Simona Corbo
Sud
Anima
1
All’alba,ai tetti,agli uccelli,alle mani,ai tuoni.
Ai bambini,ai cani,agli addii,agli abbracci,ai nidi,agli sguardi.
Alle prigioni,alla libertà,al grido,al suono.
Al soffio,al vento,agli argini.
Al dubbio.
Al legno,al vetro,alla burrasca,al pane.
Al sorriso in fuga.
Ai ritorni,alle schiene.
Ai solchi.
Al silenzio e al perdono.
2
1, Mia madre.
Potrei sembrare un batuffolo di cotone mentre rotola sulle
schiene dei miei anni.
Sono nata nel mese più bello,Maggio,tutti i colori della primavera inoltrata fanno da sfondo ai trentuno giorni più tenui dell’anno.
Mia madre mi ha messo al Mondo a molto meno della mia età:
esattamente quando io finite le scuole superiori, mi addentravo ingenua in un mondo pieno di fosse.
Di lei ricorderò sempre l’odore di sigaretta appena accesa come una scia di bruciato che amo inseguire, le sue grida assordanti per un nonnulla, e i suoi silenzi così ingombranti dentro il caos della mia mente.
E l’odore di bucato, la mia casa sembra una lavanderia ambulante; non a giorno in cui la mia mamma non lavava qualcosa e così non mancano mai in
casa nostra lenzuola pulite, e fragranza di torte o crostate.
Non ho mai imparato dalle sue mani grandi, non ho mai voluto
farlo.
3
E oggi che raddrizzo le spalle e m' incurvo dentro per non
pensare ,vedo davanti ai miei occhi le sue pupille chine e vispe mentre carezzano l’impasto, la vita,i dolori.
Potrei raccontare tanto di lei ma mi piace soffermarmi sui suoi tratti distintivi, sulle tracce del suo istinto in me.
Ha una forte voce, squillante, a volte fastidiosa,capelli neri e lucenti,due occhi grandi che quando fa buio da soli possono
illuminare una stanza.
(Mio padre ha notato quelli quando se n'e innamorato?).
Ha un carattere difficile, burrascoso,irruente, Dio se è permalosa ed insistente!
Io però l’amo con tutta me stessa, la rinnegavo nelle lenzuola bagnate di pianto per poi adorarla di nascosto mentre dormiva.
La mia vita ha avuto mille sapori, da quelli più dolci a quelli amari, soffocanti, ma il suo coraggio mi ha trattenuta sull’orlo
,senza precipitare.
Da lei so di aver ereditato l’incostanza, il carattere nervoso, l’agitazione, ma anche e soprattutto la sincerità,l’audacia.
Ognuno di noi a un punto esatto della propria esistenza varca una soglia, delinea tracce,scorci,vie.
L’uscio della mia richiama a stento lei di notte, di mattino quando il caffè non ha il suo stesso sapore, il cane non si alza più, il telefono è scarico,fuori piove da ore.
4
So darmi poche risposte, alle mille domande, ponendomi non al centro ma di fianco, per poter sentire lo scricchiolio di ossa mentre prendono le curve.
Enigmi, nenie,gocce,argini,sensi,abachi di memorie illudono la mia maturità e affondano al primo lampo.
Si può scegliere di regalare un insulto al perdono, un urlo al silenzio,uno schiaffo ad una carezza, una mancanza ad un
abbraccio, ma se la terra è orfana nemmeno sete le verrà.
Ho scelto.
Di disegnare di me,di lei,voi,loro sul bianco.
Di raccontare senza pretese in quale posto del corpo tutti i
capitoli succinti vanno ad accucciarsi ammucchiandosi.
Faccio spazio :un altro segmento sta per venire.
5
2, Silenzio
Non si può descrivere con precisione quando si comincia a
respirare, ciò che si ricorda bene è quando si è smesso di farlo.
La mia fase di vita tutta in apnea è iniziata così, senza una data precisa,come un lampo improvviso; susseguendosi senza tregua
ho visto tutti i colori del mio animo sbiadirsi e tutti i fiori schiudersi avvizzendosi.
Quasi senza chiederlo la sua brutalità mi invase, alle volte
purtroppo mi pare di sentirli respirare i suoi silenzi, i suoi affanni,le sue pene ingombranti; lo sento correre sulla pelle quel buio oltre il quale ho dovuto imparare a guardare e reimparare a vedere.
Sembra facile da compiersi ma le vie di fuga in determinate
circostanze sono davvero poche,la fluidità dei sensi muore a poco a poco e i muri che incontri sono sempre troppo alti,un corpo minuto è facile scuoterlo, basta una spinta.
6
Quando il suo petto duro e forte si schiantava contro il mio
pensavo:- questa volta muoio-,svestita e nuda dal di dentro
rincorrevo una dignità troppo lontana,offesa,umiliata dalle piaghe sporche delle sue mani invadenti ,nemmeno la voce aveva più un tono,anzi sbiadiva alla sera in cerca di riposo,le grida
rimbombavano sino all’esasperazione.
Scorgevo bensì il coraggio di urlargli contro la mia repressione, la mia vendetta,la mia libertà negata, la sua risposta era di piombo,ogni bacio rubato moriva tra le lenzuola.
Finivamo ed io correvo in bagno a svuotarmi,levarmi di dosso
quel suo odore,ricattavo i miei seni,la mia pelle,mi ripromettevo di non lasciargli più spazio, mi punivo,scorrendo l’acqua su di me ha portato via anni e ricordi.
Si esplode come dentro ad un vulcano, un gemito dall’incubatrice delle pene che
mi ha voluto arrecare ha straripato d’improvviso esattamente com'era fecondato.
Dovevo abortire sin da subito l’invito del suo nome, i i , il ruolo di padre e amante:
Saprei riconoscerlo nel buio, per il gelo che ha deposto sul cuore e la rabbia che sgorga dalle iridi.
Sul viso si affacciano le prime rughe, le invito,le faccio
accomodare, le sveglio al mattino, le porto con me, le lascio scendere sugli angoli della bocca, amo sentirle,non le rinnego, so che se lo fi sprofonderei in queste epoche
malnutrite,bigotte,non nostre.
7
Ho ricordato di avere un nome, una voce e ho urlato alzando le spalle, lo sguardo,il collo, le punte dei piedi,e come un trao ho depositato l’amarezza giustificando la mia ingenuità e ho accolto la pazienza per il tempo dei rimorsi.
Oggi accarezzo dei nuovi sogni, un diverso volto, un amore
pulito, la scala di grigi ha nuove sfumature, e nel darmi a lui sento di ricevere e di volermi nuovamente bene.
Non nego che sia stato difficile spalleggiare i lunghi anni, mentire a mia madre che implorava una spiegazione, così come ammetto
di aver voluto in qualche modo che accadesse a me.
Disintegrare i ricordi spiacevoli non è scontato, li annotiamo nel nido che si auto costruisce dentro di noi e non appena le ali si fortificano libriamo in alto e in alto ancora schiacciando il silenzio.
Prima dello schianto, è così che ho preso a definirlo, il rapporto con la mia famiglia era normale, ho vissuto in una casa
modesta,luminosa,media, beh le stesse caratteristiche potrei
associarle alla figura di mio padre,mia mamma e la mia sorella adorata.
Tutti avevano un ruolo, ciascuno lo aveva appreso svolgendolo senza pretese.
Il momento più bello per me era quando si apparecchiava , ancora oggi detesto il disordine specie in tavola,i piatti,le posate,i bicchieri ed i tovaglioli debbono avere un filo continuo,un loro verso.
8
Il pane tagliato e posto in un cestino era compito del papà, il coltello entrava ed usciva senza ferire né lui né il dono di Dio perché il mio amato babbo non avrebbe potuto fare del male a
nessuno.
La televisione era sempre accesa, il volume a volte copriva le voci,i racconti, i miei dispetti ma tutto colorava nell’insieme quel quadretto tipico di un quartetto sereno seppur non privo di
problemi.
L’ora della cena respirava piano, ognuno però aveva i suoi tempi, i ritmi non coincidevano, <<mangia piano, possibile che noi siamo ancora al primo e tu hai già divorato tutto>>???,ripeteva ogni volta mia madre ma io ero già corsa in camera borbottando ad
inventarmi un nuovo gioco solitario.
Ero una bambina estroversa, briosa e allegra ma preferivo a gran lunga giocare da sola, architettavo vite,progettavo le fondamenta di case,arredi,protagonisti surreali; un o dietro di me
all’opposto cresceva muta mia sorella.
Definisco muta la sua delicatezza, sempre sobria,
silenziosa,disponibile, rappresentava per me, ed oggi nulla è cambiato, un’ancora a cui aggrapparmi,persino nei sogni.
Abbiamo tutti un punto di riferimento, un amico annuale, un
confessionale sicuro, un riparo ecco lei per me è un riparo.
Da cosa?
Dai tuoni,dal vento delle inimicizie,dal troppo fervore,dalla brama dell’ipocrisia, dal nemico che ti sta accarezzando nell’attimo esatto in cui tu gli stai donando l’ anima.
9
Può sembrare assurdo pretendere e illudersi che questo sia
possibile ma un legame che va al di là di quello fraterno mi lega a lei, mi riporta a lei, mi guida da che sono al Mondo,perché sa placare il mio istinto vagabondo e il mio spirito libero più di ogni altro.
E’ notte, è tempo di stendere le gambe, chiudere le mani a farfalla sotto il petto, rannicchiare il brusio delle parole e ,riposare.
10
3, Nonna.
Le mancanze sono assolute o no?
Io le ho sempre vissute attraversandole, senza perderle di vista perché a nulla serve tentare di insabbiare una scomparsa, un
ricordo poiché quando riaffiora, e lo fa, si sta peggio.
Per non trovarmi impreparata al dolore lacerante ho imparato a innalzare le assenze a assegnarle dei nomi personificarle,parlarle.
Davanti allo specchio stamattina per un attimo ho ricordato mia nonna, spesso mi torna in mente di rado nei sogni;alle volte
sorride,altre mi guarda senza rivolgermi parola, e altre ancora sogno di lei come se fosse venuta a farmi visita ma so bene che è morta.
Al risveglio faccio fatica a realizzare l’incubo, a scuotere il volto e anche il suo odore, penso di andare a farle visita, o di recitare una preghiera per lei ma mi
assalgono domande prepotenti e le lascio inevitabilmente sovraffollare il mio cervello, è inutile mescolare l’intreccio dei sogni per carpirne un senso e cercarne il significato ognuno poi lo interpreta a se e per se stesso.
Io annoto un’eventuale parola, qualcosa che possa volermi dire e nel processo a ritroso m' incammino in chimere impossibili.
Quanto è effimera la vita!
E’ andata via in Ottobre come le foglie, dopo una lunga malattia che nessuno ha mai voluto comprendere in pieno, sempre in un
11
angolo solitaria,triste,vederla sorridere era un miraggio da
immortalare all’istante.
La sua vita non era stata esattamente un calvario ma nemmeno in discesa, madre di sette figli e moglie di un uomo follemente
incantato dalla sua bellezza.
Alta, imponente,due seni bellissimi,un’attrice in un paesino
sperduto tra le montagne lucane, vedova in giovanissima età
chiude la sua esistenza al mondo per vivere in uno tutto
suo,abbandonando egoisticamente se stessa e i suoi figli.
Il desiderio che l’ha trascinata e accompagnata negli anni e nel dolore del suo
male era solo uno: ricongiungersi con l’uomo
amato.
Abbiamo cercato in tutti i modi possibili di aiutarla, farla
uscire,farla divertire, ma la sua schiena curva volgeva il capo in un orizzonte che noi non abbiamo compreso ancora.
Tanti la ricordano, rammendano la sua
generosità,l’intelligenza,l’educazione, io ho scelto il silenzio,era palpabile sulle sue orbite stanche, sui polpastrelli attivi,sul profilo che non mi lascia mai.
Mi ha donato il nome, perché avrei dovuto chiamarmi come lei
ma per il suo avverso destino non volle e il giorno in cui sono venuta al Mondo guardandomi dal mio viso bianco e i capelli
biondissimi, esclamò,”bella come il sole, si chiamerà Simona”.
Sono privilegiata, l’unica nipote che porta con sé un nome
regalatole da sua nonna, la mia cara nonna che mi manca,mi
12
affonda perpetua nelle ore più malinconiche e tristi dei miei giorni.
Quando mi sale la nostalgia e ho voglia di sentirla vicino mi basta spiare mia madre, i suoi stessi occhi grandi e spesso cupi.
V’è stato un periodo di molti anni addietro quando io frequentavo le scuole medie in cui ci eravamo avvicinate tantissimo,avevo il rientro pomeridiano e abitando lei vicino la scuola mentre la mia casa era un tantino distante, mi ospitava a pranzo due volte alla settimana.
È un ricordo dolcissimo perché non mi ha mai fatto mancare
nulla, dal primo alla frutta e spesso il dolce, ma quello che più mi piaceva era chiacchierare con lei, io raccontavo la mattinata a scuola,il litigio con mia cugina e lei sapeva
addolcirmi,calmarmi,insegnarmi.
Mi dava saggi consigli, raccontava la sua adolescenza,le sue
scuole,l’amore per nonno, le ricette più buone erano queste al di sopra del cibo e del pane che mi offriva!
Quando la malattia ha purtroppo impedito di cavarsela da sola io e mia madre trascorrevamo i pomeriggi interi lì, io
studiavo,leggevo, poi giocavo,poi mi sedevo ad ascoltarla,Dio solo sa quanto ho pregato perché non ce la portasse via,era troppo presto,troppo!
Di notte temevo squillasse il telefono, temevo chiamasse
qualcuno per darci la notizia dell’epilogo invece è morta
nell’unico luogo in cui non avrebbe voluto mai, su un letto
d’ospedale dopo svariati e crudeli attacchi cardiaci, le hanno 13
massacrato il cuore già in cielo, le hanno strappato l’anima ancora qui con noi.
Mi commuove scrivere di lei, mi tormenta l’idea di non averla salutata, ma io ho un suo ultimo bacio che non scorderò mai.
Una sera ai perché doveva darmi una cosa per mia madre, era tardi,bussai
venne ad aprirmi in vestaglia rosa, bellissima, magra,i capelli sciolti finalmente fuori dal fazzoletto nero di lutto, fuori dal perpendicolio di brusii del giorno, si chinò e mi baciò sulla guancia.
Ne fui contenta, e allontanandomi la pensai tanto.
Fu l’ultima volta che la vidi in vita.
Da lì al dopo seguono flashback di lividi, capelli raccolti,piedi immobili,mani fredde,pianti.
Io non so rassegnarmi alla sua assenza, trovo terribile il trao umano, terrificante accettarlo.
Incolmabile la sua distanza.
14
4,Sul cuore
Eravamo legati l’uno all’altro come l’esca e l’amo,intrappolati.
Come due prigionieri scalzi e senza meta ci raggiungevamo nelle voglie reciproche di una vita a stento e proclamata sconfitta.
Il punto più in alto della ione è la brama incessante, la nostra aveva il nome del peccato,aveva mille volti,il sapore del mare,la saliva spingeva perché insieme abboccassimo.
Non ho mai riprovato quelle sensazioni, la corsa verso la riva, l’affanno,la gola in fiamme,l’appagamento,la punizione.
E mai probabilmente mi ero trovata tanto sola al punto da
cercarmi in lui mentre egli ritrovava se stesso in me.
Nella mia età giovane, in un corpo bianco, minuto,orfano.
Qualunque cosa gli appartenesse, persino l’aria,doveva essere mia,un’ossessione dolce che mi travolgeva e lasciava senza forze.
Il nostro incontro avvenne davvero per caso, ma i giorni e gli sguardi precedenti, nascosti ,avevano delineato una prima volta .
Gli amori più belli ed anche più effimeri si sa sorgono improvvisi, perché non debbono lasciare alcun tempo o possibilità di
scampo,in trappola siamo più audaci,affamati,guerriglieri.
Il colore dei suoi occhi si era autoinvitato in me, penetrando negli abissi della mente così come la sua voce che avevo tanto
immaginato; il viso,le rughe leggere,le labbra scure,le ciglia foltissime,il carnato scuro in contrasto col mio,il nome,il collo,i 15
peli che spuntavano dal petto, tutto in un solo mattino si scolpì nella mia vita.
Un quarto di secolo della mia veniva cancellato,offuscato e
sbiadito da quell’uomo,sovrapponendosi e alternandosi alle
fughe,ai dubbi,alla distanza obbligata.
Di corsa, si,non lentamente,le giornate riprendevano un senso,il suono del suo arrivo,i i,la bocca pronta per dirmi……
<
>.
Ma non doveva accadere così, non poteva essere tanto banale.
Tutte le notti il pensiero andava in agonia, dovevo decidermi , non telefonargli significava aver scelto di escluderlo ,farlo intromettere lui in me.
La strada non aveva più un colore, le macchine andavano
,venivano,mi sfioravano ma io non vedevo nulla, solo lui davanti agli occhi,le scale,il respiro ,la sensazione di esplodere,la porta socchiusa,un odore nuovo, luce, due braccia enormi,quiete.
Lui.
Mi travolse, stringeva fortissimamente le mie orecchie, mi
accarezzò per minuti tenendomi la testa ferma,
Poi la lingua di quel lampo “sconosciuto” catturò la mia e fu un lungo,interminabile silenzio.
Chi dice che mentre ci si bacia non v’è tempo per pensare
mente,io catturavo il diaframma di quell’attimo cercando di
condurlo in un futuro prossimo.
16
C’ eravamo gustati,assaporati,conosciuti,finalmente potevo dare un nome a quell’insieme di emozioni,ci eravamo fermati e soltanto in questo modo potevamo incontrarci.
Stropicciandomi i capelli, sciolse ogni resistenza, alternando dolcezza e foga con impeto mi poggiò su un muro, morse piano il mio collo,poi i seni,poi prese il mio sesso nelle sue mani e lo baciò
; milioni e milioni di volte avrebbe compiuto quel “rito“,ma la prima volta,concedetemelo, ha un altro valore.
Si spingeva in me, capovolgeva il volto,entrava,usciva,si
tratteneva,ansimava,parlava,sussurrava,ma io ho preso solo il suo sguardo,vivo,lucido,impenetrabile.
Per me iniziava il viaggio, avevo il mezzo e il giusto orizzonte,ne ero consapevole, affascinata, matura, comprensiva, coraggiosa.
Non vi erano bagagli, un solo biglietto di andata, due soli
eggeri, a contendersi la felicità tardiva di un amore sbocciato in un’anteprima d’estate torrida e indimenticabile.
Nessuno poteva ne doveva conoscere questo nostro segreto, i
particolari restavano in noi come perimetro della nostra
relazione, perché questo diventò per molto e molto tempo.
Gli incontri divennero assidui, inevitabili,ardenti.
Mordeva i miei anni, ed io alleggerivo i suoi.
Uno dei ricordi più belli che ho di lui , a parte la sua voce, è l’attimo subito dopo esserci amati, quando di spalle mi baciava le nude schiene, asciugava le natiche, pettinava con le sue dita i miei capelli arruffati, e poi si intrufolava in bagno fingendo di aver dimenticato qualcosa solo per non perdersi il dopo di me, <<solo 17
per poterti avere anche mentre riposi,ti rivesti,ti asciughi, ritorni alla tua normalità,chissà cosa pensi,hai già allontanato il mio corpo dal tuo?>>.
Mi ripeteva sempre queste parole, <
quanta fretta, resta erottino mio, resta>>.
RESTA.
Il percorso del ritorno era completamente diverso, ero più
attenta,scrutavo gli angoli ,i vicoli, i volti.
Lui non c’era in nessuno di loro.
Questo mi riportava al suo nido, al suo sorriso, al suo bellissimo volto, al suo corpo statuario, e si anche al doppio dei miei anni, alla sua vita completa e apparentemente serena.
La gioia che emanava nel vedermi era palpabile, le ore
trascorrevano raccontandoci, ascoltandoci, poi prendeva un libro e cominciava a leggerlo,solo alcuni tratti, i pensieri sottolineati a matita che più lo avevano colpito, io facevo altrettanto e poi gli saltavo addosso.
Non ci “bastavamo” mai.
E mai, ahimè, ho amato un corpo quanto il suo, ho trattenuto
un’anima così a lungo quanto la sua, e mai più ho sentito, né permesso a un altro uomo, di prendermi così.
I baci del saluto erano lunghi (la riserva del tempo che non ci avrebbe rivisti protagonisti).
Di lui ho preso quasi tutto, rubato il respiro, incorniciato i singoli istanti, gli anni non hanno logorato il ricordo, non lo hanno 18
rimosso e mentre scrivo ora ,di noi, mi stupisco a pensarmi tanto distante da lui, da quell’abisso colorato che mi ha ridato
vita,linfa,luce.
E che so di non poter vivergli più sul petto, sull’alba del mondo.
Possono are secoli, ma se hai annusato l’odore del bosco, anche nel buio più profondo sapresti ritrovare quel sentiero, riconoscere il nido e addormentarti dentro.
Abbiamo chiuso senza volerlo realmente, per pigrizia e ipocrisia, per poco coraggio.
Perché volevo restasse impeccabile, doveva essere un vissuto
perfetto,la quotidianità e l’abitudine lo avrebbero sciupato
rovinandolo.
Non era d’accordo con me, e fece il possibile anche dopo mesi per riavermi, per me però non era più lo stesso.
Mi ero ripromessa di non tornare indietro, lo avrei rinnegato ma non replicato.
Ho dentro le orecchie i sibili, il fianco del suo andare che
combacia ancora col mio, chissà dove oggi guardano le sue iridi!.
L’ultima brace di questa ione scriveva sulla cenere poche parole: “Mi sarai accanto credo, eternamente, non rimarrai come il resto dentro di me, nel miscuglio, ma prima”.
Un o avanti.
Tu, vita mia, resterai sul cuore.
19
Conservo questa sua dichiarazione da lunghi anni , anche io sulla superficie del ventricolo destro perché è lì che l’ho sentito la prima volta.
20
5, Luì
Con le piccolissime dita della tua mano toccherai un mio capello.
L’infinitesima parte del mio corpo rabbrividirà per l’emozione indescrivibile provocatami.
Rammenterò di averti desiderato tanto, atteso con
impazienza,adottato in ogni interminabile mese della tua venuta al mondo.
Anche quando non avrò tempo penserò a te, quando scenderà la
pioggia mi dirò che triste se mio figlio nascesse in un giorno piovoso,non ricorderei che le pozzanghere,i marciapiedi fradici,i capelli bagnati,le ossa umide.
Invece ti sporgerai in primavera, la mia stagione preferita.
E anche quella di tuo padre.
Di giovedì, a metà settimana, alla buonora, scalcerai duramente, nascerai con prepotenza.
Non piangerai subito, ma io non temerò, il tuo papà stringerà la mia testa fra le sue mani, le stesse che poi ti terranno braccio per prime,ancor prima di me.
21
Un figlio è frutto di entrambi i semi che si aggrovigliano, la donna è soltanto il solco che lo accoglie,ma tuo padre,amore, ha irrigato e arato per nove mesi con cura e dolcezza.
Sarà naturale farti accogliere da lui.
Seguiranno i sorrisi, le congratulazioni,i chilometri verso casa, la tua stanzetta, i tuoi regali, i nostri doni, il nostro affetto raccolto nei mesi, l’odore di latte,i miei seni gonfi, le occhiaie, le chiacchierate in silenzio per non svegliarti.
La sera proverò a stendermi .
Esausta come un leone che ha appena cacciato ma ancora
affamata, dovrò pur chiudere gli occhi,dormire; impazzirei
piuttosto ma ad attendermi ci sarà il mio uomo, di fianco quasi invisibile e muto non pretenderà,non chiederà mai.
Io, sempre io a darmi, a lasciarmi sfinire.
Poi tu aprirai gli occhietti, all’inizio guarderai meravigliato, al nostro tre partirà un concerto di strilli ed urla che oggi definirei insopportabili, aprirò la camicia e il mio “pozzo” per te.
Così sarà finché tra il primo dentino, la primissima pappa,i
sorrisi,le manine aperte,i piedini intrepidi di vivere, unirai le tue labbra rosse per ricordarmi quanto t’amo.
Ma…mmmma,la seconda sillaba è quella che non si scorda mai!
Perché al mm il cuore attende mma con un fremito unico che non si può quantificare.
Gattonerai un po’ tardi, pigro come me nemmeno proverai ad
alzarti vicino alle sedie,o ai muri, allora io saprò provocarti ,ti 22
chiamerò da un punto preciso e tu per raggiungermi non potrai non reggerti al tavolo,attraversarlo in diagonale e venire tra le mie braccia aperte!
Sboccerai in un ometto ,scriverai un diario?, avrai dei segreti?
Ti osserverò di nascosto mentre leggi a pancia in giù sul
pavimento, come facevo io.
Mentre giochi con tuo padre, e come lui, non sai perdere.
Chissà se sarai permaloso e capriccioso, spero sveglio, attento, furbetto come una volpe!
Ti piacerà la natura, tu e il papà farete eggiate di ore e ore, non temerai gli insetti , anzi proverai a prenderli, nuoterai come un delfino, sarai stonato,ma canterai sempre!!!!
Avrai invece un buon ritmo, muoverai bene gambe e glutei, tuo papà ci scherzerà preoccupato su!
Suonerai la chitarra, o il violino?
Quanti amici avrai?
E poi un cane per compagnia, il sole negli occhi.
E sarai tanto buono, generoso più di noi due messi assieme, mi ricorderai mio padre, quando mi guarderai quasi a voler
rimproverare un mio grido, un telefono chiuso male, una porta che sbatte.
Non ti piacerà spero il pallone , piuttosto il contatto con la natura, con papà andrete di sicuro in bici, con me esplorerai l’anima,con lui la terra.
23
Ho scritto di te, per te, nenie, canzoni,fogli bianchi sparsi e note di eternità.
Non so come sarai, cosa farai da grande, non spingerò,non
emetterò paletti,starò ferma ad aspettare che tu sappia,ecco
sappia,cosa fare e soprattutto dove andare.
Spero avrai un sorriso bellissimo e che mai lo perderai, un senso ironico, che riesca ad accettare le sconfitte che non potrai evitare nascondendo il capo sotto il collo per tutta una vita.
So che amerai, t' innamorerai di un’altra donna che non sarò
io,che mi scaccerai,rinnegherai quando sarò possessiva, e che la toccherai con le tue mani innocenti.
Non sei che una chimera incapace di comprendere quel che io
scrivo ma sarà il mio regalo inaspettato, la sorpresa che non ti attendi,in un giorno speciale.
Quando quel tempo giungerà tu ti rivedrai in queste parole,
semplici ma affidate all’inchiostro direttamente dal cuore della tua mamma.
Non puoi mancare fra i capitoli di una vita che ha visto i tuoni e i bagliori ponendoli in basso, al sud.
24
6,B.
Avere un’amica vuol dire avere un rifugio, un nascondiglio
segreto,un ombrello,una coperta,un arcobaleno.
Lei per me era tutto questo e tanto altro.
Conoscersi era stato facile, altrettanto legarsi indissolubilmente.
Le scuole assieme, gli stessi amori, percorsi, errori.
Condividere la fetta di età più vulnerabile della nostra vita al suo fianco rimane per me un’indelebile tenerezza all’anima.
Io ero quella più audace, ironica, poco permalosa,sempre
sorridente,vispa come una garza, lei più introversa,
triste,malinconica.
Sapevo farle ritornare il sorriso, farla correre a piedi scalzi sui terreni umidi, alzare gli occhi al cielo e intravederla un poco felice.
C’era sempre qualcosa che turbava la mia compagna, un
rimprovero del padre, la madre troppo poco presente, una sorella 25
tanto voluta ma non desiderata dai suoi,la solitudine di una casa grande ma vuota.
Il nostro gioco preferito era scambiarsi i ruoli, vestiti,scarpe,lei diveniva me e il contrario.
Questo includeva anche immedesimarsi in una casa non propria, una madre che non ascolta per me, e un padre dolcissimo per lei.
Ogni volta che terminava la prova ci raccontavamo con delle
lunghissime lettere a stampatello le nostre impressioni, cosa ci aveva emozionato, cosa non ci era piaciuto,cosa invece avremmo cambiato.
E si , si litigava,bisticciavamo e il minuto che seguiva i nostri musi , e le spalle dritte verso una ragione vendicata,oggi lo cerco invano nel rancore di un cuore adulto.
Capita di sognarla, stringerla per tutte le volte in cui non ho potuto e voluto farlo, perdonarle di avermi lasciata sola, di essere scappata,di non avermi cercata prima di…
Sostituirmi.
Ai colori dell’infanzia sono seguite le ombre adolescenziali, i primi dissidi,le invidie, la gelosia.
Ci accorgevamo di camminare distanti ma di cercare le mani
dell’una e dell’altra per sentirsi unite,protette.
Cominciavamo a seguire strade differenti, anche i gusti variavano, i capelli, le manie.
Alla sua prima sigaretta coincideva il mio primo romanzo letto di un fiato.
26
Al mio primo concerto i suoi primi i nell’amore.
Soffrivamo all’idea di doverci separare, per esigenza doveva
accadere ma mai per nostra volontà.
Ma ovvio che andò diversamente.
Dopo il diploma trascorremmo le prime vacanze separate, lei
aveva conosciuto nuovi compagni, ragazzi più grandi amici di sua cugina.
Io ne ero esclusa mentre lei veniva accolta e trascinata in serate e bordelli che non le permettevano di crescere, ma le riempivano la testa di falsità.
Si allontanava da me ma anche dal nostro paesino, piccolo ma
sicuro.
Tornata in settembre mi apparve un’altra persona.
Inizialmente solo fisicamente, la primissima cosa che notai e quasi mi venne il pianto fu non scorgere sotto il cappello la sua chioma ma un centimetro appena di secchi e aridi capelli, dove sono finiti i tuoi boccoli le chiesi?
Ancora " co sti "ricci, sono ati di moda ,ora vanno i rasati,non ti guardi intorno??
Mi gelò, lasciandomi immobile, non ebbi nemmeno il coraggio di regalarle il cerchietto verde che avevo comprato per lei per il suo onomastico,non poteva apprezzarlo.
Non più.
Così lo misi io, ai miei lisci e sottili capelli biondi,rinnegandola per un attimo.
27
Tutto l’autunno fummo lontane, non mi cercava quasi mai se non per chiedermi se avessi preso una decisione circa l’Università.
Io ero come paralizzata , in attesa che questo incubo svanisse, dovevamo scegliere insieme una facoltà, ero incredibilmente
distante dalla realtà!.
Lei aveva già scelto, di non intraprendere con me l’ennesimo
percorso, mi aveva davvero cancellata così all’improvviso dalla sua vita, le era bastata un’estate con miseri ragazzetti di città??
Evidentemente sì, le era stato sufficiente.
Cominciai a prendere atto del suo comportamento subdolo verso la fine dell’inverno quando seppi di lei fuori sede, con altre amiche, altri gusti,altri eggi sui marciapiedi.
Eppure pensavo sempre a lei, la sera mi sentivo terribilmente sola, confidavo in
un suo cenno e mi rimproveravo perché
attenderla significava non aver intuito nulla.
Io non scelsi nessuna facoltà, mi presi un anno sabatico per
riflettere su ciò che davvero volessi fare.
Conobbi anch'io nuove persone,un gruppo di ragazzi indecisi
come me, trascorse un’altra estate e in essa io trovai anche
l’amore.
Di lei nessuna notizia, ogni tanto alle feste scendeva giù in paese ma non mi chiamava.
Ero stata espulsa dai suoi ricordi.
28
Venne un giorno però in cui girava voce di una ragazza fuori sede che aveva rischiato di morire per overdose, e in molti facevano il suo nome.
Non potevo assolutamente credere che si trattasse davvero di lei, ma la madre mi telefonò chiedendomi aiuto.
In tre anni non aveva dato nemmeno un esame, lavorava in un
cinema come bigliettaia e continuava ad uscire con la comitiva della cugina.
Era una tossica!
La mia amica spiccava voli e planava sotto effetto di droghe ed io non avevo saputo mai guardare attentamente nei suoi occhi lividi e spenti.
Ero troppo orgogliosa per capire che il suo atteggiamento veniva dettatole da una forza superiore.
La mamma mi concesse il permesso per rovistare nella sua
camera, che tenerezza entrare dopo tanti anni lì dentro!
Era stato il nostro nido , tante volte avevamo giocato, mangiato, dormito lì dentro tra i poster, i mille peluche, i giochi, la casa delle barbie, i diari segreti,le cassette col nastro!.
Non riuscivo a immedesimarsi in quella realtà, mi scendevano le lacrime, ero impaurita, triste, scappai.
Non trovavo giusto aiutarla adesso, mi sentivo tradita,offesa.
Non me lo sono ancora perdonato , ma non feci praticamente
nulla.
29
Aspettai come facevo da tanto, pregai perché guarisse, spiavo i movimenti dei suoi per intuire un suo ritorno e quando questo avvenne ne fui felicissima, per me tornava la mia amica di sempre, e l'illusoria possibilità di riportarla da me.
Di riaverla.
Dopo una settimana fu lei a telefonarmi, non dissi nulla, ascoltavo solamente il timbro di una voce che mi era mancata da morire, stava bene, la sentii rilassata, ma non vicina.
Andai a trovarla, avevo con me una scatola in cui avevo messo dei nostri ricordi da bambine, da amiche.
Le chiesi però di non aprirla, mi vergognavo, e provare
imbarazzo ai suoi occhi confermava una spacco inguaribile.
Parlammo moltissimo ma non accennò una sola volta
all’incidente, a come aveva iniziato, parlava , parlava dando tutto per scontato,
ero io che dovevo annuire, fingendo un buonismo non mio.
Calò la sera e mi accorsi di aver trascorso lì ore e ore senza averle detto e raccontato niente di me, di come ero cresciuta io senza le sue mani, la sua compagnia, le nostre telefonate di nascosto.
I nostri segreti.
Arrivò inatteso il momento dei saluti, dentro sapevo ma non
trovavo corretto dirci addio in quel modo meschino,senza aver potuto capire e chiedere.
La abbracciai, avrei potuto stringerla di più, lo fece lei, la sentii più grande e matura di me in quel gesto, ma tanto fragile, magra, 30
e come un lampo la rividi bimba, i capelli lunghi, le guance rosse, la bocca grande.
Come una fotografia è rimasta intatta in me quella cornice di un pomeriggio tiepido di molte primavere fa.
So che aprì quella scatola,anche se non subito, aveva certo
preferito cioccolate e pesche sciroppate!
L’ho saputo come non poteva che essere, attraverso una letterina, non molte parole, ma a STAMPATELLO!
<< Sei stata la migliore compagna di viaggio della parte più pulita della mia vita; quando ho preso a sporcarne i rii, i monti e le pietre di essa ho preferito metterti da parte,per paura di deluderti e trascinarti.
Non mi perdonerai mai,lo so.
Io invece ho compreso te per non aver chiesto mai.
Grazie.
P.S. i capelli ricresceranno, il cerchietto andrà un po’ stretto, ma prometto che lo indosserò.
Oggi si usano così!
Stammi bene, un bacio.
B.>>.
Dunque un rimprovero e un addio tristissimo in quel monologo
che porto sempre nel mio portafogli.
31
Non ho mai avuto il coraggio di riaprirlo quel foglietto ingiallito e sgualcito, l’ho nascosto bene per non vederlo, ma so che c’è, sta solo invecchiando senza chiedere come ho fatto io.
B, non l’ho vista più all’improvviso, deve aver cambiato città e nuovamente vita.
Avrà un marito, un figlio, un cane?
Avrà una donna amica a cui aprire le sue ferite? Avrà mai
raccontato a qualcuno che non sono io le sue tristezze e le sue gioie da bimbetta?!
In fila le domande si trascinano lente, non pretendo risposte, mi sono rassegnata.
Preferisco rincontrarla in un sogno, in un volto che me la ricordi, in un sorriso timido che mi dà l’illusione di riabbracciarla.
Porla qui, nelle mie suppliche e nei miei racconti la renderebbe orgogliosa.
E forse dimenticheremo tutto.
Forse mi perdonerà.
32
7, La Valigia
Arriva il giorno in cui dobbiamo decidere cosa portarci dietro, il momento in cui la valigia va presa da sopra l’armadio e riempita.
Un mucchio di foglie, gialle,rosse, grandi,larghe,secche,vive, e germogli.
Un paio di ramoscelli, perché fanno pensare alla vita,alla nascita.
Un sacchettino di terra asciutta, scura.
Un bicchiere di sole, una spazzola, un fazzoletto di cotone come quello che la mamma ogni mattina riponeva nel mio grembiule.
Una foto in bianco e nero che ci ritrae tutti, felici, adulti.
Un solo libro che né (li) contenga tutti, tutti i i compiuti fuori e dentro di noi.
Un fiore blu,uno stelo, un abaco.
Una matita consumata,un ombrello.
33
Provo a compilare una lista leggera nella testa, così da non
trovarmi impreparata.
Il viaggio potrebbe durare mesi o solo un giorno.
Un quaderno, pagine,fogli bianchi da toccare,nutrire,vestire.
Mi sono accostata alla scrittura in punta di piedi, muta.
Avevo il timore di rileggermi, giudicarmi.
Avvertivo alle mie spalle rinoceronti di idee confuse, scarabocchi zoppi e liriche balbuzienti.
Raffiche di vento.
Poi la penna inizia a camminare come un bambino, segue una
voce, il dettato del cuore, quando inciampa non cancella,sa
alzarsi,ricomincia e ritorna.
Fiumi di pelle, amori, bagliori,note,cieli, corpi, dune,numeri.
Le prime poesie scendevano giù repentine come sassolini dalla montagna, come petali, poi giungeva la polvere, poi la pioggia, poi la calma.
Scalavo vette, cime,monti e mi rotolavo per distese infinite.
I racconti prendevano forma, cercavo loro una casa, un vestito.
L’incontro è stato naturale,spontaneo, io sentivo dentro e non facevo che attendere come si attendono in inverno le luci dei lampioni quando il sole cala troppo in fretta, quando prepariamo i nasi freddi davanti alle finestre appannate; di notte nascosti nei 34
pigiami ingombranti, alziamo i volti al cielo e preghiamo che nevichi.
Così io sapevo aspettare la scrittura.
Lei aveva preso me, ha scelto me.
Mentre il resto dei miei coetanei conservava e dimenticava i
vecchi giochi di una volta per conoscere quelli moderni, i
videogiochi, la playstation, l’era digitale, io continuavo a ingoiare pezzi e resti di antichità.
Di un tempo abbandonato e miseramente scordato.
Provavo vergogna a raccontare di questa mia ione, lasciavo sparse per casa alcune cosine scritte affinché qualcuno si
accorgesse della stessa.
Diventavo grande, solitaria, raccoglievo i capelli su un lato del collo e mi immergevo come un pesce sott’acqua,nel suo habitat naturale.
Lì ho imparato a non respirare, a riemergere, a non abboccare, a sopravvivere, ad addestrare il dolore, rimuoverlo.
A dimenticare chi ci ha feriti e non il male fattoci, a restituire carezze e baci
sinceri, a rituffarmi in apnea.
Un aquilone, una bussola, una clessidra.
Un lenzuolo, un fiammifero, un numero.
Ho convalidato il tempo, gettato via l’orologio e mi accingo senza scarpe a salire sul treno.
35
Non porto nulla di materiale,solo pensieri,scatole
immaginarie,scale di vetro,costole curve.
Volti sbiaditi.
La scrittura sarà al mio fianco per tutto il viaggio, compagna, guscio, resurrezione.
Ritorno?
36
8, Carovane
Il tempo della vendemmia resuscita i colori, i sensi, primo
l’olfatto, ma seppure ultimo il più fortunato resta il tatto.
Tocca, prende, afferra,perde, cerca,riprende.
Allo stesso modo il vento ha staccato dalla vite il grappolo dei miei anni, rendendomi calva e matura.
Qualcuno lo ha piantato, dopo la semina è seguita la cura, l’irriga tura, l’amore,la pazienza.
Dopo il raccolto, il pentimento.
Mi sono sradicata dai muri e gli angoli in cui cresce l’erba, ho barcollato per diversi mesi senza conoscermi davvero, il corpo aveva un nome, il midollo osseo no.
Crescere comporta soluzioni di enigmi, travagli, addii, lingue morse dalla paura, ingiustizie, accuse.
37
Condanne.
Un quarto di secolo mi è bastato per innalzarmi, allungare lo sguardo, curiosare, spezzare il legame tra le costole e le spalle.
Per ferire vigliaccamente le mie paure, sentirmi viva.
Porto con me un labirinto di nomi, lettere minuscole e
virgole,parentesi.
La prima nota non mi piace ricordarla, ho scelto di cremarla in fondo all’abisso e per non riemergerle spingo altrove.
Pedalo piano per non trascurare l’alba di ciascuno dei aggi più belli sulle rive della mia superficie.
L’odore dell’uomo è un tatuaggio invisibile che ci accolliamo senza saperlo.
Ancora oggi, distante dagli eventi e dai coinvolgimenti so e posso sgualcire e stendere il lenzuolo delle ioni, brame, voglie.
A ognuno il proprio nome, il merito, il posto giusto.
A metà cammino ho conosciuto il verbo “desiderare”, ardere,
incontrare un mucchio di ossa e nervi, tendini e vibrazioni che non sono tue ma che attiri e attraversi con foga e dolore.
Un approccio quasi muto si riversa nel fondo della ione,
rimescola le carni,assaporandone il sangue.
Di lui ho tenuto il grido rauco al calare del sipario.
Un anno in più rende la quercia più bella, sana, spavalda.
38
L’ombra si allunga, i rami s' infittiscono dispettosi, la terra offre le sue crepe sotto le radici ingombranti.
Un 'espressione algebrica di movenze,ritmi,balere.
Qui invece ho respirato la felicità!
Poche, davvero sporadiche,sono state le volte in cui ho capito di esserlo, resta tuttora un aggio a sorpresa, una visita breve.
E ne resta lo stupore.
Di spalle, senza chiedere, parlare,capire.
Di notte, quando c’è più casino che di giorno, gufi, falene,
macchine, vagabondi, bottiglie che scivolano.
Brilli, gai, consapevoli dell’addio prossimo, come due aringhe sguazzavamo sull’erba umida che pareva l’onda increspata che
oscillava per difenderci dall’amo!
E poi da ciò ho conservato il fiato fresco, il fumo di sigaretta che accendeva, le mani che tremavano cercando le mie.
L’inverno cade di piombo sui tetti, i fiori, i porti.
Sugli occhi.
Attendiamo la serenata della primavera, il capolavoro dei
mandorli in fiore, il pesco ruvido .
Attendevamo di essere un solo ramo.
È stato folle ,questa volta è stato pane, morsi, baccano
interiore,un subbuglio di tutti i fremiti che un corpo può
possedere.
39
Un attrito di mente, una calamita incessante di scambi, ritorni.
L'eco del suo sorriso, il capo calvo e lucido per la calura pre –
estiva, i grilli nello stomaco.
Oggi ,
oggi è fame.
Pazienza.
Consuetudine.
Amore.
È ancora, salvezza, fede.
È me in te, te che svirgoli l’orizzonte capovolgendolo al domani.
40
9, I matti
Perché tutto quello che si differenzia viene avvertito come
diverso, da scansare,evitare.
Un amico invadente, una formica molesta, un giorno di pioggia, un cane ringhioso.
Come fosse un pericolo avere contatti con ciò che semplicemente non siamo noi.
La volta in cui ho capito di essere un corpo, un suono,un colore identico a milioni di altre piccole parti di me nel Mondo risale a diverse estati fa.
Bisceglie 1994.
Il mio primo treno, il primo viaggio senza i miei, lungo, caldo asfissiante, i sedili cocenti di un sole diverso, dal nostro di montagna.
41
I capricci di mio cugino piccolo, le raccomandazioni di mia madre alla partenza, la figura di una guida accanto al mio posto, la luce e il buio che si alternavano, gallerie infinite, abbagli,sonno,fame.
Il mare!
Subito avrei voluto immergere i piedi bollenti, ma c’erano da scaricare le valige, i secchielli, i pacchi.
Dimenticavo la cosa più importante, il nostro albergo era la
foresteria del Don Uva!
Sì un manicomio come lo chiamavano allora oggi giustamente
casa di cura, o di igiene mentale.
Lo zoo dei diversi, dei matti!
Appena entrati dall’ingresso secondario, quello che portava al lungo mare e in spiaggia, scesero ad accoglierci i parenti di mia zia, io ero solo ospite, una nipote acquisita per una vacanza.
Suor L. ci fece accomodare in stanza mostrandoci il bagno, la cucina,la mensa,le immense scale di marmo che conducevano
all’aperto,ai giardini,al bar,al chiostro dove d’estate si ballava e si tenevano spettacoli per loro.
Loro, i fiori di quell’immenso giardino così grande da sembrare un paese, verde ovunque, gente cha andava e veniva e loro a quel tempo era facile distinguerli dai e fra i medici e infermieri.
La finestra della nostra camera dava direttamente su una piazza al lato opposto dell’ingresso da cui eravamo giunti, dava sul paese, luci, gelati,schiamazzi di bimbi,risate,motorini,karaoke.
42
Ma il rumore che non scorderò mai, forse perché era la prima
volta che li sentivo così vicini,così tanti messi assieme ,da sembrare un concerto,gli zoccoli di legno ai piedi di tutti,
mamme,nonni,bimbi!
E le comitive che di giorno prendevano il sole di sera si
radunavano in villa a cantare…
Era tutto così magico per me, fanciulla ingenua di un piccolo paesino in montagna,in una cittadina armoniosa e anche un po’
pericolosa.
La nostra primissima notte trascorse così, a spiare sulle punte dei piedi, per raggiungere la finestra un po’ troppo alta, gente, vita,la luna, il rumore del mare alle spalle.
Il mattino seguente, ascoltate e approvate le norme di educazione e di comportamento, dal non masticare a bocca aperta, al non
accedere nel luogo in costume,bagnati,in ciabatte o vestiari
scollati e minigonne, sbalorditi raggiungemmo la spiaggia non pulitissima che sorgeva a pochissimi metri dal portone.
Era piccola, ghiaiosa è dir poco, dovemmo subito procurarci delle ciabattine in plastica colorata per poterci tuffare in acqua senza ferirci.
Il ritorno era un po’ più complicato, attraversare un tratto breve ma pericolosissimo di superstrada che divideva l’ingresso dal mare, abituarsi e ricordare di entrarvi con un certo decoro,e possibilmente asciutti!
Era, è tutt’oggi un luogo religioso, appunto Don Uva!
Ed ecco subito il primo incontro con i padroni del tempio!
43
Ci aspettavano, senza poter varcare la soglia, oltre la sbarra rossa altra un metro, ci guardavano come fossimo surreali, ci
sorridevano, chiedevano i nostri nomi, sbirciavano negli zaini, e poi se provavi a correre o allungare il o erano veloci come siluri,era come provocare uno scatto,una molla.
Ti prendevano, non riuscivi a fuggire anche perché quel posto era un labirinto e loro soltanto,prigionieri da anni e inverni, ne conoscevano a memoria il rebus infinito.
Quindi dovevi stare zitto, sorridere, non dare corda né troppa confidenza.
Queste erano le parole che ci venivano dette e stra ripetute dalle Monache e dai medici che incontravamo nei corridoi,nei bar,in chiesa,nelle ascensori.
Arrivò l’occasione di scoprire l’altra uscita o meglio l’entrata principale,quella che dava dritta in paese, e via col muretto pieno di gente, turisti, negozi, bancarelle, farmacie, bar, biciclette.
Avevo puntualmente, al mio terzo giorno di mare e sole, preso l’immancabile eritema e così dovemmo recarci in paese per
prendere una crema lenitiva che non servì a molto, ma rimase
dentro me il ricordo della prima uscita,la sorpresa di un luogo diverso, una calca di gente che non conoscevo,tra cui scovavo facce strane e cercavo invano somiglianze coi miei che
cominciavano a mancarmi.
Dopo la prima settimana in foresteria, ovvero una pensione che ospita i parenti delle monache e /o dei pazienti, finimmo col vivere e convivere in una stanza di servizio delle suore e
infermiere, a tu per tu con il reparto femminile,uno dei tanti.
44
Eggià, un unico corridoio, ascensore.
Avevamo però il nostro bagno e la sala da pranzo col televisore e due enormi finestre con le grate che affacciavano su un campo da tennis e uno di pallone.
Le finestre avevano tutte le inferriate, sembrava un carcere
immacolato,luminoso,dove potevi girare per i corridoi e scegliere cosa fare, dove mangiare e poi ogni sera uscire a prendere un po’
di fresco in faccia dopo la calura del giorno.
Noi.
E loro?
Mi facevano pena, ogni volta che uscivamo io ero triste nel
vederli dietro le finestre delle loro camere o seduti sulle panchine in fila mentre il vespro annunciava l’ora del loro rientro.
È come se morissero a tutti i tramonti!
Chissà cosa pensavano di noi zimbelli gai e sorridenti che a
tredici anni volevano bruciare la terra, scoprire,
possedere,invadere.
Chissà cosa volevano chiedere quando le infermiere respingevano ogni contatto e severe li richiamavano al silenzio.
E cosa sognavano di notte, mentre noi mangiavamo angurie e
guardavamo i polizieschi !
Mentre a noi questa vacanza regalava certezze e senza saperlo risposte indelebili, loro mi entravano nel cuore,uno per uno, il professore in cravatta che leggeva il giornale da solo, la
45
maestrina minuta che pensava di essere a scuola con i suoi alunni, la signora mulatta che credeva io fossi slovacca,
il ragazzo solitario che sognava di andare in moto.
Anna che amava Stefano!
Ripeteva dal mattino alla sera di amarlo questo infermiere moro e dagli occhi verdi come il mare, quello stesso mare che faceva da sfondo alla nostra crescita e alla loro misera e triste dimora.
Un pomeriggio, gli altri riposavano, a me non è piaciuto mai farlo dopo pranzo, mi sveglio affamata e nervosa, preferivo leggere, disegnare,fare un solitario a carte,ne approfittavo per fare un giro,scendere impavida negli altri reparti, scoprire nuove stanze, conoscere caposala carine, frugare i pensieri di chi come me mal sopportava l’afa attendendo con ansia la frescura della sera.
Fu così che un giorno caldissimo, scalza cominciai senza
cognizione e senza avvisare nessuno, a camminare e camminare
fino a trovarmi di fronte a un portone di vetro, c’erano due donne delle pulizie, scoprii dopo essere madre e figlia, dai loro
discorsi,dai loro bisticci.
Di fronte vi erano delle panche colorate e delle giostre fra cui un dondolo in legno e gomma.
Non potetti resistere, finalmente qualcosa che mi rallegrava,che rendesse quel posto un po’ più gioviale,ci salii sopra,le donne da lontano mi guardavano con sospetto fino a quando la figlia disse
:<<poverina,quanti anni avrà?>>.
46
Quelle quattro misere parole mi penetrarono dentro il petto come un tuono,rimbombarono sino a scuotermi,dei brividi ancora
adesso mi attraversano.
Avevano pensato fossi una di loro; ma loro chi?
D’istinto, di pancia avrei voluto chiederle perché cos’ho che non va? Cosa ho mai fatto di anormale, cos’è strano,quale la soglia che misura la normalità dalla stranezza?
La demenza dalla felicità di aver visto una giostra!
Invece finii con non pensare alla loro presenza, divertirmi
immaginando che i loro occhi come giudici non vi fossero e
quando mi accorsi che stava facendosi tardi, scesi rendendomi conto che non erano più lì.
Avevo finto di essere qualcuno che non ero, mi ero calata nella parte di un matto,che era scappato dalle mani strette di un
dottore e avendo trovato un angoletto appartato vi si era
nascosto e rifugiato.
Non ebbi mai paura, nemmeno una volta negli oltre 30 giorni di soggiorno lì.
Mangiavo bene, tornai cresciuta e trasformata, con dentro il
cuore e ai bagagli più consapevolezza, le loro voci in
coro,<
>.
Io però mi ero fatta un’amica, proprio così,un’AMICA!
M'invitava a prendere il caffè(finto) in camera sua, era il “nostro”
un reparto tranquillo, i pazienti potevano stare da soli e parlare con chiunque ,ovviamente sedati.
47
Purtroppo.
Le camere erano grandi abbastanza,i letti emanavano odore di
pulito ma dalle lenzuola alterati fruscii; nei corridoi i bisbigli di uomini e donne in
amore, e le grida di qualcuno che vedeva il diavolo...e negli ascensori era proibito entrare, attente è pericoloso! ci
dicevano..come se fossero bestie...ma cosa potevano farci.. storditi in sterminate ore di inutili attese.
Lei ,la mia preferita, attendeva sua madre da anni...e qualche bugiarda in camice blu le giurava che stava arrivando...qualcun altro prometteva al vecchietto in cravatta la sua dolce amata .
Ma Irene non è mai arrivata, con le sue scarpette viola e il
rossetto in tinta.
Perché Irene era andata al mare e non era tornata più.
Noi restavamo sedute ad ascoltare tra i pini, e le zanzare le storie di vite interrotte e ci facevano ridere quegli “sciocchi “che rincorrevano una palla nel campetto da tennis! e pranzavamo
assieme all'ora del caffè!....
Le cabine erano sempre piene e dovevamo regalargli caramelle
alla ciliegia per convincerli a farcele usare e per poter
raccontare in tre minuti le nostre anomale convivenze.... la donna gigante era felice quando la nipotina le faceva lunghe trecce seduta sulle sue ginocchia...e chinava il capo offesa quando la bambina andava via..e puntualmente noi le facevamo ascoltare un pezzo della Nannini e cantava così forte che i dottori la
rimproveravano....
Sono trascorsi sedici anni, lei non c'è più, non canta più, non ride più, non sputa più nel piatto perché i fagioli erano vermi ai suoi occhi,non attende più sua madre con la valigia vuota in mano e senza scarpe.
48
Non guarda più il mare annusandolo da lontano.
Lei si è addormentata, nel suo letto con lenzuola rosa e profumo di cipria,e Dio tra le mani; magari nel cassetto ancora le
registrazioni della sua voce, se ha imparato a tenere un segreto! Si è addormentata, l'ho saputo pochi giorni fa.
Questo scorrere di ricordi che sempre mi fanno
sorridere e riflettere è per lei.
E' per tutti loro.
49
10,I treni.
Attendono,arrivano,tornano,vanno.
Riemergono,distruggono amori,vite,amanti.
Creano vortici,malizie,addii e stroncano sospiri.
Allontanano ma possono pure avvicinare,le mani li inseguono,gli occhi catturano il vapore,il saluto dal finestrino,l’ultima galleria e poi svaniscono nel fumo.
Sono così i treni,sporchi,usati,consumati,logorii di
eggeri,lamentele,racconti,vissuti,paure,coraggio.
Puoi trovarci di tutto tra gli spifferi muti dei loro corridoi.
Bagagli, fiabe, seni di madri sfrontate, padri dal volto
basso,pensieri,giovani studenti, ragazze in fuga, ioni in erba, solitudini.
Illusioni,dettagli,rancori,perdoni.
50
Mi piace particolarmente attendere alle stazioni,fuori e non
dentro,dove il tempo a lentamente, mentre intorno la gente corre,va,viene,resta.
Un contorno di popoli diversi,lingue,usi,attese differenti
accomunate da un solo ed identico arrivo.
La stessa fame e sete, freddo e caldo,ansia e timore,allegria e dolore.
Il ronzio delle chiacchiere, i bisbigli delle radio lontane,il gomito dell’ultima attesa.
La polvere che sfiata nelle narici, le pupille si dilatano per la curiosità.
Tutto il corpo è violentato dall’incudine di suoni,frastuoni,porte che si aprono,ritardi,fischi; una strana magia !.
E poi ti accorgi dell’uomo in un angolo in piedi,sente freddo,ha fame di vita, ha bisogno di affetto,nessuno arriva per lui,nessuno va salutandolo,niente lo rincuora.
E quella donna dallo sguardo spento che spinge i piedi in là senza fermare le mani intrepide.
Attendono qualcosa,qualcuno,un figlio da stringere,un bimbo da coccolare,un marito da punire per averla lasciata troppo tempo da sola.
E di quel giovane che salta giù e bacia la sua amata , la bacia senza ritegno,senza guardarsi intorno,vorrebbe prometterle di non partire più,ma lei ha tanto da ascoltare e lui molto da
raccontare.
51
E dei giovani con le cuffie all’orecchio,un libro sotto il braccio,un tatuaggio sulla spalla,il caos mentale che cade dal viso.
Loro dove andranno? In cerca di fortuna, sesso,
droghe,musica,mare,isole,perdizione!
Abbiamo gli stessi sogni quando un treno sbuffa alle nostre spalle lasciandoci soli, invidiamo chi ha trovato il coraggio di salire e non tornare.
Chi fuggendo, non ha tradito che se stesso, ha strappato le radici dalla provincia maledetta e bugiarda, promettendosi di non
rimpiangerla mai.
Chi è tornato, ha vagato ma è sempre qui.
Chi invece tenta, compra un biglietto, sale sui primi due gradini e poi non ce la fa,scende,scappa,piange,rinnega.
I binari allungano le prospettive, gli ideali, le sensazioni che solo poi ci apparterranno,fondono coraggio,spingono,sollevano
rivoluzioni.
Ma quando il cuore si ribella si attende che a farlo sia tutto il corpo.
E quando dopo la prima curva,il treno accelera e il battito non sa più seguirlo, dai vetri i paesi sbiadiscono, le case diventano disegni sfumati,i campi ombre, il cielo un ammasso spugnoso, la bocca si asciuga, il petto si schiude, la voce ovattata inciampa sulla lingua,le gambe cedono al riposo.
Il risveglio è il traguardo,l’effimera disillusione , la chimera di carta, la libellula zoppa.
52
Volti le spalle al tramonto,al sole arrabbiato e deluso che crea ombre di giostre(giostre di ombre), ai testardi ancora in attesa, all’ultimo sibilo del treno.
Ritorni a casa e sai quanto sei mancato.
Ma sai anche che all’indomani qualcosa ti riporterà lì.
53
11,Tu.
Lieviti in me come il pane,asciughi,mescoli,conservi.
Ti adagi lento,io non so ripetere i tuoi i, né conservare troppo a lungo il tuo odore così strofino i palmi delle mani tue nelle mie per ore.
Devi appartenermi per i tempi lontani,le sere di plenilunio,nelle ore di solitudine.
Scavalchi l’onda del capriccio,la rabbia delle offese, ti dai gratuitamente,non osi chiedere e non smette il tuo cuore di
galoppare sul mio.
Mai.
Sei volato su di me come fa una rondine a primavera.
Non hai rubato,non hai chiesto,hai leccato il bianco d’uovo
ferito,accucciato l’anima dove la luce non a.
Col mestolo dei tuoi anni a cucchiai me ne hai versato piccoli sorsi,ho ascoltato muta,ho disegnato la tua vita prima di me,ho imparato ad attraversarla senza pretese.
A sorreggerti.
Ti fai forno delle mie grida,salita di ogni mio affanno,non ti stupiscono più oramai le rassegnazioni che affannano i miei sogni.
Come il grano e la pula,il ventre e il mare.
54
Siamo, noi due,sconosciuti al distacco.
E quando mi arrabbio,m'impunto e mi dileguo voltandomi verso
il finestrino dell’auto tu sei dietro di me,inciampi in una parola che preferivi non dire e cali in un silenzio di rispetto.
Tappeto di nuvole, io mi distendo sull’ovatta del tuo petto e t’amo,immensamente.
ati i trent’anni si striscia,si affonda nella carne, non si elemosina,si prende.
Si pretende.
Si ama adorando,volendosi bene,ripercorrendo duna a duna ,
legandosi costola a costola.
Sudore,fiato,ombra.
Mentre scivoli io risalgo,rinasco,è sempre un inizio,un filo
invisibile agli occhi estranei.
Non voglio costruirmi senza la tua presenza, non oso inventarmi una vita orfana di te, non m'immedesimo mai, ti voglio,ti cerco,ti trovo.
E nel denudare le virgole degli spazi tra me e te ingoio sillabe eterne, m’infiammo.
Sorseggiamoci a vicenda finché l’ultima luna calerà.
I lupi difenderanno i deboli.
I vizi calpesteranno le orme.
Questa ballata è per te.
55
Te che non smetti mai, non hai battito,polso.
Non hai mai fine.
A F.
56
12,Epilogo
Ho conosciuto il sonno e il freddo,ho riposato la mia età nel secolo viziato da grida e capricci.
La presunzione trabocca dai covi di popoli mischiati.
L’umiltà mi ha concesso il dono di
conservare,memorie,amori,polvere.
E il solo posto su cui sanno adagiarsi è la nostra anima.
Al sud perché a oriente nascono, a nord blasfemano,a occidente calano,qui invece restano.
Simona Corbo.
57
INDICE
3 Mia Madre
5 Silenzio
11 Nonna
15 Sul cuore
21 Luì
25 B.
33 La valigia
37 Carovane
41 I matti
50 I treni
54 Tu.
57 Epilogo
58 Indice
58