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La Chiave d’Oro

Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

Prima edizione gennaio 2015 Prima stampa gennaio 2015 Seconda stampa maggio 2015 Seconda edizione dicembre 2015

ISBN 9788892533820

Copyright © 2015 Regina Pozzati Cover Artwork by Stefano Pozzati

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Regina Pozzati

LA CHIAVE D’ORO

ROMANZO

Il vero pericolo del mare non è la tempesta, ma i segreti che riporta a galla.

CAPITOLO I Ruse Deguerre

*

Mar Mediterraneo, 1314

La chiamavano “Eva”. Aveva visto la terra migliaia di volte, ma non vi aveva mai posato i piedi sopra. Aveva gli occhi attenti e i seni nudi, accarezzati dalla spuma del mare. Il suo volto era da sempre teso al cielo e verso il cielo avrebbe continuato a guardare fino a che i suoi fianchi non avessero toccato le profondità degli abissi. Eva, come la prima donna corrotta dal serpente ingannatore, quella che aveva portato l’uomo a essere cacciato dal Paradiso Terrestre. Ed erano tutti rinnegati, in fondo, coloro che avevano il privilegio di poterla sfiorare, di poterla sognare o addirittura accarezzare prima di ritirarsi a dormire sotto le stelle, cullati dall’odore salmastro del mare e dal morbido incedere delle sue onde. Lei, che non aveva mai il volto freddo o le braccia stanche. Lei, che sorreggeva con le mani la prua della piccola caracca di cui era regina, che riempiva di speranza gli occhi e i sogni di coloro che non sarebbero mai potuti tornare a casa. Lei, che cancellava dalle menti di tutti gli stenti e i rimpianti e che baciava il vento senza mai stancarsi di vederlo soffiare. Eva. La più bella creatura della terra e del mare. La nave di coloro che non avrebbero mai smesso di cercare per mare le ricchezze che non avrebbero mai potuto portare a terra, e di guardare la terra con il desiderio che si trasformasse nel mare che aveva dato loro tutto: rispetto, speranza e libertà.

Il vento soffiava ansioso, accarezzando le nodose coste di Tunisi. Era una mattina chiara e serena; uno di quei giorni in cui il mare concedeva all’uomo

l’inganno di poter vedere oltre le sue onde. In lontananza, sulla terraferma, la sabbia bianca si alternava alla roccia come in un immenso ricamo. La vegetazione che si arrampicava sulle pietre era bassa, poco nutrita. Il deserto cominciava dove finivano le onde, e insieme a esse la libertà degli uomini. A poppa, con la testa avvolta da un turbante di lino grezzo, il timoniere portava la Eve – “Eva”, come la chiamavano alcuni – lungo il percorso più sicuro. In lontananza, oltre l’orizzonte, Hasan sentiva già i profumi della sua terra natia, benché ancora distante. Se chiudeva gli occhi poteva vedere le cime dei mandorli ondeggiare insieme al vento, il rosso degli anemoni colorare i confini striati del Negev. Sognava la sua Gerusalemme, non più devastata dalle crociate, depredata, ma ancora magnifica e splendente come un tempo. Era in giornate come quella che la Cupola della Roccia si bagnava dell’oro del sole, dominando il paesaggio e rasserenando il cuore degli uomini che credevano. Sorrise, ripensando all’ultima volta che aveva solcato le sue strade, a quando il capitano Croix, temendolo come nemico, l’aveva invitato a salire a bordo della sua nave. Tre lunghi anni erano ati da allora. Il capitano aveva imparato a non temere più il gigante dalla pelle mulatta che esponeva con tanto piacere i segni delle ultime cento battaglie e forse più; l’uomo dal duplice, temibile volto con il lato destro comune e il sinistro coperto di tatuaggi e pesanti orecchini d’avorio; l’uomo a cui aveva salvato per ben due volte la vita. Accarezzando il tatuaggio con il cobra che gli percorreva l’intero braccio sinistro, il timoniere alzò lo sguardo verso la cima dell’albero maestro, da cui la vedetta stava scrutando il mare. Sorrise di nuovo, riflettendo su quanto dovesse apparire strano vedere una ciurma male assortita come la loro. Alcuni marinai venivano dall’Olanda, la terra madre di tutti i migliori pirati, altri dal Portogallo, dalla Tunisia e persino dalla Spagna, cosa assai rara in tempi come quelli, in cui le navi spagnole e si erano le più depredate in assoluto. E, cosa assai strana, in tempi come quelli, in cui i sistemi di caste chiuse e di oligarchie dominavano le nazioni e i governi sulla terraferma, le cose, in una nave per mare come la loro, andavano esattamente all’opposto. Ogni singolo uomo collaborava con il proprio compagno senza curarsi del colore della pelle o del ceto sociale di provenienza. Ogni membro dell’equipaggio valeva tanto più quanto più era abile e capace. Ovunque regnava il rispetto per il compagno, anche se, è giusto ammetterlo, a volte le esclamazioni di filibustieri come loro erano tutt’altro che cordiali.

«Figlio d’una cagna scozzese, vedi ancora o ti si è bruciato l’unico occhio buono con cui guardi l’orizzonte?» Hasan aveva una voce possente e tre volte su cinque le sue “attenzioni” erano rivolte a McDowen, la vedetta della Eve. Il gigante mulatto e lo scozzese erano l’uno il contrario dell’altro; uno scuro e l’altro bianco; uno taciturno e l’altro logorroico; uno istintivo e l’altro razionale; uno un guerriero e l’altro uno stratega. Forse per questo avevano preso a provocarsi sin dal loro primo incontro e non erano mai stati capaci di smettere. Dall’alto della coffa McDowen diede inizio al suo solito turpiloquio, strappando più di un sorriso alla maggior parte dell’equipaggio che assisteva quotidianamente alle loro zuffe. Erano quasi sette anni che seguiva i vessilli del capitano Croix. Era stato uno dei primi membri della sua ciurma e non esisteva un sol uomo, sulla Eve, che non lo conoscesse come la propria mano. McDowen, del resto, non era uno che ava inosservato, e non soltanto perché era uno scozzese più che atipico o perché aveva scelto di solcare il mare nonostante venisse dall’isola di Oak, terra di leggende e di fantasmi, di uomini rapiti dal mare o trucidati nei modi più terribili dai pirati. Lui era innanzitutto una vedetta atipica, in quanto era convinto che osservare l’orizzonte con un occhio soltanto gli avrebbe permesso di avvistare la terra o le navi prima che con i due occhi. Era d’età abbastanza giovane, come tutti coloro che si avventuravano per mare, moro e basso come tutti gli scozzesi, ma a forza di restare al sole, appollaiato sulla cima della nave con un occhio perennemente chiuso, aveva assunto una strana espressione ingobbita a metà tra lo sveglio e il sognante. Nonostante la sua aria stranita, però, non aveva mai smesso di essere il primo ad avvistare la costa o i vessilli delle navi nemiche. Come avrebbe detto Hasan, “inspiegabilmente”. «Voi due, finitela, o dovrò ridurre le vostre parti di tesoro.» Il capitano Croix, attirato dalle grida acute di McDowen, era improvvisamente uscito dalla propria cabina ed era apparso alle spalle del suo primo timoniere per riportare la pace. Sulla Eve, infatti, vigeva un rigido regolamento, che ogni membro dell’equipaggio aveva giurato di rispettare. Non erano ammessi liti, risse, gioco d’azzardo o furti. Ognuno era tenuto a compiere il proprio mestiere, altrimenti era il capitano in persona ad intervenire e a riportare l’ordine.

La pena, se qualcuno trasgrediva, consisteva nel far calare la sua parte di tesoro o, in lunghi tempi di magra, nell’attribuzione di faticosi lavori supplementari da scontare direttamente a bordo. Raramente, però, Croix si era visto costretto a punire qualcuno. Di norma, quando si prospettava anche soltanto l’inizio di una contesa, provvedeva tempestivamente a sanarla. Anche in quella occasione, infatti, era intervenuto prima che potesse accadere qualcos’altro, rimproverando Hasan e McDowen dalla sua minora statura. Era un individuo piuttosto particolare, il capitano Croix. Il suo fisico era minuto, tanto che le puttane di Siracusa – l’ultimo porto in cui erano stati sotto falsi colori – lo avevano canzonato parecchio, prima che lui trovasse il modo più appropriato per farle tacere. Questo, però, non significava che fosse meno abile in battaglia o meno pronto di riflessi. La velocità delle sue mani e dei suoi ragionamenti era famosa tra coloro che gli davano la caccia. La sua ciurma rideva ancora, quando di notte qualcuno osava sussurrare il nome dell’ultimo ufficiale con cui aveva avuto a che fare; ormai non occorreva nemmeno più menzionare il modo in cui era riuscito a raggirarlo togliendogli persino i calzoni. Per lo stesso motivo anche gli altri pirati di solito facevano in modo di stargli alla larga, poiché il capitano della Eve era sempre stato un uomo piuttosto scaltro, capace di trovare una soluzione – e un congruo guadagno – in ognuna delle situazioni che si era trovato ad affrontare. Anche nella più difficile. Hasan ne era un chiaro esempio. Era stato inviato contro di lui per ucciderlo, ma con un’abile mossa Croix era riuscito a portarlo dalla sua parte, a salvargli la vita e a metterlo nella scomoda posizione di dovergli ben più di un favore. Era per questo che, anche se era meno forte degli altri e anche se sembrava molto più giovane di quel che era a causa dei disordinati capelli scuri che spesso gli ricadevano sul viso, alla fine aveva ottenuto il pieno rispetto e la piena fiducia di tutta la sua ciurma. «Forza, viriamo verso il Regno di Sicilia» ordinò sereno. «E chissà che non ci venga incontro qualcosa di buono…» Vinto dal caldo si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti, lasciando che emergesse il tatuaggio che aveva sull’avambraccio destro; quello da cui aveva preso il nome che si era dato quando aveva scelto di percorrere la via del mare. Raffigurava una particolare croce dai lembi smussati a cuneo, sovrastata da un pericoloso serpente a sonagli. Alcuni lo chiamavano “Il serpente di Eva”, alludendo al nome che aveva scelto per la propria nave.

«Nulla in vista, McDowen?» Vi fu un frusciare di cime e tessuti. Nell’atto della vira per un istante la vela maestra aveva perso il vento, ma Hasan fu veloce a recuperarlo. «Nulla, capitano!» «Conosco questo tratto.» La voce dell’artigliere norvegese Sven arrivò bassa e strascicata alle orecchie del suo capitano. Era seduto poco distante, all’ombra dell’albero maestro. Aveva le braccia incrociate dietro al capo e il cappello scolorito calato sul viso. A lato del collo spuntava una lunga treccia bionda, al di sotto di un modesto orecchino d’oro. La sua camicia era per metà aperta e stava masticando un pezzo di radice di zenzero. Se non avesse parlato, probabilmente qualcuno avrebbe creduto che stesse dormendo. La verità, però, era che Sven si stava preparando. «Presto avvisteremo qualche nave, ne sono sicuro.» Da quando un nutrito gruppo di andalusi musulmani si era trasferito a Tunisi, il commercio con il resto del Mediterraneo si era fatto estremamente florido. Non era raro incontrare navi spagnole o veneziane lungo quella rotta, anche se in seguito agli ultimi attacchi dei pirati le grandi nazioni avevano deciso di prendere maggiori precauzioni e di rimescolare un po’ le acque. «Non sei l’unico ad annoiarsi quando non si combatte da tempo» aggiunse Croix alla volta del membro più cruento e incontrollabile dell’equipaggio. Poi, ad un tratto, un grido interruppe il vociare della ciurma al lavoro. «Nave in vista!» Senza perdere tempo Croix si voltò nella direzione indicata da McDowen. Aveva ragione. Proprio sulla linea dell’orizzonte era comparsa la sagoma di un’imbarcazione piuttosto pesante. Nel giro di un istante coprì la distanza che lo separava dal parapetto. Si sporse appena nel tentativo di riuscire a vedere qualcosa in più, ma ancora una volta la vista della vedetta fu più acuta della sua. «È un brigantino, capitano» gridò infatti. «Reca i colori dello Stato Pontificio e lo stemma della famiglia Chillemi..» Croix sorrise compiaciuto. La famiglia Chillemi era una delle più ricche e potenti di Roma. C’era chi diceva che fosse persino vicina al Papa e quella nave, che proveniva da Oriente, aveva tutta l’aria di puntare dritta a casa dopo avere acquistato qualcosa di prezioso.

«Grande stiva, grandi grazie» cantilenò saggiando le dimensioni spropositate del brigantino. Si leccò le labbra, pregustandosi già la conquista e tutto ciò che ne sarebbe seguito. «Moore, innalza la loro stessa bandiera. Hasan, portaci là.» Il ponte della nave si inclinò lievemente. Lo scafo infranse qualche onda a causa dell’improvvisa vira ed Eva, la polena della nave, si ritrovò con metà del proprio volto adagiato sull’acqua. Il timoniere impugnò saldamente i pomelli di legno in modo da impartire la nuova rotta, mentre il resto della ciurma si preparava all’assalto. Il marinaio semplice Moore, uditi gli ordini del suo capitano, corse in sottocoperta. Aprì un baule pieno di ogni tipo di bandiere, con anche quelle delle nazioni più piccole. Prese quella dello Stato Pontificio, metà gialla e metà bianca, e corse verso l’albero maestro per issarla sul palo rimasto nudo fino a quel momento. Ogni pirata che si rispettasse, infatti, doveva conservare insieme alla propria bandiera anche quelle delle altre nazioni, in modo da essere pronto a innalzare la più appropriata alla situazione. Era la prassi che molti briganti del tempo seguivano: si batteva la bandiera della nazionalità della nave a cui ci si voleva avvicinare, si rallentava fino a raggiungere la velocità di un classico peschereccio e poi, all’ultimo, si issava la bandiera pirata e, approfittando dell’effetto sorpresa, si abbordava la nave nemica. Era uno stratagemma molto usato, chiamato in gergo “ruse deguerre”. L’equipaggio si armò, le vele vennero lasciate gonfiare libere e il capitano Croix si sciolse le maniche arrotolate della camicia per indossare la divisa blu della battaglia. Attesero il momento giusto. Ebbero pazienza. E quando la piccola e in apparenza innocua Eve fu abbastanza vicino all’Arcadia da essere certi che non avrebbe potuto sfuggirle, il capitano diede l’ordine tanto atteso. «Issare la bandiera nera.» La ciurma urlante abbassò la bandiera pontificia, intimorendo fin dal principio la nave nemica. Al suo posto comparve all’improvviso il volto minaccioso di un teschio bianco, su cui era avvinghiato un pericoloso serpente a sonagli. Quello, unito alle due sciabole che si incrociavano poco più sotto, era l’emblema della Eve. Hasan bloccò il timone della nave già in affiancamento per impugnare la

scimitarra. Quasi in contemporanea alcuni marinai prepararono una manciata di battagliole per l’assalto. Sul ponte dell’Arcadia fu battaglia.

CAPITOLO II Il Medaglione

*

Evelina Chillemi era una ragazza piuttosto intraprendente e anticonformista. Era figlia di un ufficiale molto potente e temuto, non aveva mai avuto paura di solcare il mare o di portare a termine incarichi delicati per conto della propria famiglia. Aveva visto l’Oriente molte volte. Aveva viaggiato a bordo di elefanti e cammelli. Aveva imparato a camminare nella Santa Sede, poco distante dal Papa stesso, e conosceva almeno sette lingue diverse. Era capace di tenere di conto – cosa assai rara per una donna – e non aveva mai esitato a chiedere che le fosse spiegata qualsiasi cosa non conoscesse. Aveva negli occhi il fuoco della vita, ma era ancora troppo giovane per poter dire di conoscere gli uomini e, prima ancora degli uomini, i pirati. Forse per questo, una volta catturata insieme all’equipaggio dell’Arcadia, non aveva avuto il buon senso di restare in silenzio e nascondersi dietro alle ampie spalle del capitano Martini, ma era finita con il mettersi in mezzo ai due equipaggi, a meno di un o dal capitano della nave pirata che aveva osato assaltarli e dal suo sguardo decisamente divertito. Evelina raddrizzò le spalle, alzando il mento con fare indispettito. La battaglia che si era svolta a bordo dell’Arcadia aveva rovinato i suoi bei riccioli neri e sgualcito le sue vesti color smeraldo. Una delle ampie maniche che le scendevano fino al ginocchio le era stata strappata. Lo scollo quadrato era umido di sangue e d’acqua, così come le sue mani e il coltello che aveva stretto fino all’ultimo nel disperato tentativo di salvarsi e di dare tutto l’aiuto che poteva agli uomini che viaggiavano insieme a lei. Era stato per puro miracolo se non era finita in mare durante lo scontro, altrimenti la ricca gonna che indossava l’avrebbe resa così pesante da trascinarla per sempre sul fondo. Ma di questo, lei, non doveva essersi minimamente accorta. Lo dimostravano il cipiglio orgoglioso e lo sguardo ostile e caparbio, che pretendeva il rispetto che nessun pirata – o

uomo – le avrebbe mai portato soltanto perché trasudava arroganza e sfrontatezza da ciascun centimetro della sua pelle. «Le hanno mai detto che non è educato fissare le persone?» Il capitano Croix rise divertito davanti al suo tono seccato. «Forse la situazione non le è ben chiara, madame. Non siamo a un ballo, né ad un the. Non siamo noi ad essere stati assaltati e ad aver perso la nostra bandiera, ma, soprattutto, non siamo noi a dover contrattare la resa e invocare clemenza.» Croix si leccò le labbra, guardandola. Aveva sperato di vederla a disagio mentre ridicolizzava la sua figura, ma non si era lasciata minimamente intimidire. Non era arretrata e non aveva accennato a distogliere lo sguardo da lui, lasciandogli l’unica alternativa di essere ancora più chiaro. «Suvvia, fatevi da parte e permettetemi di parlare con l’ufficiale di bordo, da capitano a capitano.» Il capitano Martini, il responsabile dell’Arcadia, fece un o in avanti barcollando appena. Era senza cappello e aveva la giacca strappata in più punti. La camicia bianca era intrisa di sangue poiché era stato ferito durante la battaglia. C’era un uomo al suo fianco che lo aiutava a reggersi in piedi, ma pareva ancora lucido. Evelina lo bloccò con un cenno della mano. «Per un ufficiale è lecito chiedere un colloquio con un altro ufficiale. Per un infame pirata basterò io.» Dalla ciurma della Eve si alzarono delle risate e dei fischi, che Evelina provò vanamente a mettere a tacere con una cruda occhiata. Croix fece un o verso di lei, annullando lo spazio che li separava. Ancora una volta la ragazza non indietreggiò e non accennò ad abbassare il capo. Ricambiò invece lo sguardo del pirata con la medesima intensità, come se dopo aver combattuto con lui armata soltanto di un coltello la battaglia tra di loro non si fosse affatto conclusa, ma stesse continuando ancora. «Ne siete davvero certa, madame? Dalle risposte che mi darete dipenderanno le vite di quegli uomini.»

Croix indicò con un cenno del mento tutti coloro che si trovavano dietro alla giovane. Si trattava di una sessantina di uomini in tutto, di età variabile tra i tredici e i quarant’anni. Erano uomini che Evelina conosceva bene, che erano salpati da Roma insieme a lei ormai due mesi prima e che dopo un interminabile viaggio era fermamente decisa a riportare a casa. «Fatemi le domande che dovete. Io vi darò le risposte che vi spettano. La condizione è una soltanto: la libertà dei miei uomini.» «E in cambio di cosa, di grazia?», sbottò Croix contrariato. «La vostra maledetta nave non trasportava nulla a parte qualche cima di ricambio, delle vele e una manciata di barili di polvere da sparo. Non avete alcuna merce da scambiare per le vostre vite.» Evelina gli sorrise, sfidandolo. «Questo lo dite voi. Una scialuppa, cibo e acqua per sette giorni. Questo è quello che chiedo in cambio.» «In cambio di cosa?» «In cambio di me. Io sono il carico dell’Arcadia.» «Voi?» Il capitano rise, seguito a ruota dai suoi uomini. «A La Rochelle ho trovato femmine molto più attraenti di voi e senza alcuna scopa infilata su per il culo!» Evelina arrossì appena davanti alla volgarità con cui il pirata aveva osato rivolgersi a lei. Non si sarebbe aspettata nulla di diverso da un farabutto come lui, in ogni caso, così continuò come se nulla fosse. Il suo viso si tirò in un sorriso forzato, i suoi occhi lo sfidarono impudenti. Nel silenzio che precedette le sue parole persino il mare parve trattenere le proprie onde. «Sono sicura che nessuna di loro, però, fosse l’unica figlia dell’ammiraglio Chillemi.» A quel punto Croix tacque, ed era raro che accadesse. Si ò la lingua sulle labbra, soppesando l’informazione di cui era appena venuto in possesso. Guardò la ragazza, i suoi lineamenti duri e marcati, le sopracciglia scure che dominavano un viso severo e squadrato. Osservò le vesti in parte stracciate, testimoni silenti

del suo temperamento focoso, e l’oro sottile della collana che indossava, il cui pendente si perdeva al di sotto della scollatura, tra le pieghe della camiciola e dei seni. Aveva detto la verità. Benché non avesse mai avuto il piacere di incontrarlo dal vero, aveva visto diversi ritratti del terribile ammiraglio Chillemi, l’incubo di tutti i pirati del Mediterraneo, l’uomo che amava impiccare coloro che catturava direttamente a bordo della propria nave, processandoli egli stesso senza nemmeno ascoltarli, e la somiglianza con la ragazza era assolutamente inconfutabile. «Lasciate andare l’equipaggio e vi seguirò senza darvi problemi» insistette. «Mio padre pagherà qualsiasi cifra pur di riavermi e ognuno avrà quel che desidera.» Croix la fissò nuovamente, da capo a piedi. Come se non fosse del tutto convinto – od appagato – di lei e delle sue seccanti parole. Infine lasciò scoccare la lingua contro il palato. «Credo che non siate bene informata, madame, sulle prassi di noi pirati. I rapimenti sono ormai ati di moda; sono troppo rischiosi e troppo poco redditizi. A onore del vero, non mi lasciate altra scelta.» Gettò un’occhiata indolente a Sven, l’artigliere norvegese che teneva sotto tiro insieme agli altri l’equipaggio dell’Arcadia. «Buttateli in mare.» Davanti a quell’ordine appena sibilato Evelina scattò in avanti, ma non riuscì ad afferrare la giacca del pirata così da fermarlo e pretendere la sua attenzione. In meno di un istante Croix si era già voltato e le aveva dato le spalle. Delle braccia ostili l’avevano presa per la vita, obbligandola a riunirsi con il resto dei prigionieri. Senza che lo volesse, si ritrovò a gridare e a dimenarsi al pari del peggiore degli uomini. «Non potete farlo! Se ci getterete in mare, ci condannerete a morte!» Croix si voltò appena verso di lei, sogghignando crudele. «Oh, questo lo so bene. Sono un “infame pirata”, ricordate?» Evelina tacque, fissandolo con odio. Fu allora che perse la propria lucidità e che cominciò a insultarlo senza rendersi conto del fatto che, in realtà, nessuno la stava trascinando via e che, dopo aver gettato il sasso – l’ordine di buttarli in mare – Croix aveva abilmente ritratto la mano ed era tornato a guardarla. Con un

cenno fermò Sven, che allentò la presa sui fianchi della ragazza e la lasciò libera di riprendere a respirare. Aveva il viso rosso, per la rabbia e l’affanno. Ma finalmente pareva avere capito qual era il suo posto e pareva disposta non solo a dettare regole, ma anche ad ascoltare. Croix alzò il mento senza smettere di fissarla. La guardò a lungo, fino a essere certo di avere ottenuto la sua più completa attenzione. Soltanto allora, come un serpente, si degnò di strisciare verso di lei e di infettarla con il proprio, ingannevole veleno fino a soffocarle scelte e respiro insieme. «Volete salvare le vostre vite, madame? Allora facciamo un accordo.» Il suo sguardo era pericolosamente freddo, sagace. Evelina non arretrò, non perché non lo desiderasse, ma perché non le fu possibile farlo. Ciononostante non riuscì a nascondere il lungo brivido che le percorse la schiena non appena sentì le dita del pirata sollevarle il mento e obbligarla a guardarlo dritto negli occhi. «Offritemi qualcosa in cambio; qualcosa che abbia il medesimo valore. Ma fatelo adesso, prima che sia troppo tardi.» Non si accorse di avere trattenuto il fiato fino a quando la mancanza d’aria non le fece girare la testa. Allora, impossibilitata a sottrarsi alla trappola in cui era stata spinta, non le restò che guardare a propria volta il capitano pirata e sperare che non capisse quanto la turbasse sentirsi le sue luride dita addosso. Con il cuore che le batteva frenetico in petto indagò l’espressione che aveva in volto; gli occhi fieri in parte nascosti dai capelli, il sorriso fosco, la piega beffarda e determinata al tempo stesso delle labbra... Cercò disperatamente uno spiraglio sufficiente a convincerla che avrebbe potuto salvarsi, ma non riuscì a trovarlo. E per la prima volta si domandò se non avesse sbagliato a giudicare l’uomo che le stava di fronte soltanto un infame pirata. «Cosa mi state chiedendo, esattamente?» Croix le sorrise, lasciandola andare. Le sue dita corsero leggere all’elsa della spada che portava appesa alla cinta, legata a una fusciacca scura. La accarezzarono lentamente, soffermandosi sugli eleganti intagli che la percorrevano in una muta minaccia. «Seguitemi nella mia cabina e lo saprete.» Le mani che la cingevano si ritrassero. Evelina si ritrovò improvvisamente libera, anche se il respiro e il battito furioso del suo cuore non accennarono a

rallentare. Conosceva il mondo. Aveva viaggiato a lungo, ma sugli uomini – e sui pirati – sapeva ancora troppo poco, forse per questo si ritrovò a fare esattamente ciò che Croix voleva, senza avere la minima idea del guaio in cui avrebbe potuto imbarcarsi rimanendo da sola con lui, in un luogo chiuso, alla mercé delle sue temibilissime spire.

L’aroma aspro che si innalzava dal bicchiere che il pirata le stava tendendo le dava la nausea e le faceva pizzicare il naso. Evelina lo rifiutò con un gesto, ma lui la obbligò ugualmente a prenderlo infilandoglielo tra le dita. Di nuovo sconfitta dalla sua forza bruta, non le restò che lanciargli un’occhiata di fuoco e guardarlo mentre si accomodava lentamente alla scrivania e depositava la spada al proprio fianco. Lo spazio che li circondava era ridotto, tanto da farla sentire ancora più in trappola. Tra i pochi mobili presenti – una scrivania, un baule e una cassettiera – c’era appena lo spazio per are o per predisporre qualche sedia. Si trattava di un ambiente claustrofobico e buio. Era per questo che, nonostante fosse giorno e splendesse il sole, appesa a una delle travi del soffitto c’era una lanterna con una candela accesa che oscillava seguendo il movimento del mare. E più si muoveva, più Evelina scopriva nuovi angoli della cabina e nuovi particolari. Con un gesto, Croix la invitò a seguire il suo esempio e ad accomodarsi alla sedia che si trovava dalla parte opposta del tavolo, proprio accanto a una botte colma di carte da cui si innalzava un tremendo odore di polvere. Se pure riluttante, decise di accontentarlo. Si sedette con il bicchiere adagiato in grembo e una postura piuttosto rigida. Gli occhi sempre attenti a ogni più piccolo movimento del pirata. «Prima di cominciare vorrei proporre un brindisi.» Il timore che avesse qualcosa in mente divenne sospetto. Chiedersi quale altro tranello le stesse tendendo fu inevitabile quasi quanto respirare. Guardò il liquido che si agitava inquieto tra le sue mani. Il colore ambrato e l’odore amaro non le suggerivano niente di buono, ma era abbastanza certa che non si trattasse di veleno. Se avesse voluto vederla morta, Croix non avrebbe atteso di averla nella propria cabina, ma l’avrebbe gettata in mare o traata con la propria spada direttamente sul ponte di coperta. Questo, ovviamente, non significava che ciò che le aveva offerto non fosse altrettanto pericoloso.

Alzò il mento e lo affrontò con fermezza. «Io non bevo.» Anziché adirarsi, il pirata le sorrise beffardo. «È scortese rifiutare un brindisi. Porta male e non aiuta a concludere le trattative.» Le sue parole – le parole di un infame pirata – celavano in realtà una minaccia: “Non bere e non tratterò con te”. Se pure maldisposta, Evelina si ritrovò costretta ad avvicinare il bicchiere alle labbra. «Non mi chiedete a cosa brindiamo?» «Farebbe la differenza?» Sollevò appena gli occhi e lo fissò senza alcuna paura. «In fondo sappiamo entrambi perché mi state facendo bere, ma non crediate che avere più alcol in corpo mi indurrà a cedervi segreti che in realtà non esistono.» «Brindiamo ai segreti impossibili, allora. E all’uomo che saprà svelarli» aggiunse un istante dopo, mentre trangugiava l’intero contenuto del bicchiere per poi scuotere la testa ed emettere uno strano suono, che gli scivolò tra i denti insieme a un sospiro. Evelina lo imitò subito dopo, convinta che quel liquido avrebbe sortito su di lei un effetto simile a quello del vino, ma non fu assolutamente così. Non appena ebbe svuotato il bicchiere sentì la testa girarle e lo stomaco bruciarle. Le sue gambe si fecero più morbide e la sua lingua decisamente più sciolta e bollente. Spalancò gli occhi, aggrappandosi ai braccioli della sedia su cui si trovava. «Ora paliamo di voi, madame. E del tesoro che vi portate appresso.» La voce di Croix le giunse lontana. Non capì che aveva sfoderato la spada finché non sentì la freddezza della sua lama sfiorarle il collo e seguire lentamente il suo profilo. Si fermò soltanto quando ebbe raggiunto l’incavo tra i seni, ma anche allora non le premette la carne; si limitò ad accarezzarla. Evelina alzò la testa e lo guardò con sdegno. Gli occhi del pirata si erano fatto ancora più piccoli e scuri, se possibile. La luce della lanterna si infrangeva inclemente sul suo viso, evidenziando dettagli di cui non si era accorta prima. Aveva il mento appuntito, gli zigomi poco pronunciati e il naso comune. Era impossibile capire da dove

venisse, ma in fondo questo non cambiava nulla. «Approfittatevi di me e troverò il modo di uccidervi, statene certo.» Lo vide sorriderle di nuovo, divertito dal suo tentativo di respirare muovendosi il meno possibile per non restare ferita dalla lama. E a quel punto lo odiò. Lo odiò più di quanto aveva odiato suo padre quando l’aveva mandata ad Alessandria, esponendola al rischio di incontrare gente proprio come lui. Il suo sguardo si fece rabbioso, ma non si mosse neanche di poco. Qualsiasi fossero gli intenti del pirata, era evidente che si stava prendendo gioco di lei e che avrebbe continuato a farlo finché non si fosse stancato o non avesse ottenuto ciò che voleva – ciò che Evelina gli avrebbe negato fino al suo ultimo respiro. «L’ultima cosa che un serpente vuole, è avere un altro serpente nel letto accanto a sé» la schernì canzonatorio, denigrandola. «E allora cosa volete da me?» La punta della spada di Croix si mosse appena all’interno della sua scollatura. Era talmente affilata che le bastò sfiorare uno dei lacci del vestito per tagliarlo e costringerla a trattenere il respiro. Si fermò soltanto quando si infranse sull’oro della catenina che aveva al collo e la sollevò con l’intenzione di portare alla luce l’oggetto così ben nascosto nell’intimità della camiciola. Evelina si ribellò. Afferrò la punta della spada con le mani nude. Il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore, mentre sulle sue mani si aprivano nuove ferite. «Non vorrete privare una fanciulla del ricordo della madre?» Croix inclinò il capo di lato, sorridendole sempre più divertito. «Dipende. Se quella madre ha la barba e le spalle larghe quanto il più grosso dei miei uomini, allora sì.» Aveva capito. Evelina ne fu certa allora come non mai. Suo padre aveva la barba e le spalle larghe e di suo padre, effettivamente, era il monile che aveva al collo. «Non spingetemi a farvi ciò che non voglio, madame. Non obbligatemi a strapparvelo di dosso, perché se lo farò con le mie mani lo seguiranno anche i vostri vestiti.»

Evelina avvampò, un po’ per il pensiero di restare nuda davanti a un uomo come quello e un po’ per il tono volutamente basso che aveva usato con lei. Serrò le dita sulla sua spada un’ultima volta, con ogni sua forza. Infine, consapevole del fatto che un uomo come Croix – un pirata – non avrebbe esitato a far valere la propria minaccia, si trovò costretta ad assecondarlo. Lasciò la lama e si portò le mani dietro al collo. Sganciò la collana e gliela gettò addosso con sdegno. Lui l’afferrò al volo e la guardò con attenzione, senza comunque perdere d’occhio la ragazza che si trovava ad un o da lui, al di là della scrivania che li separava. Si trattava di un tradizionale monile d’oro. Era di forma ovale, come quelli che venivano usati per conservare i ritratti dei propri cari. Gli fu subito chiaro, però, che al suo interno non doveva trovarsi nulla del genere poiché non esistevano meccanismi da fare scattare per aprirlo. Qualcosa lo spinse a credere che fosse importante, così vi ò sopra i polpastrelli per esaminarlo meglio e notò che aveva i bordi piuttosto irregolari, pieni di avvallamenti e di punte; di denti e di gole. Come una chiave. Lo rigirò tra le dita, osservandolo alla luce della lanterna mentre una nuova consapevolezza si faceva largo nella sua mente. Al centro del pendente si ergevano due iniziali finemente intarsiate; due “esse” maiuscole che si intrecciavano tra loro andando a comporre come un disegno. Si trattava un gioiello delicato e di valore, che non sarebbe stato per nulla strano addosso all’erede di una grande famiglia, ma che era del tutto identico a un altro che Croix aveva già visto. Era stato il mese precedente; addosso a un capitano se che lo aveva difeso a costo della vita dichiarando a gran voce che presto qualcosa connesso a lui avrebbe sancito la fine della pirateria. «Io ho già visto questa collana» dichiarò serio. La guardò di sbieco, sondando la sua reazione. «Non mi parete sorpresa di saperlo e questo mi spinge a credere che sappiate molto più di quanto lasciate intendere.» Nel giro di un istante aggirò la scrivania e la raggiunse. Appoggiò entrambe le mani, una con il medaglione l’altra con la spada, ai braccioli di legno della sedia su cui Evelina era seduta e la guardò negli occhi. Era vicinissimo al suo viso, adesso. Tanto da impedirle di nascondere il rossore che le aveva invaso le gote. «Ditemi quello che sapete e salverò i vostri uomini.» «Quella collana vale da sola la loro salvezza. Lo avete promesso.»

Lo sguardo di Croix si adombrò appena, lasciandole intuire quanto odiasse essere contraddetto e quanto crudele avrebbe potuto diventare se lei avesse continuato a farlo. «Potrei rimangiarmi la parola, se lo volessi. In fondo, come avete detto giustamente voi, sono un infame pirata…» Evelina gli sorrise, mentre i suoi occhi lampeggiavano d’ira. «Non sono la sciocca che credete. Se parlo adesso mi getterete in mare con i miei uomini. Liberateli. Fate avere loro una scialuppa, del cibo e dell’acqua. Poi, forse, potremo riparlarne.» Anziché giudicare la sua testardaggine fastidiosa, questa volta Croix la trovò piacevole, un po’ come la tempesta che sorge a vivacizzare troppi giorni di bonaccia. In fondo, era sempre stato un uomo piuttosto paziente e sapeva che le cose più preziose meritavano sempre più tempo, cura e attenzione delle altre. Non importava quando; presto o tardi quella ragazza avrebbe ceduto e gli avrebbe rivelato quanto sapeva. E allora lui avrebbe avuto la sua vendetta. Rinfoderò la spada e le sorrise un’ultima volta, schernendola. «Siete una piccola impudente, ma siete divertente e potreste tornarmi utile, ecco perché per questa volta vi accontenterò. Ricordate solo questo: una volta rilasciati i vostri uomini sarete sola. Sola e a bordo della mia nave, con tutto ciò che questo comporta.» Un brivido freddo le corse lungo la spina dorsale. Paura. Evelina spalancò gli occhi. In un impeto del tutto involontario strinse il bicchiere tra le dita, fino a fare divenire bianche le nocche. «Non avete onore» scandì crudele, prima di poter pensare se fosse effettivamente saggio provocare l’uomo che stringeva tra le mani il potere di ucciderla. «Siete soltanto un infame pirata.» Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e che fece in modo che Croix si fermasse a un o dalla porta. Si voltò lentamente verso di lei, una mano già sulla maniglia e l’altra intenta ad accarezzare languidamente la spada. Di nuovo, un sentimento inarrestabile le bloccò il respiro. Paura. Anziché arrabbiarsi o punirla per l’offesa, però, il capitano mantenne un ferreo controllo su di sé e l’irrise feroce.

«Volete sapere una cosa, madame? Avete proprio ragione, per questo, anziché ripeterlo, forse fareste meglio a pensare a cosa vi aspetta una volta che mi sarò stancato delle vostre provocazioni.» Croix se ne andò e chiuse la porta alle proprie spalle. Lasciò Evelina sola, con un bicchiere ormai vuoto in mano che non esitò a lanciare contro il legno massiccio dell’uscio in un impeto di rabbia. Quale che fosse il futuro che l’attendeva, quel brigante si sbagliava di grosso se sperava di piegarla con le minacce o con l’alcol. Lei era l’unica figlia del temutissimo ammiraglio Chillemi, l’erede della loro casata e, per diamine, avrebbe trovato il modo di riprendersi ciò che era suo e di fargli capire che a rinchiudere un leone in gabbia non si ottiene un docile gattino, ma un re inferocito.

CAPITOLO III L’Ultimo Assassino

*

A otto anni Evelina Chillemi, per esplicito desiderio del padre, aveva già letto diversi libri di strategie militari e almeno il triplo di pesanti tomi sull’educazione e sulle buone maniere. Conosceva già tre lingue e aveva cambiato almeno venti governanti diverse. Non aveva mai avuto un amico e aveva visto suo padre partire per lunghi viaggi molte più volte di quante lo avesse desiderato davvero. Lui era tornato sempre da lei, con in una mano una frivolezza e nell’altra un nuovo libro da leggere insieme. Durante il giorno era raro che il prestigioso ammiraglio Chillemi restasse a casa, mentre la sera era il momento preferito di Evelina; quello in cui, seduta sulle ginocchia del padre e di fronte al caminetto , i due leggevano insieme qualcosa, ne discutevano e poi, immancabilmente, l’ammiraglio se ne usciva con una lezione di vita. A quel tempo Evelina era soltanto una bambina. Amava suo padre. Lo rispettava e credeva che, se l’avesse assecondato, non l’avrebbe lasciata come invece aveva fatto sua madre. Pur di non deluderlo aveva abbracciato concetti fin troppo profondi e pesanti per una bambina della sua età. Si era ritrovata a pensare e ad agire come lui aveva sempre voluto. Aveva lentamente imboccato la strada che il padre aveva tracciato per lei e quando si era resa conto di aver perso una parte di sé molto importante – una parte fanciullesca, ingenua, spensierata – aveva sentito l’irrefrenabile desiderio di allontanarsi da casa – e dall’ingombrante figura del padre – il più possibile. A tredici anni aveva compiuto il suo primo viaggio. A sedici aveva portato a termine la sua prima trattativa. E a diciannove era stata fatta per la prima volta prigioniera dai pirati. Barcollò appena, ebbra delle onde del mare e dello strano liquido che le aveva fatto bere Croix e che le era entrato in circolo fin troppo velocemente. Per non cadere si aggrappò alla cassettiera di legno che si trovava in un angolo, proprio accanto all’attacco di una branda. Attese di riacquistare

l’equilibrio e poi riprese a guardarsi intorno, consapevole del fatto che si trovava nel luogo in cui il suo nemico ava più tempo; l’unico in cui gli fosse concesso essere se stesso e mettere a nudo le proprie debolezze. Scopri il segreto di un uomo e lo avrai in pugno, si ripeté. In fatto di strategia e di psicologia, l’ammiraglio Chillemi non le aveva risparmiato nessuno dei suoi insegnamenti. Seppure brilla, seppure prigioniera, Evelina gli fu grata almeno di questo. L’improvviso rumore della porta che si spalancava la fece sobbalzare. Si appiattì contro la parete, mentre il capitano Croix entrava con o sicuro e con il volto aggrottato in un’espressione decisamente truce. Improvvisamente insensibile alla sua presenza si portò accanto alla scrivania e si mise a osservare una delle tante mappe tenute aperte dagli oggetti più disparati: bussole, lenti di ingrandimento, comi per rotte nautiche, boccette d’inchiostro... Da dove si trovava, Evelina non poteva vedere il suo volto che era coperto dai capelli ricci. Però, finalmente in piedi e sola insieme a lui, poteva realizzare che probabilmente non era pericoloso come aveva ipotizzato in partenza. Non era molto più alto di lei, inoltre non pareva particolarmente prestante. La giacca aperta al di sopra di una camicia troppo larga per la sua corporatura le permetteva di intravedere una piccola porzione del petto. Era esile e magro come un ragazzo, benché fosse evidentemente un uomo fatto e finito. Si chiese dove avesse trovato la forza per obbligarla a bere contro la sua volontà o a restare prigioniera all’interno del cassero, poi si rese conto di essere stata lei stessa a dargliela. La paura che aveva di ciò che avrebbe potuto farle l’aveva resa cieca, oltre che sola. La scialuppa con gli ultimi sopravvissuti dell’Arcadia era stata calata in mare qualche ora prima. Il capitano Martini e il resto dell’equipaggio avevano fatto ritorno alla loro nave, che non era stata affondata, anche se i pirati si erano premurati di tagliare le corde del timone per scongiurare un eventuale inseguimento. Lei, invece, era rimasta a bordo della Eve. Sola. Tutto si era svolto esattamente come Croix aveva voluto, forse per questo si meravigliò di trovarlo così poco attento a ciò che lo circondava e così contrariato. «Cosa succede?», osò chiedere più preoccupata che incuriosita. Croix la fulminò con un’occhiata a dir poco funesta. Le sue labbra si tirarono in

segno di disappunto. Alcuni ricci un po’ più lunghi erano usciti dal codino in cui li aveva raccolti e ora gli offuscavano lo sguardo rendendolo impenetrabile. «Non avete sentito?» «Cosa?» Sotto allo sguardo confuso – e leggermente brillo – di Evelina, Croix congiunse i lembi della giacca e cominciò ad abbottonarla. Quando ebbe finito si curò di stringere bene la fusciacca a cui aveva fissato la spada e controllò che fosse tutto in ordine. «Hanno avvistato una nave» spiegò sommario. «Che genere di nave?» «Si tratta di un dromone a due ordini di remi piuttosto grosso. Non batte alcuna bandiera, ma Hasan è pronto a giurare che si tratti di una nave turca.» Il viso di Evelina sbiancò. In quello stesso momento si udì il boato di un cannone. Le assi del cassero avevano vibrato leggermente nel momento in cui il colpo era partito. Il pavimento sotto ai suoi piedi aveva ondeggiato e questo significava una cosa soltanto: erano stati loro a sparare. Restò immobile, in attesa, mentre l’odore della polvere da sparo penetrava dalle fessure del legno e la costringeva a filtrare l’aria con una mano. Non ci fu nessuna risposta negli istanti a seguire e questo non fece altro che alimentare la sua confusione. «Cosa significa?» Croix le rispose sbrigativo come sempre, estraendo un pugnale da qualche parte e inserendolo nello stivale. «Gli abbiamo dato un avvertimento. Se ci vogliono, devono sapere che dovranno combattere.» Dal ponte di comando si udirono delle voci concitate. Poi, una si impose su tutte. Era quella stridula di McDowen, che aveva scorto qualcosa di assolutamente improbabile. «Capitano, hanno issato bandiera bianca!» Croix sollevò la testa. La bandiera bianca significava che la nave turca voleva

soltanto parlare. Se non fosse stato l’uomo che era, probabilmente anche lui, come il resto della ciurma, avrebbe tratto un sospiro di sollievo. Avevano combattuto tutta la notte per prendere possesso dell’Arcadia ed erano stremati. Tutti sapevano quanto i turchi fossero pericolosi, ma non era questo il punto. Il punto era che non ci si poteva assolutamente fidare di loro. Lo scafo della nave che si stava avvicinando era fatto di un legno scuro, consumato in mare da mille battaglie, tanto da non lasciare nemmeno leggere il nome inciso sulla fiancata. I rematori si muovevano senza sosta al suo interno, vogando al ritmo frenetico di un tamburo che si stava cominciando già a sentire. Inspirò a pieni polmoni, sforzandosi di riflettere. Si trattava di una nave senza nome e senza bandiera; una nave che stava puntando dritta verso di loro benché fosse certa che erano pirati. Nel giro di un istante l’odore della polvere da sparo gli penetrò dalle narici, stringendogli il respiro. Si voltò per uscire e per dire agli uomini di tenersi pronti a ogni evenienza, quando la prigioniera lo fermò mettendosi sulla sua strada. «Non vogliono soltanto parlare, lo sapete bene anche voi.» Aveva la schiena appoggiata alla porta. Si era tenuta ad almeno tre i da lui; una specie di distanza di sicurezza da un uomo di cui non si fidava. E a buona ragione. I capelli scuri le si appoggiavano dolcemente sulle vesti e le incorniciavano il viso, rendendolo più pallido e scarno di quanto fosse realmente. Era evidente che aveva un valido motivo per non volere i turchi vicino a sé, ma che non aveva alcuna intenzione di rivelarlo. Facendo buon viso a cattivo gioco, Croix fece scoccare la lingua e la fissò inclemente. «E… ditemi: secondo voi cosa vogliono?» «Vogliono me.» La risposta del pirata alle sue parole fu un sospiro stanco e annoiato. L’ironia con cui le si era rivolto fino a pochi istanti prima era del tutto svanita dal suo volto. C’erano delle rughe profonde accanto alle sue labbra, adesso. E un’ombra di preoccupazione nei suoi occhi. «So già che sono qui per voi, madame, altrimenti non si sarebbero curati di inseguirci. Sapete, mi sarebbe più utile se mi diceste qualcosa che ancora non so.» La fissò tagliente prima di fare un o verso di lei, obbligandola ad addossarsi al legno massiccio della porta. I suoi occhi si erano spalancati per la

paura, adesso. E per qualche strano motivo la cosa non gli dispiaceva affatto. «Tanto per fare un esempio, potreste dirmi se cercano soltanto voi o anche il vostro medaglione…» Evelina abbassò il capo e si morse le labbra, confermando implicitamente i sospetti del pirata. Arrivati a quel punto era inutile negare l’evidenza: se Croix le aveva sottratto il medaglione era perché aveva capito che non era un semplice gioiello. Ma, forse, c’era ancora un’ultima cosa che poteva fare per salvarsi. Seppure a malincuore e con una profonda ferita nell’orgoglio, si trovò costretta a chiedere l’aiuto del suo sequestratore. Lo fece tenendo gli occhi bassi, mostrandosi dimessa come non era mai stata in tutta la sua vita. «Voi non mi consegnerete a loro, vero?» Se anche fu sorpreso dal suo cambiamento, Croix non lo diede a vedere. Alzò impercettibilmente il mento e la fissò come sempre con sospetto e durezza. «Voi siete una mia prigioniera, madame, e quindi la mia risposta è no. Non vi consegnerò a loro, ma non sarà per cortesia.» Fu duro con lei, più di quanto forse avrebbe voluto, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare, come la nave che si stava avvicinando sempre più in fretta e il rumore dei tamburi che si era fatto quasi assordante. Non le disse altro. Le voltò le spalle e se ne andò con o deciso.

Il silenzio, improvviso e letale, fu il primo segnale che il momento era giunto. Seguì un rumore stridente, gracchiante. Era il suono del legno della Eve che cozzava contro quello dello scafo turco. Una volta giunti da loro, i capovoga avevano smesso di battere i tamburi, anche se parte di quel ritmo infernale era rimasto nei cuori di coloro che stavano assistendo alle operazioni di ancoraggio. In piedi sul ponte maestro, Croix osservò alcuni rematori allontanarsi dal proprio posto per recuperare delle battagliole e congiungere i ponti delle due navi. Nel mentre non poté fare a meno di osservare le dimensioni quasi esagerate dell’imbarcazione turca. Accanto a lei la Eve sembrava minuscola, forse addirittura ridicola. Se non fosse stato per l’assenza di vento, davanti a un nemico di quella portata avrebbe senz’altro scelto la fuga. Con un sospiro si augurò che la bandiera bianca non fosse un inganno.

Fu lo scricchiolio del legno delle battagliole a riportare la sua attenzione sulla realtà. Erano fatte anch’esse di un legno piuttosto vecchio e rovinato, probabilmente in parte marcio a giudicare dal rumore poco rassicurante che stavano producendo. Per un istante si augurò che la delegazione straniera cadesse in mare prima ancora di poter arrivare sulla Eve, ma disgraziatamente non accadde. Il primo a sbarcare fu un individuo particolarmente massiccio, con una grossa scimitarra che gli pendeva dal fianco e i muscoli del petto completamente esposti. Il secondo non fu da meno. Dopo i guerrieri fu la volta dell’uomo da cui dipendevano le vite di tutti loro. Croix raddrizzò la schiena, assumendo una posizione rigida e formale. Aveva scelto di ospitare il capitano turco a bordo della Eve; non aveva voluto arrischiarsi a salire sulla nave straniera. Il progetto era quello di conferire in privato, nella sua cabina e al di fuori di orecchie indiscrete con due membri scelti dell’equipaggio a testa come scorta. Per evitare che scoprisse la prigioniera aveva ordinato che fosse portata nella cambusa. andosi una mano sul taschino dove aveva nascosto il medaglione si augurò che bastasse a tenerla al sicuro. Abbassò appena il capo in segno di saluto e invitò i tre stranieri a seguirlo. Il capitano della nave turca, un omino tozzo che camminava zoppicando e portava appesa alla cintura una scimitarra che pareva più alta di lui, lo seguì lentamente. Una volta entrato nella cabina scelse l’unica sedia rivestita di pelle, vi si sedette senza interpellarlo e prese a fissarlo intensamente, in silenzio. Croix ricambiò il suo sguardo per nulla intimorito, osservando lo strano personaggio mentre si lisciava la lunga barba che emergeva ai lati del turbante. Aveva un occhio più piccolo dell’altro, diversi orecchini dei materiali più diversi, ma nessuna cicatrice o segno di guerra sul viso. «Perché avete chiesto di conferire con me?» Il capitano della Eve, seduto di fronte a lui e con in piedi alla propria destra Hasan e alla propria sinistra Sven, fu il primo a parlare e a imporre il portoghese come lingua di discussione. «Siete arrivato subito al punto» ammise lo straniero con tono profondo mentre intrecciava le dita davanti al mento. Aveva i denti davanti separati, tanto che ogni volta che pronunciava una parola con qualche “esse” il suono che ne usciva era fastidiosamente sibilante. Parlava piano, soppesando le parole e cercando di

nascondere la cadenza della sua terra natia, ma per Croix fu subito chiaro che non si era interessato da molto al portoghese. «Voglio ciò che avete preso dall’Arcadia» concluse all’improvviso con tono tranquillo, ma imperativo. In risposta Croix scosse il capo e sorrise furbo. «Non c’era nulla a bordo dell’Arcadia. Non oro, non ricchezze, non armi o sete pregiate.» «Non mentite a me, capitano. Io so dell’ostaggio e voglio che me lo consegniate.» «Perché?» L’uomo si mosse appena sulla sedia, sistemandosi meglio e rilassando completamente la schiena. «Conoscete il gruppo a cui appartengo?» Le sue dita tamburellavano leggere sui braccioli, quasi senza fare rumore. Aveva la pelle intorno agli occhi più scura del resto del viso e diverse macchie nere sulle dita. «Io e i miei uomini siamo gli ultimi, pericolosi superstiti della Setta degli Assassini.» Fece un istante di pausa, gustandosi il cambiamento improvviso che Croix, pur provando a nascondere, aveva palesato nel viso, infine continuò. «Credono che siamo estinti, ma la verità è che la nostra forza è ancora grande. Nessuno sa dove siamo, nessuno sa quanti siamo, nessuno sa chi siamo. Però.» Alzò il dito indice, come ad ammonire il capitano della Eve. «Però possiamo uccidere chi vogliamo. Rifiutate e io vi ucciderò.» Croix si adagiò meglio sullo schienale della sedia, aggrappandosi a essa persino con le punte delle dita. Era stato in Terra Santa. Sapeva cos’era la Setta degli Assassini e in un paio di occasioni gli era anche capitato di vedere i suoi adepti all’opera. Erano individui terribili, impietosi, che non avevano paura di nulla e di nessuno, nemmeno della morte. Guardò l’uomo seduto di fronte a lui come se avesse potuto scavargli un solco dentro e trovare la verità, anche se sapeva che non era possibile. Le sue dita erano lisce, così come il suo volto. Anche ammesso che avesse visto la guerra, non vi aveva mai preso parte. «Io non vi credo.» Il turco gli sorrise di nuovo, aumentando notevolmente la disparità di chiusura

trai due occhi, poi spostò lo sguardo su Hasan. «Fratello. Se io ti ordinassi di uccidere il tuo capitano, tu lo faresti?» Prima che potesse fare o dire qualsiasi cosa, Croix avvertì sulla propria gola la freddezza di una lama. Hasan aveva estratto la scimitarra e l’aveva usata per minacciarlo esattamente come gli era stato chiesto di fare. Incapace di sottrarsi a quell’insidia così imprevista, tese istintivamente il collo e gettò il capo all’indietro. Sven, accortosi troppo tardi del tradimento dell’amico, posò la mano sull’impugnatura della spada, ma Croix gli impedì di estrarla con un cenno della mano. Anche se fosse riuscito a disarmare Hasan e anche se avesse ucciso tutti i presenti, la battaglia che sarebbe seguita sarebbe stata letale per tutti loro. Erano troppo stanchi e troppo inferiori di numero per poter sopravvivere e questo lasciava aperta una sola possibilità. «Se vi consegno la ragazza poi ve ne andrete?» Il sorriso del capitano turco si fece pericoloso. «Hai la mia parola.» La parola di un Assassino. Croix lo guardò negli occhi per qualche secondo, infine si decise non perché lo volesse, ma perché non aveva altra scelta. Tergiversare o negare ciò che Hasan avrebbe facilmente potuto contestare non avrebbe fatto altro che mettere a rischio le vite di tutti, e comunque non avrebbe cambiato nulla. Deglutì amaro, incurante della lama che gli segnava la gola. «Sven, prendi la ragazza.» Il norvegese allontanò la mano dalla cintura. Esitò prima di obbedire, ma alla fine uscì dalla cabina lanciando alla volta di Hasan un’occhiata carica di disprezzo e rancore. Gli stranieri lo seguirono poco dopo, mentre il capitano della Eve fu lasciato solo per qualche istante con il traditore. Hasan. L’uomo che un tempo qualcuno aveva inviato contro Croix affinché lo uccidesse e che poi, per uno scherzo del destino, si era ritrovato a giurargli fedeltà e obbedienza.

Certo, finché gli Assassini non erano tornati a reclamarlo… Nel silenzio che si era creato tra i due, Hasan allontanò la scimitarra dalla gola del proprio capitano e la depose nella custodia. Croix si massaggiò il collo per qualche istante. I muscoli erano talmente tesi che quando si ritrovò a muoverli non poté fare a meno di sentire tante piccole fitte di dolore tormentarlo. Il male fisico, però, non era nulla rispetto alla sorpresa e al risentimento per quello che era appena successo. Aveva condiviso con Hasan tre anni della sua vita. Avevano combattuto fianco a fianco così spesso da imparare a capirsi con un solo sguardo. Era il suo comandante in seconda, oltre che il suo migliore amico. E, se lo ripeté ancora una volta, gli aveva giurato fedeltà. Quando si decise a parlare, lo fece scandendo bene le parole. Non voleva che ci fossero fraintendimenti, non tra loro due. «Voglio che tu lo sappia, Hasan. Vi lascerò andare, ma non rinuncerò alla ragazza. È un ostaggio della Eve e questo significa che presto o tardi me la riprenderò. Quello che voglio sapere è: per allora, tu da che parte starai?» Hasan era in piedi alle sue spalle. Ormai si conoscevano da così tanto tempo che Croix era capace di interpretare persino il suo respiro, forse per questo non sentì la necessità di voltarsi, né di guardarlo negli occhi. «Io sono nato Assassino.» Troppo veloce. Troppo controllato. Non disse più nulla, poiché aveva perfettamente capito. Come lui, anche Hasan si era ritrovato diviso tra quello che voleva e quello che doveva fare. Erano simili; così simili che alla fine avevano fatto addirittura la stessa scelta. Croix si alzò lentamente dalla sedia e si avvicinò alla porta per uscire. Prima di farlo si sentì in dovere di aggiungere un’ultima cosa, consapevole che da lì in avanti le loro strade avrebbero preso due corsi completamente diversi. «Ricordati questo, Hasan: l’uomo non è quello che nasce, ma quello che sceglie.» Il suo sguardo si fece più morbido, la sua voce più bassa. «Non lasciare che facciano del male alla ragazza.» In risposta il gigante mulatto si batté la mano destra sul cuore, come era solito fare quando in battaglia accettava gli ordini del suo capitano. Lo sapevano

entrambi: nel momento stesso in cui gli aveva premuto la lama sulla gola, Hasan aveva confidato nel fatto che Croix non si sarebbe opposto al volere degli Assassini e che non lo avrebbe messo nella terribile posizione di doverlo uccidere o di dover ingaggiare una battaglia contro gli stessi uomini con cui aveva trascorso gli ultimi tre anni, gomito a gomito. Altrimenti, non era certo che sarebbe riuscito a fare quanto doveva. Quando uscirono sul ponte maestro, il silenzio era cessato. Nell’aria vibravano inclementi le grida della prigioniera che era stata strappata dal suo nascondiglio e gettata tra le mani dei turchi. Croix si fermò a guardarla mentre veniva spinta sulla battagliola che l’avrebbe portata a bordo di una nave senza nome. Non la chiamò, ma attese l’inevitabile momento in cui i loro sguardi si sarebbero incrociati. E quando questo avvenne, a entrambi bastò una sola occhiata per capirsi. Se avesse avuto una qualsiasi altra scelta, lui non l’avrebbe mai lasciata andare. Evelina smise di gridare. Il suo petto si muoveva frenetico. L’orlo della gonna vibrava in balia del vento, frustandole le gambe. Aveva il volto sconvolto, al pari del mare che si agitava come una bestia in procinto di inghiottirla sotto ai suoi piedi. Cercava aria, cercava una via di fuga, un aiuto… Cercava lui. Con gli occhi lo supplicò di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma Croix serrò le labbra. Era una ragazza intelligente e coraggiosa, questo lo aveva capito sin dal primo istante, per cui confidò nel fatto che avrebbe compreso anche ciò che non avrebbe mai potuto dirle con le parole; non con la nave turca così vicino a loro e con Hasan che lo aveva appena tradito. Lentamente piegò il capo, come annuendo. Non finisce qui. Il suo era uno sguardo deciso, determinato, ma non bastò a estinguere il brivido che scosse il corpo della giovane nel momento in cui sentì qualcuno prenderla per la vita e issarla a bordo della nave turca, dove nemmeno il suo Dio avrebbe più potuto salvarla. Soltanto allora, con il polso imprigionato tra le mani scure di un nuovo pericolo, Evelina si accorse che ad afferrarla non era stato uno dei turchi, ma il timoniere della Eve. Immediatamente la paura svanì dal suo volto per lasciare posto allo sdegno. Con sguardo accusatore si rivolse al traditore prima e al comandante della nave turca dopo, invano.

Un lungo fischio del nostromo dette il via alle operazioni di dipartita. I tamburi ripresero a battere. Alcuni marinai disarmarono le battagliole, altri abbassarono la bandiera bianca lasciando l’albero nudo, scavato come gli sguardi degli uomini che vogavano contraendo muscoli e respiro. I remi si alzarono, sollevando degli schizzi di schiuma. Quando si abbassarono infrangendosi sull’acqua lo scafo oscillò tanto da farle perdere l’equilibrio e obbligarla a tenersi alla prima cosa che le capitò sotto mano. All’orizzonte la sagoma della Eve si fece sempre più piccola e lontana. Irraggiungibile. Come la speranza di sopravvivere.

CAPITOLO IV L'Infedele

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Il vento stava cambiando. «Capitano, quali sono gli ordini?» Preso com’era dai pensieri, Croix non rispose subito alla domanda e continuò a fissare l’orizzonte. Hasan lo aveva tradito. Gli Assassini avevano portato via la sua prigioniera e con essa l’orgoglio che aveva svenduto in cambio della salvezza del proprio equipaggio. La nave turca era ormai svanita da diverso tempo all’orizzonte. Per un poco nessuno aveva più osato dire nulla, ma poi il momento della resa dei conti era arrivato. Il vociare degli uomini si era fatto insistente e lui si era trovato nella scomoda posizione di dover scegliere quale via seguire; se quella più giusta o quella più sicura. «Capitano?» Croix inspirò l’odore del mare fino a riempirsi i polmoni. Controllò la direzione del vento, i movimenti delle onde e tutto ad un tratto si accorse che non esisteva una vera e propria scelta, ma che davanti a lui si dispiegava un’unica via. Fu l’istinto a guidarlo ancora prima della ragione, la necessità di fare ciò che aveva appena deciso perché era giusto, e non perché glielo imponeva l’orgoglio, fu invece ciò che gli diede la forza di impartire gli ordini che tutti stavano attendendo. «Moore, tu sarai il nuovo timoniere» affermò deciso. Un ragazzino magrolino e bianchiccio emerse dalla calca di uomini che si era ammassata sul ponte e sorrise al suo capitano. Aveva perso un paio di denti in una rissa recente. Aveva la carnagione così chiara da ricordare la giacca color sabbia di un vecchio lord inglese, ma era sveglio ed era anche ora che smettesse

di lavorare in cambusa per abbronzarsi un po’ e respirare della sana aria di mare. «Agli ordini, capitano!» L’eccitazione gli scorreva nelle vene, insieme al desiderio di dimostrare a tutti di cosa era capace. «Dove ci dirigiamo?» Croix si appoggiò al parapetto e scrutò nuovamente qualcosa di non precisato oltre l’orizzonte. I suoi occhi si fecero burrascosi, come accadeva soltanto prima di un arrembaggio. «A Malta. Ho un amico che mi deve un favore e non è mia abitudine cedere ostaggi prima di averne stabilito il giusto prezzo.» La ciurma guardò con una nuova luce negli occhi il suo capitano. Croix si voltò verso di loro con la schiena ben dritta e l’aria di chi ha ben chiaro cosa vuole e non è disposto a patteggiare. «Siete pronti a sterminare gli Assassini?» «Sì!» I marinai della Eve si mossero in fretta. Tirarono cime, tesero le vele e si predisposero per tornare indietro. Moore esitò prima di impugnare il timone. Si sentiva come un fedele che può finalmente posare le mani su una preziosa reliquia. Era il sogno di tutta la sua vita, per questo promise a se stesso che avrebbe fatto di tutto purché Croix non si pentisse della sua scelta. Fu con un fremito che vi posò sopra le dita. E quello fu anche l’istante in cui comprese che non sarebbe mai più riuscito a lasciarlo andare. Alzò gli occhi verso l’orizzonte e il mare. Attese il vento e quando finalmente lo sentì sul proprio viso gridò con quanta più voce aveva in corpo, per farsi finalmente sentire da tutti. «Pronti alla vira?» Attese il segno di conferma. «Vira!» La nave si piegò su se stessa. Il vento gonfiò le vele che girarono maestosamente tra marinai tesi su pali e appesi alle corde come tanti funamboli di un circo sull’acqua. Mentre il vento scherniva anche il volto di Croix, portandogli i ricci scuri davanti al viso, si voltò un’ultima volta nella direzione in cui erano andati i turchi e giurò a se stesso che avrebbero pagato per ciò che avevano osato portargli via.

*

A bordo della nave turca la prigioniera era stata portata in una stanza ricavata nel ponte di sottocoperta e lasciata sola in attesa. L’ambiente era cupo, scarsamente illuminato. Nell’aria c’era uno strano odore di pece e vino stantio che si era radicato tra le fibre dei grandi tappeti che ricoprivano il pavimento. Alcune ragnatele si nascondevano tra gli angoli del soffitto, consolidando in chi le osservava l’idea che quella nave non venisse utilizzata da diverso tempo. Doveva essere stata preparata all’improvviso, armata a guerra e gettata in mare prima che fosse realmente pronta. La pece che era stata usata per chiudere le fessure del legno non si era del tutto asciugata, e questo aveva fatto in modo che l’umidità ristagnasse a un punto tale da far marcire il legno in alcuni punti. Oltre a questo Evelina aveva osservato lungamente i visi della ciurma turca e si era accorta che molti di quegli uomini non avevano mai viaggiato per mare insieme. Proseguendo l’esplorazione ò un dito sulla scrivania di legno ammassata su un lato e puntellata al pavimento come si usava fare per evitare che si muovesse in caso di tempeste. A giudicare dal modo in cui sporgevano le teste dei chiodi non era stata fissata per bene. Era ricoperta da uno strato sottile di polvere, oltre che di fogli che non avevano nulla a che vedere con diari di bordo o cartine geografiche. Le venne spontaneo chiedersi come fero i turchi a seguire rotte che in realtà non possedevano, quando un rumore improvviso la obbligò a voltarsi di scatto. La porta alle sue spalle era stata aperta e il capitano aveva fatto il suo ingresso zoppicando. Fece un o indietro. Anche se quell’uomo così basso e tozzo non le metteva alcuna paura, ogni volta che incrociava i suoi occhi asimmetrici provava una strana sensazione. Aveva un’espressione terribile in viso; un sorriso obliquo e beffardo che gelava il sangue nelle vene. Inoltre, non pareva assolutamente il tipo di persona con cui era possibile parlare. Anziché accomodarsi sulle sedie della scrivania restò in piedi di fronte a lei, circondato da due uomini dall’altezza spropositata con i muscoli del petto bene in vista e diversi tatuaggi lungo tutto il corpo. «So che i veneziani, i genovesi e i si hanno stretto un accordo e che stanno collaborando per realizzare qualcosa» cominciò insinuante, costringendola a

distogliere lo sguardo dalle armi che i tre individui avevano addosso. Evelina trattenne il respiro, tentando di restare vigile. Il capitano turco le aveva appena parlato in portoghese anziché nella sua lingua. Quella fu un’ulteriore conferma. I turchi si erano interessati da poco a ciò che stavano nascondendo. Le notizie in loro possesso dovevano essere esigue e frammentate, ragione per cui non si erano curati di portare via a Croix il medaglione, ma si erano interessati a lei. A lei, che non sapeva nulla e che, comunque, non aveva alcuna intenzione di assecondare i loro propositi. «Non so di cosa stiate parlando» gli rispose in perfetto portoghese, unendo le mani sul grembo. Tenne la schiena ben dritta e una posizione formale. Non voleva che capissero che era intimidita dalla situazione in cui si trovava. «E invece io credo che mi direte tutto» ribatté lui sorridendole furbo. Il suo tono – e il suo sguardo – erano carichi di sottointesi. Evelina si mise una mano sul cuore e si preparò a mentire. Era disposta a fare qualsiasi cosa pur di andarsene da quella maledetta nave. Arrivati a quel punto, avrebbe preferito persino essere calata su una scialuppa e venire abbandonata in mezzo al nulla. «Io stavo soltanto tornando da mio padre, a Roma. Sono una ragazza semplice e non mi interesso di questioni complesse…» Il turco esalò un verso osceno, simile al ringhio di un maiale. Stirò le labbra in un sorriso sinistro, reso ancora più perverso dallo spazio vuoto tra gli incisivi superiori. Il suo corpo fu scosso da un tremito. Zoppicò fino alla scrivania, ondeggiando come un ubriaco per non lasciarsi atterrare dal movimento del mare. «Vi do tempo fino a domani per ambientarvi nella mia nave e riflettere su quanto vi ho chiesto. Poi, se non parlerete di vostra spontanea volontà, i miei uomini vi daranno una mano.» Eve contrasse tutti i muscoli e strinse tra loro le mani in grembo. Tortura. Per un istante la paura le morse il respiro e le tolse la lucidità. Non comprese ciò

che il capitano disse agli uomini che erano alle sue spalle, ma quando sentì uno di loro prenderla per un polso e trascinarla via le fu chiaro che il tempo delle parole era finito. Incapace di reagire si lasciò condurre verso poppa, dove il movimento dei remi scuoteva la corrente e faceva oscillare maggiormente lo scafo. Fu spinta all’interno di una specie di vano grande appena quanto bastava a distendersi, poi le fu gettata addosso una coperta che non avrebbe offerto nemmeno al suo peggior nemico. Poco dopo la porta venne chiusa alle sue spalle e, mentre il buio l’avvolgeva, sentì distintamente il rumore di una chiave che veniva fatta girare all’interno di un lucchetto. Era in trappola. Aveva finito tutte le risorse a sua disposizione. Era sola, ed era al buio. Incapace di sorreggersi si appoggiò con la schiena a una delle pareti. Per la prima volta ebbe la stranissima sensazione di stare gelando. Si abbracciò il corpo con le mani, ma anche questo non servì a riscaldarla. Il freddo – e la paura – le erano ormai penetrati fin dentro alle ossa.

arono le ore. Lunghe, lunghissime, interminabili ore. Avvolta dal buio Evelina non aveva idea se fosse già giunta la notte o se fosse addirittura finita. In ogni caso, era certa che non sarebbe comunque riuscita a dormire. Il tamburo che scandiva il ritmo della voga si era finalmente fermato, ma lo scafo non aveva smesso di oscillare. All’esterno dovevano avere spiegato le vele. Si chiese dove fossero diretti, anche se in realtà non le importava. Una volta esaurito il tempo a propria disposizione, tutti i suoi incubi più tetri sarebbero divenuti realtà e per lei sarebbe stata la fine. Tortura. Una volta le era capitato di vedere un uomo torturato dai pirati e poi salvato dal mare. La vista del suo corpo martoriato issato a bordo della Vittoria, la maestosa galea di suo padre, le aveva tolto il sonno per molte notti. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire il suono straziante della sua voce e delle ultime parole che aveva detto un istante prima di spirare.

«Je n’ai pas parlé.» Non ho parlato.

Suo padre, allora, aveva lungamente lodato il coraggio di quel se senza nome. Lei aveva annuito per non contrariarlo, ma non aveva potuto fare a meno di chiedersi se anche chi amava quell’uomo l’avrebbe pensata allo stesso modo, o se qualsiasi cosa avesse nascosto a chi l’aveva torturato valesse davvero quel prezzo. All’improvviso udì un rumore di i, seguito dallo scricchiolare del legno. Il cuore le salì in gola. Si aggrappò alla coperta con ogni sua forza, preparandosi al peggio. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando era stata gettata in quella specie di cella. Magari il giorno che il capitano turco le aveva concesso per pensare era già finito, magari…. Trattenne il fiato, mentre da una fessura tra le assi della porta le pareva di intravedere la luce di una candela che si muoveva in mano a qualcuno. Qualcosa tintinnò. La chiave girò nel lucchetto che venne poi gettato a terra senza troppi convenevoli. Evelina represse l’impulso di indietreggiare, non solo perché non aveva abbastanza spazio per farlo, ma anche perché non sarebbe servito a nulla. La porta si aprì e non appena ebbe davanti agli occhi la prima luce dopo diverse ore di buio, fu costretta a ripararsi il viso con una mano per quanto le parve accecante. Concentrò lo sguardo poco più in basso, sull’ampio petto dell’uomo che era entrato. Pareva uno sconosciuto, ma quando si chinò verso di lei e la candela gli illuminò il viso per metà tatuato con scaglie di serpente dovette ricredersi. «Tu! Tu sei lo sporco ammutinato della Eve!» Lo accusò con voce stridula, alterata dalla mancanza d’acqua delle ultime ore. «Hai un bel coraggio a presentarti qui!» «Queste parole non si addicono a una gentile signorina» la riprese Hasan sorridendole sereno. «Soprattutto se indirizzate al suo salvatore.» Evelina assottigliò appena lo sguardo, non comprendendo. Lo vide adagiare a terra una ciotola con un po’ di zuppa e del pane bagnato sul bordo. Subito, sul volto della ragazza si dipinse un’espressione ostile e sprezzante. Salvatore? No, l’infedele non aveva alcuna intenzione di liberarla. Le aveva soltanto portato del cibo affinché non morisse di fame prima che iniziassero le torture vere e proprie.

Alzò il mento, dandosi tutto il contegno di cui disponeva. «Sei qui soltanto per questo?» Hasan si sedette di fronte a lei. Era un uomo piuttosto alto e massiccio, che faticò a ricavarsi uno spazio all’interno di quel luogo così angusto, ma che alla fine risolse il problema incrociando le gambe e spostando di lato il piatto. «Il capitano di questa nave non voleva darti la cena, ma l’ho persuaso dicendogli che ti avrei convinto a parlare.» «Hai perso il tuo tempo» gli rispose con tono di sfida e sguardo accusatore. La sua voce, però, in fondo tremava. Il gigante mulatto avrebbe potuto scommettere sulla sua risposta prima ancora di ascoltarla; sarebbe stata una delle scommesse più facili della sua vita. Proprio per questo non si sorprese, del resto il suo scopo non era quello di interrogare la prigioniera. A quello avrebbe pensato il torturatore il giorno seguente. «Lo sapevo. Non hai di certo il senno di Croix, ma hai la fortuna di essere nelle sue grazie. Mi ha chiesto che non ti fosse fatto del male finché non ti avesse salvato e io gli ho promesso che avrei fatto il possibile, però dipende anche da te.» Evelina sussultò, colpita dalle parole dell’infedele. Finché non ti avesse salvato. Dunque era vero quello che le era parso di capire quando aveva lasciato la Eve e lei e Croix avevano incrociato gli sguardi: lui aveva davvero intenzione di tornare a liberarla! Non aveva capito che non sapeva nulla e che quindi non avrebbe mai potuto aiutarlo a svelare il mistero legato al medaglione e questa, in tutta onestà, le sembrava la migliore notizia della giornata. Con suo padre distante miglia e miglia e le torture alle porte, i pirati erano improvvisamente diventati la sua unica speranza di salvezza. «Devi mangiare e poi devi anche usare al meglio questa» continuò l’ammutinato prendendo dalle pieghe della fascia che portava in vita una boccetta. La avvicinò alla luce della candela, dandole l’occasione di poterla osservare. Conteneva poco meno di mezza pinta di uno strano liquido che non aveva mai visto. Era di un

colore insolito; poteva sembrare acqua, ma era più denso e molto meno trasparente. «Che cos’è?» «È una specie di pozione che io e Croix abbiamo sottratto a un santone indiano in uno dei nostri viaggi. Serve per togliere la sensibilità al dolore, ma il suo effetto non dura che poche ore. Ho soltanto altre due fiale come questa e te ne darò una ogni sera. Se la berrai al mattino, potrai tenere per te i tuoi segreti e superare le torture del giorno. Se invece la ai la sera, potrai dormire la notte senza patire i dolori dell’Inferno, ma parlerai alle torture. A te il giudizio di usarlo.» Evelina osservò la fialetta senza realmente credere al suo effetto. Per quello che poteva saperne poteva benissimo trattarsi di un veleno anziché di un medicinale. Però, era anche vero che sarebbe stata una stupida a gettare alle ortiche la sua unica possibilità di salvarsi dalle torture. Determinata a tentare il possibile la prese delicatamente in mano e se la accomodò sul grembo, pregando di stare facendo la cosa giusta. «Perché tradisci il tuo capitano?» Hasan ignorò la diffidenza nel suo sguardo e le rispose con voce decisa. «Io appartengo al popolo in cui sono nato, ma credo in un solo capitano e seguo il suo volere quanto possibile.» Croix. Quella fu la prima volta in cui Eve vide il capitano pirata sotto una luce diversa. I turchi, e i musulmani in generale, erano individui abituati a mettere la religione al di sopra di tutto. Era stata in Terra Santa diverse volte e molto spesso aveva visto suo padre escludere potenziali marinai solo per la loro religione, che a sua detta li avrebbe resi infidi e pericolosi. Hasan difatti, nonostante dimostrasse un rispetto e una considerazione del tutto straordinari per Croix, non aveva esitato a tradirlo, anche se poi, nonostante tutto, si era ritrovato a obbedire all’ultima richiesta con cui si erano lasciati. Mi ha chiesto che non ti fosse fatto del male.

Il gigante mulatto si alzò in piedi. Uscì prima che lei potesse cominciare a mangiare e le lasciò la candela. Non le disse più nulla. Si limitò a chiudere la porta alle proprie spalle e a sigillarla nuovamente con il lucchetto. Quando sentì la voce della ragazza infiltrarsi tra le assi di legno e ringraziarlo il suo viso fu attraversato da un’ombra. La vita era crudele. Quando l’indomani la prigioniera sarebbe stata sottoposta alle torture, quel ringraziamento non le sarebbe valso a nulla. Nemmeno la fiala che le aveva dato avrebbe potuto salvarla all’infinito, e lui lo sapeva.

Trascorse un intero giorno di torture e, in maniera del tutto imprevedibile, la giovane prigioniera riuscì a resistere al dolore. Non parlò e non rivelò nessun segreto, ma, anche se il torturatore affermò di averla trattata con gentilezza, per quella notte non riuscì a dormire nemmeno un istante. Anche la sera seguente, insieme alla cena, Hasan le portò la fialetta a cui, ormai lo sapeva, doveva la propria vita. E così, quando udì nuovamente dei i che si avvicinavano alla sua cella, non ci pensò due volte e bevve il contenuto fino all’ultima, inutile goccia. Il torturatore entrò con un ghigno sadico, la prese per un braccio e la trascinò sul ponte sottostante, dove si trovava la saletta delle torture. Stremata dal dolore e dalla mancanza di sonno Evelina non riuscì a opporre resistenza. I minuti arono lenti, le ore ancora di più. Grazie alla fialetta che le aveva dato Hasan non sentì il dolore delle torture, ma anche in assenza di questo il pensiero che quella notte tutto sarebbe ricominciato da capo e che prima o poi le fialette sarebbero finite non smise di tormentarla un solo istante.

«Je n’ai pas parlé.» Non ho parlato.

In quel momento ne fu certa: se avesse avuto qualcosa da dire, qualsiasi cosa, l’avrebbe detta. Il problema era che lei non aveva davvero nulla da dire perché suo padre non le aveva mai rivelato nulla, solo che nessuno le avrebbe creduto.

Fu con uno strappo secco che si accorse che il suo aguzzino le aveva appena lussato un dito della mano. Chiuse gli occhi, mentre lacrime di frustrazione le rigavano il volto. L’odore dell’alito dell’uomo che poco prima l’aveva frustata le provocò un improvviso conato di vomito. Piegò la testa di lato per non dover più sentire quel terribile olezzo, ma quando lui le sfiorò il volto con le mani lerce non fu più capace di non guardarlo. Evelina spalancò gli occhi, fissandolo con un misto di orrore e paura. Nel modo in cui le aveva allontanato i capelli dal viso le era parso di percepire qualcosa di diverso, di meno ruvido. Il sorriso del tutto lascivo che aveva addosso le confermò ciò che già sospettava: probabilmente la sua fine sarebbe arrivata molto prima del previsto. Era il terzo giorno di torture; il terzo giorno in cui non parlava. Il momento in cui il suo aguzzino si era reso conto che, se voleva ottenere da lei qualcosa, doveva provare qualcosa di diverso. Evelina sentì il sangue salirle alla testa. Un brivido freddo e lungo le fece tremare il corpo e sbarrare gli occhi. Contrasse tutti i muscoli e fu allora, finalmente, che arrivò il grido che stava attendendo con tutta se stessa. «Nave in vista!» Il torturatore, conscio del fatto che a quel grido ogni membro dell’equipaggio era tenuto a presentarsi sul ponte di coperta per ricevere i nuovi ordini, sollevò il capo verso l’alto. I tamburi si erano fermati, al contrario dello scafo che stava continuando a oscillare. In superficie doveva esserci molto vento. Emise uno strano suono, scoccante, poi legò frettolosamente i polsi della prigioniera e si avvicinò alla scaletta che l’avrebbe portato in superficie. La lasciò sola, in ginocchio, legata alla botte dove le aveva fratturato le dita pochi istanti prima. Evelina aveva gli abiti laceri, in bocca il sapore ferroso del sangue. Era così stanca da non avere nemmeno la forza di alzare gli occhi, ma sapeva – sperava – che presto qualcosa sarebbe cambiato. In lontananza si udì il suono di una campana; quella che talvolta le navi usavano per segnalare la propria presenza quando la nebbia ricopriva il mare. Sono loro, pensò stremata. Croix è venuto a salvarmi… Fu strano. C’erano decine di navi nel Mar Mediterraneo, tra cui anche quelle della flotta di suo padre che la stavano cercando, eppure Evelina pensò immediatamente che si trattasse del pirata che le aveva promesso con uno

sguardo che sarebbe tornato da lei. Finché non ti avesse salvato. Fu soltanto intuito. I colori della nave in avvicinamento, infatti, non erano quelli della Eve e così la sua sagoma. Si trattava di una imbarcazione molto più grande e pesante; di un grosso e ricco mercantile maltese.

CAPITOLO V Costa di Sottovento

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Hasan guardava la sagoma che era apparsa all’orizzonte con sospetto, chiedendosi perché, davanti alla minaccia che poteva rappresentare, il capitano turco non gli avesse ordinato di seguire una rotta diversa, certamente più sicura. Si voltò verso la terra che scorreva placidamente al loro fianco e che gli era stato espressamente ordinato di costeggiare nonostante fosse sottovento. Da esperto timoniere quale era, sapeva bene che navigare lungo quella rotta li avrebbe resi vulnerabili e soggetti a diverse manovre d’attacco. La costa dorata che si vedeva a tribordo, infatti, era quella sabbiosa della Libia, precisamente il tratto delle insidiose secche di Sirte. Era quindi chiaro che il pesante scafo della nave stava rischiando di arenarsi da un momento all’altro. Tornò a guardare il mercantile maltese e, di nuovo, si chiese perché si ostinasse a puntare dritto verso di loro. Era strano, oltre che pericoloso. Nessun uomo sano di mente avrebbe dato ordine di avvicinarsi a una nave che non aveva alcuna bandiera issata e che presentava feritoie per cannoni in entrambe le fiancate, proprio sopra all’imbocco dei remi. Il mercantile, invece, si stava dirigendo esattamente tra le loro braccia. «Capitano, stanno puntando verso di noi. È strano…» Il capitano turco gli si avvicinò lentamente, sempre zoppicando. Quando gli fu accanto si fermò e si accarezzò la folta barba con due dita della mano. «Lascia pure che ci raggiungano» esclamò beffardo. «Se tenteranno qualcosa, saranno i nostri cannoni a zittirli.» Di nuovo, Hasan guardò la terra che scorreva al loro fianco con un misto di agitazione e paura. Il mare su cui stavano veleggiando possedeva tutte le sfumature dell’azzurro, dal più pallido del cielo di primavera al blu più cupo

delle nuvole prima di una tempesta. La profondità delle acque doveva essere piuttosto variabile. In alcuni punti, quelli in cui le secche erano più evidenti, le onde arrivavano persino ad incresparsi e a colorarsi dell’oro della sabbia. «Forse sarebbe meglio allontanarci dalla costa.» «E perché mai?» Il capitano turco si lasciò andare a una risatina sommessa, che gli attraversò il corpo grasso a partire dai piedi fino a emergere come un ringhio dalle labbra semischiuse. «È soltanto un mercantile, non ci darà alcun problema.» Detto questo, zoppicando, si diresse nuovamente sottocoperta. Hasan, invece, tornò a osservare l’imbarcazione in avvicinamento. Croix gli aveva promesso che in un modo o nell’altro sarebbe tornato a riprendersi la prigioniera. Pur essendone a conoscenza, il gigante mulatto aveva scelto di non rivelare a nessuno le intenzioni del pirata, forse per questo nessuno riusciva a credere che ci fosse un pericolo reale che si stava dirigendo dritto verso di loro. Stringendo le mani sul timone, guardò la vela quadra che si distendeva davanti ai suoi occhi, poco al di sopra della linea dell’orizzonte. Era ingiallita dal tempo e rattoppata in diversi punti. Era tesa a tribordo, con il lato rigonfio rivolto verso la costa. La loro nave era grande, ricca di uomini e cannoni. Era praticamente imbattibile in un duello in mare aperto, seppur pesante. Non sarebbe mai caduta a causa di qualche nodo di vento in più, ma quello che si stava dirigendo verso di loro era qualcosa di ben più pericoloso. Incrociando la loro rotta, il mercantile maltese li stava obbligando a stringere la costa con il rischio di incagliarsi nelle secche di Sirte. Hasan serrò le labbra, mentre la paura gli scuoteva il petto. Se la nave si fosse arenata, non sarebbe esistito un sol uomo in grado di armare i cannoni e puntarli contro il nemico. Il loro “capitano” era un folle a non averlo capito. Senza che lo volesse, si ritrovò a pensare che se fosse stato a bordo della nave di Croix le cose sarebbero andate alquanto diversamente, perché lui non avrebbe mai esposto il proprio equipaggio a un rischio del genere. L’improvviso fischio di un colpo di cannone lo costrinse a contrarre tutti i muscoli. Prima ancora che potesse capire da dove proveniva, copiosi spruzzi d’acqua invasero il ponte di babordo facendo scivolare in mare alcune botti mal legate. Subito dopo, il grido della vedetta allertò la ciurma della presenza di una

seconda imbarcazione appena apparsa all’orizzonte. Fu troppo tardi. Hasan capì che erano finiti dritti in una trappola e che non avrebbero potuto uscirne indenni. Una nave stringeva la loro rotta e un’altra gli puntava i cannoni contro, nascosta dietro a un’insenatura naturale della costa. Un secondo colpo vibrò nell’aria per poi violare la fiancata della nave turca. Senza perdersi d’animo si aggrappò al timone, con tutta la forza che possedeva. Il mantenimento della rotta e della stabilità dipendevano ormai del tutto da lui, dal momento che gran parte dell’equipaggio aveva cominciato a muoversi senza alcun senso. La bandiera che sventolava sulla cima della piccola nave da cui erano partite le bordate confermò i suoi sospetti. Un teschio sinistro, avvolto nelle spire di un pericoloso serpente a sonagli, sbeffeggiava i turchi emergendo da uno sfondo non più nero, ma rosso come il sangue. A quella vista un brivido freddo gli corse lungo la spina dorsale. Croix stava ricercando la vendetta e non era disposto a patteggiare. Questo significava la bandiera rossa: nessuna pietà e sangue a fiotti sul ponte della nave avversaria. Il fischio di un terzo colpo di cannone costrinse la nave turca a dirigersi definitivamente verso la costa. In un secondo la deriva, per quanto piccola, strisciò contro il fondale sabbioso e agì nello stessa maniera di una pesante ancora di ghisa. Un rumore ovattato percorse l’intero ponte di coperta, facendo vibrare le assi. La nave si inclinò pericolosamente verso la costa. Un paio di cannoni mal fissati scivolarono dalle piattaforme girevoli, cozzando contro l’albero di mezzana e spezzandolo alla base con un rumore assordante. Il pesante legno cadde sul fianco di tribordo della nave, rompendo diverse assi del pavimento. La punta incontrò il mare sollevando alti spruzzi di schiuma e trascinando con sé alcuni marinai che vennero inghiottiti dalle onde della costa; intrappolati sotto l’acqua dal peso dell’albero. Altri, sottocoperta, videro falle improvvise aprirsi davanti ai loro occhi e accecarli con la loro pressione. Morirono a breve, mentre le loro grida venivano soffocate dall’acqua che penetrava implacabile fin dentro i polmoni. I marinai più sfortunati furono però quelli che rimasero sul ponte di coperta ancora in piedi; ancora in vita. Gli stessi che videro con i propri occhi avvicinarsi la nave pirata del capitano Croix e la nave di conserva maltese, che era qualcosa di ben diverso da un grosso mercantile e che poco dopo innalzò con coraggio e orgoglio la bandiera dei cavalieri Templari di Malta.

Persino gli occhi degli adepti della temibile Setta degli Assassini si sbarrarono di terrore a quella visione. Fin dai tempi delle crociate, infatti, la rivalità tra gli Assassini e i Templari era stata molto accesa e a ognuno di loro era nota la grande pericolosità dell’avversario. Si diceva che in ogni battaglia fosse sufficiente la presenza di un esiguo numero di Templari per essere sicuri della vittoria, e in questo caso non si stava parlando certo di poche teste. C’erano più di settanta cavalieri di Malta e più di due dozzine di feroci pirati a pochi metri dalla nave turca. E nessuno di loro pareva intenzionato a concedere clemenza. Un impeto di vento scosse la bandiera rossa della Eve, facendola volteggiare nell’aria con rinnovata energia. Il capitano e i suoi uomini sollevarono le armi gridando e lo stesso fecero i Templari di Malta. Un sanguinoso scontro era imminente.

A bordo dell’Arca Sacra, la nave maltese, il caldo vento del continente africano sferzava intrepido il volto grande e fiero del suo capitano. Jean Baptiste Chartre si trovava in prima fila, a prua, pronto a dare battaglia. Sentiva l’aria salmastra arrivargli dritta sul viso, restargli imprigionata tra i folti peli della barba che portava lunga fino a metà del petto, come erano soliti fare gli israeliti. Chi lo guardava aveva sempre trovato strana l’associazione della pelle abbronzata e della barba incolta con il suo modo di vestire e i lineamenti del tutto occidentali. Lui, però, non se l’era mai tagliata. Andava fiero di tutto quello che gli era rimasto dalle missioni affrontate in Terra Santa e di tutto ciò che l’aveva cambiato. Portò la mano sull’elsa della spada, accarezzandola. La sfoderò lentamente, assaporando ogni momento che precedeva l’imminente battaglia. Quando l’innalzò al cielo, la sua lama gettò un’ombra scura al di sopra della tunica azzurra che scendeva lunga fino poco oltre le ginocchia. Su di essa Jean Baptiste Chartre, amico di Croix e Cavaliere Ospitaliero di Malta, portava raffigurata con immenso orgoglio la croce templare e lo stemma di Malta. Era un uomo che non aveva paura di nulla, che pagava sempre i propri debiti e che non avrebbe mai smesso di far parlare la gente di sé o di farla tremare al proprio aggio.

Il capitano turco, padrone di una nave ormai allo sbaraglio, richiamò con quanta

più voce aveva gli uomini, rammentando loro il Paradiso promesso dal Profeta a chi sarebbe morto in battaglia. Però, dalla sua voce fattasi roca, fu subito chiaro che anche lui stava cominciando ad avere paura. Fu con lo stesso fragore del tuono che lo scafo della Eve dapprima e della nave maltese poi si appoggiarono su quello della nave turca. Nel giro di un istante furono gettate le battagliole e mandati in attacco gli uomini. Utilizzando la tecnica della Decapitazione, tipica della Setta degli Assassini, i turchi attaccarono subito i capitani delle navi nemiche, Croix e Chartre, ma i due non ebbero alcun problema a difendersi. Anche i Templari, come era accaduto anni prima nelle crociate, utilizzarono la stessa tecnica, ma il capitano turco, a differenza degli altri due, morì pochi istanti dopo sotto il fendente di uno dei seguaci di Chartre. Il terreno di lotta si fece mano a mano scivoloso; i piedi degli uomini si tinsero di sangue e polvere da sparo, mentre camminavano sui numerosi corpi che giacevano riversi ormai privi di vita. La battaglia dall’esito ormai scontato si concluse poco meno di un’ora dopo, quando, dichiarato concluso l’attacco, ai capitani non rimase che fare il giro della nave turca per sterminare gli ultimi superstiti. Fu allora che, finalmente, Croix vide Hasan. Giaceva privo di conoscenza al di sotto dell’albero di mezzana. Per non perdere il controllo della nave ed evitare che venisse sommersa dall’acqua era rimasto al timone fino alla fine, rischiando la sua stessa vita. Chartre, ignaro dell’identità del gigante mulatto, alzò la spada intrisa di sangue al di sopra della sua testa per infliggergli il colpo finale, ma Croix lo fermò mettendosi di mezzo. «È un uomo coraggioso» spiegò inginocchiandosi accanto all’uomo che lo aveva tradito, ma per il quale non avrebbe mai perso rispetto. «Non merita di morire così, senza poter nemmeno guardare in faccia l’avversario.» Lui e Hasan avevano affrontato migliaia di pericoli insieme, e anche se alla fine aveva scelto la parte sbagliata da cui stare, non aveva mancato di ascoltarlo. Eve era viva. Era sopravvissuta a tre giorni di torture e sevizie a bordo di una nave turca ed era certo che parte di questo piccolo miracolo fosse avvenuto per merito suo.

«Non lasciare che facciano del male alla ragazza.»

Estrasse uno dei pugnali che si teneva sempre addosso e lo mise tra le mani del gigante mulatto. Sapeva che al suo risveglio l’avrebbe trovato e avrebbe capito. Quel giorno l’Assassino che era in lui era morto insieme ai suoi tradimenti, e l’uomo che sarebbe risorto dalle sue ceneri sarebbe stato libero. Con le dita, Croix fece il segno della croce sulla fronte di Hasan e spese una preghiera per lui, perché trovasse la forza di tornare alla luce. Chartre lo fissò scettico per tutto il tempo. Poi si grattò la barba castana e depose la spada nel fodero. «Che rotta seguirete ora?» Domandò cambiando discorso. Croix si alzò in piedi distendendo le gambe. «Non lo so. I miei uomini hanno trovato l’ostaggio che stavamo cercando, ma come sai non ho particolari progetti per il futuro.» In realtà, però, Croix aveva intenzione di fare diverse cose. Voleva saperne di più sul segreto collegato ai due medaglioni che aveva rubato. Desiderava ardentemente entrare in possesso di quella che credeva essere la più potente arma del mondo che conosceva e, con essa, ottenere il potere di vendicarsi di chi per lui era ancora intoccabile. «Che ne diresti di venire con me a Malta?» Propose Chartre. Croix sollevò un sopracciglio, guardandolo scettico. «Un pirata ospite a Malta?» «E perché no? In fondo è per questo che avete tante bandiere in stiva…» insinuò complice. «La ragazza potrebbe riprendersi e…» «Non ho intenzione di abbandonare il mare, se è quello che mi stai chiedendo» mise subito in chiaro, prima ancora che Chartre finisse di parlare. Conosceva bene l’amico, sapeva che non avrebbe mai smesso di chiedergli di lasciare il mare, così come sapeva che lui non avrebbe mai trovato un altro posto in cui

sentirsi più libero. «Se me lo permetterai ti seguirò fino a Malta, mi rifornirò e ti pagherò per i tuoi servigi, ma alla fine ripartirò e le nostre strade si divideranno.» «Di nuovo» completò Chartre, incrociando le braccia davanti al corpo con un’espressione comprensiva. «È ancora così grande il tuo risentimento?» A quella domanda Croix non rispose. Si limitò soltanto a fissare il mare finché Chartre non gli dette una pacca sulla spalla per poi fare ritorno alla propria nave. «Seguimi» gli intimò. «Ti condurrò fino a Malta.» Croix si massaggiò la spalla dolorante. La Natura non l’aveva provvisto di un fisico massiccio come quello dell’amico. A dirla tutta era piuttosto magro e nemmeno troppo alto, ragione per cui anche un’innocua pacca sulla spalla, se data con forza, poteva dargli fastidio per giorni interi. Del resto, non era un caso se aveva sempre rivestito ruoli da stratega, anziché di prima linea. «Fossi in te non perderei tempo a voltarmi alle spalle» gridò alla volta di Chartre, punto dal desiderio di rivalsa. «Con questo vento non mi troverai dietro di te, ma davanti al tuo grosso e sgraziato pezzo di legno!» Chartre gli fece un gesto per nulla cavalleresco, che lui raccolse con un sorriso. Poi, con la coda dell’occhio, Croix vide un paio di uomini portare Evelina all’interno della sua cabina. Il sorriso che gli era comparso in viso si spense all’istante, lasciando posto a una espressione piuttosto tesa. A giudicare dalle vesti stracciate e dalle macchie di sangue i turchi non dovevano esserci andati leggeri con lei. Eppure, più che temere il momento in cui avrebbe scoperto cosa le avevano fatto o cosa aveva rivelato, quello di cui Croix aveva paura era il momento in cui si sarebbe risvegliata e avrebbe scoperto che non era stato suo padre a salvarla, ma l’infame pirata che l’aveva prima rapita e poi svenduta in cambio della propria salvezza.

CAPITOLO VI Istinto

*

Il tiepido cullare delle onde e il rumore del pennino che gracchiava sulla carta furono i primi segni che Evelina avvertì al proprio risveglio. Nonostante avesse provato a ignorarlo, le sue dita avevano cominciato a formicolare già da tempo e questo significava che l’effetto del liquido fornitole da Hasan stava iniziando a scemare. Ben presto avrebbe ripreso a provare dolore e la cosa non poteva che preoccuparla. Si mosse inquieta, mentre le immagini dell’uomo che l’aveva torturata negli ultimi tre giorni tornavano a invaderle la mente. Al ricordo del suo volto scuro e dei suoi occhi cupi, Evelina contrasse tutti i muscoli. Chiuse le dita delle mani, ma al posto dell’umidità che correva tra le assi di legno dello scafo turco avvertì la morbidezza e il calore di una coperta. Sorpresa e confusa spalancò gli occhi di scatto. Era buio, ma non come ricordava. Si sforzò di respirare nonostante il dolore alle costole e di distinguere forme e colori. C’era la tiepida luce di una candela che rischiarava l’ambiente. Nell’aria vibrava leggero l’odore del mare. Con lo sguardo ancora appannato dal sonno intravide un soffitto di legno chiaro, del tutto diverso da quello marcio della nave turca. Di nuovo, un suono completamente diverso da tutti quelli che aveva avvertito nelle ultime ore le comunicò una sensazione di smarrimento. Poco distante da lei qualcuno stava scrivendo. Nel tentativo di capire di chi si trattasse si voltò e cercò la candela che si trovava proprio al centro di quello spazio così piccolo. Vide un uomo chino su un tavolo, impegnato a tracciare su una mappa ampi cerchi con un como. Il cuore le balzò in gola. Il timore di essere stata riportata al cospetto del capitano turco la colpì come un pugno in pieno stomaco. Poi l’uomo raddrizzò la schiena e massaggiandosi le spalle emise un sospiro stanco. La candela gli illuminò il profilo fiero e finalmente Evelina si sentì libera di lasciare uscire il fiato che aveva trattenuto fino all’ultimo.

Era il capitano Croix. Chiuse di nuovo gli occhi, questa volta per trattenere le lacrime. Alla fine era davvero tornato da lei e l’aveva salvata. Con la mente ringraziò Dio, consentendo finalmente a se stessa di ricacciare indietro la paura di vedere comparire di nuovo qualcuno a torturarla. Non si trattò che di un istante, però, poi un timore del tutto nuovo tornò a tormentarla. Croix non era suo padre, né un uomo per bene. Era un pirata e non era certamente tipo da fare qualcosa per nulla, né da rischiare la propria vita senza avere un tornaconto. Fu con un moto di puro terrore che si domandò cosa le avrebbe fatto se non gli avesse detto ciò che voleva; se l’avrebbe torturata a propria volta o se l’avrebbe ributtata in mare... Nel giro di un istante si rivide sulla erella che l’aveva portata a bordo della nave turca, soltanto che questa volta non c’era nulla dall’altro capo. Le onde si agitavano inquiete sotto ai suoi piedi. Non vedeva la terra nemmeno oltre l’orizzonte, mentre i pirati ridevano beffardi alle sue spalle. Tutto ad un tratto il desiderio di tornare a casa, tra le braccia di suo padre, si fece così intenso da toglierle il respiro. La paura che non sarebbe più accaduto le provocò un dolore così forte che prima ancora che potesse impedirselo, sentì le lacrime affiorarle dagli occhi e si ritrovò a singhiozzare sommessamente. Croix udì all’istante quello strano rumore, così, lasciate le sue carte, si avvicinò lentamente alla figura della ragazza. Si era rannicchiata fino a nascondersi completamente nelle coperte. Il desiderio di capire se stesse bene lo spinse a tendere una mano verso di lei per scoprirla, ma qualcosa gli impedì di farlo e si fermò un istante prima di raggiungerla. In un tempo lontano, in una guerra che ormai non gli apparteneva più, anche a lui era capitato di finire prigioniero e di essere torturato. Sapeva cosa significava. Conosceva il dolore, lo smarrimento e la vergogna che si provavano anche dopo essere sopravvissuti. Ritrasse la mano e si inginocchiò ai piedi del giaciglio. «Va tutto bene, madame?» «Evelina Chillemi» strepitò con voce rotta, decisa a non rinunciare più a nulla e in primis al proprio nome. «È così che dovete chiamarmi, non come una delle

vostre donnacce qualsiasi!» Croix sospirò. «E va bene Evelina, anzi… Eve» la soprannominò dopo un istante di esitazione, con tono più dolce. Non amava i nomi troppo lunghi e inoltre voleva farle capire che non l’avrebbe trattata come una nemica, per questo le scelse un nome meno formale di quello con cui gli si era presentata. «Siete al sicuro adesso, nessuno vi farà più del male. Potete restare lì sotto finché volete, ho ordinato che non entrasse nessuno a disturbarci. Quando lo riterrete, mi troverete qui ad aspettarvi.» Evelina non gli rispose, anche se non gradì il fatto che lui le avesse dato lo stesso nome della propria nave. Eve. Se non altro smise di piangere, punta nell’orgoglio più di quanto avrebbe voluto dalla gentilezza del pirata. Poco dopo lo sentì allontanarsi, mentre il rumore dei suoi i veniva attutito dai tessuti che la ricoprivano. Il pennino ricominciò a strisciare sulla carta e più i minuti avano, più lei si rendeva conto che rimandare il momento del confronto non sarebbe servito a evitarlo. Lentamente, mise una mano fuori dalle lenzuola. Si mosse con cautela. Si aggrappò con delicatezza al tessuto e lo scostò fino a far filtrare la luce della candela. A quel punto si fermò. Se voleva mettersi a sedere non doveva avere fretta. Non mangiava e non dormiva bene da troppo tempo. A ogni movimento il dolore dovuto a quello che aveva subito si risvegliava e le vertigini le annebbiavano la vista. Croix sorrise ammirato, mentre seguiva con la coda dell’occhio i movimenti della ragazza. Si era mossa molto prima di quanto si sarebbe atteso e non poteva che esserne fiero. Per la prima volta non vide in lei i segni dell’agio in cui era cresciuta – l’altezzosità, la superbia, l’orgoglio – ma le riconobbe una forza che non avrebbe mai creduto potesse appartenere a una creatura tanto esile. Senza che gli dicesse nulla le si avvicinò e afferrò la coperta che aveva lasciato scivolare verso il basso. La usò per coprirla, intuendo che non si fosse accorta di essere quasi completamente nuda. Fu con un tremito, che ricordò la sensualità del corpo ancora acerbo che si era ritrovato a spogliare e a medicare soltanto qualche ora prima. E fu con un senso di vuoto allo stomaco che si rese conto del fatto che una parte di lui avrebbe

voluto rivederlo di nuovo, e non soltanto perché era da troppo tempo che non giaceva insieme a una donna. Non si trattava di istinto. Ciò che lo spingeva a guardarla aveva radici del tutto razionali, forse per questo si sforzò di non pensare a nulla e si ritrovò a tenderle un bicchiere di assenzio prima ancora di avere potuto rendersi conto che le avrebbe fatto più male che bene. Fortunatamente lei non lo prese, ma anzi lo guardò con diffidenza mentre si stringeva le lenzuola al petto e si sforzava di ricacciare indietro l’imbarazzo che le aveva imporporato il viso. Non voleva e non poteva mostrarsi debole, così strinse i denti e fissò il pirata con sguardo truce. «Che cos’è?» Croix non le rispose. Bevve tutto di un sorso il contenuto del bicchiere e poi lo fece ondeggiare per qualche istante, prima di riporlo sul tavolo da dove l’aveva preso. A quel punto si leccò le labbra, prendendo tempo e cercando di capire da dove fosse meglio cominciare il discorso. Gli occhi di Eve lo fissavano guardinghi. Era come se si aspettasse che le fe qualcosa di terribile da un momento all’altro e un parte di lui, ad onore del vero, lo desiderava sul serio. Lei gli doveva molte cose: risposte, innanzitutto, ma anche rispetto e fiducia. Senza considerare il fatto che averla così vicino a sé, sapendo che era praticamente nuda sotto le lenzuola, gli portava alla mente fantasie del tutto sconvenienti. Fece scoccare la lingua, destinando i pensieri più impuri ad altri momenti – e ad altre donne che certamente non l’avrebbero mai guardato come lei stava facendo in quell’istante. «Strana cosa la riconoscenza dei ricchi» la provocò. «Mi sarei aspettato un “grazie” da voi al posto di queste occhiate sprezzanti.» Croix si leccò nuovamente le labbra. L’assenzio che aveva bevuto gli bruciava in corpo, rendendo la sua lingua molto più sciolta e decisamente troppo insolente. Eve, ovviamente, non accettò ivamente la provocazione e nel giro di un istante gli rispose a tono, spalancando gli occhi stizzita. «Non permetto a un uomo che non ha alcun tipo di rapporti con me di insegnarmi l’educazione, soprattutto quando questo stesso uomo si è permesso di restare in mia compagnia mentre ero seminuda e addormentata.» Croix spalancò gli occhi, stupito e adirato. Nel corso della sua vita era stato attaccato verbalmente da più di un avversario. Aveva sentito raccontare sul

proprio conto molte più bugie di quante avrebbe desiderato ascoltare, ma se c’era una cosa che sapevano davvero tutti – e che nessuno aveva mai osato mettere in dubbio – era che non avrebbe mai mancato di rispetto a una donna. Nonostante la collera si impose di restare calmo. Sfoderò un sorriso del tutto tirato mentre la osservava decisamente contrito. «Permettetemi di farvi notare l’ovvio, mia cara, poiché mi parete ancora un po’ confusa. Se avessi voluto vedervi nuda o privarvi del vostro onore, lo avrei fatto prima di darvi ai turchi, e non dopo.» Gli occhi di Eve saettarono d’ira. «Perché? Avete forse paura che mi abbiamo sciupato?» Croix ignorò volutamente la pungente ironia con cui si era espressa e si sedette accanto a lei, sulla branda che aveva fatto costruire negli ultimi giorni per permetterle di riposare distesa. Eve si ritrasse d’istinto, temendo che volesse toccarla, ma lui non lo fece. «Sono quasi del tutto certo che avreste preferito morire piuttosto che farvi… sciupare. Mi sbaglio forse?» Decisa come non mai a troncare la discussione e la piega che stava prendendo, Eve ignorò l’agitazione dovuta allo sguardo di Croix che la stava letteralmente bruciando e alzò dispoticamente il capo. «Adesso basta. Pretendo di parlare con il medico di bordo.» Croix le sorrise malevolo, sfidandola. «Non credo che vi sarà concesso di farlo.» «Dubito che abbiate il potere di impedirmelo.» «E non lo farò» le confermò alzando le mani. «Ma se davvero avete intenzione di cercarlo lasciatemi dire che non sarà un’impresa facile, poiché giace sepolto sul fondo del mare.» Evelina sbiancò.

«Cosa?» «È morto durante lo scontro con i turchi; quello che abbiamo ingaggiato per salvare voi.» Benché sapesse di non avere alcuna colpa, il pensiero che qualcuno avesse perso la vita per lei la fece sentire improvvisamente male; come se fosse stata lei stessa a ucciderlo. Per la prima volta consapevole del fatto che stava realmente viaggiando con la morte accanto, si portò una mano sul cuore, tra le pieghe delle bende e delle lenzuola che le ricoprivano il busto. E fu allora che la domanda forse più inutile e banale di tutte le salì spontaneamente alle labbra. «Ma allora chi è stato a occuparsi di me?» Croix trattenne il respiro per un istante, mentre ricordava la morbidezza della pelle della ragazza che si era ritrovato a spogliare; la profondità dei segni che le aveva sentito addosso e il tremore incondizionato che le aveva scosso il corpo ogni volta che si era ritrovato a sfiorarle le ferite. Durante le campagne in Terra Santa aveva imparato molte cose. Non poteva dirsi bravo come il medico che aveva seguito per anni il suo equipaggio, ma aveva comunque delle conoscenze di base che gli avevano permesso di prestare a Eve il primo soccorso. Per un istante si chiese se fosse meglio metterla a conoscenza della verità o mentirle, salvandole faccia e onore. La guardò, mentre confusa e smarrita attendeva l’inevitabile. E non se la sentì di ferirla ancora una volta. «In assenza del nostro medico di bordo, abbiamo chiesto al medico dell’Arca Sacra di occuparsi dei nostri feriti.» Il volto di Eve non accennò a rasserenarsi, così Croix si spiegò meglio. «L’Arca Sacra è la nave che ci ha aiutato ad abbordare la nave turca. Se siete salva, lo dovete anche a loro.» Evelina tacque per qualche istante, soppesando le informazioni di cui era appena venuta a conoscenza. Non aveva mai sentito di navi pirata che si erano alleate tra loro per assaltare una nave nemica, ma soprattutto non aveva mai udito di pirati che avevano dato alla propria nave nomi che avevano a che fare con il cristianesimo e con le sue reliquie. I pirati erano nemici giurati del papa, che per limitare le loro incursioni stava addirittura progettando di creare una piccola flotta con l’unico scopo di difendere le acque del Mediterraneo e i porti dello Stato Pontificio. Ma questo, ovviamente, Croix non poteva ancora saperlo… «È un nome alquanto insolito per una nave» cominciò timidamente, sondando il

terreno. «Soprattutto per una nave pirata.» Croix la guardò sospettoso, capendo il suo gioco. Però, le rispose ugualmente. «L’Arca Sacra infatti non è una nave pirata. Si tratta di una grossa nave mercantile forgiata nel porto di Malta e comandata da un mio caro amico.» Lo sguardo di Eve si fece attento. «Che genere di amico?» «Il genere che rischia la vita per me, quando occorre. E per il quale io farei altrettanto. Più che un amico, forse un fratello.» «O un compagno di imbrogli, piuttosto.» Questa volta fu il turno di Croix assottigliare gli occhi e farsi sospettoso. Abbassò la voce, facendosi più vicino a lei. «Cosa state insinuando, di preciso?» Evelina represse il brivido che le aveva accarezzato le braccia nude non appena aveva visto il capitano muoversi verso di lei. Non le piaceva averlo vicino, e non soltanto perché non riusciva mai a prevedere le sue mosse. «Pirati e mercanti non possono essere amici, esattamente come non possono esserlo il diavolo e l’acquasanta.» Si fermò, chiedendosi se fosse il caso di proseguire e osare ancora di più. Non seppe trattenersi. «Certo, a meno che non ci sia qualcosa di insano nel loro rapporto…» Croix scoppiò in una fragorosa risata. «Come siete ingenua, Eve. Nella vita vera non esistono regole.» La ragazza sobbalzò. Non le piaceva che lui la chiamasse in quel modo, come se tra loro ci fosse una sorta di strana intimità. Si sforzò di respirare, poi lo guardò senza capire se la cosa le mettesse paura o la emozionasse. Non le si era mai rivolto così duramente, nemmeno quando era stato il momento di minacciarla per ottenere le informazioni che gli servivano. Le stava nascondendo qualcosa; qualcosa che lei doveva assolutamente comprendere.

«C – cosa intendete dire?» Croix si alzò in piedi e si portò accanto alla scrivania con il solo intento di sfuggire al suo sguardo. «Solo perché sono un pirata, non significa che non possiedo regole e non ho onore. Solo perché Chartre è mio amico non significa che sia un brigante.» Tornò a guardarla, per confermarle che era sincero. Aveva le mani premute sulla scrivania, le spalle lievemente ricurve. «Solo perché siete una donna, non significa che se non vi ritenessi all’altezza non vi affiderei la mia stessa vita. Se c’è una cosa che ho imparato andando per mare, è che non esistono certezze, ma soltanto valutazioni del tutto opinabili. Ad esempio, se soltanto un mese fa vi avessero chiesto se sareste stata felice di vedere arrivare una nave pirata verso di voi, avreste risposto di no, mentre alla fine le circostanze vi hanno tradito.» Eve capì all’istante il fatto che Croix stava alludendo a quando era tornato da lei per salvarla. Aveva ragione. Non appena aveva udito il suono della campana per la nebbia, aveva effettivamente tirato un sospiro di sollievo, però l’orgoglio le impedì di ammetterlo e si ritrovò a guardarlo in maniera ancora più cruda. «Sappiamo entrambi che avrei preferito mille volte vedere la nave di mio padre, al posto che la vostra.» Croix le sorrise di nuovo, facendo prima scoccare la lingua. «Io non ci giurerei.» «Cosa vi fa credere di potermi conoscere?» «L’istinto» le rispose semplicemente. «E il fatto che so per certo che l’ammiraglio Chillemi non vi avrebbe mai perdonato di avere perso il ciondolo che vi ho sottratto.» Eve si portò una mano sul collo e lo cinse timidamente con le dita. Al pensiero di quello che le sarebbe accaduto non appena il padre avesse scoperto che era tornata senza la Chiave il suo viso si fece nuovamente pallido. L’ammiraglio non era tipo da perdonare gli errori o le sconfitte. Le rare volte in cui Eve non aveva saputo dargli la risposta che voleva, aveva provveduto lui stesso a punirla duramente. Tremò, vittima dei ricordi. E anziché attaccare nuovamente, questa volta scelse la via della difesa.

«Come avete detto voi: non esistono regole. Quindi potreste sbagliarvi anche su di me, a questo punto.» «No, il mio istinto non sbaglia mai.» Eve gli lanciò un’occhiata fugace, prima di puntare nuovamente gli occhi sul proprio grembo. Aveva paura che quello che stava per dire avrebbe potuto scatenare in lui una reazione violenta, ma la verità era che non lo conosceva affatto. Mettere un uomo come Croix con le spalle al muro era difficile quanto sbarcare a Roma con il teschio in bella vista sull’albero maestro, anche se effettivamente qualcuno era riuscito a ingannarlo. Si morse le labbra, mentre i ricordi le riaffioravano dolorosamente nella mente. «Ciononostante, siete stato tradito» sussurrò piano, impalpabile. Croix incassò il colpo con finezza. «Mi sorprende sapere che siate proprio voi a pensarlo, del resto, se Hasan non mi fosse stato fedele, a quest’ora non sareste qui a raccontarlo.» A quel punto Eve tacque, ripensando a tutto l’aiuto che l’ammutinato le aveva dato a bordo della nave turca. Per la prima volta si chiese a chi dovesse davvero la vita; se all’uomo che l’aveva aiutata o a quello che glielo aveva chiesto. «Sapevi sin dal principio che ti avrebbe ascoltato, vero?» Senza accorgersene, aveva cominciato a rivolgersi al pirata in una maniera molto meno formale. Aveva smesso di dargli del “voi” e la sua voce si era fatta molto più bassa. Aveva gli occhi ancora puntati sul proprio grembo, le dita delle mani intrecciate nervosamente. Il nodo che sentiva alla gola non si era ancora sciolto, poiché la verità non era ancora emersa e a lei serviva sapere, in quel momento più che mai. Croix prese un bel respiro, poi annuì con il capo. «Non glielo avrei chiesto altrimenti.» Eve si morse la lingua nel tentativo di non fare uscire la domanda che le aveva tormentato la mente sin da quando si era risvegliata. Esitò, prima di ripetersi ancora una volta che rimandare non avrebbe reso meno difficile la propria

situazione. «Che cosa vuoi da me? Perché mi hai salvata?» Croix la raggiunse e si inginocchiò nuovamente ai piedi della branda. Attese che lo guardasse, poiché soltanto in quel modo avrebbe potuto capire se gli stava mentendo. «Mi basta una risposta, piccola Eve.» «A quale domanda?» Estrasse dal taschino della giacca la collana che le aveva strappato la prima volta che si erano ritrovati soli in quella stessa cabina e lasciò che ciondolasse davanti ai suoi occhi. «Dove si trova la sua serratura?» Eve osservò il piccolo monile d’oro su cui spiccavano due grandi “esse” che si intrecciavano attorniate da minuziosi e ricercati intagli. Per un istante si fece rapire dai suoi riflessi e dalla punta appena accennata della chiave che nascondeva. Sin dal primo momento in cui le era stato consegnato affinché lo riportasse al sicuro nelle casseforti dello Stato Pontificio, l’aveva trovato splendido. Credere che esistesse un artigiano capace di replicare per cinque volte quel piccolo miracolo le era parso quasi blasfemo. Si sforzò di incamerare aria e di restare vigile, poiché sapeva di non potersi fidare del pirata che l’aveva prima rapita e poi salvata. «Non posso dirvi quello che non so.» Fu con estremo disappunto che Croix si rese conto che era tornata a dargli del “voi”. Deglutì piano, poi le si avvicinò ulteriormente per sistemarle un riccio nero che le era scivolato davanti agli occhi. Fu un errore toccarla, perché prima che lo volesse le sue dita si ritrovarono ad accarezzarle una gota e i suoi occhi si persero nella contemplazione di quelle labbra appena arricciate che parevano insieme chiedere un bacio e pretendere obbedienza. «Sappiamo entrambi che state mentendo.» Eve distolse lo sguardo da lui e lo chinò verso il proprio grembo. Non appena la

sua voce l’aveva accarezzata, aveva sentito qualcosa sciogliersi all’interno del proprio corpo e non le era piaciuto. Recuperò fiato e contegno insieme. «Se avessi saputo qualcosa, qualsiasi cosa, l’avrei detta pur di evitare che mi fero... questo.» Eve singhiozzò e Croix si ritrovò a serrare le labbra. Tortura. Deglutì aspro, ricordando la profondità dei segni che le aveva scorto sul corpo e che era certo anche in quell’istante la stessero facendo impazzire di dolore. «Io non sono come loro, Eve.» «Potreste essere peggio.» Meno violento, ma più subdolo. Croix sentì l’esigenza di guardarla negli occhi. Le prese il mento tra le dita e pretese la sua attenzione. «Avete ragione, potrei. Ma non lo farò.» «Nemmeno se non vi dessi le informazioni che volete?» «Nemmeno se da ciò dipendesse la mia vita.» «Perché?» Croix le sorrise di nuovo e questa volta concesse a se stesso di accarezzarla senza che lei lo fermasse. Evelina aveva una pelle incredibilmente morbida nonostante l’aria salmastra, o forse era il desiderio che aveva di lei a renderla più perfetta di quel che fosse realmente. «Perché io vi credo» ammise infine. Ed è per questo che non vi farò del male. Nonostante Eve non fosse mai stata toccata da un uomo e trovasse ruvido il contatto delle dita del pirata sulla pelle, non si ritrasse e continuò a guardarlo

mentre la sfiorava. Di nuovo, ebbe la sensazione che qualcosa si fosse sciolto dentro di lei, ma si impose di ignorarlo e di prestare attenzione all’unica cosa che le importava davvero. «È il vostro istinto a suggerirvelo?» «Forse» sentenziò Croix sibillino, evitando di confessarle che era stata un’altra parte di lui a indurlo a lasciarla stare; una parte che aveva rinnegato da tempo e che aveva inspiegabilmente ripreso a farsi viva nel momento in cui l’aveva avuta tra le braccia, ferita e inerme, e aveva sentito l’irrefrenabile bisogno di non lasciarla più andare. Imbarazzato dall’intensità di quel desiderio si impose di allontanarsi da lei. Si alzò in piedi e le voltò le spalle, ma fu allora che Eve gli diede la risposta che cercava. «È a Roma.» Le sue parole furono poco più di un sussurro, ma Croix riuscì ugualmente a udirle. Chiedendosi se le avesse soltanto immaginate tornò a guardarla. Eve era a sedere sulla branda che le aveva procurato, con la schiena ben dritta e una coperta a coprirle la pelle nuda. I suoi occhi mostravano una determinazione invidiabile, i tratti del suo viso una calma del tutto controllata. L’impressione era che sapesse quello che stava facendo, per quanto improbabile. «Potete ripeterlo?» Eve alzò il mento, mentre il ricciolo che lui le aveva sistemato le scivolava nuovamente davanti al viso. «Quello che cercate è a Roma.» E fu allora, guardandola negli occhi, che Croix comprese che non era stata la Evelina Chillemi che aveva conosciuto a parlare, né quel poco che era rimasto di lei dopo le torture a bordo della nave turca. A dargli la risposta che cercava era stata invece una terza persona presente dentro di lei, nella parte più profonda e libera della sua anima. Si trattò semplicemente di Eve. La sua Eve.

«Grazie» sussurrò costringendosi a restarle lontano, anche se l’istinto lo spingeva in tutt’altra direzione. «Saprò premiare la vostra sincerità, siatene certa.» Inspiegabilmente Eve gli credette. A differenza sua, Croix non le aveva mai mentito e aveva sempre mantenuto la parola data. Aveva lasciato libero l’equipaggio dell’Arcadia, trattenendo lei sola come ostaggio. Era tornato a salvarla dai turchi ed era certa che entro la fine di quel viaggio avrebbe trovato il modo di ripagarla per la fiducia che gli stava concedendo. Come, non avrebbe saputo dirlo. O forse aveva timore di scoprirlo…

CAPITOLO VII La Vera d’oro

*

La prima notte di navigazione fu la più dura e la più terribile. Nonostante la serenità del mare e l’assidua presenza di Croix accanto a lei, la febbre dovuta alle ferite provocò a Eve degli incubi terribili. Non ci fu un solo istante in cui il suo corpo smise di tremare, od in cui le sue labbra non si contorsero per invocare aiuto. Di tanto in tanto chiamava suo padre, e in quelle occasioni Croix si trovava a rabbrividire. La maggior parte delle volte, però, si limitava semplicemente a gridare. «Devi resistere» continuava a ripeterle mentre la luce della candela si consumava. «Tra due giorni saremo a Malta e allora cambierà tutto.» Eve tese nuovamente tutto il corpo, arrivando a sollevare le lenzuola. A tormentarla non era soltanto dolore fisico, ma soprattutto il timore di non riuscire mai più a tornare a casa. Strinse le dita a pugno, fino a sentire le unghie conficcarsi nei palmi delle mani. Il dolore che provava era tale da impedirle persino di respirare. Ogni volta che tentava di muoversi i segni delle frustate che aveva ricevuto sulla schiena si riaprivano, bruciandole la pelle. «Ti prego…» continuava a gemere, sopraffatta dalle allucinazioni e dai ricordi. «Il liquido bianco, ti prego…» «Non ne ho più, Eve. erà, vedrai. erà.» La voce di Croix era decisa. Era lo scoglio a cui aggrapparsi nel pieno della tempesta. Le sue dita erano caute nel rinfrescarle la fronte e nel girarle il corpo affinché non gie sopra le ferite che le segnavano la schiena. Però, per quanto fe, a nessuno dei due sembrava mai abbastanza. «Parlami di casa tua, Eve. Dimmi com’è.»

Gli occhi della ragazza si chio, mentre ripensava al luogo in cui era cresciuta e cercava in esso la forza di affrontare quei terribili istanti. «È bella, molto…» Gemette ancora, restando senza fiato. Croix serrò le dita sulla sua spalla, in modo che restasse distesa sul fianco e non si voltasse. Se le avesse permesso di sdraiarsi sulla schiena, il sudore che le ricopriva il corpo le avrebbe fatto attaccare le bende alla pelle, e cambiarle l’indomani sarebbe stato molto più doloroso. Nel tentativo di distrarla la incitò a parlargli di qualcosa. Probabilmente pensare ad altro non avrebbe cancellato quello che pativa, ma l’avrebbe aiutata a renderlo meno intenso. In parte funzionò, perché una volta ata la febbre Eve riuscì ad addormentarsi e Croix fu finalmente libero di accarezzarle il capo senza che lei sussultasse.

Quel giorno la giovane dormì per molte ore. Quando si svegliò, era ormai pomeriggio inoltrato. Non avvertendo alcun rumore nella cabina si sforzò di mettersi a sedere e si guardò intorno. Croix non c’era. Massaggiandosi il viso con un mano, si sentì quasi delusa dalla sua assenza. Aveva vaghi ricordi della notte appena trascorsa. Il dolore. Il modo in cui lui le era rimasto accanto. La determinazione e la forza con cui l’aveva sostenuta… Eve si ò una mano tra i capelli, riordinando le idee. Tutto ad un tratto aveva percepito un’inspiegabile ondata di calore sprigionarsi all’interno del suo corpo, anche se era certa di non avere più la febbre. Incapace di spiegarsi l’accaduto scacciò i pensieri e si concentrò sul proprio stato di salute. Raddrizzò la schiena, mentre un brivido a dir poco pungente le correva lungo la spina dorsale e le mozzava il fiato. Tentò di allontanare le bende dalla pelle per darle respiro, ma non riuscì a farlo. Anche se non poteva vedere in che situazione erano, poteva sentire che erano bagnate di sudore. La necessità di trovare qualcuno che la aiutasse a cambiarle la costrinse ad alzarsi in piedi e a cercare degli abiti puliti per coprirsi. Aprì il baule che si trovava accanto alla scrivania tenendosi un lenzuolo saldamente ancorato al petto. Scartò un paio di indumenti poco adeguati e si infilò un’abbondante camicia blu. La abbottonò fino in cima e se la infilò nei calzoni. Chiuse il tutto con una fascia scura e si sistemò i capelli come meglio poteva, anche se l’aria di sale e il sudore li avevano resi così secchi da impedirle di arci le dita attraverso. Prima di uscire fece vagare lo sguardo all’interno della cabina. Non c’erano

specchi o superfici riflettenti, ma forse, anche se ne avesse avuto l’occasione, Eve non si sarebbe comunque guardata. Non aveva idea dell’immagine a cui avrebbe potuto trovarsi davanti, e forse la temeva persino. Ormai era una donna adulta. Non era così ingenua da pensare che dopo le torture il suo corpo non avesse subito cambiamenti profondi, che probabilmente le sarebbero rimasti addosso per sempre. Eppure, una piccola parte di lei non riusciva a smettere di sperare che non vedere ciò che era diventata lo avrebbe reso meno terribile. Scuotendo la testa, si avviò a o spedito verso la porta e la oltreò prima di essere colta nuovamente dai dubbi. All’esterno il mare l’accolse impetuoso, rovesciandole sul viso qualche schizzo di schiuma. Il cielo era un turbine di nuvole che si muovevano veloci, spinte dal vento che gonfiava le vele bianche della Eve. Inspirò a pieni polmoni l’aria aperta. Le era mancata. Rinfrancata dalla frescura si guardò intorno. C’erano diversi uomini intenti a lavorare. Alcuni spazzavano il ponte, altri riparavano come possibile i danni che erano seguiti all’ultima battaglia. Ad un tratto un marinaio le ò vicino fischiettando un motivetto allegro. Teneva in bilico sulle spalle una grande botte, che reggeva con una sola mano a cui mancavano due dita. Eve si fece indietro per farlo are, mentre lui le strizzava un occhio con aria complice e poi si avvicinava a Croix per sussurrargli qualcosa all’orecchio. Il capitano, che era occupato a dare delle indicazioni al timoniere, si voltò verso di lei all’istante e, non appena la vide, la trafisse con uno sguardo a dir poco glaciale. Nel giro di un istante la raggiunse e le intimò di seguirlo con una voce così bassa che Eve si domandò se lo avesse soltanto sognato. Ciononostante gli obbedì e così poco dopo i due si ritrovarono nuovamente soli nello spazio ristretto della cabina del pirata. «Chi diavolo vi ha dato il permesso di vestirvi a quel modo?» Eve guardò Croix stranita, prima di percorrere con occhio critico se stessa. Era vestita da uomo, certo. Indossava dei calzoni fissati con una fascia che le mettevano in evidenza i fianchi e una camicia sotto alla quale non aveva potuto mettere la solita sottoveste. Aveva lasciato le proprie forme più esposte, ma non era certamente uscita nuda o svestita come una puttana qualsiasi. A ben guardare, la scollatura di quella camicia era persino minore di quella dell’abito con cui l’aveva vista la prima volta, per cui incrociò le braccia sul petto e ricambiò lo sguardo del pirata con la medesima ostilità.

«Se non erro, qualcuno ha fatto sparire i miei vestiti. Cosa pretendevate? Che uscissi nuda?» «No, certo che no!» Esclamò lui piccato. «Ciò che pretendevo era che restaste ferma come vi avevo ordinato di fare.» Eve alzò il mento in un impeto d’orgoglio. Se c’era uno cosa che non poteva più tollerare dopo anni di cieca obbedienza, era che qualcuno le desse degli ordini. «Io non faccio parte del vostro equipaggio, non avete alcun diritto di dirmi cosa devo o non devo fare.» Croix fece un o verso di lei. La obbligò a indietreggiare fino a trovarsi con le spalle contro il legno che rivestiva i lati della cabina. «Se è per questo voi non avete alcun diritto di rubarmi i vestiti e ora toglieteveli immediatamente.» «No.» Eve incrociò le braccia, proteggendosi. Le aveva parlato con tono calmo e controllato, ma non per questo meno insidioso. Gli puntò un dito addosso, ammonendolo. «E non pensate nemmeno di minacciarmi, è un consiglio.» Questa volta il pirata l’irrise amaro. «Devo dedurre che preferiate le mie mani alle minacce?» Le gote di Eve si tinsero di un rosso mentre pensava al calore che le avevano trasmesso le sue dita la notte precedente, mentre in balia della febbre si era ritrovata persino a stringerle come avrebbe fatto con quelle di un amante. Si umettò le labbra divenute secche con la lingua, prima di tornare a guardarlo negli occhi. Il cuore le batteva frenetico in petto, ma avrebbe preferito morire piuttosto che dargli la soddisfazione di intuirlo. «Avete promesso che non mi avreste fatto del male.» «E non ve ne farò, in effetti. È solo al vostro… bene più completo che sto pensando.» Per un istante il sorriso losco di Croix le tolse il fiato. In esso rivide la lussuria che aveva letto negli occhi di alcuni marinai diretti in un bordello di Valencia.

Improvvisamente si ricordò di essere a bordo di una nave di pirati senza onore e pregò che lui non intendesse sul serio proporle di fare qualcosa di sconveniente insieme o, ancora peggio, costringerla contro la sua volontà. Deglutì, ricordando le conversazioni indecenti che aveva sentito sul modo che avevano certe donne di piegarsi ai desideri di un uomo. Per quanto, a suo tempo, si fosse fatta molte domande, si impedì di pensare a come sarebbe stato finire tra le mani del brigante che aveva di fronte e che le sorrideva beffardo. Raddrizzò la schiena e fece per rispondergli a tono, ma lui la fermò prima che potesse farlo. «Suvvia, per una volta siate saggia e ascoltatemi.» I sui occhi si fecero più intensi, la sua voce più morbida. «Non costringetemi a strapparvi la lingua o a sculacciarvi come evidentemente vostro padre non ha mai fatto.» L’indignazione si trasformò in vergogna. E la vergogna in rabbia. Eve gli si avvicinò con l’intento di schiaffeggiarlo, ma Croix fu ancora una volta più veloce di lei. Si scansò all’ultimo e con un piccolo colpetto alla base della schiena fece in modo che ricadesse sul giaciglio in cui aveva riposato la notte precedente, con il petto infossato tra le lenzuola e le ginocchia appoggiate a terra. Senza volerlo le fece assumere una posizione del tutto provocante, che gli portò alla mente idee a dir poco viziose. Gonfiò il petto, sforzandosi di ricacciarle indietro. Sentendosi a disagio al solo pensiero di sfiorarla con le mani, sfoderò la spada che portava alla cinta e gliela puntò alla gola. La usò per tenerla costretta sul letto, oltre che per attirare la sua attenzione. Vedendo la lama così vicino a sé, Eve rimase immobile con le ginocchia a terra e gli occhi completamente spalancati. «Ho giurato di non farvi del male» proseguì Croix con voce impalpabile «e intendo mantenere la parola data.» Eve lo guardò di sbieco, sfidandolo. «Lasciatemi libera, allora. Tra poco saremo a Malta, non avrò alcun problema a trovare qualcuno disposto a riportarmi a casa.» «Voi non conoscete gli uomini e queste vostre parole ne sono l’ennesima conferma.» Eve lo fulminò con gli occhi. La sua voce si fece bassa, astiosa.

«Non tutti gli uomini, guardandomi, penserebbero a quello che state pensando voi.» Il pirata inclinò la testa di lato, decisamente divertito dalla piega che stava prendendo la loro conversazione. «E a cosa sto pensando, esattamente?» «L’avete detto voi stesso: a come obbligarmi a togliermi i vestiti.» Croix fece scoccare la lingua e si concesse una genuina risata mentre immaginava Eve completamente nuda che percorreva la erella e si gettava in mare per svanire tra le onde. Una visione a dir poco celestiale. Sospirò di nuovo, prima di tornare serio. «Avete mai considerato il fatto che potrei avere un intento diverso da quello che credete nei vostri confronti?» Eve girò appena la testa, restando comunque immobile con la pancia sul letto e le ginocchia per terra. «Cosa intendete?» «Come ho già detto, se avessi voluto il vostro corpo l’avrei preso già da un pezzo.» Bugiardo. «Se non l’ho ancora fatto, è perché voglio qualcosa di ben diverso da voi.» Un lampo di incertezza vibrò nello sguardo della ragazza. «Se sperate di avere altre informazioni da me vi sbagliate di grosso, perché vi ho già detto tutto quello che so.» «Io non credo» disse inginocchiandosi accanto a lei. «Siete una piccola bugiarda, Eve, oltre che un’ingenua.» «Io non sono un’ingenua!» «Ma davvero? Solo un istante fa avete detto di volere chiedere un aggio per tornare a casa, ma la verità è che non avete idea di cosa accadrebbe a un donna sola in una nave piena di uomini. »

«Non sono tutti come voi» sibilò con l’intento di ferirlo. Croix, invece, prese quella frase come un complimento. «È vero: non sono tutti come me e fareste bene a ricordarlo.» «Con o senza vestiti?» Lo provocò con il chiaro intento di avere l’ultima parola, ma Croix non si lasciò cogliere impreparato. Depose la spada, la prese per una spalla e la fece voltare di forza, poi infilò le dita nella scollatura della camicia, proprio all’attaccatura dei bottoni. Cominciò a slacciarli uno a uno senza mai smettere di guardarla negli occhi, scoprendo le bende che le nascondevano il petto, poi le spalle ben dritte e infine le braccia. Si fermò soltanto quando si rese conto che il torace di Eve era completamente alla sua mercé e che si stava gonfiando e sgonfiando velocemente, in sincrono con il battito accelerato del suo cuore. Aveva paura di quello che avrebbe potuto farle. Non immaginava, certo, che anche lui nutrisse un timore del tutto analogo: quello di non potersi controllare. La prese per una spalla senza alcuna esitazione e approfittando del fatto che la camicia calata sulle braccia le avrebbe impedito di allontanarlo da sé la fece nuovamente girare su se stessa e distendere sul letto. Ora Eve aveva il volto immerso nel cuscino, la schiena rivolta verso l’alto. Tremò, poiché era molto più esposta di quanto fosse mai stata nella sua vita. «Con o senza vestiti per me non fa alcun differenza» le sussurrò Croix all’orecchio, consapevole di stare mentendo. Vide la pelle della ragazza tendersi, sfiorata da un brivido. «Se voglio qualcosa trovo comunque il modo di ottenerlo.» Eve sentì qualcosa di freddo correrle leggero lungo la schiena. La consapevolezza che si trattava di un coltello la tenne inchiodata al materasso, con il respiro fermo in gola. Udì il suono di uno strappo, e poi un altro. Quando si rese conto che Croix stava tagliando le bende e non la stava punendo per la sua disobbedienza fu troppo tardi. La testa le stava già girando così forte da impedirle di ragionare. L’eco delle sue parole e della determinazione contenuta in esse si era già insinuato dentro di lei, costringendola ad arrendersi e ad assecondarlo in qualsiasi cosa le avesse chiesto. «Ora state ferma, devo pulirvi le ferite.»

Eve chiuse gli occhi, ringraziando il cielo. Fortunatamente aveva sbagliato di nuovo a giudicare il pirata. Non voleva sedurla o stuprarla, ma soltanto medicarla. Si mosse a disagio, avvicinando le braccia al corpo in modo da coprirsi il più possibile. Dentro di sé, pensò che avrebbe preferito lasciarsi toccare da chiunque, tranne che da lui. Ma in realtà mentiva. Le dita di Croix erano morbide e attente sulla sua pelle, nonostante i segni che la percorrevano fossero profondi. Si chiese se fosse la prima volta che gli capitava di sfiorare un corpo umano così teso e dolorante. Non seppe mai spiegarsi perché, ma fu certa che gli fosse già accaduto in un tempo lontano. «Stringi i denti.» Chiuse gli occhi e obbedì, mentre con un panno umido e morbido le lavava la schiena. Si inarcò appena, sussultando per il dolore. Croix strinse i denti insieme a lei, prima di cercare e trovare le parole più adatte a rassicurarla. «Forse vi sembrerà assurdo, ma un giorno ringrazierete i turchi per quello che vi hanno fatto e vi renderete conto che la vostra più grande disgrazia è stata la vostra fortuna.» Benché stremata dal dolore e dalla tensione, Eve trovò comunque la forza di rispondergli a denti stretti e di leggere tra le parole del pirata quello che lui le stava tenacemente nascondendo. «Io lo so.» Boccheggiò trattenendo il dolore, ricercando la lucidità che le serviva. «Non è di me che state parlando, ma di voi stesso e del vostro ato. Non è forse vero?» Croix sorrise, consapevole del fatto che non potesse vederlo. «Siete una donna pericolosa, Eve. Compatisco l’uomo che dovrà sopportarvi per tutta la vita.» «Non ci sarà nessun uomo. Presto o tardi i segni che porto sul corpo verranno alla luce e allora perderò tutto. Il rispetto di mio padre. La fiducia in me stessa e persino l’amore di mio marito.» Croix spalancò gli occhi di scatto. «Vostro marito?»

Le guardò la mano e le dita completamente serrate, ma non vide alcuna fede. I turchi dovevano avergliela portata via, perché le sue parole non lasciavano adito a nessun dubbio. Eve aveva un marito; un uomo a cui era stata promessa e che lei aveva accettato di sposare. Era una donna attraente e nel fiore degli anni; era ovvio che avesse ricevuto diverse proposte, ma chissà perché Croix non aveva considerato l’eventualità che ne avesse accettata una. Per la prima volta, realizzò che in realtà non la conosceva affatto, anche se sin dal primo sguardo gli era parso di intendere perfettamente che tipo di donna fosse. Improvvisamente l’immagine di Eve che baciava un altro uomo si fece spazio nella sua mente e gli contorse lo stomaco. Ritrasse le dita dalla sua pelle, contraendole fino a stringerle in un pugno nervoso. Lei era già di un altro uomo. Alzando gli occhi al cielo si costrinse a riprendere fiato. Aveva già capito di desiderarla. Una parte di lui aveva strenuamente pensato che un giorno avrebbe potuto persino averla, ma se aveva un marito che l’attendeva a casa allora la situazione cambiava completamente. Croix era un pirata, era vero. Viveva rubando e ingannando, ma questo non significava che avrebbe potuto arrivare a divenire complice di un tradimento. Anche lui aveva delle regole. Non desiderare la donna d’altri. E non avrebbe smesso di rispettarle nemmeno se da ciò fosse dipesa la sua vita. Si alzò in piedi e si avvicinò alla scrivania al centro della cabina. Aprì uno dei suoi cassetti, poi un astuccio e infine un sacchetto. Estrasse una vera d’oro senza nome e poi si avvicinò a i spediti ad Eve, che giaceva ancora mezza svestita sul suo letto. Disponibile. Fu con un sospiro che si rese conto di avere un solo modo per levarsela dalla testa: convincersi che non avrebbe mai potuto averla. Le prese di forza la mano sinistra e senza dare credito alle sue proteste le infilò la fede al dito, non per prometterle qualcosa, ma per ricordarsi che era già di un altro e che non sarebbe mai stata sua. Non gli bastava saperlo; doveva vederlo ogni giorno, ogni notte, e ogni istante. Doveva vedere prima la fede e dopo lei, altrimenti non era certo che avrebbe potuto portarle rispetto. «Che cosa state facendo?» Gridò lei scioccata, ritraendosi dalla sua presa senza troppi risultati. Non appena si rese conto che Croix le aveva messo un anello al dito tentò di toglierselo subito, ma era troppo stretto. Le era entrato soltanto

perché il pirata aveva usato tutta la sua forza per infilarglielo, ma adesso era come bloccato. «Cosa diavolo significa? Pretendo una spiegazione.» Croix le prese il polso e la obbligò a guardarsi la mano. «Un matrimonio è una promessa seria, Eve, ed è per sempre. Non dimenticatelo.» Lei lo guardò sempre più confusa, incapace di comprendere perché d’un tratto si fosse comportato così. Con uno scatto si riappropriò della mano e riprovò a togliersi l’anello, ma lui la obbligò nuovamente a distendersi e dopo averle preso entrambi i polsi glieli coricò lungo i fianchi, stringendo le piccole dita di Eve tra le sue fino all’ultimo istante; fino a essere completamente certo che non avrebbe più provato a togliersi la fede di dosso. Era di un altro uomo; un uomo che avrebbe dovuto ringraziare il cielo per avere trovato una donna come lei e che lui avrebbe senz’altro ucciso nel caso in cui avesse osato farle del male dopo tutto quello che aveva affrontato. Croix finì di pulire la schiena di Eve in silenzio, ma non le rimise le bende. Era così arrabbiato che temeva di stringerle troppo forte e di farle mancare il respiro, così sistemò il necessario proprio accanto al viso della ragazza e le voltò le spalle in silenzio, certo che avrebbe saputo come terminare da sola. Non appena aprì la porta della cabina i rumori che provenivano dall’esterno si fecero a dir poco assordati. Ne spiccò uno sopra a tutti: la stridula voce della vedetta McDowen che gridava “terra”. Erano arrivati a Mdina, la città del silenzio.

CAPITOLO VIII Mdina

*

Nonostante l’aspetto a metà tra l’Oriente e l’Occidente, Jean Baptiste Chartre era un uomo molto stimato e rispettato a Malta. Commerciava con diversi Paesi, aveva la nomea di potersi procurare qualsiasi merce gli fosse richiesta e godeva della più completa fiducia dei Chiaramonte, i governatori della piccola isola in cui si era ritirato per concludere la propria vita in pace e sicurezza. Voci indiscrete – e per lo più infondate – avevano persino osato supporre che la sua Arca Sacra, un tempo, avesse trasportato il Santo Graal dalla Terra Santa fino in Francia. Stando a quanto si era lasciato sfuggire Croix, lui aveva sempre negato il tutto, così come aveva sempre assicurato di non avere nulla a che fare con i pirati che imperversavano nel Mar Mediterraneo e che avevano attaccato più di una volta le navi mercantili dirette a Malta, ma mai l’Arca Sacra o le sue due Sorelle. Jean Baptiste Chartre, considerò Eve mentre lo guardava, aveva però mentito su almeno una delle cose che lo riguardavano. Sfregandosi nervosamente le mani, spostò lo sguardo su Croix e poi nuovamente su Chartre. Sin da quando erano sbarcati a Malta e una carrozza li aveva accolti al porto, i due uomini avevano cominciato a parlare in una lingua che lei non conosceva. Non senza curiosità, si domandò cosa avesse raccontato il Cavaliere Ospitaliero per permettere a una nave pirata di attraccare, seppure sotto falsi colori, e quale interesse avesse nell’ospitare un brigante come Croix al di sotto del suo nobilissimo tetto. Tese le orecchie, tentando di capire quale fosse l’argomento dei loro discorsi. Non conosceva la lingua che i due stavano utilizzando, ma se l’istinto non la ingannava la cadenza delle loro parole era del tutto simile a quella che aveva udito a bordo della nave turca. Al ricordo di quello che aveva ato un brivido le percorse nuovamente la spina dorsale. Si mosse a disagio, ma finì con l’urtare le ginocchia di Chartre. Era un uomo veramente massiccio, tanto da occupare praticamente metà

carrozza e costringere lei e Croix a stringersi sul sedile opposto al suo. Lui si scusò subito per l’ingombro che le stava dando. Lo fece in un italiano piuttosto buono, che utilizzò anche per rassicurarla sul fatto che presto sarebbero arrivati a destinazione e che allora sarebbe finalmente stata trattata come le conveniva. Per la prima volta, Eve fu colta dal dubbio che Chartre fosse al corrente della sua identità, nonché del motivo per il quale era a bordo di una nave pirata. Si chiese se fosse saggio ricordare a entrambi gli uomini che suo padre la stava cercando e che avrebbe ucciso chiunque avesse scoperto avere una parte nel suo rapimento. Aprì la bocca per parlare, ma prima che potesse farlo si ritrovò le mani di Croix addosso, le sue dita intrecciate a quelle della mano in cui le aveva messo la vera d’oro, intento ad accarezzarla in una muta minaccia. Eve sentì il proprio sangue infiammarsi. Il ricordo della violenza con cui le aveva infilato quel gioiello addosso la fece tremare nuovamente d’ira. Non era una cosa sua. Non aveva alcun diritto di scegliere quando e se doveva parlare. Recuperò coraggio e voce. Ignorò Croix, la sua stretta, e si rivolse unicamente a Chartre in cerca di aiuto. «Voi sapete chi sono, vero? Mio padre è un uomo molto stimato e temuto.» «Vostro padre è un crudele sanguinario, madame» la riprese Croix interrompendola duramente. «E se c’è una cosa in cui ha mancato è la vostra educazione. Una signorina dabbene dovrebbe starsene zitta quando due gentiluomini discutono tra loro.» Eve emise un suono strozzato. «Un gentiluomo? È questo che vi considerate?» «Siete pedante, oltre che poco originale. Credevo avessimo già chiarito questo punto. Vi ho salvato dai turchi e non vi ho fatto alcun male. Quante altre volte ancora devo dimostrarvi che non sono l’infame pirata che credete?» Eve sostenne il suo sguardo, incurante del fatto che fossero molto più vicini di quanto avrebbe desiderato. «Me ne basta un’altra soltanto. Liberatemi e ammetterò che siete esattamente chi dite di essere.»

«Molto bene.» Croix le lasciò le dita in uno scatto d’ira. «Siete libera, allora, ma lasciatemi dire che non vi piacerà quello che troverete là fuori.» Tutto ad un tratto Eve si sentì travolta dal dubbio di avere osato un po’ troppo. Era sola in una terra straniera. Non sapeva se poteva fidarsi o meno dell’uomo che li aveva condotti lì o di chiunque altro avesse trovato sul proprio cammino. In quel luogo lei non era nessuno e nessuno, probabilmente, le avrebbe mai creduto se avesse promesso una grossa ricompensa a chi l’avesse riportata a Roma. Colta dal panico e dal gelo che l’aveva assalita non appena Croix si era allontanato da lei, si rivolse all’imponente padrone della carrozza su cui stavano viaggiando. Da quel poco che sapeva, oltre che essere amico di un pirata, era un Cavaliere Ospitaliero; un uomo molto vicino alla chiesa. Eve cercò il suo aiuto con gli occhi, ma Chartre la stava guardando con un misto di divertimento e curiosità che non avevano nulla a che vedere con il rispetto. Portava la barba lunga proprio come i turchi, ma i suoi colori chiari e il taglio dei capelli tipicamente occidentale non gli davano una parvenza straniera. Era vestito in maniera formale, con una tunica nera che gli evidenziava le spalle larghe, e sorrideva cordialmente ai suoi sguardi. Di nuovo, si ritrovò a riflettere sulla strana associazione che esisteva tra un uomo come lui e uno come Croix. Erano uno stimato condottiero e un pirata. Nessuno avrebbe creduto di poterli vedere insieme, eppure quello che legava due uomini così diversi – il motivo per il quale uno aveva scelto di divenire un pirata in cerca di vendetta e l’altro di ritirarsi in un’isola in cui nessuno avrebbe mai potuto cercarlo – era esattamente lo stesso. Solo che il nome di uno sarebbe stato ricordato e tramandato, mentre l’altro prima o poi sarebbe finito appeso a una forca. Questo, almeno, era quello che Eve non riusciva a smettere di augurarsi ogni volta che si trovava a rispondere alle continue provocazioni di Croix. Sentendosi in trappola tentò il tutto per tutto. I suoi occhi si fecero determinati, impavidi. «Fermate la carrozza. Ho desiderio di scendere seduta stante.» Anziché assecondarla, Chartre gettò il capo all’indietro e si concesse una profonda e cavernosa risata. «Ti sei scelto proprio un’ottima compagna, amico mio!» Gridò dando una vigorosa pacca sulla spalla a Croix, che si ritrasse sofferente.

Il volto di Eve assunse un colore rosso . «Io non sono la sua compagna!» Ribatté con quanta voce aveva, mentre Croix, anziché smentirla, rideva sommessamente e si massaggiava la spalla dolorante. Ovviamente, Eve non riuscì a ottenere ciò che voleva nemmeno in quell’occasione. Chartre non diede l’ordine di fermare la carrozza e lui e Croix ripresero a parlare tra loro utilizzando di proposito una lingua a lei sconosciuta. Sentendosi sempre più oltraggiata, non le restò che assumere la posizione più rigida che conosceva e spostare lo sguardo verso l’esterno, alla ricerca di un po’ di pace o di qualsiasi altra cosa le avessero portato le verdi colline di Malta. Suo malgrado, si ritrovò a pensare che si trattava di un’isola veramente bellissima, molto rigogliosa e relativamente spoglia di costruzioni umane. Guardandosi intorno, riuscì a intravedere nel punto più alto una piccola cittadina costruita interamente con le pietre chiare della roccia. Era circondata da una massiccia cerchia di mura arabe e dal verde della collina su cui era adagiata. Per un istante immaginò la splendida vista di cui si poteva godere dall’alto. Probabilmente doveva esserci anche un punto da cui era possibile controllare le navi di aggio e le loro rotte. Strategicamente, considerò, il suo posizionamento era veramente ottimale. Non c’era da meravigliarsi che possedesse un commercio fiorente e che Chartre avesse l’aspetto di un uomo piuttosto ricco. La carrozza ebbe un sussulto, poi si fermò. Eve tornò a guardare i due uomini che erano con lei, con una muta domanda negli occhi. «Da qui conviene procedere a piedi» spiegò Chartre. «Le strade di Malta sono molto strette e poco adatte alle ruote di legno.» Accettando la mano che Chartre le aveva teso per aiutarla a scendere uscì dalla carrozza. Si sentiva a disagio a causa del suo abbigliamento. Era vestita da uomo, con abiti di almeno tre taglie maggiori della sua. La sensazione svanì in breve, però. Non appena si trovò davanti a un ponte di pietra che sfociava nel maestoso arco che segnava l’ingresso di Mdina, restò infatti senza fiato e si ritrovò a spalancare gli occhi per lo stupore. Nonostante vivesse a Roma, non aveva mai visto nulla del genere. Il contrasto tra la pietra chiara e il cielo azzurro era abbagliante. Sulla cima dell’arco era sagomato uno stemma antico. Poco più sopra spiccavano delle scritte in latino che non fece in tempo a leggere.

Chartre non dovette dire nulla. Non appena prese a muoversi, Croix ed Eve fecero altrettanto restando pochi i dietro di lui. Era pomeriggio inoltrato e faceva veramente molto caldo. Durante il tragitto in carrozza la giovane si era ritrovata a sospirare diverse volte e ad asciugarsi il sudore nella maniera più discreta che conosceva. Nonostante fosse completamente fatta di pietra, però, Mdina appariva piuttosto fresca e ospitale. Mentre si muoveva circospetta, Eve non riuscì a fare a meno di osservare la bellezza e la sacralità del luogo. Era come trovarsi in una versione miniaturizzata di Roma, la città in cui era nata e cresciuta. Lungo le poche decine di i che percorsero, contò addirittura tre chiese; un numero spropositato vista e considerata la popolazione che doveva dimorare a Malta. Certo, nessuna di loro avrebbe mai potuto competere con la magnificenza della più piccola chiesa dello Stato Pontificio, però Eve le trovò ugualmente graziose e curate. Non appena entrarono nel cortile della casa in cui viveva Chartre, dette ordine che gli ospiti fossero portati nelle stanze a loro destinate e chiamati per l’ora di cena. A Eve fu concesso di restare sola per un paio d’ore e ne approfittò per fare un lungo bagno e lavare via dalla propria pelle la stanchezza e la salsedine. Le fu anche affidata una donna locale affinché l’aiutasse, ma lei rifiutò. Non voleva che altri vedessero le orribili cicatrici che aveva sul corpo, o che si sapesse che qualcuno l’aveva frustata al pari del peggiore dei ladri. Quando si immerse nell’acqua, sentì subito le ferite riprendere a bruciare. Si ò le braccia intorno al corpo e si accarezzò la schiena nella speranza di attenuare il dolore, ma non appena si accorse di quanto era diventata ruvida non riuscì a trattenere un singhiozzo. Ne fu certa. Non appena si fosse saputo cosa le era accaduto nessuno l’avrebbe più voluta, nemmeno l’uomo a cui suo padre l’aveva promessa e che lei era aveva già cominciato a chiamare marito. Colta dalla nostalgia, estrasse la mano sinistra dall’acqua e la guardò attentamente. La vera d’oro che Croix le aveva infilato al dito era lucida come quella che aveva sognato di vedersi donare dall’uomo con cui avrebbe condiviso la vita. Probabilmente, se l’Arcadia non fosse stata attaccata dai pirati, a quell’ora non si sarebbe trovata a Mdina in compagnia di uomini poco raccomandabili, ma nella propria stanza, magari in attesa di conoscere la data del matrimonio che l’avrebbe unita per sempre all’uomo che suo padre le aveva scelto e che lei aveva trovato subito attraente. Chiuse gli occhi, concedendosi di sognare come sarebbe stato indossare il vestito

da sposa di sua madre e procedere verso l’altare a braccetto con suo padre in uniforme. Pensò a quanto sarebbe stato emozionante sentire il prete celebrare l’unione e con quanta ansia avrebbe atteso di vedere suo marito avvicinarsi a lei e baciarla per la prima volta, magari mentre la stringeva tra le sue braccia. Sognò la festa con la stessa ingenuità di quando era bambina, poi si fece donna e immaginò le dita di suo marito che la spogliavano lentamente durante la prima notte di nozze… Tremò, aggrottando le sopracciglia. Sarebbe stato tutto il contrario di quello che avrebbe mai potuto accadere insieme a un infame pirata. Sarebbe stato molto meglio, certamente. E lei avrebbe finalmente sentito quel morso allo stomaco di cui aveva sempre letto nei libri e che attendeva di provare tutta la vita. Ma ancora una volta Eve si sbagliava. L’amore non era qualcosa che poteva scattare a comando e gli uomini, per quanto curati e d’aspetto elegante, molto spesso non erano quello che sembravano.

Quella sera, alle sette precise, Eve era pronta per la cena e attendeva soltanto che qualcuno la venisse a chiamare. Aveva indossato l’abito di seta leggera che Chartre le aveva donato. Era di un delicato colore lilla, con dei ricami d’oro sulle maniche e una splendida spilla da appuntare al centro del petto. La fascia che le adornava la vita era un po’ più appariscente di quelle che aveva a Roma, ma nel complesso donava alla sua figura un che di prezioso. Aveva persino raccolto i capelli scuri, così da tenerli in ordine e scoprire la nuca. Guardandosi allo specchio, si accorse che il peso che le aveva pressato lo stomaco nelle ultime ore si era fatto più leggero. Vestita come si confaceva a una donna del suo rango e dopo un lungo bagno caldo tutto pareva migliore, decisamente. Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare. Si lisciò la gonna e poi andò ad aprire, certa che si trattasse di uno dei servitori di Chartre che era venuto a chiamarla per la cena. Quando però si trovò davanti a Croix, le mancò il fiato e un senso di vertigini le fece tremare le gambe. Sorpresa dalla sua presenza lo squadrò da cima a fondo, osservando con severità l’aspetto insolitamente curato che contrastava con i vestiti informali che aveva scelto per quella sera. Senza che lo volesse, avvertì il proprio cuore cominciare a battere più velocemente. Con la barba fatta di fresco e i capelli ricci domati in una coda e stretti da un nastro blu, il pirata aveva proprio l’aspetto del gentiluomo che pretendeva di

essere. Era un peccato che avesse scelto di indossare una tunica del tutto comune e che l’avesse lasciata per metà aperta, permettendo alla camicia bianca sottostante di emergere come nessun altro uomo, invitato a una cena formale, avrebbe osato fare. Impegnata com’era a fissare gli stivali che si era messo – gli stessi che aveva sempre avuto addosso ma che almeno si era degnato di ripulire – si accorse troppo tardi del fatto che anche lui la stava guardando e che i suoi occhi contenevano ben più di un blando apprezzamento. «Siete incantevole, Eve» sussurrò compiaciuto. La giovane raddrizzò la schiena, mentre un sentimento che non riusciva a comprendere le faceva ribollire il sangue nelle vene. Aveva le sopracciglia appena aggrottate, le labbra piegate in segno di disappunto. «Credevo si trattasse di una cena ufficiale» precisò con l’intento di fargli capire che non approvava le sue scelte in fatto di abbigliamento, ma Croix non si lasciò intimidire e l’affrontò come sempre con un sorriso beffardo dipinto sul viso. «Pensavate forse che un pirata come me si sarebbe agghindato come un signorotto qualsiasi o avrebbe indossato uno di quei ridicoli farsetti?» Fu con un certo turbamento che Eve si rese conto di averlo voluto, mentre a propria volta si preparava con una cura che non aveva da tempo. Sospirò, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi che la fissavano. Sapeva cos’era Croix e cosa non sarebbe mai stato. Una parte di lei, però, aveva sinceramente desiderato di vederlo in un’ottica diversa, soprattutto dopo che lui le aveva regalato l’anello d’oro che non era ancora riuscita a togliersi dal dito. «Ho un regalo per voi, se me lo concedete.» Eve tornò a fissarlo con sospetto. Frappose tra loro la mano sinistra, mostrandogli la vera che credeva le avesse messo addosso solo per schernirla o per testimoniare a tutti che alla fine era riuscito a piegarla. Se ci pensava, le dava ancora fastidio che avesse scelto di chiamarla come la sua nave. Eve. «Se intendete farmi un altro regalo come questo» cominciò aspra. «È mia premura informarvi che non lo accetterò.» Croix non si degnò di risponderle e con un movimento fluido le andò alle spalle. Eve sentì le dita del pirata scivolare lievi sulla sua pelle, senza quasi toccarla.

Non se ne meravigliò. Croix era un ladro e come tale era ovvio che sapesse muoversi senza essere notato. Qualcosa di gelido le sfiorò il collo. Con un movimento del tutto istintivo afferrò quello che lui le aveva adagiato nell’incavo dei seni, pronta a fermarlo nel caso in cui intendesse strozzarla. Con sua grande meraviglia, però, si ritrovò in mano il medaglione che le aveva sottratto; lo stesso che suo padre le aveva chiesto di trasportare in gran segreto fino a Roma. I suoi occhi si fecero sospettosi. «Che cosa significa questo?» La voce di Croix le accarezzò la pelle esposta della nuca, fino a farle tendere il corpo. Lo odiò, perché la faceva sussultare ogni volta che le si avvicinava troppo e perché non riusciva a smettere di avere paura di lui e di quello che avrebbe potuto farle. «Mi avete dato la vostra fiducia, Eve» cominciò con voce carezzevole. «Credo che questo sia il modo migliore per ricambiarla.» Alludeva a quando gli aveva rivelato che ciò che cercava si trovava a Roma. Non sapeva che non conosceva altro a riguardo, così come non poteva sapere se fosse la verità o una menzogna pronunciata con l’intento di tornare a casa o, ancora peggio, di esporlo maggiormente al rischio di incrociare le navi di suo padre. Alzò il capo, decisa a non cedere ai suoi tranelli. «Vi ho già detto tutto quello che so sulla Sancta Spes, non aspettatevi altre informazioni da me, nemmeno se tenterete di blandirmi con doni o lusinghe.» Le dita di Croix lasciarono all’istante la catenina a cui era appeso il medaglione. Eve sentì il filo d’oro adagiarsi sulla sua pelle fino a piegarsi appena in corrispondenza delle clavicole. Il respiro del pirata alle sue spalle si fece appena più rapido. «La Sancta Spes?» Eve chiuse gli occhi e si morse le labbra, rendendosi conto di avere detto decisamente troppo. Croix l’aggirò, tornandole di fronte. Tese una mano verso il medaglione che le aveva adagiato sul collo e lo fissò attentamente mentre Eve tratteneva il respiro. Sentire il calore che traspariva dalle dita del pirata a contatto con il proprio sterno le aveva fatto improvvisamente girare la testa. La

sua stessa vicinanza e il fatto che non aveva idea di cosa aspettarsi da lui – oltre che da lei stessa – le impedivano di ragionare. Eve attese immobile che fosse lui a dirle qualcosa; lui a sciogliere la posizione decisamente sconveniente in cui l’aveva condotta, con le mani di un uomo che per lei non contava nulla poco al di sopra del seno, troppo vicine al cuore perché non potessero accorgersi del suo battito frenetico. «Dunque è questo che significano le due “esse” intrecciate…» Riaprì gli occhi che non si era nemmeno resa conto di avere chiuso. Croix non la stava guardando. Tutta la sua attenzione era rivolta al medaglione che le aveva messo al collo e che poi aveva ripreso in mano. Guardava la sua forma insolita, la punta appena accennata della chiave che aveva capito essere nascosta all’interno e quello strano gioco di linee che andava a comporre le iniziali di ciò che stava cercando. Sancta Spes. «Anche l’uomo a cui ho strappato l’altro medaglione ha usato la parola “speranza” mentre mi implorava di non ucciderlo, ma io non ho capito…» Eve si gelò all’istante. Sin da quando era stata fatta prigioniera dei pirati, le era capitato di avere a che fare con la Morte fin troppe volte. L’aveva vista durante le torture a bordo della nave turca, e successivamente negli occhi di chi era sopravvissuto alla battaglia con cui era stata salvata. Non era così ingenua da credere che Croix non avesse mai ucciso nessuno, ma sentirselo dire così, mentre le accarezzava la pelle con le stesse dita calde che avevano strappato la vita a qualcun altro, aveva davvero qualcosa di terribile. Deglutì, consapevole del fatto che lui avrebbe inteso il suo disagio. «Voi siete un assassino.» Croix alzò gli occhi su di lei, consentendole di vedere il gelo di cui si erano macchiate le sue iridi. Strinse il medaglione tra le propria dita, fino a celarlo all’interno del pugno. «Se non erro, anche voi brandivate un coltello sporco di sangue quando ci siamo incontrati.»

«Solo per difendermi da voi.» A quel punto Croix le sorrise, ma il suo era un sorriso vuoto, senza sentimenti. Ritrasse le dita e lasciò che il medaglione le scivolasse addosso senza mai smettere di guardarla negli occhi. «Sapete, forse dovreste farlo anche ora, impedendovi di farmi arrabbiare ogni volta che aprite la bocca.» L’espressione di Eve si contrasse. «Mi auguro che non mi stiate condannando al silenzio.» Croix le guardò le labbra con una tale intensità da farla arrossire. «Che Dio me ne scampi. Da zitta trovereste sicuramente modi peggiori per farmi arrabbiare. E ora sbrigatevi, Chartre ci sta già attendendo.»

La cena si svolse senza troppi problemi. Eve mangiò di gusto le diverse pietanze che le furono servite. Dopo tanti giorni a bordo della piccola nave che l’aveva fatta prigioniera, e che in cambusa aveva decisamente più vino che provviste, una cena completa e ben assortita fu una splendida sorpresa. Chiudendo gli occhi e nutrendosi dei profumi che aleggiavano leggeri, si concesse persino di sognare di essere di nuovo a casa. Il modo che Chartre aveva di mangiare, in effetti, ricordava molto quello di suo padre. Prediligeva la carne e scartava le verdure. Divorava tutti in una volta bocconi imponenti e ogni volta che attingeva al vino non lo sorseggiava, ma lo beveva fino in fondo. Croix, invece, pasteggiava con la schiena ben dritta, tagliando minuziosamente tutto quello che aveva nel piatto prima di comporre bocconi ben assortiti che degustava senza alcuna fretta e rigorosamente a bocca chiusa. Dopo averli guardati per un po’, ancora una volta Eve ebbe l’impressione che qualcosa non tornasse. Se non avesse saputo chi era il pirata e chi era il cavaliere, infatti, probabilmente avrebbe invertito le due identità. Concentrandosi su altro, ignorò i discorsi dei due uomini che parevano capaci di parlare soltanto di mare, commercio e molte altre cose che non le interessavano. Quando infine fu servito l’ultimo piatto e fu certa che la cena fosse conclusa, si

alzò in piedi e chiese il permesso di congedarsi. A casa sua funzionava sempre così: concluso il pasto le donne se ne andavano e gli uomini si ritiravano nello studio di suo padre per discutere e bersi qualche bottiglia pregiata. Chartre acconsentì con un cenno del capo, ma non appena Eve tentò di uscire anche Croix si alzò in piedi e salutò a propria volta l’amico con la scusa di volere riposare su un vero letto il più a lungo possibile. A quel punto l’affiancò, le pose una mano proprio all’attaccatura della schiena e la costrinse ad avviarsi in una direzione ben precisa insieme a lui. In un primo momento Eve lo lasciò fare, in quanto ritenne che prodigarsi in scenate a casa d’altri e al cospetto del padrone fosse del tutto inadeguato. Quando però si accorse che Croix non aveva alcuna intenzione di scortarla alle proprie stanze, ma che anzi voleva condurla all’aperto, non fu più in grado di contenersi e si bloccò dov’era, obbligando anche il pirata a fermarsi. «Nel caso in cui non vi fosse chiaro, ho intenzione di riposarmi» chiarì aspra. Croix le sorrise sereno. «Domani mattina non partiremo prima di mezzogiorno, di conseguenza avrete molto tempo per riposarvi. Questa notte, invece, la dedicherete a me.» Eve arrossì, strappandogli un altro sorriso. Per l’ennesima volta si ritrovò incapace di comprendere le intenzioni del pirata, ma fortunatamente lui non tardò a spiegarsi dopo essersi portato di fronte a lei per poterla guardare meglio. «Quello che voglio sapere da voi è se preferite dedicarmela nelle vostre stanze o fuori dalla casa di Chartre.» «Cosa mi state proponendo esattamente?» «Dipende da voi. Acconsentite a eggiare con me o devo credere che preferite avermi in circostanze… diverse?» Fuori per una eggiata o all’interno di una camera da letto. Queste erano le uniche due alternative che il pirata le stava proponendo. Eve non impiegò più di un istante a decidersi. Guardò verso l’esterno e si lasciò condurre con la muta preghiera di non stare facendo un nuovo errore.

CAPITOLO IX Andare Oltre

*

Le strade di Mdina erano colme di canti, di musica e di marinai dal volto allegro. A ogni angolo vi erano persone intente a giocare d’azzardo o locali da cui usciva l’olezzo del vino e degli stufati. La notte era scesa e la città si era completamente trasformata. Eve vide Moore, il giovane timoniere della nave pirata che l’aveva rapita, perdere persino i calzoni al gioco dei dadi, mentre in un vicolo poco distante lo stesso marinaio che le aveva lanciato un bacio immergeva il viso tra i floridi seni di una puttana. La mano di Croix, saldamente ancorata alla base della sua schiena, la costrinse a procedere oltre e a ignorare il rossore che le aveva imporporato le gote. Non senza una certa apprensione, le venne spontaneo chiedersi quando sarebbe potuta cadere in basso se avesse continuato a restare insieme ai pirati che l’avevano catturata e che non parevano seguire nessuna delle regole morali su cui aveva sempre fatto affidamento. Il loro capitano la guardava e la sfiorava come a nessun gentiluomo sarebbe mai venuto in mente di fare. Il resto dell’equipaggio si ubriacava fino a perdere la ragione e chi non era alla taverna cercava un bordello e una donna a poco prezzo. Distogliendo lo sguardo dalla perdizione che la circondava, si domandò se anche Croix fosse il tipo da avere una donna – e magari un figlio – in ogni porto. «Qualcosa non va, piccola Eve? Vi vedo pensierosa.» Deglutì, colta alla sprovvista. «È stata una giornata molto lunga e mi sento oltremodo stanca. Come vi ho già detto, gradirei tornare nella mia stanza per riposarmi.» Croix ignorò la sua richiesta e sorrise divertito. La sua mano scivolò lesta lungo il fianco della ragazza, fino ad abbracciarla e a costringerla a procedere.

«Se volete tenermi lontano da voi dovrete pensare a qualcosa di meglio di qualche termine ben assestato.» Eve abbassò impercettibilmente il capo, mentre una sensazione di calore che non le piaceva per nulla le assaliva il corpo. Le dita di Croix avevano preso ad accarezzarla il fianco come se fosse la cosa più naturale del mondo; come se lei gli appartenesse e potesse permettersi di farle ciò che voleva. Non c’era alternativa: doveva allontanarlo al più presto. Prese fiato e cercò una scappatoia. «Non siete tipo da farvi spaventare dalle parole, vero?» «No» ammise il pirata facendo scoccare la lingua a una manciata di centimetri dal suo orecchio. «Direi proprio di no.» «E di cosa avete paura, allora?» Per evitarle di poggiare un piede in una buca Croix l’attrasse ancora di più a sé, fino a farle percepire la durezza del proprio torace. Il pirata era di statura bassa, ma aveva un fisico scattante e una velocità di pensiero sorprendente. Per un istante pensieri del tutto inappropriati resero il respiro di Eve difficoltoso e lei si ritrovò ad arrossire. «Non ho paura di voi, se è quello che sperate. E non ne ho nemmeno di vostro padre.» «Dovreste, invece, perché quanto è vero Iddio vi troverà e quando questo accadrà nulla e nessuno vi salverà dalla forca.» Croix si fermò di colpo e costrinse Eve a voltarsi verso di lui. La stretta delle sue dita si fece ferrea, come una morsa d’acciaio. «È questo che desiderate? Vedermi appeso a una forca?» «Sì» affermò dura sostenendo il suo sguardo. «Con tutta me stessa.» A quel punto il pirata sorrise e si piegò appena verso di lei, sfidandola a indietreggiare. Giunse così vicino al suo viso che Eve si sentì travolta dal suo fiato che sapeva di vino e di spezie. Anziché trovarlo disgustoso, però, quell’odore così pungente la colmò di un desiderio impronunciabile. Qualcosa si sciolse dentro di lei, abbassando le sue difese. Ciononostante continuò a fissare il

pirata e la piega decisamente irriverente che avevano assunto le sue labbra. «Pregherò Dio per voi, perché vi perdoni anche se siete una pessima bugiarda.» Eve spalancò gli occhi di scatto, oltraggiata dal fatto che Croix pretendesse di conoscerla – o, più probabilmente, dal fatto che non fosse riuscita a ingannarlo. I lineamenti del suo volto si fecero tesi, astiosi. «Io non ho bisogno delle vostre preghiere.» Croix rise. Era vicinissimo alle sua labbra, tanto da costringerla a giacere inerme tra le sue braccia con il capo piegato all’indietro e la gola completamente esposta. «È buffo. Credevo che avreste negato l’evidenza, anziché permettermi di avere la certezza che non mi stavo sbagliando.» «Adesso siete voi l’ingenuo, pirata» sibilò con sdegno e con una punta di soddisfazione. «Vi ho mentito, è vero, ma non ho specificato né su cosa né quando. Potrei averlo fatto quando vi ho detto chi ero o su molte delle cose che avete dato per scontato, ma non sul fatto che vorrei vedervi appeso a una forca.» Croix serrò la presa sul corpo della ragazza, obbligandola a restare così vicino a lui da permettergli di percepire il battito accelerato del suo cuore. Non solo Eve gli stava mentendo anche in quell’istante, ma lo stava facendo perché aveva paura. La vena che le attraversava il collo pallido pulsava rapida e inarrestabile. «Sono così brutto da spaventarvi, piccola?» Sussurrò piano. «Vi ho mai dato alcun motivo per temermi o per pensare che vi avrei fatto del male? No, eppure continuate a tremare tra le mie braccia e a mentirmi nel disperato tentativo di proteggervi. Perché?» Eve sospirò. Si odiò per questo, poiché era un segnale di debolezza che non doveva e non poteva permettersi. Con il corpo del pirata così vicino al proprio, però, frenare il respiro era del tutto impossibile. Pregò che nessuno li stesse guardando, poiché non avrebbe sopportato che altri li vedessero così vicini e capissero quanta difficoltà aveva nell’opporsi a lui. Si impose di tenergli testa, se non con il corpo almeno con le parole. «Tra di noi ci sarà sempre una differenza» cominciò attingendo a tutto il

contegno di cui disponeva. «Io resterò sempre la fanciulla prigioniera e voi il pirata che l’ha rapita.» Gli occhi di Croix calarono su di lei, cupi e insoddisfatti. «Perché?» Chiese di nuovo mentre il tormento nascosto nella sua voce riempiva il cuore di Eve d’incertezza. «Perché non permettete a voi stessa di andare oltre?» Eve si divincolò appena tra le sue braccia, inutilmente. Alla fine non le restò che rispondergli in maniera forse diversa da quella che avrebbe voluto, ma se non altro sincera. La sua voce si fece bassa, come se stesse rivelando qualcosa che nessun altro poteva sentire. «Perché non posso permettermi di dimenticare chi siete e di cadere vittima dei vostri inganni.» Croix emise un suono strano, come un lamento soffocato. Le sue dita si strinsero sulle braccia della ragazza fino a stropicciare la preziosa seta che le rivestiva. I suoi occhi si fecero scuri come la notte, impenetrabili. «Odio la vostra lingua biforcuta, così come odio il vostro dannato profumo. Eve…» Le braccia del pirata smisero di costringerla e l’attrassero docilmente a sé mentre sussurrava il suo nome per poi socchiudere gli occhi e fissarla intensamente. Per un istante la giovane credette che volesse baciarla e sentì le proprie gambe cedere e abbandonarsi. Il pirata, però, le prese una mano e se la portò sul petto. Giocherellò con l’anello che le aveva messo addosso. «Eve…» ripeté ancora, con tono sempre più basso. Poi le baciò le dita senza mai smettere di guardarla. Gli occhi della ragazza erano lucidi. Lo inducevano a pensieri che non avrebbe mai dovuto avere nei confronti di una donna che credeva sposata. «Ditemi che non posso farlo, ve ne prego. Ditemi che mi odiate e che l’unica cosa che desiderate è tornare a casa, da vostro marito…» Di nuovo, lui le sfiorò la fede e poi le baciò la mano. Questa volta, però, le sue labbra si posarono sul palmo aperto e la sensazione che provò di rimando la scosse in maniera così intensa da farle mancare il respiro.

«Ditemi di allontanarmi…» la supplicò mentre le sue mani la costringevano ad un contatto ancora più profondo; a sentire completamente il calore del suo corpo nonostante entrambi fossero completamente vestiti. «Fatelo, vi prego, e non esitate.» Eve chiuse gli occhi un istante, travolta dalle emozioni. Soffocò un sospiro, mentre una sensazione del tutto nuova le invadeva il corpo. Non si trattava soltanto del battito del proprio cuore, così frenetico da spingerla a credere che non avrebbe potuto sopportare una tensione del genere ancora a lungo, né del respiro accelerato o della sua incapacità di pensare ad altro che a quello che le stava accadendo. Fu qualcosa di molto più intenso e imprevisto a sconvolgerla; qualcosa a cui aveva pensato molte volte prima di allora e che non si sarebbe mai attesa di poter provare tra le braccia di un pirata, in una notte buia e in un luogo dimenticato dal tempo. Schiuse le labbra con l’intento di allontanare da sé l’uomo che la stava implorando di cacciarlo; lo stesso che le aveva fatto provare il violento morso allo stomaco che l’avrebbe tormentata per tutto il resto della sua vita, perché da quel momento in avanti non avrebbe più potuto dimenticare che era stato lui, il primo uomo da cui si era sentita disperatamente attratta. La voce, però, si rifiutò di uscire dalla sua gola e così Eve si ritrovò stretta tra le sue braccia, in attesa del bacio che entrambi avevano rimandato troppo a lungo. Croix strinse le dita della ragazza tra le sue. L’anello che scintillava all’anulare della giovane le si conficcò nella pelle obbligandola a schiudere le labbra per lasciare uscire un lieve gemito di dolore. Fu allora che il pirata annullò la distanza che li separava e che le sfiorò appena il labbro inferiore, ritardando il più possibile il momento in cui sarebbe finalmente riuscito a farla sua. «Vi prego…» Udendo la sua voce Croix si fermò di scatto e si staccò dalla sua bocca. Questa volta era stata lei a supplicarlo. Le sue dita si serrarono, fino a scontrarsi con la durezza della fede che Eve aveva al dito. Non desiderare la donna d’altri. «Io non posso...» La voce della ragazza, supplice e sommessa come non era mai stata prima di

allora, lo costrinse a desistere e ad allontanarsi da lei. Non poteva farlo; non poteva baciarla con la consapevolezza che apparteneva a un altro che lei stessa aveva scelto e sposato davanti a Dio. Facendo appello a tutte le sue forze sollevò il volto verso il cielo. Era una notte buia; una di quelle notti in cui le nuvole oscuravano le stelle e gli occhi degli uomini ricercavano la luce del fuoco. Fece un o in avanti, attirato dal calore del corpo di Eve come una falena dalla luce. La sentì gemere non appena si ritrovò con le spalle premute contro il muro di una casa, troppo vicino al corpo del pirata perché potesse nascondergli il ritmo frenetico del suo respiro. Nonostante lo avesse supplicato di fermarsi, la paura di lui era ormai ata e Croix era abbastanza esperto da avere anche capito da cosa fosse stata soppiantata. Desiderio. Anche lei, nel suo profondo, lo voleva. Solo che non avrebbe mai permesso a se stessa di cedergli. «È perché appartenete già a un altro uomo, vero?» Eve spalancò gli occhi, mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione confusa. «Cosa volete dire?» Croix le sfiorò nuovamente la fede. «Avete detto di avere un marito che vi aspetta a Roma; un uomo che temete possa rifiutarvi.» Eve mosse le labbra a vuoto un paio di volte, prima di trovare la forza di confessare la verità. «Io ho mentito.» Croix spalancò gli occhi. Si piegò verso di lei con una tale velocità da non calcolare bene le distanze e da ritrovarsi a sfiorarle nuovamente la bocca. Il desiderio di rubarle quel bacio che stava ancora aleggiando tra di loro tornò a premergli dentro, fin nelle viscere. Prima, però, doveva sapere. «Voi non siete sposata?» Eve trasse un lungo respiro, mentre il suo petto si gonfiava e i suoi seni si scontravano nuovamente con il corpo del pirata facendola sussultare. Con lui

così vicino le mancava l’aria, forse per questo impiegò un istante di troppo a rispondergli. «Ho un uomo a cui sono stata promessa e a cui andrò in sposa non appena tornerò a Roma, ma non ho ancora giurato fedeltà a nessuno davanti a Dio.» «Dunque siete una donna libera?» Si morse le labbra, ritardando la risposta che avrebbe permesso a Croix di baciarla e a se stessa di assecondare gli istinti del tutto sbagliati che le si stavano agitando dentro. Anche lei lo desiderava, era innegabile, ma se gli avesse permesso di fare di lei ciò che voleva, era certa che un domani se ne sarebbe pentita. Tentò di mentirgli come aveva già fatto in molte occasioni e di dirgli che amava già un altro, ma all’ultimo non riuscì a farlo e così si ritrovò a chiudere gli occhi e ad alzare il viso, consegnando se stessa al pirata che l’aveva completamente stregata. Croix possedeva tutte le doti che aveva sempre apprezzato in un uomo. Era astuto, determinato e coraggioso. Era capace di tenerle testa e anche se a volte era irritante tanto quanto lei, possedeva una delicatezza nei movimenti e nei modi che non avrebbe mai smesso di ammirare. Aveva conquistato la sua fiducia dopo che l’aveva salvata. Si era meritato la sua sincerità, ma promise a se stessa che non gli avrebbe concesso altro che quella notte e il bacio che le avrebbe strappato. Bugiarda. Eve se ne rese conto non appena sentì il respiro di Croix entrarle dentro e il suo cuore cominciare a galoppare fino a farle tremare le gambe. Allora, imprigionata nella morsa del suo nemico, si accorse di avere nuovamente mentito, questa volta a se stessa. Seguì l’istinto. Appoggiò le mani sul torace del pirata e lasciò che la guidasse su un terreno che non conosceva. Con gli occhi chiusi tutte le altre sensazioni erano amplificate; il gusto, l’olfatto, l’udito… Poteva avvertire il suono spezzato del suo respiro, quel sapore di spezie che aveva presagito nel momento in cui le si era avvicinato e persino l’ombra del profumo di salsedine che aveva sempre addosso. Mentre le onde del mare sciabordavano poco oltre le mura arabe, si ritrovò a sfiorarlo con le dita, desiderosa di scoprire qualcosa di lui che ancora non conosceva. Accarezzò con delicatezza la stoffa della tunica e sotto ad essa il profilo delle sue braccia che si tendevano fino a sostenerla e cullarla nel buio della notte. Lo trovò più saldo di quanto avrebbe potuto intuire e la cosa la allettò e la intimorì allo stesso tempo.

Di lontano si udì il suono di un violino. Croix si piegò ancora di più su di lei, nascondendola dagli sguardi di chi fosse sopraggiunto da lì a breve. L’aveva trascinata di proposito in un vicolo oscuro, ma a Mdina non esistevano luoghi in cui si poteva restare soli a lungo, inoltre Eve era diversa dalle donne che aveva sempre avuto. Non poteva comportarsi come era solito fare con loro, baciarla con lo stesso ardore che aveva riservato alle puttane che gli avevano scaldato il letto e dimenticarla non appena fosse salpato dal porto. Doveva trattarla con rispetto e frenare l’ardore per non spaventarla. Un dubbio improvviso lo colse del tutto impreparato e lo costrinse a interrompere il bacio. Era rimasto così coinvolto da non avere pensato che poteva essere la prima volta che baciava un uomo e che, se avesse continuato a stringerla in quel modo, poi non sarebbe più riuscito a lasciarla andare. Il pensiero di continuare ad accarezzarla anche una volta tornati nella casa di Chartre lo allettò in maniera più che intensa. Sarebbe stato facile trascinarla nel proprio letto, oltre che appagante, ma questo non significava che fosse anche giusto. Si forzò ad allontanarsi da lei e le prese la mano. La tenne stretta tra le sue per qualche istante; il tempo necessario a riprendere fiato e a tornare completamente padrone di sé. A quel punto, finalmente, si degnò di guardarla. «Permettetemi di riaccompagnarvi nella vostra stanza, ve ne prego.» Davanti alla sua voce appena spezzata Eve abbassò il capo, incapace di proferire parola. Tornare alla propria stanza era quello che aveva desiderato per tutta la sera, ma non era quello che voleva in quell’istante. Un bacio. E poi un altro ancora. Questo era quello che desiderava realmente, anche se una parte di lei non le avrebbe mai permesso di ammetterlo. Croix le accarezzò le gote e le sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio senza mai allontanare le dita dal suo viso, come se non fosse in grado di lasciarla. «Se vi terrò stretta a me ancora, continuerò a baciarvi e a quel punto non posso promettervi che saprò fermarmi» le confidò. «Ho bisogno di allontanarmi da voi e di farlo il più presto possibile.» Subito dopo avere parlato, si sentì uno stupido. Non era un ragazzino impacciato da molto tempo. Era un uomo, adesso. Un pirata. Non avrebbe dovuto farsi alcun problema nel sedurre una donna che era chiaro desiderasse rotolarsi in un letto e fare nuove scoperte tanto quanto lui. Eppure, l’idea che l’indomani Eve avrebbe smesso di guardarlo se lui l’avesse posseduta senza freni e senza controllo, lo

tormentava colmandogli il cuore d’incertezza. Tenne la mano della ragazza stretta tra le sue. Se la portò alle labbra e la baciò come aveva già fatto altre volte prima di allora. Anche in quell’occasione il morso che Eve aveva allo stomaco tornò a tormentarla, colmandola di desiderio. Nel buio della notte, gli occhi di Croix scintillavano come il peccato. Non si era mai accorta del colore carico e intenso delle sue iridi, né del taglio sottile del suo sguardo e della carnosità delle sue labbra. Era bello. O meglio, lo era per lei, perché lo desiderava e perché aveva capito che, inspiegabilmente, quella notte lui le avrebbe portato rispetto. Con una punta di disagio, non poté non domandarsi se sarebbe stato lo stesso anche da lì in avanti, dopo che si erano baciati apionatamente sotto alla luna di Malta e con la consapevolezza che, ogni volta che si fossero guardati negli occhi, avrebbero ricordato le emozioni provate.

CAPITOLO X La Morsa dei Giganti

*

Quella notte Eve dormì poco e male. Nonostante le comodità che Chartre aveva messo a sua disposizione, la lauta cena e il lungo bagno che si era concessa, il suo riposo fu tutto fuorché tranquillo. I suoi sogni furono popolati dal volto di Croix e dall’immagine delle sue mani che la stringevano senza fermarsi, fino a spogliarla e ad avvolgerla nella loro terribile morsa. Se infatti la mente di Eve lo aveva ringraziato per averla riportata nella sua stanza, il suo corpo non aveva potuto fare a meno di sentirsi frustrato e insoddisfatto. I suoi baci l’avevano colmata di fantasie e desideri che non aveva osato confessare nemmeno a se stessa, ma che l’avevano logorata a lungo, fino al punto da impedirle di riposare. Seppure intenzionata a dimenticare, si era svegliata più di una volta nel cuore della notte con la sensazione che Croix le fosse giunto accanto per sedurla. Da un pirata come lui, del resto, avrebbe potuto aspettarsi qualsiasi cosa, così si era ritrovata a sospirare più spesso di quanto avrebbe voluto e a rigirarsi nel letto vittima del calore che quei sogni le avevano lasciato addosso. Con gli occhi chiusi, aveva tentato di dare una forma a quei pensieri osceni e la cosa, in tutta sincerità, non le era nemmeno dispiaciuta tanto. Croix le aveva dentro come un fuoco; l’aveva messa in contatto con una parte di lei di cui non aveva mai avuto sentore fino a quell’istante; una parte fatta di sensualità e di desideri proibiti. Colta dalla rabbia e dalla frustrazione aveva calciato via le coperte e aveva osservato la candela appoggiata sul comodino consumarsi. In quelle interminabili ore si era chiesta se non vedere più la causa dei suoi mali sarebbe stato sufficiente per estinguerli. Ma no, non lo sarebbe stato. Chiuse di nuovo gli occhi, pregando che il sole sorgesse al più presto e che le portasse insieme a un nuovo giorno anche una via di uscita. Però, dubitava che sarebbe mai accaduto. Anche se non aveva più alcuna catena ai polsi, infatti, era ugualmente

prigioniera e questa volta la gabbia in cui era rinchiusa l’aveva generata lei stessa.

Il risveglio della ragazza fu anche peggiore della notte, perché sentì qualcuno scuoterla all’improvviso senza alcuna delicatezza e perché, non appena riuscì ad aprire gli occhi, si accorse che quel qualcuno era esattamente l’oggetto dei suoi pensieri: Croix. Una folata di calore le infiammò subito il corpo. Si coprì come poteva con le lenzuola, pentendosi di avere riposato con una semplice camiciola e nient’altro addosso. «Che cosa succede? Cosa ci fate nella mia camera?» Prima ancora di darle il tempo di pensare – e di ricordare alcuni degli osceni sogni di quella notte – Croix le gettò addosso dei vestiti che doveva avere rubato da qualche parte e si portò vicino alla finestra, scostando appena le tende per potersi guardare meglio intorno. «Dobbiamo andarcene subito, preparatevi.» Eve lo fissò confusa, non comprendendo il perché della sua presenza nella sua camera da letto e di tutta quella urgenza. «Perché dobbiamo andarcene ora? Cosa sta succedendo?» Croix le lanciò un’occhiata feroce, indispettito dal fatto che non gli avesse obbedito subito. «Questo non è affatto il momento di perdersi in chiacchiere. Dobbiamo andare, per cui vestitevi in fretta o lo farò io stesso.» Di nuovo, al pensiero delle mani del pirata addosso, Eve sentì una folata di calore invaderla. Lo sguardo di Croix non lasciava adito ad alcun dubbio. Se non avesse eseguito subito i suoi ordini, non avrebbe esitato a punirla. Seppure imbarazzata, si portò dietro al separé indiano che isolava un angolo della stanza e si cambiò. Il vestito che le aveva procurato era umile, come quello dei servi. Era di un orrendo colore marrone, con una cintura della stessa tonalità e uno scollo piuttosto casto. Lo indossò senza fare storie, pensando che se non altro era della sua taglia ed era pulito.

Pochi minuti dopo stava già cavalcando insieme a Croix in direzione del porto, con le mani saldamente ancorate alla sua vita e la paura di cadere da un momento all’altro per la folle velocità a cui aveva lanciato lo stallone arabo che avevano preso dalle stalle di Chartre. Lungo il tragitto vide alcuni uomini della ciurma che correvano giù dalla collinetta con enormi sacchi in spalla. Il sole non era ancora sorto, ma il pirata pareva avere molta fretta di andarsene, contrariamente a quello che aveva detto il pomeriggio precedente. Con molta probabilità doveva essere accaduto qualcosa di grave; qualcosa di cui non aveva alcuna intenzione di metterla al corrente. Ad un tratto, mentre il suo sguardo vagava all’orizzonte, percepì qualcosa volare poco al di sopra delle loro teste e intercettare la luce del sole che stava sorgendo. Affinò lo sguardo, tentando di capire cosa fosse la piccola macchia scura che si dipingeva tra i primi chiarori del giorno. Si trattava di un uccello grigio; stava compiendo ampi cerchi esattamente al di sopra del porto. Un grosso balzo del cavallo la obbligò a rivolgere la testa verso il terreno e ad aggrapparsi a Croix con entrambe le mani, fino a ritrovarsi con il viso premuto contro la sua schiena. Poco distante le vele della Eve erano state srotolate e a bordo c’erano già una decina di marinai che si stavano occupando del sartiame. Una volta arrivati, il capitano lasciò il cavallo e salì a bordo ad ampi i, trascinando a forza la ragazza dietro di sé. Veloce come la tempesta, impartì ordini a tutti i suoi uomini, fece la conta e controllò rapidamente che il carico che era stato imbarcato fosse stato ben legato. Quando infine sopraggiunsero gli ultimi uomini – gli stessi che Eve aveva visto correre a più non posso con dei sacchi in spalla – fece un cenno con il capo al nostromo. Leon Marique, le cui tempie erano già macchiate d’argento, portò il fischietto alla bocca e, con due brevi fischi consecutivi, impartì l’ordine. Era tempo di salpare. Una manciata di uomini capeggiata da Sven fece girare l’argano, poco dopo l’ancora della Eve emerse dall’acqua. La nave lasciò il porto in fretta. Il timoniere Moore, che evidentemente sapeva il perché di quella improvvisa partenza, fece tendere le vele così velocemente che l’albero maestro cigolò ed il ponte vacillò per un istante. Il nuovo nostromo Leon, nominato in seguito alla morte del precedente nell’ultima battaglia, dimostrò fin dall’inizio di valere la scelta e percorse avanti e indietro l’intero ponte della Eve per dare un incarico a ogni uomo che non fosse già impegnato. Nella battaglia contro la nave turca un avversario gli aveva

arrecato una profonda ferita, che si estendeva da metà della guancia fino al sopracciglio sinistro, e per questo aveva stretto intorno alla testa una fascia nera legata dietro al capo con un ampio fiocco. Per un attimo a Eve ricordò l’aguzzino cieco da un occhio che l’aveva torturata a bordo della nave turca, così si nascose dietro a una delle botti del carico e aspettò il suo aggio, stando attenta a non farsi vedere. Il nostromo si accorse comunque di lei e le lanciò uno sguardo tagliente, pur ignorandola. La ò in silenzio, soffermandosi a metà della scala che conduceva sul ponte di poppa, dove Croix guardava il mare dietro di sé con aria assorta. «Nulla in vista?» «Quelle maledette navi dovrebbero emergere a breve oltre la punta» disse Leon sputando in mare. «Se il vento resta fievole come ora la maggiore velocità della Eve non servirà a nulla e ci raggiungeranno.» Non appena Evelina sentì parlare di navi che li stavano inseguendo avvertì nascere dentro di sé uno strano presentimento. Si portò qualche o indietro, fino a giungere al centro del ponte, con il volto teso al cielo. Sull’orlo del sole che stava nascendo si stagliò nuovamente la macchia che aveva notato qualche istante prima. Ora c’era più luce, tanto che riuscì a distinguere le fattezze del volatile che stava compiendo ampi cerchi esattamente sopra di loro. Era di un colore grigio chiaro, con una lunga coda di piume rosse. Sul suo viso si aprì un ampio sorriso. Non c’era alcun dubbio; era Ettore, il pappagallo cenerino di suo padre e le navi di cui aveva parlato il nostromo dovevano essere quelle della flotta dei Chillemi giunte per salvarla. «È ora di rientrare.» Eve sobbalzò. Senza che se ne fosse accorta Croix le era giunto alle spalle e le aveva afferrato un polso. Anziché restare intimorita dalla sua voce fredda e dal suo sguardo truce, però, si ritrovò a sorridergli raggiante. «È mio padre» gridò, per poi mordersi la bocca un istante dopo. A differenza sua, Croix non era per nulla contento di quell’apparizione, difatti la fulminò con lo sguardo. La prese di forza per un braccio e la scaraventò all’interno della propria cabina. Infine la sua voce fredda le impartì un ordine che non ammetteva diserzioni.

«Voi resterete qui.» Il rumore brusco della porta che si chiudeva e della chiave che girava nella toppa riportarono nella mente di Eve il ricordo della prigionia. Gridò di nuovo, aggrappandosi alla maniglia. Batté i pugni sul legno, lo spinse con ogni sua forza, invano. Al pensiero di essere di nuovo in trappola cadde in ginocchio, con le dita delle mani contratte e gli occhi completamente spalancati. Singhiozzò forte, mentre il timore di non tornare più a casa si faceva nuovamente vivo e il pensiero che forse nemmeno suo padre sarebbe riuscito a salvarla la feriva al pari della peggiore delle torture. Eve, però, non era l’unica ad avere paura di qualcosa in quel momento. Croix, infatti, fissava con aria tempestosa la scia della propria nave che veniva divorata dalle due galee che lo stavano inseguendo e che stavano conquistando velocemente terreno. Con il corpo completamente teso pareva dubitare del fatto che sarebbero riusciti a cavarsela anche in quella occasione, con il temutissimo ammiraglio Chillemi e la sua piccola flotta alle calcagna. Quello che il pirata temeva davvero, però, non era la battaglia che incombeva, né le numerose bocche di fuoco che avrebbero potuto farlo inabissare per sempre. Il vero punto era Eve. La sua Eve. L’aveva già persa una volta e aveva faticato a riprendersela. Saperla lontano da sé nonostante non fosse che una delle sue tante prede l’aveva fatto sentire inspiegabilmente nervoso e ora che il rischio a cui si trovava di fronte era quello di perderla per sempre insieme alla propria libertà, non poteva fare a meno di sentirsi agitato. Contrasse la mascella fissando con sdegno l’equipaggio della Vittoria e della Fortuna che armava i cannoni e si preparava a far fuoco, nonostante sapessero che l’unica figlia del loro capitano si trovava a bordo. Erano dei folli, ma in fondo Croix non si sarebbe atteso nulla di diverso dall’ammiraglio Chillemi. Se le voci che aveva udito sul suo conto erano vere come credeva, era il tipo di uomo che avrebbe preferito dare la propria figlia in pasto al mare piuttosto che ad un uomo che non fosse stato scelto da lui. «Capitano!» Udendo la voce agitata di Moore, Croix si riscosse. Il tempo stringeva. E lui non aveva alcuna intenzione di farsi catturare per poi ritrovarsi impiccato prima ancora di avere rivisto la terra. Strinse le dita sull’elsa della spada, tentando di pensare ad un piano il più in fretta possibile.

«Capitano!» Questa volte la voce di Moore tremò appena. Era un ragazzo giovane e inesperto. Le dita sudate gli scivolarono appena sul legno ruvido del timone. «Quali sono gli ordini? Quelle navi si avvicinano sempre di più!» Gli occhi di Croix si fecero sottili, mentre soppesava la rotta e le fattezze della piccola flotta italiana che stava rapidamente conquistando terreno. Si trattava di due grosse galee. A giudicare dall’abnorme quantità di cannoni dovevano essere almeno di secondo rango. Procedevano appaiate con le grandi vele quadre tese, rubando il vento già scarso alla Eve. Non c’era alcun margine di errore. Presto l’avrebbero raggiunta e avrebbero fatto di lei un sol boccone. «Capitano!» Lo chiamò ancora Moore preoccupato. E questa volta Croix lo degnò di risposta. «Strambare» asserì secco, deciso. Il nostromo si fece subito vivo, gracchiando il suo disappunto. «È una pazzia! Moore non è un timoniere esperto e, anche ammettendo che riesca nella manovra, se giriamo su noi stessi poi punteremo dritto verso di loro!» Croix raddrizzò la schiena e indicò un punto ben preciso tra le due galee, dove le onde che si alzavano dai rispettivi scafi cozzavano tra loro e il mare si tingeva di un colore azzurro intenso. «È lì, infatti, che dobbiamo andare. Tra di loro.» «Ben fatto!» Applaudì Sven con sorriso compiaciuto e la sua solita voce strisciante. «Non oseranno spararci se eremo tra di loro per non rischiare di colpirsi da sole, e una volta usciti dalla loro morsa non riusciranno mai a voltarsi e riprenderci.» Il giovane Moore, rincuorato dalla sicurezza mostrata dai pirati più esperti, si preparò quindi a dar voce alla ciurma. «Pronti a strambare?» Leon imprecò a bassa voce, sistemandosi la benda sotto al cappello per non

perdersi nulla. Procedendo a i spediti portò l’ordine della manovra tra tutti i marinai, in modo che si assicurassero con le cime allo scafo. Il vento di poppa, infatti, seppur rado, avrebbe fatto ballare parecchio la Eve nella manovra. Moore rimase qualche istante in silenzio, in attesa di dare l’ordine definitivo. Quando all’improvviso, però, al rumore di uno scoppio acuto e ad un lungo sibilo nell’aria seguirono alcuni spruzzi d’acqua salata, il timoniere gridò con tutta la voce che aveva. I colpi di cannone erano appena cominciati. «Ora!» Aiutato dalle forti braccia di Croix, Moore manovrò il timone facendolo girare verso babordo. Le vele bianche della Eve si contrassero sbattendo violentemente contro gli alberi. La nave ondeggiò e i marinai si aggrapparono dove riuscirono a trovare un appiglio sicuro. All’interno della cabina Eve sentì il pavimento tremare e poi vide le sedie muoversi da sole, mentre molti degli oggetti sulla scrivania rotolavano a terra. Facendosi coraggio si portò vicino ad una delle finestrelle che tratteggiavano le pareti laterali e tentò di capire cosa stava accadendo. Fu allora che si accorse del fatto che la Vittoria e la Fortuna si stavano avvicinando sempre di più, e che sul suo volto si dipinse un’espressione confusa. Imprevedibilmente, la Eve aveva girato su se stessa e si stava dirigendo senza alcuna ombra di dubbio verso le due galee che la stavano inseguendo. In bocca al nemico. *

Intanto, a bordo della maestosa Vittoria, l’ammiraglio Chillemi controllava con sguardo stabile e acuto le mosse della preda. Vista la strambata della piccola caracca pirata, una manovra che non aveva assolutamente previsto, non perse tempo e impartì i nuovi ordini ai propri uomini. «Preparate i cannoni!» Tuonò in modo secco e sbrigativo, per non perdere nessuno dei secondi preziosi in cui la nave pirata, non ancora troppo vicina alla Vittoria e alla Fortuna, sarebbe stata bersagliabile. Tendendo la mano destra all’aria richiamò Ettore, il suo pappagallo, che gli si posò addosso poco dopo. Gli artigli si conficcarono sul mantello cremisi che gli avvolgeva il braccio.

«Bordate» ripeté all’uccello un attimo prima di lanciarlo alla volta della Fortuna. Il cenerino non perse tempo. Volò fino al ponte dell’altra nave e lì fece quello che gli era stato insegnato: gridò ininterrottamente le stesse parole del proprio padrone, così che anche tutta la ciurma dell’altra nave sapesse cosa doveva apprestarsi a fare. «Bordate, bordate, bordate!» Gracchiò mentre, nel volo, gli si arruffavano le piume del corpo. L’ammiraglio controllò dal ponte di prua che il suo equipaggio stesse facendo esattamente quanto gli era stato ordinato. Lo osservò armarsi con occhio critico e con una posa rigida quanto il carattere che lo contraddistingueva. Teneva il braccio sinistro dietro la schiena inarcata, la testa ben alta e il braccio destro con due dita appoggiate alla fascia che gli stringeva la vita. Il mantello gli ondeggiava leggero intorno alle forme aspre del corpo, mentre la spada ciondolava indolente sul fianco, pronta ad essere estratta. Nonostante l’età era un uomo ancora prestante. I capelli, scuri come quelli della figlia, erano tratteggiati di fili d’argento. Il vento gli scherniva il volto grosso e squadrato, ma nonostante questo in pochi l’avrebbero visto sbattere le ciglia degli occhi. «Jacob» chiamò con voce sonora, rivolgendosi al nostromo della Vittoria. «Fai armare la parte dell’equipaggio che non è ai cannoni.» Il volto dell’ammiraglio rimase imibile all’attenti del suo sottoposto. Aveva i lineamenti duri e marcati, solcati dalle folte sopracciglia. Nel tono, non ammetteva contraddizioni o disobbedienza, né dai suoi marinai né da nessun altro.

*

A bordo della Eve anche Croix osservava quanto stava accadendo sulle navi nemiche. C’erano strani movimenti della ciurma e troppe persone accanto ai cannoni perché avessero rinunciato a sparare. «Moore, preparati ad evitare le bordate come possibile» ordinò, poi si diresse esattamente al centro del ponte. «Sven, arma i cannoni e preparali a fare fuoco a

volontà, porta anche le armi sul ponte e distribuiscile agli uomini. Presto ci sarà da combattere.» Il norvegese sorrise con una punta di sadismo e, preso un marinaio per il collo della camicia, gli ordinò di far preparare le bocche di fuoco, infine scese sottocoperta per portare alla luce tutto ciò che era nell’armeria di bordo. La ciurma era ridotta, ma intenzionata a salvare la pelle con ogni mezzo possibile. Il vento riprese a gonfiare le vele della Eve e il nostromo Leon, compresa con uno sguardo la situazione, decise di approfittarne. «Tendete le vele!» Gridò desideroso di catturare più nodi possibili. «Dobbiamo andare veloce come non mai!» Le sartie si tesero e lo scafo si inclinò nuovamente. Il nostromo si armò, brandendo con la mano mancina una spada estratta da un cumulo di armi che Sven aveva appena portato in coperta. Qualcuno dai cannoni gettò voce che erano pronti. Il capitano rispose alzando lentamente una mano. I suoi occhi erano puntati sul nemico. Nel giro di un istante i fianchi della Vittoria e della Fortuna furono avvolti da una luce rossa. I boati cominciarono a susseguirsi come tuoni in una tempesta. Il fumo che seguì all’esplosione oscurò l’azzurro del cielo. Il mare intorno alla Eve si sollevò in diversi punti e quando un colpo ben assestato le sfiorò lo scafo, ciascun uomo sentì nitidamente il pavimento tremare sotto ai propri piedi e il cuore accelerare i battiti. Seppure al sicuro, all’interno della cabina in cui era stata rinchiusa, anche Eve si ritrovò costretta a gettarsi in terra e a cercare riparo sotto la massiccia scrivania. Senza che potesse capire perché ad un tratto aveva sentito il rumore del legno che si spezzava e si era ritrovata vittima di una tempesta di fumo e schegge. Poi, tutto era finito esattamente così com’era cominciato ed era calato il silenzio. Con il cuore in gola, osò uscire dal nascondiglio e avvicinarsi allo squarcio che un colpo di cannone aveva provocato su un alto della cabina. Non si trattava di nulla di grave, poiché il foro era grande più o meno come un braccio, ciononostante non riuscì a quietare la paura che le aveva avvelenato il respiro. Le dita percorsero leggere i bordi seghettati del legno, quasi avesse voluto trovare una conferma a quello che le stava accadendo intorno. Il mare cristallino si increspava al aggio veloce della nave che l’aveva fatta prigioniera. Poi, ad un tratto, il suo colore si fece più cupo e sorsero nuove ombre a rendere le acque

più pericolose di quanto fossero già. La Eve era giunta nella morsa dei due giganti italiani. L’aria si era fatta silenziosa. Le bocche di fuoco delle due galee avevano smesso di gridare, e così gli uomini dei loro equipaggi. Tutti attendevano l’ordine dei rispettivi capitani. Tutti sapevano che quella era la calma prima della tempesta. Moore serrò la presa sul timone, stando attento a non stringere troppo la rotta e a non urtare contro gli scafi delle gigantesche galee tra cui stava strisciando via. Si sentiva come un bambino imprigionato in un vicolo da due tipi loschi; come un ragazzino in attesa del gesto qualsiasi che l’avrebbe schiacciato. La Vittoria e la Fortuna erano alte tre volte la Eve. Erano più grosse, imponenti e persino più robuste. In un confronto diretto non avrebbero avuto alcuna speranza di vincere, ma fortunatamente Croix aveva scoperto l’unico punto debole delle due galee e aveva trovato il modo di sfruttarlo. Erano grosse, ma pesanti. A loro differenza, non avrebbero mai potuto invertire la rotta, né modificarla velocemente e questo significava una cosa soltanto: se mai fossero riusciti ad uscire dalla loro ombra, sarebbero stati liberi. La mano di Croix si posò su quella di Moore. Stava tremando. «Mantieni la rotta e lo sguardo alto» gli sussurrò. «Qualsiasi cosa accada.» Moore fece per dirgli qualcosa, ma fu allora che dai ponti qualche metro sopra della Eve cominciarono a piovere uomini armati e urlanti. Avevano usato le sartie per calarsi con l’intenzione di ingaggiare una battaglia direttamente a bordo della nave pirata. «Fate fuoco!» Gridò Croix voltandosi alla volta di Sven, che fece sparare contemporaneamente i cannoni di tribordo e babordo. Per il fuoco improvviso e simultaneo di tutte le sue bocche da fuoco, la Eve sprofondò un poco arretrando. Alcuni marinai che si erano gettati all’arrembaggio della nave pirata caddero in mare. Le due grosse galee furono duramente colpite e si piegarono verso l’esterno mentre il legno gemeva al pari di un uomo ferito. Gli uomini giunti a bordo della piccola caracca intavolarono una cruenta battaglia, urlando e incrociando le armi con i pirati. La bandiera nera al vertice dell’albero maestro gemeva ad ogni scossa del vento. Si piegava come le gambe dei suoi uomini, ma poi si rialzava più forte di prima, intrepida.

Nella rissa Sven si batteva con una mano e con l’altra ordinava agli uomini di ricaricare i cannoni. Era necessario continuare ad attaccare o i marinai della Eve, chiusi in difesa, sarebbero stati sopraffatti dalla maggiore forza d’armi e di braccia dei Chillemi. Ad un’altra ondata di uomini letteralmente piovuti dal cielo seguì l’ultimo possibile fuoco dei pirati. Oltre gli scafi delle navi nemiche si poteva già scorgere la luce. Fu inverosimile e fu incredibile, ma la piccola caracca resse di nuovo al fuoco simultaneo di tutti i suoi cannoni. Il ponte di coperta si frantumò in alcuni punti, ma la Eve uscì dalla morsa dei due giganti. In un rinnovato impeto di energia i suoi filibustieri gettarono in mare gli ultimi nemici e, alzando le armi, gridarono con gioia rivolti alle ben più forti e fornite galee che si allontanavano possenti nella sconfitta. Dal centro del ponte di coperta, Croix incrociò per un istante lo sguardo dell’ammiraglio Chillemi, colmo d’odio e freddezza. Gli sorrise sicuro di sé e gli fece un inchino in segno di saluto, permettendogli di imprimersi bene nella mente il volto dell’uomo che lo aveva sconfitto. La nave pirata aveva compiuto il miracolo. Inseguita dal nemico più forte che avesse mai incontrato non si era arresa e non era fuggita. Si era anzi voltata, l’aveva affrontato e ne era uscita vincitrice. La Vittoria e la Fortuna erano navi grosse, pesanti. Se mai fossero riuscite a girarsi e a tornare ad inseguire la piccola Eve, l’avrebbero trovata ben oltre la curva dell’orizzonte. Irraggiungibile. Il vento si era finalmente alzato e con le vele ben gonfie, poche navi avrebbero saputo reggere i nodi della piccola caracca di Croix.

*

«Li inseguiamo, ammiraglio?» Chillemi continuò a guardare la sagoma della nave pirata che si stava dissolvendo all’orizzonte. Esitò, non perché non sapesse cosa fare, ma a causa della rabbia che gli stava correndo lungo il corpo e a cui non avrebbe mai permesso di uscire. «Restate in attesa di un mio ordine e mantenete la rotta» dichiarò infine. Poi si ritirò nella propria cabina e aprì una delle innumerevoli cartine che giacevano

arrotolate all’interno di una capiente botte di legno. Con estrema cura la stese sul tavolo e ne bloccò gli angoli con i primi oggetti trovati: una bussola, un como a punte rigide e l’ingombrante diario di bordo. Infine la osservò. Aveva notato che la nave pirata aveva imbarcato molta acqua e che aveva subito diversi colpi allo scafo. Nonostante questo, però, e anche variando la rotta, era consapevole che la Vittoria e la Fortuna non l’avrebbero mai raggiunta. Erano troppo cariche di cannoni e ingombranti nelle manovre. Sbuffò contrito. Si era prefissato di trovare il pirata che aveva osato rapire sua figlia e di giustiziarlo. Si era detto pronto a tutto e si era armato in maniera più che ardita. Non avrebbe certo immaginato che si sarebbe trovato di fronte ad un uomo astuto quanto i suoi migliori ufficiali, capace di fare della propria piccolezza una forza, e della follia che gli scorreva in corpo un’arma. I suoi occhi si fecero sottili, astiosi. Aveva perso una battaglia, ma non la guerra. E se quel pirata credeva che li avrebbe lasciati andare, allora si sbagliava di grosso. «Hanno subito molti danni allo scafo» sibilò piano, affinando i pensieri. «Dovranno fermarsi a riparare la nave, ma dove? Non lontano, non possono. Non in un porto, sanno che ho dato l’allarme. Dove, allora?» L’ammiraglio si massaggiò il volto osservando concentrato per diversi istanti la cartina. Infine appoggiò un dito con energia in un punto ben preciso. La mappa si incrinò generando diverse pieghe sempre più profonde, finché non la rilasciò per uscire a grandi i dalla cabina. «Jacob!» Tuonò impellente. Un attimo dopo gli si avvicinò di corsa un uomo che sarebbe apparso buffo se accostato all’imponente figura dell’ammiraglio, ma di cui altrimenti in tanti avrebbero avuto paura. Aveva una bandana rossa in testa, diversi cerchi d’oro alle orecchie e una prospera barba scura che non scendeva al di sotto del collo. Aveva un viso grosso e tondo, del tutto inappropriato al corpo secco e nerboruto che si ritrovava. «Agli ordini» rispose abbozzando un saluto. L’ammiraglio Chillemi piegò un braccio dietro al corpo e infilò due dita nella fascia che portava in vita e in cui era solito adagiare la spada, infine si espresse in maniera più che chiara.

«Rotta Nord-Est. Andiamo a prenderli alla fonda.»

CAPITOLO XI Odio

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A bordo della Eve ogni uomo era libero di credere nel proprio Dio. Per Marci, il primo carpentiere della nave pirata, esisteva qualcosa di ancora più importante di Dio, ovvero il legno. Era il legno, infatti, a tenere gli uomini al di sopra del mare e il legno era anche l’unica cosa a cui era possibile appigliarsi in caso di tempesta. Se si fosse ritrovato come in quell’istante, con uno scafo a dir poco distrutto sotto i piedi e una moltitudine di nuvole viola all’orizzonte, non avrebbe pregato nessun Dio di salvarlo, ma soltanto il proprio capitano di fornirgli altro legno per riparare l’unica cosa che lo separava dal fondo del mare. Il legno era l’unica cosa a cui pensava, mentre, con una corda stretta alla vita e l’altro capo ben assicurato all’albero maestro, si stava occupando delle prime riparazioni di emergenza sul fianco della piccola caracca, sospeso poco al di sopra del mare. A differenza di quanto aveva supposto l’ammiraglio Chillemi, infatti, l’intenzione di Croix non era quella di fermarsi nel primo luogo disponile per riportare la Eve in condizioni adeguate alla navigazione, ma quello di veleggiare ancora a lungo. La meta verso cui aveva dato l’ordine di dirigersi era ancora lontana, ma dopo l’ultimo scontro e la battaglia contro la nave turca l’equipaggio aveva decisamente bisogno di riposo ed esisteva un unico luogo in cui avrebbero potuto trovarlo: nell’isola di Pantelleria, in un lato di costa ben distante dai centri abitati, dove aveva fatto in modo di predisporre le giuste strutture anche per lunghi periodi di fonda. Con il sorriso sulle labbra e il vento che gli soffiava sul viso, il capitano della Eve guardava l’orizzonte, rapito dal mare e dall’impeto che riversava nelle sue onde. Attendeva paziente che il suo primo carpentiere gli comunicasse l’entità dei danni subiti dopo l’ispezione allo scafo. Con le mani accarezzò i pomelli del timone. Lo fece con la stessa grazia con cui avrebbe saggiato i fianchi di una donna, consapevole del fatto che sarebbe trascorso ancora molto tempo prima di

poter stringere tra le proprie dita il corpo caldo di una puttana capace di cancellargli dalla mente ogni pensiero, persino il più folle e persistente che nella notte appena trascorsa lo aveva fatto sentire un povero sciocco. «Siamo messi male, capitano» intervenne grave Marci mentre si grattava la testa con la mano senza due dita. Aveva i capelli scuri e folti, ravvivati da alcuni granelli di sale o qualcosa di ancora peggiore. «Quanto male?» Gli chiese Croix con il viso tornato improvvisamente scuro. Non aveva alcuna intenzione di cedere ad un ritardo nella rotta o ad una sosta che non fosse stata già compresa nei suoi progetti. Lo sguardo di Marci, però, si fece cupo. «Non so se ridotti così supereremo la tempesta che sta arrivando.» Croix sospirò grave, puntando lo sguardo verso le nuvole cariche di pioggia che si stavano addensando all’orizzonte. Aveva visto cieli peggiori nella sua vita per lasciarsi turbare. «La tempesta aspetterà» chiarì aspro, ma Marci non si lasciò intimidire. Non lo aveva fatto quando la nave su cui viaggiava era stata assaltata dai pirati, né quando per rimetterlo al proprio posto il capitano prima di Croix gli aveva strappato due dita. «La tempesta non aspetta nessuno, e comunque così ridotti non arriveremo mai a destinazione.» Le sue parole furono accolte da un sospiro stanco. «Cosa ti serve esattamente?» «Legno» rispose il carpentiere senza esitazione. «Molto, moltissimo legno.» «E va bene. È la terza volta che rinuncio alla scrivania della mia cabina, ma se non abbiamo altro legno puoi farne ciò che vuoi. Poi, se ne sono rimaste ancora a bordo, puoi disfare le botti delle provviste, tanto saremo presto a destinazione e ne potremo costruire delle altre.» Marci annuì lesto.

«Posso provvedere anche alla cassettiera?» «No» rispose secco Croix, alzando quasi la voce. «No» berciò di rimando il carpentiere, sollevando entrambe le sopracciglia. «Come sempre, la cassettiera no.» Non era un mistero il fatto che Marci desiderasse quel legno come poco altro al mondo, e non soltanto perché era vecchio e pregiato, ma anche perché ormai ne aveva fatto una questione di principio. Era almeno la ventesima volta che chiedeva a Croix di poterlo usare e che lui, per un motivo o per un altro, glielo negava. Marci tentò di replicare di nuovo, ma una cruda occhiata di Croix gli tolse ogni voglia di farlo. «Coleremo a picco, quindi» minacciò. «Ma la cassettiera no, perché lui non vuole.» A quel punto se ne andò parlando da solo e grattandosi la testa, ignaro del fatto che Croix aveva smesso da tempo di credere alle sue minacce e che un’altra persona, nascosta poco distante, aveva ascoltato quello che si erano detti. Eve si allontanò dalla porta chiusa della cabina e si voltò verso l’oggetto del discorso che aveva appena origliato. La cassettiera a cui il pirata non pareva intenzionato a rinunciare aveva tre grandi cassetti di legno e i manici di uno scolorito ottone lavorato. Il cassetto più in alto aveva la chiave inserita, mentre sugli altri spiccavano due serrature diverse, rinforzate nel tempo con altrettanti lucchetti. Al suo interno doveva esserci qualcosa che Croix voleva nascondere; qualcosa come un segreto. Scopri il segreto di un uomo e lo avrai in pugno. L’espressione di Eve si fece determinata. Il pirata le aveva tolto suo padre e la libertà. Le aveva invaso la mente e il corpo, ma il momento di riprendersi tutto era finalmente giunto. Avrebbe trovato il modo di fargliela pagare cara per tutto quello che le aveva fatto, soprattutto per averle stretto lo stomaco in una morsa così acuta da impedirle di dormire la notte e per averla costretta a pensare a lui in un modo che non avrebbe mai voluto; fino al punto di dubitare che sarebbe mai riuscita a dimenticarlo insieme alle disavventure vissute. Si mise a sedere, mentre la mente pensava freneticamente ad un piano per potere

agire indisturbata. Se c’era una cosa che aveva compreso, era che la piccola caracca che la teneva prigioniera si fermava raramente e che esistevano tre turni di guida con tre timonieri diversi. Il turno di mezzo, quello più lungo e snervante, toccava sempre a Moore. L’ultimo turno, quello della notte, spettava a rotazione a diversi uomini. Il primo invece, quello che vedeva il sorgere del sole, era sempre di Croix. Il capitano amava svegliarsi con i primi bagliori dell’alba e salutare il nuovo giorno con il vento dritto in faccia e il timone stretto tra le mani. Era una cosa piuttosto romantica, che al principio Eve aveva trovato addirittura affascinante, ma che con il tempo era divenuta decisamente interessante. Se Croix era al timone, infatti, era libera di fare quello che voleva e non doveva preoccuparsi di essere scoperta. I marinai della Eve avevano l’ordine di non entrare nella cabina in cui lei e il capitano dormivano di notte – lui su un’amaca, lei su un giaciglio improvvisato dalla parte opposta – e questo significava che l’indomani, prima del sorgere del sole, avrebbe avuto sia il tempo, sia l’occasione per indagare i più nascosti segreti del pirata e usarli per metterlo con le spalle al muro. Quella stessa sera, quindi, quando Croix entrò nella cabina e cominciò a spogliarsi in vista della notte, Eve non si voltò dalla parte opposta e non si coprì fin sopra al naso come era solita fare. Lo guardò di nascosto, invece, pregustandosi il momento in cui, da lì a poche ore, avrebbe aperto la cassettiera che teneva rigorosamente chiusa e avrebbe scoperto cosa nascondeva. Guardarlo con il sorriso sulle labbra fu un errore, però, e non soltanto perché l’ultima volta che erano rimasti soli si erano baciati apionatamente, ma anche perché nella sua ingenuità Eve non aveva considerato il fatto che lui avrebbe potuto scoprirla e approfittare della sua attenzione per riprendere in mano il controllo della situazione. Croix si tolse la giacca con la consapevolezza dello sguardo della ragazza sul proprio corpo. Si slacciò il collo della camicia fissandola di sbieco, incuriosito dal fatto che lei avesse finalmente deciso di guardarlo dopo tante notti in cui si erano ignorati per pudore o per motivi a lui ignoti. La sua mente aveva tratteggiato Eve come una ragazza casta, ma curiosa. Trovarla ricettiva ai suoi baci e sentirla rispondere con il suo stesso ardore la sera precedente era stata per lui una gradita sorpresa, anche se percepire il suo sguardo e presagire il sorriso con cui stava seguendo i suoi movimenti aveva fatto molto di più e aveva cancellato in un solo istante tutta la stanchezza e le tensioni di quel lunghissimo

giorno. Si tolse anche la camicia e la gettò a terra, insieme ai pensieri che lo avevano turbato fino ad un istante prima di rientrare nella propria cabina. Sapeva che aveva privato Eve di una delle poche occasioni di tornare libera. Era consapevole del fatto che lei avrebbe potuto odiarlo per questo e che, magari, avrebbe persino smesso di rivolgergli la parola. Quello che non si aspettava era di ottenere più attenzioni di prima, come se l’inconveniente dell’incontro con l’ammiraglio Chillemi non avesse tolto nulla al loro rapporto, ma anzi avesse reso ancora più chiaro che il suo posto era lì, tra le braccia e nella cabina del pirata che l’aveva liberata da catene ancora più grandi. Croix si slegò i capelli e scosse appena il capo. L’umido della sera gli pizzicò la pelle, ma non si lasciò intimorire né dal freddo, né dallo sguardo di Eve che lo fissava con un sorriso compiaciuto in volto. «Vi piace quello che vedete, piccola?» Colta di sorpresa, la ragazza arrossì vistosamente, ma non distolse lo sguardo dal torace completamente nudo del pirata e dai suoi occhi cupi. «Non è ciò che vedo a farmi sorridere, ma quello che mi aspetto che accada da qui a poco più avanti.» Nella sua ingenuità, Eve non comprese l’equivoco nascosto nelle parole che aveva pronunciato. Quello che lei si attendeva accadesse, era di tornare libera dopo che suo padre l’aveva ritrovata e di poter vedere Croix appeso ad una forca. Quello che il pirata si attendeva dopo essersi spogliato davanti ai suoi occhi e averle chiaramente esposto il proprio interesse, era invece di poterla spogliare a propria volta e di baciarla di nuovo, magari non soltanto sulle labbra. Le si avvicinò di un o, divorato dal desiderio. Eve si mise a sedere nel letto, coprendosi con il lenzuolo. Indossava solo una lieve camicia di lino, come tutte le notte precedenti. Croix aveva avuto molte occasioni di toccarla prima di allora, ma non l’aveva mai fatto, se non per medicarla. Ad essere onesti non le si era nemmeno mai avvicinato oltre il dovuto e lei non aveva mai mancato di ringraziarlo per questo. Non comprendendo il perché del suo improvviso interesse si ritrasse appena, mettendosi all’erta. «Cosa credete di fare?»

«Esattamente quello che vi attendete.» Fu con un groppo in gola che finalmente Eve comprese l’equivoco a cui lei stessa aveva dato inizio e che da rosso il suo viso si fece pallido come la cera. «Fermatevi dove siete!» Ordinò, ma Croix non le prestò ascolto e si sedette proprio accanto a lei. Le sue dita corsero veloci lungo le braccia della giovane, catturarono il lenzuolo e lo abbassarono scoprendo ciò che gli era stato negato fino a quell’istante. Il respiro della ragazza si fece affannoso. La camicia di lino che la rivestiva e che le faceva da sottoveste era praticamente trasparente. Il fatto che la portasse chiusa fin sopra il collo non la rendeva agli occhi di un uomo a digiuno da troppo tempo meno esposta o sensuale, anzi. Ad infiammare il pirata oltre il consentito fu proprio la sua reticenza mista al calore che celava nello sguardo stupito. Lo aveva guardato mentre si spogliava; credeva davvero che lui non se ne sarebbe accorto e l’avrebbe lasciata fare senza pretendere nulla in cambio? Stremato dalle emozioni di quel giorno, dalla battaglia con l’ammiraglio Chillemi e dalla continua ambiguità dei gesti e delle parole di Eve, Croix decise che era il momento di dare una svolta al rapporto che li legava. Lui non era il barbaro che credeva, ma era un uomo con dei desideri e degli impulsi che aveva tentato di trattenere fino all’ultimo, di fronte ad ogni ragionevole scusa. Nel momento in cui tutto era crollato, però – ovvero quando aveva scoperto che lei non era sposata e che lo ricambiava – , aveva capito che il momento della resa dei conti era arrivato. «Eve…» La ragazza tremò, e non soltanto per il tono che aveva usato nel chiamare il suo nome. Croix aveva infilato una mano al di sotto delle coperte. Le aveva afferrato un polpaccio e aveva cominciato ad accarezzarlo con delicatezza, fino a scoprire e sfiorare la pelle nuda. A quel punto i suoi occhi si erano fatti ancora più cupi e avevano preso a guardarla in una maniera a dir poco indecente. «Sdraiatevi, vi prego.» In un primo momento Eve si rifiutò di obbedirgli. Raddrizzò la schiena e gli si oppose con tenacia. Per dissuaderla le avvicinò le labbra al collo e la baciò morbidamente, fino a sentirla tremare e sospirare. Usò il proprio corpo e la

propria esperienza per dominarla e farla distendere sotto di sé. Mentre cambiavano posizione, lasciò che la sua mano salisse sempre di più e scivolasse lungo la linea aspra del ginocchio, là dove la carne era più ricettiva alle sue carezze. Vittima delle sue mani e delle sensazioni che erano in grado di scatenare dentro di lei Eve sospirò ancora, mordendosi le labbra, odiandosi per quanto stava concedendo e per quanto di più si era ritrovata a voler scoprire. Appoggiò le dita sul torace del pirata con l’intento di allontanarlo da sé e porre un freno a tutte le emozioni che le stavano sconvolgendo il corpo, ma non appena percepì il calore della sua pelle nuda si ritrovò a stringerla, vinta dal desiderio di poterci are sopra le mani. È sbagliato, si disse turbata dal desiderio del tutto naturale che si era risvegliato in lei e che non credeva avrebbe potuto sconvolgerla al punto da farle ignorare che non era un uomo qualsiasi, quello che la stava stringendo. Non posso farlo. Ma la pelle di Croix era calda e i suoi baci erano apionati. Il suo respiro le prometteva ioni impossibili e le sue mani la stringevano come se fosse stata la prima e l’unica donna della sua vita, anche se non era vero. Aveva avuto certamente altre donne, magari ne aveva anche una che lo stava aspettando in quell’istante con un figlio in grembo in un porto lontano… Eve gemette, turbata dal pensiero di potere essere usata per tradire un’altra donna, divenendo così complice di qualcosa di terribile. «Smettetela» gli ordinò timidamente. «Io non voglio, non…» «State zitta» replicò Croix con una voce così bassa e affilata da farle venire i brividi. Spostò il peso del proprio corpo e si insinuò lesto tra le sue gambe scivolandovi come un serpente. «Mi avete già detto troppe bugie perché vi possa consentire di dirmene altre.» Eve si irrigidì. Voltò il viso di lato, negandogli il bacio che pretendeva. Prendendolo per un gioco crudele, Croix inarcò di nuovo la schiena e si spinse ancora più verso di lei, languidamente. Ne conseguì un calore folle, improvviso e doloroso, al basso ventre. La giovane strinse le labbra, imponendosi di non fare uscire il sospiro che le era affiorato così spontaneamente alle labbra. Fu allora che il pirata le lanciò una sfida impossibile. «Non negatevi, Eve. Piuttosto affrontatemi.»

Insieme all’aria, trattenne anche la rabbia. Soltanto un brigante come lui avrebbe potuto chiedere ad una ragazza di buona famiglia come lei di tirare fuori le unghie nel momento in cui si sentiva più fragile. Croix voleva la guerra, dentro e fuori dalle lenzuola. Voleva una donna focosa e provocante, di conseguenza voleva anche qualcosa che lei non era, né sarebbe mai stata. Il pensiero che a confronto con l’esperienza di coloro che l’avevano preceduta sarebbe sembrata una povera sciocca la rese ancora più nervosa, poiché a quel punto le era chiaro che lui non si sarebbe fermato e che lei non sarebbe comunque riuscita a farlo desistere dall'intento. Gli negò di nuovo un bacio, poi lasciò uscire tutta l’aria che aveva in corpo e smise di opporsi alle sue dita che si muovevano suadenti. Abbandonò le braccia lungo i fianchi e chiuse gli occhi in un evidente segno di resa. Anziché avventarsi sulla propria preda, però, Croix si fermò e la guardò per un istante, contrito. «Aprite gli occhi, Eve. Guardatemi.» La sua voce era adirata, tanto che la giovane si ritrovò a sussultare e a rabbrividire nello stesso momento. Nonostante questo, però, qualcosa le impedì di assecondarlo. Poteva arrendersi, ma venire sconfitta dal suo stesso corpo era del tutto inaccettabile. Sentì la mano di Croix prenderle il mento, il suo pollice sfiorarle le labbra. Percepì in lui una sorta di esitazione, che però svanì nel giro di breve, non appena le grida di alcuni marinai infransero il silenzio che si era generato tra di loro e, come di consueto, il capitano della Eve fu costretto ad uscire dalla cabina per porre fine ai litigi o alle rivendicazioni. Non appena sentì la porta chiudersi dietro di lui, Eve tirò un sospiro di sollievo. Si coprì il viso con una mano, trovandolo caldo. Si diede della stupida per essersi fatta cogliere di sorpresa tanto facilmente e, mentre si vestiva per sentirsi meno vulnerabile, promise a se stessa che non sarebbe più accaduto. Invano. Croix non era tipo da dimenticarsi le promesse, né da rinunciare a qualsiasi cosa avesse voluto. Era esattamente come lei, solo con meno regole e senza falsi perbenismi. O, magari, semplicemente con più coraggio. Quando poco dopo il pirata rientrò nella propria cabina, trovò Eve completamente vestita e immersa nel letto, intenta nell’atto di fingere di dormire. Senza che lo volesse si ritrovò a sorridere della sua ingenuità. «So che non state dormendo e che è solo un modo di tenermi lontano da voi, ma non servirà.»

Lei non gli diede risposta e continuò la farsa. Croix la raggiunse e le si sedette accanto, accarezzandole i capelli. Si piegò sulla sua figura, fino a giungerle ad un soffio dall’orecchio. «Non sei una vittima, Eve. Non fingere di esserlo o di non desiderare quanto me tutto questo, non ti si addice.» «Tu non sai nulla di me.» Le dita di Croix si strinsero sulle coperte che la nascondevano, senza però riuscire a scostarle. Eve era tornata ad opporgli resistenza. Si teneva le lenzuola addosso come se da loro dipendesse la sua stessa via, ignara del fatto che non sarebbe stato del semplice tessuto a poter dividere un uomo come Croix da ciò che voleva. Fece per dire qualcosa, ma per la prima volta la giovane fu più rapida di lui e lo trafisse con parole affilate come frecce. «Io ti odio.» Rise sommessamente, prima di sdraiarsi dietro di lei e di stringerla a sé. Il profumo che aveva addosso, di mare e di vento, si mischiò a quello pulito della ragazza. Con le labbra le sfiorò l’orecchio. Un tremito d’eccitazione gli morse il respiro quando la sentì rabbrividire in risposta. «Mi sta bene, perché più mi odierete, più a fondo mi insinuerò dentro di voi.» «Parlate per esperienza, vero? Perché è per l’odio verso qualcuno che avete scelto la via del mare e… la fuga.» Croix non le consentì di scorgere o di percepire alcun segno di cedimento. Il suo viso si fece impenetrabile come le maglie della notte; come il buio che persino in quell’istante aleggiava all’interno della cabina. Con le dita scivolò leggero sulla sua pelle, trovandola calda nonostante gli strati di vestiti che aveva indossato per proteggersi. «Chissà, magari un giorno vi racconterò anche la mia storia.» «E magari quel giorno mi direte anche il vostro nome.» Croix rise appena di lei e dei suoi goffi tentativi di ottenere le informazioni che voleva. Eve aveva una mente sveglia e brillante, capace di fare collegamenti

rapidi e fin troppo appropriati. Era un peccato che non le fosse stato insegnata anche la sottile arte della seduzione… O forse era meglio così, altrimenti Croix dubitava del fatto che sarebbe riuscito a tenere certi segreti per sé, se lei lo avesse tentato. Si leccò le labbra, trovandole secche a causa dei pensieri che pareva incapace di mettere a tacere. «Sapete, Eve, conoscere il mio nome non vi aiuterà a venire a capo di nulla.» «Neppure se non mi fosse nuovo?» «Cosa vi fa credere che un pirata di oggi sia un nobile di ieri?» «Sono più attenta di quel che credete ai dettagli.» «Potreste ugualmente sbagliarvi.» «O forse potrei avere ragione.» Croix sospirò, sia per la stanchezza fisica che per quella mentale. «Per quel che mi riguarda potete dedurre quel che volete. La verità è che non possiedo nessun nome che valga la pena di ricordare. E comunque, se essere ricordato dalla storia significa sporcarsi le mani, allora preferisco che il mio nome si perda tra le onde del mare, perché è lì che l’ho ritrovato insieme alla mia libertà.» «Dunque ho ragione» esclamò Eve mettendosi a sedere per potersi girare e poterlo guardare negli occhi. «È per il vostro nome che avete lasciato la terra e…» «Per questo e per molto altro ancora» sentenziò Croix mentre socchiudeva appena le palpebre e i suoi occhi si facevano ostili. «Perché a vostra differenza so cosa voglio e non temo il giudizio degli altri. E ora dormite. Non obbligatemi a placare la vostra sete di conoscenza in modi di cui domani potreste pentirvi.» Temendo che Croix osasse davvero portare a compimento le proprie minacce, Eve gli obbedì e tornò a sdraiarsi nel giaciglio in cui anche lui si era adagiato. Sentendosi inquieta con la sua presenza alle spalle, tentò di liberarsi dal suo abbraccio, ma il pirata non glielo concesse.

«Non tornate alla vostra amaca come di consueto?» Croix sbadigliò per la stanchezza. «Sarei uno sciocco a lasciarvi dopo avere conquistato tanto terreno.» Di nuovo, Eve sentì l’esigenza di chiarire che non aveva conquistato nulla, ma Croix fu più lesto di lei e mise a tacere qualsiasi contestazione con un nuovo bacio, poi con un altro e un altro ancora. Fino a che non sentì Eve cedergli e illanguidirsi un istante prima di lasciarsi andare e di addormentarsi tra le sue braccia. Soltanto allora, con il corpo della ragazza stretto al suo, anche Croix riuscì a chiudere gli occhi e per la prima volta dopo molte notti il nome che aveva impiegato tutta la vita a cancellare non tornò a turbare il suo sonno e i suoi sogni.

CAPITOLO XII Il Segreto

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Il mattino seguente Eve si svegliò incredibilmente sola e completamente vestita. Muovendosi tra le lenzuola si sentì quasi dispiaciuta per la mancanza del corpo caldo di Croix accanto al suo. Non durò che un istante, però. Poi si rese conto che il sole era già alto e che il tempo a propria disposizione si stava velocemente esaurendo. Se voleva aprire la cassettiera finché era sola doveva agire in fretta, così si alzò in piedi e vi si avvicinò con la testardaggine che la contraddistingueva. «Fammi vedere cosa nascondi…» Sussurrò sottovoce, con le dita già pronte a forzare il lucchetto grazie alla punta del como che aveva trovato sulla scrivania. La tensione le scorreva potente nelle vene. Se Croix l’avesse sorpresa, non avrebbe certamente reagito bene e lei non aveva idea di fin dove avrebbe potuto spingersi se avesse voluto punirla. Un brivido intenso le corse lungo la spina dorsale, mentre il pensiero della forza che aveva avvertito nelle dita del pirata quella notte le faceva girare appena la testa. Si aggiustò un ricciolo scuro, riponendolo dietro all’orecchio, poi si chinò in avanti, utilizzando il suo stesso peso per fare leva. «Ancora un po’, ci siamo…» Non era la prima volta che forzava una serratura, anzi, era accaduto in diverse altre occasioni. Era tutto cominciato con i primi viaggi misteriosi di suo padre; quelli per i quali lui aveva smesso di dirle dove andava e lei aveva iniziato a sce i suoi armadi e a forzare i sigilli dei suoi diari. Era stato così che aveva scoperto cos’era la Sancta Spes e che aveva imparato che ogni lucchetto aveva un punto di rottura. Un rumore metallico le comunicò che la serratura si era appena aperta. Estrasse il secondo cassetto e vi si affacciò. Quello che vide, però, non la colpì più di tanto. C’erano i vecchi diari di bordo della Eve e di altre navi che Croix doveva

avere assaltato. Sul fondo, avvolto in un fazzoletto azzurro, trovò un medaglione del tutto identico a quello che suo padre le aveva chiesto di riportare a Roma. Seguendo l’istinto si portò una mano sul collo, là dove lo stesso Croix le aveva adagiato la collana che le aveva prima sottratto e successivamente restituito. Le aveva detto di avere già visto un gioiello del genere, ma non aveva specificato di averlo anche rubato all’uomo che aveva ucciso. Ingenuamente, Eve aveva creduto che fosse finito sul fondo del mare, lontano dalle mani indegne del pirata, ma si era sbagliata. Lui non le aveva reso il medaglione di suo padre perché si fidava di lei, ma perché ne aveva già uno da usare come chiave e perché voleva che lei si fidasse di lui. Il cuore della ragazza accelerò i battiti, mentre la sensazione di essere stata ingannata si faceva sempre più forte. Decisa come non mai ad arrivare fino in fondo riaccomodò il medaglione così come lo aveva trovato e ò all’ultimo cassetto. Questo fu quello che sicuramente le richiese più lavoro e impegno, in quanto la serratura non era stata aperta da tempo e per questo si era arrugginita in qualche punto. Quello che vi trovò, però, la ripagò di ogni singola goccia di sudore versata. Al suo interno, adagiati su un tessuto bianco, vi erano infatti una vecchia bussola d’oro e un prezioso pugnale. La sua custodia era intarsiata in modo che lo stemma in corrispondenza della lama fosse in rilievo. Eve lo accarezzò con delicatezza, mentre la sensazione che doveva essere stato forgiato per un giovane nobile diveniva certezza. La superficie della fodera era perfetta, liscia e levigata come riuscivano a fare soltanto i migliori orafi. Lo stemma, poi, era così perfetto da dare l’illusione di essere una piega su una stoffa pregiata. Era senza alcun dubbio un lavoro di grande valore, degno di una famiglia piuttosto ricca. Sollevandolo verso la luce, tentò di capire se appartenesse ad uno dei molti casati che conosceva. Visionò il falco al centro del disegno e la croce che gli faceva da sfondo. Trovò diversi riferimenti cristiani, ma quando tentò di leggere il motto della famiglia per la quale era stato forgiato, scoprì che era stato cancellato da dei poderosi graffi di lama. L’istinto la spinse a chiedersi se fosse stato Croix a rovinare in quel modo solo quella parte del pugnale, così da rimanere l’unico a sapere a chi apparteneva realmente. Tutto ad un tratto le tornò in mente la sera in cui avevano cenato al tavolo di Chartre; l’eleganza con cui il pirata aveva consumato il pasto. Ripensò alla delicatezza con cui l’aveva medicata e alla perizia con cui era solito tenere aggiornate le cartine della sua cabina e calcolare le rotte. Il pirata non veniva dal popolo, ne era certa. Ma se era davvero un nobile, perché aveva lasciato la

propria famiglia e aveva scelto la via del mare? Era forse un figlio cadetto o un rinnegato? Un rumore dall’esterno colse Eve del tutto impreparata. Si mosse in fretta, animata dalla paura di venire scoperta. Gettò il pugnale e la bussola nel cassetto, ma quando fu il momento di richiuderlo lo scafo della nave pescò un’onda più grossa e per rimanere in equilibrio si ritrovò ad aggrapparsi al primo oggetto che le capitò a tiro. Senza volerlo, estrasse dal cassetto la stoffa bianca su cui erano adagiati gli oggetti che Croix aveva nascosto. La spiegò nel tentativo di risistemarla com’era e fu allora che si accorse del fatto che il vero segreto che Croix stava nascondendo non aveva nulla a che vedere con le proprie origini o con gli oggetti che aveva stretto tra le mani fino a quell’istante, ma che le sue radici venivano da molto lontano e affondavano nel sangue e nell’eresia.

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Nei giorni che seguirono i ritmi di navigazione e di lavoro si fecero serrati. Croix non tornò più a dormire nel letto della ragazza, e non soltanto perché smise praticamente di dormire, ma anche perché Eve fece quanto era in suo potere per evitarlo. Con l’ammiraglio Chillemi sulle loro tracce e la nave con evidenti falle da riparare, ogni uomo venne messo all’opera e il capitano fu costretto a fare i doppi turni, se non di più. Se lui rientrava di notte, lei fingeva di dormire. Se lui rientrava all’alba, lei usciva senza nemmeno rivolgergli la parola. Non le piaceva stare sul ponte perché era talmente piccolo da costringerla inevitabilmente ad incrociare gli sguardi degli altri membri dell’equipaggio, ma se l’alternativa era rimanere sola con lui, allora poteva sopportare la compagnia di quelle canaglie. Continuò così per diverso tempo; fino a quando, finalmente, non arrivarono a destinazione e alla piccola caracca fu consentito di gettare l’ancora. Con un lungo fischio il nostromo fece ammainare le vele e preparare gli uomini per lo sbarco. Croix fu uno degli ultimi a scendere, mentre Eve fu tra i primi a poggiare i piedi a terra e a tirare un sospiro di sollievo. Barcollò, abituata com’era all’ondeggiamento del mare, ma si riprese in fretta. A differenza degli uomini che erano con lei aveva ato più tempo sulla terra che per mare, forse per questo mentre i gabbiani garrivano in lontananza e il sole scendeva verso la linea

dell’orizzonte, non riuscì a mettere a tacere la ragione che le imponeva di restare dov’era, al sicuro da eventuali pericoli, e si concesse la prima eggiata dopo giorni e giorni di navigazione. Non conosceva l’isola su cui i pirati l’avevano portata, ma se avesse seguito la costa non avrebbe potuto perdersi. Con un rinnovato senso di leggerezza si lasciò quindi alle spalle il volto di Eva che si specchiava nelle placide acque del Mediterraneo e si diresse verso il sole e il suo calore. Camminò a lungo, fino al centro di un’insenatura naturale che pareva fatta apposta per nascondere persone e pensieri. Soltanto a quel punto, si sedette e concesse a se stessa di chiudere gli occhi. Lentamente, lasciò che il suono del mare le riempisse le orecchie e le riportasse alla mente i ricordi più piacevoli che possedeva. Era il tramonto; l’ora in cui la nostalgia di casa tornava a farsi più viva. Era il momento in cui ripensava a sua madre e… «Attendete vostro padre?» Eve sobbalzò, riaprendo gli occhi di scatto. Si rese conto che era stato Croix a raggiungerla e a parlarle soltanto quando era ormai troppo tardi per fuggire. Non ricambiò il sorriso del pirata, anzi, lo affrontò con un’occhiata che trasudava astio e freddezza per poi spostare le proprie attenzioni su un punto non precisato dell’orizzonte. «So perfettamente che non verrà.» Croix le si sedette accanto, stando ben attento a non rovesciare la bottiglia di assenzio che si portava appresso. «E perché mai?» «Perché conosco mio padre e perché so che pochi uomini sarebbero stati folli come voi nell’ordinare una navigazione tanto lunga con una nave ridotta tanto male.» Croix attinse alla bottiglia che aveva in mano, nascondendo nell’alcol un sorriso divertito. «Da quando vi intendete di navi?» Il volto di Eve si contrasse in un sorriso nervoso.

«Nel caso in cui vi fosse sfuggito ero nella vostra cabina, quella che ha riportato i danni peggiori, mentre mio padre vi sparava addosso.» «Ci sparava addosso» la corresse sprezzante, posando l’accento sul fatto che suo padre aveva osato metterli sotto fuoco nonostante fosse a conoscenza che c’era sua figlia a bordo. «Però, nonostante questo, non mi sembrate sorpresa del suo comportamento.» Eve si lasciò andare ad un sorriso amaro. I pirati conoscevano suo padre di fama, lei invece ci aveva vissuto insieme da sempre. Era cresciuta senza una madre che potesse proteggerla, in compagnia di un padre per metà del tempo in viaggio lontano da casa e per l’altra metà pronto a punirla se trasgrediva le sue regole o non si comportava in maniera consona. L’ammiraglio Chillemi, infatti, non era rigido soltanto quando solcava i mari e non era assolutamente il tipo di persona con cui si potesse discutere. «Non sono l’ingenua che credete. Conosco mio padre.» «O magari siete proprio l’ingenua che credo, ma avete buone conoscenze in merito a molti più campi di quelli che immagino» asserì beffardo, slacciandosi la camicia. Non si era mai fermato negli ultimi giorni e per questo, oltre che stanco, era visibilmente sudato e accaldato. Ciononostante, con il suo sguardo che le premeva addosso, Eve si accorse di sentirsi profondamente a disagio e non soltanto perché aveva frugato tra le sue cose e portato alla luce i suoi segreti. Erano soli, per la prima volta dopo che lui le era entrato nel letto, e il suo cuore non poteva fare a meno di battere così forte da echeggiarle nelle orecchie. «Io, invece, non sono affatto l’ingenuo che credete» continuò. «Mi sono accorto del fatto che mi state evitando, solo non ho ancora compreso perché.» Eve si mosse a disagio, non sapendo bene cosa dire. Ora che conosceva il segreto di Croix le appariva tutto diverso. Più semplice, forse, ma non più chiaro. La ragione le suggerì di allontanarsi da lui al più presto, poiché rifuggirlo era l’unico modo per salvarsi. L’istinto, però, la tenne incatenata a lui e alle domande che le avevano impedito di riposare bene tutte le notti precedenti, sin da quando aveva aperto la cassettiera e aveva scoperto la vera identità dell’uomo che l’aveva rapita e che adesso le sedeva accanto. Prese fiato, riordinando i pensieri fino a trovare le parole giuste. «Voi avete affermato più volte di essere diventato un pirata. Siete nato sulla

terra, ma poi avete scelto il mare. Perché?» Croix alzò distrattamente le spalle. «Avevo una nave e tanta voglia di vedere nuove terre senza regole, nulla di più.» Eve assottigliò lo sguardo, facendosi riflessiva. «Ogni nave che si rispetti, anche la più piccola, ha un costo. Ci sono uomini che lavorano una vita intera pur di poterne comprare una e altri che sanno sin dal principio che non potranno mai averla.» Croix bevve un generoso sorso di assenzio. «Non ho mai detto di averla comprata. Potrei averla rubata.» «No, non credo che l’abbiate rubata. Credo piuttosto che l’abbiate usata per disfarvi delle ricchezze che avevate accumulato in terra e per fuggire da qualcosa…» Croix la guardò con un’espressione strana, che lei si sforzò di non incontrare. Dietro alle frasi che Eve gli aveva rivolto, erano nascoste in realtà altre parole. Non vi erano accuse, né domande, ma constatazioni, perché Eve sapeva chi era Croix in realtà, solo che aveva il timore di pronunciarlo. E lui, ormai, non poteva più mettere a tacere la sensazione che lei fosse arrivata alla verità che aveva sempre voluto nasconderle. «Dove volete arrivare?» Lei scosse la testa, incapace di guardarlo o di continuare il discorso, poi usò le mani per coprirsi il viso. Temendo il peggio Croix la prese per un braccio e pretese la sua attenzione. «Che cosa ti succede? Sono giorni che non mi parli e che quando arrivo trovi un motivo per andartene...» Eve si sforzò di guardarlo, non perché lo volesse, ma perché sentiva la necessità di farlo. Croix aveva abbandonato ogni etichetta e aveva smesso di darle del “voi”. Il suo viso si era fatto teso, i suoi occhi incerti. L’ora della verità era infine giunta per entrambi e Eve doveva trovare da qualche parte il coraggio per

affrontarla. Prese fiato. Si preparò al peggio. «Io ho aperto la cassettiera e ho visto cosa nascondeva.» Croix le strinse il polso, esortandola con lo sguardo a non mentirgli. «Cos’hai visto di preciso?» «Tutto. Il medaglione come il mio, il coltello e… la tunica bianca.» Gli occhi del pirata si spalancarono all’improvviso, mentre le sue dita tornavano a stringerla com’era accaduto qualche notte prima. «Tu cosa?» Eve non tentò nemmeno di ribellarsi. Era nettamente più debole di lui, inoltre una parte di lei sapeva che non le avrebbe mai fatto del male perché glielo aveva promesso. E Croix manteneva sempre le sue promesse. Finché non ti avesse salvato. Si sforzò di restare lucida, anche se nel momento in cui aveva rivelato la verità al pirata, il suo cuore aveva inspiegabilmente preso a battere più forte e la sua mente si era come annebbiata. «Io ho riconosciuto il simbolo che c’era sulla tunica. Voi… Voi…» Eve abbassò il tono della voce quasi con disprezzo, lanciandogli un’occhiata carica di odio e risentimento. «Voi siete un Cavaliere Templare. Un eretico. Un assassino. E probabilmente anche un… un…» «Dillo» la sfidò Croix con voce sottile, catturando il suo sguardo in una morsa. «Dimmi anche tu quello che mi hanno detto tutti gli altri. Dimmi che ho cospirato contro Dio e contro la chiesa, che ho adorato un falso idolo e che ho usato violenza sulle donne e persino sui bambini…» Le si avvicinò maggiormente, togliendole il respiro. Eve tremò. Si morse le labbra, incapace di continuare o replicare. Aveva avuto modo di vedere lo sguardo di Croix rabbuiarsi in più di una occasione, ma mai come in quell’istante, in cui le sue parole lo avevano costretto a tornare indietro nel tempo e a sentire le ferite del ato riaprirsi fino a sanguinare.

Il pirata aveva le dita strette in un pugno, lo sguardo distante. Non era la prima volta che sentiva rivolgersi le accuse più terribili. Era facile giudicare senza sapere quello che era accaduto realmente, ma Dio gli era testimone e conosceva la verità. Aveva combattuto a lungo in Terra Santa. Si era sporcato le mani, aveva visto e fatto cosse terribili, ma non aveva mai perso la fede e non aveva mai peccato contro alcun uomo o contro il suo Dio. La guerra li aveva resi ricchi e la ricchezza aveva portato con sé molte invidie che, una volta sedimentate, avevano scatenato l’inatteso. Il Re di Francia, indebitato oltre ogni limite, aveva visto i possedimenti del loro Ordine. Li aveva desiderati per sé; li aveva voluti così intensamente da architettare il piano che li aveva rovinati. Con l’aiuto del Papa aveva accusato i Templari delle cose più terribili – eresia, blasfemia, cospirazioni, violenze – , aveva preso possesso delle loro ricchezze e li aveva messi alla gogna. Se chiudeva gli occhi, Croix poteva sentire ancora le grida di chi non era riuscito a fuggire il maledetto giorno in cui era stata emanata la bolla che li aveva condannati; di chi era stato torturato nei sotterranei del Castello di Chinon fino a che non aveva ammesso l’inammissibile. Questo era quello che era accaduto davvero. Una notte come tante si era addormentato ricco e stimato come qualsiasi altro uomo che aveva combattuto in Terra Santa, mentre il giorno seguente si era svegliato eretico e ricercato per crimini che non aveva commesso e complotti che non aveva ordito. Il destino gli aveva concesso di sfuggire alla cattura e al rogo poiché si trovava su una nave in partenza a La Rochelle, ma molti altri non avevano avuto la sua stessa fortuna. Suo padre e sua madre non avevano avuto la stessa fortuna. «Voi non sapete nulla» disse mentre il senso di colpa per essere sopravvissuto lo tormentava e il desiderio di poter scambiare la propria vita con quella di chi aveva pagato per lui tornava ad occupargli la mente e il cuore. Il giorno in cui i Templari erano stati arrestati, anche suo padre e sua madre erano stati fatti prigionieri, messi in catene e trascinati via di forza dalla loro stessa casa. Una settimana dopo erano stati bruciati vivi, mentre lui veleggiava sulla Eve con il vento sul viso. «Il mondo in cui vivete è colmo di menzogne e di ingiustizie, ma non pretendo che ne siate a conoscenza. Siete cresciuta a Roma, tra le braccia del Papa e al cospetto della sua unica verità. Non avete idea di quello che accade al di fuori della sua ombra e per questo non posso che compatirvi.» Anche se aveva gli occhi chiusi, Croix percepì nitidamente il corpo di Eve tentare di liberarsi dalla sua presa. Per un istante sentì il bisogno di spiegarle meglio quello che aveva ato, ma poi una parte di lui si rese conto che

sarebbe stato inutile sprecare altro fiato con lei. Non si sarebbe mai abbassata a credere alle parole di un infame pirata, così la lasciò andare, non prima di avere chiarito la propria posizione. «Fate un favore a voi stessa, madame. Pensate quello che volete, ma non osate raccontare certe storie in presenza mia e dei miei uomini, o vi giuro che non risponderò delle mie azioni e diverrò davvero la bestia che credete che sia.» Eve tremò, temendo il nuovo volto che lui le aveva mostrato. Sopraffatta dalla paura di quello che avrebbe potuto farle se avesse osato ribattere nuovamente gli voltò le spalle e prese a correre nella direzione opposta alla sua, determinata a mettere tra lei e il pirata quanto più terreno possibile. Dal canto suo, Croix attinse nuovamente ad un generoso sorso di assenzio. Si sentiva davvero stufo. Stufo dei pregiudizi della gente, di chi parlava per bocca di altri e non prestava fede a ciò che aveva sotto ai propri occhi. Lui non era un vigliacco, né un traditore o un eretico. Era un uomo che era stato tradito da tutto ciò in cui aveva sempre creduto e che per questo aveva sentito la necessità di allontanarsene per sempre. Era diventato un pirata per ritrovare se stesso e non soltanto perché non aveva altra strada; lo aveva fatto per vendicarsi di chi lo aveva ferito e, che Dio gli fosse testimone, un giorno o l’altro avrebbe trovato il modo di farlo e soltanto allora, forse, avrebbe cominciato a vivere per il futuro e non più per il ato.

«È ancora così grande il tuo risentimento?»

Buttò giù tutto di un fiato il liquido che si era portato appresso. L’alcol gli bruciò lo stomaco, ma non lo ferì più di tanto. A bruciargli davvero era il pensiero che qualcuno fosse tornato a credere che era un vigliacco e che quel qualcuno fosse proprio Eve. Colto da una rabbia improvvisa, viscerale, si alzò in piedi e gettò la bottiglia ormai vuota in mare. La guardò a lungo, fino a vederla affondare inghiottita dalle onde.

CAPITOLO XIII Ad ogni uomo la sua Ombra

*

Eve correva alla cieca con l’unica intenzione di allontanarsi da Croix il più possibile. Il modo in cui l’aveva guardata, le parole che le aveva rivolto, la minaccia con cui l’aveva allontanata da sé… Il messaggio era chiaro. Aveva fatto male a scavare nel suo ato e a riportarlo alla luce. Forse, aveva sbagliato persino a giudicarlo, o magari l’errore era stato condannare il gruppo a cui era appartenuto un tempo senza sapere nulla di loro. Confusa, spaventata, non si rese conto che l’unico sbaglio che aveva realmente commesso era stato quello di concedere ad un uomo di insinuarsi dentro di lei così in profondità da dargli il potere di mettere in dubbio tutte le sue certezze. Con il cuore in gola abbandonò la spiaggia e si diresse verso l’interno dell’isola, là dove la vegetazione si faceva più fitta e i tronchi dei pini marittimi le ostacolavano il cammino. Continuò a correre senza meta e senza alcuna intenzione di fermarsi. Corse con la paura che Croix avrebbe potuto raggiungerla e confonderla ancora una volta; farla sentire inappropriata o debole come non era mai stata. Una fronda le colpì il viso, una radice la fece inciampare. Non si rese conto di stare cadendo finché il suo corpo non si infranse nel terreno e non comprese di essere finita in una cavità tutt’altro che naturale. Quando si rialzò, si trovò circondata da spesse pareti di terra e muschio. Il terreno su cui era inciampata si trovava ben oltre la sua testa; così in alto che non avrebbe potuto tornare in superficie nemmeno tendendo tutto il corpo. Era caduta in una trappola. Presa dal panico, tentò di aggrapparsi alle radici che spuntavano dalla terra in ogni modo possibile, persino con le unghie, ma finì inevitabilmente per cadere di nuovo. La sensazione di non avere alcuna via di uscita le morse il respiro, insieme al triste presagio di essere lasciata lì da sola, a morire di fame. A parte Croix nessuno sapeva che si era allontanata. Le possibilità che nessuno si accorgesse della sua assenza prima dell’indomani

erano abbastanza alte, soprattutto dopo quello che aveva detto al capitano della Eve. E in una sola notte, ne era certa, erano molte le cose che potevano accadere. Questa volta lui non verrà a salvarmi, si ritrovò a pensare sull’orlo dello sconforto e della rabbia. Nessuno verrà a cercarmi. Però Eve si sbagliava, perché poco dopo qualcuno si affacciò sulla fossa e la fissò con espressione funesta. Si trattava di Sven, l’artigliere della nave di Croix. Come suo solito stava masticando qualche strana radice e aveva la treccia bionda che sbucava oziosamente a lato del cappello. In una mano brandiva una spada, mentre nell’altra il panno con cui la stava pulendo. Senza troppo scomporsi si sedette sul bordo della buca e la guardò dall’alto in basso, mentre le gambe penzolavano indolenti. «Cosa diavolo ci fate lì?» Eve si preparò a mentire per l’ennesima volta, mentre riprendeva fiato e attendeva che i battiti del suo cuore si fero nuovamente regolari. Non poteva dire che stava scappando da Croix perché gli aveva gettato addosso le accuse più terribili, altrimenti era certa che Sven l’avrebbe lasciata lì a morire. Se voleva uscire, doveva per forza inventarsi qualcosa. «Stavo eggiando, quando…» «Balle!» La interruppe il pirata scoccandole un’occhiata severa. «Ho scavato io stesso questa trappola. È una delle prime che ho fatto e si vede da lontano un miglio.» Eve sbuffò contrita, incrociando le braccia sul petto. Sentì una terribile rabbia montarle dentro, tanto che dovette impiegare tutte le forze di cui disponeva per contenerla. Era tesa; lo era da quando aveva scoperto che Croix era un Templare e si era ritrovata costretta a rivedere tutte le sue credenze pur di conciliare la realtà a cui si era trovata davanti con tutto ciò che le era stato raccontato fino a quell’istante. Si sforzò di riprendere il controllo di sé, poiché non era nella posizione di dare ordini o di non scendere a compromessi. Era lei ad essere caduta in quella dannata trappola, del resto. E non avrebbe certamente commesso due volte lo stesso errore. «E va bene» concesse. «Non stavo eggiando, ma correndo. Ora, potreste cortesemente aiutarmi ad uscire?»

Seppure seccato, Sven decise di accontentarla. Abbandonò la spada e cercò la corda che aveva fatto scattare il meccanismo. La trovò poco distante e, dopo averne controllato l’integrità, ne porse un capo ad Eve per aiutarla ad uscire. Quando fu fuori la osservò mentre si toglieva la terra dai vestiti e dalla faccia, infine, cosa alquanto strana per un tipo solitario e silenzioso come lui, le rivolse la parola. «Perché siete caduta nella mia trappola?» Eve si sorprese di non trovare alcuna traccia di derisione nella sua voce. Per un istante fu tentata di confidarsi con lui e di alleggerirsi lo spirito, ma poi scosse la testa e raddrizzò la schiena. Nonostante avesse un gran desiderio di parlare con qualcuno e avesse trascorso diverso tempo con l’equipaggio della Eve, quegli uomini erano e restavano i pirati che l’avevano fatta prigioniera e di cui lei non avrebbe mai dovuto fidarsi. Cercò le parole giuste per rispondergli, ma prima che potesse farlo Sven si abbassò il cappello sul viso e le voltò le spalle. «Non importa. Dimenticate quello che vi ho detto.» Sorprendendo persino se stessa, si ritrovò a fermarlo e a fargli la domanda che le premeva in gola sin da quando aveva incontrato il capitano della Eve ed era rimasta invischiata nelle sue terribili spire. «Voi conoscete Croix?» Sven si voltò verso di lei e la guardò scettico. «In che senso?» «Non vi siete mai chiesto chi fosse prima di essere il vostro capitano?» «No.» «E perché?» «Perché non importa.» Eve non riuscì a fare a meno di ricambiare il suo sguardo con la stessa diffidenza.

«Voi… Tutti voi lo seguite ciecamente ogni giorno. Come potete farlo senza sapere chi è in realtà?» Sven si sedette lentamente a terra, mentre riprendeva a pulire la propria arma con il solo scopo di evitare il suo sguardo. «Ognuno di noi, quando ha scelto il mare, ha lasciato qualche segreto a terra. C’è un muto accordo all’interno della Eve. Quando si sale a bordo, la vita ricomincia da zero. Vali quello che rendi, meriti quello che ti guadagni.» «E Croix cosa merita?» Smise di pulire la spada e sollevò il capo. La guardò dritto negli occhi, con un’intensità tale da metterla a disagio. «Merita le nostre vite, ogni giorno.» A quel punto la ragazza tacque. Se non avesse saputo che era un pirata, probabilmente anche lei avrebbe affidato a Croix la sua stessa vita. In fondo, quando era stata rapita dai turchi e aveva intuito che stava arrivando una nave a salvarla, non aveva pensato a suo padre, ma a lui. «Lui è un uomo d’onore, signora» continuò Sven, lo sguardo nuovamente puntato verso il panno con cui stava accarezzando la lama. «Ha un pessimo carattere e odia essere contraddetto, ma morirebbe piuttosto che non mantenere la parola data.» «Lo so» ammise tristemente Eve. «Lui fa sempre quello che dice.» E non minaccia mai senza una ragione. Ci fu un istante di silenzio, poi Sven si alzò in piedi e prese a muoversi con sicurezza nella vegetazione della foresta. Eve lo seguì senza più dire nulla, con la testa affollata di pensieri e la sensazione di avere commesso un terribile errore a pesarle sullo stomaco.

*

Si fermarono a Pantelleria per i tre giorni successivi. Nonostante le pressioni esercitate da Croix per ripartire al più presto, Marci non volle sentire ragioni. Mentre gli alberi cadevano e il suono delle asce scandiva le ore, Eve non riusciva a fare a meno di cercare continuamente con gli occhi la figura dell’uomo che le aveva occupato i pensieri. Non c’era un solo istante in cui si fermasse, nemmeno di notte. Era sempre il primo a proporsi per i turni di guardia, l’ultimo a cedere alla stanchezza. Una sera, sbirciando quello che accadeva sulla terra dalla finestra della cabina, lo aveva persino visto dormire sulla spiaggia, sotto alle stelle. A giudicare dall’energia che metteva in tutto ciò che faceva sembrava posseduto dal demonio, e forse era anche vero. Sentendosi colpevole per le ombre che aveva riportato alla luce, si infilò completamente sotto alle coperte e si nascose. Era un’abitudine che aveva preso da piccola, quando la pioggia cadeva così fitta da darle l’impressione che ci fosse qualcuno a bussare alla sua finestra. Anche così facendo, però, non riuscì a cancellare i pensieri. Le parole di Sven continuavano a volteggiarle nella mente. Se era vero che ciascuno degli uomini che la circondavano nascondeva un segreto e che quello di Croix riguardava ciò che era stato, anche soltanto immaginare cosa si celava dietro alle dita mozzate di Marci, alla ione per le armi di Sven o al motivo per cui un ragazzetto come Moore si era unito ai pirati poteva essere pericoloso. Si rigirò ancora, senza riuscire a prendere sonno, pregando che la sosta finisse al più presto o che arrivasse una tempesta ad inghiottire tutto, compresi quei pensieri. Se non altro, si disse, una volta ripartiti Croix avrebbe dovuto dividere nuovamente la cabina con lei e per allora avrebbero sicuramente chiarito. Come, non lo sapeva ancora, ma una cosa era certa: anche volendo, non avrebbe potuto ignorarla per sempre. Arrivò il giorno della dipartita. Il capitano fu l’ultimo a salire a bordo e si mise subito al timone, comunicando con un cenno al nostromo Leon che era il momento di andarsene. Due fischi brevi e vicini misero in moto i marinai. Il vento gonfiò le vele, il volto di Eva ondeggiò alla volta del mare e la costa cominciò ad allontanarsi sempre di più. Ben presto il verde dei boschi e l’argento delle rocce furono soppiantati dal blu cristallino delle acque. Fu allora che Eve decise di avvicinarsi discretamente a Sven e di chiedergli dove erano diretti. Chiamato in causa il norvegese smise di sistemare le sartie e la squadrò severo. I

suoi occhi corsero a Croix, che però era impegnato a seguire il vento. Ebbe un istante di esitazione, ma alla fine le rispose senza usare troppe parole. «A Roma.» Il cuore di Eve perse un battito. Roma. Casa. Spostò lo sguardo verso l’orizzonte, nella direzione della rotta intrapresa. Il sole stava tramontando alle loro spalle, mentre la piccola caracca veleggiava leggera verso il luogo in cui suo padre la stava attendendo. Sentendo freddo si abbracciò il corpo, mentre si domandava se era il caso di dire a Croix che si stavano dirigendo esattamente dove l’ammiraglio Chillemi voleva. Lo guardò stando attenta a non farsi notare da lui. Osservò per qualche istante il suo viso teso, la sua espressione contratta. Non era sereno come al solito ed Eve non riuscì a fare a meno di pensare che in parte fosse per colpa sua. Quando tornò nella cabina che condivideva con lui lo fece quasi per inerzia, non perché lo volesse. Non riuscì a dormire fino a che non lo sentì rientrare molte ore dopo e quando questo accadde, nonostante l’orgoglio le suggerisse che era assurdo scusarsi per avere ricordato ad un uomo ciò che era davvero, le parole le uscirono spontanee dalle labbra. «Io non volevo. Davvero.» «Abbiamo sbagliato entrambi» tagliò corto stancamente, mentre si toglieva gli stivali e li gettava a terra. «Adesso dormite.» Nonostante le fosse chiaro che non aveva alcuna voglia di parlare, Eve si mise a sedere e cercò i suoi occhi nel buio. Croix si era sdraiato dalla parte opposta della cabina, sulla sua solita amaca, e si era portato una mano sugli occhi. Aveva condotto la Eve per ore, di notte. Era normale che fosse distrutto e che volesse essere lasciato in pace. Questa, però, era l’ultima cosa che Eve voleva fare. Il desiderio di chiarire l’aveva turbata al punto da toglierle il sonno e da impedirle di mangiare. E ora che erano finalmente soli, non gli avrebbe permesso di chiudere la questione in quel modo. Si alzò in piedi e gli si avvicinò. Entrò nell’amaca insieme a lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, con la consapevolezza che lui non avrebbe approfittato della sua ingenuità e che entrambi avrebbero potuto trovare nel contatto reciproco la serenità di cui avevano bisogno.

«Se dite che siete innocente, io mi fido di voi» ammise in un soffio. Croix trattenne il respiro per qualche istante, stupito dai movimenti di Eve e dal fatto che per la prima volta fosse stata lei a cercarlo. Poco dopo la ragazza lo sentì abbracciarla e immergere il volto nei suoi capelli. Il suo respiro lieve le accarezzò la nuca. «Ho fatto molte cose terribili nella mia vita» le confidò. «Ho trascorso gli ultimi sette anni a vagare in mare nel tentativo dimenticarle, ma non sono il mostro che tutti dipingono. Nessuno di noi lo è, anche se siamo pirati e anche se sono stato scomunicato al cospetto di Dio.» Eve cercò la sua mano sotto le coperte e la strinse tra le proprie. «Nessuno di noi è solo male.» «Se aveste visto quello che ho visto io, non la pensereste così.» Un senso di tristezza improvviso la pervase nel profondo. Nel buio della notte, Croix le aveva finalmente mostrato il vero se stesso, solo che non era così come lei lo aveva immaginato. Era un’anima fatta di ombre e di scelte negate; un uomo che era stato tradito e che in nome della vendetta era arrivato a rinnegare persino se stesso. Si voltò e lo strinse a sé, nel suo abbraccio. Gli accarezzò il viso senza più parlare, fino a vedere i suoi occhi chiudersi e a sentire il suo respiro quietarsi. Un istante prima di abbandonarsi al sonno, lui la chiamò. «Eve.» Il nome di lei si perse nella notte, quasi si fosse trattato dello strascico di un sogno. «Voglio che tu lo sappia: troverò la Sancta Spes e mi vendicherò, ma poi non ti lascerò andare.» «Perché?» «Perché sono un egoista e un farabutto e perché più mi darai, più ti chiederò ancora.» Parlavano entrambi a bassa voce, anche se non era affatto necessario. Erano vicini, al punto che Eve avrebbe potuto avvertire qualsiasi lieve variazione nella sua voce o nel suo respiro. Ma Croix era sincero. Lo era sempre stato con lei,

fino alla sconvenienza. E, che Dio la perdonasse, lo era anche lei nel pensare che il sentimento che il pirata provava verso di lei non le dispiaceva affatto. Si addormentò con il sorriso sulle labbra, mentre il profilo del Regno di Sicilia scorreva lento al loro fianco e qualche uomo intonava una canzone nostalgica sul ponte di coperta. Mentre chiudeva gli occhi, non riuscì a non ripensare alle parole di Sven e al modo in cui ciascun uomo della Eve obbediva al proprio capitano. Croix era un pirata, era vero. Era stato scomunicato dalla chiesa per crimini innominabili. Sulla sua testa pendeva una taglia e oltre a questo l’aveva rapita, eppure, anche tentando, non riusciva ad avere paura di lui, se non quando era lui stesso a volergliene fare per tenerla lontana da sé. Riaprì gli occhi con il cuore colmo di sentimenti così grandi e intensi da impedirle di trovare la pace. Oltre la finestra della cabina, in lontananza, vide alcune navi da guerra alla fonda nel porto di Marsala. Un’ombra improvvisa le rabbuiò il viso. Quelle navi erano nulla rispetto a quelle che li stavano attendendo a Roma insieme a suo padre. Croix desiderava impossessarsi della Sancta Spes, ma la verità era che non sapeva a che cosa stava andando incontro. La bandiera battuta da una di quelle navi fu per Eve un triste presagio. In essa la ragazza rivide i colori del padre che si stagliavano sul nuvoloso cielo di Roma. Vide le copiose forche che attendevano i briganti e, con essi, i pirati come Croix e il suo equipaggio. Deglutì amaramente, incapace di pensare ad altro che al fatto che presto sarebbe tutto finito. E nel peggiore dei modi.

*

La Eve dovette navigare diversi giorni per arrivare fino allo Stato del Vaticano, e non fu certamente un viaggio tranquillo. Il suo scafo si muoveva pesante, riparato come possibile in modo veloce e impreciso a causa della fretta del suo capitano. Come se non bastasse, fu investita anche da un paio di violente tempeste e dovette cambiare i propri colori diverse volte per are inosservata. Lo stivale e le sue isole erano un susseguirsi di piccoli regni, ciascuno orgoglioso e diffidente a modo proprio. Ciononostante, e in perfetta sintonia con i calcoli e i piani di Croix, la piccola caracca giunse in vista della foce del Tevere

circondata dal buio. McDowen scese dalla coffa e, con l’agilità che gli competeva, si avvicinò alla lanterna appesa al bompresso per spegnerla in un sussurro. In quell’istante la Eve piombò nel silenzio più totale e Croix, chiudendo gli occhi, riuscì per la prima volta dopo molto tempo ad ascoltare soltanto il rumore del mare. Furono arrotolate tutte le vele ad eccezione della maestra. Il vento era fievole, ma sufficiente a farli avvicinare alla terra senza l’ausilio dei remi che avrebbero potuto generare rumori pericolosi. L’intero corpo di Eva, saldamente aggrappata alla prua della nave, emerse dall’acqua per sorridere al mare che scivolava morbido lungo i suoi fianchi. Il nostromo Leon ordinò ad alcuni marinai di manovrare l’argano e gettare l’ancora. Poi, come stabilito dal piano che Croix aveva spiegato a sufficienza ai suoi uomini, furono calate tre piccole scialuppe e, per la prima volta dopo molti mesi, l’equipaggio della Eve si divise. Mentre venivano effettuate quelle operazioni Croix raggiunse la prigioniera nella sua cabina e fece in modo di restare solo con lei per qualche istante. «Siete pronta a scendere a terra?» Nel buio, Eve non riusciva a scorgere e ad interpretare lo sguardo del pirata. Ciononostante lo sostenne con fermezza e orgoglio, poi alzò dispoticamente il mento. «Sono lieta che abbiate finalmente deciso di riportarmi a casa.» Croix fece un o verso di lei, sfidandola a propria volta mentre un sorriso astuto gli si dipingeva in viso. «Non tentate di giocare con me, Eve. Sono più vecchio e più navigato di voi. Vi porterò a terra come desiderate, è vero, ma sappiamo entrambi che questo non significa nulla. E se siete saggia, anziché tentare qualche impresa improbabile, fareste meglio a starmi vicino, così da non avere più guai di quelli a cui andremo incontro.» Eve lo guardò in viso. Ora che era più vicino, poteva finalmente vederlo. Appariva calmo e sereno, ma il suo sorriso era del tutto innaturale. In realtà era ansioso; lo sentiva. La verità era che non sapeva ancora cos’era la Sancta Spes e che, oltre a questo, non aveva ancora capito che da lì a poco si sarebbe trovato

faccia a faccia con il terribile ammiraglio Chillemi e che, a quel punto, nulla e nessuno avrebbe potuto salvarlo dalla forca. Abbassò lo sguardo, lasciando scivolare le dita lungo lo schienale di una sedia. «Potreste non trovare soltanto guai lungo il vostro cammino, ma qualcosa di infinitamente peggiore…» Croix rimase qualche istante in silenzio, poi tese una mano verso di lei e sfiorò il medaglione con le due “esse” intrecciate che le aveva messo al collo. Da quando glielo aveva restituito, non l’aveva più toccato, così come non aveva più accarezzato la sua pelle nuda. Eve si dominò, impedendo a se stessa anche soltanto di pensare che desiderava essere nuovamente stretta dalle sue braccia. Non poteva permettersi di cedere; non con lui. Vide il volto di Croix farsi scuro, i suoi lineamenti irrigidirsi. Strinse la chiave d’oro tra le dita, aggrappandosi ad essa come se con quel gesto avesse potuto legare a sé anche colei che la indossava. Quando le parlò, anche la sua voce si era fatta più bassa, quasi sussurrata. «Quando scenderemo a terra accadranno molte cose, piccola Eve. Forse avrete anche l’occasione di scappare da me, ma… Mi auguro che non la sfrutterete.» «Non potete chiedermi di scegliere voi piuttosto che la mia libertà.» «Non oserei mai farlo. Le catene non vi si addicono, ed è per questo che in cuor mio voglio sperare che abbiate capito la differenza tra credere di essere libera ed esserlo davvero.» Eve gli sorrise amara. «Con voi non sono mai stata realmente libera.» «Questo perché non ho mai potuto concedervelo. Ma se voi mi giuraste di non scappare da me, Eve, allora sono certo che potrei rendervi libera come non lo siete mai stata nella vita.» Evelina esitò, mentre qualcosa dall’interno le provocava un dolore sordo. Deglutì, sforzandosi di non lasciare trasparire quanto in realtà fosse turbata dal pensiero che era a un punto cruciale della sua vita, e che essa sarebbe potuta cambiare radicalmente in base alle scelte che avrebbe fatto da lì in avanti.

«E se a quel punto scegliessi di tornare a casa?» Tentò. L’espressione del pirata si fece tesa, tanto che per la prima volta Eve vide delle pieghe aspre disegnarsi ai lati delle sue labbra. Le sue nocche le strisciavano sulla pelle, irrorandola di un calore del tutto nuovo. Erano ruvide, ma non le dispiaceva sentirlo così vicino a sé. Anche quella era una delle cose che erano cambiate tra di loro. «Una notte lontana vi ho chiesto di parlarmi di casa vostra.» Eve spalancò gli occhi, non comprendendo. Ricordava il momento a cui Croix stava alludendo. Era stato dopo che lui l’aveva salvata dai turchi; le prime notti in cui la febbre le aveva divorato il corpo. «In quella occasione mi avete detto che casa vostra era bella, ma non avete saputo dirmi nulla di più. Ora lo so. Se non lo avete fatto, è stato perché non era lì che volevate tornare.» Il suo sguardo si fece più dolce, comprensivo. «Ciascuno di noi ha un luogo a cui appartiene. Per alcuni è la casa in cui nasce, per altri è l’unico in cui gli è concesso di essere se stesso.» Colta in fallo Eve si ritrovò ad arrossire, ma si sforzò di non allontanarsi dall’uomo che aveva osato leggerle il cuore. Il luogo in cui era cresciuta era meraviglioso, seppure spoglio e vuoto. Finché vi era restata, non aveva mai avuto modo di temere nulla, anche se era stato quando se n’era andata, che aveva cominciato a vivere davvero. Sentendosi perduta, tentò di salvarsi e di allontanarsi da lui, ma ormai era troppo tardi. Le mani di Croix erano arrivate a sfiorarle il viso in una carezza, i suoi occhi a guardarla. «Voi non mi conoscete» tentò di difendersi, disperatamente. «E voi vi sbagliate.» Il tempo trascorso insieme li aveva cambiati. Non erano più le stesse persone dell’assalto all’Arcadia. Eve era cresciuta e maturata. Aveva smesso di pensare che tutti i pirati erano gente crudele; assassini che avevano scelto di seppellire sul fondo del mare i propri peccati per poterne compiere di nuovi. Per quanto avesse provato a non vederlo, aveva scoperto che c’era anche del buono nelle persone che aveva imparato a conoscere. C’erano desideri positivi, come quello che avevano tutti di essere liberi. C’erano aspirazioni del tutto umane, e c’era un fortissimo senso di lealtà che legava tra loro gli uomini e li faceva sentire come parte di una grande famiglia. Ed Eve, per quanto prigioniera, era stata bene in quella famiglia. Forse ancora di più di quella in cui era nata e cresciuta.

Abbassò il viso distogliendo lo sguardo dagli occhi di Croix, così da nascondergli il proprio turbamento. Una volta lasciata la nave, non era certa che l’avrebbe rivista o che avrebbe potuto salirvi nuovamente. Il suo respiro si fece più rapido, ma si regolarizzò in fretta; non appena Croix la prese tra le braccia e le baciò dolcemente la fronte. Allora, finalmente, Eve concesse a se stessa di accettare la verità che aveva sempre voluto ignorare. Ricambiò la stretta di Croix e lo cinse a propria volta, adagiando il capo sul suo petto e aggrappandosi a lui fino all’ultimo istante possibile. Restarono così, nutrendosi l’uno del respiro dell’altro, finché qualcuno non bussò alla porta della cabina e non capirono che il momento di separarsi era infine giunto. Prima che ciò accadesse Eve tentò di dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riuscì a farlo. Poco dopo si ritrovò all’aperto, con la mano stretta in quella del pirata che l’aveva rapita, il cuore in gola e una scialuppa con un manipolo di uomini che stava attendendo giusto loro per salpare. Si sedette accanto a Sven, di fronte a Moore e Marci, che tenevano i remi. Dall’alto del ponte principale, vide il nostromo Leon salutarli con una mano sulla fronte. Avvertì un movimento improvviso e si aggrappò alle sponde. Lo sciabordio dell’acqua sollevata dalla voga le confermò che avevano cominciato a risalire il fiume che li avrebbe condotti nel cuore di Roma. Croix si sporse in avanti, tentando di vedere meglio cosa li attendeva. Non c’era nessuna lanterna ad illuminare il loro cammino, soltanto l’esperienza dell’uomo. Sentendosi sempre più agitata Eve alzò lo sguardo verso il cielo su cui spiccava la luna di tre quarti. Era terso, sicuramente più sereno del suo spirito. Le acque li cullavano dolcemente, sussurrando loro che non c’era nulla da temere. Per quella sera il Tevere fu Giuda, re delle menzogne e degli inganni.

CAPITOLO XIV La Sancta Spes

*

A bordo della Eve, McDowen stava masticando carne secca mentre guardava l’orizzonte. Era rivolto verso il mare, come sempre, con la schiena addossata all’albero maestro e le gambe tirate al petto. La coffa gli pendeva sulla testa, alta e scura, ma non pareva troppo turbato dalla sua lontananza. Controllava il limpido scorrere delle onde, ipnotizzato da quel movimento sempre uguale e sempre diverso. Quando aveva lasciato l’isola di Oak e si era unito ai pirati per diventare la loro vedetta, lo aveva fatto perché non gli era più sufficiente guardare il mare soltanto dalla terra. La sua vista acuta gli aveva consentito di vedere sempre qualcosa di più rispetto agli uomini che lo circondavano, e in quel qualcosa lui aveva sentito l’esigenza di tuffarsi con tutto se stesso. La coffa da cui gli era stato chiesto di scrutare l’orizzonte gli era parsa subito un’occasione, più che una trappola. Lo spazio ridotto, le lunghe ore al sole aveva messo a dura prova il suo corpo, ma avevano temprato e rinnovato il suo spirito libero. Il vento lo aveva nutrito. Il mare lo aveva cullato e la tempesta lo aveva rinfrancato. Sospirò profondamente, alzando gli occhi sulla luna di tre quarti che pareva più vicina e grande del solito. Forse era il fatto che si rifletteva sull’acqua a dargli quell’impressione, o forse accadeva perché era in sere come quella che gli tornavano in mente alcune delle leggende narrate dal maggiore dei suoi sei fratelli. Leggende sinistre, di fantasmi e di uomini maledetti dal demonio. Inspirò l’odore aspro del vento e del sale, assaporando il suo gusto fino in fondo. Espirò accompagnando il movimento con un grugnito che veniva dal naso, poi inghiottì un pezzo di carne più duro degli altri senza nemmeno masticarlo. Era una serata tranquilla, silenziosa. L’ombra di un volatile si stagliò sul profilo pallido della luna. Poco dopo le sue

zampe magre si adagiarono sul bordo del parapetto di legno, mentre sbatteva le ali fino a trovare una posizione confortevole. A quel punto i suoi occhi si posarono su quelli della vedetta. McDowen lo osservò a propria volta indispettito. Odiava essere fissato, anche dalle bestie. Gli tornò in mente la volta in cui suo fratello gli aveva raccontato la storia di una strega che usava trasformarsi negli animali più piccoli e indifesi per poter attaccare gli uomini. Effettivamente quell’uccello aveva un che di strano. Aveva un piumaggio scuro e folto, che lo faceva confondere con i colori della notte. Le penne con cui terminava la coda, invece, erano di un rosso così vivo da ricordare la carne cruda. Lo vide scuotere la testa in un tremito, così piegò il capo di lato per seguirlo. Poi, con un suono gutturale, spalancò le ali e gracchiò sinistro. «È finita. Finita!» Soltanto allora McDowen si rese conto di averlo già visto. Era un cenerino; il pappagallo che aveva volato sulle loro teste dopo che avevano lasciato Malta, finché all’orizzonte non erano apparse le galee dell’ammiraglio Chillemi. Colto dal panico si voltò per dare l’allarme, ma ormai la Eve era perduta. Approfittando dell’oscurità alcuni uomini provenienti da terra erano saliti a bordo della piccola caracca e avevano circondato il suo equipaggio. Era stato un attacco veloce; una mossa abile, che li aveva messi nel giro di pochi istanti con le spalle al muro e le lame alla gola. Ad un tratto un uomo vestito di tutto punto e di grande imponenza emerse dal gruppo nemico e si rivolse composto alla vedetta. «Siate saggio e arrendetevi come gli altri.» McDowen contrasse il viso, pronto a combattere seppur solo, ma il nostromo Leon, padrone di una maggiore esperienza, lo fermò con un cenno della mano. «Non fare sciocchezze, da morto non servirai a nessuno.» Lo scozzese emise uno strano grugnito. Il suo compagno aveva ragione. Quegli uomini erano troppi, così sputò nuovamente a terra, questa volta in segno di sdegno, e si unì con sguardo truce al resto dell’equipaggio, certo che il loro capitano avrebbe trovato il modo di salvarli. «Tanto non è finita qui» aggiunse prima che gli fossero incatenati i polsi e fosse trascinato insieme agli altri su una scialuppa diretta alla prigione.

Poco dopo un uomo magro e nerboruto si avvicinò all’ammiraglio, chiedendogli quali erano i nuovi ordini. Chillemi gli rispose senza perdere di vista la barca con i prigionieri che si stavano allontanando. Non si fidava di loro. Se fosse dipeso da lui e fossero stati in mare aperto non avrebbe esitato ad impiccarli e a dare immediatamente fuoco alla loro misera imbarcazione, ma erano nel territorio del Vaticano e non poteva permettersi di agire come aveva sempre fatto. Doveva essere prudente, oltre che astuto. «Raduna gli uomini rimasti» ordinò. «È ora che quel pirata abbia quello che gli spetta.» L’uomo secco si grattò la barba e annuì. Un istante prima che se ne andasse, Chillemi lo fermò alzando appena la voce. «Jacob. Nessuna traccia di mia figlia?» Lui esitò, temendo la reazione che le sue parole avrebbero potuto scatenare. Si grattò nuovamente, incassando la testa tra le spalle ossute. «Nessuna in tutta la nave, ammiraglio. L’hanno portata a terra.» Chillemi serrò appena la mascella in segno di disappunto. Il pirata che l’aveva sconfitto e che aveva osato rapire sua figlia, l’aveva persino portata via con sé. Gonfiò il petto, mentre Dio soltanto sapeva a cosa stava pensando ed Ettore, che si era appollaiato sulle sue spalle, arruffava le piume vittima della tensione che dominava le membra dell’ammiraglio.

*

Intanto, poco distante, la spedizione di Croix procedeva come da programma, ignara di ciò che era appena accaduto al resto dell’equipaggio. Al contrario di quanto si era attesa Eve, il capitano pareva sapere esattamente come muoversi e dove andare. Una volta abbandonata la scialuppa non aveva avuto problemi a fare breccia all’interno dei cantieri navali del Vaticano, utilizzando aggi che era certa non conoscesse nemmeno suo padre. Per evitare che fosse scoperta la loro presenza, Sven fu costretto ad uccidere diversi uomini lungo il cammino. Si

muoveva come un animale. Trovava sempre il modo di avvicinarsi abbastanza da poter agire senza essere visto, così da cogliere di sorpresa le guardie e impedire che gridassero. Fu terribile, per Eve, vedere asse dei perfetti sconosciuti a sangue freddo, senza che nessuno si preoccue del fatto che potevano avere una famiglia e dei cari ad attenderli. Ammazzare degli uomini in quella maniera, ammantati dal buio della notte, non era come farlo nel bel mezzo di una battaglia. Per un istante si iniziò a pentire di avere considerato i pirati come esseri umani e si ritrovò ad avere nuovamente paura di loro. Probabilmente Croix comprese il sentimento che l’animava, così le prese la mano e la incitò a proseguire verso la meta senza più guardarsi indietro. Molto tempo dopo, giunsero in un’ala di recente costruzione dei cantieri; davanti al cancello eretto con l’unico scopo di nascondere ciò che Croix, invece, aveva tutta l’intenzione di svelare. L’ambiente era cupo, oltre che umido. In lontananza, oltre le sbarre di metallo, si poteva già intravedere il baluginio dell’acqua. Una volta di pietra sovrastava l’ingresso, rendendo l’atmosfera claustrofobica come quella di una cripta. Non c’erano fiaccole e non c’era nessuna guardia ad impedire l’accesso, ma soltanto una strana ed elaborata serratura di metallo dall’aspetto resistente. Mentre gli altri studiavano come aprirla, Eve lasciò vagare lo sguardo in giro. Avevano smesso di incontrare uomini armati nel momento stesso in cui erano arrivati nei paraggi della Sancta Spes e non poteva che trovare la cosa sospetta. Conosceva suo padre e sapeva che non era il tipo da lasciare incustodito ciò che doveva proteggere. Un brivido le corse lungo la spina dorsale, mentre realizzava che doveva essere molto più vicino di quanto tutti credevano. Le mani di Croix le circondarono la vita, facendola voltare verso di lui. Eve tentò di restare padrona di se stessa e di non mostrargli la paura che aveva in corpo. Si guardarono negli occhi per qualche istante, mentre le dita del pirata correvano al medaglione e glielo sfilavano lasciando che la catena d’oro a cui era appeso le accarezzasse la pelle. Si portò una mano nel punto in cui prima si trovava il gioiello, sentendosi improvvisamente nuda. Mentre tentava di controllare il respiro si chiese dove si trovasse la chiave che Croix possedeva e perché non l’avesse portata con sé. Si rispose subito dopo, poiché era evidente che un uomo come lui non avrebbe mai tenuto due tesori così preziosi nello stesso posto.

Il suono del metallo che sfregava contro altro metallo la costrinse ad osservare quello che stava accadendo ad un o da lei. Croix aveva fatto scorrere le due facce del medaglione una sull’altra, portando alla luce la chiave che nascondeva al suo interno. Sentendosi sempre più vicino a ciò che anelava da tempo, la inserì nella serratura e la fece girare, seppure con un po’ di fatica. Poi chiamò Marci vicino a sé e insieme spinsero l’enorme cancello fino a spalancarlo. Croix fu il primo ad addentrarsi nel cunicolo e ad arrivare dove la strada di pietra finiva per lasciare spazio all’acqua. Sin da quando aveva ucciso l’uomo che aveva al collo il primo medaglione, e che gli aveva detto che i pirati avevano i giorni contati, si era dedicato anima e corpo alla ricerca del segreto che gli aveva taciuto. Divorato dal desiderio di vendetta aveva voluto vedere in quel segreto la risposta a tutti i suoi mali e ora che era ad un o dallo scoprirlo si sentiva esattamente come la prima volta che aveva solcato il mare e aveva sentito il vento percuotergli il viso. Il cuore gli martellava nel petto per l’agitazione, il respiro gli grattava la gola, gli occhi erano completamente spalancati nel tentativo di non perdersi nessuna delle meraviglie a cui era certo si sarebbe trovato davanti. Quando vide ciò che era realmente la Sancta Spes, però, non ci furono esclamazioni di gioia, né di sorpresa. Un sospiro confuso soltanto fuoriuscì dalle sue labbra. «Che diavolo è questa?» Chiese evidentemente contrariato. Davanti a lui, placidamente ammollo nell’acqua, c’era la semplice sagoma di una nave non ancora terminata e qualche tronco di legno accatastato in disparte. Eve lo affiancò e lesse ad alta voce il nome inciso sul fianco dell’oggetto delle attenzioni di tutti. «Questa è la “Sancta Spes”.» Questo era quello che era scritto in lettere dorate sulla fiancata dello sloop costruito in cedro rosso, con un bordo libero e un albero vertiginosamente inclinato; una tipologia di imbarcazione che nessuno dei pirati aveva mai visto prima, ma che non pareva certamente mettere paura a nessuno. «Non è possibile!» Esclamò Croix imprecando a gran voce. Aveva investito gran parte del proprio tempo nell’inseguimento di quello che – gli era stato detto – avrebbe potuto sancire la fine della pirateria. Aveva temuto che lo Stato della Chiesa, in comunione con altre grandi potenze, fosse riuscito a portare a termine

un’arma pericolosa, eppure una volta giunto là dove quell’arma avrebbe dovuto nascondersi si era trovato davanti ad una semplice nave, oltretutto più piccola della Eve e di un colore decisamente troppo per potersi nascondere ed essere usata negli agguati. «E come potrebbe questa… cosa cancellare la pirateria?» «La risposta è semplice: supremazia navale. Ma non pretendo che un pirata come voi possa comprenderlo.» Croix si voltò di scatto. A rispondergli non era stata Eve, né uno dei suoi uomini, bensì una persona molto diversa. L’ammiraglio Chillemi aveva appena fatto il suo ingresso nell’ala nascosta del cantiere, circondato da una folta schiera di uomini armata fino ai denti. Aveva la schiena ben dritta, le dita pronte ad estrarre la spada e l’espressione di chi non ha alcuna intenzione di venire sconfitto di nuovo. Croix, reagendo d’istinto, afferrò la mano di Eve e la nascose dietro di sé. Prima di dire o fare qualsiasi cosa si concesse un istante per valutare la situazione. Non si trovavano in mare aperto, adesso. Erano su un terreno che non conoscevano ed erano in una evidente minoranza numerica. Presi com’erano dall’osservare la Sancta Spes non si erano accorti di essere finiti in una vera e propria trappola; ai loro fianchi vi erano le alte pareti di pietra dei cantieri, alle spalle una conca d’acqua in cui venivano immerse le navi per le prove di navigazione, mentre di fronte avevano gli uomini di Chillemi, che chiudevano la stessa via da cui erano entrati. «Arrendetevi, è finita» intimò Chillemi che, da perfetto stratega, nella stessa sera era riuscito a mettere con le spalle al muro e a sorprendere già due volte gli uomini della Eve. Croix rimase in silenzio nel tentativo di analizzare nuovamente la situazione, ma Sven fu più veloce di lui e sfoderò la spada. «Non mi importa se siamo meno e siamo in trappola; non permetterò a nessuno di chiudermi in una gabbia per impiccarmi il mattino seguente!» Il resto dell’equipaggio gli fece eco sfoderando le spade e vociando, mentre gli uomini di Chillemi si portavano un o avanti, riducendo il terreno d’azione del nemico. Anche Jacob, alla destra dell’ammiraglio, estrasse un paio di coltelli e li fece roteare tra le mani con estrema abilità. «State calmi» ammonì tutti Croix. «Non è ancora finita.»

Il capitano della Eve portò l’attenzione sull’ammiraglio Chillemi e lo guardò dritto negli occhi. «Ammiraglio, come sa io e i miei uomini non abbiamo nulla da perdere. Siamo meno, ma ognuno di noi ucciderà fino al suo ultimo respiro.» «Ne sono consapevole, ma…» Croix non si lasciò interrompere e proseguì il discorso alzando per un momento il tono della voce. «Senza considerare il fatto che vostra figlia potrebbe tragicamente restare coinvolta nello scontro e nessuno di noi vuole che accada. Giusto?» Gli occhi dell’ammiraglio si fecero sottili, astiosi. Odiava i pirati e le loro minacce senza onore. Ma, soprattutto, odiava sapere che era realmente esposto all’intimidazione. La sua unica figlia era a pochi metri di lui. Nonostante i giorni di prigionia pareva stare bene, ma se il pirata avesse osato alzare la spada su di lei, nessuno avrebbe fatto in tempo a salvarla. «Cosa mi state proponendo?» Chiese senza tanti preamboli. Croix alzò il mento, fronteggiandolo. «Un duello. Chi vince prende tutto, compresa la libertà.» L’ammiraglio sospirò. Riteneva il duello una pratica primitiva, ben lontana dalle moderne lotte di strategia e commercio. Arricciò le labbra in segno di disappunto. Se non fosse stato per la presenza di sua figlia, a quell’ora i pirati sarebbero già stati sconfitti e gettati al Tulliano com’era accaduto al resto dell’equipaggio della loro ridicola caracca. Chillemi lo degnò di un’occhiata cruda, che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Non gli rispose, non perché non sapesse cosa dirgli, ma perché era ovvio che non si sarebbe mai abbassato ad accettare un accordo del genere, dove i pirati erano gli unici a poter guadagnare qualcosa. Alzò una mano, preparandosi a dare l’ordine di attacco. Sarebbe finito tutto nel giro di poco. Avrebbe approfittato della mischia per uccidere il pirata che l’aveva sfidato e avrebbe processato i superstiti come si conveniva. Sarebbero stati così impegnati a salvare loro stessi da non uccidere sua figlia, al massimo l’avrebbero

ferita, ma Evelina che si sarebbe ripresa in fretta. Era sangue del suo sangue, del resto. Capendo la situazione Croix fece un o avanti e lo bloccò prima che potesse condannarli tutti. «Una vita per una vita» gridò. «Questa è la mia ultima offerta: duellate con me, consentitemi di lottare per salvare le vite dei miei uomini e io vi restituirò vostra figlia.» L’ammiraglio esitò, la mano sospesa a mezz’aria. L’accordo ora era ragionevole: lui avrebbe comunque guadagnato Evelina e i pirati sarebbero comunque stati arrestati senza spargimenti di sangue. Nel peggiore dei casi, se anche avesse perso il duello e fosse stato costretto a promettere di non impiccare l’equipaggio, avrebbe comunque ottenuto vendetta. Il Tulliano, infatti, era un boia affamato quanto la forca; era soltanto più lento e più crudele, ma nessuno durava più di tanto al suo interno. Alzò un sopracciglio, facendosi interessato. Croix continuò, tentandolo. «Sappiamo entrambi che volete uccidermi e che non attenderete il giudizio di una corte per farlo. Sono il brigante che ha rapito vostra figlia e sconfitto le vostre navi. Sono l’uomo che ha scoperto ciò che siete stato incaricato di nascondere e che per questo siete tenuto ad eliminare. Vi sto offrendo la possibilità di farlo qui e ora, alle vostre regole. Siete davvero certo di volerlo ignorare?» «Restituitemi mia figlia» intimò Chillemi scandendo bene le parole. Il pensiero di rigirare la lama nel ventre del losco individuo che lo stava sfidando lo solleticava, ma restava il problema di sua figlia che si trovava ancora troppo distante da lui. «No.» Fu la risposta decisa di Croix. «Prima voglio la vostra parola che se vi batterò a duello non impiccherete i miei uomini.» Per la rabbia la stretta sulla vita di Evelina si fece ancora più salda. Se la pressò sul corpo con tutta l’energia di cui disponeva, come era solito fare con le donne prima di possederle. A quella vista gli occhi dell’ammiraglio saettarono d’ira, tuttavia non si

scompose. Non poteva permettersi di far vedere al pirata quanto tenesse all’incolumità di sua figlia, o lui ne avrebbe approfittato. Mentre gli uomini attendevano in silenzio iniziò a togliersi il mantello e dal suo gesto Croix capì che aveva accettato. Si preparò al duello a propria volta, affidando Eve a Sven e gettando l’unica giacca che possedeva a terra. L’ammiraglio estrasse la spada dal fodero. La sua lama era stata lucidata da poco, l’elsa era intarsiata di zaffiri e smeraldi incastonati direttamente nell’argento dai migliori artigiani. A suo confronto, l’arma di Croix sembrava essere stata rubata ad un ubriaco in un’osteria. I due uomini si avvicinarono l’uno all’altro, avendo cura di restare ad una distanza di sicurezza da coloro che li stavano osservando. L’ammiraglio temeva dei colpi bassi dai pirati, mentre Croix voleva evitare che Eve venisse coinvolta o, ancora peggio, che approfittasse della situazione per gettarsi tra le braccia del padre. Prima di cominciare, si salutarono ufficialmente ad armi spiegate. In quel momento Eve si coprì la bocca con una mano, indecisa se chiudere gli occhi o continuare a guardare. Conosceva suo padre e se c’era una cosa che aveva imparato, era che la sua fama di abile guerriero non era dovuta soltanto alle sue temibili strategie. Chillemi si mise subito in una posizione difensiva. Prima di attaccare, voleva saggiare le abilità del pirata. Con sua grande sorpresa Croix fece lo stesso, tanto che ebbe come la sensazione di trovarsi davanti ad uno specchio perché lo vide compiere gli stessi, identici movimenti accademici. Mentre nell’aria si generava un pesante silenzio d’attesa, Chillemi sorrise compiaciuto all’uomo che gli stava di fronte. A differenza di quanto aveva creduto al principio, quel duello si stava rivelando decisamente interessante e il momento della resa dei conti era finalmente giunto. Il pirata fu il primo ad attaccare. Il suo fendente si infranse sulla linea di parata di Chillemi con un suono metallico che riecheggiò nell’aria per diversi secondi, quasi fosse quello di un diapason. Non contento attaccò di nuovo, questa volta con l’intenzione di lasciare strisciare al lama e ferire l’avversario alle mani, ma anche questa volta Chillemi si dimostrò pronto. I due incrociarono le lame più volte, in uno scontro così rapido e veloce da lasciare senza respiro gli uomini che li stavano fissando. Non era semplice per l’ammiraglio parare i colpi che il pirata gli infliggeva, non soltanto perché erano dotati di grande forza, ma anche perché maneggiava la spada con la mano sinistra e questo rendeva l’angolatura dei suoi fendenti imprevedibile.

Ad un tratto Chillemi decise che aveva visto abbastanza e si portò in posizione di attacco. Aveva uno stile preciso e pulito, che a tratti abbandonava la canonicità a cui, era chiaro, era sempre stato abituato. Croix, destro per nascita, fece fatica a fronteggiare quel genere di attacchi, tanto che per la prima volta si fece strada nella sua mente il pensiero che avrebbe potuto non prevalere sull’avversario. Aveva dato per scontato che Chillemi fosse uno stratega, più che un uomo d’azione, ma si era sbagliato. All’improvviso la lama dell’ammiraglio eluse le sue difese. Croix si rese conto di essere stato avventato a tentare un improbabile attacco dal lato in cui il suo avversario era più esperto. Chillemi, infatti, aveva subito approfittato dell’istantanea breccia lasciata aperta nella sua guardia per colpirlo. Il fendente si infranse violentemente sull’avambraccio della mano in cui serrava l’arma. Croix si ritrasse istintivamente senza nemmeno sussultare per il dolore. La smorfia che gli comparve sul viso, però, fu più eloquente di qualsiasi grido. Con grande lealtà Chillemi interruppe momentaneamente il duello e abbassò la spada, dando a Croix il tempo di riprendersi. Lui si inginocchiò a terra e depose le propria arma per un istante, senza mai perdere di vista le mosse dell’ammiraglio. Con la mano insanguinata si strappò una parte della manica della camicia e la usò per medicarsi e frenare l’uscita del sangue. Si strinse il tessuto sulla ferita e poi, ripresa l’arma in mano, dispose la guardia sul lato destro cambiando la mano d’attacco. Fu durante quelle operazioni che Chillemi notò per la prima volta il tatuaggio che il pirata aveva sul braccio e che aveva sempre tenuto coperto. Si trattava di un serpente avvinghiato su una croce dai lembi smussati a cuneo, che lui, esperto di mille battaglie, non impiegò più di un istante a riconoscere: era la croce che veniva tatuata in Terra Santa ai più valorosi dei Templari. Fu la conferma ai suoi sospetti. L’uomo con cui stava duellando non era un pirata qualsiasi, ma un uomo che aveva combattuto per la maggior parte della propria vita e che poi, una volta scomunicato dal Papa, era stato costretto a fuggire così come molti altri. La disputa tra il re di Francia e i Templari era una questione spinosa e recente. Chillemi era un uomo di chiesa, ma questo non significava che non conoscesse anche i lati più bui e corrotti di coloro che serviva. Salutò nuovamente l’uomo davanti a sé con la lama, questa volta con un nuovo rispetto nello sguardo. Il capitano pirata annuì con il capo, ringraziandolo per il tempo che gli aveva concesso, poi il duello riprese senza esclusione di colpi. Gli

attacchi destri di Croix si rivelarono più forti e insidiosi di quelli mancini, ma Chillemi, dall’alto della sua maggiore esperienza e imponenza fisica, non si fece sorprendere. Sembrarono ore tanto fu intenso, ma in realtà il duello si concluse in pochi minuti quando Croix, privato della sua arma da un fendente di taglio, si ritrovò minacciato alla gola dalla spada del nemico. Seppur incredulo, chinò la testa davanti all’ovvietà della sua sconfitta e, in ginocchio, offrì il capo a colui che gli era stato superiore. Chillemi, la cui vita era stata rigidamente scandita da una forte dicotomia tra volere e dovere, quella volta trovò cuore e ragione d’accordo. Come doveva depose l’arma nel fodero e incaricò i suoi uomini di fare prigionieri i pirati. Come voleva tese la mano all’uomo d’onore che aveva sconfitto e che con tanta umiltà e fierezza si era piegato davanti a lui. Croix la prese rialzandosi, poi consegnò i polsi all’ammiraglio con grande dignità. In quel momento alcuni elementi della ciurma della Eve si ribellarono. «Noi lotteremo per Croix!» Gridarono alzando le spade sopra le loro teste, ma il loro capitano li fermò con voce autoritaria. «No. Io sono ancora vivo e sono ancora il vostro capitano. Ho dato la mia parola, quindi consegnate le armi.» Marci, senza parlare, ubbidì all’ordine. Il suo gesto fu seguito da quello degli altri che lanciarono le spade ai piedi dei soldati nemici riempiendo l’aria di gemiti d’acciaio. Anche Moore si assoggettò al volere di Croix. Non era assolutamente un buon combattente e non aveva alcuna intenzione di morire giovane. Lo stesso, però, non valeva per Sven. Il norvegese infatti lanciò un grido con l’intento di gettarsi nella mischia, ma Croix si voltò verso di lui e lo ammonì con voce ferma. «Il mio è un ordine» ripeté scandendo bene le parole. A quel punto anche Sven si fermò. Il rispetto che nutriva per il suo capitano era grande. Si domandò se sarebbe stato sufficiente a sovrastare l’istinto. Avrebbe preferito essere torturato con ferri roventi tutta la vita piuttosto che aspettare di morire in una fredda cella buia, in isolamento e lontano dall’odore del mare. Con un ringhio digrignò i denti e strinse la mano sull’elsa della spada, fino a far diventare bianche le nocche. Infine, imprecando con furia, la gettò a terra e si ritirò voltando le spalle.

Un ordine di Croix e la sua ciurma avrebbe lottato fino all’ultimo respiro. Un ordine di Croix e lui si sarebbe potuto salvare. Quell’ordine, però, non era mai giunto. «Evelina» disse Chillemi con voce calma. «Vieni qui, figlia mia.» Soltanto in quel momento la ragazza si rese conto di essere davvero libera. Nessuno introno a lei la stava obbligando a restare tra i pirati. Poteva finalmente ricongiungersi al padre e ripararsi nel suo forte abbraccio, tuttavia non si mosse e, con occhi smarriti, ricercò soltanto lo sguardo di Croix.

CAPITOLO XV Il Pirata è Morto

*

Eve guardava Croix che porgeva i polsi congiunti a suo padre. Le dava le spalle. Era voltato e forse non l’avrebbe più guardata. Presto sarebbe finito su una forca, probabilmente quella stessa notte sarebbe stato torturato affinché firmasse la confessione di chissà quali crimini. Come le aveva detto una sera non troppo lontana, aveva effettivamente commesso molti errori nella propria vita. Si chiese per quanti di loro gli spettasse la morte e per quanti il perdono, ma in fondo non importava davvero. A quel punto nulla avrebbe potuto salvarlo dal destino che lo attendeva. Una fiammata di rabbia la travolse dall’interno. Era un uomo intelligente; sapeva a cosa stava andando incontro arrendendosi, eppure non aveva esitato a farlo nel momento in cui era stato sconfitto. Si chiese perché, anche se in fondo lo sapeva già. Onore. Quella parola appariva fredda come il corpo dei morti, adesso. Era a causa dell’onore che Croix non si era battuto fino alla fine e che aveva ordinato ai propri uomini di gettare a terra le spade. Era l’onore che lo aveva sconfitto e che, al contempo, l’aveva salvato, poiché, se non avesse visto in lui qualcosa, suo padre non avrebbe esitato ad ucciderlo in quello stesso istante, per il semplice piacere di calpestare il sangue dell’uomo che aveva osato sfidarlo. «Vieni, Evelina. Ora sei libera.» Quasi avesse saputo che stava pensando a lui, l’ammiraglio la chiamò tendendole una mano. Eve, però, non si mosse ancora. La rabbia che le scorreva in corpo le irrigidiva i muscoli al punto da impedirle di fare anche soltanto un o. Davanti alla tortura si era detta disposta a confessare qualsiasi falsità purché tutto finisse. Davanti alla morte, ne era certa, non avrebbe esitato a fare qualsiasi cosa fosse stata in suo potere per salvarsi, anche la più meschina. Era

per questo che non riusciva a comprendere la dignità con cui un infame pirata si stava consegnando al proprio, fatale destino. Finalmente Croix si voltò verso di lei e annuì lentamente con la testa. Quando si girò nuovamente, il sentimento che le scoppiò all’interno del petto fu tanto intenso e devastante da stordirla. Quello era un addio. Incapace di accettare quanto stava succedendo si mosse alla ricerca dell’unico punto fermo della sua vita. Corse dal padre e si nascose nel suo abbraccio. Chillemi, però, non fece a meno di notare che si era mossa soltanto dopo un cenno del capitano pirata. Con fare severo incaricò Jacob di occuparsi dei prigionieri e, riabbracciata la figlia, la fece sparire con sé. Croix non la guardò più. Poco dopo fu portato in una speciale cella di isolamento e fu lasciato solo. Gli fu detto che la sua ciurma, tutta, era al sicuro nelle prigioni e che presto sarebbero stati giudicati per i loro crimini. Come da esplicita richiesta dell’ammiraglio, nessuno di loro avrebbe perso la vita. Croix soltanto avrebbe pagato la mattina seguente per impiccagione. Gli fu anche allestito un processo, al quale non partecipò nemmeno. Si trattò di un’udienza destinata a pochi uomini tra cui, ovviamente, anche colui che l’aveva arrestato e che si premurò di consegnare la propria, obiettiva testimonianza. Eve, dal canto suo, fece ritorno a casa a bordo di una carrozza con il mantello del padre calato sulle spalle per nascondere le povere vesti che indossava. Le fu subito chiaro che l’ammiraglio non aveva divulgato in giro quanto le era accaduto, e che non aveva alcuna intenzione di farlo. Se si fosse saputo che era stata rapita dai pirati e che era rimasta loro prigioniera per diversi giorni, infatti, era probabile che la loro famiglia divenisse il centro di attenzioni indesiderate e che la proposta di matrimonio che aveva accettato prima di partire venisse ritirata, cosa che nessuno pareva volere. Una volta scesa dalla carrozza fu accolta dalla sua solita serva, a cui diede ordine di preparare un bagno nella sua stanza e di essere lasciata sola. Non volle raccontare a nessuno i dettagli della prigionia e non volle avere nessuno intorno quando fu il momento di lavare via dalla propria pelle i segni che aveva addosso. Le cicatrici sulla schiena avevano smesso di bruciare, ma un’altra, più grande, aveva preso ad arrecarle un dolore profondo dall’interno. La verità era che, guadandosi allo specchio, ormai non si riconosceva più. Non vedeva più Evelina Chillemi, l’erede di una delle più ricche famiglie di Roma,

ma soltanto e semplicemente Eve. Sospirò, mentre finiva di prepararsi e indossava vestiti che tutto ad un tratto le parevano troppo ingombranti e per nulla adatti a muoversi come avrebbe voluto. Gli strascichi erano troppo lunghi, la cotehardie troppo attillata per le forme del suo corpo. Ogni ora che ava, il desiderio di tornare in mare e di spogliarsi di tutta quell’apparenza si faceva più forte, fino a strozzarle il respiro insieme alla consapevolezza che non poteva più tacere: per quanto splendida, la villa dei Chillemi non era più casa sua. In cuor suo l’aveva sempre saputo, ma era stato Croix a sbatterglielo in faccia e a costringerla ad accettare quella verità che aveva origini così lontane da non poter essere rintracciate. Eve rivide se stessa bambina, tormentata dalla mancanza di una madre e dalle continue assenze del padre; una vita di inchini e di silenzi; un matrimonio proposto non appena aveva avuto l’età adatta, che anziché infastidirla era divenuto l’occasione per andarsene per sempre. Era per questo che aveva accettato e che aveva fatto di tutto per trovare il suo futuro marito interessante, anziché seguire il cuore e cercare qualcosa di più di una buona dote e dell’ideale di una vita rispettabile. Ora, però, le era chiaro che non le sarebbe bastato nemmeno sposarsi – cambiare “padrone” – per sentirsi così come voleva: libera. Un desiderio del tutto nuovo, inarrestabile e potente come la tempesta, le era esploso dentro, tanto da costringerla ad abbracciarsi il corpo con le mani nel tentativo di arginarlo. Era come se Croix le avesse fatto un incantesimo e l’avesse costretta ad aprire gli occhi per la prima volta nella sua vita. Attraverso le scelte che aveva fatto – il mare, la libertà, il vento – le aveva mostrato un futuro diverso; l’aveva tentata al punto da farle accettare situazioni improponibili e emozioni impronunciabili. Eve riaprì gli occhi. Voleva rivederlo, anzi, doveva rivederlo prima che l’indomani fosse impiccato e svanisse per sempre dalla sua vita. Fu così che andò nello studio del padre e che, forzato un cassetto dello scrittoio, si appropriò del sigillo della loro famiglia. Il cielo si stava scurendo. Sebbene l’ora della cena fosse già arrivata l’ammiraglio non era ancora tornato e questo significava che sarebbe rimasto fuori ancora a lungo. Tornata nella propria stanza indossò nuovamente l’abito con cui era stata salvata, povero ma dignitoso. Era perfetto se non si voleva essere notati. Uscì dalle cucine, dove prese in prestito un mantello di tessuto grezzo con tanto di cappuccio, e infine si

diresse di buon o verso il Tulliano.

*

Non fece alcuna fatica ad entrare; con il sigillo dei Chillemi le era permesso accedere a qualsiasi luogo dello Stato della Chiesa senza avere troppi problemi o ricevere domande indiscrete. Coprendosi il viso con la mantella per filtrare l’aria stantia dei sotterranei scese lentamente i gradini di pietra, stando attenta a non inciampare. Il buio e l’umidità che filtrava dalle pareti le riportarono alla mente i giorni trascorsi a bordo della nave turca. Il suo respiro si fece più rapido. Sotto al livello del terreno era facile avere la sensazione che mancasse l’aria. Quando giunse in fondo alla scala percorse un piccolo corridoio e finalmente si ritrovò davanti al carceriere responsabile di quell’ala. Anziché fare la guardia, sonnecchiava con il cappello calato sul viso e con le scarpe, lese e sporche di fango, adagiate sul tavolo su cui pochi minuti prima doveva aver consumato la cena. Aveva le mani nere e i denti di un colore giallo rancido. Alla cintura portava appeso un grosso anello di bronzo arrugginito, che radunava circa una decina di chiavi di diverse misure. Probabilmente aprivano molte celle, compresa quella di Croix e della sua ciurma. Per un istante Eve lasciò che i pensieri fluissero liberamente nella sua mente. Dal momento che il carceriere dormiva prendere le chiavi, trovare la cella giusta e far fuggire Croix avrebbe potuto rivelarsi abbastanza facile. Il pensiero di evitargli una morte certa la sfiorò intensamente, finché non si rese conto che non avrebbe mai funzionato e che probabilmente la loro fuga sarebbe terminata prima ancora di cominciare. In fin dei conti, Croix non sarebbe mai riuscito ad arrivare fino alla sua nave. Lei sarebbe stata scoperta e il suo piano avrebbe ricoperto di disonore la sua famiglia. Sospirando, si fece coraggio e chiamò a gran voce la guardia. «Carceriere!» Lui si scosse bofonchiando qualcosa con voce roca, poi si stiracchiò e infine si scostò il cappello per vedere chi era venuto a disturbarlo. Non appena riconobbe

il sigillo dei Chillemi, si alzò in piedi mettendosi sull’attenti e tornò attivo e solerte come non mai. «Ordini» gracchiò con le vesti luride e trasandate che gli fuoriuscivano dai calzoni. Eve alzò gli occhi al cielo, ignorando la puzza che emanava. «Vorrei vedere un prigioniero in una cella di isolamento.» «Quale?» «Il capitano Croix.» La guardia si grattò la testa cercando di capire a chi alludesse la ragazza e lei, capendo la sua confusione, lo aiutò a ricordare. «L’hanno portato qui alle prime luci dell’alba.» «Sì, certo!» Esclamò facendo schioccare la lingua. Poi prese una delle candele adagiate sul tavolo e partì a gran i in una direzione precisa. Eve lo seguì spedita. arono davanti alle porte chiuse di numerose celle, per poi fermarsi davanti ad una che si trovava verso il fondo. Qui, alla luce della candela, iniziò a spulciare il mazzo di chiavi che portava appeso alla vita. Eve osservò le sue mani sporche e scarne che si muovevano frenetiche. Aveva uno strano tatuaggio sull’osso che sporgeva dal polso. Ormai era quasi del tutto consumato, o forse era soltanto ricoperto del lerciume della sua pelle, ma la ragazza poteva giurare di averlo già visto. Con il pensiero tornò indietro nel tempo; al giorno in cui lo aveva incontrato. Era nascosto tra le spire di cobra che ricoprivano il braccio muscoloso di Hasan che le tendeva l’ampolla miracolosa… Scosse la testa, sentendosi una sciocca. Quell’uomo e Hasan non avevano assolutamente nulla in comune; sicuramente si stava sbagliando. Dovevano essere l’oscurità e quella sensazione di compressione a darle le allucinazioni. Il rumore metallico della chiave che girava nella serratura la riportò alla realtà. Il carceriere le aprì la porta lasciandole lo spazio di entrare. Con una certa insicurezza e con il cuore che le batteva forte fece qualche o in avanti, nella cella. Subito fu avvolta da un pesante odore di chiuso e umido, di sporco e di urina. In un angolo, su una branda, giaceva disteso un vecchio non ancora sobrio con dei lunghi capelli canuti. Pareva essere più morto che vivo ed Eve protestò.

«Questo non è Croix!» Il volto stranito del carceriere le comunicò che lo sbaglio era stato casuale e non voluto. Eve sospirò di nuovo e prese a descrivere la persona che stava cercando. «Croix è giovane, è alto un paio di spanne più di me e ha i capelli corti e ricci. Ha anche una croce tatuata sul braccio destro e…» «Ho capito!» Esclamò la guardia battendosi una mano sulla fronte. «È arrivato stamattina presto…» «Sì» confermò la ragazza quasi avvilita. «E l’hanno portato via proprio poco fa.» «Perché?» «Perché era morto.» Il volto di Eve si fece pallido. Il suo cuore perse un battito. Fu come se degli artigli invisibili le avessero ghermito i polmoni. Le mancò l’aria; provò una sensazione stranissima, come quella di cadere nel vuoto. Tutto ad un tratto si rese conto di non essere capace nemmeno di pensare. Aveva la testa completamente assente, il respiro affannato. «Non è possibile…» Il carceriere tirò su con il naso, mentre incassava la testa nelle spalle. «E invece è così, signora. L’ha visitato il dottore e ha detto che non c’era più nulla da fare.» «Lui…» Eve tremò. «Lui è…» «Morto» completò la frase il carceriere. «Mi dispiace tanto, mia signora.» Dovette fare appello a tutte le sue forze per contenere l’emozione che le era esplosa dentro non appena aveva udito quelle parole. Quando aveva deciso di tentare di vedere Croix un’ultima volta aveva preso in considerazione il fatto che, magari, avrebbe potuto non riuscirci. Nel caso in cui avesse fallito, una

parte di lei si era detta disposta a mentire a suo padre e a chiedergli di presenziare all’impiccagione con la scusa di voler vedere l’uomo che l’aveva rapita morire con i suoi stessi occhi. Anche in quel caso, forse, non avrebbe smesso di sperare fino all’ultimo di vedere intervenire un miracolo a salvarlo, ma venire a sapere così, dalle parole di uno stolto, che era morto… Così era troppo. Troppo persino per lei. Eve raddrizzò la schiena. Aveva il volto contratto, gli occhi del tutto svuotati. Voltò le spalle al carceriere e se ne andò in silenzio, certa che se avesse osato dire anche una parola soltanto, la voce l’avrebbe tradita e avrebbe rivelato la disperazione che l’aveva assalita nel momento in cui si era resa conto che non avrebbe mai più rivisto Croix. Scioccata, tremante, una volta uscita dal carcere non si ricordò nemmeno di rimettersi il cappuccio che avrebbe difeso la sua identità e che, se qualcuno l’avesse vista, allora ad attenderla a casa avrebbe trovato una punizione persino peggiore della morte.

*

Il mattino seguente Eve rifiutò la colazione. A pranzo non si unì al padre con una scusa. L’ammiraglio fu paziente, visti i suoi recenti trascorsi, ma quando non vide sua figlia nemmeno il pomeriggio si premurò di ricordarle attraverso una serva che quella stessa sera avrebbero avuto ospiti e che, volente o nolente, sarebbe stato suo compito accoglierli. Consapevole che non avrebbe mai potuto sottrarsi ai propri obblighi si preparò con cura e si presentò puntuale per la cena. Fu silenziosa per tutto il pasto. Contò le portate, i minuti e persino i secondi. Disprezzò ciascuno degli argomenti di discussione intavolati dagli ospiti. Le chiacchiere della società e gli intrighi politici non la apionavano più, anzi, la disgustavano. Alzò gli occhi dal proprio piatto una volta soltanto. Quando si ritrovò di fronte all’ennesimo, falso sorriso, il senso di nausea si fece così pressante che non riuscì a nasconderlo e che si ritrovò a piegare le labbra verso il basso in un moto di insofferenza. Ipocrisia. L’aria ne era talmente piena che persino respirare era un po’ come immergersi nel veleno. L’idea di andarsene adducendo una nuova scusa la accarezzò tanto da sedurla. Aprì la bocca per

chiedere congedo a metà della cena, ma una dura occhiata dell’ammiraglio la costrinse a restare al proprio posto e ad adeguarsi ai sorrisi che la circondavano. I tempi in cui chiedeva a suo padre di narrare dei suoi viaggi e si sforzava di trovare qualcosa di interessante per intrattenere gli ospiti erano lontani, irraggiungibili. Era cresciuta e, com’era normale che fosse, erano cambiati anche i suoi interessi e le sue priorità. Così come ormai non le andavano più gli abiti di quando era bambina, non le andava più di portare avanti la vita che aveva sempre condotto. L’incarico che il padre le aveva dato di riportare a Roma il medaglione recuperato dal capitano Martini le aveva fornito l’occasione perfetta per fuggire. Contrariamente ai propri progetti, però, un pirata di nome Croix si era poggiato sul suo cammino e aveva completamente stravolto il corso della sua vita, portando a galla desideri e aspirazioni che non sapeva nemmeno di possedere. Ingoiando a forza un pezzo di carne si chiese se a quel punto la sua vita avrebbe mai potuto riprendere come prima di quel viaggio, o se l’incontro con un uomo che non sarebbe più tornato da lei avrebbe potuto sconvolgerla completamente. Se infatti da un lato la sua morte le aveva tolto la voglia di ribellarsi, dall’altro l’aveva spinta a pensare che la vita era troppo breve per poterla are a fare qualcosa che si detestava; qualcosa come sorridere a chi non ti piaceva e prodigarsi per ricevere le attenzioni di chi ti interessava ancora di meno. Si pulì la bocca con il tovagliolo, nascondendo i pensieri agli occhi del padre che la fissavano inclementi. Finalmente arrivò l’ultima portata. Quando i servi ritirarono i piatti l’ammiraglio si alzò in piedi, seguito da tutti gli altri. Fece cenno agli uomini di proseguire alla volta del suo studio, dove come di consueto si sarebbero fermati a discutere in presenza di un buon vino. Eve, invece, si preparò a far strada alle donne verso la terrazza che si affacciava sul giardino della villa, da cui si godeva di un panorama a dir poco meraviglioso. Prima che potesse procedere, però, suo padre le si avvicinò e la prese a braccetto. L’intenzione apparente era quella di accompagnarla, la reale era quella di avere un istante per parlare con lei. «Sei stata molto silenziosa stasera.» Eve trattenne il respiro, sforzandosi di apparire tranquilla. «Il silenzio è una virtù per una donna.»

Chillemi aveva educato i suoi uomini e sua figlia alla stessa maniera. Entrambe le categorie sapevano che a una data domanda, spettava una data risposta. Eve lo vide gonfiare il petto. Era una cosa che faceva spesso quando era compiaciuto. L’espressione che aveva in viso, però, non aveva nulla a che vedere con la soddisfazione. Se non fosse stato che il contegno dell’ammiraglio era tale da impedire a chi lo guardava di capire cosa stava provando, avrebbe giurato che era in collera con lei. «Sei cambiata da quando sei tornata.» Incapace di rispondergli Eve tacque. Scesero i gradini della terrazza, avventurandosi nel giardino. La luna illuminava il laghetto su cui pendevano le teste dei salici. In lontananza il mare pareva una tavola grezza dipinta di nero e d’argento. «Le serve mi hanno riferito che rifiuti il loro aiuto per il bagno. C’è forse qualcosa che dovresti dirmi? Qualcosa che credi sia il caso sappia prima di domenica prossima?» Eve sollevò timidamente il capo. Il profilo di suo padre era aspro come il vento di ponente. Deglutì, sentendosi a disagio. «Domenica prossima?» Chillemi gettò un’occhiata alle proprie spalle. Le mogli dei suoi ospiti li stavano seguendo ad una distanza tale da non essere in grado di sentire i loro discorsi. «Il giorno del tuo matrimonio.» Eve ignorò il brivido che le attraversò le braccia e si sforzò di restare calma, nonostante a quella notizia il suo cuore avesse preso a batterle frenetico in petto. «Ma, padre, credevo che mi avreste concesso più tempo per riprendermi da quest’ultimo viaggio…» «E perché mai?» L’ammiraglio sollevò un sopracciglio, contrariato. «In fondo non è successo nulla di rilevante, altrimenti me ne avresti parlato.» Ancora una volta, Eve si ritrovò a chinare il capo e ad arrendersi. Era inutile parlare con lui; lo era sempre stato.

«È così, padre.» «Molto bene.» L’ammiraglio Chillemi si fermò e la lasciò andare. Sentendosi perduta, Eve si promulgò in un inchino affrettato. Aveva gli occhi lucidi, pregò che il buio li nascondesse dallo sguardo inclemente di suo padre, ma non fu così. Lui le alzò il viso e fece in modo di guardarla forse per un istante, forse per minuti interi. Una donna tra quelle che li stavano seguendo gridò, probabilmente perché un gatto era sbucato all’improvviso dai cespugli. Mentre tutte le altre cercavano di capire cos’era accaduto Chillemi le parlò un’ultima volta. Lo fece con voce bassa, ma decisa. Non ammetteva repliche, né obiezioni. «Io non so cosa hai ato nelle ultime settimane e non mi importa saperlo.» Nella sua mente si affacciò l’immagine dell’occhiata che sua figlia e il capitano pirata si erano scambiati prima che lei tornasse da lui. «Volente o nolente, la tua vita proseguirà comunque come stabilito. Il matrimonio che ti ho procurato è una grande occasione per te, per cui è ora che ti getti alle spalle quello che è accaduto e che lo dimentichi per sempre.» Eve ricacciò indietro le lacrime che erano nate con tanta semplicità dentro di lei. L’ammiraglio era suo padre, sangue del suo sangue, come poteva chiederle di dimenticare tutto quello che aveva ato? Come poteva credere che le bastasse sapere che Croix era morto per illudersi che non fosse mai esistito? «Padre, io…» «Tu sei Evelina Chillemi, mia figlia» proferì duro. «E finché resterai tale, pretendo che tu segua le mie regole. Non tollererò altre disobbedienze, né mancanze di rispetto come quelle che ho visto stasera. Hai dato la tua parola. Hai accettato di sposare l’uomo che ha chiesto la tua mano e, che Dio mi fulmini se mento, non ti permetterò di ricoprire la nostra famiglia di disonore per una bieca tresca. Sono stato chiaro?» Evelina sbiancò, chiedendosi come avesse fatto a venire a conoscenza del rapporto del tutto fuori luogo che la legava a Croix. L’esigenza di puntualizzare che non era come credeva e che la sua virtù era ancora intatta le pizzicò la gola e l’orgoglio. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse un istante dopo. Le donne si erano avvicinate a loro per capire cosa stesse accadendo e l’ultima cosa che voleva era dare a quella gente altri argomenti di cui sparlare.

«Sì, padre» rispose quindi meccanicamente, piegandosi in un inchino. «I tuoi desideri sono i miei, come sempre.» Soltanto allora, sentendosi soddisfatto, Chillemi concesse a se stesso di tornare all’interno della villa e alla serata di riprendere normalmente. Con un gesto Eve invitò le ospiti a seguirla fino al luogo da cui era possibile godere una splendida vista di Roma. Riuscì a rilassarsi soltanto quando smise di sentire le loro voci e il vento che giungeva dal mare le accarezzò il viso, riportandole alla mente le emozioni provate in un tempo e in un luogo che le sembravano ormai fin troppo lontani. La sensazione che le mancasse qualcosa non la lasciò andare per tutto il resto della serata. L’accompagnò anche quando fu il momento di andare a letto e si ritrovò a chiedere alla serva di non spegnere la luce per non permettere al buio di riportarla indietro nel tempo, a bordo della nave che aveva cambiato la sua vita.

*

Si svegliò nel cuore della notte, vittima dell’ennesimo incubo. Fuori pioveva. Uno spiffero gelido la obbligò a cingersi il corpo con le mani. Quando le dita sfiorarono la schiena dove si ergevano i segni delle torture, si domandò se sarebbe mai riuscita a dimenticare quanto le era accaduto; o se il destino le avrebbe mai permesso di incontrare un uomo capace di lenire tutto quel dolore. Si morse le labbra, mentre la consapevolezza che aveva già incontrato un uomo del genere le colpiva lo stomaco. Colta dalla nostalgia scalciò le coperte e si alzò in piedi. Si portò accanto alla grande finestra che dominava un lato della sua camera. Il ticchettare della pioggia era frenetico, come il battito del suo cuore. La candela invece tremava, così come le gambe che faticavano a sorreggerla. In lontananza, oltre il buio e il Tevere, doveva trovarsi quella che un tempo era stata la nave del capitano Croix. Se chiudeva gli occhi, poteva vederla mentre si muoveva disarticolata tra le onde, vittima della corrente e dei venti. Si trovava intrappolata tra la Vittoria e la Fortuna, ma questa volta nessuno avrebbe teso le sue vele per farla sgusciare via dalla loro morsa.

Riaprì gli occhi, trovandosi davanti alla propria immagine riflessa sul vetro bagnato di pioggia. In esso rivide il volto di Eva, la polena della nave pirata che portava il suo stesso nome. Era rigato di lacrime amare. Dentro di sé, anche se era al sicuro, Eve si accorse di provare lo stesso vuoto e lo stesso freddo che aveva avvertito nei giorni di prigionia a bordo della nave turca. Quella non era casa sua. E la persona che si stava piangendo addosso avvolta dal buio non era chi voleva essere, né chi era certa di essere. Sentendosi disgustata volse lo sguardo altrove, ma fu allora che qualcosa catturò la sua attenzione. Si trattava di un rumore intermittente, come quello della pioggia, soltanto più forte. Si voltò nuovamente verso la finestra, giusto in tempo per vedere un sassolino picchiare contro il vetro. Incurante del pericolo che stava correndo tornò sui propri i e scrutò l’esterno nascondendosi dietro a una tenda. Le cime dei cipressi che costeggiavano il giardino si muovevano inquiete. L’acqua scivolava leggera sul vetro, offuscandole la vista. Di nuovo, percepì qualcosa battere per poi cadere inevitabilmente a terra, nel buio. Decisa a scoprire cosa stava accadendo aprì la finestra. La pioggia le bagnò subito il viso, ma non si lasciò intimidire dalla sua carezza gelata. Si sporse in avanti, controllando il terreno sotto di sé. Non c’era nessuno. Fece per richiuderla, ma prima che potesse farlo due figure scure, avvolte da un mantello, entrarono in camera sua e la bloccarono. La candela accanto alla finestra si spense. Nello stesso istante sentì una mano viscida d’acqua posarsi sulla sua bocca e impedirle di gridare. Il cuore prese a batterle frenetico nel petto. Poco dopo l’uomo che non la stava tenendo prigioniera chiuse la finestra alle proprie spalle.

CAPITOLO XVI La Scelta

*

Con il cuore in gola, Eve esitò a reagire e posò lo sguardo sugli uomini che avevano fatto irruzione nella sua stanza. Uno dei due, quello che era rimasto in piedi accanto alla finestra, era alto e massiccio. A giudicare dal colore della pelle delle mani, l’unica parte di lui che non era coperta da scialli o vestiti, doveva essere uno straniero. Quello che l’aveva presa alle spalle, invece, era poco più alto di lei e puzzava di vino dalla testa ai piedi. Avevano entrambi il volto nascosto da un cappuccio. I loro mantelli erano fradici, tanto da lasciare una vistosa macchia bagnata ai loro piedi. Eve cercò una via di fuga con gli occhi. Si preparò a mordere la mano viscida di colui che la stava zittendo per poi gridare con tutta la voce che aveva; in fondo suo padre non poteva essere lontano. Un istante prima che potesse mettere in atto il proprio proposito, però, l’uomo che le era di fronte si tolse il cappuccio e il respiro le si mozzò completamente in gola. Sentì i muscoli del proprio corpo sciogliersi, mentre i suoi occhi si facevano più grandi per la sorpresa. «È da un bel po’ che non ci si vede, eh?» Non c’era alcuna possibilità di errore. Eve lo avrebbe riconosciuto tra mille. Aveva metà del corpo ricoperto di tatuaggi e il capo completamente rasato. Era più alto di qualsiasi uomo avesse mai visto, ma il sorriso che aveva in volto emanava un tepore caldo, come il luogo da cui proveniva. «Forse è il caso che la lasci andare» disse Hasan all’uomo che era con lui e che non aveva accennato ad allentare la presa sul corpo della ragazza. «La faccia le sta diventando tutta bianca per la paura e non vorrei che svenisse…» Eve sentì la figura alle proprie spalle sorridere.

«Ha superato torture ben peggiori a bordo della nave turca.» Quella voce… Incredula, tentò di voltarsi all’indietro e di guardare l’uomo che aveva appena parlato. Conosceva quella voce; era quella che l’aveva tormentata per tutta la notte insieme agli incubi che l’avevano tenuta sveglia. Lo vide togliersi lentamente il cappuccio e poi, lasciata scivolare la mano fredda dalle labbra alla guancia, la fece voltare verso di sé con una carezza. Eve rimase con la bocca spalancata per qualche secondo. Il suo petto si muoveva frenetico alla ricerca d’aria. Quando infine riuscì a parlare, lo fece in un sussurro. «Croix…» «Al vostro servizio, mia signora» rispose con un sorriso divertito dipinto sul volto, mentre tentava con tutto se stesso di trattenersi dal baciarla. Se fossero stati soli l’avrebbe senz’altro fatto, ma con Hasan poco distante era certo che Eve non gli avrebbe perdonato facilmente una tale indelicatezza. Inspirò il suo profumo. Gli era mancato, inoltre era trascorso davvero troppo tempo dall’ultima volta in cui aveva avuto occasione di stringerla tra le braccia. «Tu sei vivo…» Croix alzò distrattamente le spalle. «Direi proprio di sì, se i sensi non mi ingannano.» «Ma come è possibile? Io sono andata al carcere e…» Eve tacque, pentendosi per essersi esposta oltre il dovuto. Lui era un pirata, lei la figlia dell’uomo che lo aveva condannato alla forca. Non c’era ragione per la quale avrebbe dovuto andare al carcere e cercarlo, inoltre non poteva permettersi di esporre oltre il dovuto le emozioni che si stavano agitando all’interno del suo corpo. Si morse le labbra, mentre Croix approfittava del suo momentaneo smarrimento per pressarla ancora di più contro il proprio corpo. «È merito di Hasan» le spiegò facendo un cenno con il capo verso il gigante mulatto, che, tranquillamente seduto sul letto della ragazza, li osservava da poco

distante. Per la prima volta Eve si rese conto che non lo vedeva sin dal giorno in cui Croix aveva attaccato la nave turca e l’aveva liberata. Da allora non aveva saputo più nulla di lui, e così aveva dato per scontato che fosse stato ucciso per vendetta. Che errore… «Ma tu cosa ci fai qui?» Hasan alzò appena le spalle. «Diciamo che alla fine ho scelto di seguire il mio capitano. Ma questa è un’altra storia…» «Già» gli fece eco Croix.. «Ora quello che ci interessa è tutt’altro.» «E cioè?» «È semplice» ammise mentre un sorriso astuto gli si dipingeva in viso. «Voglio riprendermi la mia Eve.» La giovane sbatté le palpebre un paio di volte, non comprendendo se alludesse alla nave o a lei stessa. Mentre il suo cuore accelerava i battiti per la vicinanza del pirata vide il suo viso spiegarsi in un sorriso beffardo. Anche se gli avesse chiesto maggiori spiegazioni, lui non gliele avrebbe mai date. In fondo, però, se si era intrufolato nella sua casa correndo il rischio di venire scoperto dall’ammiraglio Chillemi e di essere rigettato in prigione, doveva pur significare qualcosa. Se era lì, si disse mentre la bocca le diveniva secca e il suo respiro le solleticava le labbra, doveva essere per forza per lei. «Avete già un piano?» «Voi preoccupatevi di arrivare davanti all’attracco della Eve domani sera. Al resto penseremo io e Hasan.» Quelle parole furono la definitiva conferma ai suoi sospetti. Croix voleva che fuggisse insieme a loro. Il suo primo pensiero fu che era una follia, il secondo non arrivò mai. La sorpresa per quella proposta fu tale da impedirle di reagire, forse persino di respirare. Se anche avesse saputo cosa dire, comunque, non avrebbe avuto il tempo di farlo. Un istante dopo Hasan stava già uscendo da

dove era entrato e la pioggia stava filtrando inclemente dalla finestra lasciata aperta. Croix smise di stringerla, ma prima di andarsene non riuscì a trattenersi dal toccarla un’ultima volta. Le afferrò la mano e l’attirò a sé, così vicina al proprio corpo che Eve sentì il fresco della pioggia adagiarsi sulla camiciola. Gli occhi del pirata ebbero un istante di indecisione, poi le baciò la mano e le promise con uno sguardo che in un modo o nell’altro si sarebbero rivisti e che allora nulla l’avrebbe più trattenuto dal baciarla come desiderava fare con tutto se stesso. Quando se ne andò, Eve non poté fare a meno di sentirsi privata di qualcosa di importante. Lo aveva creduto morto, ma fortunatamente non era accaduto. Croix era tornato da lei, anche se poi se n’era di nuovo andato svanendo veloce come il vento. Incapace di distogliere lo sguardo, seguì la figura del pirata che si allontanava fino all’ultimo istante; finché la pioggia non diventò una cortina bianca e la sua ombra sfumò poco distante. Infine richiuse la finestra e vi si appoggiò con la schiena. Croix è vivo, pensò con il cuore che non accennava a rallentare i battiti, incredulo. È vivo e vuole che me ne vada insieme a lui. Il suo stordimento durò per alcuni minuti poi, ritornata in se stessa, si portò le mani sul viso accaldato e iniziò a riflettere sulla follia che aveva cominciato a vorticarle nella mente. Un tempo, non avrebbe esitato. Sarebbe corsa da suo padre e lo avrebbe avvisato degli intenti dei pirati. Ora, però, era tutto cambiato. Lei era cambiata. E non aveva alcuna intenzione di restare prigioniera in una casa – e in una vita – che non sentiva più sue. Si morse le labbra, trovandole secche. Quello a cui stava pensando era davvero impossibile… Vagare per i mari, vedere terre sconosciute e vivere alla giornata con la Eve e il suo capitano erano tutte illusioni destinate a finire. Tutto aveva un prezzo. Quello della libertà che sognava era alto; si trattava di dimenticare per sempre il proprio ato, la propria famiglia e l’agio in cui era sempre vissuta. Si trattava di scegliere il vento. Si trattava di scegliere Croix. Scuotendo la testa Eve si voltò. Il suo sguardo incontrò la propria immagine, riflessa nel grande specchio vicino all’armadio. Il suo viso si intristì all’improvviso, mentre le severe parole del padre le riecheggiavano nella mente

e si rendeva conto che, volente o nolente, la Evelina Chillemi che aveva concesso la propria mano – il proprio futuro – ad un uomo che altri avevano scelto per lei non esisteva più.

*

Quella sera Hasan e Croix fecero tappa in una locanda molto fuori da Roma, dove nessuno avrebbe potuto riconoscerli – ma del resto i loro volti non erano di certo dei più noti nei tempi che correvano – e dove avrebbero potuto scaldarsi e mangiare qualcosa di decente. Dopo un po’ di vagare si imbatterono in un’osteria gestita da una coppia inglese emigrata; un posto non troppo appariscente, ma pulito. Lì ordinarono ad una graziosa cameriera del cibo e del vino, poi si fermarono a parlare per diverso tempo dopo aver controllato che non ci fosse nessuno di sospetto a sedere vicino a loro. «Spiegami una cosa» cominciò Hasan. «Perché hai voluto avvisare la ragazza?» Croix giocò qualche istante con il boccale che aveva in mano, tardando a rispondere. Sapevano entrambi di avere lanciato un dado nel momento in cui avevano messo al corrente dei loro piani la figlia dell’uomo che aveva gettato in cella tutto il loro equipaggio e che, a seconda del risultato, avrebbero potuto uscire indenni da quella situazione o perdere la vita. L’espressione di Croix si fece tesa. Gonfiò i polmoni, esponendosi ancora una volta senza alcun timore di venire giudicato. «Io voglio che Eve parta con noi.» «Perché?» Sbottò Hasan, abbassando subito dopo la voce per non farsi notare. «Insomma, lei è l’unica figlia di Chillemi. Averla a bordo significherà essere suoi bersagli fissi.» «Lo so» ammise Croix bevendo un lungo sorso di vino e restando con le labbra appoggiate al bordo del boccale. «E allora perché vuoi rischiare?»

Croix prese di nuovo fiato, esitando. A quel punto avrebbe potuto inventarsi mille scuse, ma la verità era che non poteva mentire a Hasan. Si conoscevano da troppo tempo e inoltre lui non glielo avrebbe mai perdonato, così alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi. «Perché sono uno sciocco e perché, se partirò senza di lei, erò il resto della vita a dare la caccia all’uomo che ha scelto al posto mio.» «Lei non è come noi» sottolineò aspro il gigante mulatto. «Ha una casa, delle radici… Ha un futuro fatto di balli e di ricchezze che l’attende. Anche se sceglierà te un giorno o l’altro se ne pentirà e allora sarà tardi per tornare indietro e l’avrai privata di tutto: dell’onore, della sua famiglia e del futuro che merita.» Incapace di continuare a guardarlo negli occhi, Croix abbassò il capo e ò le dita sul bordo del boccale come giocando. «Hai mai pensato che potrebbe non pentirsi mai?» «E tu hai mai pensato che sei un gran egoista?» «Non ho mai fatto mistero dei miei difetti.» «Nemmeno io del mio credo o dei miei pensieri e questo è quello che penso della tua idea: rovinerà entrambi. Distruggerà tutto ciò che avete costruito finora, senza considerare il fatto che una donna a bordo non ci porterà altro che guai!» «Non quella donna» puntualizzò Croix fulminandolo con un’occhiata truce. «Non la mia donna.» Hasan alzò gli occhi al cielo, sentendosi disgustato. «Per Allah, hai proprio perso la testa per lei!» In tutta risposta Croix si limitò a sorridere e ad alzare il boccale alla volta di Hasan in un brindisi appena accennato. Scuotendo la testa il gigante alzò a propria volta il bicchiere e ricambiò il gesto. «Un giorno mi pentirò di non averti lasciato in quella cella.»

«Un giorno di certo» confermò divertito. «Ma non oggi e non domani.» Svuotarono i boccali insieme, per poi chiedere alla cameriera di riempirli di nuovo, e di nuovo ancora. Continuarono a bere ancora a lungo; finché l’alcol non ottenebrò la mente di entrambi e non li indusse a pensare che, a dispetto di quel che suggeriva loro la ragione, se la sarebbero cavata anche in quell’occasione.

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Scese di nuovo la sera e giunse il momento dell’incontro. Dopo avere trascorso l’intera giornata a tormentarsi, Eve aveva preso la propria decisione. Non era stato un ragionamento lungo e articolato a determinarla, quanto la sensazione pungente che aveva provato non appena si era ritrovata davanti all’uomo che avrebbe dovuto sposare da lì a breve. Ancora una volta, anziché parlarle, suo padre era ricorso ad un sotterfugio. Aveva invitato a casa loro il suo promesso e li aveva lasciati soli per tutto il pomeriggio. Quello che poteva apparire un gesto cortese, dettato dalla volontà di farli conoscere meglio prima del sacramento che li avrebbe uniti per sempre, altro non era che un bieco ammonimento. L’obbligo di un pomeriggio sarebbe divenuto preso l’obbligo di una vita e questo, Eve, non poteva assolutamente accettarlo. Se la prima volta che aveva incontrato quell’uomo, si era sentita turbata e affascinata da ciò che aveva convinto suo padre a sceglierlo, in quella seconda occasione tutto ciò che riuscì a pensare fu che lo trovava insulso e che l’unico motivo per cui era stato preferito agli altri era perché non avrebbe mai avuto il coraggio di farle del male o di comportarsi in maniera difforme da ciò che avrebbe stabilito l’ammiraglio per lui. Non era un cattivo ragazzo, ma non era nemmeno l’uomo che voleva accanto a sé. Quella sera, dunque, Eve fece sapere al padre che era indisposta e che non avrebbe cenato con lui. Congedò le serve ordinando che non fosse disturbata per nessun motivo e indossò nuovamente le vesti del tutto comuni che aveva usato per andare al Tulliano. Si coprì con il mantello e partì alla volta del luogo in cui Croix le aveva dato appuntamento di buona lena, consapevole del fatto che avrebbe dovuto camminare a lungo prima di raggiungerlo.

Quando arrivò a destinazione era piuttosto tardi. Anche se era buio, al porto c’era un gran fermento. A quanto pareva dovevano essere appena rientrate delle navi dalle Indie. C’erano uomini intenti a sbarcare merci preziose, ragazzini che saltavano da una nave all’altra per cercare un imbarco come mozzi e donne che, con la sottana sollevata fino alla coscia, mostravano la loro merce a chi aveva trascorso le ultime settimane in mare. Con la coda dell’occhio vide anche due o tre guardie fare la ronda e fu allora che sentì l’ansia assalirla insieme ai dubbi che si era sforzata di ricacciare indietro nelle ultime ore. Ormai, aveva superato il punto di non-ritorno. Se da una parte non poteva più voltare le spalle al mare, dall’altra doveva ammettere che stava cedendo in maniera un po’ troppo semplicistica alla proposta che le aveva fatto un uomo che in fondo non conosceva; un pirata. Non era detto che sarebbe andato tutto come credeva. Nessuno poteva assicurarle che Croix si sarebbe davvero trovato nel luogo in cui le aveva dato appuntamento, né che la loro fuga si sarebbe risolta nel migliore dei modi. Avrebbe potuto trovare una trappola ad attenderla, poiché in fondo era la figlia di uno degli uomini più odiati e temuti dai pirati. Una delle guardie sul porto avrebbe potuto riconoscerla e riportarla da suo padre, che di certo non si sarebbe limitato a chiuderla nella sua camera come faceva quando era bambina. Il rischio che stava correndo era alto; doveva stare attenta. Sorò la Fortuna e la Vittoria velocemente, per poi dirigersi verso la parte più marginale del porto, dove l’assenza di fiaccole e lampioni ad olio celava il marciume di Roma. Lì, ne era certa, avrebbe trovato la Eve e con essa la risposta a tutte le sue domande.

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Nella tenuta dei Chillemi l’ammiraglio aveva appena finito di cenare. Quel giorno era rincasato presto perché l’indomani aveva in progetto di partire per una nuova missione, così aveva lasciato ai suoi uomini l’incarico di armare le navi durante la notte e aveva deciso di riposarsi. Memore della durezza delle parole che aveva riservato alla figlia e del fatto che sarebbe stato lontano fino al giorno del matrimonio, decise di farle una visita e bussò alla sua porta. Era convinto che quella sera avesse finto un malore, come

del resto era accaduto anche la sera precedente, per fargli un dispetto. Non doveva esserle piaciuto il fatto che l’avesse obbligata a trascorrere il pomeriggio in compagnia di quello che sarebbe divenuto suo marito senza prima averla interpellata. Odiava le sorprese e le variazioni di programma, esattamente come lui. Non ottenendo alcuna risposta, decise di entrare di forza. Ad attenderlo, però, non trovò assolutamente ciò che credeva. Le candele erano spente, il letto completamente intatto. La finestra era chiusa, ma non c’era alcuna traccia di sua figlia. Sul volto dell’ammiraglio si dipinse una maschera di sorpresa. Evelina era fuggita. Nel giro di un istante lo sconcerto divenne rabbia. Il suo volto si distorse in un’espressione adirata, la sua voce chiamò uno dei servi con un tale fervore che fu udito persino dalle cucine, dall’altra parte della sua immensa villa. «Filippo!» Il ragazzo impiegò pochi istanti a raggiungerlo. Anche lui, come tutti, aveva una paura dannata delle reazioni dell’ammiraglio. Se soltanto glielo avesse chiesto, non avrebbe esitato ad andare fino all’Inferno pur di accontentarlo e non doversi trovare a subire una delle sue punizioni. Tentò di scusarsi per non essere arrivato abbastanza velocemente, ma non ebbe il tempo di farlo. Chillemi, con il tono altamente imperativo che lo contraddistingueva, gli impartì subito i nuovi ordini. «Sella due cavalli e avverti Jacob. Digli di riunire all’istante tutti gli uomini di cui dispone. Li voglio entro mezz’ora nei pressi della nave pirata “Eve”, che l’affondino se è necessario, ma non voglio che riprenda il mare!» L’ammiraglio era fuori di sé, come Filippo l’aveva visto solo il giorno in cui gli avevano comunicato che l’Arcadia era stata attaccata e che sua figlia era sparita. Per la prima volta nella sua vita, Chillemi si era reso conto di aver commesso un errore imperdonabile. Non aveva ucciso il capitano pirata quando ne aveva avuto l’occasione e non aveva voluto trovare conferma alla notizia della sua morte. Aveva ignorato la sensazione che qualcosa non tornasse nel susseguirsi degli eventi, nei silenzi di sua figlia e nella tempestività con cui il corpo del pirata era stato fatto uscire dalla prigione, e ora temeva che avrebbe potuto pagare caro il proprio errore. Se c’era una cosa di cui era certo, infatti, era che Evelina non sarebbe mai arrivata a fuggire se qualcuno non l’avesse aiutata. Il pensiero che quel pirata si

stesse approfittando della sua ingenuità per colpirlo gli bruciò il sangue nelle vene. Strinse la mano sull’elsa della spada che portava in vita. Se Croix non era ancora morto, lo avrebbe ucciso al più presto con le sue stesse mani. E quando avrebbe ritrovato Evelina, Dio gli era testimone, l’avrebbe raddrizzata a dovere in modo che non osasse mai più ribellarsi al suo volere.

*

Nel frattempo Jacob, che era stato svegliato di soprassalto dal servo dell’ammiraglio Chillemi, non aveva perso tempo. Dal tono agitato del ragazzino, aveva capito subito che era successo qualcosa di grave e l’ordine di non far salpare la Eve a qualsiasi costo significava una cosa soltanto: o che il capitano Croix non era morto come tutti credevano o che la ciurma della nave suddetta non era al proprio posto. Preso da un nodo allo stomaco, perché sapeva che nessuna delle due precedenti supposizioni sarebbe stata ben accolta dall’ammiraglio, il nostromo della Vittoria rubò il cavallo al servo di Chillemi e galoppò veloce fino alle porte del carcere, come se fosse stato inseguito da uno stuolo di dannati pronti a divorare la sua anima nera. Bussò al portone con veemenza, fino a spolparsi le nocche rese ruvide e rosse dal mare; finché uno dei carcerieri non gli venne ad aprire e non gli permise di entrare. Spiegò in fetta l’accaduto e si fece accompagnare nella cella in cui erano tenuti i marinai della Eve. Inspiegabilmente, però, quando il carceriere che gli aveva aperto chiamò a gran voce il responsabile dell’ala in cui erano detenuti il capitano Croix e la sua ciurma, nessuno rispose. Un cigolio sospetto indusse Jacob a non attendere oltre e a recarsi là dove il suo istinto gli suggeriva di andare. Senza saperlo arrivò proprio davanti alla cella dov’era rinchiusa la ciurma della Eve. C’erano una moltitudine di letti ammassati l’uno sull’altro e erano tutti vuoti. Jacob sgranò gli occhi per poi imprecare. Il carceriere era svanito nel nulla, esattamente come gli uomini che stava cercando. «Chi è il responsabile di questa ala?» Gridò afferrando per il colletto la guardia

che gli aveva aperto le porte del Tulliano. Lo sentì tremare tra le proprie dite, e non a torto. Jacob aveva un aspetto terribile. Era alto e nerboruto, con gli occhi infossati rossi di sonno e preoccupazione. «È Abel» balbettò. «Abel di nome, e poi?» «Abel il nero» ammise tremando. «Ma non so altro di lui, signore, lo giuro! Vi prego, lasciatemi andare…» Con un ringhio Jacob lo gettò a terra. Uscito dal carcere montò nuovamente in sella e riprese a galoppare a più non posso. C’era un unico luogo in cui tutti quegli uomini avrebbero potuto dirigersi ed era lo stesso in cui stava andando anche l’ammiraglio Chillemi.

CAPITOLO XVII Scia Libera

*

Un uomo dalle mani nere come la pece sedeva sulla banchina del porto. Quella notte la luna era grande e luminosa, ma lui non aveva occhi che per la moneta d’oro che si era appena guadagnato. La tirava in aria per poi riprenderla e osservarla. Tra le sue mani sporche pareva ancora più lucida, al contrario del tatuaggio che aveva sul polso e che, immerso com’era nel lerciume che gli ricopriva la pelle, ormai non si vedeva quasi più. “Poco male”, avrebbe commentato con un’alzata di spalle, in fondo non era altro che l’ultimo rimasuglio di una vita che non gli apparteneva più e che ormai aveva dimenticato, così come ben presto avrebbe dimenticato anche il nome che lo aveva accompagnato negli ultimi anni trascorsi a Roma. Abel il nero era l’ultima delle identità che si era scelto. Prima di questo era stato Abdel, Mohamed e anche Rafik. Era nato con il nome di Farouq. Era stato ladro, mendicante e guerriero. Aveva incontrato l’Uomo della Montagna e la fede, ma poi aveva deciso di lasciare entrambi, anche se il marchio che gli era stato impresso sulla carne non avrebbe mai smesso di ricordargli che c’era stato anche un tempo in cui era stato assassino. Gli occhi scuri lasciarono la moneta d’oro, ma solo per un istante. La ghermì con le dita scarne, guardandosi intorno con fare sospettoso. Era circondato da pirati e briganti della peggior specie; sapeva di non potersi fidare di nessuno anche se ormai, pur di andarsene dal Tulliano, aveva accettato di unirsi alla ciurma di una nave pirata chiamata “Eve” e di salpare quella stessa notte. Era stato Hasan a promettergli che l’avrebbero portato con loro se lo avesse aiutato a liberare alcuni prigionieri, e lui gli aveva creduto. Anche se, pensava sogghignando sotto la barba che si confondeva con la carnagione scura, gli sarebbe davvero piaciuto vedere la faccia di chi avesse scoperto quanti prigionieri erano evasi dal carcere senza che nessuno se ne rendesse conto. La faccia di chi, avvertito il cigolio di

una porta che non aveva mai riparato per inerzia, si fosse trovato davanti soltanto al nulla. «Da quant’è che non ti lavi?» Alzò gli occhi, trovandosi di fronte al volto incrinato di Leon, il nostromo della Eve. Pareva il tipo di uomo che doveva avere sempre tutto sotto controllo, compresa l’affidabilità di ogni membro dell’equipaggio che si portava appresso. Vivevano in tempi inclementi, dove gli ammutinamenti erano all’ordine del giorno, così come i tradimenti. Come non capirlo. Serrò la presa sulla moneta d’oro che teneva in mano e gli sorrise con soddisfazione. I denti gialli emersero dalla bocca rossa a causa delle ferite che si era procurato mangiandosi le pellicine delle labbra. Infine rispose. «Due anni.» Leon fece una smorfia di disappunto. «Io non ti voglio sulla mia nave.» «Perché non sai di cosa sono capace» ammise di rimando con fierezza, lasciando intendere un qualcosa di misterioso di cui ancora loro non erano stati messi al corrente. Leon fece per ribattere, ma Marci mise tutti a tacere con l’annuncio che stavano attendendo. «È qui, la ragazza sta arrivando!» Croix si sporse dal nascondiglio per osservare la sagoma che si stava avvicinando. Era avvolta in un mantello scuro che le scendeva fino ai piedi, ma la camminata era senza alcun dubbio quella di Eve, e così la sua figura. Sorrise fiero e soddisfatto. Una parte di lui non era certo che li avrebbe raggiunti, anche se l’aveva sperato a lungo. Ora che era arrivata, però, il momento di are alla seconda parte del piano era finalmente giunto. Mentre avanzava verso Croix, Eve sentiva il cuore batterle sempre più veloce. Divenuta consapevole di ciò che aveva rischiato raggiungendolo, adesso la domanda che non riusciva a fare a meno di porsi era se sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. Aveva scelto di scappare dal futuro che suo padre aveva disposto per lei coscientemente, ma la verità era che non aveva ancora deciso se partire o meno insieme ai pirati. Una parte di lei desiderava prendere una strada

diversa, che fosse soltanto sua. Un’altra, invece, temeva l’ignoto e i pericoli a cui sarebbe andata incontro se avesse scelto di non avvalersi del o di nessuno. Era proprio quest’ultima parte, fin troppo vicina al cuore, che continuava a spingerla a cercare lo sguardo di Croix e a trovare in esso le rassicurazioni necessarie a cambiare il corso della propria vita. Sollevò il mento, dandosi un contegno e prendendo un ampio respiro. Gli occhi del pirata, così fermi nel cercarla, erano esattamente ciò che non avrebbe mai voluto guardare. A differenza dei suoi, dai quali era certa trasparissero paure e ansie, mostravano una quiete e una consapevolezza ferrei. Era sicuro che quella stessa notte sarebbero partiti insieme e che lei, tra tutti, avesse scelto proprio lui per dare un nuovo corso alla propria vita. In tutta sincerità, Eve non poteva dire di non averlo pensato – o sperato – anche se poi il fatto che non ci fosse alcuna promessa tra loro le aveva procurato diverse incertezze. Senza rallentare il proprio incedere, affondò le mani nelle tasche e cercò la vera d’oro che in un tempo ormai lontanissimo il pirata le aveva messo al dito. Croix non le aveva mai promesso nulla. Non le aveva detto che se avesse scelto di partire con loro l’avrebbe sposata e si sarebbe preso per sempre cura di lei, ma forse, anche se l’avesse fatto, non gli avrebbe creduto. O magari l’avrebbe rifiutato, così come aveva fatto con il matrimonio che suo padre le aveva procurato e che era divenuto il motivo più grande del suo allontanamento. Se infatti da un lato non desiderava altro che lasciarsi andare all’amore come qualsiasi ragazza della sua età, dall’altro era innegabile che ne avesse una paura folle. L’idea di appartenere a qualcuno e di dover rendere conto delle proprie scelte la intimoriva. La vera Eve era rimasta relegata così a lungo e così in profondità che ora che era riemersa, non era più disposta a farsi mettere in secondo piano da nulla e da nessuno. «Sono contento che alla fine tu sia venuta» disse Croix ignaro dei pensieri che la tormentavano, mentre la accoglieva con un sorriso. Eve lo guardò con sospetto. Avevano gli occhi di tutta la ciurma puntati addosso, come se non stessero aspettando altro che quel momento. Poi d’un tratto, il volto del pirata si fece più fosco; fu come se avesse capito. Le prese una mano e gliela accarezzò piano. «Sei pronta a partire con noi, vero?» Colta dal panico Eve non gli rispose e si morse le labbra, dando a Croix la conferma che tanto temeva. A dispetto di quello che credeva significasse la sua presenza al molo, non aveva ancora scelto se partire o meno con loro. Il pirata

sentì il proprio stomaco contrarsi, una rabbia indescrivibile montargli dentro. Nonostante questo, però, si sforzò di restare calmo e di non dare a vedere quanto fosse rimasto turbato da ciò che aveva intuito. Eve era lì, si disse, al resto avrebbe potuto pensare più tardi. Attirandola a sé la distrasse mentre Sven, avvicinatosi di soppiatto ad un paio di guardie di ronda, le uccideva senza pietà gettando poi i loro corpi in acqua. Con un cenno il capitano chiamò a sé gli altri componenti della ciurma, poi prese per mano Eve e la portò nuovamente e definitivamente a bordo della sua nave. Come se il loro fosse un piano previsto da anni di esercitazioni, ogni membro andò al proprio posto e iniziarono a predisporre la Eve per la partenza, sempre nel silenzio e nel buio della notte. Un marinaio liberò le vele, un altro sciolse le cime forse anche un po’ prima del tempo, ma quella sera nell’aria aleggiava una particolare fretta, forse per questo Eve si accorse solo dopo un po’ che l’equipaggio della nave non era al completo come al solito e che c’erano alcune facce nuove. «Dove sono Hasan e McDowen?» Chiese allora a Croix. Lui le rispose senza voltarsi, mentre continuava a guardarsi intorno. «Sono a prendere la nostra nave di conserva.» Eve lo guardò senza capire. Aveva sempre visto la nave di Croix viaggiare sola e ad equipaggio ridotto. Chartre era stato l'unico ad affiancarsi alla piccola caracca, ma Malta era molto distante e comunque dubitava del fatto che il Cavaliere Ospitaliero avrebbe mai potuto schierarsi a favore di alcuni prigionieri in fuga. All'improvviso sentì le assi sotto ai propri piedi oscillare. Per non cadere, si aggrappò alla giacca di Croix. Prima che potesse realizzare quello che era accaduto, si ritrovò con un braccio del capitano stretto intorno alla vita nell'atto di sorreggerla. Arrossì appena, mentre l’imponente fiancata della Vittoria scorreva lenta al loro fianco, gettando un'ombra sinistra sul ponte. Tutti trattennero il respiro per qualche istante. Poi, non appena furono in mare aperto, Eve sentì il corpo di Croix rilassarsi impercettibilmente e incamerare nuova aria. Erano finalmente liberi. Il cielo davanti a loro iniziò a schiarirsi. L’amaranto che precedeva l’alba colorò di un rosa intenso il volto di Eva, la polena della nave, donandole una nuova

vita. Alzando il viso, Eve notò che anche Croix stava sorridendo sereno, padrone della stessa libertà che lei stessa cominciava a sentire dentro di sé e a cui ora, al pari di ciascuno degli uomini che la circondavano, non avrebbe più saputo rinunciare. L'abbraccio in cui il capitano la teneva stretta non accennò a sciogliersi, tuttavia non si sentiva costretta o prigioniera, così sorrise a propria volta con il volto teso verso l'orizzonte e un ultimo pensiero a Roma e a suo padre. Con un groppo in gola si pentì di non avergli lasciato nemmeno una lettera d’addio. Anche se aveva commesso diversi errori, aveva sempre agito in modo da farle avere una vita agiata e sicura. Si chiese se sarebbe mai riuscito a rivederlo, e in quel caso, se lui sarebbe mai stato capace di comprendere i motivi che erano alla base della sua fuga. In ogni modo, considerò mentre la sua espressione si faceva sempre più cupa, non le avrebbe mai più permesso di fare ritorno nel luogo in cui era cresciuta e non l’avrebbe mai più considerata sua figlia. Deglutì, mentre la sensazione di trovarsi dispersa in mare aperto diveniva sempre più forte. Quale che fosse il destino che l’attendeva, ormai non poteva più voltarsi indietro. Era talmente presa dai pensieri che non si accorse che Croix si era voltato a guardarla e che, nel vedere i suoi occhi piegati verso il basso, aveva smesso di sorridere. Sin dalla sera in cui lui e Hasan si erano parlati chiaramente, Croix non era stato in grado di capire se fosse giusto o meno portare via ad Eve il futuro che meritava. La sua condizione di fuggitivo e il cappio che pendeva su tutti i suoi uomini l'avevano costretto ad agire in fretta e a non lasciare spazio ai ripensamenti. Ora che erano tutti al sicuro, però, non poteva più raccontarsi alcuna storia ed era giunto il momento di capire cosa Eve desiderasse davvero. Sospirò profondamente, emettendo un suono molto più simile a un gorgoglio del mare che a un respiro umano, poi la prese per un braccio e la obbligò a guardarlo. «Te lo chiederò una volta sola, Eve. Non avrai altre occasioni.» Fu duro, mentre le sue dita le stringevano la pelle e di suoi occhi le scrutavano l’anima alla ricerca della verità. «Vuoi o non vuoi venire con noi?» Seppure colpita dallo sguardo severo di Croix, la giovane si sforzò di non abbassare il capo. L'incontro con il pirata l’aveva cambiata, tanto da impedirle di riconoscersi nella Evelina di un tempo, che certamente non avrebbe tremato un

solo istante davanti ad un tono di voce più aspro del solito. Tuttavia adesso si era come risvegliato qualcosa dentro di lei; qualcosa che la faceva sospirare se Croix la stringeva più del dovuto, che la faceva trasalire se lui l'attaccava con durezza e che le faceva tremare le gambe se lui le sorrideva. Si sforzò di riprendere fiato e di riordinare i pensieri. Si conosceva bene. Se non avesse voluto partire con loro, non lo avrebbe mai fatto. La ragione le aveva fornito più di una scusa per evitare di cacciarsi in quella situazione, eppure la verità era che in quello stesso istante, per quanto sconveniente, si trovava esattamente dove voleva: tra le braccia di Croix, a bordo della sua nave e a molti metri da Roma. Cercò le parole per esprimersi senza esporsi. Forse esitò un istante di troppo, tanto che ad un tratto sentì il pirata sussultare stizzito e muoversi con l'intento di allontanarsi da lei. Eve aprì la bocca per spiegarsi, ma prima che potesse farlo il boato di un cannone lo obbligò a voltarsi verso la sorgente di quel suono. Un fischio precedette lo schianto di una palla direttamente sulla loro scia. Una miriade di spruzzi gelati le annebbiarono la vista, obbligando Croix a serrare la presa sulle sue braccia e ad imprecare duramente. Chillemi era stato più veloce di quel che credeva. Scoperta l'assenza della figlia aveva subito capito cos’era accaduto e aveva preso la via del mare. Alle loro spalle l'imponente sagoma della Vittoria guadagnava terreno. Il vento era fievole; troppo perché la Eve potesse sfruttare la propria agilità. Inoltre, se c'era una cosa di cui era certo, era che in quell’occasione l'ammiraglio Chillemi non si sarebbe fermato fino a che non li avesse visti abissarsi in mare. Tutti. Un secondo colpo sfiorò la fiancata della caracca. Eve gridò per il suono assordante che le era rimbombato nelle orecchie lasciandole addosso uno strano ronzio. Suo padre doveva essere veramente furioso, non soltanto perché non le era mai capitato di vederlo radunare gli uomini a lui fedeli in piena notte, ma anche perché sentì la Vittoria dare voce a ciascuno dei suoi cannoni. La galea si contrasse appena di lato, poi partì la prima serie di bordate. Moore gridò, intimorito dalla furia dell'attacco. «Capitano! Un altro attacco così e coleremo a picco...» Croix però, anziché osservare i movimenti della Vittoria e preparare una strategia, si limitò a guardare a babordo, come se stesse aspettando qualcosa. Aveva i nervi a fior di pelle. Anche lui, come tutti, aveva capito. Se la situazione

non fosse cambiata in fretta la Eve avrebbe ceduto; era solo questione di tempo. Con la Vittoria che procedeva a pieno ritmo la lotta tra di loro sarebbe stata decisamente impari. Ci fu qualche istante di silenzio, poi la galea si ripiegò dal lato opposto della precedente manovra e si preparò alla seconda bordata. Moore si nascose quasi dietro al timone. Nel tentativo di salvare il salvabile e di esporre la nave il meno possibile virò bruscamente. Il ponte si inclinò. Eve si sentì trascinare verso il mare, ma Croix fu svelto e l’attirò a sé, stringendola forte. Se doveva finire tutto, egoisticamente voleva averla accanto. Il suono della seconda bordata squarciò il silenzio dell’alba come l’improvvisa caduta di un fulmine in terra. Accese il mare sotto alle bocche dei cannoni dei colori del fuoco. Una nube di fumo avvolse per un istante l’imponente fiancata della Vittoria, ma, miracolosamente, i suoi colpi non arrivarono fino alla Eve e si persero in un tratto di mare poco distante. Il bersaglio della Vittoria era vicino, visibile. L'ammiraglio Chillemi non era uomo da sbagliare un attacco, di conseguenza l’errore non poteva essere casuale. Croix attese con il cuore in gola che la nube di fumo si diradasse. Affinò lo sguardo e scorse per primo la sagoma di un’altra nave vicino alla Vittoria. Si trattava di una imbarcazione molto più piccola, ma velocissima. Con la luce del sole che nasceva il suo scafo appariva rosso come il sangue, mentre la scritta che si ergeva sulla fiancata era una vera e propria colata d’oro fuso. L’equipaggio vociò d’approvazione e fu allora che Eve capì. A salvarli non era intervenuta una nave qualsiasi. La Sancta Spes era accanto alla Vittoria; le girava intorno con una tale velocità da farle dubitare che non ci fossero fili a collegare le due imbarcazioni. Era stato il suo arrivo improvviso a far compiere al timoniere della Vittoria una variazione inaspettata di rotta, provocando la diversa inclinazione dei un cannoni che aveva salvato la Eve. «Supremazia navale» sussurrò Croix affascinato dal modo che aveva di muoversi in mare lo sloop che aveva tanto denigrato. Sorrise, leccandosi le labbra. «Vedrai, ammiraglio, quanto poco ti piacerà il suono di questa parola da ora in poi.»

*

Al timone della Sancta Spes, Hasan si sentiva esaltato come non accadeva da tempo. Governarla era un piacere: non era soltanto veloce in presenza di pochissimo vento, ma se il suo intuito non lo ingannava doveva anche nascondere diverse sorprese… Gridando, fece muovere la manciata di uomini che aveva a disposizione. Alcuni di loro corsero sottocoperta, altri cominciarono a tendere corde che parevano molto più spesse delle normali sartie di bordo. Poco dopo, dai fianchi della Sancta Spes si spiegarono come ali due affilatissimi rostri. Erano così sottili da tagliare a metà la luce del sole, resistenti al punto da spezzare il legno o qualcosa di ancora più duro. Era il metallo contenuto in quelle lame a conferire al piccolo sloop la straordinaria stabilità che aveva sull’acqua; il suo scafo ad ali di gabbiano a dargli la velocità nelle manovre che le occorreva. Era per questo che si muoveva in un maniera che nessuno aveva mai visto, quasi fosse stato collegato all'acqua su cui si inclinava di continuo con dei fili invisibili. Senza perdersi d'animo Chillemi tentò di organizzare una contromossa prima del successivo attacco, anche se conosceva la Sancta Spes, poiché aveva contribuito a progettarla, e quindi aveva più di ogni altro motivo di temerla. Si trattava di una imbarcazione colma di segreti e praticamente priva di punti deboli, adatta ad affrontare in battaglia qualsiasi tipo di avversario. L'ammiraglio sfoderò la propria spada, preparandosi a dare fuoco ai cannoni. Piuttosto che vedere la propria creatura in mano ai pirati, era disposto ad affondarla. Poco dopo diede l'ordine di attacco. La Vittoria rigettò dalle sue bocche la terza bordata, ma ancora una volta l’offensiva non andò a segno. Hasan era uno dei migliori timonieri. Evitò tutti i colpi e, nel farlo, si avvicinò alla Vittoria tanto da saggiare la consistenza del suo grosso scafo con le punte delle lame. Il legno di cui era fatta risultò più massiccio del previsto, ma il suo intento non era certamente quello di sfigurarle il fianco. Lui voleva di più. Voleva tagliare le corde che collegavano il timone alla barra direzionale per impedire alla galea di navigare al loro inseguimento. Hasan dunque impugnò saldamente il timone. Attese che la Sancta Spes scivolasse agile lungo il fianco scoperto dell'imponente Vittoria, così veloce da non darle il tempo di reagire. Poi, giunto quasi al termine della fiancata di babordo, virò bruscamente. Deciso a non perdere il controllo sorresse il timone

con tutta la forza di cui era capace, facendo leva sulle gambe con tutto il corpo. I muscoli si tesero, affiorando sulla sua pelle scura. Lo sloop si piegò da un lato. Le lame si inabissarono all’improvviso e il ponte fu sommerso dalle onde che la Vittoria sollevava in scia. Dall’alto della coffa, McDowen avvertì più di tutti l'azzardo della mossa di Hasan, tanto che per non cadere in mare si ritrovò ad aggrapparsi al legno con tutta la forza di cui disponeva. La Sancta Spes si inclinò tanto che gli parve di vedere saettare a poco spazio dal proprio naso la poppa della Vittoria, rischiando quasi di poterla sfiorare con le mani. Poi, pian piano, lo sloop si stabilizzò e fu il turno della Vittoria iniziare a girare su se stessa, sconvolta dalla colluttazione e ormai priva di controllo. A bordo della Eve i marinai vociarono d’approvazione, curandosi di far avvertire i loro alti toni di gioia fino sul ponte della Vittoria, su cui persino l’ammiraglio Chillemi aveva perso l’equilibrio ed era caduto a terra. E proprio lui, rialzandosi, non volle arrendersi, ma intimò agli uomini di ricaricare i cannoni. Fu testardo e orgoglioso, volle lo stesso dare l’ordine, anche se sapeva che neanche un’altra bordata avrebbe cambiato qualcosa. Aveva perso il timone. La sua nave era alla deriva, priva di controllo e ormai inservibile. La battaglia era finita e lui era stato nuovamente sconfitto. Infine si era ritrovato a guardare la nave che aveva progettato con tanta attenzione allontanarsi per fare da conserva ad una delle più piccole e insulse imbarcazioni che avesse mai incontrato. Una caracca del tutto comune, senza nemmeno tanti cannoni ad ornarle il fianco, che però in già due occasioni l’aveva deliberatamente umiliato e che ora si stava allontanando verso l’orizzonte con a bordo sua figlia, sangue del suo sangue. Chillemi ingoiò la rabbia, ingoiò l’orgoglio, ma volle lo stesso rivolgere lo sguardo verso la poppa lontana della Eve, dove il capitano pirata che aveva commesso l’errore di non uccidere quando ne aveva avuto l’occasione ora gli stava sorridendo beffardo, con il volto scoperto così da consentirgli di non dimenticarlo mai. Al fianco di Croix, Eve guardava il ponte della Vittoria incerta, con le mani tremanti e il viso sconvolto. Aveva pensato ad una fuga, non ad un battaglia navale contro suo padre. Di nuovo, si ritrovò a pensare che era troppo tardi per tornare indietro; che l’ammiraglio non l’avrebbe mai perdonata per quello che stava facendo. All’improvviso le mancò l’aria. Ebbe la sensazione di essere divenuta il centro di tutto e di non essere pronta per questo. Suo padre la

guardava. Croix attendeva alle sue spalle, mentre il mare si apriva libero a perdita d’occhio. Questa volta, però, era inutile chiedersi quale fosse la strada migliore, poiché in realtà se n’era lasciata aperta una soltanto, o almeno così credeva. Chiuse gli occhi, tentando di respirare. Poi, quando tutto ormai le sembrava perduto, udì la voce di Croix parlarle direttamente al cuore. «Se è quello che desideri, calerò una scialuppa e ti lascerò tornare indietro, da tuo padre.» Impiegò qualche istante a dare un senso alle sue parole. Croix era dietro di lei. Non la stava stringendo come aveva fatto fino a poco prima e non la stava obbligando in alcun modo a restare, anzi, le stava offrendo la possibilità di ricominciare tutto da capo e di tornare alla sicurezza della vita che conosceva già. Un senso di soffocamento la pervase, mentre il pirata riprendeva a parlarle. «Dirai loro che ti ho rapito e liberato quando ero ormai certo che non mi avrebbero più inseguito. Tornerai alla tua vita, all'uomo che ti aspetta e che saprà darti qualsiasi cosa desideri. Una casa, una famiglia, una vita agiata...» Mentre parlava, il capitano della Eve sentiva un dolore fortissimo al centro del petto. Non voleva che lei se ne andasse, ma non voleva neanche che restasse perché non aveva altra scelta. Voleva essere lui, la sua scelta. Voleva essere lui, il suo futuro. E pretendeva che non se ne pentisse mai. Vide la ragazza portarsi una mano sul cuore e prepararsi a dire quello che era certo non avrebbe mai voluto sentire. Chiuse a propria volta gli occhi, concentrandosi sul vento che gli soffiava sul viso, così come aveva fatto il giorno che aveva scelto la vita e la vendetta al posto della morte e dell’oblio. «Io avevo già tutto quello che dici» cominciò piano, con voce soffusa. «Lo avevo prima di andarmene, però non era quello che volevo.» Fu come se il vento si fosse alzato all’improvviso. Il pirata aprì gli occhi e guardò Eve come non aveva mai fatto prima di allora. «Perché anche tu vuoi di più, vero?» Osò chiederle sperando di non avere capito male, ovvero che anche lei, come lui, non fosse in grado di vivere di limiti o di momentanei appagamenti; che anche lei volesse tutto dalla vita e fosse disposta ad inseguirlo con la stessa caparbietà con cui aveva ricercato la libertà mentre era sua prigioniera.

Eve si voltò verso di lui e sollevò appena il mento, assumendo l'espressione altezzosa che le aveva scorto in viso la prima volta che si erano incontrati. La sincerità di Croix le aveva toccato il cuore, così come l’offerta che le aveva fatto di calare una scialuppa e consentirle di avere il futuro che più desiderava. Per come lo aveva sempre visto – un uomo egoista, un farabutto e un brigante – non credeva che sarebbe mai potuto arrivare a proporle qualcosa del genere, eppure, a quanto pareva, lei non era stata l’unica a cambiare da quando la Eve aveva assaltato l’Arcadia. Sentì qualcosa di caldo e di profondo sciogliersi al centro del proprio petto e obbligarla ad essere sincera a propria volta con se stessa. Il soffio lieve del vento le accarezzava il viso. Era piacevole quasi quanto il mare che si distendeva davanti ai suoi occhi, eppure, se ci pensava bene, c’era qualcosa che desiderava ancora di più di tutte quelle meraviglie. Infilò una mano in tasca e sfiorò la vera d’oro che Croix le aveva infilato al dito. Lo guardò negli occhi, poiché quello era l’unico modo che conosceva per capire se le stava mentendo. «Io voglio tutto, capitano» affermò sollevando l’anello tra i loro visi. Il suo sguardo si fece determinato, sicuro. Il tempo dei dubbi era finito; ora era il momento di prendersi ciò che voleva. «E lo otterrò, puoi starne certo. Se ho rinunciato a tanto, non è per accontentarmi delle briciole, ma per avere molto di più.» Questa, pensò Croix soddisfatto, è la mia Eve. Ricambiò il sorriso della ragazza con complicità, incapace di non pensare che in realtà fosse una tremenda strega perché lo aveva incastrato come il più cretino degli uomini. Era salita a bordo della sua nave da prigioniera, aveva trovato il modo di divenire libera e successivamente di prendere possesso del proprio destino. Un brivido lungo e intenso gli attraversò il corpo, mentre la raggiungeva e finalmente le infilava al dito l’anello che simboleggiava il patto che c’era tra di loro. Nessun prete avrebbe mai acconsentito al loro matrimonio o consacrato la loro unione. Nessun Dio lo avrebbe mai riconosciuto, giacché le mani di Croix erano troppo sporche di sangue perché potesse entrare in una chiesa senza bruciarsi, ma in fondo, forse, a nessuno dei due importava davvero che altri scrivessero su un pezzo di carta cos’erano l’uno nei confronti dell’altro. «Sarai sempre sincero con me?» Gli domandò Eve mettendolo alla prova. Croix le sorrise astuto.

«Un infame pirata ha una sola parola, madame.» Sapeva che era la risposta sbagliata e che l’avrebbe fatta infuriare, ma in fondo era anche ciò che Eve meritava. Lo aveva messo in trappola e poi, ad onore del vero, non c’era nulla che lo eccitasse di più dello sguardo truce di una donna pronta ad affrontarlo. Ignara dei pensieri che gli occupavano la mente, la giovane si avvicinò a lui e gli puntò un dito sul petto, là dove la camicia di Croix si apriva leggermente mostrando il torace magro, ma solido. «Non credere che mi farò mettere sotto da te.» Senza darle alcun preavviso Croix l’attirò a sé e la strinse forte. «Oh, io sono pronto a scommettere il contrario…» La baciò prima che potesse dire qualsiasi altra cosa; prima che potesse tentare qualche trucco per sfuggirgli di nuovo o per lasciarlo a bocca asciutta dopo che il pensiero di quello che avrebbe voluto farle l’aveva turbato al punto da spingerlo a sognarla nell’unico modo in cui avrebbe voluto vederla. Nuda. E imbavagliata. Nel bel mezzo del momento tanto desiderato, però, la voce di Moore giunse a disturbarli, concedendo loro un istante di fiato. «Capitano, dove ci dirigiamo?» Croix inclinò la testa all’indietro, poi sospirò pesantemente. «Tu cosa proponi, Moore?» Chiese mentre gli lanciava uno sguardo obliquo con il viso ancora premuto su quello di Eve, determinato a riprendere il prima possibile da dove si era interrotto. Abel il nero si intromise nella discussione, ciondolando sul ponte con andatura instabile. «In prigione ho sentito parlare di un tesoro ad Oak Island, nemmeno tanto distante da noi e sulle tracce delle rotte dei mercantili spagnoli più ricchi.» Croix si fece riflessivo per un istante, poi sorrise con aria furba. «Mi pare una buona idea, forse è il caso di abbandonare per un po’ le acque del

Mediterraneo e la ricerca di un bel tesoro è proprio quello che ci vuole. Moore, facciamo rotta Sud-Est, verso Gibilterra!» Il timoniere si preparò alla vira mentre la nuova vedetta alzava le bandiere di segnalazione per comunicare con la Sancta Spes. Dalla coffa dello sloop rosso McDowen intercettò il messaggio e lo ò a Hasan, che guidava con orgoglio il piccolo gioiello che avevano portato via dai cantieri navali del Vaticano. Un istante dopo entrambe le navi stavano seguendo la stessa rotta, alla volta di Gibilterra. Dietro di loro le terre di Roma, le sue croci e i suoi campanili si stavano pian piano allontanando. Ora padroneggiava soltanto una scia libera di navigazione, con l’acqua resa più azzurra dal movimento congiunto creato dalla Eve e dalla Sancta Spes. Ma a ben guardare, anche se era poco che veleggiavano congiunte sotto la stessa bandiera, qualcosa nelle due navi era già cambiato. Nonostante la navigazione in atto un marinaio si era sporto dalla balaustra dello sloop rosso per cancellare la scritta in oro “Sancta” e ora, sotto alcuni graffi di pece nera, sulla fiancata era visibile una parola soltanto: “Spes”.

Speranza.

*

FINE

BIBLIOGRAFIA

D. H. Childress, La flotta perduta dei Templari. L’origine dei pirati e la battaglia navale segreta contro il Vaticano, Milano, Newton & Compton editori s.r.l., 2004.

D. Cordingly, Storia della pirateria, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2003.

RINGRAZIAMENTI

Non amo i ringraziamenti, poiché so per certo che dimentico sempre qualcuno. Tuttavia, se “La Chiave d’Oro” ha visto la luce, il merito non è soltanto mio ed è giusto sottolinearlo.

Grazie a mio marito, ispiratore silente di molti dei miei personaggi. A lui devo il tempo che ho dedicato a questa storia, il coraggio che mi è servito per pubblicarla e la splendida copertina che la precede.

Grazie agli amici, vicini e lontani, che in questi anni mi hanno sempre incoraggiato e sostenuto; che mi hanno corretto quando era il caso e che hanno sempre creduto nella mia fantasia.

Infine grazie a Leonardo e Aurora, i miei figli, perché senza di loro nessuno dei miei mondi sarebbe lo stesso.

Milano, 07 Gennaio 2015

ALTRE OPERE DELL’AUTORE

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L’Assassino, Racconto gratuito spin-off de “La Chiave d’Oro”.

Gerusalemme, 1313. Erano molti i nomi con cui era stato chiamato nel tempo. Guerriero. Pirata. Ladro. Infedele. Uno soltanto, però, era quello che gli sarebbe rimasto addosso per sempre… La storia di un uomo diviso, segnato nel corpo e nell'aspetto; in perenne lotta tra ciò che la propria religione gli impone di fare e ciò che sente essere giusto. La storia dei misteri nascosti tra i fumi di Alamut, e dell'unica donna capace di riportare la pace nel suo spirito inquieto.

Come Pioggia, Racconto Storico.

Messico, 1529. Lingua. Schiava. Amante. Nella sua vita, Malinche è stata molte cose da quando è stata donata a Hernàn Cortès. È stata "sua" in molti modi diversi, ma non ha mai smesso di credere che un

giorno o l'altro lui avrebbe davvero potuto liberarla, così come le ha promesso una notte lontana, nella sua tenda, alla tiepida luce delle candele. Cortès, però, non è un uomo come tutti gli altri. Le ombre che si porta appresso sono tante e così oscure da impedirgli di poter fare del bene incondizionato a qualcuno. Il rapporto che li lega è violento e straziante, ma anche puro e delicato come la pioggia che nutre una terra troppo a lungo intrisa di sangue.

In una Parola, Romanzo Fantasy.

“Nella sua voce Tira aveva un potere raro e pericoloso. Quello di uccidere un uomo… e quello di salvarlo.”

Una fiaba oscura, nascosta tra le pieghe del deserto, capace di legare insieme due anime diverse ed al contempo uguali. Là dove le cupole d’oro si innalzano al cielo e le mura bianche dividono gli uomini dai pericoli che si annidano tra le dune, la principessa di C’zahr offre a uno schiavo la possibilità di realizzare qualsiasi suo desiderio, anche il più inconfessabile… Con una parola.

INDICE

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LA CHIAVE D’ORO

CAPITOLO I CAPITOLO II CAPITOLO III CAPITOLO IV CAPITOLO V CAPITOLO VI CAPITOLO VII CAPITOLO VIII CAPITOLO IX CAPITOLO X CAPITOLO XI CAPITOLO XII CAPITOLO XIII CAPITOLO XIV

CAPITOLO XV CAPITOLO XVI CAPITOLO XVII

BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI ALTRE OPERE DELL’AUTORE