Il frutteto dell’Ecclesia
di Paolo Agostino
EDIZIONI SIMPLE
Via Weiden, 27 62100, Macerata
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ISBN edizione digitale: 978-88-6259-680-0 ISBN edizione cartacea: 978-88-6259-479-0
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Prima edizione cartacea gennaio 2012 Prima edizione digitale maggio 2013
Copyright © Paolo Agostino
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Prefazione
La singolarità dell’opera emerge sin dall’inizio della lettura: non è un saggio, né un trattato teologico, ancor meno uno scritto filosofico o sociologico. È una predicazione. Sebbene risulti una “stonatura” in mezzo ad un’orchestrata melodia puramente umanistica su Cristo e la sua Chiesa, Il frutteto dell’Ecclesia affonda le sue radici nella primissima predicazione cristiana: il kerygma. Storicamente provata l’efficacia della “stoltezza della predicazione”, si persegue l’obbiettivo di evangelizzare, nient’altro. L’intelletto dell’autore è ben confinato e accuratamente limitato dalla Parola di Dio presente nell’opera che agisce da interlocutore con il lettore. In un contesto culturale ove trionfano gli scandali, i sentimentalismi esasperati e il razionalismo convertito al commercio nichilista, Il frutteto dell’Ecclesia presenta l’audacia di un nudo confronto con la predicazione di Cristo crocifisso, in cui non emerge l’immagine sublimata dell’autore, ma la speranza di trovare la salvezza.
-I-
L’innegabile liberazione
L’uomo è nato libero. Ma che significa “libero”? Nonostante una sfumatura d’intuitività “essere liberi” è un concetto essenziale da comprendere onde argomen-tare in termini esaustivi il senso dell’esperienza deri-vante dalle scelte. Innanzitutto è mia intenzione chiarire che, seguendo il pensiero moderno, tutti gli individui sono liberi: l’uomo si distingue nel creato per la sua capacità di comprensione e di scelta. Obbiettare tale affermazione è negare l’evidenza. Ma allora perché è così necessario parlare di libertà? Perché l’uomo non gode di una libertà assoluta: Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. (1) La stessa fragilità e debolezza dell’uomo sono concrete barriere ad una libertà assoluta. E qui, di fronte a tali limiti, molti uomini perdono la speranza. Allora la ricerca del rifugio, ovvero, scappare quoti-dianamente dalla debolezza, indi arroccarsi in vane sicurezze che trasudano di menzogneri piaceri. Saziatisi, con il ventre gonfio, una bruma di sonno-lenza intorpidisce la sana riflessione, chiudendosi, imprigionandosi in molteplici paure. È spesso distorto, infatti, il senso delle scelte: l’uomo cede alla paura di ciò che non conosce, alla paura di uscire dai vizi e dalle abitudini, alla paura di aprire la sua persona. Il mondo tutela tali timori promulgando il rispetto per le decisioni individuali. La verità è che l’uomo non riesce ad essere consapevole delle cause e conseguenze delle sue decisioni. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora se, faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo: infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente (2) e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne, invece, il peccato. (3) San Paolo spiega molto bene il senso di limitatezza dell’uomo, infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. In ciò è possibile affermare la necessità della libertà. Ovviamente le contestazioni possono essere molteplici, obiezioni che sfociano in un’unica considerazione, ovvero, che
compimento e volontà sono concilianti. (4) È mia intenzione, a tal punto, schivare ogni forma di soggettivismo e relativismo nella considerazione di ciò che è bene o male per l’uomo: in verità, l’uomo, da solo, non sa cos’è il bene per se stesso. Necessario, dunque, far parlare la Verità. Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. (5) Consideriamo ora i frutti dei tralci come le opere buone: secondo quanto suddetto, l’uomo può in sé por-tare frutto, ovvero, operare quel bene che vuole? No, perché come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me e anche senza di me non potete far nulla. Proprio in questo risiede la considerazione di ciò che è bene e male per l’uomo. La parola del Vangelo di Giovanni si conclude con Cristo che motiva il suo parlare: Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Dunque se l’uomo non ha in sé la forza di poter operare il bene, ma il male che non vuole, e se il Cristo ha detto, a motivo della nostra gioia, che solo rimanendo nel suo amore possiamo portare frutto, ovvero compiere il bene che vogliamo, come non con-siderare il bene della nostra vita Gesù Cristo? Ecco, infatti, colui che libera l’uomo dalla schiavitù del peccato, donandogli la dignità e la gioia di essere cosciente nelle sue azioni, poiché, in Cristo, è possibile fare il bene che si vuole e non fare il male che non si vuole. Credo opportuno ora continuare il discorso di San Paolo. Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era
impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito. (6) Il senso di questo capitolo risiede dunque nel far riflettere: la libertà promossa dal mondo è, in verità, schiavitù, in quanto spinge gli uomini a peccare onde trovare futili consolazioni e stordimenti, e renderli così schiavi del peccato, schiavi della carne. Ancor peggio, vengono esaltate delle tecniche per “vivere meglio”. Poiché il mondo si rende conto dell’impossibilità di essere liberi con le proprie forze, e quindi di non avere strumenti contro il peccato, inganna l’uomo nascon-dendogli la realtà della sua condizione e della sua possibile liberazione in Cristo Gesù. Politica del mondo è dunque depersonalizzare l’uomo, ovvero, impoverire l’intimo, l’essere degli individui rendendoli dipendenti da molteplici tecniche. Questo inutile e disperato tentativo nasce dalla soppressione del Cielo e dell’anima.(7) Ho scritto volutamente inutile e disperato per varie ragioni: primo, nulla è impossibile a Dio (8), secondo, la liberazione non è fine solo all’uomo, ma finalizzata anche a Dio stesso, in quanto esiste anche oggi un esodo ove è vivo il rapporto tra Dio e il suo popolo che è la Chiesa, infine, nell’uomo è palese l’estenuante ricerca di vita. Per quante tecniche si possano adoperare, la necessità della felicità è una consapevolezza insormontabile, infatti, proprio a causa delle delusioni si ricorre al continuo stordimento (9). La libertà promossa da Dio è ben lontana dal ragionamento umano. In un o del Deuteronomio (30, 11.14-15.19-20) vi è l’appello alla libera deci-sione: Questo comando che oggi ti do non è troppo alto per te e non è inaccessibile […]. La parola, infatti, è molto vicina a te: è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Vedi, io ti propongo oggi la vita e la felicità, la morte e la sventura […]. Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, ti ho proposto la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli la vita […], amando il Signore tuo Dio, ascoltando la sua voce e aderendo a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità [...]. Di fronte a un bivio così netto, dove la via di mezzo non esiste, affiorano i sintomi della schiavitù: inerzia di fronte agli eventi, sfiducia in un cammino di vita e felicità, auto condanna. Nell’Antico Testamento gli israeliti si sono trovati di fronte a questa situazione: le nostre ossa sono inaridite, è svanita la nostra speranza, siamo finiti. (10) Come risponde il profeta? Convertitevi, perché da voi, soltanto da voi, dipende vivere o morire. La sua risposta non è in termini di minaccia, bensì invita gli israeliti a considerare
l’esistenza della via di vita e felicità: è scrupolo di Dio sollevare l’indigente dalla polvere. Nel libro del Siracide vi è un capitolo intitolato La libertà umana; qui di seguito sono ripor-tati alcuni versi.
Se vuoi, osserverai i comandamenti; l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere (11). Egli ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti la sapienza del Signore, egli è l’on-nipotente e vede tutto. I suoi occhi su coloro che lo temono, egli conosce ogni azione degli uomini. Egli non ha comandato nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare (12) (15, 15-20).
La premura di Dio nel far conoscere agli uomini l’esistenza di un cammino di vita e felicità, ove la spe-ranza non delude, consiste nel liberare […] quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. (13) Riassumiamo i vari punti toccati in questo capitolo: la libertà è un dono di Dio di cui gode ogni uomo e consiste nella facoltà di determinare le proprie azioni o riflessioni; tuttavia, l’uomo non ha in sé la possibilità di discernere e mettere in pratica il suo buon volere, ciò a causa della paura della morte (14) che rende schiavi del peccato (15); Gesù Cristo è il liberatore, infatti, Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia (16); Dio non violenta il cuore dell’uomo, ma rispetta la sua libertà poiché lo ama, altresì non rimane indifferente alla sofferenza dei suoi figli, di conseguenza, adopera pazienza e costanza nello spingerci al suo amore; vivere nella libertà in Cristo diventa, dunque, liberazione e apre il cuore dell’uomo ad una vita nuova.
Note del capitolo
1. Mt 5, 36 2. La mente di cui parla San Paolo è intesa come principio di intelligenza e innata rettitudine. 3. Rm 7, 14-25 4. Perché considero le contestazioni avere uno stesso fondamento? In quanto, per un uomo, è difficile accettare che possa compiere il male che non vuole. Per questo ci si arrocca difendendosi che quanto si desidera si attua, in quanto si vuole il bene, ma si fa fatica a riconoscere l’altra faccia. Infatti, accettare la parola di San Paolo, significa riconoscersi, con umiltà, peccatori. 5. Gv 15, 1-11 6. Rm 8, 1-4 7. La dottrina mondana del cielo chiuso si attualizza attraverso l’inculcamento del rifiuto di Dio. Aborto, eutanasia, divorzio, denatalità, legittimazione di comportamenti moralmente deprecabili ed altro ancora, non sono la causa, ma la conseguenza del rifiuto. L’individuo detentore del libero arbitrio viene convinto, mediante forzature nelle abitudini, nel linguaggio, nelle comunicazioni, a credere che non c’è né il bene, né il male, ma solo se stesso. Divinizzato l’ego, la persona è illusa di costruirsi il cielo, la propria realizzazione, con gli effetti che sono oramai evidenti. 8. Lc 1, 37 9. Come vedremo in seguito, l’uomo consegue la piena realizzazione nell’amore. 10. Ez 37, 11 11. Per buonvolere non si intende la capacità nell’uomo, attraverso la sua volontà, di adempiere alla parola di Dio, piuttosto fa riferimento al senso di rettitudine, ove coltivare il consenso, il desiderio e la ricerca. Per questo l’essere
fedele dipende dal buon volere. 12. Verso che riprende anche San Paolo nella lettera ai Romani: tale parlare è consono ai fatalisti che intendono giustificare le proprie malefatte attribuendo a Dio la colpa. Nel libro del profeta Ezechiele si trova scritto: Voi dite: non è retto il modo di agire del Signore. Ascolta dunque, popolo d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l’iniquità e a causa di questa muore, egli muore appunto per l’iniquità che ha commessa. E se l’ingiusto desiste dall’ingiustizia che ha commessa e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà […]. Perché volete morire, o Israeliti? Io non godo della morte di chi muore. Parola del Signore Dio. Convertitevi e vivrete. (Ez 18, 25-28. 32) 13. Eb 2, 15 14. Quando si parla di morte non è saggio limitarla ad uno stadio solo ontologico, ovvero, alla morte dell’essere, per essere ancora più espliciti, alla sofferenza. Le Scritture insegnano, come possiamo vedere ogni giorno, che la schiavitù del peccato, conduce l’uomo verso una putrefazione del proprio cuore, in cui è grande il rischio di perdere la speranza. A causa di ciò avvengono fatti ignominiosi ove nemmeno l’uomo stesso che li compie sembra rendersene conto: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Questa frase detta da Gesù, il Cristo, durante la sua crocifissione fa riflettere in che modo l’uomo possa cadere così in basso da praticare ciò che è nel suo cuore, ovvero, la morte. 15. La società moderna ha bandito il termine “peccato”, svuotandolo non solo nel senso, ma anche nell’esistenza. Molti credono che il peccato non esista, che sia solo un’arcaica dottrina morale impregnata di condanna e giudizio. In verità l’uomo vive ogni giorno la realtà del peccato senza esserne consapevole. In seguito l’argomento si riprenderà in maniera più dettagliata, ma invito il lettore, in tal sede, ad abbandonare ogni moralismo e conformismo sulla definizione di peccato. 16. 1 Pt 2, 24
-II-
Il senso della realtà
È mio scrupolo incominciare questo capitolo col defi-nire certi termini. La realtà non è definibile solo con “è tutto ciò che ci circonda”, perché sfuggirebbe dalla realtà il non sensibile, ovvero, ciò che non è perce-pibile con i nostri sensi. Ad esempio, parlare di libertà è una realtà che elude i nostri sensi, infatti, non si può odorare o vedere la libertà, nonostante essa esista in quanto è parte della coscienza di ogni uomo. Ora, identificare la conoscenza del non sensibile con la percezione cognitiva, non significa necessariamente escludere cose o eventi sensibili connessi alla realtà non sensibile. Di nuovo un esempio. Nonostante la libertà sia una realtà oltre la percezione del tatto, è comunque possibile toccare un uomo libero, o delle catene o le sbarre di una prigione, oppure, sebbene la libertà sia oltre il senso della vista, è tuttavia possibile leggere un decreto contro la schiavitù. Lo stesso esempio della libertà lo si può rapportare ad altre molteplici realtà, quali l’amore, la felicità, la conoscenza, la giustizia ed altre ancora. Dunque la realtà è tutto ciò che è, e non semplicemente ciò che esiste. (17) Concretamente la suddetta affermazione si esplica in tal modo: ciò che comprendiamo, pensiamo e perce-piamo non corrisponde alla piena realtà della nostra vita. Espresso in termini ancora più esaustivi, la visione che abbiamo su noi stessi, sugli altri e sulla realtà in generale, è incredibilmente limitata. Nessuno, tranne un mentitore, può affermare di sapere tutto di se stesso o della sua vita. Umanamente è impossibile in quanto possiamo intendere attraverso strumenti natura-li limitati, illudendoci che la realtà sia solo quella del nostro tatto, dei nostri occhi o del nostro intelletto. Crediamo di conoscere bene ciò che viviamo, ma è falso: poiché moltissimi fatti o segni non li avvertiamo, li consideriamo inesistenti in quanto sfuggiti alla nostra intelligenza, eppure sono reali, vivi e, magari, percepiti da altri. Non si tratta, dunque, di una sfuggente conoscenza o di una distratta percezione, ma dell’evidente impotenza dell’uomo, per quanto si sforzi o per quanti strumenti possa usare, di abbracciare la comprensione del reale. (18) Presentiamo ora l’Inno alla sapienza misericordiosa nella lettera ai Romani 11, 33-36: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto
conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi ha dato qualcosa per primo, sì cha abbia a riceverne il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen. Come vedere la realtà dell’amore nell’evento di uno schiaffo o di un insulto, nell’evento dell’ingiustizia? Mediante la ragione una simile domanda risuona solo come pazzia. Allora, continuando il ragionamento, si dichiara che in quell’evento la realtà dell’amore non esiste: c’è solo violenza, morte. Noi piangiamo. Anche l’altro, colui che ci ha fatto del male piange. Magari nel suo cuore, esprimendolo con quegli occhi assetati e cupi. E com’è profondo il dolore se viene proprio da chi vorremmo sentirci amati. Sorge la tenebra del non senso. Perché? Perché. Vediamo l’immediata conseguenza, la sofferenza scendere come un freddo mantello che ci avvolge e soffoca. E di nuovo: perché? Ma come trovare risposta e, soprattutto, dove? Sorge una voce seducente che ci invita a resistere al male, che ci spinge a rispondere all’offesa subita. Ma è questa la via? Non stiamo male proprio a causa del male? Perché dunque permettergli di prosperare? Sospiriamo e vacilliamo in una speranza che aneliamo, la speranza che questo male i al più presto, che tale dolore si dissipi come le tenebre davanti all’aurora. Ma il tempo a e la sofferenza, per quanto si tenti di soffocarla, permane e prospera negli atri bui del nostro cuore. Allora gli occhi perdono slancio e planano in basso verso altre vie che conducono alla “distrazione”, o meglio, allo stordimento, al fine di non pensare onde calpestare il dolore in noi. Così ci gettiamo su ogni singolo evento per trovare la realtà che avevamo perso, la realtà dell’amore. Ma anche lì troviamo delusioni. Soffochiamo nell’abbraccio del prossimo mantenendo sempre la stessa speranza nel nostro cuore: «Ti prego, almeno tu, amami così come sono!». E siamo disposti a tutto per ritrovare la realtà dell’amore in un evento. I miei amici si drogano? Lo faccio anch’io, così mi accettano. Il mio gruppo fa violenze? Mi unisco a loro per non essere da meno e coltivare la loro stima e il loro rispetto. I miei colleghi rubano? Perché io devo essere l’unico fesso tra tanti furbi? La mia amica sposata si diverte ad uscire con l’amante? Non posso limitare la mia vita con quel “coso” di mio marito. I miei coetanei vanno a prostitute? Dimostrerò che anch’io sono un uomo.
La realtà dell’amore in ogni evento. Ecco il senso della realtà negli eventi. Oggi il nostro scopo è trovare la luce che rischiara le tenebre della storia, della nostra vita. Difatti siamo abituati a catalogare ogni evento nello schedario della mente, applicandogli un giudizio inappellabile. Vediamo ogni fatto come distaccato dalla realtà, evento singolo dispensatore di fortuna o sfortuna, di bene o male. Sigillato con l’apposita bolla di “buono” o “cattivo”, lo riponiamo nell’esperienza come un fascicolo sempre pronto da utilizzare nel caso emerga un’accusa o una distorsione relativa a quel fatto stesso. Così, col trascorrere del tempo e delle esperienze, non ci accorgiamo che camminiamo nel percorso della vita con un giogo su di noi, ovvero con il carico di tutti i “fascicoli”, di tutte quelle leggi sul buono e il cattivo, su chi merita fiducia e chi no. Ma del resto, come fare? Come comprendere la portata dell’intera esistenza avente come obbiettivo la felicità? È umanamente impossibile, per questo, invece di puntare all’obbiettivo, la felicità, il senso della storia, si cerca la soddisfazione in ogni singolo fatto. Come arrivare a comprendere che magari in un piccolo even-to che oggi vivo, domani ne trarrò una grande felicità? Specialmente se quell’evento, oggi, fa soffrire. San Paolo afferma, come suddetto, poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. Dio è la verità, Dio è la vita, Dio è la storia, Dio è la sapienza, Dio è il creatore. Quando noi parliamo del senso della realtà negli eventi altro non è che trovare in Cristo il senso di tutte le cose. È vero che per la logica umana è inaccessibile valutare il senso della realtà negli eventi, un senso che trascende il mondo sensibile, una verità per l’uomo imperscrutabile in quanto infinita. È dunque più che ovvio che molti vedano la realtà come una catena, in cui ogni singolo evento, frammento di realtà, è un suo anello. Tanti uomini vorrebbero uscire dalla loro storia perché la vedono troppo frastagliata, divisa, piena di tante piccole realtà senza senso che sembrano condurre in chissà quali sentieri. Come fare allora? In che modo è per noi possibile abbracciare la nostra storia e discernere gli eventi? Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non compren-de le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace
di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spiri-tuale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo. (19) La realtà non è più dunque inaccessibile ed imperscru-tabile. Gli eventi non sono più fini a se stessi. Nella seguente scrittura è possibile comprendere bene che cosa vuol dire non fermarsi ad ogni singola esperienza per giudicarla. Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato. Allora Pilato prese ad interrogarlo: “Sei tu il re dei Giudei?”. Ed egli rispose: “Tu lo dici.” I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!”. Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato. Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. Allora Pilato rispose loro: “Volete che vi rilasci il re dei Giudei?”. Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò: “Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?”. Ed essi di nuovo gridarono: “Crocifiggilo!”. Ma Pilato diceva loro: “Che male ha fatto?”. Allora essi gridarono più forte: “Crocifiggilo!”. E Pilato, volendo dar soddisfa-zione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. (20) Che dire? Proviamo a considerare ciò che è accaduto e vedremo che è tutto senza senso, che è follia, non è possibile comprendere perché assurdo. Addirittura ingiusto. Non stanno forse condannando Colui che ha operato prodigi, manifestando la sua natura divina con la potenza della parola, in quanto è il Verbo incarnato, rendendo palese a tutti, persino a Pilato, che non ha fatto del male? Eppure è incatenato, accusato senza alcuna prova, senza nessuna veridicità, anzi è conse-gnato per aver parlato in verità. Che dire? Ecco la scelta
tra Barabba e Gesù. La folla, la moltitudine e i sommi sacerdoti conoscevano bene entrambi. Chi viene liberato dalle genti? Barabba. Perché? Se lo domanda anche Pilato. Ecco dunque l’agnello condotto al macello, Gesù, il Cristo, che viene consegnato per essere flagellato e crocifisso. Che dire? Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. (21) La realtà, dapprima così fuori dalla portata umana, è diventata concreta, tangibile per l’uomo in Cristo. Dobbiamo impegnarci fino in fondo in tutto ciò che accade nella nostra vita? No, saremmo schiavi di tutto. Come entrare nella realtà, allora? Come fare di noi stessi e della realtà una sola cosa per vivere appieno? Benedetto il Signore Dio Gesù Cristo! Ecco la via! Per primo Gesù è entrato nella storia per benedire la storia, è salito sulla croce per glorificare la croce, è entrato nella morte per risorgere vittorioso. Il Cristo è il nostro sentiero, la nostra via. Egli ha costruito per te, per me un piano di salvezza, ha spianato il terreno per camminare in terra piana. Il Salmo 143 così afferma: Insegnami a compiere il tuo volere, perché sei tu il mio Dio. Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana. La realtà della nostra vita non è limitata dalla nostra comprensione, dagli eventi che accadano o dalla portata dei nostri sensi. Non è nemmeno limitata a noi stessi. Non è il nostro ego il centro della realtà. Cristo ha aperto per noi la realtà della nostra vita, poiché Egli stesso si è dato a noi con la sua ione, la sua morte e la sua Risurrezione. Cristo è il tutto. Tutto è Cristo, poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. Vivere la realtà? Vivere in Cristo. Dire sì alla propria storia? Dire sì a Cristo. Cercare il senso della vita e degli eventi? Cercare Cristo. Il Signore Dio Gesù Cristo è la realtà, è la via, la verità e la vita. (22)
Note del capitolo
17. Ci si potrebbe chiedere cosa si voglia dire con “ciò che è”. L’essere non è né un divenire, né una concezione. Definire la realtà con l’essere, non intende qualificare la realtà, come a darle attributi o modelli, piuttosto si tratta di immergere la realtà nella considerazione del tutto. È innegabile la difficoltà nel comprendere tale affermazione, soprattutto per la mente umana abituata a spazi e tempi limitati e distinti. La realtà si estende sopra la percezione umana. Il motivo è semplice: solo l’esistente è alla portata dei sensi. La realtà supera questa concezione in quanto non si limita all’esistenza, ma all’essere. L’uomo, con le sue capacità, è dentro la realtà senza la possibilità di elevarsi per osservarla nel suo insieme. Quindi la mancata percezione attraverso i sensi dell’essere totalizzante induce a limitare la stessa realtà ad una realtà sensibile. 18. Insisto molto su tale argomento perché è fondamentale. La normalità, la quotidianità, le abitudini, sono vere alienazioni che intiepidiscono la sana riflessione e la giusta critica. Immersi nei ritmi travolgenti della vita moderna, viviamo con dei paraocchi onde concentrare le nostre attenzioni sulla produzione materiale. Alzare lo sguardo per contemplare è ormai considerato una perdita di tempo. Eppure capitano fatti nella nostra vita più grandi di noi stessi, e non sempre negativi, che ci obbligano a fermarci e riflettere. L’uomo è per il lavoro o il lavoro è per l’uomo? L’uomo è per il ventre o il ventre per l’uomo? E se allargassimo la prospettiva? La mia vita è per faticare, spendere, avere rapporti e poi morire? Si corre un grande rischio nel vivere come alienati: si a l’esistenza come un uccello in gabbia. 19. 1 Cor 2,13-16 20. Mc 15, 1-15 21. Is 53, 11 22. Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! (Col 2, 16s)
III-
Il gusto dei frutti
Ora non manca che gustare. Questo capitolo non tratterà delle scelte di questo o quello. È mia intenzione piuttosto dar risalto a come ogni cosa possiede sapore. È palesemente falso che esistono eventi insapori, ovvero, che la loro esistenza sia superflua ai fini dell’esperienza. Parlare in tali termini vuol dire cadere nell’animalismo dell’uomo ove tutto è ridotto a sete, sonno e sesso. Quando parlo di essere circondati da frutti, non intendo dire che l’uomo ha fuori di sé il gusto, piuttosto che i frutti sono la conseguenza del volere del cuore. Di questo ne parlerò successivamente, ma intanto pos-siamo saziarci di questa parola per capire meglio. Poi riunita la folla disse: “Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!” Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: “Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?”. Ed egli rispose: “Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!”. Pietro allora disse: “Spiegaci questa parabo-la”. Ed egli rispose: “Anche voi siete ancora senza in-telletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, a dal ventre e va a finire nella fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immon-do l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l’uomo. (23) Dunque, come suddetto, i frutti non sono intorno all’uomo perché ne colga e, nutrendosene, diventi puro o impuro. I frutti cosa sono se non il prodotto ultimo di una pianta? Non dovrà prima la pianta crescere, met-tere le foglie e fiorire per poi fruttificare? Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albe-ro. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla della pienezza del cuore, l’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. (24)
Quindi gustare i frutti è assaporare ciò che la pianta produce, innestata nel cuore. Ciò nonostante c’è ancora qualcosa che sfugge: se la pianta buona produce frutti buoni e viceversa, allora perché mi ritrovo a compiere fatti sia buoni che cattivi? Che nel mio cuore ci siano due piante? Sono sia un uomo cattivo che trae cose cattive dal suo cattivo tesoro che un uomo buono che dal suo buon tesoro trae cose buone? Spesso ci si ritrova, come suddetto, in un bivio ove, seguendo il parlare di Gesù, non c’è dop-piezza: Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno (25). Noi oggi non siamo chiamati a criticare la Parola Vivente, ma ad obbedirgli poiché, se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (26). Dunque, siamo invitati non a giudicarci, ma a convertirci (27). Ho scritto giudicarci in quanto, anche se il termine accenna ad una sfumatura negativa, noi la volgiamo al positivo, in tal senso: io non ammazzo, non rubo, vado a messa o opero elemosina, e così via. Ecco, teniamo lo sguardo fisso su noi stessi, a giudicare i nostri frutti, ovvero quello che germoglia dal nostro cuore. E poiché Gesù ha detto che l’omicidio, l’adulterio ed altro che rende immondo l’uomo nasce dal cuore che trae cattive cose dal cattivo tesoro, noi siamo belli che puliti in quanto non commettiamo tali colpe. Ma non è questo l’atteggiamento che chiede Gesù. Non è questo gustare i frutti. La Chiesa, corpo vivente del Cristo, insegna, guarisce e predica: nel cammino ove essa ci guida, scopriamo cosa vuol dire gustare i frutti. Cominciamo col dire che il Signore non parla in termini di legge, onde essere conformi ad un atteggiamento esteriore, ma dice di rimanere nel suo amore, anzi, Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. (28) ed anche […] L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore. (29) Quindi, cosa vuol dire oggi gustare i frutti? Vuol dire sapere dov’è il tuo cuore. Magari si dice che uno non ha commesso adulterio, ma dov’è il suo cuore? Gusta veramente frutti di santità nel matrimonio? Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (30). Oggi si sente molto parlare di efferatezze omicide, di violenze gratuite e capita
che, mentre ascoltiamo, pensiamo all’ignominia di tali atti. Arrivano plotoni di sapienti della psiche e del comportamento onde esor-cizzare la brutalità delle storie di violenza, perché se ne desuma l’estraneità di ogni umanità da parte della società borghese. Come a dire: «Tranquilli, voi, seduti a casa davanti al televisore, siete normali. Quelli, invece, no». Benedetto il Signore Dio Gesù Cristo: Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna (31). Esiste in tutto ciò una profonda e grande sapienza che disillude la mente. Ed anche il giudizio su noi stessi. Da quanto finora detto, noi gustiamo i frutti ove è il nostro cuore. Se infatti, mentre accarezziamo il capo di un fratello lo giudichiamo, il nostro cuore è nell’amore grazie al braccio, o nella morte grazie al giudizio? E quando diciamo “Ti voglio bene” ed intanto ricordiamo il male che ci ha fatto quella persona, il nostro cuore è nell’amore grazie alla bocca o nella morte per il rancore? Gustare i frutti non dipende, perciò, dalla portata del nostro braccio, né dalla lungimiranza della nostra mente. Si potrebbero dire tante parole, inondare pagine di vani pensieri. La realtà del nostro cuore non è raziona-lizzabile, e nemmeno metodica. Poggia sulla verità eterna dell’amore eterno. Allontanarsi, con il cuore, dalla realtà dell’amore, Cristo stesso, ci allontana dalla condizione della vita. Questo perché l’uomo gode solo dei frutti d’esperienza dell’amore, ove il cuore è immerso nella misericordia di Dio (32). Il centro del nostro essere è, infatti, in Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose sono state create: Egli, amore divino nell’espressione umana, ha ricapitolato in sé tutte le cose, perché grazie alla sua ione, morte e risurrezione, tutto concorresse alla gloria di Dio mediante la salvezza degli uomini per mezzo della sua Redenzione (33). Il cuore dell’uomo era nel pensiero di Dio al momento della creazione in funzione del diritto alla gloria. Il cuore dell’uomo è stato creato dall’Amore, l’essere dell’uomo e ogni suo atrio è in funzione dell’Amore. Ma l’uomo, vestito della corruttibilità della carne in vista del peccato, lamenta nelle sue viscere la fragilità di quell’amore. Come un vetro, va in frantumi nel cadere in un laccio, in un peccato. L’esperienza di morte, quei frutti orribili ed acerbi, straziano la gola del cuore che si lacera in un grido di angoscia e afflizione: sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato (34).
Ed ecco che, nonostante la moltitudine di esperienze, i frutti sono di morte o di vita (35). E la vita la troviamo nella Vita, in quello stesso amore che ha forgiato anima e corpo sigillando nel nostro cuore eterna misericordia. Volgiamo lo sguardo verso l’infinito spazio, cattu-riamo l’intero universo nella mano per il desiderio di amore, onde placare la fame e la sete del nostro cuore; ebbene, non sarebbe sufficiente. Terribile meraviglia nel sorprenderci di quanto sia grande il desiderio di amore, più grande dell’universo stesso.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; (36)
Ecco, un cuore al di sotto delle stelle, che alza il capo e ne osserva il bagliore, ma capace di volare più in alto. Un cuore fatto di lembi di carne, di terra, ma col potere su di essa. Un cuore pulsante sangue che si secca e marcisce, ma della stessa fattezza degli angeli. Chi inonderà di unguento le gallerie cave e sfregiate di un cuore più grande dell’universo? Chi si curerà di un infinito deserto? Piuttosto se ne guarderà bene dall’en-trarvi. E di rovi e spine? Perché rischiare di rimanerne intrappolati? In un terreno corrotto fiorisce corruzione e da una pianta malata spuntano frutti
velenosi. Si accà il terreno, la pianta o il frutto? E chi si permetterà di accusare? Altri malati o corrotti? Forse Dio? Ma se ha plasmato il nostro cuore legando ad esso il raggio luminoso della sua gloria perché ci volgessimo a lui? Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profon-dità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (37). Dunque il nostro essere vive di amore, l’uomo ha la vocazione dell’amore. E l’amore si trova solo in Dio, poiché Dio è amore.
Note del capitolo
23. Mt 15, 10-20 24. Mt 12, 33 ss 25. Mt 5, 37 26. Gv 15, 10 27. Attenzione, da qui comincia a svelarsi il senso del peccato. 28. Mt 22, 37ss 29. 1 Sam 16, 7 30. Mt 5, 24 31. Mt 5, 21s 32. Oggi giorno uomini scientifici, politici, filosofici si preoccupano di determinare leggi, teorie che definiscano tecnicamente l’intimo umano. Persino la filosofia, infatti, si è lasciata annacquare dall’ateismo del modernismo, figlio del marxismo, e dall’immanenza, propria dell’illumi-nismo, sino a cedere alla razionalità nichilista. Mondo moderno pieno di contraddizioni, che esalta a valore l’abbattimento di ogni valore, che inculca la negazione di ogni inculcamento, che sviluppa un nuovo linguaggio demagogico in nome di un progresso del pensiero umano. Guai a parlare oggi di misericordia, di amore non come sesso, ma dell’amore del Crocifisso, di peccato e di perdono. Si ostenta a velare con ogni mezzo possibile, soprattutto con la persuasione del linguaggio, qualsiasi riferimento al cuore dell’uomo. Ma perché questo? Perché il mondo non ha soluzioni di fronte alla morte del cuore dell’uomo; meglio, allora, parlare di animale-uomo, dove l’amore è una secrezione ormonale nella mente, la morte del peccato è pazzia, e il denaro è lo “stimolatore di sopravvivenza”. Eppure, ciò che stupisce agli uomini di spirito, è che proprio coloro che inneggiano a questa opulenza sono i primi ad abbisognare dell’amore di Gesù Cristo. Infatti, solo attraverso l’evange-lizzazione si salva il mondo ed è questa la vocazione di
qualsiasi uomo o donna nella Chiesa. Poiché le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. (Ct 8,7) 33. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. (Sap 2, 23) 34. Ct 3, 1 35. O frutti di morte o frutti di vita. Ebbene sì. La parola di Dio svela molto facilmente l’intimo del cuore umano. Mal pensare di una persona, desiderare il suo male, portargli rancore, giudicarlo, e così via, sono tutte forme di omicidio. Perché? Credo che non ci sia bisogno di spiegare, poiché tutti sperimentiamo come gli occhi di quel fratello si ammantano di tenebra e di dolore dopo avergli fatto del male. Anche senza aver impugnato un’arma. Il giudizio è una terribile arma di distruzione. Ma sfugge, soprattutto, la portata della nostra morte. Chi non si è reso conto che l’intimità del suo essere, dopo aver compiuto del male, sprofonda nella tristezza, nella solitudine? Un dolore più grande di qualsiasi ferita nella carne. Difatti, se riceviamo uno schiaffo ferisce più la mano o la portata del gesto? E se noi diamo uno schiaffo, al contrario, la mano si muove per un gesto inconsulto o per il dolore nel nostro cuore di non sentirci amati? Come già detto, tutto il nostro essere è in funzione dell’amore, e se questo amore è corrotto o viene a mancare, l’intero essere, per così dire, mal funziona, ovvero, entra nella morte. E dalle suddette parole, l’uomo mette in pratica, non tanto con la sua mente, ma con la sua vita, ciò che è nel suo cuore. Nel cuore dell’uomo vi è morte? I frutti nella sua vita sono morte. Vi è amore? Mette in pratica l’amore. A prescindere ogni esteriorità, non possiamo ingannare noi stessi: siamo nella vita o nella morte, nell’amore o nella distruzione. Abbiamo prima ascoltato: “l’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro tra cose cattive”, ed ora aggiungiamo, “perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12, 34). 36. Sal 8, 4-7 37. Rm 8, 31-35.37ss
IV-
Il Germoglio
I buoni frutti si gustano solo dalle esperienze di amore. Ma esiste la fragilità dell’uomo, quella stessa debo-lezza che imprigiona attraverso le paure limitando alla sola morte. Abbiamo già ascoltato riguardo la libera-zione, piuttosto è necessario ora intendere la forza dell’amore nella debolezza della carne. Mettere in pra-tica i buoni frutti, come il buon tralcio attaccato alla vite. Non c’è realtà per l’uomo se non Gesù Cristo e non c’è vita al di fuori di lui. La realizzazione di ogni uomo è nella conoscenza sublime di Cristo. Abbiamo inteso che Cristo è la via per la nostra vita. Bene, ma che devo fare? Se è il Signore la via, ove condurrò i miei i? Interrogato dai farisei: “Quando verrà il regno di Dio?”, rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” (38) D’accordo, ma che devo fare allora? Ascolta Israele (39). Intenderemo ora una parola dal profeta Zaccaria perché ci darà modo di introdurre l’argomentazione. Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Prendi fra i deportati, fra quelli di Cheldài, di Tobia e di Iedaià, oro e argento e và nel medesimo giorno a casa di Giosia figlio di Sofonìa, che è ritornato da Babilonia. Prendi quell’argento e quell’oro e ne farai una corona che porrai sul capo di Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote. Gli riferirai: Dice il Signore degli eserciti: Ecco un uomo che si chiama Germoglio: spunterà da sé e ricostruirà il tempio del Signore.” (40) Germoglio è Dio, Signore delle nostre debolezze, non della forza. Egli, infatti, si fa corona con l’oro e l’argento dei deportati, gente che ha creduto di potersi salvare con dei minerali preziosi agli occhi del mondo. Ma tale oro ed argento sono state zavorre, lacci nel loro pellegrinare. Ora, per quanto possa sembrare assurdo, l’uomo ha molta paura di staccarsi persino dalle proprie morti, dalle proprie debolezze. Una consuetudine affettiva con se stesso sorregge l’impalcatura del timore, onde evitare di mostrare ciò che nasconde. Ovvero, le debolezze, la sua natura. Perché? In quanto l’uomo ha gustato tante volte quei frutti acerbi e di morte del peccato: si è fidato del mondo ed è morto, si è fidato dell’uomo ed è morto, si è fidato di se stesso e si contorce dagli spasimi. Frutti velenosi, esperienze di morte. E, come naturale che sia, questa morte adesso fa paura. Come fidarsi di ancora altri frutti? Come scordare quel dolore che tuttora pulsa nelle viscere? Con il cuore circondato da radici di una pianta viziata alla morte, le cui fronde sono cadenti e rivolte verso il basso, proprio come gli occhi,
la speranza, la possibilità di ritornare alla vita e di rimanervi. Ed intanto il mondo ti ricorda che non vali niente, che è meglio se non ti illudi troppo con delle belle parole; forse sarebbe più saggio tenerti stretto quell’oro ed argento, quelle così care e ben conosciute sozzure. Perché rischiare di uscire dalla sicurezza anche se sono vizi? Perché devi permettere che qualcun’altro semini per poi scoprire ancora frutti acerbi? Ebbene, oggi la Chiesa, la Santa Madre Chiesa, rispon-de a tutte queste menzogne: Dio ti ama così come sei! Perché non credere a questa notizia? Ti serve una risposta concreta che serva da testimonianza? La Chiesa ti offre migliaia di testimonianze che Gesù Cristo ti ama. Tutte testimonianze comprovate, docu-mentate e realmente accadute: la vita dei santi. Non basta sapere l’azione di Dio su quegli uomini e quelle donne? È necessaria una risposta tutta per te? Che risponda alla tua vita?
Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: “Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è
la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo.
In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (41). Chi è nella Chiesa vede ed ascolta e la testimonianza che rende è veritiera. Non solo è possibile gustare frutti di amore, ma persino godere di un intero buon frutteto! Questo frutteto è la Chiesa, corpo vivente del Cristo Risorto, ed innesta il Germoglio nel cuore degli uomini.
Deponi il tuo oro, il tuo argento, le tue debolezze, le tue morti, nelle mani del Cristo, poiché è il Signore della morte e della vita, è il Signore delle tue debolezze, delle tue incapacità, delle tue sofferenze. Egli se ne fa corona, mostrando la sua sovranità e il suo potere sulla morte: Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? (42) Abbiamo già ascoltato che non possiamo fare nulla senza il Signore. Ed ecco, infatti, che il Germoglio spunterà da sé e ricostruirà il tempio. Cosa devo fare allora? Cosa devo fare? Lasciati amare. Lasciatevi riconciliare con Dio (43). Quanto finora scritto in corsivo è Parola di Dio e, al contrario dell’uomo, Dio dice e non si pente, elegge e conferma. La sua alleanza dura in eterno. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso (44). Il Germoglio, Gesù Cristo, spunterà da sé, nella terra buona, nel cuore aperto ad accoglierlo: Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò a lui (45). Che guadagno vi è nel continuare a guardare te stesso? Forse Dio non ti conosce? Anzi, egli ti conosce più di quanto credi e ti ama così come sei, ama di te persino ciò che tu non vedi e non conosci.
Hai comione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. (46)
Cosa ne ricavi nel lasciarti vincere dalle paure? È forse una perdita abbandonare
la disperazione? È così importante per te la tristezza? Ti vanti forse della tua morte? Non guardare più a te stesso! Ora a te alzo la faccia e gli occhi (47). Non temere, Dio è più grande del nostro cuore, (48) il Germoglio spunterà da sé e ricostruirà il tempio del Signore. Non vale nulla riflettere come se siamo di fronte ad un contratto. Cristo, di fatti, ha esagito solo da se stesso, perché noi potessimo avere tutto gratuita-mente. Senza sforzi o limiti, senza nessuna “fregatura”. Diventerà possibile ciò che oggi tu ritieni impossibile, sia nella tua natura che nella tua storia, grazie ad un solo sì. (49)
E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti:
Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso.
Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (50)
La pace del Cristo Risorto sia con tutti voi.
Note del capitolo
38. Lc 17, 20s 39. Deut 6,4 40. Zac 6, 9-12 41. At 4, 8-12 42. 1 Cor 15, 55 43. 2 Cor 5, 20 44. Eb 10, 23 45. Ap 3, 20 46. Sap 11, 23s 47. Tb 3, 12 48. 1 Gv 3, 20 49. Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio ”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei. (Lc 1, 34-38) 50. 2 Cor 6, 1
Bibliografia
Le Sacre Scritture presenti nell’opera sono tratte dalla Bibbia con traduzione testo CEI.
Catechismo della Chiesa Cattolica - Compendio, San Paolo, Milano, 2005 (Copyright 2005 – Libreria Editrice Vaticana).
Joseph Ratzinger – Bendetto XVI, Gesù di Nazareth, Rizzoli, Milano, 2007.
Joseph Ratzinger – Bendetto XVI, Deus Caritas Est, Libreria Editrice Vaticana, 2006.
Joseph Ratzinger – Bendetto XVI, Spe Salvi, Libreria Editrice Vaticana, 2007.
Karol Wojtyla – Giovanni Paolo II, Malati e infermi nel cuore della Chiesa, Chirico, Napoli, 2006.
S. Agostino d’Ippona, Le Confessioni, Paoline Editoriale Libri, 2004.
A. Del Noce, Il problema dell’ateismo. Edizioni Il Mulino, quarta edizione, Bologna, 1990.
A. Del Noce, Secolarizzazione e crisi della modernità. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione. Edizioni Giuffrè, Milano, 1970.
Indice
Prefazione
I_L’innegabile liberazione
II_Il senso della realtà
III_Il gusto dei frutti
IV_Il Germoglio
Bibliografia
Il frutteto dell’Ecclesia - Paolo Agostino
Stampato nel mese di gennaio 2012 da www.stampalibri.it - Boon on demand - Macerata
Versione digitale realizzata da: Eugenio De Angelis nel mese di maggio 2013