Ivan Maruzzi
La scatola dei colori
La scatola dei colori
di Ivan Maruzzi
Giugno 2015
Autopubblicato con Narcissus.me
www.narcissus.me
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Versione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
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Kevin, animatore, 27 anni ma con l’animo candido di un bambino che vede gli oggetti animarsi, che gioca con le matite dal profumo di resina, le sente parlare e riconosce in esse l’arcobaleno della sua anima. E poi Enrico, Giacomo, Marvin, Giovanni, Federico, Samuele, Cocco, Mattia, Ivan Axel e, soprattutto, Luca, di poche parole ma in grado di lasciare un segno profondo nell’anima: sono loro i colori di quella scatola magica, i pezzi unici e insostituibili di un puzzle di affetti ed emozioni, che poco a poco si compone nel cuore del loro amico più grande, durante le settimane di una colonia estiva. Dopo il primo incontro, carico di attese e di qualche imbarazzo, il tempo corre inesorabile e veloce verso il momento dell’addio finale, che giunge sempre troppo in fretta, proprio quando si comincia a conoscere, volere bene, amare, e i nodi che inviluppano i sentimenti si sono sciolti. La nostalgia è allora la catena invisibile, che lega indissolubilmente… un legame tanto più forte quanto più lo è stata la gioia dei momenti ati insieme: essa fa forse soffrire, ma dona quell’intuito miracoloso per cui, tra mille volti, un giorno si incontra proprio quello: l’unico capace di renderti felice.
A mamma, papà e a tutti i bambini che mi hanno regalato un sorriso.
“Tutti i grandi sono stati bambini, una volta, ma pochi di essi se ne ricordano” Antoine De Saint Exupéry
Premessa
Vivere ogni momento della vita come se fosse l’ultimo. E’ l’intensità nel rapporto con l’infanzia che rappresenta il mondo dei sentimenti più veri e puri la chiave di lettura di questo racconto. Kevin è un giovane che vuole avvicinarsi alle cose con maturità, ma soprattutto mantenendo lo sguardo stupefatto e curioso del bambino di fronte alle cose più semplici e più vere; egli è un idealista che si sorprende di fronte alla mancanza di sensibilità di molti adulti, quegli adulti che hanno scordato di essere stati bambini. Il racconto è incentrato sulla figura del giovane educatore a cui fa da gioiosa e festosa girandola il gruppo dei bambini, coinvolti nella felice esperienza di vacanza, oggetto della narrazione. Luca, Giacomo, Giovanni, Marvin, rappresentano le mille sfaccettature dell’infanzia. Nel rapporto privilegiato con Luca affiora anche il tema della difficoltà del distacco, dell’abbandono, per poi ritrovarsi ancora più rinsaldati nella vera amicizia. Di rilievo è anche il risvolto didattico, mai troppo evidenziato rispetto alle linee di testo narrato, ma che scaturisce dal singolo episodio come necessaria conseguenza: “Se vuoi comunicare con un bambino, impara a giocare con lui”, “Non scappare dalle tue paure, ma impara ad affrontarle”; sono queste alcune delle morali che caratterizzano il racconto destinato ad un pubblico di età infantile ma senz’altro significativo anche per molti adulti.
CAP 1
KEVIN
C’era una volta un ragazzo che amava viaggiare alla ricerca di emozioni. Viveva in una bella casa multicolore, con le finestre dei colori dell’arcobaleno, i muri arancioni, i pavimenti gialli, le tende verdi illuminate da un giardino profumato di rose antiche rosse, gialle, arancio, rosa, viola. Per Kevin tutto era colorato, proprio come il suo cuore.
A dire il vero, più che un ragazzo era un uomo, aveva già ben ventisette “primavere” ma non se le sentiva affatto, perché nella sua anima splendeva il sorriso di un bambino.
Egli amava viaggiare, sognava di partire per terre lontane, si immergeva nei libri di avventura e con la fantasia diventava un marinaio, che con la sua nave solcava l’oceano Atlantico alla ricerca di angoli sconosciuti; altre volte si faceva gabbiano e volava annusando l’ aria profumata dei fiori, si posava sull’albero più alto e da lì guardava il mondo.
Vedeva tanti uomini indaffarati, intenti ad inseguire chissà che cosa, incapaci di fermarsi a sorridere, e scorgeva palazzi grigi proprio come chi li abitava.
E allora non gli restava che continuare a volare, senza fermarsi, spinto dal vento sottile dei suoi pensieri; a Kevin, bastava chiudere gli occhi e aprire il cuore.
Amava anche disegnare, i soggetti più semplici: cagnolini, gattini, topini, principini; adorava colorare e per questo aveva deciso di regalarsi la più bella scatola di colori che si possa immaginare.
Quel pomeriggio era uscito per questo, per cercare una scatola di colori.
Ma, facciamo un o indietro. Questo gabbiano non era solo in questa casa bianca che, con la forza della sua immaginazione, egli vedeva multicolore; aveva una famiglia, una mamma e un papà che lo amavano, anche se a modo loro, ma che non lo capivano, perché spesso i grandi non capiscono le cose più semplici.
Il papà, a differenza del nostro avventuriero, era bravissimo, come quasi tutti gli uomini, a fare i conti; egli ragionava solamente costruendo equazioni matematiche sul valore dei soldi, sulle spese, sul risparmio, ed allora a tavola faceva dei lunghi monologhi sul prezzo della benzina, sull’aumento del costo della vita, che Kevin seguiva distrattamente immerso com’era nei suoi pensieri. Insomma questo papà vedeva le cose soltanto da un punto di vista economico e quando Kevin accennava con le sue parole al sorriso di un bambino, lo interrompeva bruscamente: “E’ ora che inizi a pensare a qualcosa di serio”. Ma il sorriso di un bambino non è una cosa seria?
La mamma era bellissima, nei suoi occhi si vedeva il sole nascere ed addormentarsi; con lei a volte il nostro protagonista si sentiva unico, amato, ricordava le sue carezze e le sue attenzioni, quando da bambino si ammalava e aveva bisogno di coccole (non fate mai mancare le coccole al vostro bimbo, sono le medicine più potenti e le uniche che non fanno male); altre volte, invece, le nuvole offuscavano quel sole e la mamma si faceva più simile al papà.
Anche quel pomeriggio, in quella casa bianca, o colorata a seconda dei punti di vista, si discuteva sul perché un uomo di ventisette anni usciva alla ricerca di una scatola di colori, sul perché ava ore a disegnare, viaggiare, fantasticare...
Sono sicuro che a voi bimbi è inutile spiegarlo, sono i grandi che non capiscono mai nulla!!!!
CAP 2
LUCA
Un po’ distante da lui, in una grande città, abitava un bambino, Luca.
Luca era un ragazzino come gli altri (anche se un ragazzino non può mai essere simile un altro), un bimbo di undici anni, bellissimo, dagli occhi e i capelli scuri, dallo sguardo furbo ma anche malinconico, dal carattere timido ma gioioso.
Abitava in un appartamento originale proprio al centro della grande città, una città (per fare capire ai grandi che leggono) di milioni di abitanti, che non si conoscono tra loro e spesso si ignorano, anche se vivono tra loro a pochi kilometri di distanza (e pensare che nel paesino di Kevin tutti si conoscevano, persino i gatti del vicino giocavano insieme… com’è diverso un paese da una città!).
Luca, come tutti i bambini, amava giocare; timido com’ era arrossiva a uno sguardo e odiava fermarsi a fare quei lunghi discorsi che fanno i grandi per are il tempo e che sfociano spesso nel pettegolezzo, comunicava solo con chi lo metteva a suo agio, come? Giocando!!!
Viveva, come spesso sono costretti a fare i bambini di oggi, seguendo ritmi e tempi da adulto: sveglia alle sette, colazione, scuola, mensa, scuola ancora, doposcuola, corso di calcio, corso di chitarra, ancora compiti, poca tv e subito a letto.
Sono convinto che, se i bambini potessero esprimere un desiderio, non chiederebbero altro che la possibilità di giocare nel vero senso della parola, di esprimere liberi la loro creatività.
I genitori, come tutti quelli moderni, lavoravano l’intero giorno e , in una grande città, a un bambino non è permesso di uscire da solo in bicicletta, di andare all’ oratorio, senza rischiare chissà che cosa.
E quindi scuola, casa, scuola, compiti, impegni, solo tempo organizzato.
Ma perché un bambino non può fare il bambino, perché una grande città non permette ad un bambino di giocare liberamente, perché il tempo deve sempre essere già occupato?
“Alcune volte - pensava Luca - sono spinto da un istinto irrefrenabile, quello di gettare via tutti gli orologi, di orientarmi guardando il sole sorridere e la luna salire, proprio come un tempo facevano i nostri nonni in campagna, svegliarmi e addormentarmi senza un compito preciso e, come fanno i bambini con la loro fantasia, trasformarmi in farfalla, ape, fiore, insetto, profumo, terra , acqua...”.
TEMA: “ La rivolta degli orologi”
Nel mondo esistono gli uomini, gli animali, le piante, i fiumi, gli alberi, il sole, la luna, il vento, i cancelli, le case…e tutto parla. Si avete capito bene, tutto
parla.
Nel mondo esistono anche gli orologi, ebbene sì, in ogni casa ce ne sono almeno quattro, così almeno non soffrono di solitudine: in tutto il mondo ci sono milioni di click, click, click.
Proprio come gli uomini, ci sono orologi giapponesi dalle lancette a mandorla, italiani con le lancette a forma di spaghetto, si con un ticchettio con la “ r” moscia, inglesi che suonano solo all’ora del tè, svizzeri che non sgarrano mai, africani coloratissimi e con un ritmo unico.
Quel giorno, in casa, era il giorno dell’adunata; il Grande Capo, la sveglia BIP, aveva chiamato tutti a raccolta “DRIIINNN, DRRRIIINNN” nella stanza da letto.
Arrivarono l’ orologio da polso, che si vantava per il nuovo cinturino rosso perla, l’ orologio automatico, ed il ritardatario, l’ orologio manuale, che quel giorno distrattamente nessuno si era ricordato di caricare.
Il raduno ora poteva cominciare, ma qual era l’ ordine del giorno ?
La sveglia cominciò a parlare: “Cari Bipamici, perché siamo costretti Bip a correre così veloci, senza mai Bipfermarci, senza mai Bipperdere del tempo, come i camion perdono la benzina BIIIPPP noi non possiamo perdere delle ore? Anche noi abbiamo il Bipdiritto di riposare!!!
Voglio proclamare il primo sciopero degli orologi del mondo!!
E allora Bip, polso, automatico, manuale e gli altri si sbrigarono ad avvertire tutti gli orologi del quartiere, gli orologi si, quelli inglesi (caspita, proprio all’ ora del te!), quelli africani, asiatici, cubani, svizzeri (che si lamentavano di essere stati avvertiti per ultimi e, per giunta, in ritardo di ben due secondi).
Ebbene sì, tutti questi orologi, tutti insieme decisero di fermarsi: nacque il primo sciopero ufficiale degli orologi del mondo, dopo quello dei treni, degli aerei, dei tram , dei calciatori.
E l’uomo? Di fronte a quello sciopero, andò in tilt e si scoprì estremamente vulnerabile, quasi vuoto, schiavo del tempo….
.... E finalmente ebbe il coraggio di fermarsi a riflettere....
CAP 3
LA SCATOLA DEI COLORI
Quel pomeriggio Kevin uscì di casa eccitato, perché stava per fare una cosa importante: andava alla ricerca di una scatola di colori; ne sognava una di quelle di legno profumato (profumato come quelle statuette a forma di gallo, mucca, pecora che si trovano in alta montagna e che sanno ancora di resina e, anche quando sei distante, ti fanno sentire il profumo degli abeti) con cento e più tonalità, dalle più comuni alle più strane.
Kevin amava i colori e odiava le tonalità spente, i neri, i grigi, i marroni; amava vedere le cose in maniera positiva.
Quel giorno accese la sua vespa e si avviò verso il centro che, in quel paese di poche anime, distava di pochi minuti da casa.
La vespa… sì, proprio con la vespa! Era uno dei continui e insistenti motivi di discussione in famiglia.
“ Non è possibile alla tua età non avere la patente, sei uno stupido, sempre con la mente a svolazzare”, urlava suo padre; ma no, Kevin non era uno stupido, era solo un tipo originale che odiava le convenzioni, gli stereotipi, il conformismo, che cercava in tutto un significato che lo fe sentire vivo; amava sentire il vento nei capelli, annusare l’ aria, sentirsi la parte attiva del suo viaggio, spostarsi con il proprio corpo, disegnare le curve, dare forma ad ogni cosa.
Dopo pochi minuti arrivò in piazza, un bello spiazzo con una chiesa, qualche bar, delle vie piene di negozi… troppe macchine parcheggiate, tanta gente intenta a discutere su lavoro, soldi, vestiti, auto...
E Kevin pensò tra se e se: “ E’ ben strana questa gente”.
Immerso com’era nei suoi pensieri, iniziò la sua “caccia al tesoro”. Il primo bigliettino diceva: “ Cerca la cartoleria più bella”, ma come identificarla, se non dai colori?
Kevin la trovò presto, vi entrò e inventò il suo secondo bigliettino: ”Cerca la scatola di colori più originale”.
Ad un tratto sentì una vocina, mi correggo, un coro di vocine; sembrava quasi uno di quei cori di bambini che cantano a cappella nelle chiese e che ogni volta mi mettono le lacrime agli occhi per l’ emozione.. Cosa c’è di più dolce, sincero ed ingenuo di una canzone cantata dai bambini?
“Kevin, Kevin!”; egli si voltò di scatto per vedere da dove provenisse quel richiamo e ne fu anche un po' irritato…“Ehi, non vale suggerire!”; si fece largo tra gli scaffali di quaderni a righe, tra il profumo di vinavil e arrivò, fuochino, fuochino, vicino al reparto dei colori, da dove sperava provenisse quel coro di voci a cappella.
In quello scaffale facevano bella mostra di sé pastelli e pennarelli di ogni tipo,
acquarelli, a olio, a tempera, a gesso e chi più ne ha più ne metta.
La voce ora si era fatta più insistente e, forse, anche un po’ infastidita… Kevin che guardava gli scaffali ,sbadato com’ era, si era già dimenticato che lo stavano chiamando.
Il coro proveniva da una bellissima scatola di colori, vi si trovavano allineati ordinatamente, per sfumatura, cento e più colori; si ava dal giallo, arancio, rosso, blu, verde, rosa più comuni, alle sfumature più insolite ed indefinite.
“ Kevinino, finalmente sei arrivato!!!“. Qualsiasi adulto si sarebbe stupito di fronte ad una scatola di colori che parlavano e per giunta in coro; per Kevin invece era una cosa normale: tanta gente parla a sproposito e allora perché i colori non possono dire la loro, in fondo basta imparare ad ascoltarli!
Per Kevin tutto parlava: i fiori, le api, i bottoni, i frigoriferi (eccome: “Mangia,mangia,slurp…”), i pennarelli; a volte si intratteneva in lunghi monologhi con le rose e i tronchi degli alberi.
Con chi poteva parlare una scatola di colori se non con Kevin, che credeva nelle favole, nei sogni, nei bimbi?
Ogni colore, era assolutamente unico: c’era Limone il giallo più chiaro, c’era Gina il rosso carminio, Flavione il verde brillante: “Kevinino” diceva Limone, “guarda cosa facciamo insieme io, Gina e Flavione” e insieme, iniziarono a dar vita ad un coloratissimo disegno, chiedendo l’ aiuto e la collaborazione agli altri colori.
“Kevinino, ti piace ?“ chiesero in coro i colori.
“E’ fantastico proprio perché è fatto insieme da tanti colori diversi, unici, originali, siete stati bravissimi!”rispose Kevin
Eh sì, bimbi, perché nel mondo dei colori nessuno si doveva preoccupare del colore, se uno era bianco, o giallo, nero, rosso; proprio dall’ accostamento di colori diversi si creavano le sfumature più belle, i disegni più divertenti ed originali.
Proprio per questo Kevin voleva quella scatola, quei piccoli pastelli unici, uno diverso dall’ altro.
“Kevinino, Kevinino” ora chi parlava non era Gina, il rosso carminio, Limone il giallo chiaro, Flavione il verdone, ma era un coro di colori diversi e proprio per questo bellissimi.
Ed allora Kevin pensava al mondo, e non capiva perché alcune persone odiano altre persone semplicemente per il colore della loro pelle, non capiva perché, se tanti colori diversi stavano vicini creando delle sfumature indescrivibili, cantando in coro la stessa canzone, nel mondo si parlava ancora di diversità, di razzismo, di intolleranza.
E i colori insieme si rivolsero a tutti i bambini che in questo momento, mentre leggono, stanno colorando: “ Bambini, voi che siete colorati, più di mille di noi messi insieme, chiamate tutti i grandi e insieme agli altri bambini insegnate loro a colorare!!!!”.
CAP 4
VOGLIO GIOCARE!!!!!
Luca aveva appena finito di scrivere il suo tema ed aveva deciso di intitolarlo “ LA RIVOLTA DEGLI OROLOGI”.
A Luca non piaceva scrivere, odiava fare delle cose perché bisognava farle, però essendo un ragazzino a modo, sapeva che quello era uno dei suoi “ doveri” di scolaro e lo portava a termine.
Capiva, ma non era d’accordo: perché doveva stare a scuola fino alle sedici e trenta, tornare a casa e fare ancora due ore di compiti? Per un ragazzino non è naturale l’assenza di movimento, come può un bambino già dalla prima elementare stare per otto ore seduto…
“ Uffa mamma, io voglio giocare!!!”
Come la maggior parte dei bambini, adorava il pallone, amava spostarlo da un piede all’altro, colpirlo di collo, interno, esterno nelle maniere più strane , provare i calci di punizione alla Roberto Baggio, ed allora, ogni lunedì mattina ritagliava le immagini delle punizioni di Baggio dal giornale, le incollava su un apposito quadernino e studiava ogni piccolo, impercettibile dettaglio per provare ad imitarlo, andava al campo, prendeva il pallone e cercava di farlo volare come un’ aquilone lungo le traiettorie incontrollabili della sua fantasia.
Luca sognava di indossare un giorno la maglia della sua squadra del cuore, di segnare un gol nella finale di coppa del mondo, cercava di imitare Ronaldo, Zidane, Totti, Baggio ed i grandi campioni. Uno dei pochi momenti in cui un adulto diventa bambino è quando guarda una partita in tv e si identifica nel suo campione. Un adulto dovrebbe continuare a sognare un po’ più spesso. Non bisogna mai e poi mai smettere di sognare.
Un altro dei atempi preferiti di Luca era quello di studiare i tabellini , gli spettatori, gli ammoniti, i gol fatti e subiti sul Televideo, lì, con attenzione, memorizzava dati su dati come un calcolatore e questo serviva più di mille poesie mandate a memoria controvoglia: gli insegnanti dovrebbero imparare a conoscere in maniera approfondita un bambino aiutandolo ad esprimere le proprie potenzialità.
Un altro dei atempi di Luca era giocare con i videogiochi, in alternativa al fatto che non poteva uscire…. Anche se avrebbe preferito una bella partita all’Oratorio.
I giorni della settimana che preferiva coincidevano spesso con l’ allenamento di calcio; lì poteva sfogare tutta la sua voglia di gioco.
Purtroppo, anche in quel contesto ci sono adulti che spesso fanno dei bambini i mezzi per ottenere successi e prestigio personale, obbligandoli ad allenarsi duramente senza divertirsi, li annoiano con esercizi sempre uguali e poco creativi. Ed allora i bambini non giocano,subendo così i loro impegni e tutto diventa uno stress.
Quanti bambini possono giocare semplicemente per il gusto di farlo!!.
CAP 5
UNA PROPOSTA INASPETTATA
Ormai l’ aria si stava riscaldando e Kevin amava are qualche ora nel giardino di casa; era bellissimo sedersi tra l’ erbetta profumata, con la palma a fargli da ventaglio, ad annusare l’ aria che sapeva di estate, di ghiaccioli al limone, di eggiate nel bosco, di piscina, di serenità: era questo che Kevin amava.
Si avvicinava l’estate che il nostro amico aspettava febbrilmente, l’ estate, la stagione delle novità, delle nuove amicizie, dei bagni in piscina, della crema solare, delle belle ragazze in costume; in più gli era arrivata una proposta interessante , quella di partecipare ad una colonia per bambini come animatore.
Per Kevin non sarebbe stata la prima esperienza, aveva iniziato a partecipare ai centri estivi da bambino, e amava andarci, perché li poteva sfogarsi dalla mattina alla sera giocando in tutte le maniere; si ricordava quando al suo paese si avviava la mattina presto per arrivare almeno un’ora prima al centro estivo, svegliare il don e occupare i tavoli da ping pong. Poi era diventato animatore, perché con il are degli anni rimaneva in lui quella pazza voglia di giocare, di proporre ai bambini cose divertenti che lui avrebbe voluto fare… così faceva un pieno di sorrisi, di canzoni, di tam tam, di simpatia e trasformava la sua estate in una festa.
Finora aveva lavorato in una cooperativa che puntuale anche quell’anno, gli
aveva proposto un centro estivo per le medie; ma ora c’ era questo nuovo progetto che lo attirava e nello stesso tempo lo spaventava: e se non fosse stato in grado, e se alla fine avesse perso un lavoro e l’ altro?
Per uno studente universitario a volte lavorare d’estate diventa un’esigenza fondamentale di sopravvivenza e come le formichine deve accumulare per l’ inverno.
In fondo si trattava di vivere per sessanta giorni con un gruppo di bambini, condividere con loro mille esperienze, svegliarli la mattina e metterli a letto alla sera, giocare, giocare e ancora giocare.
E allora, che fare? Rinunciare a un lavoro collaudato per qualcosa di nuovo e per questo imprevedibile?
Bambini, quando si è di fronte ad una scelta difficile, bisogna imparare a rischiare anche qualcosa guardandosi dentro, perché spesso la vocina infantile che è in noi sa cosa dobbiamo fare.
E Kevin quella decisione in fondo l’aveva già presa, sentiva dentro di sé un grande entusiasmo per fare qualcosa di nuovo, amava provare emozioni e sperimentare; pensava che solo dal credere in qualcosa si poteva uscire contenti; Sepulveda diceva infatti: “ Vola solo chi osa farlo”....
CAP 6
SARA’ LA VOLTA BUONA…
Quella sera Luca tornò dal calcio con il papà, che lo accompagnava all’allenamento e lo andava a riprendere: “ Come è andata oggi, ti sei divertito?” “ “Ho fatto due gol di sinistro in partitina, sai il gol di Del Piero di ieri? Ho fatto una finta , ho superato Marco, mi sono accentrato e poi l’ ho messa sul secondo palo, a giro, mentre sco mi usciva incontro. Hai presente il gol di Del Piero contro il Borussia Dortumd?” “ Complimenti” rispondeva orgoglioso il papà, “prendi sempre più da me!” “ Lascia perdere!!” E insieme ridevano.
Intanto arrivarono a casa; la pancia di Luca iniziava a brontolare e si lamentava; così il piccolo senza attendere il papà corse, borsa sulle spalle, sul pianerottolo e si precipitò in casa, dove lo attendeva un invitante profumo di pasta col sugo di pomodoro e basilico.
A volte i bambini mi ricordano quelle piccole rondini, che aspettano la mamma che gli porta il cibo, e che vedevo dalla finestra di casa mia. Spesso mi fermavo per delle ore a guardare quel nido, piazzato in un angolo nascosto del sottotetto; era bello sentire il cinguettio degli uccellini, vedere la mamma tutta intenta alla ricerca di cibo; era emozionante vedere e parlare con quelle rondini , e in quel momento Luca assomigliava proprio a una di loro, che si lanciava per arrivare prima sul piatto di spaghetti.
Dopo cena, come tutte le sere Luca, avrebbe dovuto eseguire la sua razione giornaliera di compiti: lo attendevano le espressioni, le tabelline: che palle!!!.
Luca odiava ogni tipo di numero, da quello che doveva fare al telefono, per fare gli auguri agli zii per Natale, a quelli che leggeva sul libro di aritmetica… dicono che la mente sia divisa a metà: il lato sinistro è quello della matematica, dei conti, della precisione; quello destro è quello del gioco, della creatività, della fantasia... evidentemente Luca amava usare solo quello destro.
Ma quella sera la matematica poteva attendere, papà e mamma gli avrebbero annunciato quello che avevano deciso per lui per l’estate: “ Andrai a Rondinini, vedrai ti divertirai e poi sai, noi lavoriamo...” E Luca pensò: “ Come tutti gli anni”; ma era sempre meglio che starsene tutta l’estate in una grande città; tutti i suoi amici partivano, faceva un caldo infernale, e lui non sapeva cosa fare.
Certi animatori, rappresentavano per Luca il problema della colonia; in realtà la maggior parte di loro, quelli che mettevano regole dappertutto, non capivano che per i bambini questa doveva essere una vacanza divertente e invece la facevano diventare una scuola estiva...”Speriamo che quest’anno sia diverso”... Ogni anno lo diceva...
Cap 7
LO SCARAFAGGINO PARLANTE
Al mondo ci sono tanti esseri viventi, ognuno originale, unico,irripetibile... E quel giorno Kevin fece un incontro inaspettato.
Kevin se ne stava spaparanzato su uno sdraio, immerso nei suoi pensieri, alla ricerca di risposte; nel frattempo un piccolo scarafaggio nero gli ava vicino e il nostro amico decise di seguirlo.
Seguire uno scarafaggio era proprio un’attività da Kevin, avrebbero pensato i suoi genitori, che lo giudicavano ormai irrecuperabile.
Notò che lo scarafaggio non faceva mai lo stesso percorso, anche l’esserino stava forse cercando qualcosa?
“ Scusa”disse Kevin “Signor scarafaggio che fai?”
Lo scarafaggio rispose “ Sto cercando..”
“ Stai cercando? E che cosa cerchi?”
“ Cerco qualcosa di interessante...”
“ Che cosa intendi per interessante”
“ Qualcosa che mi faccia sentire importante, non uno scarafaggio come tutti gli altri che ano la giornata a sdraiarsi pancia al sole. Io voglio essere diverso”
E lo scarafaggio continuò “ Sai, alcune volte incontro gli adulti ed allora sono costretto a fuggire via, per la paura che mi calpestino senza alcun riguardo. Se gli adulti incontrano una coccinella, con i suoi colori, la prendono delicatamente tra le mani, la coccolano e poi la aiutano a volar via; se vedono uno scarafaggio lo schiacciano... “Eppure io non ho mai fatto del male a nessuno”
Kevin rimase stupito e si immerse nei suoi pensieri, non accorgendosi di pensare a voce alta “ Forse perché gli scarafaggi sono brutti, le coccinelle sono così belle”.
E lo scarafaggio riprese “ Che cosa vuol dire brutto?”
Kevin si preoccupò di averlo offeso, ma poi si accorse che il puntino nero non sapeva realmente cosa volesse dire brutto e si sentì ripetere, perché l’animaletto non rinunciava mai a una domanda, “ Cosa vuol dire brutto?”, “Significa” rispose Ke sincero “che non sono belli da vedere”
“ che cosa intendi per bello?” Chiese lo scarafaggino stupito e un po’ irritato…
“ Non sono belli da vedere!!! Da vedere!!!!“ ripeteva lo scarafaggio, e nella sua voce si avvertiva la delusione. “ Ognuno” proseguì, “vede quello che vuole vedere. Per esempio, se io avessi guardato te, non mi sarei fermato, sarei fuggito via, tu sei un uomo e avresti potuto schiacciarmi; poi ho parlato con te e ho capito che prima di giudicare bisogna conoscere..” “Ora so” aggiunse lo scarafaggino “che ogni volta che ti incontrerò, potrò fermarmi a parlare con te e tu potrai aiutarmi a cercare qualcosa di importante... Anche in questo momento stiamo cercando”
Ora lo scarafaggio si era trasformato agli occhi di Kevin in un bellissimo pulcino; lo scarafaggio era sempre nero, ma ora Kevin lo vedeva bellissimo, le sue parole lo avevano fatto riflettere, ora lo giudicava dal suo cuore, era il suo scarafaggio.
Non giudicare solo dall’apparenza impara a guardare più a fondo, chi ci dice che un uomo sia meglio di uno scarafaggio?
Cap 8
SONNI AGITATI
Luca quella mattina si svegliò prestissimo, aveva ato una notte agitata, si era addormentato con difficoltà eccitato dal pensiero del viaggio, della partenza, della vacanza: Luca era fatto così, era un bambino ansioso.
Spesse volte, prima di un avvenimento che aspettava con ansia, faticava ad addormentarsi, ed allora, invece di contare le pecorelle; iniziava a pensare alle cose che gli piacevano di più, alla più bella partita di calcio che aveva giocato, a una ragazzina che gli piaceva, ad un giro in bicicletta che avrebbe voluto fare l’ indomani. Ma quella notte non gli riusciva di prendere sonno; continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, sentiva il sudore scorrergli addosso, la coperta farsi troppo pesante... Poi iniziò una specie di dormiveglia, fino al mattino successivo.
Ogni volta che aspetti con ansia una cosa bella, che deve avvenire il giorno dopo, vorresti che fosse già mattina, e la mattina invece sembra non arrivare mai, anche Mr. Tempo sembra essersi addormentato.
Finalmente il gran giorno era arrivato, il bimbo si svegliò prestissimo, scese dal letto e con gli occhi socchiusi si diresse all’armadio dei vestiti, ma si ricordò che la valigia l’ aveva già fatta la sera prima e la mamma gli aveva già lasciato sulla sedia, accuratamente piegati, una maglia da calcio blu e rossa, un paio di pantaloncini corti bianchi, le immancabili scarpe da tennis e una fascia da polso sportiva.
Dopo una colazione veloce si affrettò con papà a partire: direzione palazzetto dello sport, dove lo aspettava l’inizio di una nuova avventura.
CAP 9
IL GRANDE VIAGGIATORE
Kevin aveva preso la sua decisione, l’esperienza nuova lo attraeva troppo, non poteva rinunciare a questo viaggio mentale, alla ricerca di nuove sensazioni, di sorrisi ed allegria.
Quella mattina era pronto per partire per il primo giorno di colonia, e con la sua fantasia si sentiva un grande viaggiatore, che da lunghi mesi aveva programmato un grande viaggio ed ora veniva il momento di partire e si sentiva eccitato teso e felice.
Come vestirsi? Non era una cosa inutile, perché Kevin sosteneva che anche il primo impatto era importante per fare una buona impressione su un bambino.
Si ricordava il primo giorno di centro estivo da piccolo, quando diffidente com’era squadrava i suoi animatori dalla testa ai piedi e dagli occhiali, dalle scarpe e dallo sguardo spesso riusciva a capire se fossero simpatici o antipatici. Decise per una maglia arancione del Barcellona (e non a caso l’ arancione era il suo colore preferito, il colore delle arance succose , della festa, della fantasia, la tonalità che Kevin associava alla gioia).
Accese lo scooter, si diresse al ritrovo con gli altri animatori,e partì alla volta del suo sacro Graal, proprio come un cavaliere della tavola rotonda, dove lo
attendevano Luca e una cinquantina di bambini urlanti.
Cosa c’è di più sereno delle urla dei bambini, quanto giocano all’intervallo nel cortile delle scuole?
Il palazzetto dello sport era fantastico, nel suo paese Kevin non era abituato a simili meraviglie, a una così alta concentrazione di impianti sportivi.
Il pullman si fermò proprio davanti, ed era bello vedere l’animazione di quel luogo: alcuni bambini attendevano con trepidazione di entrare in piscina, altri schiamazzavano felici già in acqua, altri ancora tiravano a canestro, mentre alcuni si apprestavano ad entrare per mano ai loro genitori.
In quel momento scorreva nelle vene di Kevin una forte adrenalina : l’ energia sembrava illuminare tutto, e in lui si mischiavano l’ eccitazione dell’ inizio della nuova esperienza con la tensione di guidare dei bambini; eh si! Dei bambini!
A Kevin non interessava riempire di moine i genitori, lui voleva fare presa sui bambini, voleva che si divertissero, che assero venti giorni di gioco sfrenato e poi anche i genitori sarebbero stati contenti.
Anche Luca viveva quel momento con un misto di apatia ed interesse: da una parte le solite raccomandazioni ,che ormai aveva imparato a memoria :“Fai il bravo, comportati bene ,ti telefonerò tutti i giorni”. Poi la consegna dei documenti, le pacche sulle spalle, i sorrisi spesso ebeti e falsi degli animatori che erano preoccupati di fare presa sui genitori, dall’altra parte una vocina diceva: “ Vedrai Luchino che è la volta buona, ti divertirai”… Ma questi dubbi
avrebbero trovato risposta quanto prima..
CAP 10
INCONTRO CON UN AUTOBUS
Una cosa che colpì Kevin di quella grande città e che lo lasciò pensieroso, fu il grande traffico, il suono dei clacson che non la smettevano mai di gridare a squarciagola, i tanti semafori che somigliavano ai neon delle discoteche che frequentava da ragazzino e che la prima volta gli avevano fatto lo stesso effetto di stordimento, i tanti gas di scarico che davano all’ aria un qualcosa di pesante e che sembrava si potesse tagliare con il coltello, ma soprattutto gli autobus e i tram... Quanti autobus, quanti nuovi autobus fiammanti, pieni di pubblicità, dal dentifricio alla migliore scuola di inglese.
Spesso, a casa, le sere d’inverno, Kevin si fermava ad osservare gli autobus che avano davanti alla sua finestra e pensava a come doveva essere la vita dell’ autobus...
Tutto il giorno a correre da una fermata all’altra, ad accogliere tra le proprie braccia tanta gente diversa.
Ormai, nel suo paese, Kevin conosceva oltre alle persone, anche tutti questi colossi di acciaio o di lamiera, ognuno di loro era assolutamente unico e poteva raccontare mille storie ed allora Kevin pensava ai vecchi autobus, che ormai nessuno prendeva più perché correvano piano, erano un po’ scoloriti, sbiaditi dal are del tempo e contrastavano inesorabilmente con quelli nuovi, dotati di ogni confort, lucidi e veloci...
Sai, i grandi a volte, correndo più veloci pensano di guadagnare del tempo...
Ed allora, vedeva quei vecchi autobus are, con le luci basse, davanti casa vuoti; continuavano a are, anche se ormai nessuno li prendeva più e gli facevano pena...
Così, sempre più immerso nel vortice dei suoi pensieri, si ricordò di quella sera che, forse per malinconia decise di fare un giro su uno di quei vecchi autobus sgangherati.
Quando salì sentì la vecchia voce dell’ autobus che tra lo stupito ed il felice gli diceva: “ Ciao, come mai sei qui? Ci sono tanti autobus più efficienti di me..”; quella voce era bellissima, gli ricordava Le “Briosa” le caramelle effervescenti al limone, all’ arancio, all’ uva che rubava, da piccolo ,nel negozio di papà; le torte di mele, i baci della vecchia nonna “tata” che lo coccolava facendogli fare cavalluccio sulle gambe.
Kevin gli rispose ingenuamente: “ Volevo fare un giro con te”.
E il vecchio autobus “Perché proprio con me? Guarda Camillo come è bello, luccicante e con l’ aria condizionata”.
Kevin accarezzò con delicatezza il gigante e rispose:“ Voglio stare con te, perché sei interessante, sei unico”
E il vecchio autobus: “ Trovi veramente interessante un vecchio autobus sgangherato dai mille acciacchi di continui viaggi ?”
Kevin riflesse un istante e poi disse: “ Si, proprio quei viaggi che hai fatto, gli scricchiolii, le tue luci basse,.. Mi incuriosiscono, tu sei un viaggiatore...”
E Kevin amava i viaggiatori, perché più di tutti conoscevano, e spesso la conoscenza è il primo gradino verso la comprensione.
Kevin continuò: “ Sai, avrei voluto avere ancora una nonna, mi piacerebbe parlare con lei della sua vita, di quello che ha visto e che ha ato; avrei voluto stringere le sue mani rugose, come i tronchi di quegli alberi secolari che ormai si incontrano raramente, perché li abbattono per costruire un’ autostrada, perché per l’ uomo è più importante una strada, che secoli di storia; avrei voluto sdraiarmi su quelle rughe, segni del tempo ato e per questo tremendamente importanti...”
“ Le tue parole mi commuovono, il mio motore rallenta, i finestrini scricchiolano, ma io non mi voglio fermare. Alcune volte però mi sento inutile”.
“ Non dire così, nonna, ti posso chiamare così?”
“ Certo, mi fai sentire importante”
“ No, tu non ti devi solo sentire importante, tu sei importante!!”
“ Avrei voluto avere ancora una nonna, con il suo carico di storia, di esperienze, di vita da offrirmi; desidererei essere cullato dai suoi occhi sereni e consapevoli, accarezzare i suoi capelli bianchi come la prima neve che cade, e perdermi nel suo cuore generoso.”
“ Sei gentile a parlare così”
“ Non smettere di viaggiare, continua a portare la tua testimonianza, i tuoi valori, la tua storia per la strada, la tua umiltà. In fondo ogni viaggio non ha mai una fine”
“ Hai ragione, un viaggio non ha mai fine”.
CAP 11
I GRANDI SONO STRANI
Kevin e gli altri animatori si disposero nel palazzetto, ognuno con la cartelletta, con i nomi, i cognomi, le matricole, gli indirizzi di una ventina di bambini.
Incredibile, ogni piccolo non poteva avere il suo nome, ma una matricola, per siglare i vestiti, per distinguere il posto letto, per verificarne l’appartenenza.
Ah!!I grandi sono ben strani!!!
Il compito di Kevin era di segnare la presenza del bambino, ritirare i documenti dai genitori, le varie autorizzazioni per la piscina, la montagna , le vaccinazioni,le allergie, etc; cercando al contempo di dare brevissime notizie ai genitori che li accompagnavano.
Kevin odiava questi momenti di burocrazia, ma sapeva che facevano parte di un percorso preciso, i bambini arrivavano alla spicciolata per mano di papà e di mamma, alcuni con i visi ancora stralunati dalla levataccia, altri contenti e ansiosi di partire, altri in lacrime per l’ imminente distacco... E Kevin analizzava ogni viso con trepidazione, cercando così di intuire ciò che lo attendeva nei giorni a venire.
Sbrigò il suo incarico con rapidità, sorridendo in maniera ebete ai genitori che gli affidavano per alcuni giorni per alcuni il gioiello, per altri il pacco.
Eh si! Per altri il pacco,liberarsi del figlio per venti giorni; incredibile. Alcuni bimbi si presentarono da soli, documenti alla mano: “ Mamma è papà non sono potuti venire , sono andati al lavoro.” E allora Kevin cercava di farli sorridere con alcune battutine, con una pacca sulle spalle, prestando loro un’attenzione affettuosa, ancora maggiore.
Cosa avresti fatto, tu bimbo, se ti fossi trovato da solo in mezzo a gente che non conosci, pronto per partire?
Anche Luca era uno di quei bimbi che però, accompagnato da papà, mamma, fratellino, si presentò per la partenza.
Certe volte la vita è fatta di incontri occasionali, di incroci improvvisi, sembra una favola scritta da chissà quale romanziere che si diverte a incrociare tra loro delle storie per vedere cosa succede, il frutto di una fantasia da bambino.
CAP 12
VERSO LA TERRA DEL FUOCO
I bambini salirono sui due pullman, pronti all’ingresso del palasport; gli animatori si divisero nei due mezzi. I genitori questa volta urlanti, salutarono all’unisono i loro figli, continuando la lunga lista delle raccomandazioni, alcune sincere, altre per levarsi il peso dell’ adeguatezza, che non li riguardava.
Quel pullman ricordava a Kevin il primo giorno di scuola, quando tutti i bambini si siedono ai posti che vengono loro assegnati, senza conoscere il vicino; nell’ aula nuova aleggia quella tensione che è innaturale per un bambino.. quel primo giorno in cui ognuno cerca di mostrarsi diligente, rispettoso, per dare una buona dimostrazione di se all’ adulto , senza però essere se stesso.
Kevin girava per il pullman senza occupare un posto fisso, cercando di sedersi una volta qua una là, e per iniziare a rompere quell’iceberg che si era formato nel pullman; quindi consegnò la cassetta di un noto gruppo musicale all’autista e, canticchiando, iniziò, insieme ai bambini a camminare verso la terra del fuoco.
Kevin amava definirsi “ un ladro di sguardi”, adorava guardare gli occhi, soprattutto quelli dei bambini che trovava colorati ma di un colore diverso dal comune, un luccicare unico ed irripetibile, ognuno diverso dall’ altro ma nello stesso tempo uguale.
E quel viaggio fu per Ke una scorpacciata di occhi, non poteva annoiarsi di fronte a così tante vite nuove che venivano in contatto con la sua.
In quel momento sembrava di trovarsi in una di quelle piazze crocevia di tante stradine provenienti da luoghi diversi, sentiva la sua vita parte di tante nuove vite, sentiva che stava facendo qualcosa di importante!!
TEMA
“ Come sono i grandi”
Il difetto di molti grandi è il non capire le parole dei bambini e quindi in un certo senso li offendono perché i grandi dopo che non hanno capito non li fanno parlare e come si sa il parlare e l’ esprimersi è un diritto del bambino!!!.
Poi a volte sono un po’ troppo affettuosi perché quando si gioca grande contro piccolo il grande lascia vincere il piccolo e questo al bambino non piace.
Poi a volte capita che a un grande piace di più un bambino che un altro e quello che piace di meno è un po’ come escluso e quindi sarebbe meglio che tutti piero allo stesso modo al grande, e che il grande li valuti tutti allo stesso livello.
A me il grande piacerebbe valuti tutti in modo uguale e che non abbia preferenze per uno più bello, più simpatico, più spiritoso o più bravo.
Luca, 10 anni
CAP 13
I PITTORI
Il pullman procedeva veloce verso la colonia; ormai mancava poco e il lago iniziava a colorare i pensieri, ad accompagnare i bambini verso il traguardo, costeggiando tutta la strada che portava verso quella bella casa in stile antico, che sorgeva quasi a picco sulle acque calme e azzurre.
Ke, quando si trovava di fronte al lago, che a lui sembrava un’immensa distesa di acqua, si rendeva conto di quale piccola parte del mondo abitava.
“Cos’ è un lago di fronte all’oceano Atlantico, al Pacifico, all’oceano Indiano, quanti bambini conosco ? Quanti bambini vivono nel mondo, che vorrei conoscere”.
E in quei momenti si sentiva già viaggiatore, virtualmente con la sola forza della sua fervida fantasia si immaginava su una nave a solcare l’ oceano Atlantico, a combattere i cacciatori di balene nel Pacifico, proprio come Sepulveda, a navigare su una barca a vela alla ricerca delle isole più sconosciute e inimmaginabili, ad insegnare in una scuola africana, attorniato da una miriade di bambini sorridenti ed unici.... Forse questi suoi pensieri un giorno si sarebbero trasformati in realtà…
Bisogna credere nei propri sogni, non bisogna distruggere il regno della fantasia!!
Immerso com’era nei suoi pensieri, non si accorse di trovarsi a due i dalla colonia, che gli apparve d’improvviso davanti, nella sua gioiosità.
Cercò negli occhi dei bambini le sensazioni e gli parvero di stupore misto a gioia, abituati com’erano ai colori grigi e opachi della città; forse sembrava loro di essere arrivati in paradiso; un paradiso fatto dell’azzurro e del blu intenso del lago, del verde degli abeti, del rosso delle rose, del giallo delle ortensie, dell’ arancio del sole.
Tutto parlava...
Gli uccellini, le piante, i fiori, l’acqua, le nuvolette che oltre a parlare disegnavano nel cielo, il sole che colorava i dipinti delle nuvole, le formiche che operaie trasportavano una briciolina di pane, coma una regina dell’estremo oriente, le lucertole pancia al sole, i sassi intenti a distribuire il calore accumulato quasi come delle stufette, l’ erba , i cancelli, le finestre, i lettini, i muri: tutti parlavano in coro la stessa lingua per salutare quei bambini che arrivavano.
I bambini fanno questo effetto sulle cose, le rendono vive, parlanti, colorate...
I bambini sono dei pittori, degli scultori, dei cantastorie, i bambini danno vita.
CAP 14
OGNI BAMBINO E’ UN PIANETINO
Kevin scese dal pullman e lasciò il noioso compito di radunare i bambini agli altri animatori, a lui non piaceva urlare in faccia: “ Muoviamoci, forza , ma ti schiodi o no!”; lo lasciava fare ad altri più risoluti ; preferiva nel frattempo dire qualche battutina, chiacchierare con i bimbi che scendevano verso la casa, iniziare a fare amicizia; perché Ke credeva nell’ amicizia!!
Li aspettavano nella sala adibita a ritrovo del mattino, discoteca la sera, atelier di disegno e chipiùnehapiùnemetta.
Per ora Ke aveva in mano solo un insignificante elenco di nomi, di date di nascite, indirizzi, numeri di matricola... Per ora questa lista era silenziosa, non diceva nulla, ma su questi nomi Ke aveva immaginato delle storie, dei colori, degli occhi, dei sorrisi e le schede avevano cominciato a parlare.
Cavolo! Ora toccava proprio a lui! Doveva chiamare i bambini di questa lista uno a uno, formare il suo gruppo, accompagnarli nella sua camerata, iniziare a entrare in contatto con loro, farsi amico e animatore...
Doveva chiamare undici bambini, e la sua paura era proprio il loro numero, ben undici, undici caratteri diversi, undici sorrisi unici, avrebbe voluto dedicarsi a loro in maniera speciale, non conoscerli tutti in una volta.
Iniziò la lista: Mattia, Enrico, Rocco, Samuele, Giacomo, Marco, Federico, Giovanni, Marvin, sco, Luca.
Se dovessi descrivere la velocità di un momento, dovrei azionare il rallenty, perché ad ogni nome chiamato corrispose un’ impressione, uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, un’ intesa, un emozione...
Al mondo degli adulti molte volte risulta difficile capire che ogni bambino è un universo a sé, ricco di stelle, di lune, di soli e di pianetini che gli girano intorno!!!
CAP 15
MAMMA CASA
La casa era divisa in quattro piani: al piano inferiore la cucina con una bellissima “ terrazza” all’aperto per mangiare, una terrazza con il lago ed un giardino di frutta e verdura, con i pomodorini rossi in bella mostra; al primo piano c’ era l’ ufficio del direttore, una di quelle stanze che da bambini mette sempre una strana sensazione di rispetto mista alla curiosità di visitarla di nascosto, come si fa con quelle case diroccate che sembrano esserci apposta.. Poi la sala-tutto già descritta, un laboratorio per le attività creative ( i grandi definiscono così il pitturare, il disegnare, ma io mi chiedo quale attività fatta dai bambini non sia creativa), nel secondo piano si trovavano le prime tre camerate, nel terzo le altre camerate più l’ infermeria e quella che sarebbe stata la piccola torre, dove Ke avrebbe ato la notte.
A Ke piaceva usare questo termine “ torre”, perché gli ricordava il concetto di casa di Bruce Chatwin, il luogo delle emozioni: la casa è dove una persona si trova e si emoziona, dove crea dei legami e Ke sentiva che in questo momento la sua casa era qui, dove in questo istante si sentiva vivo, una torre con una finestra sul lago… Ed è bella l’ idea di addormentarsi immerso nel silenzio di questa stanzetta di una casa sul lago, che lo cullava come una ninna nanna mentre sii addormentava.
La porta della stanza era comunicante con le stanze dei bambini ed era dolce l’energia che veniva da quella camera e che aiutava Ke ad addormentarsi sereno.
Era bellissima quella dolce ninna nanna con il lago che sussurra lieve, il respiro dei bambini che dormono, il tamburo dell’ improvviso tossire del più piccolo, le parole del cuore di Kevin che è felice e ride tutto. E’ bella la sveglia del mattino, con il sole che riscalda le guance e che si riflette sul lago con riflessi argentati di diverse tonalità.
E’ bello sentire la voce di un bambino già sveglio che attende l’inizio della giornata con trepidazione e che ha bisogno delle mie coccole!!!!
CAP 16
I RONDININI
Ke quel giorno, al risveglio, nel silenzio della casa, interrotto di tanto in tanto dai sospiri dei bimbi ancora addormentati, si accorse che questa quiete aveva qualcosa di irreale.
Ebbene si, la casa parlava, i suoi muri trasudavano storia, la storia di una casa che da anni faceva da baby-sitter, da nonna, da mamma e da papà per tanti bambini.
Come Luca, Kevin, Giacomo, Marvin questa casa aveva anche un nome proprio, “ I Rondinini” , un nome che raccontava una storia.
Anni e anni or sono, ormai quasi un secolo, dei benefattori Milanesi, l’ avevano fatta costruire nel suo splendore, sulle rive del lago; probabilmente mamma e papà casa amavano are dei giorni tranquilli sul lago, immersi nel verde e nella quiete di questo paesino.
Ma questi signori, oltre ad essere molto ricchi, erano anche molto buoni, ed un giorno nella grande città, incontrarono un bambino che chiedeva l’ elemosina ai margini della strada.
Era sporco, stanco, affamato; i suoi occhi stavano per perdere quella luce che emanano gli occhi dei fanciulli sostituita da una cieca disperazione “ Sono stanco”, disse il bimbo, “ho fame”.
Anche oggi, quanti bambini marocchini, albanesi, di tutti i colori, girano per le città a vendere oggetti per qualcuno che li comanda, oppure fermi ai semafori delle grandi città e se alla sera non portano a “casa” i soldi sono guai...
Anche oggi, nel duemila, tanti bambini sono costretti a guadagnarsi da vivere ad un prezzo altissimo, quello della libertà.
Bambini sfruttati, bambini derubati della loro infanzia, bambini spenti che non possono giocare, bambini che smettono troppo presto di sognare.
Penso che per qualsiasi adulto, per tutti noi, quei bambini che vendono, chiedono l’elemosina, vicino ai semafori delle nostre città ipertecnologiche, siano la più grande umiliazione di una vita ingiusta.
Mentre i nostri bambini giocano, piangono perché non hanno un gioco della playstation, altri sono soli, infreddoliti, senza mamma e papà e non possono giocare!!!!
Non possono giocare!!!!!!
Un bambino che non può giocare è la tragedia più terribile del mondo, una
catastrofe che fa zittire piante, animali, fiori in un silenzio irreale di dissenso e di tragedia.
Probabilmente devono aver pensato pressappoco questo, quando quei vecchi signori di Milano, hanno devoluto ai bambini poveri questa casa, a quei piccoli “ rondinini” senza cibo alla ricerca di un pezzo di pane, proprio come le mie rondini, e di un poco di calore umano.
Oggi la casa è diventata una colonia, i bambini che ci vengono sono un po’ più ricchi e forse anche meno soli.
Ma proprio da qui, da questo raduno di occhi innocenti, si può fare la rivoluzione.
Una rivoluzione fatta di ingenuità, un grido forte, ma con le voci di questi bimbi che chiedono a nome di tutti i piccoli di giocare!!!!!
CAP 17
UN BAMBINO UNICO
Molte volte quello che lega due persone è qualcosa di misterioso, di incomprensibile, di indescrivibile.
Ancora oggi Ke si chiedeva cosa lo legava a Luca, che cos’era scattato dentro di lui quando aveva conosciuto quel bambino, poi pensava che molte volte le cose più belle non hanno una spiegazione logica: succedono perché devono succedere punto e basta.
L’incontro tra un bambino ed un adulto a volte non è facile, perché bisogna saper parlare con un bambino e spesso noi adulti evitiamo le cose che ci mettono nudi di fronte a noi stessi, e i bambini hanno la capacità di dire quello che pensano senza riserve, di metterti di fronte a te stesso.
E’ facile vivere nel mondo degli adulti, in fondo basta fare quello che fanno gli altri per andare d’accordo: tipico dei grandi è dare ragione a tutti, rispettare tutti ma non amare nessuno, tra adulti è cosa normale barare.
Forse è per questo che i casinò sono pieni!
Il mondo di luce dei bambini è diverso, è fatto di onestà, di schiettezza, di timida
ingenuità, di rispetto, di allegria, di colori, di simpatia. Nel mondo degli adulti prevalgono invece i colori grigi e neri.
Ke amava osservare (ma soprattutto partecipare) i bambini giocare tra di loro, vedere l’importanza che davamo al rispetto delle regole, la sincerità dei loro occhi.
Un adulto non può imbrogliare un bambino, per il piccolo un abbraccio è qualcosa di importante e facilmente smaschera quello di comodo.
Ke e Luca si erano conosciuti annusandosi prima da distante; a Ke era bastato guardare quel bambino negli occhi per capire che era speciale, Kevin si rivedeva negli occhi malinconici di quel bambino, rivedeva le sue paure, le sue insicurezze, ma anche le grandi capacità inespresse, la sensibilità che faticava ad esprimere a parole, la solitudine ..
Alcuni bambini, a volte, ti avvicinano al bambino che hai dentro, al tuo io più profondo che bussa alla porta del tuo cuore sperando che tu gli apra.
La colonia era divisa in camerate e il destino voleva partecipare a quel gioco: l’unico bambino di dieci anni che non era nel gruppo di Kevin era proprio Luca; Ke credeva nei segni, nelle sensazioni.
Tra loro non era successo nulla di particolare, erano diventati amici giocando insieme, ridendo insieme, ballando insieme, colorando insieme, mangiando insieme...Vivendo la colonia insieme.
A volte i gesti contano più delle parole.
Come direbbe Saint-Exupery, l’autore del libro preferito di Kevin “Le Petit Prince” si erano addomesticati come la volpe e il piccolo principe, insieme avevano condiviso momenti di gioia e di allegria.
Kevin amava cantare, Luca amava cantare,
Kevin amava giocare a pallone, Luca amava giocare a pallone.
Kevin amava giocare sempre, Luca amava giocare sempre.
Ke si accorse che uno dei momenti più belli della colonia era rappresentato da quelli che i grandi chiamano “ momenti di vita” e che Kevin chiamava più semplicemente l’ addormentarsi e lo svegliarsi.
L’addormentarsi era un momento magico; sembrava quasi che in quell’attimo un vero e proprio mago con tanto di bacchetta fatata entrasse nella stanza, lanciando qua e là la polvere magica che faceva diventare l’ aria unica.
Questo per Ke e i bambini era un momento di grande dolcezza, in cui era possibile creare un vero contatto con il bimbo; probabilmente solo chi ha fatto almeno una colonia sa cosa voglio dire.
Luca amava addormentarsi con il suo amico vicino, non rinunciava mai alle sue coccole.
E mi ripeto non dimenticare mai di fare le coccole al tuo bambino, perché in realtà le fai al tuo cuore.
Insieme avevano inventato un gioco, l’avevano chiamato “ il gioco delle parole”. Luca se ne stava sdraiato nel suo lettino a pancia in giù e Kevin doveva comporre sulla sua schiena delle frasi, delle parole.
Luca si divertiva a indovinare, a comunicare giocando, era un bimbo di poche parole che usava il gioco come linguaggio.
Certe volte i grandi fanno ai bambini discorsi lunghi e noiosi e loro non ti ascoltano neppure, Luca era fatto così, non amava parlare a lungo, era in difficoltà nel comunicare le proprie emozioni, ma queste si potevano cogliere nei suoi occhi, nei suoi sorrisi, nei suoi atteggiamenti.
Luca comunicava con il gioco e amava svegliarsi con il gioco.
Forse, forse per tutte queste cose era speciale.
CAP 18
GIACOMO
Giacomo era un bambino di undici anni, capelli scuri tagliati molto corti e occhi scuri solcati da uno spesso paio di occhiali con una montatura quasi retrò.
A un primo sguardo a Ke era sembrato il classico ragazzino per bene, vestito Di tutto punto, quello che di solito definiscono “il secchione” , con un’ aria un po’ da intellettuale.
Ma, quel pomeriggio, il nostro animatore capì di avere sbagliato: non giudicare mai dalle apparenze!
Giacomo si era svegliato strano, sentiva freddo e non aveva voglia di giocare… esito del consulto in infermeria: il classico febbrone a trentotto, proprio quando si poteva cominciare a divertirsi.
In colonia, i bambini ammalati, venivano trasferiti in una stanzetta apposta, in cui venivano seguiti a vista da una delle due infermiere di turno che lavoravano durante tutta la stagione per “I Rondinini”.
Quel pomeriggio dopo essersi accordato per il controllo della sua camerata (solo
in seguito Ke capì che erano i bimbi a curare gli animatori) Kevin decise di salire le scale per andare a vedere le condizioni di salute del suo bambino.
Giacomo, se ne stava sdraiato sul suo lettino, con aria serena e tranquilla.
Sorrise a Ke e gli chiese: “ Va tutto bene?” Sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti; era forse Ke l’ammalato?
E Kevin pensò a quando, da piccolo, a casa sua, si lamentava per due linee di febbriciattola eggera e iniziò a capire la forza di quel bambino.
Ma la cosa che forse stupì di più Ke fu una risposta che il bimbo dette al ragazzone.
Giacomo non indossava i suoi occhialoni neri e Kevin gli disse “ Ma come sei bello senza occhiali, stai molto meglio, non li mettere” ,la classica frase di approccio di un adulto in difficoltà di fronte ad un bambino; Giacomo quasi stupito da una affermazione così stupida gli rispose: “ cosa centrano gli occhiali? Con gli occhiali o senza sono sempre io”
E fu così che Kevin fece conoscenza con Giacomo.
CAP 19
GIOVANNI
Gli adulti giudicano spesso le cose dalle apparenze, spesso gli insegnanti quando si trovano di fronte ad uno scolaro disubbidiente perdono le staffe, si sentono quasi colpiti nell’amor proprio, iniziano una personale “ sfida” contro questi bambini, fanno di tutto per fargli abbassare la testa e mancano della principale capacità che deve avere chi lavora con i ragazzini, l’empatia, la capacità di mettersi nei panni del bambino.
Questi insegnanti faticano ad andare oltre il velo di questa apparenza, forse per la mancanza di voglia di andare oltre, per il poco entusiasmo verso il proprio lavoro.
Nelle cose è difficile andare oltre, i bambini sono gli unici in grado di farlo veramente.
Un ragazzino particolare era Giovanni, il classico monello, occhi vispi che ti squadrano dall’alto in basso in pochi secondi, su un mare di riccioli scuri e con il viso ricoperto da una marea di lentiggini e sempre pronto a far di tutto, per essere al centro dell’ attenzione.
Kevin sapeva che se accadeva un guaio spesso Giovanni era in prima linea; come quando la notte spegneva le luci e sentiva delle voci venire dalle camerate, sapeva che sicuramente Gio era sveglio, e, da vero leader, pronto ad organizzare
la serata della propria truppa.
Se vedeva un bimbo piangere sapeva che spesso era Giovanni ad averlo provocato, se sentiva gli altri animatori urlare spesso era per Giovanni.
Ma, quando un bimbo si comporta così, spesso lo fa per chiedere aiuto, ci vuole comunicare un disagio, non prendiamola come una sfida, qui impariamo a essere adulti.
Una sera Ke decise di parlare con Giovanni da solo, lo prese sulle sue gambe e lo accarezzo con il cuore e scoprì un bimbo dolce, insicuro, che per orgoglio non osava chiedere di essere trattato da bambino perché lui era il leader del gruppo, non poteva abbassarsi a tanto.
Kevin sorprese Giovanni usando una delle armi più potenti che possediamo e che spesso non usiamo o non sappiamo di avere l’arma dell’amore, dell’ascolto e della comprensione.
E Giovanni, dopo un iniziale attimo di disorientamento e di stupore gettò via quella maschera da duro che indossava per celare le sue paure e le sue insicurezze mostrandosi com’era veramente.
Kevin, scoprì così un ragazzino che aveva bisogno di parlare, di essere abbracciato, di sentirsi unico: non dimenticare mai di coccolare il tuo bambino!.
Ogni bambino è unico, inestimabile, indispensabile al mondo proprio come l
’acqua nel deserto che solo quando siamo a gola secca ci accorgiamo dell’ importanza.
Giovanni era unico nel suo essere Giovanni.
Il giorno successivo continuava le sue marachelle, esasperava i compagni, aveva bisogno di sentirsi importante: quella era l’ unica maniera che conosceva per esprimersi.
Ognuno di noi dentro di se è un’artista.
Kevin stimava tutti quelli che sapevano fare qualcosa molto bene, anche una sola cosa: gli idraulici, i pittori, i panettieri, gli artigiani.
Giovanni era uno splendido pittore, un magnifico bimbo creativo, aveva delle idee a volte incredibili, sapeva esprimere con i colori quello che altri non sapevano fare con le parole.
Ma nessuno glielo aveva mai detto, aveva bisogno di sentirsi dire “ bravo”, tanto che si stupì quando Kevin si complimentò con lui per le sue “ opere”, si perché, erano delle vere e proprie opere di creatività.
Quando un bambino fatica a sorridere, non trova il modo di esprimersi siamo noi a doverlo aiutare.
E allora Kevin propose a Giovanni di tenere una vera e propria lezione di acquarello ai compagni, un laboratorio in cui per la prima volta Giovanni si sentì al centro dell’ attenzione non per avere trasgredito una regola ma per le sue grandi capacità che non sapeva di possedere.
Cosi, dopo questo momento speciale e dedicato unicamente a lui, Gio si sentì unico, importante, indispensabile per i suoi disegni, le sue vignette, l’immensa spontaneità che sprigionavano i suoi gesti, i suoi modi di cercare l’ attenzione, i suoi occhi...
E inizio’ a mostrare agli altri il vero Giovanni.
Ognuno di noi ha dentro qualcosa di unico, di grande, spesso noi non sappiamo giocare alla caccia al tesoro.
CAP 20
LA BURLA
Una mattina era in programma la gita al lago; Ke ò per le camerate a svegliare i cuccioli addormentati, con gli occhi chiusi sembravano degli angioletti, proprio come quelli raffigurati nei quadri del ato.
Anche al risveglio è bello vedere come ognuno di noi è un pezzo unico del mosaico della vita, ognuno ha i suoi ritmi, i suoi modi, chi al primo “E’ ora” si alza di soprassalto, chi rimane per qualche minuto come intontito quasi a riprendere contatto con la realtà, chi brontola, mugugna, sbuffa e smoccola.
Se il tutto servisse a scrivere una canzone, le note e i ritmi potrebbero risultare interessanti.
Anche quella mattina Luca aspettava Kevin con un sorriso che risplendeva più del sole che già di per sé stesso era molto luminoso; scelsero insieme i vestiti e parlarono della giornata che li aspettava, mentre Ke attendeva che Luca fosse pronto.
Anche nel resto della camerata l’atmosfera era molto energetica: sembrava una di quelle spremute colorate e ricche di vitamine che bevevo in inverno per evitare di ammalarmi e che la mamma mi faceva trovare pronte per colazione; e che facevano bene anche al cuore, eh, si l’atmosfera era proprio così energetica, colorata, affettuosa.
Cocco si vestiva cercando di nascondersi per non arrossire, Enrico girava spavaldo mezzo nudo per la stanza, sparando qualche battutina a destra e a manca, Giacomo e Ivan correvano a prendere l’ apparecchio per i denti in infermeria, Giovanni, vanitoso com’ era si faceva bello allo specchio, Federico il sognatore disegnava già di prima mattina ispirato dalle sfumature argentee del lago in cui il sole si specchiava , Marvin sorrideva e faceva sorridere Ke, Mattia aiutava il fratello Arturo a capire che le calze si infilavano sui piedi e non sulle mani. Kevin osservava tutto pieno di voglia di vivere, orgoglioso di essere li, tra i bambini e di essere parte di quest’esperienza unica, si sentiva davvero privilegiato e ringraziava Dio di questo immenso dono.
Dopo aver fatto la classica ed inutile fila indiana, una di quelle convenzioni della colonia che Kevin avrebbe evitato, semplicemente perché si fidava dei “suoi” bambini ed insieme avevano costruito un rapporto di reciproca attenzione, scesero a fare colazione in quella bella “ veranda” sul lago e il lago partecipava anche lui quella mattina, ci salutava con i suoi colori, ci riempiva di gioia. Anche la colazione era un evento importante della giornata, per stare insieme, per mettere in moto il nostro corpicino, lo zucchero per caricarci, il latte per nutrirci, i biscotti che quando sei felice sembrano fatti tutti di cioccolato e di miele: impara ad apprezzare ogni momento.
Tra i bambini quella mattina ce n’era uno che la stava combinando grossa, ma Ke in quella sua atmosfera quasi ovattata non si accorse di nulla.
I pullman ci attendevano impazienti e dopo aver disciplinato le discussioni su chi doveva stare davanti, si partì alla volta di quel lago che sembrava quasi smanioso di accoglierci.
Una canzone degli 883 sembrava quasi la vocina di quel pulmino di ragazzini felici.. “so che nelle fiabe succede sempre che sul cavallo bianco arriva un principe e porta la bella al castello si sposano e sarà amore per l’eternità” ; Ke e Luca cantavano insieme e ogni tanto il piccolo si fermava e chiedeva a Ke di ripetergli un pezzettino: “ So che nelle fiabe...” questo era un altro dei giochi che Luca amava fare con Ke , e anche a pranzo, a cena e a colazione insieme, i due amici, cantavano e ripetevano una canzone: in barba a chi dice che a tavola non si canta.
Perché bisogna proibire l’ allegria?
E per Kevin questi particolari non erano insignificanti, ogni cosa che un bambino gli chiedeva aveva la sua importanza.
Intanto il pulmino si era fermato e davanti a loro si presentava una spiaggia immensa, fatta di tanti alberi in fila per tre con il resto di due, un prato immenso, una sabbiettina color ocra ed un lago di un azzurro così intenso che ricordava i capelli della fata turchina.
Insieme cominciarono a giocare, i boys intenti nella classica ,ma insostituibile, partita di pallone, le ragazze in cerchio a cantare.
E la giornata fuggì via, a un ritmo hip hop tra tuffi, canti, giochi, fotografie, sole, lago, pesci, barche, sorrisi e bagni.
Al ritorno in camerata: sorpresa!!
Ivan Axel aveva perso l’apparecchio per i denti e accusava Ke di averlo buttato via insieme ai rifiuti del pranzo al sacco. Kevin, che sapeva di avere la testa sulla luna quando giocava, cercò di ricordarsi l’episodio, ma, pur sforzandosi, niente: e ora come lo diciamo ai genitori, quale sarà la reazione, e la coordinatrice?
Convenne che l’unica cosa da fare fosse parlare con Ivan Axel, con chiarezza e onestà, e così fece...
Ivan Axel era un altro bambino molto particolare, somigliava a Giovanni per la sua maniera di cercare di spiazzarti.
Ke si sedette accanto a lui e cominciò:“ Perché dici che ti ho buttato l’ apparecchio, ne sei proprio sicuro?”
Ivan stava zitto distogliendo lo sguardo e fingendo totale indifferenza.
Ke lo incalzò nuovamente:“ Perché mi vuoi mettere nei guai, fammi capire cosa è successo ed insieme proviamo a trovare una giustificazione , tutto si risolve, ci penso io non ti devo preoccupare sono qui apposta”
Dopo una serie di tentativi d’approccio al problema inutili, Ke decise di giocare un po’ con il ragazzino che amava fare la lotta, il Judo, il Karate e ne uscì un po’ malconcio.
Solo dopo una bella ora (si fa per dire) di giochi innocenti (meno male solo innocenti) Ivan Axel richiamò l’attenzione di Ke ed egli spiegò “ odio quell’ apparecchio!, lo devo mettere per forza. Mi fa sentire uno sfigato e gli altri mi prendono in giro chiamandomi uomo di latta. Oggi al lago l’ho nascosto in un sacchetto del pranzo, così è stato buttato via mentre facevate le pulizie, non è la prima volta che lo faccio sparire, scusami se ti ho dato la colpa ma non sapevo cosa fare...”
“ Lascia stare... Ci penso io”, disse Ke al bambino per tranquillizzarlo e sorrise accarezzandolo un po’.
Tutti i problemi si possono risolvere semplicemente parlandone con qualcuno di cui ti fidi.
Se vuoi comunicare con un bambino, impara a giocare con lui.
CAP 21
TANTI PICCOLI 007 DEL DUEMILA
“ Sono un ragazzo fortunato perché mi hanno regalato un sogno”, se lo ripeteva spesso Kevin, quando, la sera (o meglio a notte fonda) si coricava, analizzando con la mente la giornata; si riteneva privilegiato a vivere per quindici ore così, per tre mesi; era incredibile essere pagato per correre, cantare, ridere, voler bene e per giocare, in realtà Kevin l’avrebbe fatto anche gratis.
Questo per Kevin non era un lavoro, era l’essenza del suo essere persona, del sentirsi sé stesso e tutte queste sensazioni energetiche lo facevano sentire bene, sereno, realizzato.
Niente è più importante del trovare il proprio lavoro, che ti permette di concludere la giornata con la vera gioia ed il sorriso.
Da bambino, quando la sera pregavo Gesù, lo facevo chiedendo, alla fine dei Padre Nostro e degli Ave Maria, mille cose: un gioco, la vittoria della Juventus la domenica, che mi andasse bene un interrogazione; oggi ho imparato a chiedere una cosa sola che le contiene tutte: la serenità.
Anche Kevin, considerava la serenità l’unica cosa indispensabile per un essere vivente, serenità è una parola grossa che è un insieme di altre parole molto importanti: la salute, il lavoro, il sentirsi realizzato, felice, importante, ognuno da il proprio significato alla felicità, spesso noi vogliamo che tutte le cose siano
spiegate in maniera precisa, mentre non è detto che debba essere per forza così..
Ke avrebbe voluto che questa sensazione continuasse all’ infinito.
Pensava a qualcuno degli altri animatori, ad alcuni insegnanti, che ano tutta la giornata a lamentarsi del loro lavoro, a dire le solite frasi senza senso “sono stressato “, a vivere la loro vita come se tutto fosse un obbligo, senza rendersi conto che hanno la fortuna di fare uno dei ”mestieri” più belli del mondo, che consente loro di educare e soprattutto di essere educati, di giocare e di far giocare, di emozionare e di emozionarsi, di sorridere e di far sorridere.
Molti educatori non riescono a vivere questo scambio con il bambino, si sentono li perché lo devono fare e non perché lo vogliono veramente, sembrano quasi obbligati.
Ma questi educatori non sanno che davanti a loro hanno tanti piccoli 007 del duemila, tanti Lupin che sono pronti a toglier loro la maschera e che solo da un sorriso capiscono chi sta bleffando, si,perché i bambini sono delle perfette macchine della verità e sui sentimenti non sbagliano mai.
Kevin si vergognava solo di pensare di lamentarsi di quello che faceva, e ripeteva a tutti di sentirsi privilegiato.
Ma c’era una cosa che Ke temeva di questa colonia: il distacco.
Mancavano poche settimane alla fine e già pensava a come fare a nascondere le
lacrime, pensava a trovare il modo di spiegare questa dolorosa sensazione di perdita, come quando la prima volta all’asilo la mamma se ne va e tu rimani li, solo, senza conoscere nessuno, e hai paura che la mamma non ritorni più.
Pensava agli occhi di Luca, a Luca nella grande città e a sé tanti kilometri distante dai suoi bambini; pensava e ripensava a Giacomo, Marvin, Giovanni, Matteo, Enrico, Federico, Samuele...
Poi però sentiva che il cuore gli parlava, tutto parla, batteva forte, sembrava quasi scoppiargli nel petto; ogni bambino era lì, nel suo cuore, come Kevin era ormai parte di ogni bambino, il suo cuore aveva gli occhi di Luca, gli occhiali di Giacomo, i capelli di Marvin, le lentiggini di Giovanni, il sorriso di Enrico, le orecchie di Mattia, i denti di Federico, l’ ingenuità e la timidezza di Cocco, l’esplosività di Ivan Axel, il suo cuore era un bambino.
E in questi momenti di solitudine e di riflessione, Ke capiva di avere imboccato la strada giusta, che questo era il senso che voleva dare alla sua vita, voleva sempre più colorare il suo cuore con le mille sfumature di quella scatola di colori al profumo di resina di pino, che aveva comprato, regalando un pastello ad ogni bambino che incontrava. Bambini,
Mille colori,
Giallo, verde, rosso, arancio, blu, violetto
Per esprimere se stessi
I temi più semplici
Cagnolini che sorridono
Case che parlano
Gatti che miagolano felici
Una matita ed un’anima multicolore
Un cuore ancora cuore.
Io, purtroppo, ormai disegno spesso
In bianco e nero.....
Kevin
CAP 22
LA FATA DELLA NOTTE
Una notte, Kevin era molto stanco e stranamente dal solito si addormentò quasi subito, immergendosi in uno strano sogno.
Era bambino e stava per andare a dormire, fino a qualche mese prima si coricava con la luce accesa, così poteva vedere cosa succedeva intorno e, se sentiva un rumore, poteva capire più velocemente da dove provenisse.
Quella notte, invece, tutto era buio e allora il piccolo iniziò a parlare con il suo fedele orsacchiotto Jimmi: “Jimmi non senti dei rumori strani?”.
E l’orsacchiotto semiaddormentato gli rispose “ Non ti preoccupare, ci sono qui io a proteggerti, non vedi come sono forte?”
Detto fatto. Dopo qualche secondo l’orsacchiotto Jimmi era già nel mondo dei sogni, e per di più russava come un coccodrillo ( ma bambini i coccodrilli russano? ). Il bambino chiamò l’orsetto più volte :
“ Jimmi, che paura, non hai sentito quel rumore, non saranno mica i ladri? non mi verranno a prendere?“.
Jimmi non rispondeva e, anzi, contribuiva a rendere quei rumori ancora più sottili, russando a più non posso.
Il bimbo rimase solo con le sue paure.
Ad ogni rumorino, il piccolo sudava freddo e si girava e rigirava nel letto, attento però a non voltarsi mai dalla parte opposta della porta, non si sa mai che entri un mostro!
A un certo punto, vide una tiepida lucina che all’ inizio lo fece trasalire ,“ Ah, Ah chi sei? Che vuoi? Che ti ho fatto? non farmi del male”.
E la lucina scoppiò in una risatina, che ogni istante si faceva più fragorosa:“ Non aver paura di me!”.
Il bimbetto, un po’ rassicurato dal tono gentile della dolce lucina, rispose : “ Perché non dovrei avere paura di te, chi sei , che ci fai nella mia stanza… vattene, vattene subito seno’ chiamo papà!!”
La lucina rispose “ No, non devi scappare dalle tue paure, impara ad affrontarle”.
E il bimbo ribatté:
“ Chi sei?”
“Sono la fata della notte, quando sento che un bambino ha paura, accendo la mia lucina e mi avvicino a lui, sono qui per aiutarti a capire che nessuno vuole farti del male che ogni rumorino che senti si può spiegare , prova a chiedere alle tue paure il perché”
“ Oh fatina, cos’ è questo rumore, ho paura!”
“ Prova a domandarlo alla tua paura”
E il bambino incuriosito disse: “ Ma come faccio a domandarglielo”
“ Basta che chiedi alla tua paura da dove viene e lei ti risponderà”
“ Signora paura chi sei?”
La lucina gli rispose: “ il vento ha fatto sbattere la porta, che la tua mamma per errore ha lasciato aperta”
“ Oh ma come sono stupido!!!, oddio di nuovo un altro rumore terrificante!”
La lucina rispose “ prova a chiederglielo”
“ Paura perché mi fai paura?” “ Ma era solo il tuo gattino che ha fatto cadere la ciotolina del latte!”
E il bambino si accorse così, con l’aiuto di quella dolce lucina amica, la fatina della notte e dell’anima che molte paure sono solo delle nostre fantasie.
Bimbi, non scappate di fronte alle vostre paure, imparate ad affrontarle e se vi sentite in difficoltà ci sarà sempre quella fatina luminosa pronta a correre in vostro aiuto....
CAP 23
L’ INCONTRO CON I GENITORI
La domenica che precedeva l’ultima settimana di colonia era, per antica tradizione della casa, la Domenica della visita dei genitori.
Ke doveva affrontare la giornata che, era sicuro, l’ avrebbe messo più a disagio per una serie di motivi, tra cui quello più eclatante era che non sapeva fingere e non riteneva giusto questo incontro.
Si, non lo riteneva giusto per i bambini, non tutti i genitori sarebbero potuti o voluti venire ed alcuni fanciulli si sarebbero sentiti soli ed infelici.
In fondo mancava una sola settimana alla fine della colonia, i genitori telefonavano tutti i giorni, e allora perché questo inutile incontro? “ abbiamo sempre fatto così, perché cambiare? “
I grandi sono molto strani.
Kevin ogni volta che doveva entrare in contatto con il mondo degli adulti andava in agitazione, avrebbe dovuto mostrarsi perennemente sorridente, gentile, stringere mani che non aveva mai stretto, rispondere a mille domande; ma allo stesso tempo era curioso di vedere gli occhi dei genitori di quelli che
considerava affettuosamente i suoi bambini, per poterci capire qualcosa di più.
Quella mattina, quando si svegliò, cercò di darsi grande carica, grande energia, voleva fare divertire i bambini soli, che non avevano ricevuto visite, voleva farli sorridere, voleva riempirli di affetto, voleva cercare di scacciare la loro delusione, evitare che, come la nebbia, si insinuasse nelle menti variopinte dei bambini.
Eh si, perché Kevin non scordava la sua vita di bambino, non dimenticava quando di sabato alla partita di pallone vedeva tante mamme e papà fare il tifo, e tra quei genitori urlanti non trovava mai il suo papà; qualche volta avrebbe desiderato abbracciarlo dopo un gol, sentirsi dire bravo, per questo molte volte dopo la partita si sentiva triste; avrebbe voluto piangere, ma l’ orgoglio glielo impediva e tutta quella sofferenza gli era rimasta dentro, forse l’ aveva indurito.
Kevin non si ricordava un complimento, un bacio, una carezza del papà, anzi solo uno che, quando ci pensava, lo faceva sentire bene ma anche gli sembrava una cosa strana; quella sera i genitori erano a tavola per la cena e Kevin era entrato per sedersi a mangiare quando il padre d’improvviso gli aveva detto: “ ma quanto sei diventato bello, chissà quante ragazzine sono innamorate di te a scuola”.
Un altro e unico momento di tenerezza con il papà era stato un pomeriggio di domenica quando, il babbo, aveva trovato qualche minuto del suo tempo prezioso per raggiungere Kevin al campo da pallone mentre stava giocando con gli amici ed aiutarlo a perfezionare il colpo di testa.
Questi erano gli unici due attimi dolci e affettuosi che Kevin conservava gelosamente nello scrigno dei ricordi del rapporto con suo papà, due soli momenti in tutta la sua infanzia.
Una sera aveva visto al cinema con gli amici “la Storia Infinita”, e c’era una scena in cui una strega cattiva aveva inventato una macchina dei desideri, Bastian, il protagonista del film, poteva esprimere dieci desideri, l’unica controindicazione è che ogni desiderio espresso cancellava dalla memoria del bambino i suoi ricordi più preziosi.
Ma, Kevin aveva solo due ricordi preziosi….
Per questo capiva bene come dovessero sentirsi quei bambini, cosa significava essere soli e dover trovare già da piccoli dentro se stessi mille giustificazioni al comportamento del papà.
Kevin era parte della solitudine dei suoi bambini.
E per Ke un bambino triste era un’altra di quelle cose che potevano provocare un terremoto che superava qualsiasi indice della scala Mercalli, un’altra di quelle cose da imputare solo agli adulti.
Gli animatori radunarono nel frattempo tutti i bambini nella sala-tutto e Kevin iniziò a Jovanottarsi ballando , saltando e cantando sulle note dell’ “ombelico del mondo” che in quel momento era li, in quella stanzetta colorata sul lago.
Intanto i genitori arrivavano alla spicciolata, entravano, abbracciavano il figlio, volevano parlare con l’animatore facendo sempre le solite domande: “ Mi dica, Ha mangiato?, si è comportato bene, ma che domanda inutile, è mio figlio, mi sembra stanco , non è che me l’ avete strapazzato troppo!!!! ..”
Kevin li guardava quasi inebetito, mentre nella sua testa i pensieri si affollavano cercando di farsi spazio, spingendosi a più non posso come quando cerchi di trovare un posto nei pullman affollati di mezzogiorno.
Alla fine della mattinata rimasero in colonia solo pochi bambini e del gruppo di Kevin rimase il solo Enrico.
Enrico era un bimbo simpaticissimo, con un accentino del sud che contribuiva a renderlo ancora più divertente, ed il viso solcato da un paio di occhialoni con una montatura non proprio da bambino.
Il terremoto era accaduto, aveva sventrato il cuore di un bambino, gli occhi di Enrico erano tristi e se ne stava là in un angolo da solo, deluso, svuotato di energia...
E’ pazzesco vedere un bambino senza energia...
Quando un fanciullo non gioca, non corre, non ride c’è qualcosa che non va e il mondo si fa rosso di vergogna.
Kevin allora se lo prese in braccio, lo strinse forte sperando che almeno una parte di quell’affetto che in quel momento sentiva nel suo cuore e gli attraversava l’anima, potesse avvolgerlo come una calda coperta.
Voleva che anche Enrico si sentisse importante, unico, coccolato, semplicemente
perché lo era. Kevin quel giorno voleva dedicarsi solo a lui.
Giocò a pallone con Enrico improvvisando una mini-scuola calcio seduta stante, mangiò vicino a lui, fece una partita a top con lui nella siesta, gli fece il solletico, fece la lotta, e alla fine si accorse di aver ricevuto molto di più di quello che aveva dato.
Si sentiva quasi coccolato.
Nel mondo degli adulti ci sono tante convenzioni che vengono accettate da tutti ,semplicemente perché è così, ed allora tutti entrano nel gregge, come dei pecoroni seguono tutti la stessa legge.
I genitori intanto ritornavano dalla giornata con i propri figli e Kevin rimase stupefatto che le dimostrazioni d’affetto spesso si radicavano in mille regali e in pochi abbracci, ma a Ke faceva male vedere alcuni letti che somigliavano quasi a negozi di giocattoli ed altri completamente vuoti, anche i letti in quel momento si sentivano soli...
E’ giusto mantenere delle convenzioni semplicemente perché si è sempre fatto così, anche se sono palesemente sbagliate, è giusto rompere degli equilibri che si sono creati dopo lunghi giorni di impegno comune, è giusto vedere la tristezza in un bambino che è in vacanza semplicemente per giocare???
Io il mondo degli adulti non lo capisco proprio, certe volte vorrei farmi piccolo piccolo, nascondermi sull’ albero più alto e non farmi più vedere da nessuno....
CAP 24
AVVICINANDOSI AL PORTO
Ormai eravamo arrivati all’ultima fase della nostra avventura, il galeone stava per attraccare sull’isola, i marinai si preparavano a gettare l’ ancora, il porto era in attesa della nostra barca.
Ke era uno di quelli che si affezionano facilmente: amava parlare con il sole, sorridere agli scarafaggi, correre con gli animali, cullare un fiore.
Kevin ora aveva riempito il suo cuore di quei bambini, il loro sorriso era ormai parte di Ke.
I primi giorni di una nuova esperienza a volte scorrono lenti, quando hai ingranato la quinta ed è tutto entusiasmo e energia, sei costretto a fermarti.
Ormai la camerata di Ke era diventata una grande famiglia, un gruppo di amici affiatati: Luca, Enrico, Giacomo, Marvin, Giovanni, Federico, Samuele, Cocco, Mattia, Ivan Axel ...
Ogni bambino era un pezzo unico, irripetibile, insostituibile del puzzle della colonia, e proprio per questa originalità ognuno reagiva in maniera diversa alla partenza; c’ era chi come Luca sembrava quasi restare indifferente (e questo
faceva soffrire Kevin) , chi come Enrico da qualche giorno aveva gli occhi tristi, chi come Samuele ripeteva esplicitamente: “ Mi mancherai, scrivimi , ricordati di telefonarmi”.
La cosa che più faceva paura a Ke era la distanza, intesa come kilometri, come treno, come orari, come difficoltà, come limite all’abbraccio.
Niente può colmare in una persona il calore di una carezza, di un bacio, di un abbraccio sincero.. il contatto fisico aiuta le persone a sentirsi amati, ed un bambino coccolato è anche un bambino meno insicuro.
Nella sua esperienza di animatore non aveva mai fatto un centro estivo, una colonia, un acchiappa estate senza i bambini del suo paese.
Quando tutto era finito, bastava ritrovarsi all’oratorio, al campo da pallone, in pizzeria, per continuare a giocare insieme, per coltivare uno dei fiori più belli, quello dell’ amicizia.
Perché Kevin credeva fortemente nel valore di un sentimento: bisogna credere nell’ amicizia.
Ma questi bambini abitavano distanti, ed il fatto di non vederli già lo riempiva di tristezza.
E in quel momento avrebbe preferito essere uno di quegli animatori che lavoravano solo per lo stipendio, e che l’ultima sera del turno precedente aveva
visto brindare con lo spumante, loro sicuramente non avrebbero sofferto di distacco!!
A volte avrebbe voluto essere uno di quei mercenari, che sono pagati e quindi non provano emozioni.
Ma poi pensava che l’indifferenza era il peggiore dei mali dell’ umanità, ed era felice di essere così sensibile ed anche di soffrire… In fondo lo faceva perché provava qualcosa di importante.
CAP 25
IL QUADERNINO
Quando Kevin aveva comprato quella famosa scatola di colori, aveva sentito qualcun altro che lo chiamava “ Kevinino, Kevinino...”
Si era girato di soprassalto, chi poteva essere? chiese allora alla scatolina “ Ma piccoli colori, ci siete tutti , qualcuno si è perso?”
E i colori risposero in coro “ Kevinino ci siamo tutti, non eravamo noi a chiamarti, ma il nostro amico quadernino”
Kevin allora ritornò sui suoi i e si diresse allo scaffale precedente, dove lo aspettava un bellissimo quadernino di viaggio, una di quelle moleskine di pelle nera intrise di storia, che di solito comprano i grandi viaggiatori quando partono per terre lontane.
“ Kevinino voglio venire con te, tu sei un viaggiatore, stai per fare un grande viaggio, stai per scoprire il mondo delle emozioni, ti potrei essere utile, potrei diventare il tuo fedele cantastorie”.
Eh sì, il quadernino aveva fatto centro, Kevin a modo suo si sentiva un viaggiatore, a volte si può viaggiare anche solo sulle ali della nostra fantasia,
anche restando seduti nel nostro giardino, ed allora i fiori diventano balene, il prato si fa mare, io divento il grande pirata Long John Silver, il mio gelato diventa la mia spada, la rete si fa filo spinato , di là ci sarà la nave nemica, come farò per non farmi vedere?
“ Scusa, pirata Long John, allora mi compri?”
“ Ma quadernino, non hai sentito che ho già cominciato a farti il solletico scrivendo? Se mi becca la cassiera!“
E fu così che un quadernino diventò il quadernino di Ke, un altro dei suoi compagni di emozioni.
Il quaderno durante il viaggio- colonia, si era riempito facilmente con le sensazioni di Ke, le sue riflessioni, i suoi momenti, i giochi ma ora aveva anche trovato il modo di farlo diventare il regno delle emozioni.
Ke chiese incuriosito al quadernino: “ Scusa, caro amico, ma tu sai camminare?“
E il Quadernino, un po’ stizzito, rispose: “ Ma ti sembra che un quadernino come me non sappia camminare! ogni cosa parla e cammina se tu lo vuoi”
Ed allora, Ke corresse la sua domanda: “Per favore Quadernino, tu dovresti muoverti tra i bimbi e farti coccolare con i loro disegni, le loro dediche , i loro pensieri. Lo puoi fare per me?”
Il quadernino aprì le sue pagine, allargò i suoi piedoni, e rispose tutto fiero, come se fosse un grande messaggero: “ Mio Ke, io sono pronto a partire anche subito” . E poi sghignazzando: “ Adoro il solletico...”
Il quaderno iniziò a girare tra un bambino e l’altro e le pagine bianche della moleskine si riempirono di mille colori; “Avete visto amici ho fatto i colpi di sole”, iniziò persino a parlare la lingua più bella e sincera, quella dei bambini.
Ora il quadernino era, si, diventato veramente unico, sembrava quasi uno scrigno come quello descritto nell’ isola del tesoro ma ancora più ricco: era fatto di cuore, colori, parole, foto, occhi di un gruppo di bambini.
CAP 26
GLI UNICI STRUMENTI DI LAVORO DI UN BAMBINO SONO PENNE E MATITE
Una mattina Kevin e il suo gruppo partirono per andare alla piscina comunale, com’era d’ abitudine una volta alla settimana. Salirono sui due pulmini gialli del comune e, in men che non si dica, giunsero nel piazzale antistante la piscina.
Mentre i piccoli sguazzavano in acqua, il juke-box diffuse le note di una canzone che colpì Ke nel profondo “ c’era una volta un aeroplano, un militare americano, c’era una volta il gioco di un bambino”
La canzone, come tutte le cose parlava, sì gridava l’ impegno a non fare più guerre, a non fare del male a nessuno, parlava del fatto che nel Duemila, nel nostro inizio del millennio, così tanto celebrato ci sono ancora bambini e adulti che si fanno del male, senza una ragione.
Quando si usa la forza, bambini, non c’è mai nessuna giustificazione, quando litigate con un amico non usate mai le mani, le cose si possono risolvere semplicemente parlandone, non dimenticatelo mai, a costo di fare la parte dei fifoni.
Kevin allora decise di radunare i bimbi, tra un bagno e l’ altro e di chiedere proprio a loro il significato della parola pace.
Decise di chiederlo a loro, perché Kevin sosteneva che i bambini sono mille volte meglio degli adulti, e se un grande deve rispondere a una domanda del genere cerca solo frasi ad effetto, ricche solo di moralismo e di retorica; gli unici adulti che danno risposte sensate sono quelli che non si scordano di essere stati bambini e che forse nel cuore lo sono ancora.
I bimbi si disposero vicino al Juke-box e la canzone iniziò il suo discorso: parlò ai piccoli della guerra nel mondo, dei bambini soldato, delle violenze sui minori; poi Ke mostrò un pallone, un pallone unico, perché non era cucito dalle mani dei bambini e gli raccontò la storia di Iqbal, un bambino Pakistano morto per difendere i bambini del mondo dal lavoro e dallo sfruttamento e per sostenere il diritto di ogni bambino al gioco. Si ripropose, di mostrare in colonia anche il film su Iqbal Masih.
Iqbal era un bambino, che per saldare un debito familiare equivalente a 12 dollari fu ceduto a un fabbricante di tappeti e quindi costretto ad iniziare a lavorare a soli quattro anni.
ava la giornata a tessere tappeti, per 10-12 ore al giorno incatenato al telaio e sottonutrito, ed in breve tempo divenne il migliore.
La scelta ricadeva sui bambini perché più sottili sono le dita, più piccoli sono i nodi ed il tappeto acquista così più valore.
Approfittando di un attimo di distrazione, Iqbal fuggì la prima volta ed ebbe il coraggio di recarsi alla polizia che, collusa con il produttore di tappeti, lo riportò indietro.
La seconda volta che fuggì, a soli nove anni, Iqbal seppe a chi rivolgersi, un’ associazione che difendeva i diritti dei bambini lavoratori, che lo prese in custodia ma gli chiese un grande sacrificio.
L’unico modo di salvare i bambini era quello di entrare di nascosto nei vari magazzini di tappeti fingendosi un tessitore e fotografare ciò che di illegale avveniva in quelle fabbriche che sfruttavano bambini… rischiando la vita..
Iqbal non ci pensò un solo secondo, ed armato di coraggio decise di lottare per bambini come lui, vittime di soprusi, sfruttati, costretti a lavorare per ore ed ore, privati dell’ affetto dei genitori, e della gioia del gioco e della propria infanzia.
Raccolse moltissime foto, che vennero consegnate alla polizia europea creando uno scandalo di proporzioni internazionali, anche le autorità pakistane questa volta furono costrette ad agire e in men che non si dica furono smantellate una marea di fabbriche di tappeti, arrestati i produttori illegali di tappeti e liberati tantissimi bambini che poterono così ritornare dalle loro famiglie e riassaporare il gusto di essere bambini e di dover pensare unicamente al gioco.
Iqbal a 11 anni cominciò a viaggiare e si fece attivista per i diritti dei bambini in giro per il mondo, sensibilizzando l’ opinione pubblica sul tema dei diritti negati e ricevendo un premio per la difesa dei diritti dei bambini.
A soli 13 anni perse la vita mentre correva con il suo aquilone, era diventato troppo scomodo e pericoloso il messaggio che stava lanciando per la “mafia dei tappeti”che decise quindi di eliminarlo barbaramente.
“Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite” (Iqbal Masih)
Kevin raccontò questa storia perché compito di un buon educatore è anche trasmettere valori importanti; chiese quindi ai bambini un piccolo impegno per fare in modo che il sacrificio di Iqbal non fosse avvenuto invano.
Ogni bambino doveva farsi letterina, veicolo di trasmissione della storia, Kevin chiese di raccontarla ad un amico, che avrebbe dovuto narrarla ad un altro amico e così via formando una catena di racconti …
Iqbal cosi sarebbe vissuto nelle menti e nelle azioni di tanti bambini che avrebbero così formato“ l’esercito di Iqbal”.
Molti adulti ritengono che la tv, la musica, i giornali siano diseducativi, io penso invece che siamo noi grandi a dover fare da decoder ai bambini ( si, proprio come quello che ci permette di vedere le partite della Juve): abbiamo la fortuna di poter diventare cittadini del mondo e di trasmettere qualcosa di importante.
La sera, tornato in colonia, chiese alla canzone, al film di parlare ai bambini e si stupì quando i più piccoli di sei, sette , otto anni chiesero :“ Cosa vuole dire pace?”.
Senza volerlo i bambini avevano dato la più bella definizione di pace non sapendo cosa significasse: nei cuori dei bambini non esistono guerre, quando litigano con un amico dopo qualche minuto tutto è ato.
La pace è l’amore vero che c’è nel cuore dei bambini.
CAP 27
PENSA IL BENE, DI’ IL BENE, FAI IL BENE
Come tutti i viaggi c’è il momento della partenza e quello dell’ arrivo, il bel viaggio delle emozioni ormai era giunto al termine anche se quelle sensazioni continuavano a vivere nel cuore di Ke e dei bambini.
Quando quella mattina Ke si svegliò si sentiva quasi svuotato di energia, malinconico, triste: aveva lavorato tanto dentro di sé per prepararsi a quel distacco, ma non era servito a nulla; si sentiva molto disorientato.
Per questo nascose i suoi occhi sotto un paio di occhiali dalla lente scura.
Anche Luca si svegliò strano, per la prima volta da quando andava in colonia, era dispiaciuto di tornare a casa, non lo dava a vedere ma gli sarebbe mancato il suo amico.
Ke si fece forza, si vestì e iniziò la sua personale recita, doveva trasformarsi in attore, fingere, cercare di mostrarsi sorridente ai suoi bimbi..Ma, appena li guardava, il magone gli saliva quasi alla gola ed allora doveva isolarsi per una attimo per non far vedere le lacrime agli occhi che bagnavano le lenti scure.
Scese le scale, ed entrò nella camerata, dove i bambini erano già svegli e lo
accolsero con affetto, con maggiore attenzione del solito; forse come Kevin, volevano assaporare con gioia questi ultimi momenti insieme.
Uno degli errori che i grandi a volte commettono è di non sapere apprezzare il valore di un attimo, mentre, per sentirci più felici dovremmo imparare a vivere ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno come se fosse l’ultimo, ad alzarsi con un progetto semplice e a cercare di portarlo a termine.
Anche in quel frangente ai bambini non bisognava spiegare nulla.
Ke si diresse poi sul lettino di Luca, dove il bambino lo attendeva con quel suo atteggiamento spavaldo di non curanza e la prima cosa che fece Ke, fu quella di abbracciarlo forte, di stringerlo a se: è giusto che se delle persone si vogliono bene devono staccarsi, perdersi di vista per un motivo così banale come la lontananza ?
Inventano di tutto i grandi e gli scienziati, meno una macchina che annulli la distanza.
Intanto il tempo tiranno ava, e Kevin sperava che un’altra rivolta degli orologi intervenisse a fermarlo, ma lui continuava, come il più veloce pilota di formula uno, la sua corsa.
Intanto i bambini si radunavano in silenzio per scendere a colazione, ma forse era Kevin ad essere in silenzio, a non sentire nulla se non un forte dolore al petto.
La terrazza era sempre la stessa, il lago si era però incupito, il sole si era nascosto dietro nuvoloni neri colmi di pioggia, l’aria si era fatta quasi tagliente, le lucertole si nascondevano chissà dove, i fiori dal canto loro abbassavano i petali intristiti dall’evento.
Luca era sempre là, al solito posto vicino a ke, a cantare per lui tutte le canzoni che avevano imparato insieme “sai che nelle fiabe succede sempre che sul cavallo bianco arriva un principe, che porta la bella al castello e poi sarà amore per l’eternità…”, a fargli il solletico, era il piccolo ad aiutare il grande ad affrontare un momento difficile.
Certe volte penso alla felicità, e mi dico che il senso della vita è la sua costante ricerca, raggiungere la serenità e la gioia in modo permanente, trovare l’antidoto alla tristezza ed alla malinconia.
Poi, penso che la felicità é dentro ognuno di noi sin dalla nascita, nell’amore che i bambini dimostrano alla mamma, nel loro modo di essere, dovrebbe essere qualcosa di innato ed allora mi chiedo ma perché ci sono le guerre , le distruzioni, la falsità , la cattiveria, perché la gente ama parlare alle spalle e criticare senza conoscere, perché ci sono sentimenti come l’ invidia e l’odio.. eppure siamo tutti figli di Dio che ama ognuno di noi in modo speciale e unico.
Impegniamoci ad amare gli altri, a provare a comprenderli, a porgere una mano.
Un giorno, mi trovai ad un incontro che si teneva mensilmente con una suora di clausura di un convento, quella volta si parlò del senso della vita e dell’ amore e la suora a conclusione ci lasciò una frase di una potenza pazzesca, capace di fare esplodere le stelle, più potente del big bang, più rumorosa di un esplosione, più profumata di una rosa gialla, una frase che se ognuno di noi si impegnasse a fare davvero sua potrebbe cambiare il mondo:
“Pensa il bene, dì il bene, fai il bene”.
La frase che Kevin preferiva era tratta dal libro più straordinario mai scritto, IL PICCOLO PRINCIPE di Antoine De Saint Exupery ed era “ Tutti i grandi sono stati bambini, almeno una volta, ma pochi di essi se ne ricordano”.
E Kevin si domandava come può la mente di un bambino mutare cosi tanto nel mondo dei grandi dimenticandosi delle cose importanti, e allora sognava di possedere una polvere magica capace di conservare quel fanciullino.
CAP 28
LE VALIGIE CHIACCHERONE
Le valigie erano state radunate ordinatamente vicino al pulmino e tra loro si lamentavano della fatica che stavano facendo, dopo tre mesi di vacanza in un ripostiglio sul lago. Uno dei più grossi sgabuzzini esistenti, dotato di ogni confort, aria condizionata, polvere prelibata al profumo di calze sudate, luci sdroboscopiche, musica da discoteca..
Si erano davvero divertite e riposate, poi, i piccoli mostri urlanti erano venuti a prenderle con i loro modi sgarbati lanciandole da una parte all’altra, strisciandole come nulla fosse ed alcuni sedendosi sopra e facendo persino le puzzette … questo era davvero troppo.
Gli umani non immaginano neppure com’è dura la vita di una valigia e non parliamo del trolley che deve trottare da una parte all’altra .
La prima a parlare fu’ la valigia Blue Eyes: “ Mi sento tuuuttta intirizzita, si stava cosi bene a prendere il sole”
Gli rispose il trolley rigido con le ruote: “ Hai proprio ragione, però io ho le mie ruotine, faccio più fatica di voi, quindi lamentona smettila di frignare”
C’era anche Baracacus, una valigia grande come una montagna, rigida come un tronco, piena di muscoli ma fifona più di uno struzzo, tremava di paura dicendo: “ ma non è che dopo il pullman ci fanno prendere l’aereo? Ho paura di volare aiutatemi”
Trolley rispose scompisciandosi dalle risate: “ ma cosa stai dicendo fifone, mica prendiamo l’aereo, tranquillizzati e se anche fosse, una bella botta in testa e non ti accorgi di niente!!”
Tutto il coro delle valigie scoppiò in una fragorosa risata mentre, il povero Baracus, per sicurezza, si legava allo sportellone.
Poi intervenne Mirca, la valigia morbida:“Siete proprio delle valigie noiose, avete sempre qualcosa di cui lamentarvi, i vostri padroncini vi hanno dato troppi vizi. Io invece mi ero proprio stufata di non fare nulla, di rimanere ferma tutto il giorno a sentire i vostri discorsoni sulla moda valigie 2006-2007, sul colore di tendenza, sulla corazza rigida o morbida e sulle ruote più veloci ed ergonomiche. Non sapete mai parlare di qualcosa di serio voi.. Preferisco tornare a casa dai miei amici, il letto Grillo, la scopa Tobia, l’aspirapolvere Soffffio, sono tre mesi che mi aspettano. Loro si che potrebbero lamentarsi. Non hanno neppure tempo per giocare alla playstation. E poi, mi chiedo, come si fa a sentirsi bene senza fare nulla?”.
Le valigie salirono insieme sul pulmino, continuando pacatamente la loro discussione, in fondo è giusto rispettare le opinioni di tutti.
Solo Baracus se ne stava aggrappato al portellone … non si fidava e al solo pensare all’aereo preferiva una botta in testa!!!!
CAP 29
LA FINE DELL‘ AVVENTURA
La colazione era finita, le valigie proseguivano la loro discussione sul pullman, ogni bambino aveva preso posto per la partenza.
Prima di allontanarsi, gli occhi colorati dei bambini si soffermarono su mamma casa che li aveva accolti per settimane, sul lago e le sue sfumature argentee, sul campetto da pallone, le altalene, quegli occhi sprigionavano la malinconia tipica di questi momenti quando saluti con il cuore qualcosa che forse temi di non rivedere più e cerchi di fissare questi fotogrammi nel cuore per paura di cancellare qualcosa di importante.
Dalla Terra del Fuoco, punto di arrivo del nostro viaggio, si ritornava verso casa, anche se un viaggio non finisce mai, continua nelle nostre emozioni, dentro di noi attraverso i ricordi, le sensazioni e le emozioni.
Luca e Kevin, sul pullman, erano seduti uno accanto all’altro, e in questi momenti Ke avrebbe voluto dire un sacco di cose intelligenti, ma non gli riusciva di dire niente, come quando aspetti un importante partita di pallone per mesi, sogni ti fare sfracelli e poi sbagli le cose più facili, senti le gambe molli e non capisci il perché.
Più il pullman si allontanava dalla casa, più Kevin vedere diminuire il tempo con i suoi ragazzi, quindi cercava di succhiare il midollo di questi attimi in
profondità, non lasciando nulla.
Ke strappò una promessa a Luca: “ Ci sentiremo spesso, anche più volte a settimana, ti telefonerò, mi telefonerai, ti verrò anche a trovare e tu?”
E Luca rispose sincero “ Non essere triste, non ti preoccupare…”, Luca era di poche parole, era fatto così, preferiva giocare a top, forse era un modo per non mostrare le proprie emozioni; ma in quel momento emergeva l’ insicurezza di Ke che si chiedeva se forse era lui a tenerci troppo, se forse a Luca non interessasse poi così tanto.. Kevin temeva che questa fosse l’ultima volta.
Anche il panorama che si scorgeva dal finestrino mutava come l’umore di tutti i ragazzi, dal blu del lago, dal verde degli alberi, dai colori accesi del luogo di villeggiatura, al grigio e cupo colore della città, piena di caos, di rumori e di smog.
Intanto il pullman era giunto a destinazione, in quel palazzetto che era stato il luogo dell’ energia di inizio dell’ avventura e che ora cambiava il suo vestito.
Vennero ripetuti gli stessi gesti dell’andata, ma al contrario, lo stesso posto, ma svuotato dell’ allegria, lo stesso luogo che però cambia in base alle nostre emozioni ed alle situazioni, siamo noi che coloriamo gli attimi.
Quel momento che tanto aveva temuto e pensato era avvenuto in un battibaleno, avrebbe voluto dire tante cose, ma si sentiva svuotato e stanco, come se avesse corso per giorni nel deserto senza bere nulla.
Luca e Kevin si lasciarono, occhi negli occhi, e Ke non riuscì a trattenere le lacrime, era fatto così..
Non aver mai paura di piangere, non bloccare il fiume dell’anima, in fondo un grande che piange si fa bambino.
CAP 30
NOSTALGIA
Era ormai ata già una settimana dal ritorno e Kevin non riusciva proprio a riacquistare il suo equilibrio.
Aveva ritrovato la sua casa, che in questo momento i suoi pensieri non riuscivano a colorare, il suo giardino che, spesso era diventato, nella sua fantasia di bambino, la nave del pirata Long John Silver o la sua fabbrica di giocattoli… Ritrovava la sua scatola di colori che ora riposava, i suoi orologi che giocavano, il suo scarafaggino che era nascosto chissà dove
... Ke nonostante tutta questa animazione si sentiva solo..
Se ne stava come inebetito nella propria stanza, cercando un antidoto alla malinconia, neppure i libri riuscivano in questo intento, i suoi amati romanzi attraverso i quali sin da fanciullo riusciva a fuggire dal pianeta della solitudine e dalle sue insicurezze.
Scorreva le pagine per poi ritornare indietro e rileggere più volte lo stesso o, la sua testa era tutta da un'altra parte, allora si rifugiava davanti alla tv ed anche nelle immagini rivedeva il suo film, il regista era la propria mente, i protagonisti i suoi ragazzi.
Anche il suo fisico sembrava svuotato di ogni energia, aveva dato tutto nella colonia ed ora il suo corpo chiedeva una pausa, ma nonostante questo Kevin vagava insofferente da una stanza all’altra della grande villa senza trovare meta.
Gli mancavano le voci dei bambini, le canzoni, i sorrisi, i giochi, la piscina, i balletti, la colazione, la cena e il pranzo insieme; si sentiva straordinariamente vulnerabile, guardava le stelle e vedeva gli occhi di Luca, si addormentava e sognava il suo sorriso, si svegliava e si specchiava in una sua fotografia.
Si dice spesso che il tempo è come un medico di grande fama, che riesce a lenire tutti i mali, ad allontanare la tristezza, a scacciare la malinconia, a fare dimenticare a poco a poco le emozioni, a rendere più accettabile e sopportabile il distacco.
In questo momento l’unico alleato di Kevin, Mr. Tempo sembrava si fosse dimenticato del suo ruolo terapeutico, le lancette parevano muoversi con la lentezza di una tartaruga, Miss Noia la faceva da padrona apparendo all’improvviso.
Miss Noia se ne stava seduta nella sua stanza, con i suoi capelli d’oro, ne signora ne bambina, facendo compagnia a Kevin disorientato e quanto mai in crisi.
Si dondolava sulla sedia ritmicamente, come una nenia, Kevin doveva uscirne fuori, ma non era semplice, doveva ritrovare i colori, l’entusiasmo, un obiettivo, un nuovo progetto, stimoli nuovi..
In questo momento, per Kevin, era come soppravvivere…
CAP 31
IL FOLLETTINO DEI DESIDERI
Il bambino era ritornato a vivere nella sua grande città e fu colpito dai colori: in colonia aveva imparato a distinguere il verde scuro della magnolia dal verde smeraldo del prato, il rosso magenta dei pomodorini dal rosso cremisi delle rose, il profumo dell’aria, da quello dei fiori...
In colonia, aveva imparato a tirare fuori i colori che aveva dentro, a fare il pittore...
Ora era ritornato nel grigio della città, ad annusare un’aria pesante, carica di smog a cercare un fiore, a sentire il rumore delle macchine e dei clacson che risuonavano all’impazzata. Non avvertiva neppure gli uccellini cinguettare...
Gli mancavano le coccole di Ke, il gioco delle parole, le strofe delle canzoni ripetute più volte, la lotta, i giochi, il pallone, i sorrisi.
A differenza dei grandi, quando i bambini si trovano in difficoltà, arriva in soccorso la loro sconfinata fantasia.
Un folletto se ne stava là, sdraiato sul davanzale, poi spariva ed un attimo dopo riappariva sulle sue spalle a fargli il solletico.
Era il folletto dei desideri.
Un follettino tutto vestito in modo sgargiante, con un cappello giallo da nano, un abitino arancione con la cinturina gialla, e un paio di stivaletti rossi, il suo visino era ornato da una bellissima e rilassante barba bianca, gli occhi di un azzurro talmente intenso da sembrare quasi irreale. Il folletto si rivolse al bimbo con estrema delicatezza dicendo: “ Ciao Luchino, perché sei così triste... Cosa c’ è che non va ? non voglio vederti così“ e faceva capriole di tutti i tipi per farlo ridere.
“ Sai, caro folletto, (i bambini non si stupiscono per un folletto, lo conoscono da sempre) vorrei avere dei poteri che mi aiutassero a ritrovare l’ allegria, vorrei poter dare alla gioia uno spazio lungo, invece i momenti belli sembrano volare via alla velocità della luce, vorrei imparare a essere sereno all’ infinito, a non preoccuparmi di quello che verrà , ad imparare a vivere l attimo senza farmi sempre inutili domande ”, disse il bambino che nonostante l’ esibizione del folletto non riusciva a ridere. Perché Luca fin da bambino presentava dei tratti dei grandi, si faceva mille domande, troppe domande, non si piaceva, era insicuro, si guardava allo specchio ed avrebbe voluto spaccarlo, in realtà a detta dei suoi amici aveva un sorriso bellissimo ma Luca si accorgeva solo del negativo.
E allora, il folletto estrasse dal suo taschino un sacco di cose: (sembrando quasi Eta Beta): pastelli, pennarelli, forbici, temperini, giochi, pozioni magiche.
Si immerse in un profondo silenzio, e pronunciò con voce bassa il sortilegio:
“ Ne pueri desinant umquam somniare... “ e lanciò una manciata di polvere magica su Luca, che per un istante fu avvolto da una nuvoletta colorata, sembrava quasi che in quella nuvola fossero confluiti tutti gli sguardi colorati e così diversi di tutti i suoi compagni di avventura, perché ogni sguardo di bimbo è unico, speciale e colora tutto creando nuvolette multicolore.
Il folletto si rivolse poi a Luca, dicendo in tono molto dolce: “ Quanto ti senti solo e triste, basta che chiudi gli occhi e immagini ciò che ti fa sentire bene” poi continuò sottovoce quasi svelasse un segreto: “ Basta che quello che desideri venga dal tuo cuore, è lì che hai conservato il potere dei tuoi sogni , le tue emozioni, il tuo sorriso, gli occhi del tuo amico...Tutto parte dal tuo cuore...”
E da quel momento, da quel giorno magico in cui tutti gli occhi degli amici si libravano nell’aria in una scia multicolore, e il folletto gli aveva fatto visita, Luca, quando si sentiva un pò triste non aveva che da chiudere gli occhi ed aprire il cuore, ed allora giocava a pallone con Kevin , sentiva i due amici cantare insieme, si addormentava con le coccole dell’ amico, si svegliava e nel sole vedeva il sorriso di Ke, sentiva i cori degli amici, correva con loro, ritrovava l’amore e l’affetto che colorava tutto.
Bambini, basta che ognuno di voi si armi di una corda e di un secchio: il pozzo dei desideri a dai vostri occhi colorati e raggiunge il vostro cuore.
CAP 32
IL RAP DEL QUADERNINO
“ Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti, e tu Sei piccolino...”, il quadernino non era mai stato così contento, ballava e cantava al ritmo del suo entusiasmo mentre Kevin lo guardava divertito.
Non capita tutti i giorni di vedere un quadernino danzare scatenato, trasformando un’intramontabile successo musicale in chiave hip hop.
Poi, il quadernino disse a Ke a tempo di rap: “Bella Kevin, Ho camminato, ho conosciuto tanti bimbi, yeah, sono pieno di colori. Sfogliami, e dai sfogliami, oh yeeee”.
“Anche il mondo dei quadernini è ben strano” penso Kevin.
Ed allora Ke, finalmente riuscì a tirare fuori un sorriso e, delicatamente, prese tre le mani il piccolo rapper in erba e iniziò a fargli il solletico.
“sfogliami, eh dai sfogliami, yeahhhhh”.
E’ bello avere un amico che ti fa tornare il sorriso, che nei momenti di solitudine e di crisi è disposto ad ascoltarti e a lenire le tue ansie, anche un quadernino di pelle nera pieno però di colori e di storie.
Rilesse quello che avevano scritto alcuni dei suoi bambini:
Ciao Ke, sono Samuele, tu per me sei come papà, ti voglio bene anche se a volte ti arrabbi. Tu sei l’educatore più bravo del mondo, anzi della terra; ti ho regalato la mia collana perché ogni notte mi pensi: spero che tu ti ricorderai di me. Insomma io ti voglio bene e non so come dirtelo, poi siamo anche dello stesso segno.
Ed allora, Ke strinse la collana di Samu e lo sentì più vicino.
“sfogliami, dai sfogliami again…Bella bro”
Incitato dal rapper continuo a sfogliare il suo quadernino e tra mille disegni lesse un'altra letterina:
Ciao Kevin, per me sei il migliore educatore del mondo, sei bravo, paziente e simpatico, e quando c’è da arrabbiarsi non ti arrabbi mai esageratamente; ci fai a volte fare cose che gli altri non fanno, tipo di notte ci fai vedere i botti quando ci sono, ci fai stare un pò di più in piscina, ci fai fare esercizi invece di stare in camera ad annoiarci a far niente, fai sempre quello che puoi per farci belli ed eleganti. Ciao, ti voglio molto bene Giovanni.
Il nostro Kevin trovò questa letterina unica, chiuse gli occhi, (come aveva imparato dal folletto) il canale primario di comunicazione con il cuore e sentì Giovanni vicino a sé come quel giorno in cui avevano parlato e si erano confidati creando un legame profondo e sincero, poi continuò, ando ad un’ altra letterina:
Caro Ke, non mi mancherai perché, dato che ti telefonerò o mi telefonerai quasi tutti i giorni sarà come averti qui con me sempre in tutti i momenti. Il tuo Giacomo
Poi concluse con la letterina di Luca che secondo il suo stile si limitava ad una sola frase, perché preferiva dimostrare con i fatti non con le parole:
“ Ti voglio tanto bene. Luca”
CAP 33
IL BAMBINETTO DAI CAPELLI D’ ORO
Era ato ormai più di un mese; i giorni scorrevano uguali, lenti e monotoni, la pioggia cadeva incessantemente profumando l’aria intensamente l’aria, il cielo era gonfio e scuro, proprio come il cuore e gli occhi di Kevin che continuava a sentire la mancanza dell’ allegria, della condivisione, e soprattutto di Luca.
Purtroppo i grandi si rassegnano presto, non provano quasi mai a inseguire un emozione, a rincorrere un sogno.
Anche Ke sembrava quasi apatico e rassegnato fino a quando, un bel giorno, chissà dove, fece un incontro inaspettato che gli cambiò le prospettive.
Incontrò un fanciullo bellissimo, un bambinetto dolcissimo, con i capelli colore dell’ oro, gli occhi di un azzurro così intenso che nessuno dei suoi colori gli somigliava; sul suo viso risplendeva sempre un sorriso ingenuo, che Kevin così bello non aveva mai visto, l’ espressione era di grande serenità...
Solo la vista di quel bambino restituì a Kevin il sorriso.
Il fanciullino lo fissava senza dire nulla, anche se a volte uno sguardo vale più di mille parole.
Kevin si rivolse sottovoce al bambino, con dolcezza, come quando da piccolo succhiava ansiosamente dal bianco tubetto il latte condensato (non esiste nulla di più dolce al palato di quel nettare zuccherino):
“ Chi sei splendido bambino? sei forse un angelo?“
Il piccolo si avvicinò, sembrava quasi danzare e si sedette sulle gambe di Ke:
“E’ venuto il tempo di partire, scavare dentro di te, metterti in ascolto.. Sono qui per annunciarti un nuovo viaggio…”
Kevin accarezzò dolcemente il bambino, sembrava quasi di stringere tra le braccia un neonato,non sapeva come prenderlo, come abbracciarlo, cosa dire, aveva quasi timore di fargli del male.
“ Piccolo, che mi vuoi dire... Non ti capisco.. “
Il fanciullo dal sorriso del sole, dai capelli del grano guardò con i suoi occhi sinceri Kevin dicendo:
“ Ascoltami,chiudi gli occhi, ritorna bambino, io sono sempre con te ma a volte non te ne ricordi più. Non smettere mai di sognare, credi nei tuoi desideri, non rinunciare a sperare,
lotta per quello in cui credi, per le cose veramente importanti, usa il tuo pozzo dei desideri, ristabilisci il canale che lega i tuoi occhi al tuo cuore, ritrova quel Kevin che con i suoi occhi indaco parlava ai bambini e alle cose..”
Kevin bambino parlava a Kevin adulto , gli rivelava il segreto della felicità spontanea dei piccoli: “ se ti senti solo, triste, se non sai che fare, se credi ancora nei tuoi sogni, chiama quel bambino ,che è dentro di te relegato in un angolino, lui ti aiuterà a realizzarli!”
CAP 34
NON SMETTERE MAI DI SOGNARE!!!
Kevin adulto, ma bambino, salì su quel treno e partì per il viaggio dei suoi desideri spinto dalla devastante potenza dei suoi sogni.
Non bisogna mai smettere di viaggiare, di doppiare la Terra del Fuoco, di attraversare un nuovo oceano senza una direzione precisa, se non quella dei propri sogni spinti dal vento della fantasia.
Il treno correva veloce e, come le immagini di un film, il paesaggio mutava in un istante: attraverso i vetri si scorgevano dapprima le acque azzurre del lago, tante case sconosciute con mammine a stendere i panni, fino al grigio dei colori della città.
Il treno sbuffava ma continuava a volare; anche Kevin si librava nell’aria spinto dal viso di quello splendido fanciullo biondo e le sue parole riscaldavano il suo cuore più di mille regali “ Credi nei tuoi sogni..”
Intanto il treno rallentava la sua corsa sbuffando, la stazione era lì a pochi i dal suo cuore.
Kevin scese senza una destinazione precisa, guidato dal sorriso della sua
infanzia, un sorriso più caldo dell’estate.
Continuò a camminare trasportato dalla forza della sua ingenuità, fino a quando incrociò uno sguardo, degli occhi unici, un sorriso che era nel suo cuore e mai aveva scordato.
Gli occhi di Kevin diventavano quelli di Luca, gli occhi di Luca diventavano quelli di Kevin, i due amici si ritrovarono così, spinti dalla loro grande amicizia.
In una grande città, il destino aveva fatto incontrare un adulto ed un bambino, incredibile quasi come cercare un primula tra mille primule, come inseguire un granello di sabbia nel deserto.
Da quel giorno il bimbo e l’adulto che si era fatto bambino non si lasciarono più, arono momenti fantastici insieme credendo nella loro amicizia.
Ci sono tanti problemi nel mondo, ma la soluzione è dentro di noi, in quel bambino con il caschetto biondo, con gli occhi colore del cielo ed il sorriso più caldo e luminoso del sole che ci sussurra ingenuamente di credere nelle favole!!!
Appendice
Noi bambini
“andare a scuola divertendosi”
Si potrebbe iniziare la lezione andando tutti a scuola in bicicletta ad osservare la natura e ad imparare a rispettare i cartelli stradali. In classe potremmo leggere per trenta, quaranta minuti i giornalini a fumetti e poi farne il riassunto; tanti disegni per ideare un mondo a misura di bambino; cantare le canzoni di cantautori per poi discuterne insieme su ciò che si pensa. Si potrebbero aumentare i minuti dell’intervallo; costruire con la ceramica vasetti ornamentali da vendere alle feste, e con il ricavato aiutare i bambini degli orfanatrofi e gli anziani nelle case di cura. Nelle ore di educazione motoria giocare a squadre a pallacampo, calcio, basket, e per finire pranzare con i cibi cucinati da noi bambini, e di pomeriggio tutti a casa. Che meraviglia! E’ solo un foglio con un grande desiderio di un bambino piccolo.
Gianluca
Cosa cambieresti della scuola se tu fossi insegnante e l’insegnante fosse
l’alunno?
Mi piacerebbe fare il maestro perché così faccio dei lavori, e poi imparo a diventare bravo, io aiuto la mamma a pulire le stanze della casa e metto a posto i giocattoli, io faccio i compiti la Domenica, io la Domenica gioco a calcio, a basket, io vado a scuola e scrivo dalle 8.30 fino alle 16.30 e alle ore 12.30 mangio a scuola con i miei compagni, giochiamo quasi tutte le volte a mago ghiaccio, io sono forte a pallacampo e anche gli amici e amiche, io da grande mi compro una macchina e per la moto non sono sicuro se la compro perché quando piove puoi scivolare oppure ti rompi la testa e per quello è pericolosissimo, a me piacerebbe diventare Cicciobomba.
Julian
Quando sono veramente felice e contento
Io sono molto felice quando gioco in compagnia, oppure quando gioco al computer o a Nintendo, oppure quando gioco a calcio con i miei compagni e con il mio papà. Certi sono felici quando vincono, invece quando perdono piangono, si disperano come se fosse morto qualcuno, invece c’è qualcuno come me che se perde non ne fa una tragedia ma l’accetta. Io devo dire, che sono sempre felice e contento, anche un po’ troppo, e pensare che c’è qualcuno, che non è mai né felice né contento. Di solito, io sono sempre felice perché sono circondato di amici e quindi so che, se succede qualcosa, loro sono con me a consolarmi e aiutarmi. Uno è contento quando riesce ad aiutare qualcuno oppure quando riesce a raggiungere un obiettivo facile o difficile.
Ma io penso che tutti debbano essere felici e contenti, ma i ragazzi del terzo mondo o soldato saranno mai felici e contenti?
Matteo
Quando mi sento infelice
Ci sono volte in cui mi sento infelice e cerco di riflettere su ciò che mi succede. Avviene quando la maestra mi riprende perché non sono attento a scuola, oppure per le punizioni che mi danno il papà e la mamma. Mi rende molto infelice saltare gli allenamenti di calcio o sentire i bambini che soffrono per ingiustizia o per fame. Per superare la mia infelicità cerco di incoraggiarmi, ascoltando i consigli delle persone che mi stanno vicino e mi vogliono bene, in modo particolare i miei genitori.
Nicolò
Ti piacciono le coccole? Pensa che alcuni bambini non ce le hanno.
A me piacciono le coccole, quando me le fanno, ma a pensare che alcuni bambini non ce le hanno perché non hanno la mamma, o il papà o perché ritornano tardi la sera, o perché sono in guerra o i bambini del terzo mondo che devono pensare a lavorare per guadagnarsi da mangiare. A me dispiace di questi bambini, se potessi far qualcosa di utile per farli sentire
meno soli e tristi, purtroppo anch’io sono un bambino e non posso fare niente per aiutarli.
Stefano
I diritti del bambino
Per me i diritti di un bambino sono delle cose per il loro bene e quindi sono giusti ed essi sono riportati in un documento valido per tutto il mondo. I diritti più importanti sono :
il poter vivere e crescere bene il poter giocare il diritto di parlare ed esprimersi a modo loro un altro è il poter stare bene in compagnia di altri bambini il diritto di avere una mamma ed un papà il diritto di non essere coinvolti nelle guerre
Per me questi che credo siano dei diritti di un bambino sono giustissimi. Un bimbo quindi deve poter fare tutto ciò che vuole tranne le cose sbagliate che sono quelle che i genitori ti impediscono di fare. A volte si sente che i genitori sfruttano i bambini, gli fanno fare cose faticose, violente, cose che un bambino non dovrebbe neanche sapere che cosa sono.
A proposito di genitori, a volte i bambini si lamentano perché i genitori non gli fanno fare delle cose, ma i genitori non gliele fanno fare per il loro bene. I diritti del bambino vengono rispettati dai miei genitori, ma in Africa ci sono bambini che vengono obbligati a fare guerre o lavorare: questa è un’ingiustizia! Perché tutti non ci impegniamo a far smettere queste ingiustizie? Aiutiamo i bambini soldato e quelli che vengono sfruttati!!!!
Matteo
Come sono i grandi
Il difetto di molti grandi è di non capire le parole dei bambini, quindi, in un certo senso, li offendono, perché i grandi dopo che non hanno capito non li fanno parlare e l’esprimersi è un diritto del bambino. Poi, a volte, sono un po’ troppo affettuosi, perché quando si gioca grande contro piccolo , il grande lascia vincere il piccolo e questo al bambino non piace. Poi a volte capita che a un grande piace di più un bambino che un altro, e quello che piace di meno è un po’ come escluso e quindi sarebbe meglio che tutti piero allo stesso modo al grande, e che il grande li valutasse tutti allo stesso modo. A me il grande piacerebbe valutasse tutti in modo uguale e che non avesse preferenze per uno più bello, più simpatico, più spiritoso, più bravo.
Luca
I diritti del bambino sono
Il bisogno di divertirsi con gli amici, e a volte succede, quando si sta in gruppo o in altri momenti della vita. I diritti del bambino sono tanti, ma a volte certi bambini credono di essere già grandi, incominciano a fumare, frequentare gente non tanto brava, ad essere impacifici ed è questo un brutto difetto della vita di oggi. Per il futuro, anche se la scuola è molto brutta, è importante andarci, perché serve a capire la vita dell’uomo, il linguaggio, il comportamento che oggi certe persone non rispettano come la vita civile. Un bambino a volte cresce di statura, di fisico ma la cosa più importante della nostra vita è crescere con il cuore che serve ad amare la gente ma soprattutto le persone a cui teniamo e crediamo in loro e quando hanno bisogno li dobbiamo aiutare con il cuore perché gli vogliamo tanto bene.
Juggi
Sono felice quando…
Io sono felice quando un grande non mi dice cosa devo fare, quando ad ogni mia richiesta loro mi rispondono: “si”. Sono felice quando gioco a calcio con i miei amici, quando vinciamo u a partita difficile, quando durante le partite la squadra funziona e l’allenatore è contento di noi e quando gioco bene e faccio gol. Quando nessun amico e parente sta male, quando tutte le persone del mondo stanno bene; quando in casa siamo solo io e mio fratello e possiamo giocare a Nintendo 64, possiamo guardare la tv, giochiamo in casa con la pallina e guardo
le partite di calcio. Quando sono con i miei amici e quando leggo i topolini.
Guido
Quando sono triste
Di solito le cose che mi fanno intristire sono la morte di qualcuno e quando qualcuno sta molto male. Quando sono triste mi sento male e depresso e certe volte mi viene anche da piangere e anche se non c’è motivo mi sento arrabbiato e ho voglia di picchiare chiunque, non ho voglia di mangiare, poi se mio fratello mi disturba e mi prende in giro impazzisco.
Riccardo
Quando sono triste
Io mi sento triste quando sono messo da parte dai miei amici e altri. A Milano, da mia zia, ci sono dei bambini che non mi vogliono far giocare con loro, perché dicono che non sono di là e per quello sono triste. Ma, quelli che tengono da parte i propri amici io li definisco degli egoisti e dei dispettosi. Ci sono anche quelli più grandi che, quando ti mettono da parte, se ne fregano
come è successo a me l’anno scorso. Io tre anni fa ero venuto qui ad abitare, e quando sono andato in seconda elementare, tutti i compagni non mi facevano giocare con loro, perché dicevano che venivo da un altro paese e pensavano che non ero come loro, e per una settimana sono stato tutti i giorni da solo, perché gli altri mi ignoravano, ma io facevo finta di niente. Anche a me, certe volte, capita di fare diventare triste qualcuno, senza accorgermi di quello che gli dico.
Maurizio
Se tu fossi un adulto, cosa faresti se un bambino parla poco ed è triste?
Lo aiuterei, gli darei da mangiare, uscirei con lui a giocare, per riconoscerci, gli comprerei dei giocattoli, andrei insieme a lui ai baracconi, gli comprerei un gelato, gli comprerei dei giochi, lo porterei al ristorante e gli darei tutto quello che vuole, cercherei di portarlo allo stadio, a vedere le partite della Juve, e gli farei imparare a studiare, leggere e scrivere e gli farei imparare a fare i calcoli e poi gli farei imparare tutte le squadre di calcio di serie A, B,C,D e per aiutarlo meglio gli comprerei anche l’album, gli farei imparare anche le squadre che partecipano ai mondiali, e gli farei studiare tutta la nostra città, lo farei diventare un giocatore come Ronaldo, da grande, quando crescerò, gli comprerei una casa, una moto, una macchina, gli comprerei dei vestiti e delle scarpe, lo porterei in una vacanza di tre mesi e lo farei iscrivere a calcio, e lo porterei a scuola e anche dai suoi amici, gli farei conoscere qualche ragazza.
Alvaro
Inventa un racconto dove tutto parla (piante, fiori, le cose, il sole, gli animali)
C’era una volta, tanto tempo fa, un mago che gli piaceva molto la natura, allora decise di fare una pozione che, quando veniva versata su qualcosa, le cose si animavano. Il mago, dopo aver preparato attentamente la pozione, salì sul suo super aereo, così dall’alto la pozione sarebbe direttamente sulla natura. Dopo un po’ di anni, la pozione, comincio ad avere i suoi primi effetti: gli alberi misero gli occhi, i rami diventarono braccia, i fiori si stavano muovendo e cantavano. Ma purtroppo, nel frattempo, il mago era morto, così non vide gli effetti della pozione. Un giorno, un bambino, ando per il bosco, vide gli alberi muoversi, allora pensò di chiedere loro di fare amicizia. Il bambino chiese all’albero :“ Perché parli, ti muovi come fossi un umano?” “Perché un vecchio mago ha versato una pozione magica, però non sappiamo quanto durerà” I due fecero amicizia e intanto la pozione perdeva potere. Un giorno, il bambino, dopo la scuola, andò nel bosco per giocare con il suo amico albero. Arrivato dal suo amico albero, vide che non parlava più. Allora il bambino capì che la pozione aveva perso tutti i suoi effetti. Il bambino dispiaciuto costruì una capanna sul ramo, così rimase comunque con lui. E anche se non parlava, il bambino visse felice e contento nella sua capanna.
Thomas
L'Autore
Ivan Maruzzi (Domodossola, 1972) è educatore, istruttore sportivo. Consegue la laurea in scienze dell’educazione presso l’università degli studi di Torino nel 2001. Ha lavorato in vari contesti educativi come animatore, educatore di comunità, centri di aggregazione giovanile e progetti scolastici, ha fatto per anni l’istruttore di calcio in diverse realtà. Questo è il suo primo racconto.
Indice
Premessa CAP 1 CAP 2 CAP 3 CAP 4 CAP 5 CAP 6 Cap 7 Cap 8 CAP 9 CAP 10 CAP 11 CAP 12 CAP 13 CAP 14 CAP 15 CAP 16 CAP 17
CAP 18 CAP 19 CAP 20 CAP 21 CAP 22 CAP 23 CAP 24 CAP 25 CAP 26 CAP 27 CAP 28 CAP 29 CAP 30 CAP 31 CAP 32 CAP 33 CAP 34 Appendice L'Autore Ringraziamenti
Ringraziamenti
Questo racconto l’ho scritto ben quindici anni fa, dopo una colonia che mi aveva ispirato come non mai.
E’ rimasto nel cassetto per tutto questo tempo per poi riapparirmi magicamente e chiedere di essere pubblicato.
In fondo “Raccontare è un po’ come resistere”, è il miglior antidoto alla dimenticanza, è un modo per lasciare una traccia nel futuro.
Questo racconto parla della mia infinita ione per il mondo dei bambini, a i quali ho dedicato tutta la mia vita, spero che li lo leggerà potrà cosi conoscermi meglio.
Ringrazio prima di tutto i bambini che mi hanno ispirato questa storia, che mi hanno fatto sorridere e mi hanno emozionato, che sono stati i miei insegnanti di vita con la loro ingenuità e il loro dirti le cose in faccia mi hanno permesso di credere nelle cose, ringrazio i ragazzini dell’ oratorio che in questi giorni mi stanno facendo rivivere, un ringraziamento speciale va a Lapo Pulcini, che con il suo viso d’angelo ha reso la copertina speciale, a sua mamma Alessia Bodei e a Giuseppe Jo per la stupenda cover, ringrazio altresì il prof Massimo Lualdi per le consulenze e la mia maestra preferita Stefania Delloro per il sostegno e l’aiuto, ringrazio la mia famiglia mamma Lina e papà Gianni perché mi sopportano tutti i giorni, il mio nipotino Vittorio perché questo racconto è scritto pensando anche a lui, a Sara e Paolo…