Daniela Marcarelli Patrizia Gemini Piero Matino
Padre Nostro
Perugia 2011
Associazione culturale IL MOSAICO Perugia - Via Benincasa 1
Associazione culturale OMCE Perugia - Via della Pescara 23
Fotografie: Pierluigi Capitanucci, Jacopo Scarponi, Maria Ricci, Piero Matino
Titolo Padre Nostro
Autori Daniela Marcarelli - Patrizia Gernini - Pietro Matino
Copertina e impaginazione Pietro Matino
ISBN 9788891150295
© Tutti i diritti riservati all’Autore Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.
Youcanprint Self-Publishing Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy www.youcanprint.it
[email protected] Facebook: facebook.com/youcanprint.it Twitter: twitter.com/youcanprintit
“La preghiera rivolta al Padre 'nel segreto' non solo mantiene costante lafiammella di vita che il Signore ha in noi, ma la alimentafino a renderla unfuoco ardente!”
George Whitefield
Il Padre Nostro: la preghiera per eccellenza
Un ringraziamento speciale a Piero, ideatore di questa “avventura”, che ci ha permesso di approfondire questa preghiera: la preghiera per eccellenza, che Simon Weil definiva “un sacramento”, per la straordinarietà nascosta dietro ogni sua parola. Un tronco forte, poderoso come quello di una quercia - come l'ha definita lo stesso Piero - da cui tutto parte e sulle cui radici possiamo sempre contare.
Daniela Marcarelli e Patrizia Gemini
Ramificazioni...
Piero Matino
Introduzione
La preghiera è generalmente considerata, a giusta ragione, il palpito dell'anima, il respiro del credente, il moto intimo del cuore e il principale esercizio della fede che rinnova la forza e la vitalità del credente.
La preghiera è vita che porta alla vita, così come alla gioia e alla capacità di sperare e scoprire ogni giorno gli ampi orizzonti della bontà divina e della pace che solo Dio sa dare. Non è un caso che proprio Gesù, nella sua vita terrena, abbia dedicato particolare attenzione alla preghiera durante il suo insegnamento fino a presentare un modello essenziale, fondamentale e universale di preghiera: il Padre Nostro.
Questo insegnamento rappresenta il momento cruciale e culminante di un necessario processo formativo sulla preghiera, che racchiude una sorta di grande cartello segnaletico con l'indicazione di una strada maestra che tutti possiamo percorrere, superando il frangente storico in cui i discepoli erano insieme a Gesù, per immetterci nelle svariate vie della grazia divina che da essa si dipartono.
Certamente c'è tanto da vedere e da scoprire in queste vie e il cammino è impegnativo, ma anche ricco di benefi ci effetti per il cuore se ad affrontare questo compito, oltre ad accettare questa sfida, sono Daniela Marcarelli e Patrizia Gemini. Non due persone a caso, ma due care amiche di elevata sensibilità spirituale che sanno ben attingere all'acqua della vita dei preziosi contenuti della Parola di Dio. Nel ringraziare entrambe per lo sforzo compiuto, mi sento onorato e fiero di presentare il loro lavoro e di unirmi alle loro fatiche.
Il contesto scritturale
Esaminiamo ora brevemente il testo biblico sull'argomento leggendo nel Vangelo secondo Matteo 6, 9-13:
Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non fate dunque come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:
“Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; siafatta la tua volontà anche in terra come èfatta in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno. Perché a te appartengono il regno, la potenza e la gloria in eterno, amen.”
Una preghiera modello
Il Padre Nostro è giunto fino a noi attraverso il racconto degli evangelisti Matteo (6, 9-13) e Luca (11, 1-4). I due brani rappresentano un contesto importante per una piena comprensione del valore della preghiera, nella ricerca di un rapporto autentico di comunione con Dio per gli uomini di tutti i tempi.
Entrambi i contesti scritturali sono illuminanti e attestano con forza che il “Padre Nostro” è una pietra miliare e il modello per eccellenza della preghiera, che ci spinge continuamente a relazionarci con Dio dal suo punto di vista, rinunciando alla nostra visuale umana. Se vogliamo, il “Padre Nostro” è anche una denuncia contro l'egocentrismo dell'uomo, della sua vanagloria e del suo modo di stravolgere gli statuti divini sostituendoli con quelli umani, egoistici e materialistici, privi di rispetto per i valori istituiti da Dio, quali l'amore per il prossimo, la famiglia, la rettitudine, l'umiltà, ecc.
Si può forse santificare il nome di Dio continuando a erigere muri di rivalità o di inimicizia fra le persone? Si può dire "sia santificato il tuo nome” o "sia fatta la tua volontà” quando sono l'orgoglio e la superbia a prevalere, o le invidie, le gelosie e le contese, anziché la ricerca della giustizia e dell'amore? E dov'è, allora, quel Regno di Dio che l'apostolo Paolo dichiara essere fatto di giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo (Rom. 14,17)?
Oggi molte persone pongono l'accento sul loro nome, sul loro prestigio, sulla ricerca del potere e anche molti cristiani ne sono influenzati, dimenticando il rimprovero che un giorno Dio rivolse alla gente di Gerusalemme:
"Mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Is. 29,13). Risulta evidente che una religiosità esteriore, basata sul “buon nome", su abitudini o anche buone tradizioni familiari, è inutile se manca una fede viva e una vera
adesione del cuore a Gesù Cristo.
Ma soffermiamoci un momento sul brano riportato nel Vangelo secondo Matteo (6, 9-13). La prima impressione che riceviamo dal contesto di tutto il capitolo è che non c'è spazio per la vanità: è nettamente condannato ogni sfoggio di religiosità, nessuna formula esteriore è adeguata e nessun rito superficiale risulta appropriato davanti al valore della preghiera nella sua essenza profonda, cioè di vera comunione con Dio.
Il capitolo 6 di Matteo è ricco di ammonimenti e di avvertimenti. Innanzitutto notiamo che l'istruzione sulla preghiera da parte di Gesù è posta in mezzo ad altri due insegnamenti: l'elemosina e il digiuno. Il filo conduttore che li accomuna alla preghiera è la comparazione, in negativo, con l'ipocrisia! Si comprende subito il contrasto stridente tra l'apparenza e l'interiorità, la vanità che soddisfa gli uomini e la verità voluta da Dio.
Con queste premesse Gesù ci insegna a pregare portandoci verso l'intimità con Dio, in una specie di spazio segreto, dove non c'è esteriorità tangibile né rischio di ostentazione di pietà, ma il silenzio dell'anima raccolta 'nel segreto' a tu per tu con Dio. Il credente è ora davanti all'onniscienza divina: Dio sa! Egli sa le cose di cui abbiamo bisogno prima ancora che gliele chiediamo! Tutto questo è stupefacente per noi, ma è anche estremamente vero e richiede rispetto e umiltà.
Guardando più attentamente il brano, ci accorgiamo che Gesù, prima di renderci consapevoli della dimensione comunitaria della preghiera, richiama la nostra attenzione sull'importanza di stare in quel 'segreto' davanti alla maestà di Dio e alla gloria dell'Onnipotente, nel silenzio e per di più... da soli! Non c'è il brusio di altre persone presenti, non c'è il rumore delle sedie che vengono casualmente spostate, non si odono le voci rassicuranti di altri credenti che pregano... no, c'è solo il palpito del nostro cuore alla presenza dell'Onipotente!
In questo caso si realizza un incontro unico, solitario con Dio. Un incontro irrinunciabile e inevitabile, un importante momento personale, come personale è la nostra salvezza. Dio è il nostro Salvatore che agisce su di noi personalmente prima di introdurci nella dimensione collettiva dei suoi figli.
In conclusione possiamo dire che, nonostante le nostre debolezze e le nostre mancanze, Dio si fa trovare; e non nel cielo blu o nelle nuvole, ma nell'intimo del nostro cuore dove, per chiunque lo voglia, è possibile creare un rinnovato rapporto di comunione con Lui.
"In questa comunione si dovrebbe scoprire che il Creatore è un Dio trascendente, ma non remoto o indifferente, poiché si rende disponibile a un livello al quale Vuomo può incontrarlo e parlargli. Tale possibilità sussiste anche dopo che il peccato ha rovinato moralmente e spiritualmente Inumanità. Il Dio della Bibbia non è solo il Dio della creazione, ma è anche il Dio della redenzione, della riconciliazione e della comunione ristabilita” (José M. Martinez).
Daniela Marcarelli e Patrizia Gemini
Padre Nostro
Premessa
“Sono certo che Dio ha scoperto me, ma non sono certo che io ho scoperto Dio. La fede è un dono ma allo stesso tempo una conquista.”
David Maria Turoldo
E' proprio su Dio Padre che ora vorremmo riflettere, consapevoli di balbettare solo qualche parola, come d'altronde accade tutte le volte che ci si avvicina al “Mistero”.
Ci siamo affidati a questo pensiero di David Maria Turoldo che mette in evidenza i due aspetti di dono e di conquista della fede, del Suo manifestarsi che, il più delle volte, non è sfolgorante o accecante, come accadde a San Paolo, ma al contrario, è un’adesione libera, personale, difficile, a volte faticosa, ma alla fine sempre gioiosa. Gesù ci ha insegnato questa preghiera, che tutti i cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti), recitano da sempre.
Padre nostro, che sei nei cieli...
Ma che cos'è il Padre Nostro? La natura è riuscita a riassumere magnificamente, magistralmente, in un piccolo nocciolo, in un piccolo chicco, in un piccolissimo seme tutto un albero, con le radici, il tronco, i rami, le foglie, i fiori e i frutti.
Tutta la meraviglia di quell'albero con le sue possibilità di produrre frutti, di vivere a lungo e di resistere alle intemperie, è celata in un seme che si depone nella terra. Ebbene, Gesù ha fatto la stessa cosa: tutta la scienza che possedeva l'ha voluta riassumere nel "Padre nostro", sperando che gli uomini che l'avessero recitato e meditato, avrebbero deposto nella loro anima il seme di sapienza là contenuto.
“PADRE”
“Che cos'è Dio?”- domanda il bambino.
La madre lo stringe tra le braccia e gli chiede:
“Che cosa provi?”.
“Ti voglio bene”- risponde il bambino.
“Ecco, Dio è questo!”.
Ci piaceva cominciare la nostra breve riflessione su questa bellissima preghiera, così cara a Gesù, con questa immagine tratta da un famoso film di qualche anno fa, “Decalogo” del regista polacco Krzysztof Kieslowsky (1941-1996). Ci sembra esprima l’intima natura di Dio e cioè amore: Dio è Amore.
E questa “scoperta” non avviene tanto attraverso filosofie o arrampicandosi su difficili sentieri speculativi, ma attraverso l’intimo dialogo tra una mamma e il suo bambino. Ed ecco perché la prima parola che diciamo nel recitare la preghiera è "Padre". La prima parola che pronunciamo è “Padre”. Espressione dalla profonda e infinita dolcezza.
Quale confidenza in Dio e quale responsabilità di fronte a Lui. In questa parola “Padre” c’è tutta la novità della rivelazione di Gesù. E’ Lui che si rivolge al Padre Suo, è Lui che ce ne da testimonianza. E’ Lui che ci insegna a rivolgerci al Padre Suo e nostro. Abbiamo un Padre!!!! E un Padre cosa fa?
AMA.
Ma chi e che cosa ce lo rivela? Ce lo rivela quella piccola attenzione del vicino di casa, quella telefonata, l’amore gratuito e senza ritorno del fratello, dell’amico, che ci riporta all’amore di un Padre comune. Ed è questa la scoperta più bella, che ci stupisce ogni volta, un Padre che ci ama: “Dio ci ama immensamente”. E quando scopriamo che qualcuno ci ama, tutto cambia, tutto sembra più bello; ogni particolare acquista valore, importanza, spessore. La stessa vita quotidiana acquista colore e noi ci sentiamo belli, importanti, felici, sicuri. E’ un’esperienza che ti riempie il cuore! Si diventa più buoni, più sereni, più accondiscendenti verso gli altri. Ma il volto che Dio ci rivela (quello di un Padre), è quello di un Dio vicino, di un Dio che crede in me, in te, in tutti, nell’umanità.
Il volto di un Dio per niente paternalistico, ma che ci lascia liberi, che intende far crescere nell’uomo il senso di libertà e responsabilità. Ci cerca, ci aspetta, cerca un rapporto personale con ognuno di noi, intimo, profondo, fatto di intesa, ricerca, anche di rischio qualche volta e che noi tutti scopriamo nel momento in cui rispondiamo pienamente alla Sua “chiamata d’Amore”. Come? Affidandoci a Lui completamente sapendo che ci ama come nessun altro, aprendoci a tutti gli avvenimenti che, momento dopo momento, accadono nella nostra giornata, facendo nostro il “Suo pensiero” e iniziando così una vita e un’avventura nuova.
“NOSTRO”
La preghiera prosegue con un aggettivo posto accanto alla parola “Padre”: Padre nostro. Questo aggettivo posto nella forma plurale, è decisamente confortante. Ci dice che questa preghiera non solo ha un carattere personale, ma ha soprattutto un carattere comunitario.
“Nostro” sottolinea il legame tra Dio e l’umanità e noi, come dice Bonhoeffeer in “Resistenza e resa” “... non si diventa uomini completi da soli, ma unicamente insieme agli altri”. Chiamarlo Padre, ci rende “figli”, e questo è un fatto. Figli con la sicurezza di avere un Padre, un Padre che ha bisogno di sentire accanto a sé i suoi figli. Ma riconoscerci figli significa altresì riconoscere gli altri come fratelli e sorelle, tutti impegnati a vivere un rapporto di fraternità tra noi e con tutti. (Cfr. Luca 1:49-50)
“CHE SEINEICIEEI”
Un autore russo del ’900, Pavel Florenskij, nel suo testamento spirituale scriveva: “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso sull’animo,
guardate le stelle o l’azzurro del Cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderan-no...intrattenetevi...col Cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete”.
Guardare al Cielo è la nostra speranza, perché lì è il Padre. È la Sua dimora, ma anche la nostra.È un cambio di prospettiva. Un Dio quaggiù non sarebbe un vero Dio, sarebbe un idolo. Avere un Padre “nei cieli” mette la giusta distanza e dà sicurezza e certezza.
Un Padre intelligente, amoroso, amante, desideroso di relazionarsi, di comunicare, di renderci partecipi della sua ricchezza e della Sua pienezza, al quale noi possiamo rivolgerci nonostante i nostri limiti e i nostri fallimenti. Un Padre che ci invita ad aprirci a qualche cosa che è assolutamente aldilà di noi stessi ma che, allo stesso tempo, risponde alle nostre esigenze più profonde ed intime. La nostra è una storia continuamente sospesa tra terra e cielo.
Tra la terra e il cielo
“Sia santificato il tuo nome”
Fra tutti gli attributi di Dio, ce n’è uno che viene in particolare rilievo : Dio è Santo. Questa è la prima cosa che Gesù invita a chiedere al Padre. Perché questo? Perché coincide con il suo desiderio più intimo e cioè che il Nome di Dio sia santificato, cioè riconosciuto nella sua intima essenza. Gesù invita così l’uomo a riconoscere Dio per chi Egli è: Dio è santo. La santità esprime quello che vi è di caratteristico in Dio, la Sua essenza, in poche parole il Suo essere Dio. Non solo. Ma, essendo Padre, cosa può volere Dio per i suoi figli? Certamente il loro bene, il massimo bene. In questo caso, il massimo bene è senza dubbio la perfezione morale. In altre parole la santità. Dio ci vuole santi, (cfr. IPietro 1, 15-16; Lev. 11, 44; 19, 2; 20, 7). “Siate perfetti come è perfetto il padre vostro che è nei cieli”.
Noi santifichiamo Lui santificando noi stessi. Ma oggi è ancora possibile per l’uomo moderno la santità? O è solo una parola ormai obsoleta, anacronistica, legata ad un tempo ato o solo per pochi eletti? Cosa bisogna fare, poi? Bisogna fare penitenze? Pregare molto? Niente di tutto questo, o meglio non solo e soltanto questo.
Bisogna semplicemente rispondere al Suo Amore con un sì pieno e totale, fiducioso in ogni attimo della nostra vita con quell’atteggiamento di povertà ed umiltà di cuore, che ci pone dinanzi agli altri vuoti di noi stessi, ma pieni di Dio. Ed è qui la santità: uscire da noi stessi per entrare nell’altro, essere presi dentro da lui, condividere le sue preoccupazioni, i suoi dolori, le sue gioie.
Perdendo tutto di noi stessi con generosità ed immediatezza. Essere santo non si riduce perciò a evocare solamente una perfezione morale, ma fa parte della nostra esistenza. La santità nasce dalla vita di ognuno di noi, nella sua tensione a vivere, impegnandosi a realizzare, trasformare se stessi e la realtà che lo circonda. Santità come testimonianza di una vita che si trasforma ogni giorno,
ogni momento creativamente nell’atto del dono gratuito di sé, cosi che ogni parola, ogni gesto, ogni azione diventa essa stessa esperienza di dono. Compiere il bene ha in sé una forza eterna che il tempo custodisce. Ma c’è una novità. Oggi la santità non è più appannaggio di pochi eletti, ma possiamo parlare di una santità di popolo.
La santità è per tutti. Questo non vuol dire che non ci sono o non ci saranno in futuro singoli santi, ma significa che tutti possiamo diventare santi e soprattutto santi insieme. E questo è un piccolo o in più. Che cosa significa? Significa che a questo uscire da me stesso per donarmi all’altro, deve corrispondere, non solo l’accoglimento del dono di me da parte dell’altro, ma anche il movimento di uscita dell’altro verso di me. Se così accade questo donarsi e accogliersi reciproco fa emergere un nuovo spazio di incontro nel quale il Santo si fa presente tra noi e ci santifica.
Al Padre
Siamo viaggiatori dello spazio con le nostre zavorre agganciate alle speranze ancorati insieme penetriamo nebulose cristalline zaini in spalla.
Pellegrinaggio di formiche cariche dei loro pesi pronte per l’inverno tra la polvere di stelle nelle crepe aride del dolore spiragli di vita.
Scopriamo l’appartenenza figli dell’universo in questo viaggio chiediamo al Padre
tutto il bene e un pezzo di pane luce di perfezione.
Venga il tuo regno
Alla richiesta di Gesù di santificare il nome del Padre, segue l’invocazione: “Venga il tuo regno". Questa non è altro che una conseguenza logica perché lì dove è il Santo, lì è il Suo regno. Ed è lì che noi siamo, dobbiamo essere, vogliamo essere. Gesù parla di “regno”.
Ne ha parlato spesso nelle Sue predicazioni, alcuni tratti li ha descritti nelle parabole. Ma che cos’è questo “regno”, la cui venuta noi invochiamo nella recita della preghiera? Il “regno” di cui parla Gesù, non è certamente un luogo, un territorio, una realtà politico-istituzionale. Nella sua accezione greca, il termine “regno”, intende l’azione del regnare. “Regno” è inteso allora come regalità, come uno stato interiore nel quale si riflette tutto ciò che è buono, generoso, disinteressato.
DIO REGNA
Quindi, quando Gesù parla di “regno”, intende un intervento potente di Dio, una sua iniziativa che va incontro all’uomo, in maniera sovrabbondante, oltre ogni attesa. Il Suo regno allora, non è qualcosa di lontano, qualcosa da venire, non può essere valutato secondo criteri umani. Comprende tutto ciò che è desiderabile, tutto ciò che rientra nei piani salvifici del Signore.
E’ un invito a mettere Dio al primo posto, al vertice di ogni nostro pensiero, mettendo da parte tutti quegli idoli che possono prendere il Suo posto (studio, professione, sport ecc.). Un regno che è già presente tra noi, ora, oggi, se lo vogliamo. Un regno che si concretizza nel tempo e nello spazio degli uomini, immergendosi così in una dimensione personale e globale, che riguarda tutti e ciascuno nel profondo.
È la promessa di Gesù: “Dove due o più sono riuniti nel Mio nome, Io sono in mezzo a loro”. Una promessa reale, concreta, sperimentabile. È la Sua paternità che entra in azione. È lì che la luce di Dio s’irradia, che il soffio del Suo spirito si comunica e ci fa trascendere, (“trascendersi” per Emmanuel Levinàs significa “uscire da casa propria, al punto che uscire da sé è sostituirsi all’altro”).
“Venga il tuo regno” significa allora moltiplicare questi spazi d’incontro col Santo tra noi, impegnandoci con tutto il nostro cuore, volontà e intelletto, lì dove siamo (lavoro, casa, ufficio, ospedale), affinché il Suo regno di pace, giustizia, vera fraternità, possa concretamente edificarsi nel nostro cuore e nelle realtà in cui viviamo.
“Venga il tuo regno” diventa così espressione di un nuovo Umanesimo, tale da trasformare il nostro modo di pensare, le nostre abitudini, le nostre relazioni sociali, il nostro agire economico e politico. Abituiamoci a vivere con Lui, il Santo, tra noi.
Ecco la Perla! Ecco l’occasione da prendere al volo, impegnandosi fino in fondo con tutte le proprie energie. Pertanto, l’invocazione “venga il tuo regno” interpella ciascun uomo affinché, per quanto gli è richiesto dal Padre al quale lui si rivolge, contribuisca a far sì che questo regno si attui già fin d’ora nella sua vita e in quella dei fratelli, consapevoli che, nella misura in cui riusciremo a vivere il nostro essere cristiani, il Paradiso e quindi il Regno di Dio crescerà, si renderà visibile avanzando verso il suo compimento, la realizzazione di quei “cieli e terre nuovi” che Gesù ci ha promesso.
Percepisco il bene
IL SANTO
Percepisco il bene dai tuoi gesti parole scorrono sulle righe pagine stampate nei nostri tessuti imbevuti di spirito lungo la strada. Sentite anche voi l’eco? La sua voce penetra tra noi scuote le membra stanche assaporiamo il profumo insieme. Allora regna il santo stringe a sé le nostre miserie rende giustizia agli oppressi dona pace alle anime trafitte. Osservando il cielo ci sentiamo tutt’uno con l’universo gustiamo lafelicità qui ed ora nell’istante reso eterno dal santo.
Sia fatta la tua volontà
Tendere alla santità è l’obiettivo di ogni cristiano. Lo dice chiaramente Paolo ai Tessalonicesi (1 Tes.4,3): “E’ volontà di Dio la vostra santificazione”.Come? Qual è la strada? Facendo la Sua volontà.
Spesso quest’espressione, nella maggior parte dei casi, è sinonimo di rassegnazione. Infatti, è utilizzata quando c’è qualcosa di spiacevole da affrontare: una malattia inaspettata, una sofferenza, una situazione senza via d’uscitalo ancora quando ci si lamenta delle cose ate, presenti o future perché non soddisfano le nostre esigenze o i nostri programmi.
Non è certo questo l’atteggiamento giusto. Ci comportiamo come dei ciechi e dimentichiamo di avere un Padre anche se poi, ogni giorno ripetiamo nella preghiera quest’invocazione. Non ci rendiamo conto fino in fondo di ciò che chiediamo.
Ma qual è la Sua volontà? Certamente la Sua volontà è osservare i suoi comandamenti, adempiere ai propri doveri di stato, ascoltare la voce della propria coscienza. Ma non basta. Fare la volontà di Dio è AMARE. Perché Dio è amore. Quando? Sempre. In ogni momento, perché è il presente quello che importa. Fare tutto con sempre più perfezione. Quindi, per fare la volontà di Dio, dobbiamo amare nell’attimo presente.
È al momento presente che dobbiamo puntare! È solo il presente quello che importa. Non ieri, non domani, ma oggi, ora , adesso! Che grande invenzione, se possiamo dirlo! Per cui, ecco la mamma che prepara bene il pranzo, il ragazzo che studia bene la lezione, l’operaio nella fabbrica, il dottore in ospedale... È una santità proprio per tutti! Potremo dire una via di santità di popolo, di massa! Il
cristiano, vivendo bene ciò che deve fare, in quel preciso momento sfrutta tutta la Grazia che Dio dà proprio nel presente. E ogni attimo, così vissuto, porta a vivere una vita bella, affascinante, sempre nuova, con una gioia interiore mai provata o conosciuta prima.
Ed è questo che spinge l’anima a vivere con sempre maggiore attenzione e intensità questa nuova vita! “L’attenzione- diceva Simone Weil - è essenzialmente una categoria spirituale, che dà la forma, l’architettura all’anima, scopo dell’intera esistenza”. O ancora: “Cari figli, guardatevi dal pensare in modo disattento. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che ci si prenda cura con tutte le forze della sua offerta (che è il Bene)”... “Non fate le cose in maniera approssimativa o confusa, senza persuasione, senza provare gusto per quello che state facendo” (da “Testamento di Pavel Florenskij”).
Ogni azione, ogni gesto troverà il suo valore, la sua importanza. E lì, dove si svolge normalmente la nostra vita, lì ci realizzeremo pienamente come cristiani. Come afferma Emmanuel Levinàs :“è lì che ogni nostro anelito di felicità si sazierà”.
Potremmo dire che vivere così è un nascere in ogni istante perché il presente è la nostra nascita e ogni nascita è sempre un ricominciare. E lo è altresì in quelle situazioni che sembrano gridare il contrario, come ad esempio l’abitudinarietà, la monotonia di ogni giorno vissute al lavoro, in famiglia, in casa...Ma è proprio lì il nostro “cantiere della santità”, proprio in quella realtà noiosa, piatta, sempre uguale, priva di novità che consuma inesorabilmente i nostri giorni. “La monotonia - come affermava Domenico Mangano, dirigente di un ente pubblico romano -èil tono unico dell’amore vissuto nel compiere la volontà di Dio nell’attimo presente”. “Basta credere che siamo più grandi di quello che pensiamo di essere e che il presente ha in sé sempre un germe di inesauribilità” (da “Rinascita significa felicità” di Franco La Cecia). Tutte le realtà, poi, in cui viviamo, lavoriamo, saranno vivificate dal nostro agire.
GIROTONDO
Girotondo di nuvole nel cielo verniciate di rosso al tramonto abbiamo camminato a lungo sotto il sole abbagliante felici legatipermano.
Non sappiamo la strada ogni via, ogni angolo appaiono oscuri ed incerti abbiamo cofanetti diperle da stringere tra. le dita.
Ci ricordano l’essenziale su cui imprimere la vita questo fuoco che divora ci spinge verso altri volti altri occhi da guardare.
Come in cielo così in terra
La parola “come” è, senza alcun dubbio, la parola chiave di questa espressione. Nel “come” vi è il legame che unisce il cielo alla terra e viceversa. È da sottolineare, poi, come questa espressione segua di fatto la richiesta di “fare la Tua volontà” nonché ricapitoli in sé tutte quelle precedenti.
“Come in cielo”: in genere, il cielo, nell’immaginario collettivo, s’identifica con il Paradiso e con questo termine s’intende qualcosa di completamente alternativo alla realtà temporale dove noi uomini viviamo, sicuramente qualcosa che va al di là di ogni nostro pensiero, immaginazione, qualcosa di bellissimo, meraviglioso, inconcepibile. Qualcosa che esclude qualsiasi dolore o ferita, compresa la ferita di una relazione.
Ma non è così. Dio ribalta i nostri piani, capovolge le nostre conoscenze e convinzioni, sa trarre il bene dal male. Dietro ogni ferita c’è sempre la benedizione e più la ferita è profonda, più è grande la benedizione. Dio ha occhi diversi e chi si affida a Lui, segue la Sua Parola, impara a guardare con gli occhi di Dio. Allora il Cielo è più vicino a noi di quanto pensiamo. Il Paradiso è il regno di Dio tra noi perché è una promessa di Gesù (“Dove due o più sono uniti nel Mio nome, Io sono in mezzo a loro”).
La legge del cielo si è trasferita in terra con la venuta di Gesù. Qual è la legge del cielo? E’ l’amore. Noi sappiamo che Dio è Amore, comunione in se stesso. Infatti Dio è
Uno e Trino: Dio-Padre, Dio-Figlio, Dio-Spirito Santo. Ognuna delle tre persone è Amore. Esse amano, si amano e amando “sono”. Il loro essere, coincide col loro essere l’uno verso l’altro in una reciprocità circolare. La vera reciprocità -
secondo il filosofo se Maurice Nedon-celle - sboccia da un’autentica comunione. Esige che si esca fuori da sé stessi “per vedere il mondo cogli occhi dell’altro” ma anche “essendo capaci di prestare agli altri i propri occhi”. L’altro, colui che riceve il dono, è invitato a sua volta a donarsi.
La reciprocità nasce lì dove il dono è contraccambiato, laddove si realizza una mutua compenetrazione delle coscienze. Amare perciò è donarsi gratuitamente. Donare un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; donare la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra disponibilità; donare le nostre esperienze, le capacità. Agendo così risvegliamo il bello, il buono che Dio ha posto in ciascuno di noi e generiamo perciò frammenti di reciprocità.
Dimentichi di noi stessi per l’altro, noi non siamo, (cfr. I Cor. 1, 27-29) diventiamo vuoto per ospitare l’altro, un nulla d’amore sul quale si esprime e si scrive come su una lavagna l’impronta dell’altro. Per cui possiamo affermare che noi “siamo quando non siamo” perché siamo Amore e questo non essere non indica privazione bensì è come un cambio di segno: da negativo diventa positivo.
Certo, uscire da noi stessi implica sempre una ferita, un negativo; ma il dono dell’altro per noi si trasforma in benedizione ed ecco il positivo. Del resto II Bene, inteso come Amore, che cos’è?” - si chiede Eros Ramazzotti, un noto cantante italiano. “È la fatica di fare un o indietro per fare spazio a te”. E se ci lasciamo prendere dal Bene, i nostri gesti produrranno bene e noi saremo in grado di donare speranza.
“La speranza è la conoscenza che il male che si porta in sé è finito e che il minimo orientamento dell’anima verso il Bene, fosse pure per un istante, ne abolisce un poco perché, nell’ambito spirituale, ogni bene, infallibilmente produce il Bene” - affermava Simone Weil. Con questi gesti di bene allora entriamo nell’altro, ci compenetriamo gli uni gli altri, sempre più in profondità fino alla reciproca accoglienza. Amare quindi non è un “contrarsi”, un cessare
di essere sé stessi, un perdere qualcosa, ma al contrario è un accrescersi, un “espandersi”, un continuo scoprirsi e stupirsi, lasciarsi sorprendere dall’Amore.
Questo è in breve ciò che succede tra le persone della Trinità, un’alchimia d’Amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: Dio Padre ce la dona attraverso l’offerta del Suo amato Figlio Unigenito Gesù, il quale, per amore del Padre, (cfr. Giov. 3, 16) offre tutto se stesso sulla croce, persino la Sua unione con Dio, e riconsegnando il Suo Spirito lo dona per sempre all’umanità intera iniziando con la Sua Resurrezione una nuova creazione.
“In principio Dio creò la terra e il cielo...” (Gn 1,1-5). In queste prime righe della Genesi leggiamo una sorta di paternità universale di Dio. Dio, principio di tutto, penetra e avvolge tutta la creazione. Cos’è la creazione se non un atto d’Amore di Dio Padre, un gesto di autolimitazio ne per far spazio a qualcos’altro da sé, un “contrarsi”, un farsi piccolo per consentire “all’altro inteso come creato” di esistere davanti all’Altro.
La creazione quindi nasce ed è radicata in quella relazione infra-trinitaria lì nel seno del Padre, dove già il Figlio sussisteva, e gli comunica tutto. Ecco perché il Paradiso è una realtà inscritta nel nostro cuore. È quasi un’impronta divina che ognuno di noi si porta dentro, è quell’infinito anelito che palpita nell’anima di ogni uomo.
Teilhard De Chardin affermava: “La terra e il cielo non erano separati...c’è una trascendenza anche verso il basso, verso la Santa materia”. Questa impronta filiale ha in sé un destino escatologico (pag.704 di Nuova Umanità n.186), per cui anche le realtà temporali saranno recuperate e faranno parte della grande corrente che trascinerà l’intero creato a Dio. Infatti, se il creato è stato creato “in Cristo”, troverà il suo compimento “in Cristo”. La ricapitolazione finale non sarà altro che un mettere in luce questa legge che è inscritta nella natura anche se con una pienezza del tutto nuova. Anche qui nel creato, dietro ogni cosa c’è la presenza nascosta dell’Uno.
Il creato non è caos, confusione, disordine, bensì armonia, relazione, bellezza, è l’Uno che dà senso al singolo mettendo in relazione il tutto. Ogni cosa è come sostenuta da un suo perché profondo, da una realtà invisibile che le dà la vera consistenza e il suo posto nell’insieme della creazione. Tutto è in relazione d’Amore tra loro.
“Sulla terra tutto è in rapporto d’Amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa” (Chiara Lubich).
Questa realtà d’Amore trinitario deve allora diventare il nostro punto di riferimento che come un faro ci aiuti in questo nostro progressivo indiarci affinché sia “in cielo come in terra”.
Realtà d’amore
LACRIME
Lacrime su un petalo di rosa fiore splendido ricordo di ghiacciai perpetui.
Tracciano solchi sulle guance dolore sconfinato penetra la carne e l’anima.
Ammirarne l’armonia sentirne la ferita riporta la vita sul senso eterno.
Siamo sulla terra mutevoli collegati col cielo felicità creativa e smisurata.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
“All’uccellino cieco è Dio chefa il nido” proverbio armeno
Questo proverbio popolare è preso dalla cultura armena e racconta di un uccellino accecato che non riesce a cercare i fili d’erba per intessere il suo nido; sarà allora Dio stesso che gli preparerà un incavo in cui deporre le uova e allevare i piccoli. Anche nel Salterio si legge che: “Dio provvede il cibo ai piccoli del corvo che gridano a Lui” (147,9).
Ci piace cominciare con questo proverbio perché ci sembra aiuti a penetrare di più il significato della seguente richiesta:
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Quasi a sottolineare quest’infinita fiducia che rende capaci - come lo è stato per il popolo armeno vittima di lunghe e inaudite sofferenze - di abbandonarsi, di affidarsi fiduciosi nelle mani del Padre. E Lui, da Padre qual è, apre la Sua Paternità sui nostri bisogni. Si prende cura di noi come con l’uccellino cieco. Questo sottolinea ancora una volta quanto ogni persona sia unica ai Suoi occhi, un “prodigio” davanti al Suo sguardo.
Il nostro Dio è un Dio vicino, amante di ogni creatura. “Si è fatto a noi più intimo del nostro intimo” - afferma Sant’Agostino. “Noi non dobbiamo chiedere il pane di quaggiù... c’è un’energia in Cielo che entra in noi non appena la chiediamo. È un’energia che si converte in azione tramite la nostra anima e il nostro corpo. Questo è il nutrimento che dobbiamo chiedere" (Simone Weil).
È tempo di fede! Non più fatalismo né più rassegnazione, ma affidamento grato e arrischiato - (“Il salto rischioso della fede”- come lo definisce S. Kierkegaard) - capace di cercare e accogliere quel Pane per cui preghiamo. Dovremmo, forse, imparare dai “piccoli” di evangelica memoria: è logico che il papà sappia fare tutto, sappia risolvere tutto e per loro è istintivo stringere la loro mano nella sua e sentirsi sicuri e tranquilli (“tanto ci pensa lui”).
Un Pane donato nella giusta misura, giorno dopo giorno. La richiesta è per “oggi”. Vale solo per 1’ “oggi”. Il Padre concede ai figli il Pane solo giorno per giorno, proprio come ha fatto per la manna dal cielo nel deserto. Oggi, solo oggi. Il resto è vanità. L’immaginazione corre a quel pane appena cotto, alla sua fragranza e al suo profumo inebriante che una volta avvolgeva le nostre case. Dio non poteva scegliere esempio più appropriato.
“Pane” è qualcosa di semplice, di sobrio, essenziale, una “piccola cosa”, per unire il cielo alla terra, la quotidianità con l’eternità, proprio ad indicare un Dio nella storia dell’uomo, partecipe ad essa fino in fondo. Un Dio che si è fatto Lui stesso Pane: Pane del Cielo, Pane degli angeli. Briciola dopo briciola espressione di un amore infinito per ciascuno di noi. E’ con noi, uno di noi, sulle mense di questa terra, come sugli altari del cielo. E così scorre nel nostro corpo, in ogni fibra della nostra carne trasformandola in Spirito d’amore puro.
PANE
Riflessi dorati nell’aria volteggiano ed il fruscio brilla al sole. Chicchi di grano maturi puliti raccolti al mulino. Sagge mani imbiancate di farina girano le file ordinate a lievitare. Dalforno si diffonde profumo di frumento che sazietà lafame. Croccante pane che riscaldi la mensa unisci i nostri cuori.
E’ questa una richiesta fiduciosa fatta da figli verso il Padre consapevoli della propria fragilità e precarietà. Quanta confidenza in questa richiesta!
Nella parola “pane”, possiamo scoprire, non solo il significato del “cibo”,ma anche quello di “salute, lavoro, casa”, non ultimo “il senso, il valore della vita”. Di conseguenza la richiesta dell’uomo sarà quella di colui che chiede la forza per affrontare il suo domani, la speranza, la sapienza per cogliere ciò che è dietro ogni cosa, per dare valore al suo quotidiano ma soprattutto la forza per capire ciò che è essenziale per lui, per la sua vita, per le sue scelte, per valorizzare ciò che è il suo quotidiano, la capacità di accettare quello che si trova a vivere e capire che proprio quello è il suo pane quotidiano. Ed è proprio questa la cosa importante, che ti cambia la vita.
Il rapporto con Dio non è fatto di effetti speciali, miracoli, recriminazioni per ciò che chiediamo e a volte non otteniamo. Non è un freddo “do ut des”, secondo i nostri ragionamenti in termini di calcoli umani, bensì un rapporto tra un “Io” e un “Tu”, tra l’uomo e un Dio che vuole entrare, partecipare alla sua vita condividendola fino in fondo.
Bisogna riscoprire il Suo Amore per noi, fidarci di più della Provvidenza del Padre, non solo quando tutto va bene, ma sempre, anche nelle difficoltà, nelle “notti oscure di ogni giorno” e, soprattutto, nel tempo del silenzio di
Dio! Bisogna amare Dio qualunque cosa Lui voglia per te.
Che cos’è mai la fede se non credere nell’impossibile possibilità di Dio?- dice Don Bruno Forte (“Le quattro notti della salvezza”). Fidarsi di Lui nonostante il Suo silenzio, nonostante noi stessi. “Come nutre gli uccelli del cielo e veste i
fiori di campo, così dà ad ogni uomo ciò di cui ha bisogno”. “Il Padre sa di quali cose avete bisogno, ancor prima che gliele chiediate” (Matteo 6,8). E come figli ritrovare quell’ottimismo, quella sicurezza, quella fiducia.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”
Come chiedere allora questo pane quotidiano che è “nostro”? La risposta è lì, in quei rapporti di reciprocità, di autentica comunione, dove il Santo è presente (“Dove due o più sono uniti nel Mio nome, Io sono in mezzo a loro”). La vera e giusta richiesta nascerà lì, tra i due o più e sarà chiara, limpida e - memori della sua promessa - saremo fiduciosi che verrà ascoltata ed esaudita. “Qualunque cosa chiederete al Padre nel nome Mio, Egli ve la concederà”.
La concederà se siamo uniti nell’amore tra noi e nel mangiare quel Pane Eucaristico, garante di un patto di fraternità che ci fa gridare “nostro” con le labbra, con il cuore, con l’intelligenza e la creatività delle nostre mani. Perché non chiediamo solo per noi stessi, ma per quanti sono intorno a noi, perché riacquistino la loro dignità e la capacità di procurarsi il pane, quello sulla terra e quello del cielo.
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostro debitori
“Alla sera della sua vita, Brigida Pian aveva finalmente scoperto che non bisogna assomigliare ad un servitore orgoglioso, preoccupato di abbagliare il padrone pagando il suo debito fino all’ultimo obolo e che il Padre Nostro non si aspetta che si sia i contabili minuziosi dei nostri meriti. Ella sapeva adesso che non importa meritare, bensì amare.” (da “La farisea” -1941-di Francois Mauriac).
Con questa opera, intitolata “La farisea", l’autore, Francois Mauriac, intendeva colpire quell’atteggiamento ipocrita che fiorisce dalla superbia. La parabola lucana del fariseo e del pubblicano (18,9 -14) ne è la rappresentazione emblematica. Efficace il ritratto che l’autore fa di questa donna, che conosce solo una religione fredda e disumana, che si nutre di opere e giudizi esteriori, che ignora la comprensione e la misericordia e che presume di conoscere i segreti del cuore.
E la scoperta finale è lapidariamente espressa dall’autore nella frase: “Non importa meritare, bensì amare”. Una lezione da meditare sempre soprattutto quando si è troppo convinti di essere a posto. Ci sembrava molto appropriata questa paginetta per entrare nello spirito della seguente richiesta: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il perdono è per lo spiri to ciò che il pane è per il corpo. Senza il perdono, lo spirito non vive e di conseguenza l’uomo. Perdono, nella sua accezione, significa “per dono”, cioè gratuità di Dio che è corrisposta dalla gratitudine dell’uomo e nient’altro.
È questo il primo, insolvibile debito che l’uomo ha contratto con Dio nel momento in cui Egli l’ha pensato, voluto, creato, amato. Ciò che Gesù suggerisce è di chiedere a Dio il perdono dei debiti contratti durante la nostra esistenza: omissioni, occasioni perdute, grazie non corrisposte, rifiuti, chiusure, giudizi, cattiverie, ostinazioni.
Colpisce proprio il fatto che sia Gesù ad invitarci a chiedere questo al Padre. Perché? Perché, per nostra natura, noi non siamo in grado di perdonare se prima non ci scopriamo perdonati da Dio. Ci agitiamo, ci rigiriamo senza successo nelle nostre ragioni o presunte tali fino a rimanere intrappolati, avviluppati e stretti da mille tentacoli che ci soffocano fino ad impoverirci e a farci morire a noi stessi.
Perdonare è certamente cosa difficile, ma solo il perdono ci permette di ritrovare noi stessi, e di riallacciare ogni relazione spezzata, l’unica che riaccende il nostro cuore, l’unica che fa rinascere l’altro nel nostro cuore e nel suo cuore. Perdonare è la possibilità di vedersi nuovi, immacolati, di crescere. È sicuramente una grazia!
“L’altro è il nostro inferno” - sosteneva Jean Paul Sartre. Ma l’altro può essere anche la nostra scommessa, la nostra opportunità. Noi non siamo in grado di perdonare, ma possiamo riuscirci. Per farlo, abbiamo però bisogno di aiuto. Dobbiamo chiedere aiuto. Ed ecco che Gesù ci viene incontro. Non ci fa chiedere al Padre di essere capaci di amare, di accogliere l’altro, ma di essere capaci di perdonare. Sapeva quanto avessimo bisogno di aiuto e quanto fosse difficile per noi!
Ma come fare? (diverse pagine del Vangelo invitano a perdonare. Lo stesso Pietro chiede a Gesù come fare o quante volte perdonare e Gesù risponde “fino a 70 volte 7”, cioè sempre - Matteo 18, 22).
Un’immagine viene in nostro aiuto. Grazie ad un breve ma preciso “consiglio” di uno scrittore milanese, Enrico Emanuelli: “La storia è il tempo che vola senza riparare al bene non fatto e senza allontanare il male che ancora si farà... eppure sappiamo che ogni destino si può capovolgere, come con una pedata si rivolta un sasso, mettendo al sole quello che stava all’ombra”. L’immagine della pedata è
sicuramente e decisamente molto incisiva.
Capita a tutti, camminando in campagna, di ribaltare con una pedata una pietra posta sul terreno. Ed ecco la sorpresa di scoprire sotto di essa, nell’umidità protetta da quello scudo, un formicolio di vita, fatto di insetti e semi: un microcosmo nascosto! Sopra solo aridità. Sotto, tutto fermento. Così è per l’esistenza umana: teniamo nascoste tante energie, pensieri, talenti, che potrebbero dare frutto e che invece restano solo nel segreto, mentre in superficie rimane l’aridità.
Ed allora è proprio questo che dobbiamo fare: dare una pedata a tutto quel groviglio di risentimenti, di ioni, false o presunte ragioni che ci assillano, che ci soffocano e non ci fanno essere liberi, pienamente noi stessi. È necessaria allora una profonda purificazione della memoria, cioè cancellare tutto, in particolare il modo in cui “io vedo l’altro, vedo i problemi, perdere le idee che non ho perso, le ragioni che non ho perso”. Riappropriarsi di quegli “occhi nuovi”, di quegli occhi puri che sanno trasformare i problemi in opportunità, portandole a diventare da “ferite” “benedizioni”.
Spesso nello stare con gli altri, nel rapportarci con gli altri, bisogna tener conto che proprio gli altri, con il loro modo di fare, di pensare possono rappresentare un peso, un limite al nostro lavoro, un impedimento al nostro sviluppo, ma questo limite, rappresentato dagli altri, è proprio “l’Amore che noi abbiamo per loro” (da un discorso di Piero Pasolini). È proprio quella parte di noi che dobbiamo dare per essere Amore, altrimenti ci troviamo isolati, fuori da ogni tipo di rapporto. Quante volte la paura ci frena e ci fa pensare che quel rapporto ci limiterà in qualche maniera o ci farà perdere qualcosa e che senza di esso andremmo avanti più spediti?
Può sembrare che se non avessimo quel rapporto, potremmo lavorare meglio, potremmo fare molte più cose. Ma proprio questo è l’Amore: vivere il rapporto, essere in rapporto con l’altro è partecipare all’atto creativo di Dio: essere suoi
collaboratori. A Dio infatti non interessa tanto quello che facciamo, quanto che le persone lavorino insieme e sperimentino quei frammenti di reciprocità, che as saporino quel desiderio struggente che lega il cielo alla terra.
Purificare la memoria ci invita altresì a togliere quei “vestitini” che spesso confezioniamo addosso alle persone. E questo dobbiamo farlo ogni giorno, continuamente, per vederle sempre nuove, per cogliere come Dio le guarda e le ama.
“La misericordia di Dio è come un oceano immenso di fuoco ardente che aspetta che noi vi gettiamo dentro tutte le nostre miserie, preoccupazioni, i nostri difetti, i nostri limiti e lì, in quel fuoco, le nostre miserie, i nostri limiti, le nostre preoccupazioni si trasformeranno a loro volta infuoco alimentandolo e noi saremo nuovi” (Domenico Mangano, dirigente di un ente pubblico romano).
Ma in quale dimora un uomo può dire finalmente “Io” e sentirsi “a casa”? Scrive Don Luigi Giussani: “La casa nel senso più vero è l’essere perdonati”. È la misericordia verso gli altri ma ancora più verso noi stessi. È strappare un sorriso a Dio.
SUSSURRO DI FIORI CAPARBI
Ti accompagnerò col sussurro della mia preghiera Anima speciale che hai un posto nel mio cuore Nel giardino dove si libera la fantasia di pure azioni.
Eppure sembra vano ogni mio sforzo Per quel collegamento necessario a diffondere energia Lacrime bagnano la terra spaccata.
Spuntano dalle mie meschinità piccoli fiori caparbi Bucano la corteccia delle spigolature carnali Inebriando i sensi di radiosi colori.
Fiori caparbi
Non ci indurre in tentazione
“...ma oso (sfacciatamente) mendicare ancora preghiere ardenti perché restiamo nella tempesta o - almeno - siamo ancora in cammino. Un cammino lunghissimo, drammatico e pieno di pericoli e incognite”.
Antonio Socci
Questo breve testo, scritto dal giornalista Antonio Socci, come prefazione del suo ultimo libro “Caterina. Diario di un padre in tempesta”, Ed. Rizzoli - Milano 2010, ci dà il pretesto di cominciare in qualche modo a riflettere su questa ultima parte della preghiera. Non ci sono parole per descrivere il timore, il dolore, la paura, l’angoscia di due genitori, la cui vita è cambiata all’improvviso in quel settembre del 2009, allorché la loro figlia Caterina è entrata in coma.
Questa vicenda ha dato vita, dietro loro specifica richiesta, ad una catena di solidarietà e preghiera, tra amici e non, tra credenti e non credenti, dimostrando come la fede e la preghiera possano essere di sostegno e conforto nei momenti più difficili, più bui, più drammatici aiutandoci ad uscirne ritrovando la prova della presenza di Dio tra noi.
“La vita umana - come diceva Vladimir Nabokov - non è altro che una serie di note a pie pagina di un immenso, miste rioso, incompiuto capolavoro” (tratto da “Fuoco pallido”, 1962). È la manifestazione esteriore di una realtà che ci supera e che fa parte di un progetto superiore, continuamente in azione.
“Non ci indurre in tentazione”
O meglio non abbandonarci alla tentazione, non permettere che entriamo in tentazione. Ma cos’è la tentazione? È sicuramente una prova, un test, un porsi davanti ad una scelta “improvvisa, a volte nascosta, inesistente, manifesta”. L’uomo, per superarla, non deve fare altro che “riporre in Lui ogni tesoro, fiducia, speranza” (Fonti scane 1043), sapendo che, invitandoci al rischio, vuole farci crescere, convinti comunque che Egli ci concederà tutta la forza per non cadere nelle inevitabili tentazioni che incontreremo lungo il cammino della vita. Una prova di fiducia, di profondo abbandono tra le sue braccia.
Lo stesso Gesù è stato tentato e duramente nel deserto. Sino alla croce. Nell’orto del Getsemani, prima della grande prova, ha avuto paura e ha chiesto al Padre di allontanare da Lui quel calice: “ pianse lacrime di sangue”... “l’anima mia è turbata ed è triste fino alla morte” (Marco 14, 32-42). Anche Lui ha fatto appello all’onnipotenza del Padre per essere liberato e sollevato da quella prova. Si è aggrappato alla speranza che al Padre tutto fosse possibile. Alla fine si è sottomesso alla volontà del Padre Suo e ha vinto perché ha creduto al Padre.
Per noi il rischio è maggiore. Le tentazioni, a cui Gesù è stato sottoposto, sono annidate nel nostro cuore: desiderio di affermazione, fama, autosufficienza. Ma non mancano, altresì, tentazioni più sottili che ogni giorno si presentano e che non è facile riconoscere come, ad esempio: la gola, la vanità, l’invidia, il tradimento, la tentazione di un “miracolo facile”... Tutto questo perché l’uomo è fragile, debole, un mendicante che, per vivere, ha bisogno di molte cose. “Wir sind bettler, hoc est veruni! (Siamo dei poveri mendicanti, questa è la verità)”diceva Martin Lutero. Siamo, dunque, mendicanti di cielo, di senso, di verità. “Cerca la verità, ascolta la verità, impara la verità, ama la verità, difendi la verità fino alla morte” (Jan Hus).
Questo è l’impegno di ogni credente. Un impegno serio, coerente, costante, onde evitare che la fede possa inclinarsi, scolorirsi; una specie di allenamento a ricominciare sempre, a rialzarsi dopo ogni caduta. Ma soprattutto è riporre la nostra fiducia in Dio per farci schiavi di Cristo e del Vangelo che non è un
semplice libro da leggere, bensì il libro della Verità, di quel messaggio da vivere quotidianamente e con il quale dobbiamo confrontare la nostra vita.
A volte, invece, siamo convinti di essere noi ad operare il bene, dimenticando che ogni salvezza viene da Gesù ed è necessaria una purificazione progressiva per riconoscere che Dio è tutto e che è Lui che opera. La nostra è una scelta cosciente che ha bisogno di tutta la nostra attenzione per riconoscere ed ascoltare quella voce dentro di noi, la voce dello Spirito alla quale dobbiamo aderire umil mente per realizzare il sogno che Dio ha pensato per noi. Vigilanza: ecco ciò che occorre.
La vigilanza allontana la tentazione. Stare attenti, cercare di vivere bene l’attimo presente, fare bene tutte le cose senza approssimazione, bensì gustandole, come consigliava Florenskij, sicuramente eviterà che ci allontaniamo dalla comunione con Dio, nonché “certi malintesi” che la nostra fragilità può generare e che possono intaccare la nostra fiducia nei Suoi confronti. “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto.” (Luca 16,10-13) Infatti le piccole tentazioni sono radici di tentazioni più grandi. Per questo chiediamo aiuto, soccorso, sostegno al Padre. Certo il Padre non ce lo negherà.
“Quale padre tra di voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi dunque che siete cattivi, potete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo, darà lo Spirito Santo a quelli che lo chiedono”. (Luca 11,1-13) E certamente la prova non sarà superiore alle nostre forze, anche se, al momento, quando siamo sotto la croce ci sembra di non farcela.
Spesso i perimetri della prova sono incomprensibili ma non dobbiamo, per questo, né avvilirci né rassegnarci. “Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere” così scriveva Etty Hillesum, giovane ebrea uccisa ad Auschwitz nel 1943. E sicuramente il suo è stato un esempio di forza e dignità. Bisogna, perciò, cambiare atteggiamento: porci, cioè, di fronte alla prova accogliendola
quale espressione di un Disegno d’amore per noi al momento ignoto ma, senza dubbio, foriero di novità perché c’è un Padre che ci ama e che ci sta vicino.
E’ un po’ come chi deve “abbandonare la terra ferma, ove i piedi sono ben piantati e deve inoltrarsi nel mare, fluido, mutevole, spesso agitato dalle tempeste. E’ questo il tempo della fede pura! Infatti, il mistero divino è “un mare profondo e pacifico” - afferma Santa Caterina da Siena - nel quale bisogna avere il coraggio di gettarsi come si fa con l’acqua, certi che essa si aprirà sotto di noi. Ci sono delle realtà nelle quali bisogna prima credere, immergendosi in esse, per poterle capire.
“Tu, Trinità eterna, sei un mare profondo che quanto più ci entro, più trovo e quanto più trovo, più cerco di Te...” (da “Le Sorgenti di Dio”, Santa Caterina da Siena).
“Non ci indurre in tentazione”
“ (...) perché restiamo nella tempesta - o almeno - siamo ancora in cammino” (Antonio Socci, da “Caterina. Diario di un padre in tempesta”). In questo “viaggio”, che ci vede legati l’uno all’altro, uomo accanto ad uomo e, restando legati per mano, ci sosteniamo a vicenda. Infatti condividere le proprie difficoltà con gli altri, chiedendo il sostegno dei compagni di viaggio che durante la strada incontriamo, è fondamentale.
Del resto anche Gesù si è scelto degli “amici” con i quali condividere la sua avventura umana. Vivere insieme l’avventura della vita è un’esperienza unica, è scoprire la presenza di Gesù tra noi. Il Divino invocato interviene e ci sostiene: “In verità vi dico: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà” (Matteo 18,19).
Del resto essere credenti è vivere la propria esperienza in un tessuto comunitario: significa appartenere ad una famiglia. Infatti, la preghiera cristiana, pur essendo un fatto decisamente personale, è anche una realtà comune. “ L’essenza della preghiera cristiana è Gesù stesso, che prega per noi, che prega in noi, è pregato da noi” (Sant’Agostino, Commento sui Salmi PL 37- 1081). Gesù continua a pregare per noi e dobbiamo unire la nostra preghiera alla Sua per vivere nella purezza di spirito e non cadere in tentazione.
Ma è quindi necessario accordarsi tra noi, come strumenti musicali in un’orchestra. Solo allora il suono delle nostre labbra sarà melodioso. Occorre dunque “portare i pesi gli uni degli altri, sentirci responsabili anche degli errori degli altri, imparando a soffrire con chi soffre, a gioire con chi gioisce, ...a praticare sempre l’etica del non far soffrire nessuno a causa del nostro giudizio” ( Card. Martini in “Le ali della libertà”, Ed. Piemme - I Ed. 2009). Bisogna allora credere fino in fondo alla potenza di Gesù fra noi e, attraverso il fratello che ci fa da specchio, discernere nel profondo del nostro cuore ciò che è bene e ciò che è male.
NON CATTURARMI
Non catturarmi cela il sorriso scorgi tra i silenzi il mio rimpianto lasciamifuggire non annientarmi.
Mordace ione si annida nel cuore travolto dal tuo sguardo dalle tue adulazioni che scalfiscono l’essenza del mio nulla.
Non accoglierò l’invito riconquisterò la libertà combatterò colfuoco non ti insinuerai nelfiordo dell’anima con la tuafalsità.
Lasciami andare soffrirò magari morirò in quell’istante guarderò il cielo sarà magnifico.
Non catturarmi
Ma liberaci dal male
“L’inferno è cosa nostra, cosa della terra ammorbata dal male, ma questa terra malata e rattrappita, è stata assorbita dal “grido” della Parola.”
Patrizia Gemini
Quest’ultima nostra richiesta non è disgiunta da quella appena precedente. Un rapporto strettissimo le lega: “Non abbandonarci nella tentazione ma liberaci dal male”. Ma qual è il male da cui Gesù ci invita a chiedere la liberazione? Sembrerebbe non esserci bisogno di alcuna spiegazione ma è evidente che non è così. Il tema del male e della sofferenza è da sempre presente nell’uomo, misterioso, inevitabile. Non si può affrontare questo argomento se non con “timore e tremore” ma allo stesso tempo “Ti chiediamo Signore di non chiudere i nostri occhi sul male del mondo, ma di saperlo guardare come lo ha guardato Gesù, come lo guardi Tu, così da non diminuirlo con ottimismi indebiti, ma guardarlo in faccia. Perché non saremmo di questo mondo se non guardassimo anche al male del mondo.” (Card. Martini da “Le ali della libertà”). Infatti, il male è un aspetto della nostra esistenza. San Paolo, nella lettera ai Romani, elenca una serie di peccati presenti nella società di allora come in quella di oggi: “.. .ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia, invidia, omicidio, rivalità, frode, malignità, diffamazione, maldicenza, inimicizia di Dio, oltraggi, superbia, ingegnosità nel male, ribellione ai genitori, insensatezza, slealtà, senza cuore, senza misericordia...” (Romani 1, 29-31). Oltre a questi peccati, vi è poi una serie di “mali” più legati all’anima: l’aridità, la mancanza di spinte interiori, lo sperimentare una sorta di vuoto, di freddezza spirituale o, addirittura, di repulsa verso ogni forma di preghiera.
Essi possono essere, a volte, espressione del Maligno, da cui può liberarci radicalmente e per sempre, solo il Signore. Nessuno di noi ne è indenne in misura più o meno grande, direttamente o indirettamente. Viviamo in una società
e in un mondo dove certi meccanismi ci stritolano tutti i giorni, senza che ce ne accorgiamo. Relativismo, consumismo, laicismo e qualunquismo sono i mali della nostra società. Giovanni Paolo II non ha esitato a fare un parallelo tra la “notte oscura” di S. Giovanni della Croce e le tenebre del nostro tempo che, come una sorta di notte collettiva, sono calate sulla nostra umanità e soprattutto sul mondo occidentale. La crescita esponenziale, oggi come oggi, delle scoperte scientifiche e tecnologiche, sempre più senza limiti, fa sì che l’etica non riesca più a tenerne il o, aprendo così una spaccatura tra buon senso e sapienza, tra mente e cuore... Come possiamo rispondere a tutto ciò?
Una risposta c’è! E’ Gesù Abbandonato. “Gesù Abbandonato nel suo abisso di dolore, illumina il nostro cammino” ( tratta da “Novo Millennio ineunte”). Questa espressione di Giovanni Paolo II ci sembra la risposta che l’umanità attende. Gesù abbandonato che grida a gran voce “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. E’ la sua notte più nera, è il culmine del suo dolore: mistero infinito, dolore abissale che Gesù ha provato come Dio e come uomo, che dà la misura del suo amore per gli uomini, avendo Lui preso su di sé la separazione che li teneva lontani dal Padre e tra loro, colmandola.
Non è forse simile a Lui l’angosciato, il solo, l’arido, il deluso, il fallito, il debole, il tradito...?
Non è immagine di Lui ogni divisione dolorosa tra fratelli, tra Chiese , tra popoli o ideologie contrastanti? Non è figura di Gesù che perde, per così dire, il senso di Dio, che si è fatto peccato per noi (come dice S. Paolo), il mondo ateizzante, laicista? Amando Gesù Abbandonato troviamo la forza per non sfuggire questi mali , queste divisioni, bensì per accettarli, consumarli e portarvi così il nostro personale, nonché collettivo rimedio. Se riusciamo ad incontrare Lui in ogni dolore, se Lo amiamo, rivolgendoci al Padre come Gesù sulla croce: “Nelle tue mani Padre consegno il mio spirito” (Luca 23, 46), allora con Lui la notte sarà un ato e la luce ci illuminerà. Potremo quindi dire con San Lorenzo: “la mia notte non ha oscurità, ma tutte le cose risplendono nella luce”, e allora pur tra le lacrime, nello sgomento, nella paura e in ogni circostanza, grideremo che
crediamo al Suo Amore, a quell’Amore che abbraccia come un unico arco la vita terrena e quella eterna.
... quell’Amore che abbraccia...
La preghiera diventa testimonianza
La preghiera è veramente molto importante e il credente non può farne a meno. E’ come Varia per i polmoni: i tessuti non vivrebbero senza la giusta ossigenazione e così anche la nostra vita spirituale sarebbe cianotica senza la preghiera. Sforziamoci di non trascurare il tempo della preghiera, non per farne un rituale, ma per sentire più viva la comunione con il Padre. Ecco qui alcune esperienze di fede nella preghiera.
Qualunque cosa abbia causato dolori e cuori infranti, qualunque ne sia la causa, ’Dio può ricucire, guarire, risanare
Erano mesi che andavo avanti così, soffocata da una piena di sentimenti che non mi lasciavano: amarezza, disillusione, tanta rabbia. La verità è che mi sentivo profondamente ferita e tradita: non era stato un semplice malinteso, era qualcosa di più, la mancanza di fiducia, il venire meno di anni di rapporto, di condivisione di “avventure” affrontate insieme.
La mia prima reazione era stata quella di allontanare questa persona dal mio mondo, di espellerla completamente. Nel frattempo, pregavo. Chiedevo a Dio di aiutarmi a superare il tutto, di ritrovare il mio equilibrio e la mia pace ma non ci riuscivo: fantasmi di ciò che era accaduto mi tormentavano, mi assillavano. Poi, come all’improvviso, un senso di liberazione, la famosa “pedata”. “Basta!” mi sono detta” Basta restare schiava di quei sentimenti che, a mo’ di boomerang, mi facevano stare male, mi appesantivano, mi deformavano.
Andare oltre, forse perdonare. Scoprire che il perdono non annulla la memoria dei fatti, le circostanze, le paro-le...ma ti libera, ritrovi te stesso. Il filosofo Paul Ricoeur parlava di “oblio attivo”: il ato, con il suo dolore, le sue divisioni, non deve condizionare il nostro presente. Anche il Signore è risorto con le sue ferite... Grazie: potevo ricominciare!!!! Una nuova pace, una grande gioia prendevano posto dentro di me. Pensavo che le varie testimonianze potevano essere precedute da un breve pensiero: per questa mia testimonianza pensavo “ Qualunque cosa abbia causato dolori e cuori infranti, qualunque ne sia la causa, Dio può ricucire, guarire, risanare.” Daniela
Gli SMS: strada del Cielo
Normalmente mi impegno in tante attività pratiche nel tempo libero e cerco di rendermi utile come medico cristiano nell’ambito sociale. Faccio sempre tanti progetti in vista di una possibile realizzazione futura. L’ultimo anno appena trascorso l’ho vissuto, però, con un po’ di affanno, anche a causa dei frequenti maggiori impegni di lavoro che mi hanno impedito di portare a compimento alcuni obiettivi che mi ero prefissato di raggiungere.
Gradualmente è incominciata a subentrare in me una certa tristezza per il mancato raggiungimento di questi obiettivi. In ato avevo pregato con molta ione per realizzare alcuni programmi sociali nelle vicinanze della mia sede di lavoro, e in parte li ho ben realizzati; ma ora l’inadempienza ultima dei progetti, in un momento di rinnovamento e di cambiamenti, mi rendeva sempre più infelice.
Avevo tutte le giustificazioni umane possibili e legittime, come il lavoro, la famiglia e anche altre opportunità future di un impegno ancora più ampio verso i paesi poveri dove è maggiormente richiesto un aiuto sanitario. Pregavo per questo e mi sforzavo di trovare in extremis delle soluzioni ai mancati obiettivi locali, ma niente mi aiutava a sentirmi meglio, ero solo in grande affanno senza trovare soluzioni concrete. Preso da sensi di colpa, spesso mi son sentito triste, angosciato e anche un po’ depresso! Non riuscivo a guardare oltre senza subire il peso del ato incompiuto.
Nel frattempo, verso la fine dell’anno, è arrivato un messaggio, un SMS, sul mio cellulare da parte di Daniela, quasi un segnale premonitore e un avvertimento:
“29 Dicembre. Non guardare alle asperità della strada, ma alVarcobaleno luminoso davanti a te; non al fango sui tuoi piedi, ma alla prossima pietra miliare; non alle pietre sul cammino, ma ai fiori lungo la strada. Non pensare alle piaghe o alle ferite, ma alla forza che hai guadagnato attraverso la fatica; non al dolore, ma alla gioia che sboccerà alla fine.”
In genere mi aspetto delle risposte alla preghiera dalla lettura biblica, ma so bene che Dio è sovrano e libero di comunicare in tanti modi. Proprio nella Bibbia ci viene raccontato di come il Signore fece parlare l’asina di Balaam (Num. 22, 28) e che, se necessario, farebbe parlare anche le pietre! Il messaggio di Daniela non mi stupiva, anzi, sembrava proprio calzare bene alla situazione psicologica che stavo vivendo.
Continuavo a pregare cercando pace e perdono davanti a Dio, ma ancora con un sottofondo di tristezza, sentendomi colpevole di non aver adempiuto, tuttavia, alcuni miei impegni nel 2010. Due giorni dopo, il primo dell’anno, è arrivato un messaggio inaspettato da parte di una cara persona con la quale, però, non ho avuto più contatti da un po’ di anni. Si trattava di un nuovo SMS da telefono cellulare con il seguente testo:
“Quando si chiude una finestra, Dio ci apre una porta. Rimanendo con gli occhi alla finestra chiusa, non possiamo gioire per la porta aperta. Il 2010 rimane storia. Non preoccuparti del 2011, Dio è già lì.”
Appena letto il messaggio ho sentito come la gioia di un sorriso avvolgermi il cuore e ho ringraziato Dio. Successivamente ho ricevuto ulteriore conforto dalla lettura di alcuni versetti in Giovanni 13, 5-10 e 15,1-5. Piero
“Il cristiano, vivendo bene ciò che devefare, in quel preciso momento sfrutta tutta la Grazia che Dio dà proprio nel presente.”
Febbre persistente per giorni senza alcun sintomo evidente. Poi, una notte, un improvviso semi collasso. Immediato ricovero in ospedale, analisi urgenti da fare. Ulteriori accertamenti e una diagnosi precisa che necessita di una nuova particolare terapia, soggetta a diversi effetti collaterali di una certa importanza. In quei momenti l’anima attanagliata dall’incertezza del domani, stordita da una situazione di emergenza, a poco a poco ha iniziato a respirare profondamente il mistero del dolore.
È stato un cammino sempre più serrato per penetrare quel mistero. Mi sono detta: “vivi l’attimo presente, accettando con serenità tutto ciò che è necessario, esami, ricoveri, dolori improvvisi, effetti collaterali inaspettati e quant’altro la fantasia di Dio avrebbe permesso”.
Nel momento presente c’erano altre signore un po’ più avanti nell’età, ricoverate accanto a me, che potevo amare concretamente: un bicchiere d’acqua, un sorriso, una parola di coraggio e di speranza; c’era poi il medico che mi
visitava, l’infermiera che mi consegnava i farmaci, l’équi-pe medica che assisteva alla terapia, magari qualche battuta ironica che suscitava sorrisi, anche se a denti stretti.
Erano tutte persone, compagni di viaggio di quel tratto di strada, che Dio mi faceva incontrare e nelle quali dovevo riporre la mia fiducia. I rapporti instaurati in quel periodo sono rimasti così vivi, che quando ci incontriamo con alcuni
medici, o altri pazienti vicini di letto, scatta subito un’intesa immediata e profonda. Posso dire che è stato il periodo più luminoso della mia vita, in cui ho sentito profondamente l’amore del Padre, che mi aveva preso in braccio e mi stava salvando dalla morte sia fisica che spirituale.
“Affidandoci a Lui completamente sapendo che ci ama come nessun altro, aprendoci a tutti gli avvenimenti che, momento dopo momento, accadono nella nostra giornata, facciamo nostro il “Suo pensiero” e iniziamo così una vita e un’avventura nuova.”
Mi faceva riscoprire il gusto ed il senso profondo della preghiera, della lode, del ringraziamento. I miei sensi interiori si erano aperti all’Amore e gustavano la visione del volto di Dio Padre. Patrizia
RESURREZIONE
Ora Ti conosco so chi sei non c’è più timore nelle mani né buio nel cuore.
Dolce pensiero guidi il cammino lassù sulla vetta dove tutto parla di Resurrezione.
Nella pace di questo attimo afferro la libertà dalle cose dalla vita dal dolore.
Mi perdo in alberi rinati nella luce sufili d’erba di un verde lucente.
La Tua Parola è luce al nostro cammino
Piero Matino
Il Padre Nostro nella realtà storico-biblica
Il valore di un brano
Il brano delle Sacre Scritture che riporta la preghiera del Padre Nostro si può paragonare ad una perla preziosa che, insieme ad altre perle, è posta nel suo forziere. In questo caso il forziere è la Bibbia, un libro sicuramente molto conosciuto perché nessun altro libro al mondo è stato più letto, tradotto e commentato come questo. Esso tratta i temi più svariati che spaziano dalla poesia alla storia, dalla scienza alla giurisprudenza, ma soprattutto ci presenta un messaggio universale per l’uomo e per il suo destino che può prendere due sole direzioni: il bene o il male, la vita o la morte, la salvezza o la condanna.
La Bibbia annuncia apertamente questo avvertimento nell’ultimo libro del Pentateuco, il Deuteronomio: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte,... scegli la vita affinché tu viva” (Deut. 30, 19). Ricordiamo che la Bibbia è una raccolta di libri scritti nel corso di più di 1500 anni da circa 45 scrittori di estrazione sociale e culturale diversa, i quali hanno contribuito alla realizzazione di un’opera di ineguagliabile elevatezza morale e spirituale, ma anche di sorprendente unità e armonia interna.
Se tanti uomini, in epoche e luoghi diversi, si fossero voluti impegnare a compilare un’opera simile, senza l’intervento di Dio non avrebbero mai potuto approdare a un tale risultato. Solo l’ispirazione divina può giustificare il carattere e la qualità dell’opera. Molte prove interne dimostrano, inoltre, che la Bibbia sia l’unica composizione a contenere profezie realmente adempiute. Gesù stesso, inoltre, ha convalidato le Scritture richiamandosi a esse in svariate occasioni.
Il valore degli eventi
Nel cristianesimo ci sono molti aspetti di grande importanza per la comprensione e la conferma della fede. Ciò è dovuto al singolare rapporto che questa ha con i fatti della storia, avvenuti in modo preciso e puntuale per la consolidazione della fede stessa. Al centro di essa c’è Dio, il Creatore del mondo e donatore della vita: Jahvè, l’Iddio della fede di Israele, non come frutto della disposizione dell’animo umano a immaginare miti e leggende, ma come realtà storica.
In effetti, fu la realtà di straordinari eventi sovrannaturali compiuti da Dio a dare luogo alla fede di Israele, non viceversa. Per intenderci: non è venuto fuori un dio in risposta ad un bisogno di fede, come è successo in mezzo a molti popoli pagani dove son fiorite divinità di ogni genere. L’esperienza storica per Israele, invece, fu decisiva per la manifestazione della sua fede, veramente singolare e altrimenti inspiegabile, tenuto conto della sua persistenza nei secoli nonostante tutte le avversità.
Peraltro, la sopravvivenza stessa dei Giudei, come popolo nella storia, si può ritenere un vero miracolo, a fronte delle dispersioni e di tutte le persecuzioni subite. Molti popoli dell’antichità sono scomparsi, pur senza aver ricevutolo stesso trattamento. Basti pensare agli Assiri, ai Babilonesi, ai Persiani, ai Greci o ai Romani: come popoli storici non esistono più, ma i Giudei sussistono per testimoniare la verità delle Scritture (v. Matteo 24, 34). Senza l’intervento di Dio, la sopravvivenza del popolo di Israele rimarrebbe davvero inspiegabile! Il compimento della fede di questo popolo ha dato vita alla chiesa cristiana. I primi cristiani proclamavano, con uno schema ripetitivo conosciuto come Kerigma, che la promessa della storia di Israele si era compiuta nella vita, nella morte e nella resurrezione di Gesù innalzato al cielo.
La fede cristiana si basa oggi, così come l’antica fede di Israele, su eventi storici, senza i quali non si potrebbe spiegare. Non è, quindi, la fede di un antico nucleo comunitario, sia esso israelitico o dei primi cristiani, a creare la storia del popolo di Dio, ma è la storia con i suoi eventi straordinari promossi da Dio a generare la fede e la sua persistenza.
I primi cristiani conoscevano bene gli interventi diretti di Dio nella storia sotto forma di eventi sovrannaturali, come la grandiosa esperienza di liberazione divina dalla schiavitù in Egitto. Jahwè era stato sperimentato come un Dio di liberazione e di salvezza, sempre accanto al suo popolo. Per questo Dio rispose a Mosè davanti al pruno ardente: <’ehieh ’asher ’ehjeh>, cioè: “io sono colui che sono”, con significato di azione e di continuità della presenza dell’Eterno che dèeci sarà, per guidare, aiutare, rafforzare, liberare.
IItraduttore ebreo della Bibbia Martin Buber traduce:“Io ci sarò come colui che sarò”, per accentuare il significatodinamico dell’espressione. Tutti gli eventi non erano atticasuali, ma azioni mirate alla preparazione di un popoloe alla prefigurazione di Cristo. L’elemento storico-scrittu-rale è stato sempre importante e indispensabile per il piogiudeo e per i primi cristiani nel loro annuncio evangeli-co: “... io vi ho trasmesso, come Vho ricevuto anch’io, che Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu se-polto; che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture;...”(I Cor. 15,3-4).
Un valore che il cristianesimo ha ereditato dall’ebraismo è quello della storia, intesa in senso universale, al di fuori della concezione che di essa ha potuto avere il mondo greco-romano. Il filosofo N. Berdjaev ha scritto in prò posito che “iZ popolo ebraico detenne un ruolo assolutamente unico nelfar nascere la coscienza della storia, nel sentire apionatamente il destino storico; chi ha introdotto neWesi-stenza umana il principio dello ’storico’ è proprio il popolo ebraico...” che è “per eccellenza il popolo della storia... Lo spirito cristiano porta Vinnesto semitico senza il quale sarebbe impossibile il destino storico del cristianesimo”.
La fede cristiana, quindi, riceve un innegabile contributo dalla conoscenza di connessioni storiche autentiche e verificabili; dentro di esse si configurano tutte le ragioni dell’appartenenza e dell’essere in Cristo (”... poiché tutta la terra è mia; e voi mi sarete un regno di sacerdoti e un popolo santo” Esodo 19, 5-6; “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai
acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra.” Apoc. 5, 9-10).
La storia della fede di Israele ci permette di esaminare tutti quegli eventi cruciali, dall’elezione di Abramo e della sua discendenza (v. Gen. 12, 3), al patto sul Sinai con Mosè fino alla venuta di Gesù, con la consapevolezza che queste grandi azioni divine sono realmente successe e sono state confermate da testimoni oculari. Questo farà scorgere nella figura di Cristo il compimento della fede di Israele e non la semplice realizzazione di un alto ideale umano a cui propendere; farà capire e presentare il messaggio della salvezza e dell’opera di Gesù Cristo nella giusta prospettiva (cfr. Giov. 5, 46-47). Senza questa attitudine il vangelo rimarrà inefficace dinanzi all’uomo naturale che lo vedrà come una bella alternativa morale in un mondo come quello di oggi, fatto di cultura individualistica e di valori emergenti.
La realtà storica è di grande importanza, dunque, per capire l’annuncio della grazia divina e della Parola di Cristo. In questa realtà si innestano tutte le azioni e le parole di Gesù; possiamo così comprendere meglio i suoi insegnamenti sull’amore e sulla preghiera. Il Padre Nostro acquisterà una connotazione ancora più universale e profonda perché ci farà scorgere la grandezza dell’amore di Dio verso gli uomini nell’aver portato al massimo compimento la Sua Parola con l’incarnazione di Cristo, a cui la storia e le Scritture rendono piena testimonianza (”...E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo tra di noi, piena di grazia e di verità” Giov. 1,14).
Indice
Il Padre Nostro: la preghiera per eccellenza
Introduzione
Padre Nostro premessa
Padre Nostro, che sei nei cieli
Sia santificato il tuo nome
Venga il tuo regno
sia fatta la tua volontà
Come in cielo così in terra
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ainostri debitori
Non ci indurre in tentazione
Ma liberaci dal male
La preghiera diventa testimonianza
Il Padre Nostro nella realtà storico-biblica
Gli Autori
Daniela Marcarelli è nata a Napoli e vive da molto tempo a Perugia con la sua famiglia. Laureata in Lingue e Letteratura Straniera, collabora da molti anni con l'Associazione II Mosaico, promuovendo iniziative di carattere artisticoculturale.
Patrizia Gemini è nata a Todi dove vive con la sua famiglia e lavora. Scrive poesie e collabora con l'Associazione II Mosaico per divulgare la poesia come mezzo di trasmissione dei valori umani e sociali.
Piero Matino è nato a Manduria e vive con la sua famiglia a Perugia. Di professione medico, si è anche occupato di studi artistici, ma il suo principale interesse nel tempo è stato l'approfondimento della fede cristiana attraverso studi condotti sulla Bibbia.
Daniela, Patrizia e Piero, motivati da comuni valori di fede, collaborano da qualche anno per diffondere concretamente una cultura di comunione fraterna.
Pubblicazione a cura delle Associazioni culturali IL MOSAICO e OMCE Perugia - 2011