MARIA TERESA VERONESI
UN DINOSAURO IN GIARDINO
Elison Publishing
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Elison Publishing Via Milano 44 73051 Novoli (LE) ISBN 9788869630156
Indice
Antefatto I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV
Antefatto
Tremiti, fremiti, scuotimenti… Sembrava che tutto il castello e il mondo intorno ad esso ondeggiassero e scricchiolassero in balia di un uragano. I visitatori, immersi in quell’atmosfera da incubo, partecipavano in modi differenti all’avvenimento: chi (in maggioranza bambini) si divertiva come di fronte a un gioco insolito ed eccitante, chi invece inalberava un’espressione di indifferente distacco e superiorità, dalla quale però ben trasparivano un disagio e un timore appena appena mascherati. Poi… la simulazione finì, e i visitatori uscirono dalla sala del castello per ritrovarsi felici di fronte al magnifico spettacolo che sempre accoglie e abbraccia chi si trova in alto sul maniero; come dalla prua di una nave che solca un oceano fantastico. No, il terremoto non c’era stato, il sole continuava a illuminare il cielo e il mare che si fondevano in un azzurro senza fine. Tra tutti quei tremiti… fremiti… scuotimenti… nessuno aveva potuto notare un leggero scricchiolio, un rumore diverso dagli altri abituali del terremoto simulato. Nessuno poteva immaginare che cosa sarebbe accaduto.
I
Ciuffo
L’avevano trovato, legato a un albero, subito prima della galleria, nella strada che domina Lerici e conduce alla valle del Magra. Se ne stava lì accucciato – il musetto triste chiuso tra le zampine – e sembrava attendere pazientemente fiducioso il ritorno dei suoi padroni. Sarebbero venuti, sarebbero senz’altro venuti presto a riprenderlo; e lui, come al solito, li avrebbe accolti con un monte di salti, uggiolii, latrati… e leccate affettuose ovunque gli fosse concesso. Ma molte ore erano trascorse e i suoi cari, tanto amati padroni, non erano ancora tornati; e lui rimaneva lì, sempre nella stessa posizione di attesa, uggiolando piano piano per la tristezza, per la fame, e per il freddo della sera che incominciava a farsi sentire e gli scendeva fino al cuore. Poi, un uomo di aggio, dopo tanti che avevano fatto finta di non vederlo, si era fermato e l’aveva raccolto. Se l’era preso in braccio e l’aveva portato via, tutto tremante e un po’ riottoso (no, non voleva, non poteva abbandonare il posto dove i padroni l’avevano lasciato!) fino in paese. Scendendo lungo la bella strada fiorita che accompagna al mare, con il cucciolo acciambellato tra le braccia che respirava lievemente – un fagottino morbido e tiepido – l’uomo rifletteva borbottando tra sé e sé: “Ma come è possibile? Come si può essere così crudeli? Abbandonare una creatura indifesa! E lui adesso che cosa ne avrebbe fatto di quel tenero cagnolino che gli si affidava fiducioso? Lasciarlo al canile no davvero! Li aveva visti, una volta, quei poveri animali che sporgevano il muso attraverso la rete per mendicare una carezza! No, non se la sentiva proprio. D’altronde, portarselo a casa non poteva; sua moglie era una brava donna ma era una di quelle che non rinunzierebbero mai al loro impeccabile ordine in cambio dell’affetto di un cane. (Gli animali sporcano – gli diceva sempre con un tono un po’ militaresco – poi toccherebbe a me pulire tutto.) No, no, neanche pensarci.”
E allora che cosa fare? Mentre l’uomo così rifletteva il cucciolo continuava a stargli tranquillo sul petto e, come a voler stabilire un contatto sempre più stretto, lo annusava delicatamente e gli leccava il collo con la piccola rosea linguetta. “Lo so che non sei il mio padrone – sembrava volergli dire – ricordo bene il suo odore e le sue braccia; ma hai lo stesso buon calore di essere umano e ti stai prendendo cura di me.” Così diceva il piccolo cane al Grande Uomo e lo guardava con i suoi limpidi occhi innocenti. Ed ecco che i due erano giunti vicino alla piazza del Comune, davanti a un locale – un semplice vecchio circolo di paese – dove l’uomo spesso si recava a trascorrere la serata, tra una partita a carte e un’animata discussione di politica. Alcuni suoi amici che si trovavano lì, fermi sulla porta a chiacchierare, gli si fecero intorno curiosi e partecipi, parlando tutti insieme: “Toh, un cagnolino! Dove l’hai preso? Trovato? Abbandonato sulla strada? Che delinquenti! Sono proprio senza cuore! E adesso? Dove lo porti?” E poi, sentendosi sempre più coinvolti nella vicenda: “Come si fa? Non possiamo mica lasciarlo lì! Bisogna organizzare qualcosa.” Frastornato da tutte quelle voci, e carezze, e maldestri tentativi di prenderlo in braccio, il cucciolo agitava freneticamente la piccola coda ed emetteva timide incerte “brutte copie” di abbai (voleva partecipare, voleva partecipare anche lui alla festa…) che gli attiravano sempre più le simpatie dei presenti. In breve si formò un capannello – c’era persino, a sdilinquirsi di tenerezza, una vigilessa notoriamente molto arcigna – e fu deciso all’unanimità che un cagnolino così piccolo bello affettuoso e intelligente… non poteva essere nuovamente abbandonato. Ebbene, sarebbe stato adottato dal paese. DAL PAESE?! Sì, avete capito bene, dal paese: tutti gli abitanti (o quasi) si sarebbero presi cura di lui diventandone i nuovi proprietari. Povero piccolo! In realtà Ciuffo – cosi fu stabilito di chiamarlo a causa di un graziosissimo ciuffetto di peli che quasi gli copriva gli occhi – non rimase a lungo così piccolo ma si trasformò ben presto in un bellissimo grosso terranova (o qualcosa di molto simile) che… mangiava come un lupo. Qualcuno gli sistemò una vecchia cuccia in un angolo di un suo terreno, qualche
altro gliela “arredò” con vecchi indumenti per tenerla calda, altri provvidero alle ciotole per la pappa e a un bel collare con su scritto: CIUFFO-CITTÀ DI LERICI. E cosi il terranova (o qualcosa di molto simile) incominciò la sua vita nella cittadina in riva al mare. Al mattino si faceva trovare davanti al portone delle scuole elementari dove i suoi più cari amici – appunto i piccoli alunni – lo festeggiavano prima di entrare in classe e gli allungavano, mentre le mamme facevano finta di non vedere, qualche pezzetto delle loro merendine. Lui si fermava lì vigile, controllava che tutti fossero entrati, e quando era ben certo che si trovassero al sicuro tra le pareti scolastiche, incominciava i suoi giretti quotidiani. Tanto, a mezzogiorno, più puntuale dell’orologio del Comune, si sarebbe fatto ritrovare davanti al portone della scuola. Dapprima gironzolava per i giardini dove intrecciava interessanti conversazioni con vari amici di razza canina, poi percorreva tutto il molo rispondendo con liquidi messaggi alle comunicazione lasciate da altri rappresentanti della sua specie. (Le “cose” grosse no, quelle aveva imparato a occultarle bene in angolini nascosti, perché aveva capito che certi Umani sono molto razzisti in fatto di pulizia: guardano con indifferenza cartacce, vetri, sacchetti vuoti di patatine sigarette croccantini, perfino siringhe, ma… se vedono una cacca di cane vengono presi da improvviso disgusto). Poi, seguendo i fili odorosi che giungevano invitanti al suo naso da segugio, andava a far visita a certi ristoranti – no, non quelli con la raggelante scritta “io qui non posso entrare” – dove c’erano sempre anime buone pronte ad allungargli un osso di bistecca o qualche altra meravigliosa leccornia. Nel pomeriggio ritornava ai giardini per giocare con i suoi piccoli amici, finalmente in libera uscita dopo aver fatto i compiti e infine, quando questi rincasavano, si dirigeva o o verso la strada in alto, la strada che domina il mare. Sì, perché non c’era sera che Ciuffo non si recasse nel punto preciso nel quale i suoi padroni l’avevano lasciato; e lì aspettava per ore, fino a che il freddo della notte e quello del suo cuore non lo vincevano. Allora si avviava sconsolato verso la sua cuccia, con lo sguardo pieno di tristezza, anzi di profondo dolore. Nemmeno quella sera i suoi padroni, i suoi adorati padroni, erano venuti a riprenderlo.
Così trascorreva la vita di Ciuffo, il bel terranova dal morbido manto nero, tra i suoi amici grandi e piccoli; una vita tranquilla, nella quale non mancavano né la pappa né la cuccia né le carezze. Ma ciononostante sempre oscurata da un’ombra, un’ombra che ben traspariva nei suoi profondi occhi di velluto, un’ombra di malinconia e di rimpianto per il ricordo dell’affetto perduto. Un ricordo che ancora lo faceva sentire orfano, orfano e straniero.
II
Salek
Un corpicino snello e agile, un visetto dai lineamenti delicati illuminato dagli occhi nerissimi e brillanti come lampi di luce scura, un caschetto di corti riccioli sulla piccola testa rotonda. Questo era Salek, un bimbo nato nella grande terra africana, a sud del Sahara. Aveva perso tutta la sua famiglia in una delle inutili stupide guerre che sconvolgono il mondo, ed era stato adottato da una coppia del paese, priva di figli ma con tanto amore da donare. Salek viveva sereno nella sua nuova patria: i genitori lo adoravano, i compagni gli insegnanti i concittadini, tutti gli mostravano affetto e simpatia. La cittadina era molto bella, la casa accogliente con mille comodità e oggetti che mai avrebbe sognato di poter possedere (quante meraviglie in questo nuovo mondo! Acqua che sgorga a comando, luce che illumina anche quando il sole tramonta, cibo ogni volta che si ha fame…). Tutto per essere felice. Si era anche abituato ai ritmi della vita dei bianchi; al continuo zigzagare tra auto biciclette motorini pullman… in un altrettanto continuo “sfondo musicale” di clacson camli brusche frenate… che a volte gli faceva girare la testa. Eppure negli occhi di Salek si vedeva spesso una strana luce; come il ricordo di un ato lontano, o il desiderio di qualcosa che non poteva avere. Forse era l’eredità lasciatagli da antenati nomadi, abituati agli spazi infiniti del deserto, forse quella di qualche antico sciamano immerso nel suo mondo di magia. Fatto sta che Salek era un bambino un po’ diverso dagli altri: lui non amava giocare con i vari computer, play-station, o altri aggeggi moderni; lui preferiva isolarsi con un libro e far volare la fantasia dietro ai mondi che le parole scritte gli suggerivano. Mondi di sogno nei quali trovava tutto ciò che la sua mente poteva immaginare: foreste impenetrabili, deserti sconfinati, paesaggi preistorici… Lì, solo lì, si sentiva felice; non più solo, orfano e straniero.
Poi, un giorno, Salek si… scontrò con Ciuffo. Quel giorno, mentre usciva da scuola e, dopo aver salutato i compagni che scalpitavano come cavallini selvaggi verso il solito turbinio di macchine moto voci richiami, si dirigeva lentamente verso casa vide… IL CANE. Gli sguardi dei due s’incontrarono – nella loro luce proveniente da mondi così lontani – e si capirono immediatamente. “Bau… bau… bu…” scandì Ciuffo scodinzolando freneticamente; e quei suoni che all’orecchio di tutti erano solo degli abbai festosi parlarono chiaramente al piccolo straniero. “Sei tu… sei tu il mio nuovo padrone. Finalmente ti ho trovato.” Ma non solo i latrati dicevano questo; anche la coda che ondeggiava instancabilmente, e il corpo fremente di gioia, e persino le orecchie alzate a metà, parlavano un linguaggio di felicità e di amore a cui Salek rispose immediatamente. E furono uggiolii salti leccate, e carezze abbracci risa, in un intreccio di pelle scura e pelo nero arruffato, davanti agli occhi stupefatti di tutti. Si erano trovati… e non si lasciarono più. Ogni mattina Ciuffo si presentava puntualmente davanti alla casa di Salek e, dopo avergli saltellato intorno in una sua irrefrenabile danza di gioia – ti ho ritrovato… anche oggi ti ho ritrovato – lo scortava fino a scuola. Salutava, sì, salutava affettuosamente anche gli altri bambini, i suoi vecchi amici, ma si capiva benissimo che il suo unico amore il suo re il suo capo-branco, era quel piccolo bambino dalla pelle scura e dagli occhi luminosi. Poi, quando questo entrava in classe, vagabondava su e giù per i suoi abituali giri “cagneschi” per farsi ritrovare davanti al portone al primo suono sella camla. E via sulla strada del ritorno fino a casa, raccontandosi a vicenda gli avvenimenti della mattinata, in un dialogo fitto e senza soste. “Bau… bu... bu… bau bau” che per chi sapeva intendere significava: “Sai, ho rivisto quella cagnetta bianca e ricciolina; credo proprio di piacerle. E tu che cosa hai fatto? Sei stato interrogato? E come hai risposto? “Proprio come un fratello vigile e affettuoso; perché Ciuffo, che ormai avrà avuto più o meno un anno, con tutti i suoi salti giravolte abbai scodinzolamenti, voleva significare al mondo intero che adesso c’era lui vicino a Salek, c’era lui e guai a chi osava toccarlo.
Giunti a casa, il cane si infilava zitto zitto nella cameretta del piccolo (la cui mamma, avendo capito benissimo quale prezioso amico fosse il cucciolo per il suo bambino, faceva finta di non vedere) e si metteva tranquillamente in posizione di attesa. Acciambellato vicino alla scrivania, il musetto tra le zampe e le orecchie basse, aspettava in silenzio che Salek avesse terminato di mangiare, che gli portasse qualcosa di buono, e che si mettesse a fare i compiti. Solo qualche profondo sospiro, ogni tanto, e lo sguardo supplichevole, significavano chiaramente: “Allora? Hai finito? Quand’è che possiamo uscire?” Poi, quando da segnali che solo lui sapeva interpretare capiva che quelle ore di prigionia stavano per finire, eccolo che si scatenava nei suoi balzi di felicità. “Via, via, andiamo. Il sole splende e il mondo è nostro.” E partivano, i due valorosi, verso i loro sogni di avventura. I sentieri tra il verde diventavano foreste impenetrabili, le piccole spiagge solitarie isole inesplorate degne di Robinson Crusoe, con i lucidi pezzetti di ghiaia come brillanti preziosissimi. Mentre strane striature sulle rocce raccontavano di esseri preistorici, e le conchiglie più belle cantavano le loro storie di altre terre e altri mari… Quando, stanchi ma felici si fermavano a riposare, Salek apriva il fedele zainetto e ne faceva uscire – come un giocoliere – le sue meraviglie: la merenda preparata dalla mamma (una cosa per Salek e una per Ciuffo) e… l’ultimo libro che stava leggendo. Qualche volta il bambino, per gioco, faceva finta di dimenticare questo ormai solito rituale ma il cucciolo era molto abile, dopo aver fatto capire insistentemente e chiaramente che era l’ora del break, a infilare il musetto nello zaino tirandone fuori il sacchetto con le vettovaglie. Poi, a fine spuntino, dopo essersi leccato per l’ultima volta i baffi, prendeva in bocca il libro e lo metteva sulle ginocchia del suo padroncino significando in modo inequivocabile: “e adesso mi leggi qualcosa di bello. Dove eravamo rimasti?”. E che ascoltatore attento era! Acciambellato ai piedi di Salek, occhi e orecchi vigili, partecipava con tutto il suo essere alle storie narrate; e se qualche volta – complice il caldo, la stanchezza o il ronzio monotono di un moscone sopra il suo naso – gli capitava di addormentarsi, lo si vedeva muovere le zampe come se corresse dietro a chissà chi. Forse un principe-rospo, o il gatto e la volpe, o un baby dinosauro… Chissà… Questa fu la vita felice e spensierata dei due cuccioli fratelli fino a che…
III
Ciuffo, Salek e?
La giornata si preannunciava bellissima. Salek aveva deciso che quella splendida mattinata – la scuola era in vacanza – sembrava proprio l’ideale per un’avventura; un’avventura per lo meno… per lo meno… supersuperstraordinaria. “Esploreremo… – Ciuffo sei d’accordo? – esploreremo la scogliera dietro il castello.” (Il cane diede la sua entusiastica approvazione con salti e abbaiamenti a non finire.) E vai! L’immancabile zainetto in spalla, il berretto con la visiera rigorosamente sulla nuca, gli occhi già pieni d’immagini, il bambino partì per l’ennesima avventura a fianco dell’inseparabile fido compagno. Con o baldanzoso attraversarono la piazza che si stende sotto il bel campanile d’avorio e presero per la splendida dolce salita che porta alla rocca, tra balconi pieni di gerani e gatti che facevano le fusa al sole già tiepido. I quali gatti, pur apparentemente immobili e indifferenti, osservavano attentamente la mosse del grosso terranova pronti a balzar via al primo segnale di pericolo. (Sì, Ciuffo era conosciuto come un bravo cane, ma non si sa mai…) In effetti il cucciolone avrebbe volentieri fatto qualche puntatina – così, per gioco – contro quei suoi nemici/amici, ma quella mattina aveva cose ben più importanti da fare che non la solita amichevole baruffa. Lui doveva andare in esplorazione; mica poteva perdere tempo in simili bambinate! Si limitò quindi a qualche significativo sordo ringhio di avvertimento (potrei ridurvi in polpette ma oggi HO BEN ALTRO DA FARE) e proseguì il cammino al fianco del suo Signore e Padrone. Nemmeno il concerto mattutino dei gabbiani che salutavano il giorno volteggiando in cerchio gioioso intorno alla torre riuscì, quella volta, a tentarlo. LUI AVEVA ALTRO DA FARE. Raggiunsero la sommità della rocca, dove da tanti secoli il castello fa la guardia
al suo mare, e iniziarono la discesa verso le piccole spiagge che occhieggiavano dal fondo. L’estate non era ancora arrivata e ancora le insenature potevano cullarsi nella loro perfetta solitudine. II mare, lucente come se qualcuno lo avesse cosparso di brillanti, accarezzava la rena con morbide onde orlate di schiuma mentre piccoli granchi correvano “a marcia indietro” e due cormorani ancheggiavano impettiti e indifferenti nella consueta eggiata mattutina. Scc… scc… mormoravano le mille bollicine iridescenti che si increspavano sulla battigia, scc… scc… Incurante di tanta serena bellezza Ciuffo ballava e saltava galvanizzato da una miriade di attrattive: insetti che ronzavano, odori inebrianti, e quelle piccole onde schiumose… si quelle piccole onde che sembravano sfidarlo a rincorrerle. “Questa è l’isola delle meraviglie!” annunziò Salek trionfante. “Qui ci sono stati Peter Pan, e Capitan Uncino, e Mowgli, e…” continuò seguendo con la mente tutte le sue più fantastiche letture. “Qui ci sono senz’altro tesori meravigliosi da scoprire. Vedrai, Ciuffo, vedrai!” “Bau… bau… certamente” assentì il cane; e intanto saltava abbaiava correva su e giù, ubriaco di libertà. A un tratto… si bloccò improvvisamente: la coda tesa, le orecchie in posizione di allerta, la zampa destra sollevata a mezz’aria, puntava deciso verso una piccola grotta – una spaccatura della roccia messa in evidenza da alcune grosse pietre franate. “Che cosa c’è, Ciuffo? Hai trovato un tesoro?” Il cane non diede il minimo segno di risposta: fermo, anzi immobile, osservava uno strano sasso dalla forma di un uovo – un grosso uovo grigio un po’ allungato – che in quel momento, in quel preciso momento, era illuminato da un raggio di sole eccezionalmente lucente che filtrava tra due nuvolette dorate. E da questo sasso straordinario usciva un suono ancora più straordinario, come un picchiettio delicato ma deciso. Ed ecco che, mentre Salek guardava incuriosito e Ciuffo si avvicinava guardingo annusando sospettoso… CRICK CRACK CRICK Il sasso si spaccò, proprio come un uovo, mettendo in luce
CHE COSA?!?!?!
IV
Assolutamente… INCREDIBILE
Era una creatura davvero inimmaginabile. Che diavolo era quella che si affacciava timidamente dai frammenti di quell’inverosimile sasso (o uovo che fosse) e guardava il mondo con occhi spauriti? Un pollo? Una lucertolona? Un cangurino? Era grande proprio come un pollo e come questo aveva due sole zampe ma…. al posto delle ali possedeva due corte “braccine” – come un canguro? – terminanti con lunghe dita fornite di unghioni; ricordava però anche una lucertola perché la sua pelle non aveva piume o peli ma era squamata come quella dei rettili. E che dire poi della strana coda? Grossa e robusta se ne stava un po’ sollevata orizzontalmente, come se dovesse bilanciare il peso del corpo. Cane e bambino, non si sa quale dei due più sbalordito, guardavano con gli occhi spalancati quell’essere straordinario che adesso emetteva dei flebili incomprensibili suoni, a metà tra il pigolio e il soffio. “Bii… bii…”; suoni che però parlavano chiaramente alla sensibilità del terranova, il quale tradusse immediatamente: “Mamma… mamma… il piccolo chiama la mamma. Ma… chi sarà mai la sua mamma? Non si capisce neanche che specie di animale sia lui!” Salek si era improvvisamente zittito; sembrava aver dimenticato tutta l’eccitazione e la smania d’avventura di pochi minuti prima e stava lì fermo, le sopracciglia corrugate e lo sguardo intento, come stupefatto lui stesso di quello che gli ava per la mente. “Non ci posso credere… non è possibile…” mormorò rivolto non solo a Ciuffo ma a tutto il mondo che lo circondava “ma questo è… io li ho visti nei miei libri… questo è… un dinosauro” terminò in un sussurro. “UN DINOSAURO?!” il cane fece un balzo indietro come se avesse visto il più gran megagatto dell’universo; lui non aveva dimestichezza con questi strani esseri ma ricordava bene quello che gli aveva letto Salek circa quella specie di animali, e ricordava ancora meglio le illustrazioni terrificanti di mostri enormi
pieni di denti artigli corni… e tutto quello che di più spaventoso ci può essere. Lui, un mite terranova il cui mestiere e quello di salvare i naufraghi… l’avrebbero mangiato in un boccone! “Prima di tutto questo mi sembra un dinosauro erbivoro – puntualizzò Salek – e poi non lo vedi che e un cucciolo?” “Beh, se è erbivoro – brontolò non del tutto convinto – e cucciolo… neanche il cane più feroce se la prende con i cuccioli…” Brr… brr… faceva il piccolo. “E adesso che cosa sta dicendo? Io non lo capisco.” “Non sta dicendo niente; trema soltanto perché ha freddo.” “E già. Certo che avrà freddo! Se è veramente un dinosauro, è abituato a ben altre temperature. E mica ha il sangue caldo come noi! Poverino! Come facciamo?” Era proprio un bel problema; ma Salek, con la fantasia che possedeva, trovò in breve una soluzione. Per lo meno d’emergenza. Tolse dallo zainetto la felpa che la mamma gli aveva imposto (non si sa mai – aveva raccomandato come al solito – a volte sei tutto sudato…) e la avvolse intorno al corpo del – che cosa??? – che lo guardava spaurito; poi rimise il tutto nello zainetto e annunziò: “E adesso lo portiamo a casa.” “A CAAASA?!” abbaiò Ciuffo sbalordito “un… un… non si sa neanche chi è e da dove viene! Sporcherà dappertutto… e combinerà un mucchio di guai.” Poi, si interruppe di botto; quelle parole gli sembrava di averle già sentite parecchio tempo prima… quando l’avevano raccolto e adottato. E se anche con lui avessero fatto così? “A casa, a casa” brontolò con la coda fra le gambe “portiamolo a casa.” “Portarlo a casa” ripeté il bambino, un po’ perplesso dopo il primo impulso di solidarietà “questo sì che è un bel problema. E dove lo mettiamo? Mica possiamo farlo vedere alla mamma. Le verrebbe un infarto dallo spavento!” “Potresti nasconderlo nella mia cuccia” – abbaiò Ciuffo sentendosi un martire di
bontà (tanto lui non ci andava mai, visto che gli permettevano di entrare in casa…) E così fecero: di soppiatto, mentre Ciuffo distraeva la padrona di casa con la sperimentata tecnica giocherellona – le rubava qualcosa e poi scappava a farsi rincorrere intorno al tavolo – Salek infilò il povero neonato squittente nella cuccia, lo seppellì di vecchie maglie per riscaldarlo, e lo affidò, momentaneamente, alla provvidenza. Non senza avergli lasciato vicino alcune foglie tenere tenere; nel caso avesse fame… e fosse effettivamente vegetariano
V
Come Sherlock Holmes
Seduto sul letto, con tutti i suoi libri aperti e sparpagliati intorno, Salek sfogliava, osservava, leggeva, cercando disperatamente qualche illustrazione e qualche notizia che gli permettessero di stabilire che razza di animale fosse l’inverosimile creatura che avevano trovato (e ospitato). Il cane, ai suoi piedi, partecipava con ansia alla ricerca; a lui interessava sapere quanto quell’essere sarebbe diventato grosso e, soprattutto, se era veramente erbivoro. “Dunque” spiegava il bambino con l’aria di chi Sherlock Holmes se lo mangia a colazione “vediamo di ragionare: che sia un animale è sicuro (a questo – pensò Ciuffo – ci sono arrivato anch’io); ma che razza di animale è? Ha la pelle come quella di una lucertola ma una lucertola non è, assomiglia un po’ a un uccello ma non ha le ali né le piume né il becco. Che cosa può essere se non un dinosauro? Animali così adesso non ne esistono in nessuna parte del mondo; ho guardato tutti i miei libri e ne sono sicuro. Ma – aggiunse con voce titubante – i dinosauri non esistono più; sono scomparsi milioni e milioni di anni fa. Come può esserci ancora uno di loro vivo? VIVO capisci bene? (Eccome se ho capito – pensò ancora il cane – sono tutto una tremarella!) È impossibile, IMPOSSIBILE.” “Però” continuò seguendo la sua fervida fantasia “ti ricordi Jurassik Park? Lì i dinosauri c’erano… e tante altre storie fantastiche come quella del Mago Merlino o quella di Peter Pan? …” Ciuffo lo guardava sbalordito, con le orecchie alzate e gli occhi spalancati, come a dire: ma quelle sono favole! “Sì, lo so, quelle sono favole… ma… a volte… d’altronde l’abbiamo visto con i nostri occhi, quel coso, uscire dall’uovo o quello che era, quando quel raggio di sole l’ha illuminato… insomma, per me è un dinosauro. E come sia arrivato fin qui lo vedremo. Intanto cerchiamo di sapere che tipo di dinosauro è. Vieni qui
Ciuffo, aiutami a guardare; quattro occhi vedono meglio di due.” “Allora, vediamo un po’, potrebbe essere… un Herrersauro… o un Saltopus; no, no, questi sono carnivori (il no era per tranquillizzare Ciuffo) oppure… un Ipsilofodon oppure… ecco guarda anche tu, mi sembra proprio che assomigli a questo: uno Stigimoloch. Non sembra anche a te? Lo stesso musetto, la testina con quelle puntine intorno, le braccine… e, vedi, c’è scritto erbivoro. Tranquillo adesso? Ma con tutti questi nomi così complicati, come lo chiamiamo? Ma tanto non parla; e forse non ci capirà.” “Vorrai dire che non parla la tua lingua” precisò Ciuffo “neanche io la parlo eppure ci capiamo benissimo.” E qui proruppe in una serie di abbaiamenti molto molto significativi “basta avere orecchie per intendersi… Per quanto riguarda il nome, visto che a tuo parere è un dinosauro io lo chiamerei Dino. Non sarà molto originale ma è semplice e chiaro.” “Va bene, va bene, non ti arrabbiare. Hai ragione tu, tutti si possono capire, se lo vogliono. Come prima della Torre di Babele, quando tutti parlavano la stessa lingua. E d’accordo anche per il nome: lo chiameremo Dino. Però adesso pensiamo a risolvere gli altri problemi; ce ne sono un mucchio” “Un momento, un momento” lo interruppe il cane “che cos’è questo fatto della Torre di Babele; quella storia lì non me l’hai mica raccontata.” “D’accordo, poi te la racconto; ma prima andiamo a vedere come sta Dino. Tu vai in avanscoperta a controllare che non ci sia nessuno in giro.” Piano piano, stando ben attenti a che non li vedesse anima viva, si arrampicarono fino all’ultima piana del giardino, dove si trovava la cuccia di Ciuffo, per fortuna in una zona dove nessuno andava mai. Pieni di curiosità (e per quanto riguarda il terranova anche di paura; lui non era mica tanto sicuro di trovarsi davanti a un erbivoro…) si avvicinarono alla “tana del mostro”, il quale mostro, in verità, sembrava dormire abbastanza tranquillamente – ogni tanto emetteva deboli bii… bii… ma come se sognasse – rannicchiato al calore dei vecchi indumenti; e sembrava anche aver gradito il verde cibo che gli aveva lasciato Salek, perché non se ne vedeva più nemmeno una briciola. “Hai visto, fifone, che è un erbivoro?” esclamò il bambino tutto contento (ma mai quanto il cane) e raccolse dell’altra erba da lasciare al loro ospite; lo sanno tutti che i cuccioli mangiano e dormono.
“Io non riesco proprio a capire” continuava a ripetere Salek mentre ritornavano verso casa “un dinosauro! Come può essere un dinosauro! Certo, si sa che quei rettili vivevano da queste parti; hanno fatto anche un museo apposta per ricordarlo! Ma ci vivevano 100 o 200 milioni di anni fa. Mica adesso. Ecco, Ciuffo; il museo! Potremmo andare a vedere lì, se troviamo qualche spiegazione; oppure chiedere al direttore… oppure alla mia maestra… Lei sa sempre tutto! Ma ci staranno a sentire? O come al solito non ci daranno retta? Figuriamoci: un bambino e un cane che trovano un dinosauro vivo, VIVO! Non ci crederanno mai; i grandi non credono mai ai bambini. Sì, sì; bisogna per prima cosa andare su al castello, vedrai che tutti quegli animali preistorici ci faranno venire qualche idea. Che cosa dici?” continuò quindi rivolto al terranova che con i suoi energici abbai manifestava tutta la sua disapprovazione “Tu non vuoi venire? Hai paura di tutti quei bestioni? Ma via, Ciuffo, lo sanno tutti che sono finti! Che cosa vuoi che ci facciano. E non ti ho ancora raccontato la storia della Torre di Babele? Va bene, va bene, te la racconterò stasera, prima di andare a dormire. Ora corriamo in casa altrimenti la mamma viene a cercarci e scopre tutto. Pensa che disastro!” Le orecchie basse e la coda fra le zampe alla sola idea di quello che avrebbe potuto succedere, il cane non si fece ripetere l’ordine e s’infilò svelto svelto nella cameretta del bambino. Tra l’altro, a debita distanza da quel… “coso” si sentiva molto più tranquillo.
VI
Una notte insonne
«All’alba della vita, quando il mondo era ancora bambino, tutti su di esso – almeno così narrano certe vecchie storie – parlavano la stessa lingua. La terra diceva all’uomo, che da essa traeva il suo nutrimento: “Adesso lasciami riposare un po’. Ti ho già dato un buon raccolto e se mi concederai il tempo di rimettermi in forze ti offrirò nuovamente il cibo, per te e per i tuoi figli.” E i frutti: “Ora siamo maturi e pronti per essere mangiati; ci puoi raccogliere perché questo è il tempo giusto. Poi attenderai con pazienza la prossima stagione.” Il mondo viveva in armonia, e se un essere vivente ne uccideva un altro era solo per necessità; così il lupo e l’agnello, la vipera e il riccio, gli uccelli e gli insetti e i fiori… avevano ciascuno il proprio spazio sul pianeta. Ma un giorno alcuni Umani – chissà perché – si convinsero di essere i più intelligenti e i più forti di tutte le creature; insomma i padroni del pianeta. Quindi, a dimostrazione della loro immensa grandezza decisero di costruire una torre altissima, ma così alta, così alta… che avrebbe dovuto vedersi da ogni angolo della Terra. Per indicare a tutti che gli Uomini potevano giungere fino al cielo. E così costruirono una torre alta, sempre più alta, tanto alta che un giorno… con gran frastuono crollò. Il rumore e lo spavento furono tali che tutti ammutolirono; e quando, dopo molto tempo, ritrovarono la voce, si accorsero che ognuno parlava in modo diverso dall’altro. Da allora animali, piante, terra, mare, e persino gli Uomini non si capirono più. Solo se stiamo molto attenti, e abbiamo davvero voglia di ascoltare, possiamo ancora intendere il linguaggio degli altri.» Salek aveva letto il breve racconto al suo amico a quattro zampe e si era addormentato – ancora con il libro aperto sul cuscino – stanco ed emozionato da
tanti incredibili avvenimenti. Anche Ciuffo ormai dormiva, allungato sul suo tappetino; ma il movimento convulso che a tratti gli agitava le zampe faceva chiaramente intendere che il suo sonno non era tranquillo. In effetti il cane, che era rimasto molto colpito dal racconto, stava sognando di trovarsi in un mondo dove tutti parlavano la stessa lingua e si capivano perfettamente. “Ma ci pensate!” sembrava dire con i suoi uggiolii “che meraviglia poter far sentire le proprie ragioni a tutti! Quante cose avrei da dire a chi so io! Per cominciare a quel gattaccio che abita lì di fronte e mi eggia davanti sornione facendo finta di non capirmi, e poi alle mosche che mi ronzano dispettose intorno al naso quando schiaccio un pisolino; ma soprattutto, soprattutto a qualche Umano che si crede il padrone del mondo.” E via a mugolare, agitare la coda e muovere le zampe come se corresse dietro a chissà chi. Un sonno davvero agitato. Ma anche Salek non dormiva proprio su morbide nuvole. Le sue preoccupazioni però erano di altra natura: lui pensava al “suo” (così ormai lo chiamava) dinosauro, a come accudirlo e proteggerlo, a come inserirlo nello strano mondo estraneo nel quale il poverino si trovava a vivere. Certo, se tutti avessero parlato la stessa lingua come ai tempi della Torre di Babele ogni cosa sarebbe stata più facile; ma, purtroppo, così non era e lui non sapeva proprio che pesci prendere. Si girava e rigirava nel letto in un groviglio di lenzuola, ma non gli appariva altra via d’uscita che… parlare con la sua maestra. A dire la verità questa era un po’ vecchiotta ma, per la sua età, era ancora una forza. Gli appariva, nel sonno, con i capelli di un pallido biondo e gli occhi di un bel colore azzurro anche se leggermente velato, quegli occhi che sembravano leggerti dentro. Sì, sì – e intanto si rivoltava nel letto facendo il paio con l’agitazione di Ciuffo – non c’era altra strada, parlare con la maestra. Come Dio volle quella notte ò. La mattina dopo, sotto lo sguardo stupefatto della mamma che non l’aveva mai visto così sveglio e veloce, Salek si precipitò fuori seguito dal cane. “Ma Salek, è ancora presto per andare a scuola; che cos’è oggi tutta questa fretta?” Ma il bambino fece finta di non aver sentito e, dopo un “ciao mamma” rapido e frettoloso, infilò la porta di casa. Naturalmente, la prima cosa che fece fu precipitarsi a vedere il suo “protetto”.
Che ansia, mentre saliva i gradini a due a due per raggiungere l’ultima parte del giardino! II suo cucciolo ci sarebbe ancora stato? E ancora vivo? Bambino e cane arrivarono trafelati in cima e trovarono il dinosaurino (o quello che era) non soltanto in buona salute ma… pacificamente intento a mangiarsi una bella pianta di ortensie. “NO! Le ortensie della mamma no!” esclamò Salek terrorizzato; ma il piccolo rettile sollevò il musetto e lo guardò con due occhioni tanto innocenti da addolcire chiunque. In fin dei conti – pensò il bambino – che cosa ne sa lui di quali piante sono commestibili e quali no? Mica ai suoi tempi esistevano tutti i tipi di vegetali che ci sono adesso! Lui è un erbivoro e quando trova da mangiare mangia. In effetti la bestiola appariva così tranquilla e fiduciosa che persino Ciuffo, che aveva ancora parecchia diffidenza nei suoi riguardi, si lasciò commuovere e manifestò la propria solidarietà leccandole affettuosamente il musetto. Caspita – sembrava dire – se uno ha fame ha fame. Dopo essersi tranquillizzati sulle condizioni del loro ospite, e averlo rifornito di tenera erbetta, (i fiori della mamma no, mi raccomando) Salek e Ciuffo si rassegnarono, molto a malincuore, a lasciarlo solo; non senza prima avergli fatto mille raccomandazioni, sia in lingua umana che in lingua canina. Lo lasciarono lì, con gli occhi spalancati a osservare lo straordinario mondo intorno a lui: piante dai mille colori e profumi, esseri dal corpo morbido e leggero che avano sopra la sua testa e poi scendevano a becchettare sul terreno, mentre un’altra creatura dagli occhi allungati e il corpo flessuoso sembrava far loro la posta. E suoni, tanti strani incomprensibili suoni che gli arrivavano nell’aria limpida del mattino. “Bii… bii…” commentava Dino; che mondo strano e fantastico! D’altronde, per un neonato, tutto il mondo è sempre strano e fantastico.
VII
Una maestra davvero speciale
Salek e il suo inseparabile amico si avviarono verso la scuola, tutti impegnati a consultarsi su come affrontare il “problema dinosauro”. “Mica è facile” diceva il bambino “parlarne con la maestra. Che cosa le dico? Sa, Signora maestra, io in giardino ho un dinosauro… mi prenderà per matto… o penserà che voglia farle uno stupido scherzo…” “Bu… bu… bau bau…” rispondeva il terranova “ma non hai sempre detto che è una persona speciale, che vi racconta storie fantastiche, che capisce sempre tutti… Vedrai che anche questa volta capirà.” Sì, sì, capisce sempre tutto; ma credere a un dinosauro VIVO! Nientemeno che UN DINOSAURO! Non è mica una cosa di tutti i giorni! E poi, come farò a iniziare il discorso? Eh caro Ciuffo – sospirò – ho proprio paura che non riuscirò a niente.” Così, lambiccandosi il cervello e prestando ascolto al cane – che gli saltellava intorno partecipando attivamente al problema – Salek giunse davanti alla sua scuola. E, pensate un po’, proprio di fronte a essa, sui tabelloni del cinema, facevano spicco dei grandi manifesti con su scritto a lettere cubitali: I DINOSAURI. E da quei manifesti si affacciavano – e sembravano veri – tutti i più fantastici mostri preistorici che si possano immaginare: belli (si fa per dire) e brutti, piccoli e grandi, ma sempre… terrificanti. Almeno per Ciuffo che, anche se aveva fatto amicizia con Dino, continuava a nutrire molta diffidenza per quegli inconcepibili esseri. “Grr… grr” ringhiò minaccioso il cucciolone puntando un enorme Tirannosauro che lo guardava dall’alto “grr… grr…”; mentre, Salek, incantato, si univa agli altri bambini che, attendendo il suono della camla, osservavano affascinati i manifesti. “Uauh, i dinosauri!” commentavano tutti eccitati “che forza! Voglio proprio andare a vederli.” Salek sbirciò i suoi compagni che, gli occhi brillanti, commentavano le
immagini. Se avessero saputo! Però, quel film poteva essere una buona occasione per affrontare l’argomento con la maestra. E un po’ rincuorato si affiancò agli altri che, come cavallini recalcitranti, si avviavano alle rispettive classi, la mente ancora piena di visioni fantastiche. Appena entrata, la maestra Ratti si accorse dell’eccitazione che regnava tra i suoi scolari i quali, ammucchiati intorno alle finestre, si spingevano energicamente per meglio lanciare gli ultimi sguardi ai grandi manifesti del cinema. E discutevano animatamente, commentando le immagini che tanto li attiravano: chi si vantava di avere i libri più belli sull’argomento, chi le “figurine” più rare e interessanti, chi addirittura tutta una serie di modellini dei fantastici animali. All’ingresso dell’insegnante fu il solito fuggi fuggi generale, ciascuno verso il proprio banco, ma l’eccitazione permaneva nell’aria. “Ragazzi, che cosa c’è? Stamani mi sembrate più agitati del solito” disse la maestra. Era, sì, un po’ svagata e distratta, ma la sua intesa con gli scolari era tale che avvertiva immediatamente se c’era qualcosa che non andava. “Signora Ratti, ha visto? I DINOSAURI! Li danno al cinema.” “Io ho un libro bellissimo su di loro, con tutte le illustrazioni a colori.” “E io ho i modellini del Tirannosauro e del Brontosauro, e… di tutti gli altri.” “È vero che erano stupidi, e lenti, e avevano sempre freddo?” “No, no, erano enormi, e ferocissimi, e mangiavano i bambini.” Un intrecciarsi di commenti risatine battutine varie… che solo la voce decisa dell’insegnante riuscì a far cessare. “Ragazzi, smettetela e incominciamo a lavorare. Se vi interessano tanto i dinosauri e la preistoria ne parleremo; ma lo faremo come si deve e senza dire stupidaggini. Figuriamoci! I dinosauri che mangiano gli uomini! Più stupidaggine di così!” Salek, seduto al suo posto, era l’unico che non partecipava alla confusione generale (e anche di questo la maestra s’era accorta); era solo impallidito all’uscita che i dinosauri mangiavano i bambini ma aveva poi ripreso colore al commento dell’insegnante La quale, dopo aver ottenuto un po’ di silenzio, andò decisa alla lavagna e scrisse:
1) Chi erano i dinosauri; 2) In quale periodo sono vissuti; 3) Come vivevano; 4) Quando e perché si sono estinti. Quindi, rivolta ai bambini che la seguivano attenti: “Ecco, ragazzi, per domani mi farete una ricerca su questi argomenti (uffa, la solita ricerca si sentì brontolare in fondo alla classe); e adesso fate silenzio che voglio controllare i vostri quaderni.” Il tempo ò e finalmente suonò la camla che annunziava l’inizio della tanto attesa ricreazione. Con il solito incontenibile “boato” i bambini si precipitarono nei corridoi e Salek ne approfittò per avvicinarsi alla sua insegnante. Con molta titubanza, dopo essersi assicurato che nessuno potesse ascoltarlo, si fece coraggio e cercò di affrontare l’argomento che gli stava a cuore. “Scusi… Signora maestra… ma… sono proprio… tutti morti… i dinosauri? Non è possibile… che ce ne sia… ancora qualcuno… vivo?” balbettò diventando tutto rosso per l’emozione. L’insegnante osservò attentamente il suo scolaro. Lei era molto affezionata a quel bambino un po’ taciturno ma buono e sensibile; sapeva che era molto fantasioso ma possedeva una notevole intelligenza e non diceva mai sciocchezze. Che cos’erano quindi quelle strane domande? E quel rossore improvviso? Prese tempo e, facendo finta di niente, rispose in modo generico: “Sai, Salek, come vi ho spiegato i dinosauri si sono estinti circa 65 milioni di anni fa; quindi – continuò sorridendo ma senza la solita aria di sufficienza degli adulti – è un po’ difficile che ce ne sia ancora qualcuno vivo. Capirai bene, 65 milioni di anni! Ma perché mi fai questa domanda? Forse ne hai sognato qualcuno? Vedi, con tutti questi film e trasmissioni televisive è facile che uno abbia degli incubi.” (Specialmente un bambino fantasioso come te – pensò in segreto – e poi, quanti si creano un amico immaginario se hanno qualche motivo di disagio! E Salek, forse, non aveva ancora del tutto superato la difficoltà di vivere in un mondo a lui estraneo.)
“No… vede… Signora maestra… è che io… credo di avere… un dinosauro nel mio giardino” terminò tutto d’un fiato per non perdersi di coraggio. “In giardino? Vuoi dire che hai trovato un fossile?” “No, no; proprio vivo.” A questo punto la povera Signora Ratti (Giuseppina per gli amici) non seppe più che pesci prendere. Per fortuna venne a salvarla la fine della ricreazione per cui, con un segno d’intesa e un sussurrato “ne parliamo dopo” riunì pazientemente i suoi sparpagliati scolari e riprese normalmente la lezione. Normalmente si fa per dire! Aveva la testa in subbuglio. Assegnò un problema da risolvere – tanto per aver modo di schiarirsi le idee – e, mentre i bambini si scervellavano sul malaugurato compito, si mise a riflettere. “Che cosa aveva mai voluto dire Salek? Non era né bugiardo né matto quindi qualcosa di straordinario doveva aver visto. Ma che cosa? Certamente non un dinosauro.. Forse un animale esotico sfuggito a qualcuno; si leggeva spesso di casi del genere. Mah-rimuginava nervosa – l’unica era far parlare il bambino, e magari fare un salto a vedere quella misteriosa “cosa”. Sì, lei aveva vissuto abbastanza per sapere che al mondo possono accadere cose incredibili. Ma un dinosauro vivo!” Finalmente la mattinata ò. Al suono della camla Salek si precipitò verso l’uscita davanti alla quale, immobile come una statua sulle zampe posteriori, lo attendeva come al solito il fedelissimo amico. “Bu… bu… bu” gli chiese dopo avergli fatto gli abituali saluti a base di salti leccate e uggiolii di gioia “allora, hai parlato con la maestra? Che cosa ti ha detto? Non ti ha creduto, vero? Come tutti gli adulti non ha più fantasia…” “No, no, Ciuffo. Lei non è come gli altri. Non so se mi ha proprio creduto ma è stata a sentirmi; e ha detto che ne avremmo parlato. Guarda, sta arrivando.” In effetti la Signora Giuseppina aveva preso le sue decisioni: sì, avrebbe fatto “chiacchierare” il più possibile il suo scolaro e insieme a lui avrebbe fatto una capatina in quel benedetto giardino. Si trovava sulla sua strada e poi – sospirò un po’ triste – a casa nessuno l’aspettava. E così, parlottando amichevolmente, lo strano terzetto si avviò verso la casa di Salek. “Tanto” aveva detto lui “a quest’ora i miei genitori non sono ancora arrivati.”
Entrarono nel giardino, salirono gli scalini che portavano all’ultima pianetta – davanti Ciuffo con le sue agili quattro zampe, poi il suo padroncino e infine, arrancando e con un po’ di “fiatone” la maestra- ed ecco lo spettacolo che si presentò ai loro occhi: fermi pacificamente a prendersi il sole, mentre un gatto sbalordito li scrutava dall’alto di un albero, stavano conversando tranquillamente in lingua rettilesca due lucertole, una tartaruga e UN DINOSAURO? Al solo pensiero di quella parola – DINOSAURO – la Signora Giuseppina si lasciò cadere, mezza svenuta, sull’erba.
VIII
Non è possibile!!!
Doveva essere un’allucinazione! Doveva avere le traveggole! Eppure… quegli occhioni timidi sotto la piccola cresta puntuta, quelle “braccine” che si protendevano verso Salek, tutto questo sembrava appartenere a uno di quegli esseri preistorici che tante volte aveva visto nei suoi libri. Ma quegli esseri erano scomparsi da un’eternità; da un tempo nemmeno concepibile per la mente umana. Come poteva esserci, ancora uno di loro? E vivo! L’anziana maestra non riusciva a capacitarsi; doveva riflettere; calmarsi e riflettere. Ne aveva viste tante nella sua vita di cose incredibili, ma questa… Bambino e cane la guardavano ansiosi, come se attendessero da lei, lei che sapeva tutto, la spiegazione di quell’evento; quell’evento inconcepibile, fantastico, meraviglioso. Ma lei non sapeva che cosa dire. “Intanto, Salek” riuscì a sussurrare “devi raccontarmi come hai trovato questo… questo animale (non ce la faceva proprio a dire dinosauro) come, dove, quando. Poi, poi bisognerà fare delle ricerche, documentarsi, parlare con qualche esperto… magari anche con un veterinario. Non puoi mica tenerlo sempre qui nascosto! Prima o poi qualcuno lo vedrà! A proposito di questo – aggiunse concitatissima – ora devo andare davvero; fra poco torneranno i tuoi genitori e non me la sento proprio di affrontarli. Ho ancora la tremarella… ci vediamo domani… può darsi che nel frattempo mi venga qualche idea…” E tutta agitata la Signora Giuseppina scese la scaletta del giardino con la maggiore velocità consentitale dalle sue gambe un po’ stanche, salutata dagli
abbai di Ciuffo e dai bii… bii… di Dino. “Mi raccomando Salek, stai attento” e non si capiva bene a che cosa dovesse stare attento il bambino: se a proteggere un cucciolo indifeso o a guardarsi da un possibile carnivoro feroce. E il domani arrivò. Tutti gli scolari della IV C portarono la loro brava ricerca e anche Salek consegnò il suo foglio protocollo dove però aveva scritto tutta la storia della sua inconcepibile avventura: l’audace scalata delle rocce dietro il castello, il raggio di sole straordinariamente splendente che per qualche istante le aveva magicamente illuminate, l’apparizione dello strano sasso che, incredibilmente, si era aperto davanti a lui… Alla Signora Giuseppina quella mattinata sembrò insolitamente insopportabilmente lunga. Appena giunta a casa aprì la grossa borsa dove teneva tutti i suoi “strumenti” scolastici – una grossa borsa che l’aveva fedelmente accompagnata per quasi tutta la carriera – e, tra penne matite gomme agendina… (e oggetti sequestrati), pescò il fascio di ricerche sui dinosauri. Cercò immediatamente il compito di Salek e, senza nemmeno un attimo di respiro, si tuffò nella lettura. Alla fine della quale, però, un bel respirone dovette farlo per forza perché… era rimasta senza fiato. “Dunque…” prese a mormorare rivolgendosi alla gatta Camilla che dal suo cantuccio sul divano la guardava indifferente “vediamo di restare calmi. Che cosa era poi accaduto di così straordinario? Un bambino e un cane (che, guarda caso, conversavano tra loro come se parlassero la stessa lingua) avevano fatto un’escursione dietro al castello. E lì, tra le rocce, avevano scoperto uno strano sasso a forma di uovo il quale, colpito da un fantastico luminosissimo raggio di sole si era spaccato e… come se niente fosse, aveva scodellato un dinosauro. UN DINOSAURO, capisci Camilla!?! (“Uauh!”, avrebbero detto i suoi scolari per niente stupiti – “questa sì che è una bella storia. Che forza!) Semplicemente, così, dietro al castello dove c’era il museo paleontologico e si facevano le simulazioni dei terremoti.” Le simulazioni dei terremoti!!! A questo punto del suo soliloquio la Signora Giuseppina smise di camminare avanti e indietro come la classica bestia in gabbia e si bloccò; si bloccò mentre una strana luce le illuminava lo sguardo.
“Le simulazioni dei terremoti!” ripeté per la terza volta “ecco che cosa potrebbe essere accaduto! Le vibrazioni prodotte dai macchinari avrebbero potuto propagarsi alle rocce circostanti il castello, in profondità, e, chissà come, portare alla luce un uovo fossile.” E fino a qui poteva anche esserci un barlume di verosimiglianza. (Che cosa c’è di strano? – avrebbero commentato anche questa volta i suoi scolari – l’abbiamo visto tante volte al cinema!) Già, al cinema. Ma che da un uovo di almeno 65 milioni di anni fosse uscito vivo – DICO VIVO – quel piccolo drago… questo era del tutto inconcepibile. D’altronde… d’altronde l’aveva vista con i suoi occhi quella creatura aliena e, non c’erano dubbi, aveva tutto l’aspetto di un dinosauro. Comunque, prima di accettare una realtà così impossibile avrebbe consultato tutti i suoi libri… e magari anche internet… (naturalmente facendosi aiutare da qualche collega più giovane, perché lei non capiva niente di tutte quelle diavolerie moderne). Perché poi, se avesse avuto ragione Salek, se quella “cosa” fosse stata davvero un essere preistorico, bisognava pensare a che cosa farne, come accudirlo, come rivelare al mondo la sua incredibile esistenza. A questo punto del suo farneticare la povera Signora Giuseppina si fece un caffè triplo e si preparò ad affrontare una notte insonne.
IX
La maestra Giuseppina chiede aiuto
Il giorno dopo, la malcapitata insegnante si comportò come se nulla fosse successo; solo i suoi occhi arrossati e l’aria un po’ più svagata del solito denunziavano una notte ata senza prendere sonno. Ma i suoi scolari non si meravigliarono molto: la maestra era vecchia – pensavano – e con un “antico” non bisogna stupirsi di niente. Solo il bambino venuto dal deserto la guardava ansiosamente con gli occhioni attenti, attendendo da lei una parola o un cenno. Ma le lezioni scorrevano regolarmente senza che ci fosse per lui nemmeno un segno d’intesa. Infine, anche quella difficile mattinata terminò e Salek si avviò verso l’uscita, incontro a Ciuffo che lo aspettava, in ansiosa attesa, come sperduto nella grande piazza. Era triste, triste e deluso: la sua maestra, lei che l’aveva sempre capito e aiutato, questa volta non voleva dargli una mano. Ma non aveva fatto che pochi i quando udì la voce amica: “Salek, fermati. Ho lavorato tutta la notte per te e ho pensato e ripensato. Sembrerebbe, dico sembrerebbe, che tu abbia ragione: quel… quell’animale… assomiglia molto a un essere preistorico ( ancora non riusciva a pronunziare la parola “dinosauro”)Ma siccome questo è SCIENTIFICAMENTE E RAGIONEVOLMENTE IMPOSSIBILE, bisogna chiedere aiuto a qualcuno che ne sappia più di noi, a qualcuno veramente esperto. Senti che cosa ho pensato: io sono una buona conoscente del direttore del museo geopaleontologico, il dottor Ricci; se credi potrei provare a parlare con lui e sentire che cosa ne pensa.” “Va bene, Signora maestra” rispose il bambino tutto rasserenato “facciamo come dice lei.” “E… senti… come si comporta il tuo… protetto? Ti sembra pericoloso? Stai attento. E ha fame? Ha freddo” aggiunse incerta tra il timore e la tenerezza.
“No, no, è molto tranquillo. Mangia tutte le piante che gli porto e mi sembra che stia proprio bene. Vero, Ciuffo? (Il cane assentì energicamente). E cerca di stare sempre vicino a me; come se fossi la sua mamma, o un suo fratello maggiore.” “Sai” rispose la maestra un po’ tranquillizzata “sei il primo essere vivente che ha visto quando è uscito dall’uovo. È una questione di imprinting . Te l’ho raccontato, a scuola, di quello scienziato che era sempre seguito dalle sue oche. Forse… forse crede di essere uno come te. Comunque stai attento” non rinunziò a raccomandare “molto attento. Allora, noi ci vediamo domani; sentiremo che cosa ne pensa il dottor Ricci.” In effetti, il giorno stesso la maestra Giuseppina partì all’attacco. Si fece coraggio e, dopo avere per ben due volte sollevato la cornetta del telefono e averla lasciata ricadere precipitosamente, fece il numero del museo geopaleontologico e chiese di parlare col direttore. “Buongiorno, dottore” esordì con un filo di voce “sono la maestra Ratti, Giuseppina Ratti. Mi scusi… se non la disturbo. Se ha tempo… so quanto è occupato (quasi quasi sperava in un gentile rifiuto) … avrei bisogno di parlare con Lei.” “Ma certo, Signora Ratti, dica pure; cinque minuti per lei li trovo sempre volentieri.” O povera me – pensò in un lampo l’infelice – e adesso che cosa gli dico? “Sa, avrei bisogno di alcune informazioni sui dinosauri; anzi vorrei anche farle vedere… una cosa. Se potessimo incontrarci per qualche minuto… Ma se non ha tempo non importa – aggiunse precipitosamente con l’inconfessata speranza che non se ne fe niente – non vorrei darle troppo disturbo.” Il dottor Ricci rimase sconcertato: non capiva lo strano tono della donna. La conosceva come una persona seria, equilibrata, un’ottima insegnante. Che cos’erano quel tono titubante e quell’esagerata deferenza? Mah! Forse, invecchiando… Comunque non era il caso di rifiutarle un piacere, quindi rispose gentilmente: “Ma certo, quando vuole. Le va bene domani pomeriggio? Preferisce verso sera? D’accordo, allora alle 18, nel mio studio. E porti pure quella cosa.”
La Signora Giuseppina si sedette di schianto sulla sedia accanto al telefono. Era tutta sudata e le pareva di svenire. “Porti pure quella cosa” aveva detto il dottor Ricci; se avesse immaginato di che cosa si trattava! Ma ormai era fatta. Aveva promesso a Salek di aiutarlo e non poteva tornare indietro. Lei non avrebbe mai deluso un bambino. Chissà, forse qualche angelo l’avrebbe aiutata. E fu così che il giorno dopo, mentre il Sole – lui che sapeva come si era svolta tutta la storia – si attardava curioso prima di coricarsi dietro i monti che custodiscono il golfo, si vide la consueta scena: Salek che usciva da casa, accompagnato dall’inseparabile cane, portando sulle spalle il suo zainetto delle escursioni. Ma doveva averci messo parecchie cose nello zainetto, perché sembrava pesargli molto; e non si chiudeva nemmeno tanto bene, anzi aveva in alto un angolo un po’ aperto dal quale spuntava qualcosa. Beh, che cosa c’era di strano? Un bambino che se ne va in giro per una eggiata, insieme al suo fedele amico a quattro zampe.
X
Dino scopre il mondo
“Ciao Salek”, lo salutavano i conoscenti che incontrava strada facendo “te ne vai a so con Ciuffo? Fai bene; è una così bella giornata! Altro che starsene chiuso in casa a giocare con il computer.” E guardavano compiaciuti il ragazzino che, zainetto in spalla e cane al fianco, si accingeva a una delle sue solite esplorazioni. Sì, era davvero un bravo bambino Salek; erano stati fortunati i Fontana ad adottarlo. Anche se, si sa, era sempre un “foresto” … Per fortuna ognuno, come succede sempre, parlava continuando a pensare alle proprie cose e senza prestare vera attenzione ai due, altrimenti si sarebbero accorti che nella coppia c’era qualcosa di insolito. Intanto Salek non camminava con la solita andatura baldanzosa ma procedeva piano piano guardandosi intorno trepidante; e persino Ciuffo, abbandonati gli abituali salti e abbaiamenti, avanzava tutto composto al fianco del padroncino come se volesse proteggerlo da qualche pericolo misterioso, quasi una “guardia del corpo” pronta alla difesa. Inoltre c’era lo zainetto, quello era la cosa più strana: si muoveva, sulla schiena del bambino, alzandosi e abbassandosi ritmicamente come se respirasse, come se fosse animato. E da un angolino, in alto, sporgeva di quando in quando la punta di un musetto, mentre due occhioni spalancati balenavano fugacemente. Sì, spalancati, perché solo lontanamente si può immaginare ciò che significava per il piccolo drago quella breve eggiata. Man mano che Salek scendeva verso il mare, e poi attraversava i giardini, e poi camminava sul molo… tutto un mondo si apriva davanti agli occhi di Dino, tutto un mondo sconosciuto e stupefacente. E non lo stupivano tanto gli esseri umani (non essendosi mai visto era convinto di essere uno di loro) ma tutto il resto: strani animali, alcuni bipedi altri quadrupedi, che camminavano con zampe rotonde rotolanti sul terreno e bevevano attaccati a un lungo tubo, enormi montagne quadrate con tanti occhi rettangolari, e poi giù, nell’acqua, altri animali oblunghi che si dondolavano avanti e indietro. Insomma, un mondo sconosciuto che lo stupiva e intimoriva
contemporaneamente. Meno male che c’era Ciuffo – che sapeva farsi capire – a spiegargli le cose e tranquillizzarlo; “bau… bau… quelle sono automobili e quelle altre biciclette. Bu… bu… stai calmo… non sono carnivori…”. Finalmente arrivarono davanti all’ascensore che porta al castello dove una super agitata Signora Giuseppina li attendeva camminando nervosamente avanti e indietro. “Oh, meno male, siete arrivati! Dov’è… lui? Nessuno vi ha visto? Forza, andiamo, che il direttore ci aspetta.” Detto fatto i tre (anzi i quattro) entrarono nell’ascensore e raggiunsero la bellissima terrazza che domina il mare. “Tu aspettaci qui” disse Salek al cane “poi ti racconto tutto.” E insieme alla maestra – uno ansimante per il peso sulle spalle, l’altra per l’età e l’agitazione – si avviarono su per le scale del castello. A dire la verità sembrava che avessero più voglia di tornare indietro che di andare avanti ma… a decidere per loro fu il destino: il Dottor Ricci era proprio lì, sulla porta del suo studio che li attendeva sorridente. “Venga, venga, Signora Ratti, si accomodi. E chi è questo bel bambino? Non sarà mica lui ciò che voleva farmi vedere” aggiunse sorridendo. “No, vede, però… è proprio lui… che ha trovato… quella cosa di cui volevo parlarle” terminò tutto d’un fiato come se volesse al più presto “togliersi il dente”; e poi rossa in viso, la signora Giuseppina fece cenno a Salek di aprire lo zainetto e (o Dio! sospirò) tirare fuori quello che conteneva. Come coperto da una nuvola nera si oscura il sole così il sorriso cordiale si spense bruscamente sul viso del direttore mentre Dino emergeva dal suo “contenitore” e, dopo essersi stiracchiato ben bene, incominciava a saltellare per la stanza emettendo gioiosi bii… bii… liberatori. “Pe pe perbacco” mormorò il dottor Ricci appena ebbe faticosamente recuperato l’uso della parola “ma… ma… NON È POSSIBILE… NON CI POSSO CREDERE… un… un…” Gli occhiali gli erano scivolati sulla punta del naso e gli occhi sembravano volergli schizzare dalle orbite mentre una strana espressione – di stupore ma anche di felicità – gli compariva sul viso. Perché lui, che aveva la ione per la
preistoria, e per i fossili, e per tutto quel mondo scomparso nel tempo, nemmeno nei più folli sogni aveva immaginato di potersi trovare di fronte a un… a un… ma che cos’era mai QUELLO? Nel frattempo la Signora Giuseppina si era abbandonata su una sedia e aveva ripreso a respirare normalmente mentre un grande sollievo sembrava animarla, come se pensasse: “Adesso la patata bollente tocca a te; adesso veditela tu.” Quanto a Salek, se ne stava immobile e rigido accanto al suo protetto, attentissimo a che non gli venisse fatto del male; cosa del tutto inutile perché Dino era proprio l’unico ad apparire tranquillissimo. Fermo sulle zampe posteriori, il capino sollevato e la coda diritta, osservava i due esseri che parlavano con il suo fratello maggiore. Che cosa c’era mai da preoccuparsi? Pure questi erano della stessa razza di Salek e quindi della sua. Anche se, aveva notato, nemmeno loro possedevano la coda; evidentemente era una cosa che si perdeva crescendo. Intanto il dottor Ricci aveva ripreso un po’ di lucidità e il suo cervello ricominciava a funzionare; anzi, funzionava a velocità supersonica. “Dunque” fantasticava in una girandola di idee “a prima vista sembrerebbe… potrebbe sembrare… un piccolo di dinosauro” terminò velocemente spaventato al solo pensiero. “Ma siccome questo è impossibile, SCIENTIFICAMENTE IMPOSSIBILE, devo… devo… cercare di capire.” “Innanzitutto” continuò con un po’ più di calma “è necessario interrogare il bambino; poi si vedrà.” Quindi, con tono perentorio come se si sentisse tranquillo e sicuro di sé, ordinò: “Raccontami tutto. Non tralasciare niente.” E così Salek dovette raccontare, per l’ennesima volta, tutti i particolari della sua straordinaria avventura, mentre gli occhi del direttore si spalancavano sempre di più e le sue orecchie assumevano colorazioni sempre più intense dal rosso al violaceo. Quando poi la Signora Giuseppina manifestò timidamente i suoi dubbi sui possibili effetti dei terremoti simulati, il povero direttore precipitò dalle vette dell’entusiasmo all’abisso del più profondo sconforto.
“Oh povero me!” proruppe sbigottito “Chissà che cosa diranno! Sarà la rovina per il museo! Bisogna mettere tutto a tacere! A TACERE.” E fulminò gli astanti allibiti con sguardi di fuoco, quasi volesse cancellarli dalla sua presenza. Improvvisamente, però, in questo altalenare di emozioni e di idee, la sua mentalità imprenditoriale prese il sopravvento: “Ma che cosa dico? Mettere a tacere? Se, e dico SE, questo… questo… essere (mi scusi sa, e guardò Dino) è veramente quello che pensiamo, bisognerà comunicarlo al mondo. AL MONDO INTERO. Sarà l’evento del terzo millennio! Verranno da tutto il pianeta!” E già immaginava interviste dibattiti manifestazioni, tutto a gloria del “suo” museo. Poi si calmò, e riprese a ragionare con un po’ più di serenità. “Adesso telefono al prof. Valdini; lui è un esperto e ci darà il suo parere. Che venga immediatamente; nel frattempo andiamo giù, nel cortile dei rettili, e vediamo se ci viene qualche idea.” E così fu fatto: in fila indiana, direttore maestra bambino e… innominato, scesero le scale ed entrarono nel cortile dove si trovano gli spettacolosi modelli dei dinosauri. Solo che, appena entrato, dopo essersi guardato intorno per qualche minuto con gli occhi sempre più spalancati, il piccolo alieno cadde a terra svenuto emettendo strazianti biii! … biii! Solo Ciuffo, che capiva le lingue, avrebbe potuto riferire che aveva esclamato: “Nonna! … Nonna!”
XI
A tu per tu con gli antenati
Lo spettacolo che si presentò davanti agli occhi del prof. Valdini, giunto di corsa in seguito alla concitatissima telefonata del suo amico direttore, fu davvero uno spettacolo assolutamente incredibile. Immaginate! Nel cortile dell’antico castello dalle mura grigie e austere ricche di anni e di storia, un piccolo assembramento di esseri – i più diversi immaginabili – riunito intorno a un cucciolo di specie non ben identificata che emetteva flebili suoni. C’era un’anziana signora pallidissima e tremante, un irreprensibile manager con l’espressione stravolta e i capelli ritti sul capo, un bambino scuro e riccioluto con gli occhioni pieni di lacrime e… un grosso cane nero – si era aggiunto all’ultimo momento richiamato dal frastuono – che alternava mugolii a frenetici abbaiamenti. Tutto questo sotto lo sguardo imperturbabile e remoto di una dozzina di altri impensabili esseri: un grosso Vulcanodon grigio-verdastro accanto a un enorme Ceratosauro dall’aria terrificante, e poi Diplosauri, Rincosauri ed altre amene creature, in uno scenario dell’altro mondo. E guardavano tutti Ciuffo – sì, proprio lui, pensava il terranova – che reagiva con abbai convulsi. Finalmente Salek riuscì a calmare il cane spiegandogli che quegli animali erano solo dei modelli e non creature in carne e ossa; Dino rallentò i suoi lamenti, e tutti ripresero a respirare più o meno regolarmente. “Diavolo” proruppe il prof. Valdini che si era trovato, senza adeguata preparazione, di fronte a quello spettacolo rocambolesco “ma che cosa succede qui? Oh, Dio! Ma questo è un un dinosauro! UN DINOSAURO VIVO!!! Spiegatemi, spiegatemi.” Non vi dico la confusione. Ognuno diceva la sua. Salek ri-raccontava tutta la storia, la Signora Giuseppina il riassunto delle sue ricerche, il dottor Ricci le sue supposizioni e i suoi programmi, mentre il cane parlava fittamente col piccolo
rettile che tra un singulto e l’altro gli chiariva gli ultimi avvenimenti. “Non sono un umano… sono… sono un dinosauro; l’ultimo dei dinosauri” singhiozzava Dino “adesso capisco perché non sono proprio uguale a Salek; io credevo di diventarlo crescendo…” e giù lamenti che avrebbero commosso le pietre. “E allora? Che male c’è?” lo consolava Ciuffo leccandogli affettuosamente il musetto” neanche io sono un umano, ma non me ne lamento. Al mondo c’è posto per tutti. E poi Salek mi ha letto delle storie meravigliose su di voi, di quando eravate i padroni del pianeta e dominavate i cieli, le acque e la terra.” Mentre cane e dinosaurino si scambiavano coccole, gli umani – in verità solo due, il direttore e il professore – cercavano di prendere in mano la situazione; quell’incredibile assurda inconcepibile… favolosa situazione. “Prima di tutto bisogna parlarne con il Sindaco, e riunire il consiglio comunale, e indire una conferenza stampa, e poi” sfavillava di idee il Direttore “esaminare attentamente il… il reperto, confrontarlo con le ricostruzioni, e con i fossili, e comunicare con gli studiosi del settore…” incalzava il Professore. Insomma, sembravano generali davanti a un piano di battaglia, mentre la Signora Giuseppina ascoltava frastornata e Salek e Ciuffo si stringevano intorno al piccolo dinosauro come a difenderlo da tutto quel putiferio. A loro non interessava quella parte delle pubbliche relazioni; loro volevano solo proteggere il cucciolo, di qualsiasi specie fosse, e farlo vivere nella maniera migliore. (E poi – pensava il bambino – prima delle autorità lui doveva affrontare i suoi genitori; non poteva mica continuare a nascondergli il suo nuovo amico! Ma come avrebbero reagito???) E così, mentre i due uomini di scienza continuavano a discutere animatamente sul da farsi – prima IL SINDACO, no prima L’UNIVERSTA’… etc. etc.” – il bambino sistemò nuovamente Dino nello zainetto e, dopo aver giurato e spergiurato che fino a nuovo ordine non avrebbe fatto cenno della cosa CON NESSUNO e avrebbe custodito l’animale come un oracolo, si avviò verso casa. Naturalmente accompagnato dall’inseparabile Ciuffo. Questa volta però Salek collocò lo zainetto davanti, sul suo petto, in modo che il piccolo si sentisse più protetto e al sicuro. (Come la sua mamma, in Africa, aveva portato lui, pensò con tristezza e nostalgia.) Già, perché il viaggio di
ritorno non si presentava, per Dino, così tranquillo come quello di andata. Il cucciolo, infatti, era confuso e spaventato: ora che aveva capito di non essere come Salek, di non fare parte del mondo che lo circondava, tutto gli appariva estraneo e minaccioso. Gli sembrava di essere stato catapultato in una terra aliena dove ogni cosa e ogni essere potevano costituire un pericolo: i palazzi non erano più strane montagne ma enormi mostri che lo scrutavano con occhi torvi, i veicoli feroci predatori che volevano schiacciarlo, e gli stessi anti – sì proprio quelli che assomigliavano a Salek – esseri nemici che gli lanciavano sguardi malignamente curiosi e malevoli. E avevano un bel consolarlo, Ciuffo e Salek, dicendogli che anche loro erano arrivati in quel paese come stranieri ma nessuno gli aveva fatto del male; il piccolo tremava e si lamentava: “bii… bii… Sono un dinosauro, l’ultimo dei dinosauri…” Finalmente il terzetto giunse a casa, a sgattaiolare ancora una volta in cima al giardino. Ancora una sola volta perché l’indomani – così erano rimasti d’accordo – con l’aiuto della Signora Giuseppina Salek avrebbe “presentato” Dino ai suoi genitori. Con l’aiuto della Signora Giuseppina e, sperava, del proprio angelo custode.
XII
Ingresso in famiglia
Immaginatevi la scena. Era una Domenica mattina e la famiglia Fontana si godeva il meritato riposo, seduta intorno al tavolo della colazione. Davanti a una tazzina di caffè il capofamiglia si gustava la prima lettura del quotidiano, mentre la moglie spalmava la marmellata sulle fette biscottate di Salek; un Salek in verità molto distratto che guardava continuamente dalla finestra. Drin… drin… il camlo della porta squillò (sembrava un suono piuttosto titubante) e il bambino si precipitò ad aprire mentre Ciuffo, che si dava da fare per partecipare attivamente alla colazione, si precipitò a sua volta… a nascondersi sotto il tavolo. “Oh, buongiorno Signora maestra” salutò Salek con tono esageratamente cerimonioso “entri, entri, si accomodi.” E introdusse nella stanza una Signora Giuseppina tutta in subbuglio – la pelle del viso a chiazze rosse e il cuore che le batteva all’impazzata. All’insolita scamlata la mamma di Salek si era istintivamente aggiustata i capelli (chi sarà mai! a quest’ora! Sono ancora tutta in disordine!) e il padre aveva alzato con aria seccata gli occhi dal giornale; ma al vedere l’insegnante del figlio, e con quell’aria stravolta, abbandonarono immediatamente le proprie preoccupazioni estetico/culturali. “Signora maestra” proruppe il padre “che cosa è successo? Salek ha combinato qualche guaio?” “Oh mio Dio” gemette la madre “il bambino ha qualcosa che non va?” La Signora Giuseppina di fronte a tutta quella agitazione che aveva, suo malgrado, scatenato, riprese il controllo e dopo essersi accomodata davanti ad
una provvidenziale tazzina di caffè incominciò a spiegare: “State tranquilli; Salek sta bene e non ha combinato nessun guaio. Solo che ha trovato… lui non ha il coraggio di dirvelo… un….un cucciolo… che…” “Un altro animale in casa NO” la interruppe il Signor Fontana con tono deciso “c’è già Ciuffo” e cercò con lo sguardo il terranova che, sotto il tavolo, tentava di farsi sempre più piccolo. “Ma, vediamo, se è buono e se occupa poco posto…” si intromise la moglie più accomodante “Buono è buono” azzardò la Signora Giuseppina “quanto alle dimensioni non so… non so quanto crescerà…” e poi tutto d’un fiato “è un dinosauro.” Forse se un fulmine avesse colpito la casa non avrebbe avuto l’effetto di quelle parole. I genitori di Salek rimasero di sasso. “Ma Signora maestra!” riuscì dopo qualche minuto a proferire il padre con tono sarcastico “via, un dinosauro! Lo sappiamo che nostro figlio è un bambino fantasioso, sempre dietro ai suoi libri. MA LEI, un’insegnante, e, mi scusi la confidenza, di una certa età… Un dinosauro! Sarà qualche lucertolone un po’ più grosso del solito.” La Signora Giuseppina si era ben aspettata una reazione del genere e quindi sapeva che cosa rispondere, ma non ebbe bisogno di impegnarsi in un discorso così arduo perché in quel momento suonò il telefono. “Pronto, sì, casa Fontana” rispose la mamma di Salek con il poco fiato che le era rimasto dopo lo strabiliante annunzio “sì, mio marito c’è, chi lo desidera? Come? Il sindaco? (Oh Dio, il Signor Sindaco!) subito, glielo o subito. E scusi il disturbo” terminò inopinatamente, sopraffatta dall’emozione; e d’impeto diede la cornetta in mano al marito, come se bruciasse. “Sì, pronto, sono io. Buongiorno Signor Sindaco, no non disturba affatto, per carità, mi dica mi dica. Vuol vedere mio figlio e il suo… lucertolone? Certamente, nemmeno io posso credere a certe cose; via, SIAMO UOMINI, e adulti. Ma gliene hanno parlato persone rispettabilissime? Ma vuol vedere con i suoi occhi? … certamente… ha tutte le ragioni… oggi stesso… alle sedici… saremo puntualissimi… e non diremo niente a nessuno… non dubiti… A più tardi.”
Tutto sudato e rosso in viso il Signor Fontana si abbandonò su una sedia. Ma allora, se anche il sindaco, il Signor Sindaco, si interessava al fatto…; e guardò la maestra come a chiederle un po’ di sostegno morale. Ma questa, che ormai affrontava la cosa con maggiore disinvoltura, non fece ne’ uno ne’ due e ordinò con voce decisa: “Salek, vai a prendere Dino.” Fu un’apparizione a dir poco insolita: un piccolo, con lo sguardo smarrito, che avanzava timoroso tenendo tra le braccia – quasi attaccato al collo – una specie di draghetto pigolante dalla paura. Sì, dalla paura, perché Dino da quando sapeva di non far parte del gruppo degli umani, li guardava tutti con trepidazione; e ora si lamentava con i suoi soliti queruli bii… bii… Sennonché la mamma di Salek, vedendo quell’essere non ben identificato che piagnucolava aggrappato al collo di suo figlio, del suo bambino, allungò incerta una mano per fare una carezza a quel “fagottino” tremante. Lo accarezzò sul capino crestato, sul lungo collo sottile, sulle zampine anteriori (che unghioni però!) Fu un miracolo: Dino chiuse gli occhi “facendo le fusa” e smise di lamentarsi. Quella non era una bella mamma –dinosaura, dovette pensare, ma sempre una mamma era.
XIII
L’ingresso in società
Quel pomeriggio, i cittadini che uscivano felici dalle proprie case per andarsene sulle spiagge o ai giardini a godersi il primo sole quasi estivo, poterono vedere la famiglia Fontana al completo (più la maestra Ratti) che saliva tutta impettita la grande scalinata che porta al Comune. Splendevano eleganti e inappuntabili – la mamma di Salek si era addirittura fatta la messa in piega – e persino Ciuffo, che non faceva parte della lista degli invitati e li avrebbe attesi fuori, era stato spazzolato e lustrato a dovere. (A dire la verità a essere così emozionati erano gli adulti – il Sindaco, il Sindaco in persona li aveva convocati! – perché a Salek la cosa non faceva né caldo né freddo; a lui interessava solo che al cucciolo che portava nello zainetto non venisse fatto alcun male. Appena furono introdotti nell’ufficio del primo cittadino si trovarono di fronte a una scenetta davvero sosa: un gruppetto di persone autorevoli che, accalcate intorno a una imponente scrivania, discutevano e strillavano (quasi vicine a prendersi per i capelli) inutilmente moderate dal sindaco. C’erano – oltre al dottor Ricci, al dottor Valdini e persino al Presidente del museo –uno specialista del comportamento animale, un veterinario, un professore di paleontologia, e altri autorevoli personaggi, TUTTI DI GRANDE IMPORTANZA. E ognuno di loro voleva esprimere la propria opinione – anzi la propria certezza – su quell’inimmaginabile evento. Naturalmente parlando per primo. Di colpo, però, l’insigne assemblea ammutolì. Incredibile! Come un prestigiatore dal suo cappello a cilindro, Salek, dietro invito della signora Ratti, aveva tolto dallo zainetto il suo protetto. Per un attimo ci fu il gelo. Poi, dopo qualche istante di pietrificato stupore, tutti – tutti insieme – si precipitarono a circondare il povero cucciolo che si era rifugiato tremante tra le braccia del bambino. Un vero assalto… Lo guardarono, lo toccarono, lo visitarono, lo fecero
camminare avanti e indietro e quindi, in un diluvio di termini scientifici, molti dei quali del tutto incomprensibili, sentenziarono: a) Si trattava senza dubbio di un animale primitivo (del Cretaceo… no del Giurassico… per me è del Triassico…) b) Si poteva senz’altro classificare come un Rettile anche se… (ha la peluria sotto il ventre! – esclamava uno – e il sangue caldo! – sbalordiva un altro) con qualche inspiegabile caratteristica da Mammifero. c)L’animale, chiamato Dino, in realtà era… una Dina. Di più sul momento non potevano asserire, ma avrebbero inviato ampie e dettagliate relazioni dopo aver studiato a fondo la questione. Detto questo, gli illustri personaggi si congedarono, abbandonando i frastornati “indigeni” ai loro problemi. A questo punto è doveroso precisare che, mentre per le Autorità i nodi da sciogliere erano rimasti molti e intricati, per quanto riguarda Salek e la sua famiglia – che di tutti quei paroloni avevano capito ben poco – una sola cosa li aveva colpiti: il nuovo sesso del cucciolo. Non che ciò cambiasse molto le cose ma, si sa, una femminuccia è sempre una femminuccia; la signora Fontana si intenerì ancora di più mentre i rappresentanti del sesso forte si sentirono investiti di nuove delicate responsabilità. Comunque, tornata la calma (o almeno la bonaccia) fu deciso il piano di battaglia: il Sindaco avrebbe radunato il Consiglio comunale, gli studiosi si sarebbero messi in contatto con i loro colleghi – di ogni nazione, ben inteso, ché la scienza non ha confini – e nel frattempo Dino, anzi Dina, avrebbe continuato a vivere con la famiglia Fontana. Assistito da una equipe di veterinari/etologi/psicologi che lo avrebbero aiutato a inserirsi nel suo nuovo mondo. Contemporaneamente si sarebbe organizzato un convegno, DI PORTATA INTERNAZIONALE, per comunicare ufficialmente al mondo il meraviglioso super straordinario evento. Frattanto – inutile sottolinearlo – acqua in bocca con tutti i “non addetti ai lavori.” In effetti ognuno si mosse, con rapidità ma con prudenza, nel proprio campo di azione. Qualche difficoltà la incontrò il sindaco, ma di natura esclusivamente politica. La seduta comunale, infatti, non fu delle più tranquille: quando il Primo Cittadino, affiancato dal presidente del museo che con la sua imponente figura e
i lucenti capelli d’argento conferiva alla riunione un’aria di grande importanza, diede l’annunzio dell’incredibile evento fu il caos. Ancor peggio di quando si doveva decidere sul Piano del Traffico Urbano. Chi accusò il sindaco di volersi fare propaganda per le vicine elezioni, chi gli diede del visionario megalomane sempre pronto a inventarsi qualcosa per dar lustro al paese, chi lo accusò di una subdola manovra – non si sa bene perché e contro chi ma comunque “contro” – chi addirittura chiese a gran voce le sue dimissioni. Alcuni consiglieri abbandonarono sdegnati l’aula e dai banchi dell’opposizione si levò una voce (in verità subito zittita) la quale azzardò che siccome il presunto dinosauro era un individuo non ben identificato, risultava un clandestino e non poteva quindi essergli concesso il permesso di soggiorno. Poi, piano piano, il trambusto si calmò. Furono ascoltate le esposizioni delle competenti Autorità (con particolare interesse per l’assicurazione che la creatura di cui si parlava era erbivora e di modeste dimensioni) e, dopo un accanito dibattito, si ò alle votazioni. A grande maggioranza si votò a favore di Dino (anzi Dina); anche perché si valutò che un tale “straniero”, ben identificato o no, avrebbe comunque costituito una vera manna per il turismo.
XIV
Un dinosauro nel terzo millennio
L’inserimento di Dina nel mondo del terzo millennio non fu certo privo di difficoltà, anche se non mancò di episodi molto divertenti, in certi casi addirittura irresistibilmente comici. Bisogna precisare che il piccolo dinosauro possedeva senza dubbio le caratteristiche dei suoi simili Rettili ma sembrava appartenere a una qualche “specie di transizione”; rivelava cioè – come del resto avevano intuito gli esperti – anche alcuni tratti dei loro discendenti Mammiferi. Era forse per questo che, inaspettatamente, dimostrava notevole facilità ad apprendere le diverse “stravaganti” abitudini degli esseri umani; o forse, negli infiniti millenni nei quali aveva dormito il suo sonno profondo, qualcosa era giunto fino a lui dei mutamenti che avvenivano intorno, qualcosa che aveva stimolato le cellule del suo giovane cervello. Fatto è che, dopo i primi giorni, Dina aveva imparato a capire quasi tutto ciò che la circondava: lei faceva le sue domande a Ciuffo, che le trasferiva a Salek, che rispondeva a Ciuffo, che le traduceva a Dina. In una ininterrotta catena di efficiente solidarietà. E così le informazioni arricchivano sempre di più il cervello del piccolo dinosauro che lentamente perdeva il timore per il mondo estraneo che lo circondava e diventava via via più fiducioso. L’enorme gru che vedeva in giardino non gli appariva, adesso, come un terrificante Tirannosauro; gli aerei che avano nel cielo non erano più mostruosi Pterosauri; e nessuno degli Umani era un crudele predatore di poveri erbivori preistorici. Anzi, Dina incominciava a prendere gusto a certe invenzioni del cervello umano e imparava rapidamente a parteciparvi: ad esempio, giocava entusiasticamente a palla con Salek e Ciuffo arrancando sulle zampe posteriori e aiutandosi, in certe occasioni, con robusti colpi della potente coda. (Forse ciò non era proprio regolare ma, del resto, anche il terranova nei suoi spericolati salti e piroette da goleador spesso si
aiutava con i denti.) Era davvero uno so guardarli! E come si divertiva se la portavano, verso sera quando non c’era nessuno, a nuotare nel tiepido mare dietro il castello! Con il musetto fuori dall’acqua e la coda che le faceva da timone filava veloce e silenziosa che sembrava un coccodrillo; più veloce di Ciuffo che, benché si vantasse di essere un cane da salvataggio, non aveva poi tutta questa ione per l’elemento liquido. C’erano però alcune cose che per il momento non erano riusciti a insegnarle: a esempio ad andare in bicicletta. Si teneva, sì, ben stretta al manubrio con le corte zampette anteriori e pedalava con quelle posteriori, ma la grossa coda la faceva sbilanciare e finiva immancabilmente per terra. E anche il rispetto per le piante dei giardini – non vi dico per quelle dei fiorai – era una cosa che proprio non le entrava nella testa. A che cosa serviva, domandava, tutto quel ben di Dio se non ci si potevano fare dei fantastici spuntini? Altre cose, invece, sembravano letteralmente affascinare il cucciolo. Ad esempio, aveva scoperto che esistevano degli oggetti strani, chiamati libri, nei quali si trovavano delle “macchiette” nere che raccontavano storie bellissime, e che molte di queste – non si stancava mai di farsele leggere – parlavano proprio dei suoi antenati e del mondo nel quale erano vissuti; quel mondo perduto nel quale anche lei avrebbe dovuto vivere. E accanto alle macchiette nere spesso c’erano delle fantastiche illustrazioni che le facevano venire la tremarella dall’emozione; alcune, addirittura, Salek gliele aveva ritagliate per farle una specie di “album di famiglia” che lei fissava sospirando. Ma la cosa che più affascinava Dina erano i film sul teleschermo, con quelle figure in movimento che l’attiravano irresistibilmente. Uno in particolare la incantava, la storia dell’estinzione dei dinosauri, e Dina aveva imparato, pur con i suoi ditoni unghiati, a schiacciare il tasto del telecomando per guardarlo e riguardarlo. Specialmente la scena nella quale, dopo mille peripezie, il suo giovane ardimentoso antenato incrociava il lungo collo con quello della sua compagna, in un tenerissima romantica inquadratura. Eh, anche lei avrebbe voluto incontrare un eroe come quello! E così era uno spettacolo vederla davanti allo schermo, seduta sulle zampe posteriori e sulla grossa coda, mandare languidi bii… bii… da spezzare il cuore. Sotto lo sguardo sdegnoso di Ciuffo che brontolava sottovoce: “bunf… bunf… le solite smancerie delle femmine”.
Una volta, di sera, dopo essersi assicurati che non ci fosse in giro anima viva, accompagnarono Dina al museo geopaleontologico, dove il dottor Ricci le mostrò le varie antichissime testimonianze del ato e, sempre tramite la traduzione simultanea Salek/Ciuffo – Ciuffo/Dina, le spiegò la storia di quel mondo svanito. La cucciola lo ascoltò attenta, come se capisse tutto, come se quelle parole e quegli oggetti risvegliassero in lei chissà quali ricordi lontani sepolti sotto la polvere del tempo. E la sua espressione era così incantata, il suo sguardo così assorto che Salek – quasi cullato dalla voce che narrava – si trovò immerso in un sogno fantastico. Come in uno di quei film in cui si viaggia indietro nel tempo, ebbe l’impressione di venire trasportato in un mondo scomparso pieno di mitiche creature – mostruose e insieme affascinanti – che sguazzavano nelle paludi o oscuravano il cielo. “Vedi” gli raccontavano quelle creature “così eravamo milioni e milioni di anni fa: grandi e potenti, i più grandi esseri viventi mai esistiti, i padroni del pianeta. Poi, un terribile giorno, il sole si oscurò, le tenebre caddero sulla Terra e noi ci trovammo, sbalorditi e confusi, in un mondo completamente cambiato. Forse, chissà, se avessimo unito le forze per affrontare la nuova tremenda realtà, forse saremmo riusciti ad adattarci e sopravvivere. Ma così non fu. Di fronte alla spaventosa catastrofe ognuno cercò la propria salvezza: i più forti si gettarono sui più deboli e presto non rimase nessuno.” Poi, rivolte a Dina: “Solo tu, non si sa come e perché, sei rimasta a testimoniare il nostro mondo. Forse un inspiegabile caso, o forse una maga di nome Natura ha voluto mostrare una prova del ato, un sopravvissuto a una catena inimmaginabile di infiniti avvenimenti. Forse… chissà…” Poi, la voce del dottor Ricci tacque e Salek si “svegliò”. No, non si trovava nel fantastico mondo dei dinosauri; era, molto più semplicemente, nel loro museo. Tutto era stato uno dei suoi soliti sogni a occhi aperti. Peccato! Quel mondo mitico incredibile unico era scomparso per sempre. Però…però…Dina lo stava guardando come se sapesse… Quello sguardo lo riportò sulla terra facendogli dimenticare l’avventura immaginata. Lui era fortunato; il suo sogno era qui. Che straordinario regalo la maga di nome Natura
gli aveva fatto!
XV
Dina è innamorata??
Finalmente arrivò il giorno della “presentazione in società”. La villa che accoglieva il convegno appariva in tutto il suo splendore: i bellissimi giardini, le magnifiche sale, le terrazze che respirano il mare, ogni cosa si presentava smagliante agli sguardi dei convenuti. Nordici alti e biondi, piccoli giapponesi con gli occhi incollati alle macchine fotografiche, alteri africani dalla pelle d’ebano… un mondo variopinto si muoveva per gli incantevoli vialetti, in estatica ammirazione del luogo. Uno spettacolo non meno interessante si presentava nella luminosa sala del convegno. Seduti intorno al lungo tavolo delle autorità i personaggi più rappresentativi del posto accoglievano gli illustri invitati: in primo luogo il Sindaco, alto e prestante con la sua fascia tricolore in bella mostra, affiancato da alcuni dei suoi più stretti collaboratori – il distinto assessore alla cultura e la bionda “assessora” alla pubblica istruzione in prima fila – e poi il Presidente e il Direttore del museo geopaleontologico, e altre ragguardevoli personalità. Terminati gli scambi di convenevoli, gli altoparlanti incominciarono a gracchiare, il pubblico si zittì, e sugli schermi comparvero splendide immagini del golfo e del castello; il Sindaco e le altre autorità fecero i loro discorsi introduttivi e quindi finalmente un Salek lustro ed emozionatissimo fece il suo ingresso portando al guinzaglio (solo per quell’occasione, caso mai qualcuno avesse avuto paura) una trotterellante e compostissima Dina. Non si può nemmeno immaginare l’effetto che suscitò tale comparsa: occhi neri, occhi azzurri, occhi a mandorla, tutti si spalancarono davanti a quella sbalorditiva visione. Anche se i convenuti erano informati circa la natura dell’avvenimento, il trovarsi, effettivamente, di persona, a tu per tu con quell’essere così… così… fantastico… paralizzò la platea.
Un silenzio pieno di punti interrogativi riempì dapprima la sala, poi fu un vorticare di domande esclamazioni mormorii (e, in sordina, qualche gridolino di paura) che si intrecciavano sulle teste dei presenti. Fotoreporter e teleoperatori – quasi impazziti – facevano a gara a riprendere Salek e Dina da tutte le possibili angolature mentre i cronisti, taccuino alla mano, si preparavano alle più clamorose interviste. Infine, lentamente, il putiferio cessò. Le autorità e gli esperti risposero alla miriade di domande, si impegnarono a tenere costantemente informati i massmedia e la comunità scientifica sul futuro del piccolo dinosauro, e finalmente i protagonisti di quell’incredibile vicenda poterono tornare a casa. Sì, a casa, perché era stato deciso che il rettile preistorico pur se “adottato” (quale prezioso patrimonio della scienza) dal museo geopaleontologico, avrebbe potuto continuare a vivere con i suoi inseparabili amici. Ormai anche lui, come Salek e Ciuffo, faceva parte della famiglia Fontana; i tre “stranieri” non si sarebbero separati. Ma, qualcuno chiederà, come è finita la storia? Come vive ora Dina? Quale sarà il suo futuro? Ebbene, Dina lavora – sì, lavora – alle dipendenze del castello di Lerici. Tutti i giorni, dalle 16 alle 18, accoglie gli innumerevoli visitatori del Cortile dei rettili; si fa fotografare – zampa nella mano – con i più coraggiosi, e racconta… racconta… le cose più fantastiche che si possano immaginare sulla vita della preistoria. Racconta dell’immenso terribile Tirannosauro dalla bocca enorme, del micidiale fulmineo Velociraptor, del gigantesco Branchiosauro, della dolce femmina del Maiasauro che accudiva i suoi piccoli. Racconta nella sua lingua tradotta da Ciuffo e riferita da Salek. (In realtà anche il bambino ha ormai imparato a capirla ma gli piace, di quella “traduzione simultanea”, il filo che lo unisce ai suoi amici del cuore.) I piccoli visitatori capiscono tutto ed entrano con lei in quel mondo da favola; gli adulti non si sa ma ovviamente sono meno importanti. E per il futuro che cosa si prevede per Dina? Resterà sola su un pianeta che non è più il suo? Per ora non è dato saperlo. Numerosi studiosi stanno girando il mondo alla ricerca di un altro possibile prodigio: il ritrovamento di qualche suo simile miracolosamente sopravvissuto.
Per ora Dina resta sola, unica testimone di un ato non più ripetibile, a sospirare davanti alle storie romantiche che ano sul teleschermo. Anche se, ultimamente, si è notato che sempre più spesso si ferma di fronte alla vetrina di un negozio di animali esotici, a guardare con occhi languidi uno splendido esemplare di Iguana del Borneo. Chissà… i matrimoni misti sono di gran moda… A volte, di sera, capita di vedere i tre inseparabili amici seduti nella rotonda che si affaccia sull’acqua, a guardare con aria un po’ triste lo splendido spettacolo del sole che va a coricarsi dietro i monti e lascia, come ogni notte, a guardia della cittadina l’antico castello. Forse ricordano qualcosa del ato: Salek l’immensità del deserto accarezzato dal vento, Ciuffo i verdi prati sui quali scorrazzava con i cuccioli fratelli, Dina le foreste di felci che non vedrà mai… Ma l’ombra della tristezza sparisce presto, scacciata dalla luce della loro amicizia, quella amicizia che li rende forti e fratelli ovunque si trovino.