Il Segno Dell'odio 6ia37

Il segno dell’odio

CAPITOLO 1

Era arrivato il grande giorno. Mi sarei dovuta trasferire. Era trascorso un anno da quando ero entrata a far parte della squadra omicidi della polizia e già mi avevano assegnato una nuova sede situata in un piccolo centro urbano. Guardai per un’ultima volta la mia casa che era stato il mio rifugio isolato dal resto del mondo per troppi anni. Avrei voltato pagina una volta per tutte: volevo cambiare la mia vita. Il trasloco fu molto lungo e faticoso e, come spesso accade, molti oggetti andarono perduti. La mia nuova casa era più piccola rispetto alla precedente e i suoi muri esterni erano formati da dei bei mattoni rossi. Entrai e notai subito che le pareti erano di colore giallo canarino. Salii le scale, al secondo piano c’era solo una piccola stanzetta che si affacciava sul giardino: decisi che quella sarebbe divenuta la mia camera. Prima di prendere servizio sarebbero dovuti trascorrere un paio di giorni: il tempo ottimale per sistemare la casa e fare le dovute pratiche al municipio. Vidi che gli operai stavano ancora scaricando degli scatoloni, così decisi di visitare quella piccola città. Feci una eggiata in quello che sarebbe divenuto il mio quartiere e notai un grande viavai per le strade, nonostante si trattasse di una cittadina e le nubi che minacciavano un imminente temporale. Dato che non avevo ancora riordinato tutta la cucina e non avevo nessuna voglia di farlo, decisi che non sarei tornata a casa e avrei pranzato in uno dei tanti locali della zona. L’aria era diventata fredda e un forte vento mi scompigliava i capelli. Mi affrettai a raggiungere un bistrot. Quando arrivai mi sedetti a un tavolino e aspettai che mi servissero. Finalmente, dopo un quarto d’ora, arrivò il cameriere e potei ordinare. Stavo per iniziare il pasto quando entrò un ragazzo dall’aspetto familiare. I suoi occhi erano verde smeraldo mentre i suoi capelli erano neri e scompigliati. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare dove avessi visto quel volto.

Si diresse verso di me ed io rimasi ancora più confusa. Poi mi ricordai: l’avevo conosciuto a una festa! Si guardò attorno e si sedette al mio stesso tavolo. Il suo viso pallido era madido di sudore. Restò in silenzio fissandomi e poi disse: «Oggi fa proprio freddo!». Era molto teso e spesso picchiettava il dito sul tavolo. «Vuoi ordinare qualcosa?» chiesi per rompere il ghiaccio. «No grazie, tanto fra poco me ne andrò…» mi rispose in tono distratto. Mentre mangiavo il mio pasto, ormai freddo, guardavo le macchine bloccate dal traffico. Notai tra la folla una strana donna: indossava una pelliccia candida e un cappello beige le copriva il volto. Finii di pranzare e mi voltai nuovamente verso il ragazzo che mi guardò e sorrise. Improvvisamente un rumore assordante ruppe il silenzio e fui investita da vetri infranti. Mi ritrovai macchiata di sangue… Terrorizzata mi voltai e vidi che il ragazzo era riverso sulla sedia. Notai una piccola macchia di sangue sul maglione, all’altezza del cuore che lentamente si stava spandendo. Istintivamente cercai con lo sguardo la ragazza con la pelliccia: era scomparsa. Il vetro della finestra era distrutto e le schegge erano sparse ovunque. Corsi fuori mentre la gente inorridita urlava spaventata. Guardai in tutte le direzioni, ma della donna non c’era benché minima traccia. Rientrai, vidi che delle persone circondavano il ragazzo e cercavano di assisterlo ormai inutilmente. Mi diressi in bagno per ripulirmi. Mi sciacquai il viso e feci un gran sospiro. Stavo per uscire quando mi tornò in mente il suo sorriso. Il sorriso di quel ragazzo, l’ultimo disperato saluto alla sua vita. Quel sorriso è una di quelle cose che non dimentichi, che ti rimangono dentro. Per sempre. Molti poliziotti avevano già visto morire qualcuno davanti ai propri occhi. Io no. Sentire una vita scivolarti via dalle mani senza poter fare niente, completamente impotente a quello che hai davanti… Mi sedetti sul pavimento e, riacquistata un po’ di calma, mi feci coraggio e me ne andai senza aspettare che intervenisse la polizia. Non avrei dovuto

abbandonare il luogo del delitto, ma ero impaurita e sconvolta. Allo stesso tempo mi ribolliva il sangue nelle vene. Non ero nelle condizioni che il mio ruolo richiedeva. Avrei testimoniato non appena fossi entrata in servizio. Corsi per la strada e finalmente arrivai a casa. Mi cambiai e buttai i vestiti, non volevo più avere ricordi di quella traumatica esperienza. Mi addormentai esausta, con tutti gli scatoloni ancora da svuotare. Nel sonno mi assalirono moltissimi incubi, e iniziarono a balenare nella mia testa domande su domande. L’ansia del ragazzo era dovuta alla consapevolezza della sua morte imminente? Perché si era seduto accanto a me se a malapena ci conoscevamo? Voleva comunicarmi qualcosa? Chi era quella donna che avevo notato per strada? Era lei la colpevole? Troppe domande e troppe poche risposte. Niente per me aveva senso logico o almeno ero troppo sconvolta per trovarlo. Ma proprio in quel momento sentii nascere qualcosa dentro me: la determinazione di scoprire la verità. Nella mia mente si ripeteva solo una frase ossessivamente: devo trovare l’assassino.

CAPITOLO 2

Il giorno seguente decisi di montare gli ultimi mobili per cercare di distrarmi il più possibile fino all’indomani, primo giorno di servizio in quella cittadina. Nel pomeriggio finii di visitare il centro e comprai qualche cosa nei negozi che stavano applicando degli sconti di fine stagione. La giornata ò abbastanza in fretta e riuscii a non pensare all’omicidio del giorno precedente. Purtroppo la notte riportò alla memoria i miei tremendi ricordi e non mi permise di chiudere occhio. Esausta dai continui incubi, mi addormentai verso le tre di notte. La sveglia squillò. Con la velocità di un bradipo addormentato, le feci cadere la mano sopra, spegnendola. Pigramente aprii gli occhi, vidi l’ora: le sette e mezza. Era terribilmente tardi! Balzai fuori dal letto e in poco tempo ero già fuori casa. Chiedendo informazioni in giro, riuscii ad arrivare in perfetto orario davanti al dipartimento di polizia. Fui colpita dall’imponenza dell’edificio che dava un senso di autorità e austerità. Aspettai qualche secondo ed entrai. Davanti a me avevo una sala con alcune scrivanie e computer. Appena mi videro, alcuni poliziotti fecero un capannello e iniziarono a bisbigliare, altri si limitarono a guardarmi con curiosità. Venne verso di me una donna: indossava una camicetta bianca e una gonna grigio scuro che finiva sotto il ginocchio. I suoi occhi erano di colore verde scuro e i suoi capelli erano bruni. «Immagino che lei sia l’agente Lynn Winter» disse. «Benvenuta, questo è il nostro dipartimento. Mi chiamo Roxanne Green e sono il capitano di questo distretto. Ho letto il suo curriculum, non è male nonostante sia così giovane. Mi perdoni la domanda, ma non è chiaro un aspetto. Sa sparare?». «Sì, ma... credo che io abbia bisogno ancora di un po’ di pratica…». Mi guardò un po’ perplessa, successivamente riprese il suo discorso: «Bene, ora

le posso chiedere una cosa più personale?» e, senza che io rispondessi alla domanda che mi aveva posto, continuò «Molti testimoni hanno detto che lei era presente quando hanno sparato a quel ragazzo…». Io dissi ridendo: «Non penserà che sia stata io a ucciderlo?». Tutti si girarono verso di me e ricominciarono a bisbigliare. Roxanne mi fece cenno di seguirla. «Mi scusi se le rubo del tempo, ma lei sa che è necessario raccogliere tutte le informazioni possibili». Mi portò nella sala dell’interrogatorio: la stanza era completamente bianca e gli unici oggetti presenti erano un vetro a specchio, un microfono, due sedie e un tavolo. «Accogliente questa stanza… Io le darei una pennellata di colore» dissi in tono sarcastico. Roxanne mi riprese freddamente: «Sia seria. Quindi lei conferma la sua presenza in quel ristorante nel momento in cui si è verificato l’omicidio?». «Sì, confermo». «Ebbene lei conosceva quel ragazzo?». «Sì, lo conoscevo». «È troppo vaga! Specifichi meglio la sua relazione nei confronti della vittima». «Eravamo dei semplici conoscenti. Me l’hanno presentato a una festa qualche anno fa». «Può dirmi qualcosa di più sul ragazzo? Sa se qualcuno avrebbe ottenuto qualche vantaggio dalla sua morte e perché?». «Purtroppo non lo conoscevo così bene. Non ricordo nemmeno il suo nome!». «I testimoni affermano che il ragazzo appena l’ha vista si è seduto immediatamente al suo stesso tavolo. Vuole farmi credere che una persona che conosce a malapena abbia deciso di pranzare insieme a lei? E perché ha abbandonato la scena del crimine prima dell’intervento dei colleghi e senza

prestare aiuto? Secondo me c’è qualcosa che vuole appositamente omettere, signorina Winter». La guardai con un tono di sfida. Pensava realmente che potesse mettermi con le spalle al muro? Cercai di ricordare la scena dell’omicidio. Provando a mantenere i nervi saldi dissi: «L’unica cosa che so è che il ragazzo era molto agitato. Entrando nel ristorante ha cercato un viso familiare e il primo che ha visto è stato il mio. Non so se avesse l’intenzione di rivelarmi qualcosa, ma comunque sia, non ce n’è stato il tempo. A sparargli deve essere stata per forza una persona che non si trovava all’interno dell’edificio, altrimenti i vetri non si sarebbero di certo infranti e sparsi sul pavimento del locale. Prima di andarmene ho controllato la via per cercare qualche possibile indiziato, ma non ho notato nulla di particolare, se non l’inevitabile confusione della folla spaventata. Ora lei comprende che, se anche fossi rimasta, non sarei stata di alcun aiuto». «Questo lo avremmo dovuto decidere noi, agente». Guardai Roxanne. Ero soddisfatta di me, ero riuscita a chiarire la mia posizione in modo inequivocabile. Stette in silenzio un bel po’ e poi disse: «Spero proprio che quello che dicono su di lei sia vero. Si ricordi che chi non sa proteggere se stesso non può certo proteggere gli altri» . All’improvviso entrò un poliziotto. Sudava e con un certo timore balbettò: «Capo… Non so come dirlo… Il corpo è scomparso!». Roxanne, che mi era sembrata una donna fredda e calma, cambiò completamente. Batté le mani sul tavolo e urlo: «Siete un branco di inetti! Farete cadere questo dipartimento di polizia in ridicolo! Dimmi, almeno il medico legale ha fatto in tempo ad esaminare il cadavere?». Il poliziotto sussurrò: «Ecco, capo… i poliziotti sono usciti dal locale per andare incontro al medico legale e in quel momento devono aver rubato il corpo». Il mio capo cercò di controllarsi e disse: «Bene, l’agente Lynn Winter vi accompagnerà. Trovate l’agente Ford, voglio che venga anche lui insieme a voi». Appena uscita dal dipartimento vidi di spalle un giovane dal fisico atletico che doveva avere pochi anni più di me. Si voltò appena uscii. Mi colpirono i suoi occhi azzurro cielo e i suoi capelli di un rosso ramato.

«Tu sei Lynn Winter? Piacere, sono l’agente Ford, ma puoi chiamarmi Austin. Spero che lavoreremo bene insieme, collega. Per quanto riguarda la sparizione del cadavere, so già tutto. Mi hanno già informato. Direi che è ora di iniziare, non credi? È inutile perderci in formali ed inutili presentazioni». Ero un attimo intontita dalla valanga di parole che mi aveva detto. Riuscii solo ad annuire e salire in macchina. Così, senza ulteriori convenevoli, ci dirigemmo subito al bistrot dove era avvenuto l’omicidio e successivamente il furto. Stavamo per entrare nell’edificio quando improvvisamente i ricordi del delitto mi tornarono alla mente e il mio corpo si irrigidì. Austin si accorse del mio turbamento. «Lynn, che ti succede? Stai bene?». Ovviamente non sapeva del mio coinvolgimento nel caso. «Non preoccuparti, sono solamente un po’ stanca. Comunque, grazie del pensiero…». Mi soffermai un attimo davanti alla porta ed entrai con riluttanza. Ci accolse subito il proprietario che ci portò davanti al tavolo dove il ragazzo era morto. Facendomi forza mi avvicinai alla sedia dove era seduta la vittima e vidi che il proiettile non aveva attraversato il corpo del giovane uomo perché non erano presenti tracce di sangue sullo schienale. Quindi il proiettile era ancora dentro il corpo: grazie alla pallottola avremmo scoperto il calibro della pistola, avremmo potuto chiedere ai negozianti chi avesse acquistato un’arma di quel tipo e facendoci dare l’elenco avremmo ristretto enormemente il numero di indiziati. L’unico problema era trovare il cadavere... Austin richiamò la mia attenzione dicendo che aveva notato una cosa molto interessante. Lo seguii e ad un certo punto si fermò e indico il pavimento. «Vedi, c’è una traccia di sangue. La persona che ha rubato il corpo deve averlo trascinato fino a questo punto e in seguito è uscito dal retro del negozio». Io ragionai un attimo e poi affermai con enfasi: «Se l’assassino è stato costretto a trascinare l’esile corpo, vuol dire che la sua forza fisica non deve essere molto elevata. Tutto questo significa che probabilmente il nostro assassino potrebbe essere anche una donna!».

Austin annuì e insieme ci dirigemmo nel giardino che era sul retro della bottega. La nostra ipotesi fu confermata grazie alle piante su cui trovammo altre tracce. In quel momento mi ricordai della strana donna vista fuori dall’edificio il giorno dell’omicidio. Il mio intuito mi diceva che lei era la colpevole. Se solo avessi conosciuto la sua identità! Guardai meglio quelle prove e dissi ad Austin: «Le tracce sono ancora fresche, l’assassino non deve essere lontano». Austin guardò in giro e batté il pugno sullo steccato del giardino. «Sì, ma le tracce finiscono qui. Maledizione! Non possiamo in nessun modo sapere dove si sia diretto il colpevole». Delusi tornammo al dipartimento di polizia. Appena arrivati Roxanne ci corse incontro speranzosa di avere buone notizie. Prima che lei potesse parlare Austin la precedette: «Non abbiamo scoperto niente riguardo l’ubicazione del cadavere, però abbiamo trovato alcuni dettagli molto particolari che il criminale si è lasciato dietro». Le raccontammo di tutti gli indizi ritrovati sulla scena del crimine e Roxanne, dopo averci ascoltato, domandò quasi a se stessa: «Che tipo di delitto potrebbe essere questa volta?». Prima che qualcuno le rispondesse suonò il telefono. Roxanne alzò la cornetta. Fece segno di non muoverci da lì. La conversazione che seguì durò abbastanza a lungo. Io e Austin speravamo che fossero nuove notizie riguardo al caso. Dopo aver riattaccato, il nostro capo affermò: «Abbiamo trovato il cadavere, si trova appena fuori la città». Ci dirigemmo tempestivamente nel posto dove era stato rinvenuto il corpo. Scendemmo dall’auto della polizia e subito un contadino ci raggiunse. Camminammo un po’ nella direzione che ci aveva indicato e finalmente lo vidi. Era in mezzo a un grande campo di fiori, i suoi occhi verdi erano diventati vitrei, il suo viso sorridente si era trasformato. Mentre sentivo l’odore nauseabondo del cadavere vidi che il corpo mostrava i primi segni di decomposizione e probabilmente i vermi stavano già banchettando con le sue viscere. Davanti a quello spettacolo così macabro indietreggiai inorridita. Austin mi guardò e cercò di confortarmi: «Che ti succede? Parlarne ti farà sentire meglio. Credimi. Vale almeno la pena provarci». Ci allontanammo da quel posto ed io decisi di raccontare tutto quello che era

avvenuto qualche giorno prima. Ritenni opportuno non proferire parola solo sulla donna sospetta. «Quindi era questo che ti affliggeva? ». «Sì, ora mi sento molto meglio. Ti ringrazio». Vedemmo che una squadra di poliziotti stava già prelevando il cadavere. Così decidemmo di tornare al dipartimento. Quella sera gli incubi riguardanti il ragazzo morto finirono, ma iniziai a sognare una donna vestita di bianco con una pistola in mano. La parte peggiore dell’incubo era lo sparo: quando la donna premeva il grilletto sentivo il colpo che rimbombava nella mia testa e avvertivo una terribile fitta al petto che mi faceva svegliare di soprassalto. Il mattino seguente mi svegliai in orario e mi diressi con tutta calma al dipartimento di polizia. Al mio arrivo Austin mi salutò e disse che avevano esaminato il cadavere. Ci dirigemmo dal medico legale, un uomo stempiato sulla cinquantina, che ci spiegò: «Come saprete già, la causa del decesso è la grave ferita da arma da fuoco in pieno petto. Una cosa curiosa è che avrei dovuto trovare la pallottola. Invece la persona che ha rubato il cadavere deve averla rimossa e nel farlo ha alterato il foro d’entrata. Per questo non ho potuto capire la grandezza del proiettile. Non posso dirvi il calibro della pistola. Mi spiace…». Stavamo per andarcene quando ci richiamò: «Aspettate! Ho rinvenuto un dettaglio sconcertante. Deve essere successo dopo che il cadavere è stato rubato. Venite e vedete voi stessi». Ci avvicinammo e il medico legale ci diede una foto. La guardai e non potei credere a quello che avevo davanti agli occhi: il collo del ragazzo era stato marchiato con il fuoco. Focalizzai meglio, vidi che sulla sua pelle era stato impresso un numero: 2004.

CAPITOLO 3

2004… quel numero cosa significava? Io e Austin ci guardammo perplessi. Quell’indizio era sicuramente cruciale per il caso, però noi non riuscivamo a capirne il significato. Forse era una data. Quella notte mi tornarono in mente le misteriose cifre e mi sforzai di pensare a qualche evento importante avvenuto in quell’anno. Continuai a riflettere, ma niente: non avevo alcun ricordo particolare. La mattina seguente decisi che mi sarei focalizzata sull’identità del ragazzo. Appena entrata nel dipartimento di polizia Austin venne verso di me. Sembrava molto preoccupato. Lo guardai incuriosita e lui: «Lynn, siamo ancora troppo lontani dalla soluzione. Addirittura non sappiamo ancora il nome del ragazzo! L’assassino potrebbe uccidere di nuovo oppure essere già scappato». Cercai di rassicurarlo: «Non abbiamo nessuna certezza che sia fuggito o che torni a uccidere. Per quanto riguarda il ragazzo morto, oggi mi dedicherò a scoprire la sua identità». «Sì, forse sono semplici supposizioni, ma ogni minuto che quell’assassino a a piede libero potrebbe condannare un innocente. Dobbiamo risolvere il caso prima possibile, capisci?». Io, che già mi sentivo sotto pressione e venivo da una notte insonne, non riuscii a controllarmi: «Credi che non mi stia impegnando? Credi che io non sappia che le vite delle persone sono nelle nostre mani? Ogni notte, ogni singola notte, gli incubi mi tormentano perché ho paura. Ho paura di non risolvere il caso, ho paura che delle persone possano morire a causa della mia incompetenza». «Scusami, non volevo mettere in dubbio il tuo impegno, ma certe volte non riesco a nascondere i miei pensieri». «Scuse accettate, siamo tutti un po’ tesi in questo momento. Ora se non ti dispiace, avrei del lavoro da svolgere». Lasciai Austin ai suoi pensieri e mi diressi verso la scrivania. Iniziai a cercare di

identificare il giovane. Se solo avessi ricordato il suo nome! Inserii i parametri di ricerca: sesso, fascia d’età, colore dei capelli e degli occhi. La persona che stavo cercando era un uomo di circa trenta anni, capelli neri e occhi verdi… mille persone corrispondevano ai seguenti dati. Sospirai e iniziai a controllare tutti i file a nostra disposizione. Dopo due ore si avvicinò a me Roxanne. Guardò quello che stavo facendo al computer e disse: «Sta svolgendo un lavoro meticoloso. Sono certa che riuscirà a identificare il ragazzo. Questo però non la deve portare a trascurare le ore di esercitazione al poligono. Le ricordo che domani avrà la prima lezione di tiro presso il nostro dipartimento». Io mi limitai ad annuire e continuai a lavorare con impegno. Erano ate otto ore dall’inizio della febbrile ricerca. Ormai erano le quattro del pomeriggio e avevo già controllato metà delle schede. Spensi il computer, mi alzai e decisi di fare una pausa. Possibile che nessuno avesse sporto denuncia per la scomparsa del ragazzo? Mi diressi verso il distributore automatico più vicino e comprai una bottiglietta d’acqua e dei tramezzini. Dopo essermi riposata tornai alla scrivania. arono altre quattro ore e i miei colleghi, che avevano finito il turno, si preparavano per andare a casa. Anche Roxanne stava per uscire quando si voltò e venne verso di me. «Non crede che sia il momento di fermarsi? Sono le otto di sera e sono dodici ore che lavora quasi ininterrottamente. Credo che possa andare a casa anche lei». «Grazie capitano, ma non mi fermerò finché non saprò l’identità del…!». Saltai sulla sedia… finalmente l’avevo trovato! La foto del ragazzo era davanti ai miei occhi. Sullo schermo era scritto il suo nome: Matthew Turner. Soddisfatta mi voltai e sentii Roxanne affermare: «Ben fatto agente Winter». Ero molto sollevata dall’idea di aver trovato i dati della vittima. Avevo raggiunto il mio scopo. Potevo finalmente concedermi un meritato riposo, così presi il cappotto e uscii dall’edificio. Mi incamminai gratificata per la via di casa.

Il vento era molto forte e si capiva che la primavera avrebbe tardato il suo arrivo. D’altronde era solamente metà febbraio. Arrivata davanti alla mia dimora, notai una cosa molto strana: le luci del salotto erano accese. Ero certa di averle spente prima di uscire… Aprii la porta con molta cautela e presi il primo oggetto contundente a portata di mano. Mi avvicinai lentamente al salotto e sperai che i miei i non si sentissero. Avevo il cuore che batteva all’impazzata, sembrava quasi sul punto di esplodere. Mi affacciai dalla porta del corridoio e vidi una figura sdraiata sul divano. Non riuscivo a capire chi fosse e così mi avvicinai lentamente. «Dan? Cosa ci fai tu qui?» domandai confusa. Dan si girò e disse sorpreso: «Beh? Non sei minimamente contenta di rivedere il tuo ragazzo?». Si alzò in piedi e mi guardò con uno sguardo ironicamente corrucciato. Corsi verso di lui, lo abbracciai e poi piagnucolai con le lacrime agli occhi: «Finalmente sei qui! Perché non sei arrivato prima?». Mi guardò con aria perplessa e mi chiese cosa fosse mai successo in quei pochi giorni. Ci sedemmo su una poltrona ed io raccontai dettagliatamente tutte le cose che mi erano accadute quella settimana. Mentre parlavo accarezzavo i suoi capelli biondi. I suoi occhi color ambra mi guardavano dolcemente. Quando finii la storia Dan mi abbracciò e sussurrò: «Non aver paura, ora ci sono io a proteggerti». Ci addormentammo abbracciati sul divano. Quella sera riuscii finalmente a riposare senza incubi, perché stretta fra le sue braccia mi sentivo al sicuro. L’indomani, quando aprii gli occhi, mi accorsi che Dan non c’era. Mi alzai e istintivamente mi recai in cucina. «Buongiorno principessa! So che non sono un cuoco gourmet, ma ho pensato che avresti gradito qualcosa da mangiare. Non è un granché, ma non c’era granché…». Posi un dito sulle sue labbra e dissi sorridendo: «Non importa. È il pensiero che conta».

Portai il vassoio nella sala da pranzo, lo poggiai sul tavolo e vidi che conteneva due tazze di cioccolata calda e qualche fetta biscottata con la marmellata. Dopo aver fatto colazione chiesi a Dan: «Allora, perché sei venuto qui? Non mi hai più detto nulla.». Abbassò lo sguardò e notai che stava diventando sempre più teso. Fece un sospiro e farfugliò qualcosa di incomprensibile. Io, non avendo assolutamente idea di cosa avesse detto, lo pregai di ripetere. Mi guardò terrorizzato, come se ridire quella frase fosse una sfida quasi impossibile. Respirò profondamente e disse tutto ad un fiato: «Ho deciso di trasferirmi qui. Comunque, se tu vuoi, insomma, non sei certo obbligata ad ospitarmi. Ecco…». Continuò per circa un quarto d’ora a dire che se volevo mi potevo anche rifiutare. All’ennesima volta che ripeteva sempre la stessa frase scoppiai a ridere, lo strinsi forte a me e dissi: «Stupido, non c’era bisogno che tu ti agitassi così tanto. Sono felicissima che tu venga a vivere insieme a me». «Ecco io lo sapevo che non avresti accettato. Ora riprendo le mie cose e… aspetta... hai detto che posso rimanere qui?». Io annuii contenta. A quel punto il viso di Dan riprese il suo aspetto solare e la sua espressione divenne molto più rilassata. «Però ti dico fin da ora che siccome abbiamo orari diversi è meglio che ciascuno abbia una sua stanza. Potrai arredare la tua come più ti piace». «Certamente! Per stare con te sarei disposto a dormire anche in una tenda in giardino». Scompigliai i suoi capelli con un gesto affettuoso. Lo vidi uscire tutto contento. Visto l’orario decisi che era il caso che iniziassi a prepararmi per andare a lavorare. Appena arrivata aprii il computer e lessi tutte le informazioni che riguardavano Matthew Turner. Era nato il tre agosto del 1986, maschio, celibe, altezza un metro e settantacinque, capelli neri, occhi verdi, nessun segno particolare sul viso. Nella parte inferiore della scheda era scritto anche il nome di alcune persone da contattare in caso di emergenza.

Andai nell’ufficio di Roxanne e chiesi se potevo andare dai genitori della vittima per comunicare di persona la scomparsa del figlio. In questo modo avrei potuto sapere qualcosa di più su Matthew. Mi diede il suo consenso, ma avrei avuto Austin come scorta. Poco tempo dopo eravamo già davanti alla casa dei genitori del ragazzo. La villetta si trovava vicino al centro della cittadina. Dedussi che la famiglia Turner era benestante. Chiesi ad Austin di rimanere in macchina e mi diressi all’ingresso della casa. Bussai. Una voce roca chiese chi fossi. Con un tono più fermo possibile dichiarai: «Sono del dipartimento di polizia, aprite». Un uomo avanti con gli anni, calvo e tatuato su ogni centimetro della sua pelle, aprì la porta. Non mi aspettavo certo di trovarmi davanti un uomo dall’aspetto così truce. Mi guardò dall’alto in basso e disse: «Ragazzina torna a casa, questi scherzi non sono divertenti». Ragazzina… mi aveva dato della ragazzina! Furiosa presi il mio distintivo e lo misi a due centimetri dal suo muso tatuato. A quel punto dissi autoritariamente: «Se lei non collabora sono costretta a scortarla fino al dipartimento di polizia. Stia attento a come parla. Potrei denunciarla per aver insultato un agente di polizia». L’uomo, con una certa riluttanza, aprì la porta. Mi fece accomodare sul divano del soggiorno e chiamò la moglie. Cercai di concentrarmi e cominciai a esporre il problema: «Sono qui per parlare di vostro figlio Matthew…». La donna mi interruppe immediatamente: «Matthew? Cosa è successo a mio figlio? Non ditemi che l’avete arrestato, oh cielo!». Guardai entrambi i genitori e domandai: «Perché voi avevate qualche sospetto che vostro figlio fe qualcosa per cui dovesse essere arrestato?». «Ecco il nostro Matt usciva e spesso tornava un paio di giorni dopo. Ma perché la polizia indaga su di lui?». Io guardai smarrita la madre di Matthew e poi suo padre. Mi scoprii incapace di dire cosa fosse successo al figlio. Completamente ammutolita iniziai a fissare il pavimento, non riuscendo assolutamente a guardare in faccia i genitori.

«Vostro figlio è morto, mi spiace» disse una voce alle mie spalle. Mi girai e vidi Austin sulla soglia della porta. La donna si mise le mani tra i capelli e, dondolandosi avanti e indietro, ripeteva il nome di suo figlio mentre le lacrime iniziarono a rigarle il viso. «Austin, sei un insensibile!» mi rigirai verso i genitori di Matthew e dissi: «Sono mortificata per ciò che è accaduto a vostro figlio, vi prego di scusare il mio collega ed accettare le mie più sentite…». «Andatavene immediatamente dalla mia casa. Voi poliziotti portate solo sventura. Andatevene!» iniziò a strillare istericamente la donna. A quel punto suo marito si alzò e in modo brusco ci pregò di uscire e di avere rispetto del loro dolore. Una volta fuori, arrabbiata, ammonii Austin: «Perché sei stato così duro? Stavo anche per scoprire qualcosa di importante!». «La verità è quella, i giri di parole sono inutili. La loro tristezza e la loro rabbia sarebbe stata identica qualsiasi cosa tu avessi detto. Ho preferito non perdere tempo». «Era loro figlio, dovevi essere comunque meno diretto. Sii più gentile la prossima volta». Tornammo al dipartimento e riferimmo quel po’ che avevamo scoperto a Roxanne. «Il ragazzo forse faceva parte di una banda criminale e voleva dire tutto alla polizia, ma l’hanno fatto tacere. Voglio che domani ritorniate dai genitori per interrogarli meglio e se potete fatevi dare il nome di qualche suo amico. Vi do un mandato di comparizione, vi sarà d’aiuto se fanno di nuovo resistenza. Forse abbiamo finalmente trovato una pista che ci farà risolvere il caso». Ci congedammo da Roxanne ed io andai alla mia lezione di tiro. Una donna in divisa mi aspettava con una pistola in mano. I suoi capelli erano legati in una coda di cavallo e dai suoi occhi neri traspariva una grande forza e determinazione. L’istruttrice mi chiese se avevo mai utilizzato una pistola ed io risposi di sì. Innanzitutto mi chiese di ricaricare i colpi. Notai che l’arma aveva un certo peso. L’istruttrice mi ricordò le nozioni base per effettuare un tiro ben

centrato: tenere la pistola con entrambe le mani, piantare bene i piedi per terra e stare attenta al contraccolpo. Mi sistemai davanti al bersaglio, impugnai l’arma saldamente, mirai all’obiettivo davanti a me, inspirai, espirai e premetti il grilletto. Mi sbilanciai leggermente a causa del contraccolpo e, quando incuriosita andai a vedere la sagoma, costatai che ero riuscita a prenderla, ma non a centrarla perfettamente. L’istruttrice mi sorrise: «Certo, non hai preso proprio il centro, però potrai migliorare in breve tempo». Dopo due ore di esercitazione la mia insegnante mi congedò: «Ci vediamo la prossima settimana, ma se desideri puoi venire qua tutti i giorni per allenarti». Io la ringraziai di cuore e tornai a casa. Dan non c’era. Mi sdraiai sul mio letto e iniziai a pensare. Quante cose erano successe in quei pochi giorni, anche troppe per i miei gusti: il mio trasloco, la morte di Matthew, il mio nuovo dipartimento di polizia, le indagini, l’arrivo del mio fidanzato. Sembrava perfino che avessimo trovato una traccia da seguire. Però non potevo immaginare che quei giorni così intensi sarebbero stati i primi di tanti altri che dovevano ancora venire.

CAPITOLO 4

«Lynn, Lynn! Svegliati!». Il mio lungo sonno venne interrotto da qualcuno che mi stava strattonando il mio braccio. Aprii gli occhi e con la vista ancora offuscata dal sonno intravidi un volto davanti a me. Mi ritrassi indietro spaventata. Focalizzai meglio e riconobbi il volto Dan. Trassi un sospiro di sollievo ed esclamai: «Sei matto? Mi hai spaventata a morte!». «Davvero? Scusa, ma devo mostrarti una cosa. Su alzati!». «Non voglio, ho sonno. Ti prego lasciami dormire un altro po’!». Detto questo nascosi il viso nel cuscino. «Va bene, se la metti in questo modo, non mi lasci altra scelta». Dopo aver finito la frase Dan si chinò e mi prese in braccio mentre mi contorcevo per liberarmi dalla sua presa. «Fammi scendere! Fammi scendere immediatamente!». «Ne sei veramente sicura? Se vuoi ti lascio andare, ma non so se ti conviene…». Smisi di dargli i pugni sulla spalla, ragionai un attimo e mi arresi. Mi sorrise e mi portò davanti alla porta della sua camera. Mi fece scendere e affermò pieno d’orgoglio: «Ho lavorato tutta la notte per finire di arredare la stanza!». Osservai i suoi vestiti e mi accorsi che la canottiera e i jeans che indossava erano completamente imbrattati di vernice rossa e anche il suo viso era sporco con lo stesso colore. Rabbrividii al pensiero di dover smacchiare quegli abiti sudici. «Dan, lo sai che io non ho alcuna intenzione di togliere quelle macchie di vernice, vero?». Guardò i suoi indumenti: «Ho pensato anche a questo! Ormai dovevo buttare

questi vestiti e così ho pensato di utilizzarli un’ultima volta e anche se li avessi sporcati, non avrei dovuto pulirli. Ora però chiudi gli occhi». Dan, per assicurarsi che non sbirciassi, mi bendò. Aprì la porta e tolse la fascia. Davanti a me vidi il gran lavoro che aveva svolto: aveva dipinto le pareti di rosso, sistemato le assi di legno per il pavimento, montato una scrivania che aveva messo davanti alla finestra. Infine aveva messo un comodino accanto al letto. «Sei stato bravissimo! Hai reso questa stanza veramente unica. Sei…» Dan mi azzittì dolcemente. Poi si avvicinò, mi prese le mani e mi diede un pacchetto. Mi guardò con i suoi occhi ridenti e mi sussurrò all’orecchio: «Questa stanza non è ancora completa. Senza questo non vale assolutamente nulla. Decidi tu dove vuoi che stia». Lo guardai incuriosita. Aprii il misterioso pacchetto e quando vidi cosa conteneva mi commossi: era una nostra foto che avevamo scattato quell’estate. La strinsi a me e poi la sistemai sul suo comodino. Volevo che fosse la prima cosa che vedesse al mattino e l’ultima prima di addormentarsi. Le mie lacrime scendevano lentamente e bagnavano le mie guance. Dan si avvicinò e mi abbracciò. Poi prese un fazzoletto e asciugò il mio viso. Mi baciò dolcemente. Rimasi abbracciata a lui. Il tempo sembrava essersi fermato, ma poi, accidentalmente, il mio sguardo si posò sul suo orologio. «Oh, no! Sono in ritardo! Scusami Dan, ma ora devo proprio andare». Corsi nella mia camera a prepararmi. Poco dopo ero già fuori di casa e correvo per non perdere l’autobus. Rimpiansi di non avere la patente. Arrivai davanti alle porte del distretto di polizia con solo un quarto d’ora di ritardo. Ansimavo tremendamente e temevo il richiamo che mi avrebbe fatto Roxanne. Entrai e, spalancata la porta, vidi lei davanti a me. «Agente Winter è in ritardo di un quarto d’ora. Per oggi i, ma la prossima volta che ritarderà…» fece una lunga pausa e sistemò il colletto della camicetta «dovrò prendere dei provvedimenti. Ci tengo molto alla disciplina. Quindi è bene che impari subito. Buon lavoro». Mi scusai. Stranamente mi sentii rassicurata, non per le parole che aveva utilizzato, ma perché era stata diretta. Feci per andare verso la mia scrivania quando Austin venne verso di me. Sembrava un incubo. Perché tutti dovevano

sgridarmi per un minimo ritardo? Invece il mio collega non solo non voleva sottolineare la mia “mancanza di disciplina”, ma volle addirittura scusarsi per l’atteggiamento duro che aveva assunto il giorno precedente durante le indagini. Rimasi molto sorpresa. Probabilmente lo avevo giudicato male. Mi ricordai che quel giorno sarei dovuta tornare a casa dei genitori di Matthew e sperai che qualcuno mi accompagnasse: il padre della vittima mi incuteva un po’ di paura. Come avevo sperato, Roxanne decise di mandare Austin con me. La sua presenza mi tranquillizzò un po’. Quando giungemmo a destinazione, notammo che le persiane erano chiuse. Pensai che i signori Turner dovevano essere dei tipi molto strani oppure non volevano ricevere visite. Questa volta lasciai andare Austin davanti. Tolse la sicura alla sua pistola e bussò insistentemente. Dalla casa non proveniva alcun rumore. A un certo punto sentimmo un cigolio e la porta si aprì lentamente. Questa volta apparve la signora Turner che, appena vide che eravamo noi, ci chiuse “gentilmente” la porta in faccia. Perché si ostinavano a non incontrarci? Avevano qualcosa d’importante da nasconderci? Senza perdere altro tempo Austin continuò a bussare e intimò che avrebbe forzato la porta se non l’avessero aperta immediatamente. Il signor Turner ci aprì e ci fece accomodare malvolentieri e soltanto perché non aveva possibilità di scelta. La moglie, quando ci vide, inveì contro il marito: «Caro, ti avevo detto di non farli entrare per alcuna ragione e invece…». «Ho provato a fermarli, ma avrebbero buttato giù la porta…». La discussione tra i due coniugi continuò per circa cinque minuti finché Austin decise di interromperla. «Sapete se vostro figlio aveva fatto qualcosa per cui dovesse essere ucciso?» disse il mio collega usando un tono di voce che sovrastasse quello dei signori Turner. Questi si azzittirono immediatamente. Poi... «Cosa sta insinuando? Che nostro figlio fosse un malvivente? Come si permette…». «Signora, se non collabora saremmo costretti a scortarvi al dipartimento di polizia per interrogarvi. Farvi vedere dai vicini scortati da dei poliziotti… Vorrei evitare, se non costretto».

«Noi non sapevamo niente riguardo alla vita privata di nostro figlio. Sa, il lavoro, gli amici, ormai era adulto… Capisce?». Austin questa volta aveva trovato la via giusta per farli collaborare. Mi stavo ricredendo sul suo conto quando… «Io capisco soltanto che voi non avevate tempo per vostro figlio. Anche se Matthew fosse diventato un delinquente, non ve ne sarebbe importato nulla! Tutto il resto è più importante. D’altronde non ci si può aspettare molto da persone come voi...». Diedi una gomitata ad Austin per farlo smettere. Subito si alzò e uscì fuori dalla casa per evitare di infierire ulteriormente contro i signori Turner. «Vi porgo le mie scuse. Non so cosa stia succedendo all’agente Ford. Sono certa che vostro figlio non sia diventato un delinquente. Cercheremo di non importunarvi più se finalmente vi deciderete di collaborare». Quella appena detta era una bugia e mi sentivo malissimo. Però se volevo che i genitori di Matthew collaborassero, era indispensabile. «Potreste elencarmi le persone che Matthew frequentava?». I signori Turner decisero di aiutarci e ato un quarto d’ora mi diedero una lista con diversi nomi. Ringraziai e me ne andai. Trovai Austin seduto sul cofano della macchina che guardava il cellulare. Non sapevo cosa fare. Probabilmente tutto quello che aveva detto era la verità, ma a causa della sua impulsività le indagini sarebbero potute essere seriamente compromesse. «Austin, che ti succede? So che avevi ragione, ma…». «Non sopporto le persone viscide e false come loro. Lynn, mi spiace che tu debba sempre rimediare ai disastri che combino. Perdonami, ma non riesco a controllarmi. È più forte di me». «Va bene, ma la prossima volta, se mai dovessimo interrogarli di nuovo, rimani in macchina. Ora però su con il morale!» gli sventolai trionfalmente un foglio davanti agli occhi «Grazie a me abbiamo finalmente la lista degli amici di

Matthew. Appena torniamo al dipartimento dobbiamo convocarli per interrogarli». Tornammo indietro, stavamo per entrare quando Austin prese il mio braccio e disse indicando l’orologio: «Guarda! È l’ora della pausa. Ho deciso che per farmi perdonare ti offrirò il pranzo». «Ti ringrazio ma non serve. Poi non credo sia il caso...». Non riuscii in alcun modo a far desistere Austin dalla sua idea. Così decise di portarmi in uno dei ristoranti della zona. Ero abbastanza imbarazzata e anche Austin non sembrava a suo agio. Lo avrei voluto uccidere: quell’idea si sarebbe rivelata pessima, anche se l’aveva proposta con le migliori intenzioni. Stavamo per iniziare a mangiare quando da dietro le mie spalle sentii una voce che mi chiamava. Mi si raggelò il sangue e pensai che quella fosse la cosa peggiore che mi poteva accadere. Non avevo il coraggio di girarmi. «Lynn, mi dispiace interrompere questo bel pranzetto, ma dovrei parlarti un attimo». «Dan… Anche tu qui? Ecco io… Ti presento il mio collega Austin Ford…». Vidi Dan guardare Austin con uno sguardo così feroce che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito. Decisi di tagliare corto. «Austin, ti dispiace se esco un attimo a parlare con il mio fidanzato?». Senza aspettare risposta spinsi Dan fuori dal locale. «Non immaginavo che tu fossi una ragazza così... Sono cinque anni che stiamo insieme e tu? Basta che mi allontano per un po’ e già mi tradisci con un altro?». «Dan non è assolutamente come pensi. Austin è semplicemente un collega. Devi credermi, è la verità!». Il mio ragazzo si mostrava riluttante, poi dopo un silenzio glaciale: «D’accordo Lynn, ma stasera riprenderemo il discorso. C’è ancora qualcosa che non mi convince». «Ok, non serve continuare, tesoro. Sei stato abbastanza chiaro. Ci vediamo

stasera. Ora vado a finire di mangiare, come stavo semplicemente facendo prima». Lasciato Dan rientrai. «Però non mi avevi detto che avevi un fidanzato» disse Austin per rompere il ghiaccio. «Austin, ti prego non peggiorare la situazione. Perché avrei dovuto dirti che ero fidanzata se sono trascorsi pochi giorni da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme?». «Di pure al tuo fidanzato che la mia intenzione era solo quella di riparare i danni fatti in questi giorni, ma a quanto pare ho fatto peggio…». «Credo che sia meglio che torniamo a lavorare». Appena rientrati iniziai a controllare la lista degli amici di Matthew. Ormai avevo il tempo di convocare solo quattro persone di quell’elenco che sembrava interminabile. Sfortunatamente i ragazzi interrogati erano semplici conoscenti e non riuscii a scoprire molto. L’unica cosa che ero riuscita ad ottenere era il nome della palestra dove si allenava la vittima. Decisi che l’indomani avrei fatto un sopralluogo. Quando tornai a casa Dan era in fondo al corridoio e mi aspettava. Raccontai tutti i disastri commessi da Austin e della sua “geniale” idea per farsi perdonare. A stento riuscii a riacquistare la sua piena fiducia e cenammo quasi in armonia. Il giorno seguente per prima cosa chiesi ad Austin di accompagnarmi alla palestra che frequentava la vittima. Non c’era niente di interessante e preferimmo non rimanere troppo a lungo in quel luogo: la gente iniziava a guardarci con diffidenza. Non ci rimaneva che continuare a interrogare gli amici di Matt. Dopo qualche ora ce ne rimanevano soltanto tre. Siccome ero stanca e non vedevo l’ora di finire decisi di interrogarli insieme, non rispettando le dovute procedure. «Ebbene se non sbaglio voi eravate gli amici più cari di Matthew». «Sì, siamo venuti a conoscenza del suo decesso. Però non l’abbiamo ucciso

noi!». «Non preoccupatevi, devo solo porvi qualche domanda. Sapete se qualcuno avrebbe tratto vantaggio dalla morte del vostro amico?». «No, Matt era una persona semplice e nessuno lo odiava a tal punto». «Per quale motivo Matt si assentava da casa? Sapete di qualche attività illegale?». I ragazzi si guardarono, bisbigliarono qualcosa fra loro e annuirono. «Collaboreremo soltanto se ciò che diremo non verrà usato contro di noi». «Dipende dalla gravità del crimine commesso. Comunque posso assicurarvi che terremo conto della vostra collaborazione, qualora dovesse sorgere qualche accusa contro di voi». «Matthew spacciava droga e ogni tanto noi lo aiutavamo… in qualche consegna. Anche se il guadagno era ottimo, era troppo rischioso continuare e abbiamo interrotto la nostra collaborazione. Invece Matt sembrava attratto da quel genere di vita, tanto che aveva iniziato ad assumere droghe lui stesso. Negli ultimi tempi era cambiato…». «Potete farmi qualche nome? Chi gli forniva la roba?». I ragazzi dissero che non sapevano nient’altro perché il loro tramite era solo Matt. «Spero che ciò che mi avete detto corrisponda alla verità. Ovviamente vi terremo sotto controllo. Quindi, cercate di rigare dritto, intesi?». Alla fine decisi di lasciarli andare. Riferii a Roxanne cosa avevo scoperto. Ordinò di farli pedinare nelle settimane seguenti per riuscire ad ottenere qualche informazione in più. Le chiesi anche un mandato di perquisizione per la casa di Matt e quella dei suoi genitori. Ormai avevo in pugno la soluzione del caso, mancava così poco. Il giorno seguente finalmente avrei potuto fare dei grandi i avanti. La data 2004 forse era l’anno in cui Matt aveva iniziato a spacciare. Tutto era più chiaro o almeno

sembrava…

CAPITOLO 5

Prima di andare a dormire impostai la sveglia su tre orologi e anche sul mio cellulare. Sicuramente non sarei arrivata in ritardo! Infatti mi svegliai in perfetto orario e mi preparai con calma. Stavo per uscire quando notai che Dan stava ancora dormendo. Doveva essere già pronto per andare a lavorare! Era una cosa molto strana... Dedussi che avesse un turno pomeridiano. Così decisi di non disturbarlo sperando che non arrivasse in ritardo. Uscii di casa. Sembrava che tutto fosse perfettamente cronometrato: l’autobus era appena arrivato ed era anche mezzo vuoto. Trovai un posto a sedere per la prima volta da quando mi ero trasferita. Giunsi al dipartimento addirittura cinque minuti in anticipo. Aprii la porta e lo spettacolo che mi si presentò davanti era a dir poco sconcertante. C’era una calma insolita e quelle poche persone presenti erano sedute alla loro scrivania. Rimasi un attimo confusa… non potevano essersi ammalati tutti! Mi venne incontro un poliziotto e mi chiese: «Scusi, ma lei è l’agente Winter? Aspetti un attimo che controllo la lista… Oggi è il suo giorno libero». Non era possibile… feci i conti ed effettivamente era ata una settimana da quando mi ero trasferita. Ecco perché Dan stava ancora dormendo: era domenica! Non mi andava di tornare a casa per paura di svegliarlo. Cosa potevo fare? Decisi che sarei andata prima a fare colazione e poi sarei andata a trovare Austin per discutere del caso. Prima di congedarmi chiesi al poliziotto se sapeva dove abitasse l’agente Ford. Avuto l’indirizzo, lo ringraziai e me ne andai. Appena uscii dal bar vidi proprio il mio collega. Sembrava che non mi avesse notata. Dov’era diretto? Incuriosita iniziai a seguirlo o dopo o, stando attenta che non mi vedesse. Arrivò davanti ad un fioraio. Mi nascosi dietro una macchina e velocemente mi affacciai per vedere cosa stesse acquistando. Comprò tre mazzi di fiori: uno di rose rosse e gli altri due composti da fiori misti. Per chi erano quei bouquet? La cosa si stava facendo interessante. Continuai a seguirlo e a un certo punto entrò in un negozio che vendeva oggetti di tutti i tipi, ma non riuscii a capire cosa avesse preso.

Per chi erano tutti quei regali? Mi balenò un’idea in testa… Austin era fidanzato! Come spiegare altrimenti le rose rosse? Sì, doveva essere come avevo pensato. La cosa si stava facendo ancora più interessante. A confermare la mia teoria Austin guardava incessantemente il telefono. Probabilmente non voleva arrivare in ritardo all’appuntamento. Non era molto corretto pedinarlo però la mia curiosità non conosceva limiti. Dovevo scoprire la verità. La tappa successiva mi fece dubitare della mia ipotesi: era entrato in una piccola chiesetta. Cosa stava facendo? Forse non era semplicemente fidanzato… forse si stava per sposare! Si lamentava che io non gli avessi detto che avevo un ragazzo. Che sfrontato! Poi pensai che forse si stesse sposando un suo amico o sua sorella. Questa teoria però non mi convinceva del tutto per vari motivi. Innanzitutto non sapevo se Austin aveva fratelli e poi certamente le rose rosse erano inadatte sia per la sorella che per la moglie di un amico. Volevo assolutamente andare in fondo alla faccenda, ma la mia coscienza mi fece bloccare. No, non dovevo seguire Austin. A me non sarebbe affatto piaciuto se lui lo avesse fatto. Forse dovevo ascoltare il mio buon senso, ma quale ragazza si potrebbe far sfuggire uno scoop simile? Il mio collega si stava sposando e non mi aveva detto niente. Avrei potuto rinfacciarglielo a vita. Anche se era enormemente meschino, chi poteva resistere a una tentazione simile? Io di certo no. Così decisi di continuarlo a seguire, ma ormai l’avevo perso di vista. Dove poteva essere andato? C’era una biforcazione: una strada portava ad un ristorante, invece l’altra ad un negozio dove si sviluppavano le foto. Decisi di prendere la seconda strada. Ebbi ragione. Infatti Austin uscì dal negozio poco dopo. Ormai erano ate un paio d’ore da quando avevo iniziato a pedinarlo. Come sarebbe finita la storia? Certamente per una sposa di un amico erano un po’ troppi doni. A un tratto Austin girò improvvisamente per un vicolo. Quando lo raggiunsi non credetti ai miei occhi. Mi volevo sotterrare dalla vergogna. Tutte quelle supposizioni perfide… Ero stata una persona orribile. Al contrario di quanto avrei voluto fare, sarei stata io a rinfacciarmi per tutta la vita la mia crudeltà e indiscrezione. Austin era entrato in un cimitero. Cosa ci faceva in quel luogo? Lo scrutai in lontananza e vidi che accarezzava una lapide e quella successiva. Poi posò i fiori lì. Accese anche una candela e la pose sulle due tombe. Ecco cosa aveva

comprato in quella specie di emporio! Poi camminò per un po’ e si sedette davanti ad un'altra lapide. Fece quello che aveva fatto anche con le altre, ma in più posò una foto e iniziò a parlare. Continuò per un po’ di tempo. Mi nascosi in un piccolo spazio fra una macchina e un muretto. Da lì potevo osservarlo, ma non capire cosa stesse dicendo. La scena era molto triste e mi sentivo malissimo: sembrava quasi che un blocco di cemento mi stesse opprimendo. Chi era la persona defunta con cui stava parlando il mio collega? La “conversazione” durò una mezz’oretta dopo si alzò e uscì dal cimitero. Continuò a camminare e ad un certo punto si fermò proprio nel punto dove mi ero nascosta. Forse mi aveva scoperta… Trattenni il fiato. Mi ò oltre. Notai che le lacrime gli rigavano il volto. Probabilmente stava tornando a casa. Decisi di seguirlo ancora una volta. Lo scenario che mi si presentò successivamente era quasi più deprimente del precedente. Austin entrò in un pub e ordinò una birra. Appena finita ne ordinò un’altra e così via. Alla sesta pinta di birra si alzò e se ne andò barcollando. Mi assicurai che raggiungesse la sua abitazione senza problemi. Era talmente ubriaco che sicuramente non si sarebbe ricordato di un mio eventuale intervento. Non immaginavo che Austin stesse soffrendo così tanto. Non sapevo come aiutarlo. Per quanto soffrisse ubriacarsi non era la soluzione al suo problema. Certamente non doveva venire a sapere che io lo avevo pedinato. Guardai l’orologio, si era fatta l’una e mezza. Non c’era alcun problema tranne che Dan sicuramente si stava preoccupando da morire. Mi avrebbe fatto moltissime domande. Non potevo dirgli la verità vista la sua grande gelosia. Cosa dovevo raccontargli? Ci pensai strada facendo, però nessuna scusa reggeva. Decisi che avrei improvvisato: sotto pressione do sempre il meglio di me. Aperta la porta vidi davanti a me lo scenario che avevo immaginato: Dan era seduto sul divano e mi stava aspettando. Appena mi vide si alzò e chiese: «Si può sapere dove sei stata tutto questo tempo?». «No» risposi automaticamente. Capii che se non potevo affrontare il problema era meglio ribaltare la situazione. «Non puoi controllare la mia vita». Guardai Dan sbigottito dalla mia risposta e ne approfittai per continuare: «Io mi sono fidata di te tutti questi anni. Perché tu non ti vuoi ancora fidare di me?».

Dan cambiò espressione e mi rispose dolcemente: «Perché ho paura di perderti. Però ho capito che hai bisogno che io ti lasci più libera. Sono un po’ troppo geloso. D’ora in poi cercherò di controllarmi». «Dan, grazie. Ero certa che avresti capito. Credimi, non ti lascerei per niente al mondo. Ti amo più di quanto pensi. Senza di te la mia vita sarebbe vuota…». Mi avvicinai e lo baciai. Mi strinse fra le sue braccia e appoggiai il mio capo sul suo petto. Il battito del suo cuore mi cullava dolcemente. Improvvisamente mi tornò in mente Austin al cimitero… Chissà cosa avrei fatto se Dan fosse morto. Mi sarebbe crollato tutto: le mie idee, le mie speranze, il mio ato, il mio presente, il mio futuro, la mia stessa vita. Immaginai cosa stesse provando Austin: i ricordi ti divorano l’anima come un sordo dolore che ti opprime il petto… L’invito di Dan a pranzare in uno dei ristoranti migliori della zona mi riportò alla realtà. Conosceva molto bene il paese: era nato lì. Il cibo era squisito e il posto era assolutamente raffinato. Mentre stavo assaporando un dolce delizioso vidi arrivare Roxanne. Era sola. Aveva un atteggiamento fiero e quasi sprezzante. Chissà cosa faceva nei fine settimana? Ci pensai un attimo, ma non mi venne in mente nulla di particolarmente emozionante. Una donna rigida e fredda come lei, cosa mai avrebbe potuto fare? Ma anche qui le apparenze mi avevano ingannata. Molte persone che pranzavano nel ristorante si alzarono per salutare il mio capo, che ricambiava con grande familiarità. Era chiaro che tutti la stimavano moltissimo. Nascondeva più di quanto lasciasse credere e probabilmente quella che indossava era solo una maschera. Com’era la vera Roxanne? Come per Austin la mia curiosità prese il sopravvento. Dan intuendo le mie intenzioni si affrettò a dirmi: «Ti conosco abbastanza per sapere che è inutile tentare di fermarti quando gli occhi ti brillano in questo modo. Ci vediamo a casa quando avrai finito di giocare alla detective in vacanza. Stai solo attenta di non cacciarti in qualche pasticcio». «Non preoccuparti. Comunque non credo di far tardi». Uscii dal ristorante e costatai che altre persone venivano apposta a salutare Roxanne. Fermai un ragazzo per chiedergli spiegazioni. Sembrava molto sorpreso dalla mia domanda. Scosse la testa e rispose meravigliato: «È Roxanne

Green, una delle figure più importanti della città. Ha aiutato molte persone, le dobbiamo tutti tanto. Senza contare che è una donna molto affascinante». Anche le altre persone a cui chiesi un parere risposero allo stesso modo. Sinceramente non mi aspettavo proprio che l’algida Roxanne fosse così amata. Si stava creando un po’ di trambusto ed era meglio per me non giocare con il fuoco: se Roxanne avesse scoperto che stavo curiosando sulla sua vita privata non credevo che l’avrebbe presa bene. Tornai a casa sfinita, avevo perso due autobus e il terzo ero riuscita a prenderlo rincorrendolo per quasi un intero quartiere. Quando ripensai a tutto quello che mi era successo, capii che il detto “non si giudica un libro dalla copertina” non poteva essere più vero: Roxanne, nonostante sembrasse fredda, era molto amata e Austin, che sembrava sempre sereno, era consumato da un profondo dolore. Il pomeriggio uscii con Dan e dei suoi amici a vedere un film, ovviamente poliziesco. Non sapevo se era per la trama troppo lenta o per la mia stanchezza che mi addormentai dopo i primi minuti del film. Mi risvegliai per una gomitata che mi aveva dato Dan: «Ma come fai ad addormentarti davanti ad una pellicola così avvincente?». Io ragionai un attimo e risposi convinta: «Guarda che la mia vita non è tanto diversa da un film, anzi a volte è anche meglio!». Tornando a casa considerai che ognuno è protagonista della propria vita ma, al contrario dei film, non c’è un finale già scritto. Ognuno deve scrivere la propria storia con le sue stesse mani. Chi dice che esiste un destino lo fa solamente per non sentire la responsabilità delle proprie azioni sulle spalle. Però è vero che la nostra vita non dipende solo da noi stessi, ma anche dagli altri. Ripensai a Matt: non aveva scelto di morire. La sera riesaminai il caso che lo riguardava. Era morto a causa di una pallottola nel cuore e il suo corpo era stato spostato in un prato. Perché proprio in quel luogo? Probabilmente aveva iniziato attività illegali. Gli amici mi avevano rivelato che assumeva droghe nell’ultimo periodo. A cosa era dovuto? L’assassino non doveva essere una persona con un’elevata forza fisica. Forse una donna… ma certo, la donna vestita di bianco! Ero sempre più convinta che fosse lei l’assassino. Ma, chi era veramente? Forse chi dava a Matthew la droga per venderla voleva averlo fuori dai piedi.

Comunque, appena rientrata in servizio, avrei dovuto controllare molto attentamente la sua casa e quella dei genitori. Austin mi avrebbe accompagnato sicuramente. Austin… Sarei riuscita a guardarlo in faccia dopo quello che era successo? Chi erano le persone a cui aveva portato i fiori? Anche questo mistero mi tormentava in quel momento. Ormai la giornata stava per finire. Come sempre i giorni di riposo ano troppo velocemente rispetto agli altri. Mentre dormivo un incubo mi assalì come un fulmine che squarcia le nubi. Era una singola immagine che mi trasmetteva più emozioni di qualunque altra. Occhi e non semplici occhi: gli occhi di Matthew. Il suo sguardo riusciva a infondermi in un singolo istante rimorso, paura, rabbia, rassegnazione e una profonda tristezza. Mi svegliai di soprassalto. Perché mi erano tornati in mente proprio i suoi occhi? Dovevo trovare l’assassino prima che qualcun altro morisse. Se fosse accaduto non me lo sarei perdonato tanto facilmente. La mattina dopo avrei indagato sul coinvolgimento di Matthew nel mondo nella droga. Speravo che questo mi avrebbe permesso di risalire alla donna in bianco. Ma era davvero la pista giusta?

CAPITOLO 6

Era arrivato lunedì ed era ora di perquisire la casa di Matthew e dei genitori. Quando arrivai al dipartimento vidi Austin. Mi salutò come al solito mentre io non sapevo come mi dovessi comportare. Ricambiai, anche se non riuscii a nascondere il mio profondo imbarazzo. Fortunatamente Austin parve non accorgersene. «Oggi dobbiamo tornare dai genitori di Matthew» mi disse «Immagino che ci accoglieranno come sempre in modo molto caloroso». «Non dimenticarti che dovremo controllare anche la casa di Matt». «Scusa, stamattina sono leggermente confuso. Ma la vittima non viveva con i genitori?». «No, aveva comprato anche una piccola casa a loro insaputa». «Ecco dove andava Matthew quando usciva e non tornava per giorni e giorni!». «Ora però sbrighiamoci, c’è tanto lavoro da fare». Nuovamente ci dirigemmo verso casa Turner. Ci sentivamo abbastanza tranquilli perché questa volta avevamo il mandato di perquisizione. Questa volta ci avrebbero dovuto aprire. Austin bussò insistentemente. Attendemmo un paio di minuti e la porta si aprì. «Ancora voi? Avevate promesso che non ci avreste più disturbato! Siete senza cuore. Lo farò presente ai vostri superiori». Mentre parlava il padre di Matthew iniziò ad avvicinarsi minaccioso. Indietreggiai d’istinto. Austin rimase dov’era e non accennò a muoversi. Quando l’uomo gli fu abbastanza vicino, gli mostrò il mandato e disse: «Vi ringraziamo per non aver opposto resistenza. Ora se non vi dispiace dobbiamo perquisire la casa. Con permesso…».

Entrò senza esitazione scansando il signor Turner. Mi sorprese molto come il ragazzo che avevo di fianco, con solo qualche anno più di me, avesse reagito in modo così freddo, senza lasciarsi coinvolgere da quella situazione. Salimmo le scale e arrivammo nella stanza di Matthew. Le pareti erano blu, con numerosi poster di star famose. Per terra, sopra la moquette, c’erano ancora i suoi vestiti e oggetti vari. Evidentemente la madre di Matthew voleva mantenere la stanza del figlio così come era stata lasciata per ricordo, oppure aveva ritenuto che fosse meglio non spostare niente dalla camera per evitare di contaminare eventuali prove. Visto il suo atteggiamento poco collaborativo, credetti che la mia prima ipotesi fosse la più probabile. Cercammo in ogni angolo della stanza e vedemmo che non c’era alcuna traccia di sostanze stupefacenti. Rivoltammo la casa da cima a fondo, cercammo in ogni singola stanza di quella villa enorme, ma non trovammo niente. Forse c’eravamo sbagliati, forse Matthew non spacciava. Però era strano… perché i suoi amici avrebbero rivelato di averlo aiutato a vendere della merce se non era vero? Perché incolparsi di un’azione illegale da loro non commessa? Forse erano stati loro a ucciderlo e cercavano di nascondere la loro colpevolezza. Ripensai un attimo ai ragazzi che avevo interrogato. Erano tutti abbastanza in forma. Ognuno di loro doveva essere in grado di sollevare un cadavere mentre, invece, l’assassino l’aveva trascinato. In più avevano tutti un alibi di ferro. Non erano stati loro a commettere l’omicidio. Austin ed io eravamo distrutti dopo quella vana ricerca e, vista l’ora, decidemmo di interrompere la perquisizione e di togliere il disturbo. Mangiammo qualcosa mentre ci dirigevamo alla casa di Matthew che si trovava in uno dei quartieri più malfamati della cittadina. Quella zona non mi piaceva: gente losca, strade tetre e case con gli intonaci che cadevano a pezzi. Uno di quei posti dove non sarei mai andata da sola. Per fortuna ero accompagnata da Austin. Quando arrivammo a destinazione vedemmo che la casa della vittima non era certo bella come quella dei genitori. I muri avevano delle crepe enormi e il tetto era rotto: sembrava che stesse per crollare da un momento all’altro. Non ci volle molto a entrare perché la porta non si chiudeva bene. C’erano pochissimi mobili e la casa era una distesa di batuffoli di polvere.

Ad un certo punto lo vidi: era enorme, marroncino, con due antenne. Uno degli esseri più ripugnanti di tutto l’universo si stava avvicinando a me! Urlai. Austin che mi precedeva si girò di scatto e mi chiese cosa mi avesse spaventata. Indicai l’enorme scarafaggio. Senza pensarci due volte lo schiacciò. Dopo lo prese e lanciandomelo addosso gridò: «Attenta! È ancora vivo!». Schifata me lo levai subito di dosso. Vidi che era morto, al contrario di quanto “qualcuno” mi aveva detto. Austin mi aveva fatto un brutto scherzo. Decisi che prima o poi me l’avrebbe pagata. «Austin, ti pare questo il momento di scherzare? Ti ricordo che non siamo qui per giocare, ma per trovare un assassino». «Scusami, ma mi pare assurdo che una persona come te sia spaventata da una bestiolina così piccola e indifesa» disse seriamente mentre i suoi occhi mi guardavano maliziosamente. «Ti ricordo che pur essendo un’agente sono sempre una donna. Anche le donne più coraggiose non sopportano alcuni tipi di insetti». Smettemmo di scherzare e riprendemmo le indagini. Mi chiesi perché Matthew avesse acquistato una casa così fatiscente in un quartiere così brutto, nonostante la sua famiglia fosse ricca. Iniziammo perquisire le varie stanze. Ad un certo punto Austin mi chiamò: «Lynn, guarda qua! Ora ho capito perché Matthew non viveva in questa casa!». Lo raggiunsi nella stanza in cui stava e quel che vidi era incredibile. Quella camera era piena di bustine contenenti sostanze sospette. Matthew non era un semplice corriere della droga, doveva essere uno dei più importanti vista la grande quantità contenuta in quella stanza. Probabilmente utilizzava quella casa come deposito per la merce e, visto che la zona era poco sorvegliata, non avrebbe mai incontrato grandi problemi. Non trovammo nient’altro e portammo con noi le prove, ovviamente indossando i guanti adeguati per evitare di contaminarle. Appena tornati al dipartimento le mandammo ad analizzare. Risultarono droghe diverse. Matthew disponeva di una merce molto varia. Era chiaro che fosse morto per un qualsiasi motivo legato ad essa. Decisi per prima cosa che l’indomani avrei chiesto informazioni alla squadra narcotici. Sicuramente ci

avrebbero detto qualcosa in più. Il mio turno di lavoro era ormai finito. Decisi di rimanere ancora un po’ per allenarmi a sparare. Andai nell’apposita sala e per prima cosa ricaricai la pistola. Riai mentalmente tutto quello che mi aveva detto l’istruttrice. Poi mirai alla sagoma e sparai. Il proiettile aveva colpito una zona periferica. Dovevo ancora allenarmi molto se volevo riuscire a colpire l’esatto centro del bersaglio. Era trascorso un po’ di tempo quando sentii una voce alle mie spalle che mi chiamava mentre stavo per premere il grilletto. Persi la concentrazione e mi sbilanciai. Così, nell’attimo in cui ci fu il contraccolpo, l’arma mi colpì in piena fronte. «Maledizione Austin, non potevi spettare un attimo?». Toccai la ferita e non mi sembrava che fosse troppo profonda. Quando controllai la mano vidi che era sporca di sangue. Intanto Austin era corso a prendere il kit di pronto soccorso. Appena tornato iniziò a disinfettare la ferita. Infine mise una benda e si giustificò: «Mi dispiace che ti sia ferita, però non devi mai distrarti quando spari. Nemmeno se qualcuno ti chiama all’improvviso. Rischi di mettere in pericolo le persone vicine al tuo bersaglio». «Ok, ho capito la lezione» mi toccai la ferita «credo non me ne dimenticherò tanto presto. Piuttosto dimmi, è grave? Si nota molto?». «No, non è molto grave. Però dato che ti ho messo una benda si nota abbastanza». «Oh, fantastico! Chissà cosa penserà Dan quando mi vedrà conciata in questo modo. Poi tu l’hai conosciuto. È un po’ iperprotettivo, è sempre molto premuroso nei miei confronti». «Già anche troppo per i miei gusti. Come scordarsi del tuo fidanzato… Sembrava volesse uccidermi per averti semplicemente offerto il pranzo! Però non credo che avrà da obbiettare qualcosa se ti insegno a sparare meglio». «Ovviamente no. Data la tua grande bravura potrei migliorare in un batter d’occhio. Ma attento, l’alunna potrebbe superare il maestro!». Entrambi ridemmo e tornammo a casa. La serata sarebbe stata molto noiosa. Sarei rimasta a casa perché dovevo essere

reperibile: se fosse successo qualcosa sarei dovuta intervenire. Appena rientrata, controllai che Dan non fosse nei paraggi e sgattaiolai in bagno. Tolsi la benda e vidi la ferita. Era un taglio abbastanza grande e sinceramente faceva piuttosto male. Forse, se non volevo farlo preoccupare, era meglio che tenessi la fascia. Uscii dal bagno e incrociai Dan che scendeva le scale. Quando mi vide disse contento: «Ah, sei arrivata finalmente. Ho già preparato la cena. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere». Lo ringraziai e tirai un sospiro di sollievo. Per fortuna non si era ancora accorto di nulla. Ma appena mi si avvicinò, si fermò e mi chiese stupito: «Lynn, perché indossi quella strana benda?». «Oh! Questa? Non lo sai… Ora è molto di moda, la indossano tutti. Come hai fatto a non notarlo?». Mi stavo arrampicando sugli specchi. Non sarei mai riuscita a convincere Dan con quell’assurda bugia. «Non mi prendere in giro, so benissimo che stai mentendo per non farmi preoccupare. Dimmi, piuttosto, come ti sei procurata la ferita». «Non so di cosa tu stia parlando. Sono in perfetta forma…». Dan continuava a fissarmi ed io non riuscii a resistere. Gli raccontai una mezza verità. Per evitare inutili gelosie dissi che mi ero voltata perché avevo sentito un rumore. Cambiai discorso per evitare di dare altre spiegazioni e gli domandai annusando l’aria: «Ma questo profumino… da dove proviene?». «Mia piccola detective, non sei curiosa di scoprirlo da sola?». «Non sono un cane poliziotto, caro!». «Ne sei sicura? Non sei la mia cucciolotta?». «Ma non ero la tua gattina? Miao…». Continuando a scherzare ci sedemmo a tavola. Dopo una cenetta deliziosa decidemmo che per concludere la serata avremmo guardato il nostro film

preferito. Quanto mi piaceva rannicchiarmi tra le sue braccia e poggiare la mia testa sul suo petto mentre il sonno piano piano prendeva il sopravvento. Appena iniziato il film squillò il telefono. Strano, a quell’ora non mi aspettavo nessuna chiamata. I miei genitori avevano già telefonato qualche giorno prima. Preoccupata andai a rispondere: «Agente Winter deve venire al dipartimento di polizia! Si richiede la sua presenza, immediatamente». Detto questo l’agente terminò la chiamata senza nemmeno aspettare una mia risposta. «Dan, purtroppo…». Non mi fece finire di parlare: «Ho capito mia piccola detective. Il dovere ti chiama. Mi dovrò abituare a questo tipo di vita». «Su, non dire così. Dispiace anche a me di non aver terminato la serata come volevamo. Ti prometto che appena concluderò il caso ci faremo una vacanza insieme». «Va bene, ma ora sbrigati a cambiarti che ti accompagno. A quest’ora gli autobus non ano più». «Te l’ho mai detto che sei fantastico?» gli sussurrai e lo baciai dolcemente. Poi corsi nella mia camera a cambiarmi. Grazie al aggio di Dan arrivai presto a destinazione. Scesi dalla macchina e alcuni agenti mi vennero in contro. Dissero che aspettavano Roxanne e che avrebbero fatto il punto della situazione al suo arrivo. Dopo un quarto d’ora abbondante arrivò il mio capo e gli agenti ci raccontarono che delle persone stavano eggiando sulla spiaggia quando avevano visto un uomo immobile steso a terra. Siccome non rispondeva avevano tentato di rianimarlo, ma era già morto. Purtroppo non potevamo fare niente finché la scientifica non avesse finito. Visto il caso precedente consigliai di prelevare il cadavere. Gli agenti dissero che le analisi sarebbero durate tutta la notte e aggiunsero con ironia che i morti non camminavano. A quanto pare non sapevano che quello di Matthew Turner aveva fatto una gran bella eggiata!

Roxanne disse di rientrare in attesa di notizie. Senza pormi troppi problemi chiesi agli agenti di riaccompagnarmi a casa. Trovai Dan che dormiva beatamente sul divano con la televisione ancora accesa. La spensi e lo coprii con un piumino. Ero stanca e il giorno dopo sarebbe stato molto impegnativo. Decisi di andare subito a dormire. Chi era la vittima questa volta? Era stato un omicidio oppure si trattava di suicidio o di un semplice malore? Intuivo che quel cadavere aveva un collegamento con il caso su cui stavo lavorando. Solo il tempo avrebbe risposto a tutte le mie domande.

CAPITOLO 7

La mattina dopo mi alzai prima che suonasse la sveglia. Ero così ansiosa di sapere qualcosa di più sul nuovo caso! Siccome Dan era stato molto gentile e paziente con me in quei giorni, decisi di preparare io la colazione. Si alzò poco dopo. Stropicciandosi gli occhi mezzo addormentato, entrò in cucina. Con suo grande stupore si accorse che era già tutto pronto per mangiare. «La mia piccola detective si è svegliata presto, oggi. Come mai? Questo caso ti sta veramente coinvolgendo per toglierti dei minuti preziosi di sonno… O ti vuoi sdebitare del aggio dell’altra sera?». «Mi sa che il detective qui sei tu. Hai azzeccato quasi tutte le motivazioni, ma ce n’è anche un’altra» gli scompigliai i capelli e gli sussurrai dolcemente all’orecchio «Dobbiamo anche recuperare un po’ di tempo insieme…». «Non credere che tu te la possa cavare con due pasticcini e un caffè!». «M-Ma… non ti piace la mia colazione?». «Ma certo, sciocchina. Stavo scherzando!» disse assaporando un mio muffin. «È veramente squisito! Quasi quasi ti cedo il compito di prepararla tutte le mattine». «Non esagerare, finiresti per non apprezzare più queste piccole attenzioni. Ora però si sta facendo tardi, vado su a prepararmi. Tu goditi questi deliziosi muffin». Mi diressi al dipartimento di polizia con molta calma. Roxanne disse che dovevo raggiungere il medico legale che stranamente si trovava ancora sul luogo dove era avvenuto l’omicidio quella notte. Questa volta Austin non sarebbe venuto con me. Decisero di affiancarmi un semplice poliziotto. La nostra meta era uno stabilimento balneare poco distante dal paese. Non avevo mai visto le spiagge in quella zona. Appena arrivai sulla scena del crimine vidi moltissime persone. Mi avvicinai e notai che quasi tutte le voci esprimevano incredulità e sorpresa.

Mi feci largo tra la folla di curiosi che cercavano di superare il nastro della polizia per vedere meglio cosa fosse successo. Intanto la sabbia era già entrata nelle mie scarpe, cosa che ho sempre odiato! Un poliziotto sembrò sollevato alla vista del mio arrivo: «Oh, agente Winter! Finalmente è qui. Non so più come trattenere le persone. Ho cercato di allontanarle in ogni modo possibile, ma non ci sono riuscito». «Non preoccuparti, ora ti aiuto io. Aspetta un attimo, chi è quella persona che sta eggiando nel bel mezzo della scena del crimine?». «Ha detto di essere un giornalista, un freelance». «Ci mancavano solo i giornalisti in cerca di scoop! Non li ho mai sopportati. Non avresti dovuto far entrare nessuno. Lo sai che potrebbe contaminare la scena del crimine! Per quanto ne sappiamo potrebbe essere lui stesso l’assassino. Cercherò di risolvere anche questo». Rabbrividii: le parole che erano uscite dalla mia bocca sembravano dette da Roxanne! Non mi dovevo lasciare influenzare dai suoi modi bruschi. Mi avvicinai al giornalista. I suoi capelli erano bruni e i suoi occhi avevano la stessa tonalità di marrone. Il suo fisico asciutto sottolineava la sua giovane età. Gli chiesi chi fosse e sfoderando un sorriso smagliante rispose prontamente: «William Carson, giornalista. Ma lei è l’agente della squadra omicidi Lynn Winter, vero?». «Come fa a sapere il mio nome? Certo ormai i freelance sono sempre più giovani… Quanti anni ha?». «Sa agente, lei mi ricorda qualcuno… Comunque non mi sembra che lei sia molto più grande di me». «Sarà… ma io faccio parte delle forze dell’ordine. Senti William, te lo dirò nel modo più diretto possibile. Devi andartene». «Ma io non sto facendo niente di male… Lo sa che lei è particolarmente bella? Non è che potrebbe dirmi qualcosa sul caso?». «Puoi decidere, o di andartene subito o di aspettare che io prenda informazioni su di te per vedere che sia tutto in regola… A te la scelta».

Il sorriso smagliante di William scomparve e sul suo viso si dipinse un’espressione stupita e allo stesso tempo turbata. Ero riuscita a farlo desistere dalle sue indagini e in poco tempo si dileguò. Che ragazzo insolente! Nel frattempo il medico legale era riuscito finalmente a trasferire il corpo nel suo laboratorio per completare l’autopsia. Avrei dovuto aspettare qualche ora per sapere qualcosa in più sul cadavere. Dopo aver esaminato approssimativamente il luogo dove era avvenuto il crimine cercai di capire il motivo di tanto interesse da parte della folla. Intanto cercavo in ogni modo possibile di togliermi quella sabbia fastidiosa dalle scarpe. Le testimonianze erano molto confuse, sembravano tutti sconvolti. Alla fine capii il perché di tanta curiosità: il morto assomigliava moltissimo a un cantante famoso. Decisi di tornare al dipartimento per avere i risultati definitivi. Il medico legale mi disse che il decesso era avvenuto tra le venti e le ventuno di quella notte. Si trattava di uomo bianco di età tra i venticinque e i trenta anni, capelli neri e occhi marroni. Nonostante avesse già fatto molte analisi, non era ancora in grado di rivelarmi la causa del decesso. Non c’erano segni di colluttazione, né di fratture ossee, né di lesioni cutanee e tantomeno di traumi cranici. Gli chiesi se fosse morto annegato, ma escluse anche questa ipotesi perché non era stata trovata acqua nei polmoni. Tutte le analisi facevano supporre un decesso per arresto cardiaco, ma cosa lo avesse causato era un mistero. Il medico legale mi mostrò le foto del corpo. A quel punto lo notai. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Rimasi scioccata per qualche istante: anche sul suo collo era scritto 2004. Anche lui era stato marchiato. No, non poteva essere, eppure sembrava morto per cause naturali! Qual era il nesso fra il marchio e le recenti morti? Qual era la vera causa del decesso? Fortunatamente il medico legale doveva fare ancora qualche altra analisi e forse avremmo potuto scoprire qualcosa grazie ai risultati. Il mio compito era di far emergere la verità e lo avrei portato a termine a qualsiasi costo. Innanzitutto dovevo scoprire se la persona morta era il cantante di cui mi avevano raccontato. Se fosse stato realmente lui avrei risparmiato molta fatica, ma avrei avuto ancora la stampa ad intralciare le indagini, già così

oscure e complesse. Mentre stavo ragionando s’insinuò nella mia mente un pensiero: dall’inizio della giornata non avevo ancora visto Austin… Che strano! Forse gli era capitato qualcosa di brutto. Chiesi in giro, ma nessuno lo aveva incontrato. Iniziai a preoccuparmi seriamente per lui. Prima di trarre conclusioni affrettate, decisi che sarebbe stato meglio chiedere a Roxanne. Mi spiegò che l’agente Ford semplicemente anticipato il suo giorno libero per riposarsi. Sollevata dalla notizia che Austin stava bene, riuscii di nuovo a concentrarmi sul caso. Mi tornò in mente il nome del cantante: Black Eagle. Sicuramente era un nome d’arte, chissà che tipo di musica suonava… Cercai informazioni su internet per scoprire il suo vero nome e anche il suo aspetto per confrontarlo a quello del corpo ritrovato. In pochissimo tempo ebbi tantissimi risultati. Dedussi che era molto famoso. Il suo vero nome era Kyle Eagle. La somiglianza con la vittima era evidente. Per accertarmi che Kyle e il ragazzo morto fossero la stessa persona bastava un solo individuo: il suo manager. Riuscii a trovare anche il suo nome e scoprii che in realtà era una donna: Jane Miller. Cercai il suo numero nell’enorme archivio del dipartimento di polizia e riuscii a trovarlo. Mi voltai come per aspettare l’approvazione di Austin, ma mi ricordai che non c’era. Dovevo ammettere che senza di lui il mio lavoro era molto più noioso e anche meno gratificante. Chiamai la signora Miller e le dissi che si sarebbe dovuta presentare al più presto al dipartimento di polizia per rispondere ad alcune domande. Benché sembrasse alquanto infastidita, riuscii a convincerla. Dopo un quarto d’ora preciso arrivò. La portai nella sala dell’interrogatorio e le chiesi di spegnere il cellulare che continuava a squillare insistentemente. «Lei è la segretaria di Kyle Eagle?». «Manager, non segretaria. Comunque sì, sono io. Mi chiedo dove si sia cacciato, combina sempre qualche guaio sin da quando… Scusi, mi dica, cosa ha fatto adesso?».

«In realtà non ha fatto un bel niente anzi… Mi può dire quand’è l’ultima volta che lo ha visto?». «Ieri sera, verso le nove. Ha detto che si sentiva male e una boccata d’aria gli avrebbe fatto bene». «Aveva qualche esibizione in questa giornata?». «No, è venuto qui per riposarsi un attimo. Questa è la sua città natale». «Kyle aveva qualche tatuaggio o un segno particolare sul corpo?». «Sì, si è tatuato sul petto il nome del suo primo gruppo». Le foto! Nelle foto che mi aveva mostrato il medico legale era visibile un tatuaggio sul petto. Avevo ragione: Kyle e la vittima erano la stessa persona. Ora dovevo trovare un modo per dire alla manager che doveva annullare tutti i suoi impegni perché “Black Eagle” era morto. Scelsi una via diretta. Mi aspettavo una reazione violenta. Invece la signora Miller si coprì il volto con le mani e iniziò un pianto sommesso. Forse gli voleva realmente bene. Cercai di consolarla e le dissi che aveva una giornata di tempo per organizzarsi. L’indomani mi avrebbe fornito una lista delle conoscenze di Kyle. Ci salutammo. Mi nascondeva qualcosa, lo sentivo. Mancava ancora un po’ di tempo prima della fine della mia giornata lavorativa. Vidi una montagna di pratiche che dovevo ancora sbrigare e capii come avrei ato il resto del pomeriggio. Stranamente riuscii a liberarmene prima del previsto. Decisi di fare un piccolo schema mentale delle cose che avrei fatto il giorno dopo. Avrei prima di tutto interrogato nuovamente la manager. Poi avrei controllato la lista di tutti i conoscenti di Kyle e li avrei interrogati. Non mi dovevo dimenticare di contattare tutti i parenti. L’elenco fornito dalla manager non mi sarebbe bastato, avrei avuto bisogno anche di quello compilato dai genitori. Mi aspettava molto lavoro, ma questa volta Austin mi avrebbe potuto aiutare. Prima di andare chiamai il medico legale per sapere se avesse scoperto qualcosa. Purtroppo ancora niente di nuovo. L’indomani avrebbe fatto gli ultimi test. Per ogni morto avevo avuto un problema: del primo non conoscevo l’identità e del

secondo non sapevo cosa ne avesse decretato la morte. Stavo per andarmene quando dalla porta entrò Austin. Cosa ci faceva al dipartimento di polizia a quell’ora? Non era il suo giorno libero? Austin mi guardò e sorrise alla mia espressione sorpresa. «Beh, collega? Ti sono mancato? Devo o non devo insegnarti a sparare?». Annuii contenta. «Accidenti! Devo essere proprio una pessima tiratrice per riuscire a farti smuovere nel tuo giorno libero!». Austin era venuto apposta per me, che pensiero generoso! Iniziammo la lezione. Miglioravo velocemente. Questa volta riuscii a colpire esattamente il centro del bersaglio un paio di volte. Ero entusiasta: in poche settimane avrei potuto sparare a un bersaglio in movimento senza alcun problema. Ormai si era fatto tardi, Austin si offrì di accompagnarmi a casa con la sua macchina. Inizialmente stavo per accettare, poi mi venne in mente che se Dan mi avesse visto con lui si sarebbe sicuramente ingelosito. Ero felice che ci tenesse a me, ma a volte era un po’ troppo esagerato. Comunque ringraziai per l’invito e dissi che preferivo fare una eggiata. Appena uscii mi pentii amaramente della scelta appena fatta. Faceva molto freddo e soffiava un vento tagliente. Iniziai a camminare. In un’ora sarei arrivata a casa. Sembrava che stessi per diventare un blocco di ghiaccio. Improvvisamente vidi delle luci. Quelle luci erano la mia salvezza: si stava avvicinando un autobus. Che fortuna! Mi sarei risparmiata un raffreddore o qualcosa di peggio. Sentivo già il calore di un luogo asciutto. Era sempre più vicino a me, sempre di più. Continuava ad avvicinarsi fino a quando… mi ò oltre. Il conducente non mi aveva visto oppure aveva fatto finta di non notarmi. Per un attimo avevo anche sperato che tornasse indietro. È proprio vero che al peggio non c’è mai fine: iniziò anche a piovere. In compenso il vento era calato. Nonostante fe freddo e i miei abiti si stessero inzuppando tutti, sentire le gocce di pioggia cadere sul mio viso mi rasserenava. La città era ferma e i lampioni illuminavano le strade. Non c’erano rumori se

non la melodia continua della pioggia. L’atmosfera era quasi magica. Dopo poco tempo arrivai davanti casa. Girai la chiave nella serratura e aprii la porta. Mi soffermai per un attimo per osservare un’ultima volta quel paesaggio così suggestivo. Infine entrai. Alla fine del corridoio trovai Dan seduto su un bracciolo di una poltrona. Anche lì c’era un’atmosfera innaturale. Il suo volto solitamente sorridente era serio e fisso su di me. Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo e cosa dovessi pensare. Aspettai che mi parlasse. Niente. L’orologio della cucina scandiva i secondi che avano. Niente. Le lancette continuavano a scorrere e i secondi mi parevano delle ore. Il viso di Dan rimaneva immutato e i suoi occhi continuavano a fissarmi. Sembrava che il tempo si fosse bloccato in un singolo momento. Fuori le gocce di pioggia continuavano a cadere sull’asfalto. Poi chiuse gli occhi e lentamente li riaprì. « Ti devo parlare…».

CAPITOLO 8

«È da tanto tempo che dovevo dirti questa cosa. In realtà sono venuto qui per questo. Sono cinque anni che stiamo insieme...». Abbassò lo sguardo e mi invitò a sedermi sul divano. «Dan, mi stai facendo preoccupare. Che cosa è successo? Stai male? Hai qualche problema ? N-Non dirmi che vuoi lasciarmi!». Dan mi guardò con aria sorpresa e scosse la testa. «Quello che ti devo dire è…» si interruppe e borbotto fra sé e sé: «Perché è così difficile? Basta. Devo comportarmi da vero uomo». Mi guardò. Nei suoi occhi traspariva una determinazione che non avevo mai visto prima. Fece un lungo respiro e disse in tono deciso: «Lynn, mi vuoi sposare?». «Cosa?!». Ero a dir poco stupita. Mi aspettavo di tutto tranne che una proposta di matrimonio. A questo punto si inginocchiò, prese dalla tasca una piccola custodia in velluto rosso, la aprì e riformulò la stessa domanda. Aveva pensato anche all’anello… Non sapevo che fare. Dovevo accettare? Nella mia testa regnava una grande confusione… «Dan, io… devo pensarci. Questa è una decisione importante e non so se sono pronta. Cerca di capire… devo ragionarci un po’ su». Rimase leggermente deluso da ciò che avevo appena detto. «Ti capisco… Se ti serve del tempo è giusto che tu lo abbia, però… ti prego di riflettere molto seriamente prima di darmi una risposta». Ero sollevata da quello che aveva appena detto però, nonostante tutto, dentro di me mille dubbi mi assalirono. Cosa dovevo decidere? Una parte di me era

entusiasta della proposta e la aspettava già da tempo. Però in quel momento troppe cose stavano sconvolgendo la mia vita. Forse non ero pronta ad un ulteriore cambiamento. Pensai tutta la notte alla proposta di Dan, ma non riuscii a capire cosa veramente volessi. La mattina dopo mi alzai a stento e mi diressi in cucina. Dan era lì. Ero piuttosto imbarazzata perché temevo che mi chiedesse quale fosse la mia decisione. Invece trovai lo stesso Dan affettuoso e premuroso di sempre. Facemmo una colazione serena, ma all’ultimo, mentre stavo per uscire dalla stanza, mi disse: «Pensaci». Mi voltai. Ci guardammo e rimanemmo in silenzio. Infine gli sorrisi: se soltanto avesse saputo quanto stavo pensando alla sua proposta! Quando arrivai al dipartimento vidi che la manager di Kyle era lì. La puntualità di quella donna era stupefacente. Roxanne la stava intrattenendo. Si interruppe ed esclamò: «Agente Winter, è già qui? Ford non è ancora arrivato. Se non le dispiace potrebbe interrogare lei la signora Miller?». Annuii e scortai nuovamente la manager nella sala dell’interrogatorio. «Quindi signora Miller…». «La prego, mi chiami Jane». «Va bene. Jane, potrebbe raccontarmi come ha conosciuto Kyle?». La signora Miller sembrava restia a rispondere. Ormai ero convinta che nascondesse qualcosa. Decisi di ripetere la domanda. Aveva lo sguardo basso e le braccia strette al petto. Lentamente, con voce esile e insicura, disse: «Io le ho nascosto un segreto. In realtà sono… scusi, ero la manager di Kyle, ma anche… sua madre». Questa notizia apriva nuovi risvolti. Forse potevo scoprire più di quanto pensassi. Dovevo essere cauta. Una sola mossa sbagliata e avrei fatto andare tutto in fumo. «Signora Eagle, perché suo figlio ha deciso di intraprendere la carriera

musicale?». «No, in realtà non lo voleva. Quello non era altro che un mio sogno. Io non sono mai riuscita ad essere famosa, ma volevo che mio figlio lo diventasse… Sono stata cieca e lui… si è suicidato!». «Un attimo! Signora, di cosa sta parlando? Non ci sono prove per sostenere ciò che dice». «No, non è vero. Mio figlio, il mio unico figlio… È stata tutta colpa mia. Volevo che fosse felice, ma quella da me disegnata non era la sua felicità. Cosa ho fatto!». Jane iniziò a piangere. Era troppo scossa per riuscire a pensare lucidamente. Il mio timore si era avverato: avevo posto la domanda sbagliata al momento sbagliato. Nello stato in cui era non poteva fornirmi nessun dato attendibile. Prima di lasciarla andare mi feci consegnare una lista dei conoscenti di Kyle. Iniziai a leggere qualche nome qua e là: c’erano più di cinquanta possibili indiziati. Avrei dovuto interrogare tutte quelle persone. Soltanto il pensiero mi faceva girare la testa. In quel momento arrivò Austin. Anche a lui era stato affidato il caso perché considerato strettamente collegato al precedente. Gli riferii tutto quello che avevo scoperto durante le indagini del giorno prima e l’interrogatorio appena svolto. Decidemmo di tornare sulla scena del crimine. Quando arrivammo sembrava che niente fosse cambiato. Ci avvicinammo al nastro della polizia e lo scavalcammo. Iniziammo a controllare ogni minimo particolare. Ad un certo punto mi accorsi che in mezzo alla sagoma che segnava dove una volta era situato il corpo, c’era una perlina. Era dell’assassino oppure apparteneva ad una delle persone che si erano avvicinate alla vittima? Mi misi i guanti e la raccolsi. «Lynn, guarda cosa ho trovato!» mi richiamò Austin «Sulla sabbia non ci sono semplici impronte, ma sembra proprio che un oggetto pesante sia stato traportato fin qui. Vedi, la traccia è molto ampia e profonda. Questo ci lascia intuire che anche questa volta il colpevole ha spostato il corpo. Kyle dev’essere morto da un’altra parte. Mi chiedo perché l’assassino si diverta a spostare i corpi».

Il mio collega aveva posto una bella domanda: qual era la ragione? Purtroppo eravamo ancora lontani da una soluzione. Austin si allontanò e si sedette sulla riva. Mi accorsi che stava guardando il mare e le onde che si infrangevano sugli scogli. Sarebbe stato tutto molto suggestivo se non ci fossimo trovati nel bel mezzo di una scena del crimine. Mi sedetti accanto a lui. «Guardando il mare non ti senti infinitamente minuscola?» mi chiese senza distogliere lo sguardo. Rimasi a riflettere un attimo e poi presi una manciata di sabbia e gliela mostrai: «Vedi questa sabbia? È formata da minuscoli granelli e moltissimi granelli formano una spiaggia. Noi non siamo che microscopiche parti dell’universo infinito, eppure se non esistessimo anche il cosmo intero non esisterebbe. Ognuno di noi è importante. Ne sono fermamente convinta» mi accorsi che Austin mi fissava con uno sguardo strano. «Perché mi guardi così? Non mi prenderai per una mezza matta?!». «No, non preoccuparti, non ti prendo per una mezza matta… tu sei completamente matta!». «Ehi!» Gli diedi una gomitata che gli tolse per un attimo il respiro e la voglia di scherzare. Austin mi sorrise ed io ricambiai. «Lynn, secondo te, riusciremo mai a scoprire la verità riguardo a questo caso? Riusciremo a catturare l’assassino?». «Io spero proprio di sì. A me piace pensare che si risolverà tutto nel migliore dei modi e che la giustizia prevarrà. Eppure… dentro di me sento che non è altro che un’illusione. Quante persone si sono comportate in modo disonesto e non ne hanno pagato le conseguenze? Quanti assassini sono riusciti a fuggire e chissà quante persone innocenti sono state incolpate di un crimine che non avevano commesso». A quel punto mi tornò in mente la donna vestita di bianco. Non avevo ancora raccontato a nessuno di lei. Ora mi rendevo conto che non avrei dovuto omettere un dettaglio così importante. «Austin, devo rivelarti una cosa…». Raccontai ad Austin della donna che avevo visto il giorno dell’assassinio di

Matthew. Quando finii il mio discorso parve alquanto sorpreso. Era d’accordo con me che fosse stata lei, ma chi fosse e quale fosse il movente era ancora un mistero. Era tardi e dovevamo rientrare al dipartimento. Mentre stavamo in macchina, pensai alle coincidenze tra i due casi. Matthew e Kyle avevano entrambi il marchio 2004… Perché? Forse anche la seconda vittima era in qualche modo collegata al mondo della droga? Dovevamo perquisire anche la sua casa, ma senza una testimonianza o una prova non potevamo richiedere il mandato di perquisizione. Senza contare che, se il caso fosse diventato più importante, sarebbe potuto are al dipartimento centrale. Che rabbia! Avevamo lavorato così tanto! Il mio sogno non era quello di ottenere una promozione, ma di riuscire a risolvere enigmi sempre più complessi. Dovevo ancora lavorare molto se volevo diventare così abile. Già, i miei progetti sul futuro… La proposta di matrimonio! Accidenti! Dovevo prendere una decisione. Le risposte erano solo due ma perché era talmente complicato scegliere? Una sola cosa era sicura: qualsiasi scelta avessi fatto avrebbe cambiato drasticamente la mia vita. Ritenni opportuno che in quel momento fosse meglio rimanere concentrata sul lavoro. Tornati al dipartimento, iniziai a interrogare i conoscenti della vittima. Ne convocai solamente dieci e, vista l’ora, non erano nemmeno così pochi. Tra i testimoni c’era anche la fidanzata di Kyle. Era una ragazza molto particolare. Era vestita interamente di pelliccia di volpe, indossava i gioielli più svariati, borsetta ultima moda e scarpe con tacco alto. Sembrava una bambola appena messa in commercio che possedeva yacht, ville enormi, jet privato e anche un fidanzato. Peccato che il suo fosse appena morto. Emanava un misto di pura antipatia e frivolezza. Dato che avevo già interrogato sei persone, fui ben felice che fosse Austin a farle delle domande. Volevo vedere cosa era in grado di fare. In più io non avrei potuto resistere alla tentazione di infierire su di lei. La sala adibita agli interrogatori era insonorizzata così, per sentire quello che dicevano indossai delle cuffie apposite. «Quindi signorina, da quanto tempo conosceva la vittima?».

«Scusa tesoro, ma ti stai rivolgendo a me? Signorina! Non saremo mica tornati al Rinascimento? Senti, coso, chiamami Ashley e finiamo questa strana sceneggiata! Poi tra poco c’ho pure l’appuntamento con la manicure. Quindi fai presto». «La prego di essere seria. Mi dica, svolge qualche attività lavorativa? Cosa può raccontarmi di Kyle?». «Ma stai scherzando o cosa? Caro, come potrei avere una pelle così perfetta se lavorassi? Ma dico, hai visto le mie bellissime mani o no? Una pelle come questa te la sogni. Comunque, ciccio, io vivo lussuosamente grazie alle rendite che mi ha intestato il mio caro papi». In poche parole Ashley voleva dire che viveva di rendita. Ah, l’avessero tutti una vita così! «Mi hai chiesto di raccontarmi del mio ormai ex-fidanzato… Beh, non c’è molto da dire. Quello lì era un vero allocco, appena mi ha visto è caduto subito ai miei piedi. D’altronde chi può resistermi? Lui sarebbe pure morto per salvarmi in caso di pericolo. Povero stupido, mi ricopriva di pellicce, gioielli e doni vari. Peccato che non c’è più, ora dove troverò un altro come lui? A proposito caro, tu quanto guadagni?». Qualcosa mi diceva che Ashley si era fidanzata con la vittima solo per prosciugare tutti i suoi risparmi. Il povero Kyle non aveva capito che lei non era innamorata di lui, ma dei suoi soldi. Austin era rimasto senza parole sia dalla superficialità della ragazza sia dalla domanda insolita che gli aveva posto. «Senti, amore, io non ho tanto tempo. Guarda, sono pure in ritardo. Quanto tempo si perde con questi signorotti all’antica! Io vado via e ricordati che non mi rivedrai mai più in questo posto squallido». Si alzò e andò via, come appena annunciato. La lasciammo andare, tanto qualcosa ci faceva pensare che non ci sarebbe stata molto d’aiuto. Quando finimmo di interrogare tutti coloro che avevamo convocato, controllai l’orologio: era ora di tornare a casa.

Mentre stavo sull’autobus pensai nuovamente alla proposta di Dan. Ormai avevo preso la mia decisione. Appena arrivata lo cercai e lo trovai in camera sua: «Dan, ti devo parlare. Ho riflettuto a lungo...». «Lynn, voglio che tu sappia che io senza di te non posso vivere» disse tutto d’un fiato «Farò di tutto per renderti felice. Ti prego…». «Lasciami parlare. Ormai qualsiasi cosa tu dica è del tutto inutile. Ho già preso la mia decisione». Dan si diresse verso la finestra dandomi le spalle. Mi avvicinai lentamente e lo abbracciai. Poi gli sussurrai: «La mia risposta è sì». Si girò di scatto, mi strinse forte a sé e mi sollevò dalla gioia: «Davvero? Ne sei convinta?». Annuii. «Lynn, è il giorno più bello della mia vita!». Sorrisi. «Anche il mio. Dan, ti amo moltissimo». «Ma mai quanto io ti amo». Sembrava tutto così perfetto e gioioso. Purtroppo niente è come sembra. La mattina dopo, al dipartimento di polizia, decisi di finire di interrogare gli amici di Kyle. Feci scorrere il mio dito fra i nomi… No, non poteva essere. Sembrava che il mio cuore avesse smesso di battere per un attimo. Dovetti rileggere più volte per rendermi conto che quel nome era proprio quello di Dan. Cosa dovevo fare? Cosa centrava lui con la vittima? Forse era coinvolto anche lui nei duplici omicidi… Ma fino a che punto? Incredibile! Stavo veramente dubitando di lui? Sicuramente era innocente, non mi sarei dovuta preoccupare. Vidi anche il lato positivo dell’accaduto: se avesse saputo qualcosa me lo avrebbe certamente detto. Io, però, non potevo interrogarlo perché troppo coinvolta. Ci avrebbe pensato Austin. Temevo solo la reazione di Dan nei confronti del mio collega, dal momento che tra loro non correva buon sangue dal giorno in cui si erano incontrati al ristorante.

Quando spiegai a Dan la situazione, accettò subito di farsi interrogare. Mi raggiunse subito al dipartimento e lo accompagnai da Austin che lo aspettava nella sala dell’interrogatorio. «È a conoscenza della morte del suo amico Kyle?». «No, non ne sapevo niente prima che Lynn… volevo dire l’agente Winter me ne parlasse. Non ci sentivamo da molto tempo, ossia da quando lasciò il gruppo musicale di cui facevamo parte. Mi arrabbiai moltissimo, litigammo e questo determinò la fine della nostra amicizia. Purtroppo ora non potrò più chiedergli scusa. Perché mi chiede questo?». «L’unica cosa che le chiedo è di collaborare e di raccontarci qualcosa in più sulla vittima. Ogni particolare potrebbe essere utile per risalire all’assassino». A queste parole, Dan sembrò calmarsi: «Ho conosciuto Kyle a scuola. Abbiamo fatto amicizia e poco dopo abbiamo fondato una band. Ci esibivamo in concerti in piccoli locali, ma lui puntava sempre più in alto e così lasciò il gruppo. Non ci riteneva più alla sua altezza. Voleva arrivare a toccare il cielo e invece ora si ritrova sottoterra. Che brutta fine! Se volete sapere qualcosa di più, vi posso dare i nomi degli altri membri della band. Alcuni hanno troncato i rapporti con lui, altri hanno continuato a frequentarlo. Se mi è permesso, posso sapere com’è morto quel povero diavolo?». «Non lo sappiamo ancora. Abbiamo finito, per ora non devo porle altre domande. La ringrazio per le sue utili informazioni». Avevamo ottenuto informazioni molto importanti: nomi che probabilmente ci avrebbero potuto portare alla soluzione del caso. Dopo aver accompagnato Dan all’uscita, subito convocammo tutti i membri della band. I primi due non ci dissero niente di nuovo, mentre l’ultimo… «Lei era amico di Kyle Eagle?». «No, quello sbruffone non era mio amico. Bastardo…». «La prego di moderare i termini. Posso sapere il motivo di tanto rancore nei suoi confronti?«.

«Ci aveva abbandonato soltanto per ottenere la sua ambita fama. Per colpa sua il gruppo si è sciolto. Non lo potrò mai perdonare per tutto quello che mi ha fatto». «Mi dica, lo odiava a tal punto da volerlo morto?«. «Certo. Scusi, ma perché mi fa certe domande? Cosa ha combinato quel farabutto? Io certo non lo voglio tirare fuori da qualche impiccio. Non si merita niente». Sotto pressione, ero sicura che avrebbe parlato. In realtà non avevo alcuna prova per incolparlo. Così decisi di bleffare: «Abbiamo trovato il suo amico morto per cause ancora ignote. La dichiarazione che ha appena fatto potrebbe incriminarla come possibile assassino… L’unica possibilità che ha è quella di collaborare…». «Io odiavo Kyle, è vero. Ma per un altro motivo. Tutto quello che ho detto non è la verità completa…».

CAPITOLO 9

«Cosa? Qui non stiamo giocando! Ora, ci dica la verità e veda di raccontare tutto senza tralasciare nessun dettaglio». Non ero molto stupita, era proprio come avevo sospettato. Sentivo che ci aveva nascosto qualcosa sin dall’inizio. «Quello che sto per rivelarvi non so se sia cruciale per la risoluzione del caso, ma credo sia abbastanza importante. In quel periodo Kyle si era appena staccato dal nostro gruppo. Ero andato ad un suo concerto una serata di giugno. Dopo lo spettacolo volevo andare a complimentarmi, ma non potei farlo. Stava parlando con una ragazza. Probabilmente una sua fan. Incuriosito iniziai ad ascoltare la conversazione di nascosto. Con mio grande stupore notai che lo stava minacciando, ma non certamente per motivi d’amore. Gli ripeteva che doveva ancora pagare della merce, altrimenti sapeva cosa gli sarebbe potuto accadere. Inoltre gli ricordò anche che senza il suo aiuto non sarebbe mai arrivato dov’era. Il mio amico rassicurò la donna dicendo che avrebbe subito saldato il debito e che gli serviva altra merce il prima possibile. Credo che lei non abbia bisogno che io le dica di cosa stavano discutendo. Mentre stavano finendo la conversazione qualcuno mi afferrò per le spalle. Prima che potessi scappare mi tramortì con qualcosa ed io svenni. Non so dirle con esattezza quello che è successo… È avvenuto tutto molto rapidamente! Quando mi risvegliai un uomo mostruoso era davanti a me. Probabilmente era il guardaspalle della donna. Mi disse che dovevo mantenere segreto tutto quello che avevo visto o sentito, altrimenti avrei fatto una brutta fine. Per dimostrarmi che non scherzava, mi diede un pugno che mi spaccò il naso. Sono dovuto andare in ospedale. Guardi, può vedere anche la cicatrice. Da quel giorno ricevo una volta al mese delle chiamate intimidatorie. Ho tentato, con le mie discrete conoscenze informatiche, di capire chi mi stesse chiamando. Il telefono era criptato e in più era un modello usa e getta. Vivo nel terrore da un paio d’anni. Kyle mi ha rovinato la vita. La prego agente, non riveli a nessuno quello che le ho appena detto. Secondo me, le persone che mi stanno minacciando sono abbastanza potenti. Hanno occhi e orecchie ovunque».

Le rivelazioni del ragazzo erano molto importanti perché confermavano la mia ipotesi del coinvolgimento nel mondo della droga. Inoltre la donna che aveva minacciato Kyle poteva essere la mia indiziata. Dovevo sapere qualcosa in più. «Tutto ciò è molto interessante, ma sarebbe di grande aiuto se mi potesse fornire qualche dato in più sulla donna. Età, segni particolari, fisionomia, qualsiasi cosa le venga in mente». «Purtroppo non le posso dire molto, la luce era poca ed ero anche troppo distante. Tuttavia sono assolutamente certo che la donna fosse giovane. Infatti la sua voce era di una persona di circa venticinque anni. Si può fidare. Ormai non suono più, ma mi è rimasto l’orecchio per certe cose». Rimasi un po’ delusa perché speravo di ottenere qualche dato in più. «La ringrazio infinitamente per la sua testimonianza. Ha avuto molto coraggio a rivelare tutte queste cose nonostante le fosse stato intimato di non farlo. Per quanto riguarda la segretezza della conversazione, solo il mio collega ha sentito e osservato tutto. Il contenuto dell’interrogatorio sarà inviato all’archivio del dipartimento centrale in assoluta segretezza. Se desidera posso farle ottenere la protezione da parte della polizia. Le lascio il mio numero di cellulare e se si dovesse ricordare qualcosa non esiti a chiamarmi». Il ragazzo sembrava un po’ rassicurato. Chiesi ad Austin di riaccompagnarlo a casa mentre io andavo a parlare con Roxanne: dovevo domandarle come dovessi agire. Come prima cosa riuscii ad ottenere la protezione per il testimone. Poi il mio capo mi disse che l’indomani avrei finalmente potuto perquisire la casa di Kyle grazie alle informazioni ottenute. Prima di tornare a casa dovevo andare alla mia seconda lezione di tiro. Mi ero già allenata molte volte, ma questa era soltanto la seconda lezione con l’istruttrice. Ormai riuscivo a colpire il centro del bersaglio da una distanza abbastanza elevata. Prima che la lezione finisse provai a sparare ad un bersaglio in movimento. Fu un completo disastro: inizialmente stavo andando bene, ma quando il movimento si velocizzò non riuscii più a colpire la sagoma. Decisamente dovevo ancora allenarmi.

«Chi la dura la vince…» pensai tra me e me mentre tornavo a casa. Arrivata trovai Dan che leggeva un libro con un certo interesse. Non volevo distrarlo dalla lettura così mi avvicinai lentamente e lessi il titolo: I fiori e il loro uso. Dan distolse lo sguardo e mi vide: «Lynn, non mi ero accorto che fossi già arrivata. Scusa ma, ero immerso nella lettura. Ci sono un sacco di fiori diversi e ognuno ha un uso sia in campo culinario che medico. Può essere sempre utile sapere certe cose. Vuoi dare un’occhiata?». Sfogliai delle pagine. Effettivamente era molto interessante. Arrivai alla lettera “G”. Lessi Gelsemium Elegans. C’era un piccolo capitolo che descriveva le proprietà di quel fiore. Una piantina dai fiori gialli somigliante alla ginestra, ma dal profumo simile al comune gelsomino. Se ingerita blocca le funzioni respiratorie e paralizza gli organi vitali fino a procurarne la morte e per questo viene anche chiamata “l’erba dell’infarto”. Ma cosa ancora più interessante è che non viene rilevata da normali esami tossicologici. Come avevo fatto a non pensarci prima? Kyle poteva essere morto per avvelenamento a causa di qualche pianta simile al Gelsemium Elegants! Abbracciai Dan. Quando mi chiese il motivo di tanta esuberanza risposi che attraverso il suo libro forse avevo scoperto il motivo per cui Kyle era morto. Non vedevo l’ora di verificare la mia intuizione. Immaginavo già la faccia incredula di Austin e dei miei colleghi. Tutto andò come calcolato: il giorno successivo il medico legale trovò nello stomaco del ragazzo tracce proprio della piantina letale da me segnalata. Questo mi forniva un altro indizio sull’assassino: doveva conoscere molto bene l’effetto tossico delle piante. Al contrario di quanto mi aspettassi Austin non rimase molto sorpreso. Questo mi diede ben poca soddisfazione. Se era tanto bravo perché non aveva risolto lui l’enigma? Non importava, niente avrebbe tolto quell’espressione raggiante dal mio viso. Inoltre non c’era tempo da perdere in simili sciocchezze. Finalmente avevamo una traccia da seguire: dovevamo assolutamente perquisire la casa di Kyle. Ci dirigemmo all’abitazione della vittima. Vedemmo che si stava allontanando

un ragazzo. Sembrava avesse molta fretta e fosse assorto nei suoi pensieri poiché non si accorse che mi stava letteralmente travolgendo. Decisi di fermarlo. Non ci potevo credere: era William Carson. Cosa ci faceva lì? Stava ancora cercando il suo scoop? «Agente Winter, è un vero piacere incontrarla. Cosa fa da queste parti?». «Sono io che ti dovrei porre questa domanda…». «Io stavo facendo una eggiata e casualmente ho scoperto che la vittima abitava da queste parti. Che grande coincidenza! Io ho risposto alla sua domanda, ora è il suo turno». «Sono venuta qui per il tuo stesso motivo e anche per arrestare dei curiosi bugiardi come te. Non credi che anche questa sia una grande coincidenza?». «Va bene, ha vinto lei. Sto ancora indagando e se intende rivelarmi qualche informazione io sarò ben lieto di contraccambiare…». «Non mi interessa quello che hai scoperto. Se ti trovo un’altra volta ad intralciare le indagini ti faccio radiare dall’albo dei giornalisti… a vita!». «Non si scaldi così tanto. Le nuocerà alla salute. Sono un uomo generoso e le voglio rivelare gratuitamente una cosa… state sbagliando tutto». Detto questo si allontanò rapidamente, come se non volesse farsi notare oltre in quel quartiere. Che tipo strano… Cosa voleva dire con quella frase? Non diedi peso alle sue parole, non avevo tempo da perdere dietro le fantasie di un ragazzo. Io ed Austin bussammo alla porta della casa di Kyle. La signora Miller ci aveva informato che viveva lì. Mi tornò in mente l’accoglienza dei signori Turner. Era stata un’esperienza unica. Questa volta non ci sarebbero stati scenari catastrofici perché conoscevo già la madre di Kyle. Jane aprì immediatamente e ci fece accomodare. Ci chiese se gradivamo qualcosa da bere. Le domandai se si sentisse un po’ meglio. Annuì ed io ne fui contenta. Jane ci disse che la casa era a nostra disposizione. Così iniziammo a cercare nei cassetti, sotto ai mobili, un po’ ovunque. C’era troppo ordine, il che voleva dire che Jane aveva pulito tutto e

involontariamente aveva contaminato delle possibili prove. Sotto questo aspetto preferivo nettamente la villetta disordinata della signora Turner. Non riuscivamo a trovare niente fino a quando un’enorme scatola nella camera di Kyle attirò la mia attenzione. La aprii. Al suo interno c’erano numerosissimi pupazzi. Erano sicuramente i giochi d’infanzia di del ragazzo. Li esaminai accuratamente uno ad uno per controllare che non contenessero qualcosa, facendo attenzione a non romperli. Notai che lo scatolone, anche se completamente vuoto, continuava a pesare eccessivamente. Controllai il fondo della scatola e scoprii che c’era un doppio fondo. Riuscii ad aprirlo e ai miei occhi apparirono una serie di bustine che contenevano una polverina d’indubbia natura. Ormai il movente di questi omicidi era evidente: la droga. Ora dovevamo rivolgerci alla narcotici. Avevo già deciso di farlo, ma la morte di Kyle aveva completamente sconvolto i miei piani. Quando arrivai al dipartimento mi diressi subito nei loro uffici. Consegnai tutte le informazioni in nostro possesso alla responsabile che garantì di fornirmi, appena possibile, tutti i dati che potevano esserci utili. Tuttavia avrebbero aperto un’indagine per verificare se vi fossero legami con giri di droga già noti. Mi congedai e, poiché si era fatto tardi, tornai direttamente a casa. Mi aspettava un fine settimana tranquillo. Non avrei potuto far nulla finché la narcotici non ci avrebbe fornito nuovi indizi. Il weekend ò velocemente e il lunedì le indagini erano ancora a un punto morto. Martedì mattina appena arrivai al dipartimento trovai una nuova scheda sulla mia scrivania. La aprii per vedere quale caso mi avessero affidato. Un nuovo omicidio. Guardai la foto del cadavere. Osservai meglio. Purtroppo la vittima la conoscevo bene: il suo nome era William Carson.

CAPITOLO 10

William Carson era morto. Non era possibile. Non volevo credere ai miei occhi. Non era la sorpresa piuttosto il rimoso che mi rendeva inaccettabile la sua morte. L’unico movente che poteva giustificare il suo assassinio era che William si era avvicinato troppo alla soluzione. Se solo avessi dato più peso alle sue parole forse avrei risolto il caso prima e lui non sarebbe morto. Avevo commesso un errore di presunzione: bisogna sempre ascoltare chiunque, per quanto insignificante possa apparire. Giurai a me stessa che non sarebbe più accaduta una cosa del genere. Abbandonai questi pensieri per tornare al mio lavoro di sempre. Dovevo fare quello che avevo fatto con tutte le altre vittime: controllare la scena del crimine, chiedere informazioni al medico legale e scoprire qualcosa in più sulla sua vita. Riferii ad Austin della morte del giornalista, ma il mio collega all’inizio non parve capire di chi stessi parlando. Soltanto dopo qualche minuto realizzò chi fosse. Raggiungemmo il luogo del delitto dove la scientifica stava finendo il suo lavoro. L’assassinio era avvenuto in una piccola stradina dall’aria poco rassicurante. Sfortunatamente non c’era neanche una persona che potesse testimoniare. Non occorrevano grandi capacità intuitive per capire che la causa della morte di William era un forte colpo alla nuca. L’arma del delitto era a pochi i da me: un semplicissimo tubo di scarico. Quando rimossero il corpo vidi una cosa nascosta sotto ad esso. Mi avvicinai al piccolo oggetto. Era di nuovo una perlina. La presi e la misi tra le prove. Quell’indizio diceva tutto. Infatti anche sulla scena del crimine di Kyle avevo trovato una perlina. Probabilmente facevano parte dello stesso bracciale e il suo proprietario era l’assassino, o meglio… l’assassina. Il colpevole era sicuramente una donna: difficilmente un uomo o un ragazzo avrebbero indossato un braccialetto con delle perline rosa! L’omicida aveva agito diversamente dalle altre volte poiché aveva lasciato l’arma dov’era, il corpo non era stato marchiato e nemmeno spostato. Infatti la testa di William era circondata da un lago di sangue. Se fosse stato mosso non

avremmo trovato una pozza così grande. In attesa di notizie da parte del medico legale Austin ed io ci occupammo di scoprire qualcosa in più su William Carson. «Questa volta» pensai «la ricerca sarà più facile. Ho il nome della vittima». Cercai in tutti i file a nostra disposizione. Trovai la sua scheda. Al suo nome corrispondeva quello di un giornalista. Peccato che fosse di almeno una sessantina di anni più vecchio! I dati che mi aveva fornito erano falsi. Così dovetti usare lo stesso metodo utilizzato con Matthew. Peccato che in tutto il paese la categoria di persone con occhi e capelli marroni era molto più elevata delle altre sommate insieme. Bene, mi aspettava una lunghissima e noiosissima ricerca. Austin decise di darmi una mano basandosi sulle foto scattate al corpo. Avevo già controllato un bel po’ di schede e si era fatto tardi. Mi venne un sonno terribile. Austin si alzò per prendere qualcosa al distributore automatico e tornò poco dopo. La tazza fumante che aveva in mano emanava un odore piuttosto intenso. Ero sicura che fosse caffè. Non lo amavo molto, ma avrei bevuto qualunque cosa mi avesse potuto svegliare, per quanto disgustosa fosse. «Che hai preso? Caffè?». «Esattamente». «Pensi che potrebbe aiutarmi a combattere questo sonno terribile?». «L’ho preso apposta per questo». Staccai gli occhi dal computer, mi voltai, afferrai la tazzina e mandai giù il contenuto tutto in un sorso. «Ma che fai?! Il mio caffè!». «Scusa, ma non l’avevi preso apposta per me?». «No, io l’ho preso per combattere la mia sonnolenza, non la tua». «Sono mortificata. Comunque la colpa è tua, ti saresti dovuto esprimere con maggiore chiarezza. Se desideri posso prendertene un altro».

«Lasciamo stare. Non ti scomodare. Tanto non mi va più». Poi voltandosi aggiunse con un tono che era l’esatto opposto di ciò diceva: «Non puoi sapere quanto sono contento di averti ceduto il mio caffè! Ora sì che posso tornare al mio lavoro…». Che ingenuo, se l’era bevuta veramente la storia del fraintendimento. Sapevo perfettamente che lui, ogni volta che doveva stare di guardia di notte, prendeva sempre alla stessa ora un caffè dolcificato con tre zollette di zucchero per rimanere sveglio. Ora avrebbe combattuto contro il sonno tutta la notte, a meno che non ne avesse preso un altro, ma visto come aveva risposto era poco probabile. Avevo preso due piccioni con una fava. Mi ero vendicata dello scherzo dello scarafaggio che avevo subito e mi ero anche levata di dosso la stanchezza. Ero sicura che non mi avrebbe fatto altri scherzi per un po’. Benché avessi lavorato già oltre l’orario, dovevo controllare ancora troppe schede per finire. Decisi di andarmene. Salutai Austin che ormai non riusciva più a nascondere gli evidenti segni di stanchezza. Sorrisi ripensando al mio piano di vendetta pienamente riuscito. Il giorno dopo riprendemmo subito a controllare altri file. Me ne mancavano solamente tre e il vero nome di William era sicuramente tra quelli. Controllai il terzultimo e il penultimo: ancora niente. Ne mancava solo uno, cliccai il mouse… ero pronta a vedermi apparire il viso di William. Ma non fu così. Tra tutti quegli archivi lui non c’era. Avevamo controllato ogni singola scheda minuziosamente e non era possibile che ci fosse sfuggito. Ipotizzai che venisse dall’estero e per questo non risultasse nel nostro archivio. Non ci rimaneva che rivolgerci alle autorità straniere. Sapevamo che ci sarebbe voluto molto tempo per avere una risposta, forse anche anni. Chissà chi era veramente William Carson e cosa nascondeva… Non potei fare a meno di pensare a quanto le apparenze talvolta ingannino. In serata il medico legale ci mandò a chiamare. Ci comunicò i risultati dell’autopsia: «La morte di questo ragazzo è avvenuta tra le sei e le sette della mattina. La vittima ha lottato contro il suo aggressore e questo lo possono confermare i lividi sul suo corpo e la presenza di acido lattico nei muscoli. Il decesso è avvenuto per frattura della base cranica dovuta proprio al tubo di ferro trovato vicino al cadavere. L’assenza di impronte digitali e il punto di collisione

mi portano a dedurre che la morte sia avvenuta incidentalmente. Probabilmente in seguito ad una caduta. Quindi il tubo non è stato usato come arma contundente da parte dell’aggressore. Questa volta non abbiamo segni particolari tatuati sul corpo. Invece abbiamo rinvenuto una cosa molto strana… la pelle della mano sinistra è completamente scorticata e ci sono tracce di inchiostro. Secondo me l’inseguitore ha voluto cancellare qualcosa che la vittima si era appuntata. Dovrò fare altre indagini per riuscire a scoprire se l’inchiostro è penetrato più profondamente nella pelle e provare a leggere ciò che era stato originariamente scritto». Ci sarebbe voluta qualche ora prima di avere nuove notizie. Ormai il nostro turno era quasi finito e, siccome il giorno precedente avevo lavorato più del previsto, decisi di andarmene prima. La mattina dopo portò grandi sviluppi: il medico legale era riuscito a decifrare una parte del messaggio scritto da William. Un nome: Mary Knox. Forse William aveva tentato di scrivere il nome dell’assassina! Mary Knox… era lei la colpevole? Guardai una foto dal database della polizia, non sembrava una persona che potesse architettare un piano così elaborato. Eppure tutto ci faceva credere che lei fosse l’omicida che cercavamo. Era una donna, aveva qualche precedente per commercio di sostanze stupefacenti ed era una botanica. La sua casa era anche vicina al luogo del delitto. Non potevano essere solo coincidenze! La scritta sulla mano di William fu ritenuta una prova di tale importanza da decidere di interrogare il prima possibile la ragazza ed eventualmente trattenerla. Venne portata al dipartimento accompagnata dal suo avvocato. Prima che il procuratore stesso iniziasse l’interrogatorio, convocai per un confronto l’amico di Kyle che aveva assistito alla discussione avvenuta durante il concerto della vittima. Non aveva dubbi: era lei. La voce e la fisionomia corrispondevano perfettamente. L’interrogatorio poteva iniziare. Austin ed io decidemmo di assistere fuori dalla sala. Mary era seduta al fianco del suo avvocato mentre il procuratore le era di fronte. «Quindi signorina» inizio il procuratore «potrebbe dire il suo nome e la sua professione?».

«Mi chiamo Mary Knox e attualmente lavoro come botanica». «Molto bene. Lei è accusata di omicidio colposo nei confronti di William Carson ed è anche indagata per le morti di Kyle Eagle e Matthew Turner. Può raccontarci cosa faceva verso le sette dello scorso martedì?». «Mi sono svegliata presto per fare la mia solita eggiata mattutina». «Ci sono delle persone che possono testimoniare?». «Sì, tutti i miei vicini possono confermare. Quando sono tornata indietro ho visto che la porta della mia casa era stata forzata e tutti i mobili erano stati spostati». «Lei sta dicendo che forse la vittima è entrata nel suo appartamento a scopo di furto e che lei non ha avuto l’occasione di vedere il suo volto?». «Esattamente. La prima volta che ho visto il suo viso è stato quando me l’hanno mostrato poco prima di questo interrogatorio». «Signorina, sa che al momento del ritrovamento, vicino al corpo non è stato rinvenuto nessun oggetto di sua appartenenza. Un ladro che non ruba niente…». L’avvocato intervenne interrompendo l’insinuazione del procuratore. «Aspetti un attimo, non corra troppo. La vittima forse cercava qualcosa che non ha trovato e se n’è andato via». «Scusi, ma cosa doveva cercare la vittima di così importante da appuntarsi il nome della Signorina Knox? Forse cercava proprio gli indizi che avrebbero provato la colpevolezza della donna riguardo i precedenti omicidi. Ma è stato scoperto e temendo della sua vita, ha voluto lasciare una traccia a chi avesse in seguito investigato. Ecco perché aveva scritto sulla mano il suo nome». «Cercherò di chiarirle tutto con molta calma» riprese l’avvocato «La vittima era un ladro. Aveva segnato il nome della signorina Knox perché era la prossima persona che doveva derubare. Cercava degli oggetti di valore, ma non li ha trovati». «Ammettiamo questa ipotesi. Non mi ha ancora spiegato come mai la vittima sia morta in quel vicolo».

«Non abbia fretta, le dirò anche questo. Vede le foto della via? Se nota c’è una tubatura che si è rotta. Credo che ormai sia tutto chiaro. Vi devo ricordare che è un tubo che ha causato la morte? Il ladro ha visto che l’imputata stava tornando a casa ed è corso via. Mentre scappava è inciampato, è caduto all’indietro e ha sbattuto il capo contro la tubatura. Il colpo è stato così forte da staccare il tubo e da decretare la morte di quel malvivente». «La mano del presunto ladro è stata scorticata, come lo spiega?». «Più facile di quello che sembra! Durante la caduta il furfante ha completamente spellato la sua mano raschiandola contro l’asfalto della strada. Mi pare d’aver fornito delle spiegazioni abbastanza chiare» e aggiunse prendendo la mano della sua assistita «la signorina Knox non solo non è colpevole ma addirittura è vittima di un maldestro furfantello». A quel punto mi accorsi del braccialetto indossato dalla ragazza. Non potevo crederci! Avevo avuto la prova a portata di mano e non me ne ero accorta. Decisi di intervenire immediatamente: «Procuratore se lei mi permette vorrei fare una richiesta. Signorina Knox, può mostrare il braccialetto che indossa?». Non riuscii a trattenere un sorriso di soddisfazione quando vidi chiaramente che il bracciale era formato da perline di colore rosa. «Sulle scene del crimine sono state rinvenute delle perline che sono della stessa fattura e colore di quelle indossate dalla signorina Mary…». Misi davanti al procuratore le bustine contenenti le prove. Sul viso dell’avvocato della signorina Knox si dipinse un’espressione di grande stupore. L’atmosfera si stava facendo sempre più tesa. A quel punto, non avendo più dubbi, domandai: «Procuratore vorrei dare la mia versione dei fatti ata dalle prove che abbiamo raccolto durante le indagini». Il procuratore fece un segno di assenso col capo. «La signorina Knox era coinvolta nel mondo della droga e di questo abbiamo conferma sia nei nostri archivi giudiziari, sia da una testimonianza deposta da un amico del defunto Kyle Eagle, seconda vittima a cui lei risulta essere collegata. Sempre per la droga è possibile che sia coinvolta nell’assassinio di Matthew

Turner. Probabilmente per una consegna non andata a buon fine decise di togliere dalla piazza sia Matthew Turner che Kyle Eagle. L’esame autoptico di quest’ultimo ha indicato nella tossina del Gelsemium Elegants la causa del decesso. La signorina ha dichiarato di lavorare come botanica. Ebbene, chi più di lei conosceva gli effetti disastrosi di quella pianta?! Inoltre lo spostamento del corpo di Kyle Eagle ha causato la perdita di una perlina del suo braccialetto, che abbiamo qui come prova». Mi fermai un attimo per sistemarmi il colletto della camicetta che nella foga del discorso si era messa di traverso. Il procuratore mi esortò a continuare. Così ripresi la ricostruzione dei fatti: «Un bel giorno Mary Knox stava tornando dalla eggiata che ogni mattina era solita fare, ormai serena perché aveva eliminato due elementi scomodi senza destare alcun sospetto, quando si accorse che a casa c’era qualcuno che frugava fra i suoi oggetti. Quella persona era William Carson che stava cercando la sua pistola, o forse il proiettile che ha ucciso Matthew o la “pianta dell’infarto”. Mary teme che quel ragazzo non sia un semplice ladro ma qualcuno in cerca di prove sui delitti da lei commessi. Pensò di coglierlo di sorpresa aggredendolo e provocandogli degli ampi ematomi. Il ragazzo riuscì a scappare nel vicolo, ma venne raggiunto da Mary che, per fermarlo, gli diede una spinta, azione che fece staccare un'altra perlina dal braccialetto. Il ragazzo perse l’equilibrio e cadde urtando il capo al tubo. La donna prima di abbandonare il corpo esanime scorse il suo nome scritto sulla mano del ragazzo. Cercò di cancellarlo strofinando violentemente la mano contro l’asfalto. Sembrava esserci riuscita, ma l’inchiostro è penetrato troppo a fondo e siamo riusciti a leggere comunque il suo nome». Finito il mio discorso nella stanza regnava un silenzio irreale che fu rotto dalle parole del procuratore: «Credo che l’agente Winter abbia messo a fuoco la realtà dei fatti. Ci sono tutti gli elementi per un’indagine processuale. Nel frattempo la signorina Mary Knox sarà trattenuta sotto arresto in via cautelativa fino al processo in quanto potrebbe inquinare le prove». Mentre la portavano via, Mary urlò: «Fermi, io non ho fatto niente! State sbagliando tutto! Non sono io la donna che cercate!». Il procuratore stringendomi la mano energicamente disse: «Ben fatto. Continui così».

Roxanne si avvicinò a me, il suo viso era raggiante. «È inutile che le dica che siamo fieri di avere agenti come lei. Ne terrò conto nelle prossime valutazioni». Ormai era tutto finito. Quella strana storia sembrava essere conclusa. Mi sarei dovuta sentire felice, eppure non ci riuscivo. Sentivo come se ci fosse ancora qualcosa che non quadrasse. Ero ancora confusa e non riuscivo a comprendere nemmeno le mie stesse sensazioni. «Beh, cos’è quella faccia da mortorio? Bisogna essere felici in momenti come questi!». Mi girai, Austin era dietro di me e mi sorrideva. Ricambiai il suo sorriso, poi abbassai lo sguardo ancora assorta nei miei pensieri. «Su con la vita! Certo che sei proprio strana tu. Ci stiamo organizzando per festeggiare la chiusura del caso. Non puoi mancare». «Grazie, cercherò di essere presente». Era stata una giornata molto lunga ed intensa. Quando tornai a casa dissi a Dan che il caso era finalmente chiuso. Potevamo finalmente trascorrere del tempo insieme e dedicarci ai preparativi per il nostro matrimonio. Nei giorni successivi ci sarebbero stati festeggiamenti e giorni sereni. Questo era quello che pensavo…

CAPITOLO 11

Dopo aver risolto il caso ebbi molto tempo a mia disposizione. Per prima cosa Dan ed io ci occupammo dell’organizzazione del nostro matrimonio. Innanzitutto dovevamo trovare la sala per i festeggiamenti. Nella cittadina non c’era niente che ci pie. Decidemmo di cercare nei dintorni. Visitammo molti posti e sembrava che la ricerca non finisse più. Proprio quando stavamo per arrenderci riuscimmo a trovare proprio quello che volevamo. La sala sembrava perfetta: era molto ampia e c’era anche un piccolo spazio all’aperto. Stucchi meravigliosi ornavano il soffitto, quadri con soggetti classici vestivano le pareti e un bellissimo lampadario in cristallo completava l’atmosfera raffinata del luogo. Tutto dava un’idea d’incredibile classe ed eleganza. Mi sembrava di sognare, ma il conto salato mi fece capire che non era così. Era una gran bella somma, ma non potevamo rifiutare l’offerta poiché non avevamo ancora trovato una valida alternativa. Discussi a lungo con Dan e le soluzioni possibili erano solo due: la prima era di accettare quella richiesta esorbitante mentre la seconda era di ritardare il matrimonio. Entrambi ci trovammo d’accordo nell’escludere l’ultima. Avevamo intenzione di sposarci agli inizi di giugno, tempo minimo necessario per sistemare tutto al meglio. Decidemmo di prenotare la sala, dopotutto se ne avessimo trovata una a un costo minore, avremmo sempre potuto disdire. La mia inattività mi lasciava anche del tempo per riflettere sul caso appena concluso. Quella strana sensazione che mi fosse sfuggito qualcosa mi tormentava. Per quanto ci ragionassi sopra non riuscivo proprio a comprendere cosa mi creasse quello stato d’animo. Quando lunedì arrivai al dipartimento, mi assegnarono una nuova indagine. Con mia grande delusione quello fu il caso più semplice su cui avessi mai indagato. Inizialmente mi sentii quasi offesa, ma poi capii che Roxanne voleva concedermi un periodo di riposo per potermi dedicare alle mie faccende personali. Quella sera ci sarebbero stati i festeggiamenti per la felice risoluzione delle indagini.

Non fu difficile convincere Dan a lasciarmi andare da sola: lui stesso mi spinse a partecipare ai festeggiamenti dicendomi che me lo meritavo ed era orgoglioso che tutti stimassero la sua piccola detective. Da quando avevo accettato la sua proposta di matrimonio mi sembrava molto più sereno. La serata trascorse all’insegna di un’euforia eccessiva per i miei gusti. Non avevo mai amato molto le feste dove tutti si concentrano sul cibo e sulle bevande, sembrando belve affamate. Finito il buffet, iniziarono i balli. Rimasi seduta a osservarli. Non capivo perché dopo tanti anni di evoluzione fossimo ritornati a danze tribali. Non che non amassi la musica, ma non mi piaceva proprio quel tipo di danza improvvisata. Mi invitarono più volte a ballare, ma rifiutai l’invito ogni volta. Era quasi arrivata la mezzanotte quando finalmente decisero di mettere il classico ballo lento. Vinto l’imbarazzo iniziale tutte le persone scelsero un compagno. Io mi ero rintanata in un angolino per evitare che qualcuno mi invitasse. Ero sicura del mio nascondiglio finché una voce non mi smascherò: «Milady, posso disturbarla un attimo? Mi permette di farla uscire dal suo rifugio? Sarei onorato se mi volesse concedere questo ballo». «Austin, smettila di prendermi in giro. Ti ho già detto più di una volta che mi vergogno a ballare». «Che c’è, mia signora? Pensa di non essere all’altezza?». «Senta Milord, se io le concedo questo ballo, potrebbe smettere una volta per tutte di dire cose sciocche?». «Ogni suo desiderio è un ordine. Se lei accetta il mio invito le prometto di acconsentire alla sua richiesta». Dovevo un favore ad Austin: mi aveva dato un grande aiuto nella risoluzione del caso. Almeno un ballo glielo potevo concedere. Non posso negare che quando accettai l’invito, sulle mie guance apparve un lieve rossore. Forse sarebbe stato meglio per il mio collega se non avesse mai avanzato quella proposta. Gli pestai i piedi almeno una decina volte e questo non fece altro che accrescere il mio imbarazzo. Austin era impacciato tanto quanto lo ero io. Forse per questo, in fin dei conti, quella esperienza mi aveva divertito. Non riuscivo a immaginare cosa avremmo potuto combinare se avessero messo un altro lento.

Alla fine della festa molti colleghi avevano bevuto un po’ troppo. Austin, invece, non aveva toccato alcun tipo di alcolico. Non voleva dare nell’occhio o semplicemente era riuscito a smettere? Non doveva importarmi, avevo deciso di non intromettermi più nella sua vita privata. Dovevo rispettare le sue scelte, per quanto distruttive fossero. Non ero molto sicura che fosse veramente giusto, ma mi limitai a pensarla così in quel momento. Mi diressi a prendere la giacca, Dan mi sarebbe venuto a prendere a momenti. Ad un certo punto una mano si posò sulla mia spalla. Feci per voltarmi, ma non ci riuscii perché la mano, anche se dolcemente, mi impediva il movimento. «Ti prego non ti girare. Sarebbe tutto più difficile…». «Austin, ma…». «Dimmi solo una cosa: è vero che ti stai per sposare? Perché non me l’hai detto subito?». «Beh, io… Volevo dirtelo, ma sono successe troppe cose tutte insieme». «Quindi hai deciso. Sei sicura che…». «Austin, cosa vuoi dire? Perché tutte queste domande? Niente è sicuro a questo mondo, ma penso che Dan sia la persona giusta». «Credo che tu abbia ragione. È lui l’uomo giusto per te» disse ritraendo la mano dalla mia spalla. «Scusami non avrei dovuto chiederti queste cose». Mi girai e l’espressione che aveva Austin mi turbò: era lo stesso sguardo sofferente che avevo visto quel giorno al cimitero. Durò un attimo. «Spero veramente che siate felici insieme» disse sorridendomi «e che lui si renda conto di quale fortuna ha avuto incontrandoti». Non sapevo che dire. Non era la prima volta che Austin mi sorprendeva con la sua sensibilità. Avrei voluto rassicurarlo. Non volevo che qualcosa rovinasse la nostra amicizia, ma non riuscii a dire niente. Ero come bloccata. Vidi che si allontanava solo… Il clacson della macchina di Dan mi riportò alla realtà.

Una settimana dopo successe una cosa inaspettata. Mi giunse la notizia che Mary Knox si era tolta la vita mentre le guardie carcerarie si stavano dando il cambio. Questo era quello che dicevano le voci in giro. Pregai Roxanne affinché potessi dare un’occhiata e lei acconsentì. La ragazza non condivideva la cella con nessuno. Il procuratore aveva predisposto questo particolare trattamento a tutti coloro che erano in attesa di essere processati. Il corpo della ragazza era in mezzo alla stanza, accanto a lei giaceva una corda. Mi spiegarono che inizialmente la fune era stata rinvenuta legata a una lampada che pendeva dal soffitto. Il collo di Mary portava i segni della corda. Tutto faceva pensare a un suicidio, ma perché avrebbe dovuto farlo? Non sopportava il rimorso delle azioni che aveva commesso? Eppure si era sempre dichiarata innocente. Chi aveva introdotto la corda? Certo la ragazza non l’avrebbe potuta portare con sé. Inoltre la lampada che pendeva dal soffitto poteva reggere il peso del corpo della vittima? La sensazione di disagio che mi tormentava dalla fine del caso tornò. Decisi che l’indomani avrei esaminato tutto di nuovo, questa volta non tralasciando nessun particolare. Tornai a casa, Dan non era ancora rientrato. Non mi pareva che dovesse lavorare fino a tarda sera quel giorno. Cercai di telefonargli, ma lui non rispose. Mi stavo iniziando a preoccupare. Non riuscii a cenare, avevo lo stomaco completamente chiuso. Non appena Dan fosse tornato, gliene avrei dette quattro. Il telefono squillò ed io mi fiondai a rispondere. «Pronto, qui il dipartimento di polizia. Parlo con l’agente Winter?». «Sì, sono io». «Deve recarsi il prima possibile alla vecchia scuola abbandonata del paese? Sa dov’è o le devo dare l’indirizzo?». «No, non si preoccupi. So perfettamente dove si trova. Perché devo andare proprio io? Oggi non sono di turno!». «Lo so, ma è un ordine del comandante Green in persona». Perché Roxanne aveva bisogno di me? Quello che era successo non lo potevo neanche lontanamente immaginare.

CAPITOLO 12

Dei poliziotti piantonavano la scuola abbandonata. Quando mi videro iniziarono a parlottare fra loro. Entrai e un agente in borghese mi disse di andare nella stanza in fondo al corridoio del secondo piano. Aprii la porta e vidi che erano già arrivati la squadra della scientifica e il medico legale. Tutti si muovevano con la solita destrezza per cercare di ricavare più dati possibili. Quando mi scorsero stranamente si fermarono e un sinistro silenzio si diffuse nella stanza. Perché mi guardavano in quel modo? Mi avevano visto già altre volte su una scena del crimine. Mentre mi stavo per avvicinare al corpo che giaceva a terra prono, Roxanne mi venne incontro quasi a volermi impedire di andare oltre. Istintivamente la scansai e vidi quello che non avrei mai voluto vedere. Non ci potevo credere. Non ci volevo credere. Doveva essere un incubo, il più brutto che avessi fatto fino a quel momento. Le gambe sembravano non mi reggessero più. Le lacrime mi rigarono il volto e sentii una forte fitta al petto. L’uomo riverso a terra con un pugnale nella schiena era Dan. Sentivo lo stomaco contorcersi dolorosamente. Non riuscivo a reggere quella scena. Il sangue sui suoi vestiti, la pelle livida: quell’immagine mi si stampò nella mente. D’impulso andai per abbracciarlo, ma il pensiero della sua pelle gelida mi fece ritrarre. Notai un particolare sul suo collo. Il marchio, la data fatale: 2004. Era troppo per me, sentii che mi stava crollando tutto addosso. Fuggii via. Scappare dai problemi, dal dolore, dall’orrore. Negare a me stessa che ciò che avevo visto fosse la realtà. Come se ciò potesse risolvere tutto. Come se si potesse dimenticare tutto. Mere illusioni per non ferirmi, per non affrontare l’enorme fardello che è la realtà. Forse stavo impazzendo. Sì, doveva essere così. Un sorriso beffardo si delineò sul mio viso. Perché proprio io? Andai in giro senza meta. Iniziò a piovere. Mi sedetti su un marciapiede con la testa fra le mani. Le gocce che cadevano sul mio volto si confondevano con le mie lacrime. Rimasi fuori a lungo, guardando quella notte cupa e piovosa. Mi trascinai a casa con le poche forze che ancora avevo in corpo. Appena arrivata mi accasciai sul mio letto e rimasi lì. I miei vestiti erano bagnati, ma non

avvertivo freddo e nemmeno fame o sete. Guardavo il soffitto, ma quello che osservavo non era quello. I miei occhi vedevano Dan, tutti i ricordi che lo riguardavano. Era così vicino eppure così distante. Ne potevo vedere gli occhi, ne potevo udire la voce. Era inverno dentro di me: come il freddo uccide i fiori, la mia anima sarebbe apita lentamente senza di lui. «Dan perché mi hai lasciato? Ora non sento niente, sono come un involucro vuoto, senza anima. Che senso ha vivere adesso? Senza il tuo sorriso, senza il tuo viso radioso… senza te…». Guardai la mia pistola sul comodino. Forse dovevo finirla lì: bastava premere un grilletto. Volevo veramente morire? Sentire la fredda morsa della morte? Presi in mano l’arma. La mia immagine si rifletté sullo specchio. Cosa stavo facendo? Che mi stava saltando in mente? Come aveva fatto un’idea così scellerata a balenarmi in testa? Il telefono squillò un’infinità di volte, ma io non volevo parlare con nessuno. Volevo rimanere sola nella mia profonda disperazione. Per quanti giorni rimasi in quello stato di dormiveglia? Avevo perso la cognizione del tempo. Sarei rimasta così per sempre se un bussare ripetuto alla porta non mi avesse svegliata da quel torpore. Mi alzai di scatto, aspettandomi di trovare Dan sorridente. Mi resi conto che era l’ennesima illusione. Mi accasciai sul divano con il cuore a pezzi. Il bussare alla porta si fece più insistente. Mi portai le mani alle orecchie e iniziai a urlare con tutto il fiato che avevo in corpo:«Lasciatemi in pace! Non c’è più nessuno qui! Vi prego, andatevene!». II rumore cessò immediatamente. Finalmente avrei potuto di nuovo chiudermi nel mio dolore. Invece un colpo deciso sfondò la porta. Austin apparve davanti a me e mi strappò dal divano. «Smettila» mi disse con un tono che non ammetteva repliche «Dov’è la Lynn che conosco? Dan non sarebbe di certo fiero di te. Non puoi abbandonare tutto. Io… noi abbiamo bisogno di te». «Non è vero. Io sono morta e i morti non servono più a nessuno». «Lynn, smettila di comportarti in questo modo infantile! Guarda in faccia alla realtà. Non puoi continuare così».

«Tu non hai idea di cosa io stia provando! È qualcosa che ti divora da dentro. La mia vita mi sembra un tunnel senza luce. Non guardarmi con quell’aria di superiorità. Tu non sei me, tu non puoi sapere come mi sento». Austin si ammutolì. Mi sollevò il viso affinché non potessi distogliere il mio sguardo dai suoi occhi. «Ti sbagli, so benissimo come ti senti. Purtroppo si riesce a sopravvivere. Si deve sopravvivere. Lo dobbiamo a chi ci ha lasciato, perché non vada tutto perduto. Devi superare questo momento. So che anche tu ci riuscirai. Sei una donna forte». Non furono tanto le sue parole quanto il dolore che lessi nei suoi occhi che mi fecero capire che sarei andata avanti come aveva fatto lui. Mi abbandonai tra le sue braccia e finalmente riuscii a singhiozzare. Non potevo più smettere. Era come se tutto il dolore volesse uscire attraverso le mie lacrime. L’unica parola che ero in grado di pronunciare tra i singhiozzi era: «Perché?». Alla fine mi addormentai stremata e quando riaprii gli occhi Austin era seduto vicino a me e mi guardava pensieroso. «Quanto ho dormito? Da quanti giorni sono qui in casa? Devo andare. Mi staranno aspettando al dipartimento». «Stai calma, non agitarti» disse Austin «È tutto sotto controllo. Sono ati tre giorni. Il capo ha detto che forse non può affidarti il caso perché sei troppo coinvolta emotivamente». «Capisco perfettamente. Ha pienamente ragione. Austin, ma io sono un poliziotto. Devo essere coraggiosa, devo essere un modello, un esempio». «Tu sei umana Lynn e non puoi reprimere ciò che provi. Dimostrare le tue debolezze non è un disonore. Non credere che questo ti renda peggiore degli altri agenti. Ricordati che il coraggio non è l’assenza di paura, ma la forza di affrontarla». «Io sono divenuta un’agente della polizia per proteggere le persone che amavo. Non sono stata capace di farlo. Pensavo di essere diventata più forte, invece solo ora mi accorgo della mia fragilità. Come posso essere stata così presuntuosa da non accorgermene?».

«Lynn, ti racconterò una storia» disse guardandomi negli occhi «La mia storia... Avevo più o meno dieci anni. Ero in macchina con i miei genitori quando fummo vittima di un incidente. Svenni. Quando mi svegliai vidi la parte anteriore della macchina distrutta, le fiamme stavano lentamente divorando tutto. Un uomo mi stava portando via. Chiesi che fine avessero fatto i miei genitori. Ma la risposta già la sapevo: erano morti… Ebbi la grande fortuna di essere adottato quasi subito. Mi trovai subito bene nella nuova casa, era molto spaziosa. Avevo di nuovo delle persone che mi amavano e che alla fine considerai come veri genitori. Nella nuova famiglia avevo anche una sorella di qualche anno più piccola di me. Mi legai subito a lei ed iniziai a proteggerla come fossi il suo fratello maggiore. Avrei dato la vita per lei. Avevo quindici anni quando fu trovata morta in un vicolo. L’assassino sembrava essere sparito. Avevo perso un’altra persona a me cara. Questa volta mi sentivo responsabile perché non ero riuscito a proteggerla. Iniziai a pensare che per questo motivo i miei genitori mi odiassero e che tutte le persone mi guardassero come un mostro. Mi sentivo colpevole di un delitto che non avevo commesso. Dovevo dimostrare la mia innocenza. Quando ebbi diciotto anni cominciai le mie ricerche. Trovai il vero colpevole e lo consegnai alla giustizia. Fu allora che decisi di intraprendere questo lavoro. Non volevo che altre persone soffrissero come avevo sofferto io». Finalmente compresi chi fossero le tre persone morte da cui Austin si recava puntualmente. Sentii il bisogno di raccontargli quello che avevo visto il giorno che lo avevo spiato. Non sembrò prendersela molto. Ci tenne solo a precisare che si era tolto il brutto vizio del bere. «Non è stato facile. Ho smesso pian piano, dal giorno in cui ti ho conosciuta…». «Vuoi farmi credere che ho di questi poteri?». «Diciamo che non capita tutti i giorni di avere una collega con il tuo acume, il tuo sorriso, i tuoi occhi, il tuo sarcasmo, la tua forza…». «Un attimo, non starai dicendo davvero!». «Hai ragione tu sei molto di più per me». «Austin smettila, mi sta venendo un gran mal di testa. Fino a qualche giorno fa mi sarei dovuta sposare…». «Lo so. Scusa. Ogni cosa ha il suo momento».

Dopo queste parole la confusione nella mia testa era peggiorata. Non sapevo cosa dire o pensare. Mi serviva un po’ di riposo per riordinare tutti i miei pensieri. Austin sembrò intuire il mio smarrimento. «Te la senti di venire in un posto con me? Un po’ d’aria fresca non ti farà male. Vedrai non te ne pentirai. Allora? Ci stai?«. Annuii. Era arrivato il momento di uscire da quella casa. La vita doveva continuare ed andare avanti. Austin mi scortò verso la sua macchina e mi fece salire. Sembrava che ci stessimo dirigendo fuori città, vicino al punto dov’era stato ritrovato il cadavere di Matthew. Arrivammo a destinazione dopo una mezz’oretta abbondante. Ormai era buio e faceva molto freddo. Avevo avuto l’idea geniale di non portare un cappotto, così Austin posò la sua giacca sulle mie spalle. «Scusami, ma non capisco perché mi hai voluto portare in questo punto sperduto in mezzo alla campagna». «Alza gli occhi e capirai». Feci come aveva detto. La volta celeste era piena di stelle, era quasi del tutto illuminata. Rimasi a bocca aperta: era uno spettacolo bellissimo. Chissà da quanto non ne vedevo così tante. Mi stesi sull’erba fresca per osservare meglio quella meraviglia. Austin fece lo stesso ed iniziò ad indicarmi le varie costellazioni. «Austin, grazie per tutto questo». «Era mio dovere». «Cosa stai dicendo? Tu non mi devi un bel niente. Semmai il contrario!». Mi guardò e fece un sorriso come per precisare che non fosse d’accordo con quello che avevo detto. «È sempre stato un mio dovere aiutare le persone che amo».

Si alzò e si diresse verso la macchina. Mi riaccompagnò a casa. Restammo in silenzio per tutto il tragitto come se avessimo avuto paura di confessare a noi stessi quello che provavamo in quel momento. Arrivati, Austin aspettò che entrassi: sapeva quanto fosse duro per me ritornare in quella casa. Mi feci forza e varcai la soglia. Non riuscivo a dormire perché mille domande si affollavano nella mia mente. Dovevo tornare al dipartimento o dovevo rimanere ferma e non fare niente? Ignorare la morte di Dan e dimenticare la rabbia che mi ardeva dentro? Non vendicarmi per ciò che mi era stato fatto? Non era da me. Non ci sarei riuscita. arono due giorni. Quando arrivò lunedì mi alzai: ero pronta ad affrontare i miei fantasmi.

CAPITOLO 13

Di solito facevo colazione con Dan, ma da quando non c’era più le mattine sembravano molto più tristi e grigie. Mi intratteneva sempre con le sue chiacchiere e mi rallegrava: questo non avrebbe più fatto parte della mia vita. Quanto avrei dato pur di salutarlo un’ultima volta! Posai la fetta biscottata che avevo in mano. Non era l’ora di farsi prendere dalla malinconia e continuare a vivere nel ato. Era arrivato il momento di pensare al presente. Dovevo tornare al dipartimento. Quando fui lì davanti a quella porta enorme non riuscii a muovermi. Sarei stata in grado di svolgere il mio ruolo come sempre? Sapevo che sarei stata interrogata come persona più vicina a Dan. Avrei mantenuto i nervi saldi? Indugiare non serviva. Dovevo entrare. Appena fui all’interno dell’edificio ebbi una specie di déjà-vu. Tutti mi guardavano tristemente e il silenzio che si era creato contrastava con il solito trambusto. C’era anche Roxanne che mi attendeva in fondo alla stanza con le braccia conserte. Le gambe sembravano trascinarsi appresso pesantissime catene, ma nonostante tutto riuscii a raggiungere il mio capo. «Bentornata agente Winter. Credo che non ci sia bisogno di dirle quanto mi dispiace per ciò che le è accaduto. Tuttavia il nostro lavoro deve continuare. Spero che capisca». «Capitano, sono pronta a riprendere il mio ruolo e ad affrontare anche tutto ciò che ne comporta». «Lo so che lei è una donna forte, ma so anche che tutti quanti abbiamo dei limiti. Le dico questo perché capisca la mia decisione» diede uno sguardo alla sala che sembrava particolarmente interessata alla nostra conversazione «Forse sarebbe meglio se andassimo nel mio ufficio». Ci accomodammo nel salottino che Roxanne aveva fatto disporre per quando riceveva visite importanti. Capivo sempre di più che sotto la maschera che indossava si nascondeva una donna attenta e sensibile. Probabilmente quel suo atteggiamento così freddo e cinico serviva a farsi rispettare in un mondo che non ammette debolezze.

«Agente Winter, non posso lasciarle il caso. Mi dispiace. Credo che anche lei abbia capito che è troppo coinvolta emotivamente. Tuttavia non posso nemmeno privarmi di un agente che conosce tutti i dettagli dei precedenti omicidi, che alla luce dei fatti, sembrano tutti avere un collegamento. Ho pensato che la soluzione migliore sia quella di affiancarla all’agente Ford, che dirigerà le indagini. Mi interessa sapere qual è la sua opinione a proposito». «Sono d’accordo con lei. Non le nascondo che anch’io avrei preso la stessa decisione. Vorrei esprimerle, comunque, la mia gratitudine per avermi permesso di seguire ancora il caso. Credo che capisca quanto sia diventato importante per me arrestare il colpevole». Uscii dall’ufficio di Roxanne alquanto sollevata. Ero riuscita ad ottenere ciò che volevo. «Di nuovo insieme, agente Winter. A quanto pare non ti riuscirai a liberare di me così facilmente». Dietro di me c’era Austin che mi guardava con uno sguardo malizioso. «Non ne ho mai dubitato. Comunque non abusare del tuo ruolo, visto che sarai tu a condurre le indagini». «Non potrei mai, anche se volessi» e poi aggiunse seriamente «Questo caso è sempre stato tuo. Sono sicuro che lo concluderai con il tuo eccezionale intuito». «Ti ringrazio, ma è ora di metterci in azione. Da quanto ho capito il caso è stato riaperto. Mary Knox aveva ragione». «Il capo è piuttosto su di giri. Ha avuto molte pressioni dai piani alti. Vuole chiudere la faccenda il prima possibile. Per quest’ultimo assassinio non abbiamo ancora niente fra le mani. La scena del crimine è intatta, anche se non è quella dove è avvenuto l’omicidio». «Vuoi dirmi che il corpo è stato spostato? Di nuovo? L’assassino deve avere una motivazione ben precisa. Dobbiamo indagare anche su questo. Non possiamo tralasciare niente e nessuno». Vidi Austin cambiare espressione come se non trovasse le parole per domandarmi qualcosa e infine disse: «Lynn, ti devo chiedere una cosa. Ma

rispondimi sinceramente se non te la senti. Posso anche aspettare». Avevo capito cosa volesse sottintendere e capivo anche il suo imbarazzo. «Non ti preoccupare. Credo di essere pronta a deporre sulla vita privata di Dan…». «Cerca di capire sei la persona più vicina alla vittima. Solo tu ci puoi aiutare a far luce su questo caso». «Lo so. Sono pronta. Non c’è tempo da perdere. Ti chiedo solo se possiamo andare nella sala dell’interrogatorio. Mi sembrerà tutto più distante». Ci accomodammo e Austin senza tanti convenevoli iniziò a sottopormi una serie di domande. «Posso chiederti se Dan abbia avuto qualche problema che può averlo messo in pericolo?». «Dan era la persona migliore che io abbia mai incontrato. Aveva un lavoro pulito e onesto. Non aveva vizi, era soltanto un po’ impacciato…». Le ultime parole mi si strozzarono in gola e non potei frenare qualche lacrima. Austin si fermò un attimo e mi porse un fazzoletto per asciugarmi. «Lynn, tutto bene? Te la senti di continuare?». «Sì, scusami. Andiamo avanti». «Per caso Dan faceva o aveva fatto uso di droghe?». «No, ne sono sicura. È sempre stato un salutista quasi maniacale…». «C’è qualcuno che avrebbe tratto vantaggio dalla sua morte? Qualche collega? Uno dei suoi nemici?». «No, non credo. Che io sappia no». «So che Dan è nato e vissuto qui. Tutte le vittime, tranne William Carson, hanno trascorso parte della loro vita in questa città e hanno più o meno la stessa età. Sai se Dan, oltre a Kyle, avesse conosciuto qualche altra vittima?».

«Non lo so. Posso controllare se fra i suoi oggetti c’è qualcosa che ci possa essere d’aiuto». «Mi sarebbe di grande utilità. Sappiamo che i corpi sono stati spostati in diversi luoghi. Matthew è stato ritrovato in mezzo alla campagna, Kyle sulla spiaggia e Dan nella vecchia scuola del paese. Aveva qualche legame con questo edificio?». «Beh, sì. L’unica cosa che so è che era la scuola che aveva frequentato da ragazzo insieme a Kyle». «Per caso hai notato se aveva cambiato umore nell’ultimo periodo? Aveva ricevuto telefonate strane?». «Effettivamente aveva cambiato umore, ma positivamente. Dopo aver accettato la sua proposta di matrimonio era diventato meno ansioso e più disponibile. Non ha mai ricevuto chiamate strane che io mi ricordi». «Credo che possa bastare per ora. Non dimenticarti di cercare indizi fra le cose di Dan». «Lo farò, anche se mi costerà molto. Capisco l’importanza». Mentre Austin andava a fare un altro sopralluogo alla vecchia scuola io preferii recarmi alla mia scrivania per riordinare tutte le carte riguardanti i precedenti delitti. Mi resi conto che la sensazione che qualcosa non quadrasse negli atti di accusa contro Mary non era infondata. Non sapevo per quale motivo avevo dimenticato il marchio 2004, un indizio così importante. Forse proprio vederlo impresso su Dan me lo aveva fatto ricordare. Dovevo anche capire il ruolo che aveva avuto Mary in tutta questa storia: era una vittima o come William si era trovata coinvolta accidentalmente? La presenza del suo nome scritto sulla mano del giornalista mi faceva credere alla prima ipotesi. Visto il coinvolgimento di Dan la pista della droga non era più valida. Che cosa univa tutti questi delitti? Qual era il movente? Perché proprio 2004? Perché i corpi erano stati spostati? Quale mente perversa si celava dietro tutto ciò? L’unica certezza che avevo era che fosse una donna. Io l’avevo vista.

CAPITOLO 14

Il giorno seguente si celebrò il funerale di Dan. Era presente mezzo paese, poiché molti lo conoscevano, essendo cresciuto lì. Dopo la cerimonia, che a me parve durare un’eternità, ci recammo al cimitero. Era un luogo soleggiato, curato e circondato da alberi. Gli amici di Dan stavano portando la bara. Ogni loro o era per me una pugnalata. Si avvicinarono lentamente, i loro occhi erano carichi di tristezza. Nessuno poteva far qualcosa per aiutarmi, se non io stessa. Non ero pronta a dirgli addio eppure dovevo. Posarono la bara nella fossa appena scavata, la ricoprirono di terra e adagiarono una lapide. Tutti si allontanarono, io rimasi lì. «Non so se in qualche modo tu riesca a sentirmi. Voglio che tu sappia che ti ho amato come mai nessun altro prima d’ora. Chi ti ha fatto questo pagherà per il suo errore. Ti vendicherò e ti giuro che non mi fermerò finché non saprò tutta la verità. Lo so che sarai sempre con me, in particolare nei momenti più difficili. Questo non è un addio. Ciao Dan». Mi alzai e mi voltai. Non sapevo dire se le parole che avevo appena pronunciato erano per Dan o per me stessa. Così facendo mi ero prefissata un nuovo obiettivo nella mia vita e avrei continuato a perseguirlo fino al suo compimento. Dopo la cerimonia le persone più care al defunto pranzarono insieme. La madre di Dan mi fissò per tutto il tempo quasi a volermi rimproverare la morte prematura del figlio. Forse non aveva tutti i torti. Tra me e lei non c’erano mai stati dei buoni rapporti. Sinceramente non riuscivo a capire come quella donna potesse essere la madre di Dan. Ripercorsi la sala con lo sguardo e non potei far a meno di pensare che tutte quelle persone sarebbero dovute venire ad un pranzo ben diverso. Il destino, a volte, gioca brutti scherzi. Mi tornò in mente la bellissima sala per il pranzo delle nozze: dovevo ancora disdire tutto.

Tornando a casa decisi di mettere tutte le cose più care di Dan in uno scatolone. Iniziai dal soggiorno e dalle altre stanze, lasciai per ultima la sua camera. Dovetti fare un grande sforzo, ma alla fine riuscii a entrare. Vidi la foto mia e di Dan sul suo comodino… Quanti ricordi! Sembravano ati mesi e mesi. In realtà era trascorsa solo qualche settimana. Tolsi tutto, compresi i libri sugli scaffali. Mancavano solo tre album di fotografie sopra una mensola. Non resistetti alla curiosità e iniziai a sfogliarli. I primi due riguardavano la sua infanzia mentre il terzo racchiudeva sue foto con amici. Guardandone una di classe dell’anno 2004/2005, mi sembrò di riconoscere una ragazza. Presi la foto fra le mani e la voltai. Iniziai a leggere le varie dediche scritte dai compagni e anche i loro nomi. Sulla foto c’era la firma di Mary Knox. Quindi anche lei era in classe con Dan! Il filo comune che legava le varie vittime era la scuola, tranne che per Matthew Turner. Perché il marchio era proprio 2004? Che cosa era accaduto in quella classe? Se Dan fosse stato ancora vivo avrebbe sicuramente risposto alle mie domande. Tra le dediche catturò la mia attenzione una scritta in rosso. La grafia era molto irregolare e molto piccola. Ci volle un po’ perché riuscissi a decifrarla. Rimasi interdetta, quella frase sembrava tutto tranne che una dedica: «Pagherai per tutto quello che mi hai fatto- Alys Hobbes». Quale di quelle ragazze poteva essere? Osservai meglio la foto cercando di trovare qualche particolare. Accanto a Mary c’era un’altra ragazza, alta e con i capelli che le coprivano parzialmente il viso. Il suo sguardo non aveva niente della spensieratezza dell’adolescenza. I suoi occhi mi ricordavano qualcuno... Quella fiamma, quell’odio profondo che avevo già visto... Provai a immaginarla in un altro contesto e tutto mi fu chiaro. Era lei: era la donna in bianco! Dovevo assolutamente avvisare Austin delle mie scoperte. Lui solo poteva aiutarmi a risolvere definitivamente il caso. Ci serviva tutto il materiale che avevamo raccolto. Finalmente l’assassina aveva un nome. Chiamai il mio collega per chiedergli di armi a prendere e aggiunsi che gli avrei spiegato tutto in macchina. Rispose che mi avrebbe raggiunta in brevissimo tempo. Chiudendo il telefono mi accorsi che ogni volta che avevo bisogno di qualcosa Austin non faceva mancare la sua disponibilità. Stava diventando sempre più importante per me. Quando arrivammo a destinazione gli avevo già raccontato ogni singolo

particolare. Sembrava essere piuttosto sorpreso dagli indizi da me trovati. Concordammo che per prima cosa avremmo cercato Alys Hobbes nel nostro database per ottenere delle informazioni sulla sua vita. Inserii tutti i parametri di ricerca e mi apparvero i suoi dati. Osservai la sua foto. Capii cosa nascondevano i capelli dal volto della ragazza: una brutta cicatrice. Io e Austin ci guardammo: come poteva essersi procurata uno sfregio del genere? Iniziammo a cercare negli archivi vecchie notizie di giornale e articoli on-line risalenti più o meno ad una decina di anni prima. «Lynn, ferma. Guarda cosa ho trovato qui!». Mi avvicinai, sul computer di Austin c’era una pagina di cronaca locale. C’era un articolo che trattava di un terribile incidente avvenuto su una strada soprannominata dagli abitanti “Falce della morte”. Era l’ennesima sciagura che avveniva in quella via maledetta. La vittima della disgrazia era Alys Hobbes. La motocicletta della ragazza era scivolata su una macchia d’olio provocando un incidente quasi fatale. Sarebbe morta dissanguata se non fosse intervenuto un ragazzo che stava percorrendo la stessa strada in macchina. Per merito suo Alys era sopravvissuta, anche se aveva riportato un terribile sfregio in volto. Era riportata una fotografia della vittima prima dell’incidente. Sotto la foto c’era una didascalia in cui era scritto che l’anno precedente aveva vinto il concorso come reginetta di bellezza del paese. Più là c’era anche un’immagine del ragazzo che l’aveva salvata. Inizialmente non mi sembrava possibile, ma era proprio lui… Matthew Turner. «Lynn, hai finito di leggere?». «Sì, stento ancora a crederci. Ora sappiamo chi è la nostra assassina e perché è sfregiata, anche se non sappiamo ancora il suo movente. Perché avrebbe dovuto uccidere il ragazzo che l’ha salvata?». «Non lo so, ma se vogliamo saperne di più credo che dovremo tornare dai genitori di Matthew». «Credo sia un ott… Aspetta, no! Dai signori Turner no! Tutto tranne questo!». «Lynn, non c’è altro modo. Su, facciamo quest’ultimo sforzo». Odiavo ammetterlo però se volevamo risolvere il caso dovevamo per forza

tornare dai genitori di Matthew. Salimmo in macchina e ci recammo a casa loro. Prima di bussare alla porta esitai un attimo e presi un gran respiro. La signora Turner aprì la porta. Appena ci vide sbiancò e gridò al marito: «Caro, credo che le medicine che sto prendendo abbiano qualche effetto collaterale. Vedo di nuovo quei due agenti…». «Cosa? Ancora?» chiese stupito il signor Turner dal soggiorno. La signora Turner rimase immobile ad aspettare il marito che si avvicinò bofonchiando. Quando ci vide si ammutolì. Austin sfruttò il silenzio che si era creato. «Scusateci, ma dobbiamo porvi delle domande. Faremo sì che queste siano veramente le ultime. Volete o non volete che l’assassino di Matthew paghi per quello che ha fatto?». I due coniugi annuirono e ci fecero accomodare. «Cosa volete sapere stavolta?» borbottò il signor Turner. «Conoscevate un’amica di vostro figlio di nome Alys Hobbes?». «Ah, quella lì non l’ho mai sopportata!». «Vorremmo sapere qualcosa in più su di lei e sul suo incidente…» «Sì, sì ha fatto proprio bene a lasciarla per quell’altra… Come si chiamava caro? Samantha?» mi interruppe la signora Turner. «No, si chiamava Mary» la corresse il marito. «Ah, sì Mary Knox! Dai c’ero quasi!». Io e Austin ci guardammo, tutti i pezzi del puzzle stavano cominciando a combaciare. «Comunque quella era un po’ strana. Va bene che l’amore è cieco però... Poi una volta quelli della sua classe la fecero grossa. Oh sì! Dopo quella festa venne in lacrime dal nostro Matthew». «Cosa accadde di così grave? Cerchi di ricordare. È molto importante».

«Era l’estate del 2004, mi sembra. Avevano fatto una festa in spiaggia, non mi ricordo bene cosa era successo, ma un certo Ray gli aveva tirato un brutto scherzo. Mi sembra che ci fosse anche un ragazzo di nome Sam. So solo che ad un certo punto Alys fuggì». «Cara, non si chiamavano così, ma Kyle e Dan» disse il signor Turner alzando lo sguardo al cielo. «Ah, sì. Ma non credo che interessi agli agenti». «Invece la ringrazio per aver corretto la signora» dissi facendo l’occhiolino ad Austin «Cosa sapete di Mary Knox?». «Quella sì che era una ragazza a modo. Una vera santa! Sembrava fosse la migliore amica di Alys. Con Matthew fu amore a prima vista. Lei sì che era la donna perfetta per mio figlio. Comunque Alys non volle più sentir parlare di Mary. Anzi le giurò vendetta». Sembrava che il gossip fosse il atempo preferito della signora Turner. Ero sicura che avrebbe continuato per tutta la serata a raccontare se non l’avessi fermata. «Credo che possa bastare. Austin, abbiamo tutto ciò che ci serve». «Sì, vi ringraziamo per la vostra pazienza. Togliamo subito il disturbo». Stavo per uscire dalla porta quando la signora Turner mi prese dolcemente per la spalla. «Agente, la prego. Arresti il colpevole che mi ha portato via il mio Matt…». Sorrisi e con tono rassicurante aggiunsi: «Prometto che l’assassino non ci scapperà. Pagherà per ciò che ha fatto. In più non lo devo solo lei…». Ripensai a Dan e al giuramento che gli avevo fatto. Sapevo che era solo questione di tempo. Il giorno dopo ci dirigemmo a casa della signora Miller. Dovevamo capire meglio che cosa fosse successo quella sera sulla spiaggia.

Subito la madre di Kyle ci fece accomodare. Le chiedemmo se si ricordava di Alys. «Certo! Povera ragazza. Che destino crudele. Così bella, ma così sfortunata! Quante volte ho rimproverato Kyle e i suoi amici di classe per quel loro modo di fare. Sa come sono i giovani, a volte possono essere spietati». «Mi scusi se la interrompo, ma volevo farle una domanda proprio su questo. Sa che cosa successe durante la festa al mare nell’anno 2004?». La signora Miller sembrava turbata dalla domanda, abbassò lo sguardo e strinse le braccia al petto. Questo suo atteggiamento era lo stesso che aveva avuto quando era combattuta se confessare il suo vero legame con Kyle. Capii che per ottenere quello che volevo dovevo convincerla. «Jane, deve capire quanto questo sia importante per la risoluzione del caso. Lo faccia per suo figlio...». A quel punto la madre di Kyle sospirò profondamente e iniziò a raccontare: «Quella volta avevano proprio esagerato. Come ogni anno avevano organizzato la festa per eleggere la nuova reginetta della città, ma poi, per uno stupido scherzo, la cosa era degenerata. Forse avevano bevuto anche un po’ troppo. Iniziarono a prendere in giro Alys eleggendola la reginetta degli storpi. Le misero addirittura una corona in testa e la portarono in giro. Da quel giorno cambiò completamente. Non voleva più uscire di casa. Dopo che Matthew la lasciò di lei non seppe più nulla». «Grazie signora Miller, non sa quanto sia preziosa la sua testimonianza». Quando uscimmo dalla casa della madre di Kyle guardai Austin con aria trionfante. «Ora abbiamo anche il movente».

CAPITOLO 15

Tornammo al dipartimento per aggiornare Roxanne su ciò che avevamo scoperto e per richiedere un mandato d’arresto. Ormai il caso sembrava chiuso. Sbrigato il necessario ci dirigemmo a casa di Alys insieme ad altri agenti, dopo aver preso il suo indirizzo dal database. Non sembrava provenire alcun rumore dall’interno dell’abitazione. Attendemmo un attimo e dopo un segnale prestabilito facemmo irruzione. La casa era vuota: c’erano solamente dei mobili impolverati e pieni di ragnatele, probabilmente risalenti a quando ancora viveva lì con la sua famiglia. Non c’erano né abiti né altri oggetti. Nessun indizio faceva pensare che Alys fosse stata lì da poco o che avesse abbandonato la casa sospettando del nostro arrivo. Eravamo stati troppo ottimisti. Per riuscire a trovare la ragazza avremmo dovuto ricominciare tutto da capo: riesaminare gli indizi, chiedere in giro se qualcuno l’avesse vista e… «Non ci vedo più dalla fame. Da quanto è che non mangiamo?» disse Austin interrompendo i miei pensieri. «Lynn, andiamo in un ristorante e sediamoci un attimo. A stomaco pieno si ragiona meglio». «Non abbiamo così tanto tempo da perdere, forse è meglio prendere un panino e mangiarlo strada facendo». Alla fine decisi di dare ragione al mio collega. Ci serviva un attimo di pausa, anche per schiarirci le idee. Dopo aver mangiato qualcosa tornammo al dipartimento di polizia. Fummo informati che c’era qualcuno che ci aspettava nella sala d’attesa. Non avrei mai immaginato che fra tante persone avrei rivisto proprio lei. Era seduta su una sedia con la sua solita borsetta griffata e scarpe con tacco. Il suo vestitino rosa era inequivocabile. Solo una persona avrebbe avuto il coraggio di indossarlo: Ashley. «Non è possibile! Che cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Austin, ti

prego parlaci tu se non vuoi che commetta un omicidio». «Io? Se proprio insisti… Però almeno senti cosa ha da dire. Forse potrebbe esserci d’aiuto». «Ma chi? Quella? Ma l’hai vista? Al massimo potrebbe raccontarci di come si è spezzata un’unghia». Ashley finalmente ci notò e ci venne incontro. «Cioè, avete intenzione di farmi aspettare ancora? Non ho mica tutto questo tempo io. Che vi credete, sono una persona impegnata. Tra un’ora devo andare a lezione di yoga perché sono troppo, troppo stressata…». «Ehm, ecco Ashley. Perché non andiamo ad accomodarci in un luogo più idoneo? Così potrai raccontarmi tutto». «Ah coso, sei tu! Tu sì che mi capisci, mentre quella...» non c'era bisogno che completasse la frase perché l'occhiataccia che mi mandò diceva tutto. La nostra antipatia era reciproca. Austin e Ashley si diressero nella sala dell’interrogatorio mentre io rimasi nella stanza adiacente. Attraverso il vetro a specchio avrei potuto seguire tutti gli avvenimenti. «Quindi ciccio, senti un po’ che m’è successo. L’altro giorno ero tornata dal parrucchiere quando vedo questa cosa qua sul comodino. Guarda ora te la mostro» la ragazza prese la sua borsetta e trasse fuori una lettera. «Cioè io non mi ricordavo di aver messo questa cosa lì, quindi mi sono avvicinata e l’ho aperta. Leggi un po’». Austin tirò fuori dalla busta, che era senza mittente e indirizzo, un foglietto. Mi fece cenno di avvicinarmi così entrai nella sala per leggere anch’io ciò che c’era scritto. Il messaggio era in inchiostro rosso. Lessi: «2004. La fine per un nuovo inizio». Io e Austin ci guardammo stupiti: Ashley era la sua ultima vittima. Non l'avremmo mai sospettato, anche se ora alla luce dei fatti il suo coinvolgimento in tutta questa faccenda poteva essere possibile.

«Che poi, cioè, mica ho capito che significa. Però dopo essermi scervellata un po’, facendomi pure venire un mal di testa tremendo, mi sono ricordata! 2004 non era tatuato sul collo del povero Kyle? Cosa centro io? Ma non l’avevate trovato l’assassino?». «Ashley, focalizzati sul 2004. Ci sei? Ora dimmi, in quell’anno hai conosciuto una ragazza di nome Alys Hobbes?». «Questo nome mi ricorda qualcuno… Ma sì, certo! Come potrei non ricordarmelo. Alys, tanto bella… poi quel tremendo incidente, poverina! Io mi sarei suicidata piuttosto che farmi vedere con quello sfregio al viso. Non ci avrei pensato su! Comunque quella sera che Kyle mi aveva invitato a quella festa sulla spiaggia avevamo un po’ esagerato... Certo, eleggerla la regina degli storpi… Cioè, però, si sa che i giovani sono senza cuore. Io, poi, quella sera ero proprio fuori di me. Detto fra noi, non ti nascondo che anch’io sono stata veramente cattiva. Ma scusa, quella festa era stata organizzata per me! Infatti dovevano eleggermi reginetta di bellezza. Poi l’attenzione si è spostata solo su quella là. Non ci ho pensato due volte prima di unirmi allo scherzo. Lei la prese veramente male, credo di non averla più vista da quel giorno. Però che centra Alys con questa lettera? Non sarà mica lei l’assass… Quindi… Cioè, non ci posso credere! Sarei io la sua nuova vittima!» detto questo Ashley cambiò espressione e stringendo forte il braccio di Austin aggiunse «Tanto non mi devo preoccupare, vero? È come nei film, cioè ciccio, tu sei il principe azzurro che mi protegge, no?». Guardai Austin e sospirai. «Adesso sappiamo che Alys verrà a trovare Ashley per vendicarsi. Ci basterà seguire la signorina qui presente e, quando si presenta il momento giusto, catturare l’assassina. Tu cara, non dovrai far altro che continuare la tua vita di tutti i giorni». «E se usasse di nuovo il veleno o le sparasse da lontano? Sarebbe problematico non solo catturare Alys, ma anche far sì che Ashley ne esca illesa». «L’assassina non ha mai usato la stessa arma del delitto più di una volta». «Cioè? Ferma, aspetta un attimo bella... Scusami, io dovrei correre un rischio così grande? Dovrei fare da esca? Ma sei impazzita? Solo al pensiero inizio a tremare! Guarda! E poi te ciccino permetti pure che questa mi faccia correre un

rischio così grande! Cioè non posso uscire di casa sapendo che una pazza mi vuole ammazzare. Voi mi dovete proteggere!». «Lynn, se lei si rifiuta non possiamo obbligarla a fare da esca». «Ma senza di lei non cattureremo mai la colpevole di tutto questo!». «Non ci serve per forza lei. Un’agente potrebbe prendere il suo posto…». «Allora lo farò io». «Lynn, non posso permettertelo perché se ti capitasse qualcosa io…». «Lo devo fare. Solo così potrei voltare definitivamente pagina». «Scusate piccioncini, ma a me l’idea pare perfetta. Non fa una piega. Ma se non posso più entrare in casa mia qualcuno mi dovrà pure ospitare…» disse accarezzando sensualmente il braccio di Austin «E io mi sentirei protetta solo da te…». «Il dipartimento, cara, ha degli appartamenti appositi per queste circostanze...» dissi con tono acido. «Davvero? Peccato…» aggiunse lanciando un’occhiata maliziosa al mio collega. Lasciammo Ashley sotto la protezione di altri agenti mentre io ed Austin andammo a riferire a Roxanne del colloquio appena avvenuto. Acconsentì immediatamente a mettere sotto protezione Ashley, ma sembrava riluttante ad approvare che io prendessi le vesti della ragazza. Dopo molte insistenze riuscimmo ad ottenere il suo consenso, ma solo a patto che indossassi giubbotto antiproiettile, ricetrasmittente e microfono e che la casa fosse sorvegliata ventiquattro ore su ventiquattro. «Agente Winter, si ricordi, non ci servono eroi e di morti ne abbiamo avuti fin troppi. La vogliamo qui a brindare con noi il successo di questa missione» disse a conclusione Roxanne. «Non si preoccupi, ho ancora troppe cose in sospeso. Le do la mia parola che farò in modo che vada tutto bene».

Iniziammo i preparativi. Non fu tanto tingere i capelli biondo platino che mi diede fastidio quanto mettermi gli accessori di Ashley, che erano veramente esagerati. Tutto era pronto, ora bisognava solo aspettare. Il primo giorno ò senza che accadesse nulla, tuttavia la notte non riuscii a chiudere occhio. La sera del secondo giorno mentre stavo guardando un film alla televisione sentii improvvisamente qualcuno bussare alla porta. Chi poteva mai essere a quell’ora e come mai nessuno dalla centrale mi aveva avvisato di un intruso? Tolsi la sicura alla pistola e mi avvicinai alla porta rasentando il muro. «Chi è?». «Sono venuto a portare le pizze che ha ordinato». Quella voce mi suonava familiare. Cautamente guardai attraverso lo spioncino. «Non ci posso credere, cosa ci fai tu qua?» dissi aprendo la porta. Austin si era vestito da ragazzo delle consegne di una famosa marca di pizze. «Volevo solo essere sicuro che andasse tutto bene. Comunque se non te la senti di fare tutto questo sei ancora in tempo per fermare la missione». «Austin, mi conosci, sai quanto è importante per me». «Poi ci tenevo a dirti che…». «Che altro c’è? Fa presto o perdiamo credibilità». «Niente… È che volevo dirti che dopotutto con i capelli biondi e con questi vestiti non sei niente male». «Austin, ti prego. Non mi sembra né il luogo né il caso». «Vorrei rimanere più tempo, ma non posso. Mi raccomando, non abbassare mai la guardia e ricordati che noi al tuo minimo cenno interveniamo... ». «Basta hai detto troppo per un ragazzo delle consegne. Tanto la mancia non te la do». Detto questo presi la pizza e lo spinsi fuori. Mi sedetti sul divano e aprii il

cartone della pizza. Era proprio il mio gusto preferito. Austin era proprio un uomo dalle mille risorse! Riusciva sempre a stupirmi e strapparmi un sorriso anche nei momenti più difficili. In quei pochi mesi quante cose erano successe! Il trasferimento, il mio arrivo al dipartimento di polizia, la proposta di matrimonio, l’apparente risoluzione del caso e la morte di Dan. Sembrava essere ata un’eternità. È incredibile come il tempo possa sembrare assumere diverse lunghezze: dei momenti ci sembra are lentissimo e in altri sembra sfuggirci delle mani. Eppure la clessidra scorre sempre allo stesso modo. Che cos’è quindi che rende tutto così diverso? «Agente Winter si è introdotto qualcuno nel giardino. Stia all’erta» il gracchiare dell’auricolare mi riportò bruscamente alla realtà. Immediatamente spensi tutte le luci e mi diressi verso la camera da letto. Sentii il rumore del blocco di una finestra che si apriva. Il mio cuore batteva all’impazzata. Non ero agitata per quello che mi sarebbe accaduto ma perché sapevo che non dovevo fallire. Non avrei avuto una seconda occasione. Un’ombra varcò la soglia della porta. Lentamente si diresse verso il letto. Intravidi che la sagoma estraeva un flaconcino da una tasca. Tutto accadde molto rapidamente. Versò il contenuto sul letto e subito un denso fumo con un odore acre si diffuse per la stanza. Immediatamente capii che questa volta Alys doveva aver usato dell’acido. Lo sfregio che avrebbe procurato ad Ashley sarebbe stato per lei peggiore della morte. Con la pistola puntata uscii dal mio nascondiglio. Infatti per coglierla di sorpresa avevo messo dei cuscini nel letto a simulare una persona che dormiva, mentre io mi ero appostata dalla parte opposta della porta in modo da avere libera visione ed azione. «La fine per un nuovo inizio… Hai ragione Alys Hobbes, questa è la fine di tutto, ma non quella che avevi programmato». Con un movimento repentino Alys si voltò e senza darmi tempo di reagire mi sparò contro. Un dolore lancinante mi squarciò il petto levandomi il respiro. Caddi a terra. Lentamente tutto diventò buio. L’ultima cosa che riuscii a vedere era Alys che fuggiva…

Avevo fallito.

CAPITOLO 16

«Te l’avevo detto io che ti saresti cacciata nei guai, ma tu devi sempre fare di testa tua, come al solito». Dan era davanti a me con il suo solito sorriso rassicurante. Benché mi stesse sgridando mi sentivo felice, immersa in uno stato di tranquillità assoluta. «Ma io dovevo renderti giustizia, tutti prima o poi sono chiamati a pagare per i loro errori. Io però ho fallito, non posso più rimediare». «Mia piccola detective, non puoi ancora lasciare il tuo distintivo. C’è ancora bisogno di te». «Ma io non voglio lasciarti di nuovo. Dan, ti prego! Senza di te la mia vita non ha senso. Non voglio rimanere da sola». «Ma tu non sarai sola. Guarda… Apri gli occhi…». Con uno sforzo immane, come se dovessi infrangere una barriera, riuscii a sollevare le palpebre. Chino su di me non c’era Dan, ma Austin. La sua voce diventava sempre più chiara mentre mi diceva: «Apri gli occhi, Lynn! Ti prego… Non mi lasciare anche tu». «Dove sono? Era tutto un sogno? C’era Dan…». «Questa volta mi hai fatto prendere proprio un grande spavento. Per fortuna hai una testa dura». «Da quanto sei qui? È tutto così confuso… Cosa mi è successo?». «Non ti agitare, sei ancora molto debole. Ti racconto cosa è accaduto. Dopo che Alys ti ha sparato, il proiettile è stato bloccato dal giubbotto, ma poiché la distanza era troppo ravvicinata l’impatto ti ha fatto perdere l’equilibrio. Cadendo hai battuto la testa contro il tavolino accanto a te, provocandoti un trauma cranico. Quando abbiamo fatto irruzione ti abbiamo trovato a terra priva di sensi.

Sei stata trasportata in autoambulanza fino all’ospedale dove i medici hanno deciso di tenerti sotto sedazione per favorire la tua guarigione e ridurre lo stress post-traumatico. Non ti preoccupare è normale che tu ti senta confusa. Vedrai che pian piano tutto tornerà normale». «L’assassina è riuscita a scappare? Ti prego, dimmi la verità. Ho rovinato tutto?». «In parte sì e in parte no. Te la sei fatta scappare proprio sotto al naso! Dovevo ricordarmi che ancora non sei un’esperta tiratrice. Per fortuna la casa era letteralmente circondata di agenti. Non è potuta andare molto lontano. Ora è in carcere sotto sorveglianza, in attesa del processo». «Sono contenta che siate riusciti a prenderla nonostante il mio fallimento…». «Cosa stai dicendo!? Vuoi capire una volta per tutte che le guerre non si vincono da soli, ma con un perfetto lavoro di squadra? Devi imparare a non pensare di essere la sola ed unica persona che può risolvere tutto». «Non mi crederesti se ti dicessi che questa volta ho imparato la lezione» dissi toccando la fasciatura sulla mia testa. «Dopo la morte di Dan ho creduto che fosse tutta colpa mia. Io dovevo vendicarlo anche per voltare pagina definitivamente». «Nonostante non sia stata tu a mettergli le manette comunque il tuo ruolo è stato fondamentale per la risoluzione del caso. Credo che tu ti possa ritenere soddisfatta». «A proposito di rimanere soli, cosa stavi dicendo mentre mi stavo risvegliando?». Per la prima volta vidi Austin diventare impacciato e dire parole sconnesse: «Ecco, io veramente… cioè intendevo… nulla». Poi aggiunse tutto d’un fiato: «Insomma, quando ti ho visto a terra esanime mi sono sentito morire e in quel momento ho capito quanto tu fossi diventata importante nella mia vita. Lo so che forse non è il momento più opportuno però non riesco più a nasconderti ciò che provo». Stranamente le sue parole mi diedero la sensazione che tutto fosse già stato stabilito fin dall’inizio. Gli eventi che erano accaduti a entrambi avevano una

logica, ossia che Austin ed io ci incontrassimo… Non avevo mai creduto nel destino, però davanti a tutte quelle circostanze era difficile negarlo. Ma cosa volevo veramente io? «Anche per me sei molto importante. Più di quanto riesca ad ammettere. Solo che quello che provo è così confuso… I ricordi sono ancora troppo vividi». «Scusami, hai ragione. Voglio solo che tu sappia che io ti aspetterò». Sorridendomi dolcemente si diresse verso la porta. Improvvisamente mi colse un senso di angoscia. Mi resi conto che non avrei sopportato di rimanere ancora da sola, senza di lui. «Austin, aspetta. Non andare, io ho bisogno di te. Ho paura che senza il tuo aiuto non ce la possa fare a superare tutto questo». Mi guardò, si avvicinò e mi accarezzò la guancia: «Basta guardarti per capire che riuscirai a rialzarti da sola. Come anch’io ho sempre fatto. Non voglio che tu stia con me solo perché in questo momento ti senti sola. Sarebbe un sentimento troppo superficiale e momentaneo. Io ti chiedo qualcosa di più profondo. Solo il tempo potrà farti capire se quello che provo io vale anche per te». Mi baciò dolcemente sulla fronte e uscì dalla camera. Mi ritrovai tra le quattro mura della stanza che parevano una gabbia che mi stesse soffocando. Davanti a me vedevo solo nero, le lacrime mi rigavano il viso. Nascosi il mio volto nel cuscino per soffocare i singhiozzi. Poi lentamente mi lasciai trasportare in un sonno profondo. arono circa due settimane prima che potessi rientrare a lavoro. Mi vennero a trovare quasi tutti i colleghi e persino Ashley, che dimostrò la sua massima gratitudine regalandomi la sua più bella borsetta, almeno a parere suo. Anche Austin tornò a farmi visita, ma sempre accompagnato da altri colleghi, come se volesse evitare di rimanere solo con me. Finalmente arrivò il momento di ritornare al dipartimento. Avrei ripreso la vita di tutti i giorni. Quella mattina era particolarmente soleggiata, il cielo era limpido e un vento caldo già preannunciava l’estate. Siccome era una bella giornata ed era presto decisi di raggiungere la mia meta camminando. Le vie erano ancora piene di gente che si affrettava a raggiungere il luogo di lavoro. L’atmosfera che mi

circondava era quella di sempre, ma per qualche motivo quel giorno quella normalità mi sembrava infondere serenità. Arrivai davanti al dipartimento in perfetto orario e contenta entrai dentro l’edificio. Lo scenario che mi si presentò era molto differente da come me lo immaginavo. Erano tutti in piedi ad attendermi, appena mi videro iniziarono ad applaudire. Si avvicinarono tutti insieme e si complimentarono per il coraggio che avevo avuto nel fare da esca e per l’acume che mi aveva portato a risolvere il caso. Alcuni mi diedero delle pacche sulla spalla, altri si limitavano a osservare la scena sorridendo. Ognuno parlava sopra l’altro. Inutile dire che si creò un gran trambusto. Austin nel frattempo era occupato ad aprire una bottiglia di spumante. Dopo aver festeggiato il capo richiamò gli agenti all’ordine. Mentre ognuno si dirigeva alla sua scrivania e il dipartimento ritornava alla solita attività febbrile, Roxanne mi venne incontro. «Agente Winter, venga nel mio ufficio. Devo dirle alcune cose». Una volta lì il capo mi fece segno di accomodarmi. «Innanzitutto volevo congratularmi con lei per aver risolto il caso. Per un attimo abbiamo tutti temuto di perdere non solo un agente coraggioso, ma anche una persona a noi cara. Per fortuna è andato tutto per il meglio e abbiamo potuto festeggiare come programmato. Non so se qualcuno le ha già raccontato tutto ciò che Alys Hobbes ha confessato durante l’interrogatorio, però ci terrei a riepilogare il caso, così potrò chiarire ogni suo dubbio. Più o meno la ricostruzione che aveva fatto lei era esatta. Alys è una bella ragazza. Nel 2004 ha un terribile incidente, dove sarebbe morta sicuramente se Matthew Turner non l’avesse soccorsa. Purtroppo rimane sfregiata. Alys si innamora perdutamente del ragazzo che le ha salvato la vita ed è corrisposta. Dopo un po’ di tempo scopre che Matthew la tradisce con Mary Knox, la sua migliore amica». «Ma Mary Knox non è la ragazza che ha visto l’amico di Kyle la sera del concerto?». «Certo, ed è lei a introdurre Matthew nel mondo della droga. Ma lasciami andare in ordine perché la storia è lunga e complessa. Alys è presa in giro pesantemente dai suoi compagni di scuola a causa della cicatrice. In particolare due ragazzi le rendono la vita impossibile, Dan e Kyle. Il culmine si raggiunge nella festa in

spiaggia dove si organizza lo scherzo di eleggerla di nuovo reginetta come l’anno precedente, ma questa volta degli storpi. Ashley, la fidanzata di Kyle, partecipa anche per una rivalsa personale. Alys, tradita dalla sua migliore amica, dal fidanzato e derisa da tutti, inizia a mostrare segni di instabilità comportamentale che sfocerà in una vera psicosi. Questo la porta nel tempo a escogitare la vendetta perfetta». «Deve aver sofferto molto per pensare e mettere in pratica un piano così spietato!». «Purtroppo sì. Manda una lettera anonima intimidatoria a Matthew, perché è stato il primo a ferirla. Ma il ragazzo pensa che provenga dal suo corriere della droga, a cui deve dei soldi. Fugge. Alys, proprio nel momento in cui incontri Matthew nel ristorante, agisce. Spara e poi si allontana velocemente senza dare nell’occhio. Tu però l’avevi vista. Era lei la donna in bianco». Annuii soddisfatta. Fin dall’inizio avevo intuito che era stata lei a commettere gli omicidi. «Mentre gli agenti vanno ad accogliere il medico legale, Alys sfrutta il momento propizio per trascinare il cadavere nel luogo del loro primo incontro e lo marchia. Poi fugge». «Posso chiederle una cosa? Alys ha trascinato il corpo sul retro del bistrot e di questo siamo certi. Però quando siamo arrivati noi alcune tracce di sangue erano ancora fresche. Non credo neanche che gli agenti abbiano lasciato per molto tempo il cadavere incustodito. Come ha fatto Alys a fuggire così rapidamente?». «La ragazza utilizzava il sistema fognario, in questo modo poteva spostarsi in ogni zona della città senza il timore di essere scoperta. Ma ora torniamo al racconto. Alys viene a sapere che Kyle tornerà in città per riposarsi. Riesce a incontrarlo a casa sua facendosi are per una sua fan e gli offre un cocktail letale con del Gelsemium Elegants. Kyle torna a casa, ma riesce subito perché non si sente bene. Dopo poco muore. Alys, che lo stava seguendo, trasporta il suo corpo e lo marchia sulla spiaggia dove è avvenuta la terribile festa. Lascia una perlina, dello stesso tipo del bracciale che Alys aveva regato tanto tempo prima a Mary e che quest’ultima indossava sempre. Infatti vuol fare ricadere su Mary la colpa di tutti i delitti, visto il suo coinvolgimento con il mondo della droga. A questo punto si intromette casualmente William Carson che sta

cercando uno scoop sugli omicidi». «Ma come ha fatto questo freelance a scoprire che Mary era coinvolta nella vendetta?». «Forse per puro caso. Comunque va casa di Mary e trova la foto di scuola che li raffigura tutti insieme. Probabilmente comprende che quella è la chiave dei misteriosi delitti. Alys, che voleva mettere in casa di Mary delle prove che la incolero, sorprende William che scappa. Nella fuga scivola, batte la testa su un tubo e incidentalmente muore. Alys temendo che la polizia possa risalire a lei, è costretta non solo a cambiare l’ordine dei delitti, ma anche a rinunciare al suo piano di copertura che vedeva Mary come responsabile di tutti gli omicidi. Lascia un’altra perlina e scrive il nome di Mary sulla mano di William che poi scortica contro l’asfalto per simulare un tentativo di occultamento di prove da parte dell’assassino. Mary Knox viene incolpata ed è trattenuta in prigione. Alys ha timore che l’amica possa farla scoprire e decide di eliminarla subito». «Non riesco a capire come Alys possa essere entrata nel carcere senza essere vista!». «Probabilmente durante il cambio notturno delle guardie. Stiamo verificando se qualche complice all’interno l’abbia aiutata. Alys riesce a intrufolarsi nella cella di Mary, la strangola e lascia una corda per simulare il suo suicidio. Approfittando del fatto che noi avevamo abbassato la guardia, Alys decide di completare il suo macabro piano. Mentre Dan sta tornando a casa dal lavoro Alys lo accoltella mortalmente alle spalle. Poi marchia il cadavere e lo porta alla vecchia scuola abbandonata, il luogo dove era iniziato il suo incubo». A questo punto Roxanne fece una pausa quasi a volermi dare il tempo di riprendermi. Il mio dolore era ancora troppo forte per riuscire a mascherarlo. Quindi riprese cercando di mantenere un tono professionale: «La sua vendetta si sarebbe conclusa con Ashley che avrebbe voluto solo sfregiare per far vivere anche a lei ciò che per anni aveva dovuto sopportare. Commette l’errore di inviarle una lettera di minaccia come a Matthew e lo fa perché è l’ultima vittima. Questo, come tu sai, ci ha permesso di raggiungerla. Il resto penso che tu già lo conosca molto bene». «Perché l’assassina ha usato armi del delitto diverse?».

«Come per i luoghi dove spostava i cadaveri anche qui c’è un simbolismo. Uccide Matthew con una pallottola, un modo rapido e doloroso così come lui è entrato e uscito dalla sua vita. Con Kyle invece preferisce utilizzare il veleno perché è letale come le parole crudeli con cui le aveva reso impossibile la vita. Utilizza una corda per Mary perché raffigurava come l’amica non aveva avuto alcun ripensamento a soffocare il loro legame. Per Dan…» si fermò riluttante nel continuare, poi mi guardò e finì la frase: «Un pugnale, perché è affilato come sono state le sue parole». «Forse anche il colore bianco del suo abito aveva un significato simbolico: è il colore della giustizia» aggiunsi pensierosa. «Già, quella che per lei finalmente era arrivata. Comunque ora è in attesa del processo. Un caso molto complesso, ma grazie al tuo intuito anche questa volta siamo riusciti a risolverlo. Agente Winter credo che oggi posso dirle senza ombra di dubbio che siamo fieri di averla qui nel nostro dipartimento». Non ne ero sicura, ma i suoi occhi lucidi parevano rivelare una sincera commozione che mai mi sarei aspettata da lei. D’altronde niente è come sembra.

EPILOGO

Mi alzo dalla poltrona e guardo spensierata fuori dalla finestra. Ormai è ato un anno da quando il caso di Alys si è concluso. Sembra ato molto più tempo. Sorrido. Al processo la ragazza è stata giudicata colpevole e condannata all’ergastolo. Dopodiché la vita al dipartimento ha ripreso il suo normale ritmo. Grandi cambiamenti nella mia vita non ci sono stati, a parte piccole cose che però mi hanno aiutata a voltare pagina una volta per tutte. Non abito più nella mia casa dai mattoni rossi. C’erano troppi ricordi. Specialmente la storia con Dan. Adesso abito in una casetta in riva al mare. Il senso di infinito che provo guardando l’orizzonte mi aiuta a trovare serenità. Dopo essermi stancata di rincorrere tutti i giorni l’autobus per raggiungere il dipartimento, ho finalmente deciso di prendere la patente. Ovviamente Austin è stato l’unico ad avere il coraggio di farmi da istruttore. La mia abilità nel tiro è decisamente migliorata, anche a detta della mia insegnante. Questo mi ha reso molto più sicura nelle mie missioni e forse… anche i miei colleghi ora si sentono più tranquilli. Poi è successa una cosa che non mi sarei mai aspettata: Ashley è diventata la mia migliore amica! Devo dire che questo è potuto accadere solo dopo che ho scoperto che il suo era solo un atteggiamento esteriore per mascherare la sua insicurezza. Oggi quasi non si riconoscerebbe da quanto è cambiata! I rintocchi del campanile della chiesa vicina mi riportano alla realtà: è ora di andare al dipartimento per affrontare una nuova giornata. Serenamente mi dirigo verso il centro della città. Gli alberi che costeggiano la strada sono in fiore. Un vento leggero muove delicatamente le foglie creando un piacevole fruscio. Sono arrivata a destinazione e come tutti i giorni entro all’interno dell’imponente edificio. Appena varcata la soglia avverto una strana sensazione, come se mancasse qualcosa. Mi guardo intorno e vedo una scrivania completamente

vuota. Realizzo dopo un attimo che è proprio quella di Austin. Non capisco cosa gli sia successo. Cerco di ricordarmi se quando l’ho visto l’ultima volta mi avesse accennato qualcosa. Niente, non mi viene in mente niente. Una sensazione di sconforto mi assale. Non posso pensare alla mia vita senza Austin, su cui ho sempre potuto contare, su cui bene o male la mia vita si è poggiata più volte. L’unica persona che mi può chiarire questa situazione è solo Roxanne. Busso alla sua porta e lei mi dice di accomodarmi. Sembra che mi stia aspettando. «Immagino che sia venuta per chiedere dell’agente Ford». «Sì, cioè… io…». «L’agente Ford è stato trasferito in una nuova sede, come lui aveva richiesto». «Cosa? Non posso credere che non mi abbia detto nulla. Qual è il motivo per cui se n’è andato?». «Mi spiace agente Winter, ma queste informazioni sono riservate» poi esitando un attimo mi si avvicina e mi mette una mano sulla spalla «Però non è niente che non possa chiedere direttamente all’interessato. Del resto so che non lascerà la città prima di domani». «Grazie capitano, ho capito che dovrò risolvere questo caso prima di domani mattina. Chiedo il permesso di allontanarmi per qualche ora». «Permesso accordato agente Winter e… veda di sbrigarsi!». Ricambio l’occhiata maliziosa di Roxanne sorridendo ed esco. Come prima cosa mando un messaggio ad Austin per sapere che fine avesse fatto. So che non mi risponderà comunque. Decido di are a casa sua, forse sta ancora sistemando i pacchi per il trasloco. Sono combattuta tra un sentimento di ira, perché mi ha tenuto all’oscuro di una decisione così importante e di paura di perderlo per sempre. Sento che devo sbrigarmi, pensare, decidere in fretta. Persa tra i miei pensieri quasi non mi accorgo di essere arrivata. Il cuore mi batte forte mentre busso alla sua porta.

«Signorina, chi desidera?». No, non è Austin. È un semplice operaio. Credo di aver fatto un’espressione di massima delusione perché quasi immediatamente l’operaio dice: «Immagino che lei sia la signorina Winter, vero?» io riesco solo a fare un cenno di assenso con il capo «Il signor Ford ha detto che la sta aspettando a casa sua». Faccio appena in tempo a ringraziarlo che mi ritrovo già in macchina diretta verso la mia abitazione. Quindi non voleva partire senza salutarmi! Parcheggio la macchina e corro verso la spiaggia. Lo vedo seduto sulla riva che guarda l’orizzonte. Lo chiamo. Si gira e mi fa un cenno di saluto. Io mi avvicino e mi siedo accanto a lui. «Perché non mi hai detto che te ne vai? E poi perché…» prima che possa finire la frase stringendomi a sé sussurra: «Lynn Winter, credo di non poter più aspettare. Non so più vivere senza di te». Le sue labbra si posano sulle mie. Un brivido mi percorre la schiena e dolcemente mi abbandono fra le sue braccia. Ora so quello che voglio. Una sensazione di calore si diffonde in tutto il mio corpo fino ad avvolgere la mia anima. È arrivata la primavera.

RINGRAZIAMENTI

Quando ho iniziato a realizzare questo libro non avrei mai immaginato mai immaginato che la parte più difficile da scrivere sarebbe stata quella dei ringraziamenti. D’altronde non è mai facile trovare le parole giuste per esprimere gratitudine. Tuttavia ci proverò lo stesso. Inizierò da Elena Bertolotto, la mia straordinaria professoressa d’italiano delle medie. Non solo ha sempre sostenuto una classe di scalmanati come noi, ma è stata anche la prima che mi ha spinto a scrivere e mi ha aiutato a esprimere la mia creatività. Rimanendo in tema scolastico ne approfitto per ringraziare ne approfitto per ringraziare i miei compagni di classe che mi hanno fornito spunti interessanti e sono stati i miei primi lettori e critici. In particolare devo ringraziare le mie amiche Teodora e Sara, che ancora non capisco come siano riuscite a sopportarmi e sostenermi anche nei momenti del “blocco dello scrittore”. Sarà anche per colpa mia che la mia amica Teodora si sia trasferita nel suo paese d’origine? Comunque non si libererà di me e del mio libro così facilmente, siccome Internet mi dà una mano. Un ringraziamento speciale va a Daniela Di Gennaro che oltre ad essere stata una fantastica babysitter è anche una geniale illustratrice che ha saputo realizzare una copertina perfetta cogliendo in pieno lo spirito del libro. È arrivato il momento di spendere qualche parola sui membri della mia famiglia. Un super-grazie al mio super-zio Alfonso che pur impegnatissimo si è dedicato non solo ad un’attenta lettura e correzione del libro, ma mi ha anche regalato bellissime parole d’incoraggiamento che porterò sempre nel cuore. Ringrazio i miei fratelli innanzitutto per aver saputo custodire il segreto di ciò che stavo realizzando. In particolare, Federico per aver fatto da modello ad una prima bozza della copertina e sca per avermi introdotto nel mondo del Self Publishing. Infine le parole non bastano per ringraziare i miei genitori che oltre ad avermi

fatto da editore mi hanno cresciuto con amore, aiutato a crescere e mi sostengono ogni giorno. A loro va il ringraziamento più speciale, perché hanno sempre creduto in me e continuano a farlo. Spero che questo mio libro possa essere il primo compenso ai loro sforzi. Se qualcuno da ringraziare mi è sfuggito, chiedo scusa e spero che si sentirà comunque ripagato dalla lettura del libro.

Ogni riferimento a persone esistenti o esistite e a fatti realmente accaduti è puramente casuale