderia, una parte da lavare e una parte da asciugare. Le previsioni davano pioggia per oggi e sono uscita equipaggiata, ma inesperta per camminare sotto la pioggia. Acquazzone per tutto il percorso di quattordici chilometri. Tutti sotto l’acqua. Faceva anche molto freddo ma ho finito presto per non pensarci perché era più urgente il pensiero che l’acqua mi stava bagnando dappertutto, e sono state circa cinque ore di sofferta camminata. Avevo messo la giacca antipioggia gialla ma avevo lo zaino scoperto perché il coprizaino non riusciva a contenere le sue dimensioni extralarge e saltava continuamente, anche se grande e regolabile. Ero anche equipaggiata di cuffia e guanti, ma non sono serviti a niente. In pratica mi sono inzuppata dalla testa ai piedi comprese scarpe e calze, tutto l’abbigliamento che avevo addosso e anche i capelli… Fradicia. Un incubo! Appena ho preso possesso della camera, ho steso il sacco a pelo al riparo nel balcone e ho cercato di asciugare con l’asciugacapelli tutto quello che potevo, scatole di medicinali comprese, l’interno delle scarpe, la borsa. Si è bagnato lo zaino e buona parte di quello che c’era all’interno o meglio quasi tutto, sacco a pelo e tutti i contenitori, compreso quello delle medicine, la borsa che tenevo davanti con il quaderno e la credencial. Tutto bagnato o umido! È andata comunque e domani spero meglio. Il danno ormai era fatto e tanto valeva cercare di rimediare. Tutti questi pensieri positivi dopo essermi resa conto del disastro fatto dalla pioggia, essermi fatta un bel pianto di disperazione ed essermi dovuta mettere sotto le coperte per scaldarmi. Piangevo dallo sconforto e per i dolori che sentivo dappertutto, e mi stringevo forte le braccia per cercare di scaldarmi! Ora che è ata l’emergenza e scrivo mentre faccio orario per il ritiro in lavanderia, va molto molto meglio. ato il malumore, sono di nuovo pronta per una nuova giornata. Quando rientro vado a cena e se possibile mi collego su internet, giusto per rimanere in contatto con il mio mondo. Questo, dove vivo ora questa realtà, non lo è. È provvisorio e ne sono consapevole. Il paesaggio visto oggi era comunque bellissimo, con la pioggia che rendeva tutto il panorama quasi fiabesco con una velatura permanente che lasciava spazio all’immaginazione perché rendeva a tratti quasi irreale ogni cosa. Non ho potuto fare molte fotografie purtroppo per non danneggiare la macchina e anche perché

con i guanti non veniva molto bene e per di più erano zuppi d’acqua, un disastro. Tanto fango nei sentieri, tantissimo e tanti tratti allagati al punto che si doveva camminare quando era possibile sulle pietre, se c’erano. Altrimenti bisognava camminare con il piede dentro l’acqua. Di mattina mi sono fermata per prendere il solito caffè e latte in uno dei localini che si trovano lungo le strade dei pellegrini. Questo era uno stanzino, l’unico trovato aperto strada facendo, pieno di otto pellegrini bagnati fradici che cercavano riparo dalla pioggia. La signora mi ha preparato il latte e il caffè come si fa in casa con la caffettiera, perché di macchina per il caffè non c’era neanche l’ombra. Sul minuscolo banco di vendita solo qualche merendina da vendere e un po’ di frutta in una piccola cassetta. Ho bevuto il preparato anche se era molto pallido di caffè e un po’ mi ripugnava, ma almeno era qualcosa di caldo e come al solito non avevo fatto colazione perché era ancora tutto chiuso quando sono partita. Ho trovato nel locale una coppia vista il giorno prima nella saletta ristorante della stessa pensioncina dove ho alloggiato io e anche loro mi hanno riconosciuta. Lui mi ha approcciato chiedendomi in se se ero la stessa persona che avevano visto a cena nella pensione così da averne la conferma. Oui, c’est moi! Bene, siamo ufficialmente pellegrini dichiarati. Abbiamo fatto outing… Poi sono ripartita per altri cinque chilometri sotto la pioggia insistente. Lo zaino pesava in maniera a volte insopportabile, le vesciche pulsavano e bruciavano e mi faceva male il ginocchio destro. Trascinandomi su una gamba sono arrivata alla periferia di Melide intorno alle tredici e guardandomi intorno ho visto l’insegna di un hotel dove mi sono diretta stremata dal freddo e dalla fatica per aver camminato continuamente sotto l’acquazzone ghiacciato, con la consapevolezza di non poter continuare e andare ancora avanti. Anche la coppia vista di mattina, che camminava dietro di me ha preso la via per un albergue poco distante dalla pensione dove io mi sono diretta. Camera con riscaldamento finalmente e utilissimo per averci potuto posizionare parte dell’abbigliamento bagnato contenuto nello zaino che era zuppo. Le uniche cose che sono riuscita a salvare e che ho cercato di asciugare con il phon le ho messe addosso per poter uscire la sera avendo come meta la lavanderia. Mi commuovo al ricordo di questa mattina quando sono stata ferma per qualche minuto, prima di attraversare una strada ferrata, mentre vedevo il

treno in lontananza che avanzava e una volta che è mi ato davanti il macchinista mi ha salutato con due lunghi fischi… Tuuu, tuuu!!!

Il servizio di Kryon “Lo spirito darà dei messaggi di azione… Verrà posto qualcosa nel messaggio… avrà una parte quantica e il pensatore quantico la ‘coglierà’. Pensate a essa come a una ‘libertà dal tempo’. È una libertà dal modo di pensare, non siate sempre bloccati sull’orologio. Non fissatevi sempre su un obiettivo per poi essere delusi quando, arrivato il tempo, non succede nulla. Siate felici semplicemente di essere. Invece di provare frustrazione, voi sapete che le cose cominciano ad accadere al tempo loro appropriato e che la sincronicità le porterà a voi. Ciò non significa che non ve ne dobbiate preoccupare. Non sarete ansiosi e non entrerete nel dramma.” Tratto da Evoluzione Umana su www.stazioneceleste.it

Mi hanno rilasciata 22 ottobre 2010 È un venerdì di una bella giornata di sole tiepido ed è soprattutto il giorno delle mie dimissioni da ricoverata. Questi pochi giorni di degenza sono andati via lisci come l’olio, nessuna complicazione che mi abbia portato un po’ di febbre o per la quale abbia avuto bisogno di una flebo o di qualche compressa. Per are il tempo ho fatto da assistente infermiera giorno e notte alla mia nuova compagna di stanza, un’anziana signora a cui hanno praticato una mastectomia alla bella età di ottantasei anni. Data l’età e l’intervento importante ha stentato a riprendersi e si lamentava continuamente e così anche durante la notte mi alzavo per aiutarla a spostarsi e cambiare posizione o darle un pochino d’acqua e di giorno l’aiutavo ad alzarsi per mangiare o mettersi seduta nel letto. È molto dispiaciuta che io vada via e mi ripete continuamente: “Come farò senza la mia infermiera!” Il resto del tempo, sicuramente sempre tanto quando si ha molto poco da fare,

l’ho ato leggendo, ricevendo le visite di parenti e amiche e praticando meditazione per quello che riuscivo a fare quando cercavo di isolarmi anche dentro la mia stanza di ospedale, pur anche seduta sul letto. Ieri mattina sono stata sbendata, nel senso che mi hanno finalmente tolto quella stretta impalcatura fatta di bende e cerotti che mi circumnavigava tutto il torace all’altezza del seno e devo dire che il medico che ha effettuato l’operazione si è adoperato con molta buona volontà, visto che nello strappare le bende mi ha tirato via una parte di pelle, una strisciolina, dalla parte del seno sinistro, quello che era sano. Adesso a vista c’è una cicatrice di sette centimetri sul lato destro e una ferita sanguinolenta sul lato sinistro. Lato destro che viene subito ricoperto da garza e cerotto, mi dice il dottore mani di fata, da lasciare sino alla prossima medicazione. In compenso ho constatato che durante l’operazione è stata anche eseguita la ricostruzione del seno offeso e a parte la cicatrice non ho nessun buco o zona concava lì dove hanno pur sempre tagliato fettine di carne e muscolo per sei centimetri di lunghezza per quattro di profondità e l’altro per cinque centimetri e due di profondità. In pratica mi hanno portato via mezzo seno e come abbiano potuto ristrutturarlo in quella maniera rimane per me un mistero che non riuscirò a farmi svelare, perché a dire il vero, in questi giorni non ho avuto il piacere di parlare con il chirurgo che mi ha operata che non si è neanche degnato di are in visita per vedere come stessi. Sono comunque contenta di questo rimpasto che mi eviterà per lo meno di aggiungere sconforto allo sconforto di dovermi rapportare giornalmente con la cicatrice che si rimarginerà, e che, è ovvio, si schiarirà come è normale che sia, ma che sicuramente sarà lì giornalmente a ricordarmi quello che è stato. Dopo le formalità che precedono normalmente le dimissioni di un degente posso finalmente rimettere gli abiti civili, quelli con cui sono arrivata e lasciare l’ospedale. Sono riuscita a lavare e asciugare i capelli per cui sono anche nuovamente riccio munita e pronta ad affrontare questa altra parte, la seconda fase di tutta questa faccenda che sembra risultare la più difficile, con le decisioni da prendere per vedere quale direzione seguire e quali programmi adottare, gli ostacoli e le discussioni che arriveranno sicuramente perché so per certo che porterò avanti e con determinazione la mia convinzione. Sono pronta a tutto e non riusciranno a convincermi. Vivo la sensazione netta che per quanto mi riguarda il problema sia stato risolto con l’intervento chirurgico ma va da sé che trattandosi di un problema così particolare, subdolo e pericoloso non posso permettermi di comportarmi come se non lo fosse ma devo

assolutamente cercare di fare qualche cosa che possa servire da cura e anche da prevenzione per evitare eventuali recidive. Metti che sia scappata una cellulina dispettosa. Si torna a casa e forse non sarà facile ma penso e spero che la fiducia e l’ottimismo che mi hanno sostenuta sinora continuino a soccorrermi nei momenti di sconforto che inevitabilmente arriveranno e la cui conseguenza, il pensiero positivo che non mi ha mai abbandonato, possa aiutarmi a mantenere lucidità di pensiero e ferma capacità di libera scelta. Ancora una volta sono convinta che non farò e non seguirò la terapia del protocollo ufficiale, per cui esco da qui e mi darò da fare velocemente per non perdere troppo tempo. Un giorno in più regalato all’alieno può costarmi caro nel futuro per cui non devo lasciargli neanche il tempo di cantare vittoria e permettergli di migrare e colonizzare gli altri miei distretti più a rischio e come meglio indicato dalle statistiche: il fegato, il pancreas, le ossa. Certo, le parti dove mettere radici non mancano! Ora comunque è meglio accantonare il pensiero e prendermi qualche giorno di pausa. Per il momento, considerato che tutto sommato sto bene, ho deciso che partirò qualche giorno per rimettermi dall’intervento e sarò ospite di un’amica dall’altra parte del mare, il continente, come diciamo noi sardi. Non devo neanche sforzarmi di considerarmi una malata di cancro perché proprio non mi considero tale in assoluto, e per ora ho già risolto una parte del problema. Una volta rientrata a casa dall’ospedale, giacché il tempo stringe, nel pomeriggio ho prenotato volo di andata e ritorno e mi appresto a prepararmi la valigia ché domenica si parte… Sola, non mi preoccupa minimamente e non penso alla possibilità di stancarmi o non farcela perché non mi sento affatto debilitata dal ricovero. Penso di avere semplicemente adempiuto a un aggio indispensabile verso la liberazione dalla presenza dell’alieno, l’intervento chirurgico, quindi sono anche molto ottimista e di buonumore. Vedendola da un altro punto di vista mi aggiudico un punto a suo svantaggio e anzi sono contenta di come tutto sia andato bene e senza complicazioni e anche l’umore non è da meno e mi sostiene. Sto bene, sono quasi euforica per essermi liberata da un peso e soddisfatta per quanto già fatto, sono autonoma e ho tutte e due le tette. Poteva andarmi peggio! Cosa voglio di più?

Dal Cammino di Santiago 26 novembre 2009 Poteva andare peggio di così? Oggi ho poca voglia di raccontare. Sono molto stanca! A volte le gambe rifiutavano di camminare e sono un blocco di marmo dalle natiche in giù. A tratti sentivo lo zaino pesare più del solito, a volte faceva più male il ginocchio e dimenticavo il peso sulle spalle, a volte sentivo più forte bruciare le vesciche dei piedi. Molte le salite incontrate anche oggi, fatte tutte o quasi cantando, piangendo e contando in cinese, per quel poco che conosco. Quando mi fermavo per riprendere fiato mi dovevo mettere ad angolo retto per caricare il peso dello zaino sulla schiena e questo, non so perché, mi giovava. Poi ripartivo a testa china per non vedere le distanze e visualizzavo gli esercizi di respirazione e contavo, avanzavo così e salivo puntando il bastone per darmi la spinta, contavo e salivo. È stato faticoso anche a causa delle discese che non sono meno impegnative delle salite e bisogna fare attenzione alle caviglie e a non scivolare. Se il sentiero è pieno di foglie bagnate o se è di pietra questa risulta insidiosa perché liscia. Metto il piede di sbieco così da fare attrito non con la punta ma con la pianta messa di traverso. I piedi però ne risentono molto e fanno male le dita che sbattono sullo scarponcino perché il piede è in condizioni innaturali, ma è sempre meglio che rischiare di scivolare scendendo di punta. Ho recuperato per strada la coppia che oggi ho saputo essere sloveni di Lubjana. Abbiamo fatto il percorso insieme, o quasi. Loro davanti e io dietro, loro dietro e io davanti. Il percorso, una volta imboccato, è uno per tutti ma bisogna vedere chi ha più forza e più voglia per andare più veloce. E oggi ho cantato, cantato e pianto, tutto il giorno che piango per ogni cosa. Camminavo con il fazzoletto in mano per tamponare gli occhi, altrimenti neanche avrei visto dove andavo. Ho scoperto che riesco ad alleviare il peso sulle spalle mettendo il bastone in orizzontale sotto lo zaino e, facendo leva con entrambe le braccia, lo sollevo liberando il peso dalla schiena e alleggerendo le spalle dagli spallacci che tirano e bruciano in maniera incredibile, con le relative fitte di dolore che arrivano sin sotto le scapole. Sono spesso tentata di dimenticare qualcosa nelle pensioni ma poi sembra che mi

serva tutto e rimetto tutto dentro, al loro posto. Per dieci minuti o un quarto d’ora mi sembra di respirare diversamente in questa posizione, poi non reggono più le braccia o serve il bastone per puntellare il terreno e si ricomincia. Bellissimo il paesaggio incontrato oggi, colori autunnali che commuovevano contrastando con boschi di eucalipti verdissimi e placidi. Calma e tranquillità nei sentieri, profumo di foglie e di umido del bosco. La bellezza di questi luoghi velati dalla nebbia, rendeva il paesaggio suggestivo e quasi fiabesco tutto quanto intorno. All’ingresso del paesino, alla fine della mia tappa di oggi, mi sono fermata per poggiare lo zaino su un muretto, stremata dalla fatica, per riposare le spalle. Erano già le quattordici e avevo anche fame. Poi ho ripreso a camminare sin oltre il centro del paese sino a che ho trovato il piccolo albergo che avevo in programma. Ho preso una camera e fatto mettere il sello nella credencial. Decente visto da fuori e di verde speranza dipinto, mi sono fermata fiduciosa e l’interno non mi ha deluso. Graziosa la camera, finalmente calda, e un bagno finalmente caldo dopo giorni di docce al gelo, di bagni ghiacciati… Ho constatato i danni fisici dopo la doccia scoprendo altre due piccole vesciche in entrambi i mignoli. Lo prevedevo perché sentivo bruciare in parti diverse da quelle che avevo già e infatti non mi sono sbagliata. La borsa che tengo davanti invece mi ha procurato un enorme livido tra le cosce, all’interno e tra una parte e l’altra saranno almeno dieci centimetri di diametro. Sono pesta per come batte la borsa su quella parte quando cammino. Comunque le mie vesciche arrivano in coppia, devono essere timide a presentarsi da sole. Questa mattina durante il percorso mi si è affiancato un cane di piccola taglia che aveva una zampa ferita ma nonostante questo ha trotterellato di lato a me per un lungo tratto. Incredibile con quanta facilità riusciva a starmi dietro camminando con le sole tre zampe che riusciva a poggiare per terra e, nonostante questo handicap, scodinzolava e si girava spesso a guardarmi, come per accertarsi che ancora ci fossi, mentre camminavamo insieme, affidandosi con fiducia a un estraneo, quale io ero per lui. Di quanto amore sono capaci gli animali! Mi ha intristito vederlo allontanare e accucciarsi di lato alla strada, mentre mi guardava andare via. Forse anche per questo piangevo. La sua presenza vicino a me mi ha strappato da dentro un ricordo doloroso, forse molto bene nascosto ma mai dimenticato e ho preso a ricordare… Pippo, il maialino che da bambina portavo a so con una cordicella come

fosse un guinzaglio! Era piccolissimo e bianco, il piccolo naso umido e chiaro e mi zampettava vicino con uno strano rumore mentre gli zoccoli battevano sulle mattonelle. Arrivò all’improvviso e senza nessun preavviso e diventammo inseparabili. Siamo rimasti insieme una settimana, era la mia ombra e mi seguiva dappertutto. Come si può pensare che un animale non capisca l’affetto che gli viene dato, che non si renda conto delle attenzioni che gli vengono rivolte? Un pomeriggio che si rivelerà di dolore e il cui trauma non ho mai superato, mi mandano dentro la mia camera e li mi ordinano di rimanere. Sento le grida, tante e tante grida, fortissime e acute, che mi stanno lacerando la mia ancora piccola anima mentre singhiozzo forte intuendo che gli stanno facendo del male. Io piango e piango. È il mio amico Pippo, cosa gli fate? Perché grida??? Non fategli del male, lasciatelo. Poi il silenzio! Lo so che gli hanno fatto del male, lo capisco che gridava perché spaventato e io non c’ero, non ero con lui. o tanto tempo nel pianto e nei singhiozzi. Mi rivedo seduta per terra, con le gambe strette al petto e un visino bagnato, terrorizzata dalla paura e da quelle alte e acute invocazioni di aiuto. Quando mi fanno uscire dalla mia camera Pippo è appeso per il muso, squartato, rosso del suo sangue nel solito piccolo cortile a pianta quadra della mia prima infanzia. Il mio amico Pippo, il primo animale a cui abbia dato affetto e dal quale ero ricambiata, l’animale con cui ho giocato e al quale volevo bene, era lì appeso, morto. Io la morte dolorosa e sofferta, quella per cui piangi un essere caro che muore, l’ho conosciuta così. Poche, pochissime spiegazioni per quello che era ritenuto un fatto naturale. Un tempo, l’animale, prima di essere macellato anche in casa, soprattutto in occasioni delle festività veniva portato nella casa per tempo, si teneva ben nutrito e i bambini ci giocavano un certo periodo, si divertivano e poi lo si ammazzava per il nutrimento della famiglia. Avevo cinque anni e già conoscevo un senso di profondo dolore, un’oppressione forte al cuore.

Il servizio di Kryon “Voi state diventando molto più interdimensionali di quanto siete mai stati. Ciò permette un intenso flusso di comunicazione, che c’è sempre stato, ma che ora può essere udito… Dovete essere disposti a cambiare il paradigma delle vostre idee su ciò a cui una comunicazione somiglia. Siate pronti a sentire idee, pensieri ed energie d’amore durante tutto il giorno. Siate consapevoli che questa

‘terza lingua’ si presenta attraverso l’energia delle guide nei momenti della vostra vita di ogni giorno.” Tratto da Ascoltare meglio su www.stazioneceleste.it

Messaggi celesti… 4 settembre 2010 Ora, nel silenzio del vostro cuore voi capite e sentite il vero. Ora, nel silenzio del vostro cuore voi capite che la verità è luce e andate incontro alla luce. Beati sono quelli che sono chiamati al compito. Beati sono quelli che seguiranno la luce. Abbandonatevi senza timori alla luce che illumina e dirige. Non dubitare ancora, abbandona la matrice e lascia che sia la luce a guidare il tuo cuore, i tuoi occhi. Tu lascia andare il pensiero alla luce che tutto può, tu diventi luce quando la mente e il tuo cuore parlano al cuore di altri e dai amore ad altri. Lascia che i tuoi pensieri fluiscano nella mente. Sono pensieri d’amore anche per chi non comprende. Tu lascia che i tuoi occhi vedano l’anima, tu lascia che la tua mente guardi oltre il muro, tu fa che tutto venga invaso dall’amore. Guarda il colore che non è un colore, guarda un viso che non è un viso, guarda un corpo che non è un corpo. Guarda non con i tuoi occhi fisici, guarda con gli occhi del cuore, solo così vedrai la verità, il vero, quello che è dentro a tutto e dentro al tutto è l’essenza dell’Uno. Ora tu puoi guardare con i tuoi limiti, ma ricorda che amore è cuore e cuore è energia. Tu dai amore e energia… Non c’è nessun segreto da scoprire, solo lasciare la propria anima a lavorare per te. Pace a te, pace nel cuore. Oman

La vita continua 28 ottobre 2010 È un giovedì e oggi rientro in palestra per le lezioni di Qi Gong. Sono ati dieci giorni dal ricovero e sono rientrata da Roma dalla pausa vacanza di riflessione sul da farsi da due giorni. Sono orgogliosa di me, della gestione dell’affare alieno e di come sto affrontando il problema senza farmi trascinare

via dal malumore e dalla negatività, dalla preoccupazione e dai pensieri, senza farmene condizionare e facendo esattamente quello che facevo prima del problema, le cose che amo e mi apionano. La ferita si è riaperta per un piccolo tratto di almeno due centimetri e mi fa male, forse uno strappo o un movimento brusco di cui non mi sono accorta perché ho visto la lacerazione solo nel cambiarmi la garza. In queste condizioni riprendo le lezioni dopo il fermo biologico di quasi venti giorni indotto dalla situazione. Ricordo quando, appena quattro mesi fa nello stesso spogliatoio dove oggi mi siedo per cambiarmi, notai un ricciolo sulla nuca che era scivolato fuori mentre raccoglievo i capelli fermandoli con una pinza. In tempi non sospetti quel piccolo ricciolo mi era sembrato strano in una testa di capelli che sono sempre stati lisci e non sapevo né potevo immaginare che sarebbe stato il primo di una lunga serie che avrebbe poi preso possesso della mia testa, regalandomi dopo cinquant’anni di vita un sogno più volte tentato artificialmente con risultati spesso disastrosi: i capelli mossi. Si mossero a scaglioni… prima la nuca, ora la parte interna destra e poi quella sinistra, salirono sulla sommità del capo e poi si mosse la parte esterna a completare la colonizzazione. Per un periodo non ho saputo neanche come sistemarmeli, mezza riccia e mezza liscia, cercavo di arricciare il liscio o di allisciare il riccio. Un disastro! Mi ero anche data una spiegazione. Pensavo che l’aumento delle vibrazioni interiori date dall’accrescimento dei filamenti del DNA da due a dodici, avessero provocato, unitamente all’aumentare delle frequenze delle onde energetiche che gravavano sul pianeta, il mio cambiamento tricologico. I grandi cambiamenti messi in atto dalla nuova energia che si riversava sul pianeta, insieme al riallineamento della griglia terrestre dato dall’aumentato magnetismo, li avvertivo anche fisicamente, tanto che a volte persino i denti sembravano vibrare come mossi da un martellino pneumatico. Questo pensiero era suffragato dalle letture che normalmente facevo sui cambiamenti vibrazionali e di frequenze universali, sul rilascio della matrice che stava portando l’umanità a diversi cambiamenti, compresa l’espansione della coscienza, in seguito al ricablaggio del corpo fisico che si stava modificando per contenere più spirito, più luce e più espressione di chi siamo realmente in questa vita senza cambiare i corpi. Queste matrici sono le forme energetiche di base intorno a cui la materia del nostro corpo si è formata e contengono la perfetta immagine del nostro corpo nella sua forma più elevata, quella parte di divino che, se non riconosciuta e accettata, continua a creare scompensi fisici di ogni genere. Sentivo queste ripercussioni ora con dolori alle ossa e alle articolazioni, ora con periodi di

malumore e stanchezza eccessiva alternati a periodi di ripresa, ora con le vibrazioni interiori, ma ancora vertigini, raffreddori, formicolii. Questi disturbi erano chiari sintomi di un cambiamento per l’adeguamento del DNA che portava l’uomo da essere tridimensionale a essere cristallino. Chi sapeva, conoscendo il fenomeno, ed era consapevole di quello che accadeva accettava di lasciarsi fluire, altri ancora opponevano resistenza non sapendo spiegarsi l’origine di tutti questi sintomi. Era semplicemente il processo del Risveglio, conosciuto meglio come il processo di Ascensione. Una voce forte e chiara mi riporta al presente, da cui mi ero involontariamente allontanata con i miei pensieri: “Bloccate il bacino, deve torcersi solo il busto, gambe ferme e state bassi, girate il busto, forzaaaa!” Mi ritrovo a eseguire gli esercizi non senza qualche difficoltà, la ferita si fa sentire e il movimento è giocoforza limitato e merita un’attenzione particolare, ché altrimenti qui mi parte tutta l’impalcatura… “Ahi che male!”

Messaggi Celesti 31 agosto 2010 Non tutto si palesa, sai. Non tutto quanto vedete è reale. Non tutto quello che vi sembra reale è vero. Non tutto quello che vi sembra vero è reale. Verità e realtà sono negli occhi di chi guarda, e spesso si confondono nella mente. Guardare con occhi puri è la verità. Pace a te, pace nel cuore. Oman

IV

Il coraggio è il prezzo che la vita chiede per concedere la pace. Amelia Earhart

L’avventura continua A un mese dall’intervento, 23 novembre 2010 E così ci apprestiamo ad andare all’appuntamento con l’oncologo, noi tre della banda Nochemio, mio figlio e mia sorella, gli unici ad avermi sostenuto in questa mia battaglia contro e io. Per gli altri, alla fine e quando erano stremati dalle mie argomentazioni e dalle mie chiacchiere era solitamente un: “Del resto la vita è la tua… fai quello che ti senti di fare…” Naturalmente senza approvazione ma anzi con riprovazione e manifesta contrarietà. In questi due mesi ho sentito di tutto, a carico del mio sistema nervoso è stato tentato ogni sorta di attacco e le argomentazioni, io me lo aspetto, non saranno diverse da quelle che sentirò dalla viva voce dell’esperto, il mio oncologo di riferimento, cioè quello che mi è toccato in sorte e che mi dovrà seguire in questi cinque anni di malattia riconosciuta dalla Sanità come un BTP a scadenza quinquennale. Già! Noi malati di cancro del gruppo Legge 48 per cinque anni siamo riconosciuti come pazienti oncologici e abbiamo questo lasso di tempo per tornare come nuovi, sani e funzionanti come un oroo svizzero o, come a volte succede, ancora ammalati e forse più di prima, ancora a combattere con il male, devastati nel corpo e nell’anima da cure che vendono come le uniche possibili. E alla faccia del tempismo se se la sono presa comoda, sono ati due mesi…

se ci fossero delle cellule cancerose in giro avrebbero già avuto il loro tempo di fare danni. Poi dicono che è importante la prevenzione! E questa non sarebbe prevenzione? Un colloquio tempestivo, un piano di cura tempestivo, fare in modo di scongiurare ogni e possibile ricaduta, procrastinare un programma. Temporeggiare potrebbe essere dannoso per chi aspetta di cominciare questo genere di terapia!… Mah! La voce di mio figlio mi strappa ai miei pensieri: “Mamma, è il nostro numero, andiamo tocca a noi!” “Sì andiamo…” “Quindi signora, lei dice che date le sue convinzioni contrarie all’uso dei chemioterapici e che, in seguito alle informazioni che ha preso i medicinali utilizzati sono tutti cancerogeni o potenzialmente tali, che non curano la patologia ma che anzi potrebbero causare altre lesioni in altri distretti o anche causare recidiva, lei non intende procedere con il piano terapeutico che le ho sottoposto. Posso aggiungere che si riserva di decidere e comunicarmelo in un secondo momento?” “Infatti è così. Lo scriva se vuole, tornerò per dirle quello che le ho appena detto. Non farò la chemioterapia né farò la radioterapia, fatta poi un anno e mezzo dopo l’intervento! Mi saprebbe dire quale utilità può avere una radioterapia fatta in un secondo tempo, così lontano dall’intervento?” “Perché nel frattempo la chemioterapia provvede da sola all’eliminazione delle cellule tumorali eventualmente ancora presenti nel suo organismo.” “E non solo quelle evidentemente, come è risaputo. Ci sono tantissimi studi su internet, effettuati da numerosissime università e cliniche americane che confermano la validità dell’assunto che prima si interviene con la radioterapia meglio è, proprio per evitare il fenomeno di dispersione delle cellule malate in giro per l’organismo e questi studi raccomandano di cominciare quanto più presto possibile la radioterapia, possibilmente entro i due mesi dall’intervento ma proprio al più tardi, pena la perdita di efficacia della stessa. Senza ovviamente considerare tutti i danni collaterali, cioè stiamo parlando sempre di prevenzione e cura, ma anche la radioterapia ha i suoi begli effetti dannosi. Ho letto che un mese di radioterapia come lei mi ha prescritto corrisponde come impatto al bombardamento di tremila lastre effettuate una dietro l’altra.”

“Signora, lei legge troppo, ma ha letto giusto. Sì, e vedo che si è ben informata.” “È ovvio che mi informi e mi documenti, stiamo parlando della mia salute e della mia vita. Se non ci penso io, chi deve pensare per me? Io non credo che lei abbia a cuore la mia salute quanto possa averla io.” “Però non vuole farsi curare, anzi rifiuta ogni tipo di cura che le ho sottoposto.” “Dottore, abbiamo già chiarito che la nostra visione della situazione è diametralmente opposta. Io non credo che si possa chiamare cura una terapia che comunque, per sua stessa ammissione e completezza di informazione ha a suo carico una serie di effetti collaterali dannosi per la salute. Non raccontiamoci le favole con la storia della nausee, dei vomiti e dell’alopecia. Io aggiungo che gli effetti collaterali sono dannosi perché tossici e potenzialmente cancerogeni, come le ho già detto. Allora, lei che è il medico, mi spiegherebbe perché si chiama cura una terapia che anziché sanare una situazione, la peggiora o porta a complicazioni che daranno altre patologie e altre malattie? Ma non lo vede un controsenso? È un paradosso in termini. Se è una cura deve guarire, se non guarisce non è una cura. Basterebbe solo un po’ di buonsenso per arrivare a questo. Cosa risana una cura che distrugge tutto quello che di buono può rimanere in un organismo già aggredito dal cancro? Lei sa meglio di me che la cura per il cancro non esiste, che si va a protocolli standard per tipologie che a quanto pare neanche possono essere modificati e adattati al paziente. Cosa mi ha detto poco fa? Purtroppo non si può intervenire, anche se lei è una paziente con allergie e intolleranze varie non si può far niente. Non basta allargare le braccia e mostrarsi sconsolati, questa è una forma di chiusura totale e così come è stato prospettato il suo piano terapeutico non andrebbe bene per me, non lo faccio anche se non lo avrei fatto comunque, in ogni caso.” “Questo è quello di cui possiamo disporre, io devo applicare il protocollo come da prassi.” Un pensiero mi attraversa, un’altra situazione vissuta già: Quando mi mandate a casa, dottoressa? “Certo, anche perché uscire fuori dagli schemi significherebbe prendervi una responsabilità di cui non vi fate carico, non per niente fate firmare la liberatoria quando il paziente accetta il trattamento chemioterapico, è una tutela, vi solleva da eventuali responsabilità.”

“Signora, io le ho già spiegato che il suo problema ha grosse probabilità di recidivare, come le ho detto nel suo caso senza nessun trattamento si ripresenta entro breve tempo nel sessanta, settanta percento dei casi, cioè lei rischia di trovarsi entro sei mesi di nuovo con il problema e badi bene che sarà ancora più aggressivo e sarà tutto molto più complicato.” “Vuol dire che correrò il rischio ma sono fiduciosa che nel mio caso farò parte di quell’altra percentuale, quella che non recidiva. Perché non dovrei essere ottimista e pensare che potrei anche non far parte di quella percentuale che si riammala? Io non lo penso affatto che mi riammalerò, sono sicura che andrà bene e sono certa che facendo la terapia che mi ha consigliato starei molto più male e molto prima di quanto possa essere immaginato. Ha idea con il mio sistema immunitario già compromesso cosa possono essere sedici cicli di chemioterapia? Sedici cicli a fronte di una zona franca del trenta, quaranta percento tra una percentuale e l’altra. Rischio, e sono sicura che andrà bene e almeno starò in piedi, senza morire giorno dopo giorno, senza dovermi guardare allo specchio senza riconoscermi, senza dovermi vergognare o imbarazzare davanti alla mia famiglia per come mi ridurrò, senza avere la voglia di uscire da casa e nell’impossibilità di fare una vita normale.” E mentre con il dito mi indica una zona scura nella scintigrafia che ha davanti parte l’affondo. “Lei sta rischiando molto grosso. Ma lo sa che questa macchia che vede qui potrebbe già essere indice di metastasi? Lo vede che potrebbe essersi già localizzato in altra sede?” “Ma cosa sta dicendo? Non rileva problemi la scintigrafia, non si dice niente nel referto… Io non so se lei sia consapevole che sta facendo terrorismo psicologico. Ma si rende conto di quello che sta affermando? Lei sta cercando di spaventarmi, sta ipotizzando una condizione che è tutta da verificare. E io sono convinta che quella macchia sia dovuta solo al problema delle vertebre, la discopatia che mi porto appresso da anni, solo una questione di artrite. Ma si rende conto che se davanti a lei ci fosse una persona con una diversa struttura psicologica, più debole e più facilmente influenzabile questo che lei ha detto potrebbe costituire un colpo tremendo? Non basta che una persona davanti al cancro sia spaventata e preoccupata, no, manca solo che si senta dire che è probabilmente già in metastasi. Ma roba da matti!”

“Sono contento della sua sicurezza, se lei ha già fatto la sua diagnosi allora non c’è problema, io però fossi in lei non sarei così tranquillo, e le dico sinceramente che se lei fosse mia madre io questa cura gliela consiglierei, vorrei che la fe, che seguisse questa terapia.” “Meno male che non sono sua madre allora, e per dirla tutta lei è anche scortese perché io non sono così tanto più grande di lei, non potrei essere sua madre data l’età. Abbiamo discusso anche troppo dottore, io non cambio idea, non tenti ancora di farmi cambiare idea, non ci riuscirà in ogni caso, qualsiasi cosa lei possa dirmi.” “Non sia inquieta con me signora, io ho il dovere di dirle le cose come stanno.” “Lei ha il dovere di informare le persone, non di spaventarle a morte per cercare di indurle a fare quello che lei ritiene giusto che facciano. Non è corretto.” “Va bene, facciamo pace, io non sono inquieto con lei, lei è ancora arrabbiata con me?” “Dottore, il rapporto tra paziente e medico è un rapporto importante e di fiducia e come lei sa, l’uno dipende dall’altro e l’uno non esisterebbe senza l’altro. Ma se a volte il paziente ha bisogno del medico e a volte può farne a meno, il medico ha sempre bisogno del paziente, altrimenti non potrebbe svolgere la sua funzione ed esercitare il suo lavoro, non avrebbe neanche motivo di esistere. Lei avrebbe bisogno di me come paziente per soddisfare la sua professionalità e per sentirsi gratificato facendo bene il suo lavoro, vorrebbe che io accettassi senza controbattere e mi fidassi ciecamente perché lei è il dottore e su questo non c’è dubbio, come non si discute sulla sua preparazione e capacità, ma io in questo caso non ho bisogno di lei.” Ci congeda con una stretta di mano, a mio avviso molto meno cordiale di quando siamo entrati, e con la data del prossimo appuntamento in cui dovrò comunicare ufficialmente e firmare la rinuncia al procedere con le cure assegnatemi. Sono furibonda. Certo non potevo aspettarmi un diverso atteggiamento da un oncologo di medicina tradizionale, ma c’è anche modo e modo di trattare con i pazienti. “Tornerò, eccome se tornerò, e ogni volta che tornerò ti porterò i miei esami da sottoporre per il controllo e saranno negativi. Ce la faccio, io ce la faccio! Non ho bisogno di te, ma tornerò apposta per dimostrarti che io vado avanti da sola,

che ho fatto la cosa migliore a rinunciare a tutta questa schifezza e che tutto quello che farò mi porterà alla guarigione. Quella vera, quella come la intendo io: libera dal cancro, altro che recidive!”

Messaggi Celesti 26 novembre 2010 Sei tornata con noi, aspettavamo questo momento con gioia. Ti accogliamo, nostra piccola grande luce. Ora è il momento del tuo cammino spirituale, crescere ancora evolvendoti per arrivare sempre più vicina a noi che ti guidiamo. Segui solo il tuo sapere, la tua anima già sa e conosce. Si tratta solo di ricordare e seguire l’istinto che potrà guidarti scegliendo il meglio che tu sai, quello che ti dice il cuore. Andrà tutto bene, così come deve essere, tu sai. Ricorda tu sai già, anche se oggi, ora, per te le situazioni sembrano tutte difficili da sostenere, tu seguirai la strada che hai scelto e tutto sta evolvendo così come doveva essere. Abbi fiducia in noi e in te. Pace nel cuore, pace a te. Oman

Dal Cammino di Santiago 27 novembre 2009 Assolutamente libera da qualsiasi pensiero… L’aria fredda e frizzante del mattino e il primo o fuori dalla struttura rimangono momenti fondamentali di una libertà e di un senso di pienezza mai conosciuti prima. La libertà di essere, completamente… Oggi percorso abbastanza regolare, non tanti dislivelli e salite sopportabili ma tutta una serie di imprevisti. Era prevista una tappa di diciotto chilometri con alloggio in un albergo inserito nel mio programma, che ho dovuto cercare facendo anche una deviazione ma quando l’ho trovato era chiuso. Quindi, sono dovuta andare ancora avanti a cercare qualche altro riparo per dormire, ma anche questa piccola pensione era chiusa e quindi ancora avanti per quattro chilometri circa in buona parte su una strada statale che mi ha portata in un paesino non previsto, dove sono arrivata stremata. Strada facendo ho trovato l’albergue comunale e sono entrata per chiedere se avessero a disposizione un

asciugacapelli da poter usare, ma avendo avuto una risposta negativa sono andata via. Ha piovuto questa mattina e certi tratti di percorso sono stati difficili e fastidiosi, molto stancanti. E quando tirava il vento sembrava mi strape tutto di dosso, oltre a schiaffeggiarmi il viso. Se poi pioveva e tirava vento era una lotta. Il poncho blu mi si è rotto, ho dovuto riparare mettendo di lato al collo una molletta per bucato che avevo con me, e così non mi sono bagnata tanto e poi riparava anche lo zaino, quindi tutto sommato mi è andata bene. Mi sono fermata più volte durante il percorso, l’ultima volta in un bar dove ho preso un caffè e dell’acqua, scortesia compresa, ma almeno ho tolto lo zaino e ho fatto riposare le spalle. Poi ho fatto un’altra sosta più avanti, in un’area picnic dove ho fraternizzato con un gattino che mi ha seguito per un pezzo di strada facendo le fusa e strusciandosi contro le mie gambe. Mi faceva incespicare, perché il mio equilibrio era già molto precario e mi sono dovuta fermare nuovamente senza neanche togliere lo zaino dalle spalle e come un corpo unico mi sono seduta su una piccola cisterna chiusa cercando di riposare per un po’ di tempo. Oggi la strada prevedeva un tratto di percorso sulla statale, senza nessuna protezione particolare per i pellegrini che non fosse camminare al di là della striscia bianca laterale che segnalava la carreggiata. Non è stato piacevole sentire le macchine sfrecciare di lato, che correvano così vicine sull’asfalto bagnato e dopo il silenzio dei boschi e di percorsi immersi nella natura, questo percorso è stato stressante. Ho chiesto informazioni in giro, per cercare un alloggio, e ho trovato una camera in un’abitazione adibita a pensioncina. La pensione che mi hanno indicato per soli venticinque euro mi dava la camera, il riscaldamento e l’asciugacapelli con pagamento anticipato! Non sarei certo scappata di nascosto, con questo tempo e la stanchezza che sentivo.L’ho trovata seguendo una serie di cartelli pubblicitari dislocati in piccole salite, girando ora a destra e poi a sinistra, che ho praticamente fatto trascinando i piedi senza sollevarli per camminare e con la lingua che spazzava l’asfalto. Poi l’ho vista, sembrava lontanissima… Preso possesso della mia camera, devo dire graziosa e dignitosa e dopo essermi spogliata al freddo, desiderosa di fare una doccia calda, aspetto che l’acqua fredda si riscaldi ma rimane invece inesorabilmente fredda. Mi rivesto e mi affaccio a gridare un desculpe per farmi sentire e faccio presente il problema.

Dal rubinetto dell’acqua calda esce acqua fredda. Com’è la storia? Erano le sedici e trenta e non stavo in piedi dalla stanchezza, avevo freddo e voglia di una doccia calda. Mi ha trasferito nella stanza vicina, naturalmente fredda, con bagno munito di vasca con tendina e niente riscaldamento. Un o avanti, doccia con acqua calda ma bagno freddo e il riscaldamento come al solito lo accendevano alle diciotto. Dopo aver trasferito tutto in quest’altra camera, chiedo per cortesia che accenda il riscaldamento perché dovevo lavarmi anche i capelli e stavo veramente morendo di freddo. Riscaldamento che ovviamente non ha solo per fare un favore a me. Come ho potuto, al freddo ghiaccio delle diciassette e trenta ho fatto la doccia e lavati i capelli ma ecco la sorpresa quando mi appresto all’operazione asciugatura. Il phon che mi ha dato non funziona. Adesso non la chiamo, urlo. Chiedo per favore che mi porti un altro asciugacapelli e mi dice che non ne hanno! Il mio spagnolo zoppica e le mostro i capelli bagnati. “E come me li asciugo i capelli?” Sto diventando viola e devo anche uscire a cercare qualcosa da mangiare per cena. Oggi andavo sull’isterico! Credo di aver alzato la voce e anche se non mi capiva bene le ho parlato in italiano dicendole tutto quello che fino a quel momento non era andato bene. È tornata con un altro phon, del fratello mi dice. Ecco, cominciamo a ragionare! Mi asciugo i capelli e mi vesto, faccio per uscire dalla camera e mi trovo davanti Franc che in quel momento apriva la porta della camera di fronte alla mia. Ma pensa un po’! Li ho persi di vista da stamattina. Io sono uscita sola e abbastanza presto tanto che ho anche potuto perdermi per un tratto imboccando la strada sbagliata perché mi è sfuggita la freccia di segnalazione che deviava a sinistra e sono andata dritta. Stamattina ad Arzua in albergo non li ho visti e ho camminato sola per tutto il percorso e anche se i sentieri sono uguali per tutti non li ho incontrati durante tutto il tragitto. Anche loro non hanno trovato nessun’altra struttura aperta strada facendo e si sono fatti ventidue chilometri distruttivi come i miei. Hanno cenato per strada e poi sono arrivati alla pensione. Lui mi rivolge un sorriso larghissimo e una frase di meraviglia nell’apprendere che anche io mi sono fermata nello stesso posto, compagni di sventura. “Madame, vous aussi ici?” Muoiono di freddo mi dice…

Vera è sotto le coperte che si riposa e cerca di scaldarsi e così di sopravvivere a questa temperatura invernale che si aggira intorno ai zero gradi. Mi dice che domani mattina escono alle sette e contano di arrivare in giornata a Santiago. Secondo me stramazzano prima, strada facendo. Dice Franc che durante il percorso ogni tanto sentiva cantare e anche se non mi vedeva sapeva che ero nei paraggi. Non mi vedeva ma sentendomi cantare sapeva che c’ero e ho fatto loro compagnia ugualmente, si sentivano meno soli. Mi ha fatto molto piacere questo, come un regalo inaspettato, una frase che comunque rivelava una certa abitudine alla presenza della sottoscritta. Il paesaggio di oggi è stato una serie infinita di boschi di eucalipti ma anche tantissimi sentieri con dei tappeti di foglie rosse, bagnate e scivolose volate via dai platani ormai quasi spogli. E il rumore dei miei i che crocchiavano sulle foglie bagnate è il ricordo di questa giornata, l’odore di umido dei boschi e quello forte e pungente delle foglie in decomposizione. Ormai sono quasi al termine di questa avventura che ancora stento a credere di aver realizzato anche se sono qui, ora! A fine giornata non ripenso mai a quanto ho fatto, alle difficoltà incontrate, alla fatica e a quello che mi è capitato ma solo a quello che ho visto, beandomi soprattutto di questi paesaggi che mi stanno entrando nel cuore. Credo sia una sorta di autoprotezione perché forse mi spaventerei della portata di quello che sto facendo da sola e in condizioni spesso difficili e pesanti. Mi serve invece di andare avanti, di proseguire verso la meta e l’inconscio si difende in questo modo. Lo scrivo e basta quanto vissuto. Credo che avrò bisogno di molto tempo per interiorizzarlo e metabolizzare quello che sto vivendo, quanto coraggio c’è voluto, quanta forza fisica e quanta determinazione nel volerlo fare e nel proseguire. Oggi per esempio, nel togliere il pantalone ho scoperto di avere una gamba tutta arrossata, probabilmente dalle calze in pile che portavo che mi hanno fatto venire un’irritazione tipo orticaria nella gamba sinistra, in tutta la parte non coperta dalla ginocchiera che ormai porto fissa, avendola trasferita da destra a sinistra dove il ginocchio si è anche gonfiato e il dolore si è fatto più forte. Ho scoperto di avere un prosciuttino non stagionato, carne rosso sangue. È poco, ma unito alle altre difficoltà e alla fatica… Quando dopo aver cenato in un locale vicino alla pensione sono rientrata, la camera era finalmente calda, mi sono messa distesa sul letto e ho la

televisione. Come poteva finire questa giornata? La televisione funzionava male, aveva le strisce e i puntolini e non si vedeva niente! Poteva andare diversamente? Niente previsioni del tempo, domani andrò senza indicazioni perché ho deciso di andare insieme a Franc e Vera. Per ora nanna che è meglio!

Messaggi Celesti 9 settembre 2010 A volte il dolore è necessario per fare in modo che le persone capiscano a fondo una situazione. Ora non dolertene ancora, ogni situazione trova il suo spazio e avrà la sua soluzione. Ancora una volta ti dico che tutto andrà come deve e come è stato deciso che vada. Pace a te, pace nel cuore. Oman

Muro contro muro 3 dicembre 2010 È una brutta serata invernale, fredda e piovosa. Guardo attraverso i vetri la pioggia che cade incessantemente da questa mattina. Mi intristisce vedere questo grigio nel panorama davanti a me e non mi aiutano certo i miei pensieri, martellanti e insistenti, urgenti. È da giorni che cerco il modo per poter entrare in argomento e poter discutere di quello che sento dentro di me con mio marito, che si è adombrato ancora di più da quando ho avuto il colloquio con l’oncologo e dopo avergli raccontato della nostra discussione. Il suo parere è che dovrei seguire la trafila tradizionale, come tantissimi altri pazienti prima di me e per questo motivo, sapendo che sono contraria e non farò quello che mi è stato prescritto, si è incupito ed è silenzioso più del suo solito. “Dobbiamo andare avanti ancora per molto senza parlarne?”

“Vuoi parlare?… parliamo. Io te l’ho già detto quello che dovresti fare e che secondo me stai sbagliando tutto.” “Possiamo parlarne secondo il mio punto di vista escludendo quel tipo di cure e poi decidere cosa fare? Io ho bisogno di parlare, ho bisogno di potermi confrontare, non sono sola al mondo per poter decidere liberamente, ci sono anche persone verso le quali ho delle responsabilità. Se ne parlo posso capire cosa fare, chiarirmi le idee e se mi è permesso anche sfogarmi. Sembra che io non debba avere cedimenti, non posso manifestare quello che ho dentro, ho un vulcano in testa e devo stare zitta perché tu non vuoi sentire parlare d’altro che non sia quello di dovermi affidare al protocollo.” “Non è solo quello… a che serve parlarne? Per riaccendere l’ansia ogni volta che se ne parla, a rinfocolare il pensiero, a girare il coltello nella piaga? Ti fa bene staccare la mente, no?” “Perché tu credi che se non se ne parla il problema si supera e si risolve, forse speri che sparisca all’improvviso se facciamo finta che non esiste, o forse che io non me lo ricordi solo perché non se ne parla? Accantonando il pensiero? Non serve che tu nasconda la testa sotto la sabbia, io ho un problema e devo affrontarlo per risolverlo e per risolverlo ho bisogno di parlarne, di capire se sto facendo bene o se sto prendendo una strada sbagliata, soprattutto come gestire quello che ho in mente. Ho bisogno di capire se questa cura può andar bene o se va bene quell’altra, ho bisogno del tuo sostegno e ho bisogno di sapere che la mia famiglia è con me e che mi approva. Non è facile per me, non lo è per niente. Mi rendi tutto più difficile con questo atteggiamento di chiusura, mi osteggi, mi ostacoli. Non posso far finta che non ci sia niente, devo fare qualcosa, non sono un’incosciente, ho una responsabilità verso nostro figlio e devo fare il più presto possibile, non posso lasciar are il tempo rischiando che qualche cellula liberata dall’intervento se ne vada in circolo a mettere su famiglia da qualche altra parte. Se escludendo le terapie che mi hanno proposto non fi niente per cercare almeno di prevenire una probabile recidiva domani, se il male si dovesse presentare nuovamente, mi si potrebbe rimproverare che non ho fatto abbastanza e che sono stata superficiale, che non ho voluto cercare di curarmi, provocandovi altra preoccupazione. Non la voglio questa responsabilità e sono stufa e stanca di stare da sola a pensarci dalla mattina alla sera. Mi sto sfinendo su internet, non alzo il culo dalla sedia per cercare informazioni e provare a fare un programma, il mio, e tu non collabori, non muovi un dito, non chiedi niente, non mi aiuti né materialmente né mi rendi

più leggero il pensiero cercando di comprendere. Perché hai questa chiusura? Io ho un problema ed è anche grosso e tanti pensieri in testa, non ce la faccio più a rimacinarmeli da sola e sono esausta. Dovrebbe essere più giusto e normale dire che noi abbiamo un problema. O forse non ti riguarda? Hai capito che non devo far estrarre un dente, ho un cancro, te lo ricordi o no?” “Se tu ti fossi affidata all’oncologo non avresti tutti questi pensieri e non staresti a sbatterti su internet a cercare informazioni. È una tua scelta, è la tua scelta, cosa vuoi da me? Che ti dica che stai facendo bene e che approvo la tua scelta? Non approvo la tua scelta e non sono d’accordo, fai quello che vuoi ma non sono d’accordo. Sei un’irresponsabile, soprattutto perché stai consegnando a tuo figlio una mamma che vuole restare malata, che non vuole curarsi e che domani, lo sai bene, se tu avessi una recidiva potrebbe essere molto ma molto peggio e allora si che ci sarebbero i grossi problemi e gli daresti il carico di vederti moribonda. È questo che vuoi fare? Ci sono i medici per consigliarti, ci sono le cure per guarire, che alternativa vuoi provare, che strada vuoi percorrere, quella che ti porta dritta dritta a metterti orizzontale? Sei solo una presuntuosa, hai contestato tutto quanto detto dall’oncologo, ti sei messa in ridicolo credendo di fare la saputella, obiettando tutto quanto ti stava spiegando, non sei tu il medico, mettitelo bene in testa. L’hai fatta facile, hai detto di no e tanti saluti. Ma tu sei medico per sapere quello che è meglio per te? Come fai a dire che quel tipo di cure sono dannose e tossiche se le applicano e le utilizzano da che esistono. Quante persone hanno curato?” “Se tu avessi provato almeno a informarti e, non dico molto, se quando rientri la sera invece di buttarti sul divano a sonnecchiare avessi per lo meno cercato di darmi una mano, forse e dico forse, ti saresti fatto una tua visione della situazione e avresti elaborato forse, e dico forse, un altro modo di vedere e magari avresti avuto anche qualche argomento su cui poter parlare e discutere. E per potermi aiutare.” Mi guarda torvo. “Ah no scusami, tu non dormi nel divano, riposi gli occhi, è vero! Ecco cos’è! Se esci dal conosciuto che è quello che ti propinano, che recitano su copione, se ti discosti dal noto che è rassicurante ma che in questo caso ti ammazza, tu ti senti perso. Bella parola la medicina ufficiale e tu sembri non avere una testa che pensa, tu ti affidi, non pensi a niente, lasceresti che altri pensino e decidano per te. Sei tu il superficiale! Informati prima, leggi, fatti una tua opinione e usa la

testa e solo dopo mi puoi dire perché non vuoi capire quello che sto cercando di farti capire. Mi stai mandando al macello, possibile che non ti venga in mente che se non voglio quel tipo di cura un qualche motivo ci sarà pure, o sono completamente stupida e non so quello che dico? Tu devi dire che molte persone sono vive nonostante la chemio, non grazie a essa. La chemio non guarisce, non cura, vuoi mettertelo in testa? Non può chiamarsi cura una terapia che ti distrugge… E dove stai andando? Eh no, guarda che tanto ti seguo, mica sto zitta… Sono stanca di parlare, stanca di rassicurarvi, stanca di far vedere che non sono preoccupata. Vorrei indietro la mia vita, quella che non posso più avere, lo capisci questo? Lo capisci che sono spaventata e sono sola? Che devo prendere delle decisioni e devo farlo subito, lo capisci?” “Fai quello che credi, e va bene, se vuoi che ti dica che ti appoggio hai il mio appoggio. Hai ragione tu, fai tutto quello che vuoi tanto è la tua vita e noi non contiamo niente. Questo stai dimostrando, che non tieni a noi se non ti vuoi curare e poi non venire a dirmi che non ti avevo avvisata.” “Ma vaffanculo va!”

“Che brutta serata, non poteva che andare così… del resto me lo aspettavo. Ma non capisce che sto vivendo questa sua chiusura come se mi volesse mandare al macello? Possibile che non capisca il mio stato d’animo e non pensi a tutte le difficoltà che mi troverei a dover gestire nel futuro? Io, con tutte le mie allergie! Sarebbe un continuo stillicidio, programmato e periodico di quello che io considero come scegliere di bere un veleno. Morirei lentamente, giorno dopo giorno… Sarebbe meglio un colpo secco, molto molto meglio! Guarda cosa sto andando a pensare… Che giri strani mi ripropone la mente! Succedeva questo: quando non potevo rimanere da sola in casa, a causa dei frequenti mal di testa di mamma, babbo mi portava al macello. Quando ero piccola lavorava in una macelleria e a quei tempi, il macello era solitamente vicino allo stesso punto vendita delle carni, a volte un cortile interno alla stessa macelleria. Almeno una volta al mese e per più giorni mamma veniva colpita da forti mal di testa, erano i giorni del panno bagnato sulla fronte, e non era in grado di occuparsi di me, allora la più piccola. Quanti anni avrò avuto? E quindi l’alternativa era che mio padre mi portasse con lui al lavoro, al macello. Quanta sofferenza ho respirato là dentro, quanto terrore nelle urla degli animali che sentivano la morte, la capivano, la vivevano prima che toccasse a loro, attraverso le urla strazianti degli

altri animali. Una barbarie, di cui ero spettatrice unica, seduta vicino e di spalle a un cancello, dove venivo posizionata all’arrivo e prelevata dalle mani odoranti di sangue e carne fresca di babbo, quando avevano finito e mi riportava a casa. Quello che ho visto, quello a cui ho assistito mi ha formato un carattere totalmente empatico nei confronti degli animali che ho amato da allora in maniera viscerale, tanto da star male se qualcuno fa loro del male, tanto da star male quando vengo a conoscenza, e purtroppo spesso, di maltrattamenti di ogni genere e della malvagità con cui si trattano gli animali, in qualsiasi parte del mondo. Su tutto odio la ferocia gratuita perpetrata per il solo gusto di far del male, di vedere un animale soffrire e divertirsi vedendolo agonizzare e morire. Ma come si poteva concepire che una bambina di quattro o cinque anni potesse assistere a un simile macabro spettacolo? Non l’ho mai capito. Non hanno mai capito tutte le paure e la fragilità che mi hanno fatto nascere in quegli anni. Le pecore venivano prese e messe con la testa sul ceppo di legno, dove gli veniva pugnalata la giugulare. Belavano in maniera straziante con altissime grida di paura che io non riuscivo a tollerare, vibravano dentro di me in maniera acuta e mi facevano star male. Stessa sorte toccava al maiale che veniva ugualmente messo sul ceppo, ma il coltello, uno stiletto fine e lungo, arrivava dritto al cuore. Se andava bene e il macellaio era bravo soffriva meno, altrimenti provavano e provavano sino a conclusione. Solo chi abbia visto macellare un animale può capire cosa significhi sentire un maiale che urla di dolore. Non è descrivibile, ma è certo che quel grido si sentirà ancora e ancora e ancora, ogni qual volta si avvertirà un urlo muto venire dal cuore come davanti a una sofferenza che non riesce a esprimersi. L’unico, poveretto, al quale neanche veniva data la possibilità di dissentire o manifestare verbalmente la sua contrarietà era il cavallo. A lui, in piedi e legato con una corda abbastanza lunga da permettergli di stramazzare a terra, veniva assestato un fortissimo colpo di mazza di ferro sul capo. Tramortito ma vivo, cadeva a terra dove veniva colpito alla giugulare per far defluire il sangue… È così che si macellavano i cavalli, morti dissanguati, mentre i miei occhi sono fermi a quel rigagnolo di sangue scuro che scorre dalla sua gola al pozzetto di scarico posizionato vicino. Cioè, ad arte si posizionava il cavallo vicino al tombino di raccolta acque, in modo che il sangue defluisse direttamente al suo interno. Ricordo di una vecchina che veniva il giorno della macellazione a prendere una bottiglia di sangue di cavallo. Era piccolissima e minuta, tutta vestita di nero. Cosa fe di quel sangue e a cosa servisse non l’ho mai saputo. Ricordo ancora l’odore di sangue e di morte, di escrementi e carne fresca. E di paura, perché anche la paura ha un suo odore.

Dal Cammino di Santiago 28 novembre 2009 Una giorno da dimenticare! Giornata fredda e piovosa, molto ventosa e pesantissima. Tragitto molto difficile e disagiato a causa della pioggia e non tanto per il percorso in sé che non prevedeva tratti molto articolati o salite difficili ma per l’acquazzone. Arrivava direttamente in faccia e faceva volare il cappuccio della giacca antipioggia che cercavo di trattenere con una mano ghiacciata, mentre l’acqua mi entrava nella manica. Franc mi ha aiutata a riparare dalla pioggia lo zaino con il poncho blu comprato qualche giorno fa a Melide, che si era completamente strappato ed era inservibile, avvolgendolo e cercando di trattenerlo sotto gli spallacci. Il vento lo faceva volare via e dovevo pensare a tenerlo fermo con le mani per non perderlo e anche a ripararmi dalla pioggia con l’altra mano cercando di tenere fermo il cappuccio. In conclusione mi sono bagnata nuovamente tutta, capelli compresi. Stamattina ho messo una giacca a vento color arancio che ci hanno regalato nel locale dove siamo andati a fare colazione, una volta che siamo quasi scappati dalla pensione, nel buio di una mattina gelida. E si è strappata anche questa in diversi punti durante il tragitto. Siamo, dicevo, perché questa mattina, Vera e Franc e io, che con aria indifferente mi sono fatta trovare pronta in cucina, zaino e bastone compresi, siamo andati via alle sette del mattino, praticamente scappati da quel gelo, ambientale e umano. Abbiamo fatto una colazione calda e decente, finalmente per una volta con cornetti e succo d’arancia e anche dei pezzetti di torta, omaggio del locale. Gentili! Basta così poco ormai per rendermi felice, anche solo una colazione calda e qualche sorriso. Siamo usciti dal locale intorno alle 8:00 per cominciare a camminare con calma. Era ancora buio e già piovigginava. Abbiamo fatto al buio una parte del percorso, poi è arrivata la luce e con questa anche la pioggia generosa e il forte vento. Il ginocchio mi faceva molto male e i piedi con le vesciche mi hanno tormentato per tutto il tempo. Rimanevo spesso indietro e ogni tanto Vera su suggerimento di Franc mi si avvicinava e faceva il percorso a fianco a me, in silenzio. Mi vigilava insomma, mi teneva d’occhio, e in effetti avevo difficoltà anche solo a camminare e il o lento, molto stanco. Siamo arrivati strada facendo in una locanda e ci siamo fermati per mangiare. Ero completamente fradicia. Era la prima volta che mi sedevo a tavola con qualcuno che non fossero i miei ingombranti pensieri.

Mi sono resa conto che avevo pranzato e cenato sola per tutta una settimana e non ci avevo mai pensato, non avevo mai fatto caso a questo. Dopo pranzo, riposati e ristorati ed equipaggiata nuovamente con la mia giacca gialla, quella meno strappata, abbiamo fatto ancora quattro o cinque chilometri e siamo arrivati ai piedi del Monte de Gozo dove ci siamo arresi davanti all’ultima salita. Anche Franc e Vera, che il giorno prima avevano pensato di continuare per Santiago. Saliremo domattina. Partenza e marcia alle otto su programma di Franc che è molto preciso in questo. Questi sloveni ultrasessantenni vanno senza programmi e senza meta e si fermano quando trovano una struttura che soddisfi le loro esigenze. Vanno senza fretta e con tranquillità, senza orari. E infatti Franc dice alle sette e sono le sette e quindici, dice le otto e si fanno le otto e trenta. A me va bene tutto, anche io non ho fretta e mi adatto facilmente. Non ho niente altro da fare, solo un sogno da raggiungere. Precisino Franc, si direbbe un pignolo! L’ultimo chilometro che mancava per salire al Monte, da dove avremo visto le guglie della Cattedrale e da dove avremo cominciato la discesa di sei chilometri verso la città, ci ha visto capitolare. In quelle condizioni era impossibile arrampicarsi, il vento mi spostava dal marciapiedi alla strada, e se considero che lo zaino pesa tredici chili più mezzo litro d’acqua, soffiava proprio forte. Non so per domani… piove ancora, ci sono tuoni e lampi, ma almeno sarò più riposata, almeno spero. Intanto scendo le scale come una papera e non riesco ad articolare le gambe in maniera corretta. E poi lo zaino! Non vedo l’ora di metterlo da parte perché pesa veramente in maniera esagerata e ho il collo e le spalle che gridano pietà. Ho le spalle così contratte che sembra che rimanga il peso dello zaino anche quando lo scarico. Devo avere delle cinghie di cuoio al posto dei muscoli. E io in effetti voglio vendicare le spalle e non vedo l’ora di abbandonarlo e togliermi quel peso di dosso e anche di non doverlo preparare più ogni mattina per cominciare a camminare. Ho fatto pochissime foto oggi anche se il paesaggio nonostante e soprattutto a causa della pioggia era bellissimo, suggestivo con le foglie rosse dei platani che volavano quasi a rincorrersi formando dei mulinelli e degli strani disegni in cielo mentre il vento soffiava forte, quasi che parlasse sussurrando qualcosa nella sua lingua. A domani quindi, si parte alle otto e si prosegue sino a Santiago. Ancora non mi sembra vero, non riesco ancora a capacitarmi e a rendermi conto di quello che sono riuscita a fare. Mi sembra sia qualcun altro a raccontarmelo e

invece sono proprio io che ho fatto tutto questo, tutto quanto ricordo e tutto quanto sofferto e sudato. E domani si realizza un sogno durato cinque anni. È incredibile! Si dice che i sogni per rimanere tali non si devono realizzare. Questo è invece il raggiungimento di un sogno e la sua realizzazione, un sogno che è diventato realtà. Voluto e inseguito per anni, pensato e progettato con determinazione e decisione. I sogni si realizzano, ora lo so, bisogna crederci e volere fortemente che i sogni si avverino e che, anche quando sono stati soddisfatti continuano a rimanere sogni, solo che si sono avverati. Ci siamo fermati in un albergo trovato proprio sulla strada e ci siamo precipitati all’interno perché vederne l’insegna e decidere di fermarci è stato un tutt’uno. Dignitoso e pulito, moderno, bello caldo e senza ascensore con due rampe di scale da fare con lo zaino in spalla, un ultimo sforzo… Dopo esserci registrati, chiedo se posso avere un thè caldo in camera ma il bar è chiuso. L’addetta alla reception va lei stessa a prepararmi dell’acqua calda nel bricco, poi prende tazza e piatto, zucchero e cucchiaino e bustina di thè e me lo porta in camera lei stessa, mentre mi accompagna. Le ho fatto pena di sicuro, un pulcino umido con la giacchetta gialla, pure strappata in più punti. Mentre mi riposo e mi scaldo, ancora l’addetta alla reception telefona per informarmi che devo aspettare a usare l’acqua calda della doccia perché c’è un guasto e lo stanno riparando. Ma che ce l’avete con me? Tutte a me queste camere!

Messaggi Celesti 6 agosto 2010 Niente avviene per caso e tutto ti serve. Tutto avviene quando è il momento, niente viene dato all’anima che non può sopportarlo. Una sequenza di segni e fatti, come avanzamenti, sono solo condizione dell’anima che si eleva. Pace a te, pace nel cuore, Oman.

Seguendo la mia strada 16 dicembre 2010

E mentre l’Italia vive, tanto per cambiare, l’ennesima crisi di governo, io volo a Roma per l’appuntamento con il medico che prescrive il Metodo di Bella. Trovato dopo giorni e giorni di ricerche su internet, telefonate su telefonate a gruppi e associazioni quasi celati come fossero dei carbonari, per prendere informazioni, e infine per avere l’indicazione di qualche medico il cui nome veniva sussurrato sottovoce. ando ad attento vaglio ogni riferimento si rapportasse alla terapia e ai medici sparsi sul territorio nazionale che seguendo una metodologia biologica di approccio al problema cancro, applicano il metodo del Professore, finalmente prendo appuntamento telefonico per le undici del mattino di un venerdì di metà dicembre del 2010. Ore e ore di ricerca senza neanche considerare per un momento che questo metodo fosse caduto in disuso e non lo si applicasse più. Ero certa che avrei trovato informazioni e indicazioni utili, e così è stato. Sta arrivando Natale e come sempre e quest’anno come posso, appena la mente mi permette di distrarmi dal problema che ora è diventato quello dominante, mi districo anche in mezzo al pensiero dei regali pensando ogni singolo regalo in relazione alla persona che lo riceverà. Voglio che sia un Natale normale, non c’è nessun motivo per non festeggiare anche quest’anno. Arrivo a Roma la sera di giovedì per avere il tempo di potermi recare l’indomani nello studio medico in tempo utile, perché la soluzione alternativa di partire e tornare in giornata avrebbe aggiunto ansia e fretta a causa degli orari e dei tempi ristretti a tutta la questione ed era, a mio parere, assolutamente da evitare anche in considerazione del fatto che dovendo partire da sola avrei sicuramente e comunque avuto abbastanza apprensione. Questa visita è un salto nel buio, sono assolutamente inconsapevole di quello che mi dirà, di come intenderà procedere per attuare un piano di cura, quali e quanti farmaci. Mi chiedo se sarà poi possibile seguire questa cura per ragioni economiche, se mi sosterrà moralmente come penso e a come mi incoraggerà nella mia scelta. C’è una parte di me che si muove come se sapesse cosa fare e conoscesse già la soluzione del problema e una parte che invece ha umanamente paura e si preoccupa, pur nella positività che non mi abbandona. La mia coscienza razionale è in ogni caso vigile e si adopera di buona lena per scardinare ogni tanto tutto il mio ottimismo e la mia speranza, con un’alternanza di stati d’animo che a volte diventano pesanti da gestire. Ma io sono fiduciosa e ottimista, e

questo vale già da sola una parte di cura, e decisa a dar battaglia, con i denti e con le unghie se è necessario. Sono tanti i pensieri che mi accompagnano in questi quaranta minuti di volo aereo e sono tante anche le sensazioni e le emozioni che mi accompagnano mentre, forse per darmi forza o forse per cercare di auto coccolarmi, infilo le dita nei riccioli e li tiro in giù e li rimando in su, giocando con questi capelli ricci che il cancro mi ha regalato. Arrivata alla stazione Termini e totalmente ignara di toponomastica romana decido di prendere un taxi per farmi accompagnare in albergo, data l’ora e il freddo gelido che mi accoglie in questa città. Gelo e freddo stanno imperversando in tutta Italia ma io non ho il tempo per aspettare che le condizioni climatiche e metereologiche cambino, e non mi posso permettere di aspettare che il tempo volga al bello per muovermi da casa e chiedere consulti. Decisione che stava per diventare un’esperienza mistica. Il tassista è un uomo adulto sui sessant’anni con i capelli bianchi e una parlata tipicamente romana come in seguito avrò occasione e modo di constatare. Per il momento è lui che mi si approccia e mentre mi chiede se serve il taxi litiga con un collega che probabilmente era in fila prima di lui e nel turno spettavo a lui come cliente. Ho pensato che cominciavamo bene, ma ancora era niente rispetto a quelli che sarebbero poi stati i miei dieci minuti di ione su un taxi, il peggiore ma tutto sommato anche il più divertente che abbia mai preso. Mi imbarca sul suo taxi e parte mentre mi chiede dove mi deve accompagnare, ma essendo sprovvisto di navigatore satellitare è in difficoltà a localizzare la via che gli indico e protendendosi verso il cruscotto tira fuori uno stradario che quasi mi lancia dietro dicendomi di localizzarla da me, e nel frattempo si ferma di lato alla strada che stavamo percorrendo, accendendo la lucina all’interno della macchina, perché potessi vedere meglio. Riparte senza guardare se sopraggiungevano altre macchine e si blocca immediatamente con rumore di stridente frenata perché stava ando una macchina con due giovani a bordo che rallentano e nel tempo di un attimo si insultano malamente a vicenda. Percorro quindi questa parte di Roma di cui non ho assolutamente conoscenza, con la lucina accesa e uno stradario in mano mentre il mio taxista schiva una donna con due bambini sulle strisce pedonali e le lancia improperi, per poi sterzare improvvisamente a destra fermandosi al semaforo rosso, in un ingorgo di macchine e mezzi tutti evidentemente nervosi nel traffico caotico del tardo pomeriggio. Finalmente trovata sullo stradario la via che cercavo, ne approfitto per restituirglielo affinché lo possa controllare lui stesso e presane visione mi indica la strada di fronte a noi, dove dovremo are. Nel momento in cui scatta

il verde lui parte e con un balzo va a infilarsi tra un tram appena ato ma fermo nel traffico e una macchina che veniva da destra e la blocca nel tentativo di are, dato che non ci lasciava lo spazio sufficiente per imboccare la strada. Fermi ancora una volta nel traffico si volta per parlare con me: “Signora mia, qua sò tutti matti, sò tutti esauriti, tutti de fretta, nun ce se capisce più nulla, ma ’anvedi questo…” Ma come ’anvedi questo…è lui che l’ha bloccato! “Guardi, me ne sono accorta, stavo proprio pensando la stessa cosa, è veramente un caos, sembrano tutti impazziti!” “Ha visto signò! Che poi signò, annamo proprio male, ’st’Italia sta marciando proprio male… sò tutti ladri e pervertiti… E ’sti politici? Mò tu vedi ’sto Marrazzo…” Oddio Marrazzo!? Cosa c’entra adesso Marrazzo? “’Sto pervertito, ’sto zozzone, ma che nun te bastava tutto quelo che c’avevi? Pure con i travestiti te ne dovevi d’annà?” Mammamia, questo è pazzo furioso, ma tutti a me capitano! “E la moje, che dice che te perdono, è stato uno sbaglio, un momento di debolezza, adesso ha bisogno di tranquillità e riflessione. Ahooo, ma che te sei ammattita, ’sta luridona. Ma che te ripiji in casa sto zozzone che s’annava a infruscià coi travestiti? Ma roba da matti signò!” “Le do ragione su tutto, queste cose non dovrebbero succedere, ma sa che più hanno e più vorrebbero avere, questi politici sono fatti così, è l’avidità che li spinge a cercare altro. Più hanno e più vogliono.” Ma figurati se mi metto a discutere con te su Marrazzo e ti contraddico, ma neanche per idea, mai contrastarli, assecondarli sempre. Mi sa che ti è rimasto il pensiero pruriginoso, ricorda ancora questo fatto. E basta, è ato del tempo ormai! “Proprio così, signò, se stanno a magnà tutto e a distrugge ’sta povera nazione, che così nun se po’ annà avanti.”

“È quello che penso io, così non si può andare avanti, ha ragione.” Fatemi scendereee… “Eccolo signò, semo arrivati.” Non ho neanche bisogno di prendere i bagagli, la mia valigetta l’ho alloggiata all’interno del taxi. Signore ti ringrazio, questo è segno della tua presenza? Pago, l’afferro e scendo velocemente ringraziando il taxista, ma anche di essere finalmente arrivata tutta integra. Nella camera a me destinata mi aspetta un piccolo albero di Natale in metallo dorato con tante piccolissime palline e lucine colorate, veramente molto carino. Fatemi luce, ché domani è una giornata importante e volendo essere superstiziosi è anche venerdì 17! In piena notte vengo svegliata da un respiro molto forte proveniente dalla parte del letto non occupata, affannoso e molto stanco. Sembrava quasi appartenere a un vecchio. Insistente anche se accendo la luce e naturalmente non vedo niente. Un’anima in pena… Spengo la luce e cerco di riaddormentarmi mentre ancora una volta sento questa sorta di rantolo. Non ho visto niente, non c’è nessuno, non certo come quella volta in cui vidi l’angelo. Quella volta sì che ero ben sveglia e c’era pure una lucina a rischiarare il buio della stanza e lo vidi lì, in piedi… Avrò avuto forse una decina d’anni… Quella mattina era ancora molto presto per alzarmi. Lo vidi all’improvviso, anzi credo che all’improvviso si materializzò per così dire anche se più che materia era tutto e solo luce, evanescente ma dalla forma delineata e inequivocabile. Ai piedi del letto parallelo al mio stava un angelo. Piccolo, non tanto alto, emanava una luce vividissima attraverso la quale però si potevano intravedere anche la forma dei capelli, appena lunghetti sulla nuca e a ciocche definite ma non riccio, solo appena mossi quasi a sembrare scarmigliato, e delle ali dietro… Ed ero tanto sveglia da non avere dubbi su quello che stavo vedendo, perché lo stavo guardando ed era lì, trasversalmente a me che lo guardavo dall’altro capo del mio letto, mentre lui stava ai piedi dell’altro letto. Non so quanto sia durato e non ricordo né spavento né agitazione e purtroppo neanche qualche stato d’animo particolare così da farmi ricordare come ho vissuto quel momento. È andato via così come era arrivato, come si fosse spenta

la luce… non c’era più. Quando cominciai a praticare l’ipnosi regressiva vidi in una ricostruzione, nella parte dedicata ai ricordi della primissima infanzia, prima di procedere ancora più a ritroso nel tempo, la piccolissima bambina che ero che gattonava accanto a un altro piccolissimo bambino che emanava tanta luce e aveva i capelli appena mossi e chiari, come quelli della mia visione. Dopo tantissimi anni l’intuizione o la mia anima mi dissero e mi confermarono che era lo stesso angelo che anni prima vidi ai piedi di quel letto. Io non so se sia giusto pensare che quell’angelo fosse la rappresentazione di quella tipologia così come ci viene insegnato dalla religione cattolica anche se io così lo vidi, ma potrei avere diverse spiegazioni. Poteva essere una entità superiore in veste di angelo e mi piace pensare che possa essere Oman, che ho poi ritrovato in seguito, ristabilendo in altra forma quel contatto che con gli anni e il tempo si era perso. O ancora poteva essere solo un’anima disincarnata che forse in seguito è tornata sulla terra in forma umana e materiale, qualcuno che conosco e che mi sta accanto, che ha scelto di starmi vicino fisicamente e di essermi utile in questo percorso strano e articolato che è stata la mia vita. Sarebbe bella questa seconda ipotesi. Preferisco pensare che l’angelo che vidi mi abbia scelta per poter vivere insieme e fare un tratto del cammino insieme, sostenerci e arci a vicenda nella vita e forse anche in questa straordinaria avventura che racconto in questo libro. Sono infatti convinta che tutta la nostra vita sia una combinazione di scelte, più o meno libere o indotte dalle situazioni, ma comunque scelte, comprese quelle scelte prima di tornare a incarnarci. Come durante il Cammino di Santiago. Mi vengono in mente Franc e Vera, alle varie combinazioni e coincidenze che ci hanno visto incontrarci e incrociarci per giorni e a fine percorso ci hanno visto camminare insieme, appena un giorno prima dell’incidente capitato a Franc.

Messaggi Celesti 17 giugno 2012 Quello che avete nel cuore non deve essere tenuto segreto e custodito. Esternate ciò che sentite e provate nel vostro essere, date amore e date cuore. Tutto è amore, date amore e ne riceverete. Non dubitate mai che tutti siete amati. Date

amore. Uriel

Dal Cammino di Santiago 29 novembre 2009 Oggi ultima tappa perché si arriva a Santiago. Partenza prevista e programmata dopo colazione, ma ce la prendiamo comoda. Sono circa le otto e trenta e come volevasi dimostrare, nelle tabelle di marcia di Franc ci sono le varie ed eventuali che in questo caso significa colazione con tranquillità e calma. Il maltempo ha concesso una pausa di mezz’ora ma quasi subito riprende a piovere e il vento mi fa immaginare un’altra mattina da incubo. Ho messo nuovamente l’antipioggia giallo pesante anche se strappato in più punti e ho legato quello arancio ormai inutilizzabile a proteggere lo zaino. Senza troppo faticare per la salita siamo arrivati con facilità al Monte de Gozo, dove una enorme croce di ferro posata su una base di cemento con dei bellissimi pannelli di ferro lavorati a rilievo in tutti e quattro i lati, domina il territorio da dove comincia la discesa verso Santiago. Dopo un percorso su strada asfaltata che ci segnala l’imminente ingresso in città e sempre accompagnati dalla pioggia, arriviamo al fatidico e agognato cartello che ci accoglie ufficialmente a Santiago. Scatto qualche foto strada facendo e faccio qualche piccola ripresa video mentre con l’Ipod ascolto a tutto volume gli U2. Musica a palla per Magnificent che ci sta tutta! Siamo andati avanti tranquilli e con calma e a volte precedevo Franc e Vera, a volte li avevo davanti a me. A un certo punto mi giro appunto per vedere se stavano dietro e vedo Vera ferma sul marciapiedi con l’antipioggia verde di Franc in mano che cercava di lanciarlo al di là del muretto del marciapiedi. Ho capito, non vedendolo, che gli era successo qualcosa e pur con lo zaino in spalla sono tornata indietro per quella piccola salita, di corsa. Vera nel frattempo aveva fermato un ante che vedevo attraversare la strada dirigendosi verso di lei, mentre lei con le mani giunte quasi lo implorava di aiutarla. Quando sono arrivata ho visto Franc che era caduto oltre il muretto basso del marciapiedi ed era in mezzo ai rovi in posizione precaria, perché sotto di lui c’era il vuoto di un canalone, ed era trattenuto solo dalla vegetazione. Si vedevano le gambe scomposte che cercava di tenere sopra i

rovi e il viso spaventato, occhiali e capello ancora in ordine al loro posto, e sembrava galleggiasse. Con il mio bastone da pellegrina, il ante chiamato in aiuto, cercava di farlo aggrappare perché avesse almeno una presa per poterlo tirare fuori ma Franc non poteva fare forza da nessuna parte ed era difficile recuperarlo e cercare un punto di appiglio. Il signore e Vera, sporgendosi, cercavano di tirarlo per un braccio avendogli afferrato la mano e allora mi sono seduta a cavalcioni sul muretto cercando di trattenermi con una gamba per non cadere anche io e mi sono sporta per cercare di afferrare l’altra mano che lui mi tendeva. L’ho afferrato e abbiamo cominciato a tirare tutti e tre contemporaneamente con molta fatica ma così, dopo il braccio e mentre lui risaliva, l’ho agganciato ai anti della cintura dei jeans perché era una presa più sicura. Facendo uno sforzo tutti insieme siamo finalmente riusciti a tirarlo fuori dal fossato, anche se tanto leggero non era, spaventato e con le mani piene di spine e sangue. Si è dato una ripulita con una mano, povero Franc, mentre gli toglievo le spine conficcate nell’altra e lo ripulivo dal sangue. Dopo questo fatto e ato lo spavento dell’emergenza ci siamo ripresi e abbiamo cercato di ritrovare un po’ di fiato e di calma e quindi abbiamo ripreso a camminare, ma camminando davanti a loro da sola mi sono fatta tante di quelle risate, da soffocare per non farmi sentire. Mentre avanzavamo verso la Cattedrale ridevo con le lacrime agli occhi quando ricordavo la scena. Mi sono allarmata vedendolo nel canalone e ho creduto per un momento che avremmo dovuto chiamare rinforzi e che non potevamo farcela da soli. Per fortuna è finito tutto bene, però se solo mi ricordo la sua faccia quando sono arrivata e l’ho visto nel canalone che galleggiava, con ancora il suo capello in testa! Abbiamo seguito il percorso del pellegrino all’interno della città, sempre sotto la pioggia e dopo aver ato la Porta do Camino, abbiamo mosso ancora gli ultimi i per qualche centinaio di metri prima di essere accolti e accompagnati in un sottoo, dal suono delle cornamuse delle Asturie e siamo arrivati verso le undici nella Praza do Obradoiro, la piazza della Cattedrale e lei era lì davanti… Non so cosa ho provato. Non ho pianto per scaricare l’ansia e la tensione che mi accompagnavano dal mattino e come mi sarei aspettata, ché quando ci pensavo sentivo un nodo in gola. Una forte emozione! Maestosa! La Cattedrale è veramente molto imponente, severa, austera e scura e infonde una sensazione di

stupita meraviglia da lasciare senza fiato, ma anche di ammirazione e la sua sacralità si percepisce dappertutto nella piazza. Finalmente a Santiago e nella tanto agognata piazza della Cattedrale, meta e fine di questo percorso così sofferto e desiderato. Sono qui e non riesco ad averne coscienza e a capacitarmene. Non ho mai ripensato a quello che ho fatto, ai percorsi e alla solitudine, ai dolori fisici e interiori, sofferenze che sentivo nel corpo e nell’anima e che cercavo di superare con tutta una serie di escamotage che mi imponevo cantando, facendo esercizi mentali di respirazione e pregando i miei angeli che mi aiutassero a superare quelle difficoltà che al momento mi sembravano insuperabili. Ma nel momento stesso in cui mi dicevo non ce la faccio, mi incoraggiavo dicendomi che dovevo farcela e ce l’ho fatta! Sono a Santiago, dove volevo essere e motivo per cui ho fatto tutto il Cammino, materialmente parlando. Ci tratteniamo un po’ nella piazza per le ovvie fotografie di rito ed essendo fine novembre ci sono pochi pellegrini, poche persone in generale nella piazza quasi deserta. Ci avviamo alla ricerca dell’Officina del Pellegrino e dopo aver preso la Compostela, il documento scritto in latino che attesta il cammino compiuto, torniamo indietro e saliamo la scalinata per entrare in Cattedrale e assistere alla messa delle dodici. Appoggio il mio zaino a una colonna e seguo la messa vicina nel banco a Vera e Franc. Qui si scioglie la tensione e piango, complice anche la voce di una suora che canta in piedi e sola nell’altare, con un tono veramente celestiale che smuove tutte le mie corde emozionali interiori. Piango e piango, senza fazzoletti in mano e asciugo le lacrime con le mani, come i bambini! Faceva molto freddo in Cattedrale e avevo i piedi gelati, normale dopo ore di pioggia e vento ma credo di essere stata in stato di shock perché non mi sentivo affatto stanca, non sentivo niente della fatica dei giorni precedenti e dei dolori fisici. Non sentivo più niente! Piangevo, ascoltando la suora cantare. Poi, presa la parola il vescovo per l’omelia ho sentito che citava i pellegrini arrivati in questa giornata, elencandone la nazionalità e la città di partenza del Cammino. E così, a un certo punto ho sentito che mi citava, non essendoci nessun altro pellegrino italiano. Franc mi dice sottovoce: “Signora, ha sentito? Parlano di lei…” Dopo pranzo ci siamo incamminati per cercare uno degli alberghi che avevo in elenco nel mio programma e abbiamo trovato un albergo molto ben posizionato, di livello standard da pellegrino che desidera un po’ di riscatto cercando una

sistemazione migliore di quelle trovate sino ad allora. La stanzetta con il letto a una piazza e mezza è fredda come al solito, angusta e buia, con i mobili classici scuri mette veramente tristezza. Naturalmente non c’è riscaldamento in bagno e si gela. È un miracolo che ancora non mi sia influenzata. Sto abbastanza bene, sento un po’ di stanchezza ma non in maniera eccessiva, solo i piedi fanno un po’ male ma vanno, e il dolore al ginocchio va molto meglio. Non è male per aver fatto centoquindici chilometri con quindici chili in più rispetto al mio peso. Nel conteggio ho messo lo zaino, la borsa che portavo davanti e l’abbigliamento indossato. Sono soddisfatta di me, tutto sommato non è andata male. Anzi, direi che è andata proprio bene, benissimo! Me la sono cavata con poco. La sera sono uscita nonostante la pioggia che è scesa quasi incessantemente ed è stata veramente fastidiosa ma almeno non ho lo zaino appresso da riparare e questa è già una grandissima facilitazione. Con il mio poncho nuovo, trasparente bianco, vado tranquilla per cui non mi lamento, copre tutto e mi ripara. Dopo essere andata a cenare in un locale sono rientrata in albergo con l’aria gelida delle ventuno e quarantacinque di una sera di fine novembre a Santiago de Compostela. Per fortuna ora la camera è calda. Domani altro giro turistico, vedrò cosa fare. Intanto non ho orari da rispettare, zaino da preparare e programmi da seguire. È già tanto e sarà una bella giornata, comunque!

Messaggi celesti 23 dicembre 2012 Essere qui vicino a te e nel tuo tempo mi rende sereno, mi aiuti a svolgere il mio compito. Non è ancora il momento per te, arriveranno segnali chiari e capirai quello da fare. Non dolerti del futuro, vivi oggi e capirai ogni cosa. Tutto cammina secondo il disegno, non ancora sai, ma tutto si svolgerà secondo il disegno. Non cercare nessuno al di fuori di te, è la tua forza interiore che ti farà camminare. Ora tu segui le indicazioni e aspetta con pazienza. Tutto quello che viene è quello che deve essere. ano persone e cose, tu resti. Con noi, per te, per noi, noi siamo sempre con te! Diletta, siamo anche la tua forza, non dubitare mai. Noi ti sosteniamo e ti amiamo, sei nella luce, sei nel disegno, sei speranza.

Pace nel cuore, pace a te. Oman

Oltre il muro contro muro 13 gennaio 2011 Ho preso sulla parola mio marito e ho deciso di accontentarlo, faccio quello che voglio e come mi pare. Questa volta il blitz oltre Tirreno dura una sola giornata, giusto il tempo di andare e tornare, compreso il colloquio con l’oncologo che andrò a trovare nel primo pomeriggio. Il tempo è poco ma tutto calcolato perché i tasselli si incastrino e gli spazi si riempiano con tutto quello che sarà questa giornata solitaria. Un altro giorno di attese e pensieri, di riflessioni e dubbi, di ripensamenti o consolidamenti di idee precedenti, già prese e applicate. Ora, ancora una volta ascolterò e farò le mie deduzioni, cercherò di farmi consigliare e are in questa mia teoria personale per niente nella norma, adattata com’è a quello che io sento sia la mia strada, il percorso da seguire. Oppure mi aspetterà una lavata di capo, ancora rimproveri e ancora discorsi che dissentono scientificamente da questo circo che ho messo in piedi. Mi sembra di essere un clown. Tutto gira intorno a me e si ride e ci si diverte perché i più sembrano non avere la stessa pesantezza che sento io, anzi sembrano vivere tutti con leggerezza e continuano a recitare normalmente le giornate che ano nella loro vita. Io sono triste come il clown che ancora non sa se anche questa volta arriverà una sberla, se arriverà da sopra o da sotto, da destra o da sinistra e da chi. Non sta in campana, è il suo triste destino far ridere nel ricevere così tanti colpi e nel cercare di barcamenarsi nelle più strane e problematiche situazioni. Ma il suo pianto e la sua tristezza sembrano talmente autentiche che forse rimangono anche quando le luci si spengono, più vere di tutte quelle risate che durano lo spazio di pochi secondi. Lui piange mentre gli altri ridono, lui ride quando pensa di essere stato intelligente per poi accorgersi che è stato ancora una volta ingannato. Così è la vita. Anche la mia? Anche io mi sto ingannando? Cosa sto facendo? Su che cosa mi sto giocando la pelle? Quali sono i miei pensieri e le mie certezze

perché non debba mai vacillare? Sono giuste le mie scelte? Tutto questo ha un senso? Il mio intuito, il mio istinto, il mio sesto senso e mezzo? Ma davvero sto affidando la mia salute a tutto questo? Sono io che mi sto lasciando andare alla deriva illudendomi che possa bastare questo circo che ho allestito o è vero che tutto quello che sto pensando e facendo è la cosa giusta da fare, quello che arriva per ispirazione e che mi sta dando tutta questa forza interiore per reagire? Sono stanca di viaggiare, di muovermi da sola, anche di parlare da sola con me stessa in questo interminabile monologo che mi ripropone sempre gli stessi argomenti, sempre le stesse discussioni con sempre lo stesso senso latente di ansia e paura di non fare abbastanza, di non essere in grado di fronteggiare l’alieno, di non riuscire a neutralizzarlo. E non è l’ansia di partire da sola o per essere sola, l’ansia di non riuscire a spiegare i miei punti di vista o come fare per gestirmi. Questo è uno stato d’animo strano, che mi si rimescola all’interno con sensazioni, emozioni e percezioni e forse è solo un mezzo per tenermi vitale, allertata, con i sensi accesi e puntati. All’obiettivo? Quale è il mio obiettivo? Ho fiducia e sono serena, sono ottimista per il futuro e non mi abbandona l’idea che tutte queste siano solo misure precauzionali, tanto sono convinta di aver eliminato il problema con l’intervento chirurgico. Io non ho nessuna cellula tumorale in circolo nel mio organismo. Io non ho più niente di cui aver paura. Io ho già risolto questo problema. Invece so che è un terno al lotto, più semplice forse azzeccarne la combinazione che la certezza di quello che sarà il mio futuro. Qui è vero tutto e il contrario di tutto e io non posso permettermi di non essere anche razionale e vigile, perché ancora tutto può succedere come già mi è stato detto dal medico della terapia biologica che mi ha visitata appena un mese fa. Non posso permettermi di illudermi e di raccontarmi bugie per non prendere atto della gravità della situazione. Ci si approccia in maniera diversa alla patologia, si fanno dei tentativi, si spera di non deprimere il sistema immunitario con terapie invasive e sino a questo punto siamo perfettamente in sintonia. La parte razionale e consapevole però mi ripropone che i tentativi non sono in ogni caso una certezza, anche se so che la certezza e la sicurezza non posso comunque pensare di averla a breve termine, la si dovrà misurare sulla distanza. Solo il tempo saprà dire… La parte della coscienza interiore e della saggezza universale dentro di me mi rimanda continuamente che queste sono le strade da percorrere, la via che devo

prendere. Ma io sono solo un essere umano, con tutti i miei limiti, le mie paure e le mie insicurezze, i miei dubbi e i miei momenti di sconforto, il mio bisogno di essere rassicurata e sostenuta continuamente, soprattutto ora che mi sento psicologicamente più fragile e che tutto quello che vorrei sono delle braccia che mi sollevassero da terra, che mi prendessero in braccio e rassicurandomi mi impedissero di pensare. Vorrei solo che qualcuno riuscisse a interrompere questo flusso di pensieri e con un colpo di spugna portasse via il problema e con questo tutto quanto a esso legato. Aiutatemi, sto cedendo! Sento questo grido dentro di me, ogni tanto ho un cedimento, cado e mi devo rialzare, sono stanca!

Sono soprattutto arrivata e mi avvio al banco informazioni per chiedere dove mi devo dirigere, dove mi aspetta il dottore con il quale ho appuntamento per il colloquio. Mi avvio e nel breve tempo di qualche minuto mi comunicano che ci sarà un brevissimo ritardo e che verranno ad avvisarmi quando il medico si sarà liberato. Avrei bisogno di essere confortata e rassicurata, avrei bisogno di qualcuno che mi prendesse le mani. Avrei bisogno di qualcuno che mi dicesse che senza ombra di dubbio tutti questi sforzi sono mirati all’obiettivo certo di sconfitta dell’alieno. Avrei bisogno di qualcuno che mi stringesse tra le braccia a sentire quel calore umano che in questo momento mi manca. Non sono nervosa e non sono ansiosa, non sono impaurita. In questo momento mi sento solo abbandonata a me stessa! E dire che sino a questa mattina prima della partenza ho rassicurato tutta la famiglia con il mio solito modo di fare per sdrammatizzare: “Vado e torno, che volete che succeda? Arrivo e sono già di ritorno. Non ho bisogno di niente, tranquilli…” Vero! Di cosa avrei avuto bisogno? Ma vero anche che nessuno si è offerto di accompagnarmi tanto ormai si sono abituati alla gestione della faccenda che sovraintendo in maniera totale, così come è vero che sovraintendo in maniera totale alla faccenda perché mi hanno lasciata sola a gestire il tutto. Tra impegni inderogabili e limitate risorse di tempo, la famiglia si è eclissata dall’essere fisicamente presente in questi miei necessari spostamenti. E io ci ho messo su il carico da novanta. Li rassicuro, non voglio che mi vedano debole, non voglio che si preoccupino. Non dico che mi stia pesando tranquillizzare gli altri e in

realtà non sto fingendo uno stato d’animo che non provo, sono serena e determinata a fare quello che ritengo giusto ma è anche paradossale che sia io in questa condizione a farmi carico di questo peso e a sostenere e incoraggiare chi si preoccupa per me, anche se so che le motivazioni sono l’affetto e l’ansia che possa succedermi qualcosa a causa della patologia. Di fatto sono io che sto incoraggiando, sostenendo ed esternando sicurezza, rassicurando e mostrando un’incrollabile fiducia per evitare che gli altri si preoccupino eccessivamente. E allora sostengo conversazioni come questa con un’amica: “Allora parti domani, confermato l’appuntamento?” “Sì, domattina presto così da poter fare tutto con calma e in giornata.” “Ma poi come pensi di fare? Ti dovrai trasferire per un po’ se decidi di seguire questa terapia?” “E sì, questo è indispensabile. Adesso comunque non precipitare, vado e sento cosa ha da propormi, poi prenderò una decisione. È ancora tutto da vedere.” “Sì, ma poi se decidi non ci vedremo per un po’ di tempo!” “Ma non lo so, è ancora prematuro pensarci, deciderò in base a quello che mi dice.” “Ma tu sei certa che vuoi fare questo tipo di terapia? Ci hai pensato che poi starai lì da sola, senza avere nessuna certezza riguardo l’efficacia di questa cura… Io sono preoccupata.” “Ma non ne hai motivo, io sono molto convinta dell’efficacia di questa cura e sono molto fiduciosa. Certo comporterà dei sacrifici e mi dovrò adattare ma non ho scelta, non posso fare altrimenti. Capisci che devo fare qualcosa. Questa cura la sento adatta a me, più di altro, come sai già. Dai non preoccuparti, io sono serena. Pensa questo, che io sto bene e sono tranquilla ed è la cosa più importante. Domani vado, torno e dopodomani ne parliamo di persona, va bene?” “Okay, a presto allora, fai buon viaggio. Ora che mi hai tranquillizzata sono molto più calma e serena. Mi ha fatto bene parlare con te.”

Si affaccia dalla porta della sala d’attesa un giovane sorridente e vestito casual che chiama il mio nome. Si presenta, è l’oncologo con il quale ho l’appuntamento. Senza camice, mentre mi accompagna all’ascensore che prenderemo per arrivare al suo studio mi dice: “È venuta sola?” “Sì, ho preferito venire da sola!” “È strano sa, perché quando si tratta di affrontare certi discorsi a proposito di malattie serie come un tumore, i pazienti preferiscono farsi accompagnare. Di solito arrivano con tutta una serie di parenti.” “I miei sanno che posso badare a me stessa, e anche io penso che posso bastarmi da sola, anzi ne avanza pure.” Mi indica una sedia di fronte a lui, la scrivania dello studio dove mi invita a entrare a separarci, e ci sediamo. “Mi ha portato la documentazione clinica?” Gliela porgo e comincia a visionare con scrupolo un foglio dietro l’altro, sino a conclusione di tutta la cartella. Io attendo in silenzio. “La terapia che le hanno prescritto è quella giusta, è solitamente questo il protocollo che si applica, l’avrei fatto anche io.” “Indipendentemente dal fatto che sia giusta o meno, è una terapia che non intendo seguire, sono qui per questo. Ho letto qualcosa informandomi sull’ipertermia e pensavo di poterla sostituire alla radioterapia, che non ho nessuna intenzione di fare.” “Basta così? Niente altro come cura?” “Sì, ho già contattato un oncologo che mi seguirà con il metodo Di Bella e sto assumendo prodotti di satterapia.” “Satterapia?” “Sì, prodotti omeopatici che, come mi ha spiegato il medico, si rivelano utili in

tutte le situazioni in cui l’organismo ha perso la capacità di correggere le sue disfunzioni e di riparare le lesioni. Questa terapia cerca di risolvere il disturbo offrendo una serie di messaggi energetici che mirano a ripristinare l’equilibrio attraverso quelle forze riparatrici insite nell’organismo stesso a volte trascurate o addirittura bloccate da dosi massicce di composti chimici. Insomma i messaggi energetici sollecitano alla guarigione o almeno al ripristino di una situazione di equilibrio.” “Interessante davvero, non ricordo di averne sentito parlare… Dicevamo?” “Dicevamo che non voglio fare né chemioterapia, né radioterapia. Non voglio… non riesco neanche a pensare di potermi curare con questi metodi, invasivi e tossici, a elevato rischio di effetti collaterali. È un pensiero che avverso totalmente e che mi fa star male, non riesco a capire e a concepire che un malato debba essere curato con medicinali e sostanze che sono deputate a procurare altri problemi e altre malattie.” “Io credo che sia diritto di ogni paziente scegliere tranquillamente quale tipo di terapia seguire e penso che qualsiasi cura si faccia possa anche essere meno efficace se il paziente oppone una certa resistenza mentale. Io sono un oncologo che applica quel tipo di terapie, ma capisco il suo punto di vista e sono certo che ognuno debba scegliere la cura che sente più adatta e rispondente anche alle sue convinzioni e inclinazioni personali. Se lei non sente di dover seguire le cure ufficiali la capisco perfettamente. Quindi lei si è già informata su cosa sia l’ipertermia?” “Ho trovato casualmente dei link su internet, mentre cercavo qualcosa che potesse essere di alternativo alle cure tradizionali e ho letto abbastanza prima di decidermi a telefonare e prendere un appuntamento. Sarei contenta di sentire qualche altra informazione, così da potermi fare un’idea più precisa, che serva soprattutto a convincermi che possa essere veramente utile soprattutto se abbinata alla cura Di Bella che ho già cominciato a fare.” “Da quanto tempo ha cominciato con la terapia Di Bella?” “Circa un mese ormai… prendo i retinoidi la mattina, la melatonina due volte al giorno e faccio anche l’ormonoterapia da novembre. L’ormonoterapia mi è stata prescritta dall’oncologo della mia città e mi è stato confermato recentemente che è prevista anche dal piano terapeutico Di Bella. Mi è stato detto che ancora non

c’è una valida alternativa biologica come cura sostitutiva della terapia ormonale e quindi, come inibitore dell’aromatasi bisogna ancora da utilizzare l’Arimidex, almeno nel mio caso. Allora, parliamo di ipertermia?” “L’ipertermia è un ottimo o nella terapia dei tumori, in abbinamento alla chirurgia e anche alle cure tradizionali, quando si seguono, perché potenzia l’efficacia dei medicinali e l’apporto di energia attraverso questa metodica comporta un cambiamento nell’omeostasi,” lo interrompo. “Che sarebbe?” “L’omeostasi è il processo attraverso il quale il corpo regola il proprio equilibrio interno dei sistemi cellulari e dovrebbe mantenersi anche al variare delle condizioni esterne attraverso meccanismi autoregolanti, ma che in presenza di variazioni tipo le mutazioni di una cellula, come nel caso di un tumore, viene a difettare… Quindi con le apparecchiature per ipertermia oncologica profonda che sono dotate di emettitori a 13.56 Mhz posizionate sul corpo del paziente in corrispondenza dell’organo ammalato, una anteriormente e l’altra posteriormente, si innalza in profondità la temperatura dell’organo tra i 42 e i 43 gradi centigradi. A tale temperatura le cellule tumorali che posseggono una membrana cellulare alterata non riescono a smaltire il calore e l’ipertermia attiva degli enzimi intracellulari, spezzettando il DNA, portando la cellula maligna a morte per apoptosi. L’obiettivo è di ridurre le capacità proliferative delle cellule mutate e di impedire l’impianto di nuove metastasi nei tessuti sani, ma anche quello di stimolare le difese naturali dell’organismo, il sistema immunitario e ristabilire appunto l’omeostasi.” “Il calore tra i 42 e i 43 gardi come lo si gestisce se i trasmettitori sono posizionati sul paziente? Bruciano?” “No, per niente. Si applicano delle placche refrigerate una anteriormente e una posteriormente nella zona dell’organo ammalato, per cui il paziente esternamente non avverte nessun calore eccessivo o bruciore.” “Questo è tranquillizzante!” Ci lasciamo dandoci ormai del tu, come amici di vecchia data. Quando esco dalla clinica il sole sta per tramontare, ci sono già delle striature rosate che colorano lievemente il cielo. Questo angolo di Roma è tranquillo, si

respira benessere e sembra tutto ovattato, non c’è caos… Preferisco prendere uno dei taxi che sostano all’esterno della clinica per farmi accompagnare alla fermata degli autobus che partono per l’aeroporto. Voglio stare sola con i miei pensieri per poter riflettere su quanto ho appena sentito. Mi ha convinta anche se non ho ancora deciso completamente ma devo dire che l’approccio è stato molto incoraggiante, sia nell’illustrare il tipo di terapia sia perché ha parlato totalmente fuori dai denti, mettendomi al corrente di tutto quanto possa essere considerato, nel mio caso, un rischio per il futuro ma senza mai spaventarmi e senza mai farmi pensare che tutto quanto non fatto possa costituire una minaccia. È un medico di medicina tradizionale e nel suo reparto applica la chemioterapia e la radioterapia unitamente all’ipertermia che utilizza a sostegno delle due terapie ufficialmente accettate dalla medicina. Sostiene però che il paziente deve essere lasciato libero di scegliere di fare quello che ritiene più rispondente al suo modo di sentire e di essere. Trova giusto che nella lotta al cancro il paziente sia parte in causa e partecipi attivamente alla sua guarigione, anche sentendosi responsabile di aggiungere o integrare le cure ufficiali con tutto quello che può essere di aiuto e sostegno psicologico, introducendo quindi anche terapie alternative non riconosciute, ma che hanno sicuramente un enorme peso in quanto a rassicurazione emotiva. Sono assolutamente in sintonia con questa teoria e da ultimo mi è piaciuto il suo modo di essere onesto, senza nessuna coercizione o suggerimento subliminale di prenotare la terapia presso la loro clinica. Mi ha informato circa i benefici e lo scopo che si prefigge la terapia senza mai accennare alla possibilità di rivolgermi a loro se e quando avessi deciso e anzi parlandomi bene degli altri centri e dei colleghi che la applicano un po’ dappertutto in Italia. Tornare a casa ha significato un’intensa e frenetica settimana di ricerche. Decido di intraprendere questa cura e prenotate le sedute di ipertermia che cominceranno a brevissimo, mi butto a capofitto sulla ricerca di una base logistica dove poter vivere per il prossimo mese e considerato il numero esorbitante di proposte diverse in quanto ad alloggi a Roma, la ricerca non è stata semplice. Alla fine ho trovato una soluzione che mi ha soddisfatto pienamente e prenotati i biglietti aerei si parte con una mole impressionante di valigie dal contenuto più disparato.

Mi sono voluta portare appresso anche una piccola parte di oggetti d’affezione, quelli che penso mi possano sostenere in questo mese da are lontana da casa, nel ricordo di quello che per me rappresentano, ricreando così in un’altra casa una parte della mia quotidianità che lascio momentaneamente. Mio marito si rivela indispensabile, sia per il trasporto bagagli sia per la sua presenza che, per una settimana, anima una casa estranea seppure estremamente accogliente e di mio gusto. Per lo meno facciamo insieme l’approccio a questo mini cambio di residenza momentaneo, così come insieme mettiamo su famiglia andando a fare la spesa e prendendo confidenza con il quartiere per renderci conto di quali servizi e quali possibilità può darmi, una volta rimasta sola. Di grande importanza si sono rivelate le farmacie presenti in zona, soprattutto quando una delle prime notti a Roma prende a battermi in maniera prepotente uno degli incisivi, che pensa bene di esagerare procurandomi un ascesso estesissimo che comprendeva oltre le labbra, la guancia corrispondente, parte del viso e un dolore spaventoso. Mio marito si lancia di domenica mattina alla ricerca di un antibiotico il cui nome ho ricordato durante la veglia della notte, ripescato da qualche parte nella memoria non compromessa dal dolore che mi sta veramente molto provando, anche esteticamente. Di ritorno dalla farmacia con la scatoletta in mano mi abbraccia per consolarmi mentre mi dice: “Povero amore mio, certo che non ti stai facendo mancare niente!” Sta’ a vedere che adesso è pure colpa mia!

Messaggi Celesti 4 febbraio 2011 Siamo con te, vicino a te, nel pensiero noi ci siamo. Non dolerti di niente, il sole, ti è stato detto, arriverà. Tutta la situazione che stai vivendo serve perché le persone capiscano e crescano. Una tappa per volta, tutto andrà a posto, sarà quello che deve essere, nonostante sembri tutto compromesso. Senza crescita non c’è evoluzione. Stai serena comunque, noi con te, noi ti amiamo. Pace a te, pace nel cuore. Oman

V

Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso. Mahatma Gandhi

Roma. Una brutta giornata 8 febbraio 2011 Sono a Roma già da venti giorni e oggi non ho appuntamento per la terapia, cioè non ho niente da fare. Ho deciso che andrò al Bioparco tentando nuovamente di entrare. Mi è stato impossibile farlo domenica scorsa quando, pur essendo arrivata sino a lì, era pieno di persone in fila alla cassa e non sarei riuscita a entrare se non forse due ore dopo. Ho rinunciato all’attesa e sono tornata a casa. Non che stia male, ma a volte mi sento debole e ho voglia di fare qualcosa di poco impegnativo, che non mi vincoli con orari o con corse forzate o qualsiasi altra cosa che venga vissuta come un obbligo e mi crei disagio. Nel tempo libero vado a eggiare vicino a casa per qualche chilometro, perdo tempo al supermercato per fare la spesa, mi infilo in una libreria per curiosare tra i libri e i banconi delle novità oppure prendo un pullman e mi faccio portare in giro. Esploro un giorno una zona, un giorno un’altra parte di Roma. Solitamente mi preparo un piccolo percorso e vado a girovagare per vedere qualche monumento, qualche quartiere che non conosco, qualcosa che ancora non ho visitato. Il mio tempo libero lo o così, da single nullafacente vivendo una

quotidianità che mi invento giorno per giorno. Nei giorni dedicati alla terapia il tempo a più rapidamente perché lo impiego soprattutto nei trasferimenti da un pullman all’altro, nelle attese e nel viaggio perché tra andata e ritorno ano anche quattro ore! Ho preso l’abitudine di uscire con largo anticipo e, pur dirigendomi verso la zona dove faccio la terapia, scendo dal pullman e faccio una eggiata in zona, faccio un acquisto o entro a curiosare dentro qualche negozio. Impiego così il tempo approfittando del fatto che sono fuori casa e quando rientro posso rilassarmi o anche uscire nuovamente, secondo gli orari degli appuntamenti e secondo le energie che mi rimangono. Quindi questo martedì l’ho dedicato, uscendo da casa di buon’ora, alla visita del Bioparco facendomi portare dal bus nei pressi di via Aldrovandi e godendo così di una scorcio della città che non conoscevo. Ed eccomi, biglietto munita, che comincio a girovagare tra i vari reparti e i recinti dedicati: alle scimmie, ai rapaci, cammelli, elefanti e il rettilario. Mi fanno una grande tristezza e nello stato d’animo strano e pesante che mi prende, comincio anche io a sentirmi triste. Forse una visita al bioparco è più adatta a un gruppo, a una famiglia con bambini, a una coppia di innamorati. Vorrei ci fosse qualcuno che potesse interrompere questa pesantezza che sta diventando il mio silenzio, ferma davanti al recinto delle tigri, o mentre osservo le teche, in fila una dietro l’altra, dei rettili o le scimmie che saltellano spensierate da un ramo all’altro. Beate loro. Soli così è davvero triste e deprimente! Nessuno con cui scambiare una parola, una risata e più tardi un panino. In qualche ora riesco a girare tutto quanto riando anche davanti a certi recinti, così da potermi fare ancora di più del male identificandomi meglio in quegli animali, liberi sì, ma costretti dalle circostanze a essere in quel posto e vivere come altri hanno deciso che vivessero. Un po’ la metafora di come mi sento io, costretta dalla situazione a vivere in un posto che ho adottato ma che non mi appartiene se non momentaneamente, costretta dalla circostanze a dovermi adattare alla situazione. Una scelta. Sì, lo è stata ma solo nel senso che ho scelto la città dove poter fare la terapia. È vero questo, ma è anche vero che le scelte a volte possono essere indotte dal non avere abbastanza soluzioni alternative. In questo caso era obbligata dalla mia decisione che avrei fatto una terapia di quel tipo, che prevedeva di dover stare lontana dalla mia terra e su questo non c’erano alternative. Tutto sommato è stata una buona decisione, una casa in affitto in un quartiere che per fortuna si è rivelato vivace ma tranquillo, e in generale mi compiaccio anche per la mia velocità di adattamento, mi sono

trovata bene anche da sola e non ho avuto nessun tipo di difficoltà. Esco dal Bioparco sul piazzale del Giardino Zoologico e mi avvicino a un chiosco che vende panini, invogliata dall’odore invitante che mi ricorda che si sono fatte le due del pomeriggio e ho una certa fame. Mi siedo a riposare nella panchina di lato al chiosco e sto lì a mangiare questo panino già triste quanto me e più mando giù, più mi faccio pena e comione da sola. Saranno le quattordici e trenta, ho un cancro da curare, tanti pensieri in testa da levare, mangio un panino in una città che non è la mia, lontana dai miei affetti e dalle mie abitudini, dalla mia famiglia e dalle mie amiche, dalla palestra e dalle mie eggiate al parco e sono e mi sento infinitamente triste. Sono gonfia di ormoni tanto che avrò preso diversi chili rispetto al mio peso e come un pollo di batteria più ormoni prendo più mi dilato e ingrosso. Sono ormai tre mesi che faccio la terapia ormonale e più a il tempo più aumenta tutto il ventaglio di effetti collaterali, come da bugiardino, non ne ho saltato uno. È tutto così pesante, così strano, così ancora tutto indefinito. Non mi posso permettere di pensare a cosa sarà, cosa arriverà, quale futuro mi aspetta e in quale situazione. Byo il pensiero quando arriva, per non spaventarmi e perché non posso permettermi di avere paura del futuro e di avere cedimenti, ma sono anche consapevole che la partita è ancora tutta aperta e da giocare. Spero veramente che possa bastare e sia sufficiente tutto quello che sto facendo nella mia personalissima battaglia verso l’alieno, ma appena un po’ di conforto potranno darmelo solo i primi referti delle visite di controllo che andrò a fare prossimamente, al mio rientro a casa. Solo allora potrò cominciare ad avere una visione più rosea, non ottimista o positiva perché io lo sono e sento di essere fiduciosa, ma sicuramente tirare il fiato sulla questione non sarebbe di secondaria importanza. Poter riprendere a pensare a una vita normale come era stata prima della faccenda alieno e allentare e allontanare il pensiero dal problema mi sarebbe di grosso aiuto. Sarebbe bello riuscire a staccare dal pensiero, riuscire a pensare ad altro, riuscire a riprendermi la mia vita con più serenità, almeno per un po’. Chiedo solo una tregua. Finito il lauto pasto mi incammino dentro Villa Borghese ed esco dal lato

opposto, portandomi a piedi dove, con un altro bus, andrò a visitare il quartiere Coppedé, che intravedevo mentre mi recavo a fare la terapia ma che non avevo mai avuto modo di visitare. E scendiamo, io e me stessa, a fare due i in via Tagliamento. È improprio chiamarlo quartiere, è più un agglomerato di costruzioni composto da diciotto palazzi e ventisette tra palazzine ed edifici disposte intorno al nucleo centrale di piazza Mincio. L’ingresso al quartiere è un aggio sotto un arco che congiunge due palazzi. Uno strano stile architettonico che non so identificare ma che mi piace molto. Ci sono fontane, statue e decori sui muri esterni degli edifici, questo stile è sobrio ed elegante e infonde una sensazione di placido benessere e serenità, così in contrasto con il mio stato d’animo. Questa notte un po’ insonne mi separa ancora per poco tempo dal giorno del mio rientro a casa, quella vera, al di là del mare. È ato quasi un mese ormai e devo ammettere che quasi mi dispiace lasciare questo rifugio al quale mi sono abituata, forse anche affezionata. Ho pianto e riso da sola in questa casa, ho ato qualche notte ad ascoltare rumori di assestamento che non conoscevo e la cui provenienza non riuscivo a riconoscere, ho dormito da sola con un solo occhio chiuso mentre l’altro era teso a percepire quello che a volte sentivo intorno a me… qualche sospiro strano che non era il mio, qualche scricchiolio sospetto, qualche rumore di un sonaglio di giochi di bimbo che però non aveva riscontro nel reale, non essendoci bimbi nel palazzo. Stranezze alle quali mi sono anche abituata con il tempo e non mi pesavano più, né mi spaventavano. Ma ormai anche questa è andata. Sono certamente contenta di tornare alla mia vita ma sento anche un po’ di dispiacere nel dover lasciare la casa e il quartiere dove mi ero trovata così a mio agio, pur se nella condizione di dover “solamente” arginare una situazione critica. Sì, mi dispiace, mi dispiace davvero dover tornare!

Dal Cammino di Santiago 2 dicembre 2009 Oggi si torna a casa. Lo ammetto, sono triste e di malumore… Fermo restando la nostalgia che sento per alcune persone, non ho tutta questa voglia di tornare… Mi accorgo ora che tutto sommato fuori stavo bene, che nonostante la stanchezza

fisica, i dolori e la fatica, i disagi, i pochi mezzi che erano l’essenziale per coprirmi, per dormire e mangiare, la mia mente stava bene, lo spirito era più libero, lo stato d’animo leggero e nonostante tutto sereno. Mi sentivo bene… Ora mi sembra di dover imbrigliare tutto di nuovo, come dover tornare al mio ruolo, alle mie abitudini, ai miei impegni e forse obblighi e non ne ho affatto voglia. Con la testa sto ancora camminando, con la mente sto ancora percorrendo valli e sentieri e se mi fermo per un poco a pensarci più intensamente mi vengono le lacrime agli occhi, tanto sento già la loro mancanza. È da quella condizione mentale che non sarei voluta tornare. Erano così tanto lontani preoccupazioni, pensieri e problemi. Volavo con tutte e due le ali senza dovermi accontentare di volare con una sola, l’altra imbrigliata nella propria vita, nei propri doveri, nelle preoccupazioni quotidiane. Ero aquila e devo riabituarmi a fare il piccione. Pensavo a me e a me soltanto e stavo bene. Mentalmente e spiritualmente libera come non lo sono mai stata in cinquant’anni di vita, come non mi ero mai sentita prima non avendo mai provata questa leggerezza. Eppure tutta la mia casa e tutte le mie cose erano in uno zaino. Pochissime cose a riprova del fatto che il necessario, quello che veramente ci serve è poco e ci riempiamo di superfluo convincendoci che è quello che ci è necessario e utile ed è quello di cui abbiamo bisogno. Persone comprese. Tante appendici che non ci portano benessere, amore e amicizia ma tutta una serie e una rete di rapporti inutili e convenzionali, persone alle quali non si dirà mai che hai voluto loro bene. Ma è casa quella dove a breve sto per tornare o non è forse casa qualsiasi posto dove una persona si sente a suo agio, sta bene, libera e felice? Perché sentiamo l’esigenza di trovarci una tana quando poi iamo il tempo fuori di casa, non la viviamo e la usiamo soltanto per comodità, spesso senza neanche accorgerci di quello che abbiamo, che compriamo o di quello usiamo, tanto tutto è normale e scontato. Perché veramente non viviamo come se l’essenziale fosse invisibile agli occhi e invece ci riempiamo l’esistenza di inutile materiale con cui cerchiamo, forse, di compensare un vuoto spirituale? Chiamiamo casa quella dove possiamo rientrare e trovare il nostro letto, le nostre abitudini, le nostre cose al loro posto, dove sappiamo come muoverci e dove abbiamo il nostro abbigliamento dentro gli armadi. E questo non potrebbe essere dappertutto? Torno a casa e per me che sono legatissima a tutti i miei affetti e così poco incline a lasciarli, questo pensiero mi sconcerta e mi disorienta e non so cosa pensare, non so cosa provo e non riesco a capire che stato d’animo mi scuote. Come prima però mi vengono le lacrime agli occhi e non solo e non perché tra poco riabbraccerò le persone a me

care. Sono come divisa a metà. L’una che vuole o deve tornare, l’altra che non vorrebbe dover tornare. A questo punto capisco quanto sia vera e capisco appieno il significato di una frase che avevo letto a proposito del Cammino, tanto tempo fa e cioè che dal Cammino non si torna mai. Solo ora mi rendo conto del significato intenso di queste parole intese come viaggio della mente, dell’anima e del cuore. Non si torna infatti, lo sento dentro di me e lo rivivo come fosse ora, in questo momento. Mi rivedo camminare, guardandomi dall’esterno come fossi spettatrice. Mi rivedo camminare da sola e guardo una persona che per ore non parla con nessuno, cammina assorta nei propri pensieri e a volte ride da sola, piange e canta da sola per vincere momenti di stanchezza o di sconforto. Questa persona vestita di scuro a volte si ferma e toglie lo zaino dalle spalle per riposare un po’, poi si rialza e rimettendo lo zaino in spalla riprende a camminare per vallate verdi, per sentieri di bosco e annusa l’aria, di foglie e di umido l’odore. Una persona che fatica a camminare nelle salite che incontra durante il percorso ma che non pensa mai di rinunciare e di cedere alla fatica, che con caparbietà va avanti verso la sua meta. E mi vedo, guardando come se guardassi un film, avanzare con la pioggia che mi batte sul viso, con il vento che mi sferza con la sua forza e che mi sposta, facendomi perdere l’equilibrio, che mi strappa le giacche di dosso. Mi vedo lottare per tenere ferma e difendere me stessa e la roba che indosso mentre avanzo a testa china, bagnata fradicia, per cercare di sopraffare gli elementi della natura che cercano di avere la meglio su di me. Questa natura così bella da commuovere, ma dura e difficile da vivere, a tratti materna e a tratti matrigna, come è stato anche se per una sola settimana o forse proprio in quella settimana, che non è una settimana di vita normale. È quella del Cammino, quella che rimarrà impressa nella memoria in un ricordo indelebile e vivo, in un viaggio perpetuo immagino pieno di nostalgia, a giudicare dallo stato d’animo che mi pervade.

Messaggi Celesti 18 aprile 2011 Ora puoi avere tutto ciò che desideri, è per te il momento della felicità, la vita che hai sognato e soffocato torna a te con impeto forte. Tutto quello che desideri

ti verrà dato, ora è il momento della tua gioia e della serenità. I tempi sono maturi perché tu possa ora finalmente tornare alla vita, tornare a sorridere. Tutto sarà come tu sai, perché nel profondo della tua anima già sapevi e conoscevi. Solo questo noi possiamo dirti, apriti alla vita, apri il cuore e accogli, apri la mente e vola, cresci e avanza nella luce. Pace a te, pace nel cuore. Oman

Sulla via della quotidianità 12 maggio 2011 “Ciao Mariella, sono io, come stai?” “Ciaooo cara, tutto bene, tu come stai? Hai novità?” “Abbastanza bene, insomma… sì, ci sono delle novità. Senti, ci vediamo per un caffè, facciamo una eggiata insieme? Ho bisogno di uscire, respirare, di camminare in compagnia. Che ne dici?” “Ma certo, mi fa piacere, dai, vediamoci, così ti racconto anche le ultime mie…” “E quindi, dopo questa decisione, che farai ora?” “Niente, continuerò periodicamente a fare dei cicli di fitoterapia e niente altro. Come prevenzione e per sostenere il sistema immunitario. Ho fatto tutti i controlli il mese scorso ed è grosso modo tutto a posto, non c’è traccia di ripresa, anche se il fegato comincia ad accusare gli effetti dell’assunzione degli ormoni. È risultata una leggera steatosi. A parte questo sono contenta di questi esami, sono rassicuranti!” “E cosa sarebbe questa steatosi?” “Forse ne hai già sentito parlare come fegato grasso. È una patologia cellulare del fegato legata all’accumulo di trigliceridi, che può avere diverse cause, tra le quali anche l’assunzione di ormoni. Per me basta, va bene così, sinceramente ho bisogno di staccare la mente. Voglio accantonare anche il solo pensiero di dover gestire un problema che non ho e che non sento di dover trattare come tale. Sto bene e voglio cercare di eliminare questa pesantezza che mi sto portando appresso da mesi. Ho detto alla dottoressa che non intendevo proseguire con la

cura Di Bella e che avrei smesso anche l’ormonoterapia e non solo perché mi ha gonfiata. Ho avuto uno dietro l’altro tutti gli effetti collaterali indicati nel bugiardino… Sarà perché comunque l’ho avversata da subito ed era appunto proprio quella terapia che ho dovuto incominciare anche se non avrei voluto. Non volevo prendere medicinali, ma su questo punto era stata irremovibile e mi aveva convinta ad assumere gli ormoni. Il mese scorso a fine aprile sono tornata a Roma per l’ennesima volta proprio per incontrarla e le ho comunicato che rinunciavo alla cura, a qualsiasi tipo di cura.” “E lei, immaginando che non sia stata d’accordo, che ha detto?” “Per niente d’accordo, infatti. Mi ha contestato questa decisione e se pur con un tono molto comprensivo mi ha comunque trattato come un’incosciente e mi ha messo in guardia sui pericoli della sospensione della cura, soprattutto per quanto riguarda la cura ormonale che agiva da inibitore abbassando i livelli di estrogeno. In caso contrario e continuando a produrre estrogeni, che pare sia uno dei fattori di rischio per la comparsa del tumore al seno, si può presentare una recidiva. Basta così per me, quello che sentivo di dover fare l’ho fatto. Ora ho bisogno di dimenticare e pensare ad altro.” “Lo capisco, del resto hai avuto un carico emotivo non indifferente, hai gestito quasi tutto praticamente da sola!” “Ho dovuto, di certo non avrei voluto gestirlo da sola. Mi ha detto che rischio parecchio e che mi augura non debba mai pentirmi di questa decisione, il che mi ha fatto leggermente incazzare. Le ho risposto che non sapevo cosa sarebbe successo domani ma che non potevo neanche vivere fasciandomi la testa prima che il problema ci fosse nuovamente. E che, se ancora una volta mi fossi trovata a dovermi confrontare con il cancro ci avrei pensato nel momento in cui sarebbe stato necessario farlo. Mi ha detto che chiunque, essendo stato coinvolto e toccato da una malattia così importante, avrebbe preso qualche precauzione. Certo, le precauzioni vanno bene ma credo che nessuno assuma gli antibiotici, senza averne bisogno, solo perché tempo addietro può aver avuto una broncopolmonite. Cosa fa, prende antibiotici a vita perché non si sa mai e a prescindere? Metterà una sciarpa, farà attenzione agli sbalzi di temperatura, à qualche precauzione. Io la penso così, la sciarpa l’ho messa!” “È una decisione molto impegnativa e immagino tu stia continuando a sopportare un peso non indifferente… Non è semplice sicuramente anche perché

devi rapportarti alle persone che ti stanno vicine, spiegare loro la tua decisione.” “Veramente l’ho dovuta spiegare nuovamente anche a me stessa la mia decisione e per l’ennesima volta. Devo dirti che il colloquio con la dottoressa mi ha destabilizzato non poco e ha fatto vacillare, anche se per poco, tutte le mie convinzioni. Sentendola parlare, ma soprattutto dopo, ho avuto una reazione di sana paura, pensando alle condizioni che mi ha prospettato e alla possibilità che queste si verificassero. Non sapevo più cosa pensare e come affrontare questo scenario che mi si presentava come un baratro, un salto nel vuoto. Sono tornata mestamente a casa, sai la stessa della volta scorsa che mi era piaciuta tanto, sono voluta tornare nello stesso quartiere e rivivere ancora quell’atmosfera anche se solo per pochi giorni. Quando mi sono chiusa la porta alle spalle mi sono fatta un pianto, per buttare fuori tutte le emozioni che mi si erano accumulate dentro, ma anche di disperazione perché avevo tutte le idee sottosopra, le mie certezze vacillavano e mi abbandonavano e non sapevo che pesci prendere in quel momento, cosa pensare. C’era anche paura, di aver sbagliato la decisione di sospendere la cura, di dover ricominciare a confrontarmi con l’alieno, tanti pensieri tutti insieme.” “Mi dispiace tanto, capisco che non deve essere stato facile. Sei partita sola?” “Sì, sono partita sola, era solo per qualche giorno. Questa volta non ho nemmeno avvisato nessuno del mio arrivo. Ti ricordi che ti parlai degli amici romani? Ecco, non ho detto niente del mio arrivo. Poi sai che ho fatto? Dopo aver ato due ore a piangermi addosso sul divano, mi sono alzata e mi sono lavata, mi sono cambiata e sono uscita a eggiare. Ho preso il pullman e sono andata a visitare Campo de’ Fiori, una zona che non conoscevo. Sono tornata a casa per cena e l’indomani sono partita per rientrare. Senti, cambiamo argomento? Raccontami un po’ di te, quali sono le ultime tue, sempre i tuoi problemi di relazione con le stesse persone?” “Sì sì, certo, cambiamo argomento. Esatto, i soliti conflitti con le solite persone. Provo a non pensarci, provo a mostrarmi indifferente e a far finta che non mi feriscano. Invece poi ritorno sul problema, anzi, spesso mi sorprendo a pensarci senza che me ne accorga. Sai che a volte mi trovo con la testa immersa in quei pensieri e non mi sono neanche resa conto che ci stavo rimuginando sopra?” “E certo, la mente te lo ripropone. Ti sembra che non ci stai pensando ma in effetti la mente lavora per conto suo, elabora il pensiero e lo porta in

superficie… Per quello ti ritrovi a pensarci, pur avendolo fatto inconsapevolmente. Affiora semplicemente perché il tarlo in profondità c’è e continua a rodere.” “Infatti, e mi innervosisce questo fatto perché sembra che quanto più cerchi di allontanarlo, tanto più si ripresenta.” “Succede questo, lo so per esperienza diretta. È successo anche a me tante volte! Sai, io penso che spesso crediamo di riuscire a gestire le situazioni e di risolverle cercando di accantonarle. Cerchiamo di non pensarci e crediamo che, mettendole da parte, se non ci pesano più emotivamente, possiamo essere in grado di dominarle e possono rimanere lì, senza darci fastidio… Spesso invece, quando una situazione o un contesto che stiamo vivendo ci riporta le stesse dinamiche mentali che abbiamo provato in quella data situazione del ato che pensavamo di aver risolto, il ricordo con tutto il suo peso si manifesta nuovamente e ci grava ancora di più. Arriva il momento in cui bisogna affrontarlo, che è sicuramente la cosa migliore, anche se può voler significare farsi degli esami di coscienza, doversi guardare dentro e in profondità. Ricorda che noi possiamo darci tutte le motivazioni e giustificazioni per non metterci a nudo davanti a noi stessi, ma non puoi andare avanti e vivere il presente se non ti lasci alle spalle il ato, che tiene legati e vincolati attraverso i ricordi. E tu sai bene che vivere il presente è indispensabile per il percorso che stai facendo. Qui e ora è la nostra vita, vivere con consapevolezza l’oggi e ogni cosa che si fa, che si pensa, che si vede e che si sente. Non c’è spazio per il ato e per chi ne ha fatto parte. Qualsiasi cosa sia successa e chiunque sia che ti abbia fatto del male, cerca di vedere i fatti come inevitabili e indispensabili per la tua crescita, dolorosi ma necessari. È anche grazie a ciò che sei potuta andare avanti e crescere spiritualmente. Cerca di vedere le persone solo come essere umani, con le loro debolezze e le loro fragilità emotive, in balia della vita e forse della loro scarsa evoluzione che ha permesso di farti del male, persone che non hanno consapevolezza di se stessi e degli altri, del male che fanno e del dolore che creano. Empatizza con loro, cerca di capirne i motivi, il perché dei loro gesti o parole, in quale circostanza può essere maturato quello che ti ha fatto del male. Cerca di averne comione, compenetrando i loro pensieri di allora e cerca ancora di vederli come una parte di te, persone con le tue stesse difficoltà e limiti e comunque con una scintilla di divino, come quella che tu cerchi di vedere in te, anche se non sono stati capaci di far brillare la loro luce. Tu illumina i loro sbagli con la tua luce e perdona. Perdonali e perdona te stessa per essere stata così presa da quel ricordo e da quel tempo. Ringraziali per averti aiutato a essere la

bella persona che sei oggi e poi lasciali andare, lascia che siano per sempre una parte di te e della tua vita, ma senza più farti ferire, senza fartene più coinvolgere emotivamente, soprattutto senza che tu ti faccia ancora del male. Dato che conosci le loro motivazioni, cerca di comprenderle e consapevolizzale, poi lasciale andare. L’egoismo ci rende persone piccole piccole, chiuse mentalmente e poco evolute interiormente. Tu che hai più strumenti per capirli, più apertura mentale e maggiore capacità di comprensione vedi le loro difficoltà e abbine comione.” “Io cerco di perdonare e di essere indulgente con loro ma sto ancora male quando ripenso ai dissidi e ai contrasti, a tutte le incomprensioni che ci sono fra noi e che mi hanno talmente ferita. Sai quante volte avrei voglia di andarmene, di scappare e lasciarmi tutto dietro, dimenticare e buttarmi alle spalle preoccupazioni, dispiaceri e conflitti. Poi mi crea un’ansia! Sono sempre nervosa, sempre sul chi vive, con un senso di perenne nodo allo stomaco.” “E a me lo dici? Lo so bene che a volte la valigia sembra l’unica soluzione, risolutiva e indolore. Ma non è così, pensa solo alle volte che si parte per le vacanze. Partiamo, dimentichiamo, e quando torniamo troviamo tutto come prima, con tutta la mole di difficoltà che abbiamo lasciato. Secondo me il distacco fisico non serve a molto, o meglio è solo un palliativo, e forse si pensa di lasciarsi dietro tutto non vedendo le persone che ci hanno ferito o non vivendo più certe situazioni, in realtà ci portiamo addosso ancora il problema, se non ci decidiamo a lavorarci per lasciarlo andare. È dentro di noi che dobbiamo recidere e tagliare con le situazioni che non ci piacciono e ci fanno star male. Abbiamo tante opportunità per farlo e sono infinite possibilità anche decidendo, perché a volte siamo obbligati dalle circostanze, di continuare a stare e vivere in determinate situazioni. Bisogna cambiare il nostro atteggiamento e modificare la gestione di queste complicazioni interiormente a noi, così da attrezzarci per contrastarle senza farcene più coinvolgere. È come togliersi un peso dalle spalle e tutto viene visto e vissuto diversamente. Una liberazione!”

Messaggi Celesti 22 maggio 2011 Non puoi più aspettare! Tanto ti è stato dato da subire, hai sopportato anche

troppo. È vero, come tu sai, è stata una tua scelta ma la tua anima bella ora può gioire. Si contano i giorni e arriverà il sole, quella felicità che ti è stata promessa, finalmente sarà per te un tempo felice. A breve tornerà a splendere il sole e il sorriso che meriti di avere tornerà sul tuo viso, e la felicità a riscatto di quanto patito. Aspetta ancora per poco, il disegno divino, la strada è tracciata, la tua vita andrà nella direzione che è stata stabilita. Tu continua con il tuo amore per il prossimo. Pace a te, pace nel cuore. Oman

Messaggi Celesti 29 agosto 2010 Non pensare a niente, ascoltaci soltanto. Questo tempo sta ando e altri arriveranno, tu sei pronta per aiutare, quando sarà il tempo. Noi saremo con te, il tutto è in divenire, tu lo sai. Sei un’anima pronta, non ti lasciare distrarre dai tuoi dubbi, ascoltati e saprai sempre cosa fare. Quello che dice il tuo cuore è la strada giusta. Arriveranno questi tempi e nel bisogno di altri tu ci sarai, sii forte perché grandi prove ti aspettano, tu sai, tu vedi, tu comprendi. Succede a te per volere divino. Concentrati e non pensare ora. Tutto quello che è stabilito è stato scelto dalle anime. Ogni cosa avviene perché ogni anima sceglie il suo cammino. È tutto un divenire, così quello che è stato deciso, scelto di vivere, la strada di ognuno di voi è stata scelta e deve essere seguita e questo ha valenza per tutti. Nel tuo disegno grandi avvenimenti capiteranno ma tu sai che hai scelto di vivere questa strada. Nel cuore pensieri d’amore. Tutto è voluto dalla Luce, la strada e le strade si incrociano e si dividono, si perdono e si ritrovano. E il cammino dell’essere umano continua a crescere con le persone che ha scelto di incontrare. Tutto quello che succede, ricordatelo, è stato scelto e deciso da ogni anima e per ogni ostacolo, per ogni dolore, per ogni sofferenza voi già sapete cosa fare e come vivere. La strada di ognuno è irta di prove. Crescere è superare le prove seguendo quanto è stato scelto di fare. Nella luce si avanza, nella terra del vostro essere umani sono dure le prove ma se avete cuore puro e anima sincera, voi procederete e avrete le risposte. Pace per te, pace nel cuore. Oman

Conclusioni

Dopo questo cammino di vita che considero peraltro formativo, ho intrapreso un percorso che mi ha portato a essere operatrice di reiki e con il mio lavoro cerco di aiutare le persone dando loro energia e di are chi si rivolge a me con l’aspettativa di poter riequilibrare i propri livelli e sistemi energetici, operando a livello fisico e mentale, emozionale e spirituale. Il reiki è un sistema terapeutico tra i più semplici che l’uomo possa conoscere perché è un’energia universale intelligente che si dirige dove serve, lasciando il ricevente in uno stato di profonda tranquillità e benessere. Pratico il reiki, spesso potenziandolo con l’uso dei cristalli e qualche volta delle erbe, per occuparmi del benessere psicofisico delle persone. Ho sempre saputo cosa fare, intuitivamente e soprattutto in relazione ai miei problemi fisici e non solo miei, come muovermi e quali provvedimenti adottare. Uso da sempre le erbe e l’omeopatia, sono apionata di rimedi naturali e terapie olistiche. Io il mio alieno l’ho affrontato così, serenamente e con la consapevolezza che l’avrei curato, ma a modo mio. Devo dire che la malattia è arrivata in un momento in cui mi sentivo forte psicologicamente e fisicamente, in cui avevo già imparato a gestire la mente e le emozioni, grazie al Qi Gong, in cui già facevo meditazione ed ero in grado di mandare l’energia necessaria nella zona interessata, necessaria alla sconfitta dell’alieno. È questo il senso della meditazione con visualizzazione che ho praticato e serve per rafforzare le difese immunitarie, portare guarigione fisica e psichica, una pratica di terapia guidata e canalizzata atta a risanare e riparare i processi omeostatici naturali. È anche una forma di meditazione trascendentale. A oggi so di aver lavorato bene solo seguendo il mio istinto e affidandomi al mio sesto senso, ma anche accompagnata e sostenuta dai maestri delle canalizzazioni, le mie guide spirituali. Oggi, curando prima me stessa sia fisicamente che spiritualmente sono in grado e pronta ad aiutare gli altri e a sostenerli nel momento del bisogno. Esiste un altro modo di vedere e interpretare la malattia ed esiste un modo per combatterla senza doversene fare aggredire, nel corpo e nello spirito. Abbiamo dentro di noi

la conoscenza e la sapienza, che è il nostro istinto, e l’intuito, che è la coscienza di se stessi. Imparando a usare il nostro essere profondo per aiutare noi stessi, guariamo dai problemi e ci autocuriamo, risanando corpo, mente e spirito. La malattia quindi, vista come una opportunità di crescita e di trasformazione, occasione per confrontarsi con se stessi e viaggiare alla ricerca di quella parte profonda, nascosta e lacerata che ha prodotto il sintomo e con questo la malattia. Ho una forte empatia con le persone che mi permette di percepire e capire, vivendole, le loro stesse sensazioni e di partecipare ai loro problemi sentendomi parte degli altri che vivono situazioni di dolore e forte disagio. Mi ritrovo in loro, perché vedo nelle persone quella parte di me che in essi vive, che ha provato sofferenza e dolori, disagio psicologico e problemi di ogni genere. Sento che mi percepiscono come il loro prossimo, l’esterno a loro che li vede e li accoglie con benevolenza e amore e proprio per questo sa ridare fiducia, facendoli sentire compresi e amati. Oggi sono io la persona che li sostiene e li aiuta a superare le difficoltà, domani diventeranno il prossimo di altri, in caso di necessità e bisogno. Io semino e se ho seminato bene avranno imparato a trattare gli altri, come io mi sono comportata con loro. E se questo avesse un effetto domino, nel mondo avremo amore e solidarietà, comprensione e sostegno reciproco, un clima di pace e serenità globale. Con la pratica del Qi Gong, ho appreso soprattutto la capacità di sviluppare energia che inizialmente si impara a usare a proprio beneficio. Ho poi trovato la maniera di metterla in pratica attraverso il reiki indirizzando verso l’esterno quella energia universale che è patrimonio di tutti, della quale tutti facciamo parte e da cui possiamo attingere, di cui io mi faccio tramite e parte integrante. Così riequilibrando e armonizzando il paziente, questo si sentirà a sua volta di far parte ricongiungendosi alla sorgente di luce originaria da cui siamo arrivati. Siamo parte dell’energia universale che ci circonda e dovremmo aspirare a partecipare consapevolmente a questo sistema, per sentirci in armonia sia interiormente, sia con il mondo esterno e con la sorgente divina da cui discendiamo. Prenderne coscienza e consapevolezza rende possibile l’accettazione di tutto quanto ci capita nella vita, di più semplice e facile comprensione, anche le situazioni più gravi e impegnative. Accettazione e non rassegnazione significa appunto comprendere e dare un senso a tutto quello che succede nella consapevolezza che quello che ci capita abbia un significato e

qualcosa da insegnarci e che sia una lezione da imparare per portarci sempre più avanti nel cammino della realizzazione interiore e spirituale e guidarci per sentirci parte integrante del Tutto di cui facciamo parte, senza sentire superiorità di appartenenza, ma con umiltà e benevolenza e soprattutto amore verso tutto e tutti, in armonia ed equilibrio. Ognuno di noi è parte del tutto e al tempo stesso un individuo unico, ha il suo percorso di vita e tutti noi seguiamo un sentiero personale ma è anche vero che ogni nostra azione, decisione e comportamento ci connette agli altri e alle cose e questo ha effetto su ogni altra persona o cosa. Dare amore e comione significa solo che amiamo nel prossimo e nella Madre Terra, negli animali o nelle piante quello che amiamo in noi stessi, che rispettiamo e con cui siamo in armonia. Amare se stessi, prima ancora che gli altri, significa poter proiettare all’esterno quei sentimenti che proviamo per noi stessi, conquistati attraverso la conoscenza e la fiducia. Solo in questo modo, possiamo vedere e riconoscere negli altri un riflesso di noi stessi, accettandolo e amandolo per quello che è e per la sua unicità. Se riusciremo a vedere negli altri quella luce, quel piccolo riflesso di divino che è proprio di ogni essere vivente, quella parte di noi stessi, avremo risolto la maggior parte dei conflitti interiori che sono poi quelli coinvolti e deputati alla destabilizzazione del nostro equilibrio mentale e quindi del nostro benessere e della nostra salute. Eliminando paure e ansie, conflitti e contrasti con gli altri e con noi stessi, eliminiamo le tensioni interiori. Eliminiamo con esse buona parte della sofferenza e della difficoltà di vivere che porta spesso le persone a provare insofferenza e a vivere nel disagio e con pesantezza la quotidianità, senza gioia e senza nessun appagamento interiore, nella ricerca costante di liberarsi dall’insoddisfazione della vita e di riempire un vuoto che sembra incolmabile. Niente di tutto quello che di materiale si ha sembra poter colmare la nostra vita, e ci lascia svuotati e depressi, spesso infelici. Amando noi stessi e gli altri torniamo a essere Uno, l’unico scopo autentico di ogni essere. So che sarebbe arrivato un momento in cui sarei stata come un faro di luce nel bisogno di altri. Così mi dissero le guide: “Nel momento del bisogno di altri, tu ci sarai”. È il mio compito su questa terra, è quello che ho scelto di fare tornando a incarnarmi: aiutare le persone, ma di più ora in età matura, con una diversa

consapevolezza e crescita interiore. Aiutarle a crescere e a centrarsi con se stesse, con il loro sé superiore e la coscienza universale. Farle ritrovare con la propria anima. Mi dissero di donare agli altri il mio essere come persona, di essere semplicemente me stessa e di cominciare a divulgare le mie conoscenze. È arrivato il momento e sono contenta di questo!

Il servizio di Kryon Inviate l’intelligenza del cosmo tramite un raggio di luce spirituale… Siate colui che si erge nel suo faro e dice… Questa è un’energia che sa cosa fare. È una energia che coopera con la mente e l’anima umana, ed eleva nella sua percezione. È un’energia saggia ed equilibrata, la vera arma in questa battaglia spirituale… Quando accendete la vostra luce, tutti quelli che stanno nel buio la vedono e potreste diventare un bersaglio. Non vi potete più nascondere… Gli operatori di luce sembrano persone comuni e nella media. Essi sono persone equilibrate e vorreste sempre stare accanto a loro. Avete mai incontrato una persona con la quale volevate semplicemente stare insieme? eggiare insieme? Sono belli dentro e vi sanno ascoltare. Dicono cose sagge e appropriate. Non giudicano o prendono in giro nessuno. Non c’è tensione attorno a loro. C’è una radiosità che potete percepire. C’è gioia. Un operatore di Luce ha il suo DNA costantemente attivato e lavora spiritualmente su se stesso… Vi ricorda qualcuno? Tratto da Gli operatori di luce su www.stazioneceleste.it

Messaggi Celesti 11 febbraio 2012 Diletta, tu chiamami, io sono con te sempre. Tutto va come deve, non si può fermare il corso di un fiume, né interrompere la pioggia che cade. È ora il momento del riposo, ma tutto quanto appreso sarà per te fonte di luce, pace e gioia nel tuo cuore. Tu lascia parlare il cuore e segui la tua strada. Ora hai

capito quale e percorrerla ti sarà facile. Il tuo compito è divulgare e portare conoscenza. Tu puoi farlo, seguendo gli eventi come ti si presentano… Non cercare, non aspettare. Sai bene che tutto arriva quando deve, al momento giusto. Ora è il momento per determinati cambiamenti e miglioramenti. Tutto il resto arriverà nel tempo necessario che arrivi. Quando lo capirai strada facendo. Segui la tua strada e tutto avverrà di conseguenza. Tutto è già stato scritto e tutto sarà. Pace a te, pace nel cuore. Oman

Un flash Qualche tempo fa, mentre ero intenta a fare tutt’altro che pensare a fenomeni metapsichici o trasmissioni di messaggi celesti (per quanto queste manifestazioni già fero parte della mia vita), una visione mi attraversa la mente… vedo una piccola porta di legno a riquadri, celeste, come quelle che usavano un tempo le case di paese, che si affacciavano direttamente sulle strade, separate dall’esterno dai muri perimetrali e dal portoncino. Presi un foglio e iniziai a riprodurre ciò che avevo registrato mentalmente. Mi resi conto che corrispondeva al portoncino della casa della mia primissima infanzia, quella casa con la piccola corte interna, dove tutto è cominciato. Solo il colore è diverso. Verde quello dei mei ricordi… Nella visione, in orizzontale sulla porta, una dicitura: La Porta Celeste… A questo fatto non ho dato una spiegazione e quindi è tutto andato avanti molto semplicemente, come sempre, nella quotidianità di una vita normale. È mentre disegnavo la porta cercando di riprodurla fedelmente che mi accorsi che aveva sì la toppa per infilare la chiave ma non la maniglia… Quindi la mia porta celeste aveva la toppa ma non la maniglia. La conservai e la tenni da parte, insieme alle altre immagini. Quando mi venne in mente l’idea di scrivere la mia storia, ricordai l’immagine della porta che avevo archiviato e ricordai sul momento il fatto che non avesse la maniglia. Mi chiesi come fare per aprirla. La sua assenza poteva sembrare un ostacolo, costituire un deterrente e farmi desistere dall’idea che questo libro sia stato in qualche modo ispirato, voluto, suggerito dai maestri e dalle mie guide. Non ho mai pensato di non trovare un modo per aprire la mia porta celeste, al contrario ho sempre creduto che avrei trovato il modo corretto quando sarebbe stato il momento. Tutto quello che è successo al di là di quella porta e tutto quanto succederà aveva

solo bisogno di essere raccontato e mi avrebbe poi fornito la soluzione. Avevo delle opzioni che tenni in considerazione: non tentare di aprire la porta tacendo la mia esperienza e non condividendola con altri, oppure raccontare e idealmente sfondare la porta (e anche quel muro di riservatezza che è sempre stata la mia vita), semplicemente facendo entrare, metaforicamente, un pubblico a guardarci dentro e a condividere la mia storia. Infine ho elaborato anche un terzo modo per aprirla, il più semplice: la porta si apre a scatto, basta infilare la chiave nella toppa e farla girare sino a sentire un tac. Click, la porta si apre…

Il servizio di Kryon …Guarite i malati equilibrando il loro organi. La vostra entità dovrà comunicare direttamente con colui che è fisicamente squilibrato… Assumetevi la responsabilità del processo di guarigione, ma non sentitevi responsabili per ciò che può sembrarvi una guarigione fallita… Questo spetta a Dio, non a voi… La vostra magia di oggi sarà la routine di domani… Quanto più tempo dedicherete a far esperienza di ciò, tanto più facile sarà per voi essere un canale pulito per le vostre informazioni, il vostro insegnamento e la guarigione. Tratto da L’energia dell’Amore su www.stazioneceleste.it

Appendice

Il Reiki

Reiki è amore, sapienza e verità. La parola reiki viene dal giapponese e significa energia vitale universale. Nasce dall’unione di due concetti: Rei che descrive l’aspetto universale e illimitato di tale energia e Ki che rappresenta l’energia individuale. Quindi si può dire che il reiki coniuga l’energia universale con l’energia individuale, così come il cielo con la terra per il giusto equilibrio energetico. Il reiki ci restituisce la visione completa della vita perché è uno dei modi in cui l’uomo può ricongiungersi con la sua componente spirituale. L’energia reiki dà un beneficio immediato, aumenta le difese immunitarie del corpo, scioglie i blocchi e le tensioni da stress, sostiene nei casi di depressione. Neutralizza gli effetti collaterali dei farmaci, aiuta a guarire prima dalle malattie, allevia il dolore, cura insonnia ed emicranie. Può essere praticato su adulti, bambini, animali e persino piante, oltre che ai farmaci, per combatterne gli effetti collaterali. Il reiki, che ha le sue radici nel buddismo tibetano, è un antico e semplice metodo di cura tramite il tocco delle mani. Si ispira a un modello naturale e olistico di cura, nel quale l’uomo è visto come unità inscindibile di corpo, mente e spirito e la malattia come manifestazione fisica di una condotta di vita. Si ispira anche al modello energetico della fisica quantistica, che considera il corpo non solo nella sua materialità fisica o chimica, ma anche come energia vitale, che si esprime biologicamente nelle reazioni biochimiche e biofisiche che avvengono nelle cellule, nelle emozioni e sensazioni che attraversano il nostro corpo, nel linguaggio e pensiero della nostra mente, nello scambio con l’ecoambiente, per cui il campo elettromagnetico umano e i campi elettromagnetici del nostro universo si scambiano continuamente informazioni energetiche. Il reiki interviene sugli elementi psico energetici della personalità e promuove la

reintegrazione e il riallineamento del complesso asse corpo-mente-spirito. Per questo viene classificato tra le terapie della medicina o terapie del campo energetico. Tra gli effetti psicofisiologici indotti il ripristino dell’equilibrio dei neuromediatori cerebrali e un aumento di onde alpha e delta evidenziabili con EEG; la diminuzione della pressione arteriosa; la diminuzione del ritmo cardiaco; la diminuzione del consumo di ossigeno; la diminuzione della tensione muscolare. Numerose ricerche hanno quindi evidenziato una migliore qualità di vita in pazienti con diverse malattie trattati con il reiki. Come tecnica di contatto manuale il reiki si colloca tra le più efficaci tecniche dolci di rilassamento e analgesia, e si è dimostrato efficace nella terapia del dolore anche oncologico, nell’assistenza pre e post-operatoria, durante i trattamenti chemio e radioterapici, nel malato oncologico avanzato e terminale e negli stati ansioso depressivi in genere. Lo stato di rilassamento mentale che un ciclo di trattamenti reiki produce dura per più settimane ed è in grado di alleviare i sintomi fisici e psichici spesso presenti nel decorso della malattia oncologica. Possibilmente da abbinare a tecniche di meditazione che si è rivelata forse la tecnica più efficace nei disturbi d’ansia e di talune depressioni minori, così come nella terapia del dolore anche oncologico sia acuto che persistente.

Lo Strato Nove del DNA

Lo Strato della Guarigione. Kryon Mosca, Russia. 14 maggio 2010

Il DNA sa chi siete… è l’elemento sacro dentro di voi. Voi pensate che il DNA sia chimico. Lo è, ma solo circa il tre percento di esso è chimica 3D. Il resto è informazione multidimensionale nascosta in quel che appare come chimica casuale. La scienza lo vede a modo suo, perché osserva la doppia elica in cui ci sono tre miliardi di parti chimiche in ogni molecola di DNA … Tuttavia, quando

la scienza studia questa chimica, vede soltanto quel tre percento che in realtà non fa nulla. Questo tre percento è il sistema lineare che crea tutti i geni del corpo umano. Tutto il resto della chimica, che rappresenta più del novanta percento della totalità del vostro DNA, non è capito perché la scienza cerca sempre la linearità. Gli scienziati vogliono esaminare le cose che si aspettano di trovare nella loro realtà. Poiché il novanta percento che vedono sembra un mistero, continuano a concentrarsi solo sul tre percento, perché è quello che sembra fare tutto il lavoro… Tra le 12 energie del DNA sono parecchie a essere molto interessanti per l’umanità… lo chiameremo lo Strato Nove del DNA. Ci riferiremo allo Strato Nove come allo Strato della Guarigione. Il DNA funziona così: ha una forte dualità. Vale a dire, c’è una parte lineare e una parte multidimensionale. La parte lineare è evidente e semplice, occupa meno del cinque percento del tutto. La parte multidimensionale, che è la maggior parte del DNA, è complessa e difficile da spiegare. Lì c’è il vostro Registro Akashico, cioè il pacchetto energetico di informazioni delle vite che avete vissuto qui… Lì c’è il Sé Superiore. Lì c’è tutto ciò che definite spirituale. Il DNA è spiritualmente intelligente ma solo se vibrate a quel livello più elevato che gli permette di funzionare pienamente. Questo è il motivo per cui la maggior parte dell’umanità è consapevole soltanto del tre percento di esso e non dà per nulla credito all’altra parte. Parliamo di ciò che sono la salute e la guarigione. Su questo pianeta, da più di vent’anni state ricevendo un po’ per volta dei nuovi attrezzi per lavorare con l’aspetto multidimensionale del DNA. Oh, i guaritori presenti in sala lo sanno! Sanno cosa succede a un guaritore che ha davanti a sé un Essere Umano. Il guaritore e il paziente sono nella stessa stanza e il campo del DNA di entrambi si estende per otto metri. I guaritori stanno davanti a colui che ha bisogno della guarigione e i loro campi si sovrappongono e si parlano, trasferendo informazioni. In questo trasferimento c’è conoscenza, la conoscenza di tutto quanto reagisce a livello quantico e atemporale… Le parti multidimensionali che sono presenti nel DNA furono progettate per essere intelligenti… C’è un’incredibile energia di guarigione nello Strato Nove del vostro DNA che è in attesa di istruzioni quantiche per modificare sistematicamente il suo stesso schema. Poiché il DNA opera in modi multidimensionali. È ora che lo ascoltiate… Vi rivelerò le energie più forti per il DNA multidimensionale: la coscienza Umana. Nel campo del DNA di cui ho parlato prima, voi avete una coscienza

sacra e la vostra coscienza parla alla struttura cellulare del vostro corpo ogni giorno. Può rafforzare il sistema immunitario e cacciare la malattia, perché l’energia della coscienza Umana è in realtà soltanto energia informativa. Invia istruzioni affinché il corpo cambi. Lo Strato Nove del DNA è lo strato della guarigione, ma deve lavorare insieme allo Strato Uno del DNA, lo strato chimico della doppia elica. Deve farlo! Questo perché voi potete essere multidimensionali quanto volete, ma la guarigione dovrete vederla nella vostra realtà, non vi pare? La parte multidimensionale, la seconda parte, deve lavorare con la parte 3D, il motore dei geni. Così, ecco che avete un 9 che opera con un 1. Quando li unite, ottenete un 10 che, in numerologia, si riduce a 1. Fateci caso. L’inizio (1) e la fine (9), è completamento e rinnovamento (9+1=10=1). Numerologicamente avete l’inizio e la fine, e questi lavorano insieme come conclusione di una vecchia informazione e inizio del nuovo… è così strano che la coscienza inventiva del cervello umano possa essere influenzata dallo scopo e dall’intento? Pensi forse che tutto questo parlare di magnetismo riguardi la Terra? No. Riguarda il DNA. Le cellule sono magnetiche, e non magnetiche in modo semplice, ma complesso. Tutte quante. La biologia si sviluppa così: una cellula vede la conformazione magnetica dell’altra e, come una chiave nella serratura, vi combacia; le cellule sanno cosa fare. Eccovi ora un’immagine standard: arriva un virus, un virus bello sveglio, e magnetico! Anche il virus è biologia ed è anch’esso multidimensionale. Ha pure il DNA, non c’è alcun dubbio. Ha degli obiettivi e anche una sua intelligenza. Proprio come voi, anche il virus ha il suo istinto di sopravvivenza. Osservate come astutamente si attacca alla cellula. Come? Imita il magnetismo che appartiene alla cellula sana! Ecco quanto è sveglio e in gamba. La cellula ospitante viene ingannata da questa stretta di mano, i due si uniscono ed ecco: il virus è dentro. Entra nel sistema cellulare e inizia velocemente a prosperare e a riprodursi. Ora, la reazione 3D del corpo è che una volta che i due si combinano, la chimica della cellula riconosce di essere stata ingannata, perché una volta dentro, il virus non può più mimetizzarsi. La cellula ospitante, allora, chiede aiuto e qui arriva l’esercito! Le grandi cellule bianche del sangue, deputate a combattere la malattia e a uccidere l’invasore arrivano di corsa. Le cellule bianche arrivano in massa e sono lì, ma il virus è completamente invisibile! Non riescono a vederlo perché imita la struttura della cellula che lo ospita grazie al magnetismo che è stato in grado di riprodurre. Le cellule bianche non sanno cosa fare! Hanno ricevuto il segnale che c’è qualcosa che non va, ma

non riescono a distinguere il nemico. Ora, c’è qualcosa di sbagliato nello scenario descritto sopra ed è il modo in cui il vostro corpo è progettato in questo funzionamento. Vorrei raccontarvi il resto della storia. Ecco che improvvisamente arriva un gruppo di istruzioni multidimensionali. Può essere che stiate operando con il Reticolo, il vostro campo quantico, un sistema con cui potete operare un processo un o alla volta. O, forse, state vibrando a un livello sufficientemente alto che quello scenario non vi serve più e sapete parlare alle vostre cellule direttamente, senza nessuna struttura 3D. Bene. È quello che facevano tutti i maestri di questo pianeta. Questa parte che oggi manca, gli antichi la conoscevano e sapevano cosa fare. Ora, continuiamo il racconto. C’è la cellula, bella sana e pronta per la stretta di mano della divisione. Ecco che arriva un virus, esattamente come prima. Questa volta, però, il DNA ha ricevuto un’ulteriore informazione e la cellula ospitante ora riesce a vedere il virus! Ha ricevuto un’informazione che dice: «Quando vedi arrivare il virus, cambia la tua conformazione magnetica.» Il virus va dalla cellula come prima, ma questa volta non ci sono chiave e serratura. Questa volta non c’è una stretta di mano ad accettare la divisione cellulare o l’inganno. La cellula chiama le cellule bianche, che arrivano come prima ma questa volta vedono il virus, perché non è stato capace di ingannare la cellula ospitante e combinarsi con essa. È lì da solo e viene immediatamente distrutto. Oh, ma non è tutto! Vedete, il DNA è intelligente, è quantico e quindi, invia un segnale ad ampio raggio. Lo Strato Nove (lo strato della guarigione) risponde e modifica le proprietà magnetiche di cento trilioni di pezzi e parti del corpo umano; l’intero set di istruzioni sistemiche del DNA cambia di colpo. Il virus non ha nessuna possibilità. Tutto il corpo lo sa. È insito! Lo Strato Nove è il vostro miglior difensore contro le malattie più aggressive conosciute dall’uomo, anche quelle “incurabili”. Una forza interdimensionale ha riscritto il programma che ha permesso alle cellule di difendersi. Il cancro è aggressivo e il corpo viene ingannato ad accettarlo. Il corpo non lo vede come una crescita squilibrata. Non chiama neppure per aiuto. La verità è che è lo Strato Nove a essere progettato per riconoscerlo e fermarlo. Senza un nuovo tipo di set di istruzioni per il DNA esistente, tuttavia, nulla funziona. È necessario che la coscienza umana operi insieme a esso. Avete mai sentito parlare di remissioni spontanee? Pensavate che potessi darvi una risposta? Non è

un mistero. L’Essere Umano aveva riscritto le istruzioni del DNA! Come si crea una nuova conformazione del tessuto cellulare? Cambiando la struttura magnetica. Si possono dare alla struttura cellulare istruzioni sistemiche affinché costruiscano dei nuovi tessuti là dove non c’erano più. Questo l’ho detto molte volte in ato e lo dico nuovamente qui. Verrà il giorno in cui saprete far ricrescere un braccio o una gamba. Come? Tutto quello che dovete fare è dare al DNA delle nuove istruzioni sistemiche. Le vecchie istruzioni gli dicono di realizzarlo solo nel grembo. Modificate le istruzioni! Tratto da www.stazioneceleste.it

Il servizio di Kryon

Le premesse che vi abbiamo dato durante tutti questi anni è che un Operatore di Luce è una persona che invia luce. …I fari non vengono mai costruiti in luoghi tranquilli… Essi inviano luce alle anime che hanno bisogno di vedere e aiutano a dirigere le navi nella sicurezza del porto… Quindi, in questi difficili tempi di cambiamento, molti di voi sono veramente dei fari spirituali per il pianeta… Una presenza limpida e divina che influenza l’oscurità che circonda l’umanità, che dà la possibilità di scelta… Non inviare le tue idee o i tuoi pensieri… Solo Luce… Tratto da Fari di Luce su www.stazioneceleste.it

Il Qi Gong

Il Qi Gong è una disciplina di arti marziali di stile interno che tradotto letteralmente significa lavoro con l’energia, il Qi appunto, ed è un insieme di tecniche volte a favorire la corretta circolazione energetica nell’essere umano.

Grazie alla sua conclamata capacità di migliorare le condizioni fisiche, psichiche e spirituali dell’individuo, è ormai riconosciuto che il Qi Gong abbia effetti benefici ed è praticato in tutto il mondo. Si tratta di una disciplina tradizionale cinese, un metodo che studia e insegna come coltivare l’energia interna del corpo attraverso specifici esercizi la cui pratica migliora la salute e rinforza il fisico armonizzando i tre fattori principali ovvero: respiro, postura e pensiero. Nata più di quattromila anni fa come pratica d’uso popolare per curare o comunque limitare le malattie, fortificando il corpo, la pratica del Qi Gong è considerata uno dei più importanti elementi del patrimonio culturale della Cina. Il Qi Gong successivamente fu assimilato dalle dottrine Taoiste e Buddiste che lo interpretarono e integrarono secondo i loro principi filosofici, affinando le tecniche e ottimizzandone i benefici. In occidente, spesso si pratica esercizio fisico per apparire più belli esteriormente, per avere i muscoli scolpiti e il fisico asciutto e gradevole alla vista. Si dà molta importanza all’aspetto esteriore e a questo si dedicano tempo ed energie. Tutto questo non è sbagliato, ma è solo la parte più semplice della cura che possiamo prenderci del nostro corpo. È inutile avere tanti muscoli se poi questo eccesso crea degli scompensi posturali non indifferenti e delle rigidità che scoordinano il corpo e ne limitano i naturali movimenti. È inutile cercare di migliorare la propria pelle con creme e pasticche se il problema è dato da una vita sregolata e sedentaria. Spesso si cura la parte esteriore del problema, che normalmente è il risultato di un qualcosa di più complesso che parte da dentro. Spesso non andiamo a fondo nei problemi ma ci accontentiamo del rimedio superficiale, estetico o esteriore. Il Qi Gong ricalca esattamente i principi base della Medicina Tradizionale Cinese. Principi che hanno dato origine a metodi di cura quali l’agopuntura, ancora oggi poco riconosciuta ma molto usata, anche dai medici occidentali. Il Qi Gong è pratica basata su metodi posturali, respiratori e meditativi, statici e dinamici, vigorosi e morbidi, atti a riequilibrare, coltivare, potenziare e raffinare le energie del praticante e che permettono di rinvigorire la muscolatura, sciogliere le articolazioni, rafforzare tendini e legamenti e riallineare postura e colonna. L’approccio cinese alla comprensione del corpo umano è unico e basato sulla conoscenza olistica dell’universo delineata nei principi spirituali del Taoismo. Tale conoscenza ha prodotto un insieme di pratiche altamente sofisticate e di indubbia efficacia, collaudate e consolidate nel corso dei secoli e finalizzate sia al relax del corpo e della mente, sia alla cura delle malattie e il mantenimento della salute e del benessere, dal valore tanto preventivo quanto terapeutico. Pratiche come l’agopuntura, l’auricoloterapia, la fitoterapia, la dieta, il Qi Gong (meditativo, marziale, medico), pur sembrando molto diverse nell’approccio,

condividono tutte il medesimo insieme di assunti e intuizioni di base, relativi alla natura del corpo umano e alla indivisibile unità fra corpo e mente: una verità preziosa e innegabile, purtroppo dimenticata dalla medicina e dalla scienza occidentale e che proprio grazie alla medicina cinese può essere recuperata e valorizzata, apportando così enormi benefici psichici, fisici ed energetici alla salute del paziente.

Tra i diversi tipi di Qi Gong praticati: Qi Gong medico. è branca della medicina cinese, si occupa di ripristinare equilibri perduti e di curare malattie e sindromi a diversi livelli di gravità. Oggi sia in Cina che in America, ma anche in modo crescente in Europa, si sta dimostrando scientificamente quanto sia potente il Qi Gong medico nel curare problemi di salute seri come malattie cardiovascolari, degenerative, neurologiche, endocrine, autoimmuni. “Il Qi Gong terapeutico è in strettissimo rapporto con la Medicina Tradizionale Cinese di cui fa parte integrante. È basato su una corretta e minuziosa osservazione delle reazioni dei meridiani e degli organi di fronte alle attività energetiche. Questo approccio tiene conto delle funzioni dei meridiani, dello Jin (forza), del Qi (energia), dello Shen (Spirito), dei liquidi organici, del sangue e degli organi. Alcuni metodi particolari, inoltre, sono stati sviluppati allo scopo di guarire le malattie. Essi diventano allora vere e proprie applicazioni terapeutiche specifiche.” Qi Gong marziale. Si tratta di una serie di tecniche statiche e dinamiche volte a potenziare il flusso di energia nei meridiani, allo scopo di tonificare il corpo, aumentarne la resistenza agli sforzi, ridurre al minimo l’impatto negativo delle emozioni non adeguatamente gestite, tonificare fortemente il sistema immunitario. È importante per regolare la capacità di esprimere se stessi nel quotidiano, sia come atleti che caratterialmente, a livello personale. Utilissimo per chi pratica meditazione cinese, o per chi voglia potenziare le proprie risorse. “Il Qi Gong marziale ha l’obiettivo di rafforzare il corpo, soprattutto di aumentare la capacità di resistenza alle aggressioni esterne (traumi o malattie), e l’emissione di Qi, di energia, attraverso i propri colpi. Aumenta inoltre la capacità di concentrazione degli atleti marziali.”

Qi Gong meditativo. Corrente del Qi Gong di estrazione filosofica Taoista. Scopo della pratica è l’armonizzazione dei tre aspetti della persona: corpo, spirito e mente. Il profondo rilassamento indotto, l’autocoscienza che ne deriva, la capacità introspettiva e la possibilità di sciogliere i nodi interiori che ogni persona ha, consente di raggiungere stati di comprensione superiori a quelli in cui ci si trova normalmente e di diminuire sempre più le barriere tra microcosmo personale e macrocosmo esterno, generando una consapevolezza universale che dimostra di essere un’espansione della coscienza del sé superiore. “Riuscire a porre lo stato mentale in una condizione di equilibrio stabile, permette di raggiungere lo scopo di un vita calma e serena. Utilizzare la mente meditativa significa usare la propria coscienza per interrompere attività mentali distraenti che forniscono soltanto la base per eccessivi desideri e future preoccupazioni. Solo quando saprete ciò che volete davvero, la mente avrà pace e sarà in grado di rilassarsi emotivamente. Quando la mente è raccolta e concentrata, il Qi fluisce e si riesce a ottenere ciò che si vuole. Questo addestramento permette di venire a contatto con se stessi a un livello più profondo e d’avere un tempo necessario per sperimentare su se stessi, in modo da divenire consapevoli di ciò che sta accadendo nel proprio corpo”, ricevendo nel contempo informazioni da quella parte della coscienza che solitamente e in condizioni normali non si usa, la coscienza di sé.

Il Metodo di Bella

La terapia Di Bella è una combinazione di farmaci prevalentemente naturali, di preparazione galenica, e di altri farmaci di uso comune il cui scopo è di modificare l’ambiente metabolico intorno alla cellula tumorale rendendoglielo sfavorevole senza danneggiare le cellule sane né i naturali sistemi di difesa. L’obiettivo è di ridurre le capacità proliferative delle cellule mutate e di impedire l’impianto di nuove metastasi nei tessuti sani, ma anche quello di stimolare le difese naturali dell’organismo nei confronti delle cellule del tumore. Questo complesso di azioni tende a stimolare il fenomeno di apoptosi e cioè di morte naturale delle cellule malate. La filosofia di questa strategia è quindi diametralmente opposta a quella

oncologica convenzionale dove si tende a danneggiare le cellule tumorali accettando implicitamente i danni che gli interventi curativi provocano alle cellule sane e al sistema immunitario. La terapia del professor Luigi Di Bella, portata avanti dai figli Giuseppe e Adolfo, agendo sulle cellule sane e sul loro metabolismo e non direttamente sulle cellule tumorali, si propone di stimolare i meccanismi naturali di lotta dell’organismo e, attraverso questi, di produrre attorno a ogni cellula maligna un ambiente sfavorevole e ostile per le sue funzioni vitali, siano esse di crescita che di riproduzione. Così facendo la terapia cerca di ridurre le capacità vitali e riproduttive della cellula malata impedendole di crescere e di proliferare in maniera abnorme. Nel contempo favorisce la “maturazione strutturale”, cioè l’invecchiamento del tessuto tumorale aumentando pertanto le possibilità che le cellule anomale vadano incontro a una precoce apoptosi e cioè alla morte naturale. La filosofia alla base della terapia del Professor Di Bella si basa sul fatto che tutti gli organismi viventi possiedono sia i meccanismi responsabili della differenziazione e della crescita delle cellule tumorali, sia le difese per combattere lo sviluppo delle medesime.Quando si sviluppa un tumore prevalgono i meccanismi che stimolano la proliferazione caotica e incontrollata del nuovo tipo di cellule (neoplasia) che, potranno o meno invadere l’organismo fino a ucciderlo. Visto che i meccanismi di controllo di questo equilibrio tra creazione di cellule neoplastiche e loro controllo appartengono già al patrimonio dell’organismo, per ottenere un efficace contenimento del tumore dovremo soltanto stimolare adeguatamente tutte le funzioni metaboliche che tendono all’eliminazione delle cellule neoplastiche, inibendo contemporaneamente i meccanismi che aiutano invece la crescita tumorale. In questo modo si ripristinerà l’equilibrio originario caratterizzato dalla crescita controllata delle cellule nei diversi tessuti e organi del soggetto. La terapia Di Bella base è composta dalla cosiddetta tetralogia e cioè da quattro farmaci base:le vitamine liposolubili A ed E, i retinoidi somministrate in sciroppo, la bromocriptina, la melatonina e la somatostatina. L’azione antiossidante di alcuni di questi principi attivi contrasta l’azione dei cosiddetti radicali liberi che derivano dal metabolismo ossidativo di diverse molecole sia endogene che esogene. L’impiego delle vitamine A ed E e della melatonina si basa sul fondamento che l’azione mutagena dei radicali liberi è ormai definitivamente dimostrata; tale attività si manifesta non solo inducendo la

nascita del tumore, ma anche orientandone la differenziazione verso la formazione di ceppi cellulari tumorali resistenti. Da qui l’importanza dell’efficacia antiossidante dei diversi farmaci. Le vitamine A ed E e la melatonina, oltre all’efficacia antiossidante, contrastano anche la tendenza all’immortalità, o meglio al mantenersi in stadio giovanile, delle cellule tumorali, che viceversa invecchiando risultano più soggette alla morte naturale. L’acido transretinoico (principio attivo della vitamina A) facilita la coesione intracellulare e quindi impedisce il distacco di cellule dal tumore riducendone la capacità di generare metastasi. Bromocriptina e somatostatina (od octreotide) sono principi attivi capaci di modificare il metabolismo riproduttivo regolandolo su ritmi normali. La somatostatina inoltre, contrasta la crescita di un sistema vascolare specifico per le masse tumorali riducendone la respirazione e la nutrizione. I quattro componenti la terapia, assunti secondo uno schema quotidiano ben preciso che segua specifiche fasi metaboliche circadiane (cioè a orari ben precisi nell’arco della giornata), hanno manifestato una rilevante azione nel combattere la proliferazione cellulare caotica e disordinata caratteristica dei tumori. Da qui la convinzione che questi quattro farmaci sinergizzino tra loro per ottenere nel paziente un ambiente metabolico antitumorale. A cura del dott. Giorgio Castello

Ipertermia oncologica: i miti da sfatare

L’ipertermia capacitiva oncologica è una metodica a radiofrequenza non invasiva impiegata nella terapia dei tumori. La metodica è purtroppo spesso misconosciuta anche dagli addetti ai lavori ed è bene diffonderne la conoscenza, nell’interesse del paziente. Difatti da tempo mi batto per evidenziare che il trattamento dei tumori deve essere necessariamente

multimodale per ottenere un miglior risultato. Attorno alla metodica aleggiano poi dei miti da sfatare. In primo luogo non è una metodica sperimentale. Non più. Certamente proseguono le valutazioni cliniche e i trials per migliorare ulteriormente la modalità di terapia con ipertermia, ma questo accade anche per i trattamenti farmacologici e gli altri trattamenti oncologici nell’ordine di progredire nell’efficacia e nell’efficienza. L’ipertermia è riconosciuta come valida metodica ancillare nella terapia dei tumori in numerosissimi paesi Europei ed extraeuropei. A tal proposito mi preme ricordare che i vari continenti posseggono un coordinamento scientifico riguardo l’ipertermia mediato da associazioni di specialisti in materia e in tematiche oncologiche. Il Sistema Sanitario Nazionale Italiano (SSN) riconosce l’ipertermia come procedura terapeutica e ne prevede l’erogazione in diverse strutture pubbliche sparse sul territorio nazionale. (Si veda il decreto ministeriale 22 luglio 1996 ‘Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale’ codice 99.85. Ipertermia per il trattamento di tumore ricompreso nell’elenco allegato al decreto). Certo, rispetto alla richiesta di prestazioni in ipertermia causata dall’elevato numero di malati che ne gioverebbero, le apparecchiature e le strutture pubbliche eroganti sono esigue. I Colleghi spesso chiedono: interferisce con chemioterapia e radioterapia? Certo, ma non in senso negativo. Le altre metodiche ne risultano potenziate (come testimoniano numerosi studi internazionali). Peraltro il paziente spesso già durante l’applicazione avverte una sensazione di benessere generale legato molto probabilmente alla liberazione di endorfine mediata dal calore erogato in profondità. Altra domanda che spesso mi viene formulata è se si tratta di una procedura invasiva: assolutamente no. Non vi sono aghi da infiggere o fastidi di sorta. L’unico accorgimento che l’operatore deve tenere è la regolazione della potenza dell’apparecchiatura in relazione alla refrigerazione delle sonde che vengono applicate sulla cute. Questo per evitare sgradevoli sensazioni di forte calore sulla cute. Documentato è anche lo spiccato effetto antalgico (antidolorifico) locoregionale. Ogni medico si trova quotidianamente a confrontarsi con un nemico subdolo, insidioso che mina il corpo e lo spirito dell’ammalato e delle persone che lo circondano: il tumore. Tale patologia evoca miasmatiche figure di morte e atterrisce più di ogni altra malattia. L’impegno quotidiano per contrastare le neoplasie è massimo e si avvale di competenze multidisciplinari che si embricano tra di loro. La chemioterapia è un caposaldo nella cura dei tumori. Peraltro oggigiorno la scoperta di nuovi

farmaci a bersaglio molecolare (i cosiddetti farmaci intelligenti) consente di salvaguardare il più possibile le cellule sane e l’organismo ospite a discapito delle cellule malate. La selettività è infatti l’obiettivo di tutta la ricerca farmacologica nel campo della lotta al cancro. Altra metodica di trattamento molto efficace e ulteriormente perfezionatasi negli anni è la radioterapia. Tale terapia sempre più mirata sul bersaglio consente di ottenere moltissimi successi. A tali trattamenti si è affiancata una nuova metodica, basata su vecchi e nuovi studi e principi, denominata ipertermia capacitiva. Il calore nella cura del cancro; esattamente di questo si tratta. Le cellule tumorali risultano meno attrezzate rispetto alle cellule sane (a causa delle loro aberrazioni nella membrana cellulare e nei meccanismi enzimatici citoplasmatici) nello smaltimento del calore e quindi, portate a temperature tra i 42 e i 43 gradi centigradi vengono spinte verso l’apoptosi. Per apoptosi si intende quel meccanismo per il quale una cellula seriamente danneggiata avvia autonomamente un processo di morte frammentando il suo DNA. Il calore erogato localmente in corrispondenza dell’organo ammalato inoltre migliora l’afflusso sanguigno e consente una migliore distribuzione dei chemioterapici nel distretto corporeo in cui vi è necessità. Non da ultimo, esiste una evidenza di potenziamento della risposta immunitaria nell’organo sottoposto a ipertermia. Ci si chiede a questo punto immediatamente come è possibile riscaldare in profondità l’interno del corpo umano nel distretto desiderato. Ebbene, è possibile mediante un macchinario a radiofrequenza. Tale apparecchiatura possiede delle sonde di varia dimensione a seconda della parte del corpo da trattare le quali vengono posizionate sul paziente. Un modulo a radiofrequenza consente di generare, tramite le sonde, calore nell’organo bersaglio. Le applicazioni durano circa un ora e ogni ciclo è costituito da dieci sedute ripetibili. Si possono trattare tutte le neoplasie solide, la metodica non è invasiva. Non sussistono effetti collaterali degni di nota, ma occorre un operatore attento a non surriscaldare la zona in trattamento poiché, nonostante le sonde siano refrigerate e non forniscano grandi quantità di calore sulla cute, si può incorrere in ustioni superficiali. Come sempre quindi occorre manovrare gli strumenti che si ha a disposizione con perizia. Altra controindicazione risulta essere la presenza di versamenti (ascitici e pleurici). Deve poi essere presente malattia visibile e documentabile, non essendoci indicazione in terapia adiuvante quando si ha (eventualmente) solo malattia minima residua. Nuovi e ulteriori sviluppi sono attesi, con una notevole quantità di dati che inducono a ritenere la metodica assai valida nella lotta al cancro soprattutto in associazione ad altri presidi terapeutici, ma anche da sola.

A cura del dott. Carlo Pastore

L’aloe arborescens

L’aloe è una pianta nota all’uomo da molto tempo, oggi notevolmente apprezzata per le sue caratteristiche ornamentali e per le particolari dotinutritive e cosmetiche che sono in grado di offrire profondo benessere all’organismo. Si tratta di una pianta succulenta, nota per la sua capacità di immagazzinare grandi quantità d’acqua: tale caratteristica la rende idonea a superare i prolungati periodi di siccità tipici di ecosistemi desertici o predesertici, come quelli dell’Africa settentrionale di cui la pianta è originaria, ma può essere coltivata in casa da chiunque senza particolari accorgimenti. Le foglie dell’Aloe Arborescens sono verdi e di lunghezza variabile da quindici a sessanta centimetri, a seconda del suolo, della presenza di acqua e dell’esposizione al sole. Alla famiglia delle Aloaceae, genere Aloe, appartengono oltre trecentocinquanta specie tra cui le più importanti, dal punto di vista delle proprietà salutistiche, sono Aloe barbadensis, conosciuta come Aloe vera, e Aloe arborescens. La storia di queste specie, come quella della maggior parte delle piante medicinali, racconta che già nella cultura egiziana rappresentava la pianta dell’immortalità, sia sotto l’aspetto simbolico, che sotto l’aspetto pratico, dal momento che il succo era indispensabile per il processo di mummificazione. Attraverso esperimenti scientifici è stato dimostrato che uno dei principi attivi dell’aloe, l’emodina si concentra soltanto nelle cellule tumorali, preservando quelle sane e riducendo in breve tempo le masse tumorali. L’Università di Padova ha brevettato l’Aloe-emodina. La dott. Teresa Pecere è titolare, come inventore, per l’Università di Padova del Brevetto Internazionale avente titolo: “Impiego dell’Aloe-Emodin nel trattamento di patologie neoplastiche di origine neuroectodermica” e titolare, come inventore, per l’Università di Padova del Brevetto Italiano avente titolo: “Derivati dell’aloe-emodina e loro impiego nel trattamento di patologie neoplastiche”. Così si esprime la dott. Pecere: “…Nelle mie ricerche su cellule coltivate in laboratorio ho dimostrato che AE seleziona le cellule da colpire (quelle del neuroblastoma, in particolare) e non aggredisce le

cellule sane. Questo significa che questa molecola è tumore-specifica, cioè colpisce solamente le cellule del tumore e risparmia le cellule sane, ma in rapida replicazione come le cellule del tratto gastro-intestinale e del midollo osseo.Una volta dimostrata la selettività d’azione in vitro, gli studi sono continuati sugli animali da laboratorio. Nei topi AEha dimostrato una buona farmacocinetica, la capacità di bloccare la crescita del tumore unita a una scarsa tossicità. Molti di questi dati, pubblicati nel 2000 su una prestigiosa rivista internazionale, Cancer Research, hanno aperto la strada allo studio di AE anche in altri laboratori di ricerca nel mondo, dagli Stati Uniti, al Canada, all’India e alla Cina… Dalle mie ricerche sono derivati due brevetti, attualmente di proprietà dell’Università di Padova”. La Ricetta di Padre Zago è composta di miele biologico, di grappa e foglie di Aloe arborescens. La presenza della grappa ha l’effetto di conservare più a lungo il rimedio e di stimolare la vasodilatazione la quale, a sua volta, rende più sollecita l’azione depurativa dell’aloe. Il miele rendendo fluido il composto veicola l’aloe con il suo alto potere cicatrizzante e con tutte le sue proprietà terapeutiche. Il connubio di questi tre elementi dona all’aloe così preparato la capacità di purificare il sangue e di garantire uno stato di salute generale. L’aloe arborescens è ricco di sali minerali quali magnesio, ferro, manganese, potassio, cromo, calcio, fosforo, rame, sodio, zinco, di vitamine come niacina, colina, acido folico, vitamine A, C, B1, B2, B6, B12, E, gli enzimi amilasi, lipasi, cellulasi, catalasi e gli aminoacidi alanina, arginina, acido aspartico, acido glutammatico, istidina, leucina e lisina. Ma è la sinergia di tali elementi e non la somma delle loro singole azioni che rende possibili le molteplici e riconosciute proprietà dell’Aloe. Per avere un’idea delle notevoli potenzialità nutritive e medicamentose di questa pianta, basti pensare che dei ventidue aminoacidi presenti nell’organismo sano, di cui otto essenziali prodotti dallo stesso organismo, ben venti sono contenuti nell’Aloe e, di questi, sette sono essenziali. L’aloe arborescens riporta l’equilibrio in tutte le funzioni dell’organismo, grazie all’apporto di ossigeno nel sangue. Regolarizza il livello di colesterolo e disintossica il fegato e i valori dello zucchero nel sangue, soprattutto nei malati di diabete. Attiva le difese immunitarie nelle infezioni acute e nelle malattie infettive e croniche quali malattie reumatiche, artriti e artrosi, abbassa il livello dei trigliceridi. Aumenta il tasso di emoglobina nel sangue curando patologie quali anemie. Riattiva inoltre il funzionamento degli organi vitali: apparato

gastrointestinale, epatico e renale. Come immunostimolante sostiene l’organismo e aiuta a contenere gli effetti collaterali delle radiazioni e dei chemioterapici essendo anche un potentissimo coadiuvante terapeutico nella cura delle patologie tumorali provvedendo da una parte all’azione anti-replicativa delle cellule tumorali e dall’altra esplicando una potentissima azione antiossidante e disintossicante che favorisce la eliminazione dei metaboliti tossici durante le terapie chimiche.

L’amore è un assoluto e non può essere ridotto dal tempo o dalla distanza. Può essere oscurato dalla paura, ma il suo splendore non viene mai offuscato davvero. La paura chiude la mente, l’amore apre il cuore e dissolve la paura… Brian Weiss, Molte vite, un’anima sola

Ipnosi regressiva Il mio primo approccio all’ipnosi regressiva risale al febbraio del 2010, per mezzo di un libro suggeritomi da un’amica: Molte vite, un’anima sola. Storia vera di una paziente in cura dal dott. Weiss per uno stato grave di depressione, attacchi di panico e angoscia. Seguita e curata con le terapie convenzionali Catherine non ottiene alcun risultato. Arrivata nello studio del dott. Weiss la sottopone a sedute di ipnosi e in uno stato di trance la donna comincia spontaneamente e del tutto casualmente a rievocare ricordi delle vite precedenti. Ha inizio così un vertiginoso viaggio nel tempo, nella memoria segreta di vite trascorse, alla scoperta delle ragioni profonde di un intero ciclo di reincarnazioni. Catherine scopre che esiste l’al di là, dal quale ognuno torna alla vita al momento di reincarnarsi, e dove sono i Maestri, i custodi dell’umanità. Attraverso questo viaggio interiore Catherine guarisce con sorprendente rapidità dai suoi molti disturbi. Con questo libro il dott. Weiss mostra tutte le potenzialità della sua terapia regressiva e ci fa riflettere su come la vita vada oltre i nostri sensi e sia qualcosa di più di quello che ci appare. Ma chi sono i Maestri spesso citati nei suoi libri? Sono anime che attraverso la

reincarnazione, vita dopo vita, hanno raggiunto quel grado di perfezione e conoscenza che ha consentito loro di non aver più bisogno di reincarnarsi, perché ormai non hanno altre lezioni da imparare sul senso della vita e quindi hanno l’incarico di aiutarci a imparare le nostre lezioni vita dopo vita, per permetterci di raggiungere l’evoluzione che serve all’anima per crescere e raggiungere la perfezione. Perché solo con la conoscenza ci avviciniamo sempre di più alla purezza dello spirito, una conoscenza interiore basata sull’Amore che è inteso non solo come il concetto astratto al quale facciamo riferimento ma sui valori della vita, e cioè l’empatia e la comprensione, l’amore per il prossimo, l’altruismo, la comione e tutti gli altri valori che ormai sembrano dimenticati da molti. Secondo ciò che afferma Weiss, scegliamo di tornare a essere incarnati con un programma da svolgere durante le diverse tappe della vita che ci porteranno sempre più avanti nella consapevolezza e nella crescita. Tutto quello che non riusciremo a portare a termine e tutte le lezioni che ci siamo prefissati di apprendere se non esaurite torneranno come karma nelle vite successive, torneremo con ancora un bagaglio che potremo riuscire ad alleggerire grazie alle lezioni precedenti e così fino a che non riusciremo a raggiungere la perfezione raggiunta dai Maestri. Brian Weiss, medico e psichiatra esperto mondiale di ipnosi regressiva vive e lavora a Miami. Ha maturato la convinzione dell’esistenza di vite precedenti e dell’immortalità dell’anima e ne ha elaborato anche il senso.In regressione si può ottenere la liberazione emotiva dal dolore, il perdono e il raggiungimento dell’ infinita sorgente dell’amore. L’anima è immortale e si avvale di un corpo fisico per perfezionarsi nella scuola della vita e in particolare le lezioni da imparare riguardano l’amore, la pazienza e l’altruismo, la temperanza e la comione. La vita è fatta per essere goduta, apprezzandola in tutta la sua bellezza, ed è per questo che abbiamo un corpo materiale, che abbiamo dei sensi: per sentire l’amore e la gioia! Per questo che l’anima e lo spirito vengono sulla terra, per crescere imparando le lezioni che non sono ancora state comprese nelle vite precedenti, per evolversi in spiritualità e coscienza. “È facile leggere o parlare di amore, di carità e di fede. Ma il farlo, il sentirlo, richiede quasi uno stato alterato di coscienza. Lo stato permanente viene raggiunto con la conoscenza e la comprensione. È sostenuto dal comportamento fisico, dagli atti e dai fatti, dalla pratica. È il compiere qualche cosa di quasi mistico, il trasformarlo in familiarità quotidiana con la pratica, il farne un’abitudine.”

A queste conclusioni il dott. Weiss è giunto a seguito delle sue esperienze cliniche con i pazienti che a causa di problemi vari si erano rivolti a lui e che egli ha sottoposto a ipnosi regressiva; pazienti che durante l’ipnosi, hanno raccontato di vite ate con trasporto emotivo e dovizia di particolari e riscontri scientifici da non lasciare dubbi.

Epilogo

Non è facile parlare di se stessi e mettersi a nudo davanti a tutti soprattutto se gli argomenti sono quelli che solitamente non vengono raccontati se non a una piccola cerchia di persone, fidate e amiche. Parlare della mia patologia, del mio lavoro e delle mie facoltà metapsichiche mi ha impegnato parecchio dal punto di vista emotivo ed emozionale. Ma è diventato forte, a un certo punto, il bisogno di condividere e portare allo scoperto le esperienze sin qui raccontate, incoraggiata e sostenuta anche dalla mia guida spirituale, con la speranza che possano essere d’aiuto a qualcuno e avendo la consapevolezza che il mio nuovo percorso è appena cominciato e una nuova corrente mi sta ancora guidando, anche se non so in quale direzione, a quale nuovo corso darà vita e in quale modo si realizzerà diventando ancora più concreta. Naturalmente in questo libro si parla di una piccola parte della mia vita, quella parte che è stato più semplice raccontare, perché non tutto è stato detto. Ma molto sarebbe stato da dire a o del fatto che la mia vita non è stata facile, nella quale ho conosciuto tanto dolore e nel corso della quale ho dovuto subire e confrontarmi con tantissimi problemi, gradini e ostacoli più o meno importanti che mi hanno portato a essere la persona che oggi sono, facendomi soffrire moltissimo ma anche formandomi e fortificandomi. Vorrei riuscire a portare ad altri conforto e speranza e credo che questo libro possa rappresentare uno degli strumenti di diffusione della mia storia con l’obiettivo che possa essere d’aiuto e di sostegno alle persone che ne avessero bisogno, moralmente e spiritualmente.

Messaggi Celesti 28 dicembre 2011 Aggiungimi nei tuoi pensieri, sono Uriel, angelo di luce, con te io scrivo, per te e per l’umanità.

Ora sono i tempi di cogliere i doni dell’amore dato, chi ha saputo seminare raccoglierà e gli sarà dato. Ora è il tempo della rinascita, lo spirito si eleva e si innalza e tutto si trasforma in luce, la luce e il faro che molti agognano. Solo chi è stato messaggero di pace e ha operato per il bene può essere scintilla divina. Porta la pace e la luce con la tua presenza e il tuo essere, la luce ti verrà incontro e trasformerà ogni cosa. Segui la tua luce e il tuo cuore, loro sapranno indicarti la strada maestra. In pace. Uriel

Ringraziamenti

Alla mia famiglia, alle amiche e agli amici che hanno saputo comprendere e starmi vicino, mi hanno sostenuta e incoraggiata con affetto, soprattutto a mio figlio e a mia sorella. Alle care Rossana e Marcella… senza il loro determinante incoraggiamento e sostegno questo libro non avrebbe visto la luce. Un ringraziamento particolare al Maestro Giancarlo Manca per i suoi preziosi consigli e al Maestro Patrizia Cireddu per il sostegno e l’affetto dimostrati. Al mio personale comitato di lettura, per la pazienza nell’avermi dovuta sopportare, con tutti i miei dubbi e le mie incertezze, durante la stesura del libro. Ringraziamenti speciali al dott. Carlo Pastore, al dott. Giorgio Castello e al sito Stazione Celeste che mi hanno permesso di utilizzare stralci di brani di loro proprietà intellettuale.

L'Autrice

Susanna Fois è nata a Cagliari, dove vive e lavora. Operatrice olistica, è master reiki Usui, pratica reiki karmico, pulizia e attivazione dei chackra. Pratica, altresì, arti marziali. Apionata di lettura e di viaggi, intesi come scoperta e arricchimento personale, si definisce viaggiatrice e non turista. Ama il giardinaggio e la cucina etnica. La Porta celeste è la sua prima prova narrativa.