Mario Balbi
Incompiuter
Tutto quello che avresti voluto sapere sul computer, non hai mai osato chiedere, né saprai mai
EDIZIONI YOUCANPRINT.IT
Copyright © 2012
Titolo | Incompiuter
Autore | Mario Balbi
Immagine di copertina | Mario Balbi
ISBN: 9788866187790
Prima edizione digitale 2012
YOUCANPRINT EDIZIONI
Via roma 73 - 73039 Tricase (LE)
Tel. 0833.772652
Fax. 0832.1836533
[email protected]
www.youcanprint.it
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’editore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941
A Floriana, che mi ha insegnato
ad apprezzare la mia metà Vera
e ad accettare l'altra metà Falsa.
A Giuliana e Riccardo,
che mi hanno insegnato a farle
convivere in armonia.
“Dopo aver tanto letto… ora scrivo io.
È nato un nuovo giorno”
Ing. Paolo
“Dopo tanto letto… ora mi alzo.
È quasi mezzogiorno”
Geom. Gennaro
Indice
Anacenosi
Turn On
Bootstrap
Il Processore
La Memoria
Tastiera
Software
Alimentatore
Mouse
Virus
Internet
Shut-Down
Glossario
Anacenosi
C'era una volta un signore che sosteneva che il sole e tutti i pianeti noti girassero intorno alla Terra. Gli umani, non avendo prove concrete, o forse solo per autocompiacimento, gli credettero. Dopo un bel po' di tempo un altro signore smentì il precedente, sostenendo che il tutto girava, sì, ma non intorno alla Terra, bensì intorno al sole, Terra inclusa. Gli umani ci rimasero un po' male: questo nuovo fatto causò un duro colpo al loro egocentrismo ma, da persone pacifiche e rassegnate, credettero anche a questo secondo signore. Non sappiamo se ci sarà un terzo signore che, in un remoto futuro o in un presente preoccupantemente imminente, ci racconterà che i due tizi di prima si sbagliavano e che in realtà la situazione è diversa. Fino a prova contraria crederemo al secondo, ma qualche volta, badate solo qualche volta, ci piace pensare di essere noi stessi al centro dell'universo e, poiché le orbite sono ellittiche, i centri sono in realtà due. Se in un fuoco mettiamo noi stessi, chi c'è nell'altro?
Turn On
È una mattinata luminosa e serena. Un uomo cammina con o deciso sul viale alberato ed ombroso che porta agli uffici; scruta il cielo azzurro tra le foglie: teme che il caldo, già discreto di buon mattino, potrà aumentare nel corso della giornata. La fresca camicia di lino gialla non riesce a nascondere del tutto una lieve pancetta che mette a dura prova il bottone situato all'altezza dell'ombelico. Forse la camicia è di una taglia in meno, o forse il vezzeggiativo usato nella frase precedente non è del tutto esatto. Di tanto in tanto si allarga il colletto della camicia con una mano. Con l'altra si sventola usando dei foglietti di carta che reca con sé dall'uscita di casa. Durante il tragitto scansa con maestria i numerosi prodotti di cani in stato di bisogno fisico e di altrettanti proprietari in stato di carenza civica. È arrivato. Sale con piglio atletico i cinque gradini che lo portano su di un falso piano terra e… sbianca in volto. C'è molta gente oggi. Molta di più di quanto si sarebbe aspettato se avesse azzardato una previsione pessimistica. Per fortuna la pazienza è una delle sue virtù e rassegnato si avvicina mogio all'ingresso. Si accorge che, se non avesse affrettato il o, un altro avventore avrebbe potuto guadagnare l'ingresso prima di lui. Fa un leggero allungo di pochi i, et voilà: brucia l'avversario sul tempo ed imbuca per primo la porta dell'ufficio. Si dirige deciso, con non poco lavoro di gomiti, tanti “permesso”, “scusi” e qualche pestone, verso un apparecchio giallo che, alla pressione del pulsante, sputa fuori un foglietto di carta. Per terra, come succede troppo spesso. Si china per raccoglierlo e legge: il viso, che nel frattempo gli è ritornato del colorito naturale, sbianca di nuovo. Il geometra, questo proprio non se l'aspettava.
Bootstrap
Il display si aggiorna:
[bip: numero 42, sportello 3]. «Attrezziamoci, che qua facciamo notte!» esclama il geometra spazientito. Era successo altre volte che trovasse fila alle poste, ma oggi c'è davvero una folla insolita. «Siamo ancora al 42 e io tengo il numero 100» esclama rivolgendosi al signore di fianco. Si sente in gabbia, ma sa che la gabbia ha lo sportello aperto: deve solo decidere se varcare la soglia e uscire alla luce del sole o rimanere nella gabbia affollata. Soppesa la contromarca sputatagli per terra dall'apparecchio giallo e pronuncia sottovoce qualche incomprensibile rito magico come faceva quand'era bambino. La magia non funziona, il 100 non è cambiato ed il 42 rimane impunemente illuminato. Decide infine di rimanere ma, come in una sorta di compensazione della scelta fatta, sbotta: «Mannaggia a me che non tengo il compiuter. Tutti i miei amici me l'hanno sempre ripetuto: “Comprati un computer e fatti un conto on-line, così tutti i pagamenti li fai comodamente da casa tua, anche alle undici di sera”. Giuro che appena esco da questo maledetto ufficio, vado a comprarmi 'sto compiuter e con tutto che mi ha fatto sempre paura, me lo imparo; dovessi metterci...» pensa ad un tempo plausibile, «... una settimana!» Sollevato dal secondo rito, più liberatorio, si rivolge ancora alla persona al suo fianco: «Permette? Sono il geometra Gennaro
, molto lieto!» « Ingegnere Paolo
, il piacere è tutto mio. Ho ascoltato il suo sfogo di poco fa e se mi permette, caro geometra, con tutto il rispetto, credo che una
settimana per imparare l'uso del computer non le basti. Anche se vuole usarlo come semplice strumento, c'è tutta una serie di concetti che deve apprendere se vuole adoperarlo al meglio. Deve, per esempio, conoscere cosa è un processore, come funziona la memoria e perché è meglio utilizzare un programma anziché un altro. Insomma, non può mettersi davanti ad un computer e pretendere di poterlo usare da subito. Se lo lasci dire da uno che lo usa tutti i giorni». «'Ngegné, e perché non me lo spiegate voi?» Preso dal panico, Paolo osserva con gli occhi del pentimento la grossa zappa che ha maldestramente manovrato sulle sue scarpe lucide, poi alza gli occhi al soffitto. A parte una pala ingiallita dal tempo e dalla nicotina che gira pigramente, nessun appiglio. Cerca tra la folla un volto amico, un conoscente, qualcuno o qualcosa che possa liberarlo dall'impegno che sicuramente, lo sente salire lentamente dallo stomaco, non riuscirà a rifiutare. «Ma, veramente, non so se…»
[bip: numero 43, sportello 3] Paolo si interrompe. Guarda stanco il numero sulla sua contromarca. Guarda Gennaro. Riguarda la contromarca e poi il soffitto ancora. Sul suo volto affiora una smorfia, a metà tra il sorriso e la sofferenza. La smorfia prende poi la piega decisa di un sorriso, riguarda Gennaro e, con la testa piegata di lato, continua: «… beh, io ho il numero 101. Forse, un po' di tempo ce l'abbiamo!»
L'ingegnere Paolo si guarda intorno, cerca un angolo dell'ufficio meno gremito e vi si dirige facendo cenno al geometra di seguirlo. «Vede, caro geometra, secondo me la maniera migliore per imparare un qualcosa che temiamo di imparare è quella di ridicolizzare l'oggetto dei nostri timori. La paura, molto spesso, causa un blocco mentale che diventa in alcuni casi davvero insormontabile. Secondo me questo blocco può essere rimosso con l'ironia. Se lei vuole imparare ad utilizzare il computer, per prima cosa deve capire che in realtà esso è qualcosa di stupido, ma talmente stupido, che la persona più idiota di questo mondo può essere fiera di sé quando lo guarda, diciamo così, negli occhi. In realtà quello che la spaventa è un perfetto imbecille, che sa a malapena contare fino a due. Escluso!».
[bip: numero 44, sportello 5]
«'Ngegné, ma che dite? Quello, il compiuter fa cos' 'e pazzi! Arraggiona meglio di un umano e fa calcoli velocissimi. A me non mi sembra che sia poi così stupido!» «Sono perfettamente d'accordo sulla velocità; nessun essere umano riesce a stargli dietro, in questi termini. Ho invece qualche dubbio quando lei dice che il computer ‘ragiona’. In realtà di ragione, così come la intendiamo noi, ve n'è ben poca. Anzi, alcuni definiscono il computer come ‘inintelligente’, ovvero come qualcosa che esegue una serie di operazioni senza sapere né cosa sta facendo, né perché.»
[bip: numero 45, sportello 2]
I due volgono lo sguardo speranzoso verso il display prima, verso lo sportello numero due poi. È deserto. Su entrambi i volti l'espressione di ottimismo cede il posto, all'unisono, ad una smorfia di delusione quando, spuntando dalla calca con o malfermo, un vecchietto si esibisce in una pessima imitazione di corsa verso lo sportello libero. L'impiegato, un ragazzotto dalla faccia simpatica, fa per premere il pulsante per far scattare il numero successivo, quando si accorge del cliente che si dirige verso di lui facendosi spazio tra la folla, aiutato, ma sarebbe meglio dire intralciato, dal suo sottile bastone di bambù. Rimane immobile per alcuni secondi, poi assume la posa tipica della paziente attesa. Gli hanno insegnato che con i vecchi bisogna avere sempre pazienza. «Mannaggia, pure il giorno di pensioni dovevamo beccare!» esclama Gennaro. Poi con la stessa aria di paziente attesa, copiata dal volto dell'impiegato dello sportello due, riprende il filo del discorso precedente rivolgendosi a Paolo. «Non capisco che mi vuole significare.» «Guardi, le faccio un esempio. Secondo lei, può un computer soffermarsi ad osservare con la sua webcam un tramonto? Può leggere un buon libro o ascoltare musica classica? Può fare sesso o potrà mai mangiare una lasagna? E se ciò avverrà in un remoto futuro – se ciò avverrà sul serio, spero proprio di non essere presente – sarà in grado di capire la differenza tra le due azioni?» «'Ngegné ma che dite? Il compiuter non è una persona. E poi, che è 'sta uebcam?» «Quello che voglio farle capire» replica Paolo ignorando la seconda domanda «è che non bisogna temere il computer. È un oggetto, è stato inventato dall'uomo e non potrà mai superare il suo inventore. Già questo mi sembra un buon motivo per ridimensionare i suoi timori. Per farle un esempio, vorrei ricorrere ad un giochino matematico, anzi grammatematico, a cavallo tra matematica e grammatica. Posso?» «'Ngegné, siete il padrone. Potete fare quello che volete, basta che mi fate capire qualcosa». Paolo si allunga verso un bancone ingombro di moduli, telegrammi scritti, cancellati e mai inviati, ricevute di raccomandate compilate a metà, pubblicità di prodotti postali più disparati. Fruga tra le varie carte e trova dei moduli per vaglia. Soppesa con attenzione lo spazio disponibile per la sua
dimostrazione poi, soddisfatto afferra due fogli e si rivolge al suo novello allievo. «Possiamo affermare che dio, badi bene geometra, uso la “d” minuscola perché non voglio chiamare in causa quello vero, ammesso che esista, per dei motivi così futili. Possiamo affermare, dicevo, che dio ha creato l'uomo e che l'uomo, a sua volta, ha creato il computer?» «Sì, mi sembra logico.» «Bene, modifichiamo allora questa mia ultima frase con questa: “dio sta all'uomo come l'uomo sta al computer”. Le sta bene?» «Sì, anche questo mi sembra che fili liscio.» «Scriviamola allora in termini matematici:
dio : uomo = uomo : computer
e risolviamola nell'incognita computer:
«Non capisco dove volete arrivare, ma vi seguo.» «iamo ancora dalla matematica alle parole. Da questa formula possiamo dire che “preso un qualsiasi uomo a piacere, piccolo o grande che sia, elevato al quadrato e diviso per un'entità infinitamente grande dà come risultato... un'entità infinitamente piccola”. Questo basta per dire che il computer è poco più di zero, e comunque inferiore all'uomo. Può essere veloce quanto vuole ma è incompiuto: gli manca la ione, l'intelligenza: Non ha un cuore e neppure un fegato! È un imbecille ed è pure una nullità. Perché averne timore?» «'Ngegné, ma lo sapete che mi avete quasi convinto? Quasi quasi, 'sto computer mi sta meno antipatico». «E possiamo indirettamente trarre un'altra conclusione. Se scriviamo l'ultima eguaglianza diversamente ...», si accorge di non avere più spazio sul foglio, lo accartoccia, fa per cercare con gli occhi un cestino poi ci ripensa e se lo infila nella tasca della giacca. Gennaro nota il movimento, ma tace e rimane estasiato con la testa appoggiata sulla mano, il cui gomito è a sua volta appoggiato al tavolo, in attesa della seconda conclusione. Ed è proprio da sotto il gomito del geometra che Paolo sfila il secondo foglio spiegazzato, lo spiana con la mano sinistra e scrive:
«E questa come si legge?» «Beh, questa formula potremmo leggerla come: “l'uomo è la radice quadrata del prodotto tra dio e computer, cioè tra un'entità infinitamente grande ed un'entità infinitamente piccola”». «Cioè?» «È indeterminato! Non esiste soluzione univoca. E magari fosse solo indeterminato, c'è anche il segno!» «Ho capito! Il segno sta a significare che esistono uomini positivi e uomini negativi». «Esatto, proprio come nella realtà. Inoltre gli uomini non sono tutti uguali, ce n'è per tutti i gusti: piccoli, piccoli e negativi, grandemente positivi e altrettanto grandemente negativi; insomma, qualsiasi quantità tra meno infinito e più infinito può chiamarsi uomo!» «Con tutto il rispetto per voi che avete fatto le scuole alte, 'ngegné, ma questo ci porta ad un paradosso», sorride Gennaro compiaciuto dei suoi progressi. «E sarebbe?» chiede Paolo, con il volto dipinto da uno stucchevole stupore di colui che si aspetta la domanda, e della quale già conosce la risposta. «Avete detto prima che il computer è poco più di zero e che l'uomo gli è superiore. Questo va bene per i positivi, ma come la mettiamo con gli uomini che hanno il segno meno?» «Mi sa che ha proprio ragione, caro geometra. Ci sono al mondo delle persone che valgono meno di un computer. Persone senza scrupoli, senza cuore, e addirittura meno ‘inintelligenti’, anzi peggio: con l'intelligenza invertita, quel segno meno che trasforma tutto ciò che c'è di bello della vita in interessi, speculazioni, sfruttamento, odio. Pensi a qualsiasi aggettivo che abbia il segno meno davanti e troverà almeno un componente del genere umano che lo rappresenta appieno». «Fortunatamente però ci sono anche tante persone che hanno il segno più!»
«Certo! Più e meno, due segni opposti. Ci troviamo, per la seconda volta, nella nostra breve chiacchierata ad affrontare il numero due, il vero numero perfetto. Vuoi vedere che anche l'uomo, si muove in un mondo binario?» «Binario? E mo' che c'entrano i treni?»
[bip: numero 46, sportello 5]
[bip: numero 46, sportello 5]
Il Processore
Per la seconda volta Gennaro non riceve risposta alla sua domanda. Rimugina su quanto ha ascoltato finora e, lentamente, sente risalire l'ansia da computer. «'Ngegné, non ho capito cosa c'entra il numero due, ma questo non elimina il problema iniziale. Io non so niente di computer. Pensate che ogni volta che mi vedo un film, quando si tratta di tecnologia, di spie, di computer che fanno cos' 'e pazzi, io m'ingrippo sempre perché non ci capisco niente, ma mi piace. E poi me lo rivedo». «Bene! Il fatto che lei sia un cinefilo, ci aiuta nel nostro percorso» «Mah, veramente i cani non mi piacciono poi tanto» «…» «Anche se, se avessi un giardino, forse forse un cane me lo prenderei. Ma molto forse. E poi ho avuto la prova lampante che alla lunga i cani tendono ad assomigliare ai loro padroni e io non voglio un cane che assomigli a me. Figuratevi che affare farebbe, il cane» continua Gennaro mimando la presenza di un cane alle sue spalle ed indicandolo col dito indice puntato. «Pensi che anni fa ho conosciuto un cliente che si comprò un cane bellissimo: un levriero a pelo lungo, con un muso nero nero, quelli che vengono da…» «Un levriero Afghano?» «Bravo, quello! Un pelo bellissimo, lungo e argentato. Poi, un brutto giorno al mio cliente, non si sa per quale causa, gli venne 'a lopecia…» «Alopecia?» «'A lopecia! E io che ho detto? Insomma, per non portarvela per le lunghe, nel giro di una settimana quello perse tutti i capelli. 'Ngegné, neanche uno! Teneva 'a capa che pareva 'na palla di biliardo tanto era liscia. Neh quello, il cane, che fa?
Nel giro di qualche mese diventa uguale uguale al padrone: senza neanche un pelo addosso che sembrava un maialino magro magro. Che pena; e voi mi venite a parlare di cani?» «… ma veramente io intendevo i film» «Ah, i film sui cani? Belli quelli. Ai miei tempi c'era Rintintin, Torna a casa Lassie; quelli mi piacevano. Forse perché ero ragazzo. Mo' fanno i film tipo Rex o Beethoven: quelli non mi piacciono poi tanto. Preferisco, come vi dicevo, i film di fantascienza; quelli sì che sono potenti: astronavi, alieni, effetti speciali, teletrasporto! 'ngegné ma lo sapete che se avessimo il teletrasporto noi avremmo risolto tutti i nostri problemi?» «Perché?» «Come perché? Ci teletrasporteremmo in un attimo in un altro ufficio postale, magari della Svizzera che sono sempre vuoti. Quello sì, sarebbe un bel film» «Ah, finalmente veniamo al dunque! A lei piacciono i film di fantascienza, quindi si può classificarla come ‘cinefilo’». Gennaro alza gli occhi al cielo ma trova lo stesso soffitto sul quale Paolo precedentemente non ha trovato appigli e tra sé e sé sussurra «A forza co' 'sti cani!» poi, notando delle macchie di colore scuro e pensando che i signori al primo piano dovrebbero far controllare il proprio impianto idrico, sfodera un sorriso provato da quella che sarà una dura giornata ed esclama rassegnato «E vabbe', se proprio insistete, sono anch'io un cinefilo. Però senza cani!»
[bip: numero 47, sportello 1]
«Ho colto al balzo il suo accenno ai film, perché è proprio tramite un film che intendo esaudire la sua richiesta» «Mi volete portare al cinema?» «No, ma sono sicuro che apprendere dei concetti astratti è più difficile rispetto al
fatto di collegare gli stessi concetti tramite un filo logico. Come la trama di un film, per esempio» «E dove lo danno 'sto film?» «Qui. Adesso. Lei è pronto?». Paolo non aspetta la risposta. Si appoggia con la schiena al muro e divarica leggermente le gambe, si mette comodo, allunga le braccia davanti a sé e lentamente le allarga, le mani aperte, in una posa da regista visionario che voglia accarezzare la sua visione. «Immagini la scena, geometra: una stanza, buio, silenzio. Da un punto imprecisato della stanza ecco che sale un lieve bagliore. Ancora buio, forme indistinte. Il bagliore si fa via via più intenso fino a regalare un contorno alle forme indistinte di prima, quelle situate al centro della stanza. Ora, al centro, solo contorni, bianco, nero, tutto intorno ancora sfocato. Il bagliore assurge alla dignità di luce ed i contorni centrali prendono colore, tutto il resto rimane sfocato. La luce aumenta, ed ora i contorni colorati possono essere elaborati dall'occhio. Tutto è chiaro: al centro della stanza una scrivania con sopra lui, il nostro protagonista: un computer . La macchina da presa si avvicina. Lo schermo è , si vede chiaramente un'applicazione di videoscrittura con il cursore che ammicca sornione sul fondo bianco; aguzzando la vista si può leggere anche la prima frase: “… un punto imprecisato della stanza ecco che …”, ma non è questo l'oggetto di interesse del nostro regista. L'inquadratura devia improvvisamente verso il basso, indugia su uno degli sportelli dei lettori di dischi, poi si dirige deciso verso la fessura orizzontale del disco flessibile e, miracolosamente, vi entra, consentendo al meravigliato spettatore di viaggiare fluttuando nell'aria come se fosse un minuscolo virus all'interno della cavità polmonare. Enormi pareti di plastica nera, una gigantesca giostra centrale mossa da un motore o-o grande quanto la turbina di una centrale idroelettrica, fili elettrici grandi quanto una sequoia ed altri oggetti di dimensioni enormi; una fessura piccola, scura, l'obiettivo vi si dirige…» «'Ngegné?» «Eh?» «Vi sentite bene?»
«Si, perché?» «Mi sembra che vi siete fumato qualcosa». «Mi sono infervorato nella descrizione, ha ragione, ma preferirebbe forse le fi un elenco sterile tipo: “il computer è costituito da: 1) una unità di lettura-scrittura che si chiama semplicemente lettore CD o DVD che può essere anche "masterizzatore" se ha la capacità di scrivere su i ROM o riscrivibili RW. 2) una unità di… “» «Basta. Basta per carità, mi avete convinto. La descrizione di prima mi piaceva di più, solo che non me l'aspettavo. Ora che sono preparato a vedere il film …»
[bip: numero 48, sportello 2]
«… possiamo continuare. Eccome se possiamo». Paolo cerca di riacquistare concentrazione, un respiro profondo, uno sguardo in cagnesco al signore vicino, troppo vicino, per fargli capire che lo spettacolo è per un solo spettatore e quello spettatore non è certo lui. Il tipo, forse intimorito, forse solo annoiato, si gira lentamente verso il display e lo fissa con aria ebete. Paolo inspira ancora, volge un altro sguardo al soffitto ormai familiare (nota delle piccole macchie di umidità alle quali non aveva fatto caso prima; “com'è possibile?” si chiede, “saranno macchie di condensa” conclude), socchiude appena gli occhi ed ecco ancora il nostro ipotetico spettatore fluttuare leggero nell'aria. «All'interno, il buio. Il silenzio di prima si colora: il brusio di una ventola. No, forse due, o addirittura tre. Al brusio si sovrappone un altro rumore: è un vibrare sommesso, continuo, come una parola formata da una successione infinita di lettere ‘m’ e pronunciata da un attore dietro le quinte. Proviene da un palazzo enorme, squadrato, tutto in metallo luccicante: è l'alimentatore, che dà vita e fornisce energia alla città sottostante. L'occhio si abitua e, come in una
vista notturna a volo di uccello, si intravedono palazzi bassi, luci di lampioni verdi o rossi, qualcuno lampeggiante, qualcuno fisso. Qua e là rettangoli o quadrati, come case organizzate in un ordine impeccabile da un piano regolatore tedesco, anche se in realtà nella maggior parte dei casi l'urbanista è di Taiwan. La città sembra deserta, le case disabitate, ma se potessimo indossare degli occhiali speciali, ci accorgeremmo di miliardi di abitanti, gli elettroni, che sfrecciano alla velocità della luce da una casa all'altra. Siamo arrivati. Benvenuti a MotherBoard». «'Ngegné, ma che razza di città è Madrebboard?» «È la città in cui si svolge il nostro film. È proprio come tutte le città vere: ci sono le case, le strade, i cittadini, gli organismi di controllo, pensi che ci sono pure i cani: i watch-dog». Ora sarebbe di nuovo il turno di Gennaro di portare gli occhi al soffitto, ma da signore qual è, si astiene. Paolo continua. «Oggi vorrei farle visitare il municipio o, se preferisce, il parlamento; il luogo dove vengono prese tutte le decisioni: il processore. Anzi per curare la sua fobia, manteniamo un profilo basso: il micro-processore, così sembra più piccolo». «Ed è proprio in questo posto che si prendono tutte le decisioni?» «Diciamo di si, anche se in realtà il parallelismo non è del tutto corretto. C'è ancora qualcosa al di sopra del nostro parlamento che ne condiziona le scelte». «Ho capito! C'è il parlamento europeo, che ci impone, ad esempio, di mangiare cioccolato scadente anche se noi facciamo quello buono, oppure di bere succo d'arancia senza l'arancia dentro?» «Può essere una interpretazione. Prendiamola per buona e andiamo avanti. Il nostro micro-processore è una città nella città. Al suo interno c'è di tutto: se riuscissimo ad entrare nel processore usando uno zoom più potente di quello usato finora, troveremmo una mappa del tutto simile alla nostra città MotherBoard. Vi sono officine dedicate a particolari lavorazioni: schiere di ragionieri per le operazioni matematiche e di filosofi per quelle logiche; intere biblioteche con tanto di bibliotecari occhialuti per le memorizzazioni; botteghe di artigiani orologiai per i conteggi del tempo; politici integerrimi che emanano leggi per il buon funzionamento della città, e giudici inflessibili che le applicano
decidendo chi deve fare cosa, come e quando, con tempi processuali inimmaginabili dal genere umano: altro che processo breve! E poi altre officine ancora, tutte unite tra loro da un dedalo di strade a otto, sedici, trentadue, sessantaquattro o più corsie. Strade tutte affollate e quasi tutte a senso unico alternato, con vigili che decidono il giusto verso di percorrenza, ed un attimo dopo lo invertono». «Ma non è che vi confondete con Calcutta? Là sì che stanno inguaiati». Fa una pausa, volto serio, e studia l'espressione interdetta di Paolo, che da regista ispirato si trasfigura lentamente in spettatore confuso. «Sto scherzando 'ngegné!» sorride finalmente Gennaro, «però se vivessimo in una città così veloce, a quest'ora saremmo già fuori a goderci il sole. E invece siamo ancora in fila».
[bip: numero 49, sportello 2]
«Sì, sarebbe una città perfetta, efficiente, tutta cervello e niente cuore. Nel ato qualche signore ha provato ad organizzare una società simile senza peraltro riuscirci, fortunatamente, aggiungo io. Le piacerebbe viverci?» «Non lo so. Se la perfezione non appartiene al genere umano, mi piacerebbe però che l'efficienza, il buon senso e la bontà fossero fontane alle quali tutti possano dissetarsi...» si ferma, meravigliato della bella metafora che gli è uscita “me la devo segnare” pensa, e poi continua: «…forse no, avete ragione. Non è un bel posto per viverci; però l'idea dei politici integerrimi, mi piaceva assai». «Eppure, anche in questa città perfetta, chi prende le decisioni non è dotato di libero arbitrio. C'è qualcuno che ha già deciso per lui: un dio che ha imposto il futuro, un profeta che ha predetto nei minimi dettagli il destino o, semplicemente, un essere umano che ha progettato e scritto il software che dovrà essere eseguito.»
La Memoria
[bip: numero 50, sportello 4] «L'ho sentita spesso questa parola, il softuer, mi pare di aver capito che sono i programmi che si mettono dentro il computer, quelli che fanno fare i calcoli». «Bravo. Come detto prima, però, a causa della sua inintelligenza, per comunicare con il computer non posso certo usare la mia lingua; stupido com'è non la capirebbe. Questo software deve per forza di cose essere scritto in un linguaggio preciso: il linguaggio macchina; qualsiasi altro modo non sarebbe interpretabile dal processore. Ovviamente questo linguaggio è talmente lontano da quello umano, che solo pochi lo usano direttamente. Tutti gli altri usano, attraverso metalinguaggi, i linguaggi di programmazione, che stanno a metà tra quello degli umani e quello del computer». «Cioè, fatemi capire: è come se per parlare con un cinese, mi rivolgo ad un tizio in inglese e poi lui traduce quello che ho detto al cinese nella sua lingua? Mi sembra una bella perdita di tempo». «In realtà, se lei conoscesse il cinese potrebbe parlare direttamente in questa lingua, lo conosce?» «No». «Allora mi sa che deve parlare in inglese e poi farselo tradurre». «Ehm … 'ngegné, c'è un piccolo problema. Non conosco neanche l'inglese». «Non c'è problema, lo imparerà. Piuttosto, poniamoci un altro problema; cosa succede quando io le dico: “oggi pioverà”?» «Succede che il vostro callo non funziona più bene. Fuori c'è un sole che spacca le pietre e non vedo come…» «No, intendevo dire cosa succede ‘dopo’ che io ho pronunciato la frase “oggi
pioverà”». «A meno che non siate un profeta o uno iettatore, succede che il sole continuerà a splendere e basta». «Non mi sono spiegato. Se io domani le chiedessi di riferirmi la frase che ho appena pronunciato, lei cosa direbbe?» «Ieri pioverà!» «No. La frase esatta!» «Oggi pioverà. Ma penso che pure domani sarà una bella…» «Mi scusi, il problema a cui accennavo prima non è di tipo meteorologico; ho scelto un esempio infelice e le chiedo scusa. Quello che vorrei sottoporle è un problema di tipo mnemonico. Perché lei ricorda esattamente la frase che ho detto?» Gennaro, un po' confuso si gratta la testa, ed è proprio questo gesto che gli suggerisce che forse Paolo si riferisce a qualcosa che avviene nella testa. Sorride, e picchettando con l'indice sul cranio esclama: «La testa, certo. Io ricordo la vostra frase, come molte altre dette oggi, perché qualcosa nella mia testa le ha memorizzate. Nel cervello». «Finalmente ci siamo: la memoria. E lei crede che un computer che si rispetti possa fare a meno della memoria? Certo che no, ed è per questo che ne è dotato di un bel po', sia volatile, la RAM, sia permanente. Pensi che le prime memorie erano costituite da piccolissimi granuli di ferrite. Questi granuli, simili a piccoli anelli, avevano la capacità di “ricordare”, grazie al fenomeno dell'isteresi magnetica, il verso di percorrenza della corrente che scorreva in un filo che li attraversava. Chissà, forse è proprio per questo motivo che ancora oggi si usa la locuzione “avere una memoria di ferro”». «A proposito di memoria 'ngegné, io tengo un amico, lo chiamano capa 'e chiummo perché cammina sempre con la testa ciondolante di lato come se fosse di piombo, però tiene una memoria che è una schifezza. Pensate che mi deve centomila lire da parecchi anni, che mo' sono quasi cinquanta euro» dice ondeggiando la mano aperta per sottolineare il “quasi”, «lui non si ricorda e io, ogni volta che ci incontriamo, non ho il coraggio di chiedergliele».
«Francamente non credo sia un problema di memoria, quello del suo amico, però c'è del vero. L'amico “testa di piombo” potrebbe non avere una buona memoria semplicemente perché il piombo non ha le caratteristiche della ferrite o meglio ancora, del silicio, e cioè non “ricorda”».
[bip: numero 51, sportello 1]
Lo sportello uno rimane per troppi secondi vuoto. Con la coda dell'occhio Gennaro e Paolo se ne accorgono e si volgono verso l'oggetto del desiderio, lo scopo della giornata: uno sportello libero con un impiegato gentile ed efficiente dal lato opposto, e che magari ti offra pure un bicchiere di orzata ghiacciata.
[bip: numero 52, sportello 3]
Dietro lo sportello numero uno c'è una impiegata giovane, la bellezza appena offuscata dall'aspetto annoiato, capelli biondi e occhi nocciola. Nell'attesa si guarda le unghie, si ravviva i capelli e tira fuori uno specchietto dalla borsa. I secondi ano inesorabili. Finalmente, soddisfatta da ciò che ha osservato, posa lo specchietto e preme il pulsante.
[bip: numero 53, sportello 1]
«Meno male 'ngegné. Uno in meno! Speriamo che pure qualcun altro si sia scocciato dell'attesa e sia andato via». Lo sportello numero uno sta per ripopolarsi: il signor cinquantatré, un anziano segaligno, alto, con la schiena dritta che sembra tirata col righello, è a mezzo metro dal vetro e fa per cacciare qualcosa dalla tasca quando si ode un urlo:
«Ferma!» Tutti si guardano intorno per individuare la sorgente dell'urlo e magari assistere a qualcosa che potrebbe movimentare un po' la giornata. «Ferma! Signuri' aspettate, tocca a me. Numero cinquantuno!» la folla si apre, suo malgrado, per lasciar are una signora sulla cinquantina, grassa come non si può immaginare, con le gambe che sembrano due tronchi ed un seno tale che Paolo, da ingegnere, si chiede quale tecnologia aliena possa concepire un materiale così robusto da poterlo sostenere «Ferma! Signuri' aspettate» ripete a voce ancora più alta esibendo la contromarca col braccio in alto come se brandisse una clava «tocca a me, numero cinquantuno! Mi ero addormentata!» Il segaligno, con una smorfia di delusione, educatamente si fa da parte, ma non ritorna al suo posto. Rimane vicino allo sportello e quando la signora lo raggiunge si vede costretto suo malgrado ad aumentare lo spazio che aveva calcolato per lei e si sposta ancora più a sinistra, attaccato al muro. «Scusate signore. Tocca a me, numero cinquantuno. Mi ero addormentata» e poi all'impiegata «scusate signuri' , tocca a me. Mi ero addormentata. Numero cinquantuno, eccolo qua». Ora lo sportello numero uno è completamente occupato dalla signora e la bellezza della giovane impiegata bionda dagli occhi nocciola, prima solo velata dal suo aspetto annoiato, si eclissa dietro quella massa enorme. Gennaro dà di gomito a Paolo facendogli osservare che il segaligno non ha abbandonato il campo, ma è di fianco alla signora aspettando il suo turno, stretto tra il muro e la narcolettica. «Guardate 'ngegné, più che l'articolo “il” mi sembrano il pronome personale “IO”». Le risate che si odono sono più di due, segno che l'intimità nell'ufficio non è per niente garantita. Esaurito il siparietto, Gennaro prosegue: «Di che stavamo parlando? Mi so' scordato. Ah, la memoria. Ma com'è che funziona 'sta memoria? Come fa a ricordare?» «Beh, è ora di tirare fuori per bene il numero due. Avremmo dovuto farlo prima, ma non è mai troppo tardi. Si ricorda che prima abbiamo parlato del segno più e meno?» Non concede a Gennaro il tempo di rispondere, e incalza: «In realtà il computer usa solo due simboli, l'uno la negazione dell'altro: l'uno e
lo zero, detti anche vero e falso, alto e basso, e io aggiungo: bianco e nero, maschio e femmina, nord e sud, bello e brutto, magro e grasso, giovane e anziano, allegro e triste, onesto e disonesto, capace ed incapace, apparire ed essere, ridere e piangere, morire e nascere, materia e antimateria, fede e miscredenza, odio e amore, lealtà e tradimento, condanna e assoluzione, Jekyll e Hyde. Insomma, qualsiasi tema che abbia una dicotomia, una contrapposizione, può ben rappresentare i due simboli. Per esempio, se le dicessi politica, quale simbolo le viene in mente?» «Politica? E qual è il negato di politica?» porta il dito indice alle labbra come per sollecitare l'uscita di una parola che si è incastrata. I secondi scorrono ma la parola non ne vuole sapere di uscire; dopo un po' le dita alle labbra diventano due ma il risultato non cambia. Infine si rassegna: «Non mi viene niente!» «Il negato di politica è non-politica, cioè una cosa che è la non-organizzazione e il non-governo dello Stato che qualche volta coincide col simbolo incapace e troppo spesso coincide anche col simbolo disonesto, ma su questo avremmo tempo di ritornarci quando parleremo dei virus. Per ora concentriamoci sul vero e sul falso, o meglio sull'uno e sullo zero. Secondo lei quanto fa 1 più 1?» «'Ngegné, mi state sfottendo? Ho studiato tanti anni ed ero pure bravino in matematica», pensa qualche secondo poi, abbassando in maniera impercettibile il tono della voce pronuncia: «Fa due?» «Non può fare due semplicemente perché il ‘2’ non esiste; non fa parte dei simboli che abbiamo a disposizione». «E che abbiamo?» «Ma come, non si ricorda lo zero e l'uno?» «Solo zero e uno?» «Si.» «E quanto fa?» «Fa ‘10’. O meglio, uno più uno, fa zero col resto di uno»
«Fa dieci?» «Si, anche se non si pronuncia dieci ma semplicemente uno-zero» «E chi l'ha deciso?» «Un certo Boole. Nel secolo scorso George Boole, abitante dell'antica Lindum Colonia si svegliò storto. Fuori pioveva e il poverino si doveva arrabattare perché le sue condizioni economiche non erano splendide. Si mise le mani al volto per lo sconforto poi, allontanandole le osservò perplesso e contò dieci dita. “Dieci!” esclamò, “La base del nostro sistema di conteggio”. Poi, folgorato da una intuizione, andò allo specchio e contò a voce alta: “due occhi, due orecchie, due enormi basette, due narici, due braccia, due gambe, addirittura due ‘o’ nel cognome”. Se fosse stato nudo avrebbe contato due di qualcos'altro, ma era vestito e gridò: “Due! La base del mio sistema di conteggio” e giù a scrivere fogli e fogli per tutta la notte. Fedele alla sua visione prese due elementi: la logica e la matematica e li fuse insieme per creare quello che ancora oggi noi chiamiamo algebra Booleana. Bene, oggi il valore del singolo elemento numerico, zero o uno, viene chiamato bit e la legge che lo governa è la logica binaria». «Ah, ecco perché binaria!…Scusate, prima avevo capito i treni! Ma che ci azzecca con la memoria?»
[bip: numero 54, sportello 3]
«C'entra perché così come il processore opera in logica binaria, anche la memoria conserva il valore del bit che gli è stato consegnato. E non lo fa certo per uno solo, ma per miliardi di bit contemporaneamente. Si immagini una strada, enorme, lunghissima. Questa strada ha tante casette, ciascuna con un numero civico: l'indirizzo. In ogni casa ci abita una famiglia, diciamo di sedici persone…» «Sedici persone? E che è, 'na comune?»
«No sono i bit, e possono essere anche trentadue, sessantaquattro e anche di più. Diciamo una famiglia numerosa allargata ai parenti. Ebbene, ciascuna persona di questa famiglia può essere alta o bassa, magra o grassa, giovane o anziana, …» «Zero o uno?» «Bravo ha capito. A ciascun indirizzo corrisponde una sequenza ordinata di bit che rappresenta il dato scritto. E ora che abbiamo capito com'è organizzata la memoria, iamo al metodo di lettura e scrittura della stessa. È pronto?» «Un altro film?» «Sì. Anzi, no. Questa volta facciamo una commedia in un atto». Paolo si concentra, si scompiglia i radi capelli come ogni regista teatrale che si rispetti e parte: «Brusio in sala. Le luci si attenuano e con esse il brusio stesso. Qualche colpo di tosse qua e là, chissà perché non mancano mai prima dell'inizio di ogni commedia; dico io: tossite prima fuori, poi quando vi siete acquietati entrate. Finalmente silenzio. Sipario. [Chip Select] Processore: “Memoria? Memoria? Ma dove s'è cacciata. Memoria!” Memoria: “Uh! Chi è?” P: “Sono io. Sveglia!” M: “Io chi? Chi sei?” P: “E chi può essere, mio nonno? Sono io: il tuo processore!” M: “Oh, bella zio, come butta Muppy?” P: “Come vuoi che vada, sono sempre di fretta; corro sempre come un disperato e non so neanche perché faccio tutto questo. E poi non ho mai un po' di tempo per me. Adesso, per esempio ho già un interrupt da gestire ma l'ho mascherato in attesa che finisca con te. E poi te l'ho già detto un sacco di volte, non
chiamarmi Muppy, devi chiamarmi μP o U. Non farmi perdere altro tempo dai, ho bisogno di un dato.” M: “D'accordo, d'accordo. Come sei permaloso! Di cosa hai bisogno Cippu?” P: “Ho bisogno del dato che ti ho scritto all'indirizzo 003FFC00H circa tre microsecondi fa.” M: “Tre microsecondi fa? Accidenti, ne è ato di tempo” Oscilla lentamente la mano verso il pubblico sottintendendo: “Ma che bella capa di merda!” e continua: “ Certo, tu sei velocissimo, ma in quanto a memoria…” P: “Ma che dici? Sei TU la mia memoria, sbrigati!” M: “Okay, okay. Dunque vediamo un po' dove l'avevo messa? 003FFB10 no, 003FFBA0 neanche, forse…” P: “Per favore, puoi sbrigarti?” M: “Un attimo, quanta fretta! Non sono mica a zero wait-state io! Ho la mia età” P: “D'accordo, però fai in fretta ti prego. Gli interrupt adesso sono diventati due” M: “Allora, vediamo mmh …sì, eccolo! P: “Alla buonora” M: “Il dato di cui hai bisogno è … oops, l'ho dimenticato” P: “MEMORIA!” M: “Ehi, stavo scherzando fratello. Che caratterino! Ecco il tuo dato: zero, zero, zero…” P: “Ma mi prendi per il culo? Sai benissimo di essere una memoria parallela e non seriale. Il dato devi darmelo per intero e lo voglio almeno su trentadue bit, non uno per volta!”
M: “Uh! È vero, scusami” P: “Sì, certo. Intanto gli interrupt adesso sono diventati tre!” M: “Uffa, quanto sei noioso. Non dare retta a quelle smorfiose delle altre periferiche. Stai parlando con me ora, non ti distrarre! P: “Sai bene che ho mascherato le loro richieste, ma prima o poi dovrò pur servirle. E poi, francamente, questo colloquio comincia a stufarmi. Vado di fretta, devo correre e non so neanche il perché; dammi questo dato e facciamola finita!” M: “Zero”. P: “Come scusa?” M: “Ho detto zero. Sei sordo forse?” P: “Tutto questo casino per darmi uno stramaledettissimo zero?” M: “Hai capito bene. Sedici bit tutti esattamente a zero. Questo vedo scritto e questo ti do!” P: “Ma cos'hai in testa, il germanio? Potevi dirlo prima!” M: “E come faccio con tutta questa confusione! Ma lo sai tu che devo tenere a mente 2 Gigabytes? E cioè 2x1024 Megabytes? E cioè 2x1024x1024x1024x8 maledetti bit? Che in totale fanno 17.179.869.184 fottutissimi bit che mi stanno tutto il giorno tra i piedi? Perché non te lo fai da solo?” P: “Okay, scusami. Quanto hai detto che era?” M: “Zeta, E, Erre, O … Z-E-R-O” P: “Ah già. Ora ti devo lasciare, ciao” M: “Ciao Cippu, torna a trovarmi presto” P: “E non chiamarmi Cippu!” M: “Ok Muppy. La prossima volta tornerai a trovarmi in lettura o in scrittura?”
P: “Non ne ho proprio idea, non mi dicono mai niente. Dipende dalle prossime istruzioni del mio programma. Oh, no! Un altro interrupt. Addio!” [Cala il Chip Select] Voce dalle quinte: “Ehi Cippu! Perché la prossima volta non mi presenti l'hard disk? Dicono sia un tipo tosto!” Luci in sala».
[bip: numero 55, sportello 4]
Tastiera
[bip: numero 56, sportello 1] Il caldo comincia a farsi sentire. Il pigro roteare delle pale del ventilatore non è di nessun beneficio, anzi forse peggiora la situazione. Qualche cliente va fuori a respirare un po' d'aria fresca, ma l'aria, fresca non è. Il sole non è neanche a picco ma la mancanza di una seppur minima zona d'ombra costringe gli improvvisati peripatetici a trovare di nuovo rifugio all'interno. Paolo si ricompone la rada capigliatura e schiocca la lingua: «Che caldo! Ci vorrebbe una bella bibita fresca». «Secondo me, visto l'andazzo, altro che bibita. Qui ci possiamo fare un pranzo nuziale, completo di cerimonia in chiesa, fotografie con gli sposi e bomboniere, ritornare e stare ancora in fila per ore. Perché non usciamo a prendere qualcosa al bar di fronte? Se permette offro io!» «Molto volentieri, ma non vorrei perdere il turno. Se venisse a mancare qualche persona, potrebbe toccare a noi». «Qualche persona? 'Ngegné ma avete visto quanta gente c'è? Se solo la metà delle persone venisse colpita da una gastroenterite fulminante e la metà delle rimanenti si ricordasse improvvisamente di aver lasciato aperta la manopola del gas, noi staremmo ancora in fila ad aspettare il nostro turno per un bel po'. Si lasci pregare, il mio amico Peppe del bar di fronte, detto “l'alchimista dell'arabica”, fa un caffè che è 'na favola. È talmente profumato che sentirete il suo profumo appena metterete piede nel locale, ed è talmente denso che se capovolgete la tazzina non cade, ma rimane attaccato sul fondo. Venite che vi faccio arricreare».
[bip: numero 57, sportello 5]
Ciò detto prende la via d'uscita con Paolo che riluttante lo segue, non prima di aver gettato l'occhio al display per constatare che la situazione è rimasta immutata. Al bar di fronte l'atmosfera è paradisiaca. All'ingresso i due vengono avvolti da un aroma vellutato e fresco al tempo stesso. Paolo fa caso all'impianto di aria condizionata a manetta, fa un rapido conto del dispendio di energia sfoggiato con noncuranza dal gestore del bar, poi si abbandona al fresco e all'aroma del caffè che sembra sprigionarsi dalle pareti e dal pavimento del locale. «Buongiorno a tutti!» esordisce Gennaro, entrando tronfio nel locale come se ne fosse il proprietario. La cassiera, un donnone enorme metà donna e metà sgabello, dietro il bancone con un giornale di gossip aperto, distoglie lo sguardo da quella Fonte di Sapere e lo saluta con un cenno della testa, fermamente intenzionata a non spendere per quel gesto più di due calorie. Il barista Peppe è invece molto più affabile: divisa bianca immacolata, mani irrequiete, occhi da spiritato, baffi e pizzetto da moschettiere, capelli ispidi a deltaplano, esclama: «Geometra carissimo, qual buon vento. Cosa vi posso servire?» «Caro Alchimista, ho decantato talmente tanto il tuo caffè all'ingegnere qui presente…» e indica Paolo che risponde al sorriso simpatico di Peppe con un sorriso altrettanto affabile «che mò mi devi fare i due migliori caffè che hai mai fatto in vita tua» e si gira verso Paolo per cercare conferma della sua ordinazione. Trova il dito indice di Paolo puntato a mezz'aria che sebbene, in quanto dito sia muto, vorrebbe dire: “veramente ho talmente tanta sete che preferirei una bella bibita fresca. Grazie, molto gentile, magari il caffè lo prendo un'altra volta”. Ma il messaggio mimato alla perfezione da quel dito puntato al soffitto non arriva a segno. Gennaro interpreta quel gesto come: “Un caffè anche per me!” e si avvia felice verso la cassiera che questa volta sarà più generosa nel dispendio di energie: sbuffare, interrompere l'aggiornamento professionale posando il giornale, incassare cinque euro, digitare l'importo dello scontrino, dare il resto e riprendere impaziente il giornale. Non meno di dieci calorie! Una perlina di sudore comparirà sulla sua fronte poco dopo per il gesto atletico compiuto. Peppe si gira ad armeggiare col suo macchinario deciso a dare il meglio di sé e
Paolo, ancora col dito per aria, si rassegna, toccato da tanta generosità d'animo. Sulla destra, un frigo espositore con la porta a vetri è stracolmo di bibite di tutte le specie. Paolo adocchia una bottiglietta da mezzo litro di acqua naturale, l'unica con le perline di brina sulla superficie liscia, si a la lingua sulle labbra e pensa: “sarai mia!”, ma non trova il modo di impossessarsene senza ferire la dignità del geometra che, generosamente, si è offerto di offrire. I caffè sono pronti. L'aroma è forte, penetrante e Paolo, nel religioso silenzio che precede la degustazione, esegue il test descritto prima dal geometra. Inclina leggermente la tazzina su un lato e “incredibile!” pensa, “davvero stenta a staccarsi dal fondo”. Gennaro lo osserva con gli occhi che brillano. “Possibile che bastino pochi centesimi per far felice un uomo” riflette Paolo. “E li ha spesi pure lui!” Le riflessioni vengono spazzate via appena il liquido caldo e denso tracima e abbandona la tazzina inclinata per finire sulle papille in trepida attesa. Un sapore celestiale si diffonde per tutto il palato e Paolo, suo malgrado, chiude gli occhi. Li riapre dopo parecchi secondi e, come un malato che aprendo i propri occhi vede quelli dei congiunti al suo capezzale che mutamente gli chiedono: “come stai? come ti senti?”, così Paolo vede quelli dei due estranei in attesa puntati su di lui come ad interrogarlo: “Com'è stato il viaggio? Ti sei divertito? Che esperienze hai fatto?” Per quanto si sforzi di trovare l'aggettivo adatto gli esce solo un banale: «Fa-vo-lo-so». È sufficiente. I due sorridono soddisfatti. La missione è compiuta. «'Ngegné, che vi dicevo? Pensate che Peppe oltre a essere un barista sopraffino è pure un fior di meccanico. L'anno scorso, facendo pulizia nello scantinato, ho trovato la vecchia macchina da scrivere di mio padre. Ci ero molto affezionato, ma era ridotta talmente male che avevo deciso di buttarla. Fortunatamente Peppe mi ha fermato in tempo e mi ha chiesto di ripararla gratis. Io non tenevo niente da perdere, così l'ho accontentato. 'Ngegné, quello l'ha smontata pezzo pezzo, l'ha pulita e me l'ha restituita come se fosse nuova». «Non è vero Genna'» interviene Peppe «proprio nuova non era. Ho fatto un po' di casino nel rimontarla e a un certo punto non mi ricordavo come stavano i tasti. Li ho messi un po' a casaccio, come mi venivano gli incastri». «Peppe, tu hai fatto un capolavoro. La macchina funziona ancora oggi che è 'na
bellezza. Ogni tasto sembra una piuma. Ora scappiamo, che abbiamo un impegno da sbrigare. Ci vediamo Peppe!» «Ciao Genna', alla prossima. Arrivederci ingegnere, venga a trovarci» dice Peppe con un sorriso sincero, rivolto a Paolo. “Stanne pur certo, Alchimista” pensa Paolo, facendo mentalmente il conto di quante ciofeche ha dovuto bere sino ad oggi in bar improvvisati. Poi rivolto al barista: «Ci conti!» esclama con altrettanta sincerità ed in bocca ancora quel sapore eccezionale che gli ha annichilito la sete di prima. Uscendo, i due vengono accolti dal caloroso sorriso della cassiera: un angolo della bocca, uno solo, leggermente piegato verso l'alto, gli occhi fissi sul sofistico giornaletto altamente divulgativo, ed un entusiastico “mhmh” di commiato. Un'altra caloria sprecata per due imbecilli. «Non ho capito perché» chiede Gennaro sulla strada del ritorno «la tastiera della macchina da scrivere è tutta disordinata. Me è così pure sul computer?» «A riguardo vorrei …» «Una commedia?» interrompe Gennaro. «No, una novella» afferma Paolo. I due eggiano lentamente all'ombra deliziosa di un enorme platano, e Paolo continua: «Un bel giorno un signore di nome Keyboard, decise di inventare qualcosa che potesse scrivere al posto suo. Siccome era un tipo preciso si pose il primo problema. Cosa metto? Prima i numeri o prima le lettere? Decise per le lettere. Prese tanti bottoni, scrisse tutte le lettere dell'alfabeto, incluse le lettere tipo X e Y perché era straniero e quelle lettere le usava. Li pose su di una tavoletta di legno e, rimboccando le maniche della sua logora vestaglia di flanella, con un po' di colla li incollò in bell'ordine, dalla A alla Z, andando a capo quando finiva lo spazio. Poi, allo stesso modo, scrisse i numeri da 0 a 9 e li dispose ordinati sull'ultima riga in basso della tavoletta: prima lo zero, poi l'uno, poi il due ed infine il nove. Riuscì a sistemare tutti i bottoni su quattro file e, soddisfatto del lavoro svolto si fermò a rimirarlo. –Ma come farò a farla scrivere?- si chiese. Dopo qualche secondo archiviò la questione. – Ci penserò domani, ora scendo a brevettare la mia idea – e, detto fatto, abbandonò lo studio per andare a vestirsi in camera da letto.
Ho omesso di raccontare un particolare importante e lo farò adesso. Il signor Keyboard, non era ricchissimo, diciamo “benestante a stento”. Aveva però un cuore grande e qualche anno prima aveva preso a servizio la governante di un suo caro amico, rimasta senza lavoro poiché il suo amico era scomparso. La governante non era proprio bravissima né sveglia, ma Keyboard non aveva l'animo di lasciarla per strada e la accolse in casa sua con uno stipendio che non avrebbe potuto permettersi. Bene, con queste premesse, posso ora dire che, mentre Keyboard andò a vestirsi, la signora Qwerty ― così si chiamava la governante ― pensò bene di andare a spolverare lo studio. Non occorre che le dica che, quando si trovò a spolverare la scrivania, spostò maldestramente un pezzo di legno che vi si trovava sopra ed un gran fragore di bottoncini rimbalzanti echeggiò per la casa. Il fischiettio di Keyboard, mentre si rasava, coprì il rumore alle orecchie dell'inventore. Ho ulteriormente omesso di raccontare un altro particolare importante: la signora Qwerty, oltre ad essere tarda di comprendonio e goffa (Keyboard le disse un giorno che al suo confronto un tirannosauro in un negozio di cristalli era come una farfalla poggiata su un papavero), era anche analfabeta. Esaurito questo secondo obbligo, torniamo nello studio di Keyboard dove troviamo il fermo immagine della governante con lo straccio in una mano, l'altra che stringe un pezzo di legno sporco di colla ancora fresca, ed una quantità di bottoni sparsi per terra e sulla scrivania. Senza battere ciglio (se anche le persone intelligenti avessero la stessa determinazione degli stupidi, quante cose cambierebbero) la governante raccolse tutti i bottoni e cercò di sistemarli come meglio poteva. Riconobbe alcuni simboli perché presenti sul calendario della scrivania e li appoggiò sulla prima fila laddove c'erano le macchie di colla. Gli avanzò un bottone con sopra un cerchio e lo mise a fianco all'ultimo. Tra tutti i simboli strani, riusciva a riconoscerne solo alcuni poiché il precedente datore di lavoro le aveva insegnato negli anni a scrivere il proprio cognome. Sulla seconda fila mise quindi il suo cognome: prima la Q, poi la W e via via fino alla Y. “E gli altri?” si chiese. “Li metterò a cas accio!”. E così fece fino a coprire tutte le macchie di colla, che ora andava facendosi più dura. Rimise a posto la tavoletta ed uscì dallo studio per andare a fare danni altrove.
Keyboard, nel frattempo, di buon umore fischiettava allo specchio annodandosi la cravatta. Finì rimirandosi soddisfatto il nodo: un triangolo perfetto. Guardò l'orologio, doveva sbrigarsi, tra mezz'ora l'ufficio brevetti avrebbe chiuso. Corse nel suo studio con un foglio di giornale in mano e, ignaro della catastrofe, avvolse la tavoletta con i bottoni nella carta ed infilò l'uscio di casa. Quello che è successo dopo non lo sappiamo, ma si presume che il vero autore della tastiera, come la conosciamo oggi, non fu il nostro inventore Keyboard bensì la sua governante. Gli storici sono comunque in disaccordo. Qualcuno sostiene che in realtà la governante si chiamasse Qzerty, altri addirittura Azerty, ma questo non ci è dato saperlo con certezza.» «'Ngegné, ma questa storia è veramente vera?» «Ovviamente no, ma a me piace raccontarla così com'è» rispose Paolo rimettendo piede nell'ufficio, giusto in tempo per vedere il display aggiornarsi.
[bip: numero 78, sportello 3]
Software
Gennaro ripensa a tutto ciò che gli è stato detto e ad un certo punto fissando pensoso Paolo, esclama: «'Ngegné, prima quando ci siamo conosciuti avete parlato di dio, quello con la “d” minuscola. Questa distinzione mi ha colpito. Cosa ne pensate di quello con la “D” maiuscola?” Paolo fissa perplesso Gennaro per la domanda ricevuta e, dopo una breve pausa di riflessione, risponde: «Francamente è una domanda che mi sono posto parecchie volte e, come tutti, non ho trovato una risposta. Sono però propenso ad usare la ragione, non possedendo il dono della fede. Ma anche con la ragione non faccio grandi i. Da ragazzo, non so se per fede o per consuetudine, immaginavo un Dio che tutto osserva, dall'alto della sua onnipotenza. Certe volte l'ho anche pregato per farlo intervenire nelle situazioni che ritenevo meritevoli della sua attenzione, ma niente; non è mai successo niente. I più informati sull'argomento ci ricordano sempre che Lui ci lascia la libertà di fare quello che vogliamo e che non interviene mai nelle questioni terrene. Io dico, però: su alcune questioni importanti, sulle miserie umane, sulle tragedie, sulle catastrofi, sui genocidi, perché non intervieni?
[bip: numero 79, sportello 1] Perché ci hai creato e poi ci lasci godere dei momenti belli della nostra breve vita ma poi ci lasci nel totale sconforto quando perdiamo un nostro caro; lo capisco per un anziano: è fisiologico e tutti sappiamo che prima o poi succede, ma quando muore un bambino? Perché? A questa domanda non ho mai trovato risposta e crescendo ho pensato ad un Dio distratto, ad un essere onnipotente che non è per niente a conoscenza della nostra misera presenza, o se ne è a conoscenza, non se ne cura; proprio come un uomo farebbe con una formica.
Nell'adolescenza poi ho maturato un concetto duale di quello insegnatoci al catechismo. È l'uomo che ha creato Dio a sua immagine e somiglianza. E questo spiegherebbe perché ogni persona ha il suo Dio: ciascuno Lo prega a modo suo e ciascuno si aspetta qualcosa. Il mio Dio è migliore del tuo, e per questo sono autorizzato anche ad ucciderti in Suo nome. Più in là, ho conosciuto persone che, nel nome di Dio sacrificavano la propria esistenza a favore dei più deboli e dei più sfortunati. Altri invece, sempre nel nome di Dio, perseguivano i propri interessi e si arricchivano. Quando poi ho iniziato a studiare materie scientifiche ho avuto una visione più materialistica del mondo. Ho letto le teorie di Darwin e la teoria del Big-Bang, però una domanda si insinuava come un tarlo: prima del Big-Bang, chi ha messo insieme tutta quella roba?» «Chi?», chiede affascinato Gennaro.
[bip: numero 80, sportello 4]
«Non lo so. E sicuramente non lo sa nessun umano. Da qui la necessità di ipotizzare un essere superiore che abbia messo insieme tutto. Ma perché? A che scopo? Non ci è dato saperlo».
«Quindi?» incalza Gennaro.
«Quindi niente! Ognuno è libero di credere a quello che vuole. Se non è libero arbitrio questo?»
«'Ngegné, mi state facendo ricordare che da ragazzo anch'io ho avuto gli stessi vostri dubbi quando non riuscivo a comprendere ed accettare l'immenso che ci circonda. Poi, sono riuscito a digerire questo limite concentrandomi su quello che mi era più vicino: una ragazza a cui facevo il filo. Mi ricordo anche che per l'occasione, modestamente, composi pure una poesia per lei. Me la ricordo
ancora!»
«Potreste provare a declamarla?»
«Posso?»
«Ne sarei onorato.»
«È in dialetto.»
«Ah vernacolo campano, bene!»
«No… veramente è in napoletano.»
«…Capisco. Sono tutt'orecchi.»
Gennaro cerca di assumere la posa di un poeta ispirato, come più volte ha visto fare a Paolo: «Il titolo è: “L'Univerzo”» e comincia:
«Oggi aggio visto 'o sole. Mammà! Quant'è lontano!
E po', quante semmane 'nce vonno p'arrivà?
Vi siete domandati, certo, accussì per scherzo
Quant'è grosso l'univerzo e chello ca 'nce stà?
E po' che forma tene? Quadrato? Tunno? A Pera?
Je proprio aieressera cercavo 'e mò spiegà.
Putesse fa' 'n 'esempio:
piglia, che saccio, o sole 'e stelle, 'a luna co' i pianeti
e miette tutto cosa 'int a 'na grande palla.
A fora a chesta palla che caspita ci stà?
Facimmo 'n'ata cosa.
Pigliammo 'n'ata palla...
'n'ata cchiù grossa ancora ...
'na palla superiora che acchiappa pure Dio ...
...
Oi né, ma quante palle, e tu quando fernesce?
Qua vene 'a fine 'o munno e stai contando ancora...
Provammo 'n 'ata vota!
Oggi aggio visto 'o sole. Mammà! Quant'è lontano!
Fortuna che l'ammore mio sta qua, vicino a me.»
[bip: numero 81, sportello 3]
«Complimenti, è bellissima, m'è venuto il freddo addosso» esclama Paolo stupefatto «senza saperlo lei ha immortalato in questa poesia il mio stesso pensiero. Lascio le somme questioni ai sommi personaggi che mi hanno
preceduto e sicuramente mi succederanno. Nel mio piccolo mi limito ad eseguire il software che qualcun altro ha scritto per me e, quando posso, cerco di introdurre qualche piccolo anticorpo nelle persone che stimo.» «Anticorpo? Ho capito bene?» «Ha capito bene, anticorpo. C'è chi semina virus, cattiveria, nefandezza, efferatezza, pazzia, crudeltà, idiozia, mediocrità e carognaggine. Altri invece seminano anticorpi, carità, bontà, cortesia, equilibrio, gentilezza e cultura. Cerco di essere tra questi, anche se non sempre riesco nell'ardua impresa. Tante volte raccolgo più delusioni che successi.»
[bip: numero 82, sportello 5]
Alimentatore
«Lei geometra, ha mai sperimentato una delusione?» «Delusioni? 'Ngegné nella mia vita ho avuto tante di quelle fregature, ma tante di quelle fregature, che gli amici, dopo l'ennesimo bidone ricevuto hanno cominciato a chiamarmi “ il principe del Foro” e poiché non sono certo avvocato, capirete bene di quale foro stia parlando.» «Sì, capisco. L'oggetto da lei citato è però anche sinonimo di fortuna. Lei si ritiene una persona fortunata?» «Bah, che vi devo dire? Potrebbe andare meglio, ma potrebbe anche andare peggio. Certe volte mi guardo in avanti e vedo persone che stanno meglio, altre volte mi giro indietro e vedo persone che stanno molto peggio. A questo punto, un piazzamento a metà classifica mi sta pure bene. Diciamo che non mi lamento e aspetto buono buono il mio turno.» «Turno di cosa?» «Che la dea bendata si ricordi di me» «Quindi lei vorrebbe di più dalla vita?» Gennaro fa per aprire la bocca per rispondere ma il suo sguardo viene catturato dalla figura dell'impiegata dello sportello cinque. Bassina, capelli bianchi e vestito nero, porta appoggiati sulla punta del naso degli occhiali attaccati ad una catenella. Gennaro nota, attraverso il vetro corazzato dello sportello, e attraverso quello degli occhiali, gli occhi dell'impiegata. Sono neri come la pece e divergenti. Il cliente le è di fronte e lei conversa amabilmente, ma Gennaro nota una stranezza: la pupilla destra guarda verso lo sportello uno, come a controllare la collega, la sinistra punta verso la porta d'ingresso; nessuna delle due punta verso il cliente. “Bah” pensa Gennaro, “Forse farà la media!”, poi ricordandosi della domanda risponde:
«Non saprei. Forse sì.» «Ebbene, è forse giunto il momento di introdurre un nuovo componente. Deve sapere che il nostro bel processore e tutte le sue belle periferiche varrebbero niente se non ci fosse questo componente principale: l'alimentatore. È quello che dà vita al resto del computer permettendogli di vivere e nutrirsi nel tempo. È una sorta di Natura che fornisce le materie prime di sostentamento: acqua e cibo, nelle sue variegate forme. Se durante un processo di elaborazione il processore o le periferiche richiedono più cibo, l'alimentatore generosamente eroga più corrente, consentendo l'esecuzione del software. Addirittura ci sono alcuni componenti che mangiano corrente senza fare niente, nell'attesa di essere chiamati in causa.»
[bip: numero 83, sportello 1]
«'Ngegné, come qualche impiegato che conosco io. Ma che succede se il computer mangia di più di quello che l'alimentatore è in grado di fornirgli?» «Beh, se il progettista ha lavorato bene questo non succederà: l'alimentazione è progettata per esaudire tutte le richieste di energia. Questo però quando il computer esce dalla fabbrica. Se io aggiungo nuove periferiche, una scheda video più potente, tante altre opzioni più o meno inutili può succedere che l'alimentatore vada in protezione: stacca tutto e…» «E buonanotte al secchio!» «Già. Francamente non ho mai visto un computer suicidarsi in questo modo.» «Il computer no, è inintelligente! Ma l'uomo forse sì» «Questo è vero. Stiamo attingendo dal nostro alimentatore ogni giorno sempre più corrente. Non sappiamo quale sia il limite, ma se non impariamo a dosare i nostri prelievi con la ragione, e non con lo stomaco, probabilmente arriveremo al punto in cui lui (o meglio lei), si auto proteggerà e…» «E buonanotte al secchio!», incalza Gennaro.
«Già.» «'Ngegné» esita Gennaro guardando una signora vicina che lo fissa da un po', «speriamo almeno che nel nostro caso il progettista abbia lavorato bene!»
[bip: numero 84, sportello 1]
«Scusate signore» dice una signora, rivolta a Gennaro. Magra, minuta, grandi occhi neri di donna semplice e sguardo dolce di mamma premurosa, continua: «Io penso di andare via perché devo andare a cucinare. Tra un'ora torneranno i miei figli da scuola e non ho ancora preparato niente». Paolo e Gennaro si guardano perplessi per quella inattesa confidenza, ma la signora gentilmente spiega: «Vi dico questo perché è da un po' che vi osservo. Ero alla ricerca della persona giusta e voi mi siete simpatico» e senza aggiungere altro gli mette in mano una pallina di carta ed esce in fretta, chiedendo sommessamente “permesso” e facendosi largo con i suoi piccoli gomiti ossuti.
[bip: numero 85, sportello 3]
Mouse
Gennaro, con la bocca ancora aperta per la sorpresa, si rigira tra le mani la pallina di carta e poi, delicatamente, la apre nell'improbabile tentativo di restituirle la forma originaria. Finita l'operazione si trova davanti un foglietto completamente bianco; lo gira lentamente, come un incallito giocatore di poker che prolunghi all'infinito la scoperta della carta sottostante. La carta si scopre e la bocca di Gennaro, rimasta ancora aperta da prima per il misterioso messaggio, diventa ora spalancata.
[bip: numero 86, sportello 1]
«Cos'è?» chiede Paolo incuriosito. Gennaro finalmente, con la lingua quasi asciutta, riesce a chiudere la bocca, deglutisce e mormora: «'ttanove» «Eh?» «'ttanove!» ripete aumentando di poco il volume della voce. «Non capisco». «La signora ... mi ha dato il suo numero, l'ottantanove! 'Ngegné, che colpo di fortuna!» «Fortuna? E perché la definisce tale?» «E che cos'è secondo voi? Mi risparmio almeno un'ora di attesa. Se non è fortuna questa?» «Ma perché», chiede Paolo con l'espressione che avrebbe, se avesse un volto, un
bicchiere di limpida acqua di fonte «ha intenzione di usarlo?» «Ma…, mi avete pigliato pe' fesso? Perché mai non dovrei usarlo?» «Perché quelli che stanno prima di lei hanno più diritto ad usarlo. Questa non la definirei una fortuna, piuttosto una modifica del software». «Che?» «La signora di prima con un click del mouse, da esperta programmatrice, ha inserito nella sua vita una riga di software, un ‘if’, che comporta necessariamente una scelta. Lei ora dovrà scegliere tra vero e falso, tra intelligente e furbo. Si ritenga fortunato; è uno dei pochi casi in cui lei conosce il suo software e può modificarlo». «'Ngegné, la riga iff, come la chiamate, veramente l'avete inserita voi. Se non c'eravate voi, non c'era nessun iff! Io sarei ato avanti e avrei fatto la persona intelligente o il furbo, che sono poi la stessa cosa». «Non esattamente, mio caro geometra.» Se qualche cliente dell'ufficio si fosse soffermato per un istante ad osservare la coppia formata da Paolo e Gennaro, avrebbe avuto la netta impressione di trovarsi davanti il vero Sherlock Holmes, con tanto di pipa e supponenza, ed il suo assistente dottor Watson. Purtroppo tutti i presenti sono troppo annoiati o troppo assorti a bere dal display il proprio destino non troppo imminente. «Intelligente» sentenzia Paolo come aspirando dalla sua pipa virtuale «è colui che usa la sua furbizia per migliorare sé stesso, gli altri e il mondo circostante. È un bit alto, cioè Vero. Il furbo, di contro, è colui che usa la sua intelligenza per scopi personali, a volte poco leciti, e arreca vantaggi solo a sé stesso, a scapito della comunità. È un bit basso, cioè Falso. Nel mondo del computer non esistono vie di mezzo: o sei vero o sei falso. Chi ruba una mela è falso alla stessa stregua di chi compie una truffa da un milione di euro. Qual è l'uscita del suo ‘if’?» «'Ngegné ma è 'nu peccato!» esclama Gennaro poco convinto; si gira e si rigira il pezzo di carta. Per un attimo gli è sembrato che il rito scaramantico iniziale si fosse finalmente avverato, ma non come nella realtà, bensì come in un sogno: sei davanti ad una bella donna, disponibile, ma non puoi toccarla. Stai dormendo.
Come ipnotizzato dalle parole di Paolo, Gennaro esegue mentalmente la linea di software, l'if della signora:
[bip: numero 87, sportello 3]
Ragionando scopre con suo massimo stupore che in realtà l'uscita VERO è, come dice Paolo, falsa e viceversa. “A volte le cose non sono come sembrano” pensa, poi riguarda il foglietto nelle sue mani ed esegue un' altra riga:
“Ecco” pensa, “ora le cose tornano al loro posto: il VERO col Vero e il FALSO col Falso”. «'Ngegné, grazie» e senza indugio strappa visibilmente il pezzo di carta che non ne poteva più di essere trattato in quel modo.
[bip: numero 88, sportello 3]
Liberato da quel gesto, Gennaro fa per gettare a terra i pezzi di carta che gli costeranno altre ore di fila ma poi si ferma, cerca con gli occhi un cestino come aveva visto fare a Paolo poco prima, e non trovandolo si infila i pezzi di carta in tasca. Il gesto non sfugge a Paolo che, pur conoscendo già la risposta, lo interroga: «Perché ha messo in tasca quei pezzi di carta?» Gennaro si schernisce, guarda a terra tra scarpe perfettamente lucide, altre completamente logore, mocassini e tanti sandali con varie cipolle e callosità in evidenza, e scopre che il pavimento dell'ufficio è effettivamente ingombro di carte nelle sue svariate forme: dal frammento piano alla pallina perfettamente sferica. Probabilmente il suo contributo non avrebbe granché modificato la situazione, ma spiega: «Effettivamente, la pulizia del pavimento non è eccelsa e avrei potuto buttare a terra quei pezzi di carta, ma francamente, mi rincresce. E poi ho notato che anche voi prima avete conservato in tasca quei fogli. Perché?»
[bip: numero 89, sportello 4]
Gennaro guarda verso il display e sorride a Paolo che risponde:
«A parte il senso di pulizia e civiltà che fortunatamente mi hanno trasmesso i miei genitori – ebbene sì, i miei genitori mi hanno installato l'antivirus – e che cercherò di trasmettere a mia volta ai miei figli, sono fermamente convinto che quei pezzetti di carta, nelle mie mani, sono una preziosa risorsa da non sprecare. Pensi semplicemente a tutto ciò che occorre per generare ex-novo questo pezzo di carta: legno, dagli alberi sottratti alle foreste. Acqua, sottratta agli acquedotti. E poi collanti, additivi e decoloranti vari, energia elettrica per le lavorazioni. Perché devo fare da capo un pezzo di carta quando ce l'ho già? Tutt'al più lo trasformo per le mie esigenze! E secondo lei, costa più trasformare un pezzo di carta che rifarlo da capo?» esclama Paolo infervorato. Secondo l'abitudine ormai consueta, non riesce ad attendere la risposta alla domanda fatta, ma continua: «Ovviamente no! E tutto ciò che risparmio è la risorsa, nascosta in questo piccolo pezzo di carta, che pochi riescono a scorgere. Così come pochi leggono, attraverso la superficie di una bottiglia di plastica, la risorsa celata in termini di risparmio ottenuto tra la generazione a partire dalle materie prime e la rigenerazione ottenuta partendo da materie seconde. E questo vale per quasi tutto noi tocchiamo durante il giorno, immondizia compresa!» A questo punto succede un fatto singolare. Gennaro si accorge che quasi tutte le persone a portata di voce, come pizzicate dalla freccetta del mouse del discorso entusiastico di Paolo, si chinano; ufficialmente chi per allacciarsi le scarpe, chi per grattarsi il tallone, chi per raccogliere una monetina caduta all'istante, ma in realtà per raccogliere qualcosa che, Gennaro ne è sicuro, avevano precedentemente gettato per terra. Il pavimento è rimasto più o meno sporco come prima, ma Gennaro sorride all'idea di quanti ‘if’ nel software delle persone circostanti sia riuscito ad inserire Paolo col suo discorso accalorato. Improvvisamente un'idea balena nella sua testa ed esclama: «'Ngegné, ma se quello che dite è vero, cioè che se riciclo risparmio fatica e denaro, allora potrei in linea di principio depositare questi risparmi in una banca!»
[bip: numero 90, sportello 5]
Gennaro ha ormai imparato la lezione, non aspetta risposta e continua nel suo
pensiero creativo: «Non posso certo depositare la fatica risparmiata – o forse potrei ma ci devo pensare bene a come farlo, lo farò dopo a casa – ma sicuramente posso depositare il risparmio potenziale, cioè la munnezza. Potrei, per esempio, depositare alluminio, acciaio, plastica, carta e gli avanzi di materiale organico, e loro mi accreditano - che so – un tot di Euromunnezza». Gennaro scuote la testa su e giù a conferma della ovvia necessità di una nuova forma valutaria, si ferma un attimo ad elaborare le nuove intuizioni, e continua: «Poi, quando porto del materiale che non può essere riciclato ed il cui smaltimento ha un costo, loro mi addebitano un ics di Euromunnezza, e a fine anno facciamo i conti: chi deve, paga e chi deve avere, ha. 'Ngegné che ideona, già mi vedo le insegne della banca: Cassa di Rifiuto Cooperativo, oppure Banca della Munnezza e del Riciclo, e infine Credito Avanzi & Scorze. Immaginate. Io entro in banca col mio bel sacchetto, e mi ritrovo l'impiegato sorridente in giacca e cravatta: “Buongiorno signore” mi fa, ed io: “Buongiorno a lei caro impiegato”. Poi guardando con occhi ingordi il mio sacchetto mi fa: “Desidera?” ed io: “Vorrei fare un'operazione sul mio libretto”, e lui: “Cos'è, munnezza al portatore o nominativa?” “Nominativa! Per chi mi ha preso?” aggiungo io quasi offeso. “Ah capisco, mi scusi. Ha con sé il libretto?” “Certamente! Eccolo, sono in attivo di 3500 Spazzaeuro”» continua Gennaro consapevole che il cambio del nome della valuta da EuroMunnezza a SpazzaEuro può farlo indiscriminatamente in qualsiasi momento visto che è lui l'inventore e nessuno può contestargli niente.
[bip: numero 91, sportello 3]
«Gli mostro fiero il libretto e lui mi fa: “Lei si che è un risparmiatore attento! Non a caso è uno dei nostri migliori clienti” poi mi leva con bramosia il sacchetto di mano, esamina il contenuto e mi dice: “Questa operazione Le costa 100 EuRicicli, incluse commissioni, bolli e tasse. Che fa, preleva?”» Gennaro fa una pausa ad effetto per far assorbire il colpo del nuovo cambio di nome della valuta, e continua: «“Certo, certo. Non posso mica lasciarla per strada!” e l'impiegato accondiscendente mi fa: “Mi da un documento, per favore? Ah, è un libretto cointestato!” “Sì” gli rispondo, “Certe volte viene mia moglie” e lui, restituendomi il sacchetto: “Bene, l'operazione è registrata, i alla cassa per il deposito e arrivederLa” “Arrivederci, ci vediamo domani. Ho rifatto l'impianto elettrico a casa e ho un po' di conduttori di rame da versare” “Ci conto! Abbiamo delle ottime offerte per il rame. Consulti pure i nostri fogli informativi all'ingresso. Inoltre questo mese, ma badi bene solo per questo mese, abbiamo il ‘tre per due’ su rame, alluminio e plastica. Pensi, per ogni due chilogrammi di prodotto che ci porterà avrà un credito di equivalente a tre chilogrammi. Ne approfitti”. 'Ngegné, che grande idea. Appena torno a casa mi metto al tavolino e la elaboro» esclama Gennaro fiero della nuova società che andrà a fondare. Poi, ato di colpo l'estro creativo, così come di colpo era iniziato, ritorna calmo come prima e realizza finalmente cosa gli è successo.
[bip: numero 92, sportello 3]
Sente la punta della freccetta del mouse di Paolo pizzicargli la nuca e si lascia cullare da questa nuova, bella sensazione.
Virus
[bip: numero 93, sportello 2] L'attesa comincia a diventare pesante. Gennaro, ripresosi dal momento creativo, cerca di riportare il discorso su ciò che gli interessa e chiede: «'Ngegné, ma in sostanza cosa permette ad un programma di funzionare, e perché certe volte i programmi non funzionano?» «È un discorso lungo. I programmi che girano su di un computer sono il risultato del lavoro di tante persone che hanno contribuito ad un risultato straordinario. Così come è straordinario il percorso dell'uomo, dalla sua posizione eretta ad oggi. Qualcuno sostiene che un lontano giorno un tizio, che chiameremo Demiurgo, partendo da una accozzaglia di materia grezza, il CAOS, iniziò ad ordinarla a somiglianza delle idee, le Eidos, ottenendo così il COSMO, cioè il creato così come lo conosciamo, o meglio, crediamo di conoscerlo. Bene, se applichiamo una delle operazioni fondamentali del nostro amico Boole, la Oresclusiva detta XOR, allo stato iniziale e finale che le ho detto otterremo:
CAOS XOR COSMO = A M O E l'amore è in effetti il valore aggiunto del Demiurgo, il motore del mondo, il vero e unico Programma degno di essere eseguito. Non solo l'amore di un essere umano verso un altro, ma anche la ione, la curiosità, l'impegno, la professionalità e la tenacia che tutti dovremmo mettere nelle cose che facciamo. Purtroppo non è sempre così, ad esempio...» Paolo si gira intorno per cercare un altro foglio, non accorgendosi che Gennaro glielo sta porgendo, proprio sotto il naso. Difatti, gira la testa verso Gennaro ed il bordo del foglio gli rimane incastrato tra il naso ed il labbro superiore. Il foglio si piega, nascondendo il sorriso ebete di Gennaro e, per fortuna, lo sguardo perplesso di Paolo.
[bip: numero 94, sportello 4]
Paolo allontana la testa e con un sorriso imbarazzato accetta il foglio tesogli. Mentre lo spiana bene di qua e di là il suo sguardo si sofferma sulla strana grafia presente su un lato del foglio. È piccola, ordinata, tremolante ma al tempo stesso emana una forza straordinaria. Paolo non vorrebbe vedere altro, vergognandosi per questa palese violazione di un'intimità ignota. Guarda negli occhi Gennaro ed esclama: «Ma questa è una lettera!» «Embè?» «Voglio dire, è una lettera manoscritta!» «Lo vedo, e allora?» «Qualcuno aveva intenzione di spedirla ma, evidentemente non l'ha fatto. Ascolti!» e con un po' di riluttanza ed un minimo di imbarazzo, legge:
Caro politico,
sono un cittadino dello Stato Italiano, ed avrei alcune cose da chiederti. Tu sei un funzionario dello Stato ed il tuo impegno è gravoso: devi scegliere cosa è bene per il Paese; devi sobbarcarti mille impegni quotidiani; devi garantire che la rettitudine e la serietà, tua e dei tuoi colleghi, siano la strada maestra da percorrere; devi guardarti da persone che, per tornaconti propri, cercano di corromperti e di influenzare le tue scelte; devi guardare lontano, oltre te stesso, per scoprire e superare gli ostacoli che costellano il tuo ed il nostro cammino.
Il tuo non è un mestiere semplice. Non è neanche un mestiere. È una missione.
Anche tu come me, modesto lavoratore, hai dei superiori; e scorrendo in alto la catena gerarchica, scoprirai che sopra tutto c'è lo Stato, di cui io, e tu con me, facciamo parte.
Ed in qualità di tuo pari, e contemporaneamente di tuo superiore, ti chiedo solo di impegnarti a far sì che le cose vadano per il meglio. Non ti chiedo di fare proclami in televisione, mi basta solo una palestra che allontani i miei figli dalla strada. Non mi interessa se attacchi ferocemente un avversario politico. Siete due colleghi, e lavorate entrambi per me; vi chiedo solo di lavorare insieme per far trovare un posto in ospedale ai miei cari qualora ce ne fosse bisogno. Non sono interessato alle tue mani; puoi usare indifferentemente la destra o la sinistra, purché tu firmi leggi giuste, eque e progressiste. Non sono interessato alla tua vita privata; mi dimostrerai di essere integerrimo assicurando ai miei figli la migliore istruzione. Non hai nessun bisogno di scendere in piazza per farti vedere; quando un mio amico troverà un lavoro tanto a lungo cercato, io lo saprò. Non chiedo molto. In compenso ti assegno tanti privilegi, uno stipendio ed una pensione che un cittadino medio come me difficilmente riuscirà mai a percepire.
Se non te la senti, ti posso capire e non ti biasimo se lascerai il tuo posto a qualcun altro.
Se invece credi di poter fare quanto ti chiedo, ti dico grazie per quello che farai, e fa che io sia sempre fiero del tuo operato.
Un cittadino
I due si guardano sbigottiti per alcuni secondi prima di accorgersi che c'è una terza persona che li osserva. È un uomo sulla settantina, forse ottanta, capelli bianchissimi folti e vigorosi, sguardo gentile, fermo e acquoso, di quell'acqua che tutti gli anziani hanno negli occhi. Sorriso umile e sincero. Nonostante il caldo è vestito di tutto punto: completo di lino chiaro, scarpe di cuoio forato, camicia immacolata e cravatta stretta a pois. Il nodo della cravatta è talmente perfetto che sembra annodato da Talete in persona. Ha un grosso neo, come un pisello, che sporge dalla fronte, proprio sopra l'attaccatura del naso, tra due cespugli che sono in realtà sopracciglia. Ed è quel neo che Paolo e Gennaro fissano ipnotizzati quando esclama stancamente: «Ecco dov'era finito. Beh, a questo punto, fatene quel che volete» e senza aggiungere altro, con un'alzata di spalle che dura un'eternità, si dirige verso la porta, e fendendo la folla col suo neo e la sua cravatta equilatera, sparisce.
[bip: numero 95, sportello 2]
Internet
«Che strano tipo!» esclama Gennaro sorpreso. «Che abbia qualche rotella fuori posto?» «Non mi è sembrato. Anzi. La sua lettera mi è sembrata lucida, anche se un po' candida. Chi scriverebbe mai ad un politico una lettera del genere? E soprattutto, chi si aspetterebbe una risposta?» guarda perplesso la macchia di umido sul soffitto e dopo un po' esclama «Forse proprio io!» sorride Paolo compiaciuto «anzi, sa che le dico? Che quasi quasi la spedisco! E pure con ricevuta di ritorno!»
[bip: numero 96, sportello 5]
«Bravo 'ngegné, fate bene, così date un po' di soddisfazione a quel povero vecchietto. Dopo una vita intera ata a fare chissà quale lavoro, se lo merita.» «Sa cosa mi è venuto in mente fissando i suoi capelli così bianchi e ahimè, cosi folti?» dice Paolo andosi una mano su quello che adesso è più cuoio che capelluto «che, in questo periodo in cui impera la globalizzazione, noi ci permettiamo il lusso di cancellare migliaia e migliaia di TeraByte di memoria senza battere ciglio.» «Che vuol dire?» «Mi riferisco agli anziani, alla loro conoscenza accumulata negli anni. Ci sono anziani di tutti i tipi, ma tutti, proprio tutti hanno una RAM stracolma di dati che il più delle volte non interessa nessuno. Si immagini quale conoscenza si potrebbe ottenere se riuscissimo a mettere insieme tutti quei dati.» «In effetti...»
[bip: numero 97, sportello 4] «Ci diamo tanto da fare per adottare bambini, e questo è più che giusto per le coppie che non hanno la possibilità di averne e per i bambini che altrimenti non avrebbero una famiglia, ma pensi a cosa succederebbe se fossero i bambini ad adottare un anziano, ad essere loro a copiare i files memorizzati e a non permettere che vadano persi, a frequentare ogni giorno un anziano solo, che muore dalla voglia di trasmettere ad altri ciò che ha imparato nel corso della sua vita e che nessuno è disposto ad ascoltare. Ci pensi, geometra, solo i bambini possono avere questa forza: un'ora ata con una persona anziana potrebbe avere la stessa valenza di pagine e pagine di un libro. Un contadino, un artigiano, un manager possono mettere a disposizione dei files che verrebbero istantaneamente copiati nella RAM dei bambini! Ecco il mio prossimo progetto: “Un Nonno in adozione”» «Bello 'ngegné» si esalta Gennaro, già dimentico del progetto della banca della munnezza, «mi immagino la scena; la maestra entra in classe e dice: Bambini, oggi nell'ora di scienze verrà a trovarci nonno Arturo, geologo, che ci spiegherà come si formano le pianure e le montagne. Poi, dopo la pausa merenda avremo con noi nonna Linda, premio Nobel per la medicina, che ci farà capire come si diffondono le malattie e come difenderci. Nell'ultima ora verrà a trovarci nonno Don Vincenzo, coltivatore diretto, che ci spiegherà i periodi di semina e la rotazione delle colture. Ci insegnerà inoltre come riconoscere una zucchina fresca; mi raccomando, se avete domande parlate a voce alta perché nonno Vincenzo è un po' sordo. Domani poi, se troviamo un'ambulanza disponibile, verrà alla prima ora nonno Giuseppe che, catetere permettendo, ci insegnerà cosa sono le onde elettromagnetiche, a che servono e come si propagano. Per chi fosse interessato, nel pomeriggio avremo con noi nonno Giorgio, ex manager, che terrà un seminario dal titolo: “Dai capricci ai comportamenti proattivi”. Non mancate perché, a seguire, nonna Adelina ci leggerà e commenterà con noi due favole di Esopo. Nell'ora di educazione fisica verranno a trovarci ben due noti personaggi: nonna Carolina, ex cestista e nonno Walter, ex pallanuotista, che ci spiegheranno i vantaggi della ginnastica isometrica con prova pratica finale. Chi è interessato a lezioni di ripetizione su argomenti vari, può telefonare a Villa Anzia o Villa Gerios e prenotare un nonno a domicilio, specificando la materia di interesse. Ricordate ai vostri genitori che tutte le lezioni sono assolutamente gratuite, ma se vogliono, possono contribuire ad una
piccola integrazione di alcune magre pensioni dei nostri consulenti. Inoltre la prossima settimana verrà a trovarci Don Vito, pentito di mafia e collaboratore di giustizia, che ci parlerà delle subdole tentazioni della criminalità organizzata, di come imparare a riconoscerle e a difendersi. Ricordate che per i temi trattati in questa lezione è necessaria l'autorizzazione dei vostri genitori. Purtroppo per le lezioni di educazione alla politica non siamo riusciti a trovare nessun nonno, tra gli ex parlamentari, disponibile a lavorare gratis. Vi dovete arrangiare con il libro di testo.»
[bip: numero 98, sportello 1]
Shut-Down
Anche in questo caso l'estro creativo di Gennaro a in fretta, così com'era venuto. Con la pazienza ridotta ormai all'osso, Gennaro allunga il collo per vedere all'interno dell'ufficio. Nota un indaffarato direttore dai modi e dall'aspetto di un furetto che si affanna da uno sportello all'altro. Sorride, gli è venuto in mente quel buffo personaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie.
[bip: numero 99, sportello 5]
Il sorriso gli muore quando scorge un impiegato calvo che ciondola da una scrivania all'altra portando con sé enormi fascicoli. A Gennaro sembra che siano sempre gli stessi, portati di qua e di là per buttare fumo negli occhi del furetto. Lo sguardo corre allo sportello 6 dove troneggia il cartello “CHIUSO”. «Mannaggia a loro, ma non potevano aprire un altro sportello?»
[bip: numero 100, sportello 2]
«Finalmente! 'Ngegné, scusatemi, mo' tocca a me. Guardate che combinazione, mi è capitato lo sportello col numero due!» e si avvia con o malfermo e deciso al tempo stesso, come un atleta provato alla fine della gara, ma vincitore. L'impiegato viene raggiunto da Gennaro mentre pesta sulla tastiera con l'indice della mano destra. Guarda perplesso il monitor. «È strano» mormora. Si gira verso il collega alla sua sinistra, quello con la barba, e i due parlottano per un po'.
Nonostante la lunga attesa, Gennaro ha tutti i sensi acuiti da uno strano presentimento, ma ciò non basta a carpire qualcosa di intelligibile dal dialogo tra i due. Quello con la barba infine fa spallucce, e l'impiegato si rivolge alla signorina bionda alla sua destra. Mille piccoli fili invisibili drizzano i peli sulla nuca di Gennaro. Parlottio indistinto. I sensi di Gennaro vengono distratti da una perlina di sudore freddo che gli è nata chissà dove ed ora si fa strada, obbedendo alla legge di gravità, lungo uno zigomo. Ancora parlottio e poi spallucce della signorina. Una mano irreale ma tangibile, afferra lo stomaco di Gennaro e comincia a stritolarlo. L'impiegato si avvicina al vetro, verso il cliente, esibendo un enigmatico sorriso con la sua larga bocca. “Sinistro”, pensa Gennaro con una mano sullo stomaco, “molto sinistro”. “Strano”, nota “anche lui ha una gocciolina di sudore che gli cade dalla fronte. E pure dallo stesso lato mio”. «Sono desolato» balbetta l'impiegato; ora le perline sono più d'una. «Non mi era mai successo! Deve essersi bloccato il computer». Fissa Gennaro con due occhioni candidi ed esclama: «Ed è pure ora di chiusura! Potete tornare domani?»
Glossario
Algoritmo
È il processo che si deve seguire quando da uno o più ingressi si vogliono ottenere delle uscite. Anche la sequenza degli sportelli sul display sono uscite di un algoritmo. Riuscite a trovarlo? Non sarà per niente facile. Gli ingressi sono due: il numero di sportelli aperti ed il vero numero perfetto.
µP
I microprocessori diventano ogni anno sempre più veloci e potenti ma continuano a chiamarsi così. Possibile che non sia stato ancora inventato il milliprocessore, o il kiloprocessore? Se dovessero inventarlo, sono sicuro che appena alimentato mi direbbe: “Computo, ergo sum!”. Sono però altrettanto sicuro che da dietro la mia schiena si materializzerebbe il martello che avevo sapientemente occultato prima di accenderlo.
Clock
È il nostro orologio interno. Quello che ci dice quando dobbiamo fare le cose. Ha una funzione davvero singolare: da neonati il clock è bassissimo ed impieghiamo davvero tanti colpi di clock per eseguire delle operazioni elementari. Crescendo, la frequenza del clock aumenta, ma non per tutti, e con essa diminuiscono i colpi di clock necessari per eseguire le attività. In tarda età, infine la frequenza si abbassa di nuovo, e con essa si allungano i tempi di
reazione. Non sempre è un bene avere una frequenza di clock alta, ma sicuramente quando vi trovate di fronte ad una persona con il clock basso, armatevi di molta pazienza.
U
vedi µP.
Ctrl-Alt-Canc
È l'ultima spiaggia, se non hai altre risorse devi per forza eseguirlo. È come una sorta di reincarnazione, ma senza la memoria della vita precedente, a meno che tu non l'abbia salvata in un file!
Hardware
Ho visto ragazze con un hardware da brivido. Per attaccare bottone chiedevo: “Come ti chiami?”, ma la risposta era sempre la stessa: “Indoviiina?”. Nei modelli con hardware avanzato tipicamente viene installato il solo software di base. Quello avanzato risiede quasi sempre su un hardware poco appariscente. Non si offendano le donne. Ciò vale anche per il genere maschile.
Interrupt
Hai presente quando con un piede, muovi la culla per far calmare il poppante
affamato, con una mano mantieni il pentolino con il latte caldo, con l'altra mano estrai il biberon dallo sterilizzatore, col piede residuo ti reggi in un equilibrio instabile e improvvisamente squilla il telefono? Ecco, quello è un interrupt.
Si parla invece di interrupt mascherato in presenza di moglie petulante che ti parla incessantemente in un orecchio, ma tu beato continui a seguire la partita di calcio in TV.
Run
Rappresenta l'archetipo dello stile di vita quotidiano. Un programma non va in Walk oppure in Stroll. No. Deve necessariamente andare in Run, deve correre. OK, corriamo tutti! Ma, per favore, avvisatemi quando la gara è finita.
Shut-down
Rappresenta la fine, la morte. Una domanda che si pongono tutti i computer: “Esiste un Run dopo lo shut-down?”
Software
Molti sono i programmatori del nostro software. A cominciare dai nostri avi che ci hanno trasmesso gli algoritmi tramite i cromosomi. A qualcuno o qualcosa che ha pensato e realizzato i cromosomi. A tutti i nostri maestri, professori, parenti, amici e conoscenti che hanno inserito molteplici “Select case” e “if” nelle nostre zucche. Alle cadute dalla bicicletta, alle ginocchia sbucciate. Ai nostri primi
approcci amorosi e alle inevitabili delusioni. Ai libri che leggiamo e alla musica che ascoltiamo. Peccato che l'ultima riga di software, l' “END” fatidico, quella che ci fa chiudere definitivamente gli occhi, sia eseguita sempre a nostra insaputa.
Watch-dog
Nel 100% dei casi, una ragazza carina è sempre accompagnata da un fidanzato geloso e opprimente. Questo fidanzato potrebbe rappresentare egregiamente un watch-dog, ma non è questo il caso. Il watch-dog è colui che ti misura, ti squadra e ti giudica; colui che viene a farti le pulci per vedere se hai finito ciò che lui si aspetta che tu faccia. Insomma un vero rompipalle. Qualcuno ha un watch-dog sul posto di lavoro? O peggio, in casa?