Silvia Magnani
La bocca del bambino
La bocca del bambino
Introduzione alla disprassia orale in età evolutiva
Silvia Magnani
Edizione Agosto 2014
ISBN 9786050317121
Autopubblicato con Narcissus.me
www.narcissus.me
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Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
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UUID: 9786050317121
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Indice
Presentazione Prassia e disprassia 1. Cosa intendiamo per prassia 2. Una parola da analizzare meglio: progetto 3. Cosa si intende per disprassia orale 4. Proposta di classificazione delle disprassie 5. La C.A.S. Aspetti clinici della disprassia orale 1. Età di comparsa 2. Espressività clinica della disprassia orale 2.1. La primissima infanzia 2.2. Dalle prime parole alla socializzazione coi coetanei 2.3. L’età prescolare 2.3.1. Criteri di normalità 2.3.2. Quadri clinici di disprassia in età prescolare La deglutizione 1. La deglutizione a sigillo anteriore 2. La deglutizione nel piccolo bambino
2.1. La stabilizzazione mandibolare e il aggio alla de-glutizione a pressione positiva 2.2. Principi di counselling per lo svezzamento 3. L’esplorazione orale sistematica 4. La deglutizione nella prima infanzia 4.1. Evoluzione del morso 4.2. La gestione del bolo 4.3. La riduzione del coinvolgimento del VII paio di nervi cranici 4.4. La posteriorizzazione del sigillo L’oralità del bambino 1. Le abilità della bocca: cosa aspettarsi e a che età 2. Elementi di counselling Correlazioni tra alterazioni della deglutizione, disprassia orale e problematiche ortognatiche 1. Segni di immaturità deglutitoria 2. Il morso aperto 2.1. Conseguenze funzionali del morso aperto 3. La collaborazione tra professionisti 3.1. Quale ortodonzia? 3.2. Quando e per quanto tempo? Il bambino vorace 1. Perché la voracità?
2. Elementi di counselling Le cosiddette abitudini viziate 1. Interpretare le abitudini orali del bambino 2. Il bambino “succhiatore” 2.1. La suzione e il piacere orale 2.2. Quale ciuccio? 2.3. Succhiare, per quanto tempo? 2.4. Cosa rischia il succhiatore accanito Fare diagnosi di disprassia 1. Osservazione informale 1.1. Cosa osservare? 2. Osservazione formale 3. Visita formale 4. Valutazione delle prassie orali non fonoarticolatorie 4.1. Valutazione delle abilità prassiche settoriali 5. Valutazione dello stile deglutitorio Criteri di presa in carico 1. Percorsi di presa in carico 2. Abilitazione prassica mediata dall’esperienza alimentare 2.1. Conoscere le abitudini 2.2. Elementi di counselling alimentare del bambino disprassico orale
2.3. Attività nello studio logopedico 3. Abilitazione specifica con eserciziario formale logopedico Riflessioni conclusive 1. La difficoltà della diagnosi differenziale 1.1. In tema di deglutizione 1.2. In tema di DSL 1.3. In tema di C.A.S. 1.4. In tema di problematiche ORL 2. Come agire per migliorare la presa in carico? Per approfondire Ringraziamenti Notes
Tracce percorsi brevi di logopedia
Tracce si propone come una collana di rapida fruizione da parte del logopedista impegnato nei diversi quadri patologici. Essa fornisce, oltre a una presentazione clinica ed eziologica delle patologie trattate, i criteri di diagnosi e di presa in carico, le indicazioni di counselling. Il criterio monotematico nella scelta degli argomenti, la brevità del testo, la presenza di tabelle, i richiami tipografici ne fanno uno strumento di utilizzo immediato nell’ambulatorio.
alle mie giovani allieve che sono diventate mamme in questi anni
a Ilaria che condivide con me il tempo dedicato ai piccoli pazienti
ai miei figli e ai bambini che sono stati
Presentazione
Questo testo è dedicato ai logopedisti che si trovano ad affrontare la presa in carico di bambini che presentano inabilità della bocca. Esso vuole essere un breviario di semplice utilizzo che non sostituisce ma facilita l’approccio ai testi formali della letteratura presenti sull’argomento. Nella medesima ottica le indicazioni per il trattamento sono da intendersi come suggerimenti di immediata applicabilità da integrare allo studio delle metodiche note di approccio terapeutico quali la Terapia Miofunzionale e la Oral Motor Therapy.
La lettura è facilitata dalla presenza di icone:
Connessione: riflessioni su aspetti solo apparentemente distanti della fisiologia e della clinica ma in realtà profondamente interrelati.
Definizione: vocabolario suggerito.
Riepilogo: riassunto dei concetti principali esposti.
La freccia segnala argomenti meritevoli di riflessione.
Prassia e disprassia
1. Cosa intendiamo per prassia
Derivato dal greco praxis: azione / attività, il termine indica l’atto dell’agire. In senso letterale prassia è l’esecuzione di un progetto motorio. Per abilità prassica, in senso clinico, si intende la capacità di “portare a buon fine” tale progetto[1]. Secondo la storica definizione di Ayres (1985)[2] prassia è “la generazione di volitional movement patterns per la riuscita di una specifica azione, in modo particolare l’abilità di selezionare, pianificare, organizzare e iniziare la sequenza motoria che è il fondamento della prassia stessa.” In questa definizione i confini tra progetto-esecuzione-risultato sfumano. Nella pratica infatti la prassia rappresenta il continuum esistente tra l’ideazione di un’azione e la sua ricaduta sull’ambiente o sul soggetto stesso.
La disprassia è l’incapacità di portare a buon fine un progetto motorio in assenza di problemi del movimento di origine neurologica, di deficit di tono muscolare o di alterazioni dell’apparato muscolo-scheletrico.
Dal quadro disprassico (o aprassico, quando l’incapacità esecutiva è completa e il progetto non viene realizzato nemmeno in modo distorto) vanno differenziate forme di alterazione della capacità esecutiva solo apparentemente simili ma di genesi e gravità differente (spesso esiti di danni neurologici centrali) quali la aprassia ideomotoria, caratterizzata dalla completa incapacità di compiere un gesto complesso su richiesta o per necessità, salvo poi il saperlo compiere in modo automatico, e le aprassie procedurali, nelle quali il problema è porre in successione azioni, creando sequenze corrette e finalizzate a un risultato (come ad esempio prepararsi una tazza di thè).
2. Una parola da analizzare meglio: progetto
Progetto indica la capacità di proiettare un’idea nel futuro, cioè di “gettarla avanti”, oltre il presente agito. Un progetto prassico non è altro che il prepararsi a un “fare per il futuro” con la motricità. Esso si fonda sulla capacità di immaginare l’esito di un’azione, mentre se ne considera contemporaneamente la fattibilità pratica. Un “progetto motorio” è alla base di ogni prassia, ma per poter arrivare ad attuarlo in una modalità corretta occorrono diverse operazioni mentali.
Identificazione di un obiettivo (ad esempio portare il cibo alla bocca). Identificazione di un’azione motoria adatta ad ottenerlo. Capitalizzazione di pregresse esperienze maturate nello stesso campo dell’agire e loro valutazione (in relazione a costo-efficacia-fattibilità di esecuzione). Scelta, tra le tante possibili, della modalità che si ritiene più adeguata al raggiungimento dello scopo Sperimentazione della modalità prescelta (anche in relazione a successi e insuccessi maturati) con verifica dell’esito, suo eventuale miglioramento o abbandono (in questo caso con ritorno al punto 2). Memorizzazione e automatizzazione della sequenza motoria, in caso di successo, al fine di renderla ripetibile nelle occasioni future.
Le capacità cognitive si pongono come garanti dei punti precedenti. Il propriocettivo agisce come sistema di controllo dell’agito.
Alcuni progetti hanno bisogno di un “programma innato”, cioè di un software (tutti i mammiferi succhiano, solo gli umani parlano); per altri è sufficiente l’esposizione a un modello (come accade imparando una lingua straniera); per altri ancora è possibile procedere solo per tentativi ed errori (come tutti noi abbiamo fatto per imparare a schettinare o ad andare in bicicletta). Tutti i progetti hanno bisogno di un hardware, cioè di un sistema fisico che li attui (vie sensoriali, connessioni, via motrici, apparato muscolo-scheletrico) e di capacità mnesiche (memoria operativa e memoria a lungo termine).
3. Cosa si intende per disprassia orale
In alcuni casi l’inabilità prassica coinvolge in modo specifico l’oralità, dando luogo a un quadro patologico caratteristico che si evidenzia in età molto precoce: la disprassia orale. Esso è caratterizzato dalla incompetenza nel portare a buon fine un progetto motorio che riguardi l’oralità, sia questa intesa come capacità di gestire il cibo e di attuare una propulsione del bolo in direzione dell’esofago, sia come abilità nel produrre gli atteggiamenti fonoarticolatori a dare i fonemi della lingua. I due aspetti si manifestano associati, anche se a espressività sintomatica diversa. Non raramente alle incapacità menzionate si aggiunge una caratteristica “difficoltà nel sentirsi agire”, una riduzione della autopercezione, coinvolgente sia la propriocezione profonda (il bimbo non riconosce il movimento che sta compiendo[3]), sia la sensibilità superficiale (tipicamente con noncuranza della scialorrea). Probabilmente per questa difficoltà ad interpretare le sensazioni in ingresso, il piccolo è spesso intollerante a ogni manipolazione che riguardi il viso o la bocca e reagisce al contatto come reagirebbe a uno stimolo doloroso. Di questo occorre tenere conto sia in sede di diagnosi che di terapia.
Nel caso il bimbo presenti invece un disturbo isolato della sfera linguistica con incapacità nella produzione dei fonemi in presenza di abilità deglutitorie adeguate all’età anagrafica, al quadro viene dato nome di disprassia verbale o, nei paesi di cultura anglofona, di C.A.S. (ChildhoodApraxia of Speech).
È evidente da quanto detto che esistono situazioni sfumate nelle quali la diagnosi differenziale tra disprassia orale e alterazioni della deglutizione in età evolutiva è complessa. Allo stesso modo non è semplice differenziare un disturbo fonologico da un’alterazione della produzione consonantica correlata a una incapacità di programmazione del movimento.
Occorre sempre tenere presente che i quadri patologici (sia quelli inerenti alla sfera alimentare che quelli inerenti alla sfera linguistica) si possono trovare in associazione.
4. Proposta di classificazione delle disprassie
La classificazione dei quadri patologici disprassici orali si giova di un criterio eziologico più che di un criterio clinico (forme diverse hanno infatti la stessa espressività sintomatica ma non per questo la stessa origine). Le forme correlate a problemi di hardware sono etichettabili come disprassie organiche. A questa categoria fanno capo le incapacità di portare a buon fine il progetto motorio dovute a un’alterazione congenita o acquisita dell’apparato orale (labiopalatoschisi, edentulia, malformazioni della bocca, esiti di traumi, esiti chirurgici, ecc.)[4], cui consegue un adattamento delle prassie che subiscono una devianza compensatoria. Tale adattamento può portare a un ulteriore aggravamento della situazione anatomica di partenza (come accade in caso di morso aperto scheletrico il quale viene ulteriormente ampliato dalla inevitabile interposizione della lingua in deglutizione).
Col nome di dislalie meccaniche periferiche si intendeva un tempo un quadro patologico caratterizzato da alterazioni della produzione fonoarticolatoria secondario a problemi di hardware a sede periferica, soprattutto dentaria. Tale termine appare oggi del tutto inadeguato poiché accentua il ruolo eziologico dell’alterazione meccanica, sottovalutando la presenza dell’immaturità prassica che vi si associa e la possibilità (o la certezza) che a un danno anatomico si risponda con un adattamento funzionale alterato[5]. Disprassie correlate a problemi di software sono quelle forme nelle quali non è rintracciabile un’eziologia organica e l’incapacità prassica rimane l’unica disfunzionalità presentata dal soggetto. La definizione di disprassia primaria è in questi casi la più calzante. Accanto a queste forme si devono porre altri due quadri disprassici, entrambi non organici ma secondari, che potremmo chiamare disprassie da deprivazione. Il primo riunisce i casi di disprassia orale dovuti alla mancanza di esposizione a modelli adeguati o all’esposizione a modelli scorretti. Il secondo le forme secondarie alla mancanza di esperienza maturata nella sfera oro-alimentare. Al primo quadro afferiscono le situazioni nelle quali il piccolo non ha potuto apprendere abilità della bocca adeguate per deficit della cura parentale o deprivazione socio-ambientale. È questo il caso di bambini allevati in istituti, nei quali la relazione carente per l’affollamento, il disagio economico e la mancanza di personale motivato, produce disprassia orale, sia a espressione fonoarticolatoria (deprivazione comunicativa, assenza di modellamento linguistico), sia alimentare (alimentazione prolungata con liquidi e semiliquidi, proposti in biberon, al fine di alleggerire il maternage). Al secondo quadro afferiscono i casi di deprivazione di esperienze orali che caratterizzano bambini sottoposti a nutrizione assistita per periodi prolungati, ospedalizzati, che hanno subito interventi dolorosi alla bocca e necessitanti di igiene orale accurata e prolungata. È necessario sottolineare che, mentre i bimbi affetti da disprassia primaria rispondono lentamente alla terapia logopedica, quelli che presentano disprassia da deprivazione sono più reattivi e ottengono buoni risultati in tempi più brevi. Ciò è con ogni probabilità dovuto all’essere questi bimbi stati sottratti alle
esperienze orali in un momento delicato della propria evoluzione ma non incapaci di elaborare le informazioni percettive provenienti dal distretto e di incanalarle verso risultati prassici apprezzabili, una volta che la stimolazione venga condotta correttamente, come se le potenzialità fossero presenti in questi secondi e molto scarse o assenti nei primi.
Un’ulteriore variante di disprassia orale, quadro minore nella espressività sintomatica e interpretabile come situazione parafisiologica, sono le forme di inabilità orale dovute a iperprotezione. È questo il caso di bambini allattati per periodi prolungati, sottoposti a svezzamento tardivo, bambini ai quali non sono state permesse esperienze orali di esplorazione degli oggetti per timore di contaminazione. Anche bambini disappetenti possono incorrere in questa forma di deprivazione. Per costoro spesso il latte con i biscotti, proposto nel biberon, è il cibo più gradito e i genitori possono non sentirsi in grado di proporre alternative sino ad età molto avanzata. Occorre ricordare che possediamo un calendario biologico che condiziona le nostra capacità di apprendere. Ciò che viene perso in termini di esperienza orale nei primi 24 mesi di vita produce ritardi nello sviluppo prassico e necessita di cammini esperienziali alternativi e tardivi che spesso solo il logopedista può mettere in atto.
Per concludere occorre ricordare che un grado variabile di disprassia orale può associarsi al ritardo cognitivo. Essa è particolarmente presente nel soggetto Down ed è aggravata sia dalla sproporzione dimensionale tra cavità orale e corpo linguale, sia dall’abitudine all’autosollecitazione (succhiamento della lingua, leccamento del mento) che questi bimbi sviluppano, secondaria proprio all’impossibilità della lingua di permanere a lungo all’interno della bocca. I bambini con deficit cognitivo non sempre colgono il significato delle esperienze, non estraggono, apprendono con fatica, non elaborano strategie alternative, non ricordano (la successione, i nessi di causa ed effetto). In questo senso possono non essere in grado di elaborare progetti che seguano procedure codificate
5. La C.A.S.
Nonostante questa sindrome non sia l’argomento di questo testo è opportuno riservare ad essa qualche commento.
La CAS è un disordine motorio del linguaggio in assenza di alterazioni morfologiche, di paralisi o di debolezza dei muscoli fonoarticolatori. I bambini che ne sono portatori presentano difficoltà nel pronunciare vocali, sillabe, parole e nel rispettare la resa degli accenti e la prosodia della frase.
Questa alterazione nella resa sia dei tratti segmentari che sovrasegmentari del linguaggio è lo specifico della sindrome.
Tre le tipologie: forme secondarie ad alterazioni neurologiche precoci, forme genetiche e forme idiopatiche.
Alla diagnosi di disprassia verbale si arriva spesso per esclusione, quando la terapia abitualmente praticata per l’abilitazione orale e per il disturbo fonologico non sembra sortire nessun effetto che si mantenga a lungo termine. Non esistono sintomi senza i quali non è possibile porre diagnosi e, al contrario, in presenza dei quali la diagnosi è certa.
Le aree coinvolte dal disturbo sono le seguenti.
La coordinazione spazio-temporale, con lentezza nelle transizioni tra i fonemi, eloquio lento, presenza di pause inappropriate, prolungamenti vocalici. La produzione di sequenze motorie con inadeguata fonoarticolazione, coinvolgente sia le consonanti che (sintomo tipico) le vocali, con alterazioni nelle transizioni e presenza di transizioni anomale, assimilazioni e, anch’esso sintomo specifico, inserimenti di consonante o vocale al fine di facilitare la transizione stessa. Alterazioni della risonanza con rinolalia, intubazione, scurimento timbrico. Alterazioni della coordinazione senso-motoria con inadeguato percettivo delle sequenze articolatorie.
Le conseguenze sono rappresentate da alterazioni della prosodia (che appare lenta, aritmica, con durata del segmento non adeguata al contenuto linguistico), intelligibilità ridotta, non fluidità. Frequente è la comparsa di alterazioni fonoarticolatorie atipiche, di metatesi, di armonie, di episodi sporadici di inserimento di intere sillabe. Il bambino portatore di C.A.S. presenta inoltre estrema difficoltà nella memorizzazione delle sequenze motorie, difficoltà nel riprodurre un ritmo, nel ricordare una rima. Peculiare è infine la iperestesia orale, con intolleranza alla manipolazione della bocca associata, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, a deficit di autopercezione orale.
La testistica rivela difficoltà di ripetizione di parole crescente col numero di sillabe, maggior difficoltà nella ripetizione di non parole, incostanza degli errori presentati. La coarticolazione tra i fonemi è maggiormente alterata della loro produzione isolata. Nel bambino più grande è evidente la dissociazione tra livello di comprensione del linguaggio e livello produttivo. Può presentarsi il fenomeno dell’evitamento, spesso accompagnato da pause inappropriate nell’eloquio. La diagnosi differenziale con il ritardo di linguaggio nel bambino piccolo è complessa. Indicatori di sospetto sono anomalie nella lallazione, tardiva
comparsa delle prime parole, estrema povertà nell’inventario di suoni consonantici e vocalici. Il bambino con C.A.S. non presenta problemi comunicativi[6]. Usa il gesto, ha una buona spinta volitiva alla relazione, ascolta e risponde (come può). Nonostante questo però la competenza mimica è ridotta. Le pieghe del viso sono spianate ed è presente un grado variabile di disprassia generale. Caratteristica è la dissociazione volontario/automatico, con possibilità di compiere una sequenza motoria irrealizzabile se richiesta esplicitamente, in modo inconsapevole (ad esempio in situazione alimentare).
L’incidenza della sindrome è stimata del 13% nel bambino con disturbo pervasivo dello sviluppo, del 10% nel soggetto con sindrome di Down, del 3% nel bambino con ritardo di linguaggio.
Per disprassia intendiamo la incapacità a portare a buon fine un progetto motorio, precedentemente individuato e prescelto per ottenere un certo risultato. La disprassia orale è una particolare forma di disprassia caratterizzata da una peculiare carenza delle “abilità della bocca”. Essa può esprimersi sul fronte alimentare o su quello fonoarticolatorio o su entrambi. La diagnosi differenziale è da porsi con il disturbo fonologico e con le alterazioni della motricità orale che caratterizzano la deglutizione deviante. Si parla di Childhood Apraxia of Speech quando l’incapacità di programmazione motoria riguarda unicamente o in modo del tutto prevalente la produzione della fonoarticolazione.
Aspetti clinici della disprassia orale
1. Età di comparsa
Per la peculiarità delle competenze orali, essenziali alla sopravvivenza e alla comunicazione, la disprassia orale si manifesta clinicamente in età molto precoce con una mancata evoluzione delle abilità di gestione del bolo (anche liquido) e/o con una incapacità a padroneggiare l’aspetto fonoarticolatorio del linguaggio, indipendentemente dal livello morfosintattico raggiunto.
Il diverso grado di salienza dei sintomi nei soggetti determina l’età di invio allo specialista e l’inizio dei percorsi diagnostici.
È comune che i genitori non siano preoccupati, nei primi anni di vita dei propri figli, per la mancata evoluzione delle abilità deglutitorie e che tollerino nei loro bambini preferenze per cibi con caratteri organolettici adatti a età inferiori.
La prima preoccupazione parentale, nel caso di una bambino per altro sano, è solitamente l’appetenza e la rispondenza all’atteso dell’accrescimento staturoponderale. Se questi obiettivi paiono soddisfatti (il piccolo si nutre, non importa come e con quali preferenze nella dieta e nella modalità di somministrazione dei cibi), i genitori non chiedono un consulto foniatrico, anche in presenza di manifesta immaturità.
Abitualmente non è il problema alimentare ma quello fonoarticolatorio a presentarsi con urgenza all’attenzione, sia che il piccolo non raggiunga un livello minimo di intelligibilità a un’età nella quale la comunicazione verbale è la modalità preferita di interazione, sia che, diagnosticato un disturbo fonologico, non si arrivi alla conquista di una articolazione adeguata, anche dopo terapia logopedica protratta.
2. Espressività clinica della disprassia orale
2.1. La primissima infanzia
Le forme gravi di disprassia orale presentano stigmate ben riconoscibili anche nella primissima infanzia, ancora in età prelinguistica. In età neonatale e per tutto il periodo dell’allattamento la lingua mantiene la tendenza a protrudere dalla rima orale, la perdita di saliva è una costante. La scialorrea si mantiene anche nelle epoche successive, spesso molto abbondante, e non è raro che i genitori riferiscano l’obbligo del bavaglino anche in situazioni non alimentari in bambini ormai deambulanti da tempo. Il piccolo appare incapace di utilizzare la bocca per le comuni attività di esplorazione degli oggetti e di parti del proprio corpo. Le labbra sono ipotoniche perché costantemente dischiuse, nonostante non sussista l’obbligo alla presa aerea orale. La lingua riposa quasi costantemente sul pavimento della bocca e appare spesso visibile in situazioni di riposo, sia perché la tendenza alla interposizione tra le arcate (caratteristica delle prime settimane di vita) permane, sia perché la stabilizzazione della mandibola al basicranio è insufficiente. Caratteristicamente le pieghe mimiche sono spianate. Dal punto di vista alimentare l’inadeguatezza si esprime con una preferenza per il cibo liquido, semiliquido e semisolido, che viene richiesto in biberon.
Il bambino disprassico orale può essere incapace di riprodurre sequenze motorie alimentari al di fuori dell’atto di suzione e deglutizione.
È naturale che le inadeguate competenze orali inducano i genitori a una sorveglianza costante sull’attività di esplorazione orale sistematica, che viene spesso proibita, e li porti ad assecondare il conformismo alimentare per favorire l’appetenza.
Quanto una disprassia orale sia stata favorita in età precoce dalla compliance dei genitori all’inabilità stessa e quanto invece essa abbia obbligato a comportamenti adattivi che, nel proteggere, hanno limitato l’esperienza orale, non è facilmente ricostruibile nella storia dei singoli pazienti. Sul versante linguistico possono essere scarsi i primi suoni gutturali. L’adattamento in produzione ai fonemi consonantici della lingua madre è lento e deficitario. La lallazione può non seguire l’evoluzione tipica ed essere meno presente. Non è infrequente raccogliere nell’anamnesi l’informazione che essa, dopo un periodo di comparsa, si è poi drasticamente ridotta. Spesso è rappresentata non da accoppiamenti consonante + vocale consueti (plosiva bilabiale, plosiva dorsale + vocale) e in alcuni casi può essere limitata a sequenze unicamente vocaliche.
I primi movimenti prodotti con la bocca (inizialmente durante la suzione, poi indipendentemente da essa) sono fonte per il bambino di “sensazioni forti” di tipo tattile, pressorio e propriocettivo. Esse rappresentano una “esperienza buona”, sia perché, alle origini, legate alla soddisfazione della fame, sia perché correlate, nel tempo, alla relazione con la madre. Tali sensazioni sono già dalla fine del secondo mese di vita rigenerabili dalla messa in atto di sequenze motorie, per molti aspetti mimanti l’atto alimentare (dalla suzione alla propulsione) che il piccolo impara ben presto a riprodurre in momenti di tranquillità e di benessere. È questa la prima esperienza “erotica” della bocca, intendendo con l’aggettivazione “erotica” la qualità di un godimento che si straforma in atto metacognitivo influenzante la percezione e, successivamente, la consapevolezza di sé e dell’ambiente.
La produzione delle prime sequenze di suoni gutturali che rappresenta la prima stringa sonora emessa, oltre al pianto, dal lattante, nasce dalla ricerca di un piacere della bocca che trova le proprie radici nel primitivo piacere alimentare.
La qualità “buona” dell’esperienza, fruibile nella culla in situazione di soddisfazione ottenuta, trasforma il piacere inteso come liberazione dal bisogno o dal dolore (proprio del “lattante gastrico”) nel piacere inteso come ricerca volontaria della sensazione gratificante, data dalla riproduzione di sequenze motorie che, pur derivando direttamente dalla sfera alimentare, da essa si stanno affrancando. Lo straordinario dell’umano è che tali sequenze non solo producono stimolazioni corporee ma generano suono, coinvolgendo nella sfera erotica il recettore uditivo e diventando la sorgente di quel “piacere del vocalizzare” in nome del quale il lattante compie la sua prima rivoluzione comunicativa. In poche settimane infatti il piccolissimo bambino si porta, attraverso la riproduzione extralimentare di una “buona sensazione” orale, al piacere dell’ascolto del risultato acustico di essa, sino a giungere all’elaborazione di nuove combinatorie gratificanti in senso psicopercettivo.
Tali combinatorie danno origine alla “vocalizzazione gutturale” che precede la lallazione e che in breve, in bimbi correttamente processanti le informazioni in arrivo dall’esterno, si porta a produrre rumori e suoni sempre più simili ai fonemi della lingua materna.
Nel neonato normoudente la ripresa da parte della madre delle combinatorie sonore e la loro progressiva ricostruzione in combinatorie consonante + vocale, aderenti alla struttura fonologica della lingua, rappresenta la prima forma di dialogo sonoro sulla quale si edifica il linguaggio. Il neonato gravemente ipoacusico, terminata l’esplorazione percettiva endorale, non trovando rinforzo in un nuovo piacere sensoriale, questa volta uditivo, alla continuazione dell’esplorazione stessa, tenderà a spegnere la propria produzione e ridurrà la produzione di suono.
La relazione tra alimentazione e linguaggio è molto più stretta di quella normalmente ipotizzabile constatando la condivisione delle vie anatomiche (cavità orale, faringe) e degli apparati (respiratorio, risonanziale) che caratterizza entrambe le funzioni, nutritiva e comunicativa.
Nella primissima infanzia, con ogni probabilità, il bagaglio di esperienze gratificanti del bambino con disprassia orale è molto scarso. A ciò può essere dovuta la ridotta disposizione a procurarsi piacere orale anche attraverso il cibo e il conformismo e/o la voracità alimentare.
2.2. Dalle prime parole alla socializzazione coi coetanei
La mancanza dell’interesse per l’esplorazione orale degli oggetti, tipica del dopo divezzamento, può trasformarsi nella messa in atto di attività orali a carattere di autostimolazione, favorite dalla postura degli stessi organi fonoarticolatori, quali il succhiamento della lingua in interposizione tra le arcate o del labbro inferiore. La scialorrea è presente, anche se può essere limitata a occasioni specifiche (impegno attenzionale, gioco) e solitamente più abbondante al momento del pasto.
Caratteristica è la scarsa sensibilità cutanea alla presenza di saliva.
Il bambino può non fare alcuna attenzione alla perdita di liquido dalla bocca, che bagna il mento e può sgocciolare sugli oggetti. Rare sono le manovre di autopulizia, sia manuali che orali, come l’aspirazione, il leccamento, il succhiamento del labbro inferiore. Anche le deglutizioni spontanee sono poco frequenti.
La scelta alimentare normalmente si amplia, ma il bambino può essere un lento preparatore del bolo e preferire sempre cibi di consistenza semisolida o semiliquida. Spesso la madre riferisce inappetenza al pasto servito alla scuola materna (dovuta alla impossibilità di gestire un cibo complesso), alle quali la famiglia può scegliere di riparare con merende abbondanti, spesso in biberon. Non evidenti, ma quasi sempre presenti, sono l’incapacità della lingua a sollevarsi verso il palato duro e la tendenza a posteriorizzarsi in fonoarticolazione. L’ipotonia di tutto il distretto può essere evidente anche alla sola osservazione.
Le prime parole compaiono all’età prevista ma sono rappresentate da suoni vocalici associati a rumori pseudo-consonantici spesso non identificabili in senso fonologico. La madre sviluppa ben presto una buona competenza nella loro comprensione.
Il bambino disprassico orale, se non presenta patologie associate, è un buon comunicatore e si fa intendere perfettamente, utilizzando la competenza comunicativa gestuale e la stringa melodica/prosodica del “vocalizzo significativo”.
Chiamiamo “vocalizzo significativo” la messa in atto (in un’età in cui dovrebbe presentarsi la parola-frase o addirittura iniziare la strutturazione della comunicazione morfosintattica) di una stringa melodica/prosodica, accompagnata da un andamento ritmico congruente e da una varianza di intensità adeguata, in grado di riprodurre i tratti sovrasegmentari della frase mancante e di permettere una comunicazione vocale sostitutiva della stringa linguistica.
È proprio la presenza di una buona capacità di espressione dei tratti sovrasegmentari del linguaggio (ritmici, melodici e relativi agli andamenti di intensità), in assenza della competenza comunicativa fonoarticolatoria, che deve generare il sospetto di disprassia orale durante l’osservazione clinica del “bambino che non parla”. Purtroppo tale osservazione è richiesta in età più avanzate, spesso dopo i tre anni, e non in età precocissima quando, con ogni probabilità, la stimolazione orale sistematica darebbe migliori risultati.
La divaricazione tra competenze nella comprensione del vocabolario e della struttura della frase e competenze nella produzione linguistica si fa in questo periodo progressivamente più evidente. L’età dell’ingresso alla scuola materna evidenzia la disparità con i compagni ed è questo che, nella maggioranza dei casi, induce la richiesta di valutazione clinica.
I sintomi legati alla sfera alimentare e alle abilità non verbali della bocca, anche se di comparsa precocissima, sono solo in pochi casi raccolti dalla famiglia e dal pediatra stesso.
A questa età si fa evidente come anche la prassia della tosse possa essere coinvolta nella inabilità. Il bambino, che presenta tosse riflessa adeguata, può non essere in grado di produrre tosse volontaria, rivelando così un’incompetenza prassica che non interessa solo l’oralità ma coinvolge anche la coordinazione
mantice-laringe.
2.3. L’età prescolare
2.3.1. Criteri di normalità
Nell’età compresa tra i tre e i cinque anni maturano le abilità della bocca sia in senso mimico e comunicativo che alimentare. Il bacio si fa maturo, ando dalla produzione di un contatto con labbra stirate, alla produzione della caratteristica forma a cuore. Il soffio diventa producibile anche a basse pressioni endorali. Il movimento linguale si dissocia da quello mandibolare e si fa più ampio e preciso, sia in situazione intra che extraorale. La mobilità velare è corretta, il trattenimento di aria nella bocca possibile. La muscolatura mimica del viso è tonica. Caratteristica è la progressiva dissociazione prassica tra predorso e apice linguale, che porta, intorno al quarto anno di età, alla possibilità di resa della vibrante apicale /r/. Evolve contemporaneamente la capacità della lingua di sollevare il dorso verso il palato e di produrre contatti saldi con le corone dei denti, con resa corretta dei suoni /gn/ɲ di gnocco, /gl/ʎ di aglio, le affricate /ts/ʦ di zero, /ds/ʣ di zona, /c/ʧ di ciuccio, /g/ʤ di gelato. Parallelamente il tono della muscolatura a direzione sagittale aumenta e con esso la capacità di stabilizzazione posturale del segmento anteriore linguale in posizione intermedia tra volta e pavimento orale, così che la lingua diviene capace di produrre il suono fricativo /sc/ʃ di sciocco. Alla precisione del movimento linguale e al migliorato tono dell’organo si affianca la possibilità di assumere, in rapida sequenza, posizioni articolatorie lontane, con la padronanza della resa dei gruppi consonantici /s+t/ di stanza, /s+c/ di scatola. Parimenti, nella coarticolazione, si assiste alla scomparsa graduale dell’attrazione retrograda del movimento linguale che portava alla realizzazione di metatesi o di armonie consonantiche, con reiterazione di luoghi di articolazione. L’alimentazione è variata e ricalca quella degli adulti della famiglia. Le parti edibili sono separate dalle non edibili prima in modo extraorale (ad esempio mordere un frutto trattenendolo tra le dita e spolpandolo progressivamente), sia in modo intraorale (ad esempio mangiare una ciliegia e sputarne il nocciolo). L’assunzione di liquidi è possibile anche con la cannuccia, sia con manovra di
aspirazione semplice (cannuccia tra le labbra serrate, depressione intraorale), sia con manovra a sifone (cannuccia appiattita dalla lingua contro il palato duro, manovre di sollevamento/abbassamento della lingua a produrre depressione intracanalare).
2.3.2. Quadri clinici di disprassia in età prescolare
Il bambino disprassico dimostra immaturità in tutti i campi menzionati precedentemente, anche se con espressività variabile.
Caratteristico è il permanere dell’associazione prassica apice-predorso linguale. Non solo non viene conquistata la vibrante ma le apicali tutte sono prodotte in modo deviante. Il sigmatismo interdentale, centrale o laterale, è frequente, le liquide possono avere alterazioni significative, così come le apico-retroalveolari. La lingua può presentare gradi diversi di ipotonia, La difficoltà al sollevamento del dorso è tipica e si riflette in modo evidente sulla deglutizione, che può venir risolta con scivolamento anteriore. La scialorrea è di grado variabile, spesso presente solo nell’atto alimentare. Le affricate sono di difficile resa. La diagnosi differenziale con le devianze funzionali della deglutizione, intese come adattamenti a dismorfismi, può essere molto delicata, poiché l’alterazione prassica del meccanismo deglutitorio produce alterazioni nell’applicazione delle leve di forza ed esercita pressioni sulla struttura ossea della bocca e sui denti a loro volta causa di alterazioni anatomiche. Può essere presente alterazione della mobilità velare con caratteristica dissociazione tra funzione deglutitoria (nella quale il velo si dimostra continente) e funzione fonoarticolatoria (nella quale il velo non riesce a impedire il aggio di aria in rinofaringe). In alcuni bambini questa situazione si accompagna a impossibilità all’avanzamento linguale nella produzione delle consonanti a luogo di articolazione anteriore e alla comparsa di un movimento alternativo di attrazione posteriore del corpo linguale e di sollevamento della radice in direzione del faringe associati a verticalizzazione del velo (in questo caso sono caratteristicamente rinolaliche le consonanti /t/, /d/, le affricate derivate). La variabilità dei quadri presentati può essere ampia. Alcuni bambini presentano torsioni della lingua sull’asse sagittale quando questa viene impegnata in articolazione di consonanti anteriori, altri deviazioni verso
un’emibocca. Possono aversi fenomeni di assimilazione fonemica inusuali, con alterazione del movimento linguale solo in presenza di una successione tra fonemi, nel mantenimento di una prassia accettabile nella produzione dei medesimi fonemi isolati.
Dalla varietà dei quadri clinici deriva obbligatoriamente la variabilità dell’indirizzo terapeutico, che deve tener conto del tipo di devianza presentata e della strada più corretta per recuperarla, spesso a partire da movimenti presenti e adeguatamente prodotti.
Nei casi in cui l’alterazione prassica sia ipotizzabile solo percettivamente, perché prodotta nel segmento retrorale o coinvolgente le strutture faringee e/o laringee, è necessario procedere a videofluoroscopia sia a scopo diagnostico che, soprattutto, per elaborare il programma terapeutico.
L’ipertrofia tonsillare, se imponente, può ridurre la mobilità velare, così come un velo corto congenito può essere funzionalmente inefficiente in senso fonatorio anche se continente in senso deglutitorio. Di questo si deve tener conto nella diagnosi differenziale di una rinolalia aperta. All’opposto vegetazioni adenoidee ingombranti il rinofaringe possono causare rinolalia chiusa, generando confusione in senso percettivo.
Il bambino disprassico orale, se non presenta patologie associate, è un buon comunicatore e si fa intendere perfettamente utilizzando la competenza comunicativa gestuale e la stringa melodica/prosodica. Il bambino disprassico orale può essere incapace di riprodurre sequenze motorie alimentari al di fuori dell’atto di suzione e deglutizione. Nei quadri disprassici è comune la dissociazione tra funzione velare deglutitoria e funzione velare fonatoria, potendo aversi quadri di evidente rinolalia e rinofonia non associati a problemi di reflusso nasale. In fonoarticolazione, pur all’interno di ampia variabilità individuale, si assiste spesso alla posteriorizzazione della lingua nella resa di fonemi a luogo di articolazione anteriore associata o meno a verticalizzazione del velo del palato, con qualità della voce insieme rinolalica e stomatolalica. La videofluoroscopia con valutazione dinamica della deglutizione e della fonazione può essere necessaria nella valutazione accurata della modalità fonoarticolatoria e nella formulazione del progetto riabilitativo. Il suo uso deve essere riservato solo a casi di particolare complessità diagnostica, nei quali si associa problematica deglutitoria non altrimenti indagabile.
La deglutizione
1. La deglutizione a sigillo anteriore
Quando il bambino molto piccolo viene avvicinato al seno, la lingua protrude oltre le labbra, appoggiandosi all’alveolo e al labbro inferiore, per andare incontro al capezzolo, che accoglie sopra di sé.
Il neonato fisiologico dispone di un potentissimo sfintere labiale, in grado di imprigionare il seno materno e di creare una barriera di separazione tra spazio interno (bocca) ed esterno.
In ragione della possibilità di una separazione completa tra i due ambienti, l’abbassamento della mandibola e la retroposizione linguale, operati dal piccolo al momento della suzione, determinano una riduzione della pressione endocavitaria, conseguente all’ampliamento volumetrico della cavità stessa. Ciò determina la fuoriuscita di latte dal dotto galattoforo (che si trova alla medesima pressione dell’ambiente esterno), al fine di riottenere il riequilibrio pressorio. Durante la suzione la lingua esercita una funzione supplementare di lappamento del capezzolo, che viene in questo modo sottoposto a un’efficiente mungitura.
Ogni progressione del bolo da un ambiente a un altro avviene nella deglutizione per differenziale pressorio, una volta attivato un separatore.
La deglutizione per mungitura rappresenta un’efficace modalità di alimentazione a “pressione negativa”, nella quale lo sfintere labiale esercita il ruolo di separatore tra ambienti.
Chiamiamo “sigillo” l’atto dell’apposizione, nella deglutizione, di un separatore tra ambienti. La deglutizione del lattante è quindi definibile:
a “sigillo anteriore” per il luogo in cui si attua il posizionamento di tale sigillo sul canale alimentare, a “pressione negativa” per il tipo di gradiente pressorio al quale si deve la progressione del bolo.
Due azioni sono quindi essenziali alla nutrizione nelle primissime fasi della vita: l’uscita della lingua dalla bocca e la forte presa delle labbra. Movimenti che il piccolo sa fare già alla nascita e che non necessitano apparentemente di apprendimento.
A questa età, anche in situazioni non alimentari, il neonato tende a interporre la lingua tra le arcate, a posizionarla sul labbro inferiore e a spostarla verso l’esterno in una manovra di finto leccamento. La mandibola, priva di denti, è destabilizzata dalla base cranica e molto mobile e asseconda l’apertura della bocca. Il piccolo dorme spesso con la bocca semiaperta e il rumore prodotto dalla respirazione può assumere una qualità umida, per la saliva che vi si raccoglie.
La deglutizione a sigillo anteriore e a pressione negativa, pur avendo come conseguenza lo sprizzo vivace del latte all’interno di una bocca la cui lingua è “imprigionata” tra alveolo e mammella (e quindi impossibilitata a qualsiasi tipo di gestione del bolo), è possibile e non pericolosa nel neonato umano per la posizione alta nel collo della laringe e per la presenza della cartilagine epiglottide che, col suo becco di flauto, esercita una funzione statica di barriera all’inalazione.
La suzione alimentare è un fenomeno ritmico nel quale si alternano circa 10/12 atti di mungitura ad alcuni secondi di inattività. In questi momenti la madre abitualmente si inserisce toccando, scuotendo dolcemente, cullando il piccolo e può rivolgergli la parola. Queste azioni materne, che si inseriscono nell’atto alimentare senza sospenderlo, hanno due effetti principali:
stimolano il piccolo a riprendere la poppata e quindi a portare con successo a termine l’allattamento (azione induttrice di comportamenti); propongono uno schema di interazione di tipo alternato nel quale momenti di produzione si alternano a momenti facilitanti l’ascolto, nel quale il mondo esterno si affaccia alla coscienza proponendo la presenza di un altro (prototipo di tutte le future interazioni, linguistiche e non).
L’esistenza proprio di questo spontaneo uniformarsi della coppia mammabambino a un ritmo alternato di intervento nella poppata è ciò che differenzia in modo sostanziale la nostra specie dagli altri mammiferi. Il neonato umano manifesta infatti una preferenza per il ritmo delle deglutizioni (di solito da 10 a 20 consecutive, intervallate da una pausa) e per la durata complessiva della poppata e tende a sospendere in modo imprevedibile il proprio comportamento alimentare. I movimenti di distacco dal capezzolo, l’interruzione della deglutizione e la manifestazione di uno stato di insofferenza del lattante vengono recepiti dalla madre con ansia e a essi viene attribuito un significato che spesso non hanno. Ogni interruzione della suzione alimentare viene vissuta infatti come momento di crisi del rapporto di nutrizione e determina la messa in atto di comportamenti materni (non sempre appropriati) tendenti a ripristinare l’attività interrotta. Si viene così ad instaurare un dialogo, nel quale le pause dell’attività alimentare vengono popolate dalla presenza della madre. Poco alla volta la mamma, che non è più identificata solo come nutrice, inizia ad acquistare rilevanza comunicativa per il neonato, il quale presto comprende che i propri silenzi sono stimolo all’azione dell’altro, così come le proprie azioni generano silenzio e rispetto nella madre.
L’alternarsi di momenti di riposo con momenti di interazione e di succhiamento alimentare costituisce il prototipo di ogni relazione sociale.
Le stimolazioni materne, anche se messe in atto allo scopo di far riprendere la nutrizione, sono fonte in se stesse di gratificazione per il bambino, che, molto precocemente, associa l’atto alimentare con il piacere del contatto. Tra le sollecitazioni che più di altre inducono la ripresa della suzione vi sono: movimenti di tutto il bambino (scrollo dolce, sussulto), abbraccio contenitivo e protettivo, carezze brevi, colpettini sul corpo o sulle guance. Tutti esempi di comportamenti comunicativi significanti e apportatori di piacere anche nel resto della vita.
2. La deglutizione nel piccolo bambino
Nel corso dei primi mesi di vita alcuni cambiamenti morfologici vanno a interferire con la manovra di mungitura, dando il via a un processo di maturazione delle abilità della bocca che porterà alla deglutizione in “modello adulto”.
L’evento più significativo è rappresentato dalla nascita degli incisivi, i quali, quando presenti solo sulla prima arcata, esercitano una blanda azione deterrente sulla protrusione linguale, ponendosi come barriera al superamento dell’alveolo da parte della lingua ma, quando presenti anche sull’arcata superiore, producono la prima rivoluzione prassica dell’oralità: la stabilizzazione mandibolare. Non si stratta che di una stabilizzazione parziale (manca infatti la intercuspidazione molare), ma già permette una prima maturazione prassica della muscolatura masticatoria posteriore innervata dal V paio di nervi cranici, sino ad allora poco attiva.
Definiamo “guida incisiva” il naturale contenimento che l’arcata superiore fa, tramite gli incisivi, sulla inferiore, con effetto di frenaggio all’avanzamento mandibolare.
Giova, a questo proposito, per la comprensione della evoluzione deglutitoria, ricordare che la mandibola è una pesante struttura ossea unita al basicranio da una coppia di condiloartrosi. Essa dà inserzione ai muscoli del pavimento della bocca e sostiene, con questi, la lingua, quando questa riposa sul pavimento stesso. La situazione anatomica della mandibola, la sua funzione di punto di inserzione di muscoli contenitori e la mobilità delle articolazioni che la uniscono al basicranio rendono inevitabile riflettere sui sistemi di stabilizzazione posturale dei quali essa gode.
2.1. La stabilizzazione mandibolare e il aggio alla de-glutizione a pressione positiva
L’assenza dei denti alla nascita e l’impossibilità, a questa età, di qualsiasi tipo di affronto stabilizzante tra le arcate rendono la mandibola del neonato estremamente mobile. La possibilità di slittamento sagittale dell’arcata inferiore rispetto alla superiore è provvidenziale alla protrusione linguale e la manovra stessa di mungitura è facilitata dalla sua stessa dislocabilità. Nel lattante la stabilizzazione mandibolare è a carico del solo sistema di contenimento “a fascia” rappresentato dalla muscolatura mimica del viso innervata dal VII paio di nervi cranici, sistema muscolare già per altro attivamente impegnato nella funzione alimentare.
Nel piccolo bambino la muscolatura mimica del viso è dotata di estrema capacità prassica e di forza considerevole. A essa si deve la tenuta del sigillo anteriore, la stabilizzazione mandibolare e l’imprigionamento del capezzolo.
La nascita degli incisivi, dal secondo semestre di vita, produce un cambiamento significativo, ponendo fine alla mobilità mandibolare e permettendo un ancoraggio delle arcate tra loro, con un’azione di freno all’avanzamento della inferiore, operata dalla arcata superiore che la sopravanza. In senso posturale ciò rappresenta un’importante tappa evolutiva. Così come nello stesso periodo, con la conquista della posizione seduta e del carponamento, va maturandosi il sistema posturale che controlla l’atteggiamento della testa nello spazio e del tronco, allo stesso modo la muscolatura che fa capo al basicranio e alla mandibola, innervata dal V paio di nervi cranici, va maturando la propria funzione che porterà alla stabilizzazione mandibolare posteriore a “ponte levatoio” tipica dell’adulto.
I due sistemi posturali, quello del collo/tronco e quello mandibolare, maturano insieme, sotto la stessa spinta evolutiva che, come induce l’appropriarsi dello spazio da parte del bambino, facilita l’affrancamento dal latte e la preparazione alla gestione di cibo solido, segno dell’autonomia dalla madre.
È evidente la stretta correlazione tra lo sviluppo delle abilità alimentare e posturale e quello delle abilità comunicative e vocali in particolare. Il neonato, che a il proprio tempo in posizione sdraiata, presenta destabilizzazione mandibolare, tendenza alla protrusione linguale, presa aerea diaframmatica. In una situazione nella quale i sistemi posturali sono ancora quasi del tutto inattivi e la laringe è alta nel collo, la fonazione è ridotta a una vocalizzazione ad alta frequenza sulla quale le poche variabili sono riconducibili a differenze nella pressurizzazione sottoglottica o nello stato di tensione/rilassamento delle strutture vocal tract. L’età dello svezzamento, con l’incremento delle abilità orali, vede un parallelo svilupparsi della integrazione posturale e dell’abilità della lingua, mentre la muscolatura mimica è ancora fortemente impegnata nel compito deglutitorio. Il vocalizzo inizia ad assumere connotati melodico/prosodici per lo svilupparsi di una rudimentale coordinazione pneumofonica[7]. Nel corso dei mesi successivi il bimbo impara a stare in piedi da solo e a deambulare, mentre la mandibola, per opera dell’ingranarsi tra le arcate operato dai dentini, inizia a stabilizzarsi alla base cranica ad opera della muscolatura a inserzione ossea innervata dal V paio di nervi cranici. La lingua permane ormai stabilmente nella bocca e coopera, nella sua nuova veste di organo posturale, al mantenimento del tono muscolare generale. Le abilità mimiche evolvono, parallelamente all’affrancarsi della muscolatura innervata dal VII paio dal compito deglutitorio. In questo periodo la coordinazione mantice laringe raggiunge un livello discreto così che il linguaggio conquista le competenze morfosintattiche in un sistema biologico in grado di mantenere una durata frase adeguata e un rifornimento aereo sufficiente. Con la seconda infanzia e con la posteriorizzazione nel sigillo deglutitorio i sistemi posturali arrivano a maturazione. Il bimbo apprende rapidamente abilità motorie sempre più complesse mentre il tono di parete addominale si fa più saldo, determinando gradi differenziati di stabilizzazione diaframmatica e il aggio a una presa nella quale la componente addominale va riducendosi a vantaggio di quella toracica. Le abilità della bocca evolvono anch’esse rapidamente. La lingua raggiunge la maturazione prassica, la mandibola si stabilizza al basicranio e, mentre la competenza fonoarticolatoria arriva a maturazione, il piccolo acquisisce sempre nuove abilità comunicative sia verbali che non verbali.
Nonostante i denti incisivi non siano adatti alla preparazione del bolo nel senso
della triturazione[8], essi, con il loro effetto “barriera”, inducono un maggior contenimento orale della lingua a riposo, così che la postura in interposizione tra le arcate, tanto comune nel lattante, si fa più rara anche nel sonno e la lingua inizia ad abitare la bocca per periodi di tempo più prolungati. Questa maturazione delle abilità orali, accanto al dato morfologico dell’aumento dello spazio endorale (dovuto al cambiamento dimensionale della camera, soprattutto relativo all’accrescimento della branca montante della mandibola), prepara quello che è il cambio di rotta definitivo in senso alimentare per l’uomo: l’accettazione di cibi provenienti dall’esterno, con lingua intraorale appoggiata al pavimento della bocca.
Con lo svezzamento, infatti, l’alimentazione subisce una drastica evoluzione alla quale non verrà mai data abbastanza enfasi per le novità o meglio le tre rivoluzioni che essa porta con sé.
Le labbra non si chiudono più intorno alla mammella ma devono apprendere a dischiudersi e a rimanere aperte alla vista del cibo. La lingua rinuncia a protrudersi oltre la rima labiale a riposo e, alla vista del cibo, rimane rilassata all’interno della bocca, appoggiata al pavimento. La mandibola non si abbassa più rapidamente a produrre il cambio del volume orale ma scende dolcemente a permettere l’ingresso del cucchiaio.
Il risultato è il aggio da una deglutizione a pressione negativa, nella quale l’aspirazione giocava il ruolo principale, a una deglutizione a pressione positiva, nella quale la bocca “accetta” l’immissione di un corpo solido o semisolido proveniente dall’esterno.
È naturale che prassie proprie del lattante permangano in queste prime fasi di alimentazione più matura. La lingua ancora non cede la tendenza al lappamento e alla protrusione e la pappa, con cura deposta dal cucchiaio, “sembra” venir risputata. Le labbra si serrano all’arrivo del boccone, quasi volessero afferrarlo per suggerlo. Tali atteggiamenti spesso disperano la mamma che vede in essi icone del rifiuto del cibo. Occorre spiegare con pazienza che non di questo si tratta. Siamo di fronte a un apprendista che opera, con gli strumenti che gli sono noti, alla scoperta di nuove abilità pratiche.
2.2. Principi di counselling per lo svezzamento
Lo svezzamento, con la raggiunta autonomia dal latte materno, è la tappa più importante dell’educazione orale del primo anno di vita. Fiducia, curiosità, attesa per le proposte del mondo esterno si giocano in poche settimane e il bambino trova nuovi orizzonti alla sua incessante esplorazione. Per la mamma questo è spesso un momento di ansia e incertezza. Far accettare il nuovo cibo può infatti non essere facile, occorre agire con prudenza. Meglio introdurre un alimento alla volta, per evidenziare eventuali intolleranze alimentari, e riproporre il nuovo cibo per qualche giorno, per abituare il piccolo all’inconsueto sapore. Non dimentichiamo che il latte materno è dolce e che il gusto va guidato con pazienza all’accettazione di ciò che appare tanto diverso dal nutrimento conosciuto e amato. Non teniamo il piccolo in braccio per nutrirlo; preferiamo sempre il contatto visivo. Accomodiamolo sul seggiolino, in posizione sollevata, all’altezza dei nostri occhi. Poniamoci di fronte con la nuova pappa, controlliamo la temperatura (deve essere simile a quella corporea); usiamo un cucchiaio non troppo grande, proponiamolo centralmente, davanti al viso del bambino. Avviciniamolo alle sue labbra, pronunciando il “mantra della mamma”: la parola am (aprendo bene la bocca nella /a/ e richiudendola nella /m/ ), tenendoci bene in vista, così che il piccolo possa imitarci. Introduciamo con calma il cucchiaino nella bocca e deponiamo il suo contenuto al centro della lingua, così che un movimento riflesso di innalzamento di questa verso il palato, produca lo spargersi del cibo al centro della bocca e permetta di assaporarlo bene. Se il bambino tende a non richiudere le labbra, una volta tolto il cucchiaio, con il dito medio piegato posto sotto la mandibola e il pollice sul mento, chiudiamo dolcemente la bocca, mantenendola in questa posizione per qualche secondo. Inoltre seguiamo i criteri seguenti.
Non forziamo mai il gusto del bambino, ma aiutiamolo ad apprezzare il nuovo cibo con pazienza, festeggiamo i suoi successi con parole di incoraggiamento,
mentre lo guardiamo sorridenti. Non perdiamoci d’animo se le prime fasi dello svezzamento vedono gran parte del cibo fuoriuscire dalla bocca appena viene introdotto. Non interpretiamo questo come un rifiuto, ma come una “ingenuità” compiuta da una lingua troppo abituata a mungere e a lappare. Aiutiamo il piccolo a mantenerla all’interno del cavo orale durante la deglutizione, sollecitandone la punta con il retro del cucchiaino e spingendola delicatamente verso l’interno, dopo aver deposto il cibo.
3. L’esplorazione orale sistematica
L’età dello svezzamento è anche quella della “esplorazione orale sistematica”, cioè di quell’attività incessante di leccamento, succhiamento, morso degli oggetti che ormai il piccolo riesce ad afferrare e a portarsi alla bocca. In senso evolutivo prassico e cognitivo questa è una tappa fondamentale. Le abilità sensoriali della bocca sono ottime, la capacità di discriminazione termica, tattile, la sensibilità propriocettiva, permettono in questi mesi la costruzione di una vera e propria geografia dello spazio intracavitario che sarebbe irraggiungibile in assenza di stimolazioni endorali. Anche la lingua, sempre più spesso trattenuta all’interno della chiostra dei denti, esplora e sollecita allo stesso tempo le pareti interne della bocca, in una incessante attività di conoscenza che ha un immediato ritorno sulla mobilità stessa dell’organo e sulla sua capacità di generare percezioni corrette della sua posizione endorale e del suo atteggiamento. Naturalmente tutto ciò è possibile in una situazione educativa non caricata da paure inutili e sufficientemente stimolante, in occasioni in cui l’esplorazione orale sia possibile senza rischi (salute orale del bimbo, adeguatezza neurologica) e in condizioni che rendano effettivamente possibile il mantenimento di una bocca “impegnata” nella esplorazione per un periodo adeguato di tempo (cioè chiusa intorno all’oggetto, con lingua mobile all’interno di essa). Una delle condizioni più comuni, ma tanto spesso sottovalutata, che rende impossibile l’esplorazione orale sistematica è la necessità della bocca di farsi carico della presa aerea, vicariando le fosse nasali, ingombre per processi infiammatori rinitici e adenoiditici.
La maturazione dell’oralità (e soprattutto delle abilità prassiche linguali) è possibile solo “a bocca chiusa e con lingua in posizione endorale”. Il bambino costretto a respirare con la bocca aperta non può che starsene con la lingua bassa, adagiata al pavimento, immobile, impossibilitato a svolgere qualsiasi
funzione orale che non sia quella della semplice canalizzazione aerea.
4. La deglutizione nella prima infanzia
Il aggio dalle prima tappe dello svezzamento alla deglutizione in modello adulto avviene in un tempo variabile che comprende tutta la prima infanzia e parte della seconda. Schematicamente è possibile affermare che l’evoluzione deglutitoria prevede al proprio interno alcune tappe di maturazione caratteristiche, legate naturalmente alla evoluzione morfologica degli organi interessati.
4.1. Evoluzione del morso
Nei primi incontri con cibi solidi la presa e la tenuta del boccone è esercitata dagli incisivi, secondo una modalità di sminuzzamento progressivo associata al succhiamento. Il morso vero e proprio compare più tardivamente, con l’eruzione dei canini, che permettono una salda presa del cibo, alla quale può far seguito lo strappo del restante alimento, nel mantenimento del boccone tra i denti. Nel corso della prima infanzia si assiste a una evoluzione del morso da anteriore (incisivo) ad antero-laterale (canino).
Situazioni di immaturità prassica si manifestano con una presa del boccone anteriore e con il mantenimento, per tutti i cibi, dell’attitudine al “rosicchiamento”, con la quale anche noi gestiamo ad esempio i grissini.
4.2. La gestione del bolo
Nella preparazione del bolo, nei primi mesi di autonomia dal latte, il bambino presenta una quasi esclusiva predilezione per la zona anteriore della bocca. La lingua partecipa alle manovre di impastamento con una evidente tendenza alla protrusione e spesso compare tra le labbra durante la deglutizione.
Questa predilezione per la camera orale anteriore tende a scomparire del corso della prima infanzia, in concomitanza con l’eruzione dei denti premolari e con la comparsa della intercuspidazione tra essi che permette i movimenti a macina di triturazione più raffinata.
Anche la lingua, già dai primi anni, impara a recuperare il boccone “lavorato” nella zona premolare e a riportarlo sulla superficie di masticazione, andando sempre più a dissociare funzionalmente il predorso dall’apice. La continenza labiale facilita la prassia, impedendo al bolo di fuoriuscire dalla bocca o di ricadere nei fornici gengivali.
Immaturità prassica si manifesta con il permanere della lavorazione del bolo nella zona orale anteriore e con la presenza di una residua attività linguale di lappamento. Il bambino immaturo continua a masticare con gli incisivi, produce un bolo meno omogeneo, che sfugge verso l’avanti, protrude la lingua tra le arcate sia nel tentativo di impastare il bolo che in quello di recuperarlo dalla caduta nei fornici o extraorale. Le labbra, forzate dalla manovra “di sfondamento anteriore”, prodotta dalla modalità masticatoria, si fanno ipotoniche e associano i problemi della incontinenza a quelli già presenti di gestione topograficamente alterata. La chiusura della bocca e l’avvicinamento delle arcate sono affidati principalmente alla muscolatura mimica facciale, che interviene attivamente anche a porre il sigillo (sigillo anteriore residuo) all’atto della propulsione del bolo, con livelli differenti di coinvolgimento del muscolo mentoniero e dell’orbicolare delle labbra. È presente spesso scialorrea, anche extralimentare. La tendenza alla lavorazione anteriore del bolo infatti, quando permane oltre i primi anni di vita, non permette una corretta gestione neppure della deglutizione automatica.
4.3. La riduzione del coinvolgimento del VII paio di nervi cranici
Nel periodo che va dalla alimentazione mediante mungitura alla iniziale retroposizione delle manovre di masticazione, si assiste a una progressiva riduzione di attività della muscolatura mimica del viso nell’atto alimentare e a una contemporanea implementazione della forza e dell’abilità prassica della muscolatura masticatoria posteriore costituita dalle leve mandibolari, rappresentate dal muscolo massetere e temporale e dai muscoli pterigoidei. Ciò è dovuto proprio all’utilizzo sempre più sistematico dei premolari e all’abitudine, che si va stabilizzando, alla triturazione del cibo da parte dei denti posteriori.
Il bambino immaturo, che gestisce la preparazione del bolo nella camera orale anteriore, presenta abitualmente una ipofunzione della muscolatura posteriore che si accompagna a una evidente attività della muscolatura mimica, impegnata nella stabilizzazione mandibolare e nella gestione del sigillo anteriore.
Il permanere di un coinvolgimento della muscolatura innervata dal VII paio di nervi cranici nella funzione deglutitoria porta con sé una ridotta abilità mimica. Le pieghe sono iposolcate a riposo e il bimbo spesso presenta un’espressione poco vivace come se la funzione alimentare assorbisse tutte le risorse del distretto.
4.4. La posteriorizzazione del sigillo
Con la seconda infanzia, in assenza di cause che impediscano la normale evoluzione prassica linguale, a una deglutizione a pressione positiva, nella quale l’apposizione del sigillo non è ancora del tutto stabilizzata (la lingua può premere sul palato con più o meno forza, aiutare la progressione con manovre di spinta attiva sul piano sagittale), si sostituisce stabilmente una deglutizione a saldo sigillo posteriore. Tale sigillo è operato dal dorso linguale, che si innalza e preme sul palato duro andando a creare una differenza pressoria tra l’ambiente orale e il piccolo ambiente contenente il bolo stesso, racchiuso tra lingua e volta palatina, alla quale si deve la propulsione verso l’indietro del cibo. La muscolatura mimica, del tutto esautorata dal compito di creare il differenziale pressorio tra camera orale ed esterno, acquisisce e mantiene un’ottimale tonicità, svolgendo la funzione di contenitore anteriore del bolo durante la sua preparazione ma non cooperando più alla fase propulsiva. La lingua stessa, tonificata dalle manovre di esplorazione orale e di recupero del bolo, progressivamente apprese nel corso della vita, acquisisce la postura a riposo del modello adulto, ponendosi a contatto con l’apice alle pieghe retroincisive poste sul palato duro.
La nuova situazione, che è conquista della raggiunta maturità della lingua, a sua volta mantiene tonico l’organo e ne custodisce l’abilità prassica.
Il bambino immaturo, la cui lingua tende a scivolare verso l’avanti, a volte sino a protrudere tra le arcate dentarie, sostituisce il sollevamento del dorso con manovre alternative che possono coinvolgere profondamente la muscolatura del viso.
La deglutizione nel lattante avviene con apposizione di sigillo anteriore, a pressione negativa. La deglutizione in modello adulto si attua con sigillo posteriore, a pressione positiva.
L’oralità del bambino
1. Le abilità della bocca: cosa aspettarsi e a che età
Esistono significative differenze individuali nei tempi di maturazione delle abilità orali deglutitorie. Non solo la deglutizione di tipo adulto può stabilizzarsi in un’età compresa tra i 7 e i 15 anni, ma le singole abilità (mordere, strappare, triturare, sminuzzare, apporre il sigillo) possono presentare calendari maturativi diversificati, anche non congruenti, in conseguenza delle esperienze e delle abitudini alimentari del piccolo. In ogni caso tra i quattro e i cinque anni il bambino non problematico sa volontariamente, su imitazione o su comando verbale, compiere le azioni descritte a seguito.
Labbra e guance
Chiudere le labbra e mantenerle a contatto, soffiare, trattenere l’aria all’interno della bocca, r
Lingua
Protrudere la lingua dalle labbra, leccarsi le labbra, sia al bordo roseo che eccentricamente, sp
Alimentazione
Assaporare cibi semisolidi, appiattendoli contro il palato col dorso linguale, ricercare nei forn
2. Elementi di counselling
Una delle tappe obbligate nel counselling familiare è la rassicurazione sulla innocuità dell’esplorazione orale degli oggetti e la guida nella scelta di giochi o utensili non pericolosi che il piccolo possa manipolare e portare alla bocca. Elementi pratici per elaborare una palestra domestica di abilitazione orale possono essere tratti dalla tabella che segue.
Stimolare la lingua
Imitiamo il verso degli animali, il trotto del cavallo, chiamiamo il gatto; collochiamo all’inter
Tonificare le guance
Proponiamo bevande con cannuccia, meglio se sottile e lunga; gonfiamo insieme palloncini;
Rendere abili le labbra
Mettiamoci un po’ di burro cacao colorato e spalmiamolo con le sole labbra, chiediamo di im
Anche stimolare la sensibilità è importante, sia quella del viso che quella endorale, sia con stimolazioni termiche che tattili, che meccaniche. Ecco qualche suggerimento.
Utilizziamo il cibo come fonte di sensazioni orali, chiediamo al bimbo di riconoscere una temperatura, un sapore, una consistenza.
Usiamo un pennello per solleticare la cute del viso, chiediamo al bimbo di riconoscere il luogo stimolato indicandolo col dito a occhi chiusi.
Durante i pasti commentiamo i caratteri organolettici del cibo (duro/molle, friabile/compatto, ecc.) insegnando al piccolo un “vocabolario percettivo” che identifichi e differenzi le sensazioni.
Giochiamo col ghiaccio, toccando il viso del bambino o chiedendogli di succhiarlo.
Usiamo il cibo per stimolare la sensibilità delle labbra (chiediamo di assaporare un cono gelato “a piccoli bocconcini”, invitiamolo a sfiorare il budino contenuto nel cucchiaio con le labbra protruse, prima di introdurlo in bocca).
Ricordiamo, come genitori, che il nostro compito non è la proposta di un freddo eserciziario logopedico “versione domestica” ma l’utilizzo di ogni occasione del quotidiano per accrescere competenze e capacità dei nostri piccoli.
Correlazioni tra alterazioni della deglutizione, disprassia orale e problematiche ortognatiche
Col termine di alterazioni della deglutizione intendiamo la presenza di modalità deglutitorie anomale rispetto al modello atteso per l’età del soggetto. In altri testi esse sono descritte e a essi il lettore è rimandato. In questa sede trova spazio solo una riflessione riassuntiva sulle modalità di espressione della immaturità deglutitoria e una breve discussione sulle correlazioni tra alterazioni della deglutizione, problematiche ortognatiche e disprassia orale.
1. Segni di immaturità deglutitoria
In modo estremamente semplificato possiamo dire che l’evoluzione della abilità di deglutizione presenta alcuni indicatori prassici specifici.
La deglutizione evolve secondo una direzione sagittale, dall’avanti all’indietro: dalla protrusione linguale del lattante, alla triturazione molare della seconda infanzia, con un intervento dell’oralità che si va col tempo posteriorizzando in relazione a sede di preparazione del bolo e a sede di posizionamento del sigillo. La funzione coinvolge inizialmente il VII paio di nervi cranici (suzione, posizionamento del sigillo), ai quali è affidata nelle prime età anche la stabilizzazione mandibolare, per poi venire gestita prevalentemente dal V paio (triturazione). Dalla mungitura del lattante alla triturazione tipica del bambino nella seconda infanzia essa a da una forma di gestione del bolo con propulsione a pressione negativa a una forma di propulsione a pressione positiva. La lingua da una posizione extraorale (mungitura) si porta ad abitare stabilmente la bocca (impastamento del bolo), ando dall’essere imprigionata tra arcata dentaria e capezzolo all’essere “regina dell’oralità”.
Sono quindi segni di mancata o rallentata maturazione le situazioni seguenti.
Eccessivo coinvolgimento della camera orale anteriore in un’età nella quale ci si attenderebbe una retroposizione prassica con: a) preferenziale utilizzo degli incisivi nella preparazione del bolo anche in presenza dei premolari o dei molaretti permanenti;
b) mantenimento del morso anteriore mediano per lo strappo del boccone; c) tendenza alla protrusione linguale (sia durante la preparazione del bolo, sia nella sua presa dalla forchetta o dal cucchiaio, sia nell’atto del bere con posizionamento della lingua al bordo o sulla superficie esterna del bicchiere); d) incapacità a un’ottimale messa in atto della continenza labiale nella preparazione del bolo, per sfiancamento dell’orbicolare delle labbra ad opera delle manovre di masticazione operate dagli incisivi mediali e laterali, con caduta sistematica di cibo nei fornici e scialorrea abituale durante il pasto. Non migrazione del sigillo, espressa con: a) mantenimento ostinato del sigillo anteriore con attivo coinvolgimento dell’orbicolare delle labbra nella deglutizione; b) presenza di manovre di aspirazione accessorie alla propulsione; c) scivolamento anteriore della lingua in fase di tentativo di apposizione di sigillo posteriore. Non avvicendamento prassico nella stabilizzazione mandibolare tra VII e V paio di nervi cranici, caratterizzato da: a) mantenimento della stabilizzazione mandibolare a opera della muscolatura mimica facciale (contenimento “a fascia”); b) intervento in fase propulsiva del muscolo mentoniero (evento associato alla non retroposizione del sigillo o al tentativo inadeguato di porre il sigillo posteriore); c) ipotono della muscolatura masticatoria posteriore constatabile anche a riposo (e facilitante il mantenimento della bocca in lieve apertura); d) scarsa presenza della triturazione molare nella fase di preparazione del bolo.
Questi segni vanno attentamente cercati nella visita del bambino e indagati nel colloquio anamnestico coi genitori. Essi non esprimono immaturità prassica
generica, ma solo immaturità deglutitoria.
È significativo sottolineare questa differenza poiché i piccoli portatori di disprassia orale, oltre ad alterazioni nella gestone del cibo che possono non essere inquadrabili come immaturità ma come vere e proprie devianze o incapacità, presentano quasi costantemente alterazioni nella produzione dei fonemi spesso imprevedibili e poco inquadrabili in profili sindromici. I bimbi con alterazioni della deglutizione di tipo evolutivo presentano invece produzioni fonemiche alterate relative alla immaturità stessa e per questo piuttosto prevedibili:
sigmatismo interdentale o superiore (per tendenza all’avanzamento linguale),
scadente resa delle esplosive dorsali (per difficoltà al sollevamento della lingua in direzione del palato), ecc.
2. Il morso aperto
La principale malocclusione in grado di alterare le prassie orali è rappresentata dal morso aperto. Esso può aversi anteriormente, con mancata sovrapposizione tra i denti anteriori a dare la guida incisiva, o lateralmente. Il morso aperto può essere primario (prevalentemente ereditario) o secondario (funzionale, postraumatico).
Con morso aperto funzionale definiamo una beanza tra le arcate conseguente a un atteggiamento deviato della lingua o all’abitudine di porre un intercettore all’occlusione (pollice, ciuccio o altro oggetto).
2.1. Conseguenze funzionali del morso aperto
Come già si è sottolineato nella descrizione della prassia deglutitoria fisiologica, nelle prime età della vita l’apposizione del sigillo anteriore provvede alla completa separazione tra ambiente esterno e ambiente orale. La presenza del morso aperto rende però possibile ottenere un tale obiettivo solo se la lingua si occupa della chiusura del morso stesso, andando a interporsi nella beanza tra le arcate, svolgendo il ruolo di “tappo funzionale”. Tale necessità porta inevitabilmente a conseguenze di varia gravità
la presenza della lingua, in ogni deglutizione, nella beanza impedisce al morso di richiudersi sotto la naturale spinta di crescita delle arcate; la pressione esercitata dalla lingua, nel sostegno dato alla validazione del sigillo anteriore, determina un ulteriore ampliamento del morso stesso; i denti decidui possono venire deviati dalla spinta linguale, i permanenti possono incontrare difficoltà nell’eruzione; la lingua, imprigionata nel compito deglutitorio e interamente assorbita da esso, non compie un regolare cammino di evoluzione prassica, in particolare: a. l’apice non si separa funzionalmente dal predorso, b. il dorso fatica ad alzarsi verso il palato duro; la lingua, fortemente condizionata dalla attività automatica e inevitabile della chiusura del morso, subisce un profondo cambiamento anche nella situazione spaziale/dinamica: a. morsi laterali tendono a favorire il permanere della lingua nella emibocca ove è presente il problema anche in situazioni di riposo e a lateralizzare in modo omologo anche le prassie non deglutitorie e fonoarticolatorie (dando, ad esempio, sigmatismo o lambdacismo laterale);
b. morsi centrali, che obbligano la lingua ad avanzare in direzione della zona incisiva e in deglutizione a interporsi tra le arcate (anche fuoriuscendo dalle labbra) producono, analoga interposizione fonatoria per le consonati a luogo di articolazione anteriore e permanenza dell’anteriorizzazione prassica nella gestione del cibo, tipica di età precoci.
Ogni volta che un organo presenta una morfologia alterata la funzione che lo coinvolge si altera a sua volta, così come, allo stesso modo, una prassia alterata è in grado di modificare la morfologia di un organo.
3. La collaborazione tra professionisti
Può non essere semplice differenziare nella valutazione clinica foniatrica quanto nell’alterazione prassica è conseguenza di un inevitabile adattamento funzionale e quanto nella alterazione organica è dovuto alla devianza funzionale. Per elaborare un corretto progetto riabilitativo, la relazione tra il foniatra e l’ortodontista deve essere stretta e le tappe della riabilitazione logopedica e del calendario ortodontico devono venire pianificate con attenzione.
Il raggiungimento della guida incisiva, l’affrontamento tra le arcate posteriormente o, in ogni caso, la riduzione di ampiezza del morso devono essere il primo obiettivo per tutti. La presenza di una beanza è tiranna per la lingua e impedisce ogni miglioramento prassico.
L’educazione precoce alla messa in atto del sigillo posteriore è la via preferenziale. Essa infatti garantisce la non interferenza linguale nella beanza all’atto deglutitorio. Tale obiettivo è però possibile solo dalla seconda infanzia e in bambini portatori unicamente di devianza deglutitoria secondaria alla malocclusione o con quadri disprassici molto contenuti. In bimbi piccoli, con grave ritardo cognitivo o disprassici, nella impossibilità di educare alla propulsione a pressione positiva, è necessario comunque impedire, almeno ivamente, l’interposizione linguale tra le arcate, affinché la spinta di crescita delle stesse, ata dalla messa in atto di una ortodonzia, possa tentare un rimodellamento morfologico, a sua volta in grado di porsi come barriera meccanica all’interposizione stessa. A questo scopo all’apposizione della griglia di contenimento linguale, nella ortodonzia mobile e fissa, si va sostituendo l’utilizzo di apparecchi funzionali che non solo impediscono alla lingua di interporsi ma la guidano all’acquisizione della postura retroincisiva corretta.
3.1. Quale ortodonzia?
Negli ultimi anni la presenza di una ricerca in campo ortodontico sempre più rispettosa della bocca ha portato alla proposta di apparecchi ortodontici miofunzionali che, mentre modellano le arcate, attivano la muscolatura. Ricercare ortodontisti che mantengono un buon grado di aggiornamento e che conoscano l’evoluzione prassica orale è necessario per una collaborazione efficace. Le riflessioni seguenti possono essere utili ai logopedisti che si confrontano per la prima volta con l’argomento.
La categoria degli “intercettori” è ormai superata e va utilizzata solo con bimbi molto piccoli o con disturbo cognitivo associato. Gli intercettori sono ivizzanti e, pure impedendo atteggiamenti deviati, non indirizzano la lingua verso prassie fisiologiche. A questa categoria appartengono i nocicettori (piccoli presidi puntuti che si pongono all’interno della arcata inferiore per impedire una spinta linguale che proietti la mandibola anteriormente) e le griglie linguali che si propongono come sbarramenti fisici all’interposizione dell’organo tra le arcate.
Un’attenzione particolare tra gli apparecchi ortodontici fissi merita il disgiuntore di sutura palatina. Suo compito è l’espansione della volta del palato, suo campo di utilizzo specifico le situazioni nelle quali si assiste a una sproporzione tra le arcate, con il quadro che per semplicità viene denominato “masticazione inversa”, e i casi di collasso trasverso della volta, spesso secondario a respirazione orale obbligatoria e protratta. Il disgiuntore, che di solito viene applicato con fissazione al primo molaretto permanente, quindi intorno ai 7 anni, occupa la volta in modo molto disturbante per la maturazione del sigillo posteriore e per l’automatizzazione della postura fisiologica della lingua a riposo, occupando lo spazio retroincisivo e parte della volta stessa.
Ottimi per lo sviluppo prassico sono gli apparecchi che, inseriti in bocca, possono rimanere correttamente posizionati solo se le labbra sono a contatto o solo se la lingua è in postura retroincisiva. Tali apparecchi hanno naturalmente bisogno di una buona e costante presa aerea nasale e il bimbo che li porta, se è stato un adenoideo, va riabilitato in modo preventivo all’utilizzo del nasino, pena l’importabilità dell’apparecchio stesso.
3.2. Quando e per quanto tempo?
La scelta dei tempi nei quali iniziare l’ortodonzia è delicata. Non si deve infatti posticipare un apparecchio che impedisca un’interposizione linguale deformante le arcate e non si deve anticiparne un altro che contrasti il naturale evolversi delle prassie dell’organo. Un calendario indicativo può essere proposto.
Bambini che non presentano alterazioni nell’affrontamento tra le arcate: prima visita ortodontica a cinque anni. Bambini che presentano alterazioni, in particolare morso aperto: prima visita a tre anni. Nel caso venga prescritta l’applicazione di un disgiuntore palatino, anticipare l’evoluzione deglutitoria in sigillo posteriore per quanto reso possibile dalle abilità del bambino (in bambini con disprassia manifesta, ridurre al minimo la permanenza dell’ortodonzia fissa). Nel caso vengano prescritti presidi che impediscono per tempo prolungato la completa chiusura orale o si interpongano tra faccia vestibolare del labbro e arcata dentaria, impostare subito con il bambino un progetto di esercizi quotidiani che mantengano toniche le labbra e la muscolatura mimica del viso quando il bimbo è libero dall’ortodonzia.
Va infine ricordato che:
la presenza di un’ortodonzia fissa ingombrante la volta palatina vanifica l’intervento logopedico; se è possibile, e se si prevede che l’ortodonzia sia di lunga durata, è meglio far evolvere preventivamente le abilità orali e linguali;
dopo ogni cura ortodontica le abilità della bocca vanno rivalutate perché non è raro una regressione prassica secondaria all’ingombro orale sopportato; tutte le alterazioni secondarie alla presenza di abitudini viziate o a spinta linguale atipica (vestibolarizzazione dei denti, morso aperto secondario, ecc.) se curate con la sola ortodonzia, recidivano in poco tempo dopo la sospensione di questa; un’abilitazione alla deglutizione in modello adulto, una correzione di alterazioni prassiche linguali devono, per quanto possibile, precedere e non seguire l’ortodonzia.
Ogni alterazione nelle prassie linguali può dare alterazione morfologica nei rapporti tra le arcate. Un’ortodonzia che preveda il solo riposizionamento dentario, senza la riconquista di prassie corrette, è destinata a vanificarsi.
Il bambino vorace
È comune che la disprassia orale si manifesti, dal punto di vista alimentare, come voracità. Il bimbo in questo caso non desta preoccupazioni nei genitori per l’accrescimento, è appetente e non conformista dal punto di vista delle scelte tra i cibi. Consuma indifferentemente solidi, semisolidi e semiliquidi, non ha dato problemi nello svezzamento. La voracità in questi casi non viene valutata come sintomo di inabilità prassica orale sino a che non vi si associa un chiaro ritardo nella maturazione fonoarticolatoria. Sino ad allora essa viene interpretata come tratto del bambino e correlata a una particolare golosità della quale i genitori non si dispiacciono.
1. Perché la voracità?
È opportuno ricordare che la deglutizione è un processo complesso, finalizzato alla propulsione del cibo nello stomaco, che riveste importanti valenze non solo biologiche. La salivazione che accompagna la vista di un cibo o, addirittura, il solo atto di immaginarlo, è una prova di come la deglutizione non si confini a un mero processo meccanico nel quale l’ apposizione di sigilli permette il transito del bolo.
La deglutizione inizia ben prima che il cibo giunga alla labbra.
Essa si qualifica:
nel senso deldesiderare, come atto cognitivo; nel senso dell’appagareil desiderio stesso, come atto inerente la sfera emotiva del soggetto; in senso erotico, come ricerca del piacere generato dal sollecitare e stimolare la bocca; in senso maturativo, come promozione delle capacità di movimento di bocca, lingua, labbra.
La deglutizione è un evento metacognitivo.
Il bambino disprassico orale non è in grado di gestire il cibo con la bocca, non lo sminuzza coi denti, non lo impasta e non lo recupera con la lingua. Esso “transita” in un corridoio centrale, rappresentato dal dorso linguale un poco avvicinato al palato, per andare a sollecitare posteriormente il riflesso deglutitorio. Un bolo che subisce una lavorazione sommaria non stimola le pareti orali, non induce movimenti complessi che educano e automatizzano la sua stessa gestione e, soprattutto, non viene “assaporato”.
Il piccolo disprassico si trova in questo modo tre volte impoverito:
non ha potuto godere la soddisfazione percettiva (tattile, termica, propriocettiva) che i caratteri organolettici e la componente chimica del cibo stesso avrebbero potuto dargli; non ha sperimentato il piacere del movimento di lingua e labbra (simile, anche se obbligatoriamente settoriale, a quello che proviamo con l’intero corpo danzando, con l’apparato fonatorio cantando); non ha potuto assaporarne il gusto, spremerne le radici del sapore e conservarne un’impronta sensoriale in grado, essa sola, di fornire soddisfazione nel suo transito e di restituirne successivamente la memoria.
La bocca, privata di esperienze così significative, ha la necessità di reiterare la stimolazione, perché questa non è giunta a dare la quantità adeguata di percezioni in grado di soddisfare il bisogno di piacere e di conoscenza. Il bambino vorace mangia e, mentre il cibo già si dirige verso il retrobocca, ancora ne introduce altro, in una rincorsa all’ottenimento di quella soddisfazione orale che la sua bocca “frettolosa” non è in grado di dargli. I comportamenti possono essere diversi. Alcuni bimbi inseriscono in bocca cibo senza aver prima deglutito quello già presente (si riempiono la bocca forzandone
la capacità), altri portano alla bocca un cucchiaio dopo l’altro, deglutendo rapidi boli in successione, altri ancora sembrano piccoli roditori che triturano instancabili, con i soli denti anteriori, cibo che rapidamente spingono nel retrobocca.
2. Elementi di counselling
È evidente che per arginare la voracità occorre la collaborazione dei genitori. Buon suggerimento è l’utilizzo di piatti di dimensioni ridotte, nei quali disporre una quantità moderata di cibo (la voracità si accentua davanti a porzioni abbondanti). La richiesta di svuotare bene un piatto per ottenere una seconda porzione aiuta a moderare la velocità di preparazione del bolo. Ciò che è però davvero risolutivo è l’educazione percettiva dell’oralità, da farsi in modo sistematico in seduta logopedica e da riproporre a casa. Partecipare ai pranzi della famiglia, assaggiando il “cibo dei grandi”, capendo che il sapore caratterizza gli alimenti. Cucinare con la mamma, assaggiando gli ingredienti, dosandoli e mischiandoli è un’ottima guida al controllo della impulsività alimentare.
La voracità non è un segno di buona appetenza o di ingordigia ma di inabilità ad assaporare, discriminare, gustare il sapore del cibo.
Il piccolo disprassico può presentare sia quadri di conformismo alimentare, con scarso interesse per il cibo, sia aspetti di voracità incontrollata.
Le cosiddette abitudini viziate
Col termine di abitudini viziate sono stati identificati negli ultimi anni atteggiamenti della bocca messi in atto dal bambino a gradi diversi di consapevolezza, capaci di influire negativamente sull’attuarsi di un armonico rapporto tra le arcate dentarie.
1. Interpretare le abitudini orali del bambino
Il termine “abitudini viziate” è due volte improprio. In primo luogo perché non sempre si tratta di abitudini (atteggiamenti “gratuiti” autoindotti e stabilizzati dall’uso) ma di vere e proprie necessità o inevitabili conseguenze di immaturità nelle abilità orali, che vincolano il bambino a movimenti impropri degli organi del distretto, per ottenere comunque un certo risultato deglutitorio o fonoarticolatorio. In secondo luogo perché spesso non di “vizi” si tratta (parola che ha in sé un implicito rimando al voluttuario) ma di risposte alla naturale esigenza di autostimolazione orale, nate proprio dall’impossibilità da parte del piccolo di ottenere in altro modo soddisfazione al fisiologico bisogno di “sensazioni buone” di matrice orale non altrimenti appagabile[12]. Le abitudini orali di autosollecitazione sono elencabili in almeno tre principali categorie.
Atteggiamenti derivati da alterazioni organiche che inducono alla messa in atto di prassie, soprattutto nella sfera deglutitoria, che esitano nell’abitudine a produrre il medesimo schema di comportamento orale anche in situazioni non alimentari (tale è, ad esempio, il succhiamento della lingua tra le arcate che accompagna la presenza di un morso aperto, nel quale obbligatoriamente la lingua deve inserirsi per produrre il sigillo e dove ritorna anche in situazioni non deglutitorie per abitudine e automatismo). Atteggiamenti di succhiamento (ciuccio, dito, oggetti) derivati da inadeguatezza di stimolazione orale in età precoce[13], da ritardo nella evoluzione deglutitoria o dal permanere di abitudine all’alimentazione per mungitura in età nelle quali essa dovrebbe essere abbandonata. Atteggiamenti afinalistici prodotti al solo scopo di autosollecitarsi (ad esempio
morso del labbro, dell’interno delle guance, protrusione del labbro inferiore, della lingua[14], ecc.).
Per il coinvolgimento della lingua e il rischio di un arresto della evoluzione prassica di quest’organo, operato dalla seconda categoria di abitudini, occorre esplicitare alcuni concetti.
2. Il bambino “succhiatore”
2.1. La suzione e il piacere orale
Il piacere della suzione è parte integrante dell’atto alimentare ed è la prima “buona sensazione” che il neonato riceve dal contatto con il mondo estero. Esso ha una triplice matrice percettiva:
la sensazione endorale, data dalla presenza del capezzolo nella bocca (coinvolgente i recettori termici, i pressocettori e i recettori della sensibilità superficiale della lingua, della mucosa del palato duro e della mucosa alveolare); la sensazione propriocettiva e somatoestesica generata dall’atteggiamento assunto dalla bocca per l’accoglimento del capezzolo stesso e per la suzionemungitura (coinvolgente i recettori presenti nelle strutture muscolari, dai muscoli masticatori ai sovraioidei, e articolari); la sensazione generata sul viso dal contatto con il seno materno (coinvolgente i pressocettori, i recettori termici e tattili presenti nella muscolatura mimica e nella cute del viso e nella zona periorale[15]).
La ricerca di queste “buone sensazioni” ci accompagna per tutta la vita e trova soddisfazione diversa: nella vita sessuale, in abitudini voluttuarie (quali il fumo della sigaretta o della pipa, il masticare tabacco), in atteggiamenti di autostimolazione (quali il rosicchiarsi le unghie, la matita). Il bisogno di procurarsi, in momenti non alimentari, il medesimo piacere orale dato dal succhiamento del latte è presente anche negli altri mammiferi e non è esclusivo dell’uomo. È naturale quindi che la ricerca di un tale piacere, sperimentato in un periodo nel quale l’alimentazione è unicamente liquida e proposta per mungitura, permanga, anche dopo lo svezzamento, ormai del tutto autonoma dalla soddisfazione della fame.
Tale ricerca non è un segno di immaturità ma, al contrario, la testimonianza del nascere di quella “intelligenza erotica” che porta, nella nostra specie, a scindere l’esigenza riproduttiva dal piacere sessuale.
Il problema si pone quando l’abitudine al succhiamento rimane l’unica fonte di sollecitazione in un’età nella quale l’esplorazione orale sistematica dovrebbe porre le basi di nuove competenze prassiche della bocca e degli organi che la abitano. La devianza attesa è tanto maggiore quanto più la lingua è imprigionata dalla manovra di succhiamento sul pavimento della bocca e impossibilitata a muoversi all’interno della cavità (come avviene ad esempio nel succiamento del pollice).
2.2. Quale ciuccio?
Un ciuccio di dimensioni contenute, di forma anatomica, comprimibile è quello da proporre al bambino sin dalla nascita. Analizziamo le ragioni di una tale scelta.
Dimensioni contenute. Il ciuccio, e in generale tutto ciò che viene portato alla bocca, anche nella fase dell’esplorazione sistematica, non deve “ingombrare lo spazio orale”. Deve, cioè, fungere da sollecitatore al movimento della lingua senza opprimerla sul pavimento e non deve impedire un certo grado di contenimento orale, senza il quale le prassie linguali non possono evolversi. Deve inoltre promuovere manovre di suzione coinvolgenti l’orbicolare delle labbra, che non potrebbe essere attivato in situazione di destabilizzazione mandibolare, quale si ha nel caso la bocca non possa richiudersi intorno a un ciuccio di dimensioni eccessive. Forma anatomica. Per forma anatomica della tettarella si intende l’approssimazione morfologica di questa alla deformazione che il capezzolo subisce durante il succhiamento, pressato dalla lingua contro il palato duro, dietro alla cresta alveolare superiore. Il ciuccio dotato di questa particolare forma può essere mantenuto correttamente nel cavo orale solo se la lingua assume una posizione simile a quella fisiologica necessaria alla suzione (sollevata con apice saldamente a contatto con la tettarella), atteggiamento questo che ne favorisce il tono e la competenza prassica. Ciucci ingombranti a oliva o a ciliegia obbligano invece la lingua a mantenersi bassa sul pavimento orale e tendono, con la messa in atto di un succhiamento automatico, a essere espulsi dalla bocca (con la conseguente tendenza alla protrusione linguale nella ricerca di un rinnovato contatto), mentre la tettarella anatomica viene dal succhiamento ancor di più ancorata alla volta palatina. Comprimibilità. La comprimibilità è la caratteristica irrinunciabile per permettere il movimento linguale endorale in presenza del ciuccio e la spinta
dello stesso contro il palato, prassia questa che rinforza la muscolatura linguale e permette un certo grado di attivazione anche delle leve mandibolari (la mandibola sarebbe del tutto destabilizzata da una tettarella troppo resistente che non riesca ad appiattirsi tra lingua e volta palatina). Occorre ricordare che a questo aspetto della tettarella si deve gran parte del piacere somatoestesico che il piccolo ottiene dalla manovra di succhiamento.
2.3. Succhiare, per quanto tempo?
Non c’è ragione di impedire a un lattante l’uso del ciuccio, esso promuove le abilità della bocca e facilita l’esplorazione endorale. Con il aggio dall’alimentazione liquida a quella solida, il ciuccio riveste per il bambino fisiologico sempre meno importanza, in quanto un buon livello di stimolazione viene garantito sia dall’esplorazione orale degli oggetti che dalle nuove esperienze alimentari. È da questa età che il succhiamento viene limitato al momento dell’addormentamento o a situazioni particolari, nelle quali è necessario un’aggiunta di gratificazione, le quali, con il tempo, si fanno sempre più rare. La permanenza di un’abitudine al succhiamento impedisce altre esperienze orali, occupando in modo “totalitario ed esclusivo” la bocca del bambino e, nel caso venga usata una tettarella ingombrante o non comprimibile, abitua la lingua a permanere sul pavimento orale riducendone il tono, non promuove lo sviluppo delle leve mandibolari, facilita la scialorrea (e la tolleranza alla stessa). Il succhiatore accanito è spesso un conformista alimentare. Privilegia l’alimentazione liquida o semiliquida somministrata in biberon, fatica ad accettare nuovi sapori e, poiché meno abile nella gestione del cibo, induce nei genitori atteggiamenti iperprotettivi con riduzione delle esperienze concesse.
Lo sviluppo fisiologico del bambino fornisce un calendario biologico al quale riferirsi per dosare l’uso del ciuccio.
La nascita dei primi dentini è un iniziale deterrente alla protrusione linguale della mungitura.
L’affrontamento tra le arcate (con la presenza della guida incisiva), con l’iniziale stabilizzazione mandibolare al basicranio che ne deriva, è un dissuasore del succhiamento prolungato e suggerisce di riservare la suzione non alimentare a momenti limitati della giornata.
La comparsa della capacità di triturare il cibo indica la non prudenza del mantenimento del ciuccio. Le abilità di impastamento e recupero del bolo da parte della lingua sarebbero influenzate dal permanere della preparazione del cibo nella sezione anteriore della bocca in un’età nella quale si assiste alla retroposizione dello sminuzzamento. La muscolatura masticatoria posteriore, innervata dal V paio di nervi cranici, potrebbe non correttamente evolvere verso la propria funzione di stabilizzatrice mandibolare.
2.4. Cosa rischia il succhiatore accanito
Un’attività di suzione troppo prolungata, sia in senso anagrafico che in quello di ore a giornata, può dar luogo sia ad alterazioni nell’eruzione dei dentini, sia alla comparsa di abitudini orali deviate, delle quali ci si tende a preoccupare quando sono a loro volta causa di alterazioni fonoarticolatorie. Le più comuni problematiche da uso eccessivo del ciuccio sono le seguenti.
Privilegio della zona anteriore della bocca nella preparazione del bolo in una età nella quale sarebbe attesa la triturazione posteriore. Maggior frequenza di atteggiamenti deviati della lingua in fonoarticolazione (comprese le lateralizzazioni, tanto comuni quando il ciuccio viene per periodi prolungati succhiato o solo trattenuto tra le arcate in posizione non simmetrica). Minor tono della muscolatura mimica (problematica particolarmente frequente in bimbi succhiatori di ciucci con grandi dimensioni della tettarella, che spesso permangono in bocca “senza venire succhiati” attivamente, obbligando le labbra a rimanere dischiuse). Ritardo nello sviluppo prassico della muscolatura a leva masticatoria posteriore, con stabilizzazione mandibolare “a fascia” presente anche in un’età nella quale questa modalità dovrebbe ormai scomparire. Scialorrea durante il pasto. Tendenza alla interposizione linguale tra le arcate nella produzione dei fonemi a luogo di articolazione anteriore. Interposizione linguale tra le arcate nel sonno.
Gli ultimi due atteggiamenti sono molto comuni nei succhiatori di pollice in quanto, nella manovra di succhiamento del dito, la lingua tende a porsi in posizione extraorale, al di sotto dell’unghia e lì si abitua a restare, premendo il dito contro l’arcata superiore e la zona anteriore del palato duro.
Altre problematiche dei succhiatori di pollice sono rappresentate da:
vestibolarizzazione dei denti dell’arcata superiore (per l’effetto leva del dito che, premendo contro l’arcata, si muove dall’interno verso l’esterno e dal basso in alto, in conseguenza della spinta della lingua, che nella mungitura si solleva e si sposta in direzione sagittale extraorale); inclinazione in direzione opposta (verso l’interno della bocca) dei denti dell’arcata inferiore, che subiscono la pressone del dito soprattutto nel caso la suzione sia accompagnata da una manovra di aspirazione; succhiamento della lingua tra le arcate, quando il pollice non è disponibile, con eventuale comparsa di morso aperto funzionale.
Il succhiatore di pollice tende a mantenere nel tempo la propria abitudine di autosollecitazione più di quanto faccia l’utilizzatore del ciuccio, sul quale provvedimenti educativi e restrittivi sono molto più efficaci.
Il succhiamento prolungato riduce la possibilità di esperienza orale, obbliga la lingua in posizioni alterate, ne limita la mobilità. Il succhiatore accanito impedisce alla bocca esperienze alternative di esplorazione. Il conformismo alimentare può accompagnarsi a un uso eccessivamente protratto del ciuccio.
Fare diagnosi di disprassia
La diagnosi di disprassia orale è compito foniatrico e necessità di un percorso, breve ma non sommario, del quale vengono illustrate le tappe.
1. Osservazione informale
L’osservazione informale è il primo momento valutativo e deve essere condotta in momenti precedenti (meglio) o successivi alla visita. Sua finalità sono la valutazione in occasione di gioco, attesa, ascolto, ecc. di particolari atteggiamenti della bocca e la rilevazione della presenza di abitudini scorrette attinenti l’oralità, che in situazioni di valutazione diretta non potrebbe essere apprezzata per maggior capacità del bambino nell’autocontrollo.
1.1. Cosa osservare?
Va annotata la presenza di succhiamento della lingua, delle dita, del labbro, di movimenti linguali quali il leccamento (delle labbra, del mento), la protrusione mediana o lateralizzata della lingua, di bruxismo. Movimenti anomali possono coinvolgere la muscolatura mimica facciale, sia in senso manieristico che di autostimolazione. Attenzione particolare va data al grado di continenza delle labbra, alla presenza di contratture indicatrici di stabilizzazione mandibolare operata con sistema “a fascia”.
Chiamiamo “stabilizzazione mandibolare a fascia” quella operata sulla mandibola da parte della muscolatura mimica del viso innervata dal nervo facciale che, avvolgendo l’osso, lo stabilizza al basicranio dall’esterno (non diversamente da quello che farebbe un fazzoletto “fasciante” il mento)
2. Osservazione formale
È il primo momento della visita. Essa procede per tappe e comprende almeno sei momenti osservativi riguardanti altrettante funzioni. Occorre valutare con cura i punti a seguito elencati.
Tono ed efficienza della muscolatura mimica: espressività del viso, grado di solcatura delle pieghe naso-labiali, mobilità in situazioni comunicative, presenza di contrazioni anomale. Presenza di scialorrea manifesta o di segni indiretti di essa (arrossamento delle labbra, del mento e degli angoli della bocca). Modalità della presa aerea: nasale, orale, rumorosa, silenziosa. Dilatabilità delle narici durante una inspirazione forzata. Grado di continenza delle labbra. Le labbra possono mostrarsi: normalmente a contatto, ipertoniche e strettamente a contatto tra loro, non continenti. In questo caso occorre valutare lo stato del labbro superiore: normotonico, retratto[16] e di quello inferiore: normotonico, protruso[17]. Situazione a riposo della lingua, con particolare riguardo alla eventualità di interposizione dentaria e di protrusione. Qualità della deglutizione di saliva. Per quanto possibile valutare negli atti di deglutizione spontanea: presenza di aspirazione, contrattura eccessiva della muscolatura stabilizzatrice mandibolare, contratture della muscolatura mimica non stabilizzatrice, tendenza della lingua alla interposizione tra le arcate o alla protrusione dalla bocca, anteriorizzazione della mandibola.
L’osservazione è completata dalla palpazione. Essa aiuta nella valutazione del
tono a riposo della muscolatura innervata dal VII paio di nervi cranici e va condotta con delicatezza per non risvegliare contratture di difesa.
I pressocettori presenti nel polpastrello, con il quale indaghiamo il tono della muscolatura del paziente, non devono essere eccessivamente sollecitati (non si deve cioè premere troppo palpando), pena la riduzione della sensibilità e della capacità di valutare tono e resistenza della muscolatura che stiamo esplorando.
Un’ipotesi di tabella semplificata per la raccolta dei dati osservativi è proposta a seguito. Utile è il confronto del punteggio ottenuto dalla compilazione pre e post trattamento.
Anche se il logopedista può aiutare il medico nel processo di valutazione raccogliendo i dati e compilando sia la scheda osservativa che le schede di valutazione prassica presentate a seguito, solo il clinico specialista in patologia della comunicazione è davvero in grado di interpretarne il significato. Occorre infatti integrare ogni elemento con i dati raccolti nella visita formale e conoscere con precisione lo stato di salute di ogni singolo soggetto.
Osservazione 0 pieghe mimiche
normosolcate
labbra
continenti
labbro superiore
normotonico
labbro inferiore
normotonico
scialorrea
assente
respirazione (qualità)
nasale
respirazione (sonorità)
silenziosa
posizione della lingua
endorale in papilla incisiva / b
deglutizioni
normofrequenti
tosse volontaria[20]
corretta
Punteggio: ____________ (punteggio massimo: 30 ) 0 1 2 3
3. Visita formale
La visita in senso proprio non si differenzia molto dalla comune visita ORL. Comprende anch’essa sei tappe.
Rinoscopia anteriore con valutazione della pervietà delle fosse nasali (ridotta, ad esempio, in caso di: edema alla mucosa dei turbinati conseguente a diatesi allergica, alterazioni anatomiche, muco denso indicatore di infezione rinoadenoidea). Valutazione del cavo orale in senso morfologico (con particolare riguardo all’aspetto della volta palatina[21] e alla presenza di malocclusioni) e clinico (presenza di situazioni infiammatorie). Valutazione morfologica e funzionale del velo palatino (arricchita da eventuale palpazione): aspetto, dimensioni, mobilità in fonazione (con attenzione alla simmetria e alla prontezza del movimento), risposta al riflesso del vomito. Valutazione del grado di ingombro tonsillare, con particolare riguardo alla presenza di anomalie di movimento velare, secondarie a ipertrofia della tonsilla palatina, anche in assenza di aspetti infiammatori[22]. Valutazione della parete posteriore faringea in relazione alla presenza di secrezioni in discesa dal rinofaringe (segno di patologia adenoidea o rinosinusale) e alla possibile ipertrofia del territorio linfatico con aspetto tipico “a cielo stellato”, caratteristico di quei bimbi che non dispongono di un’attiva difesa operata dalle strutture linfatiche. Otoscopia con ispezione della membrana timpanica ed eventuale esame audiometrico ed impedenzometrico, per escludere qualsiasi tipo di ipoacusia o di alterazione della funzionalità tubarica che possano dare problemi nella corretta recezione della comunicazione linguistica.
4. Valutazione delle prassie orali non fonoarticolatorie
È questo il momento più significativo. Le prassie orali vanno testate con cura e valutate in relazione ai parametri a seguito elencati.
Fattibilità. Accanto al risultato prassico deve essere valutato il costo esecutivo. Accuratezza. Il movimento deve ricalcare la proposta fatta dal clinico o seguire le indicazioni fornite. Simmetria. Movimenti che prevedono posizioni mediane dell’organo (ad es. il puntamento dell’apice linguale alle pieghe incisive) non devono occupare solo un’emibocca, così come movimenti che coinvolgono armonicamente la muscolatura mimica o velare non devono risultare disarmonici (ad es. bacio, sorriso, sollevamento e grado di continenza del velo). Presenza/assenza di sincinesie. Il movimento deve coinvolgere solo l’organo interessato e non organi limitrofi (ad es. la lingua deve essere lateralizzata ma non la mandibola con essa). Presenza di movimenti in altri distretti (ad esempio un bimbo al quale è richiesto di mostrare i dentini può strizzare con forza le palpebre, associando le prassie, o addirittura sostituire la seconda alla prima)
Durante la valutazione delle prassie deve essere giudicato anche il tono della muscolatura mediante palpazione, richiesta di contrazione o di spinta contro resistenza.
Il fatto che una prassia venga attuata già su comando verbale o solo su imitazione riveste un significato diagnostico minore. Non si deve infatti
dimenticare che il bambino è molto piccolo, spesso intimorito dal setting di visita, e che l’esecuzione su comando va a indagare, oltre all’abilità prassica, la comprensione linguistica e la memoria verbale. Oltre a questo, le abilità della bocca di tipo fonoarticolatorio si basano anche e soprattutto sulla capacità di recepire un modellamento, ed è questa competenza che interessa in fase valutativa.
4.1. Valutazione delle abilità prassiche settoriali
La valutazione delle prassie orali comprende l’esplorazione delle prassie di lingua, muscolatura mimica, velo ed è estesa alla valutazione della deglutizione.
Le schede che seguono, con le indicazioni per la proposta degli item, rappresentano uno schema applicabile in tempi ristretti e non indaginoso per il logopedista e il medico che possono proporre i singoli esercizi e solo successivamente annotarne i risultati, senza distogliere così mai l’attenzione dal piccolo paziente.
Il giudizio è espresso mediante una scala da 0 a 3, intendendo con 0 l’abilità completamente raggiunta, con 3 l’assenza della abilità, con 1 e 2 gradi intermedi di immaturità, termine questo che è preferibile rispetto a “devianza”, in quanto si sta valutando un soggetto in età evolutiva nel quale il cammino prassico deve ancora essere compiuto.
Uno spazio va lasciato alle note, poiché i piccoli non raramente presentano atteggiamenti scarsamente inquadrabili nelle valutazioni redatte secondo criteri di maggiore o minore adeguatezza al grado di maturazione prassica atteso e il medico può essere obbligato a descrivere il movimento utilizzato.
Lingua
0
1
protrusione
2
lateralizzazione extraorale
3
lateralizzazione intraorale
4
sollevamento ed abbassamento extraorale
5
raggiungimento della posizione retroincisiva
6
leccamento delle labbra
7
leccamento dei fornici gengivali
8
sollevamento del dorso in direzione del palato
9
schiocco dorsale
10
schiocco apicale
Punteggio: (punteggio massimo: 30) 0 1 2 3
Protrusione Aprendo la bocca, portare la lingua in avanti, sollevare l’indice e porlo al davanti dell’apice. Chiedere al bimbo di imitare il movimento della nostra lingua, cercando di raggiugere il nostro dito. Il movimento maturo presenta buona dissociazione tra apice e predorso (la lingua compare “a punta”), non sono presenti deviazioni laterali, la lingua viene mantenuta in posizione per qualche secondo senza difficoltà, non è presente anteriorizzazione della mandibola. Un grado modesto di immaturità si caratterizza per incapacità a mantenere la posizione e/o sinergia di movimento con la mandibola. Una immaturità più grave non presenta la dissociazione apice-predorso (la lingua compare al di fuori dalle labbra “arrotondata”) e solitamente si accompagna a scarsa apertura orale.
Lateralizzazione extraorale Utilizzare sempre il dito indice sollevato al davanti del naso del bambino. Ottenuta la protrusione della lingua, spostare il dito a destra e a sinistra chiedendo al piccolo di seguirne i movimenti. Un grado lieve di immaturità si accompagna a lateralizzazione associata della mandibola. La stabilizzazione manuale mandibolare, operata dall’esaminatore, permette la dissociazione. Un grado più elevato di immaturità si accompagna a incapacità di lateralizzare la lingua se la mandibola viene immobilizzata.
Lateralizzazione intraorale Chiesto al bambino di mantenere la lingua nella bocca, appoggiare un dito su una guancia poi sull’altra. Premendo dolcemente, chiedere di andare a localizzare la zona di pressione con l’apice linguale (“ora appoggio un dito, dove
è il mio dito? cercalo con la lingua”). L’immaturità si presenta come nel punto precedente.
Sollevamento ed abbassamento extraorale Chiedere al bambino di toccarsi la punta del naso con la lingua e, successivamente, di leccarsi il mento. Immaturità minore è la presenza di un movimento corretto nella forma ma non abbastanza ampio. Immaturità maggiore è l’incapacità di dirigere la lingua verso i punti richiesti, pur protrudendola fuori dalla bocca.
Raggiungimento della posizione retroincisiva Aperta la bocca e sollevato il capo, mostrare al bambino la nostra lingua ben posizionata, con l’apice a contatto con le rughe palatine, nella zona appena posteriore all’arcata dentaria. Invitare a fare altrettanto. Immaturità modesta è rappresentata dal posizionamento impreciso. Immaturità più significativa è gravata dalla impossibilità di mantenere un contatto e dalla non differenziazione funzionale tra apice e predorso. Nella richiesta della prassia, valutare con cura lo stato del frenulo. Frenuli corti e imbriglianti impediscono l’esecuzione o la rendono possibile solo con apertura orale molto ridotta. Un frenulo corto, nella protrusione anteriore della lingua, deforma l’organo, separando l’apice in due parti simmetriche di aspetto lievemente bottonuto [23].
Leccamento delle labbra Con le labbra un poco dischiuse e atteggiate a iniziale sorriso, dimostrare il
movimento. Immaturità lieve è la sinergia mandibolare, risolta con la stabilizzazione iva. Immaturità più significativa è l’impossibilità al movimento se la mandibola è immobilizzata.
Leccamento dei fornici gengivali Dischiusa la bocca, frugare i fornici gengivali con la punta della lingua, come a ricercare residui di cibo. Invitare il bimbo a fare altrettanto commentando “puliamo bene la bocca con la lingua”. Come nei precedenti casi l’impossibilità di dissociare il movimento linguale da quello mandibolare e la non separazione apice predorso sono indicatori di immaturità.
Sollevamento del dorso linguale in direzione del palato Dimostrare il movimento con la maggiore apertura orale possibile, così che il bimbo possa vedere la posizione richiesta e aggiungere qualche spiegazione: “immagina di gustare un gelato, senti che buon sapore”, mimando l’atto di degustare un semisolido. Premere con forza il dorso e ottenere un rumore esplosivo nell’atto della perdita del contatto lingua-palato. Immaturità minore è l’impossibilità di ottenere il contatto pur cercando il sollevamento linguale o l’estrema labilità di questo. Immaturità più grave è l’impossibilità di sollevare la lingua se non in situazione di minima apertura orale.
Schiocco dorsale A bocca dischiusa, schioccare la lingua invitando il bimbo a imitare il galoppo del cavallo. Arrovesciare un poco l’apice linguale all’indietro, ottenere un contatto saldo, rilasciare rapidamente.
Immaturità lieve è l’incapacità a ottenere uno schiocco sonoro per deficit di forza. Immaturità più grave è l’impossibilità a realizzare un ribaltamento dell’apice e la messa in atto di un contatto labile tra superficie superiore della lingua e palato duro, con lingua anteriorizzata e protrusa.
Schiocco apicale Dischiudere la bocca ed estendere un poco il capo, dimostrare il movimento producendo il rumore tipico di quando si desidera chiamare un gatto. Appoggiare la lingua con decisione sulla volta palatina nel segmento anteriore e distaccarla con movimento netto. Immaturità lieve è l’incapacità a ottenere lo schiocco per deficit di forza, pur atteggiando la lingua in modo corretto. Immaturità più grave è l’incapacità di sollevamento dell’apice in direzione del palato e/o la tendenza all’interposizione della stessa tra le arcate dentarie nel tentativo di ottenere un contatto con il palato.
In relazione alle abilità della lingua è utile chiedere al genitore se il piccolo è in grado di mangiare un gelato dal cono, se sa ricercare cibo nei fornici gengivali, se, dopo essersi lavato i denti, sa accarezzarne la superficie vestibolare (ad esempio per apprezzarne la levigatezza).
Dalle informazioni ricevute si può, già dal momento della valutazione, stabile i temi di un counselling domestico finalizzato al miglioramento delle prassie di questo organo fondamentale nella resa della fonoarticolazione.
Utile è integrare i dati osservativi della valutazione di prassia con quelli tratti dalla visita formale in relazione alla dimensione del frenulo e in relazione al
grado di imbrigliamento da questo operato sulla lingua. Non è raro infatti che frenuli molto corti si accompagnino a prassie linguali corrette e, parallelamente, che frenulectomie siano indicate come unica soluzione a problematiche di matrice disprassica. Labbra e velo
0
1
protrusione (bacio)
2
sorriso
3
stiramento a contatto
4
stiramento in apertura
5
soffio
6
schiocco labiale
7
continenza velare in produzione vocalica
8
continenza labiale nella manovra di rigonfiam
9
continenza velare nella manovra di rigonfiame
10
resistenza delle labbra all’apertura forzata
Punteggio: (punteggio massimo: 30) 0 1 2 3
Protrusione Dimostrare un bacio trattenendo le labbra nella posizione immediatamente precedente allo schiocco. Immaturità lieve è la presenza solo di un modesto arricciamento delle labbra o l’incapacità al mantenimento della posizione. Immaturità più grave la produzione di un bacio a labbra serrate, stirate o a sorriso.
Sorriso Sorridere al bimbo senza mostrare i denti, mantenendo le labbra a contatto lieve. Non stirare eccessivamente. Immaturità lieve è la possibilità di produrre il sorriso solo con significativo stiramento delle labbra. Immaturità maggiore è l’impossibilità di sorridere senza dischiudere contemporaneamente la bocca.
Stiramento a contatto Sorridere in modo forzato, stirando le labbra senza mostrare i denti. Immaturità lieve è la produzione di un sorriso a labbra appena avvicinate e non stirate. Immaturità maggiore la produzione delle prassie in apertura della bocca e con modesto stiramento labiale.
Stiramento in apertura
Sorridere in modo forzato, accollando le labbra alle arcate dentarie e mostrando i denti. L’immaturità è sovrapponibile al punto precedente.
Soffio Dimostrare il soffio, senza produrre eccessiva pressione e senza rumore. Indirizzare il bambino dicendo “soffia piano, devi far volare una piuma”. Immaturità lieve è rappresentata dalla incapacità di gestire la forza con la quale è prodotta la prassia (il bimbo riesce solo a “soffiare forte”, rumorosamente e con fuoriuscita di aria ad alta pressione). Immaturità più grave è l’esecuzione della prassia a labbra lievemente stirate e a bocca semiaperta.
Schiocco labiale Stirare le labbra, avvicinarle premendole l’una contro l’altra e rilasciarle improvvisamente, producendo un netto rumore di schiocco. Immaturità lieve è l’incapacità di produrre lo schiocco pur con atteggiamento labiale corretto o la produzione di uno schiocco debole o la messa in atto del solo contatto labiale. Immaturità maggiore è la ricerca della prassia in mantenimento di beanza tra le labbra e loro lieve stiramento.
Continenza velare in produzione vocalica Mettere un dito sull’ala del naso del bimbo e chiedere di produrre una vocale. Valutare la presenza (incontinenza velare) / assenza (continenza velare) di un fremito secondario al aggio di aria dalla cavità. Nel caso di ingombro
significativo del rinofaringe da parte della tonsilla adenoidea la valutazione può dare come risultato un falso negativo. Se la pervietà delle fosse è diversa (per la presenza di iniziale deviazione settale o per edema al turbinato inferiore), preferire la fossa meno libera. L’aria in transito è in questo caso infatti dotata di maggior energia cinetica e produce una vibrazione trasmessa sull’ala del naso molto più percepibile. In situazioni di normale mobilità velare non si riscontra alcuna vibrazione. Gradi diversi di incontinenza determinano vibrazioni di intensità diversificata. La presenza di un velo corto congenito o di una schisi sottomucosa produce falsi positivi, la visita deve escludere con certezza questa possibilità. In casi dubbi è necessario eseguire esame in endoscopia o videofluoroscopia con accurata valutazione delle possibilità di movimento velare. Occorre ricordare che insufficienze anche significative non obbligatoriamente si accompagnano ad anamnesi positiva per reflusso nasale nei primi mesi di vita.
Continenza labiale nella manovra di rigonfiamento delle guance Gonfiare le guance corrugando le labbra e chiedere al bimbo di imitarci. Con il dito, con piccoli tocchi leggeri, valutare la tonicità dell’orbicolare. Immaturità lieve è il rilascio delle labbra appena vengono toccate. Immaturità più grave è la produzione di tentativi abortiti di rigonfiamento delle guance con labbra stirate.
Continenza velare nella manovra di rigonfiamento delle guance Eseguire la prassia precedente. Quando il bimbo imita l’atteggiamento orale, premere sulle guance, cercando di far esplodere le labbra. Immaturità minore è la perdita di aria dal naso per pressioni modeste. Immaturità maggiore è l’impossibilità di mantenere il velo continente. Le guance si sgonfiano prima ancora che la nostra mano prema o non si gonfiano neppure.
Resistenza delle labbra all’apertura forzata Inserire un dito tra le labbra del bimbo e chiedergli di "imprigionarlo". Spostare il dito sotto il labbro inferiore e sotto l’inferiore, testare il tono. Inserire il dito all’angolo della bocca destro poi sinistro, testare il tono. Gradi più o meno gravi di immaturità sono rappresentati dalla diversità di forza con la quale il bimbo oppone resistenza nelle diverse zone sollecitate.
Muscolatura mimica
0
1
capacità di spostare l’aria raccolta nella bocca
2
arricciamento del labbro superiore
3
Protrusione del labbro inferiore
4
succhiamento del dito dell’esaminatore da par
5
manovra di annusamento
6
corrugamento della fronte
7
abbassamento della palpebra superiore
8
chiusura serrata della palpebre
9
pernacchia
10
imitazione di boccaccia
Punteggio: (punteggio massimo: 30) 0 1 2 3
Le prove elencate non necessitano di una spiegazione dettagliata, unica raccomandazione è quella di proporre questa parte alla fine del percorso valutativo, in quando più divertente per il bambino e facilmente presentabile come gioco finale. Si supera così il rischio che prestazioni scadenti vengano prodotte per affaticamento da parte del piccolo paziente.
La pernacchia, qualche volta di difficile esecuzione anche nell’adulto, può essere sostituita da un movimento della labbra indicante il freddo (aiutare il bimbo in questo caso pronunciando l’onomatopea: “brr”). La boccaccia può essere sostituita dalla produzione di un vortice ad alta energia cinetica, dovuto a una espirazione forzata con stabilizzazione della lingua in posizione intermedia sull’asse verticale tra palato e pavimento, lievemente anteriorizzata, ben tonica, accoppiata a contrattura dell’orbicolare delle labbra (come si fa nel quotidiano per esigere silenzio in modo autoritario). Valutare, in entrambe le richieste, l’eventuale presenza di scialorrea e annotarla.
5. Valutazione dello stile deglutitorio
Per i protocolli di valutazione deglutitoria si rimanda a testi specifici. In questa sede viene presentata solo una metodica di valutazione rapida e informale, in grado di fornire informazioni generali sullo stile deglutitorio del piccolo paziente da integrare poi con protocolli più complessi. La valutazione procede in quattro tappe di rapidissima esecuzione, con un disagio minimo del bambino.
Osservazione della deglutizione di saliva, annotare: a. presenza di contratture a carico della muscolatura mimica finalizzata alla stabilizzazione mandibolare; b. tendenza alla protrusione linguale. Palpazione e ispezione nella deglutizione di saliva mediante: a. valutazione mediante delicata palpazione esterna dell’intervento in deglutizione della muscolatura masticatoria posteriore; b. valutazione mediante palpazione e mobilizzazione manuale del grado di tonicità delle labbra; c. valutazione della eventuale spinta linguale mediante divaricazione manuale delle labbra nella manovra di deglutizione. Osservazione del morso e della gestione endorale del bolo, con particolare riferimento: a. per il primo al luogo (anteriore o laterale) e al tipo di strappo; b. per la seconda al grado di continenza labiale, alla eventuale presenza di scialorrea, al coinvolgimento della muscolatura masticatoria posteriore.
Osservazione della deglutizione di liquido da bicchiere trasparente con: a. osservazione dei movimenti linguali di accompagnamento (lappatura, protrusione linguale); b. rilievo di un’eventuale manovra accessoria di aspirazione.
Una valutazione anche rapida porta di solito all’ottenimento delle informazioni seguenti:
Tipo di sigillo operato. Lappatura dal bicchiere, protrusione linguale, intervento massivo della muscolatura mimica del viso sono suggestivi di sigillo anteriore o di sigillo intermedio. Intervento della muscolatura masticatoria posteriore, triturazione molare, assenza di ipertono del mentoniero, assenza di scialorrea fanno supporre la messa in atto di un sigillo posteriore. Tali ipotesi devono poi essere confermate con le usuali procedure formali di valutazione. Presenza di eccessivo coinvolgimento della muscolatura mimica. Tendenza alla interposizione linguale.
La tabella seguente può essere usata per riassumere i risultati. Essi vanno rapportati all’età anagrafica e alla modalità di deglutizione attesa per indicare il grado di devianza[24]. Un punteggio pari a 0 indica la presenza della prassia attesa per l’età anagrafica,1 la devianza, che va descritta poi nella nota.
Deglutizione
0
1
modalità di stabilizzazione a riposo della mandibo
2
tono alla palpazione interna della muscolatura dell
3
contrattura su comando delle leve mandibolari
4
attivazione in deglutizione delle leve mandibolari
5
avanzamento deglutitorio della lingua[25]
6
interposizione della lingua a ottenere il sigillo ante
7
protrusione mandibolare nell’apposizione del sigil
8
intervento del muscolo mentoniero nell’apposizion
9
stabilizzazione mandibolare a carico della sola mu
10
manovra accompagnatoria di aspirazione
Punteggio: (punteggio massimo: 10) 0 1
Criteri di presa in carico
1. Percorsi di presa in carico
Il progetto di presa in carico deriva dall’esito della valutazione funzionale e si integra nella quotidianità del bambino, seguendo almeno tre percorsi.
Abilitazione prassica orale mediata dall’esperienza alimentare. Abilitazione specifica con eserciziario formale logopedico. Abilitazione fonoarticolatoria.
Oltre al foniatra e al logopedista possono essere chiamati a collaborare al progetto terapeutico l’ortodontista (in relazione alla presenza di problematiche ortognatiche direttamente influenzanti le prassie della bocca), lo specialista ORL (in relazione a patologie distrettuali alteranti le meccaniche respiratorie).
Indipendentemente dai tre percorsi abilitativi e dalla priorità riservata, secondo il caso, a ciascuno di essi, alcuni principi sono da tenere preventivamente in conto.
In ogni bimbo con disprassia orale va sollecitata con tutti i mezzi la conoscenza della bocca e degli organi che la costituiscono (pareti muscolari, ossee, lingua, denti). Questa conoscenza può avvenire “dall’interno” (esplorazione mediata dalla lingua), può essere sollecitata dall’introduzione di oggetti a tale scopo ottimizzati (spazzolino, pennello, ghiaccio, ecc.), può avvenire “dall’esterno” (con l’uso dello specchio, dell’autosservazione, dell’autopalpazione), deve essere confermata dalla visione e dalla discussione di modellini, disegni, illustrazioni, naturalmente in relazione all’età del piccolo stesso.
Va sempre, qualunque sia l’alterazione presentata, ricercata il più possibile la simmetria e l’armonia del movimento.
Va sempre, su ogni organo, ricercata e sollecitata, oltre che la buona prassia, la dissociazione prassica, sciogliendo le sincinesie.
2. Abilitazione prassica mediata dall’esperienza alimentare
2.1. Conoscere le abitudini
Prima di iniziare la proposta formale di esperienze di esplorazione attraverso il cibo, il logopedista deve raccogliere un’accurata anamnesi alimentare dai genitori.
La griglia seguente può essere di aiuto.
abilità accettare il cucchiaino assaporare un semisolido bere dal bicchiere con beccuccio accettare parti non perfettamente omogeneizzate nella pappa succhiare un grissino /pezzo di pane bere da un bicchiere normale bere dalla bottiglia mangiare una pappa “in bocconcini” mordere un frutto mangiare una ciliegia/oliva mangiare cibo di consistenza elevata separare nella bocca la parte edibile dalle parti non edibili del cibo mangiare il pesce di spina masticare una gomma senza deglutirla
età di comparsa
Alcune informazioni sono inoltre di particolare aiuto. Non dimentichiamoci di chiedere infatti:
età dello svezzamento, età di abbandono completo del biberon, numero, tempistica e qualità dei pasti, tempo di permanenza a tavola, appetenza/disappetenza, conformismo/curiosità alimentare.
In relazione al primo punto, è interessante sapere se è stato attuato un allattamento prolungato che possa aver tardato il momento dello svezzamento nonostante la presenza di indicatori biologici di evoluzione deglutitoria (eruzione dei primi denti, aumento dimensionale della camera orale). Per ciò che riguarda i punti due e tre, notizie utili sono quelle relative all’eventuale abitudine alla sostituzione di uno dei pasti con alimenti liquidi o semiliquidi, magari somministrati mediante biberon, sia per compiacere il desiderio del succhiamento, sia per abbreviare i tempi del pasto stesso (tipica è la colazione affrettata con latte e biscotti in biberon, magari consumata già all’esterno di casa). I punti da quattro a sei forniscono informazioni preziose sul tipo di rapporto che il bambino ha con il cibo. Sono sospette sia le lunghe permanenze a tavola (inappetenza, scarsa abilità nella preparazione endorale del cibo), sia le brevi (voracità, incapacità all’assaporamento dell’alimento). I dati non vanno raccolti senza esemplificazioni fornite dai genitori di pasti “tipo”. Occorre infatti distinguere il bambino appetente ma frettoloso da quello
che non rimane a tavola perché vuole affrettare un momento sgradito. Interessante è capire se il bambino è un conformista alimentare, sia nel senso organolettico (solo cibi di una determinata consistenza, temperatura, grado di omogeneizzazione, ecc.), sia nel senso del gusto (solo un certo tipo di alimento).
Il conformismo alimentare è nemico delle abilità della bocca, esso impedisce al bimbo di fare nuove esperienze, quindi di provare modalità diversificate di elaborazione del bolo, imprigiona la madre nella abitudine al menù fisso, che a lungo andare demotiva sia il cuoco che il commensale, conduce, soprattutto in caso di bimbi disappetenti, alla via senza uscita del “ricatto alimentare sistematico”, secondo il quale a un bimbo conformista si propone solo cibo conformante, con la conseguenza che nessuna abilità può venire richiesta e nessuna curiosità stimolata, pena il rifiuto dell’alimento stesso.
2.2. Elementi di counselling alimentare del bambino disprassico orale
Raccolta l’anamnesi alimentare è utile procedere a un counselling sistematico che può seguire gli indirizzi a seguito indicati.
Concedere tempi adeguati a ciascun pasto. Non facilitare la colazione, per ragioni di opportunità di agenda, scegliendo il biberon. Se il bimbo ama il latte coi biscotti proporgli il latte in tazza. Riservare il biberon a momenti speciali (malattia, risveglio notturno) e al massimo sino ai 24 mesi. Non prolungare la permanenza a tavola di bambini disappetenti. Dare un tempo per consumare il pasto, superato il quale la tavola viene sparecchiata e chi non ha mangiato viene rimandato al pasto successivo. Puntare sulla varietà del cibo, cercando di fare arrivare a tavola il piccolo il più possibile affamato (non concedere fuoripasto, soprattutto zuccherini, somministrare merende ridotte e non dopo le 16.30), così da invogliarlo a nuove scoperte. Servire i bimbi voraci con porzioni molto contenute nella quantità, in piatti di dimensioni ridotte. Chiedere di vuotare il piatto prima di servirsi di nuovo, esigere una masticazione il più accurata possibile. Permettere al bambino piccolo di assistere al pasto dei genitori e dei fratelli maggiori, proporre assaggi, lasciarlo incuriosire ed entusiasmare (sapori, consistenze, colori). Organizzare un pasto unificato per tutta la famiglia il più precocemente possibile, anche nel caso le diete siano diversificate per età e abilità. Munire il piccolo di posate e piatto il più presto possibile. Non indulgere nell’imboccarlo. Lasciare che sperimenti non solo le capacità di preparare il bolo ma anche di portarlo alla bocca (ciò aumenta il desiderio alimentare e promuove
l’appetenza). Tollerare che si sporchi.
2.3. Attività nello studio logopedico
La valutazione foniatrica e il progetto riabilitativo che ne consegue sono il primo elemento da considerare nella scelta dei criteri di presa in carico logopedica. Allo scopo di integrarli e di interpretarli correttamente, il logopedista non deve rinunciare a dedicare qualche seduta all’osservazione di come il bambino mangia e beve. Proponiamo una merenda che comprenda un semisolido (budino, yogurt), qualche biscotto, e una bevanda. Osserviamo il tipo di morso, il luogo della preparazione del bolo (anteriore o molare), la presenza di scialorrea, la qualità del contenimento operato dalle labbra, la prassia linguale. Guardiamo anche la modalità in cui il cucchiaio viene impugnato, come è portato alla bocca. Valutiamo il tipo di bevuta, la protrusione eventuale della lingua, la perdita di saliva durante la deglutizione di liquido dal bicchiere, la presenza di saliva al suo interno.
Da questi dati osservativi, associati alla valutazione formale della deglutizione, deriva il progetto di abilitazione prassica settoriale. Esso può seguire la traccia normalmente indicata nella riabilitazione delle deglutizioni alterate. Indipendentemente dall’eserciziario proposto dedichiamo parte della seduta anche ai punti a seguito indicati.
Invitiamo il bambino a guardare il cibo e gli utensili (bicchiere, piatto e posate) prima di utilizzarli e a controllare visivamente i movimenti della mano quando essa li adopera o quanto è necessario utilizzarla per la manipolazione extraorale del cibo (spezzare il pane, il biscotto, mescolare un semiliquido, porzionare, ecc.). Vedere ciò che si decide di portare alla bocca prepara l’oralità (grado di apertura della bocca, posizione della lingua, atteggiamento delle labbra, ecc.) ed
è una tappa irrinunciabile nel processo di elaborazione del bolo. Utilizziamo il cibo per implementare la conoscenza della “geografia” della bocca (poniamolo nei fornici, sul palato, chiedendo al piccolo di recuperarlo con la lingua; verniciamo con creme le labbra, per ottenere un movimento esplorativo extraorale, ecc.) Usiamo il cibo per raffinare il gusto e creiamo col bimbo un vocabolario percettivo da utilizzare insieme (dolce, salato, aspro, piccante, morbido, duro, ecc.). Favoriamo le manovre di assaporamento che tanto aiutano le prassie linguali di sollevamento e apposizione al palato. Utilizziamo cibo per esercitare le competenze propriocettive linguali (chiediamo al piccolo, ad occhi chiusi, di riconoscere un alimento introdotto e di identificarne la composizione: yogurt ai frutti, gelati con particolati, ecc.) Favoriamo in ogni modo la triturazione molare e l’utilizzo della zona posteriore orale. Educhiamo il morso e lo strappo, proponendo grissini (da sgranocchiare con gli incisivi) e biscotti duri (da mordere con i canini).
3. Abilitazione specifica con eserciziario formale logopedico
Nonostante gli obiettivi della dissociazione prassica e della simmetria del movimento debbano essere sempre perseguiti come prerequisiti di ogni abilità orale, può essere necessario, in alcuni casi, far precedere all’eserciziario motorio alcune sedute di stimolazione della sensibilità tattile, termica e gustativa.
Avere coscienza del proprio viso, della bocca e degli organi in essa contenuti è il prerequisito per sviluppare abilità prassiche settoriali[27].
La sensibilità tattile va stimolata sia esternamente che internamente. L’uso di pennelli di diverse dimensioni e durezza è indicato per migliorare la percezione a livello della cute del viso. Ghiaccio, strumenti metallici arrotondati e appositamente raffreddati, sono utili per la stimolazione endorale. Anche il dito può fungere da stimolatore, ma la tolleranza dei bimbi è spesso molto bassa per questo tipo di manovre. La bocca per il bambino disprassico è un luogo in parte sconosciuto e la diffidenza alla sua manipolazione da parte di un estraneo è alta.
La stessa stimolazione che produce piacere in un bimbo senza problemi relativi all’oralità, può generare fastidio o addirittura dolore in un piccolo disprassico. Non va dimenticato che “si teme ciò che non si conosce” e l’autopercezione orale endocavitaria e del viso nel piccolo disprassico può essere molto carente. In alcuni pazienti non solo il dito ma addirittura ogni oggetto col quale si decida di stimolare il viso è temuto. Meglio allora preferire contatti estremamente delicati e ludici. Un gioco proponibile in casi di rifiuto a ogni tipo di contatto è realizzabile con una cannuccia, purché di calibro non troppo ridotto. Dopo averla mostrata al bambino, soffiarvi dentro delicatamente e dirigere il lieve getto d’aria su una parte del viso non “calda”, come la fronte o le tempie, per poi
condurre il piccolo a tollerare una stimolazione più prossima alla rima orale. Il gioco permette due ulteriori vantaggi: la reciprocità (con l’alternarsi dei ruoli) e l’affinamento delle capacità percettiva cutanee (a questo scopo chiedere al piccolo di chiudere gli occhi, stimolarlo col soffio e invitarlo a toccare col dito il punto nel quale ha sentito l’aria toccargli il viso).
Ottenuta una competenza percettiva, almeno primitiva, di tipo termico e tattile è utile procedere a un vero e proprio training di conoscenza delle caratteristiche del bolo e degli atteggiamenti assunti dalla bocca per gestirlo. È utile stimolare la sensibilità propriocettiva e somatoestesica endorale, chiedendo al bambino di mordere e poi di elaborare cibi di diverse consistenze, friabilità e omogeneità, aiutandolo contemporaneamente a individuare qualità e grado di forza del movimento richiesto a lingua e labbra e tipo di masticazione necessaria (triturazione, sminuzzamento, ecc.).
Relativamente allo specifico dell’eserciziario logopedico, nella impossibilità di esaurire un argomento che spesso è implementato dall’intuizione del logopedista di fronte ai singoli casi, è utile fornire alcune linee di indirizzo.
Favorire per quanto possibile la permanenza endorale della lingua, anche sfiorando l’apice quando esso compare tra le labbra o riposizionandolo forzatamente. Potenziare la tonicità delle labbra al fine di favorire la continenza (soffio, trattenimento di cannuccia o di velina tra le labbra, rigonfiamento delle guance, ecc.). Mobilizzare il velo palatino (respirazione alternata oro/nasale, trattenimento endorale dell’aria, ecc.). Fortificare la lingua con la permanenza in papilla incisiva per periodi sempre più prolungati. Favorire la mobilità endorale linguale.
Educare alle manovre di pulizia del nasino.
Non ultimi a questo riguardo, anzi di vitale importanza per i vantaggi che porteranno in fonoarticolazione, sono gli esercizi finalizzati a ottenere due abilità linguali specifiche:
la dissociazione apice/predorso, il sollevamento del dorso in direzione del palato e la sua apposizione a quest’ultimo.
In relazione al primo obiettivo, ottimi sono gli esercizi di puntamento della lingua, la protrusione extraorale, l’esplorazione sistematica di zone della bocca difficilmente raggiungibili (i fornici, le superfici masticatorie dentarie, ecc.).
Esercizi di puntamento linguale, da affiancare all’eserciziario abituale, che facilitano contemporaneamente l’esplorazione endorale sono quelli illustrati a seguito.
Invitare il bambino a protrudere la lingua, facendole far capolino con la punta tra le labbra serrate. L’esercizio potenzia in associazione il tono labiale e obbliga la lingua a “sfondare” con l’apice la parete muscolare, rappresentata dall’orbicolare, per presentarsi al di fuori della bocca. Disporre zucchero in cristalli grossolani o granella di cioccolato su un piatto piano. Invitare il bambino a tracciarvi delle “strade” con la punta della lingua. Porre un dito sollevato al davanti del viso del bimbo, invitarlo a protrudere la lingua e a seguire con la punta il movimento del dito che nel frattempo viene spostato a lato.
Invitare il piccolo a toccare il naso con la punta della lingua. Sporcare con un semisolido di buon sapore le labbra del bambino nel loro bordo esterno, invitare il piccolo a raccogliere il cibo depositato con la punta della lingua. Produrre rapidi contatti tra apice linguale e pieghe palatali. Invitare il piccolo a immaginare la camera orale come la “casa” della lingua, chiedere al bimbo di “fare le pulizie di casa” con l’uso dell’apice linguale (spolverare la superficie linguale dei singoli denti, così come si farebbe con delle vetrate, pulire le superfici masticatorie, dai canini ai premolari, così come si farebbe con tavoli e scrivanie). Invitare il piccolo a immaginare i denti disposti sulle arcate come compagni di classe seduti ai singoli banchi, andare con la punta della lingua a “salutare” compagno per compagno, premendo con l’apice contro ciascun dente. Proporre un cono gelato e chiedere al bimbo di non far cadere neppure una goccia, eseguendo con regolarità manovre di circonduzione con la lingua appena al di sopra del bordo della cialda. Proporre l’uso della cannuccia, insegnare a bere con manovra a sifone, posizionando la cannuccia contro il palato duro, serrando le labbra e creando una depressione endorale. Regolare il flusso con la lingua, riducendo o aumentando la pressione su di essa.
In relazione al secondo punto (potenziamento della forza linguale con sollevamento del dorso), indicati sono gli esercizi normalmente utilizzati in riabilitazione deglutitoria per l’ottenimento del sigillo posteriore e la richiesta della manovra di assaporamento forzato. La sperimentazione delle posizioni fonoarticolatorie per i fonemi dell’italiano, rappresenta il terzo momento riabilitativo, al quale si integra il comune eserciziario logopedico utilizzato nell’immaturità fonologica.
I bambini disprassici mal sopportano la stimolazione diretta del viso e, ancor di più, della cavità orale. Vincere la paura e la resistenza può essere molto complesso. Reciprocità nel gioco (toccare dopo essersi fatti toccare) e leggerezza di tocco sono i soli strumenti per superare la loro naturale diffidenza. La permanenza della lingua nella bocca è obiettivo irrinunciabile.
Riflessioni conclusive
1. La difficoltà della diagnosi differenziale
La disprassia orale nel bambino non solo presenta sintomi clinici simili ad altri quadri patologici ma spesso è concomitante ai quadri stessi e con essi strettamente intrecciata a dare una disfunzionalità plurima.
1.1. In tema di deglutizione
Come il bambino che presenta lenta evoluzione deglutitoria, il piccolo disprassico ha lingua ipotonica, tendenza alla anteriorizzazione in deglutizione, gestione prevalente del cibo nella camera orale anteriore ma, a differenza del cattivo deglutitore, dispone di un linguaggio a intelligibilità ridotta.
Le immaturità deglutitorie si accompagnano a devianze nella resa dei fonemi che non alterano in modo significativo la riuscita comunicativa.
Esse piuttosto risentono:
dell’immaturità della funzione linguale nell’apposizione del sigillo con scadente resa delle affricate; della tendenza all’interposizione della lingua tra le arcate con sigmatismo interdentale; della ridotta abilità dell’apice con rotacismo.
La presenza di un morso aperto deve far pensare a una devianza funzionale compensatoria non a matrice disprassica, con obbligo da parte della lingua di chiusura del morso nell’apposizione del sigillo anteriore, impossibilità alla evoluzione verso il sigillo posteriore e coinvolgimento “congruente” delle modalità fonoarticolatorie, ad esempio morso aperto laterale con sigmatismo anch’esso laterale. Le alterazioni sono correggibili con l’associazione tra terapia ortodontica e terapia logopedica funzionale.
1.2. In tema di DSL
La presenza di un bilancio fonologico caratterizzato dai sintomi tipici del DSL deve indurre a una rivalutazione della diagnosi di disprassia orale. Essa va ripensata alla luce delle considerazioni seguenti e alla diversa salienza tra i sintomi tipici:
le elisioni e le sostituzioni sono il sintomo preminente nel disturbo disprassico; la posteriorizzazione ne è stigmata quasi costante.
La presenza di difficoltà discriminative tra fonemi omologhi, la carenza nella comprensione, la presenza di un associato disturbo morfosintattico confermano la prevalenza nel quadro del disturbo linguistico su quello pratico.
1.3. In tema di C.A.S.
La presenza di una dissociazione automatico-volontaria nel movimento è una stigmata della sindrome, così come la immissione di consonanti o sillabe estranee alla parola ma facilitanti la transizione fonemica. La difficoltà nella adiadococinesi linguale (ad esempio impossibilità alla ripetizione in rapida successione delle sillabe ta/la), nel riconoscimento della rima e nel mantenimento di una prosodia adeguata è anch’essa sospetta, così come lo spianamento delle pieghe mimiche in un bimbo con buona presa aerea nasale.
1.4. In tema di problematiche ORL
Il cattivo respiratore nasale è obbligato alla presa orale e al conseguente mantenimento della bocca in apertura, con lingua appoggiata al pavimento. In piccoli costretti per un periodo prolungato a un tale tipo di rifornimento aereo, la soluzione dell’ostruzione non risolve il problema. L’assenza di una corrente aerea che attraversi le fosse nasali produce infatti la perdita della funzione erettile della mucosa dei turbinati, con il mantenimento di una presa orale obbligata, anche nel caso l’ostruzione venga risolta.
Il bambino adenoideo, dopo l’intervento, deve essere riabilitato alla presa nasale, pena l’apparente inutilità della adenoidectomia.
Allo stesso modo va riabilitata la prassia linguale alimentare e aiutata la deglutizione nella sua naturale evoluzione verso il sigillo posteriore, pena il mantenimento di un sigillo anteriore e di una mancata gestione endorale del cibo nella camera orale posteriore. Nel respiratore orale infatti la lingua è ipotonica, l’apice scarsamente separato in senso funzionale dal predorso, il sollevamento del dorso in direzione del palato difficoltoso e la tendenza all’anteriorizzazione linguale in deglutizione ancora presente. In questi casi solo la presa in carico logopedica evita alterazioni fonoarticolatorie. Alla impossibile presa nasale e al conseguente obbligo di inspirazione orale, può accompagnarsi però un vero e proprio dismorfismo, alterante l’aspetto della volta palatina che, a causa della presenza di una costante corrente aerea endorale, collassa sul piano trasverso. Il cattivo respiratore diviene quindi candidato all’applicazione di un disgiuntore di sutura palatina, il quale, proprio in un’età nella quale la lingua dovrebbe evolvere in senso prassico, sollevandosi con forza verso il palato duro a dare la propulsione del bolo, occupa la volta, ingombrando e impedendo un contatto corretto.
L’impossibilità all’evoluzione della deglutizione, nei casi di non risoluzione di ostruzione nasale o di applicazione di ortodonzia fissa ingombrate il palato, si associa all’ipotonia della muscolatura mimica dovuta alla incontinenza orale, a dare alterazioni della fonoarticolazione che possono indurre al dubbio di disprassia.
È vano iniziare una abilitazione prassica orale se la bocca non può “stare chiusa” e la lingua non può sollevarsi verso il palato duro.
La visita ORL e l’eventuale terapia medica o chirurgica sull’ostruzione orale devono obbligatoriamente affiancarsi a qualsiasi presa in carico di piccoli presentanti alterazioni delle abilità della bocca. Alla terapia deve affiancarsi la riabilitazione logopedica alla presa nasale automatica.
2. Come agire per migliorare la presa in carico?
La disprassia orale presenta una risposta alla terapia tanto migliore quanto prima è individuata. È utile quindi diffondere una mentalità preventiva presso gli operatori, i pediatri e gli educatori e non attendere l’incompetenza fonoarticolatoria per intervenire. Alcuni suggerimenti si possono mettere in pratica.
Vigilare sui bimbi che hanno subito significative riduzioni delle esperienze orali (ospedalizzazioni, patologie del distretto rino-oro-faringeo, nutrizione assistita, ecc.) e aiutare i genitori a inserire nella quotidianità esercizi (stimolanti la sensibilità e la motricità) non appena essi diventano tollerabili e a superare la naturale tendenza all’iperprotezione alimentare. Valutare il più precocemente possibile le abilità della bocca nei piccoli nei quali si sospetta una carenza di cure maternali che possano aver influito sulle abilità alimentari (bimbi adottati, in situazione di deprivazione culturale ed economica). Istruire gli operatori dell’infanzia (educatori, dal nido alla scuola elementare) a riconoscere i piccoli che presentano inabilità specifiche (voracità, inappetenza al pasto comunitario, conformismo alimentare, scialorrea, abitudini orali “viziate”, presa aerea obbligatoriamente orale), affinché possa essere avviata una valutazione specialistica. Promuovere la collaborazione tra ortodontista, foniatra, otorinolaringoiatra e logopedista al fine di giungere a una diagnosi corretta e di mettere in atto un intervento il più possibile adeguato, tenendo in conto tutte le possibili concause di inabilità orale: ostruzione nasale, dismorfismi del distretto orale, velo corto e imbrigliato da ipertrofia tonsillare, frenulo linguale di dimensioni ridotte, ecc.
Nel diagramma della pagina seguente sono indicati alcuni indicatori di
probabilità (grassetto, corpo carattere maggiore) che possono aiutare nel riconoscimento precoce delle problematiche disprassiche della bocca.
Per approfondire
Utile la lettura degli articoli seguenti.
J Child Neurol. 2010 Jan;25(1):71-81. Toward a narrower, more pragmatic view of developmental dyspraxia. Steinman KJ, Mostofsky SH, Denckla MB.
Pro Fono. 2009 Jan-Mar;21(1):76-80. Childhood speech apraxia in focus: theoretical perspectives and present tendencies. Souza TN, Payão Mda C, Costa RC.
Semin Speech Lang. 2008 Nov;29(4):284-93. Epub 2008 Dec 4. Treatment of childhood apraxia of speech: clinical decision making in the use of nonspeechoral motor exercises. McCauley RJ, Strand EA.
Cochrane Database Syst Rev. 2008 Jul 16;(3):CD006278. Intervention for childhood apraxia of speech.
Morgan AT, Vogel AP.
Am J Speech Lang Pathol. 2008 Feb;17(1):81-91. A review of standardized tests of nonverbal oral and speech motor performance in children. McCauley RJ, Strand EA.
Raccomandata una visita all’indirizzo http://www.beckmanoralmotor.com/
Tra gli strumenti presenti in commercio è consigliato: A.M. Chilosi, B. Cerri Disprassia Verbale Edizioni Erikson, 2010, Trento
Tra i testi utile la lettura di L. Sabbadini La Disprassia in età evolutiva: criteri di valutazione e di intervento Springer Editore, 2005, Milano
Ringraziamenti
Ringrazio Ilaria Domaneschi, collaboratrice preziosa, per la rilettura del testo. Susanna Valenziano, Maria Mori, Luciana Unnia, Anna Capovilla, Agnese Rossi, che da anni lavorano con me e mi sostengono nel desiderio di continuare a studiare e a scrivere. Ringrazio tutte le mamme e tutti i papà che ci hanno affidato i loro bimbi della fiducia e della costanza con le quali ci hanno aiutato ad aiutarli.
[1] Nel pensiero greco antico la prâxis è differenziata dalla poiésis, che indica l’atto del plasmare un oggetto. La poiésis implica dunque come risultato dell’agire un “prodotto” tangibile, mentre la prâxis indica l’attività in sé (Aristotele, Etica a Nicomaco).
[2] Ayres, A. (1985). Developmental dyspraxia and adult-onset apraxia. Torrance, CA: Sensory Integration International.
[3] Da qui la difficoltà a correggerlo, memorizzarlo, riprodurlo e la necessità, in terapia logopedica, di ricorrere a stimolazioni multimodali, nelle quali vengono sfruttati contemporaneamente più ingressi sensoriali.
[4] Le forme secondarie a una patologia che coinvolge il sistema nervoso o il muscolo (esiti anossici, encefalopatie, miastenia, ecc.) sono inquadrabili all’interno dei quadri disartrici.
[5] Come avviene nel caso di morso aperto, ove l’alterazione scheletrica obbliga la lingua a una devianza prassica, impedendole l’acquisizione di abilità deglutitorie e, soprattutto, fonoarticolatorie.
[6] Ad eccezione dei bimbi portatori di disturbo pervasivo dello sviluppo.
[7] La coordinazione pneumofonica è una conquista relativamente tardiva. La voce inspiratoria è naturale sino ai tre anni di età, ma il ricorso ad essa è inevitabile anche in età più avanzata se il bimbo è sottoposto a richieste di prestazioni vocali esagerate (come cantare o recitare con frasi
eccessivamente lunghe).
[8] Essi infatti sminuzzano e affettano ma non macinano.
[9] Trattenendola tra le labbra, senza l’aiuto dei denti.
[10] Posizionandola contro il palato duro con l’aiuto della lingua, creando una depressione endorale e regolando il flusso col variare della pressione esercitata sulla cannuccia dalla lingua stessa.
[11] Segno questo di un buon contenimento orale operato dalla muscolatura del viso.
[12] Un bambino cui è stata impedita l’esplorazione orale sistematica tenderà più di altri ad autosollecitarsi la bocca col dito o a mordersi il labbro.
[13] Come si ha in caso di ospedalizzazione protratta, nutrizione assistita, esiti di chirurgia orale, ecc.
[14] Caratteristica è la protrusione linguale nei bimbi portatori di sindrome di Down. In questi pazienti la macroglossia relativa e l’ipotonia dell’organo facilitano la preferenza per questo tipo di autosollecitazione rispetto ad altre modalità di procurarsi piacere orale.
[15] Queste sensazioni determinano lo scatenarsi del riflesso del morso alla nascita e mantengono valida la suzione nelle età successive, potenziando il tono dell’orbicolare delle labbra. Proprio allo scopo di fornire sensazioni simili a quelle preziosissime date dal seno materno sono state negli ultimi anni ideate tettarelle per biberon modificate rispetto ai modelli classici.
[16] Un labbro retratto lascia vedere il bordo gengivale e gli alveoli dentari. L’effetto di retrazione è maggiore nel sorriso e nel riso.
[17] Un labbro inferiore protruso si presenta come apparentemente turgido, la parte mucosa, normalmente nascosta e idratata di saliva, appare all’esterno, fortemente rosata. La parte cutanea del labbro appare disidratata, a volte con segni di cheilosi.
[18] Varia in relazione all’età la situazione nella quale la lingua può trovarsi.
[19] Nella prima infanzia non è fisiologico l’apparire della lingua appena dietro l’arcata dentaria inferiore, così come non è fisiologica in un’età superiore il permanere di una postura bassa a riposo.
[20] Il bambino può essere incapace di produrre volontariamente la tosse, pur presentando, in caso di patologia delle vie aeree, una valida tosse espettorante e, in caso di inalazione o stimolazione, un corretto riflesso tussigeno.
[21] Una volta palatina ogivale si accompagna a respirazione orale obbligata.
[22] A tale proposito va ricordato che la stomatolalia chiusa è tipica della qualità vocale dei piccoli pazienti affetti da ipertrofia tonsillare.
[23] Le difficoltà di movimento linguale correlate ad alterazione anatomica del frenulo sono piuttosto rare. Bimbi anche con frenuli corti (ma non imbriglianti!) riescono a produrre quasi sempre prassie corrette.
[24] Un sigillo anteriore a due anni è del tutto normale, alla stessa età è però producibile una contrattura delle leve mandibolari su comando.
[25] Presente fisiologicamente solo nella primissima infanzia.
[26] Accettabile sino alla eruzione del primo molaretto permanente.
[27] Non è raro infatti incontrare bambini che sono del tutto inconsapevoli di una scialorrea abbondante, come se non ricevessero informazioni dal proprio mento.