La Sfiga è Una Severa Maestra 6566a

Manlio Pristogi

La Sfiga è una severa maestra

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Table of contents

La Sfiga è una severa maestra SOMMARIO SFIGA CHE VIENE, ANNO CHE VA I TRE GIORNI DEL PIRLA EGITTO E L’IMMENSO OSTIA! Un paese, un’esclamazione NELLA SFIGA C’È METODO PET THERAPY PIRLA E' UN EUFEMISMO LA SFIGA E' UNA SEVERA MAESTRA LA VENDETTA ARRIVA DA LONTANO ZONCOLAN: LA SFIGA A 1850 m

La Sfiga è una severa maestra

Sfighe vissute di un pessimo alunno

Didascalia...

Sembra impossibile, ma tutto ciò che viene qui descritto è realmente accaduto dal 2000 a oggi così come raccontato. Anzi, la realtà vissuta è stata ben più tragicomica, ma le sensazioni e le situazioni riportate non rispecchiano che marginalmente la realtà benchè apparentemente inverosimili. È impossibile trasmettere tutto, comunque penso sia davvero abbastanza

SOMMARIO

SFIGA CHE VIENE, ANNO CHE VA I 3 GIORNI DEL PIRLA EGITTO E L’IMMENSO OSTIA! UN PAESE, UN’ESCLAMAZIONE NELLA SFIGA C’È METODO ANNO NUOVO SFIGA VECCHIA PET THERAPY PIRLA È UN EUFEMISMO LA SFIGA È UNA SEVERA MAESTRA LA VENDETTA ARRIVA DA LONTANO ZONCOLAN: LA SFIGA AI 1.750 m

SFIGA CHE VIENE, ANNO CHE VA

L’anno nuovo è cominciato bene. “Bene” è conoscere la direzione che prenderà, e dunque essere preparati agli eventi. Se l’anno comincia con un segnale netto ed incontrovertibile è buono: ossia se sei consapevole di ciò che ti aspetta. E questo è già di per sé buona cosa. Lo potremmo definire l’Anno dei Disastri dei Sistemi Complessi. O, più brevemente, Sfigolo. Gennaio si apre con la morte silenziosa ed incomprensibile del lettore combinato VHS DVD. Non ha mai funzionato bene. Di complessità inaudita. Odiato fin dal primo giorno. Ma era un regalo di mia moglie, consigliato dal negoziante come di grande affidabilità e versatilità, garantito dalla gran marca, perciò sicuro, e raccomandato da una grossa ed internazionale catena di stores di elettronica. Una disfatta fenomenale! Registrava male, riproduceva peggio. Difficile da impostare. Però, per pietà verso mia moglie, mi sono sempre dimostrato entusiasta. Forse a volte io cedevo e lei mi vedeva un po’ scettico, ma sempre entusiasta. Ecco: entusiasticamente scettico. O scetticamente entusiasta? Mah, ci penserò.

Va bene: è morto. Con il viso saputamente desolato lo comunico a mia moglie mentre il cuor di gioia mi sussulta in grembo (lo so, il cuore non sussulta in grembo, forse in petto, magari in gola, ma l’accostamento poetico-evangelico èefficace). Ad ogni buon conto, e per un rigurgito di coscienza, lo porto dal tecnico riparatore. La mia diagnosi è confermata. Morto. Fa parte di una partita difettosa largamente risaputa. Per loro! (vedi lotto di produzione). Se, appena acquistato, avessi deciso che quella neve che ogni tanto compariva sostituendo le immagini fosse stata irritante quanto basta e l’avessi portato a riparare in garanzia, tutto sarebbe risolto. Ma sono pigro e ho confidato nel fatto che fossero le cassette VHS vetuste, multi-pluri-stra-ri-, a causare i problemi. Ora ho perso la garanzia, il pezzo da sostituire è fuori produzione, il lettore è solo da buttare. Evviva. Mia moglie è contrita. Si addossa la colpa per essersi fidata del commesso. Giura che non acquisterà mai più elettronica per me, né pc, cellulari, né lettori, trapani, frese, o seghe circolari (vedi eventi più avanti). Quindi compro io un nuovo lettore combinato VHS DVD. Poco male, stiamo ristrutturando la casa, il lavoro è in calo vista la crisi, stiamo dando fondo ai risparmi, cosa sono degli euro in più o in meno? Va bene, è vero, lo ammetto: io sono uno di quelli che danno un impulso a uno dei pochi settori che non risentono della congiuntura economica: gli elettronicodomestici. Quindi ora non mi accontento di un semplice lettore, no. Non si sa mai: opto per un videoregistratore combo: lettore per tutti i formati

vhs,cd, dvd, dvx. Registratore da tv sia in cassetta che su dischetto, registratore da e per VHS – DVD, prepara cocktail ghiacciati, apre la porta, stringe la mano e augura buona giornata. Con tutte le cassette storiche che dispongo, dal nostro matrimonio a nostra figlia a tutti i film cult gelosamente custoditi, sarebbe finalmente ora sfruttare questa occasione per riversarli da VHS su i più sicuri come un cd o un dvd. Per cui ho fatto la grossa spesa, non senza qualche furtiva lacrima che un taccagno come me non riesce a controllare.. In questi anni trascorsi non ho registrato niente. Né travasato. Né riprodotto vecchi film. Se non mi avessero prestato dei film in dvd il manufatto sarebbe ancora incelophanato. Lo so, un giorno la pigrizia mi ucciderà. Bhe per fortuna che mia moglie lo usa per fare ginnastica-spinta con un video guida. Quando leggo in terrazza detesto essere interrotto. Non sono una bestia, solo che il mio metodo di lettura prevede che ad ogni interruzione la complessa struttura portante che mi sono costruito negli anni per me e per la lettura si modifichi sostanzialmente, soprattutto se è inverno. Quando leggo romanzi è imperativo che siano accompagnati da un sorso di vodka e un sigaro. Questo comporta che io sia vibratamente invitato a leggere fuori, in veranda, con la finestra aperta ognitempo. Questo non mi spaventa, ma il freddo d’inverno incalza e si insinua, soprattutto se sottozero. Io leggo semisdraiato su una seggiolina pieghevole con i piedi appoggiati su una balaustra. No, non ho le vene varicose, mi piace così. Quando fa freddo sopra la camicia, o T-shirt, indosso una maglia di pile e sopra una giacca di felpa e sopra ancora un giubbotto imbottito.

Guanti di lana con l’ultima falange del dito indice tagliata per poter sfogliare le pagine (la lana scivola). La variante precendente prevedeva un guanto di lattice sopra a quello di lana per una miglior presa delle pagine, poi evolutosi nel solo dito indice in lattice. (Sono uno che cura i dettagli del benessere: sfogliare velocemente le pagine fa parte del benessere.) Se il freddo è proprio intenso indosso paraorecchi da sci. Ho un problema: il naso si raffredda e mi procura disagio. Al momento non ho trovato niente di meglio che infilarmi un naso rosso da clown imbottito di cotone. Accetto suggerimenti più dignitosi. Ma il freddo è freddo. Semisdraiato il sangue delle gambe defluisce verso il tronco e quindi queste si raffreddano. Nessun problema! La soluzione c’è. Posiziono una stufetta sotto le gambe. mmmm…. ma il calore, in una terrazza d’inverno, si disperde senza beneficio. Pronta ancora la soluzione: una coperta che mi copra tutto il corpo con i lati pendenti funziona da forno trattenendo il calore della stufetta che emana da sotto. Geniale. Uno spettacolo! Uso copertine prese in aereo, ignifughe, più sicure: ho sciolto molti lembi che toccavano la stufetta. Meglio che andare a fuoco. Non vorrei ritrovarmi l’indomani in un articolo “Si è serenamente spento…”. Ora è chiaro che interrompermi dopo una preparazione così può essere devastante.

Bene, Valeria, mia moglie, quel giorno mi interrompe: non riesce a far funzionare il nuovo combo VHS-DVD. Ancora! Ma come è possibile? E’ nuovo! Fino a ieri lei ha fatto ginnastica e funzionava. Ah, le donne! Va be’! Mi alzo, disfo la mia elaborata costruzione da lettura non senza una punta di irritazione per l’incapacità femminile di non saper risolvere un problema banale come l’allineamento tra il lettore e la TV. Vediamo un po’. Schermo nero! Provo una variante. Nero. Provo tutte le varianti. Nero. Forse è la cassetta. La cambio. Nero. Magari col dvd… nero. Forse è scollegato. Tolgo il combo dalla nicchia e controllo. Nero Inverto il collegamento. Nero Verifico antenna. Nero Jack audio-video. Nero Presa scart combo. nero Presa scart Tv. Nero Antenna TV. Nero Con una punta (molto, molto piccola) di rimorso verso il mio pensiero sull’inadeguatezza femminile per i sistemi complessi mi arrendo: il combo nuovo non funziona. Ma in un impulso di rabbia tento un’ultima change. Wow, non so come sia, ma si

sente l’audio! Lo schermo rimane nero, ma Valeria così può seguire a memoria gli esercizi. Assicuro che al più presto mi attiverò per portarlo a riparare. E’ in garanzia! ano i giorni. Le richieste si susseguono sempre più vibrate finchè mi decido e lo porto dal riparatore. Mi informo. Il combo è in garanzia e bisogna darlo a un laboratorio convenzionato con la casa produttrice. No, loro non sono convenzionati. Va be, chi è convenzionato in città? Nessuno. In provincia? Nessuno In regione? Nessuno Ma come è possibile? Semplice: le case produttrici assicurano un irrisorio rimborso orario della manodopera e ormai quasi nessuno accetta la convenzione. L’oggetto va spedito a Milano. Mi vien da piangere. Questi tecnici son quasi amici. Sono abbastanza abituè con loro. Sarà perché sono estremamente gentili e disponibili, sarà che forse gli sono simpatico, ma non mi hanno mai fatto pagare le loro verifiche tecniche. Quindi gli chiedo se hanno un momento per capire perlomeno l’entità del danno. Certo che ce l’hanno! Sono grandiosi, sempre a disposizione. Verifichiamo. Funziona.

VHS in lettura.Funziona VHS in registrazione. Funziona Idem lettore registratore dvd. Ma come? Ipotesi di impostazioni in conflitto, alterazioni di segnale tra combo e tv, perlustrazioni elettronic-tecno-interferenz-poltergeistiche. Bho non ci raccapezziamo. Non posso spedire niente se funziona. Torno a casa mesto e mollo lì l’odiato senza collegarlo. Giorno dopo giorno lo scruto. Lui mi scruta. Io lo scruto. Mi viene in mente Nietsche “Quando scruti l’abisso, l’abisso ti scruta”. Lo odio, e sento che anche lui mi odia. Ormai è una sfida: o lui o io. Reinstallo tutto. Devo riconoscere i fili pertinenti scivolati dietro in una massa di cavi che corre dietro il mobile. Un orrido ingarbugliamento: fili di VHS-DVD, dell’altro lettore super surround DVD separato, dell’amplificatore con i suoi fili, del lettore HiFi di vecchie cassette, del lettore HiFi di cd musicali, dell’amplificatore HiFi dei 2 sopra, della TV, delle 5 casse surround, delle 2 casse dell’impianto HiFi, del trasmettitore modem, della base del telefono wireless, del telefono fisso, della lampada a stelo. Una tragedia. Districo il tutto in una nuvola di matassine di polvere e collego. NERO! Mi prende il raptus di spezzarlo su un ginocchio.

Ma qualcosa si illumina nella mia mente. L’ovvio impossibile. Impossibile perché niente era stato toccato dall’ultima volta che il combo era funzionante al momento in cui non dava segni di vita. Ma vale la pena tentare. Sostituisco il cavo scart tra lettore e TV. Il combo mi strizza l’occhio e si illumina, trasmette, collabora, funziona! Una cavo, solo un maledettissimo cavo che improvvisamente senza toccarlo smette di funzionare. Ma va va va. E fu sera e fu mattina E venne il giorno del rasoio. Non avevo speso molto per essere un rasoio elettrico con display di carica interna, triple testine rotanti, semintelligente. Ma ci si aspetta che comunque duri qualche anno. L’ho comprato espressamente per i viaggi, in modo tale che in qualunque luogo fosse disponibile a rendermi radioso con il viso limpido e rilucente senza che necessiti di una presa di corrente, soprattutto io che viaggio in luoghi dove le spine non sono conformate. Una batteria a lunga durata: il massimo desiderabile. Ei fu, siccome scarico dette il mortal raggiro. In viaggio, Londra, con una bella pre carica che mi duri almeno per i giorni necessari. Nessun problema. Mattina, finito di radermi mezza guancia. Con un sospiro il bastardo si spegne. Ovviamente non ho il cavetto di alimentazione, per 2 giorni di viaggio non mi sarebbe dovuto servire. Non sono uno che si esprime solitamente a parolacce, ma trovarsi a un’ora da un appuntamento importante con mezza faccia pelosa senza rasoio non è il massimo. Soprattutto in una nazione dove i negozi più vicini aprono alle 10.00 e

l’appuntamento che hai è alle 9. Siccome sono un genio nascosto, o forse troppo taccagno, frugo nella mia busta da viaggio e scovo un vecchio rasoio usa e getta, usato ma non gettato. È più uno scalpello che una lama. Ma a tratti funziona, e così, un po’ strappando un po’ tagliando, riesco a rendermi presentabile. Ma il giorno dopo che devo rientrare non me ne frega di niente e di nessuno. Faccio lo straciones e torno a casa con la barba lunga. Cari vecchi economici rasoi a mano, perché vi ho abbandonato? Non lo faccio più. Ora quello elettrico funziona solo collegato alla rete. Evviva. Ma non spenderò per uno nuovo. No, deve soffrire, lo ò fino a che morte non LO separi. Niente pensione per lui. E fu sera e fu mattina.

Cellulare 1 Stiamo ristrutturando la casa in montagna. Io e Valeria iamo i fine settimana su a lavorare in attesa delle impalcature. Dobbiamo abbattere una struttura in muratura esterna e ricoprire il buco conseguente. Il tempo lassù è inclemente e piove spesso. Come quel giorno che ci ha colti mentre scavavamo il muro abbattuto. Nessun problema, l’acqua non ci spaventa e continuiamo sotto la pioggia. A sera ci fermiamo soddisfatti di un lavoro ben fatto. Ha smesso di piovere. Cosa può rovinare una giornata così bella?

Magari il cellulare di Valeria dimenticato su una panchina e che si atteggia abilmente a spugna? Certo che si! Sgocciola da ogni fessura. Valeria è mesta e contrita. Non si capacita di come non possa averci pensato. Il telefono non dà segni di vita. Non si accende. È tristemente affogato. La consolo: forse asciugandosi si riprende. Lo mettiamo vicino alla stufa a legna, alla giusta distanza. La sera è ancora in coma. La mattina dopo si accende. È vivo! LUI…È … VIVO! Si accende, riceve. Il display però è nero. È vivo ma decerebrato. Decidiamo di tentare di portarlo in clinica, dopotutto è un cellulare costoso, comprato da poco. Vale la pena di tentare. Al centro assistenza mi dicono che l’immersione in acqua non è prevista dalla garanzia. “Davvero?” “Davvero!” “Neanche un po’” “No” “Un pochino?” “NO” Inoltre non possono assicurarci che i contatti siano integri, tenteranno di deossidarli con immersione in olio. Verrà persa tutta la memoria (brava Valeria,

mai fare il back-up della rubrica). “Intanto molli 40 euro a non rendere!” Li mollo: dobbiamo tentare. Giorni ano e poi finalmente mi chiamano. Niente da fare, Non resta che un triste addio. E certo, ci voleva. Una nuova spesa. Evviva. E fu sera e fu mattina. Cellulare 2

La faccio breve. Il mio cellulare mi cade e si distrugge. Evviva Altra spesa. Ma cos’è, la rivolta dell’elettronica? E fu sera e fu mattina

Cellulare 3 Londra. Ottima occasione. Cellulare un po’ arcaico, senza fotocamera ma sufficiente per me vista la situazione economica contingente. Io ho vissuto a Londra per anni e mi è capitato di acquistare strumenti elettrici in Italia da usarsi in Inghilterra e viceversa. Ormai sono abile a sostituire le diverse spine non compatibili nei 2 Paesi.

Il cellulare (chiamiamolo mobile -pronuncia MOBAIL-dato che è inglese) ha il cavetto di alimentazione con spina inglese. Se vivessi ancora a Londra lo terrei così, utilizzando in Italia un adattatore. Conosco le spine inglesi: hanno 3 fili come le nostre. Ne ho aperte tante. Dunque non vivendo e non usandolo più in quel d’Inghilterra mi accingo a sostituire la spina con una italiana. Non la smonto, ormai sono pratico, taglio il cavetto e libero i fili. Osservo bene per non sbagliarmi. Il trasformatore? È di certo interno al cellulare dato che non è presente nel filo, la spina è primitiva, addirittura senza la “terra”. Niente di più facile. Spello il doppino come so fare e lo collego ad una spina italiana. E’ l’ora della ricarica. Innesto il cavetto con la sua spina nuova nella presa di corrente. E il cellulare esplode. Senza metafore. Esplode da manuale: un botto, un lampo, fumo. Era così nuovo! Dopotutto il trasformatore c’era! Era nella spina. Per curiosità la smonto e trovo un piccolo trasformatore interno. Sigh, non era così arcaica dopotutto. Bene. Ci voleva proprio. Non mi resta che buttarlo. Ma prima tolgo la sim card per il prossimo aggeggio malefico che mi tocca acquistare. Impossibile: è un grumo di plastica fusa amalgamato al meccanismo. (e bravo Man, non fare mai il back up della rubrica). Evviva, devo prendere un nuovo cellulare e una nuova sim. Che felicità!

Vogliamo parlare di cellulari nell’ultimo anno? Mia moglie dimentica in giardino sotto la pioggia il suo cellulare nuovo ed è da buttare. Io perdo il mio nuovo, poi mi cade l’altro ed è da buttare, quest’ultimo esplode. E siamo a 4 Ovviamente la rivolta dell’elettronica non finisce qui. È da oltre un anno che, pur avendo l’antenna in comune col condominio, solo noi vediamo male alcuni canali. Canale 5 lo riceviamo “da cane” in cucina e discretamente in soggiorno, rete 4 malino in cucina, bene in soggiorno. Telefriuli male in cucina discretamente in soggiorno. Tutti gli altri li riceviamo bene dappertutto. Non c’entra niente la sintonizzazione, già provato. Il cavo d’antenna è unico condominiale. Se fosse la derivazione del cavo d’antenna di cucina capirei, ma tutti dovrebbero essere in pessima ricezione e invece no. Il condominio vede bene, noi no. Siamo riusciti anche a non vedere affatto la TV per 2 giorni in ogni stanza, fino a che Valeria ha scoperto che il vicino di sopra, facendo riparazioni in casa, ha lasciato scollegato il cavo antenna condominiale a valle del suo appartamento. PS. Il led infrarosso del televisore di cucina ha cessato di funzionare in concomitanza con lo scadere della garanzia. Consiglio del tecnico: Lascia stare, ti costa più aprire il televisore che ricomperarlo. Adesso agiamo alla vecchia maniera, ci si alza da tavola per ogni operazione come cambio di canale e volume. Pensiamo positivo: almeno facciamo movimento.

E che dire dei pc? Qua ci deve essere un’onda assassina che li distrugge. Non a mese che ci siano dei conflitti fra programmi; che i pc facciano suoni strani; che l’orologio interno non funzioni; che si spenga tutto all’improvviso; che i monitor muoiano; che le periferiche si guastino; che i lettori di scheda nuovi, pur avendo lo slot giusto, non leggano proprio la scheda della tua Photocamera; che sul più bello, proprio quando è un po’ che ti sei rotto di fare back up il tuo pc principale decida di smettere di esistere con dentro le tue ultime

fatture, i tuoi lavori, i tuoi appunti, la tua rubrica, la tua corrispondenza, i documenti sensibili scannerizzati. E i giornate di inferno quando anche il tuo tecnico, mago di ogni soluzione, scuote la testa. Fino a che estrae dal cilindro un cd misterioso con un sistema che permette di byare il danno fisico del disco hard. La mia unica genialata è stata quella di accettare che a suo tempo, quando era ancora una pratica per pochi adepti, mi fi creare una partizione dell’hard disc dal mio genio dei pc. Ora è riuscito a leggere quella partizione d’archivio pur non potendo accedere alla partizione del sistema operativo (qualunque cosa voglia dire). Fiuuuu almeno ho recuperato parte di quello che mi serviva. L’essenziale. Poco dopo aver comprato il nuovo pc il mio gigantesco monitor si è ridotto ad una sottile striscia luminosa. Buttato. Ma si può? Proprio in questo periodo di enormi spese per la ristrutturazione della casa di famiglia appena acquistata mi capitano tutte le spese non essenziali, ma necessarie!!!??? E fu sera e fu mattina…

I TRE GIORNI DEL PIRLA

(cambio di quel giorno 1 Sterlina = 2,5 euro circa)

Se la sfiga fosse un’arte io sarei l’ottava meraviglia. Once upon the time.... (c'era una volta...) Mi preparo per partire per Londra. Valigia a mano leggera: starò via tre gioni e ho già gran parte di quello che mi serve su, in casa, vicino all’ufficio. Io lavoro a Londra ma questo è un viaggio più di svago e piacere in occasione della cena di Natale della società. Controllo pre-partenza: carte di credito? Naah, per 3 giorni non mi servono e mi gonfiano il portafogli, oltretutto non prevedo di fare spese. Mi basta il mio Bancomat inglese. Soldi? Giusto qualche euro per il ritorno: autostrada e una piccola emergenza. Sterline? Tutto quello che ho ancora in Italia: 20 sterline e qualche pennies. Più che sufficienti per andare diritto nella casa in affitto che ho su a Londra dato che arriverò la sera alle 7.30. Parto. Volo ok. Sulla Ryanair vendono i biglietti del treno per Liverpool Street Station: 18 pounds/sterline. Dato che ho circa 21 sterline, e me ne servono anche 1,5 per un tratto in metropolitana, ne ho più che a sufficienza. Domani al bancomat faccio la scorta. Compro il train-ticket dalla hostess. Arrivo puntuale all'aeroporto di Stansted.

Telefono in ufficio al mio collega coinquilino e ci accordiamo che mi aspetti per andare a mangiare per cena un boccone assieme da lì a 45 minuti (nessun problema di soldi: paga lui). Vado al treno: quello delle 19.30 è in orario di lì a 2 minuti. Che tempestività. Che fortuna! Aspetto. Aspetto. …e aspetto. a ½ ora. Niente. Un’ora. Niente. Ad un certo punto, con estrema efficienza e solerzia inglesi (!!!) l’altoparlante farfuglia qualcosa. Neanche i madrelingua in attesa capiscono cosa stia dicendo. Ci aggiriamo ancora un po’ mentre il vento gelido si insinua dappertutto. L’altoparlante parla di nuovo, nessuno riesce a capire. Allora, come nei casi di situazioni disperate, ci raggruppiamo in capannelli di connazionali, uniti nella sventura. Alla fine, una notizia qua, una là, si viene a sapere che a metà del percorso il treno ha avuto un problema sulla linea e, vista l’ora, hanno dovuto chiamare da Londra un ingegnere che sarebbe arrivato a verificare il guasto. La linea è stata bloccata. Sul display intanto danno il treno successivo in orario!!!!!!!! Ma daaiii! È ata 1 ora abbondante. Il gruppetto di italiani disperati (tra cui io) decide di prendere un taxi fino a Londra; io decido comunque di tenere d’occhio il display. Saliamo al piano superiore per andare ai taxi. Fila invereconda. Un italiano (tipico) decide di andare in strada a fermare il primo taxi che arriva e io vado con lui.

Annuso la situazione e lascio che faccia da solo: infatti viene smerdacciato dal taxista che gli dice che bisogna prendere il ticket col numero progressivo dentro la hall. Evvvai! Italiani furbetti! Rientriamo. Veniamo a sapere che il costo della corsa è di 70 pounds (175 euro) !!!! Siamo in 4. Io non ho soldi se non 2 sterline avanzate e 20 euro ma devo come mia quota 43.75 euro. Ma da previdente e astuto che sono ho il mio bancomat inglese!!! Vado al cash dispenser a prelevare. Mica sono sprovveduto!!! ehehehehe ........ Non mi accetta il pin! Ma come è possibile?!!!! Riprovo. Nulla! Allora ricordo: mi hanno spedito la nuova scheda il mese scorso e non ho memorizzato il nuovo pin, ricordo solo quello vecchio. Da tenere presente che sono vestito da viaggio il che per me vuol dire da “straciones“: jeans che hanno visto anni migliori, le mie scarpe running strausate, camicia jeans e giaccone informe multitasche che mi ha visto ragazzo. Torno mogio mogio dal mio gruppo e spiego la situazione (e mi vedo coi loro occhi: un poveraccio senza soldi e male in arnese). Il treno non arriva, anche quello “in orario” è cancellato. Telefono al collega e gli dico di andare a cena e che se dovessi arrivare in tempo lo raggiungerò. Agli italiani, in una scena da strappare il cuore,faccio vedere tutti i soldi che ho nelle mie mani a coppa. Facendo un conto, alla mia quota taxi mancano oltre 23 euro. Sigh.

Consultazione. Siamo in 4 e se mi eliminano pagano una quota a testa ancora maggiore. Accettano il mio modesto contributo e dopo ½ ora partiamo. Telefono al collega che conferma di aspettarmi al ristorante. La fortuna mi arride. Niente traffico e in 45 minuti sono quasi al Tower Bridge e mi scaricano. 400 metri dal ristorante e da casa Ai compagni di sventura dico che vorrei fermarmi ad un negozio per comprarmi del pane nel caso che il collega si sia stufato e io sia costretto a mangiare a casa un barattolo di fagioli (più abbruttito di così!). Mi rispondono che un tozzo di pane non si nega a nessuno (e non lo dicono ridendo) e mi lasciano gli ultimi miei 2 pounds caricandosi la differenza! Sono felice o sono umiliato? Mah! Scendo dal taxi. Io e il mio bagaglio ci avviamo verso il ponte. Telefono al collega e gli dico che sono ormai a 200 metri da lui. Ha finito di cenare, ma mi aspetta. Finalmente è fatta! Arrivo al ponte e…. si chiude la sbarra e il ponte si solleva davanti al mio naso perché deve are una nave! Solo 5 secondi prima e sarei stato dall’altra parte. Sono le dieci ate. Gli telefono ancora e, in un bagno di lacrime, gli spiego la situazione. Stufo mi dice che va a casa. Io e la nebbia ci accoccoliamo a guardare la nave che a.

La gente a bordo è allegra, ride e ci saluta. Se fossero stati più vicini gli avrei sputato a raffica. Arrivo a casa. Non ho neanche preso il pane. Non mi resta che la scatola di fagioli accompagnata da fette biscottate. E fu sera e fu mattina. E il secondo giorno Dio disse: Non mi sembra mica abbastanza! La giornata si svolge normalmente, lavoro e lavoro di routine. Per la sera abbiamo in programma la cena di Natale dell’ufficio, in un ristorante del centro. Mi faccio prestare 50 pounds di sopravvivenza. Taxi per tutti e via. Alla reception del ristorante consegniamo i cappotti e ci danno il numero che io metto nella mia tasca sinistra della giacca (ricordarsi questo particolare). Cena. Senza infamia senza lode. Quantità da fame. Locale tipo andante con brio, ma niente di eccezionale per l’Italia, anzi! 70 pounds a testa (taxi e cena uguali? prezzo fisso inglese per tutto?). Evviva! Ancora prestiti. Poi tutti a ballare nel locale annesso di sotto. A parte il ballare mi diverto a guardare una coppietta esibizionista sul divano a fianco che si palpeggia dappertutto succhiandosi goduriosamente a vicenda le dita. Poi si alzano e spariscono in bagno per 15 minuti e tornano soddisfatti a succhiarsi di nuovo le dita. Mando un paio di sms per annunciare agli increduli che sto ballando (sì proprio

io!). Fa caldo, mi tolgo la giacca e la metto sopra le altre della compagnia. Poi fa ancora caldo e mi tolgo la cravatta bella, coi babbini natalizi, che metto nella tasca destra della mia giacca che piego in 4. E via fino all’una quando il mio coinquilino (che non balla e non si diverte) dice che torna a casa. Va bè, vengo anche io, peccato perché c’erano delle bimbe mica male! Indosso la giacca. Andiamo al guardaroba, ma sulle scale mi accorgo che la grana della giacca è diversa. Al buio mi sono confuso: ho preso la giacca di un mio collaboratore con la mia stessa taglia. Torno indietro e impulsivamente spiego che ho sbagliato (niente di male, ma avevo già raccontato a tutti la disavventura di ieri e le mie azioni di serio dirigente cominciano a scendere in modo preoccupante). Comunque recupero la giacca piegata in 4, e vado a prendere il cappotto. Ma visto che è buio non vorrei aver sbagliato di nuovo e controllo nella tasca. Nella sinistra c’è il biglietto e nella destra la cravatta come mi aspettavo. OK, niente più figuracce stavolta, è la mia: ci sono le prove tangibili. Consegno il numero. Aspetto e mi portano il cappotto. Non è il mio. Glielo dico. La girl mi risponde che il numero corrisponde e me lo fa vedere. Io gli dico –Sì il numero è esatto, ma non è il mio cappotto-Ma il numero corrisponde! -Sì ma non è il mio-Ma corrisponde-Ma non è il mio, avete probabilmente scambiato i biglietti nella calca e non è il mioFortuna che il mio giaccone è particolare, rivoltabile: da un lato blu e dall’altro rosso (se si sporca da una parte uso l'altra. Dura di più), per cui dopo una ricerca

me lo trovano, me lo consegnano e me ne vado all’uscita. Per inciso: uno di noi è stato buttato fuori perché si è trovato in mezzo a una ½ rissa, il più mite e innocente di noi. Ma poi, dopo molto tempo è riuscito a entrare sornione da un’altra porta. Ora che ricordo nessuno di noi si è preoccupato che stesse d’inverno in camicia, al freddo al gelo all'esterno e ad aspettarci per ore senza cappotto. Ahh les anglais! Che ridere. Andiamo a casa con un taxista abusivo (non c’erano più taxi in giro). Altra cifra, paga il collega. Non voglio sapere se sono 70 pounds. A casa sono solo le 2 e mi metto a guardare la TV. L'altro va a letto. Alle 3 decido di andare a dormire anche io. La casa è su 2 piani, zona giorno sotto e camere sopra. Nessuna sicurezza particolare. Per abitudine io la sera raduno le mie cose e mi porto sempre tutto in camera: portafogli, chiavi, cellulare. Così ho fatto anche quella sera. Portafogli, chiavi, …..e ilcellulare? Boh! Dove l’ho messo? Di solito l’ho agganciato alla cintura. Ma forse ce l’ho nel giaccone. Niente. Sul Tavolo? Niente. In cucina? Niente. Riprovo nella giacca. Non la trovo. Ma come? Me la sono tolta e appoggiata alla sedia in soggiorno. Non c’è. La cerco dappertutto. Non c’è. Impossibile. Vado di sopra e sveglio il compare. - Dov’è la mia giacca? Una voce impastata mi risponde - E che cosa ne so! Se non lo sai tu!- e si gira dall'altra parte, euforico di essere stato svegliato. Torno giù e rifaccio tutto da capo. Metto le mani anche nella giacca di Marco, il collega. Niente. Riprovo, prima in una giacca e poi nell’altra….. nell'altra?

2 giacche del collega? Aveva 2 giacche? Strano! Come mai c’è il mio giaccone, il suo cappotto e 2 sue giacche, ma non la mia? Ossia una enorme (la sua misura) e una più piccola della mia taglia ma che si vede che non è la mia. Frugo in tutte le tasche di quest’ultima e tiro fuori un tesserino con una foto. Il faccino che mi guarda è quello di un altro mio collega! E’ la tessera d’abbonamento alla metropolitana. EHHHHHH!???? Come è possibile? Ho preso ancora una giacca per un’altra! Era buio! Ma io avevo controllato!Ricordi?c’era la cravatta! Impossibile! Penso e ripenso. Impossibile! Allora capisco. Quando mi sono tolto la cravatta l’ho messa nella “mia” giacca, ma nel frattempo anche l’altro si era tolto la giacca e l’aveva buttata sopra la mia e quando ci ho infilato la cravatta non era la mia giacca come credevo, ma la sua! Ho ripiegato in 4 la SUA giacca! Per quello ci ho trovato la cravatta (che doveva confermarmi la proprietà),anche lui è della mia taglia, anche lui predilige il nero. Quindi forse ho messo il cellulare nella mia giacca che ho lasciato nel locale. Ma anche questo è impossibile. Perché io ho mandato sms mentre ballavo in camicia e me lo sono messo alla cintura e quindi non avendo rimesso più la mia giacca non posso averlo lasciato in una delle tasche. Ma l’impossibile in questi giorni pare che sia possibile.

Ma se lui, non trovando la sua è tornato a casa senza giacca? Avrò perso anche quella oltre il cellulare? Devo bloccare almeno il numero perché sono in abbonamento, non a scheda, e se qualcuno se l’è preso può telefonare per ore a Timbouctu tutta la notte! Ma il cellulare per chiamare non ce l’ho. Non voglio rompere ancora le scatole al coinquilino, per cui o la notte insonne a sviluppare ipotesi. E fu sera e fu mattina. E al terzo giorno Dio disse: - Tutto qui? Ma figuriamoci se è abbastanza!Aspetto fino alle 6 quando l'altro si sveglia. Allora prendo il suo cellulare e provo a chiamare il 190. Dall’estero non prende il numero. Quindi decido di aspettare fino alle 7 per chiamare l’Italia. Fino alle 8.00 il 190 non risponde. Per cui devo aspettare le 9.00 di Londra perchè siano le 8.00 in Italia. Chiamo mia moglie e le do istruzioni. Alla fine riesco finalmente a bloccare il numero. Allora telefono all'altro collega della giacca che con voce addormentata (l’ho mica svegliato?) mi dice che sì, la mia giacca l’ha presa lui, ma non c’è il telefono. SIIIIGH! (è venerdì 13, vorrà dire qualcosa?). Comunque tutto è compiuto. Mi preparo e, un po’ più rilassato, vado in ufficio. Pirla come sono, per farci 4 risate, racconto tutto a tutti, per abbassare il mio già basso quoziente di credibilità. Ovviamente non è tutto perché…..: in ufficio mi dicono che il collega dello scambio giacche abbia porconato come un camallo fino quasi all’alba, e per cosa poi? Un sciocchezzuola:

essendomene andato con la SUA giacca avevo preso il suo numero di cappotto (che anche lui aveva messo nella tasca sinistra, ricordi?) ed è per questo che mi avevano dato inizialmente il cappotto sbagliato: IL SUO. Ma mentre io me la sono cavata, lui invece no. Ha dovuto aspettare fino a che l’ultima persona del locale se ne fosse andata e allora l’ultimo cappotto senza proprietario era il suo. E gli altri colleghi ad aspettarlo e a consolarlo. Poi hanno preso il taxi e lungo la strada una donna è scesa all’improvviso dal marciapiede e il taxi l’ha investita. Hanno dovuto fermarsi a soccorrela e accertarsi che stesse bene. Pare un po’ tramortita ma niente di serio. Beh, caro Dio, a questo punto ti sembra abbastanza? MMMM Sembra! e invece no! All’improvviso mi viene in mente un particolare: l’abbonamento! Se io ho il suo tesserino allora lui deve anche pagarsi la corsa in metropolitana (a Londra per una corsa singola per 2 settori sono cifre inenarrabili). Sarà gloriosamente felice quando arriverà in ufficio! -Ragazzi, dico, qua c’è un'unica soluzione e, come ho insegnato a Bush, la sola strada possibile è “l’attacco preventivo” E’ l’unico modo per non essere aggrediti!Infatti appena quello arriva e apre la porta lo affronto: – MA COME TI È SALTATO IN MENTE DI BUTTARE LA TUA GIACCA SULLA MIA COSÌ CHE HAI INCASINATO TUTTO E MI SONO ANGOSCIATO TUTTA LA NOTTE E ...BLA…BLA..ROAR ROAR.!!!!!Allora lui si mette sulla difensiva per un po’, ma poi buttiamo tutto in ridere. Telefoniamo al locale per vedere se hanno trovato il mio cellulare e figurati! Perso per sempre e in mano straniera.

Finalmente viene l’ora di partire. Lascio l’ufficio 5 ore prima del volo (non si sa mai coi treni no?). Infatti è tutto puntualissimo e arrivo oltre 2 ore prima in aeroporto. Attendo in una noia mortale. Prendo l’aereo. Scelgo il posto in coda: dicono che se proprio qualcuno in un incidente deve salvarsi è quello seduto in coda e non è un giorno da scherzare questo, anzi, ho proprio la sensazioneche esploderò in volo. È un Venerdì 13 e non è ancora finito. Ma atterriamo. Arrivo a casa e mi prostro sul pavimento baciando grato piastrelle, fughe, briciole e tutto. Salvo, ormai è fatta. Disfo i bagagli: camicie,ecco. Pantaloni, a lavare. Calzini, Dio mio stanno scappando! Giacca, lavanderia. Cravatta... E la cravatta? La cravatta??? Sparita! Quella bella, speciale, natalizia con i Babbi Natale cui tenevo tanto, tantissimo! Sparita. Scomparsa. Svanita. So di averla messa in valigia, ma non c’è più. Vado a dormire.

Domani è un altro giorno, ma lo temo! … e fu sera e fu mattina.

EGITTO E L’IMMENSO

Io le cose le prevedo! Sentivo che qualcosa sarebbe successo e così è stato! Ecco la cronaca. Viaggio a Sharm el Sheik con famiglia: moglie e figlia. Ho voluto prolungare la vacanza da 7 a 11 giorni perché 7 sono pochi, ma 14 sono troppi. Poi ci si stufa. (bhe, noi siam fatti così). Partenza tutto bene. O quasi. A qualche giorno dalla partenza ci avvisano che, per ragioni di congestione traffico, il volo è spostato da Verona su Brescia (e va bene, poco male, dopotutto sono vicine e noi veniamo dal Friuli). Ma visto che ho prolungato le ferie di 4 giorni il volo di rientro non è quello del pacchetto originale del lunedì, ma veniamo ceduti a quello del giovedì che però non ha problemi di traffico e quindi rientra normalmente su Verona. Per cui partenza da Brescia e rientro su Verona. E come facciamo? Andiamo a Brescia, lascio l’auto lì e poi al ritorno (a mezzanotte a Verona) prendiamo un taxi che ci riporti a Brescia per poi tornare in Friuli? Oppure andare a Verona (calcolando bene i tempi di partenza da casa compatibili col traffico d’estate, l’intasamento di Mestre ed eventuali blocchi per incidenti) lasciare lì la macchina, prendere il taxi per Brescia per rientrare su Verona? Abbiamo optato per questa soluzione. Mi sono preso un GRAN margine di tempo per ogni evenienza per non arrivare in ritardo causa le solite congestioni a

Mestre. Ovviamente non ho mai trovato una strada così scorrevole in tutto l’anno: quasi 4 ore di anticipo e di attesa in aeroporto! Oltretutto fermandoci anche a Vicenza alla ricerca di un negozio aperto per comprare delle scarpe da tennis (dimenticate a casa!!!) per proteggersi i piedi sulla barriera corallina. Mi sono forzato a fermarmi perchè è stupido rischiare di tagliarsi e rovinare la vacanza. Tutto chiuso. Senza scarpe. E fu sera e fu mattina. Arrivo nel forno all'aperto egiziano. Tutto bene. Ci mettono in guardia contro l’aria condizionata dei ristoranti del villaggio “Copritevi, si rischia la gastroenterite!”. Ma figurati, non hanno mai conosciuto dei nordici come me. Tutte sciocchezze. Ore 1.00 am a letto. Mattino colazione gigante. (Non sono calato di 9 kg mica per niente! Sono qui per mangiare!) Poi via in spiaggia per vedere questa famosa barriera corallina. Cautamente entro in acqua sopra la barriera. Sembra OK. Camminabile e abbastanza liscia. Rientro verso riva e zack, l’unica conchiglia del mar Rosso, abilmente incastrata tra i coralli, a mo' di lama verso rivolta verso l’alto, mi apre la pianta del piede. Non avevo messo le scarpe running, unica soluzione in mancanza d'altro, perchè, tanto, io so stare attento! Mica un corallo! Una conchiglia!

Almeno i “te l’avevo detto” avrebbero un senso. Ma poi chi crede che su una barriera corallina mi sia tagliato con una conchiglia? Così faccio la figura del deficiente (te l’avevo detto) con aggravante che cerco di trovare scuse accampando una conchiglia. Brucioooore! Così per 2 gg ho girato in costume e scarpe da corsa (poco più che il tipico “nudo coi calzini”). Comunque riesco ad andare a correre per 6 km (con 32°C alle 6.00 pm ) E fu sera e fu mattina. Mi sveglio con una strana sensazione allo stomaco. MMMM che strano! E poi fu la coltellata! OOOFFF E poi un’altra fitta. Roba da restare senza fiato. Da piegarsi in due. Cancro di sicuro! ( è sempre il mio primo pensiero, non ci si sbaglia mai. Anzi, se sbaglio diagnosi allora tutto è più accettabile e sono contento.Filosofia per essere comunque felici). Le fitte si susseguono per tutto il giorno. Fame azzerata. (La mia dieta di 4 mesi vanificata! Tutto quel cibo sprecato: se non lo mangio io è sempre sprecato! Questo è il mio secondo cruccio dopo il cancro, retaggio familiare). Mi trascino da una piscina all’altra (le pause tra le fitte me lo permettono). Alla fine minimizzo e ci sghignazzo sopra ogni volta che mi piego per le coltellate. In fondo mi vedo con gli occhi di chi mi osserva e mi sento comico per la situazione. Dopotutto è solo dolore, e mi consolo.

Forse è intossicazione o forse è il vento dell’Artide del ristorante (ogni tavolo è dotato di sbrinatore). Comunque sia, verso sera le fitte mi permettono di stare eretto. E fu sera e fu mattino. Il giorno dopo sto meglio. Mi aspettavo il cagotto ma non è arrivato. Sono troooppo forte! Le fitte cisono ma sopportabili e più distanziate. Non ho fame maledizione, la vista o il pensiero del cibo mi dà la nausea. Ho sofferto la fame per mesi per potermi farcire al mare e non ne ho voglia. Con tutto quello che c’è! Le valige sono già a pieno peso consentito e quindi fare scorta di cibo per casa è impossibile! E ho anche pagato All Inclusive! Potrei mangiare 24 ore su 24 gratis! Non è triste tutto ciò? Una tragedia. E fu sera e fu mattina. Ferita o no voglio fare snorkling (abbiamo i pesci e i coralli lì davanti!). A parte il bruciore da sale-su-ferta-che-goduriatutto ok e molto bello. Uno strano torpore mi prende nel pomeriggio e crollo addormentato per parecchie ore. Non è da me. Alle 6 vado a correre. Non riesco ad andare oltre 4 km. Non è da me. E fu sera e fu mattino. Escursione in barca, da solo perchè alle mie due non interessa. Snorkling! Yuppieeee! Mi aggrego a una coppia conosciuta lì. Foto qui, foto là. Arriviamo ad un parco marino. Spiegazioni ed istruzioni.

Strana sensazione interna. Ci prepariamo. Pinne, maschera. Molto strana sensazione interna. Uno alla volta si scende in acqua da una scaletta da poppa.. Stranissima sensazione interna. Sospetto atroce. Mi metto in fondo.Mi guardo attorno. Grandissssssima sensazione interna. Individuo ciò che cerco, è a portata di mano, sono tutti distratti, ho un minuto di tempo. ENORME sensazione interna. Arretro con indifferenza, scatto e mi chiudo nel cessetto di servizio. Solo un water. Minuscolo. E mi lascio andare… Una cosa ignominiosa! Praticamente ho visto finalmente l’immenso. Mai tanta e tutta pre-cagotto (cremiforme). AAAAAAAHHHHHHAAAAAAA Soddisfazione! Carta, c’è. E c’è anche un braccio snodato con il tubo di gomma per bidet! Grande! La famosa igiene dei marinai egiziani! Tempo un minuto e ho finito. Sento le voci degli ultimi che stanno entrando in acqua. Ce la faccio. Adesso schiaccio ed esco. Schiaccio. Schiaccio? SCHIACCIO??? Ma dov’è il pulsante?

Non c’è pulsante, pedale o leva da nessuna parte. Con la boccetta cerco di mandare giù l’immensoma è tutto inutile. Si riempie fino all’orlo senza scendere. Aiutarmi con la mano non ci penso nemmeno. Non mi resta che una cosa da fare, uscire quatto quatto, chiudere la porta, e sperare di non essere visto. Forse ce la faccio. Lassù qualcuno mi ama o no? Ce la faccio (tutti i gitanti sono tutti girati verso l’acqua e stanno scendendo, e ce n'è solo due prima di me. Ce la faccio e mi butto. Snorkling. Quando torno alla barca, nuoto con solo gli occhi fuori dall'acqua, come un coccodrillo, non si sa mai, vedo dal pelo dell’acqua che la porta del cessetto è spalancata e i marinai sono ad una rispettosissima distanza da essa. Sento le loro ondate di odio che si riversano indiscriminatamente su tutti gli escursionisti, ma sono tutt’ora convinto che non mi abbiano individuato. Sono salvo dalla vendetta dell’arabo! Saliamo. Qualcuno ha prosciugato l’immenso. Faccio l’indifferente. Anche oggi non riesco a mangiare. E fu sera e fu mattina. Non ho più le fitte di stomaco. Ho i crampi !intestinali.

Cagooootto. Ombrelliforme. Bellissimo! Ma non frequente. Niente fame. Mi diverto comunque. Chi dice che mi abbatta per così poco? In fondo tra un crampo e l’altro ci a molto tempo e si possono fare molte cose. Il torpore continua e o i pomeriggi a buttarmi sul letto. Che tempo sprecato! Comunque riesco a correre 6 km. E fu sera e fu mattina. Crampi di mia moglie allo stomaco! Forse al ristorante non hanno attivato lo sbrinatore in tempo. Fuori 48°C !!! Dopotutto una maglietta in più anche per me sarebbe stata utile. Giornata migliore per me. Molto meglio. Lei comincia ad avere uno strano torpore e crolla sul letto nel pomeriggio. Io ricomincio ad essere energetico. La sera riusciamo ad andare per negozietti, ma ci dà molto fastidio l’insistenza degli arabi (ti, prendono, ti toccano, ti strattonano, ti tirano) ed una strana sensazione (!) si impadronisce di mia moglie che deve rientrare. Anche lei vede l’immenso. E fu sera e fu mattina. Ricomincio ad avere fame, mia moglie la perde. Completamente. Deve nutrirsi e bere, soprattutto in questi climi. Devo imporle, ma lei è dottore e lo sa perciò è una brava paziente. Nel pomeriggio crolla di schianto e dorme.

E fu sera e fu mattino. Le giornate si susseguono così: lei peggiora, io miglioro. 6 Km di corsa ogni secondo giorno. Io ricomincio a mangiare lei no (ma non mangio come vorrei, questa cosa mi ha tolto parte dell’appetito, sigh). Poi migliora anche lei e gli ultimi giorni sono pressoché ok. In 11 gg non abbiamo avuto in cielo neanche lo sbaffo di una nuvola. Impressionante ed inquietante per noi che non abbiamo 2 gg di seguito senza che si rannuvoli. Alla fine rientriamo. Stranamente tutto in orario. L’aereo ha una bella partenza, tutto regolare. A mezzora dal decollo c’è un urlo generale: l’aereo ha avuto uno scossone improvviso come se qualcuno l’avesse afferrato per la fusoliera e l’avesse scosso violentemente su e giu, alto e basso. Tutto ha sussultato violentemente. Da lì in poi (anche perché nessuno ci ha spiegato cosa fosse successo) ogni turbolenza ha agitato i eggeri. Io dimostravo la solita calma imperturbabile (ero cristallizzato! fisso al mio posto con gli occhi vitrei legato con la cintura al seggiolino senza margine per respirare). Evviva. Il resto è storia. Ero preoccupato dentro anche perchè non ero seduto nell'ultimo posto in coda secondo le mie 3 teorie: 1- temo le turbolenze per cui si sa che la coda è quella che si agita di più. per cui vado in coda perchè se l'aereo si scuote mi dico "E' ovvio, sono in coda!" mentre se fossi davanti sarebbe catastrofico. 2- secondo le statistiche SE ci sono sopravvissuti in un incidente aereo questi sono in coda

3- in coda il volo dura meno. A questo punto c'è sempre qualcuno che mi domanda "E perchè mai?" (Grazie). Risposta: perchè la coda è l'ultima a sollevarsi e la prima a toccare terra. Io sfrutto anche i secondi ahahahahah Tutto bene per il rientro. Alle 3 del mattino in città. L’indomani pronti per la 3 gg nella casa di montagna. Partiamo. La temperatura precipita. 14 °C. (da 48 dell’egitto non male). Piove, diluvia. Accendiamo la stufa!!!! Il mattino dopo rientriamo in città. Pomeriggio: sole splendente. Ma si può!? Comunque ci ridiamo sopra, come sempre. La ricorderò come una bella vacanza … dopotutto (EHI, fra gli episodi che ti ho raccontato ci sono anche mooooolti momenti divertenti e piacevoli, non siamo mica Fantozzi!). CIAO

OSTIA! Un paese, un’esclamazione

E venne il giorno del viaggio ad Ostia. Non è stato un viaggio improntato ed organizzato per puro piacere. Aprile. Non è un mese da vacanza, anzi, curiosamente freddo e piovoso in tutta Italia. Il viaggio serviva per incontrarci con amici, Fausto e Claudia, impegnati nel sociale con un’associazione per l’assistenza di bambini oncologici. Io e Valeria (sempre mia moglie) dovevamo consegnargli dei pc donatici da amici affinchè li rendessero operativi nella sala ricreativa dell’ospedale di Nocera. Questi bambini avranno di che svagarsi in un ambiente di per sè piuttosto triste. E fu sera e fu mattino: primo giorno L’albergo è stato trovato e prenotato su internet. Partiamo dunque all’alba come piace a noi. La macchina carica all’inverosimile di monitor e pc. Quasi profughi in viaggio. Fermata di rito al primo autogrill per caffè e brioche e via, verso la meta. Ulteriore fermata di mezza strada verso Firenze per carburante e caffè del “tienimisveglioorsùchecelafò”. Arrivo a Ostia in tarda mattinata. L’albergo è fatiscente. Triste, con stanze buie. Prevista colazione di caffè e brioche. Parcheggio sulla strada ovviamente incustodito. Lo prendiamo e confermiamo la camera anche per Fausto e Claudia che provvediamo ad informare. Spartani anche loro, accettano la situazione. Loro arriveranno nel pomeriggio e quindi, in una Ostia Lido ventosa e fredda e pressocchè chiusa, andiamo alla ricerca di un ristorante economico. Vedo che Valeria cammina con uno sguardo perplesso. Le chiedo cosa non vada. La

camera? Sì, non è convinta. Io mi stizzisco: in fondo è per una notte, cosa dovremmo fare? Cominciare a girare per Ostia alla ricerca di un altro albergo aperto, che sia economico, ridente, pulito, con camere spaziose, magari vista mare con terrazza, con colazione a buffet e parcheggio interno custodito e magari che non superi il prezzo del precedente? "Ma sei matta? Dobbiamo perdere tempo adesso a girare che oltretutto abbiamo già confermato?" L’ho convinta. Andiamo a mangiare. “Va bene, va bene, facciamo solo 2 prove tanto per convincerci che non c’è alternativa.” Come mi convince Valeria è incredibile.Dice una frase, io rispondo che assolutamente è impossibile per ovvi motivi logici, pratici, oggettivi ed accuratamente esposti. Poi faccio quello che lei chiede. Mah. Primo albergo aperto a 20 metri dal primo (ehi! Che insperata coincidenza!). Un po’ più costoso ma decisamente migliore del precedente. Dubbiosi. Per solo una notte? In fondo dobbiamo solo dormire. Ok non lo prendiamo. Ancora uno, tanto per dimostrare l’illogicità dello sguardo perplesso di Valeria e la veridicità delle mie affermazioni. “Poi però lasciamo perdere tutto ed andiamo a mangiare.” A 100 metri dal secondo albergo ne troviamo un altro aperto. Entriamo. Ingresso luminoso, ampi divani, reception con impiegato in giacca e cravatta. Proibitivo, si vede subito al primo sguardo. Comunque siamo lì, e poi devo trarre la soddisfazione di aver ragione. "Scusi, avete 2 camere matrimoniali per questa notte?" "Si." "Qual è il costo?"

"70 €.(stesso del primo albergo)" "Intendo a camera, non a persona." "70 €." "Bagno in camera?" "Certamente!" "Colazione inclusa?" "Si." "A buffet?" "Si." "Il parcheggio in strada?" "No, interno." "Custodito?" !Certamente: cancello chiuso la sera e con vista dalla reception." "Possiamo vedere le camere?" "Sicuramente". Le camere sono grandi, con tavolo e tre letti quella al primo piano con grande terrazza…sul mare!!! Camera un po’ più piccola quella al secondo piano ma con enorme terrazza …sul mare!!! Gulp! Aveva ragione Valeria, come sempre. Ok le prendiamo. Ora tocca però a me l’onere di andare a dire al primo receptionist che disdiciamo la camera (fortuna che era troppo presto e non pronta, così non ci eravamo già accasati).

Entro e, con saputa aria di rincrescimento dipinta sul viso, comunico la nostra decisione di non pernottare più lì da loro. Neanche una piega su quel volto di pietra! Solo un - Va bene. - e zac! una riga sul nostro nome. Ehi! Una lacrima, un moto di dispiacere, o perlomeno di contenuta stizza, che diamine! Perché farmi sprecare tutti quei bei discorsi che avevo in testa di nonne improvvisamente aggravate, di case sventrate da gas dimenticato aperto, da malattie perniciose improvvisamente riacutizzate?! Niente, neanche un piccolo moto di rincrescimento! Che spreco di mia inventiva! Va bene, andiamo a mangiare. Un ristorantino aperto dopo km di cammino. Ignoriamo l’odore stantio, le tovaglie di plastica, la solitudine di essere gli unici clienti (la preoccupazione che sia perché nessuno voglia entrare in quel locale) e ordiniamo: pasta all’arrabbiata e pasta all’amatriciana. Incredibile! Porzioni che su al nord ce le sogniamo (e buone! Ri-sorpresa). Con quello che paghiamo ho fatto calcolo che per il prezzo di un singolo piatto da noi qui abbiamo ottenuto il volume di 6 porzioni. Evviva! Andiamo ad aspettare gli amici in camera. Io tento di andare a leggere in terrazza (perché sprecare 50 mq con vista mare?) ma il vento freddo e tagliente in pochi minuti me lo sconsiglia. Rientro. Dopo un’ora, e quasi dopo un anno dalla volta precedente, Fausto e Claudia arrivano. La pudicizia mi impedisce di dilungarmi nelle espressioni di saluto del dopo

tanto tempo, ma poi ci ricomponiamo in essere normali e ripercorriamo le vicende dell’anno appena trascorso. Decidiamo per un salto agli scavi di Ostia antica. Lungo il tragitto uno strano rumore proveniente da cofano risveglia la mia attenzione. “Avete sentito anche voi uno strano rumore?” “No, non sembra” “Va beh, infatti non lo sento più, sarà stato un sasso”. Pericolo scongiurato. Ogni volta che faccio un lungo viaggio temo di restare in panne e dunque qualunque rumorino risveglia la mia ansia. Fortunatamente la marca del gippone è di quelle premiate in fatto di eccellenza in qualità e dunque mi sento sicuro. Poi, dopo la visita alla zona archeologica e dato che siamo vicini, decidiamo di andare verso i colli romani a provare i famosi vini. E che diamine, siamo qui, perché non approfittarne!? Mica possiamo buttare la giornata eggiando su un lungomare freddo e ventoso! Bisogna far fruttare in modo proficuo il tempo. Sempre! E così ci avviamo verso bevute intelettual-turistiche. Lungo i dedali di strade che portano ai colli (temevo che tutte portassero a Roma come vuole la leggenda e nessuna ne uscisse) ci imbattiamo in un cartello che indica: IKEA. “Ah c’è l’Ikea anche qui”Claudia “Valeria non è mai andata all’Ikea” “Io ci vado spesso, è lì che faccio i miei acquisti per la casa”Claudia “Valeria voleva andarci a Padova che è il posto più vicino dove trovarla, ma andarci apposta il sabato mi sembra alienante. Anzi mi sembra triste che le famiglie ci ino il tempo come se fosse un luogo turistico. Incredibile come ci

si possa abbruttire” “A volte ci sono belle pentole”Claudia Ovviamente se le donne insinuano un’idea gli uomini obbediscono: rinunciamo ai colli romani e iamo il resto del pomeriggio all’Ikea. Mioddio! Noi compriamo un ombrello, candele e 2 tende. Loro cose per la casa (che altro all’ikea? ma chi si ricorda poi cosa hanno comprato loro. Bho, non chiedere, non ricordo) Esaurita la visita turistico-shoppesca e, siccome ambequattro siamo spiriti liberi e sconnessi dai clichè dell’umana gente, decidiamo (anzi, l’avevamo già deciso prima di ritrovarci) di cenare in camera con cibo e specialità delle nostre zone portato da casa. Noi 2 nordici, prosaici ma eleganti, avevamo pensato di comperare piatti di sana plastica usa e getta, maanche bicchieri flute, sempre di plastica, per festeggiare degnamente la re-unione con prosecco tenuto nella borsa frigo al seguito (mai bere prosecco caldo! perde le apparenti proprietà d’innocua bibita. Freddo invece va giù benissimo che non te ne accorgi neanche, fino a lasciarti stramazzato senza forze). Claudia la sudista invece, nella sua indole ossessiv-compulsiv-organizzativa ci aveva fermati nel progetto di organizzazione conviviale imponendo la sua preparazione. Dunque la sera avanza e quindi anche i preparativi. La nostra camera è più grande e quindi è stata eletta a sala banchetto. Oltre al tavolo di pertinenza ne troviamo un altro in corridoio. Due sedie ci sono. Dei tre letti ne facciamo panche. Dalle capaci borse di Claudia e Fausto escono piatti in cotto, bicchieri a calice di cristallo, candele, tovaglia in broccato rosso con tovaglioli.

E continuano ad uscire casseruole, contenitori, recipienti, posate. Dal mio profondo ato sento piangere Eta Beta per inadeguatezza. Il mio orgoglio per l’idea dei flute di plastica usa e getta è ormai in esilio senza ritorno. Mi sento schiacciato per la mia pochezza, ma sagacemente non ne faccio menzione alcuna. E che diamine, avrò ben il mio orgoglio!!!??? Potremo dire chissà cosa dei meridionali, ma non che non abbiano una ritualità sacrale verso il convivio. Noi al nord siamo più pratici, ma a volte perdiamo in atmosfera. Non tutti potranno capirlo, ma una cena così, seduti chi sulle sedie chi sul letto, a mangiare specialità delle nostre regioni, bevendo prosecco ghiacciato, parlando tra amici, senza camerieri, alla buona, senza fretta, in una camera d’albergo, senza una cucina o una sala da riassettare, può essere 100 volte meglio che in un ristorante gourmet. Ma se c’è atmosfera, a volte nell’atmosfera ci sono anche nubi ed a questo ho provveduto io fornendo e creandole dal mio sigaro. Valeria proprio non ce la fa e sfodera una sottile sigaretta mentre lo scaricatore nascosto che c’è in Claudia la spinge ad attaccarsi al suo mezzo toscano. Fausto la segue. Nel freddo della terrazza ci intirizziamo mentre il vento ci consuma sigari e sigaretta pressochè istantaneamente. Il sigaro (Valeria è accettata nel gruppo)è un rito che abbiamo quando ci incontriamo. Il vento no. E poi via a letto, ognuno alle proprie notturne attività. E fu sera e fu mattino: secondo giorno. La mattina colazione assieme. La prima colazione in albergo non è un semplice apporto di calorie necessarie all’attività giornaliera, per me è un rito che va consumato fino in fondo, senza pietà… se compresa nel prezzo.

In albergo, a colazione, io consumo molte calorie camminando. Dato che tutto ciò che mangio non può stare sul tavolo mi alzo spesso per rifornirmi di: alcune brioche, prosciutto, salame, formaggio, panini, fette biscottate, marmellata, nutella, corn flakes, yogurt, frutta sciroppata, banana. No non è un proposta del menu, è quello che di solito in hotel mangio a colazione. Quando mia figlia era piccola ed in vacanza sceglievamo la formula all inclusive dove potevi mangiare tutto il giorno senza limiti, al mattino prima di uscire di camera le dicevo “Facciamoli piangere!”. Dato che la filosofia degli organizzatori All Inclusive è che “tu paghi di più illudendoti di poter mangiare a scoppiare, ma c’è un limite a quanto tu possa ingurgitare ed il guadagno è tutto nostro” nel mio immaginario vedevo i proprietari della struttura che, osservandoci mangiare da dietro una tenda, piangessero capendo l’errore di farci pagare prima. Quindi arriva il momento trasferimento dei pc, prima ragione del viaggio, da un’auto all’altra e dei saluti. La promessa di rivederci presto e “Chiamateci quando siete arrivati a casa.” (il nostro è il viaggio più lungo, 6-7 ore). E via verso il ritorno, chi a Nord chi a Sud. Noi ci attardiamo in albergo mentre Fausto e Claudia partono per casa nella loro auto gialla (non ho mai capito se questa scelta sia come un economico antifurto o una propensione onirica verso la professione di taxista. Mah, mai osato chiederglielo.) Valeria apre il portellone per prendere la borsa da tenere sul divanetto in auto e trova la spesa dei 2 amici fatta all’Ikea. Nooooooo. Dove saranno? Già entrati in autostrada? Fino a fine agosto, quando ci rivedremo, non potranno avere la spesa (ovviamente l’idea della spedizione via corriere non mi sfiora nemmeno dato i costi di quei fuguri). Telefonata rapida e scopriamo che sono ancora a pochi km da noi. Via di corsa con l’aiuto del navigatore satellitare.

Bhe un’imprevisto doveva starci, in fondo non era successo niente fino a quel momento. Dato che in ogni viaggio è certo che qualcosa debba succedere a movimentare la routine, con questo intoppo mi sento meglio. I 2 giorni volgono al termine, l’imprevisto puntualmente accaduto, dunque il viaggio di ritorno si risolverà come tediosa cronaca di km macinati uno dopo l’altro. Il sole di Roma lascia il posto alle nubi della toscana che a loro volta decidono di scaricarsi sull’autostrada in nubifragio. Nessun problema: abbiamo la trazione integrale, la macchina è pesante e solida e quelle 4 gocce non ci fermeranno. E i km corrono. Firenze è vicina, un terzo di strada quasi completato. Piove ma in auto è sereno: ci stiamo proprio godendo questi giorni. Abbiamo compiuto una buona azione, incontrato amici che sono anche brave persone con cui trascorrere momenti speciali, io e Valeria stiamo viaggiando insieme su una lunga strada come piace a noi. Tutto perfetto. TOCK! “Valeria hai sentito anche tu?” "Sì, cosa sarà?"

“Mah mi sembrava provenire dal cofano e l’auto ha come perso per un attimo potenza” “Sì ho sentito” “Mah non lo sento più. Chissà cos’era.” Tutto regolare, e via oltre Firenze.

WOOOOSHHH – WUMMMMM All’improvviso il motore va su di giri, ma la macchina perde potenza, non sento più la trazione. Accellero, ma sono in folle. Freneticamente cambio le marce ma non ingranano. Forse, sì, forse sta riprendendosi. Sì. Ma poca cosa: il motore ruggisce, ma la velocità diminuisce. Come se le ruote non si aggrapero al motore (descrizione per i profani). “Valeria non riesco ad accelerare, qualcosa non va!” (ma va?!) “Cosa facciamo?” “Non lo so, sto provando a ingranare la marcia.” “Ecco cos’era quel rumore di ieri!” “E certo, adesso lo sappiamo, ma come facevamo a immaginare che non era solo un sasso” “E adesso?” Piove. Tutto ad un tratto non ci sembra poi così bello. All’improvviso la trazione integrale è scomparsa, stiamo viaggiando per inerzia in un posto sconosciuto. Sfiga immane: è anche domenica! “Pensa, pensa in fretta!” mi dico. Ma se la sfiga non arriva mai sola a volte la sua compagna potrebbe essere una sorte benigna (come dire che una sberla è un sollievo dopo una martellata sul dito) infatti viaggiando col solo fruscio del vento e della pioggia vediamo “Uscita Firenze Nord 200 metri”. Facendo mentalmente meno attrito possibile ci spostiamo per inerzia sulla corsia d’emergenza per sfruttare l’arco più stretto ed imbocchiamo lo svincolo mentre la pioggia sembra rallentarci rapidamente. Forse ce la facciamo, forse, sì. Imbocchiamo il sovrao che porta al casello di uscita.

SÌ… SÌ… NO! Anche se la spingiamo a colpi di reni sui sedili la jeep si ferma a 20 metri al colmo del ponte. E piove. Vedo poco più in là il casello, ma noi siamo poco più qua. E diluvia. Va bene, inutile pensarci troppo. “Valeria prendi il volante dai” “Ma ci riesci?” “Bho, intanto provo” Scendo e un muro di pioggia mi avvolge. In un attimo sono da strizzare. Le scarpe da running sono leggere ed hanno la rete di traspirazione che permette al sudore di trasformarsi in vapore mentre si corre, e farlo così uscire mantenendo i piedi asciutti. Peccato che lavori nei 2 sensi. Non sto correndo e la retìna assorbe quanto più pioggia può, immagazzinandola nella spugna della tomaia. Così inzuppato che la pioggia scorre via senza più toccarmi spingo l’auto con tutto me stesso. Dapprima non si muove, poi centimetro dopo centimetro riesco a farle superare l’ultima pendenza fino al colmo del dosso. Corro al lato guida mentre Valeria si sposta agilmente sul sedile del eggero mentre la jeep prende velocità.

Ho sempre ringraziato mia moglie di avermi convinto ad acquistare il tele, ma stavolta mi sono sperticato in lodi alla sua perspicacia. Infatti ci sarebbe solo voluto che ci dovessimo fermare a pagare il ticket. Ora invece stiamo scivolando oltre, fuori dall’autostrada verso una salvezza certa. Almeno in questo ancora crediamo. Diluvia mentre, per una nuova inerzia dovuta alla discesa del sovrao, ci spostiamo verso il parcheggio al ciglio dello spiazzo, oltre i caselli autostradali. “Bene. Siamo qua. E adesso?“ “Dobbiamo chiamare un’autofficina.“ “Ma è domenica.“ "Ce ne sarà una aperta!"

“Ma è domenica.“ “Un carro attrezzi allora.“ “Chiama la Toyota.“ “Sì, cerchiamo il numero verde nelle istruzioni, ci aiuteranno senz’altro.“ “Pronto, qui Servizio Clienti, come posso aiutarla?” “Siamo rimasti in panne e abbiamo bisogno di assistenza…” “Siete in garanzia?” Quando mi stavo avvicinando al momento dei 3 anni dall’acquisto, pochi mesi fa, ero anche vicino al momento del tagliando dei 105.000 km, ero sui 98.000. Un giorno quindi ricevo una telefonata dalla concessionaria che mi chiede se voglio rinnovare la garanzia per una modica spesa. Rispondo che sembra interessante e che ne approfitterò al momento del prossimo tagliando. Quando fu tale momento chiedo perciò di poter allargare la garanzia come propostomi. Guardando il libretto il concessionario mi dà questa risposta “La garanzia può

essere prolungata solo entro i 100.000 km o entro i 3 anni dall’acquisto. Lei li ha sforati tutti e due.”“Ma io li ho ati da pochissimo…”“Ci spiace , non è più possibile!” Pertanto alla richiesta della telefonista Toyota devo rispondere: “Veramente no”. “Allora mi dispiace, noi possiamo assistere solo chi è in garanzia.” “Ma siamo qui sotto la pioggia…” “Mi dispiace, chiami il soccorso stradale, arrivederci” CLICK "E adesso?"

“Chiamiamo l’ACI” (di cui non sono socio, per quelle pochissime probabilità di restare fermo per strada figurati se vale la pena spendere la quota annuale!!!) “Hai il numero?” “No.” "E allora?"

“E allora vado dal casellante a chiedere se loro lo conoscono” “Prendi l’ombrello” “Perché? Se no mi bagno?” rispondo con un neanche tanto velato fondo di sarcasmo, ed esco nella pioggia. Corro verso il casello, tristo figuro che spruzza acqua dai vestiti pregni e con le scarpe con risucchio. Il casellante si intenerisce alla mia storia e chiama lui stesso il soccorso stradale. 30 minuti di attesa.

“Vedrai che forse scopre la ragione e ripartiamo. Magari è un filo staccato. Ma quanto ci costerà questa situazione?” “Cosa dice il casellante?” “120 euro la chiamata, più ci sarà la riparazione se non l’aggiusta qui. Speriamo di non superare i 300 euro in tutto, con le spese che abbiamo in questo periodo!” Il carro attrezzi arriva puntuale, ma l’addetto non ci capisce niente di motori, si limita ad aprire il cofano, dare un’occhiata (bhe che ci sia tutto lo vedo anche io!) e richiude. La pioggia non la sento neanche più, faccio ormai parte della natura, per cui aiuto ad agganciare l’auto e a trascinarla sul pianale del camion di soccorso. Saliamo in cabina. L’uomo è cordiale e gentile. Ci ascolta e le conclusioni sono: a)Le officine di domenica sono chiuse eccetto un’officina Fiat dentro l’autostrada b)C’è una concessionaria Toyota con officina a pochi km da lì (bhe, allora siamo fortunati!) ma è chiusa fino all’indomani (ecco!) c)Lui può portarci solo fino al loro deposito (e dopo?) e aspettare il lunedì quando ad una ad una loro porteranno a giusta destinazione le auto secondo l’ordine cronologico di recupero. d)Se non ci sono altri soccorsi che gli vengano comandati ci può però portare all’officina Fiat. Ma è l’una del pomeriggio e non apre fino alle 2. Se nel frattempo riceve un’altra chiamata deve abbandonarci. Ok proviamo l’officina Fiat. Ripartiamo ed entriamo in autostrada. Paga di tasca sua e dice che spera di essere rimborsato dalla ditta (ora realizzo che nella concitazione non gli ho neanche proposto di rimborsarglielo io. Vorrei ritrovarlo perché è raro trovare una persona così disponibile come si è dimostrato). Aspettiamo nel piazzale dell’officina che arrivi qualcuno.

Intanto le ipotesi si accavallano. La più gettonata è la rottura della frizione. “E’ grave?” "Se è la frizione potrebbe essere grave."

“Riusciranno a riparala entro stasera?” “Non lo so, ma dubito che abbiano il pezzo Toyota, sono Fiat” “Ma forse non è la frizione” “Chissà, ma lo sembra dalla descrizione che mi avete fatto, ma non sono meccanico” Finalmente arriva qualcuno. Burbero. Con malagrazia risponde che dati i sintomi è la frizione rotta. E no, non ce la farebbero comunque a ripararla entro la giornata, secondo lui. Comunque bisogna aspettare il titolare. E’ tardi e il futuro sembra farsi nero e bisogna anticipare i vari scenari che possono presentarsi. Convinco Valeria a prendere in considerazione di rientrare a casa in treno e dunque lei telefona a Claudia che si informa a sua volta via internet degli orari, dopo essersi immancabilmente preoccupata delle vicende oscure capitateci. Essendo compulso-maniaca di internet ci mette poco a trovare le varie possibilità di orari. Ci saluta intimandoci (lei non chiede, intima) di tenerla informata. Lo faremo. E arriva la drastica richiesta di un ulteriore soccorso. Sento solo le parole concitate del nostro aiuto al telefono col titolare. Quando chiude la telefonata ci dice che il titolare pretendeva di lasciarci qua e che ci arrangiamo, mentre lui vuole portarci, se lo desideriamo, nel loro deposito o alla Toyota, in modo di essere già i primi l’indomani. Per lui è incredibile come la gente sia insensibile alle necessità altrui quando c’è il profitto di mezzo. Ricordiamo le discussioni in merito con Claudia e Fausto e approvo. Noi 2 coppie, siamo in antitesi politica ma concordiamo totalmente sui principi fondamentali ed è per questo che comunque riusciamo a trovarci bene quando ci si incontra (sopportiamo anche

che siamo dirazze differenti: noi del nord loro del sud.ahahah questa è una bordata per Claudia se mai leggerà questo). Decidiamo mestamente di farci portare al parcheggio esterno della concessionaria. Valeria finalmente dopo mie insistenza capitola e tornerà a casa. Ancora una volta il soccorritore ci viene in aiuto chiamando lui stesso un taxi. Il viaggio da Calenzano (dov’è la concessionaria) verso la stazione non è lungo, dice, forse 5 km. C’è anche il bus, ma di domenica non si sa che orari abbia. “Beh, prendiamo il taxi” dico, “5 km non saranno poi una gran spesa. Siamo bagnati, depressi. Ti accompagno alla stazione e io poi ritorno” “E tu?” “Aspetto domani, quando apre la concessionaria” Il taxi arriva e salutiamo il gentile soccorritore. Grazie se mai mi leggerai, amico sconosciuto! Valeria si prende poche cose necessarie e saliamo in taxi. Non sono solo 5 km! Sono 33! E ad andatura “sub-nonno”! 35 euro! Che si sommano ai 120 del carro attrezzi. Ma bene! Arriviamo in stazione. Non penso di essere stato un bello spettacolo. E neanche Valeria con quell’aria abbattuta per la situazione e per il rimorso di lasciarmi solo. “Dove dormirai?” “In auto, nel parcheggio” “Ma no, prendi un albergo.” “Ma a me piace dormire in macchina, mi ricorda i momenti pionieristici di quando viaggiavo per lavoro in Polonia”

“Ma dai, sei tutto bagnato, è pericoloso…” “Dormo col mio coltello in mano” “Ma se ti svegliavi sempre e lo trovavi sul tappetino” “Non succederà niente” “Prendi l’albergo, prometti che ci pensi!” “Prometto” in fondo pensarci non vuol dire decidere. Il treno parte dopo mezz’ora. 65 euro di biglietto. + 35 taxi + 120 soccorso. Evviva. Ma figuriamoci se vado in albergo! Stiamo spendendo già abbastanza, e tutto per una buona azione! Prendo l’autobus di lì a poco per ritornare alla macchina. Niente taxi se con poco più di un euro ottengo lo stesso servizio. 45 minuti di strada, altro che solo 5 km!!! Sono le ore 16 di una domenica di pioggia in un paese privo di segni di vita. Mi siedo in auto e sfoglio un giornale. Il finestrino si appanna immediatamente. Dunque mi sto asciugando, dopotutto! Claudia mi telefona per informarsi, con la sua solita calma concitata. Spiego la situazione. “Dove dormirai?” “In auto” “Assolutamente no” Lei ha una caratteristica: si crede dotata di poteri superiori da cui scaturisce la convinzione che le basti parlare perché le cose succedano. Se dice “assolutamente no” si aspetta che il mondo si adegui.

Ovviamente propendo per il sì, se non altro per mia soddisfazione a fare il contrario. “No” “Sì” “No” "Sì"

“Ma Valeria cosa dice?” “Di andare in albergo” “Vedi? Fai come dice!” Cambia tattica. “No” “Sì” “No” “Va beh, almeno prometti che ci pensi” Dove l’ho già sentita questa frase? “Va bene, prometto” E’ così facile! “Fammi sapere” “Va bene” “Ciao” "Ciao"

Mi guardo intorno. Oltre l’abitacolo poco da vedere: solo condensa fitta sul vetro. Comunque non piove più.

Telefonata. Valeria. Vuol sapere come va. Benissimo! “Allora hai deciso per l’albergo?” “Si resto in auto” “Noooooo…. Etc etc etc..” “ma dai, cosa vuoi che succeda… ehi, chissà cosa vuole questo figuro che gira attorno all’auto ” (ahahahah) “Ecco, vedi?! È pericoloso!!! Vai in albergo!” Sono circondato, nessuno mi appoggia. "Va bene, vado a vedere il costo e poi decido" e così, in un plumbeo pomeriggio fiorentino mi avvio verso l’albergo che avevo intravisto arrivando. Assieme alle mie uniche scarpe che con risucchio mi fanno compagnia. Parto solo per una breve ricognizione, mica per fermarmi di sicuro: intanto vedo bene dov’è, poi si vedrà. Cammin cammino ricomincia a piovere. Ovviamente non mi sono preso l’ombrello. Arrivo in un sottoo… allagato. Non c’è via per are se non quella. E va be’. Mi bagno i piedi, le scarpe assorbono come una spugna e ho solo quelle. Ma facciamo che va bene lo stesso. Finalmente arrivo in albergo. Ok non è male, ma 65 euro solo per dormire in un posto dimenticato da dio e probabilmente vuoto mi sembra tanto. Comunque non c’è alternativa. Va bene. Devo far pur tacere i 2 tarli! Ma devo tornare all’auto per le mie cose (poche ma mi servono) ed è ricominciato il diluvio. Più di tanto non posso assorbire acqua per cui stoicamente mi avvio verso il parcheggio, riando nel sottoo. Arrivo che sono come uscito da una

piscina, ma vestito. Raccolgo le mie povere cose e riprendo il cammino verso l’hotel. Ma questa volta astutamente prendo l’ombrello che saggiamente e previdentemente avevo acquistato all’Ikea di Roma 2 giorni prima. Dopo 200 m il vento me lo disfa. In fondo a cosa mi serve?! Mica mi asciuga! lo butto e riprendo a camminare. La Camera è discreta. Pensavo di asciugare i vestiti sul termosifone, ma la stanza è dotata di un termoventilatore a soffitto. Non mi scoraggio e piazzo i vestiti su una sedia e sul letto proprio sotto l’aggeggio, in una notte si dovrebbero asciugare. Più problematici sono i calzini in spugna di cotone. Non ce la faranno mai. Comunque li lavo, poi ci penserò. Sono sicuro che inventerò qualcosa. Idea! Mi arrampico su un mobile ed infilo i calzini in una gruccia che aggancio all’areatore. Che bellezza. Quando si dice dormire in una stanza elegante!

Didascalia...

Leggo un po’ e vado a dormire. Mi sveglio prestissimo. Finalmente è ora di colazione, compresa nel prezzo. E mica ci rinuncio. Vado matto per le colazioni a buffet e di solito faccio pentire i proprietari per averla inclusa nel prezzo. Per questo mi avvio famelico per la mia spedizione punitiva. Chiedo dove sia la sala da pranzo per acquietare la fame che mi ha ormai assalito. L’inserviente mi dice che essendo lunedì mattina e, lavorando con operai e impiegati e dunque essendo l’albergo deserto nei weekend, la colazione l’avrei fatta al banco del bar dietro di me. Mi volto e vedo un minuscolo angolo adattato a rinfresco: brioches preconfezionate e caffè. Mi vien da piangere: 2 brioches gommose e una tazzina infima di caffè. Saldo il conto che ancora ho il volto rigato di lacrime e, con i piedi finalmente asciutti faccio per l’ennesima volta la strada verso l’auto in panne. È prestissimo e mi siedo dentro la macchina ad aspettare. Finalmente aprono e, con una speranza in cuore che in un paio d’ore possa ripartire, vado all’officina. Da come spiego mi sembra che il volto del capofficina non si apra in una prognosi poi tanto fausta. Ma la speranza …etc etc. Guarda la mia jeep, apre il cofano e sentenzia: si è rotta la frizione. E va be’. Era in ipotesi. Cambiatela. Non è così facile, non ce l’hanno in casa, devono ordinarla da Roma.

E quanto tempo serve? 3 giorni in tutto. Chino il capo sconfitto. Spero che perlomeno la cifra non superi i 300 euro se no un viaggio così, per beneficienza, si tradurrebbe in un salasso disumano. Spero ardentemente che se proprio molto moltonon superi i 400 €. Chiedo timidamente il preventivo. Il tipo scartabella il listino. Sono carico di apprensione (ogni volta che mi aprono un listino davanti mi prende l’ansia) Quindi sbotta: Tra il pezzo e lamanodopera (a 45 € l’ora) solo 2.150 euro!!! Mi vien da vomitare. Con tutta la dignità che riesco a racimolare gli comunico che sarei tornato di lì a 3 gg a riprendermi la macchina. E torno alla fermata dell’autobus per tornare alla stazione di Firenze. Probabilmente la gente vedendomi pensa che abbia seri problemi alle gambe dato che i miei piedi strascicano sulla strada. Ma tant’è. Non piove più perlomeno, ma ci metto più di un’ora tra fermate e traffico. Comunque spendo ancora un po’ di soldi per il biglietto e mi avvio verso il Friuli con un cuore pesante, ma con portafoglio leggero. Tre giorni dopo prendo ancora il treno e dopo un lungo viaggio tra coincidenze e bus riesco ad arrivare nuovamente all’officina. Il prezzo non è cambiato, anzi è aumentato per un paio d’ore di lavoro in più. Comunque mi ero esercitato molto nei tre giorni trascorsi e mostro la mia faccia più affranta così perlomeno riesco a mantenere il preventivo pattuito (io contavo di abbassarlo, ma non prevedevo la loro abile mossa delle ore in più). L’auto risponde bene.

Finalmente a casa. Parto. Autostrada. Faccio gli Appennini. Prima dello svincolo per Bologna faccio una telefonata col mio cellulare. (ufficialmente usando l’auricolare!!!). Spengo. E continuo a guidare. Ho una strana sensazione, ma forse è dovuta al fatto che non sono un abituè di quell’autostrada, io in genere per lavoro viaggio più nel nord. Comunque proseguo. Modena 10 km. Sono ato per Modena venendo giù? Mah! o lo svincolo di Modena. Non ricordo il paesaggio. E procedo. Comunque è meglio se do una sbirciatina alla carta (ovviamente il navigatore lo lascio spento perché tanto devo solo fare il percorso dell’autostrada a ritroso). Ops! Telefonando ho perso lo svincolo per Bologna, ora vado per Verona. Che fare? Andare fino alla prossima uscita e tornare indietro o proseguire? Opto per proseguire, in fondo che sarà mai, qualche km in più, andiamo avanti! A Verona faccio un po’ di calcoli col contachilometri. Ho fatto 100 km in più.

Arrivo a casa. Vorrei fare come il papa ato e baciare l’asfalto del vialetto, ma il mio vicino mi sta guardando dalla terrazza per cui mi atteggio a spavaldamente sicuro di me e lo saluto entrando finalmente in casa. Concludendo: un viaggio che doveva essere un misto tra il piacere di incontrare degli amici e fare una buona azione, oltre al costo del viaggio stesso, mi è costato 2.600 euro in più tra carroattrezzi, riparazione, taxi, albergo, treni e bus. EVVIVA! Comunque posso dire che è stato divertente… a posteriori. Un anno da ridere. E fu sera e fu mattina... E Dio si riposò. Sono sicuro che abbia fatto più che abbastanza. E grazie! Ma mi ha lasciato un regalino: parlando tempo dopo col mio meccanico ho saputo che avrei risparmiato almeno 1.000 euro se avessi cambiato la frizione con pezzo originale in un’officina qualsiasi NON concessionaria e con la massima garanzia. Ancora grazie dio! Torna a riposare.

NELLA SFIGA C’È METODO

Io amo, anziadoro il lavoro manuale con attrezzi, martelli, pialle, chiavi inglesi, seghe, viti, trapani, avvitatori, motopercussori, vanghe e picconi. Per cui è giocofacile farmi felice: regalatemi qualunque cosa dal chiodo alla betoniera e io sono felice. Valeria lo sa e fa di tutto per questo. Al mio compleanno Valeria mi regala una sega circolare da banco che non possedevo ancora. Grandioso!Segavo tutto a mano oppure con la motosega (che non si presta a lavori di fino, no?). Decido di inaugurarla in un gelido 5 novembre 2006. A quel tempo non avevamo ancora il riscaldamento centrale nella casa in montagna anche perché non era ancora tutta nostra. Ci scaldavamo con stufe a legna e caminetto. Quel giorno mi prende una smania improvvisa di sapere cosa dovremo affrontare il giorno che si deciderà di risanare l’umidissimo pavimento d’assi della cucina una volta alzate le vecchie assi. Così un mattino in cui mia moglie è partita per 3 giorni ad un congresso decido di prendere la situazione a 2 mani e controllare il pavimento della stanza. Mi dico - Ne tolgo solo un quadratino, taglio 2 assi nell’angolino sotto la stufa a legna, così non si nota neanche.– E così faccio. Tutto sommato è facile, un quadratino e via. Sotto c’è solo terra battuta: una spugna naturale che aspira umidità dall’esterno. -Bhe, magari se tolgo un’asse completa vedo meglioI chiodi saltano che è un piacere e senza accorgermene ho spostato tutti i mobili e tolto tutte le assi. Il pavimento è completamente scoperchiato.

-Bhe, quando Val torna sarà contenta di vedere com’è sotto. Mi fermo qui. – -Mah, magari provo a vedere quanto è compatta la terra da scavare… Quando mia moglie torna trova un disastro a sorpresa: una buca profondai mezzo metro che occupa tutta la stanza con un cumulo di terra nel cortile. E tutto il piano terra sporco dei detriti sparsi dalla carriola.

Didascalia...

Tra riempimento e caldana i lavori si protraggono fino alla fine di ottobre anche perché non ci basta rifare una stanza sola! Visto che ci siamo perché non lavorare di motopercussore e togliere tutte le piastrelle della stanza accanto, scalzare uno strato di vecchia caldana in cemento e rifare anche quel pavimento in assi? Ohibò, è solo la continuazione ovvia di ciò che stiamo facendo e se si deve massacrare una casa facciamolo con dovizia. Va bene, è solo questione di qualche mese visto che lavoriamo nei weekend. Finalmente ai primi di novembre arriva il grande momento della posa delle assi da far diventare pavimento. Abbiamo imparato a posarci i pavimenti da soli ed è una soddisfazione. Oltretutto è ora di inaugurare così la sega circolare nuova e così bella! Ci resta solo una stanza abitabile, il salotto col caminetto installato di recente con canna fumaria nuova. Bellissimo. Già a regime alla grande dall’inverno precedente. Per l’occasione utilizzo tutti gli scarti e pezzetti della legna segata l’estate ata e riempio quasi totalmente il vano caminetto così da avere una buona autonomia di calore mentre noi lavoriamo nelle altre 2 stanze gelide: un posto dove scaldarci a fine opera. Quindi lo accendo e iniziamo a lavorare dall’altra parte. La sega circolare funziona benissimo, una bellezza. Il lavoro procede spedito… …fino a un terzo della sala da pranzo. La sega circolare, NUOVISSIMA, si blocca. Non c’è verso che riprenda a lavorare.

Guardo, la rigiro, la alzo, ma è bloccata. Cerco di fare qualcosa, ma un perno è incastrato non si vuole spostare rendendo il tutto inattivo. La tocco ancora emi prendo la scossa. Non con un filo scoperto, solo toccando il piano di appoggio metallico. Non è isolata. Accidenti ai cinesi. Porcaccia a lei, possibile che tutto quello che compriamo (che mi compra Val!!!) abbia una maledizione nascosta!!?? Dopo vari tentativi, per non lasciare il lavoro a metà, decido allora di smontare la sega e chissenefrega della garanzia, preferisco finire il lavoro piuttosto che aspettare la riparazione gratis. Vedo che ci sono viti e dadi di cui lì per lì non ho lì gli attrezzi giusti, ma ho ben chiaro che li ho nella cantina a cui si accede da una botola nel salotto del caminetto. Ok vado giù a prenderli. Dico a Val di aspettare che sarei tornato subito. Apro la porta della stanza del caminetto e mi trovo avvolto in un fumo denso. - Accidenti – penso - ho dimenticato lo sportello vetrato del caminetto aperto! – penso. Sto per andare a chiuderlo quando alzo gli occhi al soffitto e lì vedo, come nei film, le fiamme rotolare sopra e verso di me. - FUOCO! VALERIA FUOCO! - grido Se solo ragionassi lucidamente potrei evitare momenti di panico e il gran lavoro seguìto. Prima di tutto prendo un estintore da 1 kg (!) che ho per le emergenze ma come unico effetto ha quello di invadere mobili divano soprammobili di polvere bianca, ma è completamente ininfluente. Da quel giorno ho capito che gli estintori da barbeque non sono adatti a incendi di edifici.

Allora corro fuori dal soggiorno dalla porta che dà sul giardino. Sempre correndo vado a prendere 2 secchi e comincio a riempirli alla fontanella che abbiamo fuori. Valeria è fuori di sé come me e corre come una matta. Carica secchi e me li porta, ci incrociamo, torniamo indietro e ce li iamo. La mia mente è alle fiamme che, se dal soffitto intaccano il pavimento di sopra, si propagherebbero velocissime nella struttura di tutti i pavimenti dei tre piani della casa, distruggendola. Presa la scala a como, a mani nude, tiro giù le assi carbonizzate per creare un varco dove lanciare l’acqua dei secchi sulle travi di sostegno del soffitto che stanno bruciando. Mi ustiono, ma non ho tempo di pensarci, anzi, in quel momento non sento niente, il dolore arriverà dopo. Per ogni secchiata che lancio solo un decimo riesce a are nei 10 cm di intercapedine edil fuoco si spegne in un punto per prendere un’altra direzione. L’acqua sembra nonbastare mai, in compenso la stanza si allaga. Io e Valeria corriamo come frullini. È impressionante vedere, nel buio dell’intercapedine, tra soffitto e pavimento sovrastante, le travi inarrivabili brillare come braci, anzi, in qualità di braci, e vederle riattivarsi all’improvviso da più parti e dover lanciare l’acqua in uno stretto pertugio. Le assi del soffitto sono ottimamente inchiodate e non le riesco a divellerle se non quando sono carbonizzate. Non ho tempo di cercare leve adatte perché il fuoco prenderebbe il sopravvento. Correndo tra una secchiata e l’altra riesco a scivolare e rotolare sull’erba bagnata dai miei schizzi e a chiamare i pompieri la cui stazione è a 16 km di distanza. Intanto corriamo e lanciamo secchiate. Mi viene in mente il pavimento della stanza di sopra, fatto di assi antiche. Corro di sopra e sento che èbollente. Corro di sotto e di nuovo su con un secchio e lo lancio per raffreddare il pavimento inondandolo. E poi di nuovo sotto. E su di corsa mentre Valeria cerca di buttare acqua nell’intercapedini. Credo che a vederci siamo proprio uno spettacolo.

Finalmente le travi dopo mezzora di secchiate sono spente. Adesso abbiamo solo tanto fumo, la stanza un macello di prima grandezza con uno strato di melma bianca che ricopre tutto e la stanza di sopra una disgrazia acquatica. Il piano terra sembra reduce da un bombardamento. Ma è finita. E allora, tempestivi, arrivano i pompieri. Spieghiamo la situazione e che ci sembra sotto controllo dato che siamo riusciti a domare l’incendio. Solo ora mi viene in mente che abbiamo un tubo di gomma per innafiare lungo 15 metri arrotolato A FIANCO della fontana, più che sufficiente per arrivare in abbondanza nella stanza in fiamme e spinto nei piu piccoli pertugi del soffitto, che ci avrebbe permesso di risolvere il problema in pochi secondi senza tante angosce, corse, cadute ed ettolitri distruttivi d’acquasprecati. Ma si può?! I pompieri intanto stanno procedendo alle rilevazioni del caso e ai controlli di sicurezza per evitare focolai nascosti. Il capo mi chiede di vedere la stanza di sopra. - Va bene – rispondo - vi ci porto. Uno di loro ha in mano una motosega. Per un attimo penso che anche io ne ho una, ma lo guardo con invidia tutta maschile: ha un attrezzo più grande del mio! Poi però mi assale una vaga preoccupazione seguita da una domanda: motosega? PERCHÉ? Entrano nella stanza, guardano il pavimento. Il capo fa un cenno al collega e quello sposta l’armadio appoggiato al muro dove corre la canna fumaria. Poi con grande calma tira il cordino di accensione della motosega.... e massacra il pavimento ultracentenario. - Ma cosa fa??? - Controlliamo che non ci siano focolai nascosti. -

- Ma il pavimentoooo - Ci spiace ma la sicurezza prima di tutto. – Ehh, immagino le lacrime che stai versando per me, o mio solerte pompiere. So bene che non te ne frega nulla. Scoperchiato il pavimento questo spigiona una nuvola che ci avvolge attirata dalla stanza sottostante. Nube fatta di fumo nero residuo, inutile impalpabile polvere bianca d’estintore, cenere e puzza che ricopre i miei 2 computer, la stampante i driver. Dico metalmente addio a tutti con la preghiera che un cyberangelo li accompagni nei grande paradiso dell’elettronica e dei sistemi complessi (dove manderei tutti i regali di mia moglie). I n quel mentre arriva Valeria che vede quel disastro e scoppia a piangere. Io mi metto a sghignazzare. Prendo mia moglie per le spalle e le dico -Sai, vedrai che faremo tutto più bello, da qui a due mesi saremo più contenti, per questo rido. Vedo già come sarà. – L’indomani siamo sul giornale nella cronaca. Ci salva dalla vergogna solo la privacy che non permette che vengano menzionati i nomi per esteso. Non l’avrei sopportato. Io, che di secondo nome faccio Organizzatissimo,che mi faccio sopraffare da un incendio? Sia mai! Se non fosse stato per la casualità di acquistare una sega circolare che al primo utilizzo si dimostra difettosa (mi ritengo fortunato di aver avuto le scarpe di gomma così sono qui a raccontarlo) non sarei mai andato a prendere gli attrezzi per riparala entrando nella stanza che bruciava. Il fuoco si sarebbe alimentato fino a diventare incontenibile distruggendo tutta la casa. Inoltre poi avremmo dovuto ripagare agli zii le parti di cui non eravamo ancora proprietari (avendo una assicurazione che copre solo la terza parte delle proprietà e uno scarnissimo danni-contro-terzi). Ma che fortuna!!!

Questa volta l’incompatibilità tra Valeria e i sistemi complessi elettricielettronici ha avuto un riscontro finale positivo. Come previsto le stanze sono diventate più belle di prima, il soggiorno col caminetto ora ha le travi a vista e la stanza sopra è diventata la nostra camera personale con nuovi mobili d’antiquariato dalle linee semplici che richiamano lo stile della casa. Sapevo di star ridendo a buon fine. Io riesco a vedere le cose come saranno. Bhe, se vedessi tutto non succederebbero i disastri. Forse sono cieco solo alla Sfiga. L’ articolo sul giornale non permette a nessuno di individuarci. Sarebbe stato atroce, peggio dell’incendio! Ma la mia boccaccia fa il resto: non riesco a stare zitto e racconto tutto a chiunque mi ascolti, nei minimi, più umilianti particolari. Non c’è proprio fine all’autolesionismo. E fu sera e fu mattina…

Didascalia...

PET THERAPY

Stamattina ci alziamo e il gatto di nostra figlia, non viene a svegliarci. Nostra figlia è in Finlandia per studio e ci ha affidato il suo gatto che ha 9 mesi. Quindi è un gatto che sta imparando e noi abbiamo la severa responsabilità del suo benessere psico-fisico-attitudinal-dietetico. FacileDunque il gatto non è venuto a svegliarci. Probabilmente perché ieri sera l’ho buttato fuori di camera (ogni tanto tenta e spera che lo lasciamo dormire sul letto). Che si sia offeso? Apro la porta della camera e non c’è. Di solito appena sente aprire arriva a scheggia anche se sta dormendo da qualche parte. La fame lo attanaglia continuamente e per tutta la giornata vaga per la casa nella speranza che i nostri movimenti significhino CIBO CIBO CIBO. Ma non c’è. Offesissimo? Gli verso le crocchette nella ciotola e la sbatto per terra. Richiamo irresistibile che si propaga anche nel vuoto assoluto. Non arriva. ahi ahi Lo chiamo. Niente. Gli fischio. Niente. Speriamo solo che l’offesa sia stata grandissima. E non sia successo qualcosa. Avverto Valeria che il gattino non c’è. In soggiorno la linguetta dello sportello nel vetro della porta sulla veranda, indicatrice di direzione, è rivolta sull’interno, dentro, quindi significa che non è uscito per i bisogni nella sabbiera. Ormai sveglissimi entrambi andiamo in studio.

La portafinesta è aperta nello spiraglio della sua misura. La portafinestra è il suo schermo sul mondo. Noi abitiamo al primo piano, o al secondo… bhe dipende da come si calcola l’ammezzato sotto di noi. Comunque ad almeno 5 metri dal cortile. Per cui non c’è problema. Si è lanciato una volta sola e ha imparato. L’abbiamo trovato una notte tutto rincattucciato sul cemento sotto la terrazzina di sotto quando abbiamo sentito un miagolio lontano e lui non si trovava in casa. Da allora ha imparato. Essendo gatto di appartamento collaudato gli lasciamo quella fessura perché possa guardare fuori e credere di essere un corvo. O perlomeno lui è convinto di esserlo e, con strani suoni che pensa essere il canto d’amore di questi uccelli, cerca di attirarli. Non osiamo dirgli che quegli schiocchi di gola non ingannano nessuno. Ma d’altra parte il suo benessere psichico è a nostro carico e non vogliamo dargli una delusione con crisi di identità. A volte sono tentato di pagare un corvo perché si avvicini quando il gatto schiocca la gola. In fondo mi fa pena che venga totalmente ignorato. La porta è aperta dunque. La notte la chiudiamo. ahi ahi ahi Guardo fuori, niente Lo chiamo. Niente. Mi metto pantaloni e scarpe e corro fuori nella pioggia col pigiamino ( T shirt sbridellata, le mie preferite, con cui uscirei anche per la città se Valeria non me lo proibisse severamente) e faccio il giro della casa dove l’ho trovato l’altra volta. Niente Lo chiamo. Niente Allora mi faccio tutto il nostro blocco di edifici, tutti gli anfratti. Niente

Chiamo, fischio, niente. La vedo male. Torno in casa perché mi pare impossibile che si sia allontanato tanto, forse è offeso e si è nascosto sotto qualcosa. Smonto i battiscopa dei mobili di cucina, magari è sotto. Suo estremo nascondiglio, una sottiletta con le zampe. Una volta l’ho guardato uscire da là sotto e mi è sembrato Gatto Silvestro quando accucciato si muove solo coi polpastrelli. Niente. Valeria si veste a sua volta e partiamo alla ricerca. Lei a piedi, io in macchina per i cerchi più esterni. Coi cellulari pronti per comunicarci le posizioni e le novità. Una spedizione di rastrellamento. Mi faccio un po’ di quartiere in macchina chiamando e fischiando dai finestrini, alla maniera che lui conosce (l’assalto del 7° cavalleggeri). Niente. Lascio l’auto nel piazzale del quartiere e ricomincio a piedi. Mi faccio ogni angolo dell’isolato quasi fino al confine con la strada che porta in città, ma non è da lui allontanarsi troppo: è un fifone e se vede gente scappa. Penso che purtroppo ormai qualcuno l’avrà preso. È un bel gattino rossoGarfield. Tornando trovo un gatto nero sotto un cespuglio che dorme. Poi un garfield in un terrazzino al piano terra assieme ad un altro micio. E’ lui! No, ha una faccia brutta e cattiva e mi guarda sprezzante. Torno a casa a preparare gli avvisi da appendere. Valeria è ancora fuori in ricerca. Fischio per un’ultima volta sulla porta di casa.

...tra gli scrosci della pioggia sento, ma è piu il mio desiderio, un miagolio fioco. Poi piu niente. Rifischio. Niente Rifischio. Ecco mi pare.... Mi sposto e fischio...niente mi riposiziono... mi pare avanzo...niente mi sposto e fischio...forse triangolazione... forse vado verso la casa al numero civico vicino al nostro ...forse forse... ma non c’è un solo posto dove possa essere, ho già controllato. Fischio...miagolio forte fischio... un gatto che piange Lo chiamo e piange...ma dove? Viene dall’alto? DALL’ALTO????? Da una terrazza? E come ha fatto? No. Ma dove allora? Mi giro e l’ovvio appare. Nella nostra casa in montagna ha imparato ad arrampicarsi sugli alberi!

E al numero civico vicino, nel cortile c’è una specie di larice con i rami fittissimi ed intricatissimi. Temo e spero che sia lì. Temo perché sarebbe come infilarsi in un cespuglio enorme, spero perché almeno l’avremmo trovato… e dobbiamo anche andare a lavorare. Infatti a 4 metri dal suolo vedo una massa oscura tra il nero dei rami. Chiamo e il grumo nero piange. È lui, è il nostro gatto incastrato in un groviglio di rami. Stanotte pioveva, deve essere uscito sul cornicione della porta finestre e scivolato. Mai si butterebbe pauroso com’è della gente. Ma i gatti scivolano? Bho. Non sono pratico, ma credo che questo gatto mi farà impratichire in fretta di molte cose. Guardo in su e non mi ci vedo insinuarmi in quegli spazi strettissimi, sono alto 1.80 m per 80 kg e lì ci vorrebbe una lucertola affamata. D’altra parte figurati se faccio la figura di chiamare i pompieri a tirare giù il gatto dall’albero! (e poi costano per questo genere di recuperi. Sia mai!). Va beh, chiamo mia moglie al cellulare e lei per prima cosa pensa che io l’abbia trovato schiacciato sulla strada (ottimista, sempre). La rassicuro. Arriva e cerchiamo assieme di chiamarlo giù, ma quello piange e ha paura. Niente. Allora lascio Valeria di guardia e vado a mettermi qualcosa con maniche lunghe (era ora, è marzo piove e fa freddo)pantaloni lunghi e le scarpe ginniche. Prendo l’unica scaletta a cinque pioli che abbiamo e così attrezzato torno sotto l’albero insinuandomi tra i primi rami bassi. Provo ad arrampicarmi. Troppo stretto e lui non fa un solo gesto per agevolarmi. Immobile.. Allora lo maledico, ma non viene giù lo stesso. Sposto la scala e trovo un varco dove mi inerpico per qualche centimetro

lasciando un po’ di pelle sul tronco ruvido. Niente da fare. Da quella parte è troppo intricato per la mia massa. Comincio a pensare di procurarmi la sega e aprire un varco tra i rami. Ma i pompieri NO! Provo da un’altra angolazione. Arrivo a serpeggiare tra i rami di quel lato come mai avrei creduto, tenendomi forte per non scivolare perché è tutto viscido di pioggia e i rami elastici pendoni decisamente all’ingiu. Finalmente resco ad allungare la mano e a sfiorare il gatto. Naturalmente è aggrappato sull’esterno più sottile di un ramo, non dove questo si divide dal troco e sarebbe più facile da raggiungere. Inoltre è terrorizzato e non vuole collaborare. Finalmente allungandomi su un sottilissimo ramo, aggrappandomi ad ogni asperità perfino con i peli del mio polso, riesco a protendermi abbastanza e a raggiungerlo con la punta delle dita. Lo prendo per la pelle della schiena e tiro. E’ fuso tutt’uno con il ramo. Non riesco a staccarlo Ancora un po’ più proteso lo prendo per la collottola. Niente, non molla. Allora gli strappo una zampa anteriore dal ramo, e resta appeso con solamente l’altra, ma il terrore lo tiene ancora ben abbarbicato. Poi tiro l’altra, tanto che penso gli stia strappando le unghie. Sono in equilibrio decisamente precario. Finalmente quando temo di lussargli la zampa lui cede. Allora lo lascio andare e lo mollo giù, a cadere rimbalzando di ramo in ramo. Sull’esterno sono molto sottili, bagnati e gli aghi non offrono presa, così rimbalza. Cerca di aggrapparsi, frena, ma cade fino in braccio a mia moglie. E’ di un lercio unico: idrocarburi, resina, corteccia, pioggia. È terrorizzato e piange. Lo portiamo in casa, tutti e tre sporchi neri.

E’ intimorito da tutto. Non possiamo lasciarlo così. Gli facciamo la doccia. Mi vesto con guanti doppi in previsione dei graffi, maniche di 2 camicie fissate ai doppi guanti con lo scotch per salvare polsi ed avambracci dalle sue unghiate. Al diavolo il lavoro e la fretta. Pronti? VIA. Tutte precauzioni inutili. Se ne sta buono buono a farsi la doccia calda e poi ad asciugare col phon. Al momento, mentre scrivo è ancora brutto da far schifo, ma è tornato. La nonna, mia mamma, col suo fare tragico direbbe: Mi ha tolto 10 anni di vita. Ma io dico: che ridere! Adesso ho messo una rete di barriera con spunzoni anti arrampicata alla portafinestra. Uno spettacolo! Ma efficace. E fu sera e fu mattina…

Didascalia...

PIRLA E' UN EUFEMISMO

Ormai si sa, mi piace fare il bricolaire. Chiamatemi Uomo dal cacciavite d’oro. Chiamatemi Brugola senza segreti. Chiamatemi Tenaglia dalla morsa fatale. Il problema è che a volte mi sfugge il contesto. Quando finalmente acquistammo l’intera casa di famiglia in montagna, tra le varie cose da restaurare c’era la vecchia botola chiusa da tempo, quella che porta nella cantina sotto il prato che poi si apre sul terreno sottostante con una porta esterna. Insomma: Botola, scaletta ripida, cantina, cunicolo, porta, giardino sottostante. Chiaro? Se non lo è non posso farci niente. Bisogna solo immaginare una linea retta che collega il giardino con la botola e la porta di casa. E quindi eccoci qui, io e mia moglie, diventati ormai abilissimi parquettisti, completiamo il pavimento della stanza sopra con un perfetto incastro della botola. Tutti i grossi lavori li facciamo tra l’autunno e la primavera per goderci l’estate. Ma siccome sono pigro questa volta li faccio a fine giugno, inizio di una caldissima estate… Qui si apre una parentesi sul mio concetto di pigrizia: io anelo al momento perfetto in cui mi vedo con un libro, un sigaro, una sdraio, un sorso di vodka, con tutto perfetto attorno e nella mia testa la percezione che tutto sia compiuto al meglio. Quindi o l’esistenza a perfezionare il mio status di beatitudine ideale. Mi è successo di mettermi a leggere ed il mio occhio cadere su una pietra fuori posto nel muretto a lato. L’ho ignorata finchè ci sono riuscito, ma lo sguardo cadeva dalla pagina del libro alla pietra, dal libro alla pietra… finchè mi sono dovuto alzare, prendere cemento, sabbia calce e acqua e rifare il tratto di

muro. In pratica la mia pigrizia è un quadro idilliaco in una cornice di sudore. Sono fermamente convinto che siano stati i pigri che hanno fatto il progresso, come la storiella che racconto per convincere gli scettici: Nella notte dei tempi una famiglia viveva in una capanna sul monte in prossimità di un torrente. Ogni giorno a turno i due ragazzini, figli della coppia che lì viveva, venivano costretti ad andare col secchio a prelevare l’acqua necessaria alla giornata. Il ragazzino attivo ci andava allegramente, quello pigro non ne voleva sapere e lo faceva sempre con malavoglia. Un giorno, stufo di tutta quella strada e quella fatica, desiderando starsene in pace nella sua pigrizia, prese la zappa e piccone, andò al torrente e con furia scavò un canale fino a portare l’acqua fuori dalla porta di casa. Così non dovette più andare lontano col secchio. Tutti furono felici. Ma anche il problema di uscire di casa con il maltempo lo disturbava e allora inventò il tubo e portò l’acqua in casa, poi un sistema per chiudere l’acqua e poi lo scarico per l’acqua sporca….. Morale: se fosse stato per il fratello attivo saremmo ancora ad attingere l’acqua dal fiume. Ecco, questa è la mia filosofia: pigramente attivo (o attivamente pigro?). Riprendiamo da dove avevamo lasciato: ….ma siccome sono pigro questa volta a fine giugno… … miviene in mente che se mi servirà qualcosa in cantina di sera e se non ci sarà una luce di conseguenza dovrò cercare una torcia elettrica che magari avrà le batterie scariche e dovrò sostituirle etc etc… solo il pensiero mi crea troppa fatica! Decido di installare anche in quel vano un impianto elettrico. Ma siccome ha due ingressi, o uscite, non posso pensare di applicare un solo interruttore e una sola lampadina perché se no la scaletta riceverebbe poca luce e per spegnere poi con un unico pulsante dovrei fare troppa strada. E se mi dovesse poi servire anche un punto di alimentazione per gli attrezzi elettrici nel banchetto di lavoro a mezza contina? Di certo ci vuole una presa, non dovrò mica portare una prolunga dalla stanza di sopra!? Lo sforzo mi sfiancherebbe. E se mi servisse la falciatrice all’aperto? Un’altra presa sulla porta di uscita. E se volessi un giorno un congelatore in cantina? Se non metto una presa dedicata

sarei costretto a lavorare per risolvere l’ipotetico problema in un momento magari perfetto, rovinandolo. Meglio abbondare! Dunque, perché possa godere l’estate in tutta la mia pigrizia devo: andare in negozio e comprare 15 metri di cavo tripolare, 2 deviatori, 3 prese a muro, 2 portalampade da miniera (meglio essere sicuri), 2 lampadine … correggo, meglio mettere una luce anche nel giardino, non si sa mai che la sera desideri vedere bene il prato e quindi un altro interruttore, un altro portalampada, un’ulteriore lampadina. Viti, fisher. Trapano, punte e cercafase ce li ho. Cosa non si fa per coltivare la propria pigrizia! Il caldo è di piena estate. Un caldo inusuale che mi costringe a lavorare con solo i pantaloncini addosso. Per fortuna sono nella botola e lì l’aria corre da sopra a sotto e mi asciuga il sudore che copioso scorre sulla mia schiena. Quel giorno sono solo. Siccome il budello della botola è stretto e tirare due cavi anziché uno solo mi urterebbero l’estetica (la pigrizia è fatta di cose belle attorno) sono costretto a mettere le lampadine in serie anziché in parallelo (per chi non capisce non fa niente, non è importante il tipo di circuito). Questo mi comporta che, avendo dimenticato come si allacciano i deviatorimi ritrovo con dei problemi tecnici che devo risolvere per tentativi ed errori. Ho poi anche la sorpresa che l’impianto in serie dà più potenza ad una lampadina anziché all’altra. o l’intero pomeriggio, essendo solo, a provare attacchi, salire la scaletta, andare 2 stanze più in là, accendere l’interruttore generale (che spengo quando lavoro per non fulminarmi), tornare in cantina a verificare se l’impianto funziona, accorgermi che non va niente, rifare la scala, andare fino all’interruttore, spegnerlo, tornare in cantina, provare un’altra variante per gli innesti, tornare su… e così via per ore. Il caldo mi assale, ma l’aria che si incanala mi dà sollievo. Dopo un pomeriggio di tentativi ed errori finalmente tutto funziona. La lampadina all’esterno è potente e illumina il prato. Di quelle dentro una è abbastanza forte e quella delle scale dà solo una luce fioca, ma mi piace perché mi sembra una lanterna di quelle nelle segrete di un castello. Bello. Sono soddisfatto. Ho poco sudore da detergere sulla schiena perché la corrente d’aria mi ha tenuto asciutto, per cui andrò a farmi la doccia giù in città.

Riordino gli attrezzi e torno a casa a 60 km da lì. Quando arrivo sento un dolorino vago alla schiena all’altezza del dorso. In breve tempo si trasforma da dolorino in male mostruoso. Non riesco più a muovermi. Delle fitte mi accompagnano ad ogni movimento. Non credevo potessero esserci dolori così acuti al solo respirare. Con grandissimo sforzo e etti piccolissimi, digrignando i denti mi avvicino al divano. Vorrei restare in piedi perché so che sedermi sarà un dolore inenarrabile. Ma stare in piedi all’infinito è impossibile per cui mi concentro, mi convinco che sarà solo dolore e non mi ucciderà. E mi butto. Lampi di luce in testa, rasoio incandescente dalla schiena fino al petto. E rimango lì a ridacchiare. Riderei, ma mi fa troppo male. Adesso capisco appieno la frase MI FA MALE QUANDO RIDO. Non posso non ridere. Sono fatto così. Mi viene da ridere quando sto male. Soprattutto ora che mi immagino con gli occhi dilatati, fermo, a fissare lo stesso punto nel muro per non muovere un muscolino. E poi, che ridere quando Valeria tornerà e mi vedrà in questo stato e dovrò raccontarle come e perché sono così. Lo so, me ne dirà di tutti i colori. Ma che ridere. Si, ma piano. Ecco, solo ridacchiando. Posso respirare solo con inspirazionibrevi e frequenti, come uno scoiattolo, ma di quelli piccoli. E rido anche per questo perché mi vedo nella mia mente con la boccuccia atteggiata a succhiare aria. Posso vedere la stanza attorno a me solamente girando gli occhi. Non posso muovere altro. Poi penso: Non posso stare così, chissà per quanto tempo sarò immobilizzato se non faccio qualcosa.

E un ricordo si affaccia alla mia mente, un aneddoto raccontatomi tanto tempo fa da mia mamma: quando era ragazza si è presa una brutta bronchite e quando la sera è andata a letto si è portata la boule dell’acqua calda, molto calda, a letto. Se l’è posta sul petto e, troppo stanca, si è addormentata. La mattina dopo si è trovata con la pelle del petto tutta arrossata dal forte calore dell’acqua, ma perfettamente guarita. Ecco la soluzione! La boule nella schiena. Ma devo prepararla! Allora mi concentro…- Al 3 !… In fondo è solo dolore – cerco di convincermi 1…2…3e mi alzo di scatto. Vedo i santi che scuotono il capo, gli angeli con le trombe che mi spalancano porte di luce, la mia vita che mi scorre davanti in un attimo. Soffoco un urlo perché la dignità è la sola cosa che mi resta, ma un lungo grugnito me lo concedo. Sono in piedi. Ora tutti gli altri dolori sono come carezze in confronto a quell’unica lancinante esplosione. in-etto arrivo in cucina e metto a scaldare una pentola d’acqua. Intanto arrivo fino al ripostiglio dove per allungare la mano ad afferrare la boule devo estraniare la mente dal dolore. L’acqua mi sembra a temperatura del ferro fuso, ma alla fine riesco a preparare il tutto. Torno in soggiorno e con un ultimo strazio mi butto seduto. Mi assesto la boule sulla schiena dove mi fa male, in zona alta. Sento il calore che si estende sul dorso. Un po’ lo sento scottare e mi assesto per distribuire meglio il calore.

Comunque alla fine resisto. Penso a mia madre che con la boule troppo calda si è si arrossata la pelle, ma è guarita. Quindi posso resistere anche io. In fondo più fa male e più fa bene, no? Gran detto dei nostri vecchi. E resisto. Sono mica una bambolina delicata. Se penso al dolore del respirare questo formicolio è niente. Resisto, mi fa bene, lo sento. Finalmente Valeria arriva. Entra in soggiorno. Io sposto solo i bulbi oculari e le sorrido. Ovviamente si angoscia immediatamente a vedermi rigido. -Cosa è successo?????-Ma niente… ho preso un piccolo colpo d’aria nella schiena… - e spiego ridendo la situazione. -- Ma sei scemo??? Ma non pensi quando fai le cose???Hai lavorato per ore sudato in corrente! Guarda come ti sei ridotto!!!….Hai preso qualcosa per l’infiammazione???…. – -No, ma mi sono fatto la boule dell’acqua calda. Vedrai che mi a tutto subito, ho fatto come mia mamma. Vedrai che funziona…. – -- Ma speriamo! Guarda in che stato sei ridotto !!! – Iorido A forza di stare fermo mi è venuto un forte prurito alla schiena, ma proprio forte. È più un pizzicore localizzato, ma non posso torcermi per grattarmi anche se mi sento già un po’ meglio. -Valeria, per piacere, non riesco a grattarmi e ho un forte pizzicore alle scapole, mi puoi grattare tu? – -Va bene. –e mi alza la maglietta– MA COSA HAI FATTO!!!??? SEI USTIONATO!–

-Come ustionato? – -Si, hai 3 bolle gonfie e rossissime! Una enorme di almeno 5 cm! Ma non sentivi bruciare? – -Si sentivo scottare e un forte pizzicore, ma pensavo a mia mamma che ha resistito e si è anche addormentata. Pensavo fosse normale e ho resistito! – -Ma sei ustionato! Ustioni di 2° grado! – -Ma io pensavo “Più fa male più fa bene”. – -E guarda tu che bene! Adesso te ne vai in farmacia a prenderti una pomata per le ustioni! – -Non ne abbiamo in casa? – -No! – -Andresti tu? – -No! Ci vai tu! Hai fatto tu tutto questo e tu lo risolvi! Te lo meriti! – -Va beeeene – Stavo un po’ meglio e dopotutto una forma di espiazione dovevo pur trovarla. E mi sentirei in colpa a mandare lei in farmacia: è appena tornata dal lavoro. Si può essere mogi mogi ridendo? Penso di sì perché io ci riesco. Come un vecchietto scendo le scale. Prove tecniche di ottantenne. Mi lascio accasciare sul sedile dell’auto e vado in farmacia. C’è un caldo torrido questo fine giugno. Sono in pantaloncini e maglietta. Tutti sudiamo in farmacia. In fondo è estate. Arriva il mio turno. -Vorrei una pomata per le ustioni. – -Che tipo di ustioni? –

-Bolle – -Si, ma come se le è procurate? – mi prende alla sprovvista e mi viene da dire solo la verità -Con la boule dell’acqua calda! – Mentre lo dico mi accorgo che forse una piccola bugia sarebbe stata utile. Un guizzo negli occhi del farmacista, una velata ironia gli appanna lo sguardo. Sento che gli occhi dei vecchietti, tutti scamiciati e sudati, in attesa dei propri farmaci, si girano su di me. Piena estate e io, giovin virgulto, mi ustiono con la boule dell’acqua calda! Cerco di tenere gli occhi bassi come un quindicenne che ha appena chiesto un pacchetto di preservativi. Esco seguito dagli sguardi muti di tutte quelle persone accaldate che di certo mi immaginano a letto con la boule dell’acqua calda in una torrida estate. -Ti sta bene! – è il commento di Valeria una volta a casa. Se volevo un po’ di comprensione non l’ho trovata. Comunque rido anche di questa sua uscita. Lei non si ripete, altrimenti ci sarebbe stata bene la sua frase storica di un giorno particolarmente nefasto ma che mi ha ribaltato dal ridere: -Ma cos’hai oggi che sei più cretino del solito?! – E fu sera e fu mattina...

LA SFIGA E' UNA SEVERA MAESTRA

E venne il tempo in cui dovetti tornare a Londra per chiudere tutte le attività che avevo lì. Calcolato che in 2 giorni e una notte per sistemare tutto, quindi un bel completo blu questa volta, con scarpe comode di cuoio marroni a pianta larga e suola carroarmato di gomma. A Londra si cammina molto, piove sempre per cui della belle scarpe adatte alle lunghe camminate ed impermeabili sono l’ideale. Bagaglio leggero, calze, biancheria e una camicia di ricambio. Agenda, documenti, carta di credito, sterline. Questa volta non mi si frega. Programma: volo giovedì pomeriggio da Ronchi dei Legionari, albergo, mattinata in banca, recupero dei documenti, bonifico in Italia, e, cosa più importante, tabulati di tutti gli interessi mensili maturati in anni di residenza estera per inserirli nelladichiarazione dei redditi in Italia. Preziosissimi, in quanto strappati a viva forza dalla burocrazia delle banche inglesi. Rientro sabato con il primo volo. Tutto semplice, tutto regolare.Tutti gli imprevisti previsti. Sono uno che impara dalle disavventure. Navetta da dalla città per aeroporto. Sento che sarà un bel viaggio piacevole, a parte l’incombenza banca prevedo di are il resto del venerdì al British Museum. Che uomo di rara cultura!La giornata è piovigginosa e aiuta ad entrare nello spirito del clima che troverò in Inghilterra. Le scarpe sono comode e la fila al check in è breve per cui me la godo. Prendo il biglietto. Mi giro per andare al controllo bagagli e sento che il mio o ha qualcosa di strano. Che la suola si sia scollata? Guardo. No, tutto a posto. E ci

mancava che la sfiga colpisse ancora quando non ho possibilità di rimediare! Va bene controlliamo il bagaglio – solo a mano, viaggio leggero - . Tutto ok, ma mi sembra che il o si sia come allungato. Mah, sensazione. Mi siedo in una poltroncina. Provo a flettere la pianta del piede e le dita di un piede. Tutto normale. La pianta e le dita dell’altro… si piegano di più, e sento come una frescura che si insinua nel piede quando lo piego. Mi porto il piede sul ginocchio e guardo la suola. Un taglio trasversale della gomma l’attraversa completamente fino al calzino sotto. Aveva aspettato fino a quel momento per spaccarsi. Devo andare a Londra, nel paese più bagnato di tutto l’intero universo conosciuto, ho la scarpa rotta, non ci sono negozi di scarpe nel raggio di 5 km dall’aeroporto, lo stesso dicasi a Stansted nella zona arrivi (solo all’interno dell’area attesa inmbarco ci sono negozi) e poi una volta arrivato dovrò correre all’appuntamento. Ma non poteva spaccarsi il giorno prima o 2 giorni dopo?! Ma siccome sono astuto trovo la soluzione. Prendo un sacchetto di nylon, lo strappo, lo arrotolo a salsiccia e, furtivamente, lo spingo nello spacco in modo che faccia da guarnizione. Ora l’unico problema è tenere sempre il piede ben saldo per terra in modo che il bianco del sacchetto non si veda. Ho un incedere strano, la scarpa risulta piegata un po’ all’insù. Ma va be’, dai, mica sono un simbolo di eleganza. Londra finalmente! Aeroporto. Esco e prendo il treno navetta che mi porta in città. Appena sceso sento che la “guarnizione non tiene. Il risucchio del o aspira l’acqua. Ovviamente a Londra sta piovendo. Ma cosa posso farci? Vado verso la metropolitana per raggiungere l’albergo e una sensazione già conosciuta mi prende all’improvviso. Conosciuta e doppia.

La sensazione di arieggio nell’altra scarpa e allo stesso tempo di bagnato. La alzo verso di me e vedo che anche nell’altra suola c’è lo stesso spacco gigante che l’attraversa. Sarà forse la pioggia ma sento il volto rigato di gocce. Spero non siano lacrime. Arrivo in albergo, è ormai sera e nei dintorni non c’è uno che uno di negozi di scarpe. Neanche a parlarne di andare al centro, ci arriverei che tutto è chiuso. Mi cambio e preparo i calzini asciutti per la mattina dopo. E fu sera e fu mattina. Devo andare all’appuntamento col funzionario di banca, i negozi apriranno fra un ora e non c’è tempo. Allora prendo un sacchetto per gli assorbenti che il personale mi ha gentilmente lasciato in bagno e, visto che non è il tempo del mio ciclo (in effetto non è mai il mio tempo di quello) lo strappo in strisce e ne faccio un’altra salsiccia che infilo della suola traditrice. Adesso faccio pandan. Sciaccio con la penna bene tutte e due le improvvisate guarnizioni e spero che funzionino. Macchè, appena sono fuori nella pioggia (sorpresa! A Londra piove.) risucchio tutta l’acqua necessaria per camminare in due spugne. Arrivo in banca e parlo col funzionario coi piedi ben saldi sulla moquette in modo che nulla di strano traspaia da questo serio professionista che sono. Lui non immagina nulla (spero) perché il mio volto è imibile, ma io mi sento come se avessi i piedi immersi in una bacinella d’acqua. Dopo circa un’ora di colloquio esco con i documenti stampati preziosissimi che sono riuscito a strappargli. Senza di quelli non potrei dichiarare gli interessi nella dichiarazione dei redditi ed il fisco italiano piomberebbe su di me come cavallette su un campo di grano. Li metto nella custodia laterale del mio porta-agenda Sono dunque felice nonostante i piedi in ammollo. Ci si chiederà che razza di scarpe io compri. Quelle erano di buona fattura, solide e mai mi avevano tradito. Certo io non compro scarpe ogni mese, quelle comode e di provata fede le adopero ad oltranza, ma mai mi era successa una cosa del genere.

Ma se posso sono anche per evitare le spese superflue, per cui, terminato l’appuntamento importante vedo se trovo in qualche negozio di Londra un paio di scarpe di emergenza, giusto per arrivare a casa dove altre paia mi aspettano. Attraverso un parco, io solitario nella pioggia costante, accompagnato dai silenziosi risucchi che ormai mi hanno intriso i calzini. Mi fermo e ricaccio dentro tutte e due le salsiccette di nylon a forza con la penna: stavono uscendo. Mi sembra di sentire qualche miglioramento. Trovo dei negozi. Bisogna tenere presente che il cambio euro sterlina è ancora improponibile e quindi la scarpa più a buon mercato costa quanto una di grande marca in Italia, se non di più. Inoltre lo stile inglese non fa per me. Potrei comprarmi un paio di scarpe da ginnastica, ma l’idea di pagare 150 euro equivalenti per delle scarpe che non ò più mi fa cambiare idea (intendo quelle minime, da eggio, non quelle running che uso io, quelle sono improponibili). Con quel prezzo prendo 5 volte il volo per Londra! Quindi mi dico – E che diavolo, devo resistere fino a domani, poi ho risolto – Così decido di tener duro e proseguire il programma andando al British Museum. L’importante è non alzare troppo i piedi che non si veda sotto lo spettacolo delle bianche salsicce sfilacciate di nylon che pendono. Il Brish Museum mi affascina perché è lì che ho imparato a “vedere” i quadri. Sono un ignorante in materia artistica, ma la prima volta che ci sono andato è stato illuminante: leggere le scritte descrittive a fianco di ogni opera mi ha aperto un mondo nuovo. Ogni volta che posso torno nelle varie sale del museo a scoprire i vari autori. Il mio ombrellino in una mano l’agenda nell’altra faccio il mio ingresso assieme a tanti altri visitatori, ignari di quello che nascondo alle mie estremità. Resto comunque un ignorante, ma desideroso di imparare. Mi aggiro dunque per le sale. Ce ne sono molte divise per tema ed autore. Molte sono ricche di quadri altre hanno appese alle pareti delle opere monumentali, una per parete. Al centro di queste particolari sale ci sono dei divani dove sedersi ad assaporare le pitture.

Il museo è un labirinto dove le sale sono in un qualche modo numerate ma non ci faccio caso più di tanto entro ed esco a piacimento senza un ordine logico. Certe sale hanno 3-4 accessi. Decido di sedermi anche io sui divani a guardare e cercare di capire perché qualcuno posso venir rapito dalla sindrome di Stendal. Ci provo. Ci provo in tante sale. Sono belli, ma trovo che i divani siano lì più per una funzione riposante dopo ore che cammino su e giù. È sera, non ancora ora di chiusura ma mi sono stancato e decido di andare in albergo anche perché la camera, se non mi presento, potrebbero darla a qualcun altro. Con l’ombrello sotto braccio mi avvio verso l’uscita. Piove. Il risucchio ricomincia e i piedi che stavano cominciando ad asciugarsi ritornano nella loro pozza personalizzata. Dovrei prendere più linee metropolitane, non ho voglia di perdere tempo sottotera e decido di andare a piedi. In un’ora di cammino arivo all’albergo e mi sistemo. Ma prima di svestirmi devo mettere a posto i documenti nel trolley per il volo di domani. Bene, i documenti sono nell’agenda. Si, ma l’agenda… dov’è? Non è da nessuna parte. I documenti preziosissimi e pressocchè insostituibili svaniti con essa. NOOOOO Ma è mai possibile che mi capitino tutte a me? Vabbè che ne ero io il responsabile, ma devo pur attribuire la colpa a qualcuno, e mica sarò io quello! Ok, colpa del Fato.

Si ma adesso devo trovare l’agenda o perlomeno i documenti dentro. Pensa, pensa… dove la posso aver dimenticata? Ovviamente solo al museo. Ma perché l’ho dimenticata? Perché io so di avere sempre una mano occupata con qualcosa e avendo un ombrellino in mano i neuroni hanno inviato al cervello il segnale che tutto era a posto dato che tenevo in pugno qualcosa. Quindi, risultando tutto regolare non serviva ricordarsi d’altro. Ecco come funziona il mio cervello. La mattina, uscendo di casa sa che devo avere senz’altro chiavi, documenti e cellulare, poi viene l’agenda e le altre cose. Quindi è assodato che posso averla persa solo al museo. Il problema è: esattamente dove? Farse quando ho cercato di entrare in estasi sui divani, lì devo aver appoggiato agenda e ombrellino. Le stanze del museo sono quasi infinite, sembra di essere in una scacchiera dova da ognuno dei quadratini puoi accedere a tutti gli altri adiacenti. Mi sono seduto su tre divani, ma non ho fatto caso alle stanze. Devo correre, se mi muovo in fretta avrò si e no un’ora prima che chiuda ed è la mia unica possibilità perché poi ho un aereo da prendere prima che riapra. Risucchiando acqua dalle suole, ma non me ne importa più niente, corro al museo, trafelato ripercorro tutte le stanze cercando una logica nella sequenza dei quadri che mi dica la strada che avevo fatto. Vedo stanze nuove, mi sembra di ricordare qualcosa ma sui divani non c’è niente. Sono uno straccio, capelli bagnati, sudato, occhi allucinati (lo so perché me lo dicono tutti che quando mi infervoro li spalanco a palla) e vago di stanza in

stanza. Mi piego all’umiliazione e cerco un custode (mi sono sempre chiesto se sia una bella vita o un inferno stare seduti su una sedia in una una stanza acontrollare dei quadri per 8 ore). Nel mio inglese da strada gli spiego che ho perso un’agenda, probabilmente su un divano. Lui mi dice di aspettare e telefona al centro nevralgico di tutti i custodi. Si volta verso di me e chiede di descriverla. Lo faccio con il cuore che perde una serie di colpi. Forse ce l’hanno. Hanno trovato un astuccio nero su un divano segnalato da una signora. Pare delle dimensioni di un’agenda. Devo andare dabbasso a vedere se è lui. Mi danno delle indicazioni approssimative per raggiungere il piano sotterraneo, nelle catacombe dei custodi. Anche quelle sono un labirinto e mi perdo. Chiedo concitatamente lumi sulla direzione, ma non sanno a quale ufficio mandarmi. Io non conosco la definizione, o non l’ho capita. Ci impiego un po’ ma alla fine trovo la stanza degli scaffali delle cose perdute. È Lei! Sono contento perché non l’hanno fatta esplodere in cortile per sicurezza, ma forse ne avevano l’intenzione e per una volta sono arrivato in tempo. Sono salvo. Risucchiando acqua, senza ombrello che per la fretta avevo dimenticato in albergo, sgocciolando acqua dai capelli come dopo uno shampoo sorrido alla sera londinese che avanza. Ho i documenti! Mi sento davvero fortunato!

E fu era e fu mattina

LA VENDETTA ARRIVA DA LONTANO

Chi direbbe che sono un serio professionista?! Ebbene, io mi ritengo tale. È la sfiga che mi perseguita e fa sembrare il contrario. Sto tornando da un incontro e la campagna si alterna ai paesi. Hanno costruito un nuovo sottoo che taglia i prati e, suppongo, che questo sia la causa di quanto succederà. Le bestiole non sono abituate ai cambiamenti del loro habitat, ma perché devo rimetterci io? Arrivo al sottoo. Ai lati della strada che si abbassa per poi risalire ci sono due marciapiedi, uno di fronte all’altro, ovviamente. Arrivo nel punto più basso e vedo una forma scura che cerca di risalire il divario tra la strada ed il campo. Con la coda dell’occhio vedo che il salto è troppo alto. Non ci faccio caso più di tanto, ho altri impegni che osservare l’animaletto. Ma il tarlo si insinua nella mia mente. Un rimorso di decenni. È un rimorso che mi perseguita da quando avevo 4 anni, da quando vivevo a Timau, un paese chiuso in una vallata di montagna, ultimo villaggio prima dell’Austria. Flashback Mio fratello ha quasi 4 anni più di me e a quel tempo lo seguivo, io odiato, su ordine di nostra madre. Doveva tenermi d’occhio. Facendola breve catturammo una talpa. La mettemmo in una scatola da scarpe con dei fori per l’aria posandola nel sottoscala al piano terra, lasciandola lì.

Dopo qualche ora tornammo e trovammo che la talpa era riuscita a sollevare il coperchio di cartone riuscendo a guadagnarsi la fuga verso il corridoio per la porta d’ingresso, verso la libertà. La ricatturammo rimettendola nella scatola, stavolta con un mattone sul coperchio. Il mattino dopo, volendo rivedere il nostro animaletto, alzai il coperchio e vi trovai la talpa morta. È stato un rimorso che mi ha accompagnato fino all’età adulta, rinfocolato ogni volta che vedo una talpa, o la fotografia oppure il disegno di una talpa o la semplice parola scritta. Tant’è che mi ha accompagnato fino al fatidico giorno. E torniamo pure al presente. Il serio professionista a oltre quello che sembra un topo in difficoltà. I pensieri professionalissimi che attraversano il mio sempre indaffarato cervello hanno una stasi quando lo sguardo, non l’avessi fatto, mi cade sullo specchietto retrovisore. E si che una vocina mi diceva - Tira dritto, non fermarti! Vai! Vai! – Ma un ricordo dal ato mi fa venire un dubbio - Ma non era un po’ basso per essere un topo? Mi sembrava troppo rasoterra di pancia. – - Vai Vai! – - E se fosse una talpa? Posso lasciarla là? Con quelle zampette laterali non riuscirà mai a salire il marciapiede, verrà schiacciata! – - Chettefrega, non perdere tempo! Vai Vai– -Potrei redimermi! – - Nooooo, non farlo! –

E quindi, riluttante, ma con la possibilità di riscattare il ato, mi fermo al primo spiazzo utile. A piedi torno indietro e ho la conferma: è proprio una talpa, anzi, un talpino, piccolo, che disperatamente cerca un modo per raggiungere il prato, un modo che da solo non troverà mai perché, una volta caduto dal marciapiede opposto, per lui non c’è verso di poter risalire da nessuna parte, come mi è evidente ad uno solo sguardo. Lasciato a se stesso è morte certa. Sorrido dentro di me: Posso trovare redenzione! Una vita per una vita! Io salvo questo talpino e gli rendo il futuro e lavo il rimorso della vita tolta alla talpa 40 anni prima. Un affarone! Con sguardo benevolo gli dico quanto è fortunato ad avermi incontrato. Lui mi guardae intuisco da come mi ammicca che capisce (è una talpa scemo, non può vederti!). Delicatamente lo prendo con pollice e indice per le sue ascelle e lo sollevo all’altezza dei miei occhi. È Calma e rilassata, si lascia fare. -Sei fortunata – le dico - oggi ti è andata bene e io mi riprendo la tranquillità e la Talpa non mi perseguiterà più! – Quindi attraverso la strada e risalgo il pendio con il talpino tenuto per le ascelle. Raggiungo il prato. Penso che probabilmente tornerà a cadere nella strada, ma io il mio dovere l’ho fatto e ho espiato la colpa. Il futuro non è responsabilità mia. Le talpe sono dotate di poteri extrasensoriali? Leggono nella mente? La poso a terra e, un attimo prima che tocchi l’erba mi si rivolta contro di scatto e mi pianta quattro lunghi incisivi, due superiori due inferiori, nel pollice. Vedo le stelle e poi il sangue, il mio. Stringo i denti, devo portare a termine l’espiazione, non posso farmi prendere da desideri assassini proprio ora che posso cancellare il rimorso di una vita.

Porconando come un camallo licenziato lo poso comunque delicatamente a terra e lo vedo scomparire. Il pollice mi sanguina da 4 ferite. Ma si può! Vai tu a fare una buona azione! Decido di telefonare a Valeria, come sempre quando mi succede qualcosa. -Ehi, ciao – -Ciaoo come va? – -Bene – -Dove sei? – -Sto tornando, sono a qualche decina di km da casa – -Bene – -Aehm… mi ha morso una talpa… -COSAAA??! – -Mi ha morso una talpa, anzi, un talpino, piccolo. – -Ma come “Mi ha morso una talpa”? Come è possibile? – -Volevo aiutarla… -Possibile che fra tutti solo a te capitano queste cose?? Una talpa! Ma come fai a uscire di casa per andare a una riunione e farti mordere da una talpa? – -Ero in un sottoo e non riusciva a risalire... Mi ha morso, pensi che mi abbia infettato? – -Esce sangue? – -E sì. –

-Solo tu!!! Adesso aspetta che mi informo (lavora in ospedele. N.d.a.), ti richiamo appena so qualcosa. Ciao – Qualcosa mi dice che non è troppo contenta. Intanto io mi sono redento. Qualcosa ho ricavato. -Ehi allora? Saputo qualcosa? – -Nel reparto infettivi non hanno mai sentito di morsi da talpa. Non sanno se si tratti di un roditore, di un insettivoro, di un mustelide o altro. Non sanno di che parassiti possa essere portatore. – -Accc…. – -Ma proprio da una talpa dovevi farti mordere. Una telefona e lui dice “Mi ha morso una talpa”%&£§#@ç ! – -Va be’ era per redimermi dalla storia che sai. – -Si si va bene – -E adesso? – -Adesso vai a casa che ci pensiamo. Mi informo ancora qui in ospedale e vediamo cosa fare. – E fu sera Tornata a casa Valeria non ha novità. Oltre ad essere diventato la storia del giorno, ribaltato un ospedale in cerca di informazioni, nessuno è riuscito a trovare notizie relative ad infezioni da talpa. -Telefona a Daniela – Daniela è il nostro medico curante -Io?! – -Eh no, io! E certo che tu. Vuoi che le racconti io quello che hai fatto tu? Tu puoi spiegare meglio.Poi vuoi vedere se ti sei infettato o no? –

-E va be’ . – Anche Daniela non sa niente di talpe, ma mi dice che cercherà di informarsi. Nel frattempo mi intima di andare a casa sua anche se sono quasi le 9 di sera. Vuole darmi un’occhiata. Ehi, è solo un talpino! Vado da lei. Con la mia faccia più da schiaffi mi presento alla porta. Mi apre e senza perdere tempo mi porta in soggiorno dove vedo vari volumi aperti . Mi visita la mano. È solo un talpino! - Non ho trovato niente nei miei libri di madicina sulle talpe, non so che malattie trasmettano. – - E allora? – - Allora voglio telefonare a un mio collega infettivologo a Milano, il più grande centro italiano di malattie trasmesse da animali. – Lo chiama, parla con lui. -Niente, non ci sono casi conosciuti di morsi da talpa e quindi esperienze da parassiti da talpa. -E allora? – -Per il momento ti prendi un grammo di antibiotico ad ampio spettro per 7 giorni e vediamo se succede qualcosa. – -Ehi, facciamo esperimenti su di me? – ma lo penso e basta, non ho pudore di protestare dopo che ho mosso il mondo dal Friuli a Milano ai più alti livelli per aver salvato un talpino.

Una pastiglia da 1 grammo di antibiotico per sette giorni è una suppostona grossa, dura da inghiottire. Dalla dimensione mi immagino i batteri che si vedono arrivare contro un’orda di sterminatori senza pietà e mi sento un po’ tranquillo. Ora sono qua a distanza di un bel margine di tempo che scrivo, quindi suppongo di essere salvo. Tutto questo mi instillato una morale: se salvate i talpini non teneteli per le ascelle, lanciateli a porabola alta il più lontano potete il prima possibile! Io mi sono redento e la prossima talpa che vedo la inseguo con l’auto. Il bel gesto ormai l’ho fatto. La vendetta della talpa arriva da lontano, ha atteso 40 anni per copire. Adesso devo rifarmi io. E fu sera e fu mattina…

ZONCOLAN: LA SFIGA A 1850 m

Ho praticato molti sport sia per brevissimo che per lungo tempo: dal nuoto agonistico, al rugby per vari anni in serie B, all’atletica, per are ad una stagione di tennis, sci saltuario come e anche sci di fondo, diving giusto il primo brevetto. Ora pratico il trekking e la corsa sia su strada che per colline e montagne. Ma il ciclismo proprio no. No fa per me. La bicicletta, come l’auto, sono solo dei mezzi per trasportarmi dal punto A al punto B nel più breve tempo possibile. Da qui il fatto che il Giro d’Italia mi stimola un interesse pari a quello per le migrazioni dei gamberetti nel golfo del Messico, ma quando il Giro a sotto casa mia o nella mia vallata allora mi risveglio dal mio torpore culturale. Anche quest’anno una tappa è ata sotto il declivio dove abito. Perragioni lavorative non ho postuto esserci e l’ho perso. Il giorno dopo però la tappa si conclude in cima al monteZoncolan, proprio di fronte a casa. Ma vuoi mettere vedere i ciclisti sulle mie montagne in TV? Non ti perdi niente. Anzi vedi meglio. E poi io detesto la folla, immergermi nella massa. Per cosa poi? Un attimo, un aggio dei ciclisti e tutto finito? Naaaaa, non fa per me. Meglio la TV se proprio devo. Per coincidenza Valeria deve organizzare una Winter School, un corso specialistico per Immunogenetisti e ematologi suoi colleghi, e ha deciso in un Rifugio-Albergo sullo Zoncolan in dicembre, anche per far conoscere la nostra Valle a gente da tutta l’Italia. L’albergo prescelto per l’evento è lo stesso in cui gli organizzatori e giornalisti del Giro d’Italia hanno organizzato come quartier generale.

Gli accordi preliminari col gestore dell’albergo sono già stati presi, ma, visto che al momento l’albergo apre solo d’inverno, approfittiamo della giornata del Giro per andare a parlare col gestore in loco. Conoscendo il Sindaco mi faccio rilasciare un per l’auto per andare fino al pianoro a 4 km dalla cima dello Zoncolan, dove c’è l’albergo. La giornata è soleggiata, solo qualche nuvoletta. Fa caldo. Dobbiamo solo andare all’Hotel in auto, parlare brevemente con il gestore che sa della nostra venuta, guardare eventualmente l’arrivo in vetta su un monitor, tornare a casa. Niente di più. Ci vestiamo all’occorrenza. Data la calura io scelgo pantaloni, snickers, una camicina leggera semitrasparente. Zainetto con macchina fotografica (per avere le mani libere). Valeria pantaloni leggeri, snickers bianche, t.shirt e maglioncino di cotone. Anche troppo per il caldo della giornata. In ogni caso abbiamo dei ricambi e giacconi nel bagagliaio. Non siamo mica sprovveduti! Siamo famosi per l’attenzione che mettiamo nel prepararci per le nostre escursioni in montagna prevedendo ogni emergenza. È il momento, sono quasi le 3 del pomeriggio e ci siamo liberati del lavoro. Possiamo andare all’albergo per accordarci per dicembre. Il ci apre una strada sgombra che porta al pianoro del Rifugio. Lì c’è un ulteriore blocco che ferma i mezzi per il traguardo 4 km più in su. Ma a noi che ce ne importa? Lasciamo alla massa il pigia pigia. Noi siamo qui per la Winter School. Altro che Giro d’Italia! Riusciamo a parcheggiare l’auto più oltre, a circa 200 metri dall’albergo-rifugio in un prato. Mi infilo di muso nel primo tratto disponibile e quindi torniamo indietro a piedi. All’ingresso della hall veniamo bloccati da un cerbero del Giro che non ci lascia are. Ci prende per curiosi che vogliono vedere la sala stampa allestita nel rifugio. Ma per piacere, chissenefrega di vedere giornalisti curvi sui monitor! -Noi dobbiamo vedere il direttore dell’albergo che ci aspetta. Se vuole lo chiami

e gli dica che siamo qui. – Niente di meglio che ostentare sicurezza. Probabilmente il direttore non si sarebbe ricordato i nostri nomi, e l’appuntamento era più una dichiarazione d’intenti fatta 2 settimane prima al colloquio vero che avevamo avuto. Ma tant’è, lei non sa chi sono io e la guardia ci lascia are in fiducia . Non troviamo il direttore, ma un cameriere ci dice che ha preso l’auto ed è andato nella zona dell’arrivo della Tappa a controllare la situazione. Gli telefoniamo. È proprio lassù, ma tra un ora ritorna. Ma bene. E adesso? Gli diciamo che lo aspettiamo all’albergo. Va be. Allora guardiamo le schiene dei giornalisti chini sui monitor. Evviva!. Che goduria. Che palle! Ok facciamo un giretto. -Ehi, intanto che aspettiamo, perché non ci facciamo una sgroppata fino all’arrivo? In fondo sono solo 4 km in salita, abbiamo camminato di peggio che sull’asfalto su queste montagne! Poi ci facciamo riportare giù dal nostro tipo con la sua auto. Almeno ammazziamo il tempo! – Detto fatto. Ma siccome siamo previdenti e vedendo che il tempo sta cambiando propongo di fermarci lungo la strada alla nostra auto, lì tengo sempre un giaccone di emergenza nel bagagliaio, anche d’estate, una coperta, guanti. Non si sa mai. Mica mi faccio sorprendere come un pivellino! Camminiamo verso la montagna, verso l’auto e verso l’arrivo di tappa. Quando siamo a 50 metri dalla nostra macchina il cellulare annuncia la chiamata del vice sindaco dello Zoncolan che ci dice che ci vuole salutare che sta arrivando da basso verso l’albergo. Ok torniamo indietro. Non andiamo più in cima.

Saluti e convenevoli. Io penso di intrattenermi con lui fino all’arrivo del direttore, ma lui dice che non gli interessa di fermarsi e torna a valle, ma se a noi interessa ci può lasciare due per la seggiovia che porta proprio in cima, all’arrivo del Giro. Va bene! E perché no? Saluti e ci lasciamo. Io e Valeria ci guardiamo. Ok decidiamo: visto che abbiamo i (e che sono taccagno e un’occasione gratis non me la lascio sfuggire) perché non usarli? La seggiovia è a venti metri, prendiamola. Ormai il giro sta per arrivare, ce lo vediamo, se troviamo il tipo torniamo in auto con lui altrimenti riutilizziamo la seggiovia. D’accordo? D’accordo! -Senti – mi chiede Valeria – andiamo all’auto a prendere i vestiti d’emergenza? – … e visto che sono anche pigro e se posso evito percorsi inutili… -Naaaaaa, tanto nel tempo che ci impieghiamo ad arrivare su con la seggiovia il Giro arriva, lo vediamo e torniamo subito. Non ci servono, tanto più che non suderemo per la salita. Inutile tornare ancora fino all’auto per poi ritornare qui per andare alla seggiovia. – Così ci accomodiamo sui sedili e ci lasciamo trasportare sulla montagna. Io ovviamente mi metto a raccontare aneddoti tragici su funivie e seggiovie. Dell’ultimo film in cui degli amici sono stati dimenticati sulla seggiovia, di incidenti. Valeria comincia ad arrabbiarsi. Mi accusa di non aver nessuna considerazione per lei che ha paura di tutto ciò che non la fa stare coi piedi per terra. Di come anche in aereo, da che ho saputo e le ho detto che i primi tre minuti al

decollo sono i più pericolosi, io non manchi di far partire platealmente il cronometro dell’orologio appena l’aereo stacca le ruote dal suolo. Mah. Chissà magari esorcizzo le mie paure travasandole negli altri. O forse sono solo crudele. Comunque…. Con la mia camicina semitrasparente e la sua maglietta e maglina traforata ci inerpichiamo seduti su su fino a quota 1.760. Lente nubi rotolano in cielo da nord e da sud. Fa freschetto ma niente di insopportabile. Rassicuro Valeria – Facciamo in tempo a vedere l’arrivo e a riprendere la funivia prima che piova. – -Ma tu non hai freddo con solo la camicina? – -No, ma anche se ne avessi, stasera poi mi scaldo – La mia solita filosofia. Arriviamo in cima. A destra c’è un altro rifugio bar, ristoro, a sinistra il sentiero che dopo 500 metri porta alla zona della Sella dove è posto il traguardo. Il sole si alterna alle nubi. Ci sbrighiamo per non perdere i ciclisti che stanno per arrivare. L’anfiteatro naturale tra i monti è uno stadio pieno di gente. Dall’alto dove siamo si vedono dei tratti di strada che si inerpicano. Proviamo un posto, ma vediamo solo un tornante. Decidiamo di telefonare al direttore per incontrarci lì e tornare giù assieme. -Sono sempre io, siamo venuti su al traguardo. Dov’è lei che le veniamo incontro? – -Io sono giù all’albergo, sono tornato. – -#ǧ+$%&*!! – è il mio pensiero, ma a lui dico – OH ma che peccato, allora ci

vediamo tra poco, appena arrivano i ciclisti prendiamo la seggiovia e siamo subito da lei. – Riferisco a Valeria e allora pensiamo di trovarci una buona visuale. Almeno ci vediamo il nostro primo Giro d’Italia. Siamo lì, gustiamocelo! Non troviamo un posto con una buona visuale. Ci spostiamo da una parte e dall’altra della conca. Alla fine decidiamo di fermarci sul lato più verso la funivia anche se piuttosto in basso. Cerchiamo di sapere quanti minuti mancano all’arrivo, anche perché il cielo si è coperto di nubi. Nessuno lo sa. Nessuno ha idea di dove siano i ciclisti. Mah, saranno quasi agli ultimi tornanti penso,facendo a mente un po’ di conti, le previsioni d’arrivo sui giornali e il fatto che abbiano eliminato buona parte del percorso della tappa per problemi tecnici. Una voce da un’altoparlante annucia finalmente -I corridori stanno entrando a Tualis! – -TUALIS!??? – dico io, - ma è a più di un’ora almeno da qui! Forse mi sono sbagliato e ho capito male. Non riesco più a cogliere notizie mentre sbirciamo la nostra fetta di strada. Dopo mezz’ora con il vento che ha iniziato a sferzare il nostro povero abbigliamento con fredde raffiche sentiamo lo speaker -Ecco hanno iniziato la salita dello Zoncolan!Ma sono 10 km con pendenze anche del 20%, non ci metteranno meno di un’ora! Guardiamo il cielo.

A nord le nubi coprono le montagne e si vedono le strisce di pioggia che scendono fino a terra. Da sud vediamo la stessa cosa. Noi siamo proprio al centro, all’asciutto, ma la gente si sta vestendo con giacconi, impermeabili, mantelle, cappelli, ombrelli. Noi ci guardiamo. -Cosa facciamo? – -Hai freddo? – -Un poco, ma non tanto – -Cosa dici torniamo? – -Mah – -Però è un peccato, siamo venuti fino qua, non vedremo mai più un’altra tappa, siamo sullo Zoncolan famoso in tutta Europa. In fondo anche se ci prendiamo un po’ di freddo almeno non abbiamo buttato questa salita. – -Ma sì aspettiamo. Se proprio comincia a piovere prendiamo la seggiovia e in 15 minuti siamo all’asciutto. – -Ok vediamo come si evolve il tempo. Speriamo che arrivino presto. – -Speriamo. – Dopo mezz’ora il tempo è ancora più cupo. La pioggia più vicina. Il cielo in lontananza è illuminato da fulmini. Ma qui, in vetta, c’è solo un vento tagliente. Ma è solo freddo. Ci scalderemo poi. Io ostento benessere per gli imbacuccati vicino: sono carnico, sono tosto! L’annunciatore dice che mancano pochi tornanti. Io calcolo che col ritmo che hanno ci voglia ancora un quarto d’ora… quando comincia a piovere. Al momento solo qualche goccia. Ci guardiamo attorno. Siamo gli unici vestiti da piena estate. Io dico a Valeria che faccio un giro lì attorno per vedere se trovo qualcosa per

coprirci. Incredibile, Neanche un pezzetto di nylon, un sacchetto abbandonato. Proprio questa volta che mi serviva vedo la gente con le immondizie tutte con sé, ben chiuse nei sacchetti! È la prima volta che vedo una cosa del genere, che bello! Ma che sfiga! Piove. -Cosa facciamo? – -Ormai, tra meno di 5 minuti arriva il primo, sarebbe una beffa andarsene adesso. Io propongo di aspettare – -Va bene aspettiamo. – -Poi (siamo astuti mica lo si può negare!) mentre tutti aspettano che arrivi il gruppo noi andiamo alla funivia e così non avremo fila e saremo giù per primi. – -Bene facciamo così, vediamo il vincitore e via. – Piove di brutto, fa freddo, tira vento e pioggia, e siamo sempre vestiti estivi, ma finalmente il primo matto arriva. Vedo uno scorcio di schiena ingobbita sui pedali che scompare prima del traguardo. Capiamo dall’ovazione che è arrivato. Mi giro verso Valeria per dirle che noi possiamo incamminarci quando, come un sol uomo, tutta la folla comincia a correre e, con sgomento, vedo che corre proprio verso la seggiovia! Noooooo, se arrivano alla seggiovia ci saranno ore di attesa prima del nostro turno e allora sì che il nostro abbigliamento sarà la nostra tomba! Abbiamo un’unica possibilità e la dico a mia moglie -Senti, questa gente non è abituata a correre come noi, noi siamo abituati alle corse in montagna, le scarpe sono quasi da corsa. Tutti questi sono partiti a scatto come bambini, tra poco si sfiatano. Noi possiamo prenderli e sorarli col nostro o e la nostra resistenza. Ce la fai? –

-Si certo – -Allora corriamo! – Ora sta proprio diluviando. Sono solo 500 metri, ma sono lunghi per chi non è abituato a correre su sentieri. Noi prendiamo prima la folla, poi io afferro anche lo zainetto inutile di Valeria e lei più libera ha un allungo che ci permette di raggiungere i primi. A cento metri superiamo anche l’ultimo e vediamo che la seggiovia gira coi sui sedili vuoti, in attesa che i nostri posteriori bagnati fradici si accomodino su di lei. Goccioliamo felici e arriviamo all’accesso. Mi tocco il petto. Mi manca il !!!!! L’ho perso! No, è solo scivolato dietro la schiena nella corsa, Tiro la cordicella e lo presento all’inserviente addetto all’accesso. Certo che sarebbe stata una sfiga magna se dopotutto avessi perso il . Vedo che Valeria ha pronto il suo. Sospiro di sollievo. Anche perché sarebbe stato tragico che proprio adesso, con tutto l’acquazzone, i fulmini intorno che si avvicinavano, il freddo, avessimo dovuto anche fermarci lì. Che sfiga sarebbe stata. Ma ce l’abbiamo fatta. Sorridendo mostriamo i e avanziamo per salire sulla seggiovia. Incontriamo il palmo della mano dell’addetto che ci blocca. -Non si a – dice -Come? –

-Non si può salire. – -E perché? – -Fulmini. – -Cioè? – -Se cade un fulmine sulla seggiovia, come stanotte, restate appesi per ore sotto la pioggia magari di notte… se non colpisce voi. – -UH! Capito – Nooooooooooooooooooooo eravamo i primi, sarebbe bastato 5 minuti prima! E tutto per vedere un matto in bicicletta per una frazione di secondo. L’ho sempre detto io che la TV è una gran cosa! La gente intanto è arrivata e preme. Il solito furbetto, quatto quatto scavalca tutti e cerca di are. Quando anche lui non può salire e io malignamente lo indico a tutti viene smerdacciato. Siamo in un corridoio all’aperto sotto la pioggia battente, delimitato da rete e pali metallici. L’inserviente cerca di allontanarci per il rischio di fulmini. Non siamo mica scemi, io e Valeria ce ne andiamo. Oltre il fatto di essere ormai delle spugne senza ulteriore possibilità di assorbimento ci mancherebbe solo il fulmine. E poi chissà quanto dura il temporale. La gente è matta. Se ne sta lì sotto l’acquazzone per non perdere il turno. Noi corriamo verso la tettoia del piccolo rifugio. Altra gente arriva e si pigia dentro. Io non demordo. Lascio mia moglie sotto il riparo e giro alla ricerca di pezzi di

cartone per farci almeno dei cappellini. Sì, mi sento proprio abbruttito. Non trovo niente: la montagna più pulita dell’universo. Sono orgoglioso, ma anche tanto sfigato. Il temporale imperversa. Non accenna a diminuire. Diamo un’occhiata al locale. Ormai è pieno. Facciamo consiglio di famiglia plenario (facile, siamo in 2). -La situazione è questa: siamo bagnati, infreddoliti, diluvia, tira un vento gelido, non ci sono mezzi per tornare, non prevediamo che la seggiovia torni a funzionare prima di ore se mai oggi funzionerà. Non ci resta che una soluzione! – -Si – -Cosa ne dici? – -Si. Torniamo a piedi. – -Te la senti? – -Tanto, bagnati siamo. – -Sono solo 4 km. – -Si, non ci mettiamo tanto – -Poi arrivati all’auto siamo a posto. Ma prima vediamo se riesco a fare una cosa. Aspettami qui. – A volte bisogna essere spudorati. Ho un attimo di perplessità sulla porta della cucina, ma poi mi ricordo sempre l’ammonimento che facevo a mia figlia: se non chiedi sarà sicuramente un no, se chiedi forse sarà no, ma almeno avrai una minima possibilità di un sì. Alla peggio resti come eri.

Quindi sbircio dalla fessura della porta della cucina. Sono indaffarati come termiti dopo il formichiere. Fortunatamente adocchio lì vicino una cuoca dall’aspetto materno. Sono sempre andato fortissimo con le mamme, fin da ragazzo. Il mio credo è sempre stato “Conquista la mamma e lei ti darà la figlia”. Con il mio migliore sorriso, quello delle occasioni speciali: sorriso con abbinati occhi da cocker, quelli tristissimi, le dico -Scusi, potrei avere 2 sacchi neri dell’immondizia? – -Ma certamente! – mi risponde e scatta via. Incredibile! Pensavo che mi chiedesse almeno perché. Ma forse sono così patetico che ha capito subito. Ritorna in un attimo con 2 sacchi giganti. Le sorrido e la ringrazio e scappo via prima di domande imbarazzanti. Torno da Valeria. Lei ha capito. Cominciamo a lavorare e foriamo i 2 sacchi. Testa e braccia. Abbiamo un camicione fino alle ginocchia. Lo infiliamo. Bellissimi! Almeno adesso, benchè fradici, la pioggia non ci colpirà. Ci sta sotto anche lo zaino. Due immondizie con la gobba! Ma se si deve fare una cosa la si fa in grande. E dunque chiedo a un cameriere al banco (siamo sotto osservazione dalla gente intorno) se ci può dare 2 sacchetti piccoli. -Subito! – Ma che gentili qui in Carnia, sarà l’aria di montagna? Ci porge 2 sacchetti color cacca di bambino dissenterico. Bhe, non siamo in condizioni di poter scegliere e li accettiamo. Li tagliamo in modo che si aprano e ne facciamo due fazzoletti che ci leghiamo

in testa. Uno spettacolo. Il mio rammarico è che non ci siamo fatti una foto. Ne varrebbe la pena visti gli sguardi che riceviamo. - Pronta? Andiamo? – -Sì – risponde lei -Allora via! - e ci buttiamo nel temporale. Non so quale fosse più la pena: vedere la fila che aspetta l’apertura della seggiovia sotto il diluvio o noi disgraziati, tutti di sacchetti vestiti, che corriamo nella pioggia. Io guardando Valeria mi immagino me stesso e rido dello spettacolo in cui mi specchio. Lei lo è per davvero, oltretutto tiene le braccia dentro il sacco nero, non come me che le muovo di fuori correndo, per cui è un cilindro nero con la gobba sormontato da un fazzoletto di plastica dal colore disgustoso che ondeggia a zig zag fra le auto che incolonnate viaggiano a o d’uomo cercando di scendere la montagna. Che moglie spettacolare! Credo che gli ultimi ciclisti siano arrivati da soli. Speriamo che qualcuno della loro organizzazione si sia fermato ad aspettarli. Ma non li biasimo se nessuno si è fermato, il tempo è tremendo. Scompaiono più ciclisti sullo Zoncolan che plancton in bocca alle balene. Scherzo! Correre ci piace, è il nostro hobby. Per cui siamo quasi all’auto in 15 minuti. Mano a mano che ci avviciniamo allo spiazzo del rifugio un dubbio mi coglie. Le macchine sono parcheggiate lungo la strada infilate sul bordo dei prati. A me non piacciono i raduni, le gradi folle. Evito, per cui non sono abituato all’organizzazione.

Vedo le auto e colgo un particolare, che unito ad un altro mi fa correre un brivido lungo la schiena. La strada è stretta, praticamente una corsia, ancora più stretta per le auto parcheggiate a spina di pesce nei prati a lato. Ma perché tutte sono parcheggiate con il muso verso la strada mentre io ricordo di aver sostato con il muso verso il prato? Ho già la risposta: perché loro sanno che non si può fare retromarcia all’insù in una strada stretta di montagna mentre una colonna continua d’auto sta venendo all’ingiù. Ho commesso un leggerisssimo errore. Già mi vedo a piazzare Valeria con le braccia a croce nel mezzo della carreggiata “sia quello che sia” mentre io faccio manovra tra le bestemmie di 4 km di automobilisti imbufaliti. Ma la sfiga deve essersi distratta un’attimo (e mica sono l’unico a cui deve dedicare attenzione!) e un varco si apre e quindi riesco a manovrare e mettermi col muso a valle. Valeria guizza al suo posto bagnando e schizzando dappertutto. Ci mettiamo a ridere. In fondo è divertente. Viaggiando a o d’uomo ci togliamo le plastiche e torniamo ad avere un aspetto umano, per quanto umano possiamo essere fradici e scarmigliati. Siamo all’altezza del Rifugio -Ci fermiamo a parlare col direttore? – chiedo -NAAAAAAAAAAAAAA – in coro. Gli telefono e gli spiego la situazione. Gentilissimo ci offre almeno degli asciugamani, ma decliniamo l’offerta desiderosi di andare al caldo di casa nostra più a valle. Ci sentiremo più avanti. Non osiamo fermarci, gli diciamo, perché prevediamo una fila compatta per 10 km fino allo stop sulla statale. Almeno un paio d’ore. E infatti, 100 metri più avanti, il traffico evapora e si va giù di bellezza in 10

minuti. Come le prevedo io le cose..! Siamo a casa. Abbiamo visto il nostro primo Arrivo del Giro d’Italia. Ci basta. È l’ultimo. Comunque siamo contenti. Il gatto di nostra figlia è sopravvissuto, non si è suicidato ancora (lo farà tra qualche settimana quando si butterà dal cornicione del tetto. Ma è un’altra storia). Gli restano 4 vite. E fu sera e fu mattina… Una sensazione mi prende alla schiena appena sveglio. Un dolorin mi coglie oibò. E ad un tratto non respiro più. Non ho possibilità di muovermi. Non ditemi che non ho più l’età perché non è vero! A 17 anni ho avuto il colpo della strega giocando a rugby per cui non c’entra. Incredibile, il dolore aumenta. Non posso piegarmi perché il male non mi fa sostenere la schiena. Sono ridicolo per come devo muovermi: devo camminare perfettamente diritto e rigido in modo che sia la colonna vertebrale a sostenere il busto, non i muscoli, per cui ho assunta una postura e dei movimenti molto nobili. Per piegarmi devo avere un o su cui fermarmi: non posso usare i muscoli dorsali quindi se devo prendere qualcosa da una mensola devo lasciar cadere il busto in avanti e fermarlo poi con le mani sul sostegno davanti. Camminare come con un bastone infilato dove non si dice, piegarsi come se la schiena fosse senza ossa e muscoli, al momento giusto frenare la caduta con le braccia. Uno spettacolo. Rido, ma poco, perché capisco perfettamente l’espressione: fa male quando rido. Fa male sempre a meno che non stia immobile. Ed è quello che faccio. Mi butto (letteralmente) sul tappeto a guardare sdraiato almeno la TV (è la mia

posizione preferita). Il problema è che mi devo anche rialzare. Troppo dolore, impossibile. Io che ho un’alta soglia del dolore sembra che mi debba arrendere. Mi vedo, sono identico ad uno scarafaggio avvelenato dallo spay: bloccato sulla schiena con le zampe che si agitano. Io sono uguale preciso: cerco di muovere gambe e braccia ma resto bloccato sulla schiena. Con uno sforzo bestiale mi concentro e con uno scatto mi raddrizzo. Pochi dolori sono stati tali nella mia seppur breve vita, ma ce l’ho fatta. Prendo appuntamento col nostro aggiustaossa di fiducia che riesce ad inserirmi nella sua agenda da lì a poco. Stando rigido, ridendo (poco) arrivo all’auto. Per aprirla dovrei afferrare la maniglia ma devo piegarmi. Non posso. Lascio cadere la schiena in avanti e mi blocco sul finestrino senza usare i muscoli dorsali (provate un po’). Il massaggio non porta a frutti, è una infiammazione acuta. Dovuta ad un colpo di freddo trascurato. Ma va?! erà in tre giorni. Bhe almeno a, la sensazione è che non troverà mai più una condizione umana e stavo già pensando a che attrezzi inventare per fare lavoretti da bricolage da una poltrona. Così è, la schiena è tornata a funzionare dopo tre giorni. Ho imparato una morale: il ciclismo è bello visto in TV. Anzi, alla prossima tappa vado a correre in montagna direttamente senza farmi aiutare dai ciclisti. E fu sera e fu mattina…