© goWare 2015, Firenze, prima edizione digitale
ISBN 978-88-6797-384-2
Copertina: Lorenzo Puliti
Redazione: Monica Rocca e Stefano Cipriani
Sviluppo ePub: Elisa Baglioni
goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing
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Presentazione
Dopo il grande successo di Boundless, ecco il nuovo avvincente capitolo della saga: Synthesis.
Sono trascorsi quasi trent’anni dall’impresa eroica di Chen Ximen e dei suoi amici, giunti fino agli estremi del sistema solare con l’astronave Explorer.
Ora il coraggioso pioniere è gravemente malato, mentre l’esplorazione spaziale non desta più interesse per la crescente potenza delle spietate multinazionali del farmaco, che usano lo spazio solo per i loro progetti di biologia di sintesi, a caccia di nuove e lucrose fonti terapeutiche. Dalla Terra a Nettuno, lo scontro fra queste sarà senza esclusione di colpi e coinvolgerà in pieno gli eroi della Explorer, alla ricerca di un segreto che il solo Ximen potrà svelare.
Ricco di suspense e colpi di scena, slanci di generosità e calcoli economici senza scrupoli, amicizie e tradimenti, Boundless – Synthesis è un fantathriller adrenalinico, un monito contro chi lucra sulla salute della gente, un libro di denuncia sociale che esplora le frontiere di astronomia e biologia in un mix esplosivo.
* * *
Gianlorenzo Casini è nato nel 1974 ad Arezzo, dove vive e lavora. Nel 2000 si è laureato in Ingegneria elettrotecnica presso l’Università degli Studi di Pisa.
Disabile visivo, è centralinista presso la Direzione Territoriale del Lavoro, ma se gli occhi hanno evidenti limiti così non pare per la sua immaginazione, né per il desiderio di comporre.
La scrittura è la sua grande ione, che coltiva con costanza da dieci anni.
I problemi concreti di questo mondo globalizzato costituiscono la base di partenza delle sue opere, nelle quali l’attento ascolto del sociale si combina con le conoscenze universitarie e con il suo grande interesse per le scienze e l’astronomia. Con goWare ha pubblicato nel 2014 Boundless.
Introduzione 28 giugno 2167
1
Ricardo Texeira uscì soddisfatto dal settore privato del piccolo jet che lo stava conducendo da Los Angeles a Melbourne. Rifletté sul fatto che essere il presidente della Synbiomed, una delle più potenti multinazionali in campo farmaceutico, di sicuro aveva i suoi vantaggi.
Un lussuoso jet dotato di ogni comfort, tre hostess servizievoli pagate per soddisfare ogni sua necessità, un addetto di volo con il compito di verificare che il pilota automatico portasse a termine tutte le manovre senza inconvenienti: più che un trasferimento di lavoro era una vera e propria pacchia.
Quella sera per il suo svago privato aveva scelto Sophia, una bellezza ucraina con occhi verdi e lunghi capelli biondi, un metro e ottanta di perfetta armonia, con seni non esagerati ma tondi e sodi proprio come piaceva a lui. Anche le altre due ragazze non erano da meno, ma le avrebbe prese in considerazione in un’altra occasione. Sorrise al pensiero: qualcun altro, al posto suo, avrebbe deciso di non fare rinunce, ma lui era un tradizionalista e preferiva gustarsi una sola donna per volta. Questo bastò per farlo sentire in pace con la coscienza.
Tornato al suo posto, Ricardo scelse dal fornito bar di bordo un Dalwhinnie invecchiato 35 anni. Osservò il whisky scuro nell’ampio calice a coppa che gli veniva porto, annusò brevemente per tre volte, poi lasciò che le complesse sensazioni gustative inondassero il palato.
Un piacevole tepore cominciò a scorrere per la gola, giungendo fino allo stomaco.
Posò il calice sul tavolino che aveva davanti e volse i suoi occhi scuri verso il finestrino. Il vetro che lo separava dal buio della notte oceanica restituì l’immagine di un volto paffuto, con folti capelli crespi spruzzati di grigio sulle tempie e un carnato color latte macchiato.
Si osservò con calma e si sistemò con la mano sinistra due ciuffi resi ribelli dal atempo con Sophia. Bevuto un altro sorso di whisky, cominciò a riare mentalmente gli obiettivi che intendeva centrare nel suo soggiorno australiano. Doveva lottare, conquistare mercato per la sua azienda, il predominio della Titanlab poteva e doveva essere scalfito. Nonostante fosse priva dell’installazione spaziale dei rivali, la Synbiomed era pronta a far uscire nuovi prodotti, aveva il suo vaccino anti cancro che dava buoni risultati ad un costo accessibile, conduceva una costante attività di ricerca e sviluppo. La Titanlab, questo era certo, finalmente aveva un temibile competitor.
Un’improvvisa, sinistra vibrazione destò Ricardo Texeira dalla sua meditazione. Un successivo scossone lo gettò nel panico e gli fece cadere sul raffinato intero grigio a righe quanto rimasto nel bicchiere.
Il jet cominciò a perdere quota in maniera così repentina che una delle due ragazze presenti nel vano eggeri finì rovinosamente a terra, mentre l’altra riuscì a fatica a mantenere l’equilibrio aggrappandosi allo schienale di una poltrona. Sophia, ancora in bagno a darsi una rinfrescata dopo lo svago concesso al presidente, cominciò ad urlare. Texeira venne catapultato in avanti, sbatté con violenza contro il tavolino e si ferì ad uno zigomo.
Nonostante i tentativi frenetici del supervisore di volo in cabina di comando, l’aereo continuò la sua folle picchiata verso il basso, giungendo in breve ad impattare con la sua parte anteriore contro le fredde e tumultuose acque del Pacifico. Lo schianto fu terribile, ma lo scafo resse. Per brevi istanti angoscianti
parve avere la portanza necessaria per restare a galla poco al di sotto del pelo dell’acqua, ma poi si inclinò di lato e cominciò rapidamente ad inabissarsi.
I terrorizzati eggeri si protessero come possibile al momento dell’impatto, accolsero con grida di spavento l’inizio dell’inesorabile discesa, osservarono con occhi carichi d’orrore le prime crepe che cominciavano a prodursi nei finestrini a causa della crescente pressione, mentre l’intera fusoliera scricchiolava e gemeva come se mani giganti avessero cominciato a serrarla nella loro implacabile morsa. Ben presto anche le luci d’emergenza si spensero, e l’aereo si trasformò in una buia pietra tombale che sprofondava negli abissi oceanici.
In un attimo di lucidità prima della fine, con l’acqua che iniziava a filtrare, Texeira capì di aver osato troppo. Era un messaggio forte e chiaro alla multinazionale di cui era a capo: segnalava che alcuni limiti non erano valicabili.
2
Leroy Bokila salì a tre per volta i gradini delle scale che conducevano all’appartamento dove risiedeva il suo capo. Ogni volta che si recava in quel posto, non poteva capacitarsi di come Raymond avesse scelto un luogo tanto insignificante come quartier generale. D’accordo, era anonimo e dava poco nell’occhio, ma a suo giudizio c’erano centomila luoghi che rispondevano alle medesime esigenze, più affascinanti dell’ingarbugliato quartiere medioevale di Birgu, nell’isola di Malta. Sicuramente l’ascendente di Paola aveva avuto un certo peso al riguardo.
“Ecco i nefasti risultati dell’azione di una donna sulla mente di un uomo”, pensò sorridendo fra sé.
Fu proprio lei ad aprire la porta e ad accogliere il massiccio congolese nel disimpegno. A causa del caldo estivo indossava un succinto costume a due pezzi, che ne metteva in risalto i seni formosi e il corpo snello e aggraziato. Nativa dell’isola, era una tipica bellezza mediterranea, con occhi dall’intenso colore castano e capelli neri come la notte. Una croce di Malta in vetro dipinto, di un caldo color rosso cangiante, le ornava il collo e ne aumentava la sensualità. In fin dei conti, non si poteva biasimare Raymond se aveva perso la testa per lei.
“Ray è di là, ti aspetta in camera”, disse Paola tagliando corto.
“Ok. C’è Emily?”
“No… è fuori, a godersi il sole.”
Un colpo di tosse proveniente dalla cucina tradì la presenza della ragazza. Leroy si avvicinò alla stanza, sperando di trovarla vestita come la padrona di casa, o se possibile ancor meno. Con disappunto, la trovò ben coperta, con indosso un leggero golf di cotone a maniche lunghe di colore arancio. Le stava largo, probabilmente glielo aveva prestato Paola.
“Ciao bella. Ma non scoppi di caldo?”
“Sono malata, imbecille. Ho la febbre”, disse l’inglese con voce rauca.
Anche così, con i capelli castano chiari scompigliati e il grazioso viso lentigginoso affaticato per l’influenza, Leroy non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Fu Paola a giungere in soccorso dell’amica, che aveva poca energia per mandare al diavolo lo spasimante, come invece faceva di solito.
“Bene, adesso l’hai vista e puoi levarti dai piedi. Ray ti sta aspettando con impazienza.”
“Ehi, dov’è finita l’ospitalità in questa casa? Fuori ci sono trentacinque gradi, non si offre neppure un bicchiere d’acqua ad un assetato visitatore?”
Pur di levarselo di torno, Paola porse all’africano un’intera bottiglia, indicandogli il corridoio con un perentorio gesto della mano. Lui, però, tenne duro e chiese: “Ma come hai fatto ad ammalarti in questa stagione? L’aria
condizionata troppo forte di qualche negozio?”
“Ho sognato il tuo brutto muso e mi sono alzata piena di brividi”, rispose Emily con tono fiacco.
“Vedi? Stiamo facendo progressi, adesso comincio a comparire nei tuoi sogni.”
“Era un incubo, cretino.”
Leroy rise, posò la bottiglia già svuotata per più di metà e finalmente si incamminò verso la camera di Raymond. Trovò il capo a torso nudo spalle alla porta, con le mani appoggiate al davanzale, intento ad osservare qualcosa giù nel vicolo. Al sopraggiungere dell’amico, chiuse la finestra, serrò la tenda e si voltò verso di lui. Pareva scuro in volto, forse si era logorato nell’attesa o semplicemente gli era mancata la sua solita eggiata di svago sul lungomare, fra le barche del molo e i bastioni di Forte Sant’Angelo, dal quale si poteva ammirare una stupenda visione di La Valletta. Andava là ogni mattina a godersi il sole e la brezza marina. Gli piaceva un sacco ascoltare il leggero tintinnio delle barche alla fonda nel molo e spesso faceva due chiacchiere con pescatori o turisti di aggio, oppure meditava e pensava alla storia. Si era apionato agli eventi del grande assedio ad opera dei Turchi del 1565, respinto dai cavalieri di Rodi, da poco trasferitisi nell’isola, che assunsero poi il nome di Cavalieri di Malta. A battaglia vinta, i Cavalieri cominciarono a fortificare con l’aiuto delle potenze europee un promontorio fino ad allora disabitato, dando alla nuova città il nome di La Valletta in onore del loro gran maestro, Jean de La Vallette. Birgu venne ribattezzata in Vittoriosa, ma i Cavalieri cominciarono a lasciarla per spostarsi nei più ampi e fastosi auberges della nuova roccaforte, una città che dominava il mare dall’alto dei suoi possenti bastioni, ma dalla piacevole e raffinata architettura barocca al suo interno. Cosa tutto questo potesse insegnare al capo sugli eventi correnti per Leroy era mistero assoluto, ma dopo aver provato una volta a fare domande aveva deciso di rinunciare per evitare di dover ascoltare noiose spiegazioni storiche, che mal sopportava.
“Quei cani hanno fatto precipitare l’aereo del presidente della Synbiomed”, disse Raymond con sguardo torvo.
“L’ho sentito”, annuì Leroy, capendo il motivo della tensione dell’amico. “Ma potrebbe cambiare il vento e non andargli sempre bene.”
Ray si avvicinò di un o e fissò l’africano con i suoi intensi occhi azzurri, come a richiedere spiegazioni. Incuteva soggezione, con il fisico ben tornito e muscoloso, gli addominali in rilievo, la testa completamente pelata e quegli occhi indagatori. Anche il modo di parlare contribuiva a creare il personaggio: di padre tedesco e madre texana, Raymond Fiedler parlava uno stranissimo inglese, frutto dell’unione fra il biascicato effetto patata in bocca dei texani e il duro accento sassone. Sorprendentemente, nei momenti in cui era allegro prevaleva il primo, il secondo aveva la meglio quando era di malumore, come in quella mattina. In fondo, era un modo semplice per capire al volo di che stato d’animo fosse.
“Ci sono novità grosse, Raymond. Fra un mese la Titanlab farà un viaggetto verso Titano, capitanato addirittura dalla presidente Dahlberg”, disse Leroy distogliendo leggermente lo sguardo. Pur essendo un metro e novantacinque per 105 chili di muscoli, più alto del capo di una spanna, faceva sempre fatica a fronteggiarlo quando lo vedeva così duro e determinato.
“Dimmi che siamo a bordo”, esclamò Raymond intensificando la sua presa visiva sul volto squadrato dell’amico e sollevando le braccia per posargli le mani sulle spalle.
“È così, Ray. Grazie ai miei contatti sono riuscito a inserire fra l’equipaggio di
bordo noi due, Emily e Paola. Non è stato facile, anzi si è trattato di un vero casino, ma la Titanlab ci è caduta. Si sentono fin troppo sicuri di sé e le identità digitali erano contraffatte alla perfezione. In più, per ora non ci conosce nessuno, siamo stati in gamba a rimanere nell’ombra.”
Raymond fece una faccia compiaciuta e i suoi occhi azzurri ebbero un guizzo.
“Ma ci conosceranno presto, amico mio, puoi giurarci”, disse serrando più forte le spalle del congolese e accennando un sorriso. Era visibilmente contento e l’accento parve farsi più strascicato come per incanto, consentendo a Leroy di tirare un ampio sospiro di sollievo.
“E ora dove vai?”, domandò l’africano osservando il capo che si preparava per uscire e s’infilava la maglietta della squadra di calcio dell’isola, capace di calamitare le attenzioni ai mondiali di due anni prima, dove era incredibilmente giunta fino ai quarti di finale dopo aver eliminato la Francia nel girone eliminatorio e l’Inghilterra agli ottavi.
“Vado a fare un giro, la mia solita eggiata sul lungomare. Ho bisogno di pensare e di valutare la situazione. Abbiamo la nostra grande occasione, ma dovremo stare all’erta. Antenne più dritte che mai, mi raccomando.”
“Questa spedizione verso Titano non ti convince, mi pare.”
“Neanche un po’. Si sente puzza di bruciato per tutto il sistema solare. Si muove perfino quella iena di Dahlberg, c’è roba grossa che bolle in pentola.”
“Se non è una semplice visita di cortesia, cosa c’è allora sotto?”
“Aguzza l’ingegno, Leroy, non è così difficile. Probabilmente vogliono ciò che vogliamo noi, ma per finalità molto diverse.”
“Subramani e le sue analisi?”, chiese intimorito il congolese.
“Già. Sta diventando una patata bollente. Se dovesse completare i suoi studi sarebbero fottuti. Se tu fossi nella Titanlab, non ti verrebbe voglia di metterlo a tacere?”
I due uomini uscirono dalla stanza e si incamminarono nel corridoio. Raymond si fermò in cucina per dare un bacio a Paola e ne approfittò anche per una ata sui fianchi sinuosi e sui glutei. Lei fece finta di offendersi e si ritrasse di un o, minacciandolo scherzosamente agitando l’indice della mano destra. Mozzava il fiato, con quell’aria di sdegno dipinto sul viso e il carnato leggermente olivastro, pelle da mangiare con gli occhi. Leroy fu meno fortunato, dato che la febbricitante Emily lo degnò a malapena di un saluto e se ne andò con la coda fra le gambe.
Scesi nel vicolo, Raymond fece un cenno al gigante nero e si incamminò verso il porto. Stavolta fu l’africano a bloccarlo, mettendogli da dietro una mano sulla spalla, che venne comunque prontamente ritratta.
“Senti, Ray, mi chiedevo… non c’è proprio niente che si possa fare per ammorbidire Emily?”
Lo sguardo duro dell’uomo, innervosito per essere stato bloccato, si rasserenò di colpo e gli venne da ridere nel notare quel colosso di quasi due metri titubante e insicuro, messo al tappeto dai rifiuti di una ragazza esile, con curve e corporatura più da adolescente che da donna, ma dal viso decisamente carino per i suoi occhioni color nocciola e il nasino alla se. A metterli insieme pareva di vedere il gigante e la bambina, lei era trentacinque centimetri più bassa e non raggiungeva la metà del suo peso. “Sei proprio cotto, eh? Senti, ti chiamo quando le è ata la febbre, magari andiamo tutti e quattro a mangiare un kebab al negozio nuovo che hanno aperto vicino al Palazzo dell’Inquisitore, dove te lo riempiono di carne fino a scoppiare.”
Leroy annuì energicamente, contento per la proposta. Il capo gli batté con una mano sul petto muscoloso.
“Ma dammi retta, sarebbe meglio se questo tuo cuore cominciasse a palpitare per qualcun’altra. Oppure, se il tuo pisellone venisse fatalmente attratto da un’altra vagina. Non te la vuole proprio dare, devi fartene una ragione. E poi, sai che sareste una coppia davvero strana? Lei piccola e bianca come il latte, tu un armadio del colore del cioccolato fondente.”
“Ma se nel cioccolato fondente ci metti il latte viene ancora più buono”, disse Leroy convinto.
Raymond rise e si arrese, pensando che non c’è peggior sordo di colui che non vuole stare a sentirti. I due si strinsero la mano destra all’altezza del petto, gonfiando i bicipiti in un simulato braccio di ferro per aria. Poi ciascuno prese la sua strada.
Parte prima
4 settembre – 15 ottobre 2167
1
Kristin Dahlberg, presidente della Titanlab Industries, la più potente multinazionale del sistema solare, guardò cupa l’ologramma che aveva di fronte. Lesse nuovamente i dati e cercò di imprimerseli nella memoria. L’immagine a grandezza naturale di Amish Subramani, uno dei biologi del laboratorio della TISS, la Titan International Space Station, le sorrideva cordiale ad un paio di metri di distanza. Singolare, pensò la donna, che tanti problemi potessero essere causati da un ometto in apparenza insignificante, un indiano simile nell’aspetto a milioni di suoi connazionali. Labbra sottili, capelli neri corti e lisci, due vivaci occhietti scuri infossati in un volto dagli zigomi sporgenti: con il suo camice bianco che ne metteva in risalto la carnagione mulatta, più che un ricercatore geniale pareva un anonimo infermiere, come se ne trovava a bizzeffe negli affollati ospedali della caotica Mumbai, luogo in cui era nato e aveva vissuto prima di trasferirsi su Titano.
“Proprio vero che l’abito non fa il monaco”, rifletté Kristin intensificando la sua analisi sulla figura del biologo, per poi valutare con crescente attenzione le ricerche da lui effettuate.
A voler essere onesti, la presidente della Titanlab avrebbe potuto estendere tale considerazione anche a se stessa, ma l’orgoglio non le avrebbe mai consentito una simile ammissione. Gli stupendi occhi verdi con riflessi dorati parevano uno scherzo della natura, come se un gioielliere si fosse divertito a sprecare due smeraldi inserendoli in una catena di vile metallo. Con il suo metro e sessantacinque di statura e il fisico sovrappeso di almeno dieci chili, i corti capelli biondi bordati di grigio a contornare un volto squadrato dalle fattezze mascoline, Dahlberg non si poteva certo dire il meglio che la Svezia potesse offrire quanto a femminilità. In compenso, però, era dotata di un’intelligenza acuta, di intuito e capacità di sintesi, tutte qualità necessarie per guidare la
multinazionale di cui era a capo, unite ad una buona dose di quello che lei definiva “indispensabile e sano pragmatismo”, che un osservatore esterno avrebbe semplicemente chiamato pelo sullo stomaco.
Disattivò il visore olografico e si alzò. Era stata fin troppo a valutare gli studi di Subramani, che poteva comprendere solo in parte. Ciò che più la interessava erano le implicazioni, così palesi da non richiedere un dottorato in biologia: al biologo andava messo il guinzaglio, molto più di quanto già fosse stato fatto.
Uscì dal suo piccolo alloggio privato, un vero lusso per navi spaziali progettate per traversate così impegnative, e andò un po’ in giro per ispezionare l’operato degli inservienti di bordo. Anche la cucina, una vera cucina con personale al lavoro per preparare pasti freschi e invitanti ogni giorno, era una rarità in simili ambienti. Vi entrò e disse con tono ruvido di andarci piano con salse o spezie, perché le davano problemi di digestione.
“Come lei desidera”, replicò il giovane cuoco, completamente calvo, squadrandola per qualche istante di troppo con i suoi duri occhi azzurri.
“Chiaro accento tedesco e fisico un po’ troppo tirato per essere un cuoco”, pensò Dahlberg, scrutando attenta l’uomo.
Venne improvvisamente raggiunta dal responsabile della sicurezza interna Kevin Harris, un afroamericano ben piantato dai corti capelli a spazzola, con petto, spalle e braccia gonfie come se ci avessero attaccato un compressore fino a cinque minuti prima. La presidente apprezzava molto i suoi modi, sempre efficienti e coincisi, sicuramente retaggio della precedente militanza nell’esercito, dal quale era stato congedato con disonore per una strage di civili compiuta dalla squadra speciale da lui guidata in una missione anti narcos in Messico. Nonostante la Delta Force non fosse composta da boy scout in gita
domenicale, era un po’ troppo anche per i suoi standard.
“Signora, è appena arrivata una comunicazione da Craig Allen, catalogata come urgente.”
Kristin fece una smorfia e invitò Harris a precederla con un gesto della mano. Era irritata con se stessa per aver scelto quel cretino del vice comandante Craig Allen come contatto privilegiato nella stazione orbitale di Titano. Sapeva bene quale era il criterio di urgenza delle sue comunicazioni, dato che tendeva a specificare anche quanto tempo Subramani ava in bagno, ma non poteva trascurarne alcuna nel caso si trattasse di qualcosa d’importante. Del resto, puntare sul biondo australiano era stata una scelta obbligata, essendo ben più manipolabile del comandante Maclean e dotato di un costante desiderio di leccare il sedere dei potenti.
Il cuoco osservò la presidente allontanarsi dietro l’ex militare con occhi che avrebbero incenerito un pannello termico. Distratto, il coltello gli sfuggì di mano e ci mancò poco che si fe un taglio ad un dito.
“Scheisse!”, gridò con rabbia, talmente nervoso da mettersi addirittura ad imprecare in tedesco. Recuperata la calma, rifletté che doveva essere più accorto. Con una iena come Dahlberg, capace di fare una radiografia alla prima occhiata, era fondamentale che imparasse alla svelta a controllarsi, cercando di rendere più morbido l’accento e di evitare atteggiamenti ostili.
Nonostante i buoni propositi, fu tentato di condire la carne con abbondanti spezie e peperoncino, in modo da dare a chi di dovere un bel mal di pancia. Per sua fortuna, prevalse la ragione ed optò per un condimento leggero.
2
Il dormiveglia di Chen Ximen era tormentato e popolato di brutti ricordi. Ogni tanto una mano affettuosa lo accarezzava, lo pettinava, gli sistemava la coperta.
Era da un po’ che il suo sonno era agitato, non solo per il cancro che si stava sempre più impossessando del suo corpo. No, non era la malattia a condizionarne umore e volontà di combattere, perlomeno non era l’unica causa di rammarico e abbattimento.
In realtà era la piega che avevano preso gli eventi dopo la trionfale missione di esplorazione che aveva guidato insieme a Greg Maclean quasi trent’anni prima fino agli oscuri confini del sistema solare a costituire una costante spina nel fianco. Non si erano subito piaciuti, lui e quello scozzese dalla testa dura, forse perché avevano un carattere simile ma appartenevano a due blocchi contrapposti. Erano i tempi di una sfida terribile per la supremazia energetica fra oriente ed occidente, che aveva rischiato di portare la Terra sull’orlo del baratro. Lentamente, avevano imparato ad apprezzarsi l’un l’altro, scoprendo che non erano così diversi e condividevano un’onestà di fondo.
Con un’astronave di nuova generazione, la Explorer, avevano guidato una missione congiunta fino al pianeta nano Orcus, alle estremità del sistema solare, per rilevare quello che era stato ribattezzato un “Deep X”, un piccolo buco nero primordiale, un potenziale cancello cosmico, rampa di lancio verso lo spazio infinito. Si trattava di una scoperta senza precedenti. Quella missione senza confini aveva salvato la Terra, distogliendola dai propositi di guerra. Con la Explorer in panne e prossima alla distruzione, sarebbero morti tutti sulla via del ritorno se non fossero stati raggiunti da un’astronave di soccorso, chiamata New
Explorer senza tanta fantasia. Al loro rientro, un pianeta riconoscente aveva accolto i pionieri come eroi. Poi erano stati scoperti altri Deep X, fra cui quello più vicino alla Terra nel sistema di Nettuno. A tempo di record, a prezzo di un enorme sforzo internazionale, era stata costruita una piccola base orbitante attorno a Tritone, principale satellite di Nettuno, perché fungesse da centro studi e da rampa di lancio verso le profondità dello spazio. Carico di speranze, Ximen si era trasferito nella pionieristica installazione insieme a Greg e ad altri degli ex compagni. C’era un’aria di grandi esplorazioni imminenti, ma si era trattato purtroppo di un’alba dalle promesse effimere e illusorie.
La svolta era giunta repentina e inaspettata. Come per incanto dalla fascia di Kuiper, la zona di spazio oltre l’orbita di Nettuno, era spuntata una delle due sonde con cui la Explorer aveva cercato di studiare il piccolo buco nero di Orcus, prima che venissero inesorabilmente inghiottite. Prontamente intercettata e raccolta da un’astronave, pur dando la grandiosa conferma che i Deep X, o le “porte di Dio” come qualcuno li chiamava, permettevano di raggiungere ignoti lidi cosmici e di tornare a casa, purtroppo non era stata in grado di fornire informazioni sul suo misterioso tragitto per l’avaria di molti dei sistemi elettronici di bordo. Ma qualcos’altro aveva ancor più attirato la comunità scientifica: la verdastra patina intrisa di idrocarburi che la ricopriva, prima vera conferma di vita extraterrestre. Sul principio era parso che si trattasse solo di congelati e inerti batteri mangiapetrolio, non dissimili da alcuni microrganismi idrocarburoclastici presenti nel nostro pianeta, ma la situazione era radicalmente cambiata con la decisione di coinvolgere gli esperti della Totalpharma, multinazionale nel settore delle biotecnologie, massima autorità mondiale nello studio di metabolismo batterico e genetica microbica, nonché azienda leader nell’utilizzo di processi di biologia di sintesi, branca della scienza interessata all’utilizzo di organismi viventi per creare nuovi prodotti o modificare sistemi già esistenti. Infiniti gli sviluppi, dalla creazione di farmaci più efficaci al biorisanamento, dalla produzione di materiali resistenti e biodegradabili a quella di ecobenzine. Niente di nuovo sotto il sole, visto che si potevano catalogare come primitivi processi di biologia di sintesi le fermentazioni alcoliche di vino e birra o la lievitazione del pane.
Grazie all’apporto dei tecnici della Totalpharma venne scoperta la vera natura
dei batteri alieni. Non erano affatto inerti, solo necessitavano del giusto ambiente per esprimere le loro incredibili potenzialità: un mondo glaciale, privo di ossigeno e ricco di idrocarburi, forse analogo a quello in cui si erano sviluppati. Non bisognava scoraggiarsi troppo se le ricostruzioni artificiali fatte sulla Terra non parevano funzionare a dovere, in fondo c’era un luogo simile nel sistema solare.
Dopo un paio di esperimenti in loco pienamente riusciti, la Totalpharma mutò il suo nome in Titanlab Industries, ponendosi alla guida del nuovo progetto internazionale. I governi cercarono di mantenere un forte controllo, ma vennero estromessi grazie alla costruzione di impianti di lancio di proprietà e all’elargizione di laute sovvenzioni. I politici non tardarono a capire che lasciando la palla nelle mani della compagnia non c’erano rischi, ma solo benefici economici. Perché spendere carrettate di quattrini per l’esplorazione del cosmo, quando il cosmo poteva diventare un’inesauribile fonte di guadagno?
Unico neo per l’azienda, nella Stazione spaziale di Titano venne imposta la presenza di un laboratorio internazionale, teoricamente indipendente, per non lasciarle il monopolio degli studi.
Grazie alla produzione di cure dall’efficacia mai vista e di nuovi materiali super performanti, il mastodontico progetto spaziale di biologia di sintesi attirò su di sé tutte le attenzioni potendo garantire, era il caso di dirlo, ricavi stellari. Inevitabilmente, la stazione di Tritone finì rapidamente nel dimenticatoio. Ximen, con tanta buona volontà e sovvenzioni sempre più scarse, provò a tenere duro, in attesa che qualche astrofisico, magari proprio il professore Zhao Quing, suo amico di vecchia data e scopritore del buco nero di Orcus, giungesse ad una più profonda comprensione delle “porte di Dio”, così da ridestare l’interesse per l’esplorazione spaziale. Con dolore, ferita che mai si era sanata, era stato costretto ad assistere all’abbandono di Tritone da parte dell’amico Greg Maclean, fondamentale quanto lui nella riuscita della missione della Explorer, trasferitosi con la famiglia proprio al servizio della Titanlab. Gli anni erano poi ati con la spiacevole sensazione di vivere come Giovanni Drogo,
protagonista di un libro del XX secolo dell’italiano Dino Buzzati di cui puntualmente si scordava il titolo, ufficiale della immaginaria fortezza Bastiani, che trascorreva tutta la sua vita in attesa di un nemico che non arrivava mai. Beffa finale, la guerra era giunta sulla fortezza con Drogo oramai vecchio e moribondo, impossibilitato a combattere.
Lui però non voleva fare la fine dell’ufficiale. Ormai esasperato, si sarebbe infilato dentro uno dei Deep X anche in assenza di libretto d’istruzioni, se il cancro non fosse sopraggiunto a bloccarlo.
Oppresso dai ricordi, si destò di soprassalto sudato e con un gran dolore allo stomaco. La moglie Wei gli fu subito al fianco per coprirlo di nuovo e porgergli un bicchier d’acqua, che bevve con avidità. Provò a riprendere sonno ma non ci riuscì. Con uno sforzo, si girò di lato e fissò la donna, che sedeva paziente accanto al letto. Il tempo, per lei, pareva essere trascorso senza lasciare tracce. Era sempre la stessa, esile e con il viso privo di rughe. Solo il grigio del corto caschetto di capelli che le ornava il volto provvedeva a ricordare che non era più giovane.
“Ancora qui?”, chiese lui con un tono di dolce rimprovero. “Trascorri sempre tutta la tua giornata con me.”
“Sei noioso, ma non ci sono molte attività da fare in questa astronave”, provò lei a scherzare. “Come ti senti?”
“Più o meno come al solito. Il viaggio, però, mi sta pesando. Quando arriveremo?”
“Fra poco. L’attracco alla stazione spaziale di Titano è previsto fra dieci giorni.”
“Sempre convinta dell’utilità di questo viaggio?”
Gli occhi di Wei si fecero duri. Avevano già discusso dell’argomento più di una volta, senza mai riuscire a trovare un accordo.
“Sì. Greg ci aiuterà, vedrai.”
“Come puoi esserne così sicura? È da quindici anni che ci ha lasciato, da cinque che non lo sentiamo più. Pensi davvero che ci getterà le braccia al collo e si pentirà per il suo comportamento?”
“Ne fai troppo una questione di principio, Ximen. Si era stancato di aspettare e ha fatto altre scelte. Non ci trovo niente di scandaloso.”
“Allora tuo marito è stato uno sciocco a rimanere su Tritone per tutto questo tempo?”
Wei fu sul punto di sbottare, ma riuscì a trattenersi. Alzò comunque la voce e la risposta le uscì tagliente, carica di nervosismo malcelato.
“Non ho detto questo. Possibile che, quando entriamo in argomento, tu prenda tutto come si trattasse di un’offesa personale?”
Lui rimase per un po’ in silenzio, distogliendo lo sguardo. Poi disse: “Scusa. Hai ragione, quando si parla di Greg divento suscettibile. Suppongo che sia perché mi sento tradito. Sarebbe l’ora di rielaborare la cosa, lo so.”
“Dovresti, stupidone”, sussurrò lei affettuosa, prendendogli una mano fra le sue. “Ha fatto le sue scelte e ne aveva il diritto. Ma questo non vuol dire che tua moglie non sia al tuo fianco. Se avessi voluto lasciare Tritone, se mi fossi stancata di cullare il nostro sogno spaziale, te lo avrei detto.”
Lui le strinse la mano, riconoscente.
“Forse è proprio questo. Magari una parte di me lo accusa perché ritiene che sarebbe stato meglio fare come lui, andarsene e mollare.”
“Non te lo saresti mai perdonato. Abbiamo cullato un sogno e non me ne pento. E poi, cosa volevi fare? Andare anche tu a lavorare per quei farabutti della Titanlab?”
“Non è che ora sei tu a criticare Greg?”
“No. Diciamo che non approvo la politica della sua azienda. Neanche lui poteva prevedere come si sarebbe evoluta la situazione e forse ora può solo adeguarsi.”
“Ti riferisci a come hanno agito su di me le loro medicine?”
“A come non hanno agito, piuttosto.”
“Mi hanno tenuto in vita, no?”
Dal fuoco che ardeva negli occhi di Wei, Ximen capì che non era consigliabile insistere sull’argomento. Il suo tono si fece più flebile a causa del sonno che lo stava riprendendo.
“Non so se su Titano troveremo una soluzione. Forse no. Però, anche se non abbiamo esplorato la galassia, sono un ingrato a lamentarmi. È stato bello avere uno scopo da condividere con te. Anzi, semplicemente è stato un gran dono averti accanto.”
Strinse leggermente la mano della moglie, poi si addormentò di nuovo. Lei ne osservò il sonno, adesso calmo e tranquillo. A differenza del marito, nutriva una ferma convinzione: nella stazione spaziale di Titano, con il consenso di Greg o no, avrebbe smosso mari e monti perché Ximen ricevesse cure adeguate. Ce l’avrebbe fatta, se lo sentiva.
3
Nel vasto laboratorio della TISS attrezzature e luci erano ormai spente. Con i residenti della base già a letto da un pezzo, vi regnava un’atmosfera spettrale. Il solo Amish Subramani, noncurante dell’ora, continuava a lavorare alacremente come se niente fosse, spostandosi come una trottola fra il computer, le colture batteriche e il microscopio elettronico. Uno strano groviglio di sensazioni contrastanti gli si muoveva fra petto e pancia, un’alternanza mai provata prima di paura, gioia ed eccitazione.
Pareva davvero che ce l’avesse fatta. Nell’euforia della scoperta forse aveva esagerato a chiamare Goldie, la figlia di Greg Maclean, per consegnarle una provetta di coltura batterica geneticamente modificata e una memoria contenente tutti gli sviluppi delle sue ricerche. Proprio tutti? Già, ancora non si capacitava del o compiuto quel pomeriggio, che aveva deciso di non annotare, preso dal panico.
I pensieri gli vorticavano in testa, insistenti e pungenti. Forse la cosa era stata notata? Ma chi poteva essere sveglio a quell’ora? Un azzardo informare Goldie, ma rischiava di scoppiare se non parlava con qualcuno. Del resto era un lupo solitario, aveva ben pochi contatti e la ragazza era l’unica con cui si era aperto dopo averla sentita muovere critiche contro la compagnia: un po’ incauta, essendo la figlia del capo, ma sincera e ricca di ardore giovanile.
Per provare a calmarsi, dette un’altra occhiata al microscopio elettronico, ancora incredulo. Non c’era motivo di dubitare: una piccola colonia di batteri dal genoma modificato aveva dato luogo ad una struttura molecolare identica a quella creata nel bioreattore di Titano. Il farmaco aveva la medesima
composizione e avrebbe dato gli stessi strabilianti risultati se immesso in un organismo umano malato. Il o successivo, compiuto solo nella coltura della provetta, era un’altra storia e forse avrebbe abbattuto ogni frontiera. Lo sapeva, avrebbe dovuto farla sparire, ma non ne aveva avuto il coraggio, diviso fra l’opzione di buttarne via il contenuto e quella, ben più sconvolgente, di effettuare una sperimentazione su se stesso.
Tornò al computer e rimase assorto per alcuni minuti di fronte alle catene proteiche, che formavano un colorato spaccato tridimensionale davanti ai suoi occhi. Gli si ghiacciò il sangue nelle vene vedendo all’improvviso, a pochi i di distanza, la sua responsabile, la coreana Choi Haneul, insieme al vice comandante della stazione spaziale, l’australiano Craig Allen. Era così preso dal suo lavoro che non si era accorto del loro arrivo, né aveva sentito scattare la pesante porta metallica d’ingresso.
I due lo guardavano incuriositi, le loro labbra erano mosse da un sorrisetto beffardo. Formavano una strana coppia: lui era tozzo e panciuto, con il viso coperto da una folta barba bionda, lei robusta e ben più alta della media per essere un’asiatica, con un viso dai lineamenti di bambola che pareva un elemento fuori posto in una simile corporatura.
In un attimo, Amish capì che aveva fatto bene a consegnare a Goldie i risultati dei suoi studi. Cominciò a sudare freddo e la paura prese il sopravvento sulle altre emozioni.
“Certo che ti concentri proprio parecchio quando ti metti al lavoro”, disse Craig con tono ironico. “Sono curioso di sapere cosa combini. Mi fai dare un’occhiata?”
Subramani osservò terrorizzato la corpulenta sagoma dell’australiano che
aggirava la scrivania per disporsi al suo fianco, mentre Haneul si piazzava al microscopio elettronico. Si sentì accerchiato. Sapeva di avere il computer sotto controllo, per questo da tempo aveva ridotto al minimo le sue comunicazioni con la Terra e cercava di tenere i documenti più importanti in cartelle criptate, ma non credeva che sarebbe stato preso di mira così apertamente, perlomeno non fino all’arrivo dell’astronave con la presidente Dahlberg.
“Cazzo, ce l’hai davvero fatta!”, esclamò Haneul dopo aver esaminato con attenzione il campione di farmaco al microscopio. “La tua coltura modificata è sorprendente. Sai cosa significa, vero?”
“Che… che non c’è più bisogno del bioreattore di Titano perché i batteri alieni entrino in produzione”, rispose lui titubante, preoccupato per la presenza alle sue spalle di Craig.
“Quanto dici non è esatto”, si inserì l’australiano posando la mano destra sul collo del biologo. “Ci sono altre conseguenze, per te non meno importanti. La prima di queste è che sei morto.”
Amish sentì una leggera puntura sulla nuca. Il modesto quantitativo del potente inibitore cardiaco che Craig gli iniettò fu sufficiente per ucciderlo in pochi istanti. L’arresto cardiaco giunse repentino, cogliendolo di sorpresa. Provò ad urlare, poi si portò le mani al petto, infine sbracciò e si agitò nella sedia per alcuni secondi. La scena fu di breve durata ma davvero drammatica. Haneul distolse lo sguardo con una smorfia dipinta sul viso, mentre Craig rimase imibile ad osservare la veloce agonia. A cose fatte, il corpo si adagiò molle, con la testa reclinata all’indietro e gli occhi spalancati, fissi testimoni dell’orrore degli ultimi istanti.
“È morto?”, chiese la coreana senza avere il coraggio di guardare il cadavere.
“Stecchito”, disse Craig, che già provvedeva a spostare la sedia scorrevole con il corpo di Amish per installarsi al suo posto. “Adesso però vieni qui. Ho bisogno delle tue autorizzazioni per entrare in questo computer e fare un po’ di pulizia.”
“Purtroppo, temo che non sarà sufficiente”, affermò lei allontanandosi dal microscopio elettronico.
“Cosa diavolo intendi dire?”
“Prima che tu arrivassi, ho visto Goldie fermarsi da Subramani. L’ho seguita con le telecamere a circuito chiuso di cui dispongo. Lui era eccitato, le ha mostrato dei dati al computer, poi le ha dato una provetta e una memoria. Il fottuto audio non funzionava, ma…”
“Merda, così ora dobbiamo spostare le nostre attenzioni sulla figlia di Maclean. Non finisce mai questa dannata storia”, si lamentò Craig, incupendosi.
“La tenevamo d’occhio già prima, no?”
“Sì, ma non era in possesso di ciò che si ritrova adesso fra le mani. Subramani deve aver optato per una consegna nel cuore della notte pensando di are inosservato, povero imbecille. Perlomeno è tutto a posto per le telecamere, vero?”
“Certo. Solo io ho accesso alle loro registrazioni. Se a qualcuno venisse in mente
di dare un’occhiata, non troverebbe mai le immagini di noi due. Sembrerà un infarto a tutti gli effetti, le tracce del farmaco scompariranno in breve e non le rileverà neppure l’autopsia più attenta.”
“Bene. Penseremo a Goldie dopo. Adesso ripuliamo quest’ambiente, dal computer ai contenitori delle colture. A chi troverà il corpo fra poche ore dovrà risultare chiaro che Subramani si è ammazzato di lavoro, ma era ben lontano dall’obiettivo. Era isolato e non riusciva proprio a fare lavoro di squadra, gli altri non faticheranno a credere a questa versione.”
I due si misero alacremente all’opera, totalmente incuranti del cadavere del biologo a pochi i, pregustando gli imminenti sviluppi. Di sicuro la presidente Dahlberg avrebbe lodato la loro intraprendenza e ci sarebbe stata una bella ricompensa per entrambi. Forse Craig sarebbe stato promosso comandante della base, spodestando finalmente quell’antipatico di Maclean.
4
Da quattro giorni Goldie Maclean aveva paura. Trascorreva nella sua cabina notti agitate, attenta a carpire ogni minimo rumore, nelle quali le ore di veglia venivano interrotte da un sonno popolato da incubi. La sua stanza era stata perquisita, se ne era accorta dopo aver trovato leggermente fuori posto alcuni effetti personali, e questo contribuiva a darle un senso di profonda inquietudine. Sapeva bene chi poteva essere l’autore dell’indagine e per quale scopo questa era stata effettuata. Si rendeva conto che parlarne con qualcuno sarebbe stato liberante, ma tentennava temendo di non essere capita. Del resto, a breve sarebbe giunta l’astronave presidenziale e forse avrebbe potuto consegnare il prezioso materiale di Subramani ai suoi contatti presenti a bordo. Tutto sarebbe così finito, consentendole di togliersi quel peso dallo stomaco.
Anche di mattina, pur essendo in pieno orario scolastico, la sua mente indugiava spesso sulla fine toccata al biologo e cercava di mantenere vigili tutti i suoi sensi. Ogni minimo rumore alle spalle era sufficiente per distogliere la sua attenzione dai moduli delle lezioni e per obbligarla a volgere tutt’intorno sguardi preoccupati, ansiosi di verificare che Craig Allen o Choi Haneul non fossero nei paraggi.
In un momento di pausa, invece che sgranocchiare come avrebbe fatto di solito una barretta energetica, si soffermò per l’ennesima volta a pensare a quello che era contenuto nella memoria che Amish le aveva dato poco prima di venire ucciso. Un alienato topo da laboratorio o un ricercatore coi fiocchi, non sapeva come dover giudicare l’amico, che comunque era riuscito dove tanti altri avevano fallito. Peccato solo che avesse fatto centro in un laboratorio indipendente solo a livello nominale, di fatto severamente controllato dalla Titanlab.
Le nozioni scientifiche di Goldie, studentessa all’ultimo anno delle scuole superiori, non le permettevano certo di comprendere le analisi di Subramani, ma era comunque in grado di farsi un’idea generale. Usando la più avanzata tecnologia a DNA ricombinante, il biologo era riuscito a modificare il patrimonio genetico dei batteri alieni con l’inserimento di frammenti di DNA di microrganismi terrestri. Chissà quante ore doveva aver ato in laboratorio ad operare su un’infinità di microrganismi, cercando il corretto enzima di restrizione per tagliare il DNA in siti specifici nel tentativo di unire dei frammentini alle cellule aliene.
Alla fine, il risultato era stato raggiunto per i successivi e prometteva di essere grandioso. Amish era stato capace di inserire nella cellula ospite microscopiche sequenze di DNA di ben due donatori, modificando, a quanto affermava in maniera radicale, il metabolismo dei microrganismi alieni.
Il primo donatore era stato l’alcanivorax, un batterio mangiapetrolio presente in molti mari terrestri. Così facendo, Subramani aveva consentito ai microbi alieni di sviluppare le loro eccezionali capacità di sintesi non solo nelle complesse condizioni ambientali di Titano, ma in una normale soluzione acquosa a temperatura sopra lo zero dove fossero presenti idrocarburi di cui cibarsi. Poi, ecco il secondo capolavoro: un nuovo inserimento genetico ancora più strabiliante, in grado di sganciare il metabolismo dei microrganismi venuti dallo spazio dagli idrocarburi, oramai merce pressoché inesistente sulla Terra e presenti in elevata quantità nel solo Titano. Poiché tutti i batteri mangiapetrolio tendono a digerire gli idrocarburi trasformandoli in acidi grassi da integrare nella loro membrana cellulare, Subramani aveva usato come secondo donatore l’akkermansia muciniphila, un batterio divoratore di grassi, presente anche nella flora intestinale umana.
Ecco così compiuta una vera rivoluzione scientifica. Se gli sviluppi delle sue ricerche fossero stati confermati, sarebbe stato possibile abbandonare Titano e utilizzare i batteri alieni comodamente sulla Terra, nutrendoli di grassi a buon
mercato, con tanti saluti al poderoso progetto spaziale della Titanlab. Non c’era da stupirsi in fondo se la stessa presidente si stava adoperando per mettere tutto a tacere.
La silenziosa meditazione di Goldie si interruppe quando una mano le si posò da dietro sulla spalla sinistra. Riscossasi all’istante, la ragazza balzò in piedi come una molla, emettendo un grido. A sua volta impaurito, chi era giunto a trovarla si ritrasse di un o, sorpreso da quella reazione così sproporzionata.
“Ehi, sei impazzita? Ti pare il caso di reagire in questo modo?”
Con il cuore in subbuglio, Goldie fissò dapprima arrabbiata e poi costernata il fratello Fabio, che la guardava sinceramente preoccupato. Si rimproverò per essersi lasciata sorprendere alle spalle così facilmente. Quale sarebbe stata la sua fine se invece di Fabio fosse giunto il vice comandante Craig Allen?
“Scusa… è che oggi sono un po’ nervosa, ecco tutto”, provò a giustificarsi.
“Se le materie dell’ultimo anno di scuola ti fanno questo effetto sei messa male, sorella. Sapessi che riata ho appena ricevuto dal professore virtuale di matematica differenziale. Dammi retta, calma i nervi, altrimenti all’università ti faranno verde.”
“Tu hai scelto fisica, scemo. Potevi prendere un corso più tranquillo, no?”
“Sì, e poi chissà i commenti di nostro padre sull’inutilità della letteratura o della
filosofia in un’installazione come questa. In fondo, non avrebbe avuto neanche tutti i torti.”
“Andiamo, non hai certo scelto fisica per far piacere a papà. È quel cretino del tuo cervello che proprio gradisce la materia, non puoi negarlo.”
“Questo è vero. Che ci vuoi fare, essere un po’ scemi è decisamente tendenza di famiglia.”
Fabio rise e si scansò leggermente, ma non quanto bastava per essere al riparo dal leggero pugno che la sorella, irritata per l’allusione, gli sferrò sul petto. Goldie fece finta di essere arrabbiata, ma in realtà era grata per quell’attimo di distensione. Voleva bene a Fabio, con il quale si prendevano spesso in giro. A livello fisico, in verità, non si somigliavano granché. Pareva che lui, scuro di capelli e dagli intensi occhi castani, avesse ereditato in pieno i tratti mediterranei della mamma Martina, mentre i cromosomi si erano divertiti a trasferire nella sola Goldie il bagaglio scozzese di papà Greg, come testimoniavano la sua chioma rossastra, il viso lentigginoso e gli occhi celesti. Unica nota in comune: nessuno dei due era molto alto, proprio come i genitori.
“Senti, vieni a mensa con me oggi, così puoi stare un po’ insieme a Henrik? Tanto l’ho capito che quel polacco del mio corso ti piace. Dammi retta, sfrutta l’occasione, non so se domani si ripeterà con il casino che avremo per la base.”
“Cosa succede domani di tanto importante?”
“In quale parte del sistema solare stava vagando la tua mente negli ultimi giorni? Avremo l’antipasto di quanto accadrà fra poco, con l’attracco dell’astronave
proveniente da Tritone. A ruota, poi, toccherà a quella in arrivo dalla Terra, con la presidente Dahlberg a bordo. Quale onore, vedremo di persona la sua brutta faccia.”
Goldie si fece pensosa e guardò il fratello con occhi strani. Lui chiese: “C’è qualcosa che non va?”
“Stavo pensando che domani rivedremo Ximen e Wei. Di loro ho un ricordo vago, ero troppo piccola quando abbiamo lasciato Tritone. Eppure ho sentito tanto parlare di loro, per non trascurare il fatto che sono stati grandi amici di mamma e papà. Non ho mai capito perché si siano allontanati così tanto.”
“Bah, non so. Io li ricordo meglio di te, ero più grande all’epoca. Mi pare fossero due persone garbate e sensibili. Lui era davvero forte, ogni tanto giocavamo insieme, altre volte mi spiegava in maniera semplice nozioni tecniche. Rimanevo affascinato, forse se mi sono apionato alla fisica lo devo anche a quelle conversazioni.”
“Non hanno avuto figli, vero?”
“No. Non so se è stata una scelta, oppure se uno dei due non poteva averne.”
“Mi pare di aver sentito che lui adesso è molto malato.”
“Già. Mi dispiace davvero. Ho provato a parlarne con papà, ma lui evita l’argomento e diventa nervoso appena gli nomini Ximen. Non so perché faccia
così. Le poche informazioni che ho le ho ricevute da mamma, che credo sia rimasta in contatto con Wei. Ximen ha un cancro e credo vengano qui proprio per ricevere un trattamento adeguato.”
“Questo non è giusto, Fabio. Noi della Titanlab non dovremmo curare tutti nello stesso modo? A volte mi pare che giochiamo con la salute della gente.”
“Non so. È da un po’ che su questo mi sembri molto critica. A volte penso tu abbia ragione, ma è pur vero che questo progetto costa ogni anno miliardi di dollari, che devono essere recuperati.”
“Un conto è recuperare i soldi, un altro è fare profitti da capogiro con le malattie della gente.”
Il tono di Goldie si era fatto accorato, come sempre le capitava quando discuteva dell’argomento. Fabio cercò di tagliare corto, ben sapendo che avrebbe rischiato di fare tardi all’inizio della lezione successiva se fosse rimasto lì a dare spago alla sorella.
“Scusa, magari continueremo il discorso in un’altra occasione. La lezione di fisica planetaria mi incalza. Allora, per la mensa? Vieni o no?”
“Va bene, ci sarò”, disse lei con tono un po’ scontroso.
Goldie rimase a guardare il fratello che si allontanava, meditabonda. L’ologramma virtuale della professoressa del corso di biologia aveva già iniziato
la sua spiegazione, ma lei per un po’ rimase ancorata ai suoi pensieri. Avrebbe potuto confidare il suo segreto al fratello, forse lui l’avrebbe capita, ma rifletté che era meglio non farlo. Preferiva essere sola in quella battaglia, nonostante l’angoscia che ciò comportava, per evitare di mettere in pericolo persone care. In fondo, confidava che quel periodo terribile sarebbe finito presto.
Se tutto fosse andato per il verso giusto sarebbe partita una nuova fase, meno dominata dalla logica del profitto, nella quale la stazione spaziale di Titano avrebbe perso la sua egemonia.
In cuor suo sognava proprio di fare ritorno su Tritone, alle frontiere del sistema solare, e di poter realizzare i suoi desideri di esplorazione spaziale.
5
Greg Maclean rimase pietrificato quando, dopo tanti anni, rivide di persona il suo amico di vecchia data Chen Ximen. Lo incontrò nel corridoio che conduceva agli alloggi preparati per gli astronauti provenienti da Tritone, un’ora dopo che il loro veicolo aveva attraccato alla stazione spaziale di Titano. Avrebbe desiderato essere presente prima, come aveva fatto la moglie Martina, ma era stato bloccato dalla gestione di un inatteso malfunzionamento di giornata dell’impianto di generazione atmosferica.
Trasportato su una poltroncina a lievitazione da Wei, Ximen fece una gran fatica per mettersi in piedi e abbracciare l’amico. Stringendolo a sé, Greg ebbe conferma della sua magrezza, che già aveva notato ad una prima occhiata. Era evidente, pensò in cuor suo, che si trattasse di uno degli effetti del cancro, unitamente al colorito malaticcio della pelle e al respiro un po’ affannoso. Non poté fare a meno di pensare a quanto gli fosse andata meglio, avendo ancora un fisico tonico e pimpante. I segni dell’età in lui si mostravano solo in qualche ruga facciale e nel bianco che stava sempre più invadendo i capelli prima rossicci, ma ancora folti come in gioventù.
Greg abbracciò anche Wei, che pareva davvero quella d’un tempo. Il contrasto fra lei e Ximen era davvero stridente, pareva che lui si fosse accollato il trascorrere del tempo di entrambi.
“Ci devi scusare, ma ora dobbiamo proprio ritirarci nelle nostre cabine”, disse Wei osservando affettuosamente il marito. “Ximen è molto stanco, il viaggio lo ha messo a dura prova.”
“D’accordo, vi lascio alcune ore per riposare. Ma se potete, stasera vorrei tanto cenare con voi. Potremmo farci portare il pasto nel mio alloggio privato, più confortevole e silenzioso della mensa, dove potremmo fare due chiacchiere con calma.”
Ximen annuì sforzandosi di sorridere. Wei aggiunse: “Se questo furfante avrà recuperato un po’ di forze, verremo molto volentieri.”
Greg osservò turbato i due amici scomparire negli alloggi, poi tornò ai suoi tanti impegni. In giornata però riuscì a combinare ben poco, oppresso com’era da un malessere interiore che non gli dava tregua. L’immagine di Ximen, con il suo fisico un tempo così atletico e ora provato duramente, continuava a tormentarlo. Come aveva fatto a ridursi a quel modo? Si ricordava bene che l’amico non mancava di testardaggine e orgoglio. Forse aveva rifiutato le cure, come a volte capita a chi non riesce ad accettare l’idea che il proprio organismo possa incorrere in malattie?
Finalmente giunse la cena ad interrompere le sue tante congetture, venendo raggiunto nel settore privato dalla moglie Martina e dai due cinesi. Dopo varie ore di riposo, Ximen pareva aver recuperato ed era decisamente più in forma di come si era mostrato in mattinata. La cena trascorse piacevolmente, allietata da una conversazione gioviale senza pause, con grande sollievo delle due donne, felicissime di rivedersi ma timorose che fra i due uomini potesse insorgere qualche contrasto. Fra il riso ai funghi, la carne ai ferri con verdure grigliate e la macedonia con gelato, vennero toccati tanti argomenti. Wei e Ximen si interessarono di come si viveva nella stazione di Titano e soprattutto vollero sapere cosa combinavano Fabio e Goldie. Se li ricordavano da piccoli ed ora li avevano ritrovati cresciuti, due bei ragazzi nel fiore dell’età. Greg e Martina invece chiesero notizie dell’installazione di Tritone e in particolare dei compagni che non incontravano da tempo, alcuni dei quali protagonisti della ormai datata ma ancora celebre missione della Explorer o della successiva spedizione di soccorso.
Terminata la conversazione sui vecchi amici, sulla tavola scese per la prima volta il silenzio. Fu allora che Wei decise di porre la domanda che tanto le stava a cuore, tenuta dentro a lungo.
“Credo che per noi, adesso, sia l’ora di rientrare nelle nostre cabine. Ximen mi pare davvero stanco, ma non posso negare di esserlo anch’io. Inoltre, voi domani dovreste avere parecchio lavoro da fare, visto che fra poco arriverà l’astronave con la presidente della compagnia. Vi ringraziamo tanto per questa bella serata, è stato un vero piacere ritrovarsi.”
“Anche per noi”, dissero Greg e Martina all’unisono.
“Prima di andare, però, vorrei farvi una richiesta: sarebbe possibile sottoporre al più presto Ximen ad un opportuno programma terapeutico?”
Greg fece fatica a nascondere la sua sorpresa. Un po’ disorientato, guardò la moglie e poi disse: “Certo, se lui vuole non ci sono problemi. Purtroppo al momento non abbiamo a disposizione il Solution 10, il nostro farmaco più efficace per problemi seri come il suo, poiché tutta la nostra recente produzione è partita per la Terra con l’ultimo cargo. In effetti, purtroppo siamo un po’ a corto di medicine, dato che nella base non c’è nessuno che ha bisogno dei farmaci più potenti. Temo che il Solution 6 sia il massimo a nostra disposizione, ma andrà comunque bene per apportare un leggero miglioramento. Ad ogni modo, fra cinque giorni il bioreattore di Titano ultimerà un nuovo ciclo produttivo e sarà possibile realizzare nuove medicine, con una concentrazione maggiore del principio attivo prodotto dai batteri alieni.”
“In tal caso, quanto ci vorrà secondo te per vedere dei risultati?”, chiese Wei con
una certa ansia.
“Non sono un medico, ma a giudicare dai prospetti terapeutici e da quanto a volte mi è capitato di vedere di persona, sebbene la situazione di Ximen non sia certo delle migliori, credo che già somministrando il Solution 9 si possa arrivare ad una guarigione quasi completa nel giro di un mese.”
“Questa è una grande notizia!”, esclamò Wei, balzando in piedi festante per andare ad abbracciare il marito e dargli un bacio sulla fronte.
Greg osservò la scena sempre più perplesso. Incuriosito, non poté fare a meno di chiedere: “Ho l’impressione che ti ci sia voluto un bel po’ per convincere questo testone a venire qua, in modo da obbligarlo a sottoporsi alle giuste cure. Amico mio, non sarebbe stato meglio cominciare a curarsi prima ed evitare di ridursi in questo stato?”
La domanda di Greg ebbe l’effetto di smorzare immediatamente la gioia dei due cinesi. Volgendosi verso di lui con viso duro, Wei domandò: “Cos’è, uno scherzo? Ci stai prendendo in giro?”
Greg fece una faccia ancora più stupita.
“Certo che no, che ti prende? È solo che, mi pare evidente, le cure applicate finora sono state poco efficaci, dunque…”
“Davvero non ne comprendi il motivo?”, incalzò Wei con tono sempre più aspro.
“Se vuoi illuminarmi, te ne sarò grato”, rispose Greg un po’ astioso, innervosito dall’atteggiamento di lei.
“Su Tritone era impossibile avere a disposizione farmaci adatti, dato che riceviamo nel migliore dei casi il Solution 4, che ha una concentrazione troppo bassa per un cancro invasivo come quello di Ximen. Siamo ati allora ai farmaci della Synbiomed, che sono più a buon mercato. Sfortunatamente, però, loro non hanno le tecniche di sintesi dei microrganismi alieni e i loro prodotti risultano meno efficaci.”
“Non capisco, in quel che mi dici c’è qualcosa che non va”, disse Greg rendendo più duro e penetrante lo sguardo dei suoi intensi occhi azzurri. “Dovreste ricevere come tutti farmaci adeguati ai vostri bisogni. Mi chiedo perché ciò non sia accaduto.”
“Cosa? Fai anche finta di cadere dalle nuvole?”, domandò Ximen scaldandosi di colpo e sforzandosi terribilmente per mettersi in piedi. “Anche se sono sicuro che ne sei già al corrente, vuoi costringermi a dirti in faccia come stanno le cose?”
“Volentieri, attendo con ansia una spiegazione da parte di voi sapientoni.”
Ci fu un attimo di pausa. L’atmosfera nella stanza si era fatta carica di tensione. Greg ora fissava Ximen rabbioso, mentre Martina era sconvolta per la piega che stavano prendendo gli eventi. Fino a pochi istanti prima era felice per l’allegria che regnava e gioiva per la possibilità che si potessero ricucire i rapporti, ma ora tremava constatando che anche Wei, di fronte all’argomento delle cure del marito, aveva perso la calma e non evitava di mostrarsi polemica.
“La verità è che la Titanlab, per la quale tu dirigi questa installazione, fa il bello e il cattivo tempo a suo piacimento. Il che vuol dire che distribuisce i farmaci e i prodotti più performanti che escono dal bioreattore di Titano secondo logiche di mero profitto economico. Se puoi pagare, ricevi il meglio. Altrimenti ti mandano prodotti a bassa qualità, che magari ti tengono in vita finché non puoi permetterti di sborsare quanto viene richiesto. Perché credi che Wei mi abbia ossessionato per venire fin qui, perché eravamo stufi di Tritone? Lei sperava con tutto il cuore che si potessero scavalcare i normali protocolli di distribuzione, secondo i quali, se non tiri fuori cifre da capogiro, non puoi ricevere cure risolutive neppure se ti chiami Chen Ximen e sei considerato un fottuto eroe dello spazio.”
“Quanto dici è assurdo. I protocolli che menzioni li ho approvati io stesso in larga parte e prevedono un’equa distribuzione dei prodotti del bioreattore titaniano. Certo, l’azienda cerca di ottenere un guadagno, ma ci sono accordi internazionali che prevedono che materiali di fondamentale importanza, come i farmaci che possono salvare la vita, raggiungano ogni luogo e ogni categoria sociale nel sistema solare. Questo anche a costo di una perdita economica, nel qual caso sono i governi a dover integrare quanto è stato speso. A questo servono le sovvenzioni internazionali, è uno stato sociale globale.”
“Amico mio, se credi che ciò avvenga realmente sei un ingenuo, oppure ti hanno fatto credere quanto a loro tornava comodo. La Titanlab fa affari d’oro, chi non può pagare continua a morire, mentre i governi se ne stanno zitti in cambio di laute tangenti. Cazzo, queste chiacchiere rimbalzano quotidianamente fino a Tritone, possibile che voi qui non le abbiate mai sentite?”
Greg si fermò per un attimo a riflettere. In effetti gli era capitato in qualche occasione di udire dicerie simili, ma ci aveva prestato sempre poca attenzione, preso com’era dal suo lavoro e dalle notizie provenienti dalla Terra e dalle altre colonie del sistema solare, che riferivano di tante persone felicemente guarite dai farmaci prodotti su Titano. Quanto Ximen asseriva gli pareva pretestuoso e derivante solo dalla sua invidia.
“Ascolta, se tu hai un problema contro l’azienda e contro di me non è colpa mia. Inutile tu sfoghi la tua frustrazione a questo modo.”
“Cosa diavolo intendi dire?”
Stavolta fu Greg ad alzarsi, parlando con lo sguardo fisso negli occhi di Ximen.
“Che io non c’entro niente se tu hai fatto scelte sbagliate nella tua vita, decidendo di rimanere su Tritone ad oltranza in attesa di una chimera. Inutile tu sfoghi la tua rabbia contro di me. D’accordo, noi stessi abbiamo dato un contributo fondamentale per la scoperta e la conoscenza dei Deep X, ma sarebbe stato più saggio accettare la realtà e capire che le soglie di questi buchi neri primordiali non verranno varcate ancora per molti anni. Hai fatto della tua vita un’illusione e ora vieni a scaricare contro di me l’amarezza che ti cova dentro, solo perché ho avuto il buon senso di riconoscere che era meglio dedicarsi ad altro.”
“Scegliere una strada diversa è un conto, porsi al servizio di questi farabutti è decisamente un’altra cosa”, sentenziò Ximen con gli occhi incavati che sprigionavano lampi.
“Non credo che per te faccia molta differenza. Saresti infuriato con me in ogni caso. Ma se ti senti un fallito, non sono certo io il responsabile. È troppo comodo dare la colpa a…”
Le dure parole di Greg vennero fermate da Martina che, come a voler indicare
che era il caso di farla finita, gli posò una mano sul braccio destro, tenuto sollevato durante lo sfogo. Lo scozzese sospirò, convinto a smettere, più che dal gesto della moglie, dalle lacrime che intravide nei suoi occhi. Quei pochi minuti di litigio erano stati per lei, che tanto sperava in una riconciliazione, come una pugnalata al cuore. Anche Wei, che inizialmente si era scagliata contro Greg, ora teneva il viso a terra e taceva, come a volersi scusare per aver dato il via alla discussione. Avrebbe desiderato con tutto il cuore riavvolgere il nastro della serata e fare sì che venissero cambiati quegli ultimi cinque minuti, ma oramai il danno era stato fatto.
“E va bene, facciamola finita qui”, sentenziò Greg abbassando il tono della voce. “È chiaro che abbiamo due visioni completamente diverse e che i nostri contrasti degli ultimi anni non possono essere superati. Ad ogni modo, la mia offerta terapeutica resta invariata. Se volete, da domani cominceremo l’applicazione. Poi, quanto prima avremo medicine più potenti, quanto prima potrai guarire e andartene. Adesso scusatemi, ma ho un po’ di lavoro da fare prima di coricarmi.”
Muovendosi lentamente, Ximen si incamminò subito verso la porta. Data un’occhiata a Martina con lo sguardo carico di dispiacere, Wei fu subito al suo fianco con la poltroncina a lievitazione, che lui rifiutò con un gesto collerico, preferendo arrivare all’uscita, nonostante lo sforzo, con le proprie gambe.
Rimasti soli nella stanza, Martina chiese al marito: “C’era proprio bisogno di arrabbiarsi a quel modo e dire quelle parole?”
Rimettendosi seduto, lui rispose: “Senti, non ti ci mettere anche tu. Sono stufo di are come il traditore, quello che ha abbandonato Tritone per profitto o quant’altro. A suo tempo ne abbiamo parlato parecchio insieme e mi pare fossi d’accordo.”
“Però vanno rispettate anche le scelte altrui, no?”
“Sì, se non vieni aggredito per le tue. Tu accusi me, ma hai visto con che atteggiamento mi ha affrontato Ximen? Non ha digerito il nostro abbandono di Tritone, questo è lampante, ma oramai dovrebbe essersene fatto una ragione. In realtà gli brucia perché si rende conto che noi non abbiamo buttato via tanti anni della nostra vita.”
“È gravemente malato, Greg.”
“E allora? Sarebbe bastato si fosse curato a dovere. Non credo alle sue illazioni sulla distribuzione dei farmaci. Può darsi che ci siano piccoli casi in cui qualcuno cerca di trarne dei vantaggi, per carità, ma la bontà del progetto resta inalterata. E se anche fosse vero che su Tritone non hanno ricevuto i medicinali più performanti, bastava ce lo fe sapere. Anche se da alcuni anni i nostri rapporti non sono più quelli d’un tempo, figuriamoci se gli avremmo negato ciò di cui aveva bisogno.”
“Sai meglio di me quanto è orgoglioso. Davvero dura immaginarlo piegato e pronto a chiedere aiuto. Chissà quanto ha dovuto insistere Wei per convincerlo a venire fin qui.”
“Probabile, ma in ogni caso è un problema del suo carattere. Adesso per favore lasciami solo, voglio lavorare. A differenza di quei due, è da anni che noi qui ci spacchiamo il culo e dobbiamo gestire un’installazione cui guarda tutto il sistema solare. Ci vediamo dopo a letto.”
Martina capì che non era il caso di interloquire ulteriormente con il marito e,
dopo aver azionato il pulitore automatico per sistemare tutti gli avanzi della cena, uscì dalla stanza. Era costernata e sentiva un gran peso dentro, come se le avessero piazzato tre mattoni fra petto e stomaco, ma sapeva che per quella sera sarebbe stato inutile fare altre mosse. In verità, con lo scambio di accuse velenose che c’era stato, dubitava che i rapporti potessero mai tornare a ricomporsi, ma il giorno dopo contava di parlare di nuovo con Wei. Anche se l’impresa pareva impossibile, forse ragionando insieme avrebbero trovato un modo per tentare di riavvicinare i due uomini.
6
Appena giunta su Titano, la presidente Kristin Dahlberg non perse tempo. Dapprima si installò nell’alloggio privato del comandante, poi venne accompagnata dallo stesso Maclean in un’accurata visita, che la impegnò per tutta la giornata.
Prese così confidenza con l’ambiente, valutò i posti di lavoro, osservò con attenzione chi li occupava. In molti ebbero l’impressione di essere sottoposti a una scansione ai raggi X. Greg rimase sorpreso dall’atteggiamento della donna, sempre protetta dal suo fidato responsabile della sicurezza, chiedendosi continuamente come fe, a differenza di tutti i nuovi venuti, a non cedere all’irresistibile tentazione di affacciarsi a uno dei finestrini per ammirare il superbo scenario di Saturno.
Due ore vennero trascorse nel laboratorio internazionale di biologia, dove si trattenne a lungo con la responsabile Choi Haneul. Con sua sorpresa, Greg notò che l’atteggiamento della presidente con la coreana era quasi familiare, come se già si conoscessero. Aveva avuto la stessa, fastidiosa sensazione quando aveva incontrato il suo vice Craig Allen. Si stupì anche dell’interesse manifestato per i suoi figli Fabio e Goldie, incontrati per caso in un corridoio.
Verso la fine della visita, un’altra ora trascorse nella piccola sala dei sistemi informativi, dove Dahlberg si divertì a dialogare con l’ologramma di Hulk, l’algoritmo di intelligenza artificiale preposto all’interazione con i microrganismi alieni, materializzatosi davanti a lei con le sue stesse sembianze.
“Abbiamo scelto il nome del famoso supereroe tutto muscoli dalla pelle verde con riferimento al colore della biomassa aliena”, spiegò Greg alla donna. “Al momento è il più evoluto software di intelligenza artificiale che esista. Dialoga con i microrganismi e spiega loro cosa devono produrre. Adesso una ‘chiacchierata’ fra i due sistemi è solitamente rapida, ma anni fa, quando abbiamo iniziato ad istruirli, le cose sono state ben più complicate. Ce ne è voluto di tempo per trasmettere ai batteri la miriade di informazioni sulla Terra e sull’organismo umano.”
“Come avviene il aggio dei dati?”
“I microrganismi sono immersi in una matrice di elettrodi, che comunica con loro in forma binaria. Vengono trasmessi impulsi elettrici a bassa tensione, proprio come in un computer. È incredibile come quelle creature microscopiche siano organizzate per gestire e processare le informazioni, per immagazzinarle quando necessario. Costituiscono un sistema con intelligenza distribuita molto evoluto.”
“Come le api di un alveare o un nido di termiti?”
“Sì, ma su un livello decisamente più alto.”
“Ancora nessuna risposta al dilemma se siano naturali o programmati per questo, vero?”
“Nessuno lo ha ancora capito. Quest’universo è pieno di misteri, potrebbero essere anche un incredibile scherzo cosmico. Ma non è certo da escludere che una mano creatrice abbia operato per apportare modifiche genetiche a
microrganismi in partenza meno evoluti, in modo da renderli dei tutto fare al suo servizio. In fondo, è quello che stiamo facendo con i nostri continui tentativi di modifica genetica di batteri per ottenere processi più evoluti di biologia di sintesi, pur essendo ancora lontani da un risultato così mirabile.”
Soddisfatto il desiderio d’indagine della presidente, Greg venne congedato e poté finalmente concedersi un po’ di relax. Si sentiva ormai tranquillo, ma non sapeva quanto si sbagliava. A fine cena, quando ancora indugiava in sala mensa in compagnia di Martina e dei due figli, venne richiamato dal nerboruto Kevin Harris, che lo pregò di raggiungere nuovamente Dahlberg nel suo alloggio. Stupito e innervosito per la richiesta, seguì il bestione fino a quella che fino a poche ore prima era la sua stanza privata. Con sorpresa, scoprì che a fare compagnia alla presidente erano già presenti Choi Haneul e Craig Allen. Indispettito, prese posto accanto a loro, cercando a fatica di nascondere la sua irritazione. Dahlberg lo squadrò per qualche istante con i suoi penetranti occhi verdi, mettendogli lo stomaco in subbuglio. Poi chiese: “Comandante Maclean, desidero avere subito quanto è stato sottratto al biologo Amish Subramani poco prima della sua morte.”
Greg spalancò gli occhi e la sua faccia si dipinse di puro stupore.
“Presidente, non capisco di cosa stia parlando.”
“Io invece credo di sì. A quanto mi riferiscono il suo vice e la dottoressa Choi, adesso dovrebbe essere lei in possesso del materiale.”
“Temo che queste persone abbiano informazioni sbagliate”, disse Greg caustico, senza degnare i due di uno sguardo.
“Bene, allora mi costringe ad agire. Signor Harris, si comporti come prestabilito.”
Il responsabile della sicurezza uscì dalla stanza, dove cadde un’atmosfera di cupo silenzio. Greg non ci stava capendo niente e si domandava che significato potesse avere quanto stava accadendo. Avvertiva però un senso di malessere alla bocca dello stomaco, come fiutando un pericolo imminente. Le sue sensazioni ebbero conferma al ritorno di Kevin Harris, che stringeva per un braccio Goldie, senza darle alcuna possibilità di divincolarsi.
“Goldie!”, esclamò Greg balzando in piedi alla vista della figlia. Si rivolse poi alla presidente a muso duro: “Questa faccenda comincia a scocciarmi. Mi auguro che lei abbia una spiegazione ragionevole.”
“È lei che deve fornirci delle spiegazioni, comandante Maclean. Non me lo faccia ripetere, voglio quanto Subramani vi ha dato prima di morire.”
“Come glielo devo dire? Non ho la benché minima idea di cosa stia cercando!”
“Ok. Vediamo se riusciamo a farle tornare la memoria.”
A un cenno affermativo della donna, Harris estrasse una pistola dalla giacca e la puntò alla tempia di Goldie, che cominciò visibilmente a tremare.
“Siete impazziti?”, chiese Greg fuori di sé.
“La sua testardaggine sta rendendo tutto più complicato. Non faccia pazzie, o il signor Harris non esiterà a sparare. Ci dia quanto desideriamo e sarà tutto finito.”
Con il cuore serrato dall’angoscia, indeciso se protestare di nuovo o provare a scagliarsi contro l’energumeno, Greg si stupì nell’udire le flebili parole provenienti dalle labbra tremanti della figlia: “Mio padre non sa niente… ho preso e nascosto io quella roba.”
“Dove?”, chiese Dahlberg restando imibile.
“Nell’armadietto dei medicinali di questa stanza. So che papà non lo usa quasi mai.”
Con calma, la presidente si alzò e si recò all’armadietto. Dopo aver frugato un po’, si illuminò nel trovare quanto desiderava. Soddisfatta, tornando seduta, posò sul tavolo davanti a sé una memoria e una provetta piena di un liquido biancastro. A un suo nuovo cenno, Kevin Harris ripose l’arma nella fondina.
Sollevato nel vedere che sulla figlia non gravava più alcuna minaccia immediata, ma con mille dubbi che gli affollavano la testa, Greg domandò: “Tesoro, ma cosa significa tutto questo?”
Inaspettatamente, fu la presidente a rispondere: “Sua figlia, nella sua ingenuità giovanile, è rimasta vittima di voci distorte contro la nostra compagnia. Sappiamo tutto, tenevamo il suo computer sotto controllo. Nonostante la distanza e le nostre restrizioni, ha ricevuto più volte dati dalla Terra, accedendo a informazioni che mirano soltanto a infangare il nostro nome.”
“Quelle informazioni dicono la verità”, disse Goldie a sorpresa. “La gente muore e viene curata solo se può pagare. Infrangete ogni giorno gli accordi internazionali stipulati per la realizzazione di questa stazione. Lo sapremmo tutti, se non fossimo sottoposti alla vostra censura. Lo sapeva bene anche Subramani.”
La presidente atteggiò le labbra ad un sorriso. Pareva compiaciuta, come se fosse divertita dall’atteggiamento spregiudicato della giovane.
“Spiegazione interessante, peccato sia lontana dal vero. Subramani agiva da solo, senza offrire collaborazione, con l’intento di mandarci in rovina a favore dei nostri rivali. Di sicuro lo avrebbero coperto d’oro, se fosse riuscito a portare questa roba sulla Terra.”
“Cosa contiene la provetta?”, chiese Greg.
“A questo punto non ha più importanza. Lei continui a fare il suo lavoro con la professionalità che l’ha sempre contraddistinta, cercando di prestare crescente attenzione a queste ribellioni. In questo modo, le garantisco, non avrà problemi. Di solito la compagnia non è molto accondiscendente con chi non rispetta i patti. Il signor Harris gliene darà un’immediata dimostrazione.”
Greg osservò la scena che seguì ad occhi sbarrati. Liberata Goldie, che venne subito accolta dalle braccia del padre, il responsabile della sicurezza sguainò di nuovo la pistola e la puntò alla tempia di Craig Allen, freddandolo all’istante. Choi Haneul, vista la malparata, fu più reattiva e cercò di guadagnare l’uscita, ma venne raggiunta da due colpi alla schiena a due metri dalla porta. Ad azione del suo gorilla terminata, Dahlberg soggiunse: “Odio gli incompetenti, così come i leccaculo. Sfortunatamente, Craig Allen e Choi Haneul avevano ambedue
queste deleterie caratteristiche.”
Greg era interdetto e non riusciva a staccare lo sguardo dai due corpi privi di vita.
“Non faccia quella faccia. Avevano tirato in ballo anche lei, sicuramente per prendere il suo posto. Se non fosse stato per loro, la gestione dell’affare Subramani sarebbe stata più semplice e magari avremmo potuto chiedergli direttamente con chi aveva intenzione di mettersi in contatto. Questo serva di lezione anche a lei e alla sua famiglia. Prima di andare a dormire, mandi qualcuno per ripulire la stanza.”
Sconvolti, padre e figlia si recarono alla porta, dovendo aggirare il cadavere della coreana per uscire. Appena fuori, Greg abbracciò Goldie e le disse: “Ma cosa ti è saltato in testa? Ti rendi conto del rischio che hai corso stasera?”
“Sono dei delinquenti, papà. Distribuiscono i farmaci giusti solo a chi ha i quattrini. Non gliene frega niente della salute della gente, solo dei loro dannati profitti.”
“E tu come avresti fatto a scoprire tutto questo?”
Goldie si mostrò titubante. Poi, di fronte all’incalzare del padre, che continuava a fissarla con i suoi intensi occhi azzurri, disse: “Me ne ha parlato Subramani, ma ho avuto anche dei contatti con gente della Terra. Persone che mi hanno aperto gli occhi sull’operato della Titanlab e che mi hanno fatto capire come qui siamo sottoposti a una dura censura. Ci fanno sapere solo quello che vogliono, filtrano quasi tutto.”
“E chi sarebbero questi fantomatici informatori?”
“Non lo so. Si sono sempre firmati con nomi fittizi, di fantasia. Mai ricevuto un video, mai vista la loro faccia.”
“È stato Subramani a metterti in contatto con loro?”
“Sì. Si fidava di me, avevamo gli stessi sospetti. Quando ha capito che lo controllavano, mi ha pregato di fare da tramite. Ma è stata una cazzata, ci sorvegliano tutti.”
“Cosa ha scoperto quel biologo solitario di tanto importante?”
“È riuscito a modificare il genoma dei batteri alieni, creandone una varietà che non necessita dell’ambiente di Titano per operare.”
“Cosa? Ne sei sicura?”
“Sì. Per questo lo hanno ammazzato, papà. La sua responsabile e quello stronzo di Craig Allen gli stavano addosso. Facevano da informatori per la compagnia. Hanno fatto la fine che si meritavano.”
Greg sospirò, ancora preda di un gran tumulto interiore. La versione dei fatti
della figlia pareva reggere, ma stentava ancora a crederla vera. Però, da quanto era accaduto, era evidente che Haneul e Craig erano in combutta con la presidente e che questa ambiva più di ogni altra cosa ad impossessarsi delle ricerche di Subramani.
“Non dire così. Nessuno merita di essere ammazzato come un cane. Per quanto possano averla fatta grossa, la punizione della presidente è stata terribile e disumana. Non riesco a togliermi dalla mente che sarebbe potuto toccare anche a te.”
“È la conferma che sono dei bastardi, come mi hanno sempre detto i contatti terrestri.”
“Perché ti sei tenuta tutto dentro, affrontando da sola un simile rischio? Perché non ti sei confidata con me o con la mamma?”
Goldie esitò di nuovo. Poi rispose: “Non volevo esporvi al pericolo. Inoltre…”
“Inoltre?”
Lei tacque. Fu il padre a proseguire al suo posto.
“Temevi che non avremmo accettato critiche contro l’azienda e avremmo disapprovato il tuo comportamento.”
Lei annuì. I pensieri di Greg si fecero ancora più foschi. Era arrivato dunque a questo, ad essere così dedito al progetto Titanlab da coprirsi gli occhi di fronte a eventuali nefandezze? Era diventato una specie di esecutore di affaristi spaziali senza scrupoli, come lo aveva accusato Ximen, tanto da non meritare più la fiducia di sua figlia?
“Dimmi un’ultima cosa. Che avresti dovuto farci con il materiale di Subramani? Conservarlo per poi portartelo dietro al primo viaggio verso la Terra?”
“No. Io e Subramani eravamo in attesa che qualcuno dei contatti potesse raggiungerci.”
“Cosa? In questa stazione? E quando?”
“Di preciso, non lo so. Ci hanno detto che saremmo stati avvicinati presto e che avrebbero agito loro. Io non vedevo l’ora di liberarmi di quella roba, per cui ho sperato tanto che ci fosse qualcuno nell’astronave presidenziale, ma nessuno si è fatto vivo.”
“Cristo, vuoi dire che quella gente potrebbe essere giunta qui proprio oggi?”
“Davvero, non so.”
Greg si fermò per un attimo a riflettere. Dopo tutto, che i terrestri anti Titanlab si fossero accollati il rischio di fare il viaggio a bordo dell’astronave presidenziale era altamente improbabile. Forse sarebbero giunti in seguito, con l’astrocargo
successivo.
“E va bene, per ora finiamola qui. Abbiamo tutti e due bisogno di dormirci sopra. Ma tu, ti prego, promettimi che non commetterai altre imprudenze.”
“Lo prometto”, affermò la ragazza, ancora spaventata.
Padre e figlia si recarono insieme verso le cabine. Greg pensò che, prima di dormire, aveva diecimila cose di cui parlare con Martina. Per fortuna, rifletté rassicurato, nonostante temesse che l’atteggiamento ribelle della figlia potesse porla nuovamente in pericolo, la situazione oramai pareva tranquilla. La presidente aveva ottenuto ciò che desiderava ed era quasi impossibile che gli oppositori fossero presenti nella stazione. Avrebbe quindi avuto modo di decidere il da farsi con calma.
Argomentazioni ragionevoli, le sue, che però i fatti della mattina successiva erano pronti a smentire.
7
Dahlberg ò buona parte del suo secondo giorno di permanenza sulla TISS nel centro di elaborazione dati, quasi divertendosi a valutare le tante informazioni trasmesse dai sensori del bioreattore di Titano. Guardata a vista da Kevin Harris, pareva di ottimo umore. Ascoltava le spiegazioni con viso pacato e tranquillo, a volte addirittura accennava a un sorriso, come se avesse già ottenuto quanto si aspettava dal suo trasferimento spaziale e potesse attendere rilassata il momento di ripartire.
Di ritorno nel suo alloggio in compagnia di Maclean, fu sorpresa di trovare la porta già aperta. Due giovani donne, una bellezza mediterranea e una magrolina dai tipici tratti britannici, la attendevano sulla soglia e la accolsero con un plateale inchino. Le riconobbe subito, facevano parte dello staff di o della sua astronave.
All’interno, nella stanza dove la sera prima erano stati fredddati Craig Allen e Choi Haneul, trovò ad attenderla altri due uomini con cui aveva compiuto il viaggio dalla Terra. Dietro la scrivania sedeva il cuoco, fiancheggiato dal bestione nero che si era occupato delle manutenzioni ai sistemi di bordo.
“Presidente, la prego, si accomodi. Anche lei, comandante Maclean”, disse l’uomo calvo nel suo inglese appesantito da un evidente accento tedesco. Davanti a sé aveva la memoria e la provetta di Subramani.
Dahlberg lo squadrò torva, poi si volse verso Kevin Harris e gli impartì un ordine silenzioso. La guardia del corpo si mosse subito in direzione della
scrivania, ma venne stoppato dall’altro nero, più alto di lui ma con bicipiti e pettorali meno gonfi. I due titani si fronteggiarono per un lungo istante, poi improvvisamente si mossero l’uno verso l’altro e si strinsero in un abbraccio. Dahlberg seguì stupefatta la scena, ma recuperò alla svelta la sua compostezza e si accomodò, scura in volto come non mai.
“Ray, sai bene chi è Kevin, ma finalmente puoi conoscerlo di persona. Io e questo furfante ne abbiamo ate di belle. Se non fosse per me sarebbe sepolto chissà dove, neanche ricordo quante volte gli ho salvato la vita”, disse Leroy Bokila.
“Fottiti. Senza il mio aiuto, saresti ancora a vagare in quella merdosa giungla cambogiana.”
Ambedue esplosero in una fragorosa risata, poi continuarono lo scherzo simulando qualche colpo di boxe. Greg, nel frattempo, stava imprecando dentro di sé, avendo già capito quanto fossero sbagliate le sue congetture tranquilizzanti della sera prima.
“La ringrazio per aver sposato la nostra causa, capitano”, disse l’uomo calvo alzandosi per stringere la mano a Kevin. “Senza di lei, adesso non saremmo qui.”
“È stato un piacere. Condivido le vostre ragioni e poi dovevo davvero un paio di favori a questo congolese pazzo.”
Tornato a sedere senza staccare i magnetici occhi azzurri dalla presidente, il capo riprese: “Mi chiamo Raymond Fiedler e questo è il mio vice, Leroy Bokila.
Come avete capito, adesso siamo noi al comando.”
“Chi siete?”, chiese Greg.
“Oppositori del dominio della Titanlab. Vogliamo liberare la Terra dalle vostre squallide logiche di profitto.”
“Credo che la definizione di mercenari spaziali senza scrupoli sarebbe più appropriata”, si inserì Dahlberg.
Lo sguardo e la parlata di Raymond si fecero ancora più duri.
“Neanche per sogno. Siamo dei liberatori. Ve ne accorgerete presto, non appena avremo riportato sulla Terra questa roba.”
“Ah sì? E cosa vorreste farci?”
“Libera produzione di medicine e di altri beni. Il vostro monopolio è finito. Si potranno usare i batteri alieni a costo quasi zero e i risultati delle loro sintesi andranno a beneficio di tutti. Non mi stupisce che volevate insabbiare le ricerche di Subramani.”
“Sono chiacchiere a vuoto. Avrete bisogno di noi e dei nostri laboratori per gestire quei microrganismi, per modificarli geneticamente, per proseguire negli studi del biologo. Non potrete scavalcare la Titanlab.”
“E invece sì. Abbiamo già dei contatti. Sapete quanta gente desidera darci una mano? Inoltre, il grosso del lavoro lo ha già fatto Subramani, che voi avete brutalmente assassinato.”
“Hanno agito il vice comandante di questa base e la responsabile del laboratorio internazionale, a nostra insaputa. Noi non volevamo la sua morte.”
“A chi vuole darla a bere? Al massimo poteva convenirvi tenerlo in vita fino all’arrivo della sua astronave per spremerlo a dovere. Era già condannato, ma le sarebbe piaciuto farci due chiacchiere, vero? I due rompiscatole hanno agito di testa propria, così li ha fatti giustiziare senza pietà.”
“Vorrei far notare che chi ha sparato è attualmente alle sue dipendenze”, disse la presidente con disprezzo, indicando con un gesto della mano Kevin Harris.
“È vero”, ridacchiò Raymond, “ma ieri sera rispondeva ancora ai suoi ordini, no?”
L’uomo si alzò, dando ad intendere che desiderava terminare la conversazione.
“Lei rimarrà consegnata in questo alloggio. Non voglio sentirla fiatare. Se proverà in qualunque modo a metterci i bastoni fra le ruote, sarò costretto a farla eliminare. Quanto a lei, comandante Maclean, da questo momento si consideri alle nostre dipendenze. Sua figlia Goldie ci ha fornito un valido contributo, ci auguriamo che lei voglia fare altrettanto.”
“Non vedo come potrei aiutarvi, dato che avete già deciso di fare ritorno sulla Terra per provare ad usare la versione modificata dei batteri alieni.”
Raymond fece un sorrisetto beffardo.
“Qui viene il bello. Il suo ruolo sarà comunque determinante. Quando è previsto il prossimo atterraggio su Titano?”
“Fra tre giorni, per prelevare un nuovo carico di prodotti.”
“Bene. Come si svolgono queste missioni?”
“Sono guidate da Laurent Cameau, il nostro responsabile addetto ai recuperi. Di solito scendono una decina di persone, che si avvalgono di alcune vetture a due posti munite di serbatoio di raccolta.”
“Non avete mezzi di trasporto a quattro posti?”
“Sì, ma sono senza serbatoio.”
“Perfetto. Della prossima spedizione faremo parte io, questo Laurent e suo figlio Fabio. Ma stavolta non andremo per prelevare materiale.”
“Cosa andrete a fare, allora?”, chiese perplesso Greg.
Fiedler si prese un momento di pausa, come a voler dare più enfasi alle sue parole. Poi disse: “Porteremo su Titano la bomba nucleare a basso potenziale che si trova attualmente nell’astronave presidenziale, che distruggerà quel dannato bioreattore.”
Sia Dahlberg che Maclean balzarono in piedi all’istante.
“Cosa? Siete impazziti?”, urlò Greg. Contemporaneamente, la presidente chiese, atterrita: “Volete dire che abbiamo fatto il viaggio fin qui con un ordigno nucleare a bordo e che quell’aggeggio è ancora nella mia astronave?”
“Calmatevi, tutti e due. Non c’è alcun pericolo. Si tratta di una bomba della potenza di tre chilotoni e delle dimensioni di uno zaino. È totalmente sicura. Solo io conosco il codice di innesco, che attiverò quando saremo sulla superficie di Titano.”
“Davvero rassicurante”, fece Dahlberg con una certa nota di ironia.
“Siete fuori di testa a voler provocare un’esplosione nucleare su Titano?”, le fece eco Greg.
“No. È una soluzione ponderata, più pratica che portarsi dietro tanti esplosivi convenzionali. Eliminerà il problema alla radice. Quel maledetto strumento di
dominio deve sparire per sempre. Da quanto ne sappiamo i microrganismi venuti dallo spazio sono mostruosamente resistenti, ma così avremo la certezza di eliminarli.”
Greg era esterrefatto. Disse: “Non avete idea di quanto sacrificio ci sia voluto per realizzare quel bioreattore. Non potete annientare una simile meraviglia tecnologica, frutto di anni di duro lavoro.”
“Certo che possiamo. Grazie agli studi di Subramani, la sua esistenza è superflua. Porteremo biomassa aliena sulla Terra e la modificheremo geneticamente. La distruzione di quell’aggeggio sarà la ratifica della fine del dominio di questa compagnia.”
“Vi prego, perlomeno non coinvolgete Fabio in questa follia.”
“Richiesta respinta. La presenza di suo figlio sarà preziosa laggiù, così non le verrà in mente neanche per un istante di lasciarci in quella palude di idrocarburi.”
“La fa troppo facile. Non è mai stato su Titano, non conosce le insidie della sua superficie. Crede che sia uno scherzo attivare una bomba laggiù?”
“Ora basta. Sono io che comando, lei si attenga agli ordini. Prepari come previsto la spedizione per il trasporto. Informi suo figlio e l’altro uomo, fra un’ora porteremo l’ordigno sulla stazione e cominceremo a parlare di alcuni dettagli. A detonazione effettuata potremo informare la Terra dell’avvenuta liberazione e la renderemo consapevole degli studi di Subramani.”
Di fronte alla perentorietà dell’uomo, né Greg né Dahlberg osarono porre altre obiezioni.
“Adesso lasciamo la signora nel suo alloggio privato, in fin dei conti è ancora lei la presidente della compagnia”, concluse Raymond con evidente ironia.
Greg uscì dalla stanza visibilmente frastornato. Il suo mondo era stato messo brutalmente a soqquadro. In poche ore aveva scoperto la crudeltà e l’efferatezza della presidente, pronta a usare ogni tattica pur di preservare la posizione di potere della Titanlab, poi aveva assistito a un radicale sconvolgimento della situazione. Se l’attacco degli attivisti da un lato pareva la conferma di tante iniquità commesse dalla compagnia, dall’altro anche le loro tattiche erano alquanto discutibili. E la prospettiva di dover spedire Fabio su Titano per piazzare un ordigno nucleare gli faceva letteralmente venire i brividi.
Non tutti però condividevano le sue ansie. Anzi, per qualcuno la detonazione nucleare avrebbe costituito il chiaro segnale che il piano prestabilito era andato a buon fine.
8
Con il morale sotto i tacchi, Greg entrò nella cabina dove dimoravano Wei e Ximen. Questa era un piccolo ambiente composto da un disimpegno, una stanza con due letti sovrapposti e un bagno dove ci si poteva muovere a malapena. Costituiva comunque un lusso per due sole persone e non era del resto peggiore degli ambienti ristretti cui i due cinesi erano abituati su Tritone.
Ximen era a letto. Nonostante le proteste di Greg, sentendolo arrivare volle mettersi in piedi a tutti i costi e lo invitò con decisione a fermarsi. I tre sedettero così nel disimpegno, tutti cupi in volto. Dei due uomini si faceva fatica a dire chi fosse messo peggio: se da un lato Ximen non dava alcun segno di miglioramento nonostante l’applicazione delle medicine più potenti a disposizione nella base, dall’altro anche Greg, con gli occhi gonfi ed evidenti segni di ansia e preoccupazione dipinti sul viso, non aveva certo un bell’aspetto.
“Non porto buone notizie, purtroppo”, esordì Maclean. “Questi pazzi che hanno preso il controllo della base, in particolare il loro capo Raymond Fiedler, si stanno dimostrando inflessibili. Nessuna negoziazione pare possibile.”
“Dunque la missione di domani sul suolo di Titano è confermata”, disse Wei con tono preoccupato.
“Sì. Non sono riuscito a convincerli, ci ho provato in ogni modo.”
I due cinesi guardarono lo scozzese sinceramente compartecipi della sua ansia. Per testimoniare la sua vicinanza, Weisi protese in avanti e gli strinse una mano. Lui mostrò di gradire il gesto. Poi, dopo qualche attimo di silenzio, riprese: “Purtroppo, finora Fiedler si è dimostrato intransigente anche sull’eventuale recupero di prodotti dal bioreattore. Lo considera un simbolo di oppressione e sfruttamento per la popolazione di tutto il sistema solare e vuole soltanto che venga spazzato via.”
“Quindi si dovrà andare avanti con il Solution 5”, disse Ximen rassegnato.
“Per ora sì, ma c’è una piccola speranza. Ho ripetuto più volte a quel testone che abbiamo un malato che necessita di medicine più potenti. Non mi è sembrato del tutto insensibile a questa esigenza ed è rimasto di stucco quando gli ho fatto il tuo nome. La tua fama gli è ben nota, anche se aveva solo due anni ai tempi della missione della Explorer. Dice però che potresti tirare avanti con gli attuali medicinali fino alla Terra, dove riceveresti cure adeguate.”
“Non so se Ximen avrà questo tempo a disposizione”, disse Wei con tono cupo. Non valeva la pena nascondere la cruda verità, così lampante: al marito rimaneva davvero poco da vivere. Era affranta, mai e poi mai avrebbe ipotizzato che su Titano potesse crearsi una situazione tanto paradossale, con le più preziose e potenti medicine del sistema solare a portata di mano, ma senza poterne usufruire.
“È quello che ho cercato di fargli capire. Mi ha detto che ne avremmo riparlato stasera e avrebbe preso una decisione solo dopo aver valutato attentamente la possibilità di inserire nella missione il recupero di materiale come obiettivo secondario.
In fondo, un po’ di biomassa aliena da aggiungere a quella che possono reperire
sulla TISS potrebbe fargli molto comodo.”
Gli occhi di Wei scintillarono. Era commossa non solo per l’accendersi di quella flebile fiammella di speranza, ma anche per l’agire di Greg, capace di pensare a loro nonostante l’angoscia che provava per Fabio.
Sulla stanza cadde il silenzio. I tre si guardavano come se avessero l’urgenza di dirsi ancora qualcosa d’importante, ma senza riuscire a farlo. Alla fine, fu Greg ad anticipare gli altri.
“Qualche giorno fa ci siamo scontrati. Vi chiedo scusa. Non so se rimanere su Tritone per tutti questi anni sia stata una scelta giusta, io davvero non sarei stato in grado di farla. Vi ho criticato per questo, ma ora ammiro la vostra coerenza.”
Dopo attimi d’imbarazzo, il cinese disse con lentezza: “Sei stato troppo buono. Io in verità mi sono dato dello stupido centinaia di volte.”
La battuta ebbe il potere di allentare la tensione e di farli ridere tutti. Greg riprese: “Il fatto è che in questi giorni il mondo che mi ero costruito negli ultimi quindici anni mi si è sgretolato fra le mani. Non so più cosa pensare. Non posso certo negare che è molto probabile che la Titanlab abbia approfittato in modo vergognoso di questa installazione, anche se mi risulta difficile credere a tutto ciò che racconta Fiedler. Però la volontà della presidente parla da sola, così come la censura informativa cui pare siamo stati sottoposti.”
I due cinesi guardarono Greg comprensivi. Stava aprendo loro il suo cuore e Wei sentì giusto fare altrettanto.
“I misfatti della compagnia sono probabilmente innegabili, ma ad essere sinceri credo abbiano influito sul nostro atteggiamento nei tuoi confronti solo in parte. Io ho cominciato a prenderli in considerazione solo in assenza su Tritone di medicine adeguate per curare Ximen. E credo proprio che anche lui al riguardo abbia qualcosa da dirti.”
A quel punto, come per voler sollecitare le sue parole, Wei si voltò verso il marito. Lui, stretto all’angolo, tacque per un po’, ma poi raccolse coraggio e fiato.
“Ho l’impressione che l’orgoglio mi abbia giocato un brutto scherzo. L’avversione che ho nutrito per te ha davvero poco a che fare con la Titanlab, se tu fossi andato su Marte sarebbe stato lo stesso. In realtà non ho mai digerito che tu ci abbia lasciato. L’ho sempre vissuto come un tradimento personale, ecco tutto.”
Adesso era Greg a fissare stupito i due cinesi. Con gli occhi umidi, disse: “Beh, direi che non c’è male come confessione di gruppo. Sentite… forse a questo punto potremmo provare a recuperare il nostro rapporto, che ne dite? Io ne sarei davvero felice.”
I due cinesi si mostrarono entusiasti e commossi. Il patto venne suggellato dagli abbracci che ebbero luogo nello spazio angusto fra le sedie. Nonostante la fatica, anche Ximen volle alzarsi per stringere a sé l’amico ritrovato.
“Mi dispiace tanto, ma adesso devo proprio andare. Ci sono ancora dei preparativi da fare in vista di domani.”
Alla porta, venne chiamato da Wei, che disse:
“In bocca al lupo. Che il cielo possa assistere il tuo ragazzo.”
Ximen nel frattempo aveva alzato davanti a sé la mano destra e la teneva chiusa a pugno ma con il pollice in alto. “Andrà tutto bene. Fabio tornerà sano e salvo!”, disse cercando di ostentare sicurezza.
Greg annuì e osservò riconoscente i due cinesi. Poi uscì dalla cabina.
9
In viaggio verso la superficie di Titano, Raymond non riusciva a staccarsi dagli oblò panoramici della navicella, mentre Laurent e Fabio monitoravano le operazioni di discesa. Sebbene avessero svolto quel tragitto decine di volte, la tensione dei due uomini era palpabile, incrementata a dismisura dal distruttivo cilindro metallico presente a bordo, cui ogni tanto destinavano occhiate inquiete.
Raymond dapprima si fermò presso il finestrino dal quale si poteva volgere lo sguardo verso lo spazio esterno. Si ritrovò illuminato dal sole, una piccola sfera senza energia distante circa un miliardo e mezzo di chilometri, che non riusciva a prevalere sul nero dello spazio. Nonostante questo, rimase per alcuni secondi a cercare Giapeto con lo sguardo. Sapeva che doveva essere più o meno davanti a lui, ma la ricerca di un puntino nel buio del cosmo si rivelò ben presto vana. Ne fu rattristato. Il più massiccio fra i satelliti esterni di Saturno da sempre attirava la sua attenzione, da quando, al primo anno delle superiori aveva letto l’immortale capolavoro di Arthur C. Clarke 2001 – Odissea nello spazio. Nonostante fossero trascorsi due secoli dalla stesura del libro, trovava il suo contenuto avvincente come non mai e ancora attuale. A differenza del film, che non lo aveva coinvolto neppure nella sua versione olografica restaurata e che si concludeva nel sistema di Giove, riteneva spettacolare il volume, il cui epilogo era ambientato proprio su Giapeto. Davvero sconvolgente per l’epoca la realistica descrizione dell’enigmatico satellite, su cui si trovava lo strano e prodigioso monolite alieno, pronto a trasformarsi in porta stellare per l’unico superstite della Discovery, l’astronauta David Bowman.
Per quanto era stato colpito dal libro e per i suoi misteri ancora irrisolti, Giapeto attraeva Raymond più di qualunque altro corpo celeste presente nel sistema di Saturno. Infatti, sebbene fosse ormai appurato da tempo che la sua particolare e contrastata colorazione della superficie a due toni, l’uno scuro e l’altro molto
chiaro, fosse dovuta alle polveri raccolte nel moto orbitale dall’anellone Phoebe, il più esterno e rarefatto di Saturno, come giustificare la sua impressionante cresta equatoriale, una catena montuosa alta più di quindici chilometri, tale da lasciare a bocca aperta tutti i planetologi e dall’origine ancora sconosciuta?
Messa da parte la ricerca di Giapeto, Fiedler si spostò al finestrino diametralmente opposto. Rimase abbacinato. Davanti ai suoi occhi si materializzò la visione di Saturno illuminato dal sole. Nonostante si trovasse ormai da alcuni giorni sulla TISS, era quasi impossibile abituarsi a un simile spettacolo. Il gigante gassoso troneggiava imponente, fortemente schiacciato ai poli e inclinato rispetto al piano dell’eclittica, superbo nelle sue variegate e colorate bande atmosferiche, comunque meno dotate di contrasto e più soffuse rispetto alle analoghe gioviane. Nell’emisfero boreale, a latitudine tropicale, spiccavano due notevoli ovali biancastri, tempeste effimere ma violente. Ad occhio nudo, dei satelliti interni più massicci, il solo Rea, del resto quello più vicino a Titano come orbita, si intravedeva a malapena rischiarato dalla luce solare sulla sinistra del campo osservativo. Impossibile individuare gli altri, microscopici rispetto al pianeta madre, ma guai a considerarli insignificanti: il solo Encelado, di soli cinquecento chilometri di diametro, non mancava di suscitare da tempo interrogativi sulla presenza di vita elementare nei suoi mari sotterranei, inoltre alimentava il vasto anello E con il suo peculiare criovulcanismo, espellendo di continuo particelle nello spazio.
Ma era l’incredibile spettacolo degli anelli, la più nota caratteristica del gigante gassoso, a catturare inesorabilmente lo sguardo. Solcati ai loro margini o all’interno da tanti piccoli satelliti, poco più che macigni cosmici, si mostravano superbi, maestosi nella loro imponenza, eppure capaci di avvolgere il pianeta con sublime leggiadria. Lasciavano letteralmente senza fiato, riducendo il variopinto bandeggio del gigante gassoso ad un gioco cromatico di minore attrattiva. Anche senza strumenti, fra i due più brillanti, l’anello B e quello A, si poteva distinguere la divisione di Cassini, uno spazio di materiale molto più rarefatto, individuato per primo da Giovanni Domenico Cassini, eminente astronomo italiano della seconda metà del XVII secolo. Ad osservare con attenzione fra le impressionanti circonferenze di detriti ghiacciati, oppure al loro interno, erano distinguibili grazie alla variazione di lucentezza anche altre
separazioni meno marcate, ma Fiedler non ne ricordava i nomi. Sapeva solo che traevano origine da chi per primo le aveva osservate, oppure erano state intitolate a famosi uomini di scienza. Poco male, lo spettacolo inebriava anche senza conoscere in maniera approfondita i dettagli.
Velocemente, con suo grande rammarico, la vista di Saturno si offuscò e venne sostituita da una patina fastidiosa, come se fosse calata una specie di nebbia spaziale. Erano entrati nella densa atmosfera di Titano, la sua insidiosa superficie non era lontana.
Il lander atterrò nei pressi del polo nord a circa settecento metri dalla costa del mare di Ligeia, il bacino di idrocarburi accanto al quale si trovava il bioreattore. Nonostante Raymond fosse informato sull’ambiente che avrebbe incontrato, rimase comunque sbalordito. Si accomodò con la bomba al suo fianco sul sedile posteriore della vettura elettrica che doveva trasportarli, mentre Laurent si mise alla guida con Fabio seduto accanto.
Il tragitto venne effettuato nel più totale silenzio. Il panorama circostante calamitava lo sguardo di Fiedler ed era addirittura capace di distogliere la sua mente dalla distruttiva missione che si era imposto. Un cielo arancione carico di pesanti nubi rendeva impossibile la vista del sole e gravava sulle teste, dando la sensazione di trovarsi in una sorta di crepuscolo colorato immerso nella foschia. Il veicolo affondava nel suolo scuro disseminato di alcune rocce o chiazze di colore biancastro, che pareva avere la consistenza dell’argilla. In realtà si trattava di ghiaccio d’acqua misto a idrocarburi, come se qualcuno si fosse messo a mescolare neve e catrame. Davanti a loro cominciava a mostrarsi sempre più incombente l’ampia distesa del mare di Ligeia, uno dei più vasti e profondi depositi di metano ed etano liquidi presenti intorno al polo nord. Sulla destra si intravedeva una riga scura con fluidi in movimento, un vero e proprio fiume di idrocarburi che andava ad alimentare il mare, dove sfociava in lontananza. Titano era tutto questo, un mondo a parte, pericoloso e di immenso fascino, secondo satellite del sistema solare per dimensioni dopo il gioviano Ganimede e unico ad essere circondato da una densa atmosfera, costituita per lo più da azoto
e idrocarburi. Grazie all’ingente criovulcanismo e a una temperatura superficiale molto vicina a quella del punto triplo del metano, condizione in cui tale sostanza può presentarsi sotto le tre forme solida, liquida e aeriforme, era presente un ciclo idrologico simile a quello dell’acqua sulla Terra, con metano ed etano sempre pronti a evaporare, ricadere sotto forma di pioggia, bagnare il suolo e formare fiumi e laghi.
“È un mondo incredibile”, scappò detto a Fiedler dall’interno della sua tuta quando il veicolo si fermò. Nonostante la bassa gravità, per il carico dei tre uomini e della bomba aveva lasciato due lunghe strisce sul suolo.
“Te lo avevamo detto. Che ti aspettavi, una rilassante eggiata su una spiaggia tropicale?”, gli disse duro Laurent.
“Perché ci fermiamo?”
“Da qui in poi il suolo è più accidentato e va in discesa. Non mi fido a sottoporre agli scossoni quell’aggeggio dannato. Dovremo fare gli ultimi cento metri a piedi.”
Scesi dalla vettura, Laurent e Fiedler si accollarono il trasporto della bomba, afferrandola per gli appositi appigli, mentre Fabio prese il contenitore che aveva con sé per il recupero di un po’ di materiale dal bioreattore. Alla fine, dopo una visita alla cabina di Ximen, perlomeno su questo punto Fiedler si era mostrato ragionevole.
Gli scarponcini delle tute affondavano leggermente in quella strana poltiglia. Davanti a loro, più in basso, era adesso facilmente visibile in tutta la sua
estensione il mare di idrocarburi liquidi. Sulla sponda al di sotto si stagliava la sagoma del bioreattore, una struttura davvero incredibile. Erano ben distinguibili le tubature di alimentazione, che poco distante si calavano nel vicino bacino liquido e trasportavano all’interno gli idrocarburi per il nutrimento dei microrganismi alieni. Per evitare inconvenienti era stato scelto un tratto di costa alta dove il mare si presentava subito profondo, in modo da evitare indesiderati prosciugamenti dovuti alle consistenti evaporazioni estive.
“Al diavolo, ci mancava solo questa”, commentò Laurent con rabbia quando venne colpito dalle prime gocce.
Cominciò a cadere una fastidiosa pioggia di metano, che irrorava il suolo e sporcava le tute spaziali. L’incedere dei tre uomini si fece più lento e faticoso, ma in breve riuscirono comunque ad arrivare senza problemi alla base del bioreattore.
“Io continuo a dargli una mano con la bomba. Tu vai dentro. Fai presto, voglio cavarmi di torno prima possibile”, disse Laurent a Fabio.
Il giovane si portò prontamente al lato opposto a quello da cui entravano le tubature e cominciò a salire la rampa d’accesso, percorsa nelle missioni ordinarie da tante vetture cisterna. Stavolta c’era da prelevare solo un esiguo carico di prodotti farmaceutici e un po’ di biomassa aliena.
Il colossale parallelepipedo di Titano era chiamato bioreattore per semplicità, ma in realtà era un complesso insieme di bioreattori diversi dalle funzionalità specifiche. Al suo interno, i microrganismi alieni erano costantemente all’opera in massicci cilindri alimentati dalla soluzione di idrocarburi prelevata dal mare di Ligeia, per lo più arricchita dall’inserimento di atmosfera titaniana. Ciascuno dei cilindri era specializzato nella creazione di determinati prodotti e spesso erano
necessarie condizioni ad hoc per innescare la biotrasformazione desiderata. L’eventuale presenza di ossigeno o di altri reagenti, il valore di pressione o di pH, le condizioni di illuminazione erano parametri che potevano variare da caso a caso. Quasi tutti i bioreattori risultavano completamente chiusi, simili a grosse cisterne, nonché dotati di sofisticati sensori di controllo e di una matrice di elettrodi che provvedeva a trasferire in forma binaria le informazioni ai batteri. Ad una estremità ricevevano reagenti e idrocarburi, da quella opposta i prodotti di sintesi venivano convogliati in massicce vasche di raccolta.
Fabio se le trovò davanti nel vasto spazio d’ingresso, comodamente allineate e cariche a dovere. In un batter d’occhio prelevò alcuni litri del liquido opaco con cui venivano creati i farmaci più potenti, poi percorse l’angusto aggio fra due vasche e si fermò al campionatore del bioreattore più vicino. Dato che lo strumento serviva solo per limitati prelievi di controllo una tantum, ci sarebbe voluto un po’ per raccogliere una certa quantità di brodo di coltura, dal quale sarebbe poi stata estratta la biomassa aliena.
Nel frattempo, Raymond e Laurent avevano collocato la bomba su un o di sostegno. La sinistra e grigia scatola metallica era ancora innocua, ma il più era stato fatto. Soddisfatto, Fiedler estrasse da una tasca della tuta il dispositivo a radiofrequenza per la procedura di attivazione. Dal funzionamento semplice e preventivamente programmato, era appositamente progettato per consentire l’innesco dell’ordigno anche nelle aspre condizioni di Titano.
All’invio del primo impulso tutto filò liscio. La bomba si attivò e il suo complesso display touch si accese senza problemi. Venne effettuata una serie di controlli, che durarono per un paio di minuti e infine segnalarono che l’ordigno era pronto. Trionfante, a quel punto Fiedler dette il triplice impulso d’innesco, ma ebbe una sgradita sorpresa. Per dare agli astronauti il tempo di lasciare Titano con calma, era previsto un conto alla rovescia di tre ore, ma sul display minacciosi numeri rossi cominciarono a decrescere dalla cifra “00.30.00”.
“Cosa cazzo fai, idiota?”, chiese furibondo Laurent, che teneva gli occhi fissi sul pannello.
“Stai calmo. È evidente che si tratta di un errore. Ora disattivo l’innesco e poi rifaccio la procedura.”
Con rabbia e ansia crescente, Raymond dovette constatare l’inutilità di tutti i suoi tentativi. Il conto alla rovescia proseguiva implacabile.
“Geht zum Teufel”, gridò, maledicendo l’apparecchio e gettandolo a terra. Poi si mise ad armeggiare con il display, ma non era facile impartire istruzioni con le dita guantate e la pioggia di idrocarburi che continuava incessante.
“Verdammt! Arschloch!”, tuonò contro l’ordigno, rifilandogli anche un paio di incaute botte sulla fiancata. Il display pareva bloccato, qualunque pressione volta a chiedere un reset delle impostazioni non produceva alcun risultato. I numeri, però, continuavano a scalare senza pietà.
Laurent gli avrebbe volentieri rifilato una serie di calci, ma vista la malparata purtroppo non aveva tempo neppure per quello. Dovevano rientrare, immediatamente. Tramite l’impianto di comunicazione delle tute avvertì Fabio.
“Esci subito. Dobbiamo lasciare Titano all’istante.”
Il giovane fu sorpreso dal tono d’urgenza dell’amico, ma si mostrò titubante. Non aveva ancora finito con il prelievo della biomassa.
“Senti, non mi fare incazzare anche tu. Questo stronzo ha fatto un gran casino con l’innesco e abbiamo solo ventisei minuti per abbandonare questo dannato satellite. Dio solo sa se ci basteranno. Datti una mossa e vieni fuori immediatamente, se non vuoi finirci secco.”
Costretto dalle circostanze, Fabio uscì dal bioreattore e si riunì agli altri. Lui e Laurent presero il contenitore e cominciarono a incamminarsi. Sentendo le proteste di Fiedler, che continuava a smanettare con il dispositivo di innesco e con il display lanciando continue imprecazioni in tedesco, il se si voltò per un attimo e disse: “Senti stronzo, noi ce ne andiamo. Fottiti tu e la tua dannata bomba. Se vuoi rimanere qui a morire, fai pure.”
In un’altra occasione, Raymond avrebbe probabilmente aggredito Laurent, ma carico di tensione com’era, di fronte all’ennesimo tentativo senza successo di modifica del conto alla rovescia fu costretto a desistere e si incamminò a sua volta.
Era una corsa contro il tempo. I tre risalirono il leggero pendio più in fretta che poterono, con Fiedler che, nonostante non avesse un carico da trasportare, faticava a tenere dietro ai due uomini, più esperti di lui e abituati a muoversi sul suolo del satellite. Raggiunsero la vettura procedendo con la molleggiata andatura a piccoli saltelli che imponeva la ridotta gravità, lasciandosi il bioreattore e il mare di Ligeia alle spalle, ma ancora rallentati dalla pioggia di idrocarburi, che il cielo arancione continuava a dispensare senza tregua. Per la fretta, nessuno dei tre si ricordò di fissare in qualche modo il contenitore alla vettura. Sgradita sorpresa, per il terreno allentato le ruote posteriori del veicolo cominciarono a slittare nonostante lo scarso peso e Fabio fu costretto a scendere per dare una piccola spinta. Incredibile, ma anche su Titano gli accorgimenti più semplici si rivelavano a volte quelli che funzionavano meglio. Temendo di rimanere un po’ impantanato, Laurent decise di evitare il percorso dell’andata e ne scelse uno su un tracciato leggermente più lungo ma dal fondo più solido e roccioso. Sobbalzando su un’asperità ghiacciata, il contenitore prese il volo e fu
proiettato fuori dalla vettura. Fiedler lanciò l’ennesima imprecazione in tedesco, mentre Fabio gridò e provò ad afferrarlo, ma senza riuscirvi. Neanche si sognò di proporre di fermarsi per recuperare il prezioso carico, poté solo voltarsi per alcuni istanti e osservare con angoscia la perduta salvezza di Ximen.
“Questa la lasciamo qui. Non abbiamo tempo per rimetterla nella stiva”, disse Laurent a Fabio una volta raggiunta la navicella. La vettura venne così abbandonata e i tre entrarono in fretta e furia nell’air lock.
Mancavano diciotto minuti all’esplosione, davvero pochi per sfuggire ai suoi devastanti effetti.
Semplicemente pazzesco immaginare una detonazione nucleare su Titano. I laghi e i mari di idrocarburi della regione del polo nord vennero sconvolti. La palla di fuoco disintegrò all’istante il bioreattore, l’onda d’urto che si generò di conseguenza avanzò implacabile fino a quando l’energia della reazione atomica fu in grado di alimentarla, propagandosi sul mare di Ligeia e causandone la quasi totale scomparsa. Polverizzò la vettura usata dai tre uomini e si spinse fino ad altri bacini, surriscaldò l’atmosfera e devastò il suolo con la sua furia distruttiva. Quando si arrestò, venne sostituita dall’onda termica, innescata dal gradiente di temperatura fra il centro e la periferia, che spazzò di nuovo in senso inverso i territori già colpiti con i suoi venti secondari. Questi si raccolsero carichi di detriti e idrocarburi incendiati dove prima si trovava il bioreattore, dando luogo alla classica e spaventosa colonna ascendente. Il gambo del fungo atomico si issò maestoso, ma perse velocemente la sua spinta a causa del repentino raffreddamento e dell’effetto serra al contrario dell’atmosfera titaniana, più calda negli strati superiori e più gelida al suolo per la sua riflessione dei raggi solari. Ciò salvò la vita degli astronauti, che capirono di avercela fatta quando videro i residui dell’esplosione cessare la loro ascesa per allargarsi e appiattirsi al di sotto, senza che il percorso di rientro sulla TISS venisse turbato. Nella stazione spaziale, dopo minuti di insostenibile tensione, Greg e Martina si misero a piangere e si abbracciarono all’udire le voci trionfanti di Fabio e Laurent che esultavano per lo scampato pericolo. Poi si unirono a tanti altri residenti della
base, che si affollavano ai finestrini panoramici per constatare con orrore il mutamento avvenuto nel panorama sottostante. Chissà per quanto tempo l’umanità sarebbe stata costretta ad osservarlo, terribile testimonianza di genialità sopraffatta dalla follia, dimostrazione della capacità di colonizzare altri mondi così come della volontà di seminarvi distruzione.
Negli anni ’50 e ’60 del XX secolo le nubi di detriti innalzate da esperimenti nucleari in grado di superare la troposfera terrestre avevano stazionato per anni nella stratosfera, difficili da disperdere per l’assenza di rapidi fenomeni di convezione, resi impossibili dall’aumento di temperatura con la quota. Sotto questo punto di vista, l’atmosfera di Titano pareva poter garantire lo stesso drammatico risultato. La vasta, oscura macchia radioattiva avrebbe sporcato il cielo del satellite per lunghi anni a venire, forse decenni. Quanto a lungo sarebbe rimasta quella lugubre testimonianza di assurdità, uno schiaffo in faccia per chiunque desiderasse scrutare il cielo?
Un terrificante faro cosmico, simbolo della non sanata dualità dell’uomo, era stato .
10
I tre astronauti rimisero piede sulla TISS visibilmente provati. Laurent trovò ad aspettarlo la moglie Annette, mentre Fabio venne stretto dall’abbraccio dei genitori e della sorella Goldie. Al solo Fiedler andò decisamente peggio poiché, con sua sorpresa, venne preso in consegna dal vice di Kevin Harris, un alto biondo dal fisico atletico, che gli comunicò che la presidente Dahlberg lo stava attendendo nella sua stanza. Irritato e stanco, lo mandò a farsi fottere e cercò dappertutto Paola con lo sguardo, senza trovarla.
“La sua ragazza non è qui”, disse l’addetto alla sicurezza, intuendo il perché della sua inquietudine. “La troverà dalla presidente. Adesso mi segua.”
Di malumore, Fiedler si incamminò dietro l’uomo, sorpreso che gli impartisse ordini e amareggiato dall’assenza della donna. Fra l’altro, cosa diavolo ci faceva dalla Dahlberg, piuttosto che essere lì ad accoglierlo?
I suoi dubbi si sciolsero quando entrò nella stanza della presidente, dove in un attimo divenne consapevole della verità.
“Mi spiace, non mi hanno permesso di venire a trovarti”, gli disse Paola con le lacrime agli occhi, alzandosi al suo ingresso per abbracciarlo.
Dahlberg troneggiava imperiosa dietro la scrivania, Emily e Leroy le sedevano dimessi davanti. Avevano facce spaurite. Tutt’intorno, incombevano minacciosi
otto uomini del team della sicurezza con armi in pugno, capitanati dal muscoloso Kevin Harris.
“Meno male che era tuo amico”, disse Fiedler con un tono tagliente come la lama di un coltello a Leroy, che pareva il più stravolto di tutti.
“Ray, non sai quanto mi dispiace. Ero convinto che questo stronzo fosse dalla nostra parte.” Poi, rivolgendosi all’energumeno: “Sei un vero bastardo, Kevin. Con tutte le missioni in cui ti ho salvato il culo.”
“Non mi pare tu fossi così altruista. Fosse stato per te, un paio di volte sarei morto come un cane.”
Con un gesto della mano, Dahlberg zittì il suo uomo e interruppe il battibecco. Guardando dura Fiedler con i suoi intensi occhi verdi, disse: “Prego, si sieda. È giusto che lei e i suoi banditi spaziali da quattro soldi veniate informati della situazione.”
Scuro in volto, Ray afferrò una sedia, sforzandosi di apparire spavaldo e sicuro di sé.
“Complimenti, ha comprato questi mercenari. Davvero una grande impresa, pienamente in linea con le tattiche della compagnia. L’unica cosa che non capisco è perché ci ha lasciato distruggere il bioreattore. Forse la vostra squallida logica aziendale ha suggerito il suo sacrificio, adesso che possedete gli studi di Subramani?”
“Arguta osservazione. Perché spendere miliardi per mantenere costose strutture su Saturno, quando l’operato dei batteri alieni può essere comodamente sfruttato sulla Terra? Come ha già capito, è una banale questione di diminuzione delle spese e di conseguente aumento dei guadagni. Ma le garantisco che non ho dovuto impegnarmi molto per ritrovare il favore dei miei uomini. L’ho sempre avuto.”
La presidente fece una pausa per godersi la reazione dei quattro prigionieri, che fecero una faccia stupita. Come a voler chiedere conferma, Leroy si volse verso il vecchio compagno d’armi, ricevendo in risposta un sorriso di scherno.
“Co… cosa intende dire?”, balbettò Fiedler.
“Che abbiamo fatto una bella sceneggiata. Sapevamo fin dal principio della bomba a bordo e delle vostre intenzioni. La distruzione del bioreattore gioca a nostro favore, ma non in virtù delle ricerche di Subramani. Quelle potevano solo andare a nostro svantaggio.”
“Cosa c’è sotto, allora?”
“Lei ovviamente non poteva saperlo. Abbiamo già la tecnologia per usare i batteri sulla Terra. Da tre anni siamo in possesso di due diverse modifiche genetiche che ci permettono di renderli operativi a temperature di circa dieci gradi centigradi e senza alimentazione mediante idrocarburi. Sono sufficienti semplici sostanze zuccherine.”
“Non le credo.”
“Libero di farlo. Ma rifletta un attimo: pensa davvero che vi avrei lasciato distruggere il bioreattore fidandomi solo delle prospettive aperte dagli studi di Subramani, ancora tutte da verificare?”
“Se fosse vero, qualcuno se ne sarebbe accorto. La notizia sarebbe uscita e voi sareste sulla graticola.”
“Giusto. Le garantisco che qualche governante e alcuni membri di quelle noiose commissioni di controllo fanno spesso vacanze da sogno a nostre spese. Ci sono anche vari giornalisti e un paio di hacker sul nostro libro paga.”
Fiedler sembrò accusare il colpo. Il meschino pragmatismo della presidente non pareva avere punti deboli. Soddisfatta, lei sintetizzò: “È chiaro che il bioreattore di Titano era ormai superfluo, anzi dannoso. Ci avete fatto un bel favore. Quanto a Subramani, ci interessava soltanto che le sue ricerche non uscissero dal laboratorio di questa stazione per finire nelle mani di concorrenti o di pazzoidi come voi.”
“Lei crede di poter controllare tutto, ma la vostra smodata sete di guadagno vi si ritorcerà contro. Senza il bioreattore, non potrete nascondere di possedere microrganismi modificati geneticamente per impiego terrestre e dovrete calare i prezzi. Sarete costretti a rimodulare gli accordi internazionali, che vi imporranno di liberalizzare il mercato.”
“Si sbaglia. Faremo un po’ di scena, fingendo dapprima di vendere le scorte, che verranno centellinate a dovere. I prezzi saliranno a dismisura. Poi ci sarà una breve pausa nelle forniture, nella quale crescerà la tensione. Dichiareremo che stiamo facendo tutto il possibile per trovare una soluzione. Come crede
reagiranno tanti malati dopo essere rimasti a secco? Oppure le aziende prive dei super materiali che prima venivano realizzati su Titano? Quando inonderemo di nuovo il mercato, ci sarà una fame pazzesca per i prodigiosi prodotti sintetizzati dai batteri alieni. Nessuno protesterà per il rincaro delle tariffe, anche alla luce del grave danno che abbiamo subito e del presunto sforzo fatto per cercare un nuovo criterio di produzione a tempo di record.”
Fiedler rimasticò le frasi della presidente e si rese subito conto che il boccone da digerire era amarissimo. Nonostante il suo carattere irascibile e combattivo, che non ammetteva la parola sconfitta, per una volta in vita sua si sentiva abbattuto e doveva riconoscere di aver perso su ogni fronte. Aveva fatto il gioco della compagnia che voleva affondare ad ogni costo, dando involontariamente un contributo sostanziale per la realizzazione di un piano diabolico. Dahlberg era davvero riuscita ad umiliarlo e si era dimostrata più furba. Dandogli un’occhiata, Paola si rese conto dello stato d’animo del suo uomo e tremò in cuor suo: se anche lui mollava, significava che erano davvero spacciati.
Terribilmente amareggiato, chiese: “Che ne sarà di noi?”
“Non sarete eliminati, se è questo che vuole sapere. Ho in mente per voi un programma interessante, che scoprirete in seguito. Nel frattempo verrete rinchiusi in cabine isolate che abbiamo individuato nell’area alloggi. Non vi fate venire strane idee. Sarete sorvegliati e non esiteremo a farvi fuori nel caso poniate problemi.”
Ad un cenno di Dahlberg, Kevin Harris ordinò ai suoi uomini di prendere in consegna i quattro prigionieri. Poco prima che uscissero dalla stanza, però, la presidente li richiamò e disse, con tono di scherno: “Ah, signor Fiedler, quasi mi dimenticavo. Spero che non se la sia presa troppo per la corsa che vi abbiamo fatto fare per lasciare Titano.”
Gli occhi di Raymond lanciarono lampi per un attimo, poi venne sollecitato dalla scorta a incamminarsi nel corridoio della base. Il sabotaggio del dispositivo d’innesco della bomba costituiva l’ennesima beffa, il simbolo della vittoria totale della Titanlab.
“Spero mi ammazzino presto”, pensò mentre lo portavano via.
Forse un aiuto inatteso lo avrebbe convinto a cambiare idea, offrendogli un’opportunità di salvezza.
11
Dato che il laboratorio biologico internazionale costituiva l’ambiente più vasto della TISS, sebbene fosse ingombro di attrezzature la presidente Dahlberg l’aveva scelto per la riunione di tutto il personale, convocata per metà mattina.
Greg si avviò all’incontro cupo in volto e provato da una nottata quasi insonne. Ancora teso per il terribile pericolo corso dal figlio, aveva rimuginato a lungo dopo il nuovo, inaspettato ritorno al potere della Titanlab nella base.
Un breve aggio nella cabina di Wei e Ximen non servì certo a tranquillizzarlo. Appena lo vide, la donna gli andò incontro e lo abbracciò forte, piangendo. Ximen era in agonia, la flebo di Solution 5 ormai pareva buona solo per alleviare i dolori. Steso a letto in condizioni di incoscienza, rimaneva per ora in vita con l’ausilio di un piccolo respiratore artificiale.
“È così da stamani presto… non ha mai ripreso conoscenza da quando mi sono svegliata”, disse Wei tra i singhiozzi.
Greg la strinse forte, ma si sentì avvolgere da un angoscioso senso di impotenza. Era entrato con il proposito di dare una speranza, dicendo che gli avvenimenti della sera prima erano a loro favore. Con Dahlberg di nuovo al potere forse sarebbe stato possibile realizzare un piccolo bioreattore nel laboratorio, dove mettere a coltura la rimanente biomassa aliena modificata secondo i criteri di Subramani. Se tutto fosse andato liscio, forse avrebbero avuto nuove medicine in due settimane. Ma la cruda realtà era che Ximen non le aveva, al massimo poteva contare su due ore.
“Mi dispiace tanto, ma devo andare alla riunione. Sono obbligato a presenziare. Avverto Martina, io tornerò ad incontro finito.”
Trovata in corridoio la moglie, Greg la informò della situazione e lei si diresse immediatamente verso la cabina dei due cinesi. Con un groppo alla gola, lui raggiunse il laboratorio, rimuginando sull’idea che gli era venuta durante la notte. Gli era sembrata pazzesca, ma oramai era l’unica speranza che poteva offrire a Ximen.
Per fortuna l’incontro fu breve. A tutti gli occupanti della TISS, seduti o in piedi fra banchi carichi di provette, microscopi e centrifughe, la presidente disse che potevano star tranquilli, poiché la stazione non sarebbe stata affatto abbandonata. Semplicemente, avrebbe assolto un nuovo compito, non meno importante per la compagnia del precedente, per il quale i suoi occupanti avrebbero ricevuto un sostanzioso aumento delle gratifiche. La sua struttura interna sarebbe stata modificata e il laboratorio avrebbe ricevuto nuove forze, con valenti biologi provenienti dalla Terra. Considerati gli ultimi avvenimenti, sarebbe diventato permanente un presidio armato destinato alla sicurezza. Per realizzare i nuovi obiettivi c’era bisogno della collaborazione di tutti, ma chi avesse scelto di lasciare l’installazione avrebbe avuto la possibilità di farlo, tornando sulla Terra con la più vicina finestra di lancio.
Rinfrancati, i residenti cominciarono a lasciare la sala. Quando tutti furono usciti, Greg si avvicinò a Dahlberg e la affrontò con decisione.
“Quale sarà il nuovo utilizzo della TISS?”
“Per ora non se ne preoccupi, comandante Maclean. Ciò che conta è che il ruolo
svolto dai suoi uomini, e da lei in particolare, continuerà ad essere di vitale importanza per la compagnia.”
“Prima di decidere del mio futuro, vorrei sapere che tipo di installazione dovrò guidare. E la stessa possibilità, credo, deve essere offerta agli altri.”
“Non mi pare che qualcuno abbia manifestato delle perplessità. Lei è il solo che sta facendo obiezioni.”
“Credo siano legittime quando a tua figlia viene puntata alla testa una pistola e, pochi giorni dopo, tuo figlio rischia di morire su Titano. Se aveva il controllo della squadra della sicurezza, non capisco perché abbia lasciato che Fiedler perseguisse il suo scopo.”
“Ho dovuto riconquistare il favore dei miei uomini e per farlo ho approfittato dell’assenza del leader di quei pazzi”, mentì Dahlberg.
“Soldi?”
“Certo, crede che mi siano tornati fedeli solo dopo qualche bella parolina di convincimento?”
Greg non parve soddisfatto dalla spiegazione e tornò ad incalzare: “Del resto il bioreattore non era più così vitale e si poteva sacrificare, vero?”
“Si spieghi”, fece Dahlberg con aria ostile.
“Contenimento dei costi. D’ora in poi si potranno sintetizzare prodotti in ambienti molto meno complessi grazie agli studi di Subramani. E il tutto risulterebbe ancor più conveniente se già esistessero versioni modificate dei batteri alieni. Se Subramani c’è riuscito nonostante gli venissero messi i bastoni fra le ruote, non vedo perché non possano avercela fatta i tanti team di biologi che vengono finanziati sulla Terra.”
Dalla reazione della presidente, capì che la freccia da lui scagliata aveva centrato il bersaglio. Dahlberg infatti si irrigidì ulteriormente, non fu pronta come al solito nella replica e i suoi penetranti occhi verdi si ridussero a due fessure che sprigionavano sinistri bagliori.
“Sta muovendo pesanti accuse, del tutto infondate.”
“Le mie sono soltanto supposizioni”, disse Greg con un tono che parve conciliante, ma in cui era presente un’evidente sfumatura d’ironia. “Ma spero che non se la prenda, se deciderò della mia permanenza in quest’installazione solo quando saprò con esattezza cosa realmente la compagnia intende farne.”
“È nel suo diritto”, replicò gelida Dahlberg.
“Bene. Adesso, se non le dispiace, desidero avere la provetta di Subramani, l’unico campione esistente al momento con i batteri alieni modificati.”
Stavolta gli occhi della donna si spalancarono. Se prima le frasi di Maclean l’avevano irritata non poco, l’insolita richiesta la stupì e la rese ancora più sospettosa. Era evidente che lui ormai agiva fuori dal coro, poco disposto a lasciarsi inquadrare. Questo poteva costituire un serio problema.
“E cosa intende farne?”
“Desidero iniettarla nel corpo del mio amico Ximen, che sta morendo.”
“Lei è pazzo. Crede sia uno scherzo tentare l’inserimento dei batteri alieni in un organismo umano?”
“È l’unica speranza. Se i microrganismi dovessero in qualche modo adattarsi, forse potrebbero fungere da anticorpo contro il cancro.”
“E su quale base ritiene che ciò sia possibile?”
“Perché uno dei due donatori di DNA usati da Subramani è un batterio presente nella nostra flora intestinale.”
La presidente fece una nuova pausa, nella quale parve riflettere. Infine disse: “Se si reca alla cabina di Ximen, le manderò al più presto Kevin Harris con la provetta.”
“La ringrazio”, replicò Greg, accennando già a lasciare il laboratorio. Lei però lo
stoppò per un attimo.
“Spero che ciò serva a farla ricredere. Come vede, il fine della compagnia è sempre quello di provare a tutelare la salute delle persone.”
“Ne sono felice”, disse lui con uno strano sorriso, poi si incamminò a i svelti verso la cabina dei cinesi.
Dahlberg chiamò il fidato Harris e gli impartì l’ordine. A questo aggiunse: “D’ora in poi voglio che tu controlli il comandante Maclean. Sorveglia le sue mosse. Se noti qualcosa di sospetto, vieni subito a riferirmelo.”
L’uomo assentì e si allontanò. Finalmente sola, la presidente poté concedersi un sorriso. Incredibile come gli eventi stessero incastrandosi alla perfezione.
Al di là delle più rosee previsioni, il nuovo utilizzo della stazione stava già per iniziare.
Poco dopo l’arrivo di Greg nella cabina dei due cinesi, giunse anche Kevin Harris con la provetta. Wei provò a chiedere all’amico cosa avesse intenzione di fare, ma lui non dette spiegazioni e si limitò a dire che stava giocando l’ultima carta a disposizione. Lei non pose altre domande e pensò che fosse riuscito a reperire nella stazione un modesto quantitativo di farmaci più potenti. Sebbene la moglie Martina lo osservasse scettica, lo aiutò ad aspirare con una siringa il contenuto della provetta, poi staccò la flebo dal catetere venoso applicato alla mano destra, così lui poté inserire nella sua cannula il contenuto lattiginoso preparato da Subramani. Appena questo entrò in circolo, Ximen mugugnò qualcosa, ma non riprese conoscenza.
“Adesso vediamo cosa succede. Non ci resta altro che sperare”, disse Greg senza staccare lo sguardo dal volto dell’amico, in parte deformato dalla malattia, mentre Martina provvedeva a riattaccare la flebo.
Salutarono Wei e dissero che sarebbero tornati nel giro di mezz’ora. Martina scorgeva negli occhi del marito una risolutezza che negli ultimi tempi non aveva mai notato. Era evidente che volesse parlarle dell’esito della riunione e del colloquio privato con la presidente. Fu presa da un brivido: nonostante la loro insoddisfazione nei confronti della compagnia stesse crescendo di giorno in giorno, volevano davvero attuare il proposito di cui avevano parlato durante la notte?
12
“Tu ed Annette cosa avete deciso?”
Greg pose la domanda a Laurent in un momento di pausa. L’ambiente, fiocamente illuminato da un paio di luci soffuse, pareva sinistro e ostile. Stavano effettuando un intervento di manutenzione programmata ad uno dei più importanti quadri elettrici della stazione, per cui in molti spazi erano funzionanti le sole luci di emergenza, garantite da un generatore secondario. Era necessario lavorare di notte, il che dava la possibilità di trovarsi al riparo da orecchie e sguardi indiscreti.
Laurent osservò Greg con i suoi occhietti castani, socchiusi per la semi oscurità come quelli di un gatto. Era più alto del capo, robusto e con i capelli bruni tenuti cortissimi, della stessa lunghezza della barba. Valente biologa, la moglie Annette aveva ricevuto una proposta per lasciare Amiens e andare a lavorare sulla TISS subito dopo il dottorato, cosicché si erano trasferiti insieme dopo aver appurato che ci sarebbe stato un posto anche per lui. Fra gli uomini di fiducia di Maclean, ormai era un residente del sistema di Saturno da dieci anni.
“Non abbiamo ancora preso una decisione, Greg. Non è facile.”
“Me ne rendo conto, ma considera che fra una settimana, due al massimo, dovremo agire. Dopo non avremo più una finestra di lancio.”
“Chi altri ti ha dato il suo assenso?”
“Al momento nessuno. Ma considera che ho contattato davvero poche persone, non posso permettere che la voce giri troppo.”
“Li capisco. Anche se oramai è chiaro a tutti che Dahlberg è una strega e che la Titanlab non è esente da colpe, chi è disposto a perdere il suo posto di lavoro, uscendo da una compagnia così vincente?”
“Senti, io non mi fido per niente delle promesse di quella bastarda. Ha mandato te e Fabio a rischiare la pelle su Titano per i suoi sporchi giochi, quando avrebbe potuto bloccare tutto. E ancora non c’è chiarezza su come questa base verrà riutilizzata.”
“Si uniranno a voi anche Wei e Ximen?”
“Sì. È incredibile, dopo che gli ho iniettato il contenuto della provetta di Subramani le sue condizioni stanno migliorando giorno dopo giorno. Ne sono davvero felice, ma temo che questo lo obblighi a partire con noi, anche se sarà un grosso sforzo affrontare un viaggio interplanetario.”
“Non capisco. Può attendere la finestra per Tritone, quando probabilmente starà ancora meglio.”
“Teoricamente. In pratica, è meglio se si leva di torno alla svelta. Dahlberg gli ha messo gli occhi addosso. Pare fin troppo interessata al suo processo di
guarigione, figurati che gli ha fatto visita in cabina un paio di volte. Già da giorni preme perché su di lui vengano effettuati test approfonditi, ma per ora siamo riusciti a evitarli dicendo che sono prematuri e affaticherebbero il suo fisico provato.”
“Perché tanto interesse?”
“Non so, ma di sicuro non è casuale. Forse vuole valutare se la via terapeutica per inserimento diretto dei microrganismi modificati nel corpo umano è percorribile.”
Laurent sospirò, poi sembrò meditare per qualche istante. Infine disse: “Certo che ci siamo scelti proprio un bel datore di lavoro. Ne riparleremo con Annette, ti comunicherò a breve la nostra decisione.”
“Ok. Per onestà, però, c’è un’altra cosa che devo dirti.”
“E quale?”
“Se sarà possibile, cercheremo di portare con noi anche Raymond e la sua banda.”
Laurent spalancò di colpo gli occhi e disse, quasi gridando: “Ma siete pazzi? Volete liberare quei criminali?”
“Per carità, abbassa la voce. Capisco la tua perplessità, è stata un’idea di mia figlia Goldie, alla quale anche io inizialmente mi sono opposto. In seguito però ci ho ripensato e mi sono convinto che sia giusto dargli una speranza. Se restassero qui, Dio solo sa cosa Dahlberg potrebbe fargli. Sono mezzi matti, ma non dei bastardi. In fondo volevano solo permettere una circolazione più libera dei farmaci per aiutare la gente.”
“Sono rinchiusi e sorvegliati. Come diavolo pensate di poterli fare uscire?”
“Ci proveremo solo se questo non metterà a repentaglio la nostra fuga. Agiremo di notte, quando le attività della stazione e la sorveglianza degli uomini di Harris sono ridotte al minimo. Abbiamo notato che ci sono vari addetti alla sicurezza che si alternano come guardiani. Ebbene, uno di questi si è invaghito di quella giovane collega canadese di tua moglie e, quando gli tocca il turno notturno, lo trascorre molto più in sua compagnia che a vigilare. Ci muoveremo quando c’è lui di guardia, sperando di avere via libera.”
Laurent era decisamente scettico. La prospettiva di trovarsi su un’astronave in fuga in compagnia dei quattro attivisti non lo allettava affatto, la gita su Titano con un ordigno nucleare imposta da Fiedler proprio non gli era andata giù.
“Continuo a pensare che, qualunque sia il loro destino, quelli sarebbe meglio non tirarseli dietro. Comunque, il piano è tuo e della tua famiglia e io non voglio entrarci. Un’ultima cosa: quale astronave intendi usare?”
“Quella con cui Wei e Ximen sono venuti da Tritone. È già pronta per un eventuale decollo, basta solo sganciarla dalla postazione d’attracco. Non ci vorrà molto ad impostare la procedura automatica dal centro di controllo la sera stessa, non se ne accorgerà nessuno.”
In silenzio, i due uomini ripresero a lavorare al quadro elettrico. A Greg veniva da ridacchiare dato che sapeva bene che l’amico, a volte un po’ brontolone, avrebbe seguito Annette in capo al sistema solare. Era ben noto chi nella loro coppia tendesse a prevalere. Per quanto Greg ne sapeva, l’unica volta in cui lei aveva ceduto era stato quando, terminato il servizio militare in cui si era affermato come tiratore scelto, lui aveva continuato per due anni ad andare al poligono ogni settimana per esercitarsi. Con sua sorpresa, la tranquilla sina laureanda in biologia si era messa a maneggiare le armi e aveva scoperto di trovarci gusto. Per il resto era lei che aveva sempre menato le danze, e dopo un colloquio con Martina, aveva già dato la sua disponibilità ad aggregarsi.
13
Con la stazione immersa nell’oscurità della notte già da un paio d’ore, Greg uscì dalla sua cabina e ò all’azione. Alla postazione d’attracco l’astronave giunta da Tritone era pronta a sganciarsi da lì a poco.
Si avvicinò con circospezione alla zona del settore alloggi dove venivano tenuti rinchiusi i quattro prigionieri. Come sospettava, non c’era nessuno a presidiare le porte, l’addetto alla sicurezza doveva essere a sarsela con la giovane biologa canadese. Grazie ai suoi dati corporei fu un gioco da ragazzi abilitare l’apertura. Trovò Fiedler sveglio ma coricato, Leroy e Paola addormentati, Emily ancora in piedi. Dette a tutti l’ordine di vestirsi alla svelta e poi concesse due minuti di spiegazione nella stanza di Fiedler.
“Ascoltate con attenzione, abbiamo davvero poco tempo. Io e la mia famiglia, più qualcun altro, ce ne andiamo. Vogliamo liberarci dalle grinfie della Titanlab. È già in atto la procedura di sgancio per un’astronave. Sono qui per darvi una possibilità: se volete, potete unirvi a noi.”
“Destinazione?”, chiese Fiedler guardando Greg con i suoi duri occhi azzurri.
“Marte. Ci aspetta Laura Keaton. Penso la conosciate di fama, è stata un’altra dei protagonisti della famosa missione della Explorer.”
“Noi dovremmo tornare sulla Terra, per continuare la nostra battaglia.”
“Neanche per sogno, la Titanlab ci farebbe a fettine. Su Marte invece saremo al sicuro.”
“Dobbiamo almeno recuperare gli studi di Subramani e la sua provetta, per…”
A Greg il sangue schizzò di colpo al cervello. D’istinto afferrò il colletto della maglia di Fiedler e gli si rivolse a muso duro.
“Ascolta, stronzo! Credi di essere nelle condizioni di dettare le regole? Mia figlia ha rischiato di essere fatta fuori per i contatti che aveva con te, mio figlio quasi muore su Titano per la tua dannata bomba, io vengo a salvarti il culo e pretendi anche di comandare? Se il programma non ti sta bene, resta qui e fatti aprire il culo da quella bastarda!”
Temendo che Fiedler potesse reagire, Leroy e Paola furono pronti a dividere i due contendenti, il gigante nero prendendo in custodia Greg, la donna avvicinandosi al suo uomo per farlo ragionare.
“Il comandante ha ragione, Ray. Sta compiendo un gran gesto nei nostri confronti.”
“Abbiamo bisogno del materiale di Subramani per dare una speranza alla Terra”, insisté Fiedler, ma con minore convinzione.
“E come credi di ottenerlo? Anche se tu girassi tutta la notte non caveresti un
ragno dal buco. I dati delle ricerche di Subramani sono stati secretati, mentre la tua amata provetta non esiste più, né altra biomassa aliena è stata per ora modificata.”
Fiedler accolse con un mugugno di disapprovazione le parole di Greg, ma dopo un paio di istanti disse, come se stesse facendo una magnanima concessione: “E va bene, ti seguiamo. Facci strada.”
Velocemente, i cinque cominciarono a percorrere gli alloggi. Non tutti erano andati a dormire, da qualche cabina provenivano le risate di un gruppo di amici o i gridolini di ione di qualche coppia, ma arono del tutto inosservati. Si unirono Laurent ed Annette, poi la famiglia di Greg, infine Wei e Ximen, trasportato dalla moglie su una sedia a lievitazione ma in uno stato decisamente migliore rispetto a pochi giorni prima. Quindi presero a muoversi circospetti e rapidi nei lugubri corridoi della base, diretti alla zona degli attracchi. Pensavano ormai di avercela fatta, per questo la sorpresa fu amarissima quando, in corrispondenza dell’ultimo svincolo, si materializzarono a sbarrargli la strada Kevin Harris e il suo vice, l’uomo alto e biondo che aveva accolto Fiedler appena tornato dalla missione su Titano. I due avevano un ghigno dipinto sul volto, oltre a due armi a tracolla.
“La gita notturna è finita”, sentenziò Harris.
Disorientato, il gruppetto si fermò, poi arretrò di un o. Quando si sentivano ormai perduti, Fiedler ebbe un gesto d’intesa con Leroy e i due avanzarono, andando a posizionarsi davanti agli addetti alla sicurezza.
“Facile catturare chi è disarmato, ma sarei curioso di sapere se avete palle a sufficienza per evitare di usare i vostri trabiccoli”, disse Raymond con tono di sfida.
Kevin e il biondo si guardarono per un attimo, sorrisero e poi gettarono a terra le armi, preparandosi al combattimento. Pareva non aspettassero altro. Il vice di Harris, che fronteggiava Fiedler, si chinò per sfoderare una lunga lama affilata da una fondina che teneva al polpaccio destro.
“Questo però è consentito, vero? Non se ne può fare a meno, quando c’è da sgozzare un maiale!”
Senza sembrare impressionato, Raymond si rivolse a chi stava dietro e disse: “Avanti, voi ate. Pensiamo noi due a questi stronzi.”
Scivolando di fianco, gli altri proseguirono lungo il corridoio. Laurent compreso, erano tutti impressionati dal coraggio dimostrato da Leroy e Raymond. Qualcuno mormorò un grazie, mentre Greg e Fabio dovettero trascinare via Paola, che supplicava il suo uomo di non affrontare un simile combattimento. Quando erano già ati oltre, li raggiunse la voce di Harris: “Comandante Maclean, non fatevi illusioni. So che mancano ancora trenta minuti al decollo. Quando avremo finito qui, verremo nell’astronave a sistemare anche voi.”
Poi il colosso si rivolse al suo vecchio compagno d’armi, guardandolo con occhi ardenti: “È da tempo che non gonfio di botte il tuo brutto muso, Leroy. È ato qualche anno dalle esercitazioni della Delta. Stavolta non ci sarà un capitano pietoso a fermarmi.”
“Forse te lo sei scordato, ma a volte ero io che ti riempivo di cazzotti”, replicò il congolese.
Dopo un attimo di stallo, su ambedue i fronti si scatenò la battaglia. Il biondo cominciò a menare fendenti muovendo il coltello con rapidità impressionante, costringendo Fiedler a fare ricorso a tutta la sua prontezza per schivare. Era però una sfida impari, tanto che già ai primi affondi Raymond accusò due tagli superficiali, uno a una guancia e l’altro a una spalla. Dall’altra parte, invece, fu Leroy ad attaccare per primo, cercando di sfruttare l’allungo e la sua maggiore mobilità. Colpiva con calci e pugni e arretrava, senza dare al rivale la possibilità di agguantarlo. Harris, costretto a subire, si trovò in breve con il viso pesto, ma a livello corporeo pareva non accusare alcuna ripercussione. La sua impressionante massa muscolare attutiva alla grande i colpi e gli faceva da scudo. Con Leroy presto a corto di fiato, i suoi attacchi si fecero via via più insidiosi. Nonostante la gran quantità di botte ricevute, davvero potenti e precise, pur avendo il volto ridotto ad una maschera di sangue riuscì a stringere il congolese ad un angolo e cominciò a menare le danze. Incalzato dalla superiore potenza fisica di Harris, Leroy si sentì perduto. Faceva fatica a parare e contrattaccare, anche perché quando il rivale riusciva ad affondare i colpi erano dolori seri. Un sinistro scricchiolio al torace, unito ad una fitta lancinante, lo avvisò che un paio di costole dovevano essersi fratturate. Un successivo cazzotto al mento lo fece barcollare e quasi cadere sulle ginocchia. Come una belva assetata di sangue, Harris non mollò la presa e si apprestò ad assestare i colpi decisivi.
Dall’altra parte, a Fiedler non stava andando meglio. Raggiunto di striscio da più di una coltellata, tanto che i suoi vestiti erano tagliati in vari punti e intrisi di sangue, quando pareva potesse giungere da un momento all’altro il fendente decisivo, fu bravo e astuto a indurre con una finta l’atletico biondo ad effettuare un affondo a vuoto un po’ maldestro, il primo da quando la lotta era iniziata. Ancora rapido nonostante le ferite, non si fece scappare l’occasione ed afferrò il braccio del nemico, facendolo sbattere ripetutamente contro una sporgenza metallica. Finalmente il coltello sfuggì di mano con un urlo di dolore, portando la contesa ad armi pari. A quel punto Fiedler schivò una gomitata, poi attaccò con impeto rinnovato, assestando una testata e una possente ginocchiata allo stomaco. Il doppio urto ebbe l’effetto di placare la resistenza dell’avversario, che si ritrovò a terra, sanguinante copiosamente dalla bocca e incapace di alzarsi. Sebbene fosse provato dalla lotta, Fiedler fece appello alle poche energie residue per andare in soccorso di Leroy. Raccolse il coltello da terra, poi si avvicinò a fatica ad Harris, proprio nel momento in cui l’energumeno aveva in pugno
l’avversario e stava per sferrare l’assalto decisivo. Senza essere notato, poté piazzare da dietro una coltellata sul fianco destro. Stavolta l’impressionante strato muscolare poté ben poco come protezione: la lama affondò nella carne, mentre gli occhi dell’uomo si riempivano di dolore e stupore contemporaneamente. Emise un grido soffuso, poi barcollò fino ad appoggiarsi alla vicina parete, infine cadde in ginocchio con una smorfia che ne deformava ancor più il volto tumefatto. Raymond gli assestò un pugno sul volto, mandandolo a distendersi a terra, poi si avvicinò a Leroy per aiutarlo a rialzarsi.
“Coraggio, appoggiati a me. Dobbiamo raggiungere l’astronave, alla svelta.”
L’uno coperto di sangue, l’altro con le ossa maciullate, si trascinarono fino all’imbarco, dove vennero accolti da Greg. Alla vista di Raymond, Paola scoppiò a piangere, ma lui la rassicurò dicendo che aveva solo ferite superficiali. Ci sarebbe stato tempo per curarli a dovere, adesso la priorità era salire a bordo per lasciare la TISS.
Partirono rinfrancati, fiduciosi che l’indipendente Marte potesse costituire un rifugio sicuro.
Parte seconda
21 ottobre 2167 – 17 gennaio 2168
1
Da quando i fuggitivi erano scappati, Dahlberg era preda di una rabbia sorda che le avvelenava le giornate. Per carità, non che avesse molto di cui lamentarsi. A livello economico l’astuto piano deciso a tavolino stava già dando i suoi frutti. Facendo finta di aver terminato le scorte, sulla Terra i prodotti a marchio Titanlab cominciavano a scarseggiare e i prezzi si stavano impennando. A causa dell’attacco subito e della conseguente distruzione del bioreattore di Titano, la compagnia aveva ricevuto molti attestati di solidarietà e da ogni parte si apprezzavano i suoi sforzi per cercare di tornare al più presto in produzione. Approfittando del momento di défaillance, i rivali stavano cercando di conquistare posizioni e la Synbiomed pareva la più attiva in questo, ma il mercato rimaneva estremamente desideroso dei prodotti sintetizzati dai batteri alieni. Chissà quale smania di accaparramento si sarebbe scatenata di lì a breve quando sarebbero di nuovo comparsi sulla scena. Nessuna voce contro l’azienda stava giungendo dall’astronave in viaggio verso Marte, forse per paura o per mancanza di prove. Del resto, agli occhi dell’opinione pubblica la figura di Greg Maclean non era più cristallina come prima, dato che con un’opportuna campagna mediatica non era stato difficile mettere alla berlina l’ex comandante, che aveva liberato e poi aiutato a scappare dei pericolosi prigionieri con cui probabilmente era in combutta da tempo.
Eppure, qualche crepa nel piano in apparenza perfetto della presidente cominciava ad affiorare. Sgradita sorpresa, dopo varie settimane di sperimentazione i biologi della compagnia erano stati capaci solamente di ricreare batteri geneticamente modificati secondo gli studi di Subramani. Un risultato misero, dato che per ottenerlo bastava seguire alla lettera le istruzioni del valente indiano. Anzi, un fallimento totale, considerando che la Titanlab era già a conoscenza di altri due criteri di modifica genetica capaci di rendere i batteri operativi sulla Terra, ma da anni cercava di perseguire l’obiettivo successivo: l’integrazione diretta con il corpo umano. In Ximen aveva funzionato, perché non si riusciva a replicare quel mirabile risultato? Dopo un
massimo di due settimane, la biomassa aliena era stata sempre espulsa da ogni organismo ospite, con ripercussioni più o meno gravi. Per questo la partenza dei fuggitivi rappresentava un problema serio, poiché aveva causato in un sol colpo la perdita dei banditi spaziali e soprattutto quella dell’unico individuo che non aveva accusato crisi di rigetto. Dato che la TISS era in fase di aggio a centro di sperimentazione sull’uomo e cominciava ad ospitare numerose cavie, era fondamentale che Ximen fe parte del nuovo progetto.
Ecco il sogno nascosto della presidente: grazie all’unione di DNA umano e alieno desiderava raggiungere un nuovo stadio evolutivo, un aggio dall’homo sapiens all’homo alienus sapiens, con la creazione di un’umanità più potente, capace di autoripararsi e vivere quasi illimitatamente. Sarebbe stata una fase evolutiva non gestita dalla natura, ma dalla compagnia, con tutti i vantaggi e i colossali introiti che ne potevano derivare.
Nonostante la rabbia per la perdita di colui che costituiva la chiave di volta in quel progetto ambizioso, la presidente era comunque intenzionata a cambiare le carte in tavola e a sistemare le cose.
Con un rapido gesto nervoso, invitò Kevin Harris e il suo vice, appena giunti nella sua stanza, a sedersi di fronte a lei. Nei due uomini erano praticamente scomparse le tracce del duro combattimento, ma Harris conservava come ricordo una cicatrice sul fianco.
“Signori, ho deciso di darvi un’altra opportunità. Ma stavolta vi consiglio di non deludermi”, esordì Dahlberg.
“Non accadrà, può starne certa”, rispose Harris per entrambi.
“Come sapete, l’astronave con a bordo la famiglia di Maclean e il gruppetto di Fiedler sta per raggiungere Marte, dove evidentemente contano di essere al sicuro. In effetti, non abbiamo installazioni nel pianeta, dove il consiglio è sempre stato abile a sfuggire alle nostre pressioni. Ma si dovrà pentire dell’accoglienza che sta per riservare a quei traditori.”
Dopo una pausa studiata, la presidente riprese a parlare puntando i suoi luminosi occhi verdi su Harris.
“La finestra di lancio per Marte non è ancora chiusa. Formi al più presto un equipaggio, prenda con sé alcuni uomini della sicurezza e armi. Voglio che voli verso Marte per dare la caccia a quei bastardi. Nessuno di loro deve restare vivo, ma lasci stare Ximen. Lo voglio al più presto in uno dei nostri laboratori per essere studiato.”
L’uomo tutto muscoli fece un gesto d’assenso, gli occhi che scintillavano come due carboni ardenti. Da quando si era ripreso, non sognava altro che la vendetta.
“Come veicolo, le concedo l’astronave presidenziale. Come sa, possiede sofisticate armi d’offesa, che potrebbero tornare utili nel caso in cui Marte vi rifiuti l’atterraggio.”
A quel punto la presidente spostò la sua attenzione sull’altro uomo, l’alto biondo che aveva affrontato Fiedler con un coltello. Anche lui non vedeva l’ora di ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con il suo rivale, ma le sue speranze stavano per essere disilluse.
“Quanto a lei, capitano Fischer, appena possibile dovrà recarsi verso Tritone con
un’altra squadra.”
La corta e aggressiva spazzola bionda dell’uomo venne percorsa da un fremito, come se fosse stata attraversata da corrente elettrica. Era evidente che la decisione della presidente lo lasciava perplesso.
“Verso Tritone, signora?”, ripeté stupito.
“Sì. C’è bisogno che venga data una strigliata agli amichetti di Ximen. Finora siamo stati noi i loro fornitori, ma dopo gli ultimi sviluppi pare siano sul punto di stringere accordi commerciali e di collaborazione tecnica con la Synbiomed. In futuro ciò potrebbe costituire una vera seccatura. Forse la Synbiomed crede che la distruzione del bioreattore di Titano possa sancire la nostra fine e sta alzando troppo la testa. È compito nostro fargliela abbassare.”
“Ma… a questo punto sarà quasi impossibile venire accolti su Tritone”, osò obiettare il capitano Fischer.
Dahlberg lo squadrò con occhi duri, ma al contempo accennò un lieve sorriso.
“Non se sarete all’interno del prossimo cargo merci diretto verso di loro. Starete molto scomodi, ma dato che questi veicoli sono interamente a controllo automatico non si aspetteranno di trovare un equipaggio. Presumibilmente sarà la nostra ultima spedizione, ma non potranno rifiutarla. Hanno bisogno dei materiali e delle medicine, tanto più che nella base, pur con forme meno gravi di quella di Ximen, ci sono altri due malati.”
I tre rimasero a parlare di alcuni dettagli per circa un’ora. Il nuovo piano di Dahlberg era pronto, preparato con scrupolo. Di lì a poco, due vascelli con equipaggi d’assalto sarebbero partiti per luoghi ben diversi e lontanissimi fra loro, in modo da rafforzare sempre più la supremazia della Titanlab nell’intero sistema solare.
2
A bordo dell’astronave che li stava conducendo verso Marte, Greg e Ximen si ritrovarono nella piccola saletta mensa. Si sorrisero e chiacchierarono del più e del meno mentre Greg si preparava un tè caldo e il cinese si scaldava un panino, poi ambedue si accomodarono.
Sul momento cadde un silenzio imbarazzato. Nonostante si fossero pienamente riconciliati, faticavano a ritrovare la familiarità d’un tempo.
“Da quando abbiamo lasciato la TISS, ho un grande appetito e mi sento meglio di giorno in giorno. È tutto un dono per me e la gioia di Wei mi riempie il cuore. Non so come ringraziarti”, disse Ximen grato, sbloccando lo stallo.
“Falla finita. Ti ho già detto altre volte di smettere. Vedila così: ho posto rimedio ai miei errori al momento giusto e con la persona giusta.”
Di nuovo silenzio. Stavolta fu Greg che provò a far ripartire la conversazione: “Sono davvero contento di rivedere Laura. Era in gamba e si è fatta valere su Marte, se lo meritava. È stata davvero gentile ad accogliere la nostra richiesta d’aiuto”.
Giovanissima e affascinante, Laura Keaton era stata ufficiale medico nella missione della Explorer e dopo il ritorno sulla Terra si era trasferita su Marte, dove vivevano i genitori. Lì aveva conosciuto il marito Robert, dal quale aveva
avuto due splendidi gemelli.
“Sono felice anche io, è da tanto che non la sento. Prima tu ed ora lei, non potevo chiedere di meglio. A questo punto mi manca solo d’incontrare un’altra persona che non vedo da tempo per completare il giro dei vecchi amici.”
Greg annuì. “Immagino tu intenda il professore Zhao. Non siete rimasti in contatto?”
“Sì, con costanza. Ma un incontro di persona sarebbe un’altra cosa.”
Greg ebbe un moto di tristezza. Da giorni pensava ad altri amici che aveva lasciato da anni su Tritone, che probabilmente lo consideravano un traditore alla stregua di Ximen fino a poco prima. Chissà se avrebbe mai avuto la possibilità di riconciliarsi anche con loro. Ximen intratteneva frequenti contatti e li informava del suo stato di salute, ma lui si era associato fugacemente solo un paio di volte, non sapendo come sarebbe stata accolta la sua presenza. Avrebbe potuto inviare un video personale con le sue scuse, ma gli sembrava un gesto troppo freddo e titubava. In particolare la sua mente correva spesso a Patrick, il guascone irlandese che lo prendeva sempre in giro e con cui a suo tempo era in atto una costante diatriba su quale fosse superiore fra le rispettive patrie d’origine. Si trattava di un infinito match amichevole Scozia contro Irlanda. Ambedue apionati dei rispettivi distillati nazionali, mai era esclusa dalla contesa la sfida whisky scozzese contro whiskey irlandese. Memorabile il soprannome di “highlander” con cui Patrick lo chiamava con riferimento alla sua nascita nelle nordiche terre alte scozzesi. Chissà se lo avrebbe mai più visto. Scacciò quei dubbi fastidiosi e disse: “In questi giorni di viaggio ho avuto modo di riflettere. Vorrei sentire la tua opinione e farti una proposta.”
Il cinese gli fece segno con il viso di andare avanti, intanto piazzava un bel
morso sul suo panino.
“Con la missione della Explorer potevamo aprire le porte del cosmo. Purtroppo non è stato così. In fondo non è colpa di nessuno se il funzionamento di questi buchi neri primordiali non è stato ancora compreso.”
“È vero. Ma confesso, in attimi di tensione, di aver nutrito tanto rammarico per questo e di averlo sfogato sul povero professore Zhao, quasi pretendendo che lui mi risolvesse il problema. Non so come abbia fatto a sopportarmi.”
“Credo che anche lui lo volesse quanto o più di te. Sfondavi una porta già aperta. Deve essere un tipo molto esigente verso se stesso.”
“È così. La tua proposta?”
“Pensavo che anche senza ‘porte di Dio’ aperte, forse potremmo trovare qualcos’altro da fare insieme. Sto parlando di un obiettivo diverso, ma non meno importante.”
Ximen adesso aveva smesso di mangiare. Invitò Greg a continuare con un gesto della mano, curioso.
“Potremmo darci da fare per far diminuire lo strapotere delle compagnie e permettere che tutti ricevano cure adeguate. Non so, è da giorni che ci penso e tremo all’idea che tanti altri possano condividere quelle che erano le tue sorti.”
Il volto di Ximen brillava. Piacevolmente sorpreso, chiese: “Stai parlando di una nuova unione d’intenti fra noi, come trent’anni fa prima di lanciarci in quella missione da pazzi?”
“Più o meno.”
In silenzio, il cinese si concesse tempo per spazzolare fino all’ultima briciola. Nel frattempo, Greg attendeva paziente sorseggiando il suo té, un po’ ansioso.
“Greg, ci sto. Ma voglio essere sincero con te, anche se sicuramente mi darai dell’illuso. È una grande e nobile battaglia quella che proponi, ma se qualcuno o qualcosa mi darà in mano le chiavi per usare i Deep x e avanzare nell’esplorazione spaziale, non potrò resistere. È il mio sogno. Tu non c’eri su Tritone negli ultimi anni e non sai quanto sono stati duri, soprattutto per me. Hai fatto altro ed imparato tanto, mentre io sono rimasto ad aspettare. Ma se da tempo l’esplorazione per te non è più prioritaria, io sono disposto ad aspettare ancora. Te lo dico ora senza rancore alcuno, credimi.”
“Firmiamo questo contratto a tempo determinato, allora?”, scherzò lo scozzese.
“Indeterminato, vorrai dire. Chi vuoi che se ne esca fuori con una teoria capace di farti girare la galassia, ormai?”
Sorridenti, i due uomini si alzarono in piedi e si strinsero la mano. Proprio in quel momento entrò Goldie, che non considerò la scena e li degnò di una veloce occhiata ostile.
“Qualcosa non va?”, le chiese perplesso il padre, mentre lei pescava un paio di barrette energetiche da un contenitore.
“Fabio mi sta massacrando ad Age of space III. Non riesco a vincere neanche una partita. Ho bisogno di un po’ di combustibile, vediamo se poi va meglio.”
“Non è molto rassicurante per chi sogna di fare l’esploratrice spaziale.”
“Non mi rompere, papà. È solo che lui è più allenato a quel dannato ologame.”
“Non sarebbe il caso di lasciar perdere il gioco e concentrarsi sullo studio, tutti e due?”
“Uffa, è solo un momento di tregua. Ci siamo fatti un mazzo così fino a venti minuti fa.”
Terminata la prima barretta, Goldie si mise la seconda in tasca ed uscì come un fulmine. Ximen osservò Greg, divertito.
“Mica male come vitalità.”
“Lascia perdere. Negli ultimi anni ci ha fatto diventare matti, a me e sua madre. Per fortuna, Fabio è più riflessivo e tranquillo.”
“Se non altro, potrei avere un’alleata nel caso di qualche nuova esplorazione.”
“Ah, puoi starne certo. Se dovesse partire un bel viaggetto, siamo disposti a cedertela per un po’. Pagando profumatamente, s’intende.”
Risero ed uscirono insieme dalla saletta in un clima di grande cordialità. Adesso l’alleanza fra loro era pienamente ricostituita.
3
Il professore Zhao Quing entrò nel suo studio, ma non chiuse la porta. Lo rilassava e lo aiutava a pensare, mentre cercava di far quadrare i conti, l’ascolto della soffusa melodia che dal corridoio entrava nella stanza. Come al solito, dopo cena la moglie Heylin si dedicava al pianoforte, sua grande ione, mentre lui si ostinava a sbattere la testa su complessi calcoli di gravità quantistica. Attività certo non semplice, in particolare se svolta a pancia piena dopo aver gustato due piatti del prelibato hong shao rou preparato da Heylin, con riso e verdure ad accompagnare carne di maiale rigorosamente grassa e brasata per ore in una salsa di zucchero, aceto, soia e zenzero.
La moglie era decisamente la sua gioia. Alle sue arti culinarie doveva i quindici chili presi dal matrimonio nonostante fosse di corporatura longilinea. Infermiera dai modi dolci e gentili, di tredici anni più giovane di lui, l’aveva conosciuta durante un ricovero in ospedale tre anni dopo la missione della Explorer. Otto mesi dopo erano già sposati, mentre nel giugno del 2065 nasceva Linpeng, loro unico figlio, che quella sera si trovava fuori a sarsela con gli amici dopo aver superato l’esame più complesso del secondo anno di chimica industriale.
Così, proprio quando la sua carriera accademica era ai vertici aveva ricevuto pure la benedizione di una famiglia, la cui mancanza gli era pesata parecchio. Paradossalmente, da allora proprio gli studi avevano subito più di una battuta d’arresto, come se i due piatti della bilancia della sua vita fossero strettamente collegati e non potessero alzarsi entrambi. Per averne uno in alto, l’altro pareva fosse destinato a scendere di conseguenza.
Con sua grande delusione, dopo aver portato alla scoperta del Deep X di Orcus,
obiettivo della storica missione della Explorer, la sua teoria dello spazio quantocurvo, elaborata dopo anni di faticose ricerche, era stata messa in crisi da alcuni dati sperimentali di nuova generazione. Così addio speranze di avere una teoria fisica del tutto, che potesse fungere da libretto d’istruzioni per gli strabilianti oggetti cosmici della fascia di Kuiper ed aprire le porte dei loro tunnel di collegamento. Davvero una doccia fredda, sopraggiunta proprio quando i viaggi interstellari parevano alle porte, tale da smorzare l’entusiasmo generale e da mettere in crisi anche l’ansia esplorativa di Ximen.
Eh sì, proprio l’astronauta non l’aveva presa bene, ma aveva capito nel tempo di non poter imputare colpe al professore, che si spaccava la testa ogni giorno nel tentativo infruttuoso di elaborare una teoria alternativa. I loro contatti, sebbene a notevole distanza, erano proseguiti e Quing aveva appreso con dolore della malattia dell’amico, esortandolo a recarsi su Titano nella speranza di ricevere cure adeguate.
Quando ormai non ci sperava più era giunta una marea di buone notizie, prima dalla TISS e poi dall’astronave in viaggio verso Marte, che lo avevano rincuorato e reso felice.
Il professore ragionò per mezz’ora su complesse equazioni, poi decise di lasciar perdere. Meglio recarsi da Heylin, sedersi su una poltrona vicino al pianoforte e lasciarsi cullare dalle sue note. A causa dello stomaco appesantito non era la serata giusta per fare calcoli, si disse, ma sapeva che si trattava di una misera giustificazione. Ad essere sincero con se stesso, avrebbe dovuto ammettere che la sfiducia stava prendendo il sopravvento e la voglia di lottare era prossima a venir meno. Era stato il più quotato astrofisico mondiale per un decennio, ma doveva ammettere che la comunità scientifica già da tempo gli aveva attribuito gli onori del caso e lo aveva messo in disparte. Del resto era in là con gli anni e l’età delle grandi scoperte pareva ata da un pezzo. Ancora un anno, due al massimo ed avrebbe lasciato la cattedra universitaria. Si rendeva conto da solo che la mente era sempre meno flessibile e faceva più fatica a concepire grandiose strutture teoriche. C’era davvero qualche possibilità residua di estrarre dal
cilindro un nuovo complesso di geniali equazioni?
Lentamente, si alzò e raggiunse la moglie. Senza disturbarla, si accoccolò sulla poltrona e chiuse gli occhi, estasiato dal fluire della musica. Lei parve non accorgersi della sua presenza, in realtà da quando lo aveva visto entrare con la coda dell’occhio aveva intensificato la sua attenzione sui tasti per concedere orgogliosa un’esibizione di alto livello.
Rimasero così per quaranta minuti, a pochi i l’uno dall’altra. Si sentì subito rilassato e pensò a quanto aveva atteso una come Heylin, trovandola quando ormai aveva perso le speranze. Era ingiusto cedere al disappunto e insistere su recriminazioni professionali. Minuto dopo minuto, il solo concetto di una teoria fisica del tutto divenne evanescente nella sua mente e si lasciò trasportare dalla musica.
4
Riempite le varie braccia meccaniche del piccolo robot portavivande con i vassoi contenenti gli avanzi del pasto, l’automa se ne andò verso la cucina, mentre altri suoi colleghi avevano già iniziato a pulire la sala mensa con la solita efficienza. Incuranti dei precisi movimenti robotici che parevano sollecitarli ad ogni istante a lasciare libero il tavolo, Patrick Doyle e la moglie Irina continuavano a chiacchierare con Emma Thorpe e Bob Cavendish nella ben attrezzata sala mensa della colonia più lontana dalla Terra realizzata dall’uomo, la base orbitante attorno a Tritone, il principale satellite di Nettuno. L’atmosfera era gioviale e rilassata. Patrick, divenuto capo dell’installazione dopo la partenza di Ximen, aveva un volto talmente disteso che pareva dimostrare di colpo quindici anni di meno nonostante i folti capelli fossero quasi del tutto bianchi ed il fisico decisamente appesantito. Da tempo la moglie Irina, la bella siberiana che lo aveva stregato ai tempi della Explorer, ancora in forma e decisamente piacente per una donna di sessant’anni, aveva smesso di sollecitarlo perché si mettesse a dieta, capendo che era una sfida persa in partenza. Anche il figlio Pavel sembrava aver ereditato dal padre un metabolismo non troppo veloce ed uno spiccato amore per il cibo, cosicché a ventiquattro anni era già in sovrappeso, pur riuscendo bene a mascherare i chili di troppo nel suo metro e novanta di statura. La sua lunga chioma bionda era invece inconfutabilmente un dono della madre, così come il colore molto chiaro degli occhi.
“Mi piacerebbe davvero essere a bordo di quell’astronave. Sarebbe bello rivedere Laura e fare un salto su Marte”, disse Bob Cavendish con un sorriso. Soddisfatto per la cena, il capitano della missione di soccorso che tanti anni prima aveva recuperato i pionieri della Explorer provenienti dal pianeta nano Orcus sedeva sprofondato sulla sedia e pareva decisamente di buon umore. A differenza di Patrick, i mossi capelli castani erano venati di bianco solo sulle tempie ed il fisico non aveva accumulato chili.
“Non dire stupidaggini. Vorresti andare via proprio ora che le cose qui sono migliorate grazie alla mia guida?”, domandò Patrick.
Emma Thorpe scoppiò a ridere. La compagna di una vita di Cavendish, pur priva della bellezza di Irina, era una donna piacevole e volitiva. Teneva i capelli in un corto e pratico caschetto grigio e sembrava sempre avere un’aria distratta, mentre in realtà non le sfuggiva niente di ciò che le succedeva intorno.
“Modesto come al solito. Ma questo te lo devo concedere: il livello dei pasti è nettamente migliorato.”
“Era inevitabile, cara mia. Potevamo andare avanti con il regime alimentare al quale ci sottoponeva quel risparmiatore di Ximen?”
“Forse no, ma se continua così dovremo chiamare dalla Terra un buon dietologo”, si inserì di nuovo Bob. “A proposito di Ximen, qualche notizia fresca di giornata?”
“Nessuna. Siamo rimasti a ciò che sapevamo ieri, ma vedrete che non tarderà a spedire altre informazioni.”
“Certo che il suo recupero è davvero straordinario. E se non fosse stato per Greg, a quest’ora sarebbe morto.”
L’affermazione di Bob fece calare d’improvviso il silenzio fra i quattro. L’argomento Greg Maclean era spinoso e da tempo su Tritone si cercava di
evitarlo. In molti condividevano l’opinione su di lui che aveva maturato in precedenza Ximen, ma i nuovi sviluppi parevano aver rimescolato le carte in tavola. Inaspettatamente fu Irina, solitamente taciturna, a fare un commento.
“È bello poter considerare di nuovo Greg uno dei nostri. Questo stupidone di mio marito è restio a cambiare parere su di lui, ma dovrà farlo. Non solo ha salvato la vita a Ximen, ma ha anche abbandonato la Titanlab. Cos’altro deve fare per riguadagnare la nostra fiducia?”
“Il mio giudizio sull’higlander resta sospeso”, disse Patrick. “Dovrò vederlo in faccia per capire se è davvero tornato quello d’un tempo.”
“Sta comunque rischiando grosso”, asserì Bob. “La Titanlab non fa sconti e vorrà fargli pagare il suo tradimento.”
“Lo hanno già massacrato a livello mediatico, che altro possono fare?”, domandò Emma. “Greg e gli attivisti saranno a rischio solo se torneranno su Titano, cosa che solo dei pazzi potrebbero fare, o se si recheranno sulla Terra. Grazie alle sue basi indipendenti, Marte può essere un buon rifugio.” “Speriamo. Comunque, se quegli stronzi non dovessero trovare alla svelta un altro modo di utilizzare i microrganismi alieni perderanno la loro leadership. Sarebbe proprio una bella notizia”, affermò Bob.
“Non ci contare”, gli replicò subito Patrick. “A quanto sostiene l’highlander hanno già pronti dei metodi sostitutivi ed aspettano di tirarli fuori al momento opportuno. Se è così, saranno più forti di prima. Sono in tanti ad essere dipendenti dai loro prodotti, in pochi disposti a voltar loro le spalle.”
“Allora qui siamo tutti matti come tuo marito a fare progetti di alleanza con la Synbiommed”, sussurrò Emma ad Irina, facendola ridere e premurandosi che gli altri sentissero. Patrick fece finta di offendersi.
“Ehi, non ti permetto di demolire così l’opinione che mia moglie ha su di me, del resto già abbastanza negativa.”
Dopo la risata generale, Bob disse: “Speriamo di prendere la decisione giusta.”
“Giusta o no, credo sarà obbligata”, riprese Patrick. “Anche Ximen e Wei ci hanno dato la loro benedizione. Fra l’altro, la Titanlab non ha fatto niente per curarlo a dovere e non possiamo dimenticarlo.”
“Che ne facciamo nel frattempo della loro proposta di un’ulteriore spedizione di materiali?”
“Purtroppo, temo dovremo accettarla. Abbiamo bisogno di quella roba e non abbiamo alcun accordo ancora con la Synbiomed.”
“Sono dei pesci più piccoli, ma anche loro hanno denti ben affilati. Speriamo di non cadere dalla padella nella brace rovente.”
“È un rischio che dobbiamo correre. Non possiamo restar qui all’infinito in attesa delle chiavi per aprire i cancelli cosmici con le sovvenzioni che si assottigliano sempre più e l’interesse della Terra ridotto ai minimi termini. L’accordo che la Synbiomed vuole proporci potrebbe essere vantaggioso per
tutti. L’alternativa è levare le tende e fare ritorno in zone più interne del sistema solare.”
“Questo mai. Con la densità di popolazione di un abitante ogni dieci milioni di chilometri quadrati non si sta male. E poi, venire via proprio ora che hai fatto migliorare il vitto!”
Attirato dalla nuova risata provocata dalla battuta di Emma, dall’altro tavolo della mensa ancora occupato si presentò Pavel, che si piantò davanti al padre con aria minacciosa.
“È così che dai l’esempio, nuovo boss della base? Restando a gozzovigliare fuori orario? Questi poveri robot stanno impazzendo, se non vi alzate credo che assalteranno il tavolo.”
“È tua mamma che vuole continuare a stare qui”, mentì spudoratamente Patrick.
“La mamma? Non credo proprio. Chissà quanto hai mangiato ed ora non riesci al alzarti.”
“Anche tu non scherzi, sai?”, replicò l’irlandese affondando un dito nello strato d’adipe che copriva lo stomaco del figlio. “Giovane come sei, dovresti perdere peso. Perché non ti unisci a Bob nelle sue disperate sedute in palestra?”
“Mica sono matto, ci tengo alla salute. Questo squilibrato è capace di are ore in sala attrezzi, secondo me gli arriva a nostra insaputa un doping di ultima
generazione dalla Terra.”
“Il mio doping è Emma”, affermò Bob con prontezza. “Non le piacciono gli uomini con la pancia. Temo che se la mettessi su, verrei lasciato all’istante.”
“Cazzo, con una così sì che sarei fottuto!”, esclamò Patrick facendo una faccia scandalizzata, suscitando di nuovo l’ilarità generale.
A quel punto si alzarono, dando ai robot la possibilità di svolgere la loro opera. Da alcuni giorni il buonumore generale induceva a dilungarsi in chiacchiere e risate: le buone notizie sulla salute di Ximen avevano rincuorato tutti, mentre le prospettive di alleanza tecnica e commerciale con la Synbiomed davano un senso di rinnovata fiducia nel futuro.
Finalmente, dopo tanto per la stazione spaziale di Tritone la strada pareva in discesa. Nonostante il fascino pionieristico, non si poteva certo biasimare chi negli anni aveva gettato la spugna scegliendo di far ritorno in zone più interne del sistema solare, ma chi era rimasto credeva di intravedere la fine del tunnel.
Purtroppo, queste speranze sarebbero state brutalmente disilluse.
5
L’egiziano Khaled Mansour, successore dello sfortunato Ricardo Texeira alla guida della Synbiomed, guardò il suo interlocutore negli occhi, scorgendovi una determinazione glaciale. Da questo capì che era l’uomo giusto, ma anche che non sarebbe stato disponibile ad una mediazione sull’ingente compenso chiesto per sé e per la sua squadra. A dispetto del suo stato di ex militare, Bogdan Sakharov quel giorno aveva l’aspetto più di un uomo d’affari che di uno spietato mercenario. Indossava un raffinato intero blu con cravatta celeste, che nobilitava un poco il suo fisico tozzo e robusto. Al polso sinistro aveva un orologio d’oro di indiscutibile valore, evidentemente l’attività che svolgeva gli permetteva un tenore di vita elevato. Gli occhi piccoli e guizzanti, scuri come i capelli e la barba, abbastanza lunga ma ben curata, erano riconducibili alle origini caucasiche della madre. La fama di uomo di ferro invece era merito, si fa per dire, della rigida educazione che gli aveva impartito il padre, ufficiale dell’esercito incline a maltrattamenti e soprusi per fortificare il carattere del figlio. Strategia discutibile che Boris Sakharov aveva pagato sulla sua pelle, quando il diciassettenne Bogdan aveva trovato il coraggio di afferrare un coltello e far pagare al padre anni di vessazioni.
“Se accetta, signor Sakharov, per i prossimi due anni lei e la sua squadra dovrete essere al servizio esclusivamente della mia compagnia. Costituirete la mia guardia privata, ma sarà mia facoltà destinarvi anche ad altri compiti. Tanto per cominciare, mi seguirete nel prossimo viaggio verso Tritone.”
Bogdan guardò Mansour con i suoi occhi duri, senza palesare la minima emozione. Intuiva che, dopo quanto capitato al predecessore, i timori del nuovo presidente gli consentivano di avere il coltello dalla parte del manico.
“A noi non interessa quello che dovremo fare. Siamo equipaggiati ed addestrati per tutto. Basta solo che venga pagata la cifra richiesta.”
“Non ci va piano con le pretese. Se vi concedessi quanto desiderate, alla fine del periodo di servizio potreste vivere agiati per anni.”
“La professionalità si paga, presidente. Alcune missioni che ci affiderete saranno probabilmente a rischio della vita. Consideri che non ci sta chiedendo di lavorare solo sulla Terra e che la Titanlab è un nemico davvero pericoloso.”
Titanlab: ecco la parola segreta, capace di far vibrare le corde interiori della paura in Mansour. Dahlberg già da anni aveva un cospicuo gruppo di ex militari alle sue dipendenze, i cui compiti andavano ben al di là di quelli di un tipico servizio di addetti alla vigilanza. Era l’ora di rispondere con le stesse armi.
Dopo una breve contrattazione, il presidente trovò un accordo con il suo interlocutore. Per un po’ aveva pensato che la distruzione del bioreattore di Titano bloccasse i rivali, ma aveva capito di non poter nutrire speranze dopo aver ricevuto precise notizie dalla sua talpa. La Titanlab era più forte che mai e lui aveva troppo bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle.
A breve si sarebbe spostato verso la stazione di Tritone per stringere un accordo sulla fornitura di prodotti e sulla realizzazione di progetti di biologia di sintesi, come già fatto dai rivali su Titano.
Inoltre, doveva rafforzare la presenza della compagnia nel sistema solare: la Titanlab era stata fin troppo accorta nel gestire i batteri alieni e nell’evitare che mai alcun campione sfuggisse al suo controllo, ma di recente un errore l’aveva
commesso. I microrganismi erano in viaggio verso Marte, incredibilmente attivi e funzionanti nel corpo dell’astronauta Chen Ximen. Avere un piede nella base dove presumibilmente prima o poi avrebbe fatto ritorno poteva rivelarsi un ottimo modo per agguantarlo.
6
Il ricongiungimento dei fuggitivi da Titano con Laura Keaton fu commovente. In compagnia del marito Robert, la incontrarono nella stazione di lancio della Valles Marineris. Seguì una valanga di abbracci e di sorrisi. L’ex ufficiale medico della missione della Explorer adesso era una donna matura di quasi cinquantacinque anni, un poco arrotondata ma non priva della giovanile bellezza. Negli anni si era ritagliata il suo spazio nel pianeta rosso, dove aveva acquisito un ruolo sempre più importante. Era immensamente felice di rivedere i suoi ex compagni, Wei e Martina in particolare.
“Dove hai messo i tuoi marmocchi?”, le chiese proprio Martina, stringendola a sé.
“Mi spiace, ma non potrete incontrarli. Quei teppisti spaziali stanno trascorrendo un soggiorno formativo sulla base di Ganimede. Io e Robert speriamo tornino presto, ci mancano molto.”
Constatato con gioia come Ximen fosse in ottima forma, al momento di salutare Greg gli sussurrò in un orecchio: “Sono proprio contenta che tu sia rinsavito.”
Nonostante non si fosse mai schierata nella diatriba seguita all’abbandono di Tritone da parte di Maclean, ora era chiaro da che parte stava. Abbracciò Fabio e Goldie, che pareva la più eccitata di tutti, poi salutò con calore gli altri. Dopo una breve attesa giunse un anziano signore sull’ottantina, con radi capelli bianchi ed un volto rugoso dove spiccavano due sfolgoranti occhi verdi.
“Vi presento mio padre Larry”, lo introdusse Laura. “Desiderava tanto salutarvi ed ora farà insieme a noi il tragitto verso la base Mariner uno.”
Larry fu cortese ed ospitale con tutti, in particolare con Wei e Ximen, che aveva brevemente conosciuto tanti anni prima in una loro fugace visita sul pianeta rosso. Quando finalmente si mossero, prima di procedere verso la ferrovia, senza dare tante spiegazioni Laura piegò in direzione di un hangar laterale, dove si trovavano parcheggiati tre veicoli spaziali. Appena entrati, lo sguardo di tutti si appuntò su quello più vicino.
“No… non è possibile!”, esclamò Greg, esterrefatto.
“È davvero lei?”, chiese carico d’emozione Ximen, fissando ad occhi spalancati l’astronave che a suo tempo gli aveva salvato la vita.
“È la New Explorer, amici. Sulla Terra qualche pazzo la voleva smantellare in quanto veicolo obsoleto, ma io mi sono opposta con tutte le mie forze.”
“È ancora funzionante?”, domandò estasiata Martina.
“Ci abbiamo fatto un giretto nella fascia degli asteroidi non più tardi di un anno fa. Se la cava ancora bene per avere quasi trent’anni. L’abbiamo risistemata cambiando il sistema propulsivo, portandolo al o coi tempi.”
“Vuoi dire che lavora con un elemento più pesante dell’idrogeno?”, chiese Wei
morsa dalla curiosità.
“Proprio così. Adesso il motore ad antimateria si basa sull’annichilazione di carbonio ed anti carbonio.”
Anche Fabio e Goldie osservavano il veicolo a bocca aperta, avendo sentito milioni di volte le storie dei genitori. Laura fu costretta ad essere un po’ brusca per indurre il gruppo a muoversi, ma voleva evitare ad ogni costo di proseguire il viaggio in condizioni notturne.
“Mi spiace, ma dobbiamo andare. Non vi preoccupate, avrete altre occasioni per tornare qui. Abbiamo poca luce a disposizione e non voglio che vi perdiate lo spettacolo della Valle.”
La seguirono a malincuore verso la zona ovest della stazione, dove attesero il loro prossimo mezzo di trasporto, un confortevole treno a lievitazione magnetica. Al binario, Laura approfittò della breve attesa per dare sintetiche informazioni sulle cinque basi marziane: la base polare aveva tanti laboratori di analisi e riforniva d’acqua le altre; l’installazione a latitudine tropicale costituiva la stazione di lancio per i voli interplanetari ed era la sede del consiglio, organo direttivo del pianeta; il grosso della presenza abitativa si trovava a livello equatoriale nella Valles Marineris, dove la sua piccola stazione per voli interni era collegata via ferrovia verso ovest alla base Mariner 1, dedita ai progetti di terraformazione, e verso est alla Mariner 2, più industriale.
Ancora abbacinati dalla visione della New Explorer gli altri ascoltarono distrattamente, ma si sarebbero presto destati di fronte al panorama mozzafiato dell’equatore marziano, illuminato dagli ultimi raggi del sole morente.
7
Gli ospiti attirarono subito gli sguardi curiosi degli altri viaggiatori. Un po’ imbarazzati, cercarono di rispondere con sorrisi e saluti, ma cessarono di prestarvi attenzione appena il treno uscì dalla stazione ed iniziò a percorrere Candor Chasma, una delle principali valli che componevano il sistema di canyon di Valles Marineris. Laura cominciò: “Questa in cui ci troviamo è davvero una posizione privilegiata. Siamo in una valle di mezzo, inserita fra Ophir Chasma a nord e Melas Chasma a sud. Verso ovest si trova invece Tithonium Chasma, che…”
Si interruppe accorgendosi che gli amici, lungi dall’ascoltarla, si erano alzati per attaccarsi estasiati ai finestrini. Il panorama marziano lasciava a bocca aperta, proprio perché di marziano aveva ben poco.
Avanzando veloce e silenzioso, il treno cominciò a percorrere uno scenario verde, costellato di arbusti e di piante ad alto fusto. In lontananza, parallelo alla ferrovia, si intravedeva il greto di un torrente, che però non rivelava la presenza di acqua. Nel suo senso di marcia, il convoglio andava incontro ad un tramonto spettacolare, dove il sole era prossimo a scomparire dietro una frastagliata cresta montuosa in un mare di blu. Verso est, invece, il cielo si mostrava ricco di tante tonalità mirabilmente fuse assieme, con nubi grigio-arancioni e macchie rossastre ad impreziosire lo sfondo celeste.
“È bellissimo”, commentò Wei con lo sguardo rivolto verso l’alto.
“Avete fatto dei progressi enormi dalla nostra ultima visita”, disse Ximen con gli
occhi fissi sul paesaggio.
“Gli ultimi venti anni sono stati davvero proficui”, iniziò Laura. “Prima c’erano solo arbusti in grado di produrre gas serra. Poi abbiamo piantato alberi capaci di svolgere la fotosintesi e produrre ossigeno. In Candor Chasma oramai c’è un’atmosfera che ci permette di stare all’aperto senza l’uso di un respiratore o di una tuta. Ve ne accorgerete quando scenderemo dal treno.”
“Non è un’impresa titanica creare un’atmosfera usando solo delle piante?”, domandò Wei.
“Hai ragione. Per questo stiamo per partire con il progetto specchio orbitale. Convoglierà la luce solare sui poli, dove è presente abbondante ghiaccio secco, per causarne la sublimazione. Dovremo sorvegliare il processo con moltissima attenzione per evitare un aumento dell’instabilità atmosferica, ma a questo penseranno Robert e il suo team di climatologi.”
“La Terra si è finalmente decisa e ha stanziato i fondi?”
“Neanche per sogno. Era una questione che andava troppo per le lunghe. Così lo specchio ce lo stiamo facendo in casa, nella base Mariner 2, in vista del lancio dalla stazione tropicale e del successivo assemblaggio in orbita.”
“Ehi, è un torrente quello che si vede laggiù?”, domandò all’improvviso Goldie, indicando un punto in lontananza.
Laura sorrise orgogliosa, ma venne anticipata dal padre Larry: “Proprio così, ragazza mia. È la più grande conquista di noi coloni, ottenuta dopo quasi un secolo di sacrifici e di terribili sfide. È uno dei primi corsi d’acqua marziani dopo centinaia di milioni di anni. Non è l’unico della Valle, ma per ora nessuno ha un flusso stabile.”
“Com’è possibile?”, chiese Greg.
Stavolta fu Robert ad intervenire. Con i capelli interamente bianchi e molte rughe d’espressione, pareva avere almeno dieci anni più della moglie.
“Non è così difficile da capire. Date un’occhiata alle nubi che abbiamo sopra.”
Tutti alzarono la testa per osservare le nuvole grigio-arancioni che riempivano il cielo della Valle.
“Vuoi dire che sono cariche di vapor acqueo e che si sta innescando un ciclo dell’acqua?”
“È così, Greg. Al momento è agli inizi, ma contiamo che si sviluppi sempre più. Le condizioni non sono ancora ottimali, l’arancione ed il rosato che vedete nel cielo testimoniano la presenza di pulviscolo di ossido di ferro, che ricade a terra con le precipitazioni. Ma, seppur inquinata, si tratta di pioggia vera e propria.”
“Abbiamo un team di climatologi per provare ad indirizzare i fenomeni dell’atmosfera che stiamo costruendo, di cui Robert è il responsabile”, disse
Laura guardando fiera il marito.
Sfortunatamente, la notte marziana calò in fretta. Laura e Robert vennero subissati da decine di altre domande, alle quali risposero sempre con cordialità. I soli che parevano disinteressati erano Fiedler e i suoi amici, come se per loro contasse solo la battaglia contro la Titanlab, che in quel momento non potevano combattere.
Dopo un’ora di viaggio, preannunciata da qualche luce che si intravedeva in lontananza, il treno giunse alla base Mariner 1. Il buio ora era fitto e il cielo rischiarato solo da qualche stella che faceva capolino fra le nubi. Sentendo aria di casa, dopo la giornata di lavoro nella stazione gli altri viaggiatori scesero e si dispersero in fretta, salutandosi cordialmente.
Per i nuovi arrivati fu sconvolgente trovarsi in un ordinato villaggio con case, strade e laboratori di ricerca. Non mancavano scuole per i figli dei coloni, un piccolo ma attrezzato ospedale e addirittura un paio di locali per la vita notturna.
Alla spicciolata, salirono su vetture elettriche in attesa. Il tragitto fu breve, essendo il nucleo urbano poco sviluppato e ben organizzato secondo un reticolato di strade che si intersecavano ad angolo retto. Incontrarono un paio di altre vetture e videro pochi frettolosi anti, che ricambiarono i loro sguardi curiosi. Pareva di essere in un tipico villaggio di una zona fredda della Terra, con le abitudini determinate dal gelo e le case ad offrire un gradito rifugio. Scesero all’incrocio principale dell’abitato, uno slargo costellato da casette basse ricoperte da pannelli solari e rivestite da materiali isolanti in grado di schermare le radiazioni cosmiche, dove si incontravano la più importante direttrice nordsud con quella est-ovest.
In un angolo un grande pannello luminoso dava informazioni sulla preziosa
atmosfera creata dall’uomo. Si misero a leggere carichi di curiosità.
“Quattro gradi centigradi? Credevo fosse più freddo”, commentò Laurent.
“In nottata verrai accontentato”, gli disse Robert. “L’oscurità è appena calata e stanotte andremo parecchi gradi sotto zero. Di solito l’escursione termica è molto forte, non è infrequente avere una variazione diurna fino a quaranta gradi, ma siamo dei privilegiati rispetto alle altre zone del pianeta.”
“Quello cosa diavolo è?”, chiese improvvisamente Fabio notando una strana struttura più alta delle altre, a malapena visibile alla fine del villaggio.
“Se vorrai in questi giorni ti ci potrai divertire. È il campo da gioco del nostro Marsball.”
Fabio rivolse a Robert una faccia dubbiosa, suscitando la reazione della sorella Goldie.
“E dai, scemo! È il gioco che fanno qui su Marte, di cui una volta abbiamo visto un servizio. Mi ricordo che non facesti altro che dire che ti sarebbe piaciuto un sacco provarlo. Se non mi sbaglio, è simile alla pallavolo terrestre, vero?”
“Esatto, ma immaginatevi che salti con questa gravità ridotta. È un vero so, pare di giocare al rallentatore e con le molle ai piedi. La rete è alta tre metri e mezzo, vedeste che scontri mentre si è sospesi per aria. Il pianeta ne va pazzo, è lo sport nazionale.”
“In quanti si gioca?”, chiese Laurent.
“In quattro per squadra, più due riserve che possono entrare a rotazione.”
Per la prima volta da quando avevano lasciato Titano, anche Raymond e Leroy mostrarono un certo interesse. Partì subito una discussione su quando effettuare la prima partita e come formare le squadre. Mettendosi a ridere, Larry pose fine alla disputa: “Ora basta. Avrete tempo per pensare al Marsball. Come prima sera, accontentatevi di una cena da me. Sbrighiamoci, dovrebbe già essere tutto pronto.”
“Mio padre ha insistito perché siate suoi ospiti”, si inserì Laura. “Ma non pensate che abbia trascorso gli ultimi giorni a cucinare, si è fatto prestare un paio di robot molto efficienti.”
Guidato da Larry, il gruppo si mosse verso l’abitazione dove risiedeva a piano terra, mentre la figlia e il genero occupavano il piano superiore. Poco prima di entrare, Ximen si avvicinò a Laura e disse: “Così ci siamo arrivati, alla fine. Nelle basi spaziali imponiamo una gravità di tipo terrestre, ma su Marte addio alla continuità gravitazionale con la Terra. Ossa, tendini, muscoli, tutto si sviluppa in modo diverso. Fra poco ci saranno i primi “nati fuori”, persone che non potranno mai mettere piede sul pianeta madre dell’umanità.”
“Ci sono già, Ximen. Pensa ai bambini che frequentano la nostra scuola elementare. Vedranno la Terra solo negli olofilm. È un punto di non ritorno, ma era impossibile modulare la gravità nell’intera Valle.”
La prima cena marziana fu davvero invitante. Stimolati dal pasto e dal Marsball, pareva che si fosse sciolta la lingua anche al gruppetto di Fiedler, che si mostrò finalmente loquace e cordiale. Ximen, come gli capitava spesso negli ultimi tempi, aveva un appetito formidabile e divorò tutto ciò che gli capitava a tiro. Dopo due ore, in un gelo già pungente, Laura accompagnò i nuovi arrivati alla periferia sud del villaggio, dove si trovavano gli alloggi a loro riservati. Propose un graduale coinvolgimento nelle attività di terraformazione e tutti si mostrarono favorevoli. Inoltre, informò che a breve sarebbe stato possibile partecipare ad un piccolo viaggetto. Adesso che si trovavano sul pianeta rosso, come non approfittarne per dare un’occhiata alle sue meraviglie?
8
A dieci giorni dal loro arrivo su Marte gli esuli da Titano fecero ritorno alla stazione di lancio della Valles Marineris. Al loro fianco, stavolta, invece che alcuni lavoratori pendolari, un piccolo gruppo di bambini chiassosi e festanti, accompagnati da alcuni insegnanti.
Era una mattinata serena e limpida, l’ideale per scoprire il pianeta. La sera prima era caduta in alcuni tratti della Valle una pioggia spessa, che aveva avuto il pregio di pulire il cielo e far precipitare una parte del pulviscolo in sospensione.
Alla stazione si unì l’altra comitiva di bambini proveniente dalla base Mariner 2, poi tutti si imbarcarono sull’aeromobile marziano.
“Sono alti da far paura”, commentò Greg guardando un po’ intimorito la statura dei bimbi che aveva intorno.
“Vantaggi, o svantaggi, della gravità ridotta”, gli spiegò Laura.
“Chissà se i suoi effetti possono influire molto anche ad una certa età”, commentò Martina con fare ironico. “Dieci centimetri in più di statura ti donerebbero proprio.”
Greg non parve gradire la battuta. Un po’ stizzito, disse: “Temo che oramai otterrei il solo risultato di spaccarmi la spina dorsale.”
A bordo, tutti si disposero vicino ai finestrini panoramici, ma era presente anche un maxischermo olografico per mostrare in dettaglio caratteristiche della superficie.
Fra l’entusiasmo e qualche gridolino di spavento dei bimbi, l’aeromobile decollò e si librò nel cielo marziano. Dapprima sorvolò a bassa quota la Valles Marineris, consentendo di osservare con precisione lo spettacolo dei canyon, dei canali, delle creste e delle pareti rocciose. Superata Candor Chasma il verde creato dall’uomo svanì per lasciare il posto al fondo composto da materiali scuri di origine vulcanica e sedimentaria. Proseguendo verso ovest vennero intersecate trasversalmente le due vallate parallele con direzione nord-sud, Tithonium e Ius Chasma, mentre gli insegnanti facevano notare la cresta presente nel centro della seconda, i Geryon Montes. Infine, cominciando a salire, l’aeromobile ò sopra i territori più frastagliati e ricchi di scoscendimenti di Noctis Labyrinthus, il tormentato canyon che concludeva ad ovest la Valle.
“È uno spettacolo incredibile”, commentò Ximen estasiato. “Anche il geologo più equilibrato potrebbe perdere il senno.”
“Avete la fortuna di osservare una delle zone più complesse e interessanti di tutto il sistema solare”, affermò Laura. “Marte è una miniera inesauribile. Ora ci concentreremo sulla regione di Tharsis e sui suoi immensi vulcani.”
“Se non mi sbaglio, i nomi attribuiti a queste zone risalgono alle osservazioni di un mio connazionale, l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, che mappò con cura la superficie di Marte nella seconda metà del XIX secolo”, disse Martina con una punta di orgoglio nazionale.
“Sì, anche se alcuni nomi sono stati cambiati dopo le prime missioni delle sonde Mariner e Viking un secolo dopo. Il lavoro di Schiaparelli, però, era e resta una pietra miliare.”
“Cosa significa il nome Tharsis?”, domandò Wei.
Laura non replicò e fece cenno di ascoltare uno degli insegnanti, che stava fornendo spiegazioni proprio sull’argomento. L’uomo disse che Tharsis era il nome con cui nella Bibbia venivano indicate le terre inesplorate ad ovest del mondo conosciuto. Su Marte, designava un immenso altopiano vulcanico ad ovest della Valles Marineris.
Incrementando la velocità, l’aeromobile cercò di offrire una visione d’insieme. Con una risalita spettacolare lungo la parete dell’altopiano e il successivo fianco del Pavonis mons, si portò al limite della debole atmosfera marziana. Fra gli strepiti e le espressioni di meraviglia dei bimbi, il cielo si fece più scuro e tagliato da un sole chiaro che cominciava a somigliare ad un faro nella notte. Al di sotto, una mirabile visione d’insieme dei Tharsis montes: nel centro il Pavonis mons, unico ad avere una base quasi circolare; più a sud l’Arsia mons, con la colossale caldera sommitale parzialmente coperta da nubi; verso nord l’Ascraeus mons, a chiudere il trio dei giganti addormentati.
Un altro insegnante spiegò che si trattava di vulcani a scudo, come quelli delle isole Hawaii sulla Terra, dalle dolci pendici arrotondate, ma nelle quali erano presenti in abbondanza canali di colata, fratture, scoscendimenti e scarpate. Si trovavano su un colossale altopiano vulcanico rialzato di quasi dieci chilometri rispetto al livello zero della superficie marziana, un colosso tale da far impallidire qualunque catena montuosa del sistema solare. Erano abbastanza recenti sotto il punto di vista geologico, essendo vecchi solo di qualche centinaia di milioni di anni.
Robert aggiunse: “Credo sappiate perché su Marte si sono formati simili titani. Senza delle placche mobili, la stazionarietà dell’hot spot ha fatto sì che la bocca di fuoco non si chiudesse e continuasse l’accumulo ai suoi lati fino all’esaurimento. La gravità ridotta ha fatto il resto, permettendo altezze così elevate.”
“Immagino che salire di quota sia obbligatorio per osservare questi mostri”, osservò Martina.
“Esatto. Sebbene abbiano altezze sui quindici chilometri, a causa delle basi così ampie le pendenze sono ridotte e da terra non si ha l’impressione di trovarsi ai piedi di una montagna.”
“Ma cosa sono le creste concentriche che si vedono lungo i fianchi?”
“Devi stare più attento, Ximen. Uno degli insegnanti lo ha appena spiegato”, disse Laura divertita.
“È talmente estasiato da essere più distratto degli alunni”, soggiunse Wei.
“Sono sollevamenti dovuti allo scivolamento verso il basso dei ghiacciai anticamente presenti sulle vette”, si inserì Robert, giungendo in soccorso del cinese.
Dopo essersi messo alle spalle l’Ascraeus mons, l’aeromobile piegò verso nord-
ovest in direzione dell’Olympus mons. Situato in una vasta pianura nella discesa dall’altopiano di Tharsis verso i più bassi bacini del nord, la più alta montagna del sistema solare li attendeva con la cima quasi interamente coperta da nubi, che occultavano la sua immensa caldera e i numerosi crateri da impatto nelle sue vicinanze.
“Niente da fare, la caldera purtroppo non è visibile”, disse Laura con rammarico.
“Poco male, vorrà dire che ci concentreremo sui fianchi e sull’aureola”, la confortò il marito.
A conferma delle sue parole piegarono verso il basso, avvicinandosi al lato sud est dell’immensa base del vulcano. Nel moto di discesa, Martina chiese: “Oramai è provato che questo non è il più grande vulcano marziano, giusto?”
“Sì e no”, rispose Robert. “È il più grande di quelli a scudo, ma in effetti i super vulcani di altre zone del pianeta, come ad esempio Eden Patera in Arabia Terra, sono stati molto più potenti. Sono antichissimi, risalgono a più di tre miliardi di anni fa. Peccato che, con le loro eruzioni esplosive ed i sucessivi crolli, non hanno lasciato un edificio, ma solo grandi crateri. A volte non è facile riconoscerli, si confondono con i crateri da impatto, ma alcune spedizioni con relativa analisi del suolo hanno chiarito il mistero.”
“Dovevano essere terrificanti”, commentò Greg.
“Assolutamente spaventosi. Si trattava di caldere giganti, vere e proprie piscine di magma, anzi laghi larghi decine di chilometri. Pare che abbiano inciso profondamente sul clima del pianeta primitivo, favorendo la sua fase umida con
il rilascio di grandi quantità di gas serra e di vapor acqueo.”
“È un peccato non poter visitare anche questi”, disse Ximen, imbronciandosi.
“Come prima visita è meglio privilegiare la regione di Tharsis. È molto più recente come formazione, ma è più affascinante. Le caldere giganti puoi lasciarle per un secondo viaggio.”
Ximen ebbe ben presto modo di rendersi conto come Robert avesse ragione. Appena l’aeromobile ebbe terminato la fase di discesa, si trovarono immersi nel più grandioso panorama che avessero mai visto. Per circa due ore percorsero in senso orario la parte ovest dell’immensa base del monte, larga seicento chilometri e tale da sostenere una struttura capace di issarsi di ventisette chilometri sulle pianure circostanti. Ammirarono così un territorio dove movimenti tettonici, colate di lava, flussi d’acqua e fenomeni atmosferici si erano alternati o sovrapposti per milioni di anni, conferendo una varietà geologica senza precedenti.
Sulla destra era visibile la scarpata della base della montagna. Si trattava di uno strapiombo colossale, che raggiungeva l’altezza di otto chilometri e raccontava con la sua visione mastodontica e terrificante la storia del collasso delle zone più esterne del monte. A decine di chilometri di distanza, il materiale franato aveva formato l’aureola del mons Olympus, un’impressionante corolla di creste alte fino a cinque chilometri. Con le sue cime levigate dalle tempeste di vento, le fratture causate da movimenti tettonici, i canali dove le colate di lava erano ate fino a propagarsi nelle pianure circostanti, i letti dove era scorsa l’acqua, l’aureola non era meno affascinante della montagna stessa.
“È incredibile. Tutto il vulcano è circondato da un simile anello?”, chiese Greg.
“Quasi. Ma in questo tratto l’aureola si presenta più massiccia e spettacolare, così come nella zona di Sulci Gordii, sul lato est”, rispose Robert.
“Sono aperture di grotte quelle cavità che ogni tanto si intravedono?”, domandò esterrefatto Laurent osservando il dirupo alla sua destra.
“Sì, e rappresentano uno dei nostri prossimi obiettivi scientifici”, disse Laura. “Ma avremo davvero bisogno del più valido team di astrospeleologi per esplorare la pancia della montagna.”
“Chi ve lo fa fare di entrare là dentro?”
“La possibile presenza di vita. Che ci crediate o no, insieme ai mari di Europa e alle riserve d’acqua di Encelado, l’interno dell’Olympus mons è un serio candidato nella ricerca di vita extraterrestre nel nostro sistema solare. È ipotizzabile che, se là sotto la lava solidificata ha coperto terreni ricchi di ghiaccio, questo possa presentarsi in forma liquida per la pressione e il calore residuo della camera magmatica. Insomma, là dentro potrebbero esserci enormi gallerie piene d’acqua, quindi ambienti idonei per dare luogo a forme elementari.”
“Non ci entrerei per tutto l’oro del mondo”, osservò Martina, rabbrividendo.
Dopo altre visioni mozzafiato della scarpata del monte e della sua frastagliata aureola circostante, con rammarico di tutti l’aeromobile cominciò gradualmente a risalire per prendere la via del ritorno, facendo sì che il cielo tornasse ad essere
un’oscura volta.
Il festoso chiasso dei bambini cessò e alcuni, stanchi dopo ore di aeromobile, si appisolarono. Calò il silenzio. Fabio e Goldie avevano parlato poco per tutto il viaggio, ma si sentivano Alice nel Paese delle meraviglie. Perfino gli attivisti non avevano fatto un solo riferimento alla Titanlab e parevano felici per quella visita straordinaria. Laurent e la moglie Annette parlottavano e continuavano a scambiarsi impressioni.
Non tutti i partecipanti, però, rientravano alla base rilassati. Negli occhi di Wei cominciava ad affacciarsi una sfumatura di preocupazione e la sua agitazione era visibile nei frequenti e nervosi movimenti delle mani. Dal giorno dopo erano in programma test clinici per capire come i prodigiosi batteri alieni avessero potuto sconfiggere il cancro del marito. La gioia per la sua guarigione era ancora viva e presente, ma in cuor suo cominciava a combinarsi con la paura per ciò che gli accertamenti avrebbero potuto rivelare.
9
A metà pomeriggio Greg, Martina, Wei e Ximen sedevano in una saletta del piccolo ospedale della base Mariner 1. In loro compagnia si trovavano Laura e il marito Robert, più il dottore Anon Thonglao. Thailandese di origine, ma residente di Marte da quasi vent’anni, Anon aveva compiuto le analisi su Ximen e poi le aveva valutate con Laura, che aveva alle spalle una seria preparazione medica prima di dedicarsi a compiti gestionali.
Con la sua paffuta faccia priva di rughe atteggiata ad un’espressione concentrata, il dottore cominciò a esporre la sua diagnosi con tono formale.
“Devo premettere che ci troviamo di fronte ad un caso senza precedenti e una valutazione risulta complicata. Proveremo comunque a trarre alcune conclusioni. Sappiamo che, prima di venire introdotti nell’organismo del signor Chen, i batteri alieni hanno ricevuto due modifiche genetiche, con l’inserimento di DNA prima dall’alcanivorax, un microrganismo terrestre idrocarburoclastico, poi dall’akkermansia muciniphila, un comune ospite della flora intestinale umana, un batterio che si nutre di grassi. È probabilmente grazie a questo secondo donatore che i microrganismi si sono adattati alle condizioni corporee e continuano a prosperare.”
“Vuole dire che sono ancora attivi e si stanno cibando dei miei grassi?”, chiese perplesso Ximen.
“Io e la dottoressa Keaton crediamo di sì.”
“Questo spiegherebbe perché hai sempre fame e come fai a non mettere su un solo grammo nonostante tutto quello che mangi”, disse Wei.
“Voglio anche per me i batteri alieni modificati!”, esclamò d’impulso Martina, da anni attenta alla sua alimentazione e obbligata a fare sacrifici per non ingrassare.
Tutti risero, condividendo il suo pensiero. A chi sarebbe dispiaciuto poter mangiare in abbondanza senza dover fare i conti con la bilancia? Quando l’atmosfera tornò a farsi più seria, Wei chiese: “Ma come hanno fatto a sconfiggere il cancro?”
“Qui il discorso si fa più complesso”, riprese il dottore. “Forse però questa non è la domanda giusta, ma dobbiamo chiederci come hanno fatto ad attivarsi in tal senso.”
Constatando l’occhiata perplessa di Wei, Laura puntualizzò: “Grazie a quanto ci hanno spiegato Greg e Martina, sappiamo che questi batteri sono dei modificatori universali. Nel giusto ambiente, una volta alimentati possono compiere la sintesi voluta, dunque attaccare le cellule cancerogene di Ximen può rientrare nel loro marchio di fabbrica. Quello che resta da capire è come abbiano fatto ad adattarsi così bene e a compiere la loro opera.”
Laura tacque ed osservò Thonglao, invitandolo a proseguire.
“La presenza del secondo donatore akkermansia muciniphila non giustifica
l’assenza di crisi di rigetto. Crediamo che ci stia sfuggendo qualcosa, ma ancora non sappiamo di che si tratta. Se invece consideriamo la questione della loro attivazione le cose sembrano farsi più chiare, ma stentiamo a credere al frutto delle nostre speculazioni.”
“Non potrebbero aver agito perché c’era una situazione di sofferenza per l’organismo che li ospitava? Proteggendolo, garantivano anche la loro sopravvivenza”, ipotizzò Robert.
“Ci siamo posti questa domanda, ma la nostra risposta è no”, asserì Thonglao. “Sappiamo che nel bioreattore di Titano i batteri erano a contatto con matrici di elettrodi, atte a trasferire informazioni in forma binaria grazie al più evoluto programma di intelligenza artificiale. Pensiamo che un meccanismo simile sia avvenuto anche nel corpo del signor Chen.”
“Vuole dire che il mio cervello o chissà quale parte di me gli avrebbe dato l’input di agire per sconfiggere il cancro?”, domandò stupito il cinese.
“Sì, in un certo senso. Abbiamo scoperto che in condizioni di riposo i microrganismi sembrano dimorare a livello del sistema nervoso centrale. È ragionevole ipotizzare che ricevano dati e compiti decodificando i suoi impulsi elettrici. In poche parole, il cervello sostituisce la matrice di elettrodi e l’attivazione avviene quando comunica un desiderio pressante.”
“Dura da credere”, disse Wei.
“Eppure è plausibile. Signor Chen, lei voleva guarire e su questo non ci sono dubbi, ma abbiamo altri due casi in cui potrebbe esserci stata un’attivazione, che
confermerebbero la nostra ipotesi.”
“E quali?”
“Due sere fa ha giocato per la prima volta a Marsball e ci ha detto di essersi divertito un mondo. Fra l’altro, ci ha confidato che l’agonismo della partita le stava prendendo la mano, ma ad un certo punto è caduto dopo un bel salto e, nonostante la gravità ridotta, si è infortunato. Temeva di dover abbandonare il campo, ma ha recuperato subito e ha ripreso a giocare.”
“Certo, desideravo vincere la partita e…”
Ximen lasciò la frase a metà. Poi domandò di scatto, infervorandosi: “Andiamo, non crederete che i batteri si siano attivati per sanare all’istante l’infortunio?”
“In quel momento lo desideravi fortemente”, intervenne Laura. “E forse non è finita qui. Ricordi di avermi chiesto lo schema di funzionamento della New Explorer per studiarlo?”
“Beh, più che studiarlo volevo valutarlo insieme a Wei.”
“Già. Fra voi, è lei l’esperta di propulsione spaziale, ma hai tentato da solo perché tardava ad arrivare. Pur non essendo il tuo settore, hai capito tutto velocemente.”
“Pensate che in questo caso i batteri abbiano potenziato l’attività cerebrale?”, domandò Wei, esterrefatta.
“Un momento, questa è roba da pazzi. Supponiamo che abbiate ragione”, cominciò Robert rivolgendosi alla moglie e al dottore. “I batteri si mettono in moto quando c’è un input cerebrale collegato ad un forte desiderio. Può valere anche per pulsioni negative? Può esistere per queste un meccanismo di blocco? Come possono discriminare ciò che è bene compiere? Supponiamo che Ximen voglia deliberatamente fare del male a qualcuno, oppure che sia costretto a farlo per legittima difesa. I microrganismi potrebbero valutare le due situazioni e scegliere quando è opportuno entrare in azione?”
“Il problema non è affatto banale”, aggiunse Laura. “Prendiamo il caso di una persona depressa. Cosa succederebbe se desiderasse morire o avesse inclinazioni autolesionistiche?”
“Ho capito, nel dubbio meglio che mi nutra di buoni sentimenti. Per ora vi basti sapere che non serbo rancore nei confronti di nessuno di voi”, disse Ximen facendo sorridere gli altri.
“Non c’è da scherzarci su”, affermò Thonglao con la sua consueta faccia seria, unico a non apprezzare la battuta. “Se le nostre supposizioni sono corrette, possedere quei microrganismi potrebbe richiedere una notevole padronanza di sé e un forte senso di responsabilità. Potrebbero aiutare a creare sogni, come a sviluppare incubi.”
“È dunque decisamente consigliabile che vengano inseriti solo in un individuo spiritualmente maturo”, sintetizzò Martina.
“Forse sarebbe preferibile se non venissero usati affatto”, continuò il dottore. “Possono inaugurare una fase nuova, ma impossibile da gestire. Non credo che l’uomo sia pronto per un simile salto evolutivo. Pensate ad un inserimento di massa: credete che tutti ne farebbero un buon uso?”
“Stoppare il positivo in nome della paura del negativo non mi pare un gran ragionamento”, asserì Robert con tono critico. “Se tutti la pensassero così, l’umanità sarebbe ferma al punto di partenza.”
“Riterrei irresponsabile correre un simile rischio.”
“Scusatemi, ma fra poco potremmo avere ben altro cui pensare”, intervenne Greg con una certa ansia nella voce, interrompendo il piccolo screzio fra i due uomini. “Temo che le eventuali implicazioni dell’integrazione uomo-biomassa aliena per il momento ci riguardino poco e ci dovremmo concentrare su questioni più immediate.”
“Cosa c’è che ti preoccupa?”, chiese Laura.
“Se ho capito bene, non è ancora chiaro come la simbiosi possa essersi instaurata, mentre siamo più avanti sullo studio del meccanismo di attivazione.”
“Esatto. E allora?”
“Questo potrebbe costituire un guaio serio, nel caso che anche la Titanlab sia ferma ad un punto morto con le ricerche.”
“Credi che stiano studiando come inserire i batteri nel corpo umano?”, domandò Robert.
“Ne sono sicuro. Anche se ho aperto tardi gli occhi, non è difficile immaginare le loro mosse. Probabilmente stavano facendo studi in merito già da tempo, altrimenti, non avrebbe senso il grande interesse dimostrato dalla presidente Dahlberg per Ximen prima della nostra fuga. Gli ha fatto più di una visita e lo voleva sottoporre ad analisi approfondite a tutti i costi. Siamo riusciti ad impedirlo, ma credo abbia rinunciato solo perché era convinta di poterlo vivisezionare a breve a suo piacimento. Immaginavo che cercassero una nuova via terapeutica, ma mi rendo conto solo ora del mio errore.”
“Dunque potrebbero già esserci tanti individui come Ximen”, asserì Thonglao, visibilmente scuro in volto.
“Egoisticamente parlando, è ciò che dobbiamo sperare.”
“Cosa intende dire?”
“Se le loro sperimentazioni hanno colto nel segno, siamo salvi. Altrimenti verranno a prendersi colui che può dare una spinta alle loro ricerche, usando ogni mezzo e tattica a disposizione.”
Un’oppressiva cappa di silenzio cadde sulla stanza. Purtroppo, a breve i presenti e tutti i residenti marziani avrebbero constatato l’esattezza della fosca previsione di Greg.
10
Era una bella serata per giocare a Marsball. Si svolgeva un piccolo torneo e le gradinate del palazzetto della base Mariner 1 erano gremite. Gli ospiti non si erano tirati indietro e partecipavano con due squadre, una costituita da Fiedler e dai suoi, l’altra dai figli di Greg più Laurent ed Annette. Piccola infrazione al regolamento, Greg e Ximen fungevano da giocatori di riserva per ambedue.
Martina e Wei osservavano le sfide sedute in prima fila. Coinvolte dall’atmosfera gioiosa, i timori di Greg ed i dubbi sulle condizioni di Ximen parevano un lontano ricordo. Si alzarono in piedi ed inveirono contro l’arbitro quando fischiò a Fabio un fallo di invasione di campo, poi tornarono ad incitare, ma c’erano poche speranze. Quel quartetto di giovani locali era troppo forte. Sull’altro campo, invece, il team di Fiedler aveva avuto miglior fortuna nel sorteggio e stava prevalendo su due coppie di mezza età che indossavano magliette con la scritta “red is bad, green is great”, chiaro riferimento alle attività di terraformazione.
Mentre Laurent otteneva un buon punto e i conseguenti mugugni di disapprovazione di qualche tifoso locale, Laura si avvicinò sorridente alle due amiche.
“Vi divertite?”
“Da matti”, fu il comento di Martina.
“È un vero so”, aggiunse Wei. “Ma tu non giochi?”
“L’ho fatto per anni. Con Robert e una coppia di amici formavamo una squadra niente male, ma adesso non abbiamo più tempo né voglia per allenarci. Peccato non possiate ammirare i miei figli Jeff e Bruce, sono dei veri demoni, sempre ricercatissimi per entrare a far parte di qualche quartetto.”
Laura si sedette sorridente a godersi lo spettacolo, mentre tanti che avano la salutavano o scambiavano con lei due parole. Wei e Martina distolsero gli occhi dal campo per osservare la scena.
“Cosa c’è? Qualcosa non va?”, chiese lei quando si accorse di avere addosso lo sguardo delle due.
“Va tutto bene”, puntualizzò Wei. “È che emani una serenità contagiosa, è bello stare con te. Ci fai dimenticare i nostri affanni.”
“Perché, non vi trovate bene qui?”, chiese Laura con tono preoccupato.
“Stiamo benissimo, non è questo il problema. Anzi, grazie ancora per la vostra squisita ospitalità. Ci avete letteralmente salvato.”
“E allora qual è il problema?”
Stavolta fu Martina a parlare.
“Siamo esuli, Laura. Dopo anni io e Greg abbiamo perso un ruolo molto importante. Il vero volto della Titanlab è venuto a galla, ma Titano era la nostra casa.”
“Per me lo era Tritone”, riprese Wei, “ma non lo sento più mio. Mi sento spaesata. Sono sicura che Ximen prima o poi vorrà tornarci, ma io non so se vorrò seguirlo.”
Laura osservò le due amiche con i suoi intensi occhi verdi. Poi indicò con una mano il campo, dove in quel momento Ximen era subentrato e stava giocando al fianco di Fabio e Goldie.
“Guardateli. Vi state tutti ambientando benissimo, compresi quei quattro pazzi che hanno sfidato la Titanlab. Parlate con i vostri uomini, Marte è in netta crescita e ci sono tante attività da fare. Se lo vorrete, credete che non ci sia posto per voi?”
Una piacevole sensazione di pacificante novità invase il cuore delle due donne. Prima di poter dire qualcosa, però, Laura venne chiamata da un altro settore degli spalti e si spostò dicendo che pensassero alla sua proposta.
Martina e Wei continuarono a seguire le partite in silenzio facendo sogni e immaginando una futura vita su Marte. Pareva un mondo sereno, libero e operoso. Un bel posto dove vivere.
Più tranquille, videro la squadra di Fabio uscire per mano dei quattro giovani
marziani, che giunsero in finale contro il team di Fiedler, prevalendo di nuovo. Memorabile la battaglia sulle palle alte fra il capitano dei locali e Leroy Bokila, che infiammò il pubblico del palasport.
Tornarono tutti insieme agli alloggi. Goldie e Laurent, ancora infervorati, continuavano a discutere di quanto fosse stato maldestro l’arbitro nella valutazione di alcuni punteggi. Paola rimproverava a Fiedler di essere stato egoista in un paio di occasioni, quando avrebbe dovuto are la palla. Fabio discuteva con Ximen su quale fosse la migliore tattica da usare in un’altra occasione.
Martina e Wei ascoltavano cariche di speranza e si guardavano l’un l’altra: un inizio nuovo, ecco cosa veniva loro offerto. Era un’opportunità grandiosa, non potevano dire di no. Per mettersi alle spalle Titano, per abbandonare il sogno impossibile di Tritone, per trovare pace su un nuovo mondo.
11
I centri di controllo di tutte le colonie marziane erano permanentemente collegati per fronteggiare l’emergenza. L’astronave della Titanlab era stata individuata grazie alle emissioni del suo motore ad antimateria e la situazione era tesa come non mai.
Il consiglio marziano era riunito presso la base a latitudine tropicale, la stazione di lancio per i voli interplanetari, sopra la quale si era minacciosamente collocato in orbita il veicolo in arrivo. Dopo aver inutilmente tentato per giorni di instaurare un contatto, era giunta una comunicazione poco rassicurante: consegna immediata di tutti gli esuli da Titano, in caso contrario sarebbe stata imposta una severa punizione.
I consiglieri si erano divisi in vari schieramenti, fra chi suggeriva di temporeggiare, chi di eseguire l’ordine e chi si opponeva fermamente, incollerito di fronte a quell’evidente attacco alla sovranità marziana.
Laura si rendeva conto che erano di fronte alla crisi più grave da decenni. Cercava di mediare e ogni tanto comunicava per via olografica con i suoi amici, radunati presso il centro di controllo della stazione della Valles Marineris. Nel gruppo solo in due parevano poco preoccupati, anzi erano elettrizzati da ciò che stava accadendo: Raymond Fiedler e Leroy Bokila, che non vedevano l’ora di combattere contro l’eterno nemico. La loro proposta di organizzare una resistenza armata nella base Mariner 2, l’installazione industriale della Valle, era stata bocciata dal consiglio, il cui ultimo desiderio era trasformare Marte in campo di battaglia.
“Non arrivano risposte”, disse sul ponte di volo dell’astronave Titanlab un uomo tarchiato al comandante Kevin Harris.
“Probabilmente stanno discutendo e non trovano un accordo. Allo scadere dell’ultimatum diamogli la sveglia. Li farà crollare e impedirà che qualcuno possa lasciare il pianeta.”
Il granitico ex Delta Force pareva una belva pronta a scagliarsi contro l’agognata preda dopo averla raggiunta al termine di una lunga corsa. Sapeva che difficilmente i marziani avrebbero ceduto su due piedi, ma confidava che lo fero dopo aver subito delle perdite. In preda al panico, gli avrebbero consegnato Ximen e gli altri su un piatto d’argento.
I suoi occhi scuri si ridussero a due fessure e le labbra si atteggiarono ad un lieve sorriso quando i due emettitori laser di prua cominciarono a martellare i dintorni della base tropicale. A terra, la pioggia di fuoco giunse letale e improvvisa. I potenti raggi parvero dritti fulmini luminosi in arrivo da un cielo crudele. Disintegrarono le astronavi, colpirono le piste magnetiche di decollo, batterono le rampe. Si sparsero all’intorno micidiali schegge infuocate dalle traiettorie imponderabili e assassine. Chi era all’esterno, dopo attimi di puro stupore, fuggì terrorizzato in cerca di un riparo.
Pareva che uno Zeus tonante, un’implacabile divinità adirata si trovasse sopra la base, desiderosa di mostrare la sua potenza. Tra il martello dei lampi distruttori, il fumo degli incendi e la polvere che si sollevò fu subito chiaro che sarebbe stato difficile effettuare una conta delle vittime e soccorrere i feriti.
Atterriti, i consiglieri rimasero in silenzio per alcuni minuti. Intorno alla base
regnava un’atmosfera oscura, impregnata dall’odore acre del fumo e della morte. La calma apparente successiva all’attacco veniva interrotta da residue esplosioni in lontananza o dalle grida dei feriti, ma parve quasi innaturale, come se la tempesta dovesse tornare a colpire da un momento all’altro.
“Non abbiamo altra scelta, dobbiamo consegnarli”, disse un consigliere anziano, provocando immediati gesti d’assenso degli altri.
Dopo un’ora, con la vasta sala centrale della base trasformata in un improvvisato ospedale da campo, un’immagine provata di Laura Keaton si presentò ai suoi amici. La donna pareva stanca, con scure occhiaie che testimoniavano come le ultime notti fossero state insonni. Parlò con tono flebile e cupo, consapevole che stava emettendo una sentenza di morte.
“Mi dispiace tanto, ma non possiamo fare altrimenti. Con i loro laser possono colpirci come vogliono e noi non abbiamo armi per contrattaccare. Il consiglio ha votato per accettare le loro richieste. Un lander si staccherà a breve dall’astronave della Titanlab per atterrare vicino a voi e prendervi in consegna.”
“Combatteremo contro quei bastardi!”, tuonò Fiedler scattando in piedi.
“E come? Pensi di poter fronteggiare una squadra armata tirandogli sassi?”, gli domandò scettico Laurent.
“Non è questo il punto”, si inserì Wei. “Forse la nostra resistenza non sarebbe solo inutile, ma dannosa. Se creiamo problemi, dall’alto potrebbero colpire altre basi o bersagli, uccidendo ancora. È questo ciò che vogliamo?”
Laura si sentiva impotente e stava male al pensiero dei suoi amici di nuovo ostaggi della Titanlab, ma non trovava una via d’uscita. Come evitare quella fine, dopo l’orrore cui aveva assistito? Fu Greg a trattenerla quando era già sul punto di staccare il collegamento.
“Aspetta, mi è venuta un’idea sulla quale forse anche i consiglieri saranno d’accordo. Ho bisogno di parlare con chi è al corrente del progetto dello specchio spaziale che dovrebbe convogliare i raggi solari sulle calotte polari.”
Seppur perplessa, Laura scomparve promettendo di tornare con qualcuno esperto in materia. Nella stanza gli altri guardarono lo scozzese sconcertati, senza capire il suo fine. Dopo poco, Laura riapparve in compagnia di un uomo alto sulla quarantina.
“Vi presento Dave O’Neill. Fa parte del consiglio come rappresentante della base polare ed è il nostro referente per quanto riguarda la costruzione dello specchio orbitale.”
Greg osservò per un attimo l’uomo, che gli restituì un’occhiata ostile e guardinga. Non c’era da dubitare che la popolarità degli ospiti fosse scesa ai minimi termini e che Dave sarebbe stato molto restio ad accettare eventuali richieste. Maclean si inumidì le labbra ed incrociò le dita, sapendo che in quel tentativo disperato risiedevano le loro ultime speranze.
“Signor O’Neill, posso chiederle a che punto siete con la costruzione dello specchio?”
“I componenti sono pronti, dobbiamo lanciarli ed assemblarli”, rispose secco l’uomo. Greg non si scoraggiò e proseguì: “Quindi è pronto anche il CCR?”
“Sì, ne abbiamo due.”
Avuta la conferma che cercava, Maclean insisté: “Questa è la mia proposta. Usiamo tali componenti come arma. Sconfiggiamo quei bastardi sul loro stesso terreno. Montiamo i CCR su qualcosa che funga da bersaglio, magari un’astronave rimasta integra che pare voglia lasciare il pianeta.”
Sebbene l’uomo scrutasse Greg con occhi ostili, il suo atteggiamento parve cambiare. Si mostrò interessato, poi disse che avrebbe parlato al consiglio. Il collegamento venne staccato per effettuare subito la seduta.
“Cosa diavolo è un CCR?”, chiese perplesso Fiedler.
“È un Corner cube retroreflector, uno strumento ottico che riflette nella direzione di provenienza un raggio incidente sulla sua superficie frontale. Lo abbiamo usato più volte anche su Titano, è molto utile per esempio per misurazioni di distanza con laser. Nel nostro caso abbiamo bisogno di riflettere un raggio ad alta potenza, ma dovrebbe funzionare lo stesso.”
Capendo quale fosse la strategia di Greg, il clima nella stanza si fece di colpo più disteso e tutti si complimentarono con lui. Adesso c’era da vedere se il consiglio avrebbe deciso di attuare il piano. La risposta giunse dopo mezz’ora, quando sia Laura che Dave O’Neill ricomparvero in collegamento.
“La proposta di Greg è stata approvata”, esordì la donna, senza specificare quanto si era data da fare perché ciò accadesse.
“Abbiamo un paio di astronavi nel magazzino interno e le stiamo movimentando”, disse a ruota Dave. “Le faremo uscire senza equipaggio su due rampe di lancio ancora parzialmente utilizzabili, ciascuna con uno dei CCR montato sopra.”
“Speriamo di farcela prima che si stacchi il lander per venire a prendervi e soprattutto che loro ci caschino. Le piste sono malridotte, ma forse dall’alto non possono intuirlo”, concluse Laura.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo. Avevano una speranza, adesso c’era da vedere se il pesce avrebbe abboccato all’amo.
12
Il lander si era appena staccato dall’astronave presidenziale quando giunse da questa una comunicazione urgente. Irritato, Kevin Harris si trovò di fronte il suo vice e lo apostrofò senza troppa cortesia.
“Che diavolo vuoi?”
“Signor Harris, pare che i marziani non abbiano imparato la lezione. Stanno facendo uscire due veicoli dalla base tropicale.”
“Sono degli imbecilli. Qual è lo stato delle rampe di lancio?”
“Sembrano messe male, ma non abbiamo la certezza che siano inutilizzabili.”
L’ex Delta si fermò a meditare. Sapeva che Ximen e gli altri esuli da Titano si trovavano nella stazione della Valles Marineris, dunque non potevano essere loro a fuggire. Però forse qualcuno in preda al panico ci stava provando e questo non poteva essere concesso. Finché la missione non era completata, doveva essere la Titanlab ad avere pieno controllo sui cieli di Marte.
“Colpisci i due veicoli e sbarazziamoci di questa seccatura. Lascia aperto questo canale per informarmi subito”, ordinò infine al suo attendente.
L’uomo fece un gesto d’assenso e interruppe momentaneamente il contatto. In rapida sequenza, partirono due distruttivi raggi laser. Il primo colpì una rampa, mettendola definitivamente fuori servizio. Il secondo centrò in pieno l’altro veicolo.
In discesa verso la superficie di Marte con il volto fisso ad un oblò panoramico per godersi lo spettacolo, Harris ebbe una sensazione strana. Vide il flash istantaneo del primo raggio, diretto verso il basso a solcare il cielo, ma il secondo gli parve più luminoso, come se fosse stato sparato due volte. O forse… no, impossibile avesse avuto una specie di rimbalzo, pensò mentre un brivido freddo gli correva lungo la schiena. Forse erano stati necessari due colpi per fare piazza pulita. Sempre più nervoso, provò a comunicare con l’astronave, ma il canale forniva in risposta solo un fastidioso rumore di fondo.
A terra, il bagliore del primo laser venne seguito da una sinistra deflagrazione. Il secondo, però, fu un lampo che non portò distruzione. Colpì il CCR e venne riflesso, tornando letale verso il luogo della sua generazione. Avvertiti da Laura, fra gli esuli da Titano scoppiò l’entusiasmo, con grida e battito di mani. Leroy Bokila improvvisò una danza tribale cercando di coinvolgere la graziosa Emily, che però si rifiutò di unirsi a lui anche in quelle circostanze di festa. A turno, molti andarono ad abbracciare Greg per la sua trovata d’ingegno. In piedi su una sedia stretto a Paola, Fiedler urlava ripetutamente: “Friggete, bastardi!”
Contenta, Laura fece fatica ad imporsi sopra le urla.
“Ragazzi, senza dubbio abbiamo ottenuto una grande vittoria, ma aspettiamo prima di considerare conclusa questa triste vicenda. Ancora non sappiamo se il raggio riflesso ha colpito l’astronave prima del distacco del modulo per il vostro recupero.”
A conferma delle sue supposizioni, Laura venne richiamata in fretta dal consiglio. Ricomparve dopo una decina di minuti con un volto teso e contratto, era evidente che qualcosa doveva essere andato storto.
“Ci sono dei problemi”, esordì, “purtroppo non abbiamo distrutto in tempo l’astronave Titanlab. Il modulo ammarterà fra circa due ore nei paraggi della stazione in cui vi trovate.”
Era un’autentica doccia fredda. Delusione e preoccupazione sostituirono l’entusiasmo in un istante. Laura continuò: “Siamo stati contattati dal gorilla a capo della spedizione, che ha rifiutato i nostri tentativi di negoziato.”
“Forse è una strategia, dato che non hanno più un mezzo in orbita al quale fare ritorno”, disse Ximen.
“Purtroppo temo che non stia bluffando”, affermò Greg. “Kevin Harris è un pazzo sanguinario. Se sta scendendo con una squadra armata fino ai denti, difficile lasci perdere.”
“Ma si troveranno in un territorio che non conoscono e dal quale non possono ripartire. Non dovrebbe essere impossibile tenerli a bada”, provò a suggerire Wei.
“È quello che pensa anche il consiglio”, riprese Laura. “Meglio temporeggiare. Per questo abbiamo già emesso un ordine di evacuazione per tutto il personale della stazione della Valle, che lascerà l’installazione con il prossimo treno diretto
alla base Mariner 1. Preparatevi per unirvi al convoglio.”
“Io non fuggo via come un codardo!”, tuonò Fiedler.
“Nemmeno io”, gli fece eco Leroy.
“Vi prego di attenervi alle nostre disposizioni”, li ammonì Laura rendendo più duro il suo tono. “Siete nostri ospiti e non avete il diritto di opporvi alle decisioni del consiglio.”
Fiedler represse a fatica una reazione piccata, si alzò in piedi e si pose davanti all’ologramma della donna, cominciando a parlare con tono fermo. Il suo inglese, impastato e biascicato nel momento di festa, adesso aveva una specie di cadenza robotica.
“Dottoressa Keaton, perdoni la mia insistenza. Volete lasciare quei demoni padroni di una base vuota? Quanto credete gli ci vorrà per spostarsi e portare scompiglio negli insediamenti della Valle? Setacceranno l’intero pianeta per trovarci, ne può star certa.”
“La sua obiezione è ragionevole, ma non abbiamo molte alternative. Quale altra tattica potremmo usare?”
“Affrontarli. Non se l’aspetteranno. Cogliamoli di sorpresa, giochiamo d’attacco. È l’unico modo per provare a risolvere il problema una volta per tutte.”
“Non ha compagni né armi per fare questo.”
“E invece sì”, disse Leroy, alzandosi in piedi a sua volta, seguito da Paola ed Emily.
Dopo essersi guardati negli occhi, si avvicinarono anche Greg, Laurent e Ximen.
“Abbiamo tutti un conto aperto con la Titanlab”, disse Greg facendosi portavoce del gruppo. “Inoltre siamo noi che abbiamo portato questo casino sul pianeta, è giusto che tocchi a noi fronteggiarlo.”
“Siete in pochi e non avete armi”, insisté Laura.
“Non se convincerà il consiglio a venire in nostro aiuto”, ribatté prontamente Fiedler.
“E come?”
“Attuando una parte delle misure che avevo proposto qualche giorno fa. Inviateci al più presto equipaggiamenti che possano fungere da strumenti d’offesa dalla base Mariner 2. Non dovrebbe essere difficile con le industrie che si ritrova. Se fanno alla svelta a caricare un treno, questo dovrebbe giungere qui decisamente prima del lander della Titanlab.”
“Di quali equipaggiamenti sta parlando?”
“Mi dia il sì del consiglio e posso darvi subito una breve lista.”
Ancora scettica ma colpita dalla risolutezza di Fiedler, Laura si disconnetté con la promessa che avrebbe fatto alla svelta. Era preoccupata per i suoi amici, ma il suo ruolo politico la obbligava a presentare la proposta. In caso di approvazione, la superficie marziana della Valles Marineris sarebbe stata presto teatro di un’aspra battaglia.
13
Atteso con ansia, il treno dalla base Mariner 2 giunse puntuale e gli esuli da Titano si mossero verso il binario per ricevere il prezioso carico. Con sorpresa, quando le porte si aprirono si trovarono davanti due uomini dal carnato olivastro con taglienti occhi obliqui.
“Mi chiamo Miguel Salas e questo è mio fratello Juan Pablo”, disse quello più alto presentandosi al gruppo. “Siamo cileni ed abitiamo su Marte da cinque anni. Abbiamo lasciato la Terra dopo che mia figlia è morta di leucemia senza che la Titanlab ci fornisse le medicine che avrebbero potuto salvarla. Quei bastardi hanno detto che non facevano credito, anche se noi stavamo cercando in ogni modo di reperire i soldi. Non vediamo l’ora di combattere.”
“Siete nel posto giusto”, disse Fiedler ponendo le sue mani sulle spalle di Miguel. Poi, dopo aver salutato il fratello, chiese: “Cosa avete portato dalle vostre industrie?”
“Non è stato facile fare così in fretta, anche se conosco bene i macchinari. Abbiamo pistole ad aria compressa con materiale meccanico vario, ma soprattutto alcuni laser industriali portatili a diodo di potenza. Molto utili e precisi, sono equiparabili a vere e proprie armi. Infine ci sono un paio di robot multibraccia, il vero pezzo forte. Sono a comando vocale e possono sparare per otto.”
“Niente male”, commentò Fiedler visibilmente compiaciuto.
Cominciarono le operazioni di scarico e di preparazione delle armi. Dopo aver rimuginato, Fiedler propose il suo piano. Scartò l’idea di attaccare in campo aperto il veicolo Titanlab, dato che si sarebbero trovati troppo esposti. Meglio attenderli alla base, con il vantaggio di colpire dall’alto e ben riparati.
Quasi un’ora ò nel silenzio, con l’ansia e l’agitazione che crescevano nei cuori. Poi, preannunciato da un rombo, si udì il lander in arrivo. Come previsto dai calcoli del centro di controllo della stazione tropicale, questo ammartò a nord della base, a circa un chilometro di distanza, nel bel mezzo di una delle piste. Dopo ulteriori minuti di insopportabile tensione, un portellone si aprì e ne uscirono tre veicoli elettrici. Nel frattempo, Ximen scese e si rese ben visibile, cominciando ad avanzare lentamente. Al suo fianco c’era Wei, che si era rifiutata di lasciarlo solo.
Munito di tecnologici smart glass, Fiedler seguiva la scena dal centro di controllo della base. Disse: “Che nessuno osi sparare, sono troppo lontani. Azione solo ad un mio ordine. Speriamo che caschino nella trappola e vengano avanti in colonna, così saranno facili bersagli.”
Solo una lunga striscia d’asfalto separava Ximen e Wei dal lander. Il cuore di lei era uno stantuffo nel petto, lui sembrava più calmo. Intorno erano collocati in parcheggio due aeromobili come quello che giorni prima era stato usato per il tour della regione di Tharsis e dell’Olympus Mons. Il lato nord della stazione era infatti interamente occupato da un sistema di piste, mentre sui lati est ed ovest affluivano i binari provenienti dalle due basi Mariner. A sud, invece, si trovava una zona più disconnessa e frastagliata.
I veicoli terrestri della Titanlab si riempirono di uomini ed armi. Salirono in cinque per ognuna delle tre vetture, che iniziarono a muoversi in formazione compatta, ma dopo aver percorso circa duecento metri una si fermò, le altre
piegarono verso est.
“Vaffanculo, l’esca non funziona. Quei bastardi non si fidano”, ringhiò Fiedler. Si spostò nel mezzo del centro di controllo, davanti ad una ricostruzione olografica che rappresentava in tempo reale la base e i suoi dintorni. Gli altri lo seguirono col fiato sospeso e poterono così vedere il secondo mezzo mettersi in attesa sul lato est, con l’evidente intenzione di avanzare sfruttando il riparo offerto dal treno giunto un’ora prima, che si era bloccato per un dannato guasto agli induttori magnetici. Il terzo, con stupore di tutti, proseguì e andò ad infilarsi nei terreni a sud della stazione, cominciando a procedere faticosamente sul suolo accidentato. Quello sul lato nord intanto rimase fermo, come se attendesse che anche gli altri raggiungessero una posizione prestabilita. Era l’unico a possedere nel retro uno strano rigonfiamento, difficile da valutare per la distanza.
“Cosa diavolo fanno?”, chiese Leroy, osservando perplesso la scena.
“Ci accerchiano. Quei cani devono aver annusato qualcosa e vogliono usare il treno ad est e le rocce a sud come eventuale riparo”, disse Fiedler, che cercò subito di elaborare una strategia alternativa.
Pareva una partita a scacchi, dove ogni contendente provava a guadagnare la posizione più favorevole per colpire.
Con istruzioni veloci e precise, Raymond divise i suoi in tre gruppi.
Sul lato nord lui e Paola con il sostegno di Wei e Ximen, che oramai potevano rientrare. Sul lato est Laurent, Annette, Greg e Martina. Avendo alle spalle un’esperienza come tiratore scelto nell’esercito e una ione per le armi in cui
aveva coinvolto la moglie, Laurent fu messo a sparare aiutato da Annette, con Greg e Martina nelle retrovie per le ricariche. Avrebbero avuto da terra l’aiuto di Juan Pablo e del suo robot armato con ogni sorta di pistola ad aria compressa. Gittata limitata, ma su quel lato i nemici sarebbero usciti allo scoperto nelle vicinanze per il riparo offerto dal treno. Sul lato sud, dove le asperità del terreno favorivano chi avanzava, c’erano Leroy ed Emily a fare fuoco, Fabio e Goldie a dare una mano per i rifornimenti, Miguel e il suo automa pieno di laser industriali a sparare come ossessi dal basso. A capo dei sottogruppi Laurent e Leroy, con ultima parola sempre di competenza di Fiedler.
I veicoli Titanlab iniziarono a spostarsi contemporaneamente, avanzando minacciosi. Solo quello sul lato nord pareva un facile bersaglio, mentre gli altri per ora si muovevano nascosti. Con il nemico in avvicinamento, Fiedler imprecò e cominciò ad inveire al suo comunicatore da polso contro Wei e Ximen. I due cinesi, ben lungi dal rientrare, si erano spostati di corsa verso un paio di container ad un’ottantina di metri dalla base.
“Cosa fanno?”, domandò perplessa Paola.
“Non lo so. Dannazione, se non seguono il piano siamo fottuti, questo lato rischia di rimanere scoperto”, sbraitò furioso Raymond.
Indeciso se far spostare in fretta Miguel e il suo robot dalla sua parte, di colpo spalancò gli occhi e si gettò su Paola, spingendola a terra. Nella zona posteriore della vettura in avvicinamento il rigonfiamento si era aperto, rivelando una mitragliatrice laser.
Il lato nord fu così il primo a sperimentare la battaglia, con forze in apparenza nettamente sbilanciate. Una tempesta di fuoco si abbatté luminosa e spietata, costringendo Raymond e Paola a restare al coperto, con raggi che sibilavano
terrificanti sopra le loro teste. Miguel fu costretto ad ignorare la richiesta d’aiuto per l’inizio dello scontro anche sul lato sud, dove gli uomini Titanlab si erano divisi e sparavano da punti diversi, rintanati dietro rocce o irregolarità del terreno.
Il lato est rimase tranquillo ancora per poco, ma non tardò ad infiammarsi. Gli assalitori si mossero coperti dal treno, cominciando a bersagliare la base anche da una cabina elettrica che offriva un comodo riparo. Si rivelò subito fondamentale il robot multibraccia guidato da Juan Pablo, che con i suoi dispositivi ad aria compressa sparava chiodi e oggetti metallici con rapidità impressionante.
La battaglia prometteva di essere sanguinosa e senza tregua. In breve, tre lati della stazione si erano trovati sotto assedio. Se anche uno solo fosse caduto, la sfida si sarebbe spostata all’interno, trasformandosi in un confronto ravvicinato ancor più drammatico.
14
Ximen e Wei erano al riparo dei container, battuti dagli spari del mezzo in avvicinamento. Lei era terrorizzata, lui stranamente pareva non avere paura. Dietro le loro spalle potevano assistere all’inferno che si stava abbattendo sulla parete nord della stazione. Raymond e Paola non potevano replicare, se avessero messo fuori la testa sarebbero stati inceneriti all’istante.
Nonostante Wei cercasse di dissuaderlo ad ogni costo, Ximen si spostò ad un’estremità dei container per dare un’occhiata verso lo spazio aperto. Si ritrasse subito, poiché alcuni spari lambirono la superficie metallica. Con i rapidi, andò dalla parte opposta e compì qualcosa di inaspettato. Frastornata com’era, Wei neanche fece in tempo a realizzare.
Con movimenti fulminei e precisi, lui si sporse di nuovo, stavolta impugnando la sua arma laser. Dopo due colpi rientrò subito, in tempo per non essere abbattuto. Il primo sparo sibilò a pochi centimetri dalla testa dell’uomo indaffarato con la mitragliatrice, ma il secondo lo colpì in pieno sul petto, sbalzandolo dalla vettura.
Sorpreso dalla momentanea interruzione del fuoco nemico, Fiedler lì per lì non si mosse, ma poi si fece coraggio e provò a dare un’occhiata. Con stupore vide che un secondo soldato si spostava per sostituire alla mitragliatrice il compagno, che giaceva a terra alcune decine di metri dietro al veicolo.
Riprendendo coraggio, cominciò a sua volta a sparare, freddando chi sedeva accanto al guidatore. Mancò però il nuovo addetto al mitra e tornò ad abbassarsi
quando questo sembrò sul punto di entrare in azione. Stavolta, però, la precauzione fu inutile, poiché nessuna nuova fiammata gli ò sopra la testa. Sporgendosi di nuovo con cautela, si sorprese profondamente. Adesso nella pista c’erano tre cadaveri. Perplesso, vide dall’alto, in lontananza, Ximen balzare allo scoperto come un felino e cercare di abbattere chi si apprestava per la terza volta a prendere il controllo del mitra. Fallì di poco il bersaglio e fu costretto a tornare immediatamente al riparo per l’imperversare della tempesta laser, che prese a martellare con insistenza sui container.
“Figlio di puttana, dove diavolo ha imparato a sparare così?”
Potendo agire quasi indisturbato, Fiedler centrò chi si trovava alla guida. Il veicolo a quel punto sbandò vistosamente, mandando a terra l’ultimo superstite, che stavolta venne inquadrato ed eliminato da un preciso raid di Paola.
La parziale vittoria era del tutto insperata, ma c’era poco da festeggiare a causa delle notizie in arrivo dagli altri fronti. Sul lato est la battaglia infuriava con alterne vicende, ma aveva registrato una grave perdita: si trattava di Laurent, sportosi troppo e centrato in fronte. Il cadavere giaceva a terra mutilato e vegliato dalla moglie Annette, incredula e sotto shock. Con la sua morte il peso dello scontro gravava del tutto sulle spalle di Juan Pablo e del suo automa, che con i suoi oggetti appuntiti aveva fatto fuori due uomini Titanlab, mentre un terzo era stato eliminato da Laurent prima di soccombere.
Fu però nel lato sud che, inaspettatamente, venne a crearsi una breccia. Leroy ce la stava mettendo tutta, ma era il robot comandato da Miguel che stava facendo strage. Con colpi mirati batteva le asperità del terreno, costringendo chi usciva dal riparo a rischiare la vita per avanzare di pochi metri. Comunque, in tre erano riusciti ad avvicinarsi: uno di questi era Kevin Harris che, rintanato in una fossa a circa cento metri dalla base, gonfiava di rabbia dalla sua trincea per le sconfortanti notizie in arrivo. Aveva però l’intenzione di cambiare le carte in tavola, non potevano finire tutti spianati da quel fottuto aggeggio di latta. Ordinò
ai due compagni superstiti di coprirlo. Questi non parvero molto intenzionati, ma si decisero ad agire dopo che il capo ripeté l’ordine con fare perentorio, aggiungendo la minaccia di destinare a loro la sorpresa che teneva in serbo per il dannato automa.
I tre agirono all’unisono. Dalla collinetta dove avevano trovato riparo, i due soldati uscirono allo scoperto e cominciarono a sparare come forsennati. Delle otto bocche di fuoco dell’automa oramai ne rimanevano operative solo la metà, ma furono più che sufficienti per freddare uno degli assalitori all’istante, mentre l’altro si salvò per miracolo gettandosi a terra in un avvallamento del suolo. Ad una cinquantina di metri di distanza, Harris ne approfittò per lasciare la trincea e puntare sul robot con il suo lanciagranate. Il missile solcò l’aria marziana dipingendo una calda scia di fumo e scintille infuocate, che andò a terminare sul corpo metallico. Il robot venne sbalzato all’indietro di dieci metri, ricadendo a terra pesantemente. Nel torace si produsse un profondo squarcio e tutte le braccia di destra vennero divelte. Una di queste andò a colpire Miguel nella sua traiettoria impazzita. Per lui non ci fu niente da fare, l’arto lo raggiunse alla testa, sfigurandolo.
Harris adesso aveva via libera, ma prima di riprendere ad avanzare voleva fare piazza pulita. Ben lungi dal tornare al riparo della fossa lanciò una seconda granata, stavolta contro il piano alto dell’edificio. Leroy capì con provvidenziale anticipo le sue intenzioni e sollecitò gli altri ad allontanarsi, ma non poté evitare del tutto le conseguenze dello schianto. L’esplosione fracassò il muro perimetrale come un maglio, producendo una raffica di detriti ad alta velocità. Cadendo a terra, gli assediati si ritrovarono coperti di calcinacci e variamente feriti. Leroy e Goldie subirono escoriazioni non gravi, Fabio urlò di dolore per una brutta scheggia che si era conficcata nella gamba destra, Emily venne colpita alla schiena sotto la scapola sinistra.
Soddisfatto, Harris dette ordine all’altro superstite di avanzare per entrare dentro. Avevano campo libero, la resistenza sul loro lato era stata vinta. Percorsero il tratto che li separava dalla stazione, poi valicarono l’accesso dal quale fino a
poco prima sparava il robot. Il corpo smembrato dell’automa si trovava a terra davanti a loro, apparentemente inerte, ma dopo che lo ebbero superato accadde qualcosa di imprevedibile. Guidata da un ultimo sussulto di coscienza, una delle braccia puntò sulle loro schiene. Harris si salvò per un pelo gettandosi a terra, ma andò peggio al compagno dietro di lui. Strisciando verso un riparo, l’ex Delta Force imprecò prima di gettare verso il robot una granata che ne completasse la distruzione.
“Fottuta macchina!”, ringhiò fra sé rialzandosi indolenzito. Poi riprese a muoversi circospetto diretto verso il lato est, dove sapeva che c’erano due compagni ancora vivi e in grado di combattere. ò per uno spazio molto vasto dove era parcheggiata un’astronave un po’ datata ma in apparenza ben conservata, che aveva sulla fiancata l’ampia scritta “New Explorer”. Questa gli ricordò qualcosa, ma non riuscì a ricollegare. Infine, quando giunse alla sua meta si fece ancora più attento e guardingo, poteva darsi che avessero dato l’allarme e che fosse atteso.
A conferma delle sue supposizioni, dovette velocemente rintanarsi dietro un nastro di scorrimento per le merci per il sopraggiungere di spari poco precisi, ma comunque temibili. Dopo aver cercato un altro punto di osservazione capì che lo stava bersagliando un uomo, probabilmente il controllore del robot sparachiodi. In breve, giunsero contro di lui anche più mirati oggetti metallici. Uno di questi gli sfiorò una guancia, un altro gli ò di poco sopra la testa.
“Al diavolo”, sibilò, tornando a nascondersi.
Era evidente che il dannato automa aveva ricevuto l’ordine di dividere le sue attenzioni fra l’esterno e l’interno. Muovendosi sempre al coperto, con oggetti appuntiti che ogni tanto colpivano il nastro e gli rimbalzavano vicino, Harris cercò il punto e il momento per agire di nuovo con il lanciagranate. Dette ai suoi uomini all’esterno l’ordine di intensificare gli attacchi in modo da impegnare il più possibile le braccia dell’automa, poi balzò fuori più rapidamente che poté. Se
la cavò con un paio di spari di Juan Pablo che gli arono ad un metro e con un chiodo che gli si conficcò nell’avambraccio sinistro, ma riuscì a far partire una granata. Il suono nel vasto spazio interno si propagò con un rimbombo sordo. Il missile centrò la schiena del robot, mandandolo in mille pezzi con un boato terrificante. Juan Pablo cercò un riparo all’ultimo istante, ma venne investito dall’onda d’urto e dai detriti metallici, ricadendo al suolo svenuto.
Strappandosi dal braccio il chiodo, con voce provata dal dolore Harris comunicò ai suoi uomini di avanzare.
Finalmente avevano guadagnato l’interno della base. Anche se in pochi, adesso avevano il coltello dalla parte del manico e potevano far valere il loro addestramento militare. Chi si trovava di sopra poteva star certo che sarebbe iniziato un gioco molto avvincente: caccia alla preda direttamente nella sua tana.
15
Fiedler fece scattare con rapidità il piano di emergenza e impose a tutti di rifugiarsi nel centro di controllo, i cui accessi vennero sigillati. Solo lui e Leroy, fortunatamente quasi illeso, dovevano muoversi all’esterno per cercare di bloccare i nemici. Per convincere Annette era stato necessario trasportare il cadavere di Laurent, ma anche Fabio ed Emily, impossibilitati a muoversi per le loro ferite, erano stati condotti a spalla.
Dal piano terra Miguel non dava segni di vita, ma orribili rantoli giungevano da Juan Pablo, purtroppo per il momento destinato a rimanere inascoltato. Era invece un mistero dove si trovassero Wei e Ximen, che non rispondevano ai comunicatori. Dannazione, e dire che dell’aiuto del cinese ce ne sarebbe stato davvero bisogno.
I tre uomini Titanlab si divisero. Tramite i loro sensori di rilevazione del calore compresero che le prede erano stipate nel lato nord della base e si mossero in tale direzione. Avevano un vantaggio determinante, cioè armi ancora funzionanti, ivi compreso un paio di granate che sarebbero state molto utili per scardinare eventuali accessi bloccati. Raymond e Leroy erano invece quasi a secco: Fiedler aveva lasciato all’amico l’unico laser portatile ancora funzionante e si era accontentato di qualche coltello.
Procedendo circospetto lungo un corridoio che presentava sulla sinistra i pannelli di un ampio ufficio open space e sulla destra la parete del vano servizi, con i sensi acuiti dai suoi tecnologici smart glass, Harris notò uno strano movimento davanti a sé. Lasciò il corridoio ed entrò nell’open space gettandosi a terra, inseguito da una raffica di colpi sparati da Leroy. Dopo esser uscito
d’improvviso allo scoperto, fu però il congolese a doversi cercare in fretta un riparo per il contrattacco del nemico, munito di un’arma laser più efficiente. Muovendosi fra scrivanie, pannelli, computer e robot disattivati i due rivali intrapresero un’aspra contesa, fatta di tentativi d’offesa e di repentini ripiegamenti, che prometteva di durare a lungo.
Avanzando lungo il lato est, uno dei compagni di Harris si portò vicino al centro di controllo. Un rumore improvviso lo mise in allerta e lo indusse a scaricare una potente bordata di colpi. Guardingo, avanzò di due i, ma un coltello gli ò ad un centimetro dallo zigomo destro. Fece l’errore di non correre a ripararsi, optando per un’altra scarica laser ad ampio raggio. Quando stava ancora sparando un secondo coltello lo raggiunse alla gola, facendolo stramazzare al suolo in una pozza di sangue. A quel punto Fiedler si avvicinò per impossessarsi dell’arma, ma dovette ripiegare per il sopraggiungere dell’altro uomo Titanlab.
“Leroy, figlio di puttana, non uscirai vivo da qui, te lo prometto!”, gridò Harris dal suo nascondiglio.
“Ho in mente la stessa cosa per te”, replicò Bokila.
Fra i due uomini regnava una situazione di stallo. L’ampio ufficio dove si confrontavano era devastato ed annerito ovunque per effetto dei colpi che si scambiavano, ma nessuno dei due era seriamente ferito.
“Senti, perché non risolviamo la cosa senza queste cazzate laser?”
Leroy trattenne il fiato in attesa di una risposta. Stava giocando l’ultima carta
cercando di far leva sull’orgoglio di Harris, che sicuramente non vedeva l’ora di rimettergli le mani addosso. Se non avesse accettato era spacciato, il suo laser industriale aveva solo pochi colpi a disposizione.
“Così vuoi una morte più dolorosa rispetto a una fiammata sul petto. Le botte prese su Titano non ti sono bastate? Se non veniva il tuo amichetto a salvarti, ti avrei ridotto a poltiglia.”
“Stavolta andrà diversamente. Sono pronto a stenderti.”
“Armi a terra e fuori allo scoperto con mani ben in vista in contemporanea?”
“Ok.”
Rispettando i patti, i due colossi uscirono dai loro ripari disarmati e si appropinquarono nel centro della sala. Era evidente che Harris fremeva dal desiderio di completare quanto era stato interrotto su Titano. Leroy era più guardingo e molto concentrato. Per ora aveva ottenuto ciò che desiderava, ma doveva stare attento a non farsi stringere all’angolo dal rivale, inoltre meditava su come sarebbe cambiata la contesa nella ridotta gravità marziana, che avrebbe inciso sulla potenza dei colpi dell’ex compagno nella Delta, ma anche sulla sua capacità di schivarli.
Fiedler si rintanò appena in tempo, gettandosi a terra mentre una vampata di colpi gli sfiorava la schiena e le spalle. L’altro uomo Titanlab era stato più veloce di lui, si era impossessato dell’arma del compagno ed ora lo poteva bersagliare con due bocche di fuoco. Si sentì perduto, lo inseguiva come il gatto col topo. Cominciò una fuga precipitosa, assediato da fiammate fra le quali prometteva di
esserci ad ogni istante quella letale. Ebbe un attimo di tregua quando riuscì a prendere di sorpresa l’assalitore scagliandogli contro i due coltelli che gli erano rimasti. Il primo lo sfiorò alla spalla ma il secondo centrò il braccio sinistro, facendo cadere una delle due armi. L’uomo però non si fermò e continuò ad assediarlo, costringendolo ad infilarsi in uno stretto corridoio laterale. Questo presentava due porte: una a sinistra, verso metà, l’altra in fondo. Tentò di aprire la prima con un paio di spallate, ma l’accesso rimase chiuso. Avanzò disperato e provò con la seconda, cercando di forzarla ad ogni costo, ma invano. Era in un vicolo cieco, disarmato e allo scoperto. Si voltò verso l’inizio del corridoio, dove in breve sarebbe apparso chi avrebbe decretato la sua fine.
Se non fosse stato per la tragicità dello scontro, i due contendenti avrebbero concordato su quanto fosse divertente affrontarsi nella ridotta gravità marziana. Leroy sperava di avere un vantaggio per il suo maggiore adattamento, ma dovette subito constatare che anche Harris si muoveva con disinvoltura. Evidentemente lui e i suoi uomini avevano fatto allenamenti specifici prima di raggiungere il pianeta rosso.
Pareva si trattasse di un match costruito al computer, una simulazione da ologame, con parti rallentate e salti micidiali. I due uomini si muovevano più lenti che a gravità terrestre, ma con balzi e tentativi di colpi volanti degni del miglior maestro di kung fu. Se Harris tendeva ad usare prevalentemente le braccia, stavolta Leroy non mirava al volto, ma cercava di colpire con calci quello che aveva identificato come il punto debole dell’avversario: le gambe.
Per due volte il nerboruto capo della sicurezza della Titanlab fu sul punto di ridurlo in un angolo e massacrarlo, ma la mossa non riuscì per il suo divincolarsi a salti. Non cessava di bersagliare gli arti inferiori del rivale, talvolta si esponeva e rischiava di farsi trovare con la guardia un po’ scoperta, ma era convinto ne valesse la pena. Alla fine, l’ennesimo urto sulla parte esterna del ginocchio destro spezzò i legamenti e fece traballare Harris. Seppur nella ridotta gravità marziana, la stabilità e la mobilità del gigante ne risentirono. Nuovi colpi all’altra gamba, spezzata di netto all’altezza della tibia, lo fecero cadere a terra
urlante di dolore e in balia dell’avversario.
“Figlio di puttana! Vai al diavolo, bastardo!”
Leroy non fece caso alle offese. Per una volta, quella decisiva, aveva vinto lui. Con calma, si avvicinò al banco sotto il quale Harris aveva deposto le sue armi. Raccolto il fucile laser, tornò sui suoi i ed esplose due spari a breve distanza, accasciandosi esausto al suolo.
Fiedler vide l’uomo Titanlab presentarsi all’inizio del corridoio. Anche un impavido come lui chiuse istintivamente gli occhi e attese rassegnato la morte. Partirono due colpi e si sentì odore di carne bruciata, ma non fu lui a cadere. A quindici metri di distanza il nemico era a terra, privo di vita.
Accanto all’uomo abbattuto comparvero Wei e Ximen. Il volto di Raymond si distese in un sorriso, mentre si lasciava andare ad un gesto di esultanza.
“Sei un fottuto tiratore scelto, vecchio mio. Ma dove ti eri cacciato?”
“Mi spiace. Sono arrivati al piano superiore prima di noi. Si muovevano rapidi, non era facile beccarli. Siamo stati attirati qui dal clamore dello scontro.”
“Ti devo la vita. Ora muoviamoci, può darsi che Leroy abbia bisogno d’aiuto.”
Con sollievo, trovarono il congolese mezzo distrutto ma vivo accanto al
cadavere sfigurato di Harris. I due militanti della causa anti Titanlab si abbracciarono e poi tutti insieme si avviarono verso il centro di controllo. Al loro ingresso annunciarono che la battaglia era finita, provocando grida di gioia, abbracci, pianti e gesti di esultanza. Paola corse subito da Raymond, Greg e Martina strinsero a sé i figli, Wei si avvicinò ad Annette per consolarla. Ximen si collegò con la stazione tropicale per portare le buone notizie a Laura e al consiglio. Si prodigarono poi per i feriti: Juan Pablo pareva messo male, difficile dire se ce l’avrebbe fatta, il taglio alla gamba di Fabio era serio ma risolvibile, il trauma alla schiena di Emily destava preoccupazione e le sue gambe non si muovevano. Raymond e Leroy erano ammaccati su tutto il corpo, ma senza gravi conseguenze.
Erano riusciti a sconfiggere l’intera squadra Titanlab con le sole perdite di Laurent e Miguel, quasi un mezzo miracolo. Ma, come avrebbero capito a loro spese, lo scontro avrebbe presto portato altre conseguenze.
Parte terza
9 febbraio – 11 dicembre 2168
1
Aspettative molto simili e destini incrociati caratterizzavano le giornate di Khaled Mansour e Kristin Dahlberg, ma mentre lui si stava spostando verso l’esterno del sistema solare, meta la lontanissima base di Tritone, lei procedeva verso zone interne con l’intento di fare ritorno sulla Terra.
A parte questa differenza non trascurabile, le sorti dei presidenti delle più potenti multinazionali del sistema solare parevano muoversi su binari paralleli. Stavolta, però, dopo anni ati a rincorrere la Synbiomed sembrava in vantaggio, o perlomeno in fase di soro.
Khaled Mansour era forte dell’espansione degli affari della sua compagnia, fra cui rientravano i preaccordi con la base di Tritone, che si augurava di ratificare una volta giunto a destinazione. Si sarebbe trattato della fornitura di prodotti, ma anche di progetti di biologia di sintesi e di ricerca di nuove forme batteriche nella vasta zona di spazio oltre l’orbita di Nettuno. In tutto questo, la sorte gli regalava un incredibile asso nella manica. Sfuggiti per miracolo all’assalto della Titanlab, i fuggitivi avevano lasciato Marte ed erano in viaggio verso l’unico rifugio possibile, proprio la stazione spaziale di Tritone.
Al solo pensiero, Mansour si fregava le mani per l’eccitazione. La sua capacità di programmazione, unita alle circostanze favorevoli, gli avrebbe consegnato su un piatto d’argento l’uomo che rappresentava la chiave di volta di tutte le sperimentazioni: Chen Ximen. Perché i prodigiosi batteri alieni lo avevano salvato dal cancro? Perché prosperavano nel suo organismo, conferendogli addirittura nuove e strane capacità, come gli garantivano le informazioni che giungevano puntuali dalla sua talpa? Era evidente che la stessa Titanlab
annaspava e per questo aveva tentato di riprenderselo a tutti i costi. Mettere le mani sul cinese sarebbe stata un’autentica svolta e tale risultato pareva a portata di mano.
Nell’astronave che la stava riportando verso la Terra, Kristin Dahlberg era invece un fascio di nervi. Come aveva fatto la situazione ad ingarbugliarsi così tanto? Tutta colpa di quell’idiota di Kevin Harris, non c’era dubbio, la cui stupidità rischiava di mandare all’aria un piano studiato alla perfezione. Dannazione, stava filando tutto liscio: sulla Terra l’avevano bevuta e si erano lanciati a comprare i prodotti Titanlab quando la compagnia aveva di nuovo invaso il mercato, pur a prezzi aumentati. Dato che nessuno sapeva dell’esistenza di batteri alieni in grado di svolgere la loro opera al di fuori di Titano, erano pure giunte congratulazioni a valanga per aver conseguito tale risultato in breve tempo. Ma proprio quando i profitti stavano salendo alle stelle c’era stata la svolta. La scontata missione verso Marte si era trasformata in un fiasco colossale, portando con sé un terribile danno d’immagine.
Dahlberg ce la stava mettendo tutta per spiegare che si trattava solo di un viaggio per recuperare traditori che potevano spargere ai quattro venti segreti industriali, ma era un arrampicarsi sugli specchi. Ogni sua argomentazione faceva cilecca di fronte ai racconti e alle immagini di distruzione che provenivano dal pianeta rosso, trasmesse in tutto il sistema solare. La Titanlab stava facendo la figura del lupo cattivo, della multinazionale senza scrupoli che non esitava ad attaccare le basi di un pianeta per perseguire i suoi fini. Roba che avrebbe giustificato l’applicazione di pesanti sanzioni commerciali, sosteneva qualche voce indipendente.
Se quel deficiente di Harris avesse portato a termine la missione con chirurgica precisione, pochi avrebbero avuto da ridire e si sarebbero levati solo sporadici mugugni.
Per questo Dahlberg doveva tornare sulla Terra, per cercare di porre un limite ad
un danno commerciale sempre più grave. Nonostante i prodotti sintetizzati dai batteri alieni fossero da poco riapparsi sul mercato, la domanda era calata di colpo. Gli utili non erano in linea con le attese e la Synbiomed ne stava traendo profitto.
Proprio la compagnia rivale costituiva una spina nel fianco. Beneficiando della battuta d’arresto su Marte, era fin troppo intraprendente e non accennava ad abbassare la cresta. Anzi, prometteva di mettere a segno un successo clamoroso, essendo diretta nello stesso luogo scelto dai fuggitivi spaziali.
Ximen non poteva finire nelle loro mani, sarebbe stato un terribile fallimento. Era troppo prezioso, l’autentico detentore della formula magica per integrare i batteri alieni con il corpo umano.
Oramai Dahlberg ne era sicura: dopo aver fatto setacciare bit per bit gli studi del defunto Subramani, non c’era dubbio che il biologo indiano avesse omesso di riportare nei resoconti dei suoi esperimenti l’ultimo aggio, rimasto nella sua testa e forse attuato in quella fottuta provetta che aveva girato più mani prima di venire iniettata nel corpo moribondo di Ximen.
Doveva averlo ad ogni costo, anche se ci fosse stato da inseguirlo per tutto il sistema solare. Sua unica consolazione, verso Tritone non stava viaggiando solamente Khaled Mansour e la sua nuova squadra di mercenari, ma anche l’ultimo cargo di prodotti Titanlab.
Sarebbe giunto a destinazione per primo, un vantaggio non da poco. A quel punto c’era da sperare che, con la base ridotta al silenzio e con il vantaggio della sorpresa, il capitano Fischer avrebbe dato miglior prova di sé di Kevin Harris.
2
A bordo della New Explorer le giornate trascorrevano con lentezza. A causa dell’ostilità degli abitanti di Marte, dove erano diventati ospiti sgraditi, si erano dovuti imbarcare proprio sulla storica e datata astronave, l’unica che il pianeta rosso potesse offrire. Li attendeva la stazione di Tritone, dove avrebbero ritrovato vecchi amici e forse beneficiato della protezione della Synbiomed.
La dura battaglia della Valles Marineris aveva lasciato cicatrici profonde. Annette stava subendo le ripercussioni peggiori, ma anche gli altri non se la avano bene. Juan Pablo, sopravvissuto miracolosamente e in via di recupero, era in crisi per la morte del fratello. Non era bastata la nipote, ora la Titanlab lo aveva privato pure di Miguel. Gli attivisti guidati da Fiedler, pur contenti per lo schiaffo rifilato alla compagnia che odiavano, erano in tensione per le condizioni di Emily. La ragazza era rimasta paralizzata a causa della scheggia che le aveva colpito la schiena e su Marte non c’era stato niente da fare per ridarle l’uso delle gambe. Difficile che i dottori e le apparecchiature di Tritone potessero dimostrarsi più efficienti, forse solo qualche centro terrestre avrebbe potuto guarirla.
Ansie e preoccupazioni erano presenti anche nei cuori di Greg, Martina, Wei e Ximen, sebbene fossero eccitati per il fatto di trovarsi a bordo di un’astronave che evocava tanti bei ricordi. Le due donne erano tristi per aver lasciato un pianeta dove si erano illuse di potersi rifare una vita. Greg ricordava spesso Laurent, con cui aveva condiviso tanti anni su Titano, e si sentiva inquieto riguardo al ritorno su Tritone: era l’unica meta possibile, lo sapeva bene, ma si chiedeva che accoglienza avrebbe trovato e se sarebbe stato in grado di ricucire il rapporto con i vecchi compagni. Ximen si stava sempre più isolando e ava varie ore al giorno a studiare nella sua cabina.
Alla fine i più in palla parevano Fabio e Goldie: lei perché eccitata dal viaggio e dalla possibilità di vedere la più lontana colonia del sistema solare, lui per la relazione che stava nascendo con Emily, sorta dopo aver trascorso vari giorni insieme nell’infermeria marziana, dove avevano scoperto di piacersi. Stranamente, l’unione non aveva suscitato la reazione del gigante Leroy, che ora pareva del tutto disinteressato alla ragazza.
Superata da poco l’orbita di Giove, una mattina Greg, Martina Wei e Ximen si riunirono nell’infermeria dell’astronave in attesa di Laura e Robert. Davvero amaro il destino della coppia marziana, costretta a seguire gli altri per l’ostilità del pianeta cui avevano dato tanto, dove erano stati messi sotto accusa per l’ospitalità offerta agli esuli spaziali. Perlomeno, il gruppo aveva così in Laura un valido ufficiale medico grazie ai suoi studi di gioventù.
Quando lei e Robert entrarono fu subito chiaro che non erano in gran forma. Il loro volto era tirato, riflesso del malumore che spesso li caratterizzava dopo aver lasciato Marte. In più, negli ultimi giorni si era aggiunto un fastidioso malessere gastrointestinale che li aveva costretti a letto e a saltare qualche pasto.
“Amici, vi ho chiamato perché credo sia importante rendervi partecipi dei risultati delle mie ultime indagini su Ximen”, iniziò Laura mettendosi a sedere con lentezza. “Come sapete, non mi andava giù che su Marte non fossimo riusciti a capire i motivi dell’integrazione con i batteri alieni. Ebbene, l’ulteriore periodo di studio che ho avuto a disposizione forse mi ha permesso di stilare un’ipotesi attendibile.”
“Qual è il verdetto, dunque?”, chiese Wei con una certa ansia.
“Dopo essermi confrontata di nuovo con Greg e con Goldie, che a quanto ho capito aveva più contatti di chiunque altro con Subramani, credo che il segreto stia proprio nei batteri alieni della provetta che è stata iniettata nel corpo di Ximen.”
“Cosa intendi dire?”, domandò Martina.
“Che probabilmente quei batteri hanno subito una modifica genetica aggiuntiva oltre a quelle note. Si tratterebbe di un o che giustificherebbe in pieno l’integrazione con il corpo umano, ma che Subramani ha evitato di menzionare nei suoi studi. Forse era impaurito, forse si è sorpreso lui stesso del risultato raggiunto e ha preferito non divulgarlo.”
“Di cosa si tratta, esattamente?”, chiese Greg riducendo a due fessure i suoi occhi indagatori, con i quali stava scrutando Laura e Robert da quando erano entrati.
“Quel cervellone deve aver trovato i giusti enzimi di restrizione, che come sapete sono le forbici che tagliano il DNA, e le opportune ligasi, cioè la colla per unire i frammenti, in modo da inserire anche microsequenze di DNA umano. Solo così si può spiegare perché nel solo Ximen non si sono verificate crisi di rigetto.”
Tutti tacquero. Se Laura aveva ragione, si trattava di una conquista sconvolgente. Ma Greg parve poco impressionato ed incalzò: “Come quella che state avendo voi due, giusto?”
Dapprima Laura e Robert spalancarono gli occhi per lo stupore, poi lui si alzò
faticosamente in piedi, cominciando ad inveire contro lo scozzese.
“Cosa stai dicendo? Come ti permetti? È vietato stare male qualche giorno?”
Greg non si scosse e continuò a fissare l’uomo, che venne indotto a desistere dalla moglie. Riluttante, si sedette guardandola con occhi sospettosi. Lei gli rivolse uno sguardo stanco, poi disse: “È inutile continuare a tenerlo nascosto, Robert. È giusto che tutti sappiano la verità.”
Lui emise una specie di grugnito che pareva testimoniare disapprovazione, ma dopo un attimo di silenzio si arrese e fece segno alla moglie di parlare. Laura riprese: “Io e Robert ci siamo iniettati per due volte una piccola quantità di batteri alieni, ma come potete vedere con scarso risultato. In ambedue i casi ci hanno provocato una fastidiosa crisi di rigetto, paragonabile ad una forte influenza, infine sono stati espulsi dall’organismo.”
A parte Greg, gli altri si mostrarono stupiti per quell’improvvisa rivelazione. L’aria nella stanza divenne di colpo pesante.
“Per questo hai estratto da me vari campioni?”, domandò Ximen dopo attimi di silenzio.
“Sì”, ammise Laura con un filo di voce.
“Ma perché?”, chiese Wei.
Volevamo il connubio che si è creato in Ximen. Non so, prendetelo come un desiderio di riavere qualcosa in cambio, dopo che siamo stati costretti ad abbandonare Marte. Siamo stati stupidi e solo ora me ne rendo conto. Abbiamo effettuato due prove. La prima volta ci siamo iniettati i microrganismi alieni così come erano stati prelevati da Ximen. Niente di fatto, oramai appartengono al suo organismo, così abbiamo avuto un rigetto, come quando ricevi sangue di un gruppo diverso dal tuo e i tuoi anticorpi aggrediscono l’ospite che non riconoscono. È impressionante, i batteri hanno acquisito il suo DNA e questo pare essere diventato parte indissolubile del loro codice genetico. Allora ho tentato di toglierne le tracce, e dopo mille tentativi sono riuscita a riportarli alle condizioni originarie dei documenti di Subramani. Anche stavolta è stato un fallimento, come già avrà testato centinaia di volte la Titanlab.”
“Però questo ti ha permesso di farti un’opinione più precisa”, disse Greg con fare conciliante.
“Sì. Non ritengo possibile che i microrganismi abbiano incorporato così bene il DNA di Ximen senza avere a monte una solida base per farlo. D’altro canto, nella provetta che tu gli hai iniettato non potevano esserci batteri trattati solo secondo gli studi noti del biologo, altrimenti anche Ximen avrebbe avuto un rigetto. La mia ipotesi è che in quella provetta Subramani abbia compiuto un aggio in più, rivoluzionario, inserendo DNA umano come terzo donatore.”
“Ma perché ora i microrganismi sarebbero proprietari del mio patrimonio genetico?”, domandò perplesso Ximen.
“Perché sono intelligenti e si sono fusi con chi li ospita. Non è così assurdo. Tutto quadrerebbe ipotizzando che Subramani abbia usato DNA umano codificante, quello per farla breve che porta informazioni per la sintesi delle proteine. È indifferenziato e comune a tutti. Pensate che le diversità fra individui, addirittura buona parte di quelle fra uomini e altre specie, sono dovute alla parte di DNA non codificante, cioè che non serve per la codifica delle proteine.”
“Quindi quei batteri avrebbero potuto adattarsi in qualunque altra persona, giusto?”, ipotizzò Martina.
“Certo. Solo che, una volta iniettati, si specializzano e si fondono con l’organismo che li ospita, ne diventano una sorta di nuovo organo e a quel punto non sono più trapiantabili. Dio solo sa quanto ho provato a riportarli alle condizioni di origine della provetta, ma senza risultati.”
“Se estratti da Ximen, potrebbero comunque tornare utili per comprendere come effettuare l’inserimento del terzo donatore?”, domandò Greg.
“Lo escludo. Dovreste vedere che razza di marasma è il DNA di quei microbi, la fusione con quello di Ximen deve averlo modificato parecchio. Adesso sarebbe più opportuno parlare di un DNA ibrido a due componenti, dove la presenza dei primi donatori è impercettibile.”
“Non è una grande notizia per noi?”, chiese a sé e agli altri Wei. “Se questa è la soluzione, Ximen è inutile per la Titanlab.”
“Perché non proviamo a comunicarlo?”, cominciò Martina. “Forse ci lascerebbero in pace.”
“Non credo”, le interruppe Greg. “Si farebbero una risata, considerandolo il patetico tentativo di chi è braccato di far desistere l’inseguitore. Non si fermeranno finché non avranno Ximen a disposizione per vivisezionarlo. Anche noi siamo a rischio, scommetto che Dahlberg muore dalla voglia di farcela
pagare.”
“Grazie per l’analisi confortante”, disse Robert con tono aspro.
“Mi spiace, ma temo di essere stato obiettivo. Comunque i vostri tentativi sono preziosi, ci hanno permesso di capire meglio la situazione.”
“Quindi non siete arrabbiati con noi?”, chiese Laura.
“Con le cazzate che ho combinato negli ultimi anni, non sono la persona più indicata per criticare. E poi dovrei avercela con chi mi ha accolto, dandomi una speranza?”
In segno d’affetto per quello che avevano ato e di apprezzamento per la sincerità dimostrata, Wei e Martina si alzarono per abbracciare i due amici, seguite da Greg e Ximen.
La durezza che fin dalla partenza aveva caratterizzato il comportamento di Robert parve sciogliersi, mentre Laura scoppiò a piangere fra le braccia delle due donne.
Li lasciarono a godersi quel momento riconciliante, sentendosi in colpa perché in fondo era per causa loro se avevano dovuto abbandonare il pianeta che amavano. Si ripromisero di stargli vicino e di aiutarli ad ogni costo, era il minimo che potessero fare.
Greg e Ximen si ritrovarono soli, con Wei e Martina alcuni i indietro. Comprensivo, lo scozzese disse: “Non si può certo dar loro torto se hanno provato a iniettarsi i batteri alieni. Marte li ha massacrati e costretti ad andarsene, devono averla ritenuta una compensazione cui avevano diritto.”
“Per fortuna è stato un tentativo a vuoto. Nello stato in cui si trovano non credo avrebbero saputo gestire questi microrganismi. Non si rendono conto che averli in corpo è uno spettacolo e una fatica al tempo stesso.”
“Continui ad avere sensazioni contrastanti?”
“Senza dubbio. I batteri funzionano da amplificatori degli stati positivi, ma anche dei sentimenti negativi. Bisogna davvero essere al controllo del proprio timone per dominarsi. Non è sempre facile.”
“Ci credo. Per questo stai continuando con i tuoi studi?”
“Proprio così. È impressionante come apprenda facilmente, mi dà un senso di euforia che a volte fatico a controllare. Anche questo può essere un nemico, se diventa eccessivo.”
“Quando pensi di inviare i primi risultati al professore Zhao?”
“Fra poco. Chissà come si entusiasmerà.”
“Prima ti trasformi in un tiratore scelto, ora ti metti a studiare astrofisica. È davvero incredibile.”
“Lo studio che sto conducendo mi permette di usare bene i miei ospiti, Greg. Questo evita di cadere in spirali pericolose.”
I due uomini continuarono a conversare fino al ponte di volo, dove ogni giorno controllavano i dati di viaggio. Rimaste indietro, Martina e Wei furono le sole a vedere in un corridoio laterale Fabio ed Emily. Credendo di non essere osservati, lei si sporse sorridente dalla sua sedia a lievitazione per ricevere un bacio. Le due donne, non notate, affrettarono il o.
“Da quanto sai che tuo figlio sta con Emily?”, chiese curiosa Wei, cui non era sfuggita la mancanza di sorpresa dell’amica.
“Da quando è iniziato questo viaggio, più o meno.”
“Greg non lo sa, vero?”
“No, e per ora ho evitato di dirglielo. Temo che non la prenderebbe bene.”
“Perché lei è paralizzata?”
“Forse c’entra anche quello, ma soprattutto per il fatto che la ragazza fa parte del gruppo di Fiedler. Non sappiamo ancora a che titolo considerare questi giovani,
se degli attivisti per il bene dell’umanità o dei fanatici con atteggiamenti da terroristi spaziali.”
“A te invece la loro unione va bene?”
“In verità non mi esalta, ma vedo Fabio così contento che non me la sento di oppormi. Sembrano davvero innamorati.”
“Non temi che possa intervenire Leroy?”
“Quel bestione ha smesso di interessarsi alla ragazza da quando ha perso l’uso delle gambe. Si è rivelato per quello che è, uno buono solo a tirar pugni e a sparare.”
Le due amiche camminarono ancora per poco l’una al fianco dell’altra, poi Wei si fermò di colpo. A Martina non sfuggì la faccia tesa con cui osservava Greg e Ximen che entravano nel ponte di volo, pareva avere un tarlo che la rodeva dentro.
“Qualcosa non va?”
Wei sospirò. Dopo un attimo, rispose: “Sono preoccupata per Ximen. Da qualche giorno non mi pare più lo stesso. Fisicamente sta bene, non c’è dubbio, ma a volte mi domando chi comanda in lui, se la sua testa o quei microrganismi.”
“Come puoi asserire una cosa simile?”
“Si è messo a studiare fisica, ad alto livello, e ci dedica varie ore al giorno. Per carità, non c’è niente di male, ma mi pare che il suo comportamento stia diventando ossessivo.”
“Scoprire il funzionamento dei buchi neri primordiali è sempre stato il suo sogno. Se adesso può lottare per questo, non credo sia un errore.”
“È vero, ma il suo carattere sta cambiando. Ieri l’ho interrotto mentre studiava e si è infuriato. Era talmente fuori di sé che per un attimo ho avuto il timore volesse picchiarmi. Non è mai stato così rabbioso, neppure nei momenti più bui su Tritone.”
“Credi che sia causato dalle sue aumentate capacità?”
“Senza dubbio. Mi ha confidato lui stesso di avvertire il rischio di perdere consapevolezza dei suoi limiti e di considerarlo un grave pericolo.”
Martina sospirò e rimase in silenzio, riflettendo che avrebbe dovuto cercare di essere più vicina all’amica. Anche Laura e Robert avevano lanciato un grido d’aiuto con quei loro tentativi maldestri, come rifiutargli un appoggio dopo quanto avevano fatto? Dovevano restare uniti e aiutarsi a vicenda, così quel lungo viaggio verso Tritone avrebbe avuto un senso. Solo portando i pesi gli uni degli altri le tante fatiche di bordo sarebbero state alleviate.
Nel frattempo, Fabio ed Emily si spostarono verso la cucina per una seconda colazione, venendo raggiunti da Goldie e Paola. Fra i giovani stava nascendo un buon rapporto, così Fabio e Goldie avevano avuto modo di scoprire le storie degli attivisti, tutte marcate da lutti a marchio Titanlab. Fiedler era figlio di due dipendenti della compagnia, morti in un misterioso incidente stradale dopo aver minacciato di criticare pubblicamente alcune politiche aziendali. Lasciata la società privata di sicurezza per cui lavorava, aveva conosciuto Paola durante una manifestazione a Berlino, poi si erano trasferiti a Malta. Lei aveva un fratello malato di distrofia muscolare, impossibile da curare per i costi delle terapie. Emily li aveva incontrati nel corso di una vacanza nell’isola mediterranea, unendosi a loro dopo la morte della madre, che aveva fatto parecchi sacrifici per mantenerla fino alla laurea in economia. Il padre aveva lasciato la famiglia da tempo, scegliendo Cuba e la compagnia di una donna molto più giovane. Ben poco si sapeva invece di Leroy, sempre molto riservato ma vero finanziatore del gruppo. Pareva avesse contatti in alto, ma non si era mai sbilanciato su chi fossero e Fiedler pareva fidarsi di lui nonostante la sua bocca cucita.
“Tempo esaurito. Lei viene con me.”, disse Goldie dopo aver sgranocchiato un dolce, indicando Emily. Fabio parve irrigidirsi.
“Non puoi risolvere quel problema di matematica da sola?”
“No, visto che non ci capisco niente e lei mi sta aiutando. È molto disponibile, a differenza di qualcun altro.”
“Io non ho tempo perché devo studiare le mie materie di fisica”, mugugnò lui.
Il battibecco fra fratello e sorella andò avanti per un po’, facendo ridere Paola. Accompagnata verso l’aula studio da Goldie, Emily disse: “Sono tanto contenta di avervi conosciuto. Se non fosse per voi, nelle condizioni in cui mi trovo sarei
sprofondata. Grazie.”
“Non ringraziarmi. Ti sfrutterò spesso, visto che lui non mi aiuta.”
“Non lo trattare male. È tanto buono con me.”
“È innamorato e i ragazzi quando si innamorano diventano degli scemi. Puoi esserne contenta, con me non è mai stato così gentile.”
Emily rise. Si trovava bene con Goldie, con cui era nato un buon rapporto nonostante gli anni di differenza. Era bello stare con loro, le permettevano di non pensare troppo al trauma subito alle gambe.
Con gli eventi di bordo che si dipanavano fra riconciliazioni, incomprensioni, fatiche e ferite ancora da sanare, il viaggio prometteva di essere impegnativo per tutti. Senza dubbio, però, la situazione di Ximen era quella più complessa. I suoi ospiti ne accrescevano le potenzialità e lui si stava mettendo d’impegno per perseguire un ideale luminoso. Era consapevole di essere con le spalle al muro: se avesse trascurato la sua interiorità, i batteri lo avrebbero inchiodato senza appello. Ma, sebbene con dinamiche più sollecitanti, la scelta che doveva compiere non era forse quella di ogni uomo e donna? Gratificazione ad ogni costo e recriminazione contro libertà e gratuità, si trattava della sfida dentro ciascuno di noi, in ogni tempo.
Gli studi che stava compiendo promettevano di causare subbuglio. Avanti di quel o, la comunità scientifica della Terra avrebbe presto ricevuto uno scossone, un chiaro invito a smettere di concentrarsi solo sui progetti di biologia di sintesi.
3
Già teorizzati verso la fine del XVIII secolo dai due studiosi George Michell e Pierre Simon de Laplace, che avevano ipotizzato stelle così massicce da intrappolare anche la luce con la loro attrazione gravitazionale, i buchi neri costituivano da secoli un autentico rompicapo scientifico. La loro fortuna era derivata dall’intrigante denominazione del celebre fisico John Archibald Wheeler nel corso di una conferenza nel 1967. Neri perché neanche la luce può uscirne, buchi perché la materia può solo entrarvi. Il tutto, però, senza l’applicazione della fisica dei quanti a questi strani oggetti cosmici. Stephen Hawking lo aveva già predetto nel 1974: i buchi neri non sono così neri, ma evaporano, seppur molto lentamente, emettendo una radiazione. Di che tipo? Termica, come quella di un corpo nero, aveva inizialmente pensato il famoso astrofisico, dalla mente tanto geniale quanto impedita era la sua mobilità corporea. Aveva poi ritrattato, sostenendo che l’emissione non poteva essere solo termica, dunque indistinta e priva di informazioni, ma doveva recare traccia del ato del buco nero e della materia inghiottita.
Capaci di affascinare gli studiosi, questi pozzi gravitazionali, a volte posti nel centro delle galassie, più spesso frutto del collasso di stelle massicce, erano da sempre il banco di prova di qualunque teoria avente l’ambizione di conciliare gravitazione e meccanica quantistica. Al loro cospetto era caduta la formulazione dello spazio quantocurvo del professore Zhao Quing, dimostratasi incapace di descriverne i più reconditi meccanismi. Due secoli prima contro di essi aveva cozzato la mirabile relatività generale di Einstein, che prediceva l’esistenza al loro interno di una singolarità, una zona dello spaziotempo a densità e curvatura infinite, un territorio inconoscibile e privo di senso.
Quantizzare la gravità, formulare una teoria in grado di spiegare ogni stato della materia, ecco fin dalla prima metà del XX secolo il sogno irrealizzato di tanti
fisici. Lo stesso Einstein aveva trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita nel tentativo di unificare le forze della fisica, senza riuscirvi, ma dopo più di due secoli, con la presenza di buchi neri primordiali rilevata nelle parti più esterne del sistema solare, la mancanza di un libretto di istruzioni risultava ancora più irritante.
Poco confortato dal fatto di condividere le sue sorti con quelle del geniale impiegato dell’ufficio brevetti di Berna, il professore Zhao, incapace di prendere sonno, si alzò da letto nel cuore della notte più silenziosamente che poté. Non voleva disturbare la moglie Heylin, che dormiva al suo fianco. Quando si mise in piedi lei mormorò qualcosa e protese un braccio a cercare il corpo assente del marito, ma continuò a dormire. Quing la osservò con affetto nella penombra della stanza, poi uscì senza far rumore. In corridoio si fermò sorridendo all’udire il soffuso e tipico russare del figlio Linpeng, che a differenza del padre dormiva come un sasso nella sua camera, infine entrò nel reparto giorno della casa.
In realtà non sapeva bene cosa si era alzato a fare. In cucina c’erano due porzioni avanzate di Yuxiangqiezi, il piatto a base di melanzane arricchite con aglio, zenzero e altre spezie preparato da Heylin per cena, ma non aveva certo intenzione di fare un’abbuffata notturna. Aveva in bocca un sapore piccante e lo stomaco era ancora impegnato con la digestione. Mettersi a fare calcoli era escluso, avrebbe solo acuito il suo malessere, così decise di provare a distrarsi con il computelevisore olografico. L’apparecchio gli mostrò subito le notifiche degli ultimi messaggi. Pur desiderando accedere alla programmazione olografica, sobbalzò e decise all’istante di trascurarla nel vedere che c’era una comunicazione proveniente dal suo amico Chen Ximen. Non era una novità, del resto erano in costante contatto a dispetto della distanza che li separava, ma attendeva con ansia un messaggio da qualche giorno. Questo per due motivi: da un lato desiderava avere informazioni sullo stato di salute di Ximen e su quello degli altri componenti dell’equipaggio della New Explorer, dall’altro era curioso di sapere cosa stesse combinando l’amico, che gli aveva confidato che avrebbe trascorso il viaggio verso il sistema di Nettuno immerso nello studio.
Dapprima l’olomessaggio si dilungò a dare informazioni sullo stato della missione e dei suoi partecipanti. Poi l’astronauta, la cui rappresentazione a grandezza naturale si era piazzata nel salotto ad un paio di metri di distanza dal professore, cambiò decisamente argomento.
A mano a mano che la relazione procedeva, molteplici furono le reazioni di Zhao quing. Dapprima sgranò gli occhi, in seconda battuta cominciò a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore, poi si dedicò a strofinare con una mano la barba un po’ incolta, infine si alzò in piedi. Possibile? Ximen si stava lanciando in un’ardita spiegazione di gravità quantistica. Poco sistematica, forse, ma ricca di intuizioni brillanti. Era un astronauta, un impavido colonizzatore, ma non un fisico teorico. Dove aveva appreso tutta quella conoscenza in così breve tempo?
Era prodigioso, l’unica supposizione che si potesse fare era che i batteri alieni ne stavano incrementando le facoltà mentali. Le conclusioni erano a dir poco interessanti. Tutto partiva da una rielaborazione della teoria dello spazio quantocurvo, che veniva semplificata a livello dimensionale con il aggio da undici a sette dimensioni. Inoltre le nuove equazioni tenevano conto in maniera diversa delle fluttuazioni quantistiche del vuoto e del tessuto granulare dello spaziotempo a livello dell’infinitesima scala di Planck. In base al nuovo modello, Ximen tentava un’analisi del funzionamento dei Deep X e si lanciava in interessanti speculazioni sull’apertura del wormhole, il tunnel spaziotemporale. Secondo l’astronauta il aggio poteva essere solo spaziale e condurre in altre regioni del nostro universo, dunque nessun universo gemma, nessun mondo parallelo, ma un sistema di tunnel nel cosmo, una specie di veloce metropolitana dello spaziotempo. Poteva bastare? A giudicare dall’entusiasmo con cui Ximen parlava pareva proprio di sì. Ma come essere sicuri della meta e di non finire stritolati una volta deciso di intraprendere un viaggetto intergalattico? Per questo andava analizzata con attenzione la radiazione di evaporazione e si dovevano studiare le correlazioni fra i suoi quanti di luce, inestimabile fonte di informazioni. Non si trattava di un’impresa facile, era come dover ricostruire una melodia dalla conoscenza separata delle singole note. Solo così, però, la singolarità ad anello posta nel cuore del buco nero rotante forse si sarebbe trasformata da limite inconoscibile della fisica a stargate, da zona capace di decretare l’inadeguatezza di tante teorie a porta d’accesso.
Alla fine, il professore non stava più nella pelle. Tornare a letto era un’ipotesi che neanche prese in considerazione. L’amico aveva terminato la sua spiegazione lasciando molti punti in sospeso. In pratica, gli chiedeva aiuto e lo pregava di coinvolgere tutti i fisici teorici di sua conoscenza.
Quing non se lo fece ripetere due volte. ò il resto della notte a girare il messaggio di Ximen ad altri membri della comunità scientifica di cui si fidava in Europa e Stati Uniti, dove grazie al fuso orario poté trovare gente sveglia e subito pronta ad ascoltarlo.
Sapeva che la nuova formulazione dello spazio quantocurvo avrebbe immediatamente causato incredulità ed entusiasmo, ma non c’era da sedersi sugli allori, Ximen attendeva presto commenti e nuovi sviluppi.
Non chiedeva di meglio: gli pareva di essere tornato indietro di trent’anni e si sentiva di nuovo giovane e ricco di energia.
D’improvviso lanciò un urlo tale da destare la moglie e farla accorrere preoccupata in salotto, ma la sua ansia si trasformò immediatamente in stupore mentre si accoccolava sonnolenta sul divano al fianco del marito, tutto intento a parlare con una collega americana. Terminata la conversazione, lui le accarezzò una guancia e le disse radioso: “Grandi notizie. È l’ora che tuo marito torni a dire la sua nel mondo della fisica. L’universo è troppo vasto e affascinante per smettere di provare a comprenderlo.”
4
Stazione spaziale orbitante “TRISS”, cioè Triton International Space Station: ecco come veniva chiamata da molti l’installazione di Tritone, una definizione sintetica che la associava in un lampo alla più vasta TISS, la base di Titano. Non era però una denominazione priva di ironia, dato che non ci era voluto molto perché venisse mutata in Tragedy International Space Station, con riferimento al suo destino e a quello dei suoi occupanti. TRISS era così divenuto sinonimo di sfida persa in partenza, di attesa senza senso, di battaglia che non vale la pena di combattere.
Patrick Doyle lo sapeva bene e per anni, lui così scherzoso e abituato a sbeffeggiare tutti, aveva digerito a fatica quei motteggi provenienti da zone più interne del sistema solare. Ecco perché era con grande soddisfazione che si apprestava, in compagnia dell’amico Bob Cavendish, a verificare il contenuto dell’astronave cargo della Titanlab, appena giunta al ponte di attracco. Era l’ultima che avrebbero ricevuto dalla multinazionale, poiché in breve sarebbero stati ratificati e resi operativi i preaccordi con la Synbiomed. Stava per giungere la fine di un incubo, un punto di svolta: addio alla dipendenza dall’odiata Titanlab, che non solo aveva strappato a Tritone l’amico Greg Maclean, ma aveva decretato la perdita di interesse verso l’esplorazione spaziale per la crescente importanza del suo colossale progetto di biologia di sintesi.
Già, Patrick non ci aveva dormito per notti. Ma dopo anni di sofferenze in cui avevano dovuto arrampicarsi sugli specchi per reperire risorse e finanziamenti, il momento della rivincita pareva finalmente arrivato. Grazie alla Synbiomed sarebbero giunti fondi freschi. Ximen era guarito e stava per rientrare insieme a Greg. Sarebbe stato ricostituito il gruppo dei primi anni su Tritone, addirittura delle eroiche missioni della Explorer e della New explorer, con la datata ma sempre valida astronave, proprio lei!, a riportare a casa gli amici d’un tempo. Il
rapporto con l’highlander Maclean sarebbe stato da ricostruire, ma Ximen garantiva che era tornato quello d’un tempo. Si poteva esser giù di corda con questa marea di belle notizie?
Per questo Patrick si avvicinò al ponte di attraccco con un senso di trionfo, prendendo in giro come non gli capitava da tempo Bob Cavendish, che sopportava bonariamente ogni battuta. Una volta giunti davanti al portellone d’accesso, dopo aver dato un’occhiata ad alcuni rilevatori Bob fece una faccia perplessa.
“Non capisco… i generatori hanno dovuto lavorare davvero poco per uniformare temperatura e pressione atmosferica fra la nostra base e il cargo. In pratica sono rimasti inoperosi. Com’è possibile, visto che di solito le merci viaggiano a temperature molto rigide e pressioni ridotte per risparmiare energia?”
“Non ti ci fasciare la testa”, gli disse Patrick, “evidentemente quei bastardi non hanno badato a spese per la loro ultima spedizione. Forza, dai il comando di sblocco. Mi auguro abbiano mandato tutte le medicine richieste, alcuni di noi ne hanno davvero bisogno.”
Senza smettere di guardare con aria interrogativa gli strumenti, Bob fece ciò che gli era stato ordinato. Percorso un aggio metallico sinistramente illuminato, i due presero la seconda uscita alla loro destra e si trovarono all’interno del cargo. Ebbero subito l’impressione che qualcosa non quadrava. I container parevano pochi e disposti in disordine, l’aria era viziata, anzi si sarebbe detto addirittura maleodorante. Stupiti, cominciarono a fare un giro di ispezione, muovendosi circospetti.
“Ma cosa significa tutto questo?”, si domandò Bob.
“Maledetti, qui manca un sacco di roba”, disse irato Patrick. “Lo sapevo che non c’era da fidarsi di quei cani. E questi cosa sono?”
Tutto intento a valutare con il viso rivolto verso terra quella che pareva una pila di quattro o cinque sacchi a pelo, non notò immediatamente la pistola laser che sbucava dalla parte retrostante del container. Lanciò un urlo e fece un balzo indietro, ma d’improvviso uomini armati uscirono dai loro nascondigli, vestiti con tute nere e con volti duri come la pietra.
“Ma cosa cazzo…”, balbettò continuando ad indietreggiare.
“Piccola sorpresa, scemo. Come puoi vedere il carico è al completo, c’è stata solo una sostituzione di materiali. Sei quel fesso irlandese di Patrick Doyle, se non mi sbaglio. Sei tu che comandi la baracca in assenza di Ximen?”
Patrick riuscì solo ad annuire davanti all’arma che gli veniva puntata contro da un uomo alto e biondo, che lo fissava con gelidi occhi azzurri e parlava con un ghigno dipinto sul volto.
“Da questo momento in poi la tua autorità vale meno di zero. Sono io a capo di questa stazione. Ti conviene seguire i miei ordini se non vuoi che qualcuno si faccia male. Capito?”
L’irlandese fece di nuovo cenno di sì con la testa.
“Bene. Cominciate a fare i bravi, tu e questo coglione che ti accompagna. Portateci verso il centro operativo di questa scatola di latta, ne prendiamo il controllo. Al più vicino impianto di comunicazione dovrai parlare al personale per informarli e consigliarli di non fare cazzate se ci tengono alla fottuta pelle. Tutto chiaro?”
Guidato da Patrick e da Bob, il gruppetto si mosse. I due capofila sentivano alle spalle le armi degli uomini Titanlab e questo provocava brividi freddi lungo la schiena. Quanti erano, armati fino ai denti? Dieci, forse quindici, a giudicare da quelli che avevano visto sbucare dai container.
Camminando, Bob si rese subito conto che l’amico, superato in fretta il primo momento di sgomento, non era più così timoroso. Anzi, tramite qualche gesto furtivo gli comunicò le sue intenzioni e lui fece capire che le condivideva. Così, dopo aver dato un’eloquente occhiata verso le luci che punteggiavano il soffitto, Patrick si portò furtivamente alla bocca il comunicatore da polso e sussurrò: “Ponte di attracco. Procedura di massimo risparmio energetico, subito!”
D’improvviso fu il caos. Il sistema interruppe all’istante ogni fornitura. I generatori vennero disabilitati, le luci si spensero e sulla zona cadde un’atmosfera spettrale. Aiutati dalla conoscenza dell’ambiente e facilitati dall’effetto sorpresa, Patrick e Bob scattarono in avanti più velocemente che poterono, mentre alle loro spalle gli uomini Titanlab imprecavano e si urtavano l’uno con l’altro. Degli spari colpirono le paratie metalliche, ma i due fuggitivi rimasero illesi. Cominciò uno scalpiccio agitato, un sovrapporsi di voci nel quale era evidente che chi inseguiva stava cercando di riorganizzarsi e di utilizzare strumenti adeguati alle circostanze. Ma non era facile, al buio e senza conoscenza dell’ambiente. Patrick e Bob, pur procedendo a tentoni, filavano via più spediti, cercando di mantenersi bassi per evitare come meglio potevano gli spari alla cieca che gli indirizzavano contro. Raggiunsero miracolosamente illesi l’ingresso nel tunnel principale del ponte di attracco, fiduciosi ormai di avercela fatta. Girato l’angolo, a soli trenta metri alla loro sinistra si trovava il portellone di accesso, quello dove Bob aveva notato gli strani dati strumentali. Una volta
chiuso avrebbero isolato la zona e forse la stazione sarebbe stata salva. La carenza di fornitura dei servizi nell’area del ponte avrebbe fatto il resto, costringendo gli uomini Titanlab in una zona buia, con temperatura e pressione atmosferica in rapido calo.
Ma la manovra, pur astuta e ben congeniata, non funzionò. Anzi, finì in modo tragico. Riorganizzatasi, la velocità della squadra d’assalto aumentò esponenzialmente grazie all’uso dei visori notturni, che alcuni riuscirono a reperire nel loro equipaggiamento. Insieme alla velocità crebbe la precisione degli spari. Bob venne freddato a dieci metri dal portellone e cadde rovinosamente, colpendo Patrick e sbilanciandolo a sua volta. L’irlandese provò a rialzarsi, ma quando era ancora in ginocchio venne raggiunto dal capitano Fischer, che gli assestò un duro colpo sul volto con il calcio della sua pistola laser. Poi gli fu sopra, troneggiando minaccioso e puntandogli l’arma alla testa.
“Figlio di puttana, credevi di farmela sotto il naso? Ti ammazzo come un cane!”
Per fortuna, il militare non eseguì quanto promesso. Afferrato per il braccio da un compagno, si convinse a desistere di fronte alle sue ragionevoli obiezioni. Patrick era il capo della stazione e grande amico dei fuggitivi in viaggio verso Tritone, che si sarebbero potuti insospettire se non avessero più trovato il volto dell’irlandese nelle loro comunicazioni a distanza. E quello che più interessava alla squadra d’assalto, per ordini diretti della presidente Dahlberg, era mettere le mani su Ximen, non fare una strage su Tritone.
Per questo l’irlandese se la cavò, si fa per dire, con un violento calcio allo stomaco che lo fece rantolare per terra. Poi Fischer lo sollevò con forza e lo mise in piedi facilmente nonostante il notevole peso, intimandogli di non fare altre cazzate. Lui, con volto e stomaco doloranti per le percosse ricevute, annuì a fatica. Invitato senza troppa cortesia a rimettersi in cammino, si mosse cominciando a piangere dopo aver dato un’occhiata al cadavere di Bob, che giaceva sul pavimento con la schiena bruciata.
Il sogno che cullava era già finito, divenuto tragedia nel peggiore dei modi. Ora l’odiata Titanlab era addirittura padrona della “TRISS”.
5
Il presidente Khaled Mansour si mosse nervosamente sulla poltrona. La sua era una strana reazione, lo sapeva bene, ma faticava a controllarsi. Pur essendo alle sue dipendenze, Bogdan Sakharov gli dava i brividi e non riusciva a restare calmo quando si trovava in sua presenza. Lo inquietavano i suoi occhi, duri e freddi, apparentemente imibili ma capaci di notare ogni particolare, in grado di penetrare nell’interlocutore per valutarne le emozioni e cercare punti deboli.
Il mercenario russo aveva preso posto senza dire una parola. Il presidente fece finta di finire con la valutazione di alcuni dati prima di prenderlo in considerazione. Sentiva addosso il suo sguardo gelido e questo aumentava il suo malessere. Cercò comunque di mostrarsi freddo e risoluto quando si staccò dal terminale.
“Signor Sakharov, ho i dati che mi aveva chiesto riguardo all’identità degli uomini Titanlab morti nell’attacco su Marte. Si tratta di quindici persone in tutto. Non è stato facile averli, ma…”
“Chi sono?”, chiese il russo interrompendo il presidente senza tante cortesie.
Mansour impartì una rapida istruzione vocale al computer e una soave voce femminile iniziò a scandire nomi e cognomi dei caduti, mostrandone al contempo un ologramma. Bogdan analizzò imibile l’elenco, rimanendo in silenzio quando questo fu terminato. Il presidente attese un commento per qualche secondo, poi sbottò: “Prima vuole sapere a tutti i costi chi ci è rimasto secco di quegli stronzi e ora non dice niente?”
Sakharov fece aspettare ancora un po’ il suo interlocutore, poi affermò senza scomporsi: “C’è un dato che non mi convince. Kevin Harris era il capo degli uomini sicurezza della Titanlab e rientra nell’elenco. Ma non c’è il nome di Karl Fischer, il suo vice. A rigor di logica doveva essere anche lui su Marte per una missione così importante.”
“Conosce questo Fischer?”
“Poco. Prima che entrasse alla Titanlab mi contattò per una missione, ma non se ne fece niente. Acquisii comunque qualche informazione su di lui prima di contrattare. Me lo descrissero come un tipo svelto, a volte spietato, amante dei coltelli.”
“Non capisco come tutto questo possa interessarci. Anche se questo Fischer e altri mercenari alle dipendenze della Titanlab fossero ancora vivi e vegeti, perché dovremmo…”
“Presidente, desidero che rifletta con attenzione se ultimamente ha notato qualcosa di strano nei suoi contatti con la Terra, la New Explorer o la stazione di Tritone. Ci pensi con molta attenzione, può essere importante.”
Khaled Mansour arrossì violentemente per la collera e stentò a dominarsi. Non era infrequente che il mercenario osasse interromperlo bruscamente, come se fosse lui al comando. Lo faceva con totale naturalezza soprattutto quand’era impegnato a seguire il filo logico dei suoi pensieri, il che lo portava a dare poca importanza ai ragionamenti degli altri, chiunque fossero. Il presidente digeriva a fatica questa mancanza di rispetto e in un paio di occasioni lo aveva fatto notare con parole dure, che però parevano aver incontrato solo un muro di gomma.
Anzi, dopo quegli sfoghi il russo aveva continuato imperterrito nel suo atteggiamento, come se ci provasse gusto a provocare.
“Non so… non mi pare che ci sia qualcosa di anomalo”, disse Mansour cercando di sbollire la rabbia.
“Ci pensi con attenzione, per favore. Potrebbe esserci sfuggito un dettaglio fondamentale.”
A mente più fredda, il presidente ragionò sotto lo scandaglio di quegli occhi aspri e inflessibili. Dopo alcuni secondi riprese: “A pensarci bene, c’è una cosa che ha colpito la mia attenzione, ma non vedo come possa essere rilevante.”
“Di cosa si tratta?”
“Nell’ultimo video che mi ha spedito, il capo della stazione spaziale di tritone Patrick Doyle pareva giù di corda. Strano per il suo carattere, di solito molto gioviale. Sembrava animato da una strana tensione e presentava un’evidente escoriazione sulla bocca e sulla guancia sinistra.”
“Ha fatto cenno a come si è procurato la ferita?”
“No, in nessun modo.”
“Altre stranezze?”
“Non mi pare, a meno che non si voglia considerare strano che la volta precedente Doyle non si era mostrato, lasciando l’incombenza di comunicare con noi alla moglie Irina. Pure lei sembrava nervosa e preoccupata, ma so che ha un carattere molto più riservato e cupo del marito.”
“È possibile dare un’occhiata all’ultimo video di questo Doyle?”
“Certo, ce l’ho ancora in memoria.”
Per le trasmissioni a grande distanza quasi mai si usavano rappresentazioni olografiche, troppo onerose da inviare. Il video bidimensionale che comparve in una parete della stanza fu comunque sufficiente a Bogdan Sakharov per farsi un’idea. Il presidente notò che lo sguardo del russo era fisso sulla ferita dell’irlandese, ma non riusciva a comprenderne il motivo. Prima ancora che il filmato avesse fine, il mercenario abbandonò la sua analisi e chiese, tornando a fissare Mansour: “Ho bisogno di sapere se le forniture di prodotti Titanlab a Tritone sono già finite o se da poco hanno ricevuto un ultimo cargo prima che sia la Synbiomed a subentrare. Per favore, chieda subito ad uno dei suoi tecnici.”
“Non ce n’è bisogno”, fece il presidente sempre più perplesso, “posso dirglielo io stesso. Dovrebbero avere ricevuto una spedizione da non molto, l’ultima in base ai preaccordi che abbiamo stipulato con loro. Mi ero opposto a questa fornitura, ma a suo tempo si sono impuntati, dicendomi che avevano assolutamente bisogno di prodotti e non potevano aspettare che arrivassero i nostri.”
Rimanendo imibile, dopo qualche attimo di silenziosa meditazione Sakharov annunciò: “Credo che la stazione di Tritone sia attualmente sotto il controllo di
una squadra armata della Titanlab.”
“Cosa?”, esclamò con veemenza il presidente balzando in piedi di scatto, come se fosse stato punto ad un piede da uno scorpione.
“Si calmi, la notizia non costituisce un grosso problema. Ciò che è importante è arrivare là già pronti per affrontare la situazione.”
“Ma come può asserire una cosa simile?”
“Me lo suggeriscono tutti i dati a disposizione. Fischer non era su Marte, un veicolo Titanlab è giunto su Tritone e da poco l’atteggiamento dei suoi residenti è mutato, sebbene cerchino di dissimulare la tensione. Questo Doyle si comporta sforzandosi di sembrare naturale, ma senza riuscirci, come se una minaccia incombesse su di lui. Infine, la ferita che ha al volto gli è stata probabilmente provocata da un colpo ricevuto con qualche attrezzo metallico.”
“Ma se lei ha ragione, cosa facciamo? La New Explorer giungerà alla stazione di Tritone una settimana prima di noi. Saranno indifesi. Dobbiamo avvertirli, comunicandogli che si pongano in orbita attorno al satellite senza attraccare alla stazione spaziale.”
Bogdan non replicò subito alle argomentazioni del presidente. Parve bloccarsi per meditare, sebbene dal suo volto inespressivo fosse dura dedurre a cosa stesse pensando. Mansour accolse con favore la pausa, che gli permise di tornare seduto e di calmarsi un po’. Dopo un silenzio più lungo del solito, Sakharov disse: “Presidente, se la Titanlab ha tentato questo ulteriore colpo di mano non credo che il suo intento sia solo quello di punire Tritone perché si stanno
alleando con voi, giusto?”.
“Può essere un fattore, ma ci sono altri motivi. A questo punto ciò che interessa di più ad ambedue le compagnie è mettere le mani su Ximen. Se la New Explorer attraccherà, lui sarà nelle loro mani.”
“Devo avere altre informazioni per capire se questo possa costituire un problema. Ho bisogno di sapere quando sarà possibile lasciare Tritone.”
“Vuole conoscere le prossime finestre di lancio da Tritone verso l’interno del sistema solare?”
“Esatto, con particolare riferimento a luoghi sotto il controllo della Titanlab.”
In cinque minuti, dopo aver delegato con la massima urgenza i suoi tecnici, Mansour ebbe le risposte volute. Sakharov le giudicò confortanti: non c’era alcuna possibilità di partenza nel breve periodo in cui la Titanlab sarebbe rimasta padrona, dato che la finestra di lancio verso la Terra si sarebbe aperta tre settimane dopo l’arrivo dell’astronave Synbiomed, quella per Titano solo pochi giorni prima. Dunque le uniche mete possibili, dove la Titanlab era forte ed avrebbe potuto studiare Ximen con calma e strumenti adeguati, erano precluse in partenza. Del resto non capitavano tutti i giorni congiunture astronomiche così favorevoli come quella che stava permettendo a tre veicoli spaziali provenienti da luoghi distinti del sistema solare di raggiungere a breve distanza temporale la lontanissima base di Tritone.
“Bene”, commentò infine il russo. “La Titanlab sarà padrona della stazione e di Ximen, ma non saprà che farsene. Non informate la New explorer e lasciatela
cadere per qualche giorno nella loro tela. Se anche dovessero evitare di attraccare grazie alle nostre informazioni, infatti, niente vieterebbe a Fischer di andarli a recuperare, oppure di obbligarli a raggiungere la stazione minacciando i loro vecchi amici. Inoltre, in questo modo la Titanlab non saprà che noi sappiamo. Ci faremo trovare pronti, il nostro arrivo sarà un’autentica sorpresa.”
Il mercenario si alzò, dando ad intendere che per lui la conversazione era finita. Quando aveva già mosso un o per uscire dalla stanza, il presidente lo richiamò irritato: “Aspetti. Le ho detto però che a bordo della New Explorer abbiamo una persona fidata, che finora ci ha servito lealmente. Se cade nelle grinfie di Fischer, non credo erà un buon quarto d’ora.”
“E lei vuole mettere a rischio la riuscita della nostra operazione per la vita di chi adesso è sacrificabile?”
Mansour riflettè per un istante, convenendo in cuor suo che il mercenario aveva ragione. Ancor prima che potesse aprir bocca, il russo si era già dileguato. Meditò poi sulla sua strategia, senza trovarvi pecche. Sarebbe stato certamente meglio che la Titanlab si aspettasse l’arrivo di un’astronave Synbiomed indifesa e impreparata. Poco da dire, Sakharov era veramente insopportabile, ma conosceva il suo mestiere.
6
Dopo miliardi di chilometri di oscuro e angosciante spazio nero, con l’approssimarsi del sistema di Nettuno lo spettacolo a disposizione dei viaggiatori della New Explorer si fece sempre più strabiliante. Greg, Martina, Wei e Ximen poterono godere solo in parte del gran finale, indaffarati com’erano sul ponte di volo per gestire la fase di avvicinamento alla stazione spaziale di Tritone. Con i dispositivi di retropulsione già in funzione, gli altri occupanti dell’astronave si accalcarono alle finestre panoramiche del settore alloggi, carichi di curiosità ed interesse. Nessuno di loro si era mai spinto così in profondità nel sistema solare a parte Fabio e Goldie, che però conservavano solo un vago ricordo dell’ottavo pianeta, avendolo lasciato con destinazione Titano quando erano ancora piccoli.
Si sistemarono alle finestre formando dei gruppetti. Il più folto era quello costituito da Robert e Laura, rinfrancati e in condizioni psicologiche migliori grazie al sostegno ricevuto da tutti, affiancati da Juan Pablo ed Annette. Fra il cileno e la se stava nascendo un buon rapporto, favorito dal fatto che ambedue avevano perso una persona cara nella battaglia di Marte, ma il dolore di Annette per la morte di Laurent per il momento fungeva da blocco ad ulteriori sviluppi. Perlomeno, la confidenza con Juan Pablo stava aiutando la donna ad uscire dal suo guscio. Alla destra dei quattro si trovavano Fabio ed Emily, la cui unione era ormai a conoscenza di tutti, poco più in là Paola e Goldie. Il rapporto di amicizia fra i quattro giovani era andato crescendo giorno dopo giorno e li aveva portati a condividere i lunghi tempi morti del viaggio.
Infine, un po’ isolati alla sinistra di Robert, osservavano il panorama nettuniano Fiedler e Bokila. Il comportamento quasi sprezzante del congolese verso Emily da quando aveva perso l’uso delle gambe, unito a qualche atteggiamento sopra le righe, aveva alienato nei suoi confronti molte simpatie e solo Raymond, pur
criticandolo a sua volta, continuava a frequentarlo. ata l’euforia per la vittoria su Marte, a Fiedler non piaceva affatto l’idea di ritrovarsi in una stazione che presto si sarebbe associata alla Synbiomed, per questo era spesso irritabile e solo Paola riusciva a fargli are il malumore. Se da una parte odiava la Titanlab, dall’altra certo non amava i suoi più intraprendenti competitori, che a suo giudizio erano meno voraci solo perché disponevano di denti meno affilati.
Alla New Explorer il pianeta in avvicinamento si mostrò come una gigantesca mezza luna. Il suo panorama riuscì a rasserenare tutti i suoi stupiti ammiratori e fece dimenticare la fatica del viaggio: semplicemente, perché era troppo bello.
L’orizzonte dell’astronave venne progressivamente riempito dalla sua abbacinante sagoma azzurra, di un colore così vivo da conferire un senso di stordimento. Il computer di bordo informò che una così vivace colorazione era dovuta all’abbondante presenza di metano negli strati più superficiali dell’atmosfera, caratterizzata da venti capaci di superare i duemila chilometri orari, i più potenti del sistema solare. A mano che altri dettagli divennero visibili, fu possibile distinguere fasce atmosferiche equatoriali, lunghe catene di nubi, giganteschi sistemi di cirri bianchi. Mirabile la più recente macchia scura, formatasi appena sette mesi prima, ultima di una serie di mastodontiche zone che permettevano di ammirare gli strati atmosferici più interni per il diradamento delle nubi superficiali. La prima era stata osservata alla fine del XX secolo dalla sonda Voyager II, poi molte altre si erano susseguite. Coincidenza fortunata, nell’emisfero meridionale si potevano anche notare ben due nubi scooter, piccole macchie bianche molto veloci – da qui il nome che le contraddistingueva – frutto dell’affioramento di colonne ascendenti di materiali sottostanti più caldi. Erano così cariche di energia da risalire fino alle nubi superficiali di metano e si muovevano lungo i paralleli, riuscendo nei casi più estremi a completare un giro completo di Nettuno in poco più di tre ore. Come la più vasta macchia scura, anche queste erano però destinate ad una vita breve, essendo frequente la loro scomparsa e la successiva apparizione di una perturbazione equivalente in un’altra zona, segno dell’energia e della turbolenza presenti all’interno del pianeta.
A parte l’enorme disco azzurro, nessun’altra caratteristica del sistema di Nettuno fu visibile prima dell’arrivo nei pressi di Tritone. Poco luminosi i cinque deboli anelli interni, insignificanti e paragonabili solo a macigni ghiacciati, tutti gli altri satelliti, sia i più vicini dai percorsi regolari che quelli esterni dalle orbite fortemente eccentriche, fra i quali pure i più massicci Proteo e Nereide, erano privi di qualunque attrattiva.
Tritone, però, era un’altra cosa. A renderlo unico sarebbe bastata la sua rotazione retrograda, cioè contraria rispetto al senso di rotazione di Nettuno, inequivocabile testimonianza dell’origine trans-nettuniana e della cattura sopraggiunta in un secondo momento, ma questa era solo una delle sue tante e strabilianti peculiarità. Pur essendo una biglia messa a confronto con un pallone da calcio rispetto al pianeta gigante, guai a ritenerlo solo una distesa immutabile di rocce e ghiaccio. Il suo aspetto superficiale mutava di continuo, con criovulcani e geyser impegnati a sparare nella tenue atmosfera azoto, idrocarburi, ammoniaca e composti del metano, tutti elementi destinati a solidificarsi in un batter d’occhi per le temperature glaciali, così da conferire alla luna un inconfondibile e lucido aspetto congelato. Tritone era un regno affascinante, coperto in buona parte da una mutevole patina di azoto ghiacciato, causa di un ingente criovulcanismo poiché, lasciando filtrare i deboli raggi solari, permetteva un riscaldamento sotterraneo per il loro incontro con rocce e materiali scuri. Impossibile costruire una base in un simile pianetino, il cui anomalo asse di rotazione, puntato verso il sole come quello di Urano, era causa di marcate e turbolente variazioni stagionali, così era stata inevitabile la scelta di una stazione orbitale, similmente a Titano, utilizzando il satellite solo come luogo d’approvvigionamento di ghiaccio d’acqua e di altri materiali.
Se chi si trovava alla postazione panoramica era ammaliato dall’azzurra visione nettuniana, proprio la base e le persone che la abitavano erano al centro dei pensieri e delle emozioni di chi lavorava in cabina di comando. Wei e Ximen vi tornavano dopo un’assenza relativamente breve, ma Greg e Martina stavano per rimettervi piede dopo tanti anni. Come sarebbero stati accolti? Con favore, indifferenza o addirittura ostilità? La domanda ronzava ossessiva soprattutto nella testa di Greg, da molti accusato a suo tempo di essere un traditore. Era vero che su Titano aveva salvato la vita a Ximen e poi si era apertamente schierato
contro la Titanlab, ma temeva fortemente che il sospetto continuasse ad aleggiare nei suoi confronti. Ritrovata l’amicizia del cinese, desiderava tanto ricucire il rapporto anche con Patrick. Dopo anni in cui non si erano contattati, facendo finta ambedue di essersi dimenticati l’uno dell’altro, nel viaggio si era trovato spesso a pensare al vecchio amico, alle sue battute, alle loro dispute. Whisky scozzese o whiskey irlandese, essiccamento del malto con uso di torba oppure no, Highlands contro pianure, sfida fra castelli e scogliere, ecco i motivi dell’infinito contendere. Se Patrick si fosse mostrato distante o addirittura ostile sarebbe stato un duro colpo, ma forse la moglie Irina, rimasta in contatto con Martina, avrebbe potuto smussare gli angoli.
A procedura di attracco in corso, capendo lo stato di tensione del marito Martina gli si avvicinò e lo accarezzò su una guancia, sussurrando: “Vedrai, non ci saranno problemi. Staremo bene qui e Patrick sarà contento di rivederti.”
“Me lo auguro”, disse Greg sorridendo in maniera un po’ forzata, grato però per quel gesto affettuoso.
“Ci parlerò io se necessario”, affermò Ximen, “saprò farlo ragionare. Comunque, secondo me anche lui non vede l’ora di incontrarti.”
“Tu non sei la persona più adatta per questo”, si inserì Wei con aria scherzosa, contenta di vedere il marito sereno e pronto ad interagire con gli altri dopo che si era spesso chiuso in se stesso, troppo concentrato nei suoi studi di fisica teorica.
“E perché?”
“Stai per privare Patrick del suo ruolo di comando, ammesso che tu voglia
tornare a guidare la stazione.”
“Non credo che questo interessi al nostro irlandesone. Non ha mai tenuto molto a fare il leader.”
“Però ultimamente era meno scherzoso, a volte è parso quasi agitato”, insisté Wei, più seria.
“Forse era solo in tensione per il nostro arrivo e per le prospettive dell’alleanza con la Synbiomed”, ipotizzò Greg.
“Speriamo che questa partnership sia davvero un bene per la base”, riprese Ximen. “Certo che sono davvero in forte espansione e stanno pestando parecchio i piedi alla presidente Dahlberg.”
“Le sta bene. Hanno commesso tante ingiustizie. Hanno fatto fuori Subramani e ora non riescono a replicarne i risultati. Chissà che faccia farebbe se sapesse che anche rigirandoti come un calzino non caverebbero un ragno dal buco.”
La frase di Greg fece mutare di colpo l’atteggiamento dei due cinesi. A lui non sfuggì il loro imbarazzo. Perplesso, chiese: “Cosa c’è, ho detto qualcosa che non va?”
Ximen rimase per un po’ in silenzio. Poi, dopo essersi consultato con un’occhiata con la moglie, riprese: “Temo che ciò che hai detto non sia del tutto vero.”
“Cosa intendi dire?”
“Che se mi prendessero forse potrebbero davvero ottenere il segreto dell’integrazione fra il corpo umano e i batteri alieni.”
“Com’è possibile?”, intervenne Martina, stupita. “Laura ti ha studiato a più non posso e ha tentato su di sé e sul marito, senza risultati. Forse mi sono persa qualcosa, ma eravamo giunti a supporre l’esistenza di una specie di anello mancante che Subramani non ha lasciato, impossibile da comprendere anche prelevando i batteri dal tuo organismo.”
Ximen sospirò.
“Teoricamente è così, ma temo di aver trascurato un particolare importante.”
“E quale?”, domandò Greg.
“Potrei essere io a rivelargli quello che cercano.”
Di fronte alla perplessità crescente dei due amici, lui puntualizzò: “Mi spiace non avervi informato e di averne parlato solo con Wei. Forse me ne vergogno o ne ho paura, non so, ma più uso i batteri alieni per potenziare le mie facoltà mentali, più mi rendo conto che non c’è solo l’opzione degli esami clinici per capire come loro vivano in simbiosi con il mio corpo. Sono dentro di me e posso analizzarli. Si attivano di fronte ad un bisogno, ad un desiderio bruciante della
mia volontà. Quindi, se lo volessi, potrebbero essere proprio loro a rivelarmi la loro combinazione con il DNA umano.”
“Da come ne parli pare tu abbia già fatto dei tentativi”, suggerì Martina con voce leggermente tremante.
“È così, purtroppo. A volte mi è preso un terribile sconforto per questa situazione, per la mia diversità. Credetemi, non è facile essere una specie di animale raro cui molti ambiscono, sebbene questo ti conferisca grandi potenzialità. Così in momenti di forte malessere ho avuto la tentazione di capire tutto per renderlo pubblico e fare finire questa storia. La conclusione è che riuscivo a vedere i legami proteici, a valutare dove e come Subramani aveva agito per raccordare i frammenti. Non è stata una bella sensazione e ho dovuto lottare non poco per gestirla. Se finissi in mani sbagliate, magari con persone a me care a rischio, temo sarebbe davvero complicato resistere. Potrei rivelare tutto o potrebbero estorcermi il segreto mediante un’analisi cerebrale, una volta che si fossero resi conto della sua maggiore utilità rispetto ai test fisici.”
In cabina di comando calò un silenzio gelido, interrotto solo dallo sferragliare dell’astronave, oramai in fase di completamento della manovra di attracco.
Terminate le vibrazioni, Martina mosse qualche o per fare una carezza anche a Ximen, a testimonianza della sua vicinanza e della comprensione per la situazione non facile che doveva fronteggiare. Quanto aveva rivelato era l’ennesima conferma che i batteri alieni costituivano un’opportunità, ma anche un pesante fardello. Lui ne fu piacevolmente sorpreso, sorrise e disse: “Grazie. Ma non è tutto così difficile, solo alcuni momenti. E non ci dimentichiamo, cosa per cui ringrazio ogni giorno, che senza quell’intervento di Greg a quest’ora sarei morto e sepolto.”
“Beh, se non altro stiamo giungendo in un posto amico, qui saremo al sicuro. La Synbiomed non sa del tuo segreto e ti lasceranno in pace”, disse lo scozzese cercando di essere rassicurante.
“Lo spero tanto.”
Ad attracco completato, i viaggiatori della New explorer si riunirono per uscire dall’astronave. Quando all’inizio del ponte comparve Patrick, accompagnato dalla moglie Irina, il cuore pareva uno stantuffo nel petto di Greg. L’irlandese era come se lo aspettava, notevolmente ingrassato, ma aveva una luce sinistra negli occhi, che lo osservavano senza gioia. Tremò in cuor suo, imputando quell’accoglienza così fredda al fatto di non essere stato perdonato. Davvero strano però che Patrick non si mostrasse cordiale neppure con Ximen e Wei, ma continuasse a guardarsi intorno sconsolato.
“Mi dispiace… mi dispiace tanto di accogliervi così. Non potevo avvisarvi, non mi è stato permesso. Abbiamo nuovi padroni.”
D’improvviso uomini armati uscirono dai loro ripari e circondarono il gruppo. Alcuni sussultarono, Goldie ed Emily si misero ad urlare. Con movimenti calmi, il capitano Fischer si avvicinò all’irlandese e gli disse, posandogli una mano sulla spalla: “Ben fatto, vecchio mio. Sono io ora che guido la baracca, non scordartelo mai.”
Al vedere il vice di Kevin Harris lo stupore e lo sgomento dei viaggiatori aumentò ulteriormente. Lui se ne compiacque e li ò in rassegna con calma. Osservò compiaciuto Ximen, finalmente nelle sue mani, poi il suo sguardo si posò sull’unico individuo che osava sostenerlo e lo sfidava apertamente. Bene, il fatto di non aver prevalso nella sfida nella stazione spaziale di Titano ancora non gli andava giù e finalmente avrebbe avuto modo di rifarsi.
7
Terminato il pranzo, il professore Zhao Quing si spostò in salotto con la sua bottiglia di vino Chianti Riserva, invecchiato in piccole botti di rovere per un anno. Era del 2163, un’ottima annata. Per fortuna sia la moglie che il figlio erano assenti, chissà come avrebbero giudicato quella mossa goliardica alla sua età, ma probabilmente si sarebbero accorti della bravata trovando lui mezzo ubriaco e la bottiglia vuota al momento di rincasare. Di sicuro Linpeng si sarebbe divertito come un matto nel vedere il padre in quelle condizioni e forse avrebbe registrato un olovideo da condividere con i suoi contatti, un autentico attentato alla sua reputazione di studioso scrupoloso, mentre la moglie lo avrebbe rimproverato aspramente, ma non si poteva evitare di festeggiare e lui era pronto a subire con il sorriso quelle dolci ritorsioni familiari.
All’orario previsto, comparvero in olocollegamento nel salotto di casa Zhao gli altri due astrofisici, la californiana Liv Sanders e il moscovita Nicolai Makarenko. Lei, una graziosa brunetta un po’ troppo paffuta per i suoi 36 anni, pareva vigile ed allegra, mentre il russo, alto e snello ma con un volto che dimostrava più dei suoi 54 anni, si presentò spento e sonnolento. Ambedue avevano una bottiglia di Chianti Riserva ed un bicchiere adeguato, di quelli a coppa ampia con un lungo calice.
“Io sono pronta”, affermò la californiana, vivace. “E tu, Nicolai, come butta?”
“Facile, eh? Vorrei vederti al posto mio, se fossi stata costretta a presentarti alle otto di mattina.”
Zhao Quing rise. A lui, come responsabile del progetto, era andata la scelta della bevanda con cui festeggiare, quindi aveva optato per il suo vino preferito. Gli altri avevano accettato di buon grado, ma c’erano state delle dispute per il problema del fuso orario. Alla fine si era deciso di dare una mano a Liv, poco abituata a bere alcolici, concedendole l’ora di cena come momento per tracannare la sua bottiglia. Al professore era comunque andata abbastanza bene, mentre al povero Nicolai sarebbe toccato il compito più arduo: scolarsi il vino all’ora di colazione.
“Se vuoi ritirarti sei ancora in tempo, vecchio mio”, azzardò Quing con fare provocatorio.
Nicolai sbadigliò, poi disse: “Neanche per sogno. Finirò questa bottiglia prima di voi mentre mangio la mia frittata con pane nero. Avrei preferito della vodka, ma la scelta spettava a te.”
“Vodka a colazione?”
“E perché no? Benzina in corpo fin dalla mattina. In Russia curiamo l’alimentazione, non come quella divoratrice di patatine e hamburger.”
“Stasera in verità niente patatine, ma solo un cheeseburger doppio”, precisò Liv ridendo.
“Bevendo cosa?”, si informò Nicolai.
“Tanta sana coca cola.”
La faccia disgustata del russo fece sghignazzare gli altri due. Oltre che professionalmente appagante, era divertente interagire con Liv e Nicolai, pensò Zhao Quing. Erano simpatici e spesso si punzecchiavano a vicenda. Nella comunità scientifica si sussurrava che, nonostante la differenza d’età, avessero trascorso un paio di notti focose durante un convegno a Stoccolma tre anni prima, ma lui aveva preferito non approfondire.
“Allora, a cosa dedichiamo il primo brindisi?”, chiese Liv quando ebbero cessato di ridere.
“Ma alla gravità quantovibrante, la nuova teoria di Quing maturata insieme a Chen Ximen, alla quale noi abbiamo contribuito dando il nostro sostegno morale a questi due pazzerelli”, disse prontamente Nicolai, che pareva meno assonnato di minuto in minuto.
Nonostante il professore Zhao cercasse di schermirsi e di dire che l’aiuto dei due amici era stato fondamentale, i calici vennero alzati e il primo bicchiere svuotato in un batter d’occhio. arono cinque minuti in cui si parlò degli studi universitari di Linpeng. Esaurito l’argomento, Liv esclamò: “Ora propongo il secondo brindisi. So che non si dovrebbe parlare male degli assenti, ma stavolta è doveroso farlo. Alle singolarità, che siano nude o nascoste da un orizzonte degli eventi, a queste misteriose zone dello spaziotempo predette dalla relatività, a curvatura infinita e inconoscibili. Terrore di ogni teoria, rompicapo di ogni fisico. Alla loro non esistenza!”
Con convinzione, i tre portarono alla bocca il bicchiere per la seconda volta fra grida di giubilo. In realtà Liv nel suo discorso aveva un po’ forzato la mano: nella nuova formulazione le singolarità non sparivano del tutto, semplicemente i
confini dello spaziotempo divenivano accessibili. In particolare, quelle fatte ad anello dei buchi neri rotanti si rivelavano il contorno del wormhole, la sua porta d’ingresso. O d’uscita, se si voleva studiare la situazione dall’altra parte. Più che di singolarità ora si poteva parlare di “punti estremi”, di zone d’accesso a dimensioni ulteriori, dove la fluttuazione quantistica permetteva l’apertura del tunnel.
“Scusate, scusate”, provò a riportare la calma il professore Zhao. “Ci stiamo dimenticando di una cosa molto importante. Adesso sappiamo come studiare la radiazione di evaporazione quantistica di un buco nero e che questa può darci notizie sull’informazione in esso contenuta. La sua formazione, la sua storia e in particolare dove conduce il wormhole che parte da esso. Ma se all’altro estremo posso uscire dal tunnel, come devo chiamare il buco nero che me lo consente?”
“Ne abbiamo già parlato, no?”, disse Liv. “Il buco nero non è così nero. Non è neanche un buco bianco poiché è bidirezionale. L’uscita dal tunnel può essere assimilata ad una forma molto più energetica della sua radiazione quantistica. Io propongo il nuovo nome di buchi semi neri.”
“Non mi piace”, replicò Quing un po’ contrariato. “Mi sembra più adatta la definizione di buchi scuri.”
“Ai buchi grigi!”, intervenne di colpo Nicolai con la bocca piena, sbloccando lo stallo.
A parte il russo, il terzo bicchiere venne scolato con più calma dagli altri due, cui cominciava a girare la testa. Ma bevvero fino in fondo, cercando di non dare soddisfazione al collega, che valutava le loro reazioni e si divertiva nel vedere segni di cedimento. Quella festicciola alcolica del resto non l’aveva voluta lui, ma lo stesso Quing per i giganteschi i in avanti fatti nelle ultime settimane.
Dopo aver gettato la spugna, inaspettatamente stava per vincere la battaglia di una vita di studio, la ricerca di una teoria che potesse quantizzare la gravità. Era un risultato mirabile: la nuova formulazione era addirittura “bella”, nel senso che si presentava simmetrica e relativamente semplice, proprio come Quing pensava dovesse essere una teoria completa, cioè elegante nella sua costruzione matematica, ma priva delle complicate astrazioni in cui altre formulazioni erano cadute. Se lo sentiva, alla base l’universo doveva essere regolato da leggi raffinate ma non ingarbugliate fino all’assurdità, e di questo era rimasto convinto anche nei momenti di ricerca più bui. La gravità quantovibrante, oltre a rispettare tale requisito, pareva in grado di dare spiegazioni esaustive su ogni stato della materia e di collasso gravitazionale. Risolvendo le equazioni di campo per un buco nero rotante, indicava con quale velocità ed angolo incidente era necessario avvicinarsi in modo da uscire dall’altro ad esso collegato, evitando il rischio della chiusura del tunnel, per sua natura instabile. Al momento era stata trovata solo la soluzione per due buchi intercorrelati, ma non si potevano escludere strutture e portali più complessi. Non era però tutto a portata di mano: lo studio della radiazione quantistica di evaporazione risultava essenziale per capire dove finiva il tunnel e come uscire alla sua estremità, il che comportava che i buchi neri andavano avvicinati e studiati uno ad uno. Purtroppo non era fattibile un’analisi unificata dalla Terra, da Saturno o da Tritone, dato che l’evaporazione quantistica era sempre molto debole e impossibile da captare a distanza.
Consapevole di queste difficoltà e forse ancora più desiderosa di smettere di bere, con voce impastata e qualche risatina di troppo Liv puntualizzò: “Però non sarà tutto facile. Non possiamo trascinare… ehm, trascurare le difficoltà. Ammesso che torni l’interesse per l’esplorazione spaziale, andrà valutata l’evaporazione di ogni buco rotante per capire dove porta. Ci vorranno anni.”
“Questo è vero”, ammise Quing, che cominciava a sua volta ad essere in crisi. “Purtroppo la nuova teoria ci suggerisce che il Deep X in orbita attorno a Nettuno, il più raggiungibile, conduce in un’altra galassia. È inappropriato per un primo tentativo, come il buco nero di Orcus, che pare far parte di un sistema complesso a più uscite, per il quale non abbiamo ancora la soluzione. È un vero peccato, sarebbe molto interessante scoprire l’origine dei batteri alieni e che giretto ha fatto quella sonda che ce li ha portati.”
“E chi se ne frega? All’inizio manderemo sonde automatiche o astronavi prive di equipaggio umano. Possiamo rischiare.”
“Non credo, Nicolai. È fondamentale che le prime missioni abbiano successo per non smorzare l’entusiasmo. Dato che andare subito in un’altra galassia potrebbe risultare troppo sconvolgente, ammesso che già non lo sia esplorare la nostra, meglio rimanere nella Via Lattea ed evitare buchi di snodo con più collegamenti.”
“E allora? Abbiamo già un paio di candidati idonei, esplorati nei primi anni di fulgore della stazione di Tritone, che sembrano soddisfare i tuoi requisiti.”
“Questo è vero, però sarà necessaria una nuova missione per rivalutare la loro evaporazione quantistica.”
“Bene. Alla nuova missione e al successivo viaggetto nella Via Lattea!”
L’improvviso grido di Nicolai, proferito con ambedue le mani protese in avanti, la bottiglia quasi vuota nella destra e la forchetta con un pezzo di frittata nella sinistra, costrinse i due amici ad un nuovo brindisi. Liv versò parte del contenuto dell’ultimo bicchiere per terra, mettendosi a ridere in maniera sgangherata. Zhao Quing invece, non volendo dare soddisfazione al buontempone russo, sul quale una bottiglia di vino a colazione pareva non aver prodotto alcun effetto, cercò di bere imperturbabile, ma gli occhi cerchiati di rosso, le guance colorate e qualche difficoltà ad articolare le parole lo tradivano visibilmente.
A collegamento terminato, il professore posò la testa sul divano, chiudendo gli occhi. Sapeva già che moglie e figlio lo avrebbero trovato addormentato, con la bottiglia vuota sul tavolino a testimoniare inequivocabilmente la sua colpevolezza. Al pensiero dei sicuri rimproveri di Heylin le labbra si mossero in un lieve sorriso.
Appena prima di perdere conoscenza, il suo ultimo pensiero fu per l’amico Ximen, giunto da poco su Tritone, dal quale attendeva una risposta dopo aver comunicato gli ultimi sviluppi della nuova teoria. Ma era comprensibile che tardasse a farsi vivo: chissà quante feste erano state organizzate per il suo ritorno da persona guarita.
8
Il capitano Fischer si stava divertendo un mondo. Dopo lo scomodo trasferimento nel cargo merci, che lo aveva innervosito non poco, era il padrone della base di Tritone e poteva imporre ogni volere grazie alla sua milizia armata. L’uccisione di Bob Cavendish pareva aver traumatizzato tutti e nessuno aveva osato opporre la benché minima resistenza. La situazione per lui era ulteriormente migliorata dopo l’arrivo della New Explorer, poiché questo gli consentiva di tirar fuori ancor più la componente di malvagio sadismo insita nel suo carattere. Aveva dato il permesso di muoversi liberamente nell’installazione solo a Laura, Robert ed Annette, così impauriti da non costituire alcun pericolo. Teneva invece segregati in un apposito spazio dell’area alloggi Wei e Ximen, il vero obiettivo della missione, i quattro attivisti che avevano sfidato la compagnia su Titano, i membri della famiglia Maclean che l’avevano tradita, infine quel cileno torvo che si erano portati dietro da Marte.
Senza dubbio il potere illimitato di cui disponeva lo inebriava e lo elettrizzava. Dopo una settimana in cui aveva lasciato gli attivisti a marcire nella loro prigione improvvisata per far crescere la paura, da due sere “ospitava” per un’oretta Raymond e Bokila nel centro di controllo, dove aveva posto la sua sede. Era stato divertente osservare lo sguardo carico di ansia del congolese già al loro primo incontro, mentre Fiedler era rimasto imibile, addirittura provocatorio in alcuni atteggiamenti. Doveva pagarla cara: tanto per cominciare non erano mancate percosse e qualche stimolante giochetto con il coltello, poi il programma sarebbe divenuto più intenso con il are dei giorni. Per la sera successiva, e già pregustava quanto aveva pianificato, avrebbe fatto portare nel centro di controllo quella sventola di Paola. Chissà come avrebbe urlato e inveito, costretto a guardare le violenze subite dalla ragazza sotto la minaccia di un coltello piantato alla gola. Il solo pensiero eccitava Fischer e lo induceva ad immaginarsi ripetutamente la scena, con la certezza che questo trattamento avrebbe piegato il suo nemico. Se non fosse stato sufficiente, avrebbe replicato lo spettacolo più volte prima di sbarazzarsi definitivamente di tutti e tre. Poi
sarebbe ato a Greg Maclean, meritevole a sua volta di una punizione, ma con calma. Tanto, nonostante avesse già ordinato di allestire un’astronave, c’era tempo prima che si aprisse la finestra di lancio verso la Terra.
Quel giorno stesso, però, il programma prevedeva un diversivo, in fin dei conti una variante piacevole. Quel grassone di Patrick Doyle si trovava accanto a lui, grondante di sudore per la stazza e la tensione, intento a controllare che tutte le fasi di attracco dell’astronave Synbiomed stessero filando per il verso giusto. Nel giro di un’ora avrebbe così avuto fra le mani anche il presidente dei principali rivali della Titanlab, per il quale Dahlberg era stata categorica: doveva ricevere immediatamente attenzioni adeguate, in modo che il terrore lo spingesse a rivelare segreti commerciali e a ritirare la compagnia da settori in cui stava pestando troppo i piedi. Fischer contava di farlo cedere con qualche minaccia e un po’ di dolore in poche ore, poi sarebbe tornato agli attivisti.
Ad attracco completato, posò una mano sulla spalla di Patrick e gli disse: “Bene. Chiama la tua signora. Dobbiamo dare il benvenuto a questi nuovi visitatori.”
Radunati alcuni dei suoi uomini, si mosse spavaldo con Patrick ed Irina verso il ponte di attracco. Era allegro, per lui pareva fosse un gioco. Gli piaceva incutere timore nelle persone e a breve avrebbe visto di nuovo facce prima stupite e poi terrorizzate, come già era successo all’arrivo della New Explorer. Giunti in posizione, si nascose con la sua squadra dietro ad alcuni pannelli metallici e attese che arrivassero i viaggiatori spaziali. Dopo qualche minuto intravide avanzare il presidente della Synbiomed in testa al gruppo. Patrick ed Irina si fecero incontro, visibilmente tesi. Ancora pochi secondi e sarebbe stato il momento di uscire allo scoperto. Con suo stupore, però, la coppia venne afferrata da braccia robuste spuntate all’improvviso e spinta energicamente all’indietro, verso l’astronave. In un attimo, uomini armati dotati di visori e maschere si fecero avanti lanciando nel corridoio metallico fumogeni e lacrimogeni, mentre il presidente e altri del suo staff ripiegavano in fretta al sicuro insieme a Patrick.
“È una fottuta imboscata! Ritirata!”, tuonò Fischer ai suoi.
Purtroppo era tardi, perlomeno per una buona parte dei membri della sua squadra. Impreparati e colti di sorpresa, con gli occhi e le vie respiratorie in fiamme per il denso fumo irritante, vennero freddati senza pietà dagli assalitori, cadendo l’uno dopo l’altro nel vano tentativo di trovare una via di fuga. Solo pochi uomini guidati da Fischer, seppur tossendo di continuo e con la vista appannata, riuscirono a salvarsi e cercarono di riorganizzarsi rientrando verso l’interno della stazione.
Seguirono eventi concitati e drammatici. I mercenari di Bogdan Sakharov si mossero a loro volta quando furono sicuri di aver eliminato ogni resistenza nella zona di attracco. Il più era fatto ma dovevano ancora stare in guardia e non potevano usare altri lacrimogeni, altrimenti avrebbero rischiato di rendere l’aria della stazione irrespirabile. Dall’astronave Synbiomed Patrick si collegò al sistema di comunicazione ed informò i residenti, invitandoli a rifugiarsi nell’area alloggi o nel più vicino riparo finché lo scontro a fuoco fosse terminato. Sebbene la base fosse già in allarme per il frastuono, la sua mossa fu provvidenziale e servì a salvare molte vite, anche se non tutti furono così veloci da sfuggire al terribile fuoco incrociato che la squadra in avanzamento e quella in ritirata si scambiavano.
Gli uomini Titanlab tentarono di raggrupparsi e di creare uno sbarramento nel punto in cui il tunnel principale del ponte di attracco si divideva in tre diramazioni, a destra per raggiungere l’area alloggi, a diritto verso il centro di controllo, a sinistra in direzione dell’osservatorio e dei laboratori. Ma fu tutto inutile. Con un’aggressività ai limiti della spregiudicatezza, quando furono abbastanza vicini i mercenari di Sakharov lanciarono sugli oppositori un paio di granate, facendone strage. Brandelli di carne e schizzi di sangue imbrattarono orrendamente le pareti. Corsero un grave rischio, se avesse ceduto una delle pesanti paratie metalliche la conseguente decompressione li avrebbe scaraventati nel gelido vuoto esterno, dove avrebbero trovato una morte orribile in pochi secondi.
Ferito e sanguinante, Fischer riuscì a raggiungere con due compagni il centro di controllo, che venne ben presto accerchiato. Durante il continuo e disperato ripiegamento spari vaganti sibilarono all’intorno, seminando morte e terrore in chi cercava un riparo per salvarsi la vita. Dal ponte di attracco, nonostante il lavoro al massimo dei generatori atmosferici e dei filtri, cominciava ad arrivare un’aria tossica e maleodorante.
“Gettate le armi e arrendetevi, non avete scampo”, intimò Sakharov prima di tentare l’assalto decisivo.
Con sua sorpresa, i tre superstiti obbedirono e uscirono allo scoperto, forse nel vano tentativo di aver salva la vita. Protetto dai suoi, il capo della squadra Synbiomed entrò e si posizionò davanti a Fischer. Tolta la maschera, venne osservato con stupore dal biondo malconcio.
“Noto che si ricorda di me, capitano. E vedo anche che non le è ata la ione per i coltelli.”
Lo sguardo di molti cadde sulle tre lame che si trovavano accanto ad un computer, le stesse usate da Fischer la sera prima per infliggere dolore a Fiedler e Bokila. Il mercenario russo le raggiunse e ne afferrò una, piantandola con un movimento fulmineo sotto il mento del suo inerme rivale. Ad un suo cenno gli altri due uomini Titanlab vennero bersagliati da spari laser.
Per la stazione spaziale di Tritone era una rapida ed improvvisa sostituzione di potere: ad un dominio armato ne succedeva un altro, non meno temibile.
9
Fu lo stesso Bogdan Sakharov a giungere all’astronave presidenziale per informare che non c’era più pericolo e per rifornire di maschere Patrick, Irina, il presidente e i membri del suo staff, dato che are senza protezione sul ponte di attracco poteva provocare fastidi e irritazioni alle vie respiratorie. Tutti si mossero dietro al russo, che già aveva dato ordini di sistemare il suo quartier generale nel centro di controllo. Giunti allo snodo con cui terminava il ponte, Patrick piegò verso sinistra in direzione dei laboratori, dove sperava di trovare il figlio, che studiava ingegneria informatica e in quei giorni ne curava l’update dei sistemi. Il presidente e il resto del gruppo proseguirono verso il centro di controllo, intimandogli di fare alla svelta.
“Dovrei controllare in un attimo se Pavel sta bene per tornare subito al loro servizio? Ma perché non si fottono?”
Rivolse la domanda alla moglie mentre, allontanatosi quanto bastava per non essere udito, si spostavano di gran carriera verso la loro meta. Lungo il tragitto incontrarono altri compagni della base ancora sotto shock, che si complimentarono per quell’annuncio tempestivo e provvidenziale. Il figlio, del tutto incolume, li vide sopraggiungere e corse ad abbracciarli. Irina si mise a piangere, ma pure l’irlandese aveva gli occhi lucidi.
“Siamo salvi, papà. La Synbiomed ha fatto fuori tutti quei bastardi della Titanlab.”
“Già”, replicò Patrick a bassa voce, evitando di aggiungere altro per non
mortificare il suo ragazzo. Doveva subito dirgli che la stazione era nuovamente occupata e che niente era cambiato rispetto a prima?
Sollevato, notò nei laboratori anche Laura e Robert, spaventati ma illesi. Poi lasciò Irina con Pavel e, nonostante molti reclamassero la sua presenza, si incamminò lungo il raccordo principale della base, non potendo far aspettare oltre i nuovi signori. Era contento di notare come gli altri oramai lo considerassero il capobranco. Greg aveva guidato l’installazione prima della sua partenza per Titano, poi Ximen ne aveva preso il posto, infine lui era divenuto il punto di riferimento con l’aggravarsi della malattia del cinese, venendo investito ufficialmente del ruolo quando l’amico era partito in cerca di terapie più efficaci. Era convinto di non possedere né le capacità organizzative di Greg, né il carisma di Ximen, ma il suo impegno era stato apprezzato e questo gli faceva piacere. Non avrebbe comunque avuto alcun problema a restituire la responsabilità della guida ad uno dei due amici, probabilmente Ximen, poiché Maclean aveva suscitato troppa irritazione fra i residenti superstiti per il suo aggio alla Titanlab. Purtroppo, rifletté con amarezza, chiunque fosse subentrato avrebbe dovuto rendere conto del suo operato alla Synbiomed.
Mentre meditava su questo, si fermò in prossimità del centro di controllo notando un capannello di gente. Vedendolo arrivare, gli altri si scostarono per farlo are. A terra c’erano due corpi, coperti come meglio si poteva da teli improvvisati. La gente intorno aveva gli occhi arrossati, qualcuno piangeva, nessuno però ebbe il coraggio di proferire parola. Patrick si accostò e scoprì i volti con delicatezza. Dapprima si trovò davanti il corpo di Annette, che aveva uno squarcio nel petto. La conosceva poco, ma sapeva che il marito era fra i caduti della battaglia di Marte e che lei stava faticando per riprendersi dopo la sua perdita. Quello che vide sotto il secondo telo fu un colpo ben più duro. Vi giaceva, colpita alla testa, la sagoma di Emma Thorpe, la volitiva compagna di una vita di Bob Cavendish, morta dopo pochi giorni in maniera simile al suo uomo. L’uno per mano della Titanlab, l’altra per colpa di chissà chi nel vortice di spari che aveva imperversato nella base.
Sul momento Patrick non ebbe la forza di rialzarsi, ma solo di piangere. Perdeva un’amica, vice capitano della missione di soccorso New Explorer, che quasi trent’anni prima lo aveva salvato insieme ad Irina, a Ximen, a tutte le persone a lui più care. Dietro le sue spalle Norman, un tecnico addetto alla manutenzione degli impianti, cominciò a raccontare con voce strozzata quello che era successo nei momenti in cui la gente fuggiva per evitare la battaglia. Annette era immobile, in preda al terrore. In due o tre avevano provato a smuoverla senza risultato, si opponeva a ogni aiuto. Piangendo, si era accovacciata a terra. Era peggio che spostare un macigno, perlomeno questo non si sarebbe ribellato a chiunque avesse provato a sollevarlo. Con l’approssimarsi degli uomini Titanlab in ripiegamento, gli impauriti soccorritori avevano desistito. Tutti, ma non Emma, risoluta a salvare ad ogni costo quella donna che conosceva appena, con cui condivideva il trauma di aver perso da poco il marito per opera di uomini violenti.
Patrick si rimise in piedi a fatica, continuando a piangere sommessamente. Mise una mano sulla spalla di Norman e sussurrò una frase con cui intendeva consolarlo, consapevole che poteva fare ben poco per lenire il suo senso di colpa e di impotenza. Cominciava a covare verso quei mercenari una rabbia sorda, che stava soppiantando il timore. Maledette Titanlab e Synbiomed, maledetta la loro guerra senza confini, maledetta la distruzione che stavano spargendo nel sistema solare. Al diavolo la loro rapacità e l’insaziabile fame di guadagni. Maledetta la pena che avevano portato nel cuore di un uomo, che in fondo non aveva altra scelta per salvarsi che scappare e abbandonare chi rifiutava ogni aiuto.
In quel momento dal centro di controllo giunse Bogdan Sakharov, del tutto imibile di fronte alla scena che aveva di fronte. Il presidente era stufo di aspettare e voleva che il capo della stazione lo accompagnasse verso gli alloggi. Nonostante il volto del mercenario incutesse timore, Patrick lo guardò duro e lo sfidò per un attimo, poi si incamminò e cominciò a fare da guida. In molti stavano uscendo dagli spazi abitativi e osservavano perplessi quella strana sfilata, domandandosi se non fossero caduti dalla padella nella brace.
Khaled Mansour chiese subito che venissero aperte le stanze nelle quali erano tenuti prigionieri gli esuli giunti da Marte. Il suo volto divenne radioso, la bocca si spalancò in un sorriso, gli occhi si incendiarono di ambizione e cupidigia quando vide Ximen, finalmente in suo possesso. Si avvicinò subito al cinese e gli disse, stringendogli la mano: “Sono davvero contento di incontrarla. Insieme faremo grandi cose.”
Gli altri si stupirono: si sarebbe detto che Mansour, in qualche modo, fosse a conoscenza del segreto di Ximen. Che la notizia fosse trapelata dai laboratori marziani dove Laura e il dottor Thonglao lo avevano analizzato?
Allegro e sorridente, lui continuò il giro dei saluti, soffermandosi appena più a lungo con Greg.
“Ha avuto coraggio a lasciare la Titanlab, comandante. Ha fatto la scelta giusta.”
Poi venne aperto anche l’ambiente dove erano rinchiusi i quattro attivisti, dal quale dapprima uscirono le due ragazze. Emily si illuminò nel vedere Fabio che, premuroso, le corse immediatamente incontro. Poi giunsero Fiedler e Bokila. I due uomini non erano in buone condizioni, avevano i volti pesti e alcune fasciature nei punti in cui Paola aveva cercato di curare le ferite provocate dai coltelli di Fischer. Mansour si avvicinò dapprima a Fiedler, lodandolo come già aveva fatto con Greg per il suo impegno anti Titanlab. Lui non parve farsi incantare e contraccambiò la stretta di mano con diffidenza. Subito dopo toccò a Leroy.
“È un piacere riaverla con noi. Grazie per il suo prezioso servizio, verrà adeguatamente ricompensato. Voglio subito un rapporto dettagliato.”
A quelle parole, lo sguardo di tutti si volse verso il congolese. Era dunque lui ad aver informato la Synbiomed da Marte o dalle astronavi?
Fiedler era pietrificato. Con gli occhi spalancati e il suo inglese che si induriva di colpo, chiese: “Cosa significa tutto questo, Leroy?”
“Semplicemente che non me ne è mai fregato un cazzo della tua causa spaziale. Mi sono unito a te per fottere la Titanlab perché lavoravo per la Synbiomed.”
Sebbene ferito, Raymond non riuscì a controllare la sua rabbia e si scagliò contro colui che aveva creduto suo amico, ma non riuscì a raggiungerlo per l’intervento di due uomini di Sakharov, che lo ghermirono e immobilizzarono con prontezza.
“Verdammt!”, tuonò furioso, mentre cercava invano di divincolarsi. Ad un gesto di Sakharov, un pugno sul fianco destro lo piegò in due e lo lasciò senza fiato, costringendolo a terrra.
“Le consiglio di rimanere calmo per la sua incolumità. Per il momento resterà in questo buco. Se ne vuole uscire, non faccia scherzi”, disse minaccioso il presidente, il cui tono d’improvviso pareva aver perso ogni sorta di affabilità.
Nonostante le proteste di Paola e il tentativo di mediazione di Greg, Raymond venne di nuovo trasportato nell’alloggio prigione. Il presidente e il suo staff si mossero per occupare il settore abitativo a loro riservato in compagnia di Bokila. Patrick fu costretto ad accompagnarli ancora per poco, poi fece ritorno dagli amici. Come testimoniavano i volti cupi, notò subito che allo stupore per il tradimento e il doppiogiochismo di Leroy si erano sostituiti dolore e tristezza. Evidentemente doveva esser giunta la notizia della morte di Emma e Annette.
Si sentì improvvisamente molto stanco. Da quando gli ex compagni erano giunti nella stazione, a causa della loro prigionia non aveva ancora avuto modo di salutarli come desiderava, un momento che avrebbe voluto con tutto il cuore fosse ben diverso. Rassegnato, disse: “I nuovi padroni non sono migliori dei precedenti, temo. Sono armati fino ai denti e hanno scatenato una battaglia da pazzi. Emma ha cercato di…”.
S’interruppe, con un groppo alla gola.
“Era una generosa. Proprio come te, il nostro testone irlandese. Credo che il più bel regalo che possiamo farle ora è mostrarle che, nonostante tutto, siamo ancora uniti e vogliamo provare a dare un calcio a tutto quello che ci sta capitando. Lei vorrebbe questo. Si può dare una stretta a quel pancione?”
Con gli occhi lucidi, Patrick attirò a sé Martina, che era riuscita a stemperare il dolore generale e a restituire valore a quell’incontro. Poi venne il turno dei saluti con Wei, Fabio e Goldie, cui disse, portando un po’ di allegria: “Ragazzi, quando siete partiti eravate due bimbetti. Mi venga un colpo, siete cresciuti più della mia pancia!”
Poi strinse la mano con cortesia a Juan Pablo e ai tre restanti attivisti, ancora turbati dalla scoperta del vero ruolo di Leroy. La loro opinione nei confronti del colosso africano era andata peggiorando con il are del tempo, ma nessuno immaginava potesse aver giocato così sporco.
Restavano solo Ximen e Greg. Abbracciando il cinese, Patrick affermò: “È un vero piacere riaverti qui sano e salvo, vecchio mio. Sei partito malato e ti ritrovo astrofisico in carriera. Ti ha fatto bene girare per il sistema solare!”.
Ximen sorrise mestamente, la notizia della morte di Emma era dura da digerire pure per lui, e si defilò subito.
Rimasero a fronteggiarsi Greg e Patrick, mentre gli altri si facevano da parte ed uscivano per non interferire. Era meglio che i due uomini se la sbrigassero da soli, dicendosi in faccia quello che pensavano. Martina e Wei si fermarono comunque sulla porta, troppo curiose di vedere come sarebbe andato il confronto.
Sul momento l’imbarazzo impedì ad ambedue di proferire parola, ma si guardarono negli occhi con franchezza. Dopo un po’, Greg disse: “Non è un gran momento per fare discorsi, ma voglio dirti che sono stato uno stronzo a lasciarvi. L’ambizione mi aveva accecato e mi ha impedito per anni di notare le schifezze della Titanlab. Sarei dovuto restare qui con voi. Ti chiedo scusa.”
Sforzandosi per parlare, Patrick replicò: “Emma è appena morta e non so se riesco a dirti quello che ho in serbo da anni. Avrei tanto voluto farlo in circostanze diverse…”.
Deglutì, poi l’abbozzo di un sorriso comparve sul suo volto. “Le tue scuse possono andare, ma ci vuole una penitenza, tipo l’ammissione della superiorità dell’Irlanda sulla Scozia.”
Greg parve stupirsi, respirò profondamente e sorrise a sua volta. Non poteva esserci perdono migliore di quel ritorno ai vecchi motteggi. Patrick aveva dato un colpo di spugna alle incomprensioni nel miglior modo possibile. Con gli occhi lucidi, replicò: “Mi spiace, non posso proprio farlo. Ma posso dire questo: rompiscatole d’un irlandese, mi sei mancato da morire!”
Sotto lo sguardo carico d’approvazione di Wei e Martina, ambedue commosse, i due uomini si abbracciarono. Il vecchio team di esploratori spaziali, che anni prima aveva incantato e salvato la Terra con il suo coraggio, adesso era pienamente ricostituito.
10
I due amici ritrovati sedevano nella cabina privata del leader della base, che era stata un tempo di Greg, poi di Ximen, infine di Patrick. Avevano già parlato un po’ di Titano e delle sue meraviglie, poi di Marte e della dura battaglia che vi si era consumata, quando Patrick estrasse da un mobiletto due bicchieri e una bottiglia di whiskey irlandese.
“Credevo avesse fallito da un pezzo”, disse Greg leggendo in etichetta il nome del produttore, una piccola distilleria nella punta sud-ovest dell’isola.
“In realtà ha chiuso solo per tre anni, poi è stata rilevata da una compagnia più grande, pur mantenendo il nome. Come vedi, quanto al nostro amato distillato le multinazionali non sono poi così nocive.”
Patrick sorrise e riempì il fondo dei due bicchieri, porgendone uno a Greg.
“Non male per essere irlandese. Non credevo tu avessi qui simili prodotti.”
“È roba di qualche anno fa. Ultimamente era impossibile farla arrivare, non avevamo neppure i fondi per le medicine. L’ho conservata per un’occasione speciale.”
Greg si offuscò, pensando a quello che dovevano aver ato i vecchi amici mentre lui dirigeva la base di Titano. Amareggiato, disse: “Mi spiace…”.
“Non devi. Hai ricevuto un ottimo incarico. Da gente stronza, d’accordo, ma non lo sapevi. Non hanno scelto a caso, hanno preso chi aveva maggiore esperienza e capacità di organizzazione. Magari ci sarei andato anch’io, se mi avessero chiamato. Inoltre, anche noi potevamo evitare di tagliare del tutto i ponti, ma…”
“Ma non si doveva parlare con il traditore.”
“Qualcosa del genere.”
I due uomini tacquero brevemente. Greg dette un’occhiata tutt’intorno.
“Questo arredamento è stato scelto da Ximen, suppongo.”
“Da Wei, vorrai dire. Figurati se lui avrebbe fatto delle modifiche a quello che avevi lasciato tu. Io sono stato costretto a non toccare niente per limitare le spese, altrimenti avrei subito tolto questa roba dai tratti orientali. Diciamo che un allestimento in legno stile irish pub sarebbe andato molto meglio.”
Dopo aver bevuto un sorso, Patrick aggiunse con una nota di tristezza: “Il corpo di Emma giace sfigurato e io mi metto a fare battute. Sono proprio uno stupido.”
“È il tuo modo di reagire. Nascondi il tuo dolore e stemperi quello altrui, te ne
siamo tutti grati.”
“Anni fa senza lei e Bob avremmo fatto una brutta fine. Ed ora sono morti entrambi, noi siamo ancora vivi.”
Calò un silenzio pesante, ma l’irlandese riprese quasi subito: “Hai due ragazzi fantastici. Sembrano proprio in gamba.”.
“Anche Pavel non scherza. Ha il tuo carattere, si nota subito. E pare un vichingo, massiccio com’è e con quella lunga chioma bionda.”
“Massiccio? Dì pure cicciottello.”
“Dagli una ragazza che lo metta in riga, poi dimagrirà.”
“Possibile, ma non scontato. Ce l’ha fatta Irina con me?”
Greg sorrise, pensando quanto a suo tempo l’amico avesse corteggiato la bionda siberiana venendo respinto, ma alla fine la sua caparbietà aveva avuto ragione, anche se la ripetuta promessa di perdere peso era rimasta nell’almanacco delle buone intenzioni.
“Cosa pensi della nuova situazione della base?”, chiese interrompendo il flusso dei ricordi.
“Siamo nella merda, highlander. Coloro che costituivano le nostre speranze non sembrano migliori dei tuoi ex datori di lavoro.”
Greg annuì e distolse lo sguardo, fissando per terra. Doveva subito discutere della questione, sebbene gli opprimesse il petto come un macigno. Gli sembrava assurdo, quasi una punizione del destino dover perdere chi desiderava ritrovare da tanto, ma sapeva che non c’era un’altra soluzione. Patrick si accorse del suo stato di smarrimento e domandò: “Qualcosa non va?”.
Lo scozzese si concesse del tempo prima di rispondere, infine disse: “Ho parlato con gli altri. Purtroppo dobbiamo lasciare anche questa base.”.
“Cosa? Stai scherzando?”
Greg si prese il volto fra le mani, poi cominciò a massaggiarsi le tempie.
“Speravamo tanto di ritrovare qui una casa, ma a questo punto sappiamo che non è così. È incredibile, siamo degli homeless del sistema solare. Ximen deve andarsene ad ogni costo, Wei lo seguirebbe in capo all’universo, io e la mia famiglia andremo con loro. Non possiamo abbandonarli, inoltre abbiamo già vissuto per anni su Titano sotto il controllo di una multinazionale e non vogliamo ripetere l’esperienza.”
Patrick aveva accusato il colpo. Sussurrò con un filo di voce: “La Synbiomed ha unghie affilate, d’accordo, ma non sembrano malintenzionati nei vostri confronti. Perché andare via?”.
“Grazie a quel dannato di Bokila sanno di Ximen. Lo vivisezioneranno, lo massacreranno come avrebbe fatto la Titanlab, finché non scopriranno il suo segreto. Hanno in mano l’opportunità di raggiungere, anzi di superare i rivali in un batter d’occhi. Non se la lasceranno scappare.”
“Ma sarebbe davvero così grave se scoprissero quanto desiderano?”
“Temo di sì. Forse Ximen non te ne ha parlato mentre eravamo in viaggio, del resto era sempre impegnato a studiare. Quei batteri lo stanno mettendo a dura prova. Gli danno incredibili facoltà, è vero, ma costituiscono anche un gran peso. Wei se ne è accorta da tempo ed è molto preoccupata.”
“Non è detto che se avessero il segreto dell’integrazione con il corpo umano lo metterebbero subito a disposizione dell’umanità.”
“Purtroppo temo non aspettino altro. Si tratterebbe di ricavi stellari, chi non sarebbe disposto a spendere una fortuna sapendo quanto potrebbero aumentare le sue facoltà? Il problema è che l’uomo non è pronto per un simile salto, che andrebbe oltre ogni limite. Non abbiamo la necessaria maturità e ciò è ben visibile in Ximen, che fa fatica nonostante la sua statura morale. In viaggio era spesso rabbioso, terribilmente affamato di risultati ad ogni costo. Wei dice di non averlo mai visto così prima d’ora. A volte vorrei non avergli iniettato quella provetta, ma non c’erano alternative.”
Patrick sospirò e bevve un sorso. Gli sembrava di avere un macigno sulle spalle.
“E quando vorreste partire?”
Capì la risposta dalla faccia di Greg.
“Stasera?”
“È l’unica soluzione. Dobbiamo andarcene prima che inizino a studiare Ximen. Inoltre i soldati stanno festeggiando la vittoria bevendo un po’ troppo e la sorveglianza promette di essere allentata. È la nostra unica occasione prima che instaurino un rigido controllo.”
“E dove vorreste andare?”
“Ancora non lo sappiamo. Io ho un’idea, ma non ne ho parlato con gli altri.”
“Chi sarete?”
“Più o meno quelli giunti da Marte, tranne Laura e Robert, loro non partiranno. Non ne possono più e li capisco. Desiderano solo rivedere i loro figli e per questo cercheranno di raggiungerli appena possibile su Ganimede. Sai questo cosa significa.”
“Che avrete bisogno di un altro ufficiale medico, a meno di prendere in considerazione l’ipotesi di non averne uno a bordo.”
“Sarebbe una pazzia, con Ximen che ha bisogno di analisi continue. C’è qualcuno che ti viene in mente nell’infermeria?”
“Un’idea ce l’ho, ma devo verificare. È una persona in gamba ma ribelle, non credo possa tollerare questa situazione.”
“Ok. L’astronave è già pronta, vero?”
“Sì. Quel fottuto sadico di Fischer era terribilmente metodico e ci ha imposto di prepararne una con settimane di anticipo. È la Red Giant. Tu non la conosci, è stato uno dei pochi investimenti di questi ultimi anni, ma ti garantisco che è un buon veicolo.”
“Bene. Quanto all’attivazione della procedura di decollo, si può ancora fare da qui?”
“Sì, non è cambiato niente rispetto ad anni fa. La cosa verrà segnalata nei computer del centro di controllo, ma non dovrebbe essere un problema se sono tutti intenti a bere come spugne.”
A quel punto i due uomini si guardarono negli occhi, afflitti dall’idea di doversi separare di nuovo. Lo scozzese provò a chiedere: “Tu e la tua famiglia cosa farete? Qualche possibilità che veniate con noi?”.
Patrick fece una pausa. Bevve un sorso e parve meditare. Infine disse, fissando
l’etichetta della bottiglia: “Temo di no. Anche se occupata, questa base è la nostra casa e Pavel è cresciuto qui. Vi darò comunque una mano a fuggire.”.
Greg si aspettava una risposta di questo tipo, ma una morsa gli serrò comunque il petto. Stavano per giungere momenti davvero duri, in cui avrebbero dovuto separarsi in fretta, facendo finta che tutto rientrasse nella normalità. Sarebbe stata una specie di tortura, ma non potevano rischiare di venire scoperti.
“Vi capisco. Noi siamo venuti via da qui da tanti anni, ma per voi è diverso”, disse lo scozzese comprensivo.
Quasi volendo cambiar discorso, Patrick chiese: “Che sarà degli attivisti che sono giunti con voi da Marte?”.
“Il cileno salirà sulla Red Giant. Non vuole restare un minuto di più, odia le multinazionali. Ha perso dei parenti cari a causa della Titanlab ed ora Annette, per cui aveva un debole. Come lui farà Emily, la fidanzatina di Fabio. L’altra, Paola, dice che non si muove senza Fiedler. Dobbiamo trovare il modo di farlo uscire dalla prigione, non possiamo abbandonarlo. Ha un carattere a volte insopportabile, ma è un combattente nato e ci ha salvato in un paio di occasioni. Glielo dobbiamo.”
“È un casino, non sarà facile tirarlo fuori senza dare nell’occhio. Dovremo studiare bene il da farsi.”
Parlarono ancora un po’ cercando di ipotizzare un piano, poi uscirono dalla cabina, spostandosi all’inizio del corridoio di collegamento fra gli alloggi e il centro di controllo. L’idea di salutarsi a così breve distanza dalla loro
riconciliazione era insopportabile, così avevano evitato di farlo, ma la consapevolezza che in seguito non ci sarebbe stata occasione gravava terribilmente sul cuore di entrambi. Eppure lo stupore prevalse nel vedere Wei andargli incontro di gran carriera, agitata come non mai e con le lacrime agli occhi. Controllandosi a stento, quando li raggiunse lei disse sconvolta: “L’hanno preso. Questi bastardi non hanno saputo aspettare neppure qualche ora. Sono piombati nei laboratori il presidente e il capo dei mercenari con un paio di uomini. Qualcuno si è opposto, ma hanno usato le maniere forti e l’hanno portato via.”
“Destinazione?”, chiese Greg, cui si era gelato il sangue nelle vene.
“Forse l’astronave presidenziale, dato che si sono mossi verso il ponte di attracco.”
La situazione si ingarbugliava non poco, prima della fuga si rendeva necessaria una pericolosa missione di salvataggio. Dannazione, La Synbiomed era padrona della stazione e poteva disporre di Ximen a suo piacimento, che bisogno c’era di metterlo subito alla sbarra? Che avessero intuito qualcosa dei loro propositi di fuga?
Quasi a conferma di quei sospetti, videro Leroy Bokila sbucare dal centro di controllo. Il traditore si mosse verso di loro e cominciò a scrutarli curioso, con occhi indagatori. Imprecando a bassa voce, si dileguarono in fretta.
Leroy osservò i tre in allontanamento, dando tregua per qualche istante al vortice dei suoi pensieri. Era infatti profondamente insoddisfatto del colloquio avuto con il presidente, che tanto per cominciare non aveva preso in considerazione le sue proteste per il mancato avvertimento che la stazione era sotto il controllo della Titanlab. Così si erano trovati prigionieri per più giorni e in balia di Fischer, il
che non aveva costituito un’esperienza da scrivere nel libro dei ricordi. Se non fosse stato per l’eccessiva sicurezza di quel dannato maniaco, il programma di sevizie sarebbe iniziato prima e lui e Fiedler avrebbero subito conseguenze ancor più pesanti. Per di più, Mansour aveva mostrato subito la sua fame di potere e di profitti con l’immediato raid nei laboratori per ghermire Ximen, dando ad intendere che la Synbiomed non era migliore della Titanlab. Che occasione persa, e dire che un presidente africano aveva dato adito a tante speranze.
Bokila continuò a guardare Patrick, Wei e Greg che scomparivano negli alloggi. Aveva il sospetto che la loro intensa conversazione non fosse solo il tentativo di riallacciare un rapporto fra vecchi amici, sapeva bene quanto fossero indomiti alcuni di coloro che erano stati suoi compagni di viaggio nel sistema solare e questo lo induceva a pensare che non si sarebbero arresi neppure ai nuovi padroni.
Guardingo, piegò a destra prendendo il corridoio che portava al ponte di attracco, con l’intento di fare un giretto completo della stazione: forse avrebbe fatto comodo avere un’idea più chiara su come erano presidiati i punti strategici.
11
L’orario serale calò in un’atmosfera surreale. La base era occupata dai mercenari di Sakharov, rumorosi ed intenti a consumare le scorte di vodka che si erano portati dietro. A seguito degli ordini del loro capo svolgevano di malavoglia i turni di guardia, dato che ai residenti, frastornati e impauriti, era stato imposto un coprifuoco notturno a partire dalle dieci. Nei corridoi si respirava un’aria malsana che puzzava di morte, sostanze chimiche e alcool. Nelle zone dove più aveva infuriato la battaglia l’odore di bruciato e di esplosivi dava il voltastomaco.
Alle undici l’unica zona davvero vitale era il centro di controllo, dove proseguiva la festa. Con la gente rintanata nelle sue cabine, i pochi soldati barcollanti che dovevano presidiare i corridoi svolgevano il loro compito con l’unico desiderio che giungesse presto il momento del cambio per unirsi ai compagni. Era così per tutti tranne che per Sergej, di vigilanza nell’area alloggi nella zona in cui era rinchiuso Raymond Fiedler, che cominciò a pensare che quel turno di guardia poteva diventare davvero piacevole. D’improvviso, nonostante il coprifuoco, gli si parò davanti una bellezza mediterranea con una scollatura da mozzare il fiato. Avvicinatasi con fare provocante, disse che era la ragazza di Fiedler e che desiderava entrare per trascorrere un po’ di tempo con il suo uomo.
Inebriato dall’alcool e da quei seni prosperosi, Sergej non se lo fece ripetere due volte. Afferrata Paola per un braccio, le disse: “Certo che potrai vedere il tuo uomo, bellezza! Prima, però, che ne dici di fare un po’ di compagnia anche a me?”
Strattonandola, il soldato la trascinò fino alla porta di un alloggio limitrofo non occupato. La spinse dentro con foga e fu sul punto di saltarle addosso, quando alle sue spalle un oggetto metallico gli venne calato sulla testa con forza. Dato che il primo colpo non parve sufficiente per tramortirlo, ne seguì un altro paio. Raggiunto lo scopo, Juan Pablo si fece aiutare da Paola e spostò l’uomo in bagno, dove lo chiuse legato ed imbavagliato, non prima di essersi impossessato della sua arma laser. Quando entrambi tornarono nel corridoio vennero raggiunti da Greg e Patrick, che aprì con facilità la porta della stanza prigione di Fiedler.
Lui si stupì ed esultò per quella visita inaspettata, abbracciò Paola, la baciò e poi strinse la mano agli altri tre. Proprio nel momento in cui stavano per uscire, un rumore alle spalle li insospettì. Sulla porta apparve un altro dei mercenari di Sakharov, evidentemente richiamato dal frastuono, che pareva meno soggetto ai fumi dell’alcool della guardia appena sistemata. I cinque impallidirono e si sentirono perduti. Juan Pablo provò ad afferrare la pistola, ma il rivale fu più veloce e gli puntò la sua al petto. Non poté però fare fuoco. Mani nere lo afferrarono da dietro, mani forti come morse, che gli serrarono il collo e ne spezzarono l’osso con un paio di movimenti decisi. Il mercenario si afflosciò a terra privo di vita, mentre alle sue spalle emerse la figura imponente di Leroy Bokila.
“Tu? Cosa cazzo ci fai qui?”, domandò sorpreso Fiedler.
Il gigante nero evitò di rispondere e si chinò sul corpo del mercenario che giaceva ai suoi piedi per prenderne la pistola.
“Non possiamo lasciarlo qui. Togliamolo di mezzo alla svelta, ne potrebbero arrivare altri.”
Nascosto il cadavere, il gruppetto fu pronto per muoversi, ma prima Greg
informò Fiedler dei loro propositi e degli sviluppi relativi a Ximen. Alla fine, lui commentò: “Se vogliamo accedere all’astronave presidenziale dovremo sapere quanti soldati di pattuglia ci troveremo davanti.”
“Non molti, se siamo accorti e fortunati”, si inserì Bokila. “Solo un paio di guardiani che stanno smaltendo la sbornia nel punto dove i corridoi confluiscono al ponte di attracco. Posso occuparmene io senza problemi, mi credono uno di loro. Lì troveremo altre armi, ma per il momento accontentati di questi, erano incustoditi nel centro di controllo.”
Fiedler guardò stupito e diffidente i tre coltelli che il gigante nero gli porgeva. Erano quelli che Fischer aveva usato per torturarli la sera prima. Esaminò con occhi carichi di sospetto il suo ex compagno, il cui atteggiamento pareva radicalmente cambiato rispetto al periodo in cui aveva preso ordini da lui. Con tono duro, chiese: “Chi cazzo sei veramente, Leroy?”
Capendo che non poteva più sottrarsi, l’uomo spiegò brevemente: “Sono un agente dell’Unione Africana. Come sapete, nella sfida fra le multinazionali l’Africa è penalizzata e sfruttata, non riceve i prodotti della moderna biologia di sintesi e serve solo come base d’appoggio per sedi industriali. L’organizzazione per cui lavoro mi ha dato mandato di unirmi a te per colpire la Titanlab e aiutare la Synbiomed, nella speranza che qualcosa potesse cambiare per il mio continente. Le nostre speranze sono aumentate quando come presidente della Synbiomed è stato eletto un egiziano, ma sono state effimere. Il colloquio che ho avuto con Mansour mi ha definitivamente convinto che per l’Africa non cambierà niente.”
“Quindi vuoi unirti di nuovo a noi?”, chiese Greg.
“Sì, se posso. Per l’Africa e per tutta la terra, a questo punto è meglio se lottiamo
per fare uscire Ximen da qui.”
“Qual è il tuo vero nome?”, domandò Fiedler, ancora sospettoso.
“Lascia perdere. Ne ho cambiati tre o quattro negli ultimi anni. Meglio che continuiate a chiamarmi Leroy.”
“Ma conoscevi Kevin Harris. Nella Delta Force devi esserci stato.”
“Sì, ma sempre come inviato sotto mentite spoglie dell’Unione Africana. Diciamo che me lo hanno imposto come tirocinio formativo.”
Leroy sorrise. Le domande parevano essere cessate ed il suo ruolo chiarito. Ma fu Paola a voler sapere un’altra cosa che le stava a cuore: “E la corte per Emily e l’ostilità dopo la perdita delle gambe? Una finzione anche quelle?”
“Fare il cascamorto con lei era una buona copertura. Dopo l’incidente ho realizzato che si era innamorato di lei il ragazzo di Greg, così mi sono tirato indietro. Ora vogliamo toglierci di qui?”
“Che figlio di puttana!”, esclamò Fiedler convinto, ma stavolta il suo tono non aveva l’accento duro delle cattive occasioni. Si fece avanti verso Bokila, e protese la sua mano destra per stringere quella dell’altro all’altezza del petto, ripetendo così quel gesto simile ad un braccio di ferro in aria che aveva espresso in ato la loro unione d’intenti.
“Sei di nuovo dei nostri, bastardo d’un congolese. Ammesso che tu sia congolese per davvero.”
“Lo sono. Andiamo.”
Circospetti, i sei uscirono dalla stanza nel corridoio deserto con l’intento di unirsi al resto del gruppo, che attendeva con impazienza.
Nell’astronave presidenziale Chen Ximen e Khaled Mansour avevano finito di cenare. Nel piccolo alloggio del presidente il cinese guardava afflitto la fetta di torta alle mele che aveva davanti, di cui aveva assaggiato un solo boccone. Aveva lo stomaco chiuso e non si era gustato affatto la cena dopo quel primo round di analisi svolte da un medico e da un biologo del team di Mansour. Sapeva che era solo l’inizio di una lunga serie e che il peggio doveva ancora arrivare, in più durante il pasto il presidente non aveva fatto altro che magnificare la sua presenza a bordo della stazione e l’apporto fondamentale che lo studio del suo organismo avrebbe dato alla Synbiomed e a tutta l’umanità. In poche parole, oltre al danno per lui si aggiungeva la beffa.
Quando finalmente Mansour tacque per qualche istante, Ximen prese la parola e lo fissò dritto negli occhi.
“Non caverete un ragno dal buco. La Titanlab ci sta battendo la testa da mesi, eppure sono ad un punto morto.”
Mansour fece una faccia stupita, ma si impose di essere cordiale.
“Loro non hanno la vera chiave di volta”, disse sorridente, facendo un eloquente cenno verso Ximen. “Analizzandola avremo in mano i batteri alieni, sapremo come possono operare alle condizioni terrestri ed infine conosceremo il segreto della loro integrazione con il corpo umano. Avremo tutto.”
“Sono già stato studiato su Marte e nella New Explorer senza alcun risultato. Non crede che sia già sufficiente?”
“No. Qui possiamo svolgere test più approfonditi e con personale più qualificato. Scoprendo anche la modifica genetica che consente a quei microrganismi di operare nel suo corpo soreremo i nostri rivali.”
“La fa facile. A differenza della Titanlab non sapete niente degli studi di Subramani. Dovete partire da zero.”
“Ma il tempo non ci manca, non le pare?”
Con un ampio sorriso e una cortesia formale che acuiva il grande fastidio di Ximen, Mansour si alzò, dando ad intendere che per lui quella conversazione era finita. Il cinese insisté: “Possedere questi batteri non è affatto semplice. Mi creda, la loro gestione richiede una grande forza. Sarebbe scriteriato darli in pasto all’umanità, un gesto da folli.”
“Tutt’altro. Sarà una grande conquista, e sarà la Synbiomed a farla. Facendola pagare a peso d’oro, ovviamente.”
Trionfante, Mansour si mosse e fu sul punto di chiamare Bogdan Sakharov per far accompagnare Ximen nei suoi alloggi, ma venne anticipato dal suo interlocutore, che in cuor suo stava perdendo la battaglia. Era allo stremo, non avrebbe tollerato altri giorni di analisi. Voleva solo che tutto finisse e sapeva bene che i batteri alieni avrebbero dato manforte alla sua volontà. Disse con voce stanca: “Chiami qui i suoi dottori. È inutile che impazziscano dietro a tante valutazioni, sarò io stesso a dirvi ciò che vi interessa.”
Il presidente cessò di sorridere e si fermò, perplesso. Sul punto di ribattere, venne ridotto al silenzio da Ximen, che ringhiò picchiando un pugno sul tavolo: “Si muova, cazzo! Chiami qui quei due burattini! In un’ora scopriranno più di quanto potrebbero studiare da soli in un mese.”
Gli occhi di Mansour scrutarono interrogativi il cinese, la cui espressione era cambiata. Adesso la sua faccia era un fascio di nervi e gli occhi sprizzavano lampi. Dopo aver riflettuto per un attimo, lasciò perdere Sakharov e chiamò i suoi analisti.
Leroy Bokila si presentò dalle due guardie che presidiavano l’inizio del ponte di attracco con una bottiglia in mano. La posò per terra e disse, gioviale: “Ragazzi, ho portato i rinforzi!”
I due si misero a ridere. Quello più alto e robusto esclamò fragorosamente: “Bastardo d’un negro, stavolta ci hai proprio indovinato! ami quella bottiglia, non vorrei ritrovarmi sobrio.”.
Leroy rise a sua volta e fece cenno di chinarsi, ma di colpo estrasse due pistole. Prima ancora che i mercenari potessero rendersi conto di quanto stava accadendo, i loro corpi giacevano a terra con la testa dilaniata. Li spostò in fretta e furia, poi chiamò via radio gli altri.
Dagli alloggi giunsero la famiglia di Greg, i tre attivisti guidati da Fiedler e Juan Pablo. Dietro di loro c’erano Patrick, Irina e Pavel, che si erano convinti a partire con grande gioia di Greg dopo che Pavel era stato picchiato e minacciato con un’arma nel blitz ai laboratori per prendere Ximen. Chiudeva il gruppo Edward Arper, un nativo di Marte alto e magro con un volto dai lineamenti duri ma intensi. Affascinato da piccolo dalla missione Explorer, si era trasferito su Tritone al termine degli studi universitari per prestare servizio come ufficiale medico. Odiando le multinazionali e tutto ciò che si opponeva all’esplorazione del cosmo, aveva accolto a braccia aperte l’invito di Patrick.
“Dobbiamo sostituire questi due”, osservò Fiedler, “dal centro di controllo potrebbero notare la loro assenza ed insospettirsi.”
Dovettero convenire che Raymond aveva ragione. Sarebbe stato rischioso per chi avesse preso il posto dei soldati, ma anche degli ubriachi avrebbero notato che il presidio era scoperto. Nonostante i timori dei genitori, dopo una veloce valutazione si optò per Pavel e Fabio, essendo di età e corporatura simili ai mercenari assassinati. I due ragazzi ne indossarono le uniformi e si piazzarono all’imbocco del ponte di attracco con i berretti d’ordinanza a coprire il volto il più possibile. Juan Pablo si nascose dietro di loro per dare o in caso di bisogno, non prima che si fossero spartiti il materiale a disposizione. Ricetrasmittenti per le comunicazioni a distanza non mancavano, ma c’era bisogno di altre armi. Le due pistole appena guadagnate rimasero nelle fondine di Pavel e Fabio per dare credibilità al loro ruolo, una restò nelle mani di Bokila, la quarta venne data a Juan Pablo su insistenza di Fiedler, che dichiarò di essere soddisfatto dei suoi coltelli.
Il resto del gruppo cominciò ad inoltrarsi verso le astronavi. Di fronte all’uscita che conduceva al veicolo presidenziale, Paola baciò Raymond e gli augurò in bocca al lupo con le lacrime agli occhi. Lui stoppò con decisione i tentativi di saluto degli altri, contro cui inveì come a volersi dare la carica. Si erano offerti di partecipare all’azione ma non li voleva fra i piedi, sarebbero stati solo
d’intralcio.
“Vaffanculo, non fate queste facce. Torneremo. Secondo le stime di Leroy là dentro sono in tre, ma avremo il vantaggio della sorpresa. Prenderemo Ximen e partiremo tutti insieme.”
Respirando profondamente e concentrati al massimo, Raymond e Leroy lasciarono il gruppo. Prima di potersi sottrarre alle grinfie della Synbiomed li attendeva un’ultima, decisiva battaglia.
Khaled Mansour era sempre più convinto che quello fosse il suo giorno fortunato. Avevano preso il controllo della stazione e sterminato le forze della Titanlab. Ximen era finalmente in suo possesso, ma quanto stava accadendo andava al di là delle più rosee previsioni. Non avrebbe mai pensato che fosse proprio il cinese a rendere tutto così facile, svelando il funzionamento dei batteri alieni in ogni aspetto. Con l’aiuto dei due esperti, intenti a registrare ogni informazione utile nei loro computer, in breve erano già noti alla compagnia quali fossero i due inserimenti genetici necessari per rendere i microrganismi capaci di operare alle condizioni terrestri. Identificati i due donatori, il batterio idrocarburoclastico alcanivorax e il mangiagrassi akkermansia muciniphila, nonché le sedi di taglio per l’inserzione dei frammenti di DNA.
La materia prima era stata estratta dal corpo di Ximen ed era pronta per essere analizzata, riportata al prodotto grezzo, moltiplicata. Ma non bastava. Mansour voleva tutto, e subito.
Per questo si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò a Ximen. Sorridente e cortese, gli posò una mano sulla spalla e disse: “Signor Chen, ci è stato molto utile. La ringraziamo per questo. Adesso completi l’opera, ci dia l’ultimo segreto, quello che manca anche alla Titanlab. Ci aiuti a capire come effettuare la modifica
genetica, grazie alla quale i batteri possono convivere con il suo organismo.”
Ximen guardò l’uomo con aria stravolta. Era sfinito, l’analisi appena effettuata lo aveva depauperato di ogni energia. Disperato, sussurrò: “Presidente, la prego, mi lasci andare. Sono molto stanco. Continuiamo questo discorso domani.”
Mansour non voleva mollare la presa. L’indomani la situazione forse sarebbe cambiata, magari il cinese avrebbe offerto minore collaborazione. Andava battuto il ferro finché era caldo.
“No. Coraggio, può farcela. Ci consegni l’integrazione fra quei microrganismi e l’uomo, poi sarà libero. Sarà libero, per sempre.”
Gli occhi di Ximen divennero ancora più vuoti e la sua mente tornò a pensare vorticosamente. Libertà, libertà, ecco cosa cercava disperatamente. Sì, un ultimo sforzo, a costo di cedere, per trovare la libertà cui anelava. Avrebbe perso le sue straordinarie capacità, ma nessuno si sarebbe più interessato a lui.
Sentì finalmente dentro di sé il desiderio bruciante di compiere il o che in altre occasioni aveva tentato invano. Sotto lo sguardo compiaciuto di Mansour i suoi muscoli facciali si contrassero di nuovo e il respiro si fece affannoso. La ricerca dell’ultima frontiera di Subramani pareva cominciata.
Senza mettere in allarme gli altri all’interno, Fiedler e Bokila si sbarazzarono facilmente dello svogliato sorvegliante che trovarono davanti all’astronave presidenziale. Ulteriore vantaggio, adesso anche Raymond aveva una pistola. Non sapendo dove potesse trovarsi Ximen i due si divisero, entrando l’uno dal portellone di poppa, l’altro da quello di prua. Rimanendo in costante contatto,
cominciarono a setacciare l’astronave tesi come non mai. Procedevano guardinghi negli spazi semi oscuri, scarsamente illuminati dalle poche luci ridotte al minimo. L’ambiente era spettrale e conferiva un senso di profonda inquietudine.
Fu Leroy il primo a imbattersi in uno degli altri due mercenari, ma in un modo per lui inaspettato e pericoloso. L’uomo si materializzò di colpo alle sue spalle e blaterò qualcosa in russo con tono nervoso, puntandogli una canna alla schiena. Dannazione, come aveva fatto a non sentirlo? Da dove diavolo usciva, forse da un giro di controllo? Il suo alito non pareva puzzare d’alcool, il che peggiorava la situazione.
“Ehi, amico, abbassa quell’affare. Sono dei vostri, ricordi?”, si sforzò di dire nonostante che il sangue gli si fosse gelato nelle vene.
“Cosa diavolo ci fai qui?”, replicò l’uomo nel suo inglese stentato.
“Porto un messaggio riservato per il presidente dal centro di controllo. Verifica pure, se vuoi.”
Leroy sapeva che la verità sarebbe venuta subito a galla e che se avesse dato tempo al mercenario di informarsi via radio sarebbe morto. Nonostante il rischio, doveva agire immediatamente. Si voltò più velocemente che poté, cogliendo l’avversario di sorpresa. Con una mano cercò di rendere inoffensiva l’arma che lo minacciava, con l’altra sparò a distanza ravvicinata, ma non fu l’unico a fare fuoco dato che l’altro riuscì a mantenere la presa sulla pistola. I due colpi partirono in contemporanea: l’uno sfigurò il volto del russo uccidendolo all’istante, l’altro colpì il bicipite del braccio sinistro del congolese, che urlò, perse l’arma e si piegò a terra. Rimase accovacciato per parecchi secondi, necessari per metabolizzare il tremendo dolore. Una ferita da laser non era uno
scherzo, il braccio mandava fitte da impazzire, poteva sentire l’odore nauseabondo dei tessuti bruciati. Per fortuna pareva che nessuno si fosse accorto delle urla e dello scontro.
Quando fu in grado di rimettersi in piedi, recuperò la pistola e chiamò Fiedler. Dal tono di voce, lui capì subito che qualcosa non andava.
“Che è successo?”
“Ho fatto fuori un altro di loro, ma mi ha beccato al braccio sinistro.”
Fiedler imprecò, poi meditò per un po’ sul da farsi. Infine disse: “Non puoi combattere in queste condizioni. Se trovo il loro capo e non riesco a fotterlo subito, cercherò di attirarlo verso prua. Tu allora salva Ximen.”
La comunicazione cessò prima che Leroy potesse replicare. Non voleva lasciare solo Raymond, ma si rendeva conto che affrontare un combattimento in quelle condizioni sarebbe stato un mezzo suicidio.
Dall’altra parte, Fiedler continuò a spostarsi con i sensi all’erta, finché giunse a delle scalette in discesa bene illuminate. Capì subito di aver fatto bingo e di aver trovato il luogo dove era rinchiuso il cinese. La scala scendeva curvando leggermente verso sinistra, per questo era difficile vederne la fine. Scelto l’angolo che offriva la miglior visuale, ebbe la conferma che cercava intravedendo la sagoma di un militare in fondo, nel vano davanti ad una porta. Un’altra scaletta pareva salire dalla parte opposta. Era più o meno nel centro del veicolo, probabile che avesse trovato le stanze di Mansour. Tiratosi indietro parecchi metri avvertì Leroy, che dopo qualche minuto dette conferma di aver
individuato anche dalla sua parte un’altra scala illuminata.
“Bene. Ripeto, agisco io, tu saresti un bersaglio troppo facile. Comunque vada, scendi quando capirai che non c’è più pericolo.”
Leroy si pose in attesa e socchiuse gli occhi, dolorante e irritato per non poter partecipare all’azione. Sentì dei colpi e sperò che fosse tutto finito, ma con angoscia udì quasi subito altri spari. Pur non potendo vedere, capì che quel volpone di Sakharov all’ultimo momento si era accorto dell’attacco e ava al contrattacco. Era abile, dannatamente abile, e dietro quello sguardo di ghiaccio i suoi sensi erano sempre vigili. Le detonazioni proseguirono verso prua, in allontanamento. Leroy provò a ricontattare Fiedler, ma lui non dette risposta. Intuì che la fuga, sotto l’incalzare del russo, da piano secondario per liberare l’accesso rischiava di trasformarsi in drammatica necessità.
Poi, muovendosi lentamente per le fitte che gli trasmetteva il braccio colpito, discese la scaletta sorreggendosi alla meglio con l’altra mano, senza mollare la presa della pistola.
Fabio e Pavel si guardarono impauriti, consapevoli che sarebbero stati presto attaccati e che non avevano alcuna possibilità di reggere l’urto. Avevano fatto del loro meglio e finora se l’erano cavata bene. Con il volto coperto il più possibile, non li aveva riconosciuti neppure qualche turnista di aggio della base con il permesso di infrangere il coprifuoco, anche perché tutti evitavano di guardare i soldati. Erano rabbrividiti quando ad un certo punto avevano sentito in cuffia una voce in russo, ma Pavel se l’era cavata alla grande, giocando l’unica carta a sua disposizione: con prontezza aveva ruttato rumorosamente nel microfono suscitando l’ilarità di chi li stava chiamando in causa, che aveva staccato la comunicazione dopo una fragorosa risata. Ma stavolta le voci secche che si rincorrevano non erano di buontemponi in vena di scherzi, bensì di soldati in fase di mobilitazione dopo l’allarme di Sakharov sulla violazione dell’accesso al ponte di attracco. Il frastuono e il trambusto provenienti dal centro di controllo
parlavano chiaro: la sceneggiata era finita e si trovavano in grande pericolo.
Chi attendeva in trepidante attesa presso l’accesso alla Red Giant, l’astronave che avrebbe dovuto portarli via da quell’inferno, capì che non poteva più rimanere ivo. In fretta si mossero in cinque, preoccupati dalle notizie che giungevano via radio. Dopo aver riguadagnato il tunnel principale del ponte di attracco, Greg, Wei e Paola andarono in direzione dell’astronave presidenziale, dalla quale era giunta l’invocazione di aiuto di Leroy, che stava conducendo fuori Ximen. Con sollievo di tutti aveva comunicato di averlo prelevato sano e salvo dall’alloggio del presidente, ma il cinese era talmente esausto da non reggersi in piedi da solo e lui non riusciva a trasportarlo. Non era stato facile farlo uscire, anche perché sia il presidente che i due tecnici gli si erano rivoltati contro con maggior coraggio di quanto si aspettasse. Uno sparo di avvertimento non era bastato, per porre fine alla furia dei tre era stato costretto a colpire ad una gamba uno dei biologi, le cui urla atroci avevano dissuaso gli altri.
Patrick e il medico Edward Arper si mossero invece in fretta e furia verso il portellone di accesso al ponte di attracco. Se volevano avere ancora una speranza, andava serrato quanto prima.
Greg, Wei e Paola giunsero all’astronave presidenziale giusto in tempo per vedere Leroy che conduceva Ximen a fatica per la scaletta di poppa. Corsero in suo soccorso e afferrarono il cinese, che li guardò con occhi vuoti, come inebetito.
“Cosa gli hanno fatto?”, chiese preoccupata Wei.
“Non ne ho idea”, rispose Leroy. “Era seduto nella stanza del presidente, ma forse prima l’hanno sottoposto a test medici invasivi.”
“Dov’è Ray?”, domandò Paola con ansia.
Dei colpi provenienti dalla prua dell’astronave le fornirono la risposta e ricordarono a tutti della battaglia ancora in atto fra Fiedler e Sakharov.
“Non possiamo abbandonarlo, vi prego!”, esclamò la ragazza in preda ad una grande agitazione, poi cominciò ad avanzare verso la scaletta di prua. Con calma misurata e una smorfia di dolore dipinta sul viso, Leroy la guardò per qualche istante prima di regolare al minimo la potenza della sua pistola laser. Presa la mira, fece fuoco con il braccio buono, centrando il polpaccio destro di Paola, facendola urlare e cadere a terra. Greg gli si parò davanti, furibondo.
“Maledetto, cosa fai?”
“Paola ha ragione, non possiamo abbandonarlo, ma non sarete voi a dargli una mano. Dovete portare Ximen in salvo. E Paola, adesso. Anche se al minimo della potenza, le ho procurato una brutta scottatura alla gamba, non potrà camminare da sola.”
Capendo le sue intenzioni Greg perse la sua aggressività, ma disse accorato: “Sei matto? Vuoi tornare dentro da solo?”
“Sì. Voi dovete andare, non rimane molto tempo. Se ce la caviamo, io e Raymond vi raggiungeremo alla Red Giant.”
Senza porre altre obiezioni, profondamente colpito dalla fierezza di Leroy, Greg andò da Paola e la aiutò a rialzarsi. Nonostante le sue resistenze, non fu difficile costringerla ad allontanarsi dall’astronave, dolorante com’era e con una gamba fuori uso. In breve si formò un quartetto nel quale lo scozzese sosteneva Paola alla sua sinistra e Ximen alla sua destra, ulteriormente ato da Wei. Ximen a parte, in tre girarono la testa verso Leroy, che li salutò con un gesto della mano buona, poi si incamminò verso la scaletta di prua. Oppressi dal timore che non l’avrebbero mai più visto, nessuno osò fiatare e cominciarono a spostarsi con andatura faticosa. Paola piangeva, Greg e Wei sbuffavano e tenevano lo sguardo basso con i volti rossi per lo sforzo, Ximen taceva e pareva ancora fuori di sé.
Giunti al tunnel principale del ponte di attracco vacillarono e rischiarono di cadere, sopraffatti dalle notizie in arrivo.
Con crescente disperazione, mentre correva al massimo delle potenzialità concesse dalla sua stazza, Patrick si rendeva conto che i comandi vocali di chiusura impartiti tramite il suo comunicatore da polso risultavano del tutto inefficaci. Era evidente che i mercenari, prevedendo la mossa, avevano obbligato qualcuno a mantenere aperto il varco.
Raggiunse il portellone con il fiato grosso, alcuni istanti dopo Arper.
“Dobbiamo chiuderlo, papà!”, urlò Pavel, quando i primi mercenari già si intravedevano in lontananza. Pochi secondi e sarebbero stati tutti inceneriti.
“Lo so, dannazione, Ma possiamo agire solo in manuale! Dammi la tua pistola, muoviti!”
Patrick strappò con foga l’arma dalle mani del ragazzo per sparare vari colpi sul vicino quadro elettrico. Fra scintille e puzza di bruciato, il guasto che seguì ebbe l’effetto di interrompere la fornitura agli impianti limitrofi, abilitando l’azionamento manuale di emergenza. Nonostante le ripetute pressioni di Arper, però, a causa del suo inutilizzo prolungato la leva di chiusura non ne voleva sapere di scendere.
“Arrivano, ti vuoi muovere?”, gridò Patrick.
“Questo dannato affare è bloccato!”, replicò il medico, disperato.
Quanto avvenne in quegli istanti rimase per sempre nel cuore e nella mente dei presenti. Ormai prossimi a diventare facili bersagli, Juan Pablo prese inaspettatamente lo slancio con la pistola in pugno, uscendo allo scoperto e cominciando a sparare come un pazzo nel corridoio davanti a sé. Catalizzò su di sé i letali colpi in arrivo, ma qualcuno riuscì comunque a filtrare. Quando Arper ebbe finalmente successo nel muovere la leva e fece calare pesantemente il portellone, si guardò intorno inorridito. Nella concitazione degli eventi neanche se ne era reso conto: Patrick era ancora al suo fianco, ma a terra, colpito alla testa da uno dei pochi spari non schermati dall’azione di Juan Pablo. Ai suoi piedi Pavel singhiozzava come un bambino, mentre Fabio cercava di alleviarne la disperazione e di farlo muovere. Dall’altra parte era evidente che i mercenari stavano giungendo in massa, per ora impossibilitati ad agire, ma il portellone non avrebbe costituito un riparo sicuro.
Fiedler si sentì perduto. Sotto l’incalzare di Bogdan Sakharov aveva ripiegato fino al ponte di volo, ma la sua pistola laser cominciava a scaricarsi dopo la miriade di colpi che si erano scambiati. Con la forza della disperazione, provò a tenere a bada il russo lanciandogli contro due dei tre coltelli che gli aveva fornito Leroy. Quando stava per scagliare pure il terzo, d’improvviso i colpi cessarono. Sentì il mercenario gettare a terra la sua arma, così decise di uscire dal suo nascondiglio per brandire l’ultima lama che gli era rimasta. Imibile,
fissandolo con quegli occhi scuri che mettevano i brividi, anche il russo estrasse un coltello. I due si osservarono per un lungo istante sfidandosi apertamente, poi cominciò una nuova contesa.
Fiedler sapeva di essere bravo con le lame, ma ogni sua sicurezza svanì appena constatò come si muoveva il suo rivale. Pareva che il coltello fosse una naturale prosecuzione della mano, che muoveva con impressionante rapidità. Veloce e scattante, tirava fendenti precisi riuscendo a non scoprirsi.
Dopo poco Raymond era già costretto sulla difensiva come mai gli era capitato. Evitò per miracolo un affondo, venendo comunque ferito di striscio ad una guancia, che si mise a sanguinare copiosamente e ad imbrattarlo di rosso. Quando provò a replicare, il nemico si era già spostato e continuava a guardarlo glaciale, come se non provasse emozioni, come se per lui quella sfida fosse un gioco da ragazzi. Per la prima volta in vita sua sentì di avere paura e pensò che non ce l’avrebbe fatta.
Leroy salì la scaletta di prua ansimante, con strane macchioline colorate che gli si formavano davanti agli occhi. Si accorse della fine degli spari e se ne chiese il motivo, ma anche senza la loro guida sapeva di dover andare verso il ponte di volo. Il braccio colpito continuava a pulsare e il dolore non gli dava tregua.
Quando giunse a destinazione rabbrividì nel vedere in lontananza i due uomini che si davano battaglia a furia di coltellate. Provò a puntare l’arma, ma i rapidi movimenti che eseguivano gli impedirono di fare fuoco. Quegli istanti di esitazione rischiarono di essere fatali, dato che Fiedler non riuscì più a contenere la tecnica e l’agilità di Sakharov, che lo ferì alla mano destra e gli fece perdere la sua arma. Senza dargli scampo, il russo gli fu addosso e lo strinse in un angolo. Quando credeva di essere spacciato, sgranò gli occhi nel vedere Leroy che si avvicinava urlante con l’arma spianata. Prima di venire abbattuto, Sakharov si voltò e mostrò il suo solito sguardo freddo, imperscutabile, come se la morte non lo riguardasse e stesse impadronendosi di qualcun altro.
Esausto, Leroy cadde a terra, ma venne prontamente aiutato a rialzarsi.
“Ti ringrazio infinitamente, amico mio. Ma niente riposo, mi spiace. Ce ne dobbiamo andare più in fretta possibile”, disse Fiedler ponendosi intorno al collo il braccio buono del congolese.
Sorreggendosi a fatica, uscirono dall’astronave presidenziale.
Edward Arper e Fabio stavano trascinando via Pavel, mentre Martina e Goldie già spingevano Irina ed Emily dentro la Red Giant.
Quando si udì il boato terrificante dell’esplosione del portellone e i mercenari russi iniziarono a dilagare nel ponte di attracco, l’astronave terminava il conto alla rovescia e si separava dalla stazione.
12
A tre settimane dalla rocambolesca fuga la Red Giant volava sfruttando al massimo la potenza del suo motore ad antimateria.
Dapprima si era collocata attorno a Nettuno su una posizione orbitale diametralmente opposta rispetto a Tritone, così da essere invisibile alla TRISS e scoraggiare eventuali tentativi di recupero, poi era partita usufruendo dell’unica finestra di lancio disponibile.
Sorpresa assoluta, la meta prescelta era la TISS, la stazione spaziale di Titano, ata da baluardo del nemico a possibile rifugio, dalla quale giungevano notizie decisamente fuori dall’ordinario.
La base era in subbuglio, preda di una rivolta interna senza precedenti. I suoi dipendenti si stavano opponendo alla riconversione voluta dalla Titanlab e ai suoi arditi esperimenti con cavie umane, così avevano messo in atto una coraggiosa autogestione.
Nel frattempo, dalla Terra si stavano levando voci che inducevano alla speranza. Da una parte cresceva il risentimento contro le multinazionali, accusate di portare morte e distruzione per tutto il sistema solare, dall’altra l’interesse per il cosmo registrava un ritorno di fiamma grazie alle prime pubblicazioni accademiche sulla nuova teoria della gravità quantovibrante.
Gli astronauti della Red Giant guardavano interessati a questi nuovi sviluppi, ma i loro cuori erano ancora oppressi dal sacrificio di Juan Pablo e dalla terribile perdita di Patrick. A parte Irina e Pavel, incapaci di accettare la sua morte, il più affranto era Greg, che aveva ritrovato la fiducia del vecchio amico e poi lo aveva perso per sempre. Anche gli altri comunque non se la avano bene, stanchi e addolorati per quel vagare senza confini e senza pace. Non ne potevano più di fuggire e si erano riproposti di prendere il toro per le corna, volendo denunciare in prima persona quanto avevano vissuto. L’indignazione della Terra cresceva per i loro resoconti, che si sommavano ai precedenti racconti della battaglia di Marte e a qualche video clandestino spedito da Tritone nonostante la censura imposta da Khaled Mansour.
Dopo il risveglio di Ximen, Greg ogni mattina trascorreva almeno un’ora nella cabina dell’amico. Sul suo corpo stavano ripresentandosi i segni della malattia: un colorito un po’ strano della pelle, qualche irritazione cutanea, soprattutto una stanchezza di fondo e un fastidioso affanno respiratorio. Con la perdita dei batteri alieni, il cancro stava nuovamente conquistando il suo organismo a spron battuto.
“Come va oggi?”, chiese lo scozzese.
“Mi sento tanto stanco. E dire che sono rimasto incosciente per nove giorni, dovrei essere riposato.”
“Avevi la febbre e il tuo organismo ha compiuto un grande sforzo. Meno male che Arper sa il fatto suo.”
“Quei dannati non se ne volevano andare. Hanno opposto una strenua resistenza.”
“Ma ce l’hai fatta, lasciando la Synbiomed a bocca asciutta.”
Con sollievo di tutti, nonostante i suoi tormentosi giorni di febbre alta e di incubi, Ximen era riuscito a ricordare quanto era accaduto negli ultimi minuti del drammatico confronto con Mansour. Non aveva rivelato l’ultimo segreto, per questo il presidente e i suoi analisti si erano tanto arrabbiati quando Bokila era giunto in suo soccorso. Al contrario, aveva ardentemente desiderato che i microrganismi lo abbandonassero, venendo esaudito dopo un’aspra battaglia interiore.
“Ti senti più libero, adesso?”
“Senza dubbio. Comandavano loro, perlomeno in alcune occasioni. Si impadronivano dei miei desideri, cercavano di guidare la mia volontà e amplificavano la mia rabbia. Terribile, solo ora mi rendo pienamente conto che non ero padrone di me stesso.”
“Pensavo ricevessero ordini dal tuo cervello e fossero semplici esecutori, come avevamo inizialmente supposto. Sei stato molto forte e coraggioso ad espellerli.”
“C’è voluta una determinazione pazzesca, che non avrei mai avuto se non fossi stato costretto da quelle circostanze eccezionali. Ci avevo già provato, ma erano riusciti ad opporsi ai miei propositi di liberazione, consapevoli che sarebbe stata la loro fine. Ora mi rendo conto che non lo volevo davvero, perché una parte di me non accettava di perdere le nuove capacità. Difficile per il mio orgoglio rinunciare a doti tanto straordinarie, che conferivano un senso di onnipotenza.”
“Forse proprio loro nutrivano questi sentimenti.”
“Credo di sì. Alle tante immagini di grandiose imprese future, nella mia mente si combinavano scene angoscianti in caso di loro perdita. Mi manipolavano, erano ben radicati e hanno ceduto solo quando la mia volontà è stata prevaricante.”
“Mi chiedo se non agissero anche per aumentare la tua tentazione di rivelare l’ultimo segreto di Subramani.”
“Probabile, avrebbe fatto il loro gioco, con Titanlab o Synbiomed come esecutori. Sarebbe stata una vera colonizzazione della razza umana.”
Greg rabrividì e rimuginò sulle parole dell’amico, meditando su quanto doveva essere stata dura la battaglia che aveva affrontato e sul rischio che avevano corso. Poi disse: “Le due compagnie adesso hanno le medesime conoscenze. Chissà come questo influirà sulla loro contesa.”
“La Terra si è svegliata, Speriamo li costringa a liberalizzare il mercato.”
Seguirono attimi di silenzio nei quali Ximen guardò l’amico, accorgendosi che il suo volto non era meno stanco e provato del suo. Accorato, chiese: “Tu come stai?”.
“Non molto bene. Patrick mi manca da impazzire e non riesco ad accettare l’idea che sia morto proprio quando ci eravamo ritrovati. Irina e Pavel soffrono molto, dobbiamo stargli vicino.”
Volendo cacciare l’angoscia che lo stava invadendo, lo scozzese domandò: “Hai risposto al professore Zhao?”.
“Sì. Mi dice che i progressi della teoria sono eccezionali, peccato che ora non ci capisca più niente. Sono tornato normale. Malato e normale.”
“Arriveremo su Titano in tempo e stavolta troverai subito medicine pronte a salvarti.”
Ximen fece un gesto d’assenso, senza sembrare troppo convinto. Greg vide che stava chiudendo gli occhi e pareva sul punto di addormentarsi. Facendo meno rumore possibile, si alzò e si recò verso l’uscita, ma prima di lasciare la cabina venne raggiunto dalla sua voce, già un po’ impastata per il sonno.
“Greg, sai che è strano?”
“Cosa?”
“Finalmente abbiamo in mano il codice di funzionamento dei Deep X, potremo viaggiare per il cosmo e in parte è anche merito mio. Sarà entusiasmante e rischioso, come testimoniano i batteri alieni, di cui dobbiamo ancora scoprire l’origine e capire se siano naturali o se qualche intelligenza superiore li abbia manipolati. Io però dovrò fare come Giovanni Drogo, l’ufficiale di quel libro di cui ti ho parlato, che muore proprio quando sulla sua fortezza arriva il nemico tanto atteso.”
“Non dire cazzate. Tu puoi guarire e avrai un’altra chance. Nel frattempo ricordati la proposta che ti feci quando eravamo in volo verso Marte: in assenza di nuove missioni spaziali, dobbiamo provare a mettere ko le multinazionali. Prendilo come un atempo transitorio.”
“Lo farò.”
Ximen sorrise e si addormentò. Greg uscì dalla stanza e venne sostituito da Wei. In corridoio pregò in cuor suo di arrivare alla svelta su Titano, dato che il cancro stava davvero galoppando spedito. Gli tornò improvvisamente in mente l’ultima bevuta fatta con Patrick in quel fugace momento di serenità e gli venne da piangere. Con tono strozzato, sussurrò: “Pazzo d’un irlandese, ovunque ti trovi pensaci tu.”.
Non si era accorto di avere Martina nei paraggi, che gli era andata incontro e lo stava osservando. Sul momento si sentì imbarazzato, ma quella sensazione svanì subito quando lei si avvicinò, gli sorrise dolcemente e lo baciò. Poi, abbracciati insieme, si recarono da Irina e Pavel.
13
Da giorni asserragliata nel suo ufficio del quartier generale di Dortmund, Kristin Dahlberg rifiutava ogni contatto con le decine di giornalisti che quotidianamente ambivano a strapparle una dichiarazione.
Era furibonda: come aveva fatto a circondarsi di simili imbecilli? Harris aveva fallito su Marte, Fischer su Tritone. I fuggitivi spaziali erano liberi e quel cane di Greg Maclean non perdeva occasione per inviare testimonianze di denuncia. Perduta la mirabile simbiosi che lo caratterizzava, Ximen stava trovando accoglienza e cure sulla TISS in rivolta. Essendo di nuovo un semplice malato, era del tutto inutile per comprendere l’ultimo o di Subramani, che rischiava di rimanere un mistero. Era grave che la Synbiomed avesse parificato le sue conoscenze, ma le due compagnie avrebbero potuto scendere a patti e dividersi la torta, se non fosse stato per l’atteggiamento della Terra, radicalmente mutato. Dopo un paio di turbolenti consigli, le Nazioni Unite avevano deciso per il presidio delle basi e imposto un’attenta ispezione dei veicoli in partenza, così da rendere impossibile l’invio di bande armate fino ai denti a spargere terrore nello spazio. Peggio ancora, nella nuova risoluzione si parlava di calmieramento dei prezzi, scioglimento dei consigli di amministrazione e loro commissariamento in caso di violazione del diritto internazionale, nuove ricerche e sperimentazioni da sottoporre all’approvazione di una commissione di esperti.
In pratica, dopo aver goduto di piena libertà alle multinazionali veniva messo il guinzaglio. Inevitabilmente la Titanlab c’era dentro fino al collo, mentre Mansour, di ritorno da Tritone, stava cercando di far are la sua strategia come puramente difensiva, ma era difficile ipotizzare che potesse farla franca.
Una segretaria annunciò l’arrivo dei due commissari delle Nazioni Unite. Dahlberg si sforzò di assumere un volto neutro e disse a denti stretti di farli are. Ecco cosa non sopportava: essere accondiscendente e dover dipendere da chi, fino a poco prima, era sul suo libro paga.
Entrarono un uomo di media statura completamente calvo e una donna dai capelli rossi più alta di lui, mai visti prima. Li guardò con malcelato disprezzo, ma li invitò a sedersi cercando di essere cordiale. Dopo essersi presentati, lui estrasse una lettera e gliela porse, causando la sua perplessità. L’uso di fogli di carta era limitato a rarissime comunicazioni formali strettamente personali.
Quando iniziò a leggere sgranò i suoi brillanti occhi verdi, l’unico dettaglio del suo corpo che si poteva definire bello. La rabbia si trasformò in collera sorda e il cuore cominciò a battere più forte. Scoprì con sorpresa di avere contro non solo l’opinione pubblica o alcuni politici, ma la stessa Titanlab. Il consiglio d’amministrazione la accusava e ne denunciava le scelte come “contrarie ai principi sui quali da sempre l’azienda ha fondato il suo operato”.
Erano palesemente in cerca di un capro espiatorio e lei veniva scaricata nel tentativo di salvare la faccia. Se erano state usate certe tattiche, lei aveva tirato i fili e sua era la responsabilità.
Ripiegò la lettera con cura e cercò di non far trasparire le sue emozioni. Accolse con apparente indifferenza l’inevitabile notizia che sarebbe presto stata convocata per esser interrogata, poi i commissari la lasciarono.
Guardandoli mentre si allontanavano, ringhiò a bassa voce con la mascella serrata: “Maledetti. Maledetti tutti quanti.”
14
Greg provava sensazioni contrastanti. Dalla TRISS alla TISS, aveva da poco effettuato, seppur con modalità ben diverse, lo stesso trasferimento compiuto anni prima quando si era lasciato attirare dalle lusinghe della Titanlab. Il lungo servizio non era comunque ato inosservato, erano molti coloro che si complimentavano per aver voltato la faccia all’azienda, lo pregavano di restare, gli chiedevano di riprendere il ruolo di comandante della stazione.
Le manifestazioni di stima gli facevano piacere, ma non sarebbe stato quello il suo futuro. Almeno, non sul momento. Sarebbero tornati sulla Terra per denunciare e continuare la battaglia per una maggiore giustizia sociale, sebbene non sapessero quale accoglienza aspettarsi nel pianeta dal quale mancavano da tanto e come avrebbero potuto ricostruirsi una vita.
Uscì dall’infermeria lasciando Wei, Irina e Martina con Ximen, che stava ricevendo una provvidenziale flebo del farmaco Solution 9. Erano arrivati giusto in tempo, difficilmente l’amico avrebbe sopportato qualche altra settimana di viaggio, ma ora aveva concrete speranze di guarigione.
Abbandonandosi a tanti ricordi, si mise a girare per l’installazione. Gli pareva di scorgere Laurent ed Annette dappertutto e questo gli trasmetteva una sensazione di stringente malinconia. Dal vetro che rendeva visibile l’interno di una delle piccole sale ricreative vide i figli in compagnia di Pavel, Emily e Paola. Intorno avevano alcuni giovani della base, cui probabimente stavano raccontando le loro vicende. Dopo un’indicazione della moglie, non gli sfuggì la vicinanza di Goldie a Pavel e il loro atteggiamento amichevole. A differenza di Irina, il morale del ragazzo era andato nettamente migliorando e pareva che la compagnia di Goldie
stesse influendo non poco. A quella che parve una sua battuta, molti risero e la ragazza gli dette un colpetto su un braccio, divertita.
Greg osservò la scena incuriosito e se ne andò per riprendere il suo giro, contento e rinfrancato di vedere come lo spirito di Patrick sopravvivesse nel figlio. Entrò in palestra e fece due chiacchiere con Bokila, che stava svolgendo delle fisioterapie per il suo braccio malmesso. Nonostante la gravità della ferita i medici sostenevano che l’arto era recuperabile e lui si mostrò gioviale e intenzionato a darci sotto con le cure. Si rivelò anche fiducioso che le cose per l’Africa potessero finalmente migliorare.
Greg riprese la sua eggiata, ò dal laboratorio di biologia dove il povero Subramani era stato freddato, infine trovò Fiedler ad un finestrino panoramico vicino all’area alloggi. Intento com’era ad osservare fuori, l’uomo non lo sentì arrivare.
“Ti stai pentendo del casino fatto su Titano?”, chiese con fare amichevole, facendo un evidente riferimento alla scura macchia di detriti che la detonazione nucleare aveva lasciato nell’atmosfera del satellite.
Sorpreso, Fiedler si voltò di scatto, mutando subito il suo istintivo atteggiamento diffidente alla vista dello scozzese.
“Devo riconoscere che quella schifezza non è un granché. Quando arriveremo sulla Terra mi incrimineranno per deturpazione di panorama spaziale.”
Se davvero esisteva un simile reato Raymond era senza dubbio meritevole del massimo della pena, pensò Greg.
“Pare che la situazione stia cambiando radicalmente. Hai saputo che hanno inquisito Dahlberg?”
“Non ci ho dormito stanotte per la gioia. Li ho vendicati.”
Vide il lampo che correva sul volto del giovane. Sapeva che stava facendo riferimento ai genitori, dipendenti Titanlab morti misteriosamente dopo aver deciso di smettere di adeguarsi alle politiche aziendali. Annuì e fece are qualche attimo di silenzio. Poi chiese: “Credi che sia un cambio di rotta definitivo?”.
“Il vento di novità pare forte, ma gli interessi in gioco sono potenti. Dovremo continuare a lottare.”
“Non credo. Prima o poi dovrai smetterla. Tu sei giovane, poco più grande di Fabio. Non puoi trascorrere la vita solo nell’odio contro la Titanlab. A cose fatte, dovrai cercarti un futuro diverso. Per te e per Paola.”
Fiedler fissò stupito Greg, che gli si era posto di fronte e lo guardava a muso duro. Pensò che avrebbe potuto essere suo padre. Era vero, dalla morte dei genitori si era nutrito di rabbia e di voglia di rivalsa, rifiutando ogni consiglio o aiuto esterno, ma stavolta sentì che qualcosa si muoveva dentro. Quello scozzese orgoglioso, che dapprima aveva tollerato solo per la collaborazione ricevuta dalla figlia e che poi aveva cominciato ad apprezzare, stava parlando per il suo bene. Il suo era un monito sincero, come avrebbe potuto fare un padre con un figlio. Dopo aver riflettuto per un attimo, fece un cenno affermativo con la testa e disse grato: “Negli ultimi anni non sono stato molto a sentire gli altri, ma ti prometto che cercherò di seguire il tuo consiglio.”
“Non te ne dimenticare, ragazzo. E non credere di essere l’unico che dovrà fare questa scelta. Con quanto abbiamo ato, spetterà a tutti noi.”
Si strinsero la mano, poi ambedue si misero al finestrino ad osservare la macchia scura, desiderando che scomparisse al più presto. Da Titano e dalle loro vite.
15
Heylin osservò scettica l’abito grigio scuro del marito appeso all’armadio. Irritata, lo rimise al suo posto e tirò fuori un intero blu, riprendendo con la preparazione della valigia.
Quando lui entrò, notò il cambiamento e disse: “Il mio abito?”.
“È questo. Anche se ti ostini a preferire il grigio, stai molto meglio in blu.”
“Posso scegliere la cravatta?”
“Dipende, basta tu non prenda quella orrenda a fiorellini rossi che ti piace tanto. Non te la farei mettere neppure per un intervento al circolo ex astronauti di Pechino.”
“Almeno le scarpe, su quelle ho potere decisionale?”
“Meglio di no, visto che devi essere a Los Angeles per una conferenza in cui sarai l’ospite più importante.”
“Beh, ci saranno pure Liv Sanders e Nicolai Makarenko.”
“Sei tu quello che ha dato il contributo maggiore e tutti penderanno dalle tue labbra. Voglio tu sia impeccabile.”
Il professore Zhao rise e si arrese di fronte alla caparbietà della moglie, consapevole che in astrofisica era lui l’esperto, ma su vestiti e molto altro era meglio ascoltare i suoi consigli. Fra l’altro, Heylin non sbagliava a sostenere che quella in arrivo era davvero un’occasione speciale.
Nel giro di tre giorni tutti i riflettori della scienza sarebbero stati puntati su Los Angeles per la presentazione ufficiale della nuova teoria della gravità quantovibrante di Zhao-Chen-Makarenko-Sanders, dal nome di coloro che avevano preso parte alla sua formulazione. La californiana Liv Sanders avrebbe fatto gli onori di casa, mentre Zhao Quing e Nicolai Makarenko si sarebbero presentati di persona, senza ricorrere ad un’oloconferenza. Unico assente giustificato era Chen Ximen, che da Titano non poteva certo collegarsi in tempo reale.
Il professore non stava nella pelle: dopo alcune pubblicazioni accademiche o articoli in riviste scientifiche, era giunto il momento di parlare della nuova teoria al grande pubblico. A renderlo euforico contribuivano anche le notizie sulla salute di Ximen, che a guarigione completata prometteva di fare ritorno sulla Terra con gli altri compagni.
Terminata la preparazione della valigia, disse con tono beffardo: “Ecco fatto. Però ci siamo dimenticati una cosa importante.”
“Quale?”, fece Heylin perplessa.
“Una bottiglia per festeggiare a fine conferenza, ma per fortuna ne troveremo in abbondanza a Los Angeles.”
Lei cambiò subito atteggiamento e mosse contro il marito un dito accusatore, memore di come si era arrabbiata la sera in cui l’aveva trovato addormentato e mezzo ubriaco sul divano.
“Ok, non ti arrabbiare, scherzavo… ma sai com’è con Nicolai, vuoi che non ci porti a bere?”, provò a difendersi lui.
“Vedremo. Stavolta ci sarò io a controllarti.”
Spalancò le braccia e sbuffò in segno di protesta, ma si affrettò a dare un bacio alla moglie.
“E va bene, niente alcool”, la rassicurò.
Festicciola alcolica o no, sapeva che ci sarebbe stato da divertirsi alla grande. Adesso che il potere delle multinazionali della biologia di sintesi pareva in netto calo ed era iniziata una distribuzione più equa dei loro prodotti, era l’ora che lo spazio tornasse prepotentemente a far parlare di sé, recuperando la scena che gli era stata rubata per anni.
Epilogo 8 agosto 2177
Era una giornata calda e afosa, come tante nell’estate italiana. Fabio ed Emily rientrarono dalla loro eggiata mattutina lungo le mura in compagnia del figlio Marco, trovando come previsto Greg, Martina e Irina incollati davanti al computelevisore olografico. Erano giunti da Ginevra, dove ambedue lavoravano presso il CERN, lui nei laboratori come fisico, lei in amministrazione. Nei giorni precedenti il nipote era riuscito a stemperare la tensione dei nonni, ma quella mattina neanche lui pareva in grado di mitigare la loro ansia.
Emily si sedette e lo prese in braccio, contenta di riposarsi. Da quando aveva riacquistato l’uso delle gambe ogni eggiata le pareva un gran dono, ma i medici si raccomandavano di non fare sforzi eccessivi. Era contenta di essere a Lucca dai suoceri, con loro si trovava bene e la città le piaceva molto. Essendo il luogo di origine di Martina, lei e Greg vi si erano stabiliti nella vecchia casa di proprietà, collocata nell’incantevole centro storico a due i da piazza San Michele e dall’omonima chiesa romanica. Irina li aveva seguiti, trovando una piacevole casetta con giardino fuori le mura. A cementare il loro rapporto, oltre alla lotta per una maggiore equità sociale, che avevano portato avanti senza sosta, aveva contribuito l’unione professionale e affettiva dei figli. Con rammarico, si erano invece nuovamente separati da Wei e Ximen, ripartiti per Tritone un anno dopo il loro ritorno sulla Terra. Stavolta, però, non si era trattato di un addio rancoroso, bensì di un arrivederci carico di amicizia. Curioso, fra l’altro, che Pavel e Goldie avessero scelto di condividere il sogno spaziale del cinese e che il loro destino dipendesse anche dal suo operato.
La tensione andava crescendo. Mancavano solo due ore al conto alla rovescia e tutti i canali non parlavano d’altro. Greg, Irina e Martina erano stati ripetutamente sollecitati a partecipare a qualche trasmissione, ma avevano
rifiutato ogni invito. Comunque, da giorni erano bombardati da messaggi, richieste di dichiarazioni, comunicazioni di amici. Fra queste particolarmente gradite erano state quelle di Raymond e Paola dalla Germania, dove lui, politico in carriera, era entrato a far parte di una nuova commissione europea di controllo per i diritti umani – ruolo che, c’era da giurarci, gli calzava a pennello – e da Gaby Ekunde, vero nome di Leroy Bokila, divenuto un pezzo grosso dell’Unione Africana. Anche Laura e Robert si erano fatti vivi dalla base di Ganimede, dove risiedevano con i figli Jeff e Bruce, mostrandosi sereni e facendo un caloroso in bocca al lupo.
Quanto a Ximen e Wei, i contatti erano frequenti e l’ultimo video era giunto da Tritone da tre giorni. Come responsabile della base, fortemente inserito nel nuovo progetto mondiale di esplorazione spaziale, l’amico si era mostrato concentrato e ottimista. Per limiti di età non sarebbe stato lui a tentare l’impresa, ma era parso sincero nel dichiarare che si sentiva soddisfatto di poter dare un contributo alla sua realizzazione. Non aveva seguito le orme di Giovanni Drogo, il protagonista de Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, non era giunto alla vecchiaia con un senso di inutilità e di beffa finale, ma aveva lottato per ciò in cui credeva. Grande rammarico, purtroppo non poteva condividere la sua gioia e le sue aspettative con il professore Zhao, stroncato da un infarto tre anni prima. Di sicuro anche lui si sarebbe entusiasmato per la prima missione di spostamento fra i Deep X con equipaggio umano, ma il suo sogno, già pienamente realizzato, era formulare una teoria gravitoquantistica coerente.
Con l’approssimarsi dell’orario previsto per il contatto, l’ansia nel salotto si fece quasi insopportabile. Fabio ed Emily si prendevano cura di Marco a turno, cedendolo l’uno all’altra ogni cinque minuti. Incapace di capire il perché dell’agitazione dei grandi, il bimbo pareva divertito e spaesato al tempo stesso. Irina stava raggomitolata sulla poltrona, recitando qualche preghiera in russo. Greg e Martina si alzarono e andarono nel piccolo terrazzino nonostante l’afa crescente, bisognosi di guardare il cielo, o meglio la porzione che si intravedeva fra i palazzi del centro storico. Si abbracciarono e rimasero lì a lungo, mentre dall’interno e dalle case vicine rimbombava l’eco dei commentatori. Due ragazzi arono di sotto con una palla, che venne lanciata fra i vicoli.
“Guarda, è più veloce della Explorer!”, gridò quello che aveva calciato, prima che entrambi si mettessero all’inseguimento della loro ipotetica astronave.
Fascia di Kuiper, pianeta nano Haumea: un oggetto spaziale ricoperto da cristalli di ghiaccio, dalla forma allungata per la sua veloce rotazione, simile a quella di un ellissoide. O a quella di un pallone da rugby, secondo una definizione più informale. Somigliante ad un tozzo sigaro, a giudizio degli astronomi apionati di fumo. Comunque, un plutoide con due lune, Hi’iaka e Namaka, probabili resti di una dura collisione. Tutti nomi presi a prestito dalla mitologia hawaiana, con buona pace per una volta di quella greca.
Questa era la meta dei pionieri ai confini del sistema solare, con il sole gelido e lontano, incapace di scaldare il prevaricante spazio nero, in cerca di un piccolo buco nero primordiale molto interessante. Scelto perché collegato ad un solo compagno della Via Lattea, formava con Haumea una sorta di sistema binario, due trottole impazzite legate in un vorticoso abbraccio gravitazionale. All’altra estremità si estendeva un sistema planetario orbitante attorno ad una nana rossa, un potenziale eldorado per umani affamati di risorse e nuovi spazi.
Partita dalla stazione di Tritone, in prossimità di Haumea la Explorer si era posizionata in parcheggio e aveva effettuato una nuova valutazione della radiazione di evaporazione quantistica. Grazie alla teoria della gravità quantovibrante, si conosceva come aprire il wormhole e dove esso conduceva. Era incredibile, pareva di leggere nella mente della creazione per scorgere la raffinata tela intergalattica di connessioni spaziotemporali, ma non mancavano i rischi. Il grosso dubbio era quello della stabilità del tunnel: sarebbe rimasto aperto, evitando letali interruzioni, una volta attraversato da un oggetto di grande massa?
Gli astronauti si radunarono sul ponte di volo. Regnava un’atmosfera ricca di
adrenalina, quasi elettrica. Sapevano bene che tutto il sistema solare guardava rapito al loro destino, affidato ad un’astronave chiamata a furor di popolo proprio come la illustre antesignana che decenni prima aveva condotto l’uomo ad esplorare il Deep X di Orcus. Grazie alla minore distanza, il primo ad essere informato sarebbe stato Tritone, dove Ximen non era meno nervoso ed eccitato delle persone di cui aveva preparato l’impresa.
“Vogliamo farlo davvero?”, chiese l’ufficiale medico Edward Arper.
“Ti sembra giusto arrivare fino a Parigi e non vedere Notre Dame?”, chiese di rimbalzo la psicologa di bordo Goldie Maclean, facendo ridere gli altri.
“Ti metti a fare battute, adesso?”, le fece eco il marito Pavel Doyle.
“Il tuo ruolo ti obbliga ad essere serio, caro capitano di missione, ma qualcuno deve pur tenere alto il morale!”
Fu la voce del computer di bordo a farli smettere, annunciando l’inizio della manovra di avvicinamento al Deep X.
La tensione crebbe istante dopo istante e nessuno trovò più il coraggio di fiatare. Con gradualità, l’astronave iniziò il percorso curvilineo che l’avrebbe portata ad impattare sulla evanescente superficie del buco nero, il suo misterioso orizzonte degli eventi, con velocità ed angolazione calcolati con massima precisione. La sagoma del luccicante ellissoide di Haumea si allontanò, mentre il suo compagno oscuro si fece via via più vicino.
Ogni tanto qualcuno deglutiva e chiudeva gli occhi, mentre c’era chi non poteva smettere di battere i piedi sul pavimento. Quando la Explorer cominciò a vibrare leggermente per l’intensificarsi delle perturbazioni, Pavel e Goldie si presero per mano, venendo imitati dal resto dell’equipaggio. In un batter d’occhio si formò una piccola catena, poi i corpi si avvicinarono sempre di più in una sorta di abbraccio collettivo. Nonostante la riuscita di tre precedenti missioni con sonde automatiche, sapevano bene di rischiare la vita.
“Dite ciao al sole”, disse Pavel quando la Explorer ultimò il suo percorso, con le vibrazioni che ormai la scuotevano con forza. Sull’orizzonte degli eventi venne inglobata da un lampo di luce, che spaventò a morte i suoi occupanti. Un osservatore esterno, magari posizionato nei pressi di Haumea, per effetto del red shift gravitazionale l’avrebbe vista lì sospesa a lungo, ma per gli intimoriti astronauti l’attraversamento fu istantaneo e, apparentemente, indolore.
Erano ai limiti della creazione. Anni ati, volti noti ed eventi si presentarono fugaci e sovrapposti, come se tante esperienze fossero condensate in un attimo. La mente di Pavel e Goldie tornò in un lampo agli amici lontani o caduti, alle dure sfide che avevano affrontato, alle sofferenze trascorse. Si immaginarono Laura e Robert che li incitavano, Emma e Bob abbracciati insieme, Fiedler e Leroy che se la ridevano per la fine dello strapotere delle compagnie. E poi ancora, come un fiume istantaneo ma incessante, Laurent e Annette in un momento di gioia, il professore Zhao intento a fare calcoli, Subramani chino sul suo microscopio elettronico, le battaglie di Marte e di Tritone, la bomba fatta detonare su Titano, Juan Pablo riunito con il fratello e la nipotina. Ecco infine, proprio prima di varcare la soglia, un bimbo che a di mano fra Fabio ed Emily, Ximen con i pugni contratti, Wei al suo fianco incapace di stare ferma, Irina tutta presa a sussurrare qualcosa in russo, Greg e Martina a cercare uno squarcio di cielo, Patrick sorridente e pronto a fare una delle sue battute: “Ragazzi, fatevi coraggio, io sono con voi. Questo buco nero è solo poco più massiccio di me!”
Non avevano più paura, ma piangevano. Emozionati e stupiti, stavano per
scoprire cosa le “porte di Dio” avevano in serbo per l’umanità. ***
Dapprima tutto fu nero, il lampo di luce solo un lontano ricordo. Erano morti? I Deep X conducevano verso il nulla e niente più? Il wormhole non era destinato ad aprirsi? Ma, prima che tali suggestioni inducessero il panico nei cuori, qualcosa accadde. Davanti al ponte di comando apparve un cerchio brillante, che sfavillava e cangiava i suoi colori. Ebbero la sensazione di essere al circo, come quando un leone ammaestrato viene fatto are dal cerchio di fuoco, solo che al posto della belva c’erano loro e non era un gioco.
Il cerchio vibrò e parve sul punto di frantumarsi in mille pezzettini colorati, ma resse e si stabilizzò dopo attimi di turbolenza. Dalla sua sagoma, gradualmente, un fascio luminoso si protrasse ad inglobare l’astronave, che si trovò in una sorta di iridescente tubo multicolore. Per lo stupore degli esterrefatti pionieri che osservavano la scena a bocca spalancata, il tunnel si estese al di là del cerchio. Era bellissimo, con pareti adornate da strisce gialle, blu, rosse e verdi. Quella visione d’incanto durò per un istante di sublime atemporalità, ma poi si scosse e le strisce cominciarono a intersecarsi, ondeggiare, fondersi e sovrapporsi. In breve la Explorer si trovò avvolta in uno spiraleggiante vortice arcobaleno che mozzava il fiato.
“Credete che ci stiamo spostando?”, chiese Goldie quando ebbe trovato la forza di parlare.
“Credo di sì”, mormorò Pavel.
Per un tempo che nessuno in seguito sarebbe stato in grado di quantificare – Secondi? Minuti? Ore? – il ponte di volo continuò a brillare della variopinta e
lampeggiante luce che proveniva dall’esterno, fino a quando il turbinio parve smorzarsi e le strisce tornarono a sovrapporsi, a vibrare, ad essere distinguibili. Il loro moto rallentò fino a rivelare in lontananza un cerchio simile a quello d’ingresso, dal quale parevano avere origine.
“Mi venga un colpo se quella non è l’uscita”, disse Edward Arper con un filo di voce.
La fine del tunnel venne vissuta quasi con rammarico, tanto era bello. La storia dell’uomo mai sarebbe stata la stessa, insieme ai Deep X si aprivano le porte di un futuro nuovo. Dopo la paura e lo stupore, cominciarono a capire quanto avevano compiuto e li invase un senso di trionfo, una gioia senza freni: la loro casa, così come per qualunque altro abitante della Terra, non era più il sistema solare, ma l’intero universo.
Ringraziamenti
Dovrei ringraziare tutti coloro che ho già citato alla fine di Boundless. Per brevità, evito di ripetere quella lunga lista.
Desidero comunque aggiungere, fra coloro che mi hanno ato e spesso incoraggiato ad andare avanti in questi ultimi mesi, sco Prisco Donati, Roberto Badiali, Luca Mattesini, Massimo Baldoni, Franco Pagliucoli, Alessandro Rossi, Veronica Ciancagli, Lucia Cuccoli, Sonia Cicchitelli, sca Gialli, Mario Cangelli, Gianfranco Leonardi, Monica Innocenti, Carlo Muzzi, Alessandra Niccolai, Cristina Donati, Dante Giachini e Vanna Scolari.
Quanto alla componente spirituale, ringrazio colui che di recente è stato la mia guida, padre Claudio Rajola.
Infine, un grazie speciale a mia mamma, che mi ha seguito ed incoraggiato costantemente durante la stesura di questo libro.
goWare <e-book> team
goWare è una startup costituita da autori, editor, redattori e sviluppatori che condividono la visione sul futuro delle nuove tecnologie e la ione per l’editoria. Raccogliere, selezionare e organizzare i contenuti allo scopo di renderli a portata di touch è la sfida quotidiana di goWare come casa editrice digitale. Operativamente goWare è costituita da due team: goWare
team, che si occupa di concepire e sviluppare applicazioni per iPhone e iPad e goWare <e-book> team, specializzato in editoria digitale, creazione di ebook, consulenza e formazione in campo editoriale. Il goWare team è composto da Roberto Avanzi, Elisa Baglioni, Mariarosa Brizzi, Stefano Cipriani, Valeria Filippi, Giacomo Fontani, Mirella Francalanci, Patrizia Ghilardi, sco Guerri, Mario Mancini, Alice Mazzoni, Alessio Orlando, Lorenzo Puliti, Maria Concetta Ranieri.
Manifesto di goWare
Il contenuto in digitale è un’altra cosa
Pensiamo che i contenuti digitali siano differenti da quelli distribuiti attraverso i media tradizionali, diversi nel formato, nel design, nel pubblico che li fruisce. Lavoriamo per valorizzare questa diversità, curando nel dettaglio la realizzazione di ebook ed enhanced book pensati per un’esperienza di lettura autenticamente digitale.
“Sur the print experience”
Non c’è bisogno di tradurlo, le parole del team iBooks della Apple suonano come l’11° comandamento. La chiave è la generosità. Ci sono tanti piccoligrandi accorgimenti per migliorare la lettura dell’ebook. Per esempio non c’è più il vincolo della foliazione, si può essere generosi con l’interlinea, gli spazi, le paragrafature, i colori: la costipazione è finita, coloriamo le parole e arieggiamo la pagina! È il vero trionfo della volontà sulla necessità.
Abbasso il piombo!
Gli ebook di goWare sono progettati e realizzati per vivere in un ecosistema digitale. Ci ispiriamo a Wikipedia: la lettura digitale ha bisogno di link per farci spaziare da un contesto a un altro. È inoltre sincopata: la cementificazione del testo è finita! Abbasso il piombo, viva il link. La
partecipazione distratta non ci spaventa.
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in On the road. Il team di goWare ha sempre in mente queste parole da cui ha tratto anche parte del suo nome. Innumerevoli sono le incognite che gravano sul presente e sul futuro dell’editoria digitale: nessuno sa bene dove approderemo, per ora occorre andare e occorre sperimentare.
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Detto altrimenti...
... cioè con le parole della poetessa inglese Ruth Padel Di’ addio al potrebbe-esser-stato [...] vai perché sei vivo, perché stai morendo o sei, forse, già morto Vai perché devi.
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