Nadia Macchia
L’ENTRENEUSE E IL MUSICISTA
Youcanprint Self - Publishing
Titolo | L’entreneuse e il musicista Autore | Nadia Macchia ISBN | 9788891146847 Prima edizione digitale: 2014
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
[email protected] www.youcanprint.it
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Dedico questo libro al mio Amore e al nostro bambino mai nato.
Sono al computer, è una fredda sera di novembre, precisamente il 23/11/2013 a Milano. Ero lì nella camera di mio figlio, seduta davanti al computer, appena tre mesi che lo uso, è stato necessario perché mio figlio di 23 anni è andato per un periodo a Londra per una esperienza lavorativa e anche per imparare l’inglese, e mi disse: «Mamma, impara a messaggiare su FB perché così ci scriviamo. Non è difficile». Allora per forza maggiore ho imparato. Naturalmente so usarlo, il computer, perché anche se ho 62 anni lavoro ancora, per cui lo utilizzo; certamente essere impiegata nella pubblica amministrazione si segue un programma stabilito, ma, comunque lo utilizzo quasi spesso. Sono separata da cinque anni con tre figli grandi: il primo ha 35 anni, la seconda 30 e l’ultimo 23, il piccolo della casa. Ho anche tre bellissime nipotine, di 4 anni, un anno e 6 mesi. Mi sono sposata a 26 anni e mio marito ne aveva 30, un amore ostacolato. Mi sono sposata anche per uscire dal night, volevo avere un bambino che riempisse il vuoto che avevo nel cuore, e sono nati tre figli, meravigliosi. Sono stata una buona madre, ho sacrificato parte della mia vita per loro, sono orgogliosa di loro. Mi hanno dato tanto. Ma il vuoto che ho non si placa mai. Ogni figlio è unico. Quella sera di novembre al computer cerco di rintracciare su FB una mia amica d’infanzia, clicco sul nome, ma non la trovo, però mi imbatto in un nome conosciuto, familiare, mi soffermo su questa persona e penso di aver già sentito quel nome, e penso bene ed ad un tratto eccolo, è lui. Un po’ è cambiato, è pelato con pancia e occhiali, ma lo riconosco dagli occhi, entro nel suo diario, dove ci sono alcune foto di lui, ed eccolo… è proprio lui. Riconosco la sua foto di quando era un ragazzo di vent’anni, di quando eravamo innamorati… piango, rido. Sento rabbia, odio, dolore molto dolore… è come se un tornado mi avesse preso in pieno. Catapultandomi nel ricordo di quegli anni, ho pensato, dopo aver pianto tanto: ma che mi prende? Sono ati 37 anni. Cos’è che provo ancora per quel ragazzo ormai fatto uomo? Amore? Odio? ione? Dolore? Tutto insieme. Provavo tutti questi sentimenti. Sentivo una energia, una sensazione di amore, ho chiuso gli occhi e pensavo a lui, a quando facevamo l’amore con ione. Erano belli quei tempi. Ricordo che ero una bella ragazza, giovane, di 21 anni, ero andata via da casa nel
1974 dal mio paese natale. Approdai a Roma in cerca di un lavoro, mi recai in un’agenzia di baby sitter, ma non mi piaceva molto perché non ero mai libera e non potevo vivere la mia vita di ragazza provinciale di 21 anni in una grande città. Ero andata via di casa per essere prigioniera? Mai. Quando facevo la baby sitter purtroppo dovevo sempre difendermi dai papà di questi bambini. Naturalmente ero giovane e molto bella, è chiaro che le ragazze venissero molestate. Ricordo un episodio, un noto cardiochirurgo che era primario in un noto ospedale di Roma, lavoravo a casa sua e tenevo tre bambini, due femminucce e un maschietto. Purtroppo lui ci provava sempre. Io dormivo in una piccola stanza, mi ero ammalata, avevo la bronchite e tossivo spesso di più la notte. Una notte venne nella mia stanza, aprì la porta senza bussare e mi chiamò e disse: «Nadia, sono venuto a visitarti, hai troppa tosse, ti do le medicine». La stanza era al buio e naturalmente non si vedeva granché, ma lui volle visitarmi (a modo suo); mi scoprì il petto e invece di visitarmi mi prese la mano e la mise sul suo pene già pronto. Mi irrigidii e dissi: «Cosa sta facendo, nooo» quasi alzando la voce, ma lui mise una mano sulla bocca facendomi segno di stare zitta perché la moglie si sarebbe svegliata e disse: «Ti visiterò domani». Andò via. Il giorno dopo ero rimasta sola perché la moglie e i bambini andarono dalla nonna e a casa rimase il medico. Non avendo il giorno libero, quel giorno son dovuta restare lì. Mi chiamò in camera sua e disse: «Adesso ti posso visitare bene. Sdraiati e togliti le mutandine perché farò una visita ginecologica». Avevo la tosse. Risposi: «No, cosa dice, non voglio». «Sei vergine ancora? Puoi dirlo, non vergognarti». Non risposi. Me ne andai. Mi venne dietro e mi prese dalle spalle, mi voltò e mi baciò con violenza. Mi divincolai, ma lui mi teneva stretta e disse: «Sei bella, anche se sei vergine non preoccuparti, non ti farò male». Mi difesi, ma lui era un uomo alto 1.90 e grosso fisicamente, per cui era forte. Mi tenne ferma con le braccia e mise la mano nelle mutande; mi toccò e disse eccitato: «Sei bella, molto bella, vedrai che piacerà anche a te». Sono riuscita a scappare dalle sue braccia, nel mentre la porta si apre ed entrano i bambini e la moglie. Poi andai via da quella casa. Ritornai all’agenzia di baby sitter e dissi: «Non vado più lì, mi sono dovuta difendere da quel porco». Andai fuori, nella sala d’aspetto; lì c’era una ragazza straniera, facemmo amicizia, mi disse che era tunisina. Si chiamava Dalila, aveva la mia stessa età, 21 anni. Un bel giorno siamo partite per un annuncio che diceva: «Cercasi ballerine in Alta Italia» precisamente ad Arona. Ed eccoci qua ad
Arona, siamo arrivate alla stazione di Milano e lì ci aspettava il capo ballerino Claudio, un tipo eccentrico e simpatico. Ci porta a cena a mangiare in un ristorante, poi ci porta in un night, locale notturno. «Il tucano». Noi non capivamo che tipo di ballerine dovevamo fare, ma lui disse: «Vedete la pista, ebbene, dovete ballare lì, e farete compagnia ai clienti che vengono qui e vi offrono da bere champagne». Io e la mia amica ci siamo divertite tanto in quel periodo (sempre meglio di essere molestate dai papà), prima perché eravamo giovani e belle, e poi perché era la prima volta che facevamo quest'esperienza. Non era male! Così siamo rimaste lì. Eravamo diventate entreneuse. A quel tempo mi piacevano due uomini, uno era il cameriere del night e l’altro era un cliente che lavorava lì ad Arona, sul lago, era commerciante di imbarcazioni, motoscafi. Alloggiava nel mio albergo, bel ragazzo di 28 anni, sposato con due figli, era come tutti gli uomini adulteri. Mi vide per la prima volta mentre correvo giù per le scale dell’albergo, mi scontrai con lui; quando mi vide mi disse: «Dove corre questa magnifica creatura?». Avevo i pantaloni color salmone, molto attillati, con una camicia bianca aderente che evidenziava il mio seno turgido e le mie forme perfette: ero alta 1.75, con tacconi alti 15 cm, ero una stangona mora, capelli lunghi e labbra carnose e ben modellate. Ero una bellissima ragazza. Risposi: «Vado al night, lavoro là, se vuoi venire siamo lì». E venne, mi disse che si chiamava Eliano e perché era lì. Ci frequentammo per un po’, mi piaceva molto, ma c’era anche il cameriere Biagio, era anche lui un bel ragazzo. Così facevo l’amore con tutti e due, separatamente, loro non sapevano dell’esistenza dell’altro. Andavo prima da Biagio in camera, poi andavo da Eliano, forse mi piaceva di più. Volevo vivere, godermi la vita come tutte le ragazze di questo mondo. Ora sceglievo io con chi andare a letto, e non ero più molestata da uomini che apparentemente sembrano persone di un certo ceto sociale ma che invece sono dei “violentatori” e si nascondono dietro la loro facciata di perbenismo. Poi le storie finirono, anche perché Eliano era diventato molto geloso e violento, lo lasciai. Andai via da Arona, volli provare il night di Varese “Eden”. Andai e anche lì
conobbi un ragazzo di nome Gennaro, anche lui mi piaceva e avevamo una relazione, di tanto in tanto ci si vedeva. Già impegnato, moglie e figli. Naturalmente nei night vengono uomini frustrati, si lamentavano sempre delle mogli e tutti dicono di essere infelici. Bugiardi. Spendono tutti i soldi per stare con una entreneuse per parlare dei fatti loro, a noi non interessa, siamo lì per lavorare e far spendere soldi e basta. Nei night vengono due tipi di uomini: Sessantenni con soldi, imprenditori o commercianti di alto livello, vengono nei locali notturni per trovare la ragazza che ci sta e a volte vogliono una donna per andare in giro con loro nei viaggi di affari. Alcune lo fanno. Loro sono libere di fare quello che vogliono. Ad altre non interessa questo tipo di approccio. Poi c’è la categoria di uomini di 35 o 40 anni, anche loro con soldi da spendere, e vogliono le ragazze ai tavoli per compagnia e divertirsi, ma poi tutti vogliono andare a letto. Ti fanno la proposta. Alla fine gli uomini sono tutti uguali: chi usa la diplomazia e chi è diretto. Ma sono tutti porci. Pensano che le donne dei night siano puttane. Ma realmente, ho costatato che non è vero. Anche fuori le loro mogli sono adultere, in tutti i posti di lavoro. Perciò è comodo dire che l’entreneuse è facile, non è così. Io non mi sono mia sentita “puttana”, vivevo libera. Comunque a Varese conobbi una compagnia, un gruppo simpatico e divertente, erano sempre lì tutte le sere, venivano solo per divertirsi e stare con noi in compagnia, apparentemente. Una sera, in chiusura del locale, ebbi la sfortuna di conoscere uno di loro, mi volle accompagnare con la sua auto in albergo, dove alloggiavo; andai fiduciosa perché lo conoscevo. Invece di portarmi in albergo, in auto fece uno strano discorso, mi raccontò di una ragazza del night che lui tentò di violentare e che lei non voleva. Non ascoltai più il suo racconto perché mi ero estraniata, stavo pensando: «Sono finita. Questo è un violentatore seriale. Come farò a difendermi da lui?». Ce l’avrei fatta oppure sarei morta? Mi portò nel bosco a Varese, si fermò con l’auto, la spense, mi guardava e mi parlava: «Sei una bella ragazza, hai un corpo fantastico e quella bocca da pompinara, sei eccitante». All’improvviso si buttò su di me, volle baciarmi a tutti i costi, io mi difendevo, gridavo, scalciavo, si mise sopra al mio corpo, mi aprì con forza le gambe e cercava di penetrarmi. Gridavo: «No, no porco!». Mi strappò il vestito e
le mutande, ma non ce la fece perché cominciai a morderlo e lui disse: «Puttana!» e mi schiaffeggiò «sarai mia, vuoi o non vuoi». Mi difesi come potei; morsi le sue labbra e la lingua; mentre lui si toccava la lingua perché sanguinava, ne approfittai: aprii la portiera e scappai fuori nel bosco, ma lui non si mosse dalla macchina, si sentiva forte lì. Fuori era un debole, per fortuna mi salvai. Dovevo sempre lottare, ma per fortuna è andata sempre bene. Almeno non arrivavano a penetrarmi, erano molto deboli con me, grazie. Mi gridava di entrare in auto usando termini poco rispettosi, ma non lo ascoltai. Gli dissi: «No, preferisco stare nel bosco al buio che con te, maniaco». Allora lui accese la macchina e se ne andò. Mi guardai in giro era così buio, ma devo dire che non avevo paura di essere lì, sono rimasta per trenta minuti, poi lui ritornò di nuovo, era troppo bello pensare il contrario, allora ho avuto davvero paura. Si fermò e disse: «Sali, ti accompagno in albergo, dico davvero, non so cosa mi sia successo, ma non volevo» gridò: «Dai, sali cazzo, Sali!». Io gridavo: «No, vattene, non ti credo!». Mi rassicurò, salii e mi portò in albergo, scesi e sbattei la portiera. Mi disse: «mi raccomando, non dire niente al gruppo, tanto non ti crederanno». Il portiere dell’albergo mi vide con il vestito strappato. «Signorina, cosa è successo? Devo chiamare la polizia?» «No, grazie, non è successo niente». Salii in camera, mi tolsi il vestito, ormai tutto strappato, e mi feci una doccia calda; stetti lì sotto molto tempo, volevo che si togliesse dalla pelle l’odore del suo corpo e della sua bocca, mi faceva schifo. Poi andai a letto, mi resi conto che non avevo pianto per niente, ero dura e forte. Dormii. Durante la notte ebbi un incubo, sognai tutto l’accaduto, mi svegliai di scatto, mi guardai attorno e notai di essere in camera mia; finalmente scoppiai a piangere a singhiozzo per tutta la notte e mi addormentai piangendo. La mattina successiva mi sentii bene. La sera andai a lavorare, dovevo, perché mi mantenevo da sola; andai al night e naturalmente c’era anche lui, mi volle al suo tavolo, non potevo rifiutare perché il contratto lo vieta, ma non parlai. Mi chiese se volevo ballare, gli risposi di no, che non avevo voglia. Allora mi prese per il braccio e mi trascinò in pista. Mi ricordava: «Ti devo parlare, non ti conviene dire al gruppo quello che ti è successo, non ti crederanno, perché ho
detto loro che abbiamo fatto l’amore e che è stato grandioso e che ora abbiamo litigato come tutti gli amanti». Il giorno dopo chiamai il mio agente e dissi di voler andare via da Varese subito. Andai ad Arona, lì mi sentivo a casa. Poi una sera una mia amica di Varese, Doroty, mi telefonò e disse: «Vieni, ti faccio conoscere un musicista, sono sicura che ti piacerà e anche a lui tu piacerai, è un ragazzo di vent’anni, è simpatico e ho parlato di te. Ma sai che mi ha detto che dopo qui verrà a suonare ad Arona?». Andai. Mancavo da Varese da un mese, prima lui non c’era. Alla pausa il musicista che suonava l’organo elettronico, suonava divinamente, venne da me e si presentò: «Sono Mirko, ciao». «Io sono Nadia, ciao». Era un ragazzo dolcissimo, non era tanto bello fisicamente, non era scolpito, non aveva spalle larghe, ma aveva una simpatia pazzesca. Mi innamorai subito di lui, mi disse che sarebbe venuto a lavorare ad Arona, ero contentissima, così ci saremmo rivisti. E così fu. Ci frequentammo, un giorno mi chiamò al telefono e mi invitò ad andare a casa sua a Busto Arsizio. Dissi: «Sì vengo, vengo». Andammo a casa sua a conoscere la madre e lì sul suo letto facemmo l’amore per la prima volta. È stato bellissimo e dolcissimo. Ormai dormiva con me in albergo e tutte le notti erano bollenti. Arrivò il giorno che finì il contratto mensile di lavoro, dovette andare in un altro night perché si cambiava sempre posto e gruppo, io dovetti finire il periodo, ma lui mi disse: «Vieni con me, io vado a Sondrio. Appena finisci qui, ti chiamo e ti vengo a prendere e lavoreremo insieme». Ero molto felice, lui mi amava, e pure io, volevo stare con lui tutta la vita. Così fu, mi venne a prendere e andai felicemente con il mio Amore. Arrivammo a Sondrio e andammo subito in camera e facemmo l’amore, non aspettavamo altro. Lo amavo tanto. Lavorammo insieme per mesi, andammo ad Alessandria, ovviamente lui era geloso quando alcuni clienti mi stringevano ballando e mi guardava in un certo modo, come per dire staccati. A me piaceva che fosse geloso, io ero solo sua. La notte facevamo pace a modo nostro, non si dormiva. Ad Arona, prima di andare via, conoscemmo la cantante del momento della Svizzera se, La Chaux de Fonds, Miriam; propose al mio amore di seguirlo in Svizzera a lavorare perché il suo capo gruppo, Aldo, stava cercando un nuovo gruppo di musicisti per creare una nuova band, organista, chitarrista, batterista, e lei come
cantante del gruppo; ovviamente non solo lei cantava, ma anche il mio amore, il chitarrista e Aldo il capo gruppo. Così il mio ragazzo accettava la nuova esperienza. C’era un problema: “Io che faccio?”. Chiesi ad Aldo di poter lavorare anch’io nei locali, ma lui mi disse che non poteva perché il contratto di lavoro era di un altro tipo per i musicisti, perciò non potevo lavorare, ero disorientata. Ma come? Dovevo perdere il mio amore? Ma Mirko disse ad Aldo: «No, lei viene con me, ci penso io a lei, starà al mio fianco». Naturalmente Aldo non se lo aspettava e non era neanche d’accordo. Andai con il gruppo e con il mio amore. Lo seguii dappertutto. Era bellissimo essere con lui 24 ore su 24, finalmente ero veramente innamorata di un ragazzo fantastico. Un giorno mi disse: «Compriamo le fedi, così per gli altri saremo sposati» acconsentii. Entrammo in una oreficeria nella Svizzera italiana, comprammo le fedi d’argento e fuori dal negozio facemmo una nostra intima funzione di matrimonio. Presi la fede e recitai il rito: «vuoi, Mirko, prendere come legittima sposa questa bellissima ragazza di nome Nadia?» Lui rispose: «Sì, lo voglio» e mise la fede all’anulare sinistro. Lui fece lo stesso con me: «Vuoi, Nadia, prendere come legittimo sposo questo musicista di nome Mirko?» «Sì, lo voglio» adesso baciamoci! E così ci siamo baciati. E così ci siamo sposati, eravamo marito e moglie. Bellissima cerimonia tutta intima. Andammo di corsa a dirlo alla band, ci fecero gli auguri, ma la cantante Miriam un po’ meno. Stava iniziando qualcosa che ancora non capivo. Ci recammo a casa del capo band, in camera del capo, c’erano due letti matrimoniali, uno era il nostro e l’altro il loro. Ci mettemmo a letto. Ma Aldo parlava di donne, disse al mio ragazzo: «Tu hai una bella ragazza vicino, ha un corpo da donna, seni grandi, bel corpo perfetto, bel sorriso. Invece Miriam è mascolina, seno piccolo, fianchi stretti e spalle larghe». Finì così la conversazione. Il mio uomo, chissà perché, quella notte volle fare l’amore. Il giorno dopo preparammo da mangiare, e Aldo faceva sempre brodi, mi chiese di aiutarlo in cucina a tagliare le patate. Dissi: «Sono tanti, perché non chiami pure Miriam?»
«Sì, adesso arriva». Ma non arrivò, e non vidi neanche il mio ragazzo, lo chiamai ma non rispondeva. Chiesi ad Aldo dove fossero, lui sapeva, ma disse: «Adesso arrivano, stanno vedendo degli spartiti che ci serviranno». Gli credetti. Dopo una mezz’ora finalmente rividi il mio ragazzo e gli chiesi: «Ma Mirko, dov’eri? Ti ho cercato». Lui non rispose, mi si avvicinò e mi abbracciò, stranamente per un attimo lo sentii lontano. La donna in questo è molto intuitiva, capisce sempre quando c’è qualcosa che non va, ma non ancora capivo che stava iniziando un incubo. Rimase in silenzio tutta la giornata, gli chiesi cosa avesse, ma naturalmente non me ne parlò. Era iniziato il loro rapporto sessuale. Mi tradiva. Io ero là a due i e lui già mi tradiva. Tradiva il suo amore. Mi volle con lui per seguirlo dappertutto e lui dappertutto tradiva me con lei. Tutt’ora mi chiedo perché volle portarmi dietro se aveva l’intenzione di tradirmi; chi glielo faceva fare, perché provvedere alla mia persona, quando poteva essere libero da impegni di cuore? Ma lui mi portò perché mi amava, altrimenti perché? Lei raccontò di essere stata violentata da un uomo quando era giovane, aveva sulla trentina in quel momento, e rimase incinta a causa di quella violenza; nacque una bambina, che aveva 8 anni circa. Ci raccontò che l’uomo finì in carcere ma, quando uscì, la cercò e tentò di ucciderla pugnalandola nelle parti intime. Stette tra la vita e la morte, guarì, ma non amava la figlia. Mi dispiacque quello che era successo, ma che c’entravo io con la sua storia? Perché voleva a tutti i costi il mio uomo? Con il tempo capii che lei era gelosa di me, perché ero felice con il mio uomo, perciò lei doveva rovinare questo nostro rapporto, rovinare il nostro amore, voleva che andassi via e fece di tutto. Quale arma esibì? Il sesso! Il mio uomo aveva 20 anni; con la sua storia pietosa, secondo me, non amava gli uomini ma li usava sessualmente perché era naturale, invece odiava le donne. Le donne che erano felici con l’uomo che amavano. Usava quest’arma perché doveva arrivare a me, a farmi capire e soffrire come aveva sofferto lei. Faceva di tutto per uccidermi psicologicamente. Nel suo cuore voleva che anch’io venissi violentata da lui, così avrei sofferto anch’io, e lei godeva. Sadica e psicopatica. Dovevo essere ancora violentata? Perché non ero stata anch’io vittima in ato di violenze? Che ne sapeva lei, di quanto la capissi? Io non raccontai mai la mia storia nemmeno al mio uomo. Soffrivo in silenzio ma non mi sono mai comportata in questo modo (far soffrire un’altra donna) mai. Certo, non tutti gli
uomini sono uguali. Io avevo finalmente trovato il mio, che amavo immensamente, e non volevo cederlo o dividerlo con nessuna. Sono egoista? Ditemelo voi? Sono egoista? Forse, d’amore però. Quando ci spostavamo in altre città in Svizzera, siamo andati a Zurigo, lì siamo stati bene io e lui perché non c’era l’ombra di lei. Mancò quel periodo. Ma sapevo che telefonava spesso al mio uomo, infatti dicevo: «Perché ti chiama?». Lui: «No, vuole sapere come sono andate le serate». «E chiama te, non Aldo?» «Ma è uguale». Non era uguale, lei doveva a modo suo far finta che gli mancasse, così io l'ho avrei saputo e mi sarei arrabbiata con lui. Infatti ci litigavo. Lui mi riassicurava che amava solo me, perciò dovevo stare tranquilla. Infatti lì mi sentivo bene, eravamo solo io, lui e il nostro amore. Ci amavamo tutti i giorni, ero solo sua e lui solo mio, era bellissimo. Poi andammo a La Chaux de Fonds, Svizzera se. Lì è stato un tormento perché lei era nativa di quella città, abitava lì. Si vedevano tutti i giorni, naturalmente era la cantante della band, perciò era logico che si vedessero, ma continuavano a fare sesso. Doveva farmelo sapere. Era arrivata a darmi tormento con la complicità, se pur ingenua, del mio uomo; lei si prestata, forse era un gioco per eccitarsi entrambi. Ci furono dei momenti in cui lei partiva alla carica. A volte eravamo insieme in giro con la band. Lei approfittava, mentre ero distratta, lo baciava, ma era furba, si faceva vedere tramite una vetrina o uno specchio, così che io potessi vederli. Infatti dicevo: «Ma che cavolo fate, vi baciate?» e loro facevano il gesto con la testa «No». Mirko mi prendeva in giro. «Sì, invece vi ho visti attraverso il vetro! Perché, Mirko, mi racconti le bugie?». Lei naturalmente godeva. Una sera, mentre ero a casa ad aspettarlo (non potevo andare tutte le sere in discoteca per controllarli), arrivarono tutti e due eccitati, si spogliarono e si misero accanto a me, nel letto. Rimasi scioccata, non capivo cosa volessero insieme, ricordo che ho avuto paura, paura del mio uomo. Non è la prima volta che si sente parlare che amanti uccidono per sesso. Ho avuto paura. Non sapevo se dovevo assistere al loro amplesso o rapporto a tre. Mirko cercava di abbracciarmi, ma io non volevo. «Che cosa dobbiamo fare, ti dividi per due?». Non rispose. Riprovò ad abbracciarmi, io urlai e scappai in cucina, e piansi.
Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere. Ero spaventatissima e sprovveduta, non sapevo cosa fare. Lui in cucina non venne a confortarmi, era distaccato, ma venne lei. Disse: «Dai, vieni, non ti preoccupare, qui fa freddo, vieni a letto». Andai a letto, mi misi alla sinistra del mio uomo, lui era dietro di me. Non dormii quella notte e loro non dissero niente, forse si guardavano e pensavano che avevo rovinato il loro ardore, il loro piano, la loro notte violenta ed eccitante. Naturalmente si erano messi d’accordo per fare una serata di sesso a tre, senza il mio consenso. Non ero al corrente e lui non disse mai nulla. Lei voleva regalare a Mirko una serata speciale, come trofeo, me. Diceva che una donna innamorata doveva fare tutto quello che il proprio uomo le chiedeva a letto, anche un rapporto strano. Altrimenti non era amore. Lui ovviamente ci credeva. Sembrava fossi io la strana, che non volessi essere come loro, mi sentivo a disagio, dicevo a me stessa: perché non sono così anche io? Perché non provo queste cose? Forse non sono normale? Ovviamente non era così. Ero una ragazza, forse piena di tabù, ma ero così e basta. Ho ato l’inferno con lui, si era rivelato meschino, non lo riconoscevo più. Ormai ragionava con il suo pene, il cervello non c’era più. Il giorno seguente a quella notte, volli andare via, tornare in Italia. Presi le mie valigie e dissi a lui di accompagnarmi alla stazione. «Vado via, mi fai schifo». Lei era raggiante. Ma lui mi disse: «No, tu stai con me, ti amo e non voglio che vada via. Adesso Aldo ci viene a prendere e ci porta in un altro posto, così possiamo stare da soli. Dai, calmati». Mi abbracciò e mi baciò e andai via con lui. Lei moriva di gelosia. Sapeva che lui mi amava e ci teneva. Ma purtroppo l’incubo non finì. La nostra casa era a pochi i dalla discoteca e le prove avvenivano lì, anche i loro incontri sessuali. Diceva spesso il mio uomo che andava a fare le prove per nuove canzoni, in parte era vero. Ogni tanto andavo anch’io a vederli. Di nascosto mi recavo ma non li trovavo. Tornavo a casa piena di rabbia e pena, a volte lo odiavo, mi chiedevo che ruolo avessi io in quella storia. Ero un ripiego o un terzo incomodo, non sapevo, mi amava come diceva o voleva farmi soffrire perché quella notte non volli accettare il sesso a tre? A volte pensavo che se lui me l’avesse chiesto prima e mi avesse detto: «Amore, vorresti fare sesso con una donna? Proviamo insieme, lo fai per me, per noi, ti amo, ma vorrei vederti mentre baci una donna», forse avrei accettato. Chissà. Se poi mi avesse baciato come mi baciava solo lui, avrebbe potuto chiedermi tutto, solo così avrei fatto tutto per lui, il mio uomo mi convinceva. Ma lui, invece,
voleva piacere a lei, era lui che faceva tutto per quella donna. Si erano messi d’accordo si erano detti: «Amore, facciamo una cosa strana, andiamo a casa, c’è la tua donna che ti aspetta. Che dici? Ci sta a farlo con noi? Se rifiuta non ti ama» (lei sapeva che non ci stavo). Però doveva convincere lui che fosse così. Lui purtroppo ci credeva. È stato crudele, sadico, perfido, snaturato, perverso, brutale e cattivo con la sua donna. Non so, ma veramente il sesso riduce un uomo in quel modo, lo cambia completamente? Non poteva smettere, era diventato schiavo del sesso e anche di lei. Era arrivato al punto che una sera in discoteca in mezzo alla serata (io ero a volte lì, andavo a divertirmi ogni tanto) lei lo chiamava e lo portava nel camerino, e lui subito correva al richiamo del sesso. Non potevo raggiungerli, nel camerino io non potevo entrare. Dopo quindici minuti tornavano, sorridenti, lei mi faceva capire che Mirko era eccitato e gesticolava con le mani. Forse aveva detto a lui: «Ogni tanto annusa le dita, così ti ricorderai del mio profumo intimo» e lui obbediva, neanche mi vedeva che ero seduta accanto a lui, era perso. Voi direte: ma che ci stavi a fare con due pervertiti e sadici? Lo amavo con tutta me stessa, lui era dentro di me, nel mio cuore e non vedevo altro. Non era lui, non era in sé, era un ragazzo intelligente e bravo come musicista, che purtroppo si era perso per troppo sesso. Io aspettavo che tornasse in sé, come una brava moglie che capiva il problema. Era solo giovane. Sopra di noi, dove abitavamo, c’era un altro gruppo di musicisti che si esibivano in un altro locale; quando la nostra discoteca era di riposo, noi andavamo a vederli, eravamo amici. Un giorno uno di loro, Toni, che suonava la chitarra, venne a casa da me a chiedere di Mirko, non tanto per parlare con lui ma per sapere che bugia mi aveva raccontato per uscire alle ore 14 di pomeriggio. Ovviamente io gli dissi: «È alle prove, è andato a fare le prove». Lui si agitò e mi rispose: «Eh già, le prove» (quasi arrabbiato) «ora si chiamano prove. È logico, cosa doveva dirti?» «Cosa stai dicendo? Cosa mi vuoi dire?» E lui: «Nadia, non sai che lui va con il topo?» la chiamavano topo perché non era bella e aveva la faccia da topo. «Tu sei qui da sola, e lui invece di stare con te dove va? Con lei, e non è la prima volta che lo vediamo».
Dissi: «Lo intuivo e ci litigo con lui, mi dice che non è vero, che sono gelosa e vedo ciò che non è». «Tu vedi benissimo, ma dimmi, con una bellezza come te, con un corpo perfetto come il tuo, un viso stupendo e quelle labbra da baciare, cosa ci fai con uno come Mirko?» «Forse, lo amo? Che dici» e lui: «Già, lei lo ama, naturale, altrimenti cosa ci fai con lui?» Scoppiai a piangere e lui gentilmente mi si avvicinò e mi disse: «Dai, non piangere, sono stato crudele, non volevo, ma cavolo, sei sempre sola qui, tradiscilo». «Che dici? Lo amo, non sono come lui. Mirko si fida di me, sa che non farei mai una cosa del genere». Si avvicina sempre di più con la mano, mi asciuga le lacrime e mi bacia con delicatezza. «No, cosa fai? Se quella porta si apre, Mirko pensa che me la faccio con te» Lui rispose: «Ok, se Mirko ci scoprisse insieme, il minimo che potremmo fare sarebbe prenderci a pugni e gli direi di non lasciare la sua donna da sola, perché ci sono altri uomini che la desiderano, è uno splendore». Ma quella porta non si aprì mai. Poi mi venne sempre più vicino e mi baciò con trasporto, un bacio apionato, e io lo lasciai fare, avevo bisogno dell’amore fisico che il mio uomo mi faceva a volte mancare. Facemmo l’amore, completo, sul tavolo in camera. È stato dolcissimo e attento, mi fece sentire donna, ultimamente non sapevo più chi fossi. È stato un vero uomo, delicato e rispettoso, sapeva come trattare una donna a letto. Mi chiese da quanto tempo non lo facevo, ma non risposi. Mi disse: «Hai visto, sono le 18:30 e quella porta non si è aperta». Aveva ragione. In un certo senso volevo che mi vedesse con un altro uomo, del resto lui non voleva che fi l’amore con un’altra donna? E allora perché si doveva arrabbiare se mi vedeva con lui? Era lo stesso, ora decidevo io, in tre: due uomini e me. No? Lui non era stato avvisato, si trovava nel bel mezzo dell’amplesso, sarebbe stato sicuramente contento. Mirko era così aperto a questo tipo di esperienze, perciò che problema si doveva creare? Niente.
La sua donna era con un altro, e allora? Pensate che non andasse bene così? Io credo di sì. L’ho tradito, ho tradito il mio uomo, tradire significa farlo di nascosto, senza che la persona che ami ti veda, esattamente quello che faceva Mirko tutti i giorni alla sua ragazza. Benissimo. Con Toni naturalmente ci vedemmo ancora qualche volta, andavamo a mangiare insieme nella stessa trattoria, lui si sedeva vicino a me da un lato, e dall’altro c’era Mirko. Ogni tanto mi toccava sotto il tavolo, arrivava fino a sopra le gambe, io mi muovevo come dire smettila e mi mettevo a ridere. Mirko mi guardava e diceva: «Che hai?» «Niente stavo ricordando.» «Cosa?» «Dopo te lo dico». Mirko non seppe mai del mio tradimento, con Toni; come iniziò, finì abbastanza presto, seppure a malincuore. Andammo via da quella città, finì il periodo e ci recammo a Locarno. Li è stato un altro tormento. Certo, si sa che i musicisti piacciono, anche a me Mirko mi era piaciuto tanto, ma lui prima era libero, ora aveva me. Ci sono ragazze ma anche donne adulte che fanno le proposte, naturalmente un ragazzo come lui e altri giovani del gruppo non era indifferente a questo tipo di approccio, è naturale. Ma io morivo di gelosia. Spesso mi dedicava, quando cantava, due canzoni: Knockin’ on Heaven’s door di Bob Dylan e Ain’t no sunshine di Bill Withers. Diceva: «Dedicata a Nadia». Lo adoravo, non era amore? Io credo di sì. Però tutto tornava come prima, bugie su bugie, veniva su in camera, sotto c'era la discoteca, così nella pausa veniva su e mi diceva: «Dopo la chiusura vado con Aldo». «Vengo anch’io» dicevo. «No, ti annoieresti, stai qua, arrivo presto». Un altro giorno disse la stessa cosa. Quella notte faceva caldo e volli andare su in terrazzo a prendere fresco. Mi incamminai verso il terrazzo a piedi per le scale, attraversando il corridoio che separava le camere. A un tratto da una camera sentii la voce di Mirko, non ci potevo credere, mi avvicinai con l’orecchio alla porta ed era proprio la sua voce, era con Aldo e Miriam e la tipa, in quattro, un’orgia. Non so cosa mi sia preso, bussai alla porta e mi rispose la cliente naturalmente. «Chi è?» «Lei non mi conosce ma ho sentito la voce del mio
uomo» invece Mirko aveva riconosciuto la mia voce e si nascose. La tipa aprì la porta e disse: «No, non c’è nessuno con il nome Mirko». «Sì invece, si è nascosto nell’armadio» gridai ad alta voce. A quel punto Aldo uscì e mi disse: «No, Nadia, Mirko non c’è, ci sono solo io». «No, non è vero, lui è venuto con te e Miriam. Va bene aspetterò fuori nel corridoio». Così fu. Lo aspettai, così anche quella notte andò male per loro, rompevo sempre le uova nel paniere. Naturalmente feci finta di andarmene ma rimasi nei paraggi; dopo qualche tempo uscì e mi trovò ad aspettarlo in un angolo, litigammo pesantemente. Quella notte lottammo con un coltellino, volevo tagliarglielo. Poi naturalmente non feci niente, parlammo e mi ripeteva che mi amava. Mi baciava e mi convinceva (credeva di convincermi). Finimmo per fare l’amore come da molto tempo non si faceva più. Dopo più di tre settimane accusavo dolori allo stomaco, bruciori con nausee mattutine, mal di testa e nervosismo, dissi a Mirko che accusavo questi sintomi. Il ciclo era ancora lontano, mancava una settimana, ma non capivo perché le nausee. Era la prima volta che il ciclo si manifestava in questo modo. Dissi a Mirko di recarci in farmacia, la dottoressa mi chiese cosa avessi, ho detto i sintomi e mi rispose: «No, è solo stress» ??? «prenda gli ansiolitici per un po’». Andammo fuori, Mirko mi disse: «Hai visto? Sei sempre agitata, stai calma, prendi le pillole». Ok, presi le pillole, ma comunque le nausee e i bruciori non avano. Non riuscivo a mangiare per via delle nausee. Lui comunque era sempre lo stesso, mi tradiva sempre, lo vedevo quasi ogni notte con qualcuna, non ne potevo più. Soffrivo troppo fisicamente e psicologicamente, penso che questa sia la peggiore violenza per una donna, non lascia segni sul corpo ma ti devasta e ti annulla moralmente, poi piano piano ti porta al suicidio. Quel giorno ricordo che litigammo molto malamente, lui uscì e chiuse con forza la porta e andò a suonare. Rimasi in camera sola come sempre con il mio dolore. Sentivo la musica e la sua voce che parlava al pubblico e faceva le dediche che le persone richiedevano. La notte più sofferta della mia vita, mi sentivo veramente sola e angosciata, non avevo un’amica con cui poter condividere questo tormento. Mi feci una doccia, lavai i miei capelli lunghi, con calma li asciugai, e pensavo: «Ora vado in discoteca, mi metto una minigonna -che avevo in valigia e che solitamente mettevo quando facevo l'entreneuse- con tacchi a spillo, scendo giù, così lo faccio morire di gelosia e rabbia» perché in fondo lui era geloso di me. In altre occasioni, mi comportavo così. Andavo giù e ballavo con i ragazzi che venivano in discoteca, del resto io ero giovane. E lui mi guardava sempre male perché era geloso della sua donna, nessuno la doveva toccare. Ma quella notte
non ero in vena di comportarmi così, optai per farla finita fisicamente. Presi tutte le pillole che avevo, gli ansiolitici, mi recai sul terrazzo, mi sedetti e aspettai la morte. Sono stata lì due o tre ore, non ricordo bene, pensai che quando Mirko sarebbe andato in camera nella pausa non mi avrebbe trovata. Ma le pillole non facevano effetto, ci voleva molto per morire? Dopo qualche ora cominciò l’effetto, stavo male, molto male, il cuore aveva un battito forte, sembrava non volesse più stare nel petto. Allora mi sono spaventata, non vedevo quasi più, mi incamminai verso la mia stanza ma dovevo fare tutte le scale, barcollando sono arrivata. Mi sdraiai sul letto e mi lamentai, non sapevo che ore fossero, sentivo un baccano giù. Poi sentii la porta aprirsi, ma non vidi chi fosse, non vedevo, la vista era annebbiata. Forse era Mirko, non so, non ha parlato, ho sentito che si è avvicinato e ha guardato qualcosa, poi è corso via, forse era venuto per dirmi che andava ancora via con qualcuno. Sentii di nuovo la porta aprirsi, ma ero incosciente, sentivo più voci. Aldo che si lamentava con Mirko, la padrona dell’albergo che diceva: «Nel mio albergo non si fa così, mi mettete nei guai, non posso chiamare la polizia e neanche un medico, perciò vedete che pillole ha preso e fatela camminare e vomitare». Ho percepito che mi alzavano per farmi camminare, ma le gambe cedevano, e non ho mai sentito la voce del mio uomo. Mai. Uno dei ragazzi diceva di farmi vomitare, chiesero a Mirko di farlo lui, di mettere le dita in gola perché del resto era il mio ragazzo. Mirko lo ha fatto, ma non parlava, non so se si fosse spaventato o non gli interessasse vedere la sua donna soffrire. Vomitai, poi mi misero sul letto. Sentii dire ai ragazzi: «Mirko, vieni con noi?» «No, resto con lei». Mi spogliò e mi mise a letto, lui era accanto a me. Pensava. Dormimmo. La mattina successiva non stavo ancora bene, ma il mio uomo non accennò a quello che era successo, mai, non parlava. Io gli dissi che avevo un forte mal di pancia, andai in bagno. Mi alzai, guardai, non c’erano escrementi, ma un piccolo sacco su cui erano appena evidenti i segni degli occhi, della bocca e del naso, è stato tremendo, non sapevo di essere incinta, lì ho lasciato mio figlio, credo di poche settimane. Ho abortito in quello squallido bagno di quella giornata più triste e sofferta della mia vita, ero morta anch’io quel giorno, ero morta già da diverso tempo, Mirko mi aveva uccisa con i suoi tradimenti continui ed era consapevole di quanto male mi fe. Era la mia prima gravidanza e non sapevo riconoscere i sintomi. Eravamo inesperti tutte e due, non avevo qualcuno con cui parlare di ciò, così non capii. Mio figlio. Il figlio di Mirko che avrei voluto con tutta me stessa. Quante volte mi rimprovero di aver
fatto una sciocchezza, errori che si pagano, ma non posso tornare indietro. Penso che se quella notte lui fosse salito in camera nella pausa, forze avrebbe salvato suo figlio, se soltanto mi avesse detto ti amo, perdonami. Ma non è stato così. Andai da Mirko: «Sai, ho perso il bambino. Credo fosse il bambino» non avevo più lacrime, ero distrutta, ma a Mirko non interessava, era indifferente, lui pensava solo al sesso. Forse il mio uomo non mi credette, gli faceva comodo così, non disse nulla. Forse andò da lei e disse che avevo perso il bambino, ma lei naturalmente lo persuase dicendo: «Non ci credere, vuole restare qui con te, ma tu mandala via ora, subito». Volevano che andassi via immediatamente per nascondere il loro segreto e Mirko c'era dentro. Avevo in corso un’emorragia dopo l’aborto, dovevo essere visitata ma nessuno lo fece. Mirko, sotto dettatura di lei, mi mandò via il giorno dopo. Mi accompagnò al night, ad Alessandria, dove avevamo già lavorato insieme, mi scaricò lì e andò via velocemente aveva fretta di arrivare in tempo per le orge. Non mi salutò, non mi lasciò soldi, ero senza, non potevo mangiare né comprarmi gli assorbenti, e poi stavo molto male. È stato crudele. Potevo morire dissanguata, forse era meglio. Al night non potevo lavorare, ovviamente perdevo sangue e poi come potevo stare in compagnia di uomini con quest’umore e in queste condizioni. Le ragazze mi aiutarono come meglio poterono, quando seppero che avevo abortito, erano disgustate da come si era comportato il mio uomo, sapendo che stava con me da più di un anno. Dissero che ci sono pochi uomini che sono degli stronzi e lui apparteneva a quella razza. Mi sono chiesta perché lo avesse fatto, ma non ho avuto risposta. Forse ho sbagliato anch’io in quel periodo, forse non ho difeso il mio amore come dovevo, ma anch’io ero giovane e si sbaglia spesso quando si è giovani. Avrei dovuto prenderla per i capelli, Miriam, forse dovevo andare tutte le sere in discoteca e controllare, ma a cosa sarebbe servito se il mio uomo comunque era perso per il sesso? Forse mi avrebbe amato di più? Non lo so, lui diceva che mi amava e questo era più importante. Dopo qualche giorno andai a telefonare a lui in Svizzera, dissi che non potevo lavorare con l’emorragia, «fammi tornare, poi mi ristabilisco e decidiamo cosa dobbiamo fare». Lui disse che era d'accordo. Ho preso in prestito dei soldi dalle ragazze e partii con le due valigie pesanti per Locarno. Arrivai, ma lui non venne a prendermi, mi lasciò sola alla stazione, e un po’ alla volta valigia dopo valigia arrivai in albergo. Mi venne incontro ma era molto freddo, anzi glaciale. Ho sentito una lacerazione al cuore, ho capito che era finita davvero. Mi ha portato le valigie in camera ed ho trovato il letto disfatto come se da poco avesse finito di fare un’orgia con lei. Non avevo la
forza di litigare ormai. Loro mi fecero trovare il letto in quel modo, per farmi soffrire ancora di più. Lui chiamò sua madre per venirmi a prendere, tra me e lui era finita così, senza un perché, la stessa notte che avevo tentato il suicidio; era un uomo meschino, insignificante e perverso. Ho sbagliato per non aver capito di essere incinta ma neanche lui lo sapeva, nessuno l'aveva mai detto, neanche la farmacista. Assurdo vero, un medico che ti dà gli ansiolitici per dei sintomi evidenti ed era del mestiere. Credo anche che se non li avessi presi tutti insieme, avrei comunque abortito lo stesso per le pastiglie sbagliate. Chiedo perdono a Mirko per aver tentato quel gesto estremo e per aver messo in pericolo il nostro bambino che purtroppo non sarebbe mai nato. Ero innocente, inconsapevole di questa avventura che era la gravidanza, ora che sono mamma so che significa. Andai via da Locarno, andai a Busto Arsizio dalle suore, stetti lì per un po’, fino a quando non mi ristabilii fisicamente, ma moralmente ero consumata dal dolore. Un giorno arrivò la telefonata di Mirko, mi disse che mi lasciava, non mi amava più. Io dissi che doveva venire di persona a dirmelo, che non accettavo per telefono. «Mi devi guardare negli occhi e avere il coraggio di dirmelo». Venne, ci incontrammo alla stazione, squallido vero? Dopo più di un anno insieme di convivenza, dirsi addio alla stazione. Non mi chiese come stavo, forse aveva paura che dicessi: «senza di te sto male, io ti amo sempre» non gli importava, disse freddamente, mi guardò in viso, aveva gli occhiali, non voleva guardarmi negli occhi. Disse: «Non ti amo più». Risposi: «Da quando, da ieri, l’altro ieri». Lui si alzò per andare via, aveva fretta come sempre e disse: «Non ti ho mai amato». In pieno petto mi arrivò una pugnalata e la lama squarciò il mio cuore facendolo sanguinare. Mancandomi il respiro, risposi: «Non ci credo, mi hai amato eccome, lo sentivo con il mio corpo quando ci amavamo». Non disse nulla. Dissi di darmi un ultimo bacio, ma si sprecò, si avvicinò e con distacco mi baciò lievemente, fino alla fine mi fece credere che la colpa fosse tutta mia, senza un perché mi lasciò, bruscamente con crudeltà. Era l'anno 1976. Prese l’autobus e lo vidi andare via, è stato l’ultimo giorno che ho avuto contatto con lui. Poi non lo vidi mai più. Piansi, per due anni piansi, per lui e mio figlio, poi nel ‘78 conobbi mio marito. Avevo 26 anni, ero cresciuta con il dolore. Una volta guarita fisicamente, ritornai a lavorare nei night, lavoravo per mantenermi,
ero diventata donna. Ma di notte chiamavo Mirko, l’ho amato e lo amerò tutta la vita. Lui farà parte sempre della mia vita ata, tra noi non finirà mai. Credeteci. Non so perché mi abbia veramente lasciato, sicuramente non era perché non mi amasse veramente, ma ha dovuto dire così, perché qualcuno ha deciso per lui, in modo che non tornassi indietro mai più, ero troppo scomoda, la verità sarebbe venuta alla luce con il mio suicidio. Non mi ha cercato, neanche io, non volevo soffrire di vederli insieme. Non volevo mi trattassero male e essere mandata via in malo modo. Non mi ha mai chiesto scusa del suo comportamento ambiguo. Per Mirko vivere in questo modo equivoco era naturale, secondo il suo modo di pensare da maschilista, poteva permetterselo perché era un uomo. Abbiamo convissuto sotto lo stesso tetto, eravamo “marito e moglie”, ricordi? Ritornando nei night ho lavorato, prima di venire a stabilirmi a Milano per sempre, nei locali dove si esibiva lui quando lavoravamo insieme. Pensavo: prima o poi capiterà qui in Italia, invece non è più venuto. Poi decisi di venire a Milano ed ho lavorato in tutti i night. Ho cominciato a vivere, senza il tarlo di Mirko, ma lo amavo ancora. Ho conosciuto altri uomini, ma erano occasionali, non storie, solo sesso. Ho lavorato bene nei night di Milano, certo, alcuni locali sono squallidi, altri sono eleganti e seri, dove c’era la discoteca e dove c’era l’orchestra. Dove si esibivano gli orchestrali, cercavo sempre di vedere all’organo Mirko, facevo amicizia con loro, ma semplice curiosità. Poi finii con il night, quando scoprii di essere incinta, non volevo più bere champagne per non far male a mio figlio, così mi ritirai. Mi sposai, mio figlio nacque nel dicembre ‘78, bella gravidanza e bel parto ero felice. Pensavo ogni tanto: se fosse il bambino di Mirko, chissà come sarebbe stato come papà, penso che sarebbe stato un buon papà giovane. Questa è la mia storia. L’entreneuse e il musicista. Storia sofferta e tragica, storia che è valsa la pena di vivere, perché ho conosciuto l’amore vero, almeno per me. Sono contenta di averlo conosciuto e di averlo amato, devo dire che comunque la sera tornava sempre da me. Mi amava egoisticamente. Grazie. Quando lo rividi al computer piansi, poi chiesi l’amicizia e rispose subito, forse era lì, ha visto la mia foto di quando ero giovane e mi ha riconosciuto. Scrissi sul suo diario: «Ciao, mi riconosci?». Mi manda subito un messaggio privato e con entusiasmo disse: «Ciao Nadia…pazzesco… 40anni… come mi hai trovato… come stai?»
Adesso mi chiedeva come stavo, dopo 40 anni, risposi: «Già… bene grazie… sei sposato?» Rispose: «Sono divorziato da quattro anni, con una figlia di 20 anni». Io risposi: «Anch’io sono separata da 5 anni e ho tre figli, due maschi e una femmina, di 35, 30 e 23 anni, e tre nipotine». Lui rispose ma c’era un calo di entusiasmo, quasi si risentiva che il primo figlio avesse 35 anni. Rispose: «Ah?... Auguri… ti saluto». Ho pensato che fe così perché nostro figlio, se fosse nato, avrebbe avuto 37 anni oggi, due anni in più del mio primogenito. Così ci siamo messaggiati per un po’. Ho scritto anche cose pesanti di rabbia, dolore e lui mi diceva: «Perché mi racconti questa storia? Stai andando troppo oltre. Cosa vuoi, Nadia?» Allora vediamo cosa voglio da te: puoi ridarmi l’amore con te? No, vero. Puoi ridarmi la mia vita con te? No, vero. Puoi ridarmi quell'ultima notte a Locarno? No, vero. Puoi ridarmi il nostro bambino? No, vero. Allora non voglio niente. Non hai niente da dare più. Gli ho detto: «Cosa ti dà fastidio? Ci conosciamo bene io e te, ricordi? Anche bene, io conosco te e tu conosci me». Altri giorni chiedevo scusa. Dicevo: «Non volermene, scusa, perdonami, io perdono te, non cancellarmi». «No, perché devo cancellarti». Poi gli feci gli auguri di Natale e dell’anno nuovo, gli ho augurato una continuazione di una felice vita. Lui è stato limitato, mi ha fatto gli auguri (auguri anche a te). Poi il 26/12/2013 ho mandato un messaggio pesante, di dolore, lui mi ripeteva che non dovevo scrivere messaggi e dovevo anche capire perché. No, non capivo. Perché dovevo capire, lui aveva mai capito me quando mi faceva soffrire con i suoi tradimenti? No. Allora perché dovevo preoccuparmi per la sua dolce metà? Chi se ne fre-ga-va. Disse: «Non sono più quello, sono cambiato». Sei cambiato? Come? Quando? Sei diventato serio? Non vai più a donne? Non fai più le orge? Non ti piacciono più le donne? Solo io sono capitata con uno stronzo e crudele come te e non avevo mai fatto niente di male, ero innocente. Adesso lui mi pregava di non scrivere più messaggi, altrimenti avrei sconvolto il loro amore. Non era un mio problema, chi se ne fre-ga-va. Nell’ultimo messaggio dichiaravo che non lo avevo cercato su FB ma mi era capitato, gli avevo detto che lui non mi interessava più. Lo capisci, Mirko? Ma doveva essere
un segno del destino, il destino vorrà qualcosa ancora da noi. Chissà, ho detto, se ci vedessero i nostri vecchi amici direbbero: «Ma guarda questi due, dopo 40 anni ancora insieme?». Poi ho detto che se non era lui personalmente che voleva che io non scrivessi più i messaggi e ma erano altri che suggerivano questo, allora non lo avrei fatto, non avrei accettato; ma se era lui, solo lui, che decideva con la sua testa, allora lo avrei fatto. “Dimmelo, solo per te, dimmelo”. In ato faceva tutto quello che dicevano gli altri, infatti il nostro amore finì per questo, “ma ora non cancellarmi dopo 37 anni che ci rivediamo virtualmente”. Non rispose, non aveva coraggio di rispondermi, gli ho fatto capire che lui è e sarà sempre nel mio cuore. Ho mandato anche il mio numero di cellulare e gli ho detto di chiamarmi, volevo sentire la sua voce, poi potevo pure morire tranquilla. “Non adesso, quando verrà il momento, caro”. Forse si è spaventato e mi ha bloccato, non lo vedo più e non posso comunicare più con lui. Mi ha sbattuto di nuovo la porta in faccia, come quando 37 anni fa mi aveva scaricato al night con l’emorragia in corso. Tu mi hai ferito, umiliata e uccisa, quella notte. Sei stato perverso, non ho mai capito perché ti prestavi a quel gioco perverso, forse ti eccitava? Farmi soffrire? Perché? Appena mi giravo ti baciavi con lei, o quando mi allontanavo vi davate la mano e facevi le fusa con lei, dietro le mie spalle, a due i da me. Non ti è mai venuto in mente che razza di uomo eri? No, non potevi, eri accecato dal sesso. Ricordo che alcuni uomini parlavano di lei, dicevano che donna era a letto. Infatti a letto, solo lì, ma fuori era insignificante, piccola e psicopatica. Solo te poteva ingannare, perché eri l’unico che aveva una donna fissa; lei gli altri ragazzi della band, che erano più belli di te, non li guardava neanche. Non avevi mai capito questo? Lei doveva arrivare a distruggere il nostro rapporto, solo me. Odiava le donne che erano felici insieme all’uomo della propria vita. Voleva che io soffrissi come aveva sofferto lei e che fossi aggressivo con la tua ragazza, ma tu lo facevi già, così vi vendicavate e godevate del risultato. Ti ricordi? Forse ho mai litigato con lei? Mai. Non parlavamo neanche, non eravamo neanche amiche. Sai perché? Non volevo darle soddisfazione, semmai l’avessi fatto forse avresti difeso lei, così sarebbe stata contenta che nella sua immaginazione tu rappresentassi in quel momento il suo uomo che difendeva la donna che amava. Era malata, non te ne sei mai accorto? Forse perché tu eri come lei. Forse chissà, lo avresti fatto, andando contro di me, per questo lei soffriva io non la consideravo, era invidiosa, così usava te per farmi del male, ti metteva sempre la pulce nell'orecchio. Ti ripeteva sempre che dovevi lasciarmi, c’è riuscita. Nonostante fossi adultero, la notte tornavi da me, perché? Lei moriva, sapeva
che mi amavi in fondo, perché mi avevi portato via con te, quando hai deciso che avresti condiviso la tua vita con la mia e quando ci siamo comprati le fedi. Ha dovuto distruggere il nostro grande amore. Però con il tempo si perdona, per guarire si deve fare, altrimenti non vivi bene. Io non ti odio, ti ho perdonato da tempo, ormai siamo diventati grandi, adulti, tu ti sei perdonato? Ogni tanto pensi a noi due? Alla nostra storia? Lo so, hai un’altra vita, come del resto io. Ma quella vita precedente non si può cancellare. Mi sono perdonata, Mirko, per quello che ho fatto quella notte. Un giorno vedrò il mio bambino mai nato, ma c’è, è lì. Mi aspetta, lo sai? Lo amo. Quando leggerai questo libro, capirai e deciderai di incontrarti con me, solo per parlare, spiegare. Ho voglia di rivederti per sapere che effetto mi fai ora. Magari non mi piaci più, forse neanche io, ma che importa, saremo finalmente amici. Adesso sei diventato un rispettabilissimo direttore discografico, sceneggiatore; oltre a cantare ancora e occuparti della musica, hai acquisito prestigio. So che fai ottimi spettacoli, sei arrivato dove la tua ambizione voleva. Sei un grande. Nutro affetto per te. Questo libro l’ho scritto perché mi è stato negato il diritto di amarti completamente e senza il mio parere, dalla band e da te, non hai voluto schierarti dalla mia parte, hai rinunciato all'amore per la tua band, però il pubblico non sa chi sei stato in ato e quanto male hai fatto alla tua ragazza di soli 23 anni usandole violenza psicologica, spingendola al suicidio e provocandone un aborto forzato per i tuoi continui tradimenti. Ti giudicherebbero in altro modo, che dici? Va bene così. Questa è la nostra breve e intensa storia d’amore, vissuta tragicamente con dolore e con la perdita di nostro figlio, e non potremo mai entrambi dimenticare. Ti amerò per sempre fino al giorno in cui rinasceremo. Nadia e Mirko. L’entreneuse e il musicista.
Fine