a cura di Luigi Pachì
Enrico Solito
Sherlock Holmes e Il mistero del drago di fuoco
ISBN versione ePub: 9788867755295 © 2999 Enrico Solito Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano Versione: 1.0 ottobre 2014
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Indice
Enrico Solito
Sherlock Holmes e Il mistero del drago di fuoco
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
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Enrico Solito
Enrico Solito è considerato uno dei massimi esperti italiani di Sherlock Holmes. Past president de "Uno studio in Holmes", l'associazione degli apionati italiani, è iscritto ad analoghe associazioni negli USA, Australia, Francia, Inghilterra e Giappone. Primo non anglofono a conseguire il brevetto di CHS(d) della Franco Midland Hardware Company inglese (Certfied in Holmesian Studies, distinguished) è stato il primo Italiano a essere nominato membro dei Baker Street Irregulars di New York, la più antica ed esclusiva associazione sherlockiana (non ci si può iscrivere nè chiedere l'iscrizione, solo attendere di essere chiamati). Collabora con la "Sherlock Magazine" italiana a cura di Luigi Pachì da circa dieci anni. Ha scritto decine di articoli di critica pubblicati in Australia, Francia, Inghilterra, Giappone e Stati uniti, e curato per anni la rivista de "Uno studio in Holmes", oltre che ad essere editor (con G. Salvatori) di due volumi editi dai BSI negli USA. I suoi apocrifi sono stati editi in Giappone e tradotti in varie lingue. Ha inoltre scritto (con S. Guerra) una Enciclopedia di Sherlock Holmes e un volume (con Guerra, Vianello ed altri) sui viaggi di Conan Doyle in Italia, nonché vari romanzi e racconti gialli non holmesiani.
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Capitolo 1
– Bene, Watson, a cosa sta pensando? Non l'ho mai vista così assorto e preoccupato dopo una semplice lettura del suo British Medical Journal. – Mi scusi, Holmes, – risposi – vede, il fatto è che pare ormai sicuro che questa famosa appendicite esista davvero! Eravamo in una bella mattina primaverile e il rumore del traffico in Baker Street giungeva attutito nel nostro salotto. La luce del sole, già alto nel cielo, filtrava attraverso i vetri e le tende, riscaldando la stanza. Sulla nostra tavola imbandita, un magnifico pudding faceva bella mostra di sé e, in conclusione, tutto andava benone. Tuttavia quell'articolo mi aveva definitivamente guastato l'appetito. – Cos'è? Ha paura che ne possa rimanere vittima? – chiese allegramente Sherlock Holmes mentre si imburrava il pane. – Quanto a me, le assicuro che ignoro assolutamente di cosa si tratti, ma non dubito che lei abbia un'aria assolutamente sana. – Lei ha voglia di scherzare, Holmes – borbottai di pessimo umore. – Questa è una grande scoperta scientifica; migliaia di vite potrebbero essere salvate d'ora in avanti; dovrei essere felice. E lo sono per certi versi, naturalmente. Ma non riesco a dimenticare tutti quei poveretti a cui, in questi anni, ho diagnosticato una “viscerite” o una “enterite maligna” e che poi, con mio grande stupore, se ne sono andati al Creatore. E pensare che la soluzione era così semplice! – Questo mi interessa, Watson. Vede, in fondo, si tratta solo di un problema di logica. Noi costruiamo, in base ai dati di cui disponiamo, un castello di affermazioni logiche, deducendole dai dati di partenza. Ma, a parte il fatto che talvolta questi dati sono incompleti, bisogna stare estremamente attenti a non costruire spiegazioni logiche viziate da idee preesistenti. – Temo di non capire. – Prendiamo una diagnosi medica. In fondo, il suo mestiere è uguale al mio: lei ricerca dei dati, che chiama sintomi, e dalla loro concatenazione deduce ciò che
ne è all'origine così come io faccio con gli indizi e i colpevoli. Immagini di visitare il suo paziente già convinto che si tratta della malattia X. Lei vedrà solo i sintomi di quella malattia, trascurando gli altri; e se qualche particolare la disturberà, troverà il modo, distorcendolo, di farlo rientrare nello schema generale. È così che per milleseicento anni il mondo ha creduto ciecamente alle idee di Aristotele. Non è d'accordo? – Lei dunque sta dicendo che tutto il mondo medico ha per secoli trascurato volutamente dei dati? – Niente di tutto questo, vecchio mio. Solo che non li consideravate nel giusto modo. A volte, i nostri schemi logici sono talmente belli che ce ne innamoriamo e ci accecano. Tutto sembra spiegabile, e noi non ci accorgiamo che è solo un'illusione. Ma, tanto per cambiare discorso, dia un po' un'occhiata al giornale di stamane e mi dica cosa ne pensa. Presi la copia del Daily News che Holmes mi stava allungando. In bella evidenza, sulla pagina della cronaca nera era riportato l'articolo che aveva attirato l'attenzione del mio amico e che riporto fedelmente.
“Assassinio a Soho. La setta del drago di fuoco colpisce ancora. È stato ritrovato stamane, in un vicolo della zona di Soho, il cadavere di un uomo pugnalato. Anche per questo poveretto, James Todd, 32 anni, celibe, valgono le efferate modalità dei delitti della settimana scorsa. L'uomo è stato visto la sera prima aggirarsi nella zona suddetta, ma nessuno ha assistito al delitto. La vittima è stata colpita con una precisa pugnalata al cuore che l'ha uccisa in pochi secondi; l'assassino ha poi infierito crudelmente sul cadavere, disegnando sul suo torace un solco a esse. Ciò ha fatto sì che sul petto dell'uomo apparisse una ferita che ricorda una figura precisa: il Drago di Fuoco. È questo il simbolo di una società segreta orientale probabilmente cinese, che si sarebbe infiltrata a Londra negli ultimi anni. Indiscrezioni raccolte da questo giornale in ambienti qualificati, indicano in motivi politici le ragioni di questi delitti; dopo la tragica fine della rivolta dei boxer, alcuni gruppi di cinesi oltranzisti avrebbero deciso di portare la lotta nelle stesse capitali europee. Uomini pronti a tutto sarebbero arrivati nelle nostre città alla spicciolata e ora avrebbero iniziato ad agire sotto il sanguinoso simbolo del Drago di Fuoco. ¹
Ricordiamo ai nostri lettori che questo è il terzo delitto del genere, nel giro di un mese. Le altre due vittime erano immigrati cinesi, scaricatori ai Docks. Anch'esse erano state uccise secondo lo stesso macabro rituale. Questa però è la prima vittima europea della setta. Se nei primi due casi può trattarsi di vendette interne alla società segreta questa volta bisognerà cercare nuove spiegazioni. Il signor Todd, dalle prime indagini svolte dai nostri cronisti, pare esser stato una persona tranquilla, che non si occupava di politica ma che, negli ultimi anni, era caduto rovinosamente lungo la scala sociale, probabilmente a causa della cattiva abitudine del gioco. È forse possibile pensare che il poveretto sia venuto in qualche modo a contatto con dei segreti che non avrebbe dovuto conoscere? O non è piuttosto la prima vittima inglese di una setta che incita alla sommossa gli orientali? L'opinione pubblica è scossa e turbata. È semplicemente inaudito, a nostro parere, che si sia consentito che le cose siano giunte a questo punto: cittadini inglesi vengono uccisi da mano straniera nella loro propria città, oseremmo dire nelle loro case, senza che sia possibile reagire o difendersi. L'unica buona notizia che possiamo dare ai nostri lettori a riguardo di tutta questa disgraziata vicenda è che è stato incaricato delle indagini il famoso ispettore Lestrade, di Scotland Yard . La tempra dell'uomo e la sua provata esperienza in tanti casi brillantemente risolti, fanno dell'ispettore suddetto la persona certamente più adatta a risolvere questa intricata materia.”
– Buon Dio! – esclamai impressionato. – È una brutta storia, Holmes. – Può ben dirlo, mio caro, comunque aspettiamo a giudicare. Abbiamo bisogno di sentire il buon Lestrade. E se lo conosco bene, con tre delitti da risolvere, una setta segreta da mettere a nudo e tutta la stampa alle calcagna, non tarderà più di tanto a farsi vivo. Lo squillare del camlo e il ben noto o sulle scale dimostrarono ben presto la fondatezza dell'ipotesi del mio amico. Era un Lestrade in versione un po' rimaneggiata quello che si presentò quella mattina in casa nostra, e alquanto meno burbanzoso e sicuro di sé di quanto non fossero abituati a vederlo i giornalisti. Una notte insonne e qualche ora di indagini nell'umidità della nebbia avevano talmente provato quel pover'uomo che cedette di schianto sulla nostra poltrona, con un gemito che ispirava pietà. Chiunque l'avesse visto in quel momento avrebbe sottoscritto all'istante una petizione per alzare lo stipendio
mensile dei funzionari di polizia. – Dunque, ispettore? Qual buon vento? – esordì allegramente Sherlock Holmes mentre si allungava a prendere la sua pipa di terra nera. – Non mi sembra che lei sia molto asciutto, malgrado la vicinanza del Drago di Fuoco! Lestrade sussultò leggermente. – Vedo che ha letto il giornale, Holmes. Questo è il pasticcio più incredibile in cui mi sia mai trovato; certo è opera del diavolo o qualcosa del genere. Tre uomini assassinati e noi… non abbiamo nulla da cui partire, assolutamente nulla. – Se vuole che l'aiuti, – disse Holmes socchiudendo gli occhi e congiungendo le lunghe dita affusolate, in un gesto che gli era familiare – cerchi di raccontarmi tutto con ordine, senza trascurare nulla. Lei mi conosce, ormai. – Bene, bene. Tutto è cominciato… Dottore le spiace versarmi del brandy? Temo di buscarmi una costipazione altrimenti… Dunque, tutto è cominciato circa cinque settimane fa, quando è stato trovato assassinato un cinese, tale Lin Wan Wo, ai Docks, dove lavorava. Pare che l'abbiano ucciso nel tardo pomeriggio ma è stato trovato il giorno dopo; nessuno ha visto, nessuno ha sentito. L'uomo è stato ucciso con una pugnalata al cuore e poi l'assassino gli ha inciso sul petto il disegno di questo drago. Lì per lì abbiamo pensato a un delitto come gli altri, ma tre giorni dopo ecco un altro omicidio con le stesse caratteristiche e anche questa volta gli assassini hanno ucciso un altro asiatico: Win Than Xo, ventiquattro anni. È stato a questo punto che sono cominciate a circolare le prime voci di una società segreta cinese. – Anche stavolta nessun indizio, nessun testimone? – Assolutamente nulla. Il cadavere è stato ritrovato a White Chapel, in un vicolo buio. Non c'erano indizi di nessun tipo. – Ma questa gente avrà avuto dei parenti, una storia, qualcosa insomma – dissi. – A quanto si sa non si conoscevano tra loro, avevano amici diversi, frequentavano diverse cerchie di persone, non si occupavano di politica e nessuno riesce a capire perché siano stati uccisi. Su questo concordano tutte le nostre fonti. L'unica cosa che avessero in comune era quella di essere dei poveri diavoli, come del resto quasi tutti gli asiatici che vivono a Londra.
– E per quanto riguarda l'ultimo delitto? – La vittima è inglese, trent'anni, scapolo. Viveva da solo in un piccolo appartamento in Brewer Street, e l'unico vizio che gli si conoscesse era quello del gioco. Tuttavia non frequentava le bische cinesi, né aveva contatti con la loro comunità, almeno a quanto abbiamo saputo. – Vedo. E per quanto riguarda il delitto? – chiese Holmes. – L'uomo è stato trovato riverso in un vicolo buio, in una pozza di sangue. Non ci sono testimoni né indizi importanti di nessun tipo. Mi creda, Holmes, è un maledetto rebus. E ora i giornalisti si sono scatenati con la storia della setta segreta e tutto il resto… Onestamente, non so proprio cosa inventare. Lestrade allungò le braccia sconsolato e un profondo silenzio cadde nella stanza. Solo il fumo azzurrognolo che saliva dalla pipa di Sherlock Holmes e il ciclico movimento del suo petto indicavano che quella magra e lunga figura sdraiata sul sofà, con gli occhi socchiusi e le mani congiunte, era viva: un osservatore superficiale avrebbe concluso che egli dormiva, ma io conoscevo bene il mio amico e sapevo che sotto l'apparente calma il suo poderoso cervello era all'opera e che Sherlock Holmes stava valutando uno a uno gli scarsi elementi fornitigli. – Immagino, dal momento che lei non ne ha fatto cenno, che non siano state trovate tracce di violenza sui cadaveri, disse Holmes, interrompendo la lunga pausa. – È così infatti. Gli abiti non erano strappati, tranne che, naturalmente, sulle ferite. Solo il secondo cinese aveva una ecchimosi al volto, come se avesse ricevuto un pugno. – Si trattava di un individuo piccolo, agile? – Sì, Holmes, ma non capisco… – Come faccio a saperlo? Pura logica, mio caro. Le vittime vengono uccise con un solo colpo di coltello, molto preciso; l'assassino deve avere un polso molto fermo ed evidentemente colpisce di sorpresa. Tuttavia, una persona agile e pronta può riuscire a schivare una coltellata; sarà allora necessario stordirla per ucciderla. Invece un colosso avrebbe al massimo deviato il colpo, rimanendo comunque ferito. Posso vedere il referto del medico legale?
– Certo, li ho qui con me. Quello relativo all'ultima vittima non è ancora pronto, ma ho chiesto al dottore di scrivermi comunque qualcosa. Prevedevo una sua richiesta. – Mentre leggo, ispettore, si serva pure. Lei deve essere ancora a digiuno. Mentre Lestrade mangiava qualcosa e Holmes era immerso nella lettura dei referti, io mi sorpresi a riflettere sull'accaduto. Certo che il fatto era estremamente grave; non poteva non preoccuparmi l'esistenza di una setta di assassini a Londra. In particolare mi allarmava il loro supposto collegamento con quella terribile rivolta boxer che aveva da poco insanguinato la Cina e tanti lutti e prove era costata alle nazioni d'Occidente. Era possibile una loro ricomparsa in Inghilterra? Quali giorni bui ci attendevano? Fu Sherlock Holmes a distrarmi da queste fosche meditazioni. – È inutile far lavorare un cervello senza dati, esclamò balzando in piedi. Lestrade, spero che lei abbia dato ordine di non toccare nulla sulla scena del delitto. – Naturale, signor Holmes. Ovviamente il cadavere è stato rimosso ma è stato lasciato tutto com'era stamane. In poco più di venti minuti, accompagnati da Lestrade in una vettura della polizia, fummo sul posto, piantonato dagli agenti. Si trattava di un sordido vicolo di una delle zone più povere e malfamate della capitale, là dove centinaia di disgraziati si ritrovano, simili a neri corvi in un cielo d'inverno, per concludere i loro poco puliti affari. In particolare, il vicolo in cui era stato ritrovato il corpo era senza uscita, costituendo così una specie di interno della strada principale. ²
Note ¹ Questo accenno alla rivolta dei boxer in Cina – 1900 – unito alla scoperta dell'appendicite – la prima descrizione è del 1889, ma fu accettata solo dopo aspre polemiche – ci consente di datare il caso piuttosto precisamente agli inizi del secolo. ² Non ci è stato possibile identificare il vicolo in questione, che deve essere uno dei tanti del malfamato quartiere di Soho. Del resto non si possono escludere
neppure che cambiamenti urbanistici della zona lo abbiano fatto sparire.
Capitolo 2
Non vi erano porte su di esso. I muri della case che lo delimitavano erano così alti da non lasciar are il sole se non nelle ore più calde del giorno. Il posto era tutto ingombro di rottami, corde, barili sfondati e casse di legno marcio lasciate ad ammuffire dagli abitanti del quartiere. Non c'era proprio da stupirsi, pensai, che quel luogo fosse stato scelto dagli assassini del Drago di Fuoco come ideale per un agguato: la vittima non aveva avuto vie di fuga. Mentre mi guardavo intorno, Sherlock Holmes si era già messo al lavoro. Varie volte, come i miei lettori ben sanno, ho descritto il tipico comportamento del mio amico in questo genere di occasioni; il suo sguardo magnetico acquisiva un lampo particolare, le sue narici affilate fremevano ed egli finiva col rassomigliare davvero a un segugio di razza sull'usta buona. Ma vederlo quel giorno gettarsi carponi a osservare tracce, incurante dell'umido e dello sporco, ispezionare ogni pollice quadrato di quel luogo fetido e maledetto, osservare, toccare e annusare perfino gli oggetti ammucchiati in anni di incuria, era davvero uno spettacolo affascinante. Dopo una buona oretta, Holmes si rizzò improvvisamente in piedi e, sorridendo, si congedò dall'ispettore. – Arrivederci, Lestrade. A proposito, non ho trovato un gran che. Come dice lei, siamo quasi a zero, salvo alcuni particolari di scarsa importanza. A ogni modo, forse le potrà interessare che il nostro uomo ha agito da solo, è un orientale, piccolo, agile, di corporatura snella ma robusto; dovrebbe essere alto poco più di cinque piedi e pesare all’incirca 120 libbre. Zoppica leggermente da sinistra ed era ben conosciuto dalla vittima; è mancino. Temo, tanto per complicare le cose, che non sia lo stesso che ha fatto fuori i due cinesi della settimana scorsa. Se è così, abbiamo almeno due assassini in circolazione. Dimenticavo, ha molte carie ai denti. Buona giornata, le darò mie notizie. Andiamo Watson? – Volentieri, ma da chi? – chiesi non appena ci fummo un poco allontanati dall'esterrefatto ispettore. – Ma dal capo della comunità cinese, naturalmente. Lei dovrebbe ricordare, in quanto mio biografo, che Lin Than è una vecchia conoscenza; qualche anno fa ho risolto un suo problema e spero che questo ci possa tornar utile adesso.
– Già, il caso del furto della giada. Lei non mi ha mai permesso di pubblicarlo… – Temo che dovrà restare ancora a lungo nei suoi cassetti, Watson. Ho dato la mia parola a Lin Than che non avrei reso pubblica quella faccenda. – D'accordo, Holmes: io non rivelerò il segreto e in cambio lei mi spiega come diamine ha fatto a intuire tutti quei particolari. – Lei mi conosce, Watson, – disse Sherlock Holmes sorridendo mentre camminavamo svelti tra quei vicoli che egli sembrava conoscere così bene – e sa bene che non mi fido dell'intuito; usarlo rovina quella facoltà di osservazione e di logica che ogni buon investigatore deve coltivare al di sopra di ogni altra cosa. Ho semplicemente visto le stesse cose che ha visto lei; solo che le ho riconosciute e ne ho dedotte le logiche conseguenze. Le orme erano inequivocabilmente dell'assassino e da esse ho calcolato l'altezza e il peso presumibile del nostro uomo. L'impronta destra e la sinistra erano di profondità leggermente diversa, come capita a chi zoppica; dal referto del medico e in particolare dall'inclinazione della ferita ho capito che poteva aver colpito con la mano sinistra e questo mi è stato confermato dalla posizione delle sue orme rispetto al cadavere. – Immagino che abbia capito che è orientale dal tipo di scarpa… – Esatto. Solo un orientale calzerebbe babbucce in piena Londra. Quanto al fatto che conosceva bene la sua vittima, le posso dire che hanno camminato insieme qualche minuto prima della colluttazione, senza che la vittima tentasse la fuga. Credo che l'assassino e la sua vittima avessero un vero e proprio appuntamento. A proposito, che sia agile l'ho dedotto dal modo in cui ha sorpreso quel poveraccio, e che non è lo stesso che ha ucciso i due cinesi, dai referti dei medici. Secondo i miei calcoli l'altro assassino doveva essere assai più alto e robusto di questo. Inoltre non era mancino. – Lo dice per l'inclinazione delle ferite? – Non solo. Non dimentichi che la seconda vittima è stata stordita con un pugno; uno solo, badi bene, e tirato con la mano che non stringeva il coltello, quindi dal braccio più debole. I calcoli sono confermati dalla profondità del colpo al cuore e dalla inclinazione che la lama aveva nel tracciare il Serpente. È tutto chiaro? – Tutto meno quel cenno alla carie dentaria!
– Bene, devo ammettere che di quella non posso essere del tutto certo. Ma quando trovo in terra un pezzo di betel masticato alla maniera indocinese, so quasi certamente in che condizioni è la bocca del suo acquirente… Ma eccoci arrivati alla casa di Lin Than. Animo, vecchio mio, facciamoci annunciare. Eravamo arrivati nel cuore di quello che era considerato all'epoca il quartiere orientale di Londra. Si trattava di una zona di casupole più o meno miserabili, circondate da vicoli maleodoranti che brulicavano di cinesi, indiani e gente di ogni paese. Fendevamo quella calca con grande facilità, quasi che la gente si scostasse. Certo non mi sarei sentito tranquillo in quella zona della città senza esser accompagnato da un uomo deciso e temuto dai delinquenti come Sherlock Holmes. Ci eravamo fermati davanti a una vecchia casa, un po' più grande delle altre e in condizioni leggermente migliori. Bussammo e fummo subito introdotti da una vecchia cinese in una stanza piuttosto grande, arredata alla maniera orientale. Grandi animali di porcellana azzurra ci fissavano attraverso il lieve fumo d'incenso che esalava da un braciere. I mobili laccati e le stuoie che addobbavano le pareti sottolineavano il carattere esotico dell'ambiente così come i pesanti tendaggi dagli squillanti colori. – Signor Holmes! Dottor Watson! Quale onore! A cosa deve questo povero vecchio la fortuna di potervi accogliere nella sua umile casa? – esclamò una voce che ci fece sobbalzare. – Caro Lin Than, l'onore è nostro – disse Holmes andandogli incontro. Lin Than era in quell'epoca un robusto vegliardo di settant'anni circa, ancora nel pieno delle sue energie fisiche e psichiche. Da molti anni era il capo riconosciuto della comunità cinese a Londra e qualunque persona di quella nazionalità ricorreva a lui per consiglio e aiuto. Era, insomma, la reincarnazione in Inghilterra di quella figura del saggio del villaggio che è così caratteristica della società cinese. Qualche anno prima era ricorso alle capacità del mio amico per ritrovare una preziosa giada, una sacra reliquia di estrema importanza da un punto di vista religioso, che gli era stata sottratta. Holmes era riuscito a ritrovarla e a smascherare il colpevole: un cugino di Lin Than, il quale era stato perdonato sotto la condizione di spendere da quel giorno in poi un quinto del suo stipendio in elemosine per far ammenda davanti agli dei. Lin Than era rimasto estremamente grato al mio amico, anche perché questi aveva promesso di mantenere il segreto, e violarlo, così aveva detto il vecchio cinese, sarebbe equivalso a rovinare per sempre il suo onore e a spezzargli il cuore. ³
– Bene, Lin Than, – esordì Sherlock Holmes, dopo che i lunghi rituali di benvenuto furono esauriti – le dirò in breve il motivo per cui l'abbiamo disturbata. Come certamente saprà, vi sono stati dei delitti nelle ultime settimane e sembra che ne sia responsabile una setta che si fa chiamare col nome di “Drago di Fuoco”. Tutto lascia pensare che si tratti di una società segreta di origine cinese. In nome della nostra amicizia vorrei che mi dicesse tutto quanto sa sull'argomento. Non mi è ignota la segretezza di cui ammanta le confidenze della sua gente, ma ci sono già stati tre morti di cui due cinesi e temo che questa tragica spirale non sia destinata a interrompersi. Oltretutto, si corre il rischio di un'ondata xenofoba che confonda alcuni esagitati con l'intera comunità e se ciò avvenisse il suo popolo correrebbe serio pericolo. Il vegliardo annuì gravemente e lentamente. – Sono così cosciente dei pericoli cui accenna, signor Holmes, che già da molte settimane mi sto occupando del problema; in particolare dal secondo omicidio, in seguito al quale comparvero le prime voci a proposito di una società segreta legata ai boxers. Bene, onorevoli signori, vi assicuro sul mio onore che non vi nasconderò nulla di quanto so, perché mi fido di voi e perché so che non siete ostili alla mia gente. Purtroppo devo dire che settimane di ricerche più o meno discrete, di indagini e perfino di interrogatori non mi hanno portato a nulla. Tutta la popolazione cinese di Londra sussurra dell'esistenza della setta e la teme con forza, ma nessuno ne conosce i membri, le persone a essi legate, né i luoghi di riunione, né le consuetudini. Ciò è senza precedenti nella mia comunità e mi permetto di fare osservare, se fosse necessario, la pericolosità di questi assassini. Tutto quello che posso dire è che negli ultimi anni sono arrivati diversi nuovi immigrati e certo molti di loro hanno partecipato alla rivolta boxer; ma il saggio non giudica gli uomini solo dal loro ato. – Capisco. Devo tuttavia insistere; è possibile che certe piccole sfumature… Buon Dio! Che accade? – gridò Holmes balzando in piedi. Un urlo angoscioso si era levato a non più di qualche metro da noi al di là delle finestre; era un urlo d'agonia inconfondibile per chi l'ha sentito almeno una volta. In un lampo fummo nella strada ingombra di veicoli, persone, mercanti, polli e animali d'ogni risma. – Venga, Watson, presto! – disse Holmes dirigendosi alla casa di fronte. – Veniva di lì. Lin Than, cos'è quella?
– La sala delle riunioni e delle preghiere. È sempre aperta ma a quest'ora non ci dovrebbe esser più nessuno. Entrammo. Nella grande sala deserta, proprio davanti a un braciere sacro che ardeva, un uomo si contraeva negli ultimi spasimi dell'agonia, contorcendosi in un orribile lago di sangue. Nei lunghi anni della mia collaborazione con Sherlock Holmes, esperienza questa che considero un privilegio e un onore, molte volte mi sono trovato, come il lettore ben sa, di fronte a scene macabre e raccapriccianti. Ma quei lunghi istanti in cui Holmes, Lin Than e io restammo alla testa di una folla composita e vociferante, sull'ingresso di quella sala, ciò che vidi si scolpì per sempre nella mia memoria, e mai si cancellerà finché vivrò. Il silenzio innaturale che piombò nella grande stanza dai vivaci colori aveva qualcosa di rispettoso e di sacrale, che veramente esprimeva il senso misterioso della morte e l'orrore istintivo che ogni uomo degno di tale nome nutre per l'assassinio e il delitto. Chiunque di noi ha provato, più volte, nella vita esperienze che lo colpiscono profondamente nell'anima; e ciascuno sa che l'intensità di quei sentimenti allunga incredibilmente la sensazione del tempo. Così i lettori non si stupiranno se dico che quel momento, così lungo nel mio ricordo, non durò in effetti più di un istante e che subito fummo, nella sala ormai gremita di gente, sul corpo dell'uomo, riverso ai piedi del sacro braciere. – Nulla da fare purtroppo – dissi dopo aver tastato la giugulare del poveretto. – È morto. E anche lui ha il Drago di Fuoco sul petto. Lo conoscete, Lin Than? – Sì, onorevoli signori – disse piano il vecchio cinese, andosi una mano sulla fronte. – È il mio povero fratello Wong. Doveva aver scoperto qualche cosa. Che gli Dei abbiano pietà di noi. Non avrà dunque fine questa maledizione? – Io ho visto l'assassino, onorevole zio. Ci voltammo di scatto. A parlare, in un inglese stentato ma comprensibile, era stata una bambina dai grandi occhi neri resi ancora più belli dall'orrore. Era uscita da un anfratto buio tra due colonne e nessuno di noi l'aveva notata fino a quel momento; potrà aver avuto otto o nove anni al massimo e portava una lunga veste nera che certo aveva contribuito a nasconderla. – Che dici piccina? – chiesi gentilmente chinandomi verso di lei.
– È così signore. Io ero qui a pregare insieme allo zio Wong; lui mi aveva accompagnata. A un certo punto mi sono distratta e ho cominciato a girellare per la stanza: ho visto un angolo buio e mi ci sono nascosta perché volevo spaventare lo zio. Ma poi è entrato un altro uomo, molto alto e robusto e lo zio gli è andato incontro. Hanno discusso molto, poi lo zio ha alzato la voce e allora l'uomo ha tirato fuori un coltello e… La povera piccola scoppiò in singhiozzi e corse a rifugiarsi tra le braccia di una vecchia cinese che era con noi. Non potei esimermi dall'accarezzarle la fronte. – Non ti turbare, piccola, – aggiunsi – ti prometto che l'uomo malvagio verrà punito. Ma ascolta, l'hai visto in viso? Potresti riconoscerlo? – Certo signore. Era… era un bianco. Un ruggito di rabbia esplose dalla piccola folla riunita nel salone. Lin Than emise due o tre secchi ordini e tutti gli uomini uscirono di corsa. – Presto, Watson. Non può essere lontano, non deve sfuggirci. Fummo di nuovo in strada. In pochi secondi, gli uomini di Lin Than, gridando di voce in voce, avevano provveduto a bloccare ogni accesso alla zona e ora rastrellavano con efficienza degna del miglior reparto di polizia ogni vicolo. Presto un urlo alla nostra sinistra lanciò l'allarme e, sempre con Lin Than al nostro fianco, ci gettammo all'inseguimento. L'uomo, che si nascondeva dietro un carro, schizzò via nel disperato tentativo di eluderci; era giovane e vigoroso e per di più spinto dalla disperazione, ma fosse stato anche cento volte più agile e forte, nulla avrebbe potuto contro i piccoli orientali che sbucavano da ogni porta, da ogni angolo a sbarrargli la strada, a bloccargli ogni via di fuga. Come una belva braccata egli correva a lunghi balzi colpendo e atterrando tutti coloro che gli si opponevano di fronte. Fu Sherlock Holmes, con un prodigioso allungo, ad avvicinarglisi e, con un ultimo balzo, ad afferrarlo alle gambe con uno dei più bei placcaggi che abbia mai visto giocare da un dilettante. ⁴ – Complimenti, vecchio mio, – gli dissi non appena avemmo ripreso fiato e l'assassino fu definitivamente immobilizzato – vedo che è sempre in forma. – Nella mia professione, Watson, è una pura questione di sopravvivenza. E ora, a noi, signore. Che cosa ha da dire?
L'uomo a cui Holmes si rivolgeva era un giovane sulla ventina d'anni, alto e robusto, dai lunghi favoriti biondi all'ultima moda. Portava un buon vestito di tweed grigio, ora tutto rovinato dal sudore e dal fango e si dibatteva ancora col terrore sul volto, tra le braccia di due robusti cinesi. Aveva un viso dai lineamenti fini, non disgiunto da un'apparenza di lealtà e distinzione; anche se, nel disperato tentativo di fuga aveva perso cappello e bastone, gli rimaneva un non so che di elegante e compito. – Buon Dio! – pensai. – Se lo avessi incontrato a eggio sullo Strand avrei detto: ecco un gentiluomo! E sarei stato felice di salutarlo. Invece è un volgare assassino! Davvero aveva ragione Holmes: mai fidarsi alle apparenze. – Dunque signore, non risponde? Uno scortese atteggiamento da parte di un giovine universitario di Oxford che frequenta il derby di Ascot e che ha prestato servizio nelle guardie della Regina! Il giovane smise di guardarsi ferocemente attorno e fissò il suo sguardo terrorizzato in quello tranquillo e severo di Holmes. – Io non so come faccia a sapere questo cose sul mio conto, signore. Sappia però che la considero responsabile di questa vile aggressione. Mi avevano pur avvertito che era pericoloso eggiare nel quartiere cinese ma non mi sarei aspettato di essere oggetto di aggressione da parte di un inglese. A ogni modo, se è del denaro che volete, non ne ho. Vede dunque che è inutile tormentarmi: se c'è una legge in Inghilterra, verrete puniti come meritate. Il tono fermo e indignato dell'uomo non sembrava far presa sul mio amico. – E via, lei è un buon giocatore, lo ammetto. Ma a che vale se è stato preso con le mani nel sacco? Mio caro, un uomo che porta la cravatta degli universitari di Oxford e la spilla del suo reggimento e dal taschino del quale spunta la ricevuta di una puntata per il Derby, non può negare alcun piccolo particolare della sua vita, così come non può negare di aver accoltellato quel poveretto. Il perché mi resta da capire, ma spero che me lo confiderà più tardi. Lin Than, faccia scortare il prigioniero al commissariato.
Note
³ Da ricerche eseguite dal Governo Britannico è emerso che la famiglia di Lin Than è estinta. Pubblichiamo perciò il racconto senza censure. ⁴ La ione di Watson per il rugby (aveva addirittura giocato nel Blackheat) traspare qua e là in tutta la sua opera. Un'ulteriore conferma è data dall'avventura della “Scomparsa della Calcutta Cup”, che fa parte della raccolta precedente a questa : “I casi proibiti di SH”, Hobby & Work 1998
Capitolo 3
Un sordo brontolio della folla, che la diceva lunga sulle idee dei cinesi a questo riguardo, fu subito sedato dai secchi ordini del vecchio capo; e certo ci volle tutta la sua abilità e il suo prestigio per evitare che il giovane venisse linciato sul posto. Alcune ore dopo questi drammatici eventi, Sherlock Holmes e io sedevamo tranquillamente in due comode poltrone del nostro appartamento da scapoli in Baker Street, sicuro nido e rifugio contro le multiformi agitazioni del mondo. – Bene, vecchio mio, – dissi tra una tirata e l'altra della mia fedele pipa – un nuovo successo. È soddisfatto? – Proprio per nulla, Watson, proprio per nulla. A parte il fatto che la nostra partecipazione a questa faccenda è stata più atletica che intellettuale, a mio avviso il nodo centrale della questione è ancora sostanzialmente irrisolto. – Come? Non le basta di aver colto l'assassino con le mani nel sacco? – Tuttavia non ha confessato ancora. – Questo è un particolare di nessuna importanza, specie dopo la testimonianza della bambina che lo ha riconosciuto. – È vero, questo lo inchioda definitivamente. Ma anche cosi è ancora da chiarire la sua appartenenza alla setta e i motivi delle uccisioni. Secondo Lestrade, comunque, non tarderà a confessare. Caspita, ma chi suona a quest'ora? La prego, Watson, vada ad aprire. Deve essere qualcosa d'importante. La persona che entrò nella nostra stanza era certamente la ragazza più bella che avessi mai visto da molto tempo. I corti capelli biondi illuminavano con i loro riflessi il bel viso regolare e i grandi occhi azzurri che ci esaminavano con ansia. La sua alta figura, avvolta in un vestito chiaro di estrema eleganza, era slanciata e piena di grazia, pur nell'estrema tensione del momento.
– Il signor Sherlock Holmes? – In persona. Prego signorina, si accomodi – disse il mio amico indicandole la poltrona degli ospiti. La poverina si sedette, torcendosi le belle mani affusolate e fissandoci con un misto di paura e decisione; certo la giovane era preda di uno stato profondo di agitazione. Mi presentai e attesi, come Holmes, che ella parlasse. – Mi chiamo Licia Gray, signor Holmes, e sono la fidanzata di John Baxter, il giovane da lei arrestato oggi nel quartiere cinese. – Signorina, – la interruppi – mi perdoni se le dico che questo colloquio mi sembra inutile, almeno se lei cerca di convincerci dell'innocenza del suo fidanzato. Purtroppo, come sa, non esistono possibili equivoci in proposito. – Ascoltatemi, signori. Io conosco John più di ogni altra persona al mondo e sono sicura, le dico che sono sicura, che voi state commettendo un tragico errore. Io non credo e non crederò mai che egli sia un assassino; è semplicemente ridicolo anche solo questo, senza pensare a società segrete e a cose di questo genere. Non so come sia potuto capitare ciò che è accaduto: ho cercato di parlargli ma non vi sono riuscita. Signor Holmes, la scongiuro di riflettere ancora e trovare la spiegazione che solo lei, sono certa, può trovare. – Le prometto solennemente, signorina, che continuerò le indagini senza precludere nessuna possibilità. Questo è il mio costume abituale e questo farò. Non posso però sbilanciarmi oltre, nemmeno a causa della simpatia che ella mi ispira. Coraggio, torni a casa ora, le farò chiamare una carrozza. – Coraggiosa ragazza, – soggiunsi tra me e me, dopo che la buona signora Hudson ebbe confortato la poverina e la ebbe accompagnata all'uscio – peccato che sia legata a un delinquente come quello. Eppure aveva una tale aria di innocenza che se non lo avessi colto io stesso sul fatto, gli avrei creduto sulla parola. – È vero, Watson, e davvero spiace anche a me per la ragazza. – Come spiega, Holmes, che il nostro uomo non si sia sporcato di sangue il vestito? Eppure ce n'era molto nella sala!
– È un particolare che non riesco a spiegarmi, Watson, se non con una combinazione. Io diffido dalle combinazioni, ma in un caso come questo sembra l'unica spiegazione. – Certo. E del resto la sua fuga stessa lo accusa. – Bé, quanto a questo non credo che lei o io avremmo fatto diversamente se fossimo stati affrontati da una torma di cinesi scatenati e urlanti. Il fatto è che l'unico europeo che era nel quartiere, eccettuati noi, è lui, e il riconoscimento della nipote di Lin Than lo inchioda definitivamente. – Anche lei l'ha presa per la nipote – sorrisi. – Ho saputo che è solo una lontana parente arrivata da pochi mesi. Eppure gli assomiglia; sarà che per me questi cinesi si assomigliano tutti con quegli occhi a mandorla. Parla bene la nostra lingua, comunque, per essere qui così da poco, non le sembra? Ma cosa c'è, vecchio mio? Holmes mi guardava con un'aria esterrefatta che poche volte gli avevo visto assumere. Dopo un istante di silenzio si tolse la pipa di bocca e scattò in piedi, camminando a lunghi, frenetici i su e giù per la stanza. – Lei ha ragione, Watson, ha perfettamente ragione, e io sono un idiota. – Non vedo perché se la prende così – dissi piuttosto stupito. – Dunque mi dà ragione? Ma come pensa che il giovane sia implicato con la setta del Drago? – Come? Ah, sì, certo naturalmente, la setta del Drago… Bene, Watson, devo pensarci su. Conoscevo bene il mio amico. Sapevo cosa questo significasse: una logorante notte insonne, ata a fumare once su once di tabacco forte, senza compiere alcun movimento. Così Holmes usava concentrarsi nei momenti più difficili, quando le sue eccezionali capacità venivano messe a dura prova. Più d'una volta l'avevo visto sedere immobile e fumare per ore e giorni, a occhi socchiusi, senza mai sostare per un attimo; e questa volta il problema, per usare la colorita fraseologia di Holmes, era di quelli che richiedono almeno tre o quattro pipate. Che ci faceva un giovane e colto europeo in una società segreta cinese? Per quali motivi quattro uomini erano stati uccisi in poche settimane? John Baxter era responsabile anche di qualcuno dei delitti precedenti, oltre che del quarto? E
infine quali erano le oscure trame della società criminosa? Avrebbe colpito di nuovo il Drago di Fuoco? E quando? Sapevo a ogni buon conto che non avrei potuto essere che d'impaccio al mio amico e mi ritirai quietamente in camera mia per non disturbarlo. Quando mi svegliai, la mattina successiva, era già giorno inoltrato. Ricordo che mi alzai e indossai i miei abiti da camera senza neanche un pensiero per i cupi avvenimenti dei giorni precedenti. Ma non appena ebbi aperto la porta che dava sul salotto, l'acre nuvola di fumo che mi investì, concreta testimonianza del lavoro svolto da Sherlock Holmes, delle difficoltà da lui incontrate e, speravo, della soluzione conseguita, riaffacciò alla mia mente tutti i dubbi e le questioni della sera prima; mi risolsi perciò a interrogare Holmes sul risultato delle sue ricerche. Ma la mia intenzione era destinata a essere frustrata: nel salotto non c'era nessuno. Sul tavolo, in bella evidenza, trovai invece un biglietto del mio amico che riporto fedelmente: “Mio caro Watson, debbo uscire immediatamente; la ragione la troverà sul giornale di stamane che le lascio in visione. La situazione, come vede, è giunta a una crisi risolutiva. Suo Holmes”. Sul giornale, nella rubrica delle ultimissime, un articolo di poche righe dava quella che non esitai a definire una straordinaria notizia: Lin Than aveva ritrovato il libro mastro di suo fratello Wong e l'aveva esaminato. Ora era raccolto in preghiera per chiedere l'aiuto degli dei prima di fare a Scotland Yard alcune importanti rivelazioni: aveva fatto sapere che non si sarebbe mosso dalla Casa di Preghiera fino a mezzodì, chiedendo alla polizia di essere lasciato solo fino a quel momento. Il suo desiderio era stato esaudito. Compresi subito l'intenzione di Sherlock Holmes; se davvero Lin Than aveva scoperto il segreto della società del Drago, era in pericolo; e il pericolo non poteva venire che dall'interno del quartiere cinese. Lestrade aveva commesso un altro dei suoi madornali errori nel lasciarlo senza scorta, solo perché aveva già in mano l'assassino di suo fratello. Certo, nel libro di Wong doveva esserci la chiave misteriosa dei rapporti tra John Baxter e la setta del Drago, qualcosa che doveva dare la spiegazione della terribile catena di delitti, apparentemente senza senso, che si era scatenata in città. E cosa di più logico che pensare che la misteriosa società segreta, vistasi minacciata, cercasse di tappare la bocca che poteva smascherarla, approfittando delle ore di tregua ingenuamente concessele dal vegliardo cinese e dalla colpevole trascuratezza di Scotland Yard? Cercai di rimanere freddo per un attimo; naturalmente Sherlock Holmes doveva essere corso al quartiere cinese per cercare di salvare Lin Than. Rimasi dolorosamente
colpito da questa deduzione. Perché mai Holmes non mi aveva svegliato per andare con lui? Non era successo tante altre volte in precedenza e non avevo sempre dato prova di lealtà e di coraggio? Era possibile che non si fidasse di me? Scossi via dai miei pensieri questa idea. Probabilmente il mio amico aveva voluto risparmiarmi un pericolo, ma tuttavia l'amarezza continuò ad appesantire il mio cuore nelle ore che seguirono; dopo tanti anni trascorsi fianco a fianco non mi faceva piacere essere accantonato come qualcosa di inutile. Ma a ogni buon conto, mi dissi bravamente, il mio posto è ora al suo fianco. Non fu facile penetrare all'interno del quartiere cinese, i cui ingressi erano presidiati da un cordone di polizia. Inutile precauzione, pensai amaramente mentre mi facevo riconoscere dal sergente Woodroof, un brav'uomo che avevo avuto modo di apprezzare in molte altre inchieste degli anni ati. Quando arrivai, scortato dal sergente, alla Casa di Preghiera, fui bloccato da un giovane cinese che avevo conosciuto il giorno prima, un fedelissimo di Lin Than e da lui stesso presentatomi come una persona al di sopra di ogni sospetto. – Sono veramente spiacente, dottore, ma non posso lasciarla entrare. Lin Than ha dato ordini precisi. – Perbacco, ragazzo mio, – dissi spazientito – non vi rendete conto in quale guaio si trova il vostro capo! E Sherlock Holmes, è dentro almeno? – No, signore. Non ho visto il suo amico oggi – rispose l'imperturbabile cinese. Questa rivelazione fu per me un vero fulmine a ciel sereno. Avevo dato talmente per certo che Holmes fosse al fianco di Lin Than che non avevo esaminato alcuna altra ipotesi. E ora eccomi solo nel bel mezzo del quartiere cinese, senza nessuna probabilità di rendermi utile. Riflettei un secondo sulla situazione e poi, a voce bassa e con un tono estremamente misterioso, feci cenno al bravo giovanotto. – Ascoltami bene, ragazzo mio. Non ho alcuna intenzione di disturbare le preghiere del saggio Lin Than, né di recare offesa ai suoi dei e tanto meno discutere i suoi ordini. Ma il fatto è, vedi, che ho saputo che è stata lanciata su di lui una maledizione da un malefico nemico; tu sai che sono un uomo di medicina e porto con me il talismano che può aiutarlo. Se tu lo consenti, io aspetterò, nascosto in un angolo della sala, senza muovermi; quando i demoni verranno per colpirlo, ti mostrerò il mio magico potere.
Qualcosa, nel fondo di quei sereni occhi bruni sembrò agitarsi; forse era l'inquietudine per la sorte dell'amato vecchio o forse no; a ogni modo interpretai come un successo questo lieve segno che il mio discorsetto aveva fatto centro e riattaccai la filastrocca.
Capitolo 4
Ci volle un buon quarto d'ora di incredibili fanfaluche, delle quali ancora chiedo perdono al Signore misericordioso, prima di convincere del tutto quel bravo ragazzo a proposito della mia arte magica; e ciò non fu senza un breve accenno alle streghe di Salem e alla settima pietra del Sacro Sigillo di giada, qualunque cosa esso fosse. Come Dio volle, dopo un'interminabile fila di giuramenti di assoluta segretezza, venni introdotto silenziosamente nella grande sala. Nel buio del vasto ambiente, tutte le finestre erano chiuse e le grandi tende rosse tirate, l'unica sorgente di luce era il grande braciere sacro davanti alla divina e mostruosa immagine degli dei cinesi. Solo, inginocchiato in assorta meditazione, vi era un uomo avvolto da una tunica azzurra, in cui non esitai a riconoscere il vecchio Lin Than. Vi era, in quella scena, qualcosa di profondo e misterioso che non poteva non toccare il cuore dell'osservatore, pur distaccato qual ero io. Per la seconda volta in due giorni, quel luogo sacro solo a un'altra religione faceva vibrare nella mia anima una corda di sacralità e di commozione. Rimasi nascosto in un angolo buio, osservando in profondo e silenzioso rispetto la figura immobile in preghiera. Solo alcuni rari cenni del suo corpo e il bisbiglio sottile che egli dedicava ai suoi dei mi ricordavano che era vivo come me e non un idolo sacro. Un brivido mi colse e la mano corse alla mia Webley, fedele amica di tanti pericoli. Quante lunghe veglie affrontate insieme a Holmes, dalla notte della “banda maculata” alla corsa sulla brughiera vicino al maniero di Baskerville… Certo, anche questa volta il mio “amuleto” avrebbe saputo scacciare il demone del male lanciato sul vegliardo. Non so quanto tempo durò questo intervallo o se le mie meditazioni mi avessero a un tratto fatto assopire; ricordo però che la mia attenzione venne attirata da un lieve scricchiolio alla mia sinistra. Una colonna addossata al muro, pochi metri dietro le spalle del vecchio cinese raccolto in preghiera, si stava lentamente muovendo e quella che mi parve una figura umana sgattaiolò nel buio prima che potessi inquadrarla nel mirino. Per un lungo istante di silenzio lo stupore mi attanagliò i muscoli e appannò i riflessi. Ma quando vidi l'uomo avvicinarsi rapidamente e silenziosamente alle spalle del vecchio cinese, mi ripresi e, balzando in piedi, lasciai partire in aria un colpo di pistola. – A me! – urlai.
Ma per la verità quel grido era inutile. Il vegliardo, dando prova di un'agilità e di un coraggio eccezionali per la sua età, si era girato di scatto e aveva afferrato la mano del sicario che già si protendeva per colpirlo. Vidi chiaramente la prova di forza dei due contendenti, udii la lama cadere al suolo e il criminale, con un ultimo gemito cadere ai piedi dell'uomo che gli torceva le braccia con la sua presa d'acciaio e si levava ormai in tutta la sua statura. – Amico mio, era dunque lei! – dissi a Sherlock Holmes appena gli fui al fianco e decine di cinesi ebbero afferrato il sicario. – Ecco perché non la vedevo intorno; avrei dovuto capire. Ha corso un bel rischio però. – Le devo la vita, Watson, una volta di più. Non credo che ce l'avrei fatta senza il suo avviso. Quanto al rischio non potevo certo farlo correre al povero Lin Than, che in questo momento se ne sta tranquillamente a casa. E poiché lei non mi avrebbe certo lasciato venire da solo, non volendo mettere a repentaglio anche la sua vita, non le ho detto nulla… Evidentemente mi sono sbagliato: ormai dovrei sapere quanto lei mi è indispensabile in certi frangenti. Ma ora andiamo a stendere l'ultimo atto di questa tragica vicenda. Venga. Pochi minuti dopo, nel salotto della casa di Lin Than, l'ispettore Lestrade tempestava di domande il misterioso assassino, alla presenza di Sherlock Holmes, dell'imponente sergente Woodroof, di Lin Than e mia. L'uomo che avevamo davanti era corpulento, sulla quarantina e dall'aspetto volgare e trascurato. Non si era rasato e il suo sguardo cupo e malvagio diede un senso di macabro all'orribile risata con cui ci rispose. – Mi chiamo John Dekker, sbirro, e da me non saprete nulla! – Per Giove! Questo atteggiamento non ti porterà lontano, sai. È chiaro che sei del Drago di Fuoco e che dovevi uccidere Lin Than. L'uomo si scosse nelle spalle sogghignando. – Non potete provarlo. Io volevo solo rubare. – E come hai fatto a entrare? L'intero quartiere era presidiato. – A questo posso rispondere io, ispettore – interloquì Sherlock Holmes. – Si è calato in un tombino da qualche parte, fuori dal quartiere cinese, e attraverso i canali delle fognature è sbucato nel vicolo qui a fianco, poi ha usato un
aggio segreto che conosceva bene. Può vedere anche lei il fango delle sue scarpe. Le assicuro che è di un tipo del tutto particolare. – Ma, disgraziato, lo capisci che ti aspettano dieci, forse quindici anni di prigione se non parli? – fece Lestrade dopo aver lanciato un'occhiata stupita al mio amico. – Sempre meglio che la forca, ispettore. Ma davvero non ha ancora capito? Lestrade, permetta che le presenti John Dekker, autore di tre dei quattro omicidi della serie del Drago di Fuoco, complice e socio di Wong e successivamente suo assassino. Non è forse così? L'urlo strozzato che emise quel losco figuro la diceva lunga sulle sue emozioni; scosse minacciosamente i pugni ammanettati verso Holmes e digrignò i denti. – Non avete prove! – La prego, amico mio, la finisca con questa commedia. Le assicuro che ne ho invece abbastanza e sarebbe ora che si decidesse a confessare. La sua posizione non può che peggiorare, al punto in cui è. – Ma Holmes, – dissi piuttosto confuso – e la Società del Drago di Fuoco? La rivolta boxer? – Pura fantasia, Watson. Solo voci diffuse ad arte da questo signore e dal suo compare per coprire i loro delitti. Senta, Dekker, io conosco ormai ogni cosa: so che lei ha ucciso i due cinesi e Wong, mentre Wong ha ucciso l'inglese. So come ha fatto e credo di sapere perché; non sarà difficile provare i suoi rapporti con i cinesi uccisi. Tra l'altro Wong ha davvero lasciato un libro mastro che io ho consultato stanotte, in cui cita il suo nome e che dimostra i vostri loschi traffici e i motivi per cui avete ucciso quei tre disgraziati. Vede perciò che è perduto. Ce n'è più che abbastanza per accusarla. Personalmente sono certo che sarà possibile dimostrare che il suo coltello è lo stesso che ha ucciso Wong; per quanto lo abbia lavato, le macchie di sangue restano a lungo. Esamineremo anche i suoi abiti e anche lì troveremo sangue. Scopriremo che non ha alcun alibi e ora che la conosciamo troveremo molte persone che l'avranno vista aggirarsi sul luogo dei delitti. Qualsiasi tribunale la spedirà al boia con la coscienza tranquilla. Ora io proverò a raccontare la storia nei suoi tratti essenziali e vedremo se ho ragione. «Lei conosceva Wong da molto tempo, non so per quali loschi affari che avevate
in comune. A un certo punto vi venne in mente di costituire una società e prestare denaro a usura. Lei faceva già questo mestiere tra gli inglesi e allargare il suo campo d'azione ai poveracci cinesi deve esserle sembrato un bel progresso. Non so chi di voi due ha avuto l'idea del Drago di Fuoco: era un ottimo metodo per sistemare i creditori che non volevano pagare e, cosa più importante, per spandere una leggenda di terrore intorno a quel nome. La prossima volta che un poveraccio si fosse ribellato alle vostre soperchierie sarebbe bastato soffiargli in un orecchio che egli non era debitore solo a John Dekker e a Wong Than, ma alla Società del Drago di Fuoco. Sono certo che questo discorso sia già stato fatto a diversa gente e che abbiano tutti pagato. Ora non sarà difficile far parlare qualcuno di loro e anche questa sarà un'altra prova contro di lei. Non credo che avrebbe ucciso altre persone; due o tre sarebbero state sufficienti. Così attirava le sue vittime in luoghi appartati e lì le uccideva: i poveretti si fidavano di lei, perché sapevano che il primo interesse di un usuraio è di lasciare in vita il suo creditore per potergli spremere tutto dalle ossa. Solo che lei aveva un interesse più vasto. Per inciso, credo che i vostri affari si svolgessero così: lei portava i suoi amici inglesi in difficoltà da Wong che, immagino, presentava come un amico, un uomo dai nobili sentimenti, e poi spariva semplicemente. Lo stesso avrà fatto Wong per i cinesi. In questo modo, nessuno dei due si sarebbe fatto la fama di usuraio nell'interno della sua comunità. Per questo non si faceva vedere insieme a Wong che le aveva mostrato quel aggio segreto. Ora, quello che non so è perché abbia ucciso Wong. – Voleva imbrogliarmi! – disse l'uomo, col volto tra le mani. – Mi truffava continuamente, quel maledetto cinese. Sì, l'ho accoppato e lo rifarei, per Giove! Non so perché le dico questo, signore, anche se so che è a lei che debbo la mia rovina, a lei e non ad altri, ma forse a questo punto tutto è perduto e allora tanto vale… L'ho ucciso e poi ho fatto il segno del Drago anche su di lui… bello scherzo! Proprio lui aveva avuto l'idea.. Così, pensai, quel delitto sarebbe finito nel calderone della setta segreta che non sarebbe mai stata scoperta. Mi è dispiaciuto per quel poveraccio che hanno beccato al posto mio, lo crediate o no; il fatto è che io me l'ero già filata dal solito tombino quando è stato dato l'allarme e lui ava di qui per caso. Ero tranquillo, ma quando stamane ho letto il giornale, mi è venuto un colpo e ho capito che dovevo tentare il tutto per tutto prima che quel maledetto cinese parlasse. È stata una bella trappola e ci sono caduto in pieno. Quanto al resto, è tutto come ha detto lei, signore, in ogni particolare. Io accalappiavo i polli inglesi nei guai, gli parlavo di un banchiere cinese e li portavo da Wong di notte, usando il aggio segreto, in modo che nessuno ci vedesse; e lui faceva altrettanto con me. Perciò io ho ucciso i due
cinesi e lui l'inglese. Ma avevamo deciso che sarebbe bastato così, per il momento. E funzionava, accidenti se funzionava! Se avesse visto la faccia di quei polli quando gli spiegavo che dietro di me c'era il Drago di Fuoco! – Basta così, – ci interruppe Lestrade – porti via quest'uomo, Woodroof. Holmes, penso che la debba ringraziare. Senza di lei avrei preso un bel granchio. – Lestrade, lei sa che non ho mai chiesto nulla per questi piccoli favori. Stavolta, però, pretendo nel modo più assoluto di essere ricompensato. L'ispettore trasalì sensibilmente. Quanto a me, corrugai leggermente le sopracciglia: non era nello stile dell'uomo dimostrarsi venale. E che ricompensa poteva mai offrire il povero Lestrade? – Venga Lin Than, prego, e ripeta all'ispettore quel che mi ha detto stamattina. – Onorevoli signori, – esordì il vecchio cinese a occhi chini in terra e a voce bassa – è stato per me un grande dolore apprendere che il mio sventurato fratello era implicato in questa sordida vicenda. Mai, ve lo giuro, avrei sospettato che fosse dedito alla spregevole attività di prestare a usura invece che aiutare i suoi simili senza intenti di lucro. Venire a conoscenza poi, come ho saputo, che era insieme un assassino, la diabolica mente che ha ordito il complotto, è stata una terribile prova. Tutta la comunità cinese è stata disonorata da mio fratello e la mia famiglia, com'è naturale, in modo particolare. Non so perché gli dei abbiano voluto umiliarmi così, ma certo essi, nella loro grandezza, agiscono per il nostro bene. Evidentemente mi ero creduto troppo saggio e conoscitore degli uomini; in verità non lo sono. Ora io vengo a chiedere per questo povero vecchio che almeno non debba subire l'onta del giornale e della pubblica opinione. – Bene, – borbottò Lestrade, dopo una pausa di imbarazzante silenzio – penso che si potrà convincere i giornali che la setta è stata sciolta e il responsabile degli omicidi acciuffato. Credo che la storia sarà presto dimenticata. – Watson? – chiese Holmes. – Perfettamente d'accordo – risposi immediatamente. Ce ne tornammo lentamente in carrozza lungo le grandi strade di Londra fino a Baker Street, pensando in silenzio al turbinio di avvenimenti che ci avevano travolto nel breve termine di due giorni. Quattro morti, un assassino assicurato
alla giustizia, dolore e vergogna per il povero Lin Than. Strana cosa è davvero la vita che col breve volgere di un colpo d'ala ribalta il destino di noi mortali, così indifferente alla nostra sorte come noi a quella delle formiche che calpestiamo eggiando. – Le debbo dei sentiti ringraziamenti, Watson, – disse improvvisamente Sherlock Holmes quando fummo in vista di casa nostra – senza il suo aiuto questo avrebbe potuto essere uno dei miei più colossali errori. – Veramente, – soggiunsi stupito – non mi sono accorto di averla aiutata. Anzi, per la verità, ero convinto che il povero Baxter fosse colpevole. – Vede, Watson, noi abbiamo commesso proprio quell'errore di cui parlavamo ieri. Avevamo colto sul fatto l'assassino e tutto il resto “doveva” combaciare. In realtà c'erano solo due fatti reali contro di lui; che era l'unico europeo trovato vicino alla zona del delitto e che era stato riconosciuto, da quella che credevo nipote di Lin Than. Lei mi ha detto ieri sera che la piccola era arrivata di recente in Inghilterra e ha aggiunto: “questi cinesi si assomigliano tutti agli occhi di noi europei”. – È così infatti. – Bene, questo mi ha fatto venire in mente che anche noi europei dobbiamo assomigliarci notevolmente l'un l'altro agli occhi di una bambina cinese, da poco nel nostro Paese e circondata normalmente da cinesi! Mettiamoci anche lo spavento, l'emozione, il buio, forse anche l'orgoglio di sentirsi importante… chissà! A questo punto ho cominciato a ragionare in modo opposto a prima; se l'assassino fosse stato un altro europeo, era possibile che si fosse allontanato senza farsi vedere? Era poco probabile ma possibile. D'altronde era chiaro che conosceva Wong perché questi, secondo la bambina, aveva parlato confidenzialmente con lui prima di essere ucciso. Ma se era così, perché nessuno aveva mai visto Wong con un europeo? Gli incontri dovevano essere segreti. Stanotte sono andato da Lin Than, che mi ha mostrato il libro mastro di suo fratello. C'erano segnati strani giri di cifre, in codici cinesi che solo con l'ausilio del vecchio capo ho potuto decifrare e ho scoperto per di più che Wong aveva tutte le caratteristiche fisiche che avevo dedotto a proposito dell'assassino di James Todd e la verità mi è saltata agli occhi. Allora ho predisposto la mia piccola trappola, telegrafando al Daily News e a Lestrade.
Ancora una volta, amico mio, l'esperienza ci insegna la modestia e l'attenzione a ogni particolare: come ignorare la mancanza di sangue sui vestiti di Baxter? Watson, quando le sembrerò troppo sicuro di me in futuro o se le sembrerà che sia saltato troppo presto alle conclusioni, la prego vivamente di sussurrarmi all'orecchio: “si ricordi del Drago di Fuoco”. Solo questo. Capirò benissimo.
FINE
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