Flora Novels
Autrice di novelle e di romance contemporanei, collabora saltuariamente con alcune riviste femminili. Ha pubblicato, sotto pseudonimo, due romanzi nella collana rosa di una nota casa editrice. Gestisce il blog amatoriale Novellando
Grafica di copertina by Andycomic
Titolo | Il rifugio incantato
Autore | Flora Novels
ISBN | 9788891168276
Prima edizione digitale: 2014
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Capitolo 1
«Amanda, non farti aspettare troppo e sorridi di più. Stai per sposarti, non stai andando a un colloquio di lavoro», raccomandò la nonna alla nipote chiudendo la porta alle sue spalle. La promessa sposa annuì mestamente. Ma si stava ancora gingillando pigramente con i guanti di seta bianca, quando il rintocco delle campane della chiesa la fece sussultare. Mancava meno di mezz’ora all’inizio della cerimonia e lei si era rintanata in camera sua, in attesa dell’auto, dopo aver chiesto e ottenuto alcuni minuti tutti per sé nella casa paterna, febbrilmente affollata fino a un attimo prima. Non era tranquilla, ma non era neanche emozionata. Si guardò allo specchio e non si riconobbe. Dov’era la giovane donna dinamica, sicura e indipendente che avrebbe voluto essere? E che fine avevano fatto i suoi grandi sogni? L’immagine che aveva di fronte era molto gradevole, però in quel momento la sentiva estranea. Non le apparteneva, apparteneva alla sua famiglia, al suo fidanzato e a quella parte di lei che si era arresa accettando il ruolo impegnativo di brava ragazza, saggia ed equilibrata. La sua figura, impreziosita da un classico abito bianco con pizzi e merletti, sembrava la riproduzione del ritratto della sua bisnonna. Una cascata di capelli di una calda tonalità di castano dorato era imprigionata in un morbido chignon e incorniciava un volto diafano dai lineamenti dolci ed eleganti. Non c’era contrasto però, non c’era niente del suo carattere problematico e multiforme. Ma, in fondo, il suo fascino era tutto lì, su quel dipinto vivente che non ava inosservato, grazie anche ad un fisico snello e ben formato. Avrebbe potuto fare la modella, invece si era diplomata al liceo classico e aveva studiato pianoforte al conservatorio per otto anni. I suoi tentativi nella ricerca di un’occupazione erano stati sterili e demotivati. Un concorso per insegnare musica, uno per un impiego alle poste e un paio di lavoretti part-time presso un’agenzia assicurativa e una finanziaria. Tutto prima di accettare la proposta di
matrimonio di un trentenne impiegato di banca. Da allora si era gettata a capofitto nei frenetici preparativi e si era lasciata trasportare dagli eventi. E ora? Il classico panico prematrimoniale? No, non si trattava di questo. Certo, all’inizio Mario era piaciuto più a suo padre che a lei, però l’origine del suo malessere aveva una radice antica, profonda, ancestrale. Sua madre era morta nel darla alla luce e suo padre, un tipo taciturno, austero, riservato, non si era più completamente ripreso; il suo unico scopo, oltre al lavoro di impiegato comunale, era stato quello di occuparsi della figlia, assistito e sostenuto dalla madre vedova che viveva con loro dopo la scomparsa del marito, diversi anni prima. Quell’affetto grande, sincero, ma soffocante e ossessivo, l’aveva rinchiusa in una gabbia fatta di paure, di emozioni represse, di entusiasmi smorzati e alla fine anche della sua colpevole, indolente complicità. Relegato in un angolo intoccabile della mente, il lato indomito e ribelle della sua personalità, docile e remissiva agli occhi di tutti, era rimasto lì, intatto e inespresso. La paura vinceva sempre sul desiderio di evasione e l’ansia di assecondare suo padre e di non ferire sua nonna superava perfino le sue aspirazioni. Pur nella provata certezza di non essere compresa né apprezzata, si era prodigata per cercare di colmare un vuoto. Non era stata semplicemente una figlia, era stata anche un po’ madre, un po’ compagna, un po’ sorella. Benché avesse appena ventisei anni, sentiva che in quella casa era solo invecchiata, non era cresciuta. La solitudine l’aveva dolorosamente maturata privandola però di uno stadio importante dell’esistenza umana. La giovinezza, infatti, le stava scivolando via senza sfiorarla. La sua vita non era stata completamente sua, come non lo erano state le sue scelte, forse neanche le più personali e delicate. Così, quando Mario cominciò a corteggiarla, lei non fece niente per opporsi. Lui era pazzamente innamorato, stava quasi in adorazione. È possibile non voler bene a qualcuno che bacerebbe la terra su cui cammini? Eppure Amanda non aveva abbastanza esperienza per distinguere l’amore dall’affetto. Si era convinta di amarlo davvero e credeva, in tutta coscienza, di
essere sincera persino quando, nelle ultime settimane, lo aveva rassicurato, giustificando la sua apparente estraneità alle nozze come normale stanchezza. Era stanca naturalmente, era stanca, disorientata e confusa. Le era ben chiaro cosa volevano gli altri da lei, ma cosa voleva lei da se stessa? Si chinò sul bouquet di roselline rosa aspirandone la fragranza, ne estrasse una e la posò sul letto. Forse era il momento di cercare delle risposte. Andò alla scrivania e tirò fuori la carta da lettera. La mano le tremava sotto lo sguardo impaurito e appannato dalle lacrime…
Caro Mario, Perdonami. Non me la sento e non so come spiegarti. Qualcosa dentro di me non funziona. Non sono la donna che avrei voluto essere e forse posso ancora esserlo, lontano da qui. Ho la sensazione di non avere altra scelta. È una questione di istinto, simile a quello di certi animali costretti a diventare domestici contro la loro natura. Ricordi il gattino sperduto e spaventato che la scorsa estate raccogliemmo per strada? Lo abbiamo portato a casa, si è lasciato nutrire, coccolare, sistemare in un angolo della veranda, ma il mattino dopo era sparito e non l’abbiamo più visto. È così che mi sento, sperduta, spaventata, amata e, nonostante tutto…sto fuggendo, vigliaccamente, crudelmente, consapevolmente, verso l’ignoto. Perché adesso? Perché ti ho detto di sì tre mesi fa? Non lo so, mi dispiace. Ti chiedo perdono anche di questo. Mi odierai, ne sono certa e non posso biasimarti, né consolarti. Ti auguro di dimenticarmi presto. Io non lo farò.
Amanda
P.S. Dì a mio padre e a mia nonna di non preoccuparsi. Li chiamerò tra qualche giorno per rassicurarli.
Prima di riporre la penna, la giovane donna ò in rapida rassegna la sua stanza di ragazzina con i mobili di frassino chiaro e i poster di vecchi film: Sabrina, Il dottor Zivago, Caccia al ladro, Via col vento… Già! Via col vento era un titolo perfetto per quella fuga, quasi un presagio. Fissò la busta per alcuni secondi, tentata di gettarla via, poi, immersa in uno stato di trance, si sfilò coraggiosamente l’anello di fidanzamento, si tolse rapidamente il vestito bianco e portò via la valigia pronta per la luna di miele. Nascosta dietro un angolo, vide arrivare la mercedes nera che era stata noleggiata per la cerimonia. Chiuse gli occhi, dandosi mentalmente della pazza e incosciente; quando li riaprì, due grossi lacrimoni le rigarono il viso perfettamente truccato. Si allontanò il più possibile con la vista annebbiata, trovò una cabina e chiamò un taxi. Mentre aspettava, si infilò un cappello, alzò il bavero del cappotto e inforcò gli occhiali da sole anche se, in quella grigia mattina di febbraio, del sole non c’era neppure l’ombra. Ma lei avrebbe tanto voluto scomparire per aver compiuto un gesto così vile, umiliante e ignobile, per se stessa, per Mario, per la sua famiglia e per le male lingue che si sarebbero avventate sulla triste vicenda come lupi affamati su una facile preda. Era ormai sul ponte del traghetto appena salpato, quando il vento trasportò il suono inesorabile dell’ultima campana che continuò a riecheggiarle nella mente come un grido di dolore.
Quella notte, nella camera d’albergo di un grazioso hotel svizzero, alla periferia di Berna, Amanda non riuscì a chiudere occhio. Pianse di un pianto silenzioso e struggente fin quasi all’alba, poi si appisolò stremata e al risveglio si sentì paralizzata, vuota, inerte. Mille immagini si erano intrecciate nel sonno semicosciente del nuovo giorno, ma non era stata in grado di metterne a fuoco nemmeno una. Il suo cervello sembrava incapace di reagire. Quando finalmente si sollevò dal letto, raccogliendo tutte le sue forze, erano ate le nove da un pezzo. Spalancò la finestra e respirò a pieni polmoni l’aria
di quel freddo mattino d’oltralpe, l’aria della libertà, una libertà amara come lo sono tutte le scelte importanti, quelle che ti costringono a rinunciare a qualcosa o a qualcuno per qualcos’altro. Già! Ma per cosa? Questa era la sua follia, questo era il motivo per cui non sarebbe stata perdonata, lo sentiva, né da Mario né dalla sua famiglia. Richiuse le imposte lasciando filtrare un po’ di luce, poi frugò nella borsa in cerca di una pillola per il mal di testa. Una rapida doccia, un paio di pantaloni, un dolcevita neri e fu pronta per scendere nella hall. Era a digiuno dal giorno prima a pranzo, ma non aveva fame, aveva più che altro una sensazione di nausea. Si costrinse comunque ad assaggiare almeno della frutta finché non le venne abbastanza appetito da consumare una normale colazione. Purtroppo anche il gusto sembrava intorpidito, quindi non avrebbe fatto distinzione tra una torta di mele e un panino al salame. Ora aveva solo bisogno di riacquistare la lucidità necessaria per guardare avanti senza ripensamenti, pentimenti o deleteri sensi di colpa. Fu così che decise di dare un taglio alla sua vecchia vita partendo dai capelli. Adesso non somigliava più alla sua bisnonna, ricordava piuttosto la sfortunata principessa Grace di Monaco. Un’immagine anni sessanta per il viso antico di una giovane donna moderna alle prese con un’angoscia che non era certo stata eliminata con i resti della sua chioma. Si propose pertanto di fare un altro tentativo dopo aver rifornito il suo guardaroba di un paio di indispensabili tenute da neve. Con l’auto che prese a noleggio percorse senza meta un indefinito numero di chilometri perdendo completamente il senso del tempo e dello spazio. La ragazza aveva pensato di distrarsi concentrandosi sulla guida, una guida difficile con le catene e l’asfalto semighiacciato, invece la sua testa non le diede tregua, stava per scoppiarle, tanto che dovette fermarsi al primo rifugio che incontrò sulla strada. Non aveva idea di dove si trovasse, sapeva solamente di sentirsi male. Forse il suo era sempre stato uno spirito libero, tenuto severamente in prigione, ma il corpo si sentiva ancora incatenato e si ribellava per essere stato strappato alle sue tranquille radici. Aveva una gran voglia di piangere e non ci riusciva, persino le lacrime si erano esaurite. Così si adagiò inerme sul sedile dell’auto, incurante
della fitta nevicata che stava per sommergerle la macchina. Quando finalmente si riscosse e sentì qualcuno bussare al finestrino, capì di non essere in grado di comunicare neanche con la lingua più diffusa del mondo: l’inglese. Quell’anziano signore, dall’aspetto un po’ rude e dai modi gentili, parlava solo tedesco. Quindi Amanda si limitò a farsi trascinare in un vecchio rifugio alpino e a farsi offrire una tazza di cioccolata calda corretta con una dose imprecisata di cognac. Essendo quasi del tutto astemia, le furono sufficienti un paio di sorsi per scuoterla e colorarle il volto cadaverico. Quel cortese signore la fissava, sorridendo soddisfatto e invogliandola ad accettare una seconda tazza di cioccolata. Lei lo ringraziò con il suo ridottissimo vocabolario tedesco e, nonostante le insistenze, rifiutò la pizza che adesso voleva propinarle. Un mezzo sorriso involontario le affiorò sulle labbra. Era troppo stanca per gesticolare o per protestare, fra l’altro in una lingua che non era la sua. Alla fine stava per arrendersi quando una voce, con un velato accento tedesco, risuonò alle sue spalle in un perfetto italiano. «Le conviene accettare. Per Hans un italiano che rifiuta una pizza è più sospetto di un tedesco che odia crauti e salsicce» Amanda si voltò lentamente e si trovò di fronte il proprietario di quella voce dal tono caldo e dal sorriso ammiccante. Per quanto si sentisse stordita, lo esaminò accuratamente per alcuni secondi prima di trangugiare la seconda tazza di cioccolata. Quel tipo aveva un sex-appeal apparentemente tutto latino con una leggera abbronzatura, tratti decisi, barba incolta, capigliatura bruna. Dall’altezza teutonica di un fisico asciutto, poco più che trentenne, campeggiavano due occhi in cui ti saresti aspettato di vedere spuntare il sole da un momento all’altro, tanto erano cerulei. Peccato! Avrebbe dovuto avere gli occhi grigi o neri per accordarsi con l’umore della ragazza e magari anche un carattere taciturno e riservato. Invece, dopo aver scambiato alcune battute in tedesco con il vecchio Hans, quel perfetto sconosciuto si sedette accanto a lei al bancone del bar, per niente scoraggiato dalla sua indifferenza.
Solo allora Amanda si accorse che quel tipico locale di montagna era semivuoto e, gettando un occhio all’orologio, capì il motivo… Eppure, a mezzanotte inoltrata, quell’estraneo, dall’incerta nazionalità, era in vena di conversazione. «Hans si occupa sempre con grande scrupolo dei turisti che si perdono tra le montagne svizzere. Capita di rado, a essere sinceri. Mi diceva che sembrava stesse male. Va meglio, adesso? Non ci giurerei a giudicare dalla sua espressione. Lo sa che ha l’aria di chi ha perso qualcosa di più della strada?», le snocciolò d’un fiato disorientandola. Amanda non si girò nemmeno per guardarlo in faccia, era troppo frastornata, lo aveva ascoltato appena e non aveva voglia di dare spiegazioni a nessuno. Dopo un’inutile attesa, quell’uomo tornò alla carica. «Credevo di aver capito che fosse italiana», insistette per strapparle qualche parola. Stavolta la ragazza si voltò un istante verso di lui con uno sguardo vacuo e assente, la voce non parve sua neppure a lei perché risuonò fredda e sferzante. «A volte mi piacerebbe essere un’aliena per non dover comunicare con chi capisce la mia lingua», lo liquidò scocciata. Mister impiccione, così l’aveva battezzato nella sua mente, non fece una piega. Furono le sue radicate buone maniere a farle realizzare di essere stata sgarbata con qualcuno che si era mostrato gentile. «Mi scusi, non ho lo stato d’animo adatto per stare in compagnia, né per conversare nella mia lingua o in un altra», sospirò afflitta cercando di rimediare. «Sì, succede. Non si preoccupi. Sarà comunque costretta a fermarsi qui stanotte, per via della neve. Quindi le conviene tenersi buono il vecchio Hans e accettare quella famosa pizza. Lo faccia almeno per il suo paese», la incitò ridacchiando. Amanda vuotò la sua terza tazza di cioccolata e fece cenno di volerne un’altra prima di rispondergli con fare sconsolato. «Oh, l’Italia! Il nostro patriottismo ridotto a una pizza, due spaghetti e un pallone da calcio» Poi gli si avvicinò e sfoderò un amaro sorriso sarcastico. «Senta, facciamo un patto, lei si mangia la mia pizza e io, da brava, mi accontento di una semplice cioccolata»
Mister impiccione sorrise guardandole gli occhi lucidi e l’aria stordita e semisbronza. Anche in quello stato, era impossibile ignorare il suo charme, ma non c’era niente di romantico nel corteggiare una donna in evidente difficoltà. «Conosco l’abitudine di Hans di correggere la cioccolata calda. Di solito mette tre quarti di cognac e una di cioccolata. Quante ne ha bevute?», le domandò con un pizzico di ironia. «Non abbastanza», gli rispose lei con un tono cinico. «Per cosa? Per dimenticare? Non servirà, ho idea che se ne renda conto», ribatté serio. Ma Amanda si comportò come se non lo avesse sentito. «Beh, adesso sarà meglio che me ne torni in albergo. Che strada devo prendere per Berna?», s’informò. Si era appena allontanata dal bancone quando la testa cominciò a girarle e sarebbe letteralmente crollata se due forti braccia non avessero provveduto tempestivamente a sorreggerla. Quel contatto umano, nella sua fuga solitaria, la turbò. Aveva frenato a stento l’impulso di accucciarsi nel calore invitante di un abbraccio apparentemente casuale e si era liberata appoggiandosi allo sgabello. Ma l’uomo, forse deluso dal distacco, insistette con tono risoluto e perentorio. «Non prenderà nessuna strada e ci sono due buone ragioni. Le ho già detto che c’è una tormenta di neve, le strade non sono praticabili stanotte. E comunque non sarebbe in grado di andare da nessuna parte, ammesso che lo fosse prima di sbronzarsi» I sensi della ragazza erano intorpiditi ma l’orgoglio fu l’unico a dare un segno di vitalità. «Si può sapere chi diavolo è lei? Fa l’interprete, l’analista, l’impiccione o solo il rompiscatole?», sbuffò seccata. «Mi arrangio a fare un po’ di tutto…» Ancora una volta mister impiccione non si scompose, le rivolse un sorriso sornione e uno sguardo divertito, quasi contagioso, tipico di quelle persone che hanno il dono naturale di essere coinvolgenti e convincenti.
In un momento di lucidità forse Amanda l’avrebbe apprezzato, in quel momento non replicò nemmeno alla sua ironia nel salutarla. «Avverto Hans di accompagnarla nella sua camera. Buonanotte miss cioccolato e cognac»
Capitolo 2
Il mattino dopo la testa della ragazza aveva smesso di pulsare, ormai doveva essere esplosa perché non la sentiva più. Si guardò attorno intontita, era una stanza sconosciuta, arredata con molta sobrietà: un armadio a muro, una cassettiera e un grande letto dalla linea austera che ricordava gli arredi del ato. Ogni singolo oggetto si presentava nella stessa sfumata tonalità di legno scuro. Lentamente riuscì a ricostruire quello che era successo e a rammentare dove si trovava e perché. Non che questo l’aiutasse, ma perlomeno non avrebbe fatto la fine di una povera smemorata. Andò in bagno e si gettò sulla faccia un bel po’ di acqua gelata. Il suo cervello, anche se a fatica, si stava rimettendo in moto. Quando scese giù, ebbe l’impressione di vedere quell’ambiente per la prima volta. Il bancone del bar e gli alti sgabelli, un discreto numero di tavoli e, nell’angolo a sinistra, un classico camino di pietra delimitato da due panche con cuscini. Il legno ovviamente dominava in quella deliziosa baita di montagna: soffitto, pareti, pavimenti e accessori vari. Aveva un aspetto accogliente, caldo, e il fatto che fosse deserta la rendeva ancora più suggestiva. Dato che il tempo sembrava volesse dare una tregua, immaginò che tutti gli ospiti fossero andati a sciare. Tutti tranne uno. «Buongiorno!» Mister impiccione sbucò praticamente dal nulla con due tazze di caffè nero e si accomodò al suo tavolo senza fare tanti complimenti. «Dormito bene? Questo ti aiuterà a riprenderti, mi sono assicurato che non fosse corretto. Dalle nostre parti si fa presto a correggere le bevande calde con l’alcool. Ma tu lo hai già sperimentato, no?» Miss cioccolato e cognac lo guardò incerta e diffidente. Non aveva mai visto tanta sfacciataggine genuina e disarmante in una sola persona. Doveva essere così di natura perché si comportava da padrone di casa.
Alla luce del giorno però le parve addirittura più affascinante di quanto ricordasse. Indossava un paio di jeans e un maglione rosso che esaltavano quel fisico atletico e quel volto intenso, appena rasato. Gli osservò le mani dalla forma affusolata e dalla stretta decisa mentre le porgeva un vassoio di biscotti e si rammentò, con un certo disagio, l’effetto piacevolmente rassicurante di quel contatto. Il caffè amaro la rianimò, così approfittò dell’inaspettata pausa di attività verbale per studiarlo con cautela, focalizzando al contempo gli avvenimenti della sera precedente. Era pur sempre un diversivo per distoglierla dai suoi guai... «Ricordo di averla incontrata ieri. Quand’è che abbiamo deciso di darci del tu?», lo interrogò imitando la sua faccia tosta. «Verso mezzanotte mentre cercavi di barattare la tua pizza con un po’ di cognac al sapor di cioccolato», mentì lui rubandole un sorriso. «Attenta, potrei pensare che, in fondo, apprezzi il mio spirito», l'avvertì poi. Amanda non poté evitare di cedere di fronte a quel modo di fare canzonatorio e seducente. «In condizioni normali, so essere una persona socievole e non mordo. Se sono stata scontrosa ieri sera, ti chiedo scusa» «Non scusarti, ti ho provocata di proposito, per scuoterti. Stavi andando alla deriva e non ti importava» La ragazza ammutolì esterrefatta. Era vero, forse non era tanto difficile capirlo, però lo percepì come una violazione della sua privacy e non l’accettò. «Ammesso e non concesso che tu avessi ragione… Dimmi, hai l’abitudine di soccorrere le persone che non te lo chiedono?» «No, ma di solito sono quelle che hanno più bisogno di aiuto. Non sei d’accordo?», la pungolò lui senza ritegno. Sì, aveva ragione da vendere, di nuovo. Eppure lei si irritò e si mise sulla difensiva con tutto il sarcasmo di cui era capace. «Adesso mi racconterai anche la storia della mia vita?», ribatté tenendogli testa. Mister impiccione le rispose con un sorriso a metà tra il compiacimento e la presunzione. Ma il suo tono, al contrario, fu suadente e accondiscendente. «Non
ti chiudere a riccio, non volevo essere invadente», si scusò. «Ho il vizio di dire quello che penso. Pessima abitudine, lo ammetto. Ricominciamo dall’inizio...» A quel punto le porse la mano attraverso il tavolo. «Peter Klinsmann» Amanda esitò, gli strinse la mano con una certa riluttanza e decise di dargli una possibilità. «Sei bilingue, suppongo. Oppure hai imparato l’italiano per corrispondenza?», s'informò proseguendo in quel gioco di botta e risposta. «Avevo una nonna italiana, la madre di mia madre», le spiegò. «Comunicava con noi nipoti solo con la sua lingua. Sono cresciuto ascoltando le sue favole» «Sì, nessuno sa raccontare favole meglio di un italiano», ammise lei amaramente. Peter sorrise cogliendo il significato di quella affermazione irrisoria. «Beh, ma è una forma di talento che denota fantasia e spirito, no? Comunque conosco l’Italia e gli italiani abbastanza da sapere che dietro quell’ironia c’è molta fierezza e la condivido. Amo l’Italia come una seconda casa, ma sono di Berna. E tu? Da dove vieni?» Miss cioccolato e cognac impiegò qualche secondo per trovare una risposta adeguata che non fosse una menzogna. «Dal solito posto, il ventre di mia madre» Peter sorrise divertito, poi continuò con la sua inossidabile faccia tosta. «Non devi avvertire nessuno che sei qui? Qualcuno sarà preoccupato, immagino». «Sei tu l’esperto sulla mia vita, dimmelo tu» Mister impiccione non insistette, non sembrò neanche offendersi, anzi cambiò discorso all’istante. «Allora, che ne dici di andare a sciare? Sarà meglio approfittare del tempo prima che ricominci a nevicare» «Non so sciare», gli rispose lei semplicemente. «Prenderemo uno slittino», le propose di rimando. Amanda sorrise, quasi rilassata. Non le era mai successo che una persona che
conosceva appena le suscitasse delle emozioni e delle reazioni così forti, contrastanti e repentine. La sua istintiva diffidenza si stava stranamente trasformando nella sensazione di potersi fidare. Ma non aveva intenzione di assecondarla. Ne aveva fin troppe di cose a cui pensare, non era il caso di rimanere ancora lì con quell’uomo. «No, adesso sarà meglio che me ne torni in albergo, a Berna. Grazie di tutto» La ragazza si alzò e gli porse la mano che lui trattenne per un momento fissandola con una tale profondità da trasmetterle un calore più intenso del contatto della sua pelle. «Resta qui un paio di giorni, ti farà bene», le consigliò. «Confida le tue pene a queste montagne, sono molto discrete e, nonostante le apparenze, lo sono anch’io» Amanda rimase ipnotizzata per alcuni secondi prima di ritrovare la parola. «Perché?», gli chiese. «Perché, cosa?» «Perché dovrei rimanere, perché insisti?» «Tu non hai mai fatto niente senza un motivo, solo perché sentivi l’impulso di farlo o ne avevi bisogno?» In fondo, era quello che aveva appena fatto con la sua fuga. Smettere adesso di seguire il suo istinto non aveva senso e invece forse aveva un senso essere finita lì. Già, ma dov’era finita? «Non so nemmeno come si chiama questo posto», mormorò quasi parlando a se stessa. «Te lo dirò in cambio del tuo nome», la sfidò lui simpaticamente. «Amanda, Amanda Berlini», si presentò accettando la sfida. «Benvenuta nel rifugio incantato, Amanda. Siamo a un paio di chilometri da Mürren, uno dei villaggi ai piedi delle tre montagne sacre: la Jungfrau, l’Eiger e il Monch»
«Il rifugio incantato? Sono capitata in un posto magico?», gli domandò con un pizzico di cinismo. «Perché? Non credi nella magia?» «No. E tu?» «Ci sono tanti tipi di magie, lo puoi chiamare fato, destino o caso, come quello che ti ha condotto qui, per esempio» «Io lo chiamo Ford, la macchina con cui sono arrivata» «Mi piace il tuo umorismo, siamo in sintonia da questo punto di vista, no?», colse subito l’occasione per sottolineare. Magari era vero ma, in quel particolare frangente della sua vita, lei faceva una certa fatica a sentirsi in sintonia persino con se stessa. Gli voltò le spalle e si diresse verso la finestra per guardare il panorama che era davvero mozzafiato. Da lì si poteva osservare una delle maestose montagne svizzere tutta ricoperta di neve morbida e fresca sotto un cielo un po’ grigio. Uno spettacolo capace di riconciliarti con il mondo. Un posto da sogno che avrebbe stregato chiunque. «Credo di capire la ragione del nome, è un paesaggio da fiaba, di quelli che ti lasciano senza fiato» “Come te”, pensò Peter esaminando quel volto vivido dietro un’espressione stanca e accigliata. «Non è solo per questo. Mio zio Hans ha un debole per Thomas Mann. Così ha tratto spunto dal titolo di uno dei suoi romanzi La montagna incantata» «Thomas Mann? Piace molto anche a me», commentò lei, colpita da quella confidenza. Dopo aver assimilato il resto delle sue parole, Amanda corrugò la fronte. Ma un momento...Aveva sentito bene? «Scusa, cosa hai detto? Hans è tuo zio?»
«Sì, il fratello maggiore di mio padre. Si occupa di questo rifugio da quando è andato in pensione. Vengo a trovarlo ogni volta che riesco a prendere le ferie» Questo almeno spiegava il suo comportamento da padrone di casa. «Sei in vacanza, allora», dedusse la ragazza. «Sì, finalmente. Negli ultimi anni ho dovuto interromperle spesso» Miss cioccolato e cognac si incuriosì e iniziò a mostrare un interesse che non sfuggì a Mister impiccione. «Sei un dottore?», si azzardò a supporre lei. «No, ma ho una notevole esperienza nel manovrare le slitte, puoi fidarti», le assicurò sfoderando uno dei suoi sorrisetti maliziosi. Era giusto. In fondo, Amanda gli aveva rivelato a stento il suo nome. Non poteva certo pretendere di fargli il terzo grado. «Non ho detto che sarei venuta a fare un giro», puntualizzò. «Non hai detto nemmeno che non saresti venuta», le fece notare lui. «Non ho familiarità con la montagna. Io vengo dal mare», gli confessò infine. Peter le si avvicinò con un sorriso accattivante. «Come una sirena, eh? Avrei dovuto immaginarlo. I tuoi occhi hanno il blu trasparente del mare» La ragazza sostenne il suo sguardo controvoglia e sempre controvoglia rabbrividì quando le sfiorò i capelli e un caldo sussurro le accarezzò la guancia. «Profumi di mandorla» Un filo di voce riuscì a farle muovere le labbra. «È solo lo shampoo», mormorò. Lottando contro l’impulso di lasciarsi baciare, lei si ritrasse scansando la sua bocca a un soffio di distanza. «D’accordo, facciamo questo giro sulla neve», si scosse poi cercando di distrarlo. «Vai avanti, io intanto chiamo l’hotel di Berna e li avverto di portarmi qui la valigia» Peter non se lo fece ripetere due volte, sorrise soddisfatto scacciando l’ombra di
delusione dal suo volto nell’attimo stesso in cui apparve. Se non altro, si era convinta a rimanere, no? «Mi procuro una slitta e poi mi occupo della tua macchina, le auto sono vietate qui. Si lasciano nei parcheggi ai piedi delle montagne. Ci vediamo fuori fra dieci minuti» Amanda sospirò disorientata non appena fu uscito. Forse era un’imprudenza la sua, lo conosceva a malapena e stava già rischiando di farsi coinvolgere. No, a voler essere sinceri, tutto negli ultimi due giorni era stato imprudente, eppure lo avrebbe rifatto. Magari non era ancora pronta ad andare avanti, però non poteva e non voleva tornare indietro. Quella sorta di avventura, venata di mistero e di imprevedibilità, rappresentava quasi una tentazione proibita, un qualcosa che si era negata per non negare alla sua famiglia l’apparente immutabilità di un tranquillo equilibrio. Ma una parte di lei somigliava a sua madre, alla madre che non aveva mai conosciuto, alla madre che, a sentire i racconti della nonna, aveva sempre voglia di viaggiare e di sognare. Ed era stata quella parte di lei ad opporsi all’unione con un uomo gentile, affettuoso ma soffocante. Sì, lui le aveva soffocato la spontaneità e l'entusiasmo, con le sue prudenze, le sue regole e le sue esagerate premure. Mario aveva, infatti, una visione delle cose molto simile a quella di suo padre, ovvero grigia e pessimista. E quella visione poteva essere sintetizzata in due sillabe. “E se... E se succede questo e se succede quello? E se poi non succede?" Avrebbe potuto essere seppellita da quelle ansie. Eppure non era successo. Le paure che le erano state inculcate avevano finito col rafforzare la radice di un coraggio che non aveva mai messo alla prova. Forse quella era l’occasione giusta per farlo, magari proprio con Peter. Lui era un tipo spericolato, divertente, scanzonato e dava anche l’impressione di avere tutto sotto controllo in ogni momento. Inoltre sapeva, all’occorrenza, tirare fuori una sensibilità così profonda e intensa da farti venire la pelle d’oca. Malgrado il peso che gravava sul suo cuore come un macigno, lei si sentì leggera e spensierata per gran parte del tempo. La corsa in slittino fu senza freni, eccitante e travolgente, da montagne russe. Il giro turistico nel villaggio invece si presentò rilassante e distensivo. C’erano tanti vecchi chalet in legno scolpito che si affacciavano in un paesaggio
indimenticabile dove potevi persino fare un po’ di shopping. La giornata si concluse degnamente con un’escursione obbligata al Piz Gloria. Uno dei famosi treni che percorrono l’Oberland Bernese fino alle sue vette innevate li condusse in cima, nel ristorante girevole dal panorama ineguagliabile che andava dal Giura alla Foresta nera. Peter ordinò uno spuntino per entrambi: fonduta, torta di noci, caffè, e poi fu catturato dall’espressione rapita di Amanda davanti a quello spettacolo naturale. A tremila metri d’altezza, in fondo, era normale che mancasse l’aria e che il resto apparisse lontano, piccolo, insignificante. «So che effetto fa la prima volta. Sono cresciuto a Berna però trascorrevo gran parte delle mie vacanze estive e invernali da mio zio Hans. Lui lavorava in una piccola azienda agricola specializzata nella produzione di formaggio e io gli davo una mano, esploravo la zona con i ragazzi del posto e venivo a sciare proprio da queste parti. Ma non ci si abitua mai completamente. Le emozioni sono sempre nuove e indescrivibili quando stai in mezzo alla natura o contempli qualcosa di veramente bello» Amanda non fece caso al cambiamento di tono delle sue ultime parole. Non si sarebbe certo sognata di paragonare se stessa a una bellezza paesaggistica. «È vero, potrei stare delle ore a guardare queste meraviglie. È un posto stupendo, incontaminato. Qui sembra che il tempo non esista» Dopo una manciata di secondi, il trillo di un orologio da polso, che scandiva l’ora, intrecciò i loro sguardi e scatenò una incontenibile risata d’intesa. In un attimo il loro vicino di tavolo aveva dissolto quell’atmosfera rarefatta, trasformandola in amena realtà. «Suppongo sia un insulto venire in Svizzera senza un orologio o senza acquistarne uno», commentò lei sorridendo. «O senza gustare la nostra cioccolata alcolica», si agganciò subito lui con un sorrisetto complice. Miss cioccolato e cognac non raccolse la simpatica provocazione e continuò a sorridere mentre mister impiccione le scrutava il volto da una vivacità insospettatamente ammaliatrice.
«Stavo cominciando a disperare di vederti ridere», dichiarò semiserio. «E tu saresti un tipo che si dispera?», lo canzonò lei, socchiudendo gli occhi, guardinga. Approfittando del suo temporaneo buonumore, Peter azzardò un’altra domanda personale, fingendo noncuranza. «Eri a Berna per lavoro?» Presa troppo alla sprovvista, la ragazza fu istintivamente sincera. «No, diciamo che ci sono capitata. Non avevo una meta. Ho lasciato il mio ultimo impiego tre mesi fa» Amanda si era rabbuiata, anche i suoi occhi diventavano più scuri quand’era triste. No, lui preferì non insistere. Colse quindi l’occasione di cambiare argomento osservandola in quel doppio strato di maglioni. «Sei sicura di non volerti togliere la giacca?» Un fuggevole sorriso gli comunicò la sua gratitudine per aver sviato il discorso. «So che è un ambiente riscaldato, però devo ancora superare l’impatto con questo freddo polare. Non ci sono abituata» «Ah, già. Tu vieni dal mare. A proposito… Mi stavo chiedendo se si tratta di una barca o di un sommergibile, a meno che Venere non ti abbia prestato la sua conchiglia» «Pensi di essere spiritoso?», lo stuzzicò. «Beh, tu stai sorridendo. Comunque, tornando al tuo problema, conosco un modo infallibile per riscaldarsi» Miss cioccolato e cognac lo guardò di sbieco, ma sorrisero entrambi di quella scontata malizia non appena mister impiccione rettificò. «In effetti, ciò a cui stai pensando rimane sempre il metodo migliore. Magari dopo, se non dovesse funzionare…» «Per tornare indietro, faremo un tratto di strada con il treno, il resto con la slitta. Guiderai tu», le spiegò quindi candidamente.
«Io? Scherzi? Non ne sono capace!» «Nessuno è capace di fare qualcosa prima di imparare. Se dimostrerai una certa attitudine, eremo alla motoslitta o alla slitta da traino. Hans ne ha una con i cani. In realtà, è molto semplice, basta non perdere il controllo. E poi ci sarò io con te» E questo avrebbe dovuto farla stare meglio? Sì, se si concentrava per evitare pericolose sbandate, almeno sulla neve. «E va bene. Magari il prossimo dicembre potrei essere ingaggiata da Babbo Natale», si arrese ridacchiando. «In tal caso, mi offrirò volontario per indossare i suoi panni. Il rosso mi dona», affermò lui cogliendo subito l'occasione per una battutina. Amanda lo fissò incapace di trattenere un sorriso. «Andiamo, vanesio. Si è fatto tardi» La previsione di Peter si rivelò esatta. Però non era stata la corsa in sé a riscaldarla e a farla sudare, probabilmente era stata la paura di sbagliare oppure il suo istruttore incollato addosso che le dava istruzioni. Comunque, una volta tornati al rifugio, Amanda cambiò completamente umore. Rivedere la valigia e il beauty-case con alcuni cari oggetti come il braccialetto che Mario le aveva regalato per il compleanno e la catenina che era appartenuta a sua madre, l’aveva fatta piombare nella più nera malinconia. Vincendo il desiderio di starsene per conto suo, scese giù in jeans neri e maglione grigio. Un discreto numero di ospiti affollava la sala per la cena, non vide Peter ma il suo sguardo fu fatalmente attirato da un pianoforte verticale in fondo al salone che prima non aveva notato, o forse era coperto e lo aveva scambiato per una stufa. Apparve una luce nei suoi occhi, lo fissò con la stessa voluttà con cui si può fissare un’oasi in mezzo al deserto; si avvicinò, strimpellò un paio di note per accordarlo e poi cominciò a suonare una dolce e malinconica melodia: il tema di Lara, la colonna sonora del Dottor Zivago. Quella musica compì una magia, la coinvolse totalmente. La sua anima vibrava per l’emozione, un’emozione che contagiò tutti: le coppie che si misero a ballarla, gli avventori solitari che la ascoltavano rapiti, e... Peter naturalmente!
Lui restò incantato, irrimediabilmente soggiogato dal calore di un suono che proveniva da lei, non dal pianoforte. La ragazza era visibilmente immersa in un bagno di sensazioni intense e penose tanto che l’applauso, scoppiato alla fine del brano, la scosse e la sorprese. Sembrava aver dimenticato di non essere sola. Mister impiccione notò gli occhi lucidi e l’aria distante, prese le giacche a vento e la trascinò sul portico per evitarle la confusione e permetterle di tornare in sé. «E così sei una pianista, e anche brava», esordì rompendo il ghiaccio. Miss cioccolato e cognac trasse un respiro profondo e sorrise riacquistando il suo solito distacco. «No, non lo faccio per mestiere», precisò. «Perché no?» «Non lo so perché. Un sacco di gente non fa quello che vorrebbe fare, no?» «Tutta gente che non dovrebbe mai arrendersi. Non ti pare?» La ragazza sentiva di odiarlo ogni volta che aveva ragione parlando della sua vita senza conoscerla e non voleva concedergli questa soddisfazione. Voleva semplicemente troncare l’argomento. «Può darsi. Ma che ne dici di rientrare adesso? Si gela qua fuori» «Sì, rientriamo, se mi spieghi che ti è successo. Oggi sembravi rilassata e serena, a tratti persino divertita, cos’è che ti ha reso triste? La tua valigia piena di roba grigia o nera? Non è un caso, vero? Sono certo che ormai è automatico, non è il tuo stato d’animo a influenzare le tue scelte, ma il contrario. Perché non provi a vestire di rosso, giallo o blu?» Amanda sorrise, scoraggiata. Non gli sfuggiva niente e non si accontentava delle sue risposte evasive e impersonali. «Fai troppe domande per i miei gusti. Non è che sei un poliziotto?», lo punzecchiò. «Se la musica mi desse quelle emozioni che ho letto sul tuo volto poco fa, credo che sarei un musicista, un concertista o qualcosa del genere. E non dirmi che è solo un hobby o che suoni soltanto alle feste di compleanno»
«Non suono alle feste di compleanno e non ho intenzione di negare niente» Lei si voltò spazientita, poi cambiò tono ammirando quel paesaggio notturno e stringendosi nel giaccone. Non era ancora notte fonda, i ritagli di luce tra le montagne addolcirono l’incombente oscurità insieme con il suo umore. «Sento la musica dentro di me, anche in silenzio», ammise. «Quando suono o ascolto un brano, entro in un’altra dimensione, senza tempo, senza spazio. È un mondo che appartiene solo a me, un mondo di emozioni e sentimenti che non mi tradisce mai» La ragazza lo scrutò per osservare una reazione che non vide e sorrise amaramente. «Stai forse pensando che sono un po’ svanita?», gli domandò a bruciapelo. «No, affatto», le assicurò. «Penso che devi sentirti molto sola, tanto sola da non desiderare nemmeno di non esserlo più. Sembri innamorata della tua musica sopra ogni altra cosa» La profonda veridicità di quell’analisi la sconcertò per qualche istante. «Beh, in un certo senso è così. La musica è tutta la mia vita, una grande ione, un punto fermo, probabilmente l’unico» «E ti basta?» «A volte. Però ci sono momenti in cui non ti basta niente», mormorò quasi tra sé e sé. «Questo è uno di quei momenti, vero?», intuì lui senza troppi sforzi. Per una frazione di secondo, lei lo fissò risentita, poi sorrise. «È il secondo round di domande?» «Non sono uno che si arrende facilmente. L’avevi notato?» «No! Non l’avrei detto!», esclamò mantenendo lo stesso tono scherzoso. «E dal momento che non ottieni le risposte, eviti accuratamente le mie domande.
Giusto?» «Secondo te, stiamo giocando a scacchi? Mossa contro mossa? No, domandami pure quello che vuoi, io non sono un uomo misterioso» «Non sto giocando a fare la misteriosa, non sto giocando affatto», puntualizzò. «Suppongo che sia questo il tuo problema. Sei troppo tesa, controllata, ti comporti come se ti sentissi sempre sotto esame» Alla fine ci stava riuscendo, l’umore nero di miss cioccolato e cognac si stava velocemente trasformando in ira. «Perché? Non mi stai esaminando? Anzi ti stai dilettando ad analizzarmi sin da ieri sera» Galvanizzato da quella disputa dialettica, mister impiccione sembrò voler attizzare il fuoco invece di spegnerlo. «Può darsi. Ma non lo stai facendo anche tu? Non mi hai forse studiato? Non hai già intuito chi sono? Non sei curiosa? Non c’è nei tuoi occhi lo stesso interesse che vedi nei miei?» Era difficile stabilire dove finisse la sua spudorata franchezza e dove cominciasse l’arroganza o la tracotanza. Amanda dovette reprimere l’impulso di prenderlo a schiaffi, si accontentò di fulminarlo con lo sguardo e con una risposta tra i denti. «La tua presunzione è più grande di queste montagne», gli sibilò in un soffio. «Mi limito a dire quello che penso. Tu non ci sei abituata, evidentemente», ribatté lui colpo su colpo, come al solito. Sì, in fondo era vero, lei non era abituata a dire quello che le ava per la mente e non era neanche abituata a discutere, a litigare con qualcuno che la spronasse, le tenesse testa e non cedesse fino all’ultimo. Qualcuno che sapeva picchiare con la stessa classe con cui incassava, senza usare mezzi termini o frasi lasciate a metà. Eppure quell’insolenza sarebbe stata insopportabile per chiunque. Una rabbia salutare le montò dentro e lei non fece niente per frenarla. «Adesso basta! Cosa diavolo ne sai tu di me, dei miei problemi o delle mie abitudini? Sì, sto ando
un brutto momento, ma non è affar tuo il perché e il per come. Per quanto mi riguarda la nostra conoscenza finisce qui, ed è durata fin troppo. Addio, signor Klinsmann» Giunta sulla porta, maledisse la maniglia bloccata che le impedì la sua rapida uscita furente e poi maledisse Peter che la maneggiò facilmente trattenendo a stento un sorrisetto soso sotto i baffi. «Mi dispiace che questo vecchio difetto di chiusura ti abbia guastato la scena dell’addio. Eri perfetta. Vuoi che la ripetiamo?» Amanda si voltò dall’altra parte brontolando insofferente, un attimo prima di rientrare. «Perché non sono andata a perdermi alle Maldive!» «È un’ottima idea, non ci sono mai stato», le ridacchiò dietro. Non era tanto sicuro che lei avesse sentito, ma era sicuro che l’avrebbe rivista ancora.
Capitolo 3
Quella sera tutto, anche il tempo, sembrava congiurare contro di lei. Era pronta ad andar via, ma un nuovo peggioramento la dissuase dal mettersi in viaggio. In alta quota si sa, le condizioni del tempo cambiano velocemente, un po’ come il suo umore in quel periodo. Si era rintanata nella sua stanza in un cocktail di stati d’animo. Era arrabbiata, depressa, nervosa e stanca. Era stanca di sentirsi sola e vuota, di macerarsi dentro. Troppo inquieta per riuscire a dormire, non faceva che pensare a Peter, alle sue punzecchiature, alla sua insolenza, a quella maniera rude di sbatterle in faccia la verità. I suoi occhi magnetici le avevano scandagliato l’anima fino a raggiungere le corde più gelosamente custodite, quelle che erano apparse invisibili persino a chi sosteneva di amarla: la solitudine, l’angoscia, la ione intensa e sofferta per la musica. E ora si ritrovava invischiata in qualcosa che non poteva e non voleva definire. Forse era solo una forte attrazione fisica oppure era allettata da quel suo modo di fare diretto, esplicito, pieno di humour e di positività. Qualunque cosa fosse, era determinata a bandirla dai suoi pensieri. Aveva deciso di cercare di rilassarsi andando a letto presto, poi si rammentò che aveva saltato la cena e si rese conto che la rabbia le aveva fatto venire fame. Tornò quindi di sotto con la speranza che il destino avverso l’avesse abbandonata. Però non ci contava. Infatti, Peter era al bar che conversava tranquillamente con il vecchio zio Hans. La ragazza evitò di incrociare il suo sguardo e lo ignorò sistemandosi di proposito in un tavolo lontano. Notò subito che la gentilezza di Hans era un po’ più interessata del solito… Probabilmente avevano parlato di lei, in che termini non riusciva a immaginarlo. Ne ebbe la certezza quando mister impiccione la raggiunse e, senza tanti
convenevoli, si comportò come se non fosse successo niente. «Hai reso mio zio un uomo felice ordinando quella pizza», le confidò sorridendo. Sicuramente si aspettava di essere mandato all’inferno o di essere ignorato. Ragione sufficiente per reagire diversamente. «Sembra un brav’uomo tuo zio, mite, discreto, garbato. Sei certo che siete parenti?» Peter sorrise scrutando quel volto buio. «Ok. Mi terrai il broncio finché non spunterà il sole? Potrebbero are dei giorni, sai?» Miss cioccolato e cognac rimase imibile e lui continuò con lo stesso simpatico tono conciliante. «D’accordo, mi dichiaro colpevole di invadenza e di impertinenza aggravata e mi appello alla tua clemenza. Sentiamo, quale sarà la mia pena?» Amanda non era proprio in vena di riconciliazioni. «Potresti salire su una di quelle montagne là fuori e poi buttarti di sotto», gli propose con un tono cinico e poco conciliante. Quello dell’ironia era un gioco molto congeniale per lui, tuttavia la sorprese e la disarmò ancora una volta cambiando tattica e avvolgendola con il calore della sua voce. «Ti hanno mai detto che diventi più bella quando ti arrabbi? Ti si illumina il viso di vitalità. Il tuo pur splendido sorriso ha sempre un fondo di amara tristezza celato nei tuoi occhi, la tua rabbia invece è allo stato puro, uno spirito focoso in libertà. Non è una cosa che ti concedi spesso, vero?» Ecco! Mister impiccione stava ricominciando, soltanto che stavolta la sua collera fu superata dall’imbarazzo per quella esplicita avance e così benedì l’interruzione di Hans che portava rifornimenti e soccorsi. La ragazza si concentrò su quella pizza divorandola con gusto e ordinandone subito una seconda sotto gli occhi meravigliati del suo commensale. Ad un certo punto, sembrò aver dimenticato di essere arrabbiata. Probabilmente la pizza
l’aveva messa di buon umore e Peter ne approfittò. «Sei una buona forchetta. Non si direbbe a vederti» «Non lo sono, infatti. Ogni tanto mi vengono attacchi famelici e non c’entra la bulimia. Non faccio un pasto decente da un paio di giorni, quindi…» Amanda si aspettava una raffica di domande indiscrete perché gli aveva appena fornito uno spunto e lo aveva fatto volontariamente, invece lui le riservò un’altra sorpresa, dato che colse l’occasione per parlare di sé. «Sì, capitava anche a me, in ato, di saltare i pasti o di farne di irregolari fino a quando non venivo letteralmente assalito dai crampi della fame e trangugiavo un po’ di tutto, persino in piena notte. D’altra parte, era un genere di lavoro che non si poteva mollare prima di averlo portato a termine. Non sarebbe stato carino, non lo avrei trovato al mio ritorno», sorrise divertito. «Mi immagino la scena: Scusate, ora devo andare a pranzo. Tranquilli, torno dopo a finire» «E qual era il tuo mestiere? Devo tirare a indovinare? Vuoi mimarlo?», lo interrogò lei al colmo della curiosità. Peter scoppiò a ridere. «Perdonami, scordavo di non avertelo detto. Attualmente sono direttore dei sistemi di sicurezza presso i Lloyd di Londra, ma sono stato una specie di consulente particolare dell’interpool in qualità di esperto di esplosivi. In sostanza, occasionalmente, disinnescavo bombe e ogni genere di ordigno, da quelli di produzione casalinga a quelli sofisticati con componenti nucleari oppure ad alta tecnologia. E poi ovviamente li analizzavo per studiarne le modalità di fabbricazione e la provenienza. Questo forniva elementi essenziali ai fini delle indagini, qualcosa di simile a un’autopsia in un caso di omicidio», le raccontò tutto d’un fiato. Amanda sgranò gli occhi, incredula. No, non la stava prendendo in giro. In fondo, lo aveva visto all’opera, sezionava le menti delle persone come faceva con le bombe. Tirava i fili e le disinnescava o le innescava. «Non mi aspettavo niente del genere o magari sì, avrei dovuto. Il tuo era un modo per cercare di ammazzare il tempo? Una lotta all’ultimo sangue tra voi due?», s’informò. «Sì, pressappoco. È stato principalmente il frutto di un percorso personale di
studi e di ricerca. Dopo la laurea in chimica ho fatto l’artificiere per qualche anno nel corpo speciale della polizia svizzera finché non sono ato alla chimica applicata al settore informatico. Da lì il o è stato breve. Vedi, puoi costruire tranquillamente formule e modelli su un computer, simulare deflagrazioni, maneggiare virtualmente dalla nitroglicerina al plutonio. Questa competenza nel settore informatico unita a quella investigativa mi ha portato ai Lloyd tre anni fa allontanandomi dal mio primo amore» «Ne parli come del mestiere di avvocato o di medico», commentò lei colpita. «È così in un certo senso» «E dove metti il rischio?» «È ridotto al minimo, proprio grazie al prezioso ausilio dei computer. Sono degli alleati insostituibili. Un robot ti fa risparmiare tempo e spesso vite umane, inclusa la tua. È chiaro che bisogna saperlo usare. Gli studi di chimica e di fisica non bastano, l’informatica necessita di creatività e duttilità mentale. È praticamente un prolungamento del tuo cervello, più preciso, più efficiente, più metodico, solo un po’ meno elastico. E questo è un pregio e un difetto insieme. I computer non sono perfettamente autonomi e forse non lo saranno mai perché dovrebbero essere in grado di far fronte a un numero incalcolabile di possibili imprevisti di natura umana o ambientale» «Come i computer di bordo sugli aerei. Pare che la presenza del pilota continui ad essere indispensabile, nonostante le precauzioni tecnologiche. Giusto?», rifletté la ragazza a voce alta. Peter sorrise, sorpreso dalla prontezza di quel paragone più che appropriato. «Sì, esatto. Purtroppo, allo stato delle cose, in certi compiti delicati e pericolosi, non possiamo ancora sostituire la mano dell’uomo con il computer. Credo che sia un traguardo difficilmente raggiungibile a breve termine». «Ma è entusiasmante provarci, no? E, nel frattempo, da quelle parti, ti sei reso utile contribuendo ad evitare deflagrazioni…» «Già! Vedo che sei davvero interessata a quest’argomento», osservò tornando a stuzzicarla. «Lo trovo affascinante, le applicazioni dell’informatica ormai sono infinite. Nel
bene e nel male ce le ritroviamo ovunque. Posso chiederti, invece, com’eri finito a fare l’artificiere? È stato un caso o una folgorazione, se mi i il termine» «Te lo dirò ad una condizione» «Non importa, era una semplice curiosità», dichiarò lei richiudendosi subito nel suo guscio. «Sei incredibile!», le sorrise Peter contagiandola. «Non c’è bisogno che ti metta subito sulla difensiva. Non vuoi nemmeno sentire la condizione? Andiamo! Non voglio ricattarti, voglio soltanto sapere da dove vieni» «Pantelleria. È un’isola nel mar di Sicilia», rispose infine Amanda arrendendosi a quella richiesta così poco pretenziosa. «Lo so, ci ho trascorso una vacanza da bambino. È un posto incantevole», replicò sorprendendola. «Sì, suppongo che qualunque posto possa essere bello, se ci vivi bene e sei soddisfatto» Mister impiccione non approfondì il contenuto sibillino di quella frase, al contrario cominciò a raccontarle qualcosa della sua vita partendo proprio dalla Sicilia… «Anche mia nonna era siciliana. Me la ricordi per certi versi. Mi sembrava che lei sfatasse i luoghi comuni sulle donne del sud perché era sicuramente aperta, solare, apionata, però c’era sempre qualcosa di insondabile, di inafferrabile, un fascino etereo, solitario. Siamo stati molto legati fino alla sua scomparsa qualche anno fa. Era la mia baby-sitter preferita. Disponibile, comprensiva, si schierava dalla mia parte ogni volta che le mie scelte erano osteggiate in famiglia e lottava per tenerci uniti, nonostante tutto. Mio fratello Michael ha cinque anni più di me, è sposato, ha due bambini e soprattutto si occupa della piccola azienda di cartoline augurali creata dai miei a Berna. Avrei dovuto seguire le sue orme, ma quella vita mi andava stretta, non potevo vivere un’esistenza pianificata da qualcun altro. Fu mia nonna l’unica a sostenermi, mi finanziò persino l’università. Studiavo chimica a Zurigo quando mi imbattei nel mio destino. Un folle aveva piazzato una bomba a tempo e sigillato le uscite del laboratorio che a quell’ora avrebbe dovuto essere deserto e io ero rimasto intrappolato con due colleghi. Un artificiere, lottando contro il tempo, mi diede le istruzioni attraverso
la porta, così disinnescai il mio primo ordigno. La scarica di adrenalina che avevo provato era stata esaltante, mi aveva dato carica, concentrazione e una sensazione di potenza che mi portò ad avere fiducia nelle mie capacità. Ho smesso per ragioni burocratiche, perché bisogna appartenere ufficialmente a una squadra speciale e io non ho retto a lungo alla disciplina, ai regolamenti e alle restrizioni militari. Però ero piuttosto conosciuto nell’ambiente. Ce ne erano pochi in giro con le mie cognizioni e la mia esperienza» «Modestia a parte», concluse lei impressionata da quelle confidenze a ruota libera. «Se fossi stato modesto, sarei già morto probabilmente», sottolineò a scanso di equivoci. «E tu? Cosa fai?» Un po’ smarrita dall’intimità di quel resoconto familiare, la ragazza allentò leggermente le redini delle sue abituali difese. «Niente di emozionante. Il mio ultimo impiego era presso un’agenzia assicurativa. Non hai mai provato il brivido di stipulare una polizza per l’ultimo modello della Fiat?» «Perché non fai qualcos’altro?» «Lo sto facendo» «E sarebbe?» «Mi sono persa tra queste montagne» «Sì? Mi piace la tua nuova occupazione, comprende anche stringere nuove amicizie?» Peter le sfiorò la mano poggiata accanto alla sua sul tavolo e la strinse con dolcezza. Amanda si impose di non sollevare lo sguardo, le ci volle un po’ per decidersi a ritrarla lentamente e a troncare quell’atmosfera con un tono più distaccato. «Di cosa parlavi, poco fa, con tuo zio?», volle sapere tanto per cambiare argomento.
Peter l’aveva vista profondamente depressa, arrabbiata, incantata, fredda e scostante, ma ora era solo confusa. Ogni sfaccettatura gli appariva speciale perché ciascun lato della sua personalità si armonizzava naturalmente con tutto il resto, come una colonia di madrepore su una scogliera. Non era una donna comune, forse lo sapeva, ma non in senso positivo. La stava ancora scrutando e non si lasciò distrarre. «Amanda. Un nome insolito in Italia, malgrado le radici latine», osservò. «Lo scelse mia madre quando conobbe la sua amica Amanda durante una vacanza studio in Inghilterra. In quel periodo divennero molto affiatate, anche perché erano entrambe insegnanti» «Erano? Adesso non lo sono più?» «Mia madre è morta subito dopo la mia nascita e la mia omonima è rimasta vittima di un incidente dieci anni fa, prima che potessi incontrarla», gli spiegò senza scomporsi. Nessuna emozione era trapelata da quello scarno resoconto e lui sembrò rispettare il suo contegno. «Mio zio vorrebbe che suonassi qui la sera, ti interessa?», le propose, alcuni secondi dopo, di punto in bianco. La ragazza rimase disorientata per quel repentino mutamento di rotta, poi digerì le sue parole. Suo zio voleva... «Mi stai offrendo un lavoro, per caso?», gli chiese cadendo dalla nuvole. «Non io. Mio zio», si ostinò a sottolineare. Lei lo fissò con grande diffidenza. Come sapeva che aveva bisogno di soldi? Beh, era facile immaginarlo, no? Questa volta il suo intuito non aveva sicuramente fatto gli straordinari e probabilmente Peter aveva lo scopo recondito di incoraggiarla a concretizzare la sua ione per la musica. Ma intanto mister impiccione interpretò il suo mutismo per un segno di incredulità. «Guarda che la proposta di mio zio non è uno scherzo. Se vuoi, ti faccio un corso accelerato di tedesco, una specie di full immersion, così potrai
parlare direttamente con lui» Miss cioccolato e cognac si riscosse dalle sue considerazioni e sorrise. «No, grazie. Penso di poterti credere» «Bene. Suppongo che tu conosca la musica leggera...» «Naturalmente. Vivo anch’io in questo secolo» «Sul serio? Non ci avrei giurato. Questo vuol dire che sei in grado di cantare? Magari stile piano bar? Sono certo che a mio zio piacerebbe» «Sì, un po’. È una questione di esercizio. Contrariamente a quanto si crede, ci vuole più orecchio che voce per cantare, non per cantare come Pavarotti, ma per andare a o con la melodia. Se sai ascoltare veramente la musica, è difficile stonare» «Ah, sì? D’ora in poi, se qualcuno dovesse chiedermi di cantare, gli dirò che la voce ce l’ho, però mi manca l’orecchio», scherzò ridacchiando. «Oh, smettila buffone! Scommetto che perfino tu canti sotto la doccia» «Lo ammetto. Se un giorno volessi ascoltarmi... Potresti darmi delle lezioni private per migliorare», la provocò cogliendo quella ghiotta occasione. «Perché non vai subito a farti una bella doccia fredda?», gli tenne testa lei senza lasciarsi intimorire. «E tu mi raggiungerai?» «Prima o poi... Chissà!», gli rispose giocando al suo stesso gioco. «Sono tentato di prenderti in parola», dichiarò con un sorriso malizioso. «Non ti conviene. Ti troverei quasi congelato», l’avvertì ricambiando il sorriso. «Ho detto prima o poi, per puro spirito umanitario» «Oh, ma io ti darei dei suggerimenti sul modo di scongelarmi, se ti dovesse mancare la fantasia» Amanda lo guardò dolcemente spazientita, ormai incapace di adirarsi con quella
faccia da schiaffi. «Mi spieghi come siamo arrivati a questi discorsi?» «Tu stavi per accettare il lavoro di mio zio», le ricordò. «Non ho detto di sì» «Stavi per farlo quando ci siamo messi a fantasticare sul nuovo musical, “Cantando sotto la doccia”» «Davvero divertente. Comunque mi pare che la tua sia una vera e propria mania. Ogni volta che non ti dico no, tu pensi automaticamente che sia sì» «Sono un uomo semplice. Di solito o vai a destra o a sinistra, se non vuoi restare fermo» «Oh, sei insopportabile! Non hai una ragazza da qualche parte che non aspetta altro che essere assillata e tormentata da te?» Amanda si pentì immediatamente di quella osservazione, era sicura che non avrebbe esitato a usarla contro di lei e non fu smentita. «No, nessun legame fisso al momento. E tu? Qualche poveraccio da disorientare?» Lei abbassò le palpebre, divenne irrequieta e impenetrabile all’istante. Il tumulto che le si rimescolava dentro era troppo intimo, troppo recente per riuscire a parlarne, e poi non sapeva più cosa provava per Mario. Quel palese e repentino mutamento d’espressione insospettì il suo interlocutore. «Ho toccato un tasto delicato?» «Di’ a tuo zio che accetto il lavoro, ma senza una scadenza fissa. Da un giorno all’altro potrei decidere di andar via e voglio essere libera di farlo» Quel poco che Peter intuì dalla sua reazione, lo mise in agitazione. Eppure la conosceva da un paio di giorni, non poteva tenerci così tanto. O forse sì, forse quella speciale intesa che scatta a volte tra due persone non ha bisogno di lunghi tempi di collaudo. Non portava la fede, era già qualcosa, però non gli bastava. «Era una cosa seria o
lo è ancora?», s’informò. Amanda assunse un tono distaccato e si nascose dietro una maschera di indifferenza. «Per me il lavoro è sempre una cosa seria» «Non stavo parlando del lavoro» «Io sì. Buonanotte» Con una rapidità più fulminea della sua, Peter aveva anticipato le sue mosse, l’aveva afferrata per un braccio e la tratteneva gentilmente, ma con forza. La ragazza lo fronteggiò e rispose al suo silenzioso sguardo. «Non ti devo niente, non ti ho obbligato a confidarmi le tue vicende personali, lo hai fatto volontariamente» Poi lei abbassò gli occhi su quella mano attorno al suo polso. Lui recepì il messaggio, allentò la presa e finse di lasciarla, invece la incatenò in un forte abbraccio carico di tensione. Quel gesto, da solo, le stava ottenebrando la mente e alterando la respirazione; fissandolo sentì che era una sensazione reciproca. Erano così incollati che i battiti cardiaci si confondevano. Con studiata lentezza, Peter le sfiorò appena le labbra con le sue in una serie di piccoli tocchi. Lungi dal ritrarsi, Amanda gli restituì il bacio con gli interessi, schiuse le labbra per invitarlo ad approfondire quel contatto e intanto gli ava le braccia dietro la nuca. Non aspettando altro, lui insinuò la lingua nella sua bocca per alcuni secondi finché il fragore di un tuono non interruppe la loro personale tempesta. Senza neanche una parola né uno sguardo, la ragazza si svincolò e si dileguò. A quell’ora tarda, l’unico discreto spettatore era stato Hans. Si avvicinò sorridendo al nipote, troppo scombussolato per muoversi. «Scommetto che dubitavi dell’esistenza dei colpi di fulmine», osservò con un sorrisetto pieno di sottintesi. «Se non ci fosse stato quel tuono, avrei dovuto lasciarvi soli. Mi piace quella giovane donna, sai? Ci mette l’anima quando suona e ti rivolge sempre un sorriso, anche se è triste»
Non avrebbe potuto descriverla meglio, pensò Peter mentre si riabituava al suono della sua lingua madre e gli rispondeva scherzando. «Lei ricambia la tua simpatia, sai? Per mia fortuna non parli italiano, altrimenti me l’avresti già soffiata da sotto il naso» «Perché? Non credi che sia cotta di te?», gli domandò sorpreso dai suoi dubbi. «Non del tutto» «E quanto tempo resterà?» «È questo il punto. Spero il tempo necessario per non farla più andare via, non senza di me», sospirò infine.
Capitolo 4
Il mattino successivo Amanda uscì presto dopo una notte insonne. Andò a Berna con l’intenzione di chiamare casa per dare sue notizie. Voleva allontanarsi da quel rifugio in cui si era sentita e si sentiva a suo agio, libera di essere se stessa, fino in fondo. Paradossalmente ne aveva quasi paura. La libertà è un po’ come l’alcool, va preso a piccole dosi, se non si è abituati, altrimenti può dare alla testa. Infatti, aveva già perso il controllo, e non solo con Peter. Non poteva telefonare da lì alla sua famiglia che l’aveva sempre considerata saggia, serena, equilibrata, onesta e che ora presumibilmente non sapeva cosa pensare, nella migliore delle ipotesi. Così, prese il coraggio a due mani, e compose il numero da una cabina. Aveva il cuore in gola e sudava freddo, le capitava spesso ogni volta che affrontava degli esami. Mister impiccione aveva proprio colto nel segno, si sentiva costantemente sotto esame, sotto l’esame di suo padre. Fortunatamente non fu lui a risponderle. Sua nonna si mostrò dapprima molto sollevata, poi la investì di domande e di rimproveri. In quel fiume di parole, la ragazza riuscì a comprendere che suo padre si rifiutava di parlarle e Mario si era barricato in casa; aveva chiesto il trasferimento ad un’altra filiale della sua banca, però voleva che lei lo chiamasse, che avesse il coraggio di incontrarlo un’ultima volta, almeno questo glielo doveva. Amanda disse soltanto che stava bene, fu vaga sulla data del suo rientro e non reagì alle sollecitazioni melodrammatiche di sua nonna per farla sentire in colpa: disonore, onta, infamia. Quando riattaccò la cornetta del telefono, le rimase, oltre a un senso di desolazione, una morsa allo stomaco e una forte nausea. Ma non aveva fatto colazione, non aveva niente da vomitare, a parte le sue paure e le sue frustrazioni. Non sarebbe mai stata capace di liberarsene completamente, se non avesse affrontato Mario e, in seguito, suo padre.
La voce del suo ex le gelò il cuore. La conversazione fu lapidaria. Concordarono di incontrarsi il sabato successivo in un locale vicino alla stazione di Berna. Era impietrita dal freddo intenso che c’era fuori e dentro di lei. Aveva il terrore che quella sensazione di vuoto sarebbe durata per sempre, che niente e nessuno avrebbe potuto farla sentire viva e felice. Forse dentro di sé pensava perfino di non meritarselo più. Rientrando al rifugio, si rintanò direttamente nella sua stanza. Dimenticò anche di pranzare perché il suo spirito era troppo impegnato a cibarsi di problemi familiari: ansie, complessi, inibizioni. Sembrava aver cancellato dalla memoria gli ultimi due giorni come se non fossero esistiti. Nemmeno Peter era esistito, almeno finché non bussò ripetutamente alla sua porta, nel tardo pomeriggio, e se lo ritrovò davanti con un’espressione a metà tra la preoccupazione e il rimprovero. «Si può sapere che fine hai fatto? Sei sparita nel nulla per tutta la mattina. Sono andato fino a Berna a cercarti» Lei lo guardò a bocca aperta, stava cercando di uscire dalla sua apatia quando lui la fissò allarmato. «Cosa ti è successo? Stai male?» Amanda dovette impiegare ogni briciola di energia per concentrarsi sulle sue parole. Aveva il tono assente di chi viene svegliato in piena notte. «No, sto bene. Mi dispiace che tu ti sia preoccupato. Se ben ricordo, non avevamo un appuntamento» «No, ma sarebbe stato carino da parte tua lasciarmi un messaggio come sarebbe carino evitare di dirmi che stai bene perché è evidente che non è vero» Mantenendo lo stesso atteggiamento indifferente, la ragazza tentò di liquidarlo. «La mia salute non è affar tuo, e quanto ai miei spostamenti, non sapevo di doverteli comunicare. Credevo di essere un’ospite qui, non un ostaggio» «Un ostaggio, eh? Potrebbe essere un’idea», la pungolò per alleggerire la conversazione. Questa volta lui non era stato in grado di strapparle neanche un sorriso, le strappò invece delle inutili scuse. «D’accordo, avrei potuto avvertirti. Mi spiace, ero presa da altri pensieri», si giustificò alla fine.
«Qualcosa di cui non vuoi parlarmi o dovrei dire qualcuno di cui non vuoi parlarmi», concluse Peter amaramente. Amanda non rispose, aveva un bisogno disperato di allontanare il dolore, la colpa, la paura, in qualunque modo, magari alimentando la luce di desiderio che sapeva di avere in lui. Si avvicinò fissandolo intensamente con quegli occhi un po’ spiritati. «Perché non la smetti di girarci intorno?» «Non sono sicuro di capire» Lo sguardo invitante di miss cioccolato e cognac, la voce sinuosa, carezzevole e la mano fatta scivolare ostentatamente sul suo petto furono segnali inequivocabili. «Oh, sì che hai capito», lo provocò di proposito. Sconcertato, ma troppo eccitato per respingerla, Peter la trasse a sé con un gesto deciso e, senza che nessuno dei due si rendesse conto di ciò che stava accadendo, le loro labbra si ritrovarono incollate in un bacio all’ultimo respiro, prepotente, incalzante, esigente. Stretta fra le sue calde braccia, la ragazza cercò di trattenerlo quando lui esitò prima di spingersi al punto di non ritorno. Perché doveva essere sempre così difficile per lei lasciarsi andare? Lo voleva e non le importava nient’altro. Era smaniosa di vivere quella ione, subito, in quel momento e al diavolo tutto il resto. Il suo corpo lo desiderava e reagiva a quelle carezze e a quei baci con un impeto e un trasporto che quasi la spaventava. Pur nella piena consapevolezza di quanto fosse sbagliato, non si sarebbe tirata indietro, se lui non avesse percepito qualcosa di disperato in quel totale e improvviso abbandono. Infatti, la allontanò lentamente ma con fermezza. «No, non in questo modo», mormorò. La sua voce era ancora roca. Proseguì dopo aver ripreso il dominio della situazione mentre lei rimase a fissarlo, svuotata, immobile e inespressiva. «Non mi piace essere usato come salvagente, ignorando, fra l’altro, la ragione per cui stai annegando. Si è stabilito un contatto tra di noi al di là dell’attrazione, lo sento io e lo senti tu. Non possiamo ridurlo a qualche litigata, un paio di schermaglie e un po’ di sesso. No, dovrai dirmi di più, molto di più. Le tue briciole non mi bastano e la mia perspicacia ha dei limiti. Non so per cosa o per chi stai soffrendo, non so perché il tuo sorriso non è mai completamente vero, né
perché il tuo sguardo è così malinconico. So soltanto che riesco a vedere le tue lacrime persino quando hai gli occhi asciutti, le ho viste la prima volta che ti ho incontrata, le ho viste la sera in cui hai suonato il pianoforte e le vedo anche adesso» Amanda lo guardò afflitta, stava tornando in sé e la debolezza la fece crollare. Gli occhi le si riempirono di lacrime e non fu in grado di fermarle, non ne aveva la forza. Si rifugiò inerte tra le braccia di Peter finché le sue tenere carezze lenirono, in parte, quell’angoscia. Poco dopo gli bisbigliò qualcosa che suonò come una riflessione a voce alta. «Ho dimenticato di mangiare oggi» «L’hai dimenticato, eh? Ti succede spesso ultimamente. Dovresti ricorrere ad un promemoria», le sorrise lui porgendole il fazzoletto. Poi la strinse di nuovo a sé mentre lei accennava un debole sorriso. «Andrà tutto bene, vedrai», le assicurò. Non sapeva di cosa stesse parlando, però lo disse lo stesso. A volte abbiamo bisogno di sentirci dire quelle banalità e quelle ovvietà a cui nessuno crede veramente, né chi parla né chi ascolta, ma che danno l’illusione di rincuorarci. Nonostante fosse ancora inappetente, non si oppose quando mister impiccione ordinò un pasto in camera. «Una minestrina in pieno pomeriggio?», gli chiese adocchiando il vassoio con sospetto. «Non è una minestrina, è una zuppa di legumi e cereali e qui c’è una bella tazza di caffè. Hai bisogno di energie e non sarebbe necessario consumarla fuori orario se ogni tanto non ti asse di mente di doverti nutrire. Per fortuna respirare non dipende dalla tua volontà, altrimenti saresti all’altro mondo da un pezzo» Amanda sorrise dolcemente di quelle simpatiche premure e lo fissò con riconoscenza mentre si apprestava ad obbedire. «Grazie» «Non ringraziarmi. L’ho fatto mettere sul tuo conto», puntualizzò ridendo. Per l’ennesima volta le aveva risollevato lo spirito. «Quello che si dice un vero gentiluomo, no?»
Dopo aver ripulito diligentemente il vassoio, la ragazza iniziò a riacquistare forze e lucidità. Dovette quindi ammettere che la presenza di quella specie di cavalier servente si era rivelata benefica e indispensabile sin dalla prima sera. «Hai praticamente vegliato su di me. Perché?», lo interrogò. «Non per approfittarne, lo avresti già fatto. Ti sei preso cura di me, mi sei stato vicino senza sapere se fossi una criminale in fuga o una maniaco depressiva. Perché? Davvero ti basta frequentare una persona un paio di giorni per capire chi è?» «A volte sì. Ci sono persone che vivono insieme da anni, parlano la stessa lingua ma non si comprendono» «Sì, ne conosco un paio. Io e mio padre», sospirò afflitta. Il lungo, calcolato silenzio di Peter insieme con gli effetti residui di quella giornata abulica le strapparono una malinconica confidenza. «Non mi ha mai ascoltato suonare. Certo, mi sentiva ma non ascoltava. Il nostro era un classico dialogo tra sordi, quando non era tra muti. E io mi sono adeguata a contestarlo sul suo stesso terreno. I suoi silenzi contro i miei, le sue battute taglienti contro le mie, fino alla tregua armata dei vent’anni o giù di lì. Poi crescendo ho cominciato a reclamare e ad ottenere quel rispetto e quella considerazione che ormai non servivano più al mio equilibrio, né alla mia personalità. Perfettamente consapevole di quanto il destino gli fosse stato avverso, lo giustificavo, accettandolo così com’era, mentre lui rimaneva deluso, se non stizzito, nello scoprire il profondo divario tra il mio modo di vedere le cose e il suo. I miei tentativi per restituirgli l’antico vigore fallivano miseramente e la fiducia nella vita si dileguava per entrambi. Ero stata timida, chiusa, introversa e, nella mia solitudine, continuavo a raccogliere i frutti di quella cronica infelicità. Non sarei sopravvissuta senza la mia musica, non mi ha mai deluso, non mi ha mai tradita, mi ha sempre compresa e mi ha aiutato ad adattarmi a situazioni che non avrei potuto cambiare» «Forse hai finito con l’adattarti a troppe cose, anche a quelle che potevi cambiare», osservò lui. «Quando intraprendi la strada dell’accettazione, finisci col non distinguere più tra accettazione e rassegnazione, magari per abitudine. Ci sono persone che hanno dei sogni veri, apionati, forti, ma che non hanno e non avranno mai la forza per realizzarli. E allora si lasciano morire insieme con i loro sogni. Tu non sei fra questi, lo sento, lo vedo. Dici di dovere tanto alla
musica, sostieni che non ti ha tradito, né delusa. Non ti sei chiesta però se tu hai tradito lei e te stessa? Finora, da quanto ho capito, hai percorso solo viottoli ciechi oppure stradine di montagna che conducono a sperduti rifugi e ad occasioni inaspettate, come il piano bar qui sotto. Non l’avrai dimenticato?» Amanda sbarrò gli occhi terrorizzata. «Santo cielo! L’avevo scordato! E adesso che faccio? Non sono preparata» «Meglio. Sarai più spontanea, più naturale. Li farai innamorare» “Con me l’hai già fatto”, aggiunse Peter nella sua mente. Quelle parole e quel tono caldo, tenero e confortante, la distolsero dalle sue paure. Si sorprese invece a concentrarsi su di lui e su quello sguardo ammaliato. Un’emozione completamente nuova e sconosciuta la percorse dalla testa ai piedi, ò attraverso il battito accelerato del suo cuore poi risalì dalla gola fino a schiuderle le labbra tremanti. Continuando a fissarla, lui le prese delicatamente il volto tra le mani e la baciò a lungo, languidamente. Quando si scostò, le sorrise. «Beh, il minimo che tu possa fare è dedicarmi una canzone. Mi raccomando, niente panico. Sarai magnifica», le bisbigliò. La ragazza ricambiò il sorriso allontanandosi a malincuore. «Vorrei avere la tua sicurezza», affermò con un pizzico di ansia. «Non ne hai bisogno. Hai la tua, forse l’avresti vista, se non fossi sempre impegnata ad angosciarti per tutto» Non seppe rispondere a quell’osservazione, così lo lasciò andar via in silenzio. Mezz’ora dopo, lo raggiunse nella hall. L’aspirante pianista da piano bar aveva adottato un look minimalista. Il semplicissimo tailleur blu notte con la gonna stretta e lunga le conferiva un aspetto dannatamente seducente. I capelli, stirati con la spazzola e sistemati dietro le orecchie, mettevano in risalto i suoi lineamenti da diva anni sessanta. Se si fosse applicata con minigonna, trucco marcato e capelli vaporosi probabilmente non avrebbe ottenuto lo stesso effetto. Sembrava uscita dalle pagine di Vogue. Certo, Peter era ormai irrimediabilmente schiavo del suo fascino, un fascino dolce, melodioso, sorprendente e accattivante come la fusione della sua voce con le note del pianoforte. Le mani, agili e sicure, scorrevano sui tasti in un rapporto
intimo e segreto con quei suoni. C’era tutta se stessa in quella musica, nelle canzoni romantiche e toccanti, in quelle allegre e spensierate dai ritmi trascinanti. Si divertì a rispolverare colonne sonore di film, vecchi e nuovi, e ad alternare gli ultimi brani dal sapore latino-americano con il tradizionale coinvolgente repertorio napoletano. Fu un successo insperato e inatteso che si prolungò fino a tarda sera. Alla fine non le parve vero di potersi finalmente rintanare nella sua stanza a ringraziare il suo più fervente ed entusiasta sostenitore. Peter continuò ad osannarla finché non notò il suo sguardo, sereno ma affaticato, mentre si appoggiava ai piedi del letto. «Mi sento a pezzi. È stata una giornata faticosa, iniziata all’inferno e finita in paradiso. Piuttosto stressante. Non ho neanche la forza di togliermi i vestiti», annunciò d’impulso. Poi sollevò lo sguardo sorpresa, tardivamente consapevole dell’ambiguità delle sue parole. Più che un congedo, quella frase era suonata come un invito. E lui la accolse per quello che era, al di là delle intenzioni apparenti. I suoi occhi la scrutarono recependo il suo assenso. Un mormorio appena udibile fu il preludio dell’inevitabile. «Questo non è un problema», dichiarò con un filo di voce. In una frazione di secondo, fu a pochi centimetri da lei, le sfiorò le labbra per un tenero istante e lasciò scivolare le mani dal collo al primo bottone della giacca fino a farla cadere, quindi armeggiò con la lampo della gonna per riservarle lo stesso trattamento. Malgrado il respiro corto, il suo tocco era lungo, leggero e Amanda si godeva l’ardore di quelle audaci carezze sulla pelle surriscaldata. Peter tentennò fissando le splendide gambe che spuntavano dalla mini sottoveste di seta nera. Poi un sussurro ansimante le giunse all’orecchio. «Sei sicura di non aver bisogno di dormire?» La ragazza sorrise, senza fiato. «E me lo chiedi adesso? Ho bisogno solo di te», gli confessò senza pudore. Con un ardire di cui non si credeva capace, lo aiutò a liberarsi dei vestiti, le sue mani lo circondarono e scivolarono smaniosamente sulla sua schiena. Privo di ogni controllo e ormai vicino alla soglia massima di eccitazione, Peter
fece sparire anche la sottoveste e le scintille si accesero sul letto una dopo l’altra. Le sganciò il reggiseno quando il percorso delle sue labbra ne fu intralciato. A quel punto ricoprì di baci i suoi seni e, mentre lei affondava le dita nei suoi capelli gemendo in silenzio, lui proseguì. Il contatto della sua pelle era un piacere indescrivibile, un contatto sempre più esigente che indugiò sui fianchi, si insinuò tra le cosce. Con lo sguardo reso cupo dalla ione, lui ispezionò ogni sua curva, cercò di nuovo la sua bocca prima che gli ultimi indumenti cessassero di ostacolare l’unione totale dei loro corpi. Dopo ci fu solo l’estasi, quell’attimo di oblio che annulla tutto, pensieri, spazio, tempo e che lascia un delizioso senso di spossatezza, di appagamento e il desiderio di riviverlo ancora e ancora fino allo stremo, fino all’alba.
Capitolo 5
Quel giorno l’alba non ci fu. La luce del sole, oscurata da nuvoloni grigi e minacciosi, non ebbe modo di illuminare il loro dolce risveglio. Nessuno dei due aveva voglia di alzarsi. Amanda si limitò a cambiare indolentemente posizione, usando il torace di Peter come cuscino. Solo allora cominciò a separare i sogni dai ricordi. Non aveva mai provato niente di simile con Mario. Questo pensiero la intristì. «Si può essere felici e infelici allo stesso tempo?», chiese in un mormorio appena udibile. Lui tacque, immobile e pensieroso. Quella era una riflessione, non una domanda, ma andava approfondita. Lei era così vicina, eppure la sentiva lontana. Nel tentativo di raggiungerla le accarezzò teneramente i capelli, poi diede voce al suo bisogno di sapere. «Perché sei infelice?» Non ottenendo risposta, Peter ricorse a una battuta, una frase fatta per tutte le occasioni. «Non dirmelo. È una lunga storia, giusto?» Amanda non si mosse e, confortata dalle sue carezze, decise di non privarlo ulteriormente di una spiegazione. «Scusami, quassù a volte si ha l’impressione che il resto del mondo non sia mai esistito. Vedi...», si bloccò di colpo, sussultando. «Cos’era?» «Cosa?» «Quella specie di scamlio» «Ah, sì! Sono le camle dei cani da slitta di mio zio. Ti sei spaventata? Perché?» Amanda si alzò e, sospirando, si avvolse nella vestaglia. «Ho un conto in sospeso con le campane. Erano le campane di una chiesa»
Lo guardò in faccia per osservare meglio la sua reazione quando gli lanciò la bomba, metaforicamente parlando. «Sono scappata il giorno del mio matrimonio» Quella di Peter non fu una vera reazione. Era soltanto incredulo. «Stai scherzando?» «No, non si è divertito nessuno, neanch’io» «L’hai piantato all’altare?» «Non proprio. Sono fuggita prima che mi portassero in chiesa. Gli ho lasciato una lettera. Probabilmente me la farà mangiare quando lo vedrò sabato» Peter si sollevò dal letto allarmato. «Sabato?» «Sì, ho chiamato casa ieri mattina, mia nonna mi ha riferito un suo messaggio e ho dovuto accettare un ultimo incontro» Peter la scrutò con uno sguardo strano come se si sentisse tradito o ferito. Nemmeno il dettagliato racconto di quell’amore incoraggiato dal padre, del matrimonio e della fuga sembrò soddisfarlo. «Capisco…», commentò laconicamente, ma non apparve molto convinto. «Lo ami ancora?» Era questo che lo stava tormentando ed era più che naturale. La risposta lo era un po’ meno. «Non lo so. Dipende da cosa intendi. Gli voglio bene ovviamente. È stato il mio primo amore. Non volevo fargli del male, non volevo farlo soffrire. Non credo sia un buon motivo per sposare qualcuno» Peter, apparentemente rilassato, sorrise con comprensione. «No, direi di no. Evidentemente eri confusa, sentivi la necessità di qualcos’altro e, se posso permettermi...di qualcun altro» Amanda ricambiò quel sorriso con sospettosa amarezza. «Un discorso di parte il tuo, ma hai ragione. Però, malgrado la tua clemenza, il mio comportamento è stato ignobile, imperdonabile»
«E ti senti in colpa», dedusse lui facilmente. «Non dovrei, secondo te?» «No, perché non serve a nessuna delle persone coinvolte, te compresa» «E invece sì, mi fa sentire più partecipe e meno carogna. A te non fa soffrire il dolore di qualcuno a cui tieni?» «Hai sempre una risposta pronta quando si tratta di giustificare le fustigazioni che ti infliggi, vero? Certo, la tua sensibilità è commovente, ma poco pratica e poco salutare. Perché non la vedi in un’altra prospettiva? La tua era una situazione difficile anche prima di legarti al tuo ex, mi pare di capire. La sua presenza ha ulteriormente complicato le cose, le ha portate alla luce e alla fine le ha fatte precipitare. Era inevitabile. Hai fatto un favore a te stessa e uno a lui. Quanto credi che sarebbe durata altrimenti?» La logica stringente di quel ragionamento non la convinceva completamente. «Una filosofia un po’ troppo spicciola», sospirò lei. «Sono fatto così. Prendere o lasciare», tentò di scherzare lui. «Ti ho appena preso, perché dovrei lasciarti?» «Giusto, allora nei prossimi tre giorni si fa a modo mio. Niente ato, niente colpe o ansie. Intesi?» E, in effetti, quei tre giorni trascorsero piacevolmente con la velocità di un fulmine tra escursioni, lezioni di sci e corse con la slitta. Le notti di ione e le serate al piano bar, sotto lo sguardo benevolo e compiaciuto dello zio Hans, completarono il romanzesco soggiorno svizzero di Amanda. Miss cioccolato e cognac aveva preso confidenza con la montagna e aveva imparato in fretta, forse più ad essere spericolata che a maneggiare le slitte. Scivolava da un pendio a rotta di collo e ormai il suo umore era notevolmente migliorato. Ma purtroppo durò poco… Quel venerdì qualcuno l’attendeva all’ingresso del rifugio per riportarla alla realtà.
Amanda rallentò i suoi i di colpo mentre Peter metteva a fuoco la stessa immagine che lei stava fissando. Stentò quasi a riconoscerlo. Era sempre impeccabilmente ordinato, in giacca e cravatta, mocassini e calzini in tinta. Ora aveva infagottato la sua media statura in una ingombrante tenuta da neve, la barba lunga smagriva quel volto stanco, e il berretto di lana, calato sulle sopracciglia, accentuava il buio dei suoi occhi scuri. Peter capì all’istante la situazione, scambiò un’occhiata poco amichevole con quell’uomo e sparì dentro, in silenzio. Giunta proprio di fronte a lui, la ragazza provò un forte impulso di correre fra le sue braccia a confortarlo, ma non si mosse finché una voce fredda e amara non le penetrò nel cervello. «Non ho potuto aspettare fino a sabato. Neanche tu, mi pare, e non negarlo. Ti si legge in faccia. È stato un colpo di fulmine? Il grande amore? Il principe azzurro?», l’accusò facendo cenno alla porta appena chiusa. Non sarebbe stato onesto tacere e nascondersi dietro una pietosa bugia o, peggio, insultare la sua intelligenza. Lui li aveva visti insieme e non era uno stupido. Forse non gli faceva un favore, però sentiva di dover essere sincera. «Non so cosa è stato», cercò di giustificarsi. «Ma lo ami...», la incalzò con un tagliente tono di sfida. Una sfida che Amanda, pur sorpresa, fu dolorosamente costretta ad accettare, confessando finalmente a se stessa i suoi sentimenti. «Credo di sì» Lo vide trasalire come se una valanga lo avesse appena investito. Divenne ancora più sprezzante. «E non ti sembra assurdo?» «Sì» Non sarebbe riuscita a consolarlo e una menzogna non lo avrebbe aiutato. La sua commiserazione non sarebbe stata un conforto. Ma quelle brevi, scarne e purtroppo crude risposte aizzarono la sua collera. «Beh, vedo che sai pronunciare quella parola quando vuoi. Sì, sì, sì...», la investì urlando. «Hai ato la notte con lui? Sì, vero? Io ti ho corteggiato per mesi…e
ora uno sconosciuto…» «Insultami, se ti fa sentire meglio. Non reagirò perché non sono pentita», lo sfidò a quel punto. «Di cosa? Di avermi piantato? Di avermi lasciato ad aspettare in chiesa come un imbecille? Di avermi umiliato? O di esserti infilata nel primo letto che ti è capitato? No, è chiaro che non sei pentita» Amanda subì quella tirata ivamente perché sentiva di meritarsela. «Non avrei voluto. Io ti voglio bene», mormorò inghiottendo le lacrime. I suoi occhi la penetrarono con grande astio e la sua voce ormai era palesemente sferzante. «Ma non sei innamorata di me. Giusto? Beh, va’ all’inferno!» «Ci sono già stata», le sfuggì con il cuore ferito e dolorante. Ma l’inopportunità di quella istintiva e precipitosa affermazione accese l’ennesima miccia nell’animo risentito del suo ex. «Tu ci sei stata? Davvero? Insieme con il tuo nuovo amichetto svizzero? Cosa vuoi adesso? Che ti perdoni, che ti assolva, che ti risollevi la coscienza? Scordatelo!» Mario si allontanò di alcuni i, furente, poi si fermò per un tempo indefinito. Aveva gli occhi vitrei per la rabbia, non lo aveva mai visto in quello stato. Ed era colpa sua. Era stata lei. Erano al riparo sotto il portico, quando un leggero nevischio sorprese il loro pesante silenzio e, in pochi minuti, sembrò raffreddare anche l’ira del suo mancato marito. «Mi ero ripromesso di non fare scenate, avevo pensato che era stato il panico, che forse alla fine...», scosse la testa senza guardarla. «Quella lettera mi è sembrata un’assurdità all’inizio, un cumulo di sciocchezze prese a prestito da qualche romanzo alla moda. No, avevi ragione invece, non c’era trasporto, non c’era convinzione in te, c’era solo una sorta di senso del dovere. Sostieni di avermi amato, ma non sapevi niente dell’amore. Certo, questo non giustifica il tuo ripensamento» «No, non ho valide giustificazioni»
Mario sospirò, era a pochi i da lei e riusciva a percepire il suo profumo. «Vorrei poterti odiare, sarebbe più facile» Amanda era visibilmente e sinceramente provata da quell’intreccio di sentimenti. «E io vorrei poterti amare, te lo meriteresti» Si strinsero simultaneamente in un forte abbraccio che per un istante annullò tutte le distanze, persino quella creata dall’imbottitura dei giacconi. Il distacco fu struggente, gli occhi lucidi di quell’uomo sofferente appannarono penosamente anche lo sguardo di colei che un tempo aveva accettato di sposarlo. Quell’addio aspro, duro e triste le inflisse poi il castigo finale...
Peter si materializzò dietro di lei pochi secondi dopo la partenza di Mario. La circondò con le braccia e le si strofinò addosso. Quell’incontro anticipato e improvviso l’aveva stordita, ma non istupidita, quindi gli chiese conto del suo tempismo perfetto. «È appena andato via. Devo far finta che sia casuale?» «Lo apprezzerei. La visuale dalla finestra era pessima e l’acustica perfino peggio, se a un certo punto lui non si fosse messo a urlare», le confessò con una buona dose di sincero humour. Amanda chiuse gli occhi sorridendo. Poi due lacrime solitarie sfuggirono al suo controllo, ma non a quello di Peter. Comunque, lui non le avrebbe alimentate. In fondo, ne sapeva abbastanza, così si limitò a stringerla forte a sé. «Ehi, che ne dici se andiamo via anche noi? La mia vacanza è quasi finita» «Noi?», gli domandò corrugando la fronte. Aveva confessato al suo ex e a se stessa di amarlo, però doveva ancora digerirlo. «Sì. Londra può offrire grandi opportunità per un talento musicale come il tuo» «Mi stai invitando a trasferirmi in un altro paese? È una follia!»
«Perché? Cos’hai da perdere? Un lavoro? Un fidanzato, degli amici veri? Una famiglia che ti accoglie a braccia aperte? Scusa, se sono così brutale» «No, non importa. Vedi...il fatto che non abbia niente da perdere a casa, non implica automaticamente che abbia qualcosa da guadagnare altrove», sottolineò prima di correggersi, notando la sua espressione ironicamente offesa. «Beh, a parte te» «Non mi va di essere messo da parte. Ti ho appena fatto una proposta seria» La ragazza inarcò le sopracciglia e lo scrutò, scettica. «Non l’avevo capito, perdonami. In pratica, mi stai chiedendo di venire a vivere con te» «In pratica» «Perché?» «Hai proprio la mania dei perché. Probabilmente per lo stesso motivo per cui tu stai per dirmi di sì» Miss cioccolato e cognac lo fissò non potendo fare a meno di ammirare la sua sicurezza e quella maniera contorta di dichiararsi. Questo però non le impedì di tenerlo sulla corda mentre la sua mente cercava una risposta definitiva nel suo cuore. «Ne sei davvero sicuro?» «No, non completamente, ma c’è una luce adesso nei tuoi occhi che... Soltanto quando suoni brillano in un modo simile. Non vuoi darmi la certezza che ho ragione? O stai aspettando che, dopo avertelo ampiamente dimostrato in questi giorni, anzi in queste notti, ti confessi, io per primo, quanto ti amo?» Il viso le si illuminò di gioia pura. «Mi piace questo tipo di confessione. Me la consigli?» «Caldamente, diciamo che te la prescrivo» «Non sei un dottore» «No, ma ti sto aiutando a guarire le tue ferite, no?» «Sei un po’ troppo presuntuoso per i miei gusti, signor Klinsmann, però ti amo,
stranamente ti amo. Mi sono innamorata di un borioso, rompiscatole mister impiccione. L’ho sempre detto che non sono normale» «Vero, io comunque non sono attratto dalle persone comuni e neanche tu» «Questo non basta come base per instaurare una convivenza» «Se ti proponessi un’alternativa? Nel palazzo accanto al mio si affitta un appartamento, potresti prendere quello per cominciare» «Hai sempre una soluzione per tutto?» «Solo per le cose importanti. Ti avverto: in cucina sono un disastro» «Ti avverto anch’io, dovrai lavare i piatti, se vorrai assaggiare le mie gustose specialità siciliane» «Sono un disastro anche in quello. Ti prometto che imparerò» «Devo dedurre che non hai mai sperimentato una convivenza, finora?» «Già, di solito le donne si stancavano presto del mio modo di vivere un po’ sul filo del rasoio» «E perché pensi che con me non succederà?» «Perché, se non ti tengo d’occhio, tu potresti tagliarti con quel rasoio» «Che dici? Non sono come te!» «No, però stai scoprendo il gusto del brivido, mi sbaglio forse?» Una certa malizia aleggiò nel sorriso che precedette il gesto della ragazza. Si tolse il guanto da neve e gli sfiorò la guancia con il dorso delle dita. «Beh, c’è brivido e brivido…», ammise lei. Mister impiccione non ebbe bisogno di altre sollecitazioni, strinse quella mano tra le sue e se la portò alle labbra. «Sono d’accordo. Partiremo domattina. Non c’è fretta…»
Fu così che partirono con due aerei diversi per destinazioni opposte. Ritrovatasi sola, sopra le nuvole, Amanda iniziò a fare i conti con la sua coscienza. Peter le aveva mostrato un mondo nuovo, reale, pieno di sorprese, risvegliando i suoi sogni pigramente assopiti. Si era fatta travolgere dal suo entusiasmo e dal suo spirito avventuroso fino a perdere la testa. Non poteva fare niente ormai per mitigare le infelici conseguenze del suo comportamento. Amarlo non era una colpa, tutt’altro, e Mario era un capitolo chiuso. Il tempo si sarebbe occupato delle sue ferite. Lei invece stava per tornare a casa per recuperare alcune delle sue cose e soprattutto il rapporto con suo padre o quello che ne restava. Sua nonna la accolse con calore, ma sul suo dolce, addolorato volto rugoso erano impressi in maniera indelebile il biasimo e lo sconforto ereditati da un’antica e solida cultura, incentrata sul concetto tradizionale di famiglia in cui amore faceva rima con onore, affetto con rispetto, e in cui i figli erano più una proprietà che un dono. I sentimenti in chiaroscuro non erano contemplati, erano soltanto condannati. Era proibito persino viverli. Benché le volesse un bene dell’anima, suo padre era un giudice spietato, non tanto per mentalità quanto per un malinteso senso di protezione. Era nello studio al suo arrivo, non si era mosso dalla solita poltrona, e non smise neanche di sfogliare il giornale. Non aveva ancora sessant’anni, la sua pelle invece ne rivelava quasi settanta. Il dolore e la solitudine si erano impadroniti della sua anima, inaridendola, poi gli avevano imbiancato precocemente i capelli e spento lo sguardo. La vide entrare e appoggiarsi alla scrivania, ascoltò imibile il succinto resoconto di quei giorni: la fuga da un matrimonio senza amore e da un’esistenza senza ioni, l’incontro con Peter, la musica, i progetti. Tacque finché Amanda non lo sollecitò. «Cosa vuoi che ti dica? Perché sei tornata? È chiaro che non ti importa la mia opinione o la mia approvazione, né quella di chiunque altro, altrimenti non ti saresti comportata in quel modo vile con me, con tua nonna e con quel povero ragazzo» «E il nostro rapporto deve essere questo? Quello che non faccio per te, lo faccio
contro di te? Ti senti offeso perché cerco di vivere la vita senza rispettare le tue regole? Mi rendo conto che è difficile: un futuro incerto accanto a uno sconosciuto e dietro un sogno. Non puoi farne a meno, sei abituato a credere che tutto sia immutabile a questo mondo. Ora ti chiedo di fidarti di me, del mio istinto, del mio giudizio e delle mie capacità. Non ti do molta scelta, in realtà, ma sarebbe ridicolo alla mia età reclamare il tuo permesso» Lei strinse le mani attorno al bordo della scrivania prima di fissarlo con più comprensione. «Non mi stai perdendo, papà, ti prometto che non mi perderai mai, nemmeno se andassi a vivere a Hong Kong. Dipende da te, però. Vorrei che non mi lasciassi andar via a muso duro. Solo questo. Dimmi, è troppo?» La ragazza lo osservò a lungo, esaminò quella stanza, sempre la stessa da più di vent’anni. I cambiamenti lo terrorizzavano. Attese una risposta che non arrivò. Così fu lei a darsela, tristemente. «Sì, forse sì», annuì chinandosi per baciarlo. Prima di richiudere la porta, si fermò. «Ti chiamerò da Londra», lo rassicurò.
E a Londra Amanda ebbe fortuna. La sera suonava e cantava nei locali notturni, di giorno continuava a studiare per presentarsi ai provini delle orchestre e dei complessi. Notata principalmente per fascino e presenza, fu apprezzata in seguito per la padronanza tecnica e la sensibilità artistica. La sua ione per il cinema le fruttò persino una collaborazione alla realizzazione della colonna sonora di un film. Insomma una bella carriera, avviata grazie al suo personale mecenate. Peter vigilava su di lei discretamente ma inutilmente mentre si destreggiava con sorprendente abilità e disincanto nella giungla musicale londinese. E miss cioccolato e cognac gli dedicava ogni frammento del suo ormai prezioso tempo libero. A parte qualche scossone di assestamento, infatti, quella relazione sembrava funzionare. Neanche la convivenza, sopraggiunta alcuni mesi dopo e gestita tra la tastiera di un pianoforte e quella di un computer, riuscì a scalfire la profonda intesa fisica e mentale, rafforzata e non indebolita dalla mescolanza e dallo scambio di lingue e costumi italiani, svizzeri e inglesi. Troppo concentrati su loro stessi per lasciarsi distrarre da interferenze esterne, si fecero trascinare,
nel volgere di un anno, verso la risoluzione del grande o. Sarebbe stata una cerimonia semplice e intima nella fredda primavera Bernese. La famiglia di Peter aveva predisposto tutto e, per l’occasione, il padre di Amanda si era gelidamente dichiarato disposto ad accompagnarla all’altare. Nel suo linguaggio, era una mano tesa, un po’ a malincuore, verso una scelta a cui non aveva partecipato ma che, in fondo, rispettava come rispettava la caparbia forza d’animo di una figlia osteggiata, respinta, eppure estremamente leale. Così, a tre giorni dalle nozze, la promessa sposa riponeva le ultime cose in valigia sulle note dello Schiaccianoci di Ciaikovski. La ragazza sobbalzò quando mister impiccione apparve silenziosamente sulla porta aperta. «Peter! Mi hai spaventata a morte. Non ti avevo sentito rientrare» Lui la fissò per un lungo istante senza muoversi e notò che lei indossava una delle camicie di flanella rubate dal suo guardaroba. Se la camicia non le apparteneva, aveva ben il diritto di riprendersela. Abbassò il volume dello stereo prima di portarsi alle sue spalle. Le cinse la vita con una mano e fece scivolare l’altra dalla clavicola sinistra. «Scusami. Ti ho davvero spaventata? I tuoi battiti sono accelerati, in effetti» «Certo, se tu mi palpeggi in questo modo. Giù le mani devo finire di sistemare le valigie» «Giù? Giù dove? Qui?» Lui lasciò scorrere le dita fino ad accarezzarle teneramente il seno già teso sotto l’indumento felpato. «O ancora più giù?» L’altra mano le sfiorò il ventre, poi si appropriò dei fianchi che adesso aderivano perfettamente ai suoi. Quando giunse all’interno delle cosce, Amanda emise un rassegnato brontolio ansimante e cedette, voltandosi di scatto. «Credo che le valigie possano aspettare…» Lo afferrò quindi per la giacca, gli offrì le labbra infuocate e lo trascinò sul letto ingombro di vestiti. Più tardi, dopo aver consumato anche la cena, Peter le porse una scatoletta. «Stavo per dimenticarlo…»
Lei la esaminò sospettosa. Si trattava di un oggetto metallico della grandezza di un pacchetto di sigarette. «Cos’è? Il mio regalo di nozze?» «Non proprio. È un’assicurazione» «Un’assicurazione?» «Sì, un accessorio per il tuo abito da sposa. Si tratta di una trasmittente che sta in contatto con un satellite. Si usa per localizzare chi ne è in possesso. Un modo per assicurarmi che non mi pianti davanti all’altare. Non vorrei che la tua fosse un’abitudine, una specie di allergia», dichiarò fingendosi serio. Amanda lo guardò, sorridendo con un ghigno ironico mentre la diffidenza aleggiava minacciosamente nei suoi occhi. «Quanto sei spiritoso! È uno scherzo, vero? Perché se non lo è, te lo faccio mangiare quell’affare» «Come hai indovinato?», le domandò svelandole il mistero e aprendo la scatola piena di cioccolatini, al liquore ovviamente, i suoi preferiti. «Tranquilla, non ti farò spiare. Affiderò a mia madre il compito di sorvegliarti», aggiunse ammiccando. Malgrado il tono scherzoso, la sua fidanzata non si lasciò ingannare. Andò a sistemarsi sulle sue ginocchia e lo affrontò dolcemente. «Cos’è? Un attacco di insicurezza? Ci sarò, credimi. Non c’è un’ombra di dubbio nella mia mente, soltanto un pochino di paura, ma non intendo fuggire. Vedrai, ti stancherai di me» «Scommettiamo?» «È quello che stiamo per fare, no?», osservò lei con un pizzico di sereno realismo. «Una scommessa? Forse hai ragione. Ecco perché gli americani si sposano spesso a Las Vegas, lo prendono come un gioco, se esce la carta vincente bene, altrimenti c’è sempre il divorzio lampo. Direi che non è il nostro caso. Io ho già vinto la lotteria con te e conserverò molto gelosamente il mio biglietto vincente, magari sotto, no...sopra il materasso» «Sopra il materasso, eh? Interessante. E quando ti proponi di riscuotere il tuo
premio?», gli chiese con un sorriso malizioso. «Quando? Un po’ alla volta, ogni giorno, finché avrò vita…»
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