Manuel Piubello
Davanti allo specchio
1° Edizione 2014
In copertina: Mirko Minicucci
Fotografia a cura di: Jasmen Pranzan
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Ringraziamenti
A Elisabetta ed i miei genitori per il o e la pazienza.
Agli amici del gruppo Masquerade Verona.
My life beyond the mirror
Ormai il sole sembrava sorto da decenni.
Lo vedevo baldanzoso e fiero, ergersi nel suo impero azzurro con spruzzate di grigio e pioggia, sfidando i miei occhi assonnati e anche la mia pazienza. Le tendine logore dell'unica finestra dell'appartamento sono ben presto sconfitte e lasciano trasparire i raggi luminosi all'interno di quel minuscolo spazio vitale.
Un luogo in cui mi sono rintanato ormai da ore, forse giorni. Ricordarmi il tempo esatto mi risutava impossibile.
Era inutile rimanere a letto: mi alzo e mi siedo a lato dell'unto materasso senza nulla se non una misera coperta bianco sporco, colpisco con il tallone uno dei quattro forattini che sostenevano quel lerciume di lana e riprendo lentamente coscienza di me: la pulizia non era mai stata una mia prerogativa di vita e se qualcuno avesse messo il naso in quel monolocale, lo avrebbe di certo scoperto immediatamente, con tutto quel degrado.
Così come non era mia prerogativa il lavoro, la famiglia e, perché no, le donne e la relazione con loro.
Non mi riconoscevo omosessuale, non avevo nemmeno intenzione di diventarlo ma le donne, in generale, non erano strettamente indispensabili nella mia vita. C'era solo una persona importante nella mia vita: Rose.
Piccola. Stupenda. Rose.
Lei non mi abbandonava mai, era sempre presente per me, non mi aveva mai liquidato nel cuore della notte dicendo di avere mal di testa.
Eccola dov'era. Lì vicino. Strofino energicamente gli occhi cercandola per tutta la stanza.
La vedo lì dove l'avevo lasciata la sera prima, seduta davanti alla sua scrivania.
Mi dava le spalle in quel momento, stava respirando lentamente, come in una sorta di contemplazione onirica.
Mi faccio vicino a lei ancora in mutande, gli sfioro la spalla nuda.
Lei alza lo sguardo con delicatezza, incrociando il mio con dolcezza ed un sorriso molto piccolo:
< Ben svegliato, Paul >
< Ciao incanto! Hai dormito bene? >
Lei si afferra la ciocca bionda scomposta sul viso e se la a dietro, lasciandola adagiata dietro le orecchie e rivelando le sue gote bianche ma soffici.
< Come sempre amore mio, lo sai no!? >
Le sorrido, disinteressato della sua risposta, come se non l'avessi nemmeno recepita, facendomi due i indietro, di nuovo vicino al letto.
La informo, sbuffando un miasma terribile proveniente dal cibo mal digerito della sera prima, che sarei andato a farmi una doccia ristoratrice, mi sorride invitandomi a seguirla prima, per fare con lei un nuovo, stupendo salto nel vuoto.
Accolgo il suo invito, non c'era nulla di meglio appena svegliati, mi siedo nuovamente sul letto, lei si pone davanti a me guardandomi ammaliante e pronta.
Afferro la siringa riposta dentro l'astuccio di pelle e inietto tutto in un colpo, senza respirare, senza prepararmi psicologicamente al suo effetto, non esce nemmeno una goccia di sangue, tutto è splendidamente pulito ed efficente.
Il colpo violento al cervello arriva subito in pochi secondi mentre Rose mi sorride e mi parla delicatamente:
<Senti tutto vero Paul?>
Sorrido ingenuamente e beato, mi lascio andare alla sensazione di potere che scorre illuminante in me, la sensazione di disagio per quei luoghi angusti e sporchi scompare così come il senso di fame che mi stava attanagliando, lasciando spazio alla serenità dei sensi e la beatitudine dello spirito.
Le mie pupille si dilatano e spicco un salto da un dirupo.
Cado. Sempre più giù.
Non riesco a dire nulla dello spettacolo che mi si presenta davanti agli occhi e mi riempie le orecchie, mi lascio carezzare il volto da Rose, come una amorevole infermiera da campo.
Dopo diversi minuti il penetrante odore di sudore risale dal mio corpo e mi fa storcere il naso, capisco di dovermi muovere e farmi quella doccia.
Mi alzo dal letto, mi sfilo le mutande abbandonandole in un angolo della stanza e poi entro nel minuscolo bagno con un lavabo incrostato, un gabinetto ed un piatto doccia.
Un minuscolo scarafaggio, preso dal panico, fugge dietro la tazza del water nascondendosi in una delle fessure rimaste dopo anni di noncuranza.
La mia Rose si avvicina e si appoggia alla porta di legno scheggiata, guardandomi con fare morboso.
Non mi abbandona mai, sento i suoi occhi verdi su di me mentre gioco con le manopole della doccia, regolando un flusso d'acqua dalla temperatura decente, inizio a armi il sapone su tutto il corpo.
Un sapone che sa vagamente di ammoniaca e che fa quasi rimpiangere la stravaganza delle offerte proposte: fiori di pesco, lavanda, ciliegie.
Si avvicina alla tenda sgualcita di plastica che ho tirato per un primitivo senso di pudore.
La sfiora con le dita affusolate, vedo la sua sua figura formosa fermarsi a pochi centimetri da me: il tepore raggiunto dall'acqua è meraviglioso e nonostante sento dei formicolii sulle gambe mi lascio cadere in una profonda pace.
< Vuoi entrare anche tu amore mio? E' fantastico! > Domando a Rose che ancora mi osserva attraverso la plastica.
< Non posso Paul! Tu sai benissimo che non posso! >
< Ti vergogni forse di vedermi così? Sei diventata santarellina tutto d'un tratto? >
La sua voce si fa profonda e malinconica.
< Perché io non esisto. Perché sono solo nella tua testa Paul! >
Come se ignorassi ogni singola parola, sorrido come dopo aver ascoltato una battuta piacevole, proseguo la mia doccia tranquillo e senza preoccuparmi della frase appena proferita dalla mia donna, senza dare peso a quella rivelazione.
Vedo Rose andarsene dal bagno, senza dire altro.
Cinque minuti e la mia doccia finisce, esco e mi asciugo rapidamente con l'unico lercioso asciugamano disponibile.
Lo specchio sopra il lavandino risulta essere crepato e appannato dal vapore acqueo della doccia, la mia faccia ed il mio corpo ancora umido viene restituito distorto attraverso la sua superficie.
o una mano per ripulirlo dalla condensa e lo vedo: occhi rossi sbarrati come i cancelli in fiamme, labbra rovinate e tagliate come uno squarcio di deserto ed un petto pieno di lividi, ecchimosi e tagli profondi rimarginati male.
Sul fianco la vedo rilucente e agghiacciante, una ferita profonda e lunga che attraversa il costato arrivando fino al pube, ancora tracce di sangue secco sopra come tracce indelebili.
Come se fosse il momento di svegliarsi e solo in quel momento il torpore fosse sparito, vengo sorpreso e sconvolto dalla visione di me.
< Sono davvero io? > Una domanda che riecheggia nel bagno.
< Certo che sei tu Paul! O meglio, è quello che Paul ha voluto diventare!> Dice Rose, che non è però presente in quella stanza, in quel momento.
Mi controllo meglio, improvvisamente scosso da quella visione straziata: apro le palpebre, spalanco la bocca, mi volto e controllo con le dita ogni centimetro del mio corpo.
Ad ogni aggio nuovi segni di un ato dimenticato o cancellato si rivelano ai miei occhi: braccia con segni indistinguibili di centinaia di aghi che l'hanno perforata, due tagli netti sui polsi che testimoniano un disgraziato tentativo di suicidio.
E' come se il mio corpo non fosse stato mio per diverso tempo.
Non lo riconosco più.
Rose si fa vicina, la vedo entrare attraverso il riflesso dello specchio.
< Smettila di invocarmi con quel nome. Rose. Io non esisto se non dentro te, mi hai creato tu in quella tua testa annebbiata dalle sostanze chimiche!>
Mi giro alla ricerca dei suoi occhi verdi, mi sembra di perdermi in quel piccolo gesto, mi accorgo però che ciò che dice è vero: mi ritrovo a guardare solo le piastrelle unte del bagno.
< Cosa sono diventato io? E tu chi sei tu? >
Rose mi sorride attraverso lo specchio, come una madre che si prepara a dare una spiegazione al figlio, il suo sorriso è genuino come una cosa che sapevo fare molto bene.
Un riflesso di me in un corpo di donna.
< Sei un accanito consumatore di crack e cocaina Paul! Ancora non ti rendi conto di cosa hai fatto? Ancora non riesci a vedere fin dove ti sei spinto? >
La sua domanda si perde in un fiume di pensieri e di angoscie che riaffiorano dalla mia mente come rifiuti tossici in un fiume inquinato e nero.
La mia testa sta scoppiando, sento pulsare le vene sulla fronte, le mie tempie vanno a fuoco e sembra che un timer stia per scoccare l'ultimo secondo di una bomba ancorata alla base del cranio.
< Guarda lo specchio Paul! Lì c'è il tuo presente, il tuo ato e c'è traccia del tuo futuro! >
Mi volto istintivamente, cercando di non fissare lo specchio, sentendomi disgustato da quelle immagini.
Rose mi costringe a guardare, imponendomi con le mani di voltare la testa e guardare davanti a me.
Davanti lo specchio.
Vedo me: eggio per strada con addosso vestiti puliti e stirati. Profumati. Sento la loro fragranza, qualcosa di molto simile ad una madre.
Sorrido ad alcune persone che incontro, ignoro rispettosamente tutte le altre senza scostarle bruscamente o strattonandole.
Ho un caffè lungo in mano, la persona che cammina e che dovrei essere io è contrapposta all'immagine di un mostro sfigurato che in quel momento condivide una stanza lurida in un motel fuori città.
Le immagini si intervallano in rapida frequenza, sono mute ma sono cariche di grida felici e di risate allegre, che si sostituiscono le une alle altre come una danza di malinconia.
Mi vedo bere una birra ad una festa mentre attorno a me volti scomposti e confuse tra loro si spostano, ridono e si accumulano come pile di riviste scandalistiche in un magazzino.
Vedo me ed i miei amici, quelli che sento aver perduto.
Poi vedo una ragazza, si avvicina a me, è Rose, mi prende la mano, mi porta a ballare un lento sensuale.
Mi tocca i capelli con le dita e sfiora le labbra con le sue, mi sussurra all'orecchio una cosa.
Lei ride. Io rido.
Mi porta al piano superiore di quella casa, superiamo sconosciuti tenendoci mano nella mano, come una coppia di innamorati ai primi mesi di frequentazione.
Ci chiudiamo dentro una stanza ed iniziamo a baciarci con ione.
Rose è ionale. Io mi sento intimidito dal suo eccitamento e dal suo fuoco.
Ci sediamo sul letto e dalla piccola borsetta viola estrae una scatolina: la apre davanti ai miei occhi ed inizia a depositare la polvere bianca su un piattino di plastica poco lontana.
Inala con energia e si strofina poi il naso andomi il piattino senza guardarmi.
Ripeto la stessa operazione senza averla realmente memorizzata, rimanendo concentrato sul suo corpo magnetico.
L'immagine si scioglie davanti ai miei occhi, come un gelato lasciato sotto un sole cocente.
< Il tuo ato Paul! Questa è la storia che hai sigillato nei recessi della tua mente per paura di perdere l'umanità che hai venduto! >
< Tu sei reale! Ti ho visto! > Dico spaventato ricordando il suo volto ed i suoi baci infuocati.
Lei non mi risponde, lascia che siano le immagini a parlare per lei: la stessa stanza, la stessa festa, lo stesso istante di quel giorno.
Lei è nuda sul letto ma i suoi occhi sono sbarrati in uno sguardo immobile ed eterno, la sua bocca è distorta in una smorfia, il naso che ancora sta colando del sangue rosso vivo, sopra quello secco e scuro.
Dalla bocca una sottile linea di bava schiumosa arriva fino a bagnare le lenzuola, mi alzo dal letto sconvolto per lo spettacolo e mi rivesto in fretta.
Una striscia bianca come la neve sul tavolino testimonia ciò che poteva essere accaduto.
Accanto alla polvere una siringa caricata di un liquido trasparente.
< Muoviti testa di cazzo! Prendi tutto e vattene da lì! >
Una voce, udibile sia da me che sono in quel bagno sia dal me che è accanto al cadavere di Rose.
Un eco spazzato nel tempo e nello spazio.
Accompagno con la mano la cocaina in un sacchetto ed infilo il cappuccio di plastica abbandonato sul pavimento sulla siringa ipodermica.
Intasco tutto e mi guardo circospetto, l'unico testimone è un corpo freddo ed immobile rivoltato come un guanto sul letto di quella stanza da adolescente
Esco dalla stanza lanciando un'ultima occhiata al corpo di Rose. In un ultimo flebile saluto.
Esclama la Rose nel bagno strizzando gli occhi attraverso lo specchio nella mia direzione.
Le parole della mia immaginazione e le immagini che traspaiono dalla superficie riflettente dello specchio ricostruiscono tutto il mio percorso, la mia fuga, il mio presente e la mia caduta.
< Perché non ricordo? >
La mia mente si rifiuta di rispondere a questa domanda, a differenza delle altre che avevo formulato.
Mi vedo disteso sul letto della stanza accanto, il luogo è lo stesso ma il tempo sembra diverso: sono con una siringa ancora nel braccio, vedo un uomo obeso sorridermi soddisfatto impugnando i miei soldi, gli ultimi spicci che possedevo e che nella fretta di scappare mi ero portato via.
Mi vedo inginocchiato davanti al water del bagno che vomito, con la blatta impaurita dalla luce che sfiora le mie dita con le sue antenne filiformi.
Vedo l'affittuario di quel monolocale bussarmi violentemente la porta d'ingresso, ed io rido al di là della porta con una sigaretta accesa, beffardo e vigliacco.
Rose scompare dal bagno. Sento una parte svanire assieme a lei, in maniera definitiva.
Sono solo e so che Rose non tornerà mai più.
Improvvisamente un forte fastidio alle gambe mi attanaglia.
C'è un terremoto in corso, le mie gambe sobbalzano ed il mio equilibrio si mantiene a stento, rovescio un bicchiere di vetro dentro il quale avrebbe dovuto
esserci uno spazzolino.
Sento la nausea salirmi dalla bocca dello stomaco e toccandomi la pancia attraverso con le dita le costole quasi esposte.
Torno nella stanza principale, mi guardo intorno in cerca di un farmaco o di qualcosa che possa darmi sollievo.
< Sei in preda ad un'aggressività intensa, una delle conseguenze principali di uno stato di overdose. >
Una voce. La stessa di prima. Quella furente e irascibile.
Non è Rose quella che mi parla, è un uomo che si nasconde da qualche parte in quel minuscolo cubicolo di pochi metri quadri.
< Dove ti nascondi? Vieni fuori! Fatti vedere! > Urlo sputando in ogni direzione rivoli di bava, rovescio lo scrittoio vicino all'ingresso ed alzo il materasso con violenza rivoltandolo e rivelando decine di rifiuti nascosti sotto, anche una pistola ed un coltellino.
< L'effetto farmacologico principale della cocaina a livello del sistema nervoso centrale è quello di bloccare il recupero di dopamina nel terminale pre-sinaptico una volta che questa è stata rilasciata dal terminale del neurone nella fessura sinaptica >
Mi giro verso la porta d'ingresso, ho un capogiro. Verto vorticare lo scrittoio rovesciato e anche la porta di legno, un vortice
Non vedo altro che la mia ombra che si agita confusa sugli oggetti e sulle pareti.
< Questo effetto provoca l'esaurimento precoce delle riserve di neurotrasmettitori del neurone presinaptico >
Ricosco la voce che si muove intorno a me come uno spettro. Sento il sudore inumidirmi la fronte, i miei occhi si agitano convulsamente alla ricerca di quella persona ma poi me ne rendo conto, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
La voce è la mia.
La nausea mi costringe a piegarmi su me stesso in preda a conati, mi sdraio sul materasso rivoltato e aspetto un istante, cercando di riprendere aria, il respiro è affannoso ma cerco di controllarmi, tento di rialzarmi per fare chiarezza e per aprire le finestre e far circolare un po' di fresco ma ogni mio tentativo fallisce miseramente.
Sento le gambe deboli, non riesco ad alzarmi. Anche le braccia si fanno pesanti, le abbandono vicino a loro stesse.
< Il soggetto ora è affetto da una paralisi muscolare che interessa gli arti inferiori e superiori, una delle conseguenze più rilevanti e drammatiche di un'overdose. >
La mia voce fuori campo commenta con freddezza ciò che mi accade, i suoi toni mi rendono orrendamente chiaro tutto.
Sono io che sto parlando durante un esame di farmacologia al college.
Ero uno studente di medicina fino a pochi mesi fa, stavo studiando per diventare un medico.
Sognavo l'Africa, sognavo i Medici Senza Frontiere che salvano le vite umane ai confini del mondo.
Chiedo alla voce di smetterla, di lasciarmi in pace e la imploro un momento di zittirsi per farmi riflettere ma dalla mia bocca non esce nulla, faccio fatica pure a respirare.
Mi lascio cadere all'indietro sul materasso, come un pesante sacco di iuta pieno di frumento
< Il soggetto è ora preda di una paralisi respiratoria. >
Il fiato si esaurisce in breve tempo, il battito cardiaco aumenta, sento il cuore pulsarmi in petto quasi a voler uscire, ho troppo poco tempo per ritornare lucido con la mia mente, cerco con tutte le mie forze di risalire alla domanda che ha scatenato in me tutto quel declino infernale.
La domanda, quella che Rose, la vera Rose mi fece nella stanza in cui ha trovato la sua fine.
< Vuoi provare? >
Sento gli occhi farsi pesanti, ho voglia di riposarmi per qualche minuto, giusto il tempo per riprendere energia.
Chiudo le palpebre ma le percepisco già chiuse e ben serrate.
Mi riprometto di starmene tranquillo sul quel materasso solo per qualche minuto, poi mi vestirò, uscirò e riprenderò in mano la mia vita ormai allo sbando.
Che Rose lo voglia o no.
Sento la mia voce.
< Le paralisi muscolari e respiratorie sono antecedenti al sopraggiungere della morte del soggetto >
Indice
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