Maria Santa Di Mauro
IL BOSCO INCANTATO
Titolo | Il Bosco incantato
Autore | Maria Santa Di Mauro
ISBN | 9788891158956
Prima edizione digitale: 2014
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Era un sogno che accarezzava da molto tempo, uno di quei sogni delicati quasi impossibile che lei coltivava come una pianticella di pisello: perché proprio pisello? Forse perché assomiglia molto al pisello odoroso con i suoi fiori dai colori così delicati! Fatto sta che Dina, quando poteva, amava chiudersi nel suo mondo e pensare a qualcosa o a qualcuno che non era naturalmente cosa suo:ci fu un periodo di tempo che amava pensare di avere un posto dove vivere da sola in rassegnata solitudine. Questo posto aveva delle caratteristiche particolari: piccola abitazione circondata da molto verde, non in centro ma non troppo distante da esso.
Di solito il luogo non era inventato ma esisteva realmente, anzi di questi luoghi ne esistevano diversi...e ogni volta che lei ava lì davanti si sentiva proprio di viverci ed era felice, anche perché era proprio là che questo qualcuno la andava a trovare, anzi a cercare, con insistenza.
Questa fantasia era pulita, tutto si riduceva, in fondo, a poco...
E poi le piaceva pensare all’interno della casa a come poteva essere suddivisa e arredata. Tutto molto rilassante, Dina ci fantasticava mentre guidava, oppure quando non riusciva ad addormentarsi.
Non erano posti in cui sognava di viverci con questo qualcuno, no per carità, non ne aveva proprio voglia, lei in fondo cercava solo un pò di pace, e per averla non poteva certo avere in giro gente, ma nessuno proprio.
Quando Dina sognava che Mauro la veniva a trovare, lei era sempre immersa in una pace serafica di silenzio e di solitudine, per troppo tempo la sua vita era stata immersa nella baraonda più infernale!Lui la pregava di farlo entrare, e lei proprio come un sovrano che concede amorevolmente qualcosa ad un suddito
glielo permetteva. Allora, proprio come per magia, gli si aprivano i cancelli e lui faceva ingresso in quella casa, immersa sempre in un rigoglioso giardino, magari zuppo d’acqua per l’attesa e il lungo motivare al citofono. Le case su cui amava fantasticare erano reali e così anche Mauro. Lui faceva l’avvocato e lei lo aveva conosciuto a causa di una questione legale che aveva avuto con un suo precedente datore di lavoro, poi c’era stato il momento del divorzio, che, anche se consensuale aveva preferito essere assistita da un suo avvocato personale e non da uno in comune con il suo ex marito. Sin dal primo istante in cui l’aveva visto qualcosa le si era mosso nella sua anima, come una scossa sismica. dina aveva cercato di non ascoltare questa sensazione, ma ogni volta che lui le chiedeva di recarsi allo studio lei ne era felice, stranamente le batteva il cuore, poi, a poco a poco, prima timidamente, poi con decisione, cominciò ad inserire Mauro nei suoi sogni!
Il giardino era una prerogativa delle case di Dina forse perché, proprio come il liquido amniotico nel grembo del grembo materno protegge il bambino facendogli percepire il mondo in modo meno aggressivo le dava un senso di barriera e la sensazione di essere protetta. Lei in quelle case immaginava di sentirsi al sicuro: il giardino la proteggeva dagli sguardi indiscreti e quindi dalle cattiverie del mondo.
Le cattiverie del mondo: ne aveva subite parecchie! Un’infanzia poco serena: non perchè avesse avuto dei problemi particolari, questo no, solo che per una bambina sensibile e con tanta fantasia, non aveva certo avuto le giuste attenzioni che una pianticella delicata ma promettente avrebbe richiesto: diciamo che era stata solo innaffiata risparmiandole le dovute attenzioni quali cimature, potature, sostegni o altro. Ad un certo punto della sua vita si è data da fare da sola e ha cominciato a nutrire piano piano il suo bisogno di crescere dentro.
Si era illusa di aver trovato l’uomo della sua vita: a vent’anni incontra Giulio, e Dina comincia, al solito, ad immaginarsi con lui. Fino a quando non decidono di stare insieme e sposarsi... Giulio non era quello che si può definire un bell’uomo, era bassino, pochi capelli.
A Dina però era piaciuto, lo aveva immaginato e conosciuto attento, impegnato, sensibile, sicuro di sè, buono. Non lo era, mostrava agli altri un’immagine inesistente. Era un uomo assolutamente insicuro, che non aveva mai avuto il coraggio di andare fino in fondo nella vita e che quindi rendeva amara e insopportabile la vita a chi gli viveva accanto: quelle qualità di cui Dina si era innamorata erano soltanto uno specchietto per le allodole.
Subito dopo il matrimonio Giulio si era dimostrato un tiranno, un padrone: faceva pagare a Dina la sua paura di vivere.
Per molti anni lei cercò di farsi ben volere il più possibile, ma questo non poteva certo cambiare nulla! Chi non è sereno dentro, difficilmente può far felice gli altri.
Fu così che Dina cominciò a chiudersi nelle sue “case” attorniate dal giardino che con mano ferma vigilava sulla sua pace: il giardino era magico, era il “Bosco Incantato” dove tutto poteva accadere.
Dina era stata cresciuta in modo molto semplice con poche idee ma ferme e pregne di contenuti morali e anche religiosi, anche se al dire il vero i principi morali e religiosi li aveva coltivati e se li era imposti lei stessa man mano che apriva gli occhi sul mondo e formava le sue idee.
Non aveva avuto grandi amori, diciamo che caso mai era innamorata dell’amore. Qualche ioncella nell’adolescenza per un compagno di scuola della classe successiva alla sua, più tardi per un ragazzo del suo quartiere, poi, durante il tempo dell’università si fidanzò, per diversi anni, con un musicista: non fu una relazione felice, lui aveva un carattere forte, deciso, quasi burbero, però, allo
stesso tempo, aveva una forte sottomissione ai suoi genitori. Fu solo dopo alcuni anni, sicuramente troppi, che Dina decise di lasciarlo.
Nelle sue “case”, assumeva comportamenti strani, si immaginava serena e distaccata verso un mondo che in fondo l’aveva rifiutata: e allora lei abbandonata dai suoi familiari che decidono di andare a vivere altrove, si rifugia, grazie all’interessamento di un’amica, nella dependance di una villa avvolta in un meraviglioso e rigoglioso giardino. La dependance era stata divisa in tre mini appartamenti proprio per essere più facilmente data in affitto e, naturalmente, a persone fidate e riservate. Dina aveva tutti i requisiti richiesti, e grazie a questa amica ottiene l’appartamento.
Era esattamente secondo la sua misura: finestre e porte protette, un ingresso soggiorno semplice, ma di gusto; accanto la cucina,dietro la stanza da letto ed il bagno. Tutt’attorno il parco con due ingressi,ad est e a nord, con cancelli comandati da un congegno elettrico.Il parco non era suo, ma lei ne poteva usufruire con discrezione. La casa era ammobiliata, ma con mobili che corrispondevano esattamente al suo gusto( Bè se Dina sognava per rilassarsi non doveva trovare troppi ostacoli!). L’ingresso soggiorno aveva un attaccapanni a muro subito dopo l’ingresso a destra, dal lato sinistro della porta un grande armadio cabina di quelli inizi novecento, semplice ma del gusto di Dina, nell’angolo di destra un camino, che le avevano detto poteva utilizzare perché funzionante e, anche, per la possibilità della legna, cumulata fuori vicina all’ingresso, proveniente dai rami secchi del parco. Davanti al camino due grandi morbide poltrone, attorno librerie varie, con libri o oggetti. Nell’angolo opposto al camino si trovavano, rispettivamente a destra e a sinistra, le due porte che conducevano nella camera da letto e in cucina. Accanto all’ingresso della stanza da letto un grande divano su cui potersi stendere e, magari dormirci, di fronte, quasi a centro della stanza, un mobile basso con sopra il televisore. La cucina era semplice ed essenziale, entrando sulla sinistra un piccolo divano di fronte un televisore, davanti al divano, quasi a ridosso del muro, la tavola, entrando a destra il gruppo cucina.
La stanza per dormire aveva a destra il lettone, a destra l’armadio, ai piedi del letto un comò; proprio dietro la cucina, a sinistra dell’ingresso, il bagno con una vasca che fungeva anche da doccia con un apposito separe per evitare gli schizzi dell’acqua. Ogni stanza aveva una finestra che dava sul parco, l’ingresso soggiorno, oltre la porta d’ingresso, ne aveva due. Era perfetta, bè, era un sogno!
Prese possesso della casa in autunno inoltrato, e arrivando, il vento freddo che soffiava tra gli alberi, la fece rabbrividire di piacere: amava girare quando c’era freddo tutta imbacuccata e lì l’avrebbe potuto fare indisturbata.
Fu in questa casa che Mauro in una sera di pioggia la venne a cercare per la prima volta; lui era un giovane avvocato che aveva conosciuto per una questione legale che aveva avuto con un suo vecchio datore di lavoro, era alto, abbastanza robusto, occhi grandi e un sorriso che affascinava, le piaceva, soprattutto, il suo modo di rapportarsi con gli altri sempre sereno e accogliente: come la sua voce! Lei stava leggendo in soggiorno, aveva appena finito di fare una doccia, e indossati degli indumenti caldi si stava rilassando con una piacevole lettura prima di cenare.
Suonò al cancello Nord, nella strada principale, si scusò per essere piombato lì, ma giacché si trovava nelle vicinanze aveva pensato che le poteva lasciare l’ombrello che lei aveva dimenticato nell’anticamera dell’ufficio che lui divideva con un altro avvocato. La sua richiesta era discreta ma insistente, e così Dina gli aprì il cancello e subito dopo vide la sua macchina che attraversava dolcemente il viale alberato. Aveva un pò paura di questa invasione, ma, allo stesso tempo ne era felice perchè Mauro le piaceva, si sentiva bene quando parlava con lui, emanava una calma mista a quiete!
Aveva ripreso a piovere e quindi per non lasciarlo a parlare davanti alla porta lo invitò ad entrare, lui accettò l’invito.
Mauro, come sempre, aveva i minuti contati, ma rimase con lei il più possibile: cautamente e velatamente le diceva che lei le piaceva moltissimo. Dina ne era felice ma frenava quell’impulso, e dolcemente lo respingeva.
Due domeniche dopo, mentre di prima mattina lei, imbacuccata fino all’inverosimile, faceva Jogging nel parco, fu raggiunta da Mauro entrato solo perchè uno dei cancelli si era inceppato e quindi si era intrufolato nel parco, uno dei vicini poi vedendolo bussare gli aveva riferito di aver visto Dina allontanare per la sua solita corsa. Davanti a questi espedienti Dina sorrideva tra il divertito e l’ammaliato e stava al gioco, sapeva che lui era rimasto molto tempo ad aspettare che qualcuno entrasse o uscisse dal cancello e quindi introdursi furtivamente. Ebbra lo portò al gazebo e lì stettero un bel pò a chiacchierare serenamente.
Una sera aveva fatto tardi al lavoro, lei faceva la farmacista, continuava a venire gente oltre la chiusura e visto che tutti i colleghi andavano via non si sentì di lasciare sola la titolare che gentilmente rispondeva alle richieste visto che si era sotto periodo influenzale.
Così si fece tardi anche per fare la spesa e rincasò veramente oltre i suoi limiti abituali. Con enorme sorpresa trovò ad attenderla Mauro, inzuppato per la pioggia perchè non sapendo da quale ingresso sarebbe entrata, in quella lunga attesa, aveva fatto avanti e indietro tra un cancello e l’altro e dopo andava a suonare perchè non sapeva se nel frattempo lei fosse arrivata.
Rimase esterrefatta a trovarselo davanti bagnato e a disagio per l’evento che lo metteva un pò in ridicolo come un ragazzetto: Dina lo fece entrare, e intenerita del fatto si prodigò per lui. Lo obbligò a farsi una doccia calda per evitare un raffreddore, gli asciugò i vestiti e nel frattempo gli preparò, con il poco che c’era in casa, una cena calda, semplice ma deliziosa. Lui chiamò la moglie, si affannò a elencarle innumerevoli scuse e rimase con lei fino a notte inoltrata.
Quella notte fecero l’amore, e anche se le prime volte sono sempre un pò particolari, fu bellissimo.
Mauro dovette proprio scappare per non dovere raccontare a casa altre bugie, ma era felice: lei gli disse – ci conosciamo così poco- ma lui sempre con tono rassicurante le rispose che erano rimasti tanto di quel tempo a parlare ogni volta che si vedevano che ormai si conoscevano fin troppo bene.
Erano solamente dei sogni che l’aiutavano a vivere e a non impazzire, ma che sogni!
E sempre tutti molto carini compiti,a lieto fine , mai nulla che andasse di traverso!
Dina era felice o perlomeno immaginava di esserlo mentre tornava dal lavoro, mentre era imbottigliata nel traffico, mentre non riusciva a prendere sonno...che bolle riusciva a creare, ma la facevano vivere.
E poi non erano mai sogni troppo audaci,non le creavano troppi problemi di rimorsi.
Un giorno suo marito, però, la lasciò veramente con la scusa dell’offerta di un lavoro molto impegnativo in un piccolo paese vicino Bolzano, Dina benedisse il cielo per il suo modesto lavoro che gli avrebbe permesso di continuare,quantomeno, a condurre la propria vita in modo dignitoso. I suoi due figli stavano con lei, ma non perdevano l’occasione, appena potevano, di andare
a vivere dal padre fino a quando non decisero di frequentare una scuola specialistica del Nord, che avrebbe loro garantito un futuro più sicuro: non l’avrebbero lasciata sola, sarebbero venuti spesso a farle visita.
A farle visita, come si fa con un vecchio parente scomodo: fugaci promesse che presagiscono un garantito abbandono totale. Il primo impatto con queste decisioni fu drammatico per lei, si sentiva perdente in tutto: del resto cosa c’era da aspettarsi con un padre come quello, addirittura dopo un pò di tempo affittò loro un piccolo appartamento dove avrebbero potuto studiare indisturbati. In fondo si era sbarazzato anche dei figli, ma loro ne erano felici: erano indipendenti!
E così Dina viveva sola, non era però come nei sogni, la realtà era diversa, era cruda.
All’inizio non soffrì molto, i figli la chiamavano spesso e lei continuò ad abitare nella stessa casa... Poi lui decise di venderla e di darle la sua parte e così Dina cominciò a girovagare come gli artisti del circo, così diceva lei! Girò diversi appartamenti fino a quando si stabilizzò in uno sito in un condominio abbastanza tranquillo, un pò decentrato ma grazioso. Quella fu per lei la vera e propria fine dei suoi sogni,vivere in un posto decentrato,in condominio e senza il suo prezioso giardino!
Il luogo dove andò a vivere era abitato in prevalenza da anziani, erano molto affettuosi ma proprio per caratteristica degli anziani che hanno per loro natura tempo da vendere, molto invadenti.
Dina all’inizio cercò di mantenere le distanze proprio per paura dell’invasione, ma poi la solitudine vinse sulla diffidenza e le vecchiette, approfittando della sua accondiscendenza, cominciarono ad aspettarla per darle prima la posta, poi i loro
dolci, poi per scandagliare la sua povera vita.
Ma Dina si affezionò a loro, in particolare alla signora Lucietta, un donnino piccolo piccolo che sembrava sempre di aver paura di parlare, aveva i capelli completamente bianchi che teneva perennemente legati con una minuscolo codino proprio dietro la nuca, un tempo dovevano essere stati molto scuri, perché qualche pelo delle sopracciglia ancora era nero e facevano risaltare di più i grandi occhi neri, teneri, ma che una volta dovevano essere stati vispi e intriganti: certo la vita rabbonisce con il suo scorrere tutti i furori! Le sue labbra erano sottili, non dovevano essere state avvenenti, ma il suo sorriso era così comunicativo che nessuno se ne ricordava. Lucietta non era stata felice durante la sua esistenza, suo marito l’aveva tormentata tutta la vita con la sua ossessionante avarizia, e ora ormai quasi ottantenne si godeva le piccole gioie della vita da quando lui era morto.
Non aveva più quel severo e continuo controllo del denaro, anzi cominciò ad assaporare il piacere di gestirselo da sola e imparava in fretta!
Le piaceva girare per i supermercati o per il mercato rionale, sempre pieno di piccole stravaganze: non comprava sempre, ma già l’idea che volendo avrebbe potuto farlo, la faceva stare bene.
Più che altro spendeva per piccole cose che le davano soddisfazione e che le riempivano la giornata.
Aveva riempito i balconi con un’infinità di fiori, e ogni giorno stava delle ore a prendersi cura di loro, indossava il suo bel grembiule variopinto, il cappellino di paglia per ripararsi dal sole e le ore avano che era una meraviglia. Aveva preso con sè un cane ed un gatto, così aveva anche chi accudire senza che mai si lamentassero o che addirittura la criticassero: la signora Lucietta era felice!
Un pomeriggio, rincasando dal lavoro, Dina trovò Lucietta dietro i vetri, la stava aspettando, e appena l’ebbe riconosciuta cominciò a dimenarsi felice, scomparendo dalla finestra e apparendo di lì a poco davanti al portone. Sembrava elettrizzata, notò Dina!
Ho una bella notizia da darti – le disse tutto d’un fiato – mi viene a trovare mio nipote Massimo, figlio della mia sorella minore: dice che ha bisogno di un periodo di riposo e così si fermerà un pò di tempo da me. Sarà bellissimo avere un ospite, devo subito rendere decente la stanza degli ospiti,lavare le tende, cambiare le lenzuola,comprare dei fiori: ho già in mente di preparargli tante cose buone da mangiare- . Aveva parlato così in fretta, lei sempre così pacata, che aveva anche il fiatone, Dina era allibita, rimaneva lì a guardarla con i suoi pacchetti in mano della spesa senza riuscire a dire una parola. Farfugliò qualcosa come –sono immensamente felice per lei......- e poi si ritirò nel suo appartamento.
Massimo arrivò due giorni dopo, e nei giorni che precedettero l’arrivo la signora Lucietta per il gran da fare si vide poco in giro. Da dietro le tende Dina la vedeva ora arrivare dalla stradina o con buste della spesa o con numerosi pacchetti e accompagnata da una ragazza che le dava una mano, oppure indaffarata con la biancheria.
Non si affacciava non solo per non disturbarla, ma anche perchè pensierosa si sdraiava sul letto non a fantasticare ma a pensare!
Mauro negli ultimi tempi l’aveva incontrato più volte e sembrava molto interessato a lei, era imbarazzata, non immaginava e non aveva mai sperato che lui avrebbe potuto seriamente pensare a lei: ma invece sembrava così! Lui cercava ogni scusa per farla tornare in ufficio e lei anche se se ne accorgeva ci andava ugualmente e diceva a se stessa che era lei che si illudeva, e che lui non
era assolutamente interessato, che gli era molto simpatico ma che tutto finiva lì per entrambi. E poi lui era sposato, e questo era per lei quanto.
Qualche ora dopo l’arrivo di Massimo,la sua vicina suonò alla porta accompagnata dall’atteso nipotino: era un uomo sui quaranta, altezza media con capelli mossi un pò lunghi e scompigliati, gli occhi aguzzi e indagatori che guizzavano fino a mettere l’interlocutore in soggezione, anche il sorriso era ammaliante ma, allo stesso momento indisponente. Dina pensò che quell’uomo si poteva definire bello, però c’era qualcosa in lui che la faceva sentire a disagio. Si aiutava con una stampella e come spiegò, dopo che lei li aveva fatti entrare, era reduce da un incidente di moto durante una gita domenicale, e aveva deciso di trascorrere l’ultimo periodo di convalescenza in Sicilia per usufruire di un clima più mite.
Mentre parlava sorrideva e ammiccava come a volerle dire – tu mi aiuterai a non annoiarmi -.
Nei giorni che seguirono la signora Lucietta cercò in tutti i modi di coinvolgerla nell’intrattenimento del nipote, di solito non la disturbava mai, ma in quell’occasione tirò fuori tutte le scuse possibili per farla incontrare con Massimo: la chiamava sul lavoro per chiederle il favore di comprarle della pasta fresca nel pastificio che si trovava a pochi i dalla farmacia, per poi invitarla a cena per sdebitarsi del grande favore; un’altra volta la pregò di prepararle quel dolce che lei sapeva fare così bene, magari in un pomeriggio libero, ma lo doveva preparare a casa sua così non avrebbe sporcato, non poteva approfittare eccessivamente della bontà di Dina. E così via tante altre scuse che lei cominciò ad accettare all’inizio seccata, poi sorridendone: in fondo Massimo era simpatico, intelligente, spiritoso, forse poteva essere il chiodo che avrebbe schiacciato l’altro chiodo quello che non le dava pace, Mauro.
Fu così che ivamente accettò questi incontri senza ribellarsi neanche mentalmente.
Una sera, dopo una cena a casa della vicina, Dina e Massimo si ritrovarono a fare una lunga chiacchierata mentre Lucietta riordinava in cucina. –E’ un posto che apiona questo – disse Massimo, - non so, sembra che i vicoli, i portoni con i cortili che a volte furtivamente si intravedono, ti ammalino, ti entrino nel sangue!- era sincero mentre parlava, si vedeva, del resto chiunque arriva in Sicilia se ne innamora.
-Dovresti vedere come sono belli i paesi ai piedi dell’Etna, ognuno di loro è come un piccolo gioiello incastonato sul Vulcano.-
Erano tante le cose da dire, ma sicuramente vederle le cose è sempre
Meglio che sentirle raccontare.
Fu così che Massimo le chiese se poteva accompagnarlo per un giro verso i paesini dell’Etna, naturalmente insieme alla signora Lucietta, gli avevano detto che ce ne erano alcuni deliziosi con stradine tortuose e palazzi antichi con meravigliosi portali barocchi, austeri in pietra lavica. Dina accettò anche se non con molto entusiasmo, era diventata nuovamente diffidente. Nei giorni seguenti si misero d’accordo sulla data della “spedizione”, decisero che per poter gustare bene il paesaggio dovevano organizzare almeno due uscite, approfittando dei pomeriggi in cui Dina era libera dal lavoro.
Ripensandoci, però, Dina fu contenta di essersi lasciata coinvolgere, non poteva sempre vivere di sogni, di occhiate,di...di nulla in fondo: e poi quel continuo fantasticare non le faceva male? Non le faceva magari vedere quello che non c’era nella maniera più assoluta? E...Mauro? ...al diavolo Mauro.
Massimo quel pomeriggio era veramente carino con i suoi Jeans, la polo blu e sulle spalle un bellissimo pullover rosso . Anche lei più o meno era vestita allo stesso modo solo che il suo pullover era bianco.
Risero di questo, ma alla fine convennero che era una specie di divisa per chi va ad una gita.
Visitarono luoghi incantevoli secondo Massimo, cominciarono da S. Alfio, e Dina gli raccontò la famosa storia del “castagno dei cento cavalli” che la tradizione chiamò così perchè si racconta che durante un improvviso acquazzone vi si riparò il re con il suo seguito proprio formato da cento cavalli e cavalieri. Dina narrava queste cose quasi come un’esperta, ma era solo un’apionata che avendo molto tempo a disposizione leggeva articoli che la interessavano. Massimo però continuava a farle dei complimenti, le si avvicinava più del dovuto, approfittando che la signora Lucietta si trovava distante da loro per riposarsi dalla scarpinata. Dal nervosismo lei inciampò, stava per cadere e lui subito la sorresse, si trovò, nel giro di pochi secondi, appiccicata a lui con le sue braccia attorno alla sua vita e in procinto di baciarla, ma Dina, come inferocita, riuscì a divincolarsi e andò a raggiungere la sua vicina gridandogli che quella storia del castagno dei cento cavalli, in fondo, in Sicilia Orientale la conoscevano tutti. Dopo visitarono Pedara, Mascalucia, Nicolosi, luoghi altrettanto incantevoli, ricchi di case con dei portali in pietra lavica di fattura barocca, splendidi!
Queste visioni e poi un buon gelato rabbonirono un pò Dina, lei era innamorata della sua terra. Vedendola sorridere Massimo appena gli fu possibile si scusò dicendole che le era così cara come se la conoscesse da molto tempo e così si era lasciato andare. Lei gli sorrise e per perdonarlo gli diede un bacio sulla guancia.
Quella sera rincasando, trovò tre messaggi sulla segreteria telefonica: il primo
era di suo figlio Giovanni, la informava che il suo esame era andato discretamente e che quindi aveva buone possibilità di essere ammesso alla scuola di musicologia. Era felice che suo figlio l’avesse informata di una cosa così importante! Il secondo era di una sua collega che le ricordava un impegno per il giorno dopo. Il terzo era Mauro che con voce quasi tremante diceva che l’aveva cercata, che aveva anche suonato a casa sua, che voleva vederla. Dina tremava come una foglia dall’emozione, era la prima volta, fuori dalla sua fantasia, che Mauro la cercava con chiara insistenza dicendole di chiamarlo appena possibile: era felice, non stava più nella pelle. Non vedeva l’ora che venisse domani, perchè ormai era tardi e lui a quest’ora doveva essere in casa con la sua famiglia.
La mattina dopo, decise che sarebbe andata a cercarlo durante la pausa per il caffè e invece se lo trovò davanti alla farmacia, ancora chiusa che l’aspettava.
Le gambe di Dina vedendolo quasi non la reggevano più, meno male che lui le andò incontro pregandola di andare a prendere un caffè insieme prima che aprissero. Seduta al tavolo vicino a lui stava bene, era proprio come aveva sognato, altro che lo sforzo che faceva con Massimo! Certo che se Mauro l’avesse abbracciata lei sicuramente non l’avrebbe allontanato!
Decisero di ordinare la stessa cosa: caffè e cornetto. Mentre parlavano del più e del meno di colpo Mauro si fece serio e le prese la mano baciandogliela delicatamente prima sul dorso e poi sul palmo, poi la posò. Dina si sentì quasi svenire per la dolcezza, le mancò il fiato, poi lui le si avvicinò e le sfiorò le labbra con le sue...
Per qualche secondo Dina non capì nulla, altro che estasi. Marco poi cominciò a parlare un discorso breve ma chiaro e inequivocabile.
-Sai, Dina, io esattamente non mi ricordo il momento esatto in cui mi sono innamorato di te, forse da sempre, perchè mi ricordo da sempre il tuo sorriso, la tua tristezza, la tua riservatezza. Io ti amo. Non sono uno che si innamora di chicchessia, e non mi è successo perchè il mio matrimonio è fallito, ti avrei amato in qualsiasi situazione, di questo ne sono certo.-
Dina lo guardò poi arrossì e abbasso gli occhi. Lui riconoscendo la Dina insicura, cominciò a scherzarci sopra: - Forse un giorno sapremo la risposta? Dirai, magari, anch’io ti amo da sempre, sei stato sempre nei miei pensieri..... – Così scoppiarono a ridere e Dina avvicinandosi a lui gli diede un bacio sulla guancia, Mauro le prese la testa tra le sue mani e la baciò incurante del luogo dove si trovavano. Dopo rimasero a guardarsi a lungo, con gli occhi che brillavano di felicità. Per entrambi era la prima volta dopo molto tempo.
Poi dovettero scappare di corsa al lavoro, fuori pioveva e quindi trovarono un’ottima scusa, riparandosi insieme sotto lo stesso ombrello per stare più vicini.
Ridevano e parlavano felici; si lasciarono e si diedero appuntamento per la sera davanti al Bar dove avevano preso il caffè.
Quella giornata fu veramente sconvolgente: il suo umore era indescrivibile, ava dal trasognato all’esaltato e al mutismo totale. Più di una volta i suoi colleghi glielo fecero notare, e lei, inspiegabilmente per loro che in fondo scherzavano, arrossiva fino all’osso. Più di un cliente le disse che quel giorno era diversa, che aveva una luce particolare, e lei giù ad arrossire di nuovo. Che inferno, che tempesta interna! In fondo era successa una cosa che desiderava da anni, che non sperava nemmeno potesse accadere e non aveva avuto neanche qualche minuto per rifletterci sù.
Nel primo pomeriggio ricevette una telefonata di Massimo, non poteva scegliere
un momento peggiore, le disse che l’aveva pensata tutta la mattina e la invitò la sera per un pizza fuori. Dina era di fretta ed infastidita e tagliò corto rispondendogli che la farmacia era piena di gente e non sapeva ancora cosa avrebbe dovuto fare la sera.
Tornò al banco di cattivo umore consapevole di essere stata eccessivamente scontrosa: in pratica quella telefonata l’aveva infastidita, allontanata dai suo stato, quasi, di ipnosi, e le era venuto pure mal di testa. Ma perchè questo Massimo non se ne tornava al suo paese visto che ora stava bene e saltellava come un grillo?
Penosamente arrivò l’ora di chiusura, e quando fuori intravide Mauro si andò a cambiare dicendo alla titolare di scusarla ma che nonostante ci fosse ancora bisogno lei non poteva proprio fermarsi quella sera. La titolare, la signora Buscemi, anche se meravigliata per quel comportamento anomalo per Dina, non le disse nulla, anche perchè di solito era l’ultima ad andare via. Quando arrivò fuori si sentiva il cuore in gola e non riuscì a distinguere tra la gente la pioggia e gli ombrelli Mauro, e per un attimo ebbe paura di avere immaginato tutto e di essere andata oltre, ma nello stesso istante sentì una voce ferma che le diceva – Dina?- e una mano che le afferrava dolcemente il braccio avvicinandola a sè, e Dina smise di avere il batticuore e si sentì solo felice. Camminavano tra le persone sorridendo e guardandosi come estasiati. Poi Mauro mentre l’accompagnava alla macchina le disse – Oggi questa giornata è stata smodatamente lunga, sembrava non dovesse finire mai, ecco perchè ho deciso di aspettarti direttamente davanti la farmacia. Sai, poco fa mi ha chiamato un cliente che voleva venire stasera per parlarmi, io gli ho detto che ero impegnato ma lui ha insistito per essere ricevuto. Sai che ho fatto? Sono uscito subito e l’ho lasciato al mio collega pregandolo di inventarsi lui una scusa. E no, stasera non potevo fare tardi per un cliente vero ma solo per uno presunto!- e così scoppiarono a ridere. Decisero che sarebbero andati a casa di Dina ma con cautela per non farsi vedere dalla signora Lucietta. Strada facendo maledì in cuor suo di aver scelto di abitare in un condominio e soprattutto di aver lasciato che i vicini invadessero la sua vita, era assurdo che lei, libera da tempo da legami, dovesse nascondersi! Quando arrivò sotto casa, lasciò la macchina distante poi fece il giro della casa e quando capì che la sua vicina col suo amato nipote erano
in cucina, l’unica luce accesa della casa, furtivamente, con la luce della scala spenta, prima lei poi lui entrarono finalmente a casa, abbassò piano piano tutte le tapparelle e finalmente si sentì libera. Lei e Mauro erano lì, per la prima volta soli e felici di esserlo. Mauro le si avvicinò, prima la baciò lungamente, poi dopo averla delicatamente spogliata la prese in braccio e la adagiò sul letto, e Dina non capì più nulla , mai per lei fare l’amore era stato così bello e naturale, anzi pensava che il sesso fosse tutta una montatura dei film o che lei non fosse stata fatta per questo. Non era così, abbracciata a Mauro ansimava e palpitava come tutte le donne felici di fare l’amore con la persona amata.
Dopo erano senza fiato, si guardavano e sorridevano allegri, senza rimpianti, se Dina non fosse stata così innamorata sarebbe morta di vergogna, e invece era lì beata e dopo tanto tempo felice. Aveva i capelli arruffati e lui ridendo glieli arruffò di più, e poi ,a mò di ringraziamento, cominciò a baciarla dappertutto, prima con tenerezza, poi ridendo come un matto e dicendo come sono fortunato, e continuava a baciarla e a ridere contagiando pure lei in quel gioco.
Poi lui dovette andare via e con rammarico Dina rimase sulla porta a guardarlo mentre lui le baciava la mano e le diceva – ciao bellissima-.
...Quasi non ci credeva ma era proprio così, non lo aveva immaginato, no, era proprio vero, anzi corse dietro la tapparella per vederlo mentre andava via e controllare se qualcuno lo aveva visto: era assurdo, sola da tempo e la prima volta che le capita una cosa bella doveva fare i conti col vicinato!
Quella sera non riuscì nemmeno a mangiare, era stravolta dai sentimenti, ma anche dai pensieri che si affollavano nella sua mente scomposti, senza il solito ordine, cosa sarebbe accaduto ora? Le mancava il respiro. Con questo stato d’animo e la mente in subbuglio si addormentò.
La mattina fu svegliata dal suono, martellante, del camlo della porta, aveva dormito bene e pesantemente e ci vollero alcuni minuti perchè riuscisse a fare mente locale, subito si ricordò di Mauro e il cuore le balzò nel petto, ma poi il continuo suonare del camlo la fece saltare dal letto, non riusciva proprio a capire che diavolo stava succedendo. Aperta la porta si trovò davanti la faccia di Massimo che a dire il vero sembrava proprio incavolato, e appena la vide cominciò ad investirla di parole, gridava come un ossesso, con tanta rabbia in corpo che sembrava volesse demolire il mondo: -è stato perfettamente inutile per voi entrare al buio perchè io vi ho visti ugualmente, la santarellina, tutta ritrosa e vergognosa, quanti te ne porti a settimana, io ti facevo tanto schifo da non includermi nell’elenco?- intanto davanti alla porta era sopraggiunta la signora Lucietta che esterrefatta dell’accaduto era solamente riuscita a mettersi le mani al petto ed aveva cominciato a lacrimare, non riuscendo a muoversi per lo choc dall’uscio di casa.
-Ma tu che diavolo vuoi da me? Chi pensi di essere per giudicarmi e avanzare delle pretese e per di più offendermi?- cominciò ad un certo punto a gridare Dina appena trovò un secondo per inserirsi in quel diluvio di parole.- Appena finì di parlare, Massimo, cominciò a investirla nuovamente di insulti mettendosi anche a spintonarla, ma lei ad un certo punto, dopo essersi divincolata, grazie anche alla signora Lucietta che era intanto intervenuta a tirarsi il nipote in casa, gli diede uno schiaffo e gli gridò chiudendosi in casa che se non avesse smesso avrebbe chiamato la polizia e così gli avrebbe fatto finire le vacanze ad Acireale con l’avventura finale!
Chiusasi la porta dietro le spalle Dina cominciò a piangere, cosa aveva fatto di male per non essere riuscita a godere quell’attimo di felicità dopo tanto tempo di solitudine? Non aveva fatto la civetta con Massimo, perchè lui aveva avuto una reazione così spropositata? Non riuscì ad avere nemmeno molto tempo per piangere perchè si accorse che di questo o avrebbe fatto tardi al lavoro e non voleva assolutamente, la sera prima era andata via di corsa dalla farmacia, non poteva, adesso, permettersi di arrivare tardi.
Quel giorno al lavoro fu un vero disastro, ma a metà mattinata trovò un messaggio di Mauro sul suo cellulare – ciao amore mio, prendiamo un caffè insieme nel pomeriggio prima dell’apertura? Ti aspetto al bar alle ore 16. Un bacio- . questo le bastò a mandarla nuovamente in tilt, ma a farla riprendere e a lavorare più serenamente, a Massimo ci avrebbe pensato dopo.
Il dopo, purtroppo, arrivò in fretta con la chiusura per il pranzo, arrivata sotto casa era dietro i vetri ad aspettarla. Dina si arrabbiò da matti, ma, cercò di mantenere la calma e affrontare definitivamente la situazione. Si avviò lentamente verso il portone senza alzare lo sguardo verso l’appartamento di Lucietta, ma quando stava per sfilare la chiave dall’uscio si sentì chiamare da Massimo. -Sicuramente, non ho usato una forma cortese, stamattina, ma il succo di quello che volevo dirti, più o meno, era quello- -cioè?- chiese con fermezza Dina, - cioè che non mi aspettavo un tuo rifiuto, né tanto meno che tu ti portassi, con quella messinscena di entrare a luci spente, quell’uomo- -Senti, effettivamente ho sbagliato ad entrare al buio come una ladra a casa mia, tra l’altro, casa, dove io da diverso tempo ormai vivo da sola, però, c’è una cosa che non capisco, a te cosa interessa? Io non ho marito, e a te, non credo di aver dato questa confidenza che tu, invece, accampi. Quello che faccio, e, come lo faccio, sono fatti miei, e, non devo nessuna spiegazione a nessuno -. Massimo mentre lei parlava alterò i suoi lineamenti fino a farle paura, ma lei cercò di resistere. Lui si era girato infuriato per andarsene, ma poi fermandosi tornò di scatto dietro dandole uno schiaffo e gridando – Puttana -. Dina non rispose, con una mano si toccò la guancia, entrò dentro e chiuse il portone alle sue spalle con decisione mentre le lacrime scendevano abbondanti a bagnarle tutto il viso.
Voleva dimenticare tutto di quell’essere, non voleva neppure piangere troppo perché di lì a poco avrebbe dovuto incontrare Muro e non voleva farsi vedere con gli occhi rossi. Altro che pranzo, non riuscì a mangiare, Massimo aveva preparato le valige e prima di andarsene cominciò a suonare il citofono come un forsennato. Quando lei chiese chi fosse al citofono, cominciò a investirla prima di insulti e poi a pregarla di aprire, mentre si sentiva, come dietro di lui, Lucietta che singhiozzava. Lei chiuse il citofono, si chiuse in bagno e aprì tutti i rubinetti facendo scorrere l’acqua, per non sentire il fracasso. Poi, di colpo, sembrò ci fosse silenzio. Lasciando sempre i rubinetti aperti, andò a sbirciare da dietro la
tapparella: l’atrio era deserto, e, nella casa di Lucietta era tutto chiuso fitto fitto.
Quando incontrò Mauro al bar, nonostante le buone intenzioni, aveva il viso stravolto, così, non poté far altro che cedere alle sue insistenze e raccontargli tutto. In fondo fu come una liberazione, Mauro la consolò dicendole che purtroppo gli esseri umani sono strani e spesso accampano pretese pazzesche, anche solamente dietro a delle cortesie, e anche se lei era stata troppo gentile con lui, questo non voleva dire certo nulla.- ma poi anche se uno all’inizio ci sta ha sempre il diritto di cambiare idea, anche all’ultimo minuto-.
Le fece mangiare due pizzette, un bel caffè e si incamminarono al lavoro. Dina era ancora scossa, ma lui era riuscito a calmarla, si sentiva come i nodi ai capelli che scivolano sotto l’effetto di un buon balsamo.
Si lasciarono dandosi appuntamento direttamente la sera a casa di lei.
Mentre si trovava nello spogliatoio della farmacia e si cambiava per andarsene, a fine serata, Cinzia, la sua collega, le diede il portatile dicendole che la cercavano al telefono. –Pronto?- - Si, Dina? Sono la signora Lucietta, per favore non mi chiuda il telefono, forse non avrei dovuto chiamare, ho già fatto troppo, ma non l’ho fatto apposta. Si, speravo che tu ti fidanzassi con mio nipote, però non credevo che sarebbe successo questo disastro. Sono morta dalla vergogna, non so come farò più solo ad affacciarmi dal balcone, ormai lo sanno tutti i vicini!.Come al solito quando era agitata, aveva parlato tutto di un fiato. –Non si preoccupi, - la confortò Dina, soffriva a sentirla così in pena - io non ce l’ho con lei, lo so che non centra e che sue intenzioni non erano cattive, stia tranquilla, ne parliamo con calma domani.- -Mi dispiace, ma io non ci sono, ero disperata e me ne sono andata da mia cugina a Paternò per un po’ di giorni, ci vediamo presto.Purtroppo Dina era fatta così, soffriva per gli altri, si era dimenticata di Lucietta e adesso aveva quasi rimorso per lei. A casa ne parlò con Mauro e lui le fece capire che la sua vicina era rimasta vittima esattamente come lei, suo malgrado. Era facile per lui era così calmo, ma lei, sempre in ansia non riusciva a stare
serena. Poi Mauro, per desiderio e per distrarla, cominciò ad accarezzarle i capelli, quasi ciocca a ciocca, Dina li aveva che le sfioravano appena le spalle, dopo li scostò e cominciò a baciarla sul collo, poi le sfilò la maglietta e continuò a baciarla sulle spalle, sulle braccia, di nuovo sul collo fino ad arrivare sulla bocca e a perdersi entrambi come trascinati da un vortice, però nessuno dei due opponeva ostacoli, anzi, avvinghiati si lasciavano travolgere felici. Dina aveva avuto sempre una certa ritrosia a spogliarsi, non perché non avesse una bella figura, non era particolare ma aveva un corpo piacevole, media statura, da sempre esile ma abbastanza in carne. Era Mauro a spogliarla e quando lo faceva lei ne era felice e non provava disagio anzi potersi stringere a lui e sentire la sensazione della sua pelle sulla sua la faceva impazzire e rimaneva impressa nella mente anche quando lui non c’era. Quella mattina, andando al lavoro, sorrideva, non le sembrava ancora vero di avere una relazione “felice” con Mauro, certo avevano qualche problema a causa della famiglia di lui, ma per il resto stavano bene. Non aveva sensi di colpa verso di loro perché aveva capito che lui era molto infelice e con lei aveva trovato un po’ di serenità.
Una sera lui ne parlò, era la prima volta che lo faceva così lungamente, le altre volte ne aveva fatto sono un vago cenno e tutto finiva lì, e lei rimaneva zitta perché si intimoriva a chiedergli altro, e, del resto, perché sapere, le avrebbe fatto solo male. – Questo fine settimana è stato proprio un incubo, non finiva mai, stare con le bambine è un momento bellissimo per me, però pago il tutto in modo esagerato. Mia moglie lo sa che io sopporto per loro e se ne approfitta, ieri non si è limitata alle solite battute, ad un certo punto, senza nemmeno inventarsi una buona scusa, è uscita ed è rincasata all’ora di cena. Tutto il pomeriggio fuori, sicuramente con il suo amante, ha pensato di provocarmi ad una lite, ma io ho lasciato perdere: in fondo ormai non mi importa, e poi quest’uomo è solo l’ultimo di una lunga serie. Non so fino a quando riuscirò a portare avanti questa farsa!- Dina gli si era stretta vicino ammutolita per la sorpresa e per il dispiacere per quella situazione, guardò Mauro e lo vide con un’espressione diversa.
I mesi che seguirono furono deliziosi per Dina e Mauro, certo non potevano vedersi sempre e soprattutto in pubblico, ma quando era possibile vivevano momenti sereni e felici. Insieme riuscivano a curare le ferite che la vita aveva impietosamente inferto ad entrambi. Con la sua vicina Dina aveva chiarito, certo,
tra di loro ormai mancava la naturalezza che c’era prima, ma, tutto sommato per lei andava bene così, aveva riacquistato un po’ della sua privacy. Anche le altre vicine si tennero un po’ alla larga dopo le vicende che il “buon Massimo”, con la sua poca delicatezza, aveva reso pubbliche. Certo Lucietta ci aveva rimesso, era affezionata a Dina, ma ormai la frittata era stata fatta e non era certo colpa sua, e così quando le venne l’influenza anziché rivolgersi a lei chiamò un’altra farmacia e si fece recapitare le medicine a casa, Dina non seppe nulla e dopo non si informò nemmeno per la sua salute.
avano i mesi e la vita scorreva apparentemente tranquilla, un giorno, era un lunedì di primo pomeriggio, Dina era al lavoro perché la farmacia era aperta per turno, si trovava nel retro assieme alla sua collega. Quando sentirono suonare il camlo, erano le 14,30 e a quell’ora la farmacia risponde solo alle chiamate, toccò a Dina rispondere. Era una donna che desiderava un antipiretico per il figlio che aveva la febbre. Lei procedette come sempre con professionalità e cortesia, mentre stava per avvolgere il pacchetto la donna, in modo poco garbato le disse – tu sei Dina, vero? La dolce Dina che ha rapito il cuore di Mauro. Che cosa gli hai fatto? Ha parlato di te anche ai bambini, lo hai stregato con quella faccia da santarellina?- All’inizio Dina non capì, poi comprendendo la situazione si fece seria e disse – sei la moglie di Mauro vero? Cosa cerchi, qualunque cosa vuoi sapere non è a me che devi rivolgerti ma a te stessa, e a come sei. Non mi è sembrato dal tuo comportamento che ti sia mai importato qualcosa di Mauro e forse anche dei tuoi figli. - A sentire questa risposta la donna si inferocì lasciò la medicina e andò via, davanti alla porta si girò e le gridò –puttana-. Non è certamente piacevole sentirsi appellare così, però, Dina cercò di essere razionale e pensò che se lei lo era, Angela, la moglie di Mauro lo era molto di più, e cercò di non pensarci più. Dopo, però, un’altra idea cominciò a frullarle per la testa: Angela aveva detto che Mauro aveva parlato di lei anche con i bambini, sicuramente, allora, la situazione doveva essere precipitata.
Era da qualche giorno che non si vedevano, il sabato e la domenica Mauro era a casa e lei non lo chiamava, si sarebbero dovuti sentire proprio quel pomeriggio. Quando finì di riordinare le sue idee Dina era veramente molto preoccupata, non sapeva come si sarebbero messe le cose. Finalmente, quando l’orologio in alto in farmacia segnò le ore 18, se ne andò nel retro per telefonargli, ma il telefono
squillò parecchio e quando qualcuno rispose non era lui ma il suo collega che le disse che quel pomeriggio Mauro non ci sarebbe stato e non sapeva niente per l’indomani. Preoccupata Dina lo chiamò al cellulare ma era spento.
Cominciò veramente a non stare più nella pelle. Poi la chiamarono in farmacia e, con la paura nel cuore, continuò a lavorare. Appena ebbe un minuto libero provò nuovamente a telefonare, prima direttamente a lui al cellulare, poi richiamò in ufficio, ma rispose sempre Antonio, il suo collega, ma di Marco non aveva notizie. Quando la sera tornò a casa era veramente a pezzi, cercava di trovare tutte le scuse possibili, il telefono scarico, la rabbia e il desiderio di stare solo… però niente, per quanto plausibile riusciva a rasserenarla. Erano ate le tre di notte, forse era appena crollata, non ricordava, lo squillo del cellulare la svegliò di soprassalto, si era addormentata sul divano con la luce e il televisore , era Antonio, era agitato, sconvolto, forse, non capiva, ripetè – Dina, hanno trovato Mauro, è caduto in un burrone, non ce l’ha fatta, stava tornando da Caltagirone, non si sa cosa era andato a fare, mi ha chiamato sua moglie e io ci sto andando vuoi che ti i a prendere? Pronto, Dina, mi senti? Pronto?- Dina non lo sentiva più, era svenuta: la sua vita era tornata nuovamente ai vecchi standard, era nuovamente sola e disperata, anche il suo amato Mauro la aveva lasciata e per sempre.
Mariella Di Mauro
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