Cacciatori Di Dote 682g

CRISTIANO GAGGIOLI

CACCIATORI DI DOTE

facilebook

IL LIBRO Tony è un affascinante detective privato che vive nella periferia di Londra; cinquant'anni, un lavoro che frutta il giusto anche grazie all'aiuto della fidata segretaria Sally, un fascino che riesce a sfruttare con qualsiasi donna, e che gli procura costanti oasi di piacere. Questo in apparenza… Perché basterà l'arrivo di una giovane cliente italiana, Chiara, a far crollare le grigie mura del rifugio dietro il quale si era barricato, facendo venir fuori la vera anima di Tony, quella parte che, suo malgrado, non riuscirà mai a sopire. Chiara è in pericolo, suo padre è stato decretato morto per case naturali, in realtà lei crede sia stato ucciso; ora che è legittima proprietaria di un grande patrimonio rischia di essere eliminata a sua volta. Tony avverte strani brividi ascoltandola, scrutandola, non riesce a inquadrare bene la faccenda… quando lei gli rivela il nome del padre: Giorgio Gaddo di Roccabruna, il detective ha un sussulto, e in un crescendo di consapevolezza l'uomo d'azione prende il comando. A un tratto il tempo diventa l'elemento più importante: in pochi attimi capisce che per tenere in salvo la figlia di Giorgio deve lasciare Londra, immediatamente. Tony conduce Chiara nel cuore del bush inglese, a casa di Mandy, la madre di Sally, e mettendosi in moto sembra avviare anche i ricordi: il ato torna con prepotenza attraverso immagini, odori, sensazioni. Ecco allora emergere il soldato, l'arma letale, le campagne militari fatte anni prima, le azioni da spia infiltrata, gli angoli bui di ricordi lasciati sopiti per anni…

L'AUTORE Cristiano Giaggioli è nato a Pistoia e vive attualmente a Montale. Lavora a Pistoia come impiegato. A dire il vero ha vissuto i primi 36 anni della sua vita a Pracchia, piccolo paese montano sul confine tra Emilia Romagna e Toscana, a stretto contatto con il verde delle sue montagne, con la trasparenza dei suoi fiumi, con l'aria pungente delle sue valli. Quando è li, seppur costretto, come inevitabilmente è ognuno di noi, si sente libero. Per questo quando gli chiedono dove abiti lui risponde scherzosamente “A Pracchia, però adesso sono sfollato a Montale!” Ha iniziato scrivere giovanissimo, all'età di quindici anni. Ha partecipato in gioventù (ai tempi delle superiori), senza brame di vittoria, a un paio di concorsi letterari con alcune poesie. Ha pubblicato il suo primo romanzo, L'Ultimo Tesoro, nel mese di Ottobre del 2009. il romanzo è andato in ristampa nel luglio del 2010. Scrive racconti di narrativa per alcune riviste e ha pubblicato nel mese di gennaio 2012 la prima raccolta di 13 racconti, più due inediti, dal titolo Istantanee di caccia: racconti, aneddoti, frammenti e avventure di vita venatoria.

Copyright © 2014 Cristiano Gaggioli

Edizione digitale: facilebook www.facilebook.it [email protected]

ISBN: 9786050379358

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CACCIATORI DI DOTE A mio figlio Massimiliano, piccolo faro nelle burrasche del mare della mia vita. Vorrei che la tua luce illuminasse sempre il mio percorso di padre e di uomo. Con infinito amore.

Tony era un uomo di mezza età; a dire il vero aveva appena compiuto cinquant'anni, ma ne dimostrava qualcuno in più. I capelli brizzolati sulle tempie lo rendevano quel personaggio accattivante che alla fine era, e la pelle ben abbronzata dal sole lo faceva sembrare maturo. Le donne lo amavano così, al primo sguardo, e sembrava pendessero dalle sue labbra. A dire il vero non tutte provavano quel sentimento di ione; ce n'erano alcune che finivano con odiarlo, al punto da tentare perfino di ucciderlo per non doverlo dividere con nessuno. Quando entrava in un locale, inevitabilmente qualcuna si accorgeva di lui e iniziava un tale gioco di conferme e smentite, peraltro finte, che lo portavano sempre a are la notte, o forse soltanto alcune ore del primo mattino, nella camera di un qualunque hotel, sparso in chissà quale via traversa di un sobborgo di una metropoli del mondo. Si svegliava sempre molto prima della lei del momento, si piangeva un po' addosso per quell'ennesimo tradimento, si guardava allo specchio giurandosi di non farlo più e poi finiva col curarsi la sbornia della sera prima con qualche aspirina, subito seguita da una birra gelata. Già, l'anestesia per quel piccolo dolore che gli nasceva inevitabilmente dentro. Nulla di quello che aveva provato nella notte, o nei bagliori del primo giorno, lo rendeva così felice. In fondo non sapeva se era giusto, ma lui lo viveva così. Era quell'attimo in cui uno pensa d'essere immortale. Purtroppo non ci riesce e allora… allora si perde, e lo si fa alla grande. Non andava mai a casa delle sue prede. La tattica era quella di sparire dopo un paio d'ore di sesso, o poco più. Il sesso, per lui, era il decente finale di quella sua situazione ricorrente, che a volte lo portava a comprare, non solo per soldi, un fazzoletto di pace. Una pace intesa come più o meno tutti la intendiamo. Una donna che per un motivo o l'altro dorme accanto a noi, le coccole prima di

tutto, cenare anche in malo modo, però da soli, uno di fronte all'altro e così via. Tony le chiamava le stanze di vita quotidiana, e lui non le aveva quasi mai avute. Erano quelle sensazioni, quelle pulsioni che solo in pochi erano riusciti a catturare. Un giorno incontrò una sua amica e lo fu per sempre. Non che questo gli avesse sconvolto la vita più di tanto… in realtà lui non era stato propriamente amico di lei, ma di suo fratello che, per un motivo o per un altro, aveva perso la vita in uno di quei posti scomodi e inutili in cui di certo non avrebbe voluto essere. Pensò che forse potesse chiamarsi Mirco, e lei in fin dei conti avrebbe potuto chiamarsi in qualsiasi altro modo, forse Beatrice. Erano quelle storie che nessuno avrebbe mai voluto rievocare, e allo stesso tempo finivano con il ripresentarsi in ogni stagione e in ogni colore. Probabilmente in quegli anni d'irriverente ma pacata follia, lui ava le giornate con Mirco, lasciando con scialba trascuratezza che lei tentasse di amarlo. Soltanto a distanza d'anni quel suo sentimento sarebbe venuto alla luce, in occasione di quella che lui avrebbe chiamato per tutta la sua vita: «La storia di Bambino». Chiamavano così quell'enorme gigante buono che aveva paura delle serpi di bosco – chiamate da altri, molto prima di lui, anguille di macchia – e riusciva, in una sola serata, a perdere almeno tre o quattro accendini e un pacchetto di sigarette. Il dolore che Tony provava dentro era ancora forte, al di là dal tempo, dalle stagioni e da lui stesso. Non ava giorno che in qualche modo tornasse con la mente a quei momenti e a confrontarsi con quella figura che, giorno dopo giorno, stava diventando sempre più un'ombra. Nel selciato della sua vita si può dire che avesse visto e incontrato un po' di tutto. Era ato dal servizio di leva alla ferma volontaria, raccogliendo un numero imprecisabile di brevetti, tra cui quello d'elicotterista e d'esperto in controspionaggio. Proprio in una di quelle attività aveva perso il senso delle cose. In un volo dimostrativo con una scolaresca, lui, quello senza macchia e senza

errori, era caduto con il suo elicottero per un banale problema idraulico che un qualunque meccanico avrebbe potuto rilevare. Il suo equipaggio e i giovanissimi eggeri non ce l'avevano fatta. Soltanto lui era sopravvissuto all'impatto. Era rimasto in coma vigile per un paio di giorni e al suo risveglio nulla era stato più come prima, nulla era risultato più facile. Le voci di quei bambini, che all'improvviso finirono col tacere, l'avevano estraniato dalla sua vita. Lo avevano come tirato fuori, e lui da un posto indefinibile si vedeva andare avanti e null'altro. Più tardi avrebbe voluto dare la sua vita in cambio di quella di tutti gli altri. Mentre saliva verso il cielo vedeva i volti ridenti e spauriti dei suoi giovani eggeri, e al tempo stesso vedeva, mentre cadeva, i loro volti pieni di terrore e d'inconsapevolezza. Quella era stata l'ultima volta che aveva volato e guidato un elicottero. Nulla di questo mondo lo avrebbe fatto tornare indietro. La sua follia si mescolava a quella di quei poveri genitori che non avrebbero rivisto mai i loro figli. Il suo ricordo si fermava alla chiesa, dove le casse bianche di quei bambini si distinguevano come cuori rossi in un tappeto di petali di rosa bianca. Il dolore gli era rimasto incollato addosso così, per tanto di quel tempo, che ora non lo sentiva neanche più. Faceva parte di lui. Più tardi, dopo che tutto fu nascosto nei meandri più lontani della sua mente, aveva anche avuto a che fare con un'organizzazione paramilitare statunitense che si occupava di terrorismo e traffici internazionali di droga. Viveva quella nuova vita come una punizione per ciò che gli era capitato, e per quello che a suo giudizio non aveva evitato. A quarantasei anni quella vita lo aveva notevolmente scocciato e forse anche deluso, così decise di mettersi in proprio e ottenne la licenza per la professione di detective privato. Dopotutto chi avrebbe potuto negargliela… aveva, in un paio di occasioni, salvato alcuni dei personaggi più in vista delle varie istituzioni, e c'era chi poteva

giurare che in una rocambolesca missione aveva salvato la moglie del presidente. Quando si parlava di presidente ci si riferiva ovviamente al presidente degli Stati Uniti di America. Senza dubbio questa sua attività non lo metteva al di fuori degli intrighi di potere, anche se lui, sorridendo con deciso distacco, diceva sempre che se ne sarebbe andato, da un giorno all'altro. Per una questione platealmente goliardica e di schema, aveva altrettanti nemici – ad esempio alcune ambasciate africane – che, nell'ombra o sotto la luce dei riflettori, gli facevano presente l'inopportunità di effettuare vacanze nei loro rispettivi paesi, e lo minavano alle fondamenta. Si era ritrovato spesso con la sua macchina messa a ferro e fuoco, e aveva in un paio d'occasioni salvato la pelle rifugiandosi in qualche locale della più malfamata Londra. Era lì che nessuno lo avrebbe cercato mai. Comunque la riconoscenza degli amici verso di lui era vistosa, a volte quasi sfacciata. C'erano personaggi, mai noti, che apparivano nella sua vita e si rendevano disponibili, o meglio, acconsentivano a quegli eccessi che il suo lavoro a volte poteva richiedere, senza mai coinvolgerlo più di tanto nelle vicende giudiziarie di questo o di quel paese. Tutto in cambio di qualcosa o a ricompensa di qualcos'altro. Nulla per nulla. Era arrivato al punto di divertirsi a barattare questa o quell'informazione in cambio di nulla. Nella sua etica professionale aveva capito che l'attesa era un buon compagno di viaggio anche nelle lande peggiori. Diciamoci la verità: era una spia. Più o meno accreditata, ma lo era. Così, dopo avere cavalcato chissà quali mari e tutti, dico tutti, i draghi del mondo, aveva deciso di ritirarsi a vita migliore, almeno lontano dai proiettili da fuoco. Il suo ufficio, infatti, si trovava nella sconosciuta periferia di Londra. Non era un granché, in fondo si riduceva a due stanzette, oltre il bagno, in un anonimo, anzi innominabile quartiere tra un'infinità di palazzi, ma a lui piaceva

così. Non rintracciabile, nessun nome riconducibile a lui sul camlo; solo una quasi illeggibile epigrafe di società. A dire il vero per un occhio poco attento sarebbe apparso come un appartamento ormai dismesso da tempo; non un ufficio, piuttosto qualcosa che aveva a che fare con una giovane coppia o giù di lì. Anonimo e mai troppo in vista. Questo era quello di cui aveva bisogno. Anche se mascherato c'era sempre il problema del suo vecchio lavoro. Era inevitabile che qualcuno, nel bene o nel male, finisse col cercarlo. Allora lui preferiva non farsi trovare. La sua strategia era quell'anonimato così difficile da mantenere allora, e altrettanto vitale oggi. Infatti, anche se la persona era sempre valida e pronta a ogni sollecitazione, gli aiuti tecnologici che provenivano misteriosamente dall'alto oggi non c'erano più. Doveva cavarsela da solo. La prima stanza era l'ufficio di Sally, una venticinquenne biondo tinta, ma con tutte le qualità che le segretarie dei detective devono necessariamente avere; una scollatura vertiginosa in ogni stagione e peggio, in ogni occasione, una faccia da oca giuliva che nascondeva una complicità spasmodica, e a volte irriverente, con il suo datore di lavoro. La sua scrivania era tappezzata di fantasticherie e volte infantili, ma a Tony andavano bene così. L'altra stanza era invece adibita all'ufficio di Tony. Un'enorme scrivania sembrava dividere la sua zona da quella dei clienti che, tra le altre cose, non erano poi così numerosi come lui in fondo si sarebbe aspettato. Non tanto perché pensasse di essere uno sconosciuto tra gli sconosciuti, ma proprio perché, al contrario, lo era. Sconosciuto tra gli sconosciuti. Si sarebbe forse aspettato dei riconoscimenti diversi, magari tra le mura simildomestiche del suo ufficio, ma niente da fare… Chissà quale misterioso aspetto politico o diplomatico, o in fondo soltanto economico, faceva sì che lui, alle luci della ribalta ma anche nei quartieri più

scuri del potere, fosse nominato sottovoce, solo in punta di piedi, e per giunta da quasi tutti. A ripensarci bene ne aveva avuta di gente tra le mani. Forse era solo per questo banale motivo che gli altri, quelli grossi davvero, lo scansavano. Forse tutto sommato lo volevano proprio dove adesso lui era. In una sorta di prigione o di punizione, per quello che aveva o non aveva fatto, secondo da quale punto di vista lo stessero guardando. Eppure nelle sue lunghe mattane aveva anche salvato delle vite, scongiurati divorzi Reali, e forse anche visto la fine assoluta della verità delle cose. Nel corso degli anni aveva sistematicamente appreso che la vita, lo stato delle cose, il tempo e il condizionamento del medesimo di pochi a discapito dei tanti, era una chiave di lettura, una strada… magari non maestra, ma una strada. Allora gli veniva in mente di quando, con suo nonno, andava a caccia per quei sentieri amici e conosciuti, e di come era facile trovare la strada anche al buio. Erano la gestualità e la prassi nelle cose che risolvevano tutto. Solo alla fine o all'inizio del giorno tutto era al suo posto in maniera inconfondibile. Il pensiero ritornava a quegli anni trascorsi in mille avventure dove il suo protagonismo, a volte forzato dagli eventi, e capitato in fondo per caso, lo rendevano triste e cupo nei pomeriggi ati dietro a quella scrivania, su quei fogli soltanto scarabocchiati in attesa che lo strillo del telefono nero, posato lì a così poca distanza, lo riportasse alla vita. Che cosa e perché, e soprattutto chi lo aveva negli anni relegato negli anfratti polverosi di quella metropoli, in attesa della sua dipartita, con una formosa biondo tinta che gli faceva da famiglia e un ufficio che finiva con il fargli inevitabilmente da casa? Questa composizione di domande lo teneva sveglio nelle gelate notti londinesi, dove una Guinness dopo l'altra e qualche goccia di buon whisky sembravano, a volte, la sua inevitabile anestesia contro i dolori del mondo. Di sicuro i soldi non erano il suo problema. Non aveva fortunatamente l'assillo di pagare l'affitto o lo stipendio di Sally, ma

quel telefono, che squillava soltanto come ambasciatore di sciagure, non lo distoglieva mai dal chiodo fisso che aveva in mente. Lo volevano in disparte, in una sorta di prigione senza muri, né porte, né finestre. Avevano pensato di poterlo comprare con i soldi e lui in fin dei conti li aveva accettati, ma alla fine non si era potuto vendere. Non riusciva a tollerare la costrizione mentale dello stare per un tempo indefinito dietro una scrivania bianca e un personal computer che non aveva importanza se fosse o spento. Immaginava che la sua vita fosse divenuta quella, e non se ne poteva fare una ragione. Per ammazzare il tempo, o forse solo per ritardare il momento dell'incontro pomeridiano con il rum, aveva contattato un suo corrispondente e fedele amico di Città del Capo, con cui voleva parlare un po'. Neanche il suo amico era disponibile a parlare con lui, e allora decise di non cercare più nessuno, almeno per il momento. Quel giorno, inspiegabilmente, era stravaccato sulla sua poltrona di finta pelle, mentre aspettava la comunicazione internazionale che non sarebbe mai arrivata, quando Sally entrò senza bussare e gli comunicò: «Ci sono visite! Vedi di rassettare questo posto e di metterti la cravatta». Lui rimase per un attimo interdetto aspettandosi gente in divisa, non importava di quale colore, ma in divisa; poi, facendo capolino dalla porta, quello che vide fu soltanto, o forse solo fortunatamente, una bella creatura che, avvolta in una pelliccia di leopardo, lo stava aspettando. La sua pelle era chiara e luccicava nel contrasto con la pelliccia. Notò subito una stizza d'invidia da parte della sua segretaria per quella donna che era bella e fuori dal comune in un posto come quello. Era forse la classe nella scelta dell'abbigliamento e nel tocco di trucco non pesante, ma al tempo stesso deciso, che la rendeva così affascinante. Comunque chiuse la porta e avvertì la sua segretaria di fare accomodare la cliente, lui sarebbe stato subito a disposizione. Entrò subito nel bagno attiguo all'ufficio chiudendo a malapena la porta, e iniziò un rassetto, come lo avrebbe chiamato Sally, da festa di Natale.

Uscendo dal bagno finì persino per strizzarsi l'occhio in segno di compiacenza, anche se tutta l'euforia finì non appena si rese conto di non essere più solo nella stanza. L'elegante signora bionda ora stava seduta in una delle minuscole poltrone del suo ufficio in attesa di essere ricevuta. Si era messa a suo agio e lui poté osservarla per un lungo minuto, prima che lei lo notasse. La poltroncina risultava staccata dalla scrivania, così Tony poté sbirciare tra le pieghe della gonna della signora intravedendo due splendide gambe, asciutte e vellutate come la seta. Lei non fece neppure finta di non accorgersi del suo sguardo, lo fissò senza disprezzo, magari con quella superiorità inattesa e molto pericolosa, e disse: «Buongiorno signor Tony». E poi aggiunse: «Anzi, buon pomeriggio mio caro». Lui capì immediatamente il sottile rimprovero celato in quelle parole così delicate e, ripreso il controllo dei suoi ormoni, nel rilassarsi rispose: «Mia cara signora, non crederà davvero che un bel paio di gambe fasciate dalla pelle di un buon leopardo possano farmi perdere la testa… anche se credo che non sarebbero le gambe a farmela perdere!». Tony si rese conto che quella donna non era della solita tempra di quelle che avrebbe potuto frequentare in qualche locale malfamato della periferia londinese, e continuò: «Ma lasciamo questi convenevoli a dopo, e mi permetta di chiederle a cosa debbo la sua quanto mai inattesa visita». Riprese fiato sottotono, e cercando di controllare il calore che gli saliva su per il corpo, si avvicinò a lei impercettibilmente. Per un istante, ma solo per il breve battito di un attimo, sembrò che la signora tendesse a rilassare le membra e la mente, ma il tempo dette ragione al pensiero che Tony stava riando: non fu proprio così. Probabilmente la sua era una tecnica per testare la reazione del suo interlocutore; una strategia ata e riata centinaia di volte, di fronte a chissà quante e quali persone. Lasciava, in quel preciso momento, magari del tutto inconsciamente, che le sue sensazioni viaggiassero alla stessa velocità imposta dalla frenesia della vita moderna. Forse credeva che anche quelle del suo interlocutore si muovessero allo stesso ritmo, e sperava che pure le debolezze fero lo stesso.

«Mi chiamo Chiara. Chiara e basta, se è questo che vuole sapere» disse, mettendo una pietra molto grossa tra loro. Già, a prima vista sembrava che lei volesse dire solo l'indispensabile, desiderando inconsciamente di spiattellare tutta la sua verità; ma le parole, come in un filtro a maglie troppo piccole, non riuscivano a uscire. Era un meccanismo che lui conosceva fin troppo bene, e che capì all'istante la persona che aveva di fronte. Una pausa di riflessione, forse, o solo il tempo necessario perché il fuoco di un accendino desse il via all'ennesima sigaretta, e poi aggiunse: «Sono qui proprio perché ho bisogno dei servizi di un professionista, e soltanto dei suoi». «Del professionista immagino!» esordì lui, marcando l'affermazione con il tono della voce, sottintendendo che lui era il migliore. Poi Tony guardò la signora con rammarico e le disse: «Andiamo signora, non vorrà mica farmi credere che, tra tutti i detective della città, anzi del mondo, considerato quello che si può trovare su internet, lei abbia scelto proprio me, per giunta in uno dei sobborghi più malfamati di Londra!». «Non sono a Londra per caso e mi creda, la sua scelta non è per nulla casuale» mormorò lei dando i primi segni di cedimento. In fin dei conti aveva capito che la sfacciataggine e la durezza di quella donna erano soltanto una sorta di facciata; comprese che stava impostando una difesa, forse era stata abituata così. In fondo lei doveva necessariamente essere diversa da come avrebbe voluto farsi credere. Lui ancora non riusciva a capire il motivo, ma la sensazione era quella. Tony si ò la mano nei capelli e poi, guardando in un punto imprecisato della sua memoria, cominciò quel meticoloso lavoro di ricordo per familiarizzare con quel volto e iniziare finalmente la sua ricerca. Per lunghi attimi un silenzio quasi religioso contagiò anche Sally, che nell'altra stanza faceva le sue cose in una riverente e inusuale pacatezza. I secondi avano veloci ed entrambi in quella stanza iniziavano a provare una sorta di disagio, quasi intolleranza. Quel gap temporale, dove nessuno diceva nulla e tutto rimaneva così, come entrambi non avrebbero voluto che fosse, era troppo

pesante. «Io non posso neppure ascoltarla se lei non mi aiuta a capire…» disse Tony ormai allo stremo di quella situazione. «Lei non capisce…» si affrettò a dire la donna senza guardarlo più in faccia e iniziando a singhiozzare. «Appunto… – disse lui – proprio non capisco!» Lui fermò con la mano la donna che cercava di riprendere quella strampalata discussione e le disse: «La prego, mi aiuti ad aiutarla». Rifletté solo il tempo di fare il giro della scrivania, percependo il fragore del crollo del muro che li divideva e sedendosi sulla poltrona accanto alla sua. Le disse: «Adesso le faccio preparare un caffè, poi lei mi dirà la verità, tutta la verità». Chiara chinò il capo come per acconsentire, e poi sembrò davvero più piccola nella sua immensa pelliccia. Chissà che cosa gli avrebbe detto… La sua mente andò a cercare chissà quale anfratto, alla ricerca di qualche situazione dormiente che poteva essersi insinuata lì in fondo. Non aveva lasciato situazioni particolari aperte, e in tutti quegli anni nessuno si era affacciato alla sua porta con così tanto calore e mistero. Non sapeva se essere contento di quel potenziale lavoro o se averne paura. Si preparò al peggio; bugie di una sconosciuta inviata da chissà quale nascondiglio del suo ato, oppure soltanto l'ennesima dolce e sensuale valchiria, pronta a tutto per qualche migliaio di sterline. “Valutazione certamente di parte” pensò alla luce di tutto. Nel suo lavoro la riservatezza, il senso d'impercettibilità, il mistero che doveva inevitabilmente lasciare, lo rendevano al tempo stesso indomito predatore ma anche stra-cacciata preda. Il tempo gli aveva insegnato, specie nei rapporti interpersonali, che nulla veniva per caso, così come la neve nelle gelide mattine

di gennaio si faceva preannunciare, in una giornata di etereo sereno, insieme alla brinata che fiabescamente avvolgeva tutto in uno zucchero filato. Quei pensieri mulinavano in una parte del suo cervello, protetti da un'espressione serena e tranquilla. Sentiva quella donna familiare, non sapeva quale percorso la sua mente stesse facendo, ma la sentiva così. La calata della sua voce lo riportava molti anni addietro. Purtroppo una nebbia fitta non gli permetteva di mettere a fuoco, di ricordare. Alla fine pensò che potesse essere soltanto una sensazione, o la tragica conseguenza dell'accaduto odierno. Vide il volto di Chiara riprendere il suo normale colorito e interfonò a Sally di portare un robusto caffè. «Ho paura» disse, e poi aggiunse: «Non mi ero mai trovata in una situazione come questa». Tony la fissò negli occhi mentre aspettava che Sally avesse servito il caffè e se ne fosse andata, e in un attimo, come accade spesso, qualcosa cambiò. Nulla di quello che avrebbe detto lo poteva minimamente turbare; in fondo lui, di storie perse, ne aveva viste e ascoltate già abbastanza. In un momento normale della sua vita non le avrebbe neanche permesso di salire le scale del suo ufficio, ma oggi no; oggi sentiva il bisogno di aiutare quella donna che nel suo silenzio gli aveva già raccontato molto di se stessa e della sua vita. Pensò davvero che il destino avesse un gusto antico, da apprezzare con gli anni e con l'esperienza… poi quell'ultima parola trovò un'importante sostituta… conoscenza. Allora pensò che forse avrebbe potuto essere sua sorella, sua madre, sua moglie, e nell'insieme più grande che le comprendeva tutte, sua amica. Voleva e doveva darle tutta quella sincerità che forse altri non le avrebbero concesso mai, non fosse altro che per il semplice motivo che lei si trovava nello studio di uno sconosciuto, alle prese con un grave problema che lui non conosceva ancora, ma che percepiva già reale e presente. Quegli attimi sembrarono eterni, poi, dopo che l'odore del caffè e dell'ennesima

sigaretta aveva invaso l'ufficio, lei piegò la testa verso la comoda poltrona e iniziò: «Sono una signora fortunata della borghesia fiorentina, vivo da sempre divisa tra un castello sulle colline del Chianti e un appartamento in centro a Firenze. Mio padre era un uomo solido e deciso, e ha costruito la sua fortuna sulle basi lasciate da mio nonno. Era un imprenditore edile, mi ha lasciato beni immobili e liquidi per svariate decine di milioni di Euro. Dovessi dire la verità, a tutt'oggi non saprei calcolare con precisione l'ammontare del patrimonio, ma i soldi mi piovono addosso come le sciagure negli ultimi tempi». La fermò con un cenno della mano, non potendo più attendere. «Mi dica qual è il problema!». «Credo che mio padre non sia morto per cause naturali, come mi hanno detto, e che la mia vita sia in pericolo» gli disse, gelida come la pioggia di novembre negli stagni quasi cristallizzati del bush inglese. Lui buttò gli occhi fuori della stanza, immergendosi per un attimo nel freddo, caotico traffico della periferia, e poi disse angelicamente: «Perché la sua vita sarebbe in pericolo?». Quindi aggiunse scortese: «Chi sarebbero i suoi carnefici? E soprattutto, cosa c'entro io?». Non capì se lei era sconsolata dalla sua insolenza o dalla propria reale disperazione, ma gli rispose: «Non lo so con esattezza, ma posso assicurarle che dopo la morte di mio padre non sono più stata libera di fare nulla da sola, ho sempre avuto qualcuno vicino a me… i soci di mio padre, le loro mogli, i loro servi, i loro figli, e tutti i ruffiani di Firenze e dintorni». Poi, dopo una riflessione neanche tanto attenta continuò, come se con lui già non misurasse più le parole: «Prima ero una donna libera. Mai, in nessun caso, le persone che le ho appena accennato si sarebbero permesse di chiedermi dei miei spostamenti o della mia reperibilità; mai me li sarei trovati all'uscita dei locali che frequentavo, e tanto meno avrei immaginato che avessero potuto far sparire la maggior parte dei miei amici, o addirittura i miei spasimanti». Riprese fiato giusto il tempo di una boccata di fumo, poi continuò: «Avevano iniziato anche a sedarmi. A un paio di mesi dalla morte di mio padre non riuscivo a stare sveglia per più di qualche ora. Tramite una conoscenza occulta all'ospedale di Careggi, e sotto falso nome, sono riuscita a farmi eseguire le analisi del sangue».

Lei spiegò a Tony che le stavano somministrando un farmaco antidepressivo in un dosaggio bassissimo. La sua stanchezza poteva essere comunque percepita come crisi depressiva, e se curata con altri antidepressivi la frittata sarebbe stata fatta. Non seppe spiegare come facevano a somministrarle il farmaco, fatto sta che, nonostante non consumasse quasi mai cibi o bevande a casa, i suoi esami risultarono sballati ancora per qualche mese. Il suo contatto all'ospedale le dette un ulteriore farmaco da assumere quando la sonnolenza si faceva avanti. Quello era il segnale che l'avevano sedata. «Mi avrebbero portato alla morte» sentenziò infine. «Be', signora Chiara, anche io farei lo stesso. Immagino che suo padre le abbia lasciato tutto il gruzzolo, un bel gruzzolo direi. Immagino anche che lei sia figlia unica, non è vero?» chiese certo della sua risposta. Non le fece neanche prendere la parola che continuò: «No, non mi dica nulla. In più suo padre, conoscendo bene il mondo che lo circondava e quali sarebbero stati gli squali che la attendevano dopo le onoranze funebri, ha lasciato un testamento di ferro che vincola il patrimonio alla sua esistenza in vita, e soprattutto alla sua salute fisica». Questa volta fu lei a interromperlo e aggiunse: «Proprio così, salute fisica… ma non mentale! Inoltre il mio sposo erediterebbe almeno il 50% dei beni se io mi ammalassi, e se poi morissi dopo il matrimonio, allora il bottino sarebbe totale». Tony cercava di riflettere come se una linea ADSL a 4 megabyte fosse collegata tra il suo cervello e il resto del mondo. Che cosa poteva fare per quella donna, bella e affascinante, quanto debole e sola? La domanda successiva che gli vorticava nella testa invece era un'altra: cosa sarebbe disposta a fare Chiara per aiutarlo a salvarle la vita? Domande che in quegli attimi non trovavano risposte concrete e credibili dalla sua interlocutrice, anche perché, in fondo, era lui stesso che se le formulava e lui solo, per adesso, cercava di dargli una risposta. Adesso pioveva.

Il tempo da quelle parti finiva per rappresentare gli animi soltanto di alcuni, ma non di tutti. Una sorta di tristezza stratificata da anni, forse decenni di soprusi e sopraffazioni, condizionavano inevitabilmente la vita di quelle persone. Il principio era la tolleranza a prescindere, ma nessuno ci credeva e quel concetto, mirato alla pace, finiva per perdere irrimediabilmente il senso del suo essere, fino a che tutto tornava inutilmente verso una strada xenofoba e intollerante. «Mia cara signora, lei ancora non ha risposto a una delle domande che le ho fatto prima» disse Tony abbozzando una sorta di smorfia poco credibile e quasi ridicola. Lei lo guardò con rammarico, poi abbassò la testa e disse: «Mio padre era un suo grande amico e stimatore. Si chiamava Giorgio Gaddo di Rocca Bruna». Quel nome… Quel nome lo fece sobbalzare come fosse in preda al dolore più atroce. Si voltò verso di lei, poi la guardò con un misto di rabbia e comione e sibilò: «Chiunque veramente tu sia, non devi mai ripetere quel nome! Giorgio non aveva figli, e tu menti». «Vorrei proprio che fosse vero, ma purtroppo non è così» replicò lei guardandolo fisso negli occhi, lasciando che due grosse lacrime le rigassero il viso e il trucco. Tony capì che non mentiva, e provò per lei una vera pena di dolore. Il ricordo di quell'uomo, di quell'amico, lo aveva morso per lunghi anni, e proprio adesso che la sua mancanza poteva essere somatizzata, eccolo di nuovo ripartire dal via. Nella sua mente il treno dei ricordi si mosse alla ricerca di quel qualcosa che gli era sfuggito, di quel particolare che poteva aver trascurato, di quella distrazione che lo aveva tradito, di quell'amicizia con l'uomo che aveva finito col renderlo vulnerabile. Nella sua mente si fece poi tutto chiaro.

Controvoglia, venne alla sua memoria quel fatto, quella parentesi che Giorgio aveva celato per tutti gli anni della sua vita. Ricordò delle fughe da cena, delle telefonate a metà, di quei regali piccoli e a volte infantili che Tony pensava dovesse regalare alla figlia di una sua donnetta. E invece no, erano per lei, erano per Chiara. Non c'era nessuna donna nella sua vita, tranne lei. Ma come faceva adesso a pensare tutto questo, quasi lo avesse sempre saputo? Domanda tristemente ridicola e tardiva. Avrebbe dovuto capirlo prima e restargli vicino anche quando lui, forse per quell'amore estremo, oggi chiaro, rivolto verso di lei, lo aveva allontanato dalla sua vita. Lì per lì non capì. Oggi tutto era senza dubbio cristallino. La paura, soltanto la paura che le sue amicizie potessero arrecare danno a lei lo avevano fatto allontanare dal suo amico di sempre senza una ragione apparente. Tony aveva sofferto di quel comportamento e poi lo aveva cicatrizzato nel suo cuore, portando con sé, sempre con sé, le fitte, talvolta profonde, di quel dolore. Chissà perché in quegli anni Tony trascurò così palesemente quei fatti. Forse se commessi da altri non li avrebbe fatti are. Vedeva fuori dalle finestre apparire qualche ombrello tra gli intrichi secchi degli alberi in inverno. I colori lo colpivano con enorme straordinarietà; un'accozzaglia d'arancio e viola, e poi ancora verdi di tutti i tipi, senza escludere il pistacchio. eggiava nel suo ufficio come non aveva fatto mai, dava volutamente le spalle a Chiara: ora voleva soltanto pensare. Ogni tanto le lanciava un occhiata fugace, e la vedeva ancora ghiacciata nel suo atteggiamento di difesa, in attesa della sua condanna. Allora capì, allora decise. «Chiara!» esplose con fragore tornando dai suoi pensieri. Lei, in un sussulto, riprese l'attenzione del momento. «Che progetti ha per i prossimi giorni?» le

domandò. Sapeva già che il programma che aveva pensato non le sarebbe piaciuto. La logica era di sparire nella “boscaglia” e rimanerci per tutto il tempo necessario. Naturalmente quello che lui stava definendo con il termine boscaglia, non era proprio la foresta amazzonica del Borneo. Troppe volte aveva condiviso il suo giaciglio con qualche bestia strisciante, in cerca soltanto di un po' di calore e di un posto abbastanza tranquillo dove are la notte. «Vorrei soltanto poter riposare» le disse piano, in un tono quasi soffocato, e poi piegò la testa verso la spalliera della poltrona simulando quei momenti. E allora tutto fu più chiaro: no, fu migliore. Rimase per un lungo attimo ad osservarla mentre metteva in mostra le sue debolezze e le sue paure. Le prese la borsetta di mano senza dire nulla e la svuotò sulla scrivania, lasciandola sprofondare nella propria incredulità. «Che cosa sta facendo?» gli chiese stralunata da quel suo gesto scellerato, cercando, tra le altre cose, di ricomporre quella frattura evidente. In quei gesti, che affondavano nella sua privacy, si sentì persa e decisamente sola. Lui non perse più di dieci secondi, prese il suo telefono cellulare, lo aprì e tolse le batterie. Le rimise nel loro alloggio al contrario, in modo che non fero contatto, e poi rimise il telefono e gli altri oggetti nella piccola borsetta di pelle di coccodrillo. Per un paio di volte gli ò tra le mani un taccuino piccolo e così vecchio che la pelle, una volta lucida, ora risultava quasi vellutata. Era tenuto chiuso da un banale elastico giallo ocra, e al suo interno si intravedevano decine di foglietti ormai sgualciti che uscivano da una parte o dall'altra, incartapecoriti

dall'inesorabile are del tempo. «Troppi e forse troppo vecchi, i numeri di telefono custoditi in questa minuscola agenda» disse a Chiara, che lo guardava a metà tra l'incuriosita e l'indispettita dai modi bruschi di quell'uomo che, in un attimo, aveva preso possesso di qualcosa di personale. «Penso che dovresti farti un po' di più gli affari tuoi!» disse mostrando sul volto una ruga di nervosismo, e poi per mettere in chiaro le cose gli chiese: «Quanto mi costerai? E cosa farai, in pratica?». Lui si mise una mano davanti alla bocca cercando di inibire la rabbia per quell'approccio poco garbato e un po' fuori luogo, e appoggiandosi con i gomiti sulla scrivania ciancicò: «Non parlerei di soldi adesso. L'importante è metterti al riparo da quei pericoli che mi hai detto, e che in qualche modo ho potuto capire da te e dalle tue paure». Lui la guardò ancora con attenzione e avrebbe voluto dirle la famosa frase: «Intanto mi dia un buon anticipo in sterline inglesi o altrimenti si accomodi alla porta» ma tutto quel discorso gli rimase nei pensieri. Sembrava che avesse un filtro, o meglio la mano di un vecchio amico davanti alla bocca che lo faceva tacere. «E sia» sentenziò Chiara e poi aggiunse: «Però qualche telefonata devo farla, del resto ho molti impegni e tanta gente che potrebbe insospettirsi della mia mancanza da casa e dal lavoro». «Diciamo che qualche telefonata te la farò fare, ma da un telefono pubblico, e le chiamate non potranno durare più di cinquanta secondi… potresti essere rintracciata» disse Tony mordendosi poi la lingua. Già, pensava proprio come ai vecchi tempi, quando le persone da difendere erano inevitabilmente di un rango un po' più elevato di questa Chiara. Credeva che lei non avesse detto la verità, o meglio, tutta la verità. Il suo iter mentale lo portava sistematicamente a pensare che gli altri, soprattutto le persone che apparivano in pericolo, potessero nascondere segreti o dire mezze verità.

Pareva che fosse ripiombato negli anni di ferro, quando i suoi incarichi erano decisi dalle alte sfere e lui, seppur contrario, doveva sopperire agli incarichi che gli venivano comunicati. Gli tornavano alla mente tutti i suoi viaggi, che alla fine non erano altro che ambasciate di morte verso questo o quel militante, piuttosto che un petroliere o un imprenditore, e una fitta proprio sotto il cuore, come una coltellata, lo proiettò ancora in avanti. Nessuno scrupolo, nessuna ione, si trattava solo di azione. Prese Chiara e la portò in uno sperduto avamposto della metropolitana di Londra e da un telefono pubblico, con una carta prepagata in contanti per le telefonate intercontinentali, le fece fare, seppur a intermittenza, tutte le chiamate che voleva. Chiamò la sua tata e le disse che per un po' non si sarebbero potute vedere, e che non rivelasse a nessuno della sua partenza. Chiamò la banca che controllava i suoi flussi di denaro e informò di assumere, tramite il fiduciario nominato dal suo povero padre, il controllo dei suoi beni. Chiamò il dentista e la parrucchiera per disdire gli appuntamenti e solo allora la fermò dicendo: «Vuole scrivere un articolo sulla sua nuova destinazione per un quotidiano locale, o pensa che abbiamo già informato abbastanza persone?». «Ma cosa diavolo sta dicendo!» esplose Chiara e poi aggiunse: «Non so neppure che cos'ha in testa per i prossimi quindici minuti, figuriamoci se informo qualcuno di qualcosa!» concluse seccata. Ma lui la stava già riportando a strattoni in ufficio senza rispondere. Tony sentiva quell'atteggiamento paterno scorrergli nelle vene. Per un attimo ebbe la sensazione d'averla avuta in braccio quando era piccola, di averle cambiato il pannolino pieno di pipì, di averla rassicurata in una notte dove la tenebra si faceva avanti a discapito di tutto e di tutti. Lei sembrò rassegnarsi a quell'atteggiamento così diverso dal modo in cui era abituata ad essere trattata, e lo seguì. Lo guardava di sottecchi andare avanti verso gli altri come se il suo corpo già dovesse proteggerla. Spesso si fermava ad

osservare questo o quel ante, magari soltanto perché avevano i capelli troppo lunghi o un impermeabile alla Bond. Quando finalmente furono di nuovo uno di fronte all'altra, ai bordi dell'enorme scrivania, lui le disse: «Se quello che mi ha raccontato è vero, lei non si rende minimamente conto del pericolo cui sta andando incontro. Se lo lasci dire signorina Chiara, lei è davvero cocciuta, e la ritengo molto fortunata ad essere ancora viva». Mentre lui parlava lei gli voltava le spalle e cercava di comporre l'ennesimo numero di telefono al cellulare ormai spento. Nonostante tutto non si girò, si limitò ad abbassare il telefonino e ad appoggiare la testa allo schienale della sua poltrone e sibilò: «Cosa vuole che faccia allora? Desidera che rinunci totalmente alla mia vita?». Tony la mise sul personale e le disse: «Chiara, mi ascolti con molta attenzione, perché quello che sto per dirle è della massima importanza per la sua incolumità e soprattutto per la mia; se lei vuole davvero che sia io ad aiutarla a uscire da questo problema, bisogna che si fidi di me. Io non ho bisogno di dimostrarle nulla, e fintanto che lei non crederà davvero in me, la mia vita sarà più importante della sua e non viceversa, come dovrebbe essere in questi casi… per essere il suo angelo custode ho bisogno di saperla con me. Non sottovaluti mai questo problema; a Londra ci sono persone che ucciderebbero per poche migliaia di sterline, figuriamoci se in Italia non c'è chi lo farebbe per qualche centinaia di quelle maledette». Poi la osservò, pensando a una frase ad effetto che pensò l'avrebbe portata a dire quello che fino ad allora non aveva del tutto detto, e cioè la verità. «Mi creda, è tempo di formulare il nostro patto d'alleanza» concluse serioso e al tempo stesso preoccupato. Quando lei si girò il suo volto era cambiato, sembrava quasi che avesse preso coscienza delle parole che Tony aveva detto. In qualche modo sapevano entrambi che tutto era vero e al tempo stesso maledettamente pericoloso. Il tempo… il tempo era vitale adesso. «Mi porti via da qui, ho paura» disse Chiara davvero spaventata.

Tony rispose solo con un sì, fatto con un cenno della testa. La riavvolse nel suo lungo impermeabile, scese velocemente con lei davanti alle scale che dal suo ufficio portavano in strada, e chiamò, solo con un leggero gesto delle dita, un taxi che ava nei pressi dell'uscita della metropolitana. Quel carrozzone nero si fermò davanti a loro come a comando. La donna che lo guidava era di colore. Con un sorriso a tutta bocca chiese riferendosi esplicitamente alla donna: «Dove vi posso accompagnare?». Nella mente di Tony un camlo d'allarme risuonò come una bastonata e, stringendo il polso di Chiara che già stava per dire qualcosa, lui disse: «Dove vuole lei, purché il ristorante sia di classe». La donna del taxi lo guardò indispettita, pareva quasi contrariata dalla sua risposta, poi disse semplicemente: «Ok». Chiara guardava in assoluto silenzio lo svolgersi della scena e spesso incontrava gli sguardi di Tony che pareva volessero rassicurarla. Dopo pochi minuti di guida Tony esordì: «Accidenti! Ho dimenticato i documenti in ufficio!» rivolgendosi a Chiara. Lei lo guardò divertita e lo lasciò condurre quella messa in scena per capire fino a dove volesse arrivare. «Signora» disse Tony rivolgendosi alla donna di colore che guidava anche discretamente il taxi. «Sarebbe così gentile da riportarmi un attimo in ufficio?» «Perché no» sentenziò lei e poi aggiunse: «In fondo è lei che paga la corsa». Quando arrivarono davanti alla porta del suo ufficio sperò che Chiara non dicesse nulla e lo seguisse come se fosse una cosa normale, ma lei esordì in malo modo dicendo: «Io ti aspetto qui? «Direi di no» disse lui notando lo sconforto della tassista. «Lei signora non si preoccupi, ecco qui venti sterline, il resto me lo darà dopo». La donna al volante sembrò ritemprarsi e di buon grado si mise ad aspettare i suoi clienti.

Mentre salivano le scale lei gli bisbigliò all'orecchio: «Mi vuoi spiegare che cosa diavolo sta succedendo?». Lui la guardò solo un attimo e le disse: «I tuoi amici, per così dire, sono già sulle nostre tracce». E poi, senza che Chiara potesse dire altro, continuò: «Tuo padre ha fatto proprio bene a mandarti da me. Questi tizi sono ben organizzati». Fece appena in tempo a entrare in ufficio che Sally gli fu con il fiato sul collo. Lui la guardò impercettibilmente e lei capì subito che qualcosa era cambiato, e soprattutto quello che doveva fare. La porta dietro la libreria del suo ufficio si aprì di fronte agli occhi esterrefatti di Chiara e in pochi minuti erano già nella via parallela a quella del taxi. Mentre si spostava per la periferia di Londra Tony telefonò, dal suo cellulare, a Sally. Non utilizzò la linea telefonica fissa, ormai presumibilmente messa sotto controllo, bensì il cellulare privato. Credeva che almeno lei non fosse già coinvolta nel gioco che la scacchiera della vita stava andando a delineare. Infatti era proprio così. A detta di Sally, la donna di colore nel taxi rimase ferma ancora una buona mezz'ora, poi dopo una telefonata un po' troppo agitata e qualche accidente invocato al cielo e contro la macchina, si defilò nel traffico di Londra. Nel giro di dodici ore Chiara risultò essere tenutaria di almeno quindici voli intercontinentali per i più svariati paesi del mondo, senza poi risultare essere fisicamente su nessuno di essi. Sally era maestra in quella strategia. Aveva un contatto un po' costoso all'aeroporto ma funzionante al cento per cento. Invece Chiara aveva preso un'altra strada, una qualunque, che dal centro di Londra portava nelle periferie più remote, per arrivare fino agli inizi della campagna. Una netta e delineata linea di terra, quasi un confine, dove l'ammasso di case, palazzi, negozi e gente di tutti i colori finisce.

Di lì in poi tutto è diverso. Il verde nelle sue mille tonalità, le case con i recinti a debita distanza dal resto del mondo, e gli animali da aia, i panni multicolori stesi al vento, i camini sempre intenti a sputare inevitabili boccate di fumo, gli orti con le verdure di stagione, le massaie intente a fare qualcosa di buono, e i bambini inzaccherati e felici dietro ai loro fantomatici eroi. Sembrava davvero che avessero incontrato un muro, una divisione netta tra uno stile di vita e un altro. Possibile che a una distanza così risicata come poteva essere quella di pochi chilometri, tra il centro nevralgico londinese e la sua più remota periferia, potesse cambiare così tanto lo stato delle cose. Tony ridefinì quelle che erano in fondo le priorità della vita. Per certi aspetti sembrava davvero che a quel punto di incontro, tra gli ultimi londinesi e il bush, vi fosse davvero una sorta di serrata. Un cancello invisibile e al tempo stesso indubbiamente percepibile da un sacco di persone. Soggetti che non potevano fare a meno della gente, e al tempo stesso soggetti che non potevano stare insieme agli altri per più di dieci minuti, e che vivevano tutti quasi gomito a gomito. Mentre i pensieri di Tony si facevano lentamente da parte, si rese conto che si stavano muovendo verso la casa materna di Sally. Sua madre abitava in una ex casa di caccia di un signorone della borghesia londinese; era vecchia, ma ancora calda e accogliente. Anche in quel caso, il terreno che lui un tempo aveva messo tra la residenza e i contatti con il resto del mondo, la dicevano lunga circa la sua familiarità con la gente. In fin dei conti, quello di Tony, poteva soltanto essere un superficiale abbozzo di valutazione dell'uomo. Lui non l'aveva conosciuto e forse non poteva farne una valutazione oggettiva. Pensò che magari quella sua chiusura con il mondo esterno potesse essere anche dettata da qualche dolore, magari atroce e irreversibile, che negli anni aveva soltanto badato a reprimere in fondo all'anima. Quella proprietà poi, prima di partire per l'ultimo viaggio, quello eterno, con il tempo gliel'aveva donata. La mamma di Sally, che lui chiamava simpaticamente Mamy, ma in realtà si chiamava Mandy, era riuscita a far breccia nel cuore di quel vecchio aristocratico senza dover concedere nulla di più di quello che, con voglia e amore, aveva

concesso. Lui, rimasto vedovo giovanissimo, senza figli e con un mezzo impero da mandare avanti, trovava conforto solo quando era con lei. Dal canto suo lei non gli chiese niente, neanche quando rimase incinta di Sally. Lui per una questione d'insieme non la riconobbe mai, non ebbe in quel caso la prontezza di riflessi di capire e non capì. Mamy non gliene volle di quella distrazione e col tempo riuscì perfino a perdonarlo. Comunque sia aveva potuto, negli anni, ristrutturare quella casa di caccia e attrezzarla in modo da ospitare parenti e amici. Non disdegnava però di affittare qualcuna delle innumerevoli camere a qualche viaggiatore di aggio o a qualche coppia di turisti, magari con prole al seguito, purché senza animali domestici. Al momento l'unico amore della sua vita era un cocker maschio di nome Flash, che Tony aveva ribattezzato Lampo, in ricordo di un buon breton a cui avevo voluto bene. La casa era al centro di un'interessante proprietà, naturalmente ereditata insieme al fabbricato, che comprendeva un laghetto per la caccia agli acquatici, ormai in disuso per i molti cacciatori che lo frequentarono, ma non per Tony e per Lampo. Avevano ato lì innumerevoli avventure tra fagiani, lepri e germani reali. Il più delle volte Tony non tirava il grilletto, gli bastava vedere e sentire il frullo del selvatico, nella totale disperazione di Lampo che non poteva riportare la preda. Mamy e soprattutto Sally, ancora una bambina anche se già infervorata del rude uomo, lo guardava spesso dalle finestre, ridendo di gusto, e si metteva con sua madre ad aspettare il ritorno dei due cacciatori per consolare soprattutto Lampo. Mamy era una donna minuta ma energica. Gli anni l'avevano toccata e anche provata. Aveva dovuto tirare su Sally da sola, senza l'aiuto morale e materiale di un uomo, ma soprattutto di un padre. Comunque sia, a detta di Sally, non le aveva mai fatto mancare niente, soprattutto non le aveva mai fatto mancare il suo amore di madre.

Tony era convinto di quelle affermazioni e per lui, era l'ultimo rifugio. Era il posto dove poteva andare sempre senza compromessi, senza un qualcosa in cambio, senza pensare. Amava a modo suo quelle due donne. Mamy, per la caparbietà e la forza, mescolata alla dolcezza e alla delicatezza del suo modo di essere. Sally… Sally l'amava e basta. Non era amore morboso, era solo paterno, fraterno, amichevole. Arrivarono nel tardo pomeriggio e Mamy, come di consueto, era stata informata del loro arrivo ed era tutto pronto. La casa su due piani, da considerare nella sua totalità con alcune dependance, trasformate poi nel tempo in mini appartamenti con camera cucinotto e bagno, era tutta illuminata. Mamy corse incontro a Tony e abbracciandolo fragorosamente disse: «Brutto furfante, ogni mese ne porti una nuova di fidanzata!» strizzando l'occhio a Chiara, e poi aggiunse: «Speriamo che questa ti metta il cappio al collo, ne avresti proprio bisogno». Tony sorrise davvero divertito da quella commedia improvvisata e poi le rispose dopo un paio di baci: «Mamy, questa signora è Chiara. Come certo saprai è una cliente e non quello che pensi tu». «Già» disse lei e li fece accomodare in casa. Poi, mentre stavano entrando, disse a una Chiara abbastanza stralunata: «Dice sempre così quando porta una donna in casa mia». La casa era arredata alla maniera inglese. Un guazzabuglio di oggetti e arredi che in fondo non c'entravano nulla tra loro, ma uniti tutti insieme, e dopo un paio di ore uno ci faceva l'abitudine e poteva anche andare a finire che gli piero. Comunque sia, quello che veramente stregava Tony era il salotto. Era davvero enorme rispetto alle altre stanze.

Un insieme di piccole librerie ricolme di volumi vecchi e nuovi, un paio di divani ricoperti di tessuto broccato nei colori tenui dell'autunno, un paio di piccoli tavoli studio con l'immancabile sedia di legno (segno delle sofferenze annunciate agli avventori dell'imparare), decine di piccoli e grandi orci ripieni di tutto quello che si voleva immaginare, due splendide ed enormi finestre che davano sul laghetto e il parco della tenuta, facevano da sfondo a due magnifiche poltrone, questa volta italiane, e a un piccolo tavolo da tè. Il tutto di fronte a un caminetto a terra con il fuoco perennemente o quasi. Il freddo e la brutta stagione erano concetti con cui gli inglesi erano abituati a vivere. Anche in estate spesso si facevano i conti con i venti gelidi del nord e la pioggia battente che spazzava anche quelle poche parvenze di caldo. A volte non si faceva in tempo ad abituarsi al clima temperato che già era l'ora di riprendere il piumino e le scarpe pesanti. Negli angoli di quella stanza senza tempo un attento osservatore poteva ritrovare gli stralci dell'infanzia e della sopraggiunta gioventù delle persone che l'avevano abitata. Mamy aveva voluto lasciare tutto com'era, almeno in quella stanza, che anche a lei rievocava mille ricordi. In punta di piedi, quasi a non voler disturbare nessuno, Tony spesso si ritrovava in quel posto a sbirciare una fotografia che spuntava da un vecchio album sgualcito da mani e dal tempo, piuttosto che a leggere gli appunti scritti a matita nella prima pagina bianca di un vecchio libro. Si metteva poi a sedere su una delle due poltrone, con i piedi al caldo del focolare e parlava, in un silenzio religioso per gli altri, a se stesso. Mamy e Chiara lo trovarono lì. Questa volta però si era addormentato. Decisero di buon grado di non svegliarlo, almeno fino all'ora di cena che non avrebbe tardato ad arrivare. Lo coprirono con un plaid e tornarono ai loro compiti. Nel frattempo Mamy fece vedere a Chiara la sua camera da letto e il bagno.

Dopo le otto della sera, mentre stavano tutti e tre sistemando la tavola per cenare, arrivò anche Sally. Appena fu entrata in casa e chiusa la porta disse: «Tutto a posto!» rivolgendosi a Tony. «Non avevo dubbi» disse senza pensarlo davvero, e poi aggiunse: «È meglio che per qualche giorno anche tu te ne stia qui, buona buona». Lei fece un cenno d'assenso con la testa e si sedette a tavola. La fame regnava sovrana. Cenarono quasi in silenzio, immersi ognuno nei suoi pensieri. “L'uno di fronte all'altro, e uno diversamente gestibile per l'altro” pensò Tony mentre osservava quel quadretto simil-familiare. Per Chiara quello del caffè fu il momento peggiore della cena, quando le misero davanti una ciotola stracolma di una brodaglia marrone dal vago sapore di caffè che tendeva alla liquirizia. Non bastò neanche il latte e lo zucchero a smorzare quel saporaccio, che a sentir loro era una squisitezza. Comunque sia lo trangugiò alla meglio e poi si accese l'ennesima sigaretta. Tony le fece cenno di seguirlo e la condusse il salotto. Si accomodarono davanti al caminetto e per un lungo periodo stettero lì in silenzio, uno accanto all'altro, a guardare lo scoppiettio del fuoco. Lui si era versato un mezzo bicchiere di buon whisky blended, mentre lei finì la sua sigaretta buttando il mozzicone direttamente nella fiamma. «Veniamo a noi» disse lui guardandola in modo benevolo. Lei percepì quell'affetto davvero paterno e le sorrise, sfiorandogli il dorso della mano poggiata sulla poltrona. Quel gesto, alla fine, aveva forse stabilito il vero accordo fra di loro. Chiara e Tony percepivano la trasformazione di quello che era stato il loro primo approccio. Comunque sia lui aspettò ancora qualche istante e poi domandò: «Da quanto tempo hai percepito di essere controllata o comunque gestita, se così vogliamo

dire?». «Non saprei dire» disse lei, aggiungendo: «In un primo momento pensai che quelle attenzioni, quelle persone che mi ritrovavo sempre in mezzo, fossero state messe lì da mio padre, o che comunque, anche dopo la sua scomparsa, fossero i suoi amici che volevano starmi vicina, se non per me almeno per la sua memoria». Tony si accomodò un po' meglio sulla poltrona e poi disse: «Le persone di cui parli erano sempre le stesse o nel tempo poi sono cambiate?» incalzò. «No, a dire il vero erano le solite tre o quattro». Poi aggiunse, con un lampo gelido negli occhi: «Erano di sicuro quattro». «Tu ovviamente conosci bene queste persone, cioè, voglio dire che sai i loro indirizzi, i loro nomi e cognomi, i loro numeri di telefono» disse lui. «Ma perché mi stai facendo queste domande?» ribatté lei, forse anche un po' stanca. «Volevo cercare di capire cosa ci stavamo mettendo contro» rispose pacato, sorridendo. Poi aggiunse: «Un conto è avere di fronte quattro dilettanti allo sbaraglio, un altro è avere contro la punta dell'enorme iceberg di un'organizzazione». Non fece controbattere Chiara e si limitò ad aggiungere: «Questa giornata è stata anche troppo lunga, andiamo a letto e riposiamoci, domani è un altro giorno». Vide lei molto felice di quell'idea. Lui chiamò Sally e la fece accompagnare in camera. In un primo momento aveva pensato che forse si trattasse di qualche provincialotto, che aveva sentito l'odore dei soldi della famiglia del povero Giorgio; ma dopo l'episodio della tassista di colore a Londra, quell'ipotesi gli sembrò alquanto remota. Come poteva capire la forza del suo nemico? E soprattutto, che si poteva organizzare per farlo uscire allo scoperto? Non poteva certo tenere quella donna in casa di Mamy all'infinito. Anche perché,

se quello che pensava fosse risultato vero, in pericolo non era solo Chiara, ma anche le altre due donne che la stavano ospitando. Più avano i minuti e più nella sua mente si faceva strada un percorso che doveva are inevitabilmente dall'Italia, da Firenze, ma prima di tutto da Pistoia. In quella città risiedeva un suo vecchio amico al di sopra di qualsiasi sospetto, che svolgeva la professione di avvocato. Si trattava di Gianni. Era un uomo sempre gioviale che dimostrava meno anni di quelli che in realtà aveva. Di famiglia borghese, era stato sempre con i piedi per terra, e la sua umiltà e concretezza lo facevano stare sistematicamente un o più avanti rispetto agli altri. Nonostante la sua professione lo portasse sempre a risolvere le questioni dei suoi clienti in un'aula di tribunale, faceva di tutto per trovare un accordo, un punto di incontro, dove il nero non era più nero e il bianco non era più candido. Mentre era entrato in quei ricordi, Sally fece capolino in salotto, si sedette sul bracciolo della sua poltrona e gli disse: «E adesso che facciamo?». Sembrava quasi preoccupata. In fondo in quei pochi anni che aveva lavorato, se così lo vogliamo definire, con lui non erano mai arrivati a quel livello di tensione. Così anche lei finiva col sentirsi spiazzata da quella nuova realtà, nuda e cruda. Percepiva che il gioco delle foto a due amanti clandestini in un taxi, o quelle del figlio impasticcato e ubriaco del politico di basso profilo “Mario Rossi” era finito, e lasciava di netto, senza nessuna preparazione vera, il posto all'essere in pericolo. «Domattina telefona allo studio dell'avvocato Frosoni di Pistoia e fissami un appuntamento con Gianni il prima possibile» rispose. Poi provò ad abbozzare quello che sarebbe stato il suo piano d'azione, ma entrambi erano troppo stanchi, così Tony andò in camera e si addormentò vestito sul letto, come sempre.

La mattina seguente si ritrovò con la coperta addosso che Mamy, prima di ritirarsi, gli aveva probabilmente messo. Erano già le otto e trenta. Saltò giù dal letto e in pochi minuti era docciato e pronto per una nuova giornata. Arrivò in cucina frettolosamente, il morso della fame gli faceva scendere le scale a due a due. L'odore di dolce e di caffè si mescolava con quello del latte e dei profumi delicatamente fruttati di tutte e tre le signore. Gli pareva di sognare. Per un attimo pensò di essere capitato in un altro mondo, di avere sbagliato porta prendendo quella che conduce senza sconti al paradiso. Finì con l'inciampare nell'ultimo gradino della scala, e dopo un rocambolesco scansare sedie, gatti, porcellane e suppellettili varie, si ritrovò in braccio a Chiara che gli disse subito: «Buongiorno! A cosa dobbiamo questa distratta entrata in scena?». Tony ricompose i capelli che tendevano a qualche striatura di bianco di troppo e le disse: «Sono soltanto inciampato, mia cara». Con il fatto del fuso orario Sally aveva già potuto parlare con l'ufficio legale per cercare di fissare l'appuntamento. A Tony parve quasi di sentirla inveire, mentre la segretaria italiana le diceva: «Studio legale, buongiorno» per poi continuare dopo le sue richieste con: «Attenda un attimo, vedo se l'avvocato è già arrivato in studio». Come se quando lui entrava non le asse davanti, o lei non gli si fe sotto per l'elenco delle persone che lo avevano cercato durante la sua assenza. Soltanto pochi avevano il suo cellulare diretto. Tony era uno di quegli eletti, ma non gli pareva il caso di usarlo per questioni di così poco conto come fissare un appuntamento. Sapeva che non appena la segretaria di Gianni lo avesse informato che Tony voleva fissare un appuntamento con lui, il grande avvocato, come lui lo soprannominava, lo avrebbe contattato personalmente. Infatti, così andò. Nel primo pomeriggio, quando segretarie e questioni più o meno importanti

erano a fare un bel sonnellino, il cellulare di Tony si mise a vibrare. In altri tempi ormai lontani lo avrebbe abbordato con una semplice affermazione, come ad esempio: «Amico mio, che ti è successo questa volta?». Poi, con il are degli anni e con quella sua frase che una volta fece trasalire Tony, che sostanzialmente diceva: “Adesso sei diventato grande” (intendendo forse la maturazione dell'uomo in funzione dell'età, ma anche delle fregature e delle cocenti delusioni), non si abbordavano più così. Avevano ormai preso coscienza del fatto che quando il telefono squillava era di sicuro per qualcosa di importante, almeno per uno dei due, e niente più. «Tony, sono Gianni» disse sicuro di non aver sbagliato il numero. Lui rispose con calore: «Ciao vecchio amico mio, mi fa piacere sentire la tua voce». Gianni traccheggiò un attimo, poi disse: «Appena arrivi a Pistoia chiamami, ci vedremo il giorno stesso. Non importa a che ora, sta sicuro che ci vedremo». Lui lo ringraziò e si congedarono con il solito: «A presto!» Anche quello era un modo come un altro per sentirsi vicini, forse mentalmente, come se da un attimo all'altro una porta si fosse spalancata e uno dei due avesse fatto il suo ingresso. In Italia Tony non aveva lasciato soltanto un buon amico come l'avvocato, ma anche altre situazioni complicate, e allo stesso tempo meravigliose. Oggi le aveva seppellite come di consueto in fondo alla sua anima e aveva trovato, con grande pacatezza, l'affetto incondizionato di due sorelle, amiche, consigliere, complici e soprattutto non amanti, l'affetto di Mamy e Sally. Non era una questione di fortuna. Insomma, c'erano mille altre persone che nella loro vita infilavano un insieme di elementi nel momento giusto e al posto giusto, senza sapere neanche come avevano fatto. Sta di fatto però che facevano centro. La loro vita cambiava inevitabilmente.

Tony aveva rincorso quel miraggio per anni, aveva fatto di tutto e di più; alla fine della giostra però non era riuscito a collocarsi in quelle posizioni. Allora si vedeva costretto a rincantucciarsi in una casa, non la sua, per are qualche ora di vera tranquillità con il cane Flash e quelle due donne che, a loro modo, lo adoravano. Quei ricordi gli aumentarono la salivazione, segno di ferite rimarginate ma tuttora doloranti. Come sempre deglutì subito per scacciare la tristezza e l'angoscia, e la sua mente ripartì nel futuro. Tony si divertì nel guardare le tre donne che ciarlavano di tutto e di niente, divertite dal fatto che nulla di quello che dicevano era davvero importante per ognuna di loro. Parlavano, parlavano e basta. I secondi scorrevano velocissimi, e poi i minuti. Lui già non era più lì con loro, la sua mente viaggiava. «Domani parto per l'Italia» disse. Il silenzio regnò assoluto nella stanza. Mamy lo guardò con comprensione, lei sapeva o immaginava, o forse era solo la sensazione di una madre. Sally non fece una grinza, anche se la tiratura della sua mascella e il lieve tremolare della palpebra destra davano già abbastanza segnali circa il suo stato d'animo. Chiara esordì con l'unica frase sciagurata e sciocca che avesse potuto dire: «In Italia vengo anch'io!». «No!!!» fu la risposta all'unisono di tutti e tre. Lei guardò Tony sconsolata e ribatté: «Stavo scherzando, non ho mica voglia di morire!».

Era forse un tentativo per tornare alla sua vita di sani agi, o più semplicemente a quella che ognuno viveva come la propria normalità. Quella colazione stava diventando un piano tattico di difesa. Lui spiegò a Chiara l'importanza dell'anonimato, specie durante la sua assenza, visto che le vite in pericolo erano anche quelle delle due donne che la ospitavano, oltre che alla sua. Spiegò, anzi pregò Chiara, di non utilizzare il telefono, di non spedire corrispondenza, di non comunicare con il mondo esterno per nessuna ragione. «Ieri sera abbiamo parlato di quelle persone che ti stavano alle calcagna, ricordi?» disse Tony, e poi continuò: «Non abbiamo finito la nostra conversazione e ce ne siamo andati a letto esausti». «Sì… io, e soprattutto mio padre, siamo stati abbordati da una famiglia composta da moglie, marito… e due donne anziane che alla fine hanno convinto mio padre ad assumerle come cameriere, o giù di lì. Diciamo che da quel giorno ne avevo sempre una tra le scatole. I coniugi, circa della mia età, facevano di tutto per uscire con me o per accompagnarmi agli appuntamenti mondani, e le due vecchiette rimanevano sempre in casa. Non uscivano mai. Una di loro, la più anziana, usciva soltanto la domenica mattina per andare a Messa». «I loro nomi! Mi interessano i loro cognomi!» sbottò Tony. «Non me li ricordo i loro cognomi!» disse lei contrariata e poi aggiunse: «Una mattina, prima che mio padre morisse, sparirono così come erano apparsi. Probabilmente mio padre aveva aperto gli occhi e li aveva congedati». «Già» disse lui. «Probabilmente». «Tu conoscevi bene mio padre. Non era certo il tipo d'uomo che si faceva raggirare dal primo venuto. Forse aveva fatto delle ricerche su quelle persone e non andavano bene». Sally era lì che ascoltava, e sapeva benissimo cosa fare in caso di problemi. In caso di necessità avrebbe dovuto fare quella telefonata.

Tony aveva ancora un piccolo appartamento di sua proprietà in Italia, l'aveva comprato in un posto sperduto dell'appennino tosco-emiliano. Di preciso era sul confine tra l'Emilia Romagna e la Toscana. L'aveva sempre mantenuto vivo. Dentro di sé voleva credere che potesse essere l'ultimo suo rifugio, l'ultimo luogo dove vivere in pace. La gente del piccolo paese lo conoscevano come uno dei tanti stranieri italoqualcosa che, con il cambio vantaggioso, aveva acquistato una casa a prezzi stracciati. In realtà quel fazzoletto di mattoni gli era stato lasciato da non si sa quale parente. Comunque sia, l'appartamento era tenuto in perfetto stato da due anziani aspiranti nonni che, di tanto in tanto, sentivano Tony per riferire sull'andamento delle cose e delle fatture da pagare. Aveva mantenuto anche una linea telefonica attiva intestata ad uno dei due signori. Con il roaming riusciva a trasferire le chiamate su qualsiasi utenza, senza che occhi, e soprattutto orecchi indiscreti, potessero carpire notizie che lui voleva tenere per sé. Quella linea in realtà era servita anche anni addietro per incarichi non troppo ufficiali. In ogni modo disse a Sally di utilizzare quel sistema per le urgenze, mentre per le comunicazioni di routine avrebbe acquistato una carta pre-pagata e avrebbe utilizzato il servizio telefonico pubblico. Ripropose di nuovo lo scenario a Chiara, qualora volesse fare qualcosa di testa sua senza informare Sally, e questa volta credette davvero che lei avesse capito. Mamy si accingeva a sparecchiare, anche se l'orologio non le dava ragione. Infatti erano già le dodici ate e nessuno aveva voglia di rimettersi a mangiare. Il pomeriggio trascorse lento, tra la televisione e le chiacchiere spalmate dalle tre

donne in tutte le stanze della casa. Tony invece lavorava. In soffitta aveva già aperto il baule magico. Un contenitore con dentro di tutto un po'. Spacchettò un cellulare nuovo di zecca, la scheda l'avrebbe acquistata in Italia. Tra le cose che preparava si ritrovò in mano più volte la sua pistola, una Beretta cal. 9 parabellum anniversario. Decise comunque di non portare con sé armi per il primo viaggio ricognitore, e così fece. Annusò l'odore del ferro e della polvere da sparo usata, depositata in minima traccia sulla canna e sul congegno di scoppio dell'arma; poi, dopo averla di nuovo pulita e lubrificata, la riavvolse nel panno di cotone bianco e la fece sparire. Anche quell'arma gli rievocava tutta una serie di sciagurate missioni e di avventure che difficilmente avrebbe dimenticato. Portò con sé anche un piccolo computer portatile che gli era stato regalato da un suo conoscente dell'Intelligence anglosassone. Le sue dimensioni erano così piccole che assomigliava più a una calcolatrice tascabile. Ovviamente utilizzare quell'apparecchio valeva come ad informare Londra dei suoi movimenti. Anche questo, in un contesto più ampio, poteva risultare importante ai fini del risultato. Chi glielo aveva regalato di certo non lo aveva fatto a caso. Tutti sapevano chi era e che cosa aveva fatto in ato. Eppure tutti riuscivano a scansarlo. Tony finiva con essere qualcuno che andava a una festa dove non era formalmente invitato. Tutti lo vedevano, ma nessuno si voleva accorgere di lui. Per anni aveva salvato le chiappe di questo o quel personaggio politico, aveva scacciato dal letto le loro giovani spasimanti, aveva pestato i fotografi troppo insistenti, aveva persino ucciso per loro. Magari aveva giustiziato soggetti che di per sé non meritavano di vivere, ma comunque per alcuni anni della sua vita, ritrovarsi con il sangue fino alle ginocchia era una cosa normale.

Allo stato attuale pochi dei suoi nuovi conoscenti sapevano di tutto questo, così lui era consapevole di doverli proteggere, perché non preparati a ricevere i vecchi colleghi come lui. Tony finì con lasciare tutto quello che poteva essere compromettente in quel baule. Quando scese ai piani inferiori trovò già la tavola apparecchiata e Mamy e Chiara in cucina, che si stavano facendo a pezzi circa la scelta tra zuppa e minestra di pane. Non poteva esserci gara. Chiara veniva da un posto, la Toscana, dove non c'era donna che non la sapesse fare. Mentre Chiara spiegava l'importanza di ribollire la zuppa il giorno seguente la sua cottura, magari accompagnandola a una cipollina fresca a fettine, con un filo di olio extra-vergine di oliva, Mamy voleva violentare il piatto tipico fiorentino con un bell'uovo affrittellato sopra. Dopo un paio di minuti che era in cucina con loro, lei lo guardò con aria dimessa e gli disse: «Tony, per favore diglielo tu! Non può mettere un uovo affrittellato sulla ribollita. Gente tipo Dante Alighieri, Farinata degli Uberti, e perfino qualcuno della famiglia dei Medici le farebbe visita stanotte per ucciderla!». Lui rise quasi due minuti, poi chiamò a sé Mamy e in un inglese quasi perfetto riuscì a convincerla, a patto che Chiara le lasciasse fare qualche piatto tipico londinese. Sally stava preparando il bagaglio a mano di Tony. Mentre cenavano, gli disse tutto quello che ci aveva messo dentro, anche se lui, come sempre, lo sapeva già. Comunque dove sarebbe andato non c'erano problemi. La sua casa a Pracchia – era quello il nome del piccolo paese in Italia, più precisamente in Toscana –, dove aveva l'appartamento, era ben fornita di tutto quello di cui poteva avere necessità. In un altro momento avrebbe detto: «Dagli stuzzicadenti alle bombe a mano». Mai affermazione, e al tempo stesso luogo comune, risultava più vera. Per non destare nessun sospetto e lasciare alcuna traccia, partì la mattina

seguente con il pullman da Cliffe, piccola cittadina sulla foce del Tamigi, a pochi chilometri dalla fattoria di Mamy. La destinazione era Dover, dove avrebbe continuato per Calais, in Normandia. Partì quando tutte le signore dormivano. Gli ci volle quasi un giorno intero per arrivare al traghetto che lo avrebbe condotto attraverso la Manica, fino in Francia. Quando arrivò a Calais, si spostò subito con un taxi nella vicina Wissant, dove trovò da dormire in un piccolo albergo a due stelle, ma con bagno in camera e televisione, grazie alla magnanima mancia data al tassista. La sua camera dava sul mare. Quel mare scuro, a volte quasi violaceo, che potevi incontrare per quasi tutto l'anno a Le Havre. Comunque l'odore dell'Atlantico, miscelato a dovere con quello delle città di mare, rendevano quel posto unico nel suo genere. Crollò in una sorta di svenimento non appena ebbe finito di fare la doccia. Si svegliò ai primi bagliori del giorno, pagò il conto in contanti alla portiera e se ne andò ancora con un taxi. Si fece accompagnare alla stazione più vicina e poi proseguì per Ruen, cittadina sulla Senna abbastanza lontana da Parigi, per non destare sospetti. Lì acquistò la carta telefonica pre-pagata e chiamo Sally. «Ciao Sally, sono in vacanza a Ruen» disse con allegria. «A casa tutto bene, la bimba fa la brava, ma quando torni?» chiese lei. «Non preoccuparti» rispose lui attento alla cadenza delle parole. «Sarò a casa prima del previsto». Noleggiò una macchina presso un “rent a car” internazionale. Comunicò alla spumeggiante impiegata che avrebbe restituito l'autovettura entro tre giorni, in Toscana, a Viareggio.

Alla richiesta di un documento lui le presentò il aporto olandese, ovviamente falso, estratto come per magia dal baule magico nella soffitta di Mamy. La donna dietro il bancone non fece una grinza, trascrisse i dati e chiese la carta di credito per il pagamento di quanto a lei dovuto. Per tutta risposta lui estrasse dalla tasca dei pantaloni una mazzetta di euro e la pagò in contanti. A quel punto la problematica ò sulla somma da lasciare come garanzia, per gli eventuali danni sofferti all'automezzo. Dopo un parapiglia di mezz'ora, che in altri momenti si sarebbe risolto in un ristorante e poi in una camera da letto, fu costretto a lasciare una caparra di cinquecento euro in contanti. La tizia gli fece la regolare ricevuta e lo congedò. Lui non si permise neanche il lusso di ripensarci, e in un batter d'occhio era alla volta dell'Italia. Guidò in fretta attraversando la Francia in lungo. ò da posti quali Alençon, Le Mans, dormì a Chalet, e la mattina dopo ripartì verso Bordeaux. Lì si fermò a mangiare e a riposare. Niente ristoranti o altri vizi, la cena in una rosticceria italiana e poi doccia e letto. Non percorrendo strade primarie, ma tutte secondarie, diminuiva il rischio di essere intercettato e controllato. Non perché questo lo spaventasse, lo aveva fatto davvero mille volte, piuttosto non voleva lasciare tracce negli archivi elettronici della polizia europea. La tappa successiva sarebbe stata da Bordeaux a Marsiglia. Da lì in poi il programma era arrivare a Savona, poi Genova, La Spezia, Lucca e uscire al casello autostradale di Pistoia. Andò tutto liscio fino a Pracchia dove, tra le altre cose, riprese possesso del suo appartamento. Aveva lasciato l'auto presa a noleggio a Viareggio, tipica cittadina di mare sull'alto Tirreno, poi aveva proseguito in treno. Questo gli costò ancora un po' più di tempo, ma alla fine arrivò.

Entrato in casa trovò il frigorifero pieno, una crostata sulla tavola, il letto della camera matrimoniale – dove di solito dormiva – e di quella di sopra rifatti. Erano ormai trascorsi alcuni giorni dalla sua partenza da Cliffe, così alzò il ricevitore e chiamò. «Accidenti a te!» disse Sally contrariata e preoccupata, e poi continuò: «Sono tre giorni che non ti fai sentire. Noi siamo state molto preoccupate, poi i giornali, anche quelli stranieri, non fanno altro che parlare della scomparsa dell'ereditiera. Perfino le televisioni s'interessano a lei». Lui si limitò a dire: «Stai calma». Ma lei, non facendolo neanche rifiatare, continuò: «E poi non posso mica tenerla in casa per sempre. Ogni ora è sempre più difficile!». «amela!» fece lui imperioso. «Pronto?» disse lei dopo pochi attimi. «Chiara sono io, che diavolo stai combinando?» chiese Tony in tono fermo ma pacato. Comprendeva d'essere lontano e voleva tenerla buona perlomeno fino al suo ritorno. «Qui mi impediscono di fare tutto, io sono stufa! Piuttosto, tu quando torni?» «Non fare la bambina» disse lui e poi, dopo un sospiro, continuò: «So benissimo quello che stai provando, ma credimi, Mamy e Sally non sono delle carceriere, piuttosto delle guardiane. Sono a casa loro e sanno tutto quello che si deve fare per non essere scoperti. Ti prego sii ragionevole, prendi questi giorni per riposarti, io tornerò presto. Non mettere in pericolo la tua vita ora; se non per altro, fallo per l'amicizia che c'era tra me e tuo padre». A quelle parole sembrò che il “soldatino” Chiara avesse cambiato subito umore e si limitò a dire: «D'accordo». «Adesso ami Sally e fai la brava» disse lui compiaciuto della sua reazione. «Pronto» disse lei.

Rimasero per alcuni secondi in silenzio e poi lui chiese: «Che cosa stanno dicendo i notiziari?». Lei gli spiegò che i giornali e le televisioni di mezzo mondo stavano innescando una caccia grossa per ritrovare Chiara. Erano arrivati anche a mettere una sostanziosa ricompensa su chi poteva fornire informazioni dettagliate e veritiere su di lei. Quindi tutti i ficcanaso di mezzo mondo erano allertati. Questo poteva giocare anche a loro favore, pensò Tony solo un attimo, poi disse: «Mi raccomando, estrema cautela. Presto sarò a casa». Si congedò così da Sally e poi si mise a riflettere. Tutto questo interesse per la figura di Chiara doveva essere stato montato ad arte da qualcuno. Accese il suo portatile, si collegò a internet e apprese dell'uccisione di una tassista di colore, ritrovata nelle acque del Tamigi. I giornali ipotizzavano un tentativo di rapina, ma lui, vista la foto sul web-magazine, pensò che sarebbe stata una coincidenza troppo marcata. La donna che era stata uccisa senza l'utilizzo di armi convenzionali, senza alcuna traccia riscontrabile, senza che nessuno le avesse rubato il taxi o le avesse portato via il portafogli, era proprio quella che alcune sere prima avrebbe volentieri scortato lui e Chiara verso un destino tutt'altro che roseo. Tramite un accesso segreto ai file di Scotland Yard, rimasuglio di un bagaglio di informazioni e chiavi di accesso di un ato non troppo remoto, poté leggere il verbale redatto dal medico legale che confermò la causa della morte. Alla sfortunata era stato spezzato l'osso del collo in maniera quasi chirurgica. Si trattava di un professionista, pensò Tony, magari assoldato da qualcuno, ma sicuramente un professionista. Questo non lo fece riposare molto bene nella sua casetta di montagna, e come al solito, in questi casi, si svegliò di buon mattino, un'ora abbondante prima di gran parte del paese. ò solo un attimo dai suoi due fattori che lo abbracciarono, contenti di vederlo e soddisfatti per avere tenuto la casa in ordine per qualcosa, visto che lui alla fine era arrivato. Lasciò a loro una barcata di soldi a saldo di tutto un po', come bollette di telefono, luce, gas e per le spese impreviste ma a loro insindacabile giudizio necessarie. Il loro stipendio era erogato con un bonifico bancario direttamente da Londra senza che mai, neanche una volta,

fosse rimasto indietro. Alla fine dei giochi non era questo l'importante. Loro avrebbero potuto vivere bene anche senza quei soldi, e al tempo stesso lui avrebbe potuto lasciare la casa al suo oblio, spendendo forse la solita cifra o meno, qualora volesse fare tappa in Italia. Ma a lui piaceva così, e a loro anche. Prese il primo treno utile per Pistoia e poi si mise a girellare per le vie del centro, aspettando che Gianni fosse in ufficio per fargli una telefonata. Alle nove in punto il telefono di Gianni prese a squillare. Gli rispose quasi subito e fissarono per le dieci in punto nel suo ufficio. Arrivò come sempre con dieci minuti d'anticipo e aspettò che il cliente che era da lui avesse finito. La signorina che lo accolse lo fece con tutti gli onori del caso e finì perfino per offrigli il caffè, fatto arrivare apposta dal bar vicino. Lui ringraziò più volte e poi s'immerse nella lettura di una rivista che era sul tavolo. Lo fece senza quasi accorgersene, ma anche quella aveva in prima pagina la fotografia di Chiara, con il sottotitolo in rosso: “Chi l'ha vista?” facendo una similitudine con una nota trasmissione televisiva italiana. I due tizi che erano in ufficio uscirono con qualche minuto di ritardo, lui subito si fece sulla porta e si abbracciarono. Erano tanti anni che non si vedevano viso a viso. Anche la segretaria rimase interdetta ed emozionata da quella situazione. Entrarono in ufficio senza dire nulla, subito dopo lui si ricompose e interfonò alla segretaria dicendo: «Signorina, chiami l'avvocato Ringhi e gli chieda se può sostituirmi in udienza stamani. Poi non ci sono per nessuno e non mi i telefonate». «Sì» si limitò a rispondere lei, e riagganciò la comunicazione. «Allora diavolo, a cosa debbo la tua venuta in Italia?» disse Gianni accendendo l'immancabile Marlboro rossa. In realtà non fumava molto, soltanto in certe occasioni durante la giornata. «A lei» rispose Tony poggiando sulla scrivania la rivista che aveva preso nella sala d'attesa.

Gianni provò a scherzare sull'argomento pensando a qualcosa di meno complicato e disse: «Andiamo Tony, non vorrai mica sposarti l'ereditiera che non si trova?». «No, non sto scherzando. Piuttosto, cosa sai di lei?» «A parte il fatto che le domande dovrei farle io, comunque di lei non so nulla, al di fuori di quello che hanno detto i giornali. Giovane ereditiera scomparsa nel nulla, la famiglia lo comunica solo ai giornali e non ufficialmente alla polizia, che comunque indaga in maniera non ufficiale, eccetera eccetera…» «Che intendi per “maniera non ufficiale”?» chiese Tony guardando con benevolenza la fotografia di un bimbo con dei magnifici riccioli castano chiari. «Intendo affermare che nessuno ha mai messo per iscritto una denuncia di scomparsa per esempio… e che quello nella foto è mio figlio». Tony sorrise divertito da quelle parole. Ovviamente anche per Gianni tutta questa messa in scena sembrava a dir poco strana. Lui glielo disse apertamente, anche se in uno di quei cassetti mentali che di solito non andava ad aprire, la sensazione che tutto andasse all'opposto di come invece immaginava cercava di farsi spazio e di forzare quella serratura che Tony, per il momento, voleva tenere chiusa. Pensava che Chiara volesse forse sfuggire ai propri doveri, la immaginava una ragazza viziata, tutta vacanze, shopping, gioielli, feste in locali di lusso, e un codazzo di spasimanti. In fondo credeva che con la sua scomparsa lei potesse rifarsi una vita un po' più tranquilla, magari in un paradiso fiscale, lontano dai guai e dalla tributaria. Poteva già immaginarla mamma di un paio di bambini e per marito la persona meno sospettabile di questo mondo, magari un giardiniere delle tenute del suo povero padre o un qualunque gelataio conosciuto altrove. «E con questo che cosa intendi dire?» chiese Tony, pacato ma al tempo stesso curioso di quell'arrampicarsi sugli specchi. «In fin dei conti non voglio proprio dire nulla, soltanto vedo tutta questa vicenda come un fatto non criminale» sentenziò Gianni.

Tony raccolse i pochi capelli sulla chierica in cima alla testa e disse: «Non sai quanto ti sbagli». Guardò per un lungo attimo il volto del suo amico contrarsi, non tanto per una possibile sua colpevolezza nel valutare una situazione, ma per quello che lui gli avrebbe detto. Infatti lo fermò con un gesto della mano e disse: «Perché non andiamo a prenderci un bel caffè?» Tony rimase stupito dal suo comportamento, un camlo rosso si accese in fondo al suo cuore, ma non volle crederci e lo respinse da dove diavolo era venuto. Fatto sta che uscirono e si avviarono a piedi verso il centro della città. Piazza del Duomo distava poche centinaia di i dal suo ufficio e in un batter d'occhio furono sotto il Battistero. Su quelle scale e vicino al tribunale, luogo da lui ormai stra-conosciuto, disse: «Adesso puoi dirmi tutto». In fondo Tony pensò che non c'era molto da dire, ma prima volle indagare. «A cosa dobbiamo tutte queste attenzioni?» chiese. «Magari a nulla, ma con tutto quello che hai fatto prima di essere una guardia del corpo, e visti i tizi che ho dovuto difendere, qualche micro-spia inserita in ufficio me la metteranno prima o poi». Si guardò attorno e poi disse: «Molto più difficile l'intercettazione ambientale, non credi?». In fin dei conti aveva ragione ancora una volta. Perché rischiare di venire scoperti per una banale sottovalutazione del nostro nemico? Tony però non aveva perso quel senso di sfiducia per tutti, compresi gli amici veri e allora lo condusse nei primi banchi della chiesa di fronte e disse: «Chiara è con me e ti posso garantire che non è nella posizione che immagini tu». Quindi gli raccontò tutto quello che era successo da quando lei era arrivata nel suo ufficio a Londra ad oggi, senza tralasciare nulla. Dopo quasi un'ora che erano dentro, un prete si avvicinò a loro chiedendo se avessero bisogno di essere confessati, e che la messa si sarebbe tenuta di lì a

poco. Ringraziarono il sant'uomo e facendosi il segno della croce uscirono al sole di mezzogiorno. Pranzarono insieme in un ristorantino del centro, senza più parlare di lavoro ma solo di frivolezze. Finirono anche per essere abbordati da due bionde nordiche, purtroppo in là con l'età. Si lasciarono poco prima delle tre, tutti e due avevano qualcosa da fare. Gianni, come sempre accadeva, prese a cuore la storia di Tony e finì con dire la consueta frase: «A presto amico mio». Che tradotto nel suo linguaggio voleva dire: “Mi informo e poi ti faccio sapere, amico mio”. Tony rispose che sapeva dove trovarlo e si congedò. Non andò subito a casa, prima fece la telefonata di rito. Questa volta rispose Mamy, che gli confermò che tutto procedeva bene e che Chiara stava collaborando e diventando sempre più amica di Sally. Dentro di sé non sapeva se essere contento di questa novità o iniziare a preoccuparsi. Pensò che forse quelle due giovani donne avessero davvero qualcosa in comune da condividere, e non ci pensò più. Poi telefonò anche a Carlos, un afro-cubano sradicato da Cuba, dagli USA e dal caldo, per essere messo a fare il poliziotto a Londra. Era un amico, e uno dei tanti che gli dovevano in fondo qualcosa. In un tempo più lontano lo aveva tolto dal sangue e lo aveva ripulito in pochi mesi, per farlo diventare un poliziotto modello di Scotland Yard. Per questo poté chiedergli di occuparsi in maniera non ufficiale di Chiara, in prima persona, facendo visita a quel cottage di tanto in tanto, il che voleva dire tutte le sere dopo il lavoro, e poi di occuparsi del fascicolo, se c'era, circa la morte di suo padre. Il fascicolo arrivò via e-mail in pochissimo tempo e Tony poté leggere tutto l'accaduto. Tanto per cominciare Giorgio non era stato ucciso, ma era stato trovato cadavere

nella sua abitazione di Firenze. La causa della morte era stata classificata come arresto cardio-circolatorio. Il medico legale che aveva eseguito l'autopsia, agli atti del fascicolo, non aveva dubbi. Tutto si era risolto con una velocità tale che anche lui, mentre leggeva il plico ormai stampato, finiva col sentirsi spiazzato. Mai nella storia si era potuta chiudere una vicenda, che portava al decesso di una persona di non ancora 65 anni, in una tempistica così breve. Il cadavere era rimasto così poco tempo in possesso dei medici legali, che quasi pareva non avessero neanche eseguito l'autopsia. Più leggeva quei referti e più si convinceva che qualcosa di anormale fosse accaduto nelle procedure. Agli occhi di un inesperto cosa poteva contare se la salma era rimasta nella sala operatoria meno di mezz'ora? O se la temperatura del cadavere alla prima rivelazione era di 31 gradi centigradi? A pensarci bene poteva non dire nulla. Ma Tony non era convinto e pensava che qualcosa – anche se ancora non sapeva bene cosa –, nello scenario della scomparsa di Giorgio, non tornasse. ò un giorno e mezzo a camminare per le strade invase dalle foglie secche di castagno e faggio della sua montagna. Solo lì poteva fare chiarezza sui percorsi da intraprendere. Non vedeva più la strada, i greti e l'intreccio delle nuvole sopra di sé, che lasciavano a volte trasparire il celeste cobalto del cielo, sospinte da un inevitabile libeccio autunnale. ò in quei posti che, in un contesto normale, oggi nessuno vuole più calpestare. Ritrovò strade che aveva già percorso, con amici che non aveva più. Eppure alcuni di loro erano lì con lui. Soffriva di una nostalgia indescrivibile e quella tristezza lo portò per caso a fare il giro del Faldo. Un fossaccio ormai scuro e inospitale anche per le trote fario. Comunque sia si affacciò su Pracchia da una nuova prospettiva; si avvicinava al paese da nord diciamo. Le case arroccate sopra il campanile e quell'insieme di

tetti ammonticchiati di sotto, lo lasciarono senza parole. Non si ricordava di aver mai visto da quella prospettiva il suo nido. Negli anni addietro si era limitato a vedere quei posti, che i paesani chiamavano Pracchia Alta o in modo un po' più dispregiativo La Dogana, dal basso verso l'alto. Proprio questa differenza di paesaggio lo riportò alla ragione nei pressi del cimitero. Notò quasi con dolore che una mamma aveva fatto un corridoio di luce tra sé e suo figlio. Come poteva condannare tutto questo? Come poteva essere distante da quella madre che in ultima analisi voleva soltanto vedere, o forse solo immaginare, la terra dove ormai irrimediabilmente poggiava suo figlio? La gente di quel paese comprendeva in assoluto silenzio quel dolore, e forse quei giovani che, in un tempo non lontano avevano in qualche modo lasciato in disparte quel ragazzo, oggi dentro se stessi non si davano pace. Un dolore sordo e antico, che con il are dei giorni e la distanza che loro inevitabilmente ci mettevano di mezzo, finivano per lasciar cadere nell'oblio. In un tempo non lontano anche Tony aveva perso un amico. Il dolore si mescolava oggi nel ricordo gioviale della sua presenza, e lo sentiva spesso farneticare nei confronti di un oggetto insignificante come un accendino, che non trovava affatto nelle sue tasche perché smarrito come mille altri cento, ad eccezione del fatto che poteva accendere soltanto un'altra sigaretta. Dopo quell'assurda mancanza Tony aveva perso le parole. Entrava spesso nel cimitero di quel paese alla ricerca di qualcosa. Come sempre avviene nelle migliori tradizioni cercava un po' di tutto. Un po' di redenzione, un po' di perdono, un po' di amici che non c'erano più, un po' di ato che ormai si era lasciato alle spalle, un po' di quelle persone che avevano lasciato il solco nella sua vita. Era come se un nuovo rivolo d'acqua cercasse lo sbocco al mare ogni giorno. Una miriade di corsi, riversi o no nel mare. Comunque sia arrivò al cimitero mentre si stava officiando l'ennesimo funerale. Notò, quasi con benevola ironia, tutte quelle persone che facevano a gara a ricordare il defunto in vita, di com'era stato, di quello che aveva fatto, della gravità della sua malattia, piuttosto che della fortuna avuta nel vivere fino a quel punto.

Il sole delle tre e mezzo del pomeriggio irradiava ancora parte dei convenuti. Abbassò la testa mentre ava di lì. Nessuno forse lo conosceva e lui faceva tutto il possibile per non destare attenzione. Tra i cori dei sospiri e dei pianti, e forse anche solo dei pettegolezzi di alcuni, che si mescolavano con le comunicazioni ufficiali tra parenti per caso incontrati, lui carpì cose del tipo: «Sembrava solo addormentato» oppure: «Aveva il solito sorriso, sicuramente non ha patito». Nella mente di Tony s'iniziò a formare un'unica domanda: «Chi aveva visto Giorgio defunto e ben riposto nella bara, pronto per essere seppellito?». Tornò a casa scosso dalla rivelazione che aveva appena avuto. Non ne volle parlare ancora con nessuno tranne che con Gianni. Lo chiamò il mattino successivo e gli fece tutta, proprio tutta, la “gnola”, come la chiamava lui. «Devi spiegarmi come fa uno a stare nella sala operatoria dell'obitorio, per l'autopsia, per un tempo inferiore alla mezz'ora, per poi finire nella sua bara a una temperatura corporea di oltre trenta gradi!» «Tony, non essere frettoloso, magari qualcuno ha sbagliato a trascrivere qualche dato». «Nessuno ha sbagliato a trascrivere nulla, amico mio» disse Tony. «Non voglio dire quello che penso, ma secondo me quello non era un cadavere, e tutto il resto è una messa in scena!» controbatté lui. A Tony sembrò di vedere Gianni mentre si trastullava i riccioli castani, e poi lo sentì dire sottovoce, quasi avendo paura della risposta del suo amico: «Quello che dici è ato da qualcosa di inequivocabile?». «Credi che la copia dei verbali della polizia sia abbastanza inequivocabile o devo andare oltre?» rispose quasi seccato. «Come cazzo hai fatto ad accedere a quei documenti?» disse quasi furioso, poi continuò mesto: «Anzi, non voglio proprio saperlo».

Tony sorrise e gli spiegò che nella vita, la sua, non aveva sempre fatto il solito lavoro, in ogni caso lo invitò a cena. Si ritrovarono a metà strada tra Pistoia e la sua montagna. Cenarono nella piccola pizzeria di un qualunque paesino incollato alla statale che conduceva in ogni posto del mondo. Erano soli e poterono parlare liberamente. Che cosa era davvero successo al povero Giorgio, e chi erano le persone che tiravano le fila di quel fantastico gioco? La visione di Tony era alquanto surreale per Gianni, comunque decise di accettare l'incarico a retribuzione zero e di indagare. In sintesi lui pensava che la persona sepolta nel cimitero non fosse il povero Giorgio e quindi, da quel momento, doveva necessariamente dubitare di tutti. In un tempo successivo a quei pensieri, anche se non meno veloce, la domanda successiva che si pose fu: «Cosa cavolo c'entro io in tutta questa storia?». In fondo Tony poteva essere soltanto un soggetto indiscreto in tutta quella vicenda. Forse calato nella rete da qualcuno per deviare le indagini? O forse soltanto un attore voluto da Giorgio perché in fondo non si sa mai? Nella sua mente il pensiero principale era catalizzato su Chiara. In fondo come l'aveva conosciuta? E soprattutto, come poteva davvero fidarsi di lei? Decise di dormire, per mettere una bella pietra sopra quei fantasmi che anche di giorno annebbiavano la sua lucidità. Tony in cuor suo sapeva che quando si presentava un problema, la sua medicina era dormirci sopra. Andare a letto, possibilmente da solo, e riformalizzare quei riti, quei gesti, che per lui erano davvero importanti. Andare a letto a Pracchia comprendeva tornare a casa, mettere sul fuoco una bella tazza d'acqua calda, per poi decidere se farne Karkadè, banale tè verde, o addirittura camomilla. Il o successivo era valutare la temperatura

dell'ambiente, e decidere se magari era il caso di accendere lo scalda-sonno oppure no. Ovviamente arrivava sempre in seconda battuta. Qualcuno di sua profonda conoscenza aveva già dedotto tali stime e aveva deciso per lui circa il da farsi. Dopo il tragitto bagno - denti - pipì e controllo luci, andò a letto. Dormiva in un letto matrimoniale con un coltrone per coperta e lenzuoli vecchi di cent'anni, ma di quel cotone spesso e confortevole, che qualunque massaia avrebbe voluto avere nel suo corredo. Come sempre accadeva, non per particolari concause, si addormentava a luce accesa. Quando era a letto il suo pensare si affievoliva con il are dei minuti. Si ritrovava così al mattino seguente in una sorta di risveglio surreale tra luci che gli pareva di avere spento, sogni che avrebbe voluto fare a meno di accendere, e fantasmi buoni che gli facevano visita indipendentemente. Quella mattina, quando si risvegliò dall'incubo, gli venne di pensare che Chiara potesse essere coinvolta in questa “fanta-psicosi”, e che mentiva soltanto per una ragione a lui ancora ignota, o forse era soltanto una delle vere vittime inconsapevoli del gioco. Erano già le dieci del mattino e lui non volle perdere altro tempo. Alle dieci e dieci era già in linea con lo studio dell'avvocato Frosoni. «Ciao Tony – disse squillante Gianni –, ci sono novità?» «Vorrei che tu indagassi anche sulla figlia di Giorgio» disse lui in risposta. «L'ho già fatto, caro mio» rispose lui composto e orgoglioso di averlo preceduto. Poi, telegraficamente, come se qualcosa davanti a lui fosse di nuovo cambiato, disse concludendo la conversazione: «Ti invio quello che mi hai chiesto per fax». Non avendo il fax, almeno in Italia, trovò difficile comprendere e credere a quello che l'avvocato aveva detto. Pensò piuttosto a qualcosa di diverso. Un senso di dolore si avvicinò al suo cuore, credendo di aver messo il suo amico in un mare di guai.

Mentre stava congegnando un'ipotesi di contatto indiscreto con lui, il suo cellulare cominciò a suonare. Era Gianni. «Non potevo parlare prima, c'è un sacco di gente interessata alla tua amica» disse stoppando la comunicazione, come se qualcuno volesse che lui non dicesse altro. Poi riprese la comunicazione e aggiunse: «Credo di non poterti essere di molto aiuto, comunque vediamoci domattina, in centro, al solito posto» concluse. Le sue parole furono un invito a continuare nella direzione che aveva preso. Gianni non era uomo da tirarsi indietro quando ragione e legalità facevano da padrone in una così plateale dimostrazione di senso della ragione. Questo a Tony faceva paura. Un uomo di così tale temperamento, perché di punto in bianco decideva di gettare la spugna e fermarsi lì? Probabile che le acque che aveva tentato di rimescolare gli si fossero ritorte contro, e adesso pensava che forse era meglio fare l'avvocato della cause vinte piuttosto che di quelle potenzialmente perse. Rifletté molto prima di andare a quell'appuntamento. In fin dei conti non poteva vincolare la sua vita, quella professionale in primo luogo, per una missione senza ritorno. Comunque sia lui ci andò. Alle dodici e trenta del mattino successivo si trovava puntuale al ristorantino dove avevano pranzato solo pochi giorni prima. L'aspettò inutilmente per quasi un'ora, poi, mentre stava per chiedere il conto, la cameriera gli si fece avanti e glielo portò in anticipo. Tony rimase di stucco e con un sorriso aprì il foglio piegato sul piatto bianco. C'era scritto in corsivo: «Pagato. Ci vediamo a casa tua, G.». «Tutto a posto» avrebbe detto in altri momenti, in ogni caso cominciò a girarsi e a guardarsi attorno come allora. Tutte le persone che incontrava sembravano guardarlo in modo strano, ma non

era assolutamente vero. Andò a casa e si mise ad aspettare. La finestra del bagno dava sopra il cortile attrezzato di altri, con una strada comunale che finiva proprio all'uscio di casa sua. Era quasi impossibile arrivare senza essere visti. Le comari estive, a volte con fare vezzoso, si sporgevano con le loro sedie verso il centro della piccola strada lastricata, e bloccavano di fatto quel poco traffico formato da due o tre auto dei residenti, che avrebbero voluto parcheggiare davanti alle loro case. Tony leggeva un libro del suo amico “Callisto”, scrittore nomade non condizionato da tutti quei traffici di informazioni e cose del mondo. Quando lo conobbe lo giudicò male. Lo assimilava a tutto quello che lui non avrebbe voluto essere. Poi, con il tempo e la ragione, ma soprattutto con la conoscenza, capì che al di sotto della corteccia ruvida, mai maleducata, e di certo consona a quello che l'aveva temprata, c'era l'uomo. Fu presente in tante piccole occasioni, lasciandolo soltanto parlare dei suoi viaggi e di sé, di com'era, delle cose che amava, di quelle che al contrario odiava, e di quelle che avrebbe voluto amare. Si trovava spesso ad ammirarlo mentre raccontava aneddoti veri di storie impossibili davvero accadute. Lo stupiva la semplicità e la trasparenza della sua più grande arte: comunicare. Per entrare in casa di Tony c'erano tre possibilità. Una era la porta principale e altre due erano formate dall' a un giardino in comune. Da lì si poteva are per altri due indistinti e altrettanto anonimi appartamenti di conoscenti, che sfociavano poi su due vie diverse del paese. Gianni era informato e usò questo stratagemma. Arrivò a casa di Tony alle sette di sera. Fece capolino dalla piccola taverna che dava sulla cucina di Tony e disse: «Chiudi tutto. Nessuno deve sapere che sono qui!». Il padrone di casa si fece subito guardingo e sprangò tutte le finestre e le porte. Gianni si sedette al tavolo di cucina e chiese un bicchiere d'acqua. Sembrava davvero spaventato, ma con il are dei minuti si ricompose e disse: «Chi è a

conoscenza delle tua presenza a Pistoia?». Tony ci pensò un momento e rispose: «Non saprei, ma poche, anzi pochissime persone. Ma perché diavolo mi fai queste domande? Gianni, cosa sta succedendo?». L'avvocato spiegò che di fatto non stava succedendo niente di particolare, ma la scacchiera dei giochi si andava pian piano delineando. In primo luogo era stato contattato da un suo collega, tal avvocato Gori, che lo metteva in guardia circa l'amicizia con soggetti della sua risma; poi un Maresciallo della Finanza lo aveva contattato per sapere se in via non ufficiale la signorina Chiara fosse mai stata sua cliente; per finire poi con le minacce pesanti di un paio di spacconi che gli consigliavano di occuparsi soltanto di divorzi e di liti domestiche, e di lasciare i casi riguardanti le persone scomparse. Non poteva certo essere un caso, anche Tony concordò. Allora pensò, come avrebbe fatto in altri tempi, che il mandato era trovare la talpa. Si, tutti e due concordavano che c'era una talpa che informava dei loro spostamenti e delle loro cose. Se questo era vero allora anche Chiara, Mamy e Sally potevano essere in pericolo. Fu Gianni a rassicurarlo: «Non ti preoccupare, amico mio, finché restano in Inghilterra sono al sicuro. Questi soggetti non possono avere le mani in pasta con tutto il mondo». Dopo un attimo di silenzio sentenziò: «Il problema grave arriverà quando deciderai di riportarla in Italia». «Dopo Sestri Levante, se arriverò da lì, saranno guai» disse Tony, parecchio spaesato. Pensava di avere un vantaggio, almeno quello della sorpresa, ma si sbagliava. E allora tutto cambiava radicalmente. Chiamò Carlos e lo convinse a prendere una quindicina di giorni di ferie e stabilirsi a casa di Mamy. Lo pregò di portare con sé anche un paio di scagnozzi purché fidati, poi avrebbe ricompensato anche loro. L'unica cosa che non avrebbe potuto fare in quel momento era portare Chiara in

Italia. Prima doveva avere le idee più chiare almeno circa il loro nemico. Informò anche Sally di tutto, e lei gli comunicò che nel complesso le cose stavano andando bene; Mamy e Chiara avano gran parte del tempo in cucina a litigare sulle ricette. Tony in fondo pensò che quella poteva essere una giusta punizione per Chiara. Dopo la telefonata, Gianni iniziò un discorso circa la possibilità che tutto fosse una messa in scena. Ancora non sapeva quale attore stesse ordendo la trama, ma ne era sicuro, qualcuno lo stava facendo. Vedeva un alone oscuro dove più rimescolava le acque, che si facevano scure e limacciose. In fin dei conti poteva anche essere la stessa Chiara a fare il doppio gioco per chissà quale motivo, oppure erano i suoi aguzzini a tentare di portare allo scoperto chi la proteggeva. Le ipotesi si fecero davvero troppe e allora i due si lasciarono a notte ormai fonda, quando Tony disse una cosa che in un primo tempo lasciò entrambi senza parole: «E se Giorgio non fosse morto? E se fosse lui la mente di tutto questo intreccio?». Si guardarono per lunghi secondi e poi dissero con la testa di no. Non era possibile, e soprattutto non c'era un reale motivo. Perché coinvolgere tutta una serie di persone che di fatto non avevano un ruolo nella vicenda? E allora quale poteva essere la combinazione vincente di questa lotteria? Tony andò a letto con quel pensiero e quando si svegliò era rimasto il medesimo. arono ancora un paio di giorni in cui si ritrovò ad aspettare gli eventi. Stava quasi sempre in casa, magari in compagnia di qualche amico per un caffè o per il pranzo, poi si rifugiava in camera aspettando nuove notizie. Sembrava le sentisse arrivare, fatto sta che un mattino ricevette ben due telefonate. La prima era di Gianni, che era riuscito a scoprire un fatto importante per la loro indagine interna. Infatti, nei pressi del cimitero dove era stato sepolto Giorgio, si era verificata una frana, un piccolo smottamento di terreno. Il sindaco del comune aveva disposto una perizia tecnica da parte di un geometra o di un geologo. Entrambi erano amici di Gianni e gli dissero, in via esclusivamente informale, che il cimitero avrebbe dovuto essere spostato di lì a pochi mesi. Tutto questo

rendeva più facile la possibilità di verificare la vera, reale morte di Giorgio. Di sicuro tutto sarebbe stato come doveva essere, ma forse era meglio verificare. Tony di questo non informò Chiara, e nemmeno Sally. La seconda telefonata la ricevette da Carlos, al quale era parso di vedere movimenti strani di persone che si aggiravano nei pressi della proprietà di Mamy. Non era sicuro di quello che diceva, anzi forse era solo una sensazione, ma era quanto bastava per far tornare Tony in Inghilterra. Infatti, a pensarci bene, il suo lavoro poteva dirsi finito, e dopo i convenevoli con i due angeli che gli guardavano la casa italiana, una volta concordato il resto dei piani con Gianni riprese un aereo per Londra. Partì da Pisa, questa volta, e arrivò proprio a Londra. Ci mise di più a uscire dal caos della città che ad arrivare al cottage di Mamy, nei pressi di Cliffe, così lo chiamano loro. Sulla porta del cancello della proprietà un primo scagnozzo lo bloccò all'istante chiedendo i suoi documenti. Lui li presentò, quelli veri, e allora il tizio con gli immancabili occhiali scuri e l'abito sdrucito da una notte ata in auto, lo fece are. In casa c'erano tutte e tre le donne più Carlos. «Al tempo!» imprecò lui in tono beffardo e scherzoso. Finiti i convenevoli i due uomini si avviarono verso il laghetto con la scusa di vedere il rientro dei germani reali. «Notato nulla?» chiese Carlos bruscamente. «Direi di no» rispose Tony. «Infatti» disse ancora l'amico poliziotto e poi aggiunse: «A parte quella Rover bianca che da qualche giorno a quasi ogni ora davanti alla proprietà» e fece cenno con il volto nella direzione da cui proveniva l'auto. «Non credi che potrebbe essere un caso?» disse Tony pensieroso.

«Certo, ma potrebbe anche non esserlo affatto» rispose l'amico. Gli spiegò che nell'auto c'era quasi sempre una persona sola e si trattava di una donna. Sempre la stessa, avevano detto gli scagnozzi di Carlos. L'autovettura risultava di proprietà di una agenzia di noleggio nei pressi dell'aeroporto di Heathrow. Carlos aveva provato a richiedere, in maniera non ufficiale, i dati della persona che l'aveva affittata negli ultimi tempi, ma la segretaria, già con una certa esperienza, gli aveva detto tra le righe di andare al diavolo. Così si era dovuto accontentare di scattare un numero imprecisato di fotografie dimostrando, tra l'altro, che la persona nell'autovettura era sempre la solita. Di notte il via vai si interrompeva e riprendeva alle prime luci dell'alba. Sembrava proprio che attendessero una partenza imminente. Carlos ipotizzò che la notte fossero tenuti d'occhio a distanza, visto che al buio non si poteva certo partire. Fu allora che a Tony venne l'idea. Congedò Carlos e suoi scagnozzi, pregandolo di lasciare un'autovettura anonima, con il pieno e le chiavi nascoste nel cruscotto, a pochi chilometri da Cliffe, sulla strada per Dover, e un tizio sulla porta di casa almeno fino alla mattina successiva. Organizzare il tutto sarebbe stato una faticaccia, così anche lui decise di andare a letto. Quando fece ritorno a casa le tre donne erano già nelle loro stanze, tranquille ed eccitate di stare in un gioco a loro sconosciuto, e forse anche inconsapevoli del pericolo che stavano correndo. Alla fine dei giochi una persona ci aveva già rimesso la vita, e forse anche una donna inglese di colore insieme a Giorgio. Che cosa era quell'accanimento ancora allo stato embrionale che lui percepiva, e purtroppo non riusciva a trasmettere a nessuna delle tre? Perché sentiva quella paura interiore che fa sì che le gambe tremolino, ma solo dal di dentro? Se si voltava indietro vedeva la sua vita fatta di giorni e giorni ad inseguire l'uscita di sicurezza da tutto questo.

Lui non credeva al destino o alla fortuna, piuttosto alla statistica e al calcolo delle probabilità. La via di fuga era oltre il laghetto, dove mille volte Flash aveva inseguito i germani feriti e aveva finito per ritornare, stramazzando al suolo esausto con l'animale in bocca. Un sentiero non carrozzabile, strada sterrata realizzata cento anni prima da tagliaboschi locali per il trasporto della legna con i muli, poteva rendere la via di fuga alquanto facile. Il problema era la resistenza fisica di Chiara, che avrebbe dovuto camminare nel buio più assoluto e senza far rumore per una decina di chilometri. Ce l'avrebbe fatta in una notte? Tony pensò con ottimismo di sì e poi si rovesciò sul guanciale esausto. La mattina si svegliò prima di tutti. Preparò una pesante colazione e poi andò a svegliare l'allegra brigata. Il tizio che la sera prima aveva lasciato sulla porta era sempre lì e non dava segno di cedimento. Trovò le tre signore che stavano scendendo le scale, quando stava per andare a svegliarle. Prima le fece mangiare e poi spiegò loro il suo progetto. Quella che sembrò subito più spaesata fu Chiara, che seppe soltanto dire: «Come farò a camminare per dieci chilometri con le scarpe con i tacchi?». Verso le dieci del mattino la guardia sulla porta andò a salutare Tony e si congedò dicendo: «Quella macchina ha ripreso a are davanti non appena si è fatto giorno. Mi sembra che la persona alla guida sia sempre la stessa». Tony gli porse la mano, e mentre gliela stringeva con vero senso di gratitudine rispose: «Non sono preoccupato, se avessero voluto fare qualcosa certamente non avrebbero aspettato il mio ritorno. Penso piuttosto che ci aspettino non appena rimetteremo piede in Italia». «Già» disse lui, e se ne andò. In fin dei conti poteva anche essere un rintronato che cercava soltanto dei guai, pensò Tony. Non ci credeva molto a quella sua teoria, in ogni modo la mise in un angolo remoto della mente, nel reparto delle possibilità.

Quel pomeriggio andò a perlustrare la zona nei pressi del laghetto per verificare l'attuale esistenza del sentiero, più che per vedere qualche germano reale spiccare il volo incalzato da lui. Tutto sembrò essere a posto. Anche l'assoluta assenza di tracce d'uomo sul sentiero, battuto invece da molti animali, fece ben sperare Tony. Vide e riconobbe a distanza di anni la pestata greve del cinghiale e quella lieve di un piccolo capriolo. Poi, poco più distante, notò un'orma che da molti anni non vedeva più, o forse aveva scambiato per quella del suo fratello minore: il cane. Era l'orma del lupo. Difficile capire il loro numero, visto che camminano uno dietro all'altro, ma erano di certo lupi. La pestata di quell'animale è quasi doppia di quella di un cane normale. Diffidente con l'uomo e con ogni forma di vita a lui sconosciuta, è raramente avvistabile di giorno, mentre di notte può are a un metro dalla tua postazione senza farsi vedere né sentire. Comunque sia tornò verso la casa, sempre più convinto della riuscita del suo piano, e appena fu visibile l'ingresso notò la porta socchiusa e la presenza di una macchina nel vialetto. Il gesto che gli venne istintivo fare fu quello di mettere la mano sotto il braccio sinistro, alla ricerca della fondina che conteneva la sua pistola Beretta calibro 9, amica di tante battaglie. Ovviamente non la trovò, perché era ben riposta nel baule in soffitta di Mamy. Si avvicinò prudente alla finestra della cucina, e con immenso sollievo vide che la persona che stava in casa con Mamy era una sua amica di sempre. Era una di quelle persone che aveva visto chissà quante volte, e non sapeva nemmeno il suo nome o se abitasse nella casa vicina alla loro. Sorrise tra sé, pensando a dove poteva arrivare l'immaginazione umana ma, ancora prudente, non entrò. Aspettò che se andasse nella legnaia lasciando che il gomitolo dei ricordi si svolgesse ancora un po'. Non appena la signora ebbe lasciato la proprietà rientrò in cucina e chiamò a una sorta di rapporto tutte e tre le sue dame. «Fra un paio di giorni partiamo» disse serio alle tre avventrici che lo stavano

ascoltando uggiose. A volte non la riconosceva proprio Chiara. Quella donna affascinante e al tempo stesso così giovane e distante dalle altre, sembrava una di loro. Si stupiva nel vederla con i capelli scomposti e con un paio di jeans di Sally sformati e vecchi, parlottare con Mamy fino alla nausea di cose frivole o quasi. Quella volta fu la sua segretaria a prendere la parola e disse: «Quando partiamo?». Ci fu un lungo minuto di silenzio dove tutte aspettavano una risposta, a loro modo di favore, in funzione dei propri pensieri. Tony non disse nulla, si limitò a scuotere appena la testa e poi a guardare Mamy. Lei colse subito la sua richiesta impercettibile di aiuto e disse: «Mia cara, io e te rimaniamo a casa come ai vecchi tempi. Proprio come madre e figlia». Sally si alzò di scatto e uscì dalla stanza seria e contrariata. Tante volte Tony era partito per chissà quale Stato del mondo, per ficcarsi in un guaio probabilmente più grosso di lui, ma mai Sally aveva avuto quella reazione. Lui pensò di far are la notte per stemperare gli animi, poi l'indomani avrebbe provato a parlarle. Anche Chiara ebbe una reazione contraria alle sue aspettative. Avrebbe creduto che fosse felice di fare ritorno, magari in incognito, in Italia, ma si sbagliava. Sembrò non essere ancora pronta a lasciare quel piccolo scampolo di paradiso, lontano da tutto e da tutti. La vide cercare con gli occhi tutte quelle cose che avrebbe inevitabilmente scordato, e piegare la testa verso la spalla di Mamy per percepire ancora il suo odore, l'essenza della sua anima. Quella mattina Tony si svegliò prima dell'alba per fare le prove di fuga. Non era più incurante dei suoi i e del suo abbigliamento, adesso si facevano le prove per davvero. Uscì dalla porta che dava sul laghetto e lo starnazzare dei germani reali e il ronzio insistente dei beccaccini lo distolsero per un attimo dal suo intento.

Infatti tornò subito sui suoi i e si avvicinò alla strada della contea, quella asfaltata. Percorse nell'ombra della vegetazione la distanza che lo separava dal punto dove la Rover bianca spariva dalla loro visuale da casa. Era deciso a vederci chiaro. La macchina era parcheggiata in uno scanso a poco più di un chilometro. Era chiusa, il motore ormai freddo da molte ore, e nessuna guardia apparente. Allora fece quello che aveva fatto per così tanti anni: si mise ad attendere il suo nemico. La sorpresa e l'informazione su quel quasi sempre leale avversario erano stati, negli anni, alleati vincenti per gran parte delle sue piccole o grandi battaglie. Si accovacciò dentro un piccolo prunaio, che era così vicino alla macchina che poteva leggere le scritte dei pneumatici. Dentro quell'anfratto di fortuna c'era una sorta di canale, creato apposta dall'uomo per far defluire l'acqua piovana, o forse soltanto realizzato dalla più grande specialista in geologia: la natura. Così, una volta trovato un flebile accordo con gli spunzoni del moreto selvatico, risultava invisibile. Intanto le prime luci dell'alba arrivavano da est. Una corriera si fermò a poca distanza da lui, una donna sulla cinquantina scese con fare deciso e si avvicinò, senza dare a vedere nessun timore, verso la Rover bianca. Aprì la portiera con un mazzo di chiavi e partì alla volta della casa di Mamy. Tony non si mosse dalla sua posizione che con il are del tempo era diventata più un sudario che altro. Fatto sta che la signora fece ritorno con la macchina dopo circa quindici minuti. Fece manovra, rimise la macchina nella posizione in cui l'aveva trovata e poi spense il motore. Possibile che Carlos non avesse notato quel tipo di manovra? Forse non aveva indagato a fondo, in fin dei conti il suo ruolo in quella vicenda era soltanto di proteggere qualcuno. Tony non riusciva a vedere bene che cosa stesse facendo, ma sentiva un rumore

come se lei sfogliasse qualcosa, forse una rivista. Trascorsero così altri quarantacinque minuti, poi la macchina venne di nuovo messa in moto e la signora iniziò la ripetizione del suo giro turistico. Allora lui, dopo circa cinque minuti dalla sua partenza, uscì dal nascondiglio e ritornò sui suoi i fino a casa. Quando era di nuovo tra il laghetto e la casa vide la macchina sparire all'orizzonte. Trovò le tre signore che facevano colazione in un insolito silenzio. Lui disse: «Buongiorno». Loro neanche una parola, tranne Mamy che lo salutò con il linguaggio degli occhi. Mentre era voltato di spalle a prepararsi una tazza di caffè disse: «Che c'è?». «C'è che io non ho voglia di partire, che Sally non vuole che noi partiamo, che Mamy sta con la maggioranza e che tu ci hai fatto stare in pensiero!» sbottò Chiara. Lui le guardò tutte con autentico affetto e poi disse: «Va bene! Oggi non partiamo. Probabilmente ce ne andremo fra qualche giorno». Sally e Chiara ripresero lentamente a vivere, e in un battibaleno rientrarono in quel loro mondo, antitetico a quello reale, fatto di frivolezze e cose di poco conto. Era la loro anestesia verso tutto quello che finiva col far loro paura. Era l'antidoto verso quel veleno che si chiamava ignoto. Sembrava infantile, ma vivevano davvero quei momenti come al di fuori delle regole e del vero, e ignoravano volontariamente quello che le aspettava. Tony volle che la giornata trascorresse in assoluta serenità, anche in considerazione del fatto che lo spauracchio della Rover bianca non gli faceva più così paura come prima. Non lo disse alle donne, ma aveva già in mente un altro progetto.

Infatti la mattina successiva si rimise ad aspettare la signora nel medesimo nascondiglio. Questa volta però aveva manomesso i cavi elettrici dell'alimentazione dell'autovettura, e la macchina non ne voleva sapere di mettersi in moto. Dopo una decina di tentativi, la signora si decise a scendere e ad aprire il cofano. Quando vide i fili tagliati, che collegavano la batteria al motorino di avviamento, imprecò verso il cielo e poi, realizzando il tutto, cominciò a guardarsi intorno. Troppo tardi. Tony le era già addosso come un leone sulla sua preda. La immobilizzò in un attimo, come aveva fatto altre centinaia di volte, legandole le mani dietro la schiena con del nastro adesivo. Non capì subito se la donna fosse terrorizzata o sicura di sé, fatto sta che non fece un fiato fino a quando lui le disse: «Adesso andiamo a parlare un po'!». «La prego, non mi faccia del male» disse lei piangendo e vergognandosi di essersi fatta la pipì addosso. In fondo, pensò Tony, anche lei poteva essere una delle innumerevoli vittime di un sistema così sbagliato. «Se lei non mi darà problemi e risponderà alle mie domande andrà tutto bene» concluse lui, guidando la donna attraverso il bosco in direzione della casa. Lei non fiatò, fece un cenno d'assenso con la testa e poi, colta da malore, svenne. A Tony toccò di mettersela sulle spalle, portarla fino a casa e affidarla alle cure di Mamy. In fondo non era immerso in nessuna dannata guerra, e quella donna forse non era il suo nemico. Alla mente di Tony tornarono quei giorni in cui aveva dovuto sopportare e vedere in diretta la morte di così tanti giovani. La sua squadra non ebbe alcun problema, erano tutti veterani di una qualsiasi guerra. Quelli che cadevano invece erano altri. Erano la carne da macello. Quelli mandati ad aprire le strade e i ponti, quelli mandati nei campi minati

senza copertura, quelli mandati allo sbaraglio senza aver detto loro nulla. Il ricordo di quei volti, di quelle espressioni, di quelle solitudini tra molti, lo rendevano assente, e il suo dolore profondo, per aver vissuto tutto quell'inferno, lo portava via. Lontano da tutto e da tutti, in quel posto chiamato distrattamente Cliffe. Ci vollero un paio d'ore prima che la signora avesse ripreso colore e voglia di parlare. A dire il vero sembrava all'oscuro di tutto. Era stata contattata tramite internet e le era stato offerto questo lavoro molto ben retribuito da una fondazione con sede a Montecarlo. Le sue parole fluivano lente e precise, come una che non avesse intenzione di mentire. L'interrogatorio non lo stava facendo Tony, bensì Mamy che, con il suo modo affettuoso di comunicare, faceva cantare la pollastra come una cicala. In fondo quella donna aveva poco da dire: non sapeva chi in realtà la stesse pagando per effettuare ogni ora, dalle prime luci dell'alba alle prime tenebre della sera, quel percorso in autovettura, e soprattutto, a suo dire, non sapeva neanche il perché. In fondo, con il are delle ore, si poteva capire che era una delle povere disgraziate che invece di immettersi nel circuito del mestiere, finivano con l'accettare qualsiasi lavoro purché avesse una minima apparenza di onestà. E difatti, a pensarci bene, quel lavoro aveva poco di disonesto. A giudicare dal suo modo di vestire e dalla noncuranza del volto e delle sue mani, sembrava più una delle tante donne oneste in cerca di qualche sterlina legale, che qualcosa d'altro. Dopo un po' anche Tony entrò in salotto e lei provò una sensazione di paura, ritraendosi nel senso opposto a lui. «Non devi avere paura di me, sto solo proteggendo le persone che vedi in questa stanza» e fece un gesto con la mano per evidenziarle. Lei si distese un attimo e poi cominciò di nuovo a piangere. Tra un singhiozzo e un altro finirono col capire che non sapeva nulla delle vicende italiane di Chiara. Sapeva soltanto chi era per le fotografie che le erano state inviate dal Principato di Monaco. Chi era l'entità che nel buio stava lavorando a quel progetto? E soprattutto, vista la formazione professionale di Tony, da dove sarebbero potuti arrivare?

Lui avvertiva una sensazione positiva nei confronti di quella vicenda. Percepiva un qualcosa di inspiegabile che lo faceva essere sicuro. In fondo non credeva che un'organizzazione mirata al profitto, sicuramente illecito, non avrebbe tentato nulla, come accaduto con Chiara. D'altro canto capiva anche che lei era l'unico anello d'unione con i soldi di suo padre, e quindi non poteva immaginare un piano offensivo con vittime. Doveva liberarsi del fardello di esperienze negative, sporche di sangue e inspiegabili dipartite. Forse non era quello il caso… non sapeva per quale motivo apparente, ma non riusciva a vedere, oggi, in tutta quella diatriba, un finale fatto di pistolettate come ai vecchi tempi, quando aveva dovuto sorbirsi scene agghiaccianti a rischio della sua vita e non solo. Il sangue, a volte innocente e incosciente degli altri, con quell'odore metallico che finiva per asciugare la saliva in bocca, era stato per così lunghi anni un suo compagno di viaggio. Ora avrebbe voluto ripudiarlo e bandirlo nel mondo irreale dei ricordi, anche se temeva, invece, di dovergli di nuovo stringere la mano. Dentro di sé iniziò un percorso mentale che lo portò al di fuori di Cliffe, in luoghi semmai più sicuri e poco accessibili al tempo stesso, come ad esempio quel paese di mezza collina alla pronuncia di tanti, moltissimi, sconosciuto, che rispondeva al nome di Pracchia. Nell'incertezza non vedeva altra soluzione. Sarebbe stato il punto ideale per essere vicini alle cose, in senso lato, di Chiara, ma abbastanza distanti da tutti quei potenziali pericoli dettati dalla troppa vicinanza con gli altri: tutti gli altri. Forse poteva aspettare ancora un po'. In fondo capiva che, quando Gianni lo avesse avvisato dello spostamento del cimitero dove era sepolto Giorgio, allora poteva essere il momento giusto. In fondo bastava soltanto convincere la signora che aveva quasi fatto morire di paura a diventare sua alleata. Aveva però una ferita nella mente, pensava all'inquietudine di Gianni: non lo aveva mai visto così. In fin dei conti lui forse percepiva lo stato delle cose, quella famosa scacchiera che sempre, nella loro vita, seppur a distanza, finiva inevitabilmente per disporsi appena sopra il panno verde.

Comunque sia non gli piaceva la semplicità con cui accadevano le cose, era tutto troppo prevedibile, scontato. Nella sua vita ata aveva imparato che “troppo bene” spesso significava superficialità. In un contesto di vita normale, al massimo si sbagliava una previsione di spesa o si sottovalutava un raffreddore che poi si sarebbe trasformato in bronchite, ma nel suo tempo Tony aveva imparato che sottovalutare una situazione, o non approfondire aspetti che erano fin troppo cristallini, poteva essere davvero pericoloso. Avrebbe potuto agire in mille altri modi. Il suo nemico, lui al momento lo percepiva così, non era di quelli schierati, con pistole e bombe a mano. Il suo era senz'altro più beffardo, sottile e al tempo stesso cinico. Si trovò un attimo, forse anche più di uno, a pensare a un reale sviluppo circa la dipartita di Giorgio. Provò in tutte le direzioni, ipotizzò un ricatto, valutò una morte apparente per sparire per sempre, immaginò perfino un tentativo maldestro di Chiara per la dipartita del suo amico, ma nulla, alla fine dei suoi pensieri, poteva distrarlo dal fatto che Giorgio non era il tipo. Sapeva che nel suo intento, lui avrebbe lottato fino alla fine, mai si sarebbe arreso o accordato in qualche modo. L'unica via praticabile era quella che lui avesse instradato sua figlia nelle mani di Tony; per tutto e per nulla, comunque, alla fine dei giochi lei era lì dove lui, vivo o morto, l'avrebbe certamente voluta. Chiamò Mamy da una parte e le disse di intrattenere quella donna fino a quando lui non fosse tornato. Lei non fece neppure un fiato e lo salutò con una mezza smorfia della bocca che voleva in sintesi dire: «Ok». Erano ormai ate alcune ore da quando aveva portato in casa la malaugurata signora, e allora decise di tornare sui suoi i. La bruma della sera lo rendeva quasi invisibile nei pressi della strada. Vestito con abiti semplici e dei colori di quel luogo, camminava lento e sicuro, silenzioso e attento a qualsiasi movimento. Non notò nulla di insolito fino alla Rover Bianca. Agli occhi disattenti di un ante nulla d'anomalo si poteva evidenziare alla vista dell'auto; poi notò uno sbilanciamento impercettibile della vettura verso il lato posteriore destro, quello che dava verso il suo ex nascondiglio. Girò attento intorno alla macchina e vide subito il pneumatico quasi a terra.

Come spesso accadeva quando si sentiva in pericolo, non iniziò a guardarsi intorno. Chi lo vedeva poteva pensare che avesse perso la strada di casa, o che fosse uno che aveva perso solo la ragione. Allora la sua mente si concentrò su tutto quello che aveva visto, e ora doveva rielaborare, per capire se nel film che aveva appena registrato nella sua mente c'era qualcosa d'insolito e non conforme a quei posti. Trascorsero alcuni lunghi minuti di riflessione. Comunque sia non notò altro, né vide nessuno, e allora si incamminò di nuovo verso casa. Non percorse la strada di sempre. Girava intorno, eseguendo dei semicerchi che spesso lo riportavano dove era ato qualche minuto prima. Era una vecchia usanza dei suoi amici russi. Tornavano sui loro i eseguendo un semicerchio perfetto; facevano così per trovarsi alle spalle del loro potenziale inseguitore e coglierlo di sorpresa. Loro lo facevano di solito in tre e ben armati, lui invece era solo e senza armi. Dopo una ventina di minuti e qualche giro a vuoto, si convinse che quella ruota sgonfia era soltanto il frutto di una banale foratura, e lasciò che tutti gli altri sensi, tranne l'udito, lo portassero a casa. Camminava piano, quasi in assoluto silenzio. Si fermava spesso e chiudeva gli occhi per amplificare la profondità delle sue orecchie. Concentrandosi poteva anche ascoltare i i incerti e grevi del tasso, e il lieve ticchettio dei minuscoli zoccoli del capriolo. Proprio mentre poteva quasi toccare il muro perimetrale del giardino della casa di Mamy, udì un rumore in controtendenza con la sinfonia notturna del bosco, e allora si fermò sperando di aver preso un granchio. La notte e il buio per lui erano un riparo, una casa enorme dove abitare in ogni posto del mondo. La sua memoria andava alle notti trascorse in chissà quali giungle, vicino a tutte le bestie feroci del mondo che in fondo vogliono solo nutrirsi e vivere. Rimase nel buio completo per quasi un paio di minuti, poi socchiuse gli occhi con un dolore vero, carico di tensione, e poi lo vide. L'uomo stava proprio davanti a lui, a una distanza di non più di settanta metri. Era sicuramente un principiante per non averlo nemmeno sentito arrivare. Sorrise di quello che gli

sarebbe capitato se si fosse trovato per errore in una guerra non sua, come a Tony era capitato spesso. In una foresta della Colombia a cercare un fantomatico corriere della droga, o meglio ancora uno dei potenti dello spaccio; lui, il poliziotto in borghese, sarebbe sopravvissuto il tempo necessario per una morte cruenta. Uomini sradicati dalle periferie delle immense città, vomitati in contesti altrettanto drammatici, come le foreste equatoriali, con il solo peggiorativo di essere soli o quasi. In posti tipo il Borneo, o la dannata foresta amazzonica, non puoi pensare di fare colazione al “Tizio Bar” nel centro della città. Tony mise da parte il suo perbenismo e ritirò fuori dal cilindro quella spregiudicatezza e quella capacità fredda di agire. In pochi secondi si avvicinò all'uomo che era appoggiato al muro, e con un feroce colpo ai reni lo tramortì, lasciandolo disteso ai piedi della potente recinzione. Notò con immenso piacere che l'uomo era vestito goffamente da poliziotto in borghese, e questo lo fece sospirare di felicità. Sempre in silenzio l'aiutò a ricomporsi, avendo avuto prima cura di disarmarlo e poi gli disse: «Scommetto che ti manda il mio amico!» riferendosi a Carlos, senza però nominarlo. Lui fece un cenno con la testa, non sapendo più cosa massaggiarsi per il dolore. Dopo un periodo breve, ma sufficiente per ricomporsi, fu lui a parlare per primo. «Carlos mi aveva avvertito di avvisarti circa la mia presenza, ma io non ho voluto. In fondo potevo anche pensare che ti avessero beccato». L'affermazione del tizio non fu felice e allora un nuovo camlo d'allarme iniziò a suonare nella testa di Tony. Perché beccato? C'era forse qualcosa che Carlos non gli aveva detto?

E soprattutto perché? Lì per lì fece finta di niente e congedò con grande ilarità l'avventore poliziotto, che di certo non avrebbe fatto menzione di quella notte al suo capo, e poi si mise alla volta della casa di Carlos. Lui abitava alcuni chilometri fuori Londra. Il suo era sempre stato un appartamento scialbo e mal arredato. In fondo a lui non interessava che quella topaia fosse carina e accogliente, le uniche persone che vedeva erano le puttane del locale di sotto e i suoi colleghi. “Ogni uomo va colto sul fare dei suoi errori”. Così diceva un vecchio istruttore a Tony nei lunghi mesi di addestramento trascorsi in America. E infatti era vero. Se volevi beccare Carlos con la guardia abbassata allora dovevi fargli visita in occasione del pranzo o della cena. Infatti lo trovò in tuta e con un enorme grembiule da cucina, che stava preparando una cena con i fiocchi. Non si prese neppure le necessarie precauzioni di rito per aprire la porta di casa sua: lo fece e basta. Entrò e afferrò Carlos alle spalle per renderlo inerme. La sensazione che provò fu invece inattesa. Sembrava che sapesse già. Si lasciò afferrare e mentre Tony serrava la presa alla nuca lui disse: «Lascia il mio collo, maledetto italo-inglese». Soltanto poche persone sapevano della sua vita privata. Allora lasciò la presa e disse: «Credo che tu non mi abbia detto tutta la verità» e poi aggiunse: «Amico mio!». Carlos si voltò e non volle guardarlo direttamente in faccia, ma comunque gli disse: «Non è una questione di verità, qui si tratta della tua vita. Ci sono degli interessi forti dietro questa Chiara. Ho ricevuto pressioni anche dal sindaco di Londra. Ma la cosa che più mi ha turbato è stata quella di ricevere una strana telefonata dall'associazione delle famiglie italiane a Londra. Il presidente, che è anche un massone oltre che un delinquente e un poco di buono, mi ha chiamato di persona per chiedermi di rivelargli il tuo indirizzo segreto in Italia».

Tony ascoltava sbigottito il suo amico poliziotto, che raccontava quella che per lui era una storia incredibile. La ragnatela che si stava di nuovo offuscando pareva non finire mai. E allora cambiava di nuovo tutto lo scenario. Se Carlos diceva la verità, se Gianni non si era sbagliato, se Chiara era in fin dei conti quella che diceva di essere, se la donna di colore del taxi era davvero morta, e infine, ma non per importanza, se Giorgio aveva visto nei fondi del caffè tutto questo prima di morire… quale diavolo poteva essere l'entità di quel patrimonio per interessare così tante persone? Tony cominciava ad avere davvero paura, non per sé, ma per le tre donne che condividevano con lui quella vicenda. Tutto sommato era giunto il momento di sparire per qualche tempo; la sua postazione adesso non sembrava poi così sicura come immaginava. Per il momento la fortuna, e forse il suo tempismo, li avevano tolti in anticipo dai guai, ma adesso era troppo tempo che lui, Chiara, Sally e Mamy, se la stavano sando in una Cliffe qualunque, di una contea qualunque, di un'Inghilterra qualunque. Adesso però aveva le prove che qualcuno in terra inglese poteva essere sulle loro tracce, o che al peggio le avesse già trovate. Tornò a casa taciturno, sempre più attento a qualsiasi movimento. Trovò come di consuetudine le tre dame in sala che guardavano la televisione quasi senza interesse. In fondo l'argomento del giorno, o se vogliamo l'ultimo gossip, era l'imminente partenza. ò loro davanti senza dire nulla e andò diretto in camera a preparare i bagagli. Soltanto Mamy notò quel leggero cambiamento d'umore, e dopo alcuni minuti fece la sua comparsa in camera. «Allora hai deciso» disse, senza riuscire a filtrare quel tono d'innocente sollievo circa la loro partenza.

In fondo aveva ragione. Rischiare la sua vita e quella della figlia per uno che a volte stava anche alcuni mesi senza farsi vivo, e per una tizia che dopo quella parentesi non avrebbero più rivisto né sentito, era un buon motivo per sperare circa la loro imminente partenza. Sally però non avrebbe capito. Tony scosse la testa in segno d'assenso, senza rancore e senza nessuna inconscia polemica verso quella dolcissima signora, che faceva soltanto il suo meglio, per il proprio bene e per quello di sua figlia. In quel pezzo di casa che era diventata quasi propria, Tony aveva ricavato in un sottoscala, un piccolo magazzino di provviste e attrezzature varie per tutte le esigenze e le necessità. Anche quelle belliche. Con quelle provviste poteva rimanere asserragliato in un posto come quello almeno per un paio di mesi. Soltanto un elemento essenziale poteva scarseggiare: l'acqua. Chiamò Chiara in camera sua e iniziò a parlare a fiume senza che lo potesse interrompere mai. Lei lo ascoltava, mentre vedeva are sotto i suoi occhi le attrezzature più impensate. Tra le cose che le spiegò, le fece comprendere l'importanza del vantaggio della sorpresa in una strategia di guerra. Questa fu la chiave d'introduzione all'argomento successivo. Da quella sera in poi, tutte le comunicazioni con l'Italia dovevano cessare a ogni costo. Sarebbero tornati nel Belpaese con documenti falsi, con soldi liquidi per non lasciare tracce magnetiche che li avrebbero traditi, pagando i conti con carte di credito vere. Aspettò che la tenebra arrivasse da quel piccolo punto in fondo al suo cielo dove il sole andava a dormire, e poi si decise a tirare fuori i bagagli. In sintesi aveva predisposto due zaini, uno ingombrante e ricolmo di qualsiasi cosa, e uno più piccolo, sopportabile anche per una di città come Chiara.

Loro erano consapevoli di tutto e lo stavano aspettando in cucina. Chiara si era vestita come lui le aveva consigliato. Pantaloni scuri e robusti, camicia pesante e pullover di lana aderente; scarponi da trekking avuti in regalo da Sally. Non la fece poi così lunga quando fu il momento dell'addio. Volle abbracciare a tre, così come diceva un bambino di nome Massimiliano, quando voleva che tutti e tre i componenti della sua famiglia si stringessero in un affettuoso saluto, e poi si congedò: «Non saprò mai come potermi sdebitare con voi» disse rivolta alle due inglesi che la stavano abbracciando. Mamy, tanto per non perdere il suo lato sarcastico e molto ironico, dopo un sommesso sospiro le rispose: «Potresti trovare una buona moglie italiana per questo nostro scapezza-teste» battendo il palmo della mano sulla schiena grossa e salcigna di Tony. Chiara si concesse solo un attimo per pensare, poi tornò da loro ridendo di gusto e dicendo: «Ma chi credi che se lo voglia pigliare questo mezzo incrocio italoinglese?». Mamy scosse la testa, contenta di quello che aveva potuto percepire dalle parole di quell'affascinante italiana. Al contrario Sally non sembrava per niente divertita da quella scenetta, e quasi a marcare il terreno corse ad abbracciare quell'uomo come se fosse l'ultima volta. Tony mise da parte gli indugi, e caricatosi lo zaino sulle spalle, aiutò lei a fare lo stesso e poi partirono senza più voltarsi indietro. In fondo pensava che quello potesse essere l'unico sbocco naturale, nel bene o nel male, per la vita di quella donna. Uscito nell'aia, dietro il cottage, il freddo lo riportò subito alla realtà e si mise deciso a guardare davanti. Dopo un centinaio di metri, subito dopo il laghetto a lui caro e conosciuto, si apriva la terra di nessuno. Da lì in poi tutto poteva succedere, era meglio prepararsi a ogni evenienza. Si fermò un attimo ed estrasse una pistola dallo zaino, che assicurò alla sua vita, e poi ne dette una anche a Chiara, più piccola e

molto maneggevole. A lei sembrava un giocattolo e sorrise nel tenerla così facilmente tra le mani. Lui la riportò all'ordine, facendole capire che quel piccolo giocattolo poteva uccidere un uomo a cinquanta metri, e che i proiettili che sparava erano stati da lui in precedenza modificati affinché, all'impatto con il corpo, si sbriciolassero in una miriade di pezzi, provocando danni irreversibili. Lei riprese il contatto con la realtà e poi si rimisero in marcia. A Tony parve di avere con sé un'intera scolaresca di giovani scalmanati. I rumori che Chiara emetteva, un po' per l'inesperienza e un po' per l'inattesa inconsapevolezza del possibile pericolo, sarebbero stati colti anche da un orecchio poco allenato. Andava avanti nella boscaglia senza uno dei sensi più importanti: l'udito. Non durò più di dieci minuti. Sbagliando strada per qualche metro, si trovò a contatto con una rete metallica e con un pastore maremmano di cinquanta chilogrammi, che gli faceva vedere in tutto il suo splendore il colore bianco avorio dei suoi denti. La reazione di Tony sembrò sproporzionata anche al cane, quando si ritrovò con un pugno proprio in quel bianco così splendente. Il rumore che si sentì fu come quello che si sente quando si rompe un vetro. Il cane emise un sibilo, un mezzo guaito e poi scomparve nel buio della notte. Chiara invece era rimasta terrorizzata sia dal cane che dalla ferocia di lui. Non aveva mai visto un uomo colpire con tale forza un animale così grosso, senza lasciare neppure trapelare un minimo di paura. Tony aveva già prontamente tamponato la ferita che si era causato, ma non aveva più sensibilità nelle ultime tre dita della mano offesa. Ovviamente la destra. Per il momento non ebbe il coraggio di guardarla, si limitò a riavvolgerla in un fazzoletto, poi proseguì con la speranza che il dolore con il are del tempo gli fosse cessato. Purtroppo non fu così.

Dopo una distanza che lui stimò di un paio di chilometri, ma a ragion veduta e con il beneficio d'inventario dettato dal dolore, non poteva essere superiore ad uno, dovette fermarsi e chiedere a Chiara di fargli luce sulla ferita. Le mise in mano una piccolissima lampadina a led e iniziò a svolgere le fasce sull'arto danneggiato. Quello che vide alla fine gli fece tirare un sospiro di sollievo. Un'ammaccatura di caratteristiche bibliche gli offendeva la mano, ma si trattava soltanto di quello. La sua paura era rivolta a una possibile rottura di qualche dito o, ancora peggio, di qualche piccolissimo ossicino della mano. Comunque sia, riuscì a medicarsi alla meno peggio con l'immancabile Betadine, trovato nel piccolo astuccio dei farmaci che portava sempre con sé quando aveva in spalla lo zaino, e poi, sotto gli occhi attoniti di Chiara, si tagliò con un piccolo paio di forbici un lembo di pelle grosso come un francobollo e si rifece la fasciatura. Lei era una via di mezzo tra disgustata e sorpresa. Non avrebbe mai immaginato che un uomo all'apparenza così dipendente dagli altri, in particolare dalle donne, fosse in grado di effettuare senza nessuna difficoltà quelle pratiche. Si sbagliava. Rivalutò in pochi, anzi pochissimi secondi, il suo personale giudizio sull'uomo che le stava di fronte. Non gli disse nulla, anche se in fondo al suo cuore era felice di avere come protettore uno così. Quando la fasciatura gli sembrò stabile e il flusso del sangue arginato, lui le disse: «Non ti preoccupare, ormai è tutto finito» e senza nessuna velleità la strinse al suo petto. Per un piccolo, brevissimo istante, la sentì rigida e poco disponibile al contatto, poi anche lei si rilassò e allora poté abbracciarla. Rimasero in silenzio in quella posizione per un paio di minuti, poi lui si staccò e la convinse a riprendere il cammino.

Per molto tempo lei sembrò titubante e spesso cercava il suo sguardo anche per compiere un singolo o, poi, con il are dei minuti, la paura cessò e allora ripresero a camminare abbastanza spediti. Coprirono la distanza che li separava dalla strada di contea in poco tempo. Si ritrovarono proprio vicini a un'autovettura parcheggiata in uno spiazzo della strada. Tony sapeva già di cosa si trattava, ma lei ancora no. Così, quando la vide luccicare sotto il lampione fioco, lei si sentì in pericolo e provò a ritirarsi da quel posto. Lui la fermò con un gesto della mano e poi la condusse al lato eggero. Sotto la ruota anteriore destra c'era il mazzo delle chiavi che Carlos gli aveva lasciato. Aprì in un attimo la portiera e la fece salire a bordo. La macchina era una Suzuki Granvitara, quattro porte, o lungo, con tutti i comfort. Tony partì verso una destinazione che conosceva già e che nella sua mente era l'unica percorribile: il aggio sotto la Manica. Nel frattempo una fedele ed esperta Sally aveva già richiesto, tramite internet e via telefono, una dozzina di posti su altrettanti voli in partenza da Heathrow per le più disparate destinazioni del mondo, facendo attenzione a fissare i voli di sola andata a nome di Chiara. Tony fece lo stesso tragitto fino a circa una decina di chilometri dalla costa britannica che guarda sulla Manica. Si fermò a dormire in un residence amico che aveva il parcheggio al coperto, e dove i gestori non facevano poi così troppe domande in cambio di qualche sterlina in più. L'importante era arrivare, pagare, dormire, e alle prime luci dell'alba ripartire. Il mini appartamento offriva davvero molto, sembrava proprio creato per i

fuggiaschi. Il frigo bar era pieno di un po' di tutto, compresi i tramezzini freschi da scaldare nel forno a microonde. La camera era composta da due letti bastardi, da una piazza e mezzo, che permettevano al cliente di fare un po' come gli pareva. Chiara dormì in uno e Tony nell'altro. Usarono il bagno a turno e fecero un'inimmaginabile doccia. Consumarono un po' di cibarie varie e poi dormirono fino alle sei del mattino. Ci fu solo il tempo per un caffè e poi via, destinazione Italia. Questa volta però non ripartirono con il fuoristrada che a Chiara piaceva molto, bensì con un camper, che Tony aveva preso a noleggio pagando in contanti, e si era fatto recapitare nel parcheggio di quel residence. Tutto sotto falso nome e con l'unica carta d'identità riconosciuta in tutti i posti del mondo: la moneta frusciante. Dopo una decina d'ore sperava che i suoi potenziali nemici lo credessero in chissà quale parte del mondo con lei, e invece aveva attraversato la Manica nel tunnel sottomarino, e si trovava quasi ai confini dell'Italia. Il camper, di proprietà di una società di trasporti inglese, e i due aporti falsi, che Tony era riuscito ad avere in poco meno di un'ora dallo sviluppo delle fototessere, erano il segnale di quello che nei mesi futuri sarebbe successo. Nonostante le apparenze il camper era munito di vetri antiproiettile, di navigatore satellitare, e di una corazza antisfondamento che lo rendevano sicuro dalla maggior parte dei micro-crimini che avrebbe potuto incontrare per la sua strada. Obiettivo non dare nell'occhio, o in alternativa darne e anche parecchio. In fondo era l'evoluzione dandy del caravan hippy degli ani '70, dove la tecnologia, per esempio quella satellitare e una cucina super attrezzata, facevano da padrone a tutto il resto. Chiara aveva preso quel sonno che già da tempo le mancava. Dormiva rannicchiata nel comodo due piazze che quel mini, anzi micro appartamento, forniva ai suoi ospiti. Di tanto in tanto Tony voltava la testa per verificare che lei fosse ancora lì e ben assopita. La sua speranza era quella di are indenne la

frontiera e poi sparire nelle valli di montagna, dove la tecnologia e lo sviluppo avevano poco a che fare con quel mondo: lì vinceva solo l'astuzia, l'intelligenza e la profonda conoscenza del territorio. Le montagne finivano con l'essere per Tony la sua “Fata Morgana”, il suo punto di arrivo, il suo rifugio, e anche nel mezzo della sua vita il suo profondo, celato dolore. Già nel vederle in lontananza, con quelle punte bianche che nel calare lasciavano il posto ai mille colori della natura in ogni stagione, percepiva la sua incapacità di poter essere lì, ad assaporare ogni attimo. Poi, quando finalmente arrivava al loro cospetto, c'era una grande malinconia che gli montava nel cuore, e la sua mente era già nell'attimo che precede la partenza. Si sentiva, in certi momenti, un figlio illegittimo di quei boschi, di quelle siepi, di quei castagni o di quei faggi, di quei cannicci abbandonati dall'uomo, di quei sentieri dimenticati ormai da tutti, di quei volti antichi che con maestria lavoravano già quando lui non era, di quelle aiette, negli anfratti più vecchi dei paesi, dove la gente comune portava i bimbi a giocare perché non vi erano pericoli. Già, in quei posti non c'erano strade asfaltate e carrozzabili. La chiesa del paese, con la sua minuscola piazza, sembrava celare quel mondo fatato alla gomma d'automobile. Per fortuna quelle angosce erano solo eggere e, forse, solo un rimprovero a se stesso, di non avere, di non credere… Tony tornava al mondo che lo circondava e che non amava poi così tanto, e riprendeva a vivere come tutti. ò la frontiera con disinvoltura. Si preoccupò persino di far vedere che la sua compagna dormiva, e invitò un'agente a salire sul camper per verificare le condizioni di Chiara. La poliziotta che era in servizio alla frontiera non ci pensò nemmeno un attimo, mollò due timbri sui aporti e li fece are. Lui rise, ma solo dentro di sé. Pensò, felice del risultato già acquisito, che poteva essere davvero facile

suggestionare le persone. La sua mente finiva col tornare, come un vecchio film visto e rivisto, a quegli anfratti del suo vissuto. Rivedeva in una sorta di playback gli attori e le comparse della sua vita. ava in rassegna paese dopo paese, città dopo città, e tutti, davvero tutti, avevano lasciato qualcosa nella sua anima. Era come se qualcuno avesse tracciato un solco, una strada, e adesso, indistintamente tutti, stessero scavando il loro miglio. Quel sentimento che provava non era proprio di dolore, anche se, a sua immagine e somiglianza, ora era sbiadito. Era una sensazione di disagio. Pareva quasi che volesse uscire da quella che era stata la sua vita, il suo trascorso e forse, in qualche modo, dimenticare tutto. Sapeva tra i suoi sospiri che non avrebbe potuto, e allora tornò a quella che gli altri chiamavano la ragione. Dopo pochi chilometri da quell'imbuto maledetto Tony si fermò a fare benzina nel primo distributore. Chiara dormiva ancora. Mentre il tizio addetto alla pompa di benzina gli faceva il pieno, lui aprì la sua valigetta ed estrasse un cellulare con un numero attivato già da un paio di anni, intestato a uno sventurato che, in caso di problemi, si sarebbe ritrovato nelle patrie galere italiane per qualche tempo, almeno finché non avesse chiarito la sua posizione. Lo accese e subito fece la prima telefonata. Fissò un appartamento, quello che noi, per convenzione, avremmo chiamato “bungalow”, in una remota località del basso Chianti; poi mise lo strumento in stand-by e si propose di riprendere la marcia. Pagò il conto del distributore e si avviò verso il centro Italia, alla volta di Montiano, un piccolo bel paese nella provincia di Grosseto. Prima di tornare a Pracchia doveva essere sicuro che tutto filasse liscio, e che nessuno scagnozzo di una qualunque organizzazione, statale o non, gli stesse alle costole. Per un attimo gli prese la voglia di chiamare Gianni, ma gli accordi erano chiari e non poteva disattendere quanto già stabilito. Se lo avesse fatto avrebbe messo

in pericolo non solo la sua vita, ma anche quella del suo amico. I chilometri avano veloci lungo la superstrada sul mare, e poco dopo Grosseto trovò le indicazioni che ricordava quasi a memoria per Montiano. Subito sotto il paese, in una valle che scendeva verso il greto del fiume, quasi sempre secco agli occhi di un disattento ante, c'era l'agriturismo. Alla fine non era quello che la gran parte della gente si aspettava, anche se a Tony andava benissimo. La casa padronale, adiacente alla stalla delle bestie e al fienile, lo rendevano quasi una faccenda per pochi anziché un'opportunità per tanti. Il loro appartamento, unico affittabile in quel posto, era la ristrutturazione di un vecchio ma minuscolo fienile. Su due piani, era composto da cucina/tinello e bagno al piano terra, e di due comode camerette al primo piano. A una prima occhiata poteva essere il posto fatato dove abitare per una vita. Tutto sembrava a dimensione d'uomo, tutto si muoveva a quella velocità che aveva caratterizzato la ricrescita e lo sviluppo in Italia nel dopoguerra. La fretta era un concetto non ordinario per gente come quella. In fin dei conti non importava se questo o quel tizio importante arrivasse all'aeroporto di Milano, o se qualche attore famoso venisse scoperto con una fidanzata o, peggio ancora, con un fidanzato; la mattina all'alba, alle cinque, non più tardi, c'erano una ventina di mucche da mungere. Non lo potevi rimandare a domani. Allora la manualità delle cose, il tempo trascorso mai inutilmente, l'approccio con la natura, difficile e a volte mai abbastanza amica, lasciavano Tony e le innumerevoli genti di città spiazzati, a volte felicemente confusi, mai appagati. E allora li potevi trovare nelle stalle a fare una sorta di guardia a quelle povere vitelle, in attesa che ancora buon latte fuoriuscisse dalle loro tette. Appena entrato in camera si lasciò cadere sul letto in ferro battuto simil-vecchio, con l'immancabile trapunta pesante anche in agosto perché non si sa mai, e si addormentò. Dormì appena un paio d'ore e poi, nel sudore e nell'arsura si svegliò di colpo, come se qualcosa o qualcuno lo avesse disturbato.

Quel soggetto infame che lo aveva distolto da così tanto benessere per il suo fisico non era altro che il suo cervello. La sua mente, come accadeva sempre quando si trovava in situazioni di possibile pericolo, finiva per farlo tornare vigile non appena possibile. Allora, come accadeva spesso, gli bastavano soltanto un paio d'ore, e dopo si metteva a guardare gli altri riposare. Non c'era una via di mezzo in tutto questo, e il suo sonno non era dettato dall'importanza della sua stanchezza; alla fine della fiera, tanto lui appariva più stanco, tanto il tempo che la sua mente dedicava al riposo era inferiore. Una parte importante della sua vita, la giovinezza, trascorsa nelle più impossibili foreste del centro America piuttosto che in qualche base alleata, ai confini con il mondo di Maometto, lo avevano reso insensibile a quelle frivolezze, e finiva col riposare soltanto quando poteva permetterselo. Poi, tornato da quelle missioni e da quegli inferni che non erano i suoi, nel metabolizzare i ricordi e gli orrori di quello che il suo nervo ottico aveva ato senza censura al cervello, finiva con l'essere un sopravvissuto piuttosto che un reduce. A volte finiva con l'essere entrambi. Quando si svegliò Chiara aveva fatto la doccia, e dormiva in una sorta di pigiama approssimativo vicino a lui. Lui sorrise e la coprì, più perché non prendesse freddo che per altro, e poi si alzò andando sul terrazzo per respirare un po' d'aria di mare. Il suo sudore gli fece capire che aveva traghettato l'ennesimo incubo verso la terraferma del suo inconscio. Non ava notte che quel liquido ghiacciato non lo fe trasalire di freddo anche solo per un momento. Era la sua erella, il suo contatto con quello che era stato e non avrebbe più voluto essere. Tornò a letto, e quando fu quasi giorno fatto finì per addormentarsi di nuovo, perché il giorno nel suo inconscio non era associato a nessun fattaccio. Nel reparto dove aveva prestato servizio e dove aveva visto tanti che gli corrispondevano perdere inutilmente la vita, il momento di maggiore attività era proprio la notte. Col buio si andava a prendere i nemici, si tendevano le imboscate, si procedeva ad uccidere questo o quel personaggio scomodo.

Il giorno sembrò riportargli quella quiete che a lui davvero mancava. Lei lo svegliò alle dieci e mezzo con una tazza fumante di caffè sotto il naso. «Certo che sei proprio una bella razza di guardia del corpo!» disse lei, beffarda ma sincera. «Non ti preoccupare» rispose lui, e poi continuò: «Non è di giorno che i cattivi si fanno vedere». «E se questi che stiamo combattendo non fossero poi così cattivi come tu credi?» «Andiamo, signorina Chiara, io di cattivi me ne intendo. Oggi siamo ad anni luce dalla civiltà, non c'è essere umano al mondo che potrebbe avvicinarsi a noi senza essere notato, specialmente di giorno. Non ti ho portato qui per caso. Conosco palmo dopo palmo il terreno dove metti i piedi, e ti posso assicurare che gli unici indomiti che si avventurano in queste terre sono dei selvatici cacciatori di cinghiali» rispose Tony, sentendo già nelle sue parole la traduzione antica di “riportami a casa”, o “devo assolutamente fare una eggiata in centro per spendere un po' di soldi”. Allora si alzò e si avvicinò a una finestra che dava sul fossaccio di fronte, in fondo al botro. La sua attenzione fu richiamata da una mucca che, al confine con il bosco sottostante, fece uno scatto energico e si diresse verso la stalla, la sua casa. Il o successivo fu immediato. Un piccolo insignificante bagliore accecò Tony, più nella mente che negli occhi, e allora capì: era stato scoperto. Si rivolse verso Chiara, che era a pochi metri. Entrambi si guardarono e non dissero nulla. Lui sospirò nel vederla al riparo da un possibile fuoco e lei, senza immaginare quello che sarebbe successo, si buttò a terra. Solo allora disse: «Ci hanno scoperti?». A Tony quell'affermazione sembrò ancora una volta fuori luogo e si limitò ad

annuire con la testa. Strisciò verso di lei e poi andarono verso la minuscola cucina. Spostò il tavolino e il tappeto, e la fece scendere in un pertugio che dava proprio nella stalletta sottostante, ormai adibita più a rimessaggio che ad altro. Lei ora era invisibile. Lui le disse di non muoversi, di non emettere un fiato fino al suo ritorno, e si raccomandò di non rispondere ad alcuna chiamata. Lei accennò appena una risposta con la testa, e si ritrasse come il ragno nella sua tela. Dopo aver ridisposto la stanza da cucina com'era, si voltò verso il suo ipotetico nemico e si avviò verso di lui. Tornò sui suoi i e per una fortuna sfacciata lo trovò che tentava di spostarsi andandogli incontro. Chissà se era solo, o se era soltanto l'avanscoperta di un folto gruppo. Ma la domanda che rimbombava in Tony era: si trattava di mercenari o no? Questo faceva la differenza. Comunque sia, decise di rimanere fermo dove si trovava e di aspettarli. Il tizio arrivò da solo, era quasi maldestro. In ogni caso entrò nella camera e si diresse velocemente verso il bagno, pensando forse di trovare qualcuno intento a fare il bucato. Per tutta risposta trovò invece una mazzata sulla testa e cadde in avanti, picchiando il viso sul pavimento. Non fece una piega. Lì era e lì rimase, almeno fino a che Tony non decise di rianimarlo. Nel frattempo tornò ancora sui suoi i, per vedere se aveva lasciato qualcuno

indietro, ma questa volta fu lui a essere incauto. Un braccio lo avvinghiò al collo fino a farlo quasi svenire. Lui, senza quasi opporre resistenza finse di perdere i sensi, e poi cadde in un letargo finto, attento a tutto quello che succedeva. L'incauto avventore lo lasciò troppo presto e si mise a cercare prima il suo compagno, e poi anche Chiara. Lei non rispose, e per Tony fu davvero un sospiro di sollievo. Anche l'altro tizio non poteva rispondere, perché era tramortito al suolo. Comunque sia, l'uomo raccolse il suo compagno e se la filò, anche perché nell'aia davanti al loro appartamento si stava raccogliendo un congruo numero di persone. Nella vita di Tony c'erano state delle situazioni che gli avevano fatto riportare a casa la buccia proprio per una fortuna sfacciata e inattesa. Lui viveva sempre con questa spada sulla testa e ogni tanto guardava in su, forse soltanto per ringraziare piuttosto che per imprecare. Nonostante fosse ata chissà quanta acqua sotto i ponti, tutto era ancora al punto di partenza. Tony percepiva non solo che non era più al sicuro lì, in una casetta sperduta nelle valli intorno a Montiano, ma non lo sarebbe stato in nessun altro posto d'Italia. E allora cominciò a riflettere su quello che avrebbe potuto fare, e tutto lo riportava a una sola persona: il suo amico e avvocato Gianni Frosoni. Però rifletteva, e pensava che forse tutto era come non doveva essere. Chi erano quei due tizi che, con un po' più di tempo, lo avrebbero di certo ucciso? E Chiara sapeva, non sapeva, recitava una parte, o era soltanto una pedina di una partita troppo grossa anche per lei?

Quali segreti il suo buon vecchio amico Giorgio gli aveva celato? Il fattore si affacciò all'ingresso dell'appartamento chiamandolo ad voce alta. «Sono qui, sono qui. Tutto a posto» rispose Tony alzandosi dal pavimento, lasciando una strisciata di sangue a terra. «Che cosa diavolo succede?» chiese l'uomo alquanto agitato, più per il sangue che per il resto dell'appartamento menomato dalla colluttazione. «Non saprei» rispose Tony riprendendo la calma. «Quei due tizi mi sono entrati in casa, forse erano soltanto dei balordi» sapendo anche lui che la teoria non reggeva e non sarebbe stata creduta. «Qui! Nel mezzo della maremma toscana, in fondo a una valle che dà su un fiumiciattolo, lontano decine di chilometri da un centro abitato degno di essere chiamato così!? Andiamo, a chi vuoi darla a bere?» rispose sorridendo, ormai lontano dall'affanno di tutto quel trambusto. Tony andò verso il minuscolo acquaio dell'altrettanto minuscola cucina, e dopo essersi sciacquato il viso e tamponato con un po' di carta assorbente la sbucciatura che aveva sulla nuca, si voltò verso il fattore e gli disse: «Mettiamo che la signora che è con me abbia qualche problema, e io sia la sua guardia del corpo, come quel famoso film americano…». «Adesso sì che mi piaci!» disse l'uomo, che all'apparenza sembrava rude e ignorante ma al contrario era intelligente e istruito. Tony lo immaginò come un autodidatta che nelle lunghe sere d'inverno si dilettava a leggere di tutto. Gli spiegò che quei tizi forse sarebbero tornati per avere informazioni su di lui e su Chiara. Gli chiese anche di non sottovalutare il pericolo che avrebbero potuto portare e di dire la verità, al resto ci avrebbe pensato lui. «Adesso fammi il conto, compresi i danni all'appartamento, e io mi preparo alla partenza». Partì a piedi; troppo pericoloso rimettersi in marcia con il camper. Era ormai la fine di febbraio e l'inverno lasciava il posto a una piccola, piccolissima parvenza di primavera. I germogli dei campi ricominciavano

appena a farsi vedere di un colore più verde, e i butti delle piante spontanee facevano capolino tra il marrone dei rami intrecciati dal vento e dalle intemperie della stagione trascorsa. Qualcuna di esse non ce l'aveva fatta e la natura, unica vera e assoluta regista di quel trascorrere di stagioni, riprendeva quello che aveva creato, e che forse in un gesto magnanimo nei suoi confronti, l'uomo non aveva voluto. Tony si assentò nei ricordi per un attimo e vide tanto. Tornò alla sua infanzia, quando era davvero bambino. Vide la neve, vide i boschi e le macchie di casa sua, vide i ruscelli, i falchi, i cinghiali, le trote e vide i suoi genitori. Socchiuse gli occhi e lasciò che quella sensazione gli pervadesse il corpo e l'anima. Sentiva gli odori della cucina dove sua madre la domenica mattina, al cospetto di sua nonna, si dilettava a fare gli gnocchetti di patate, e ascoltava il bollire lento del sugo che poi li avrebbe conditi. In quegli attimi sentiva la voce di suo nonno e l'odore di quell'uomo. Sapeva ancora oggi che cosa poteva avere nelle tasche della sua giacca marrone di pilor. Trovava difficoltà a tornare alla vita quotidiana, ma lo faceva sempre con la promessa a se stesso di tornare presto in quei lidi. Lasciò al fattore l'impegno di portare il camper nei pressi di un altro paese di quella zona, Magliano in Toscana, per abbandonarlo in un parcheggio. Presumibilmente sarebbero stati i vigili urbani a fare il resto. Notando il camper per giorni e giorni fermo, avrebbero finito col fare un controllo sulla targa, che risultava essere straniera, poi lo avrebbero sequestrato e posto in un rimessaggio comunale, cercando il proprietario per fargliela un po' pagare. Lo spostamento del camper avvenne poche ore dopo. Ai primi bagliori di luce, che iniziavano a far chiarore nel buio della notte, il tizio lasciò la sua fattoria a fari spenti e sparì verso l'ignoto. Tony aveva resuscitato Chiara dal suo nascondiglio. Ormai era sicuro e non pensò alle conseguenze. Il terreno era libero e il fattore, di ritorno dal trasferimento del camper, non notò nulla di strano.

Tony pensò che lui era un dilettante, e non si fidò ciecamente della sua versione dei fatti. In ogni modo trovò il tempo per fare i bagagli. Lo zaino di Chiara era quello leggero. In sintesi conteneva circa tre litri d'acqua, e poche cose per accendere un fuoco e cucinare qualcosa. In fin dei conti la razione K che aveva di scorta era più che sufficiente per la sopravvivenza per un paio di giorni. In quello di Tony c'era la tenda a canile, il vettovagliamento e il resto delle provviste. C'era una differenza di circa venti chili tra il suo e quello di Chiara. Si misero in marcia alle prime luci dell'alba. Il fattore e la sua famiglia non li videro neppure partire. Andarono verso il mare. A piedi era distante, ma Tony e Chiara non avevano fretta. La conformazione del territorio non gli dava ragione, e finivano spesso con l'essere allo scoperto in un campo o in un'oliveta troppo rada. In ogni caso nessuno sembrava seguirli, allora lui si rilassò un attimo e alle nove e mezzo si fermò al limitare di un boschetto per far riposare Chiara, e per capire se stavano andando nella giusta direzione. In realtà quello che a lui sembrava un boschetto, era la punta avanzata di una vera e propria macchia mediterranea, che provava ad entrare in modo inequivocabile nei territori dei contadini, avanzando di anno in anno con fare beffardo ma sicuro. Prima arrivavano i pruni, poi le erbacce da sottobosco, e poi la vera macchia mediterranea: albatri, olivastri, mortelle, e un sacco di spine. Tony lasciò Chiara a riposare per qualche minuto nei pressi di un'enorme quercia e provò ad addentrarsi. Alla fine, tutto quello che sembrava da fuori non restituiva il giusto rispetto a quello che in realtà c'era dentro.

ata la prima avanguardia di piante spinose, il sottobosco si faceva pulito e mantato da un muschio leggero e compatto, quasi inusuale per un posto come quello, che spesso, anzi spessissimo, soffre la sete vera. I pini marini sparsi qua e là, tra un intreccio più rado di mortelle e albatri, erano controllati a vista da qualche immenso cipresso. I tordi facevano la spola dai campi a quel verde, e qualche ghiandaia, troppo sicura di sé, faceva capolino da quel muro di color smeraldo. Tony sentì il canto dei gabbiani, e un piccolo stormo di cormorani minori gli ò sopra la testa nell'atto di buttarsi. Allora capì. Poco distante da lui si apriva un lago che dava rifugio ai selvatici, e conforto e tanta acqua alla macchia che lo delimitava. Arrivò quasi fino alla riva e poi fece marcia indietro per andare a riprendere Chiara. La trovò a sedere che stava guardando nel vuoto. Non lo sentì neppure arrivare. Lui la rimproverò di quella sua debolezza. Cercò di spiegare l'importanza di ascoltare il mondo. Lui lo aveva imparato a sue spese, e aveva visto anche tanti suoi colleghi di lavoro morti per avere trascurato questo piccolo particolare. Specie in un momento del genere l'attenzione a quello che li circondava poteva essere vitale. In ogni caso raccolsero le loro cose e si addentrarono nella macchia. Percorsero quel laghetto a due i dall'acqua e poi restarono quasi delusi, quando si ritrovarono davanti a un muro di cinta che era in realtà il muro di contenimento di una diga. Anche quella volta la mano dell'uomo finiva con avere il sopravvento nei confronti della natura. Per fortuna non incontrarono nessuno, o così a Tony sembrò, e allora

continuarono a scendere il piccolo rivolo d'acqua che andava verso il mare. Alle quattro del pomeriggio, e dopo aver scansato strade asfaltate e non, Chiara si fermò in prossimità di una piccola cerreta e chiese: «Non possiamo fermarci un po'?». Era sfinita. Tony capì subito che non sarebbe potuta arrivare al suo nuovo nascondiglio in quelle condizioni, e allora decise di fermarsi. «Certo» disse senza aggiungere altro. In fin dei conti il posto era riparato dal vento, e si trovava in una sorta di sacca del terreno che li schermava dalla strada provinciale, a poche centinaia di metri di distanza. Alzò in un attimo la piccola tenda e levò gli scarponi a Chiara, prestando attenzione a cambiare subito i calzini di lana che erano intrisi di sudore. Senza dire nulla accese un piccolo fuocherello con legna secca che non faceva fumo, e vi mise vicino gli indumenti madidi nella speranza di riuscire ad asciugarli. Non aggiungeva più di tre o quattro pezzetti di legna alla volta. Il risultato fu un piccolo ma benefico tepore e il meritato riposo. Chiara era taciturna e guardava in silenzio il giallo del fuoco, che finiva con il rispecchiarsi nei suoi occhi. Quel silenzio metteva Tony a disagio, ma decise di non fare la prima mossa, attento a stare fermo. Chissà a cosa stava pensando, e soprattutto chissà a chi era rivolta la sua attenzione… Lui aprì la razione K presa dallo zaino che portava Chiara. Tirò fuori soltanto i biscotti e il latte condensato. Ne fece una sorta di piccoli panini e ne mangiarono un paio per uno. Il fuocherello alimentato a dovere da entrambi era riuscito a dare un po' di calore e ad asciugare i calzini fradici di Chiara. Lui li ripose nello zaino, sapeva quanto poteva essere importante avere un paio di calzini di ricambio in casi come

quello. Poi si avvicinò a lei e chiese: «Qualcosa non va?». Lei gli mise una mano sulla spalla e rispose: «Sì, vorrei essere a casa, con mio padre, con le mie cose, con i miei amici, con i miei spasimanti, con i miei soldi, con le mie debolezze… e invece sono solo qui con te». Lui la mise sul ridere e disse: «E io che dovrei dire!? Sono solo qui con te, e sto cenando con la prima colazione di una razione K. Per giunta non sono ancora stato pagato!». «A proposito di pagare…» disse lei facendo una lunga pausa. «Ma tu quanto mi costi?» Tony buttò l'ennesimo pezzetto di legna sul fuoco e rispose: «Non parliamo di soldi, almeno per il momento». Lei fece un cenno con la testa, poi iniziò a stiracchiarsi e a sbadigliare, come un bambino che avendo molto sonno non riesce a trovare la strada del letto. Lui preparò i sacchi a pelo e la invitò ad andare a letto. Chiara non se lo fece ripetere due volte e s'infilò vestita nel suo sacco. Mentre Tony le chiudeva la cerniera lampo lei gli disse: «Grazie di tutto e buona notte». Lui scosse la testa in segno di assenso e poi la congedò con una carezza sulla testa. Non era ancora buio, e prima di dormire si mise a fare un giro di ricognizione intorno al campo base, come sempre. Sentiva qualche macchina are dalla strada vicina, ma nessuna di esse rallentò o si fermò, e allora convinto della sicurezza del sito andò a dormire. Chiara era già in una sorta di letargo, non si accorse neppure che lui entrava nella tenda e s'infilava nel sacco a pelo accanto a lei. Non dormì subito, la sua mente cominciò a sondare i suoi ricordi con Giorgio, per cercare qualche aspetto della sua vita che lo potesse aiutare e che, in qualche modo, avesse potuto

trascurare. I ricordi pian piano lo portarono nell'oblio e la stanchezza fece il resto. Si svegliò alle prime luci dell'alba. Un ticchettio sopra la tenda lo informava che purtroppo stava piovendo. Questo complicava un po' le cose. Lasciò dormire la sua ospite, mentre lui uscì dalla tenda, ben protetta dall'acqua, e accese un minuscolo fuoco per scaldare un po' d'acqua per il caffè. Pensò che con quelle condizioni di tempo doveva cambiare il suoi piani. I piedi come mezzo di locomozione non erano più indicati con la pioggia. Il terreno maremmano, argilloso per natura, finiva con divenire una sorta di collante che si appiccicava agli scarponi, e riduceva anche del cinquanta per cento la distanza percorribile in un'ora. Sentendosi sicuro del fatto suo si allontanò dalla tenda in direzione della strada. La fortuna volle che quello che stava cercando asse da lì proprio mentre si avvicinava. Un enorme autobus celeste delle linee pubbliche grossetane. Bastò vedere la scritta a led che indicava come punto d'arrivo Grosseto e il gioco era fatto. Un chilometro più a valle trovò la fermata con gli orari esposti e anche questo fu il presagio di una bellissima giornata, piovosa, ma decisamente ben iniziata. Tornò sui suoi i e appena arrivò nelle vicinanze del campo base, tutta la positività dell'inizio mattina gli cadde ai piedi. Chiara non era più nella tenda e il suo sacco a pelo era stato trascinato davanti alla porta d'ingresso. Subito assunse una posizione di difesa, guardandosi intorno e cercando un punto di riparo da un possibile fuoco nemico. Notò che non c'erano stati segni di colluttazione, e questo poteva essere un segno positivo o decisamente negativo. Positivo, perché nulla di quello che gli rintronava la mente poteva essere vero; negativo perché la professionalità dei loro potenziali nemici poteva essere aumentata. Nei dieci minuti che seguirono non accadde nulla. Tony stava al riparo il più possibile, e nel territorio intorno a lui non accadeva nulla di quello che di solito accade. La natura era sveglia, già da un po' aveva iniziato la sua sinfonia di suoni e la sua fabbrica di eventi, e così aveva iniziato il turno di giorno.

Già, in natura ci sono solo due turni di lavoro, quello di notte e quello di giorno. Mentre aspettava gli eventi sentì in lontananza un fischio, leggero e troppo breve per essere fatto da un uomo, e allora speranzoso si avviò in quella direzione. Trovò Chiara ormai mezza fradicia che lo stava cercando. Quando lo vide, prima si rilassò e poi raccolse un sasso e glielo scagliò contro. Lo mancò per un pelo e lui disse: «Accipicchia che mira!». «Dov'eri andato? Mi hai fatto stare in ansia, brutto figlio di puttana!» Era la prima volta che la sentiva usare quel gergo. «A parte il fatto che la guardia del corpo sono io, ero soltanto andato a vedere se trovavo un altro modo per raggiungere Grosseto. A piedi non è più il caso» concluse. «Meno male, non ne posso più di questo fango attaccato ai piedi» ribatté subito lei. Tornarono insieme al campo base. Questa volta però qualcuno a ficcare il naso c'era davvero. Lì per lì sembrava un pastore, poi Tony notò che alla spalla aveva il fucile e allora tutto cambiò. Schiacciò Chiara a terra con quella forza che lei non avrebbe immaginato lui avesse, e le disse sottovoce di rimanere lì fino al suo ritorno. Senza dare alcun sospetto si avviò ben in vista verso il tizio che stava osservando la loro roba senza toccare nulla. Gli arrivò alle spalle in assoluto silenzio. L'uomo, che era davvero un cacciatore, non lo aveva sentito arrivare, e quando lui gli dette il buongiorno e gli chiese se avesse bisogno di qualcosa, l'uomo fece un sobbalzo e si girò spaventato. Poteva avere una settantina d'anni, con i capelli bianchi e un cappello arancio in testa. Era una posta di una battuta di caccia al cinghiale. Di lì a poco dal bosco sarebbero arrivati i selvatici, e lui o gli altri cacciatori che

li aspettavano gli avrebbero fatto la festa. Tony rimise le sue cose in fretta e furia e lo salutò quasi amichevole, allora lui gli indicò una casa abbandonata dove poteva stare all'asciutto, accendere un fuoco e asciugare gli abiti bagnati. Non gli parve il vero e così fece. La casa, una vecchia colonica con un'enorme stalla al pianoterra, era un posto ideale per asciugarsi e mangiare qualcosa all'asciutto. Verso le due del pomeriggio erano di nuovo pronti per riprendere il viaggio. Lui condusse Chiara alla fermata dell'autobus appena cinque minuti prima del suo arrivo, in modo da non dare nell'occhio. Infatti non ò anima viva, e all'ora stabilita il pullman li caricò a bordo. Subito Tony andò dal conducente affermando che non aveva i biglietti e lui gliene vendette due. Si misero a sedere in silenzio ando inosservati tra gli altri eggeri, tra i quali ce n'erano alcuni che, come loro, sembravano stranieri ed erano muniti di zaino. In poco più di un'ora arrivarono a Grosseto, e questa volta in treno, raggiunsero Firenze Santa Maria Novella. In stazione, uno dei tanti venditori di colore gli si avvicinò proponendo la sua merce di quarta mano. A Tony balenò un'idea, nel giro di un paio di minuti e con cinquanta euro in meno, aveva comprato la sim del cellulare di quell'individuo e quella di un suo compagno. Andò alle poste e ne inviò una per raccomandata presso gli uffici di Gianni, con una lettera d'accompagnamento che diceva cosi:

Caro Gianni, ti invio questa sim che potrai inserire in un telefono cellulare qualsiasi. È pulita, non sto a dirti come ne sono entrato in possesso, ma stai tranquillo, in maniera più o meno legale. Ti chiamerò al più presto.

Tony

Ormai si era fatta sera, allora lui trovò un alberghetto senza troppe pretese, sia per i comfort sia per i documenti richiesti, e prese una camera doppia con letti separati. La stanza era al secondo piano, abbastanza pulita, con il bagno e la televisione. Il proprietario dell'albergo era un uomo di mezza età che ne aveva viste di cotte e di crude, e finì col pensare che il loro fosse soltanto l'ennesimo gioco erotico dello zio e della nipote che aveva visto e rivisto negli anni. A Tony andava bene così, e lasciò che gli sguardi di quel tizio nei confronti di Chiara fossero morbosi più che benevoli. Anche lei ricambiava il gioco lanciando dei finti sotto-sguardi con ipotetici sorrisi. Dormirono come dei sassi fino alle otto del mattino, quando il trambusto cittadino cominciava davvero a prendere il sopravvento su tutto. Tony guardava il via vai della gente che da Via Nazionale si diramava per il mercato di San Frediano, piuttosto che per altri lidi molto rinomati come gli Uffizi o Ponte Vecchio, Giardino dei Boboli o altro ancora. Vedeva gli stranieri che si accalcavano nelle pizzerie a taglio nella speranza di gustare una pizza decente e fumante. Non immaginavano che quella pizza, venduta congelata da qualche mec market, era prodotta in paesi che nulla avevano a che fare con la pietanza, come ad esempio la Polonia o altri ancora. Nel frattempo Chiara aveva fatto la doccia e si stava preparando in bagno. Lui le parlò sottovoce dalla porta, pregandola di non aprire a nessuno che non fosse lui, e di non mettersi in bella mostra sul balcone. In fondo in quella città erano tante le persone che la conoscevano anche fisicamente. Meglio non rischiare, pensò Tony.

Nella sua prima uscita andò a comprare qualcosa da mangiare in un posto che si chiamava Italy-Italy, una mitica paninoteca proprio di fronte alla stazione, e poi si diresse verso un negozio di telefonia dove acquistò il cellulare che costava di meno. Rientrato in albergo pranzò con Chiara, che aveva eseguito alla lettera i suoi consigli, e poi riposarono entrambi sui rispettivi letti. Nella noiosa e fredda oziosità di febbraio, dove i giorni sono contagiati da un fattore che si chiama freddo, loro trovarono tepore e una situazione comoda, proprio sotto le coperte dei loro rispettivi letti in quell'albergo fiorentino. All'inizio il silenzio regnò sovrano, poi con il are delle ore e l'attesa crescente aspettando il momento di poter parlare con Gianni, finirono per comunicare come mai avevano fatto fino ad allora. Fu lei a prendere la parola ed esordì: «Come hai conosciuto mio padre?». Lui era voltato di schiena rispetto, ma la volle guardare negli occhi prima di rispondere. «Io e tuo padre siamo stati amici per molto tempo. Ci siamo conosciuti qui, a Firenze, quando non eravamo propriamente una guardia del corpo e un immobiliarista. Eravamo, tra virgolette, entrambi dei soldati» disse Tony sospirando, per poi riprendere: «Diciamo che eravamo delle spie. Ognuna con i propri compiti, ma delle dannate spie». Lei lo guardò ancora incredula e poi disse: «Va be'! Tu lavoravi per il servizio segreto inglese e mio padre per quello italiano. Non è vero?» chiese ancora. Tony abbassò la testa e si grattò la nuca… non avrebbe voluto rispondere ad una domanda come quella. Prese una sorta di coraggio e poi disse: «Nessuno di noi due lavorava per quelle persone che tu hai detto. Eravamo entrambi agenti in copertura di un servizio segreto super partes, fatto da tanti paesi alleati, e tutti allo stesso tempo consapevoli e inconsapevoli della nostra esistenza. Abbiamo lavorato per anni nell'ombra, con fondi che provenivano da forme di sotto-copertura. Il nostro interesse era razionalizzare la pace nei paesi in via di normalizzazione dopo un evento bellico. Noi non sparavamo colpi di cannone, né tanto meno avevamo

nelle mani il destino del mondo. Il nostro compito era quello di tenere sotto controllo gli estremisti che, in un qualsiasi paese da noi controllato, erano in azione. Il controllo avveniva con la loro morte e con l'infatuazione dei loro compagni verso la parte avversa, quale ideatrice dei vari omicidi. Il risultato era spesso una micro faida tra clan rivali, che finivano con lo sterminarsi da soli». La guardò in volto, mentre lei stava elaborando quello che Tony le aveva detto, e poi continuò: «Questo è stato il nostro lavoro per decine di anni». Ma poco importava nella loro vicenda, allora lui disse: «Non importa quello che abbiamo fatto io e tuo padre qualche decina di anni or sono. Piuttosto dimmi se tuo padre aveva dei nemici». Chiara riprese il fiato sufficiente per riflettere, poi gli spiegò che probabilmente di nemici ne aveva eccome, suo padre. La domanda che sorgeva spontanea era: “Perché?”. In occidente, oltre tutto quello che può sembrare fuori regola, la risposta era facile. I suoi soldi. Il denaro era quell'ago della bilancia che finiva col farti trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato. Giorgio a fine carriera aveva indovinato un paio di accoppiate troppo vincenti, e nel giro di pochi anni era diventato ricchissimo. Il suo denaro era quasi miracolosamente sparito, e nessuno sapeva dove ora si trovasse. E tutto questo non aveva niente a che vedere con il suo ex lavoro, o cose simili. Quello che rendeva la vicenda assai complicata era che sui maggiori conti correnti non ci fossero che le briciole. Avvocati, finanzieri, lo Stato e tanti altri ancora, non capivano come questo potesse essere possibile. Inutile pensare di fare un'indagine approfondita su quella famiglia. Alla fine della fiera l'avevano già fatta gli altri, e che cosa avevano trovato? Niente.

Società che comprano e vendono altre società, soldi che girano di mano, ando da alcuni dei più importanti paradisi fiscali, terreni di proprietà della famiglia che diventano edificabili decuplicando il loro valore, e una morte inspiegabile; la sua. Tony capì che Chiara aveva vissuto sempre in una sorta di paradiso terrestre, dove tutte queste problematiche erano fermate e gestite da altri. arono ancora un paio di giorni a parlare di suo padre, quindi Tony si decise a telefonare a Gianni. Il telefono squillò appena un paio di volte e poi la voce del vecchio amicò disse: «Alla buon'ora! È da un paio di giorni che ti sto aspettando». «Ciao Gianni, come siamo messi?» Lui rispose con un sorriso e aggiunse: «Se qualcosa va storto allora vuol dire che ci siamo cacciati in un affare più grosso del Titanic». «Tranquillo, va tutto bene, tra quarantotto ore ci vediamo nel mio nido sull'Appennino tosco emiliano». «Ok» rispose lui, e riagganciò. Tony lasciò Chiara in camera che guardava la televisione, pregandola ancora una volta di non affacciarsi al balcone, di non rispondere alle telefonate, e soprattutto di non fare qualunque cosa che le fosse venuta in mente fino al suo ritorno. Era pericoloso lasciarla da sola a Firenze, ma non aveva scelta. Questo pensò Tony, mentre si avviava a i veloci verso la stazione centrale. Acquistò due biglietti di prima classe su un treno chiamato Freccia Rossa, che li avrebbe portati via da Firenze. Come sempre accadeva in quelle occasioni non prese la strada più facile, quella che l'avrebbe condotto direttamente a Pistoia da Firenze in un battibaleno, prese invece un Intercity e andò a Bologna centrale. Da lì tornò indietro, verso la sua amata Toscana. Lui e Chiara erano nell'ultimo treno di un giorno qualsiasi che fece tappa a Pracchia.

La sua mutazione fu quasi transgenica. Nel giro di un paio d'ore erano diventati due damerini. Lui in abito grigio scuro, con cravatta e impermeabile di Allegri al seguito e lei, nella sua bellezza, una signora di altri tempi. Ovviamente viaggiarono fino a Bologna in prima classe. Nessuno si permise di disturbarli, neanche il controllore che, quando arrivò al loro posto, fece quasi finta di non vederli e ò oltre. Quei due soggetti sembravano davvero signori di altri tempi. Lei era bella, e vestita di un abito madreperla con dei risvolti albicocca che la rendevano ancora più alta di come era nella realtà. Aveva avuto cura di farsi un trucco appena accennato, che faceva trasparire tra le minuscole rughe dettate dal suo sorriso, un volto liscio e antico. Chiunque la guardasse poteva immaginare la sua bellezza anche al mattino, al risveglio. Chiara era bella così. Con le sue calze chiare che fasciavano quelle gambe lunghe, a volte maldestre, e quel viso a tratti severo ma mai nemico, dava una speranza a tutti, anche agli ultimi. Tony non l'aveva mai vista così fino ad allora, ma giorno dopo giorno ritrovava, nei suoi lineamenti e nei suoi modi di fare, la tenacia e la forza di suo padre. Alla fine della giostra era sicuro che quell'atteggiamento superiore, e al di fuori delle parti, era soltanto una maschera imposta dal suo ruolo. E allora volle immaginare tutto. Ad esempio la sua difficoltà di donna calata precocemente in ruoli che non erano i suoi. E volle pensare a quello che lei aveva dovuto sopportare, con una miriade di spasimanti pronti a tutto per un pezzo di osso con un po' di carne attaccata. Nella tristezza della sua visione si permise persino di immaginare quale fosse per lei il concetto di amore, ma poi ricacciò dentro di sé quello che gli venne alla mente, e tornò alla vita terrena. Tony aveva capito che il viaggio che stava per iniziare con quella ragazza, con quella figlia, era difficile e pericoloso; pensò che in fondo ci fossero molteplici complicazioni, dovute magari a un insieme di fattori che forse in quel momento non riusciva a percepire.

Magari non erano neppure suoi, ma in un certo senso finiva col condividerli, col percepirli, col capire che forse in un progetto più ampio, in qualcosa più grande di lui, o che forse non aveva conosciuto fino a quel momento, potessero diventarlo. Così, nelle ore trascorse a Firenze, in quella stanza, in compagnia di Chiara, riuscì a capire e condividere nel profondo il suo dolore per la morte del padre, che era anche un suo grandissimo amico; soffrì per l'incapacità di lei di trovare una via maestra, un qualcosa che la portasse a ritrovare una vita serena. Allora capì che, in fondo, poteva soltanto aiutare quella ragazza non per soldi, ma perché lo voleva e basta. La chiamò vicino a sé e le disse: «Chiara, ti prego aiutami ad aiutarti, dimmi tutto quello che sai sulla verità di tuo padre». Lei rimase per qualche attimo in attesa, e si ritrovò a tratti paurosa delle risposte che avrebbe potuto dare a quell'uomo che in fondo era… chi? In fin dei conti Chiara pensò che lui potesse anche essere tutto quello che in realtà non aveva detto di essere, magari non un amico del padre, ma un nemico. Un uomo che giocava una partita sporca, magari con casualità, forse buttato di forza nella vicenda, o forse una pedina di una partita più importante, giocata da qualcuno al di sopra di ogni sospetto. Anche lei iniziò a chiedersi che cosa davvero stesse cercando e perché lo fe, in fondo suo padre era morto, il suo denaro non si trovava. Non che lei ne avesse bisogno, almeno per vivere alla giornata, perché la rendita che gli proveniva da una fantomatica banca svizzera era assai adeguata al suo tenore di vita. Tutti quei pensieri offuscavano la mente di quei due testardi. Né Chiara, né tanto meno Tony, riuscirono a fugare i loro presentimenti per quella vicenda, che assumeva in tempi diversi, e forse anche in mondi diversi, aspetti che neanche loro sapevano oggi definire. Tony si trovava tra le mani… che cosa? La figlia di un amico morto che, senza lasciare nessuna comunicazione, aveva spinto tra le sue braccia fraterne la sua creatura? Chiara d'altro canto si trovava di fronte un uomo che non conosceva, di cui non

si fidava del tutto, che magari le era anche antipatico, e che però in un paio d'occasioni le aveva salvato la vita. Comunque sia, Tony pensò di andare fino in fondo, non poteva pensare di abbandonare tutto in quel momento così importante; sapeva che anche Giorgio l'avrebbe pensata così. Mentre nel suo silenzio stava finendo di pensare e immaginare, stavano scendendo in quella sorta di penombra che i neon, offuscati dal grigio appiccicoso della stazione, ridavano quasi controvoglia, consumando quel poco gas che rimaneva loro. La stazione era deserta, ormai erano le otto ate e nessuno aspettava qualcosa, qualcuno, in quella sera di febbraio inoltrato. Chiara e Tony si avviarono verso il centro del paese sperando di non incontrare nessuno. Non volevano dare nell'occhio, pensarono che forse a Pracchia qualche personaggio strano potesse essere arrivato, in cerca di guai o forse soltanto in cerca di loro. Lui si comportò come avrebbe fatto in qualsiasi altra parte del mondo, non prese la strada maestra, ma cercò quella più buia, che in qualche modo l'avrebbe tenuto nascosto da occhi indiscreti e no. Per arrivare alla loro casa, alla sua casa, pensò Tony poco più in là, ò dalla parte alta del paese, dove le luci pubbliche avevano l'intermittenza di quelle di un albero di Natale. Arrivò nella piazza della chiesa in un battibaleno, nessuno sembrava averlo seguito, e nessuno sembrava che fosse interessato a loro. Tony si rivolse a Chiara e le disse: «Siamo quasi a casa, mia cara, d'ora in poi credo che non dovrai più preoccuparti». Lei lo guardò sorpresa, pensò che in fondo quel suo fare fosse più paterno che altro, e allora in tono di sfida gli rispose: «Anche se non sono tua figlia mi piace questo gioco, mi piace essere coccolata come se tu fossi mio padre, o uno della mia famiglia». Tony la guardò con dolcezza e con quella serenità che da tanti anni non riusciva più a provare; in quell'attimo gli tornarono in mente Mamy e Sally, la tranquillità che quelle due donne, indipendentemente dall'amore, erano riuscite a trasferirgli in tutti quegli anni. Per entrare in casa non ò dall'entrata usuale, si limitò a

suonare il camlo a quella coppia di anziani, e al tempo stesso suoi amici, che avevano nelle mani le redini di quella casa e forse anche del suo vivere in Italia. Nonostante l'ora non tarda, ma per loro decisamente inusuale, tutti e due si avvicinarono alla porta a vetri in stile inglese, e sorrisero nei loro mezzi pigiami e mezzi coltroni nel vedere il loro amato figlioccio. Li fecero entrare e subito chio sia la porta a vetri sia lo sportellone di protezione. La stufa posizionata dentro il vecchio caminetto era accesa, Tony stramazzò sul divano vicino al caminetto e lasciò che il tepore della legna arsa e di quella casa colassero dentro di lui per qualche minuto. Chiara rimase un attimo perplessa vicino all'entrata secondaria, messa lì per fermare il freddo d'inverno. Comunque sia rimase quasi meravigliata di quei piatti attaccati ai muri, di quei libri riposti in maniera coerente e al tempo stesso arruffato nello scaffale, di tutti quegli ammennicoli più o meno di valore, che rievocavano nella vita di quei due i tempi andati. Chiara era attratta anche da tutte quelle fotografie di persone, a volte vecchie, a volte giovani. Probabilmente non era abituata a fare quella sorta di catalogazione dei ricordi. La signora che viveva in quella casa magari faceva di quegli oggetti una sorta di e-partout, una ricetrasmittente che le permetteva in tempi non felici di parlare anche con loro. Lui riuscì a percepire tutto questo in pochissimo tempo, e capì che forse Chiara non era così superficiale, come alla fine della giostra tutti volevano che fosse. Per prima cosa la signora, che come sempre era andata ad aprire la porta, senza chiedere niente a Tony mise subito una macchinetta di caffè sul fuoco e li rifocillò con qualche biscotto fatto in casa. «Mi ha cercato nessuno durante la mia assenza?» chiese Tony riferendosi a tutte due. «No, non che io sappia» rispose il marito della signora. Tony chiese all'uomo se erano stati contattati di recente da qualcuno che, per un motivo o l'altro, aveva finito per chiedere di visitare la sua casa. La domanda fu più di routine che altro, perché sapeva benissimo che non avrebbero permesso a nessuno di entrare. Dopo un'oretta andarono in casa ando da quell'ingresso che era, agli occhi dei più, celato. La casa era ben riscaldata, l'acqua in bagno era bollente, il frigo era stracolmo ed entrambi i letti erano rifatti.

Questa volta fu Chiara a prendere la parola e disse: «Tony, mi sembra che ti abbiano viziato per benino in questo paese dimenticato da Dio». «Dopotutto, anche se dimenticato da Dio come dici tu, mi sembra che abbia dei risvolti importanti, non ti pare?» «Di cosa stiamo parlando?» disse lei. «Magari del fatto che riesca a nasconderti dai cattivi, non ti pare?» La diatriba andò avanti ancora per qualche minuto, finché la stanchezza e la voglia di riposare non presero il sopravvento in entrambi, e si addormentarono in due camere separate, in piani separati, continuando a confabulare una contro l'altro, non per nulla, ma soltanto per parlare. La mattina successiva, non più tardi delle nove, arrivò l'amico di sempre: Gianni Frosoni. Lo affrontò sulla porta con un caloroso abbraccio ed entrambi rimasero stretti in quella morsa fraterna per alcuni minuti. In quell'occasione lo vide più calmo, più sereno, comunque sia non gli chiese nulla sull'uscio e lo fece entrare. Gianni parlò molto di tutto ciò che era riuscito a trovare sulla vita, sulle vicende di Giorgio, e Chiara rimase in silenzio ad ascoltare con attenta ione tutto quello che aveva già vissuto, magari non condiviso, ma di sicuro vissuto. Suo padre, a sentire le parole di Gianni, poteva anche non essere stato un uomo tutto di un pezzo, sì, in fondo poteva anche avere accettato uno, tutti o nessuno dei compromessi che Gianni stava snocciolando. In fondo faceva solo il suo lavoro. Già, era un avvocato, e come tale doveva restituire una conseguenza logica, apprezzabile, inattaccabile circa quello che stava dicendo. Tony lo conosceva sotto un'altra veste. Il rapporto che aveva con quell'uomo non era professionale, per lui era prima di tutto un uomo, con quei valori che oggi trovava difficoltà a riscontrare in altri. Allora pensare a lui come a un soggetto imperfetto, vincolato da quel Dio che si chiama denaro, e che oggi prende parte preponderante della vita di tutti, era per Tony inaccettabile, come avrebbe detto

lui, insostenibile. Quindi dava per scontato che tutto ciò che stava dicendo in quella stanza, al cospetto della figlia dell'uomo di cui stavano parlando, e di fronte all'amico intimo di colui che stava attaccando, fosse la verità. O per lo meno fosse la sua vita, quella che lui in coscienza dell'anima si era creato. Chiara era seduta sulle scale a chiocciola che portavano alle camere da letto dell'appartamento di Tony. Ascoltava nella penombra lo snocciolare dei numeri e delle cose che erano imputate a suo padre. Non faceva una grinza e al tempo stesso però non guardava Tony in faccia. Questo lo preoccupò assai, e fu lui che cercò il contatto visivo, che sperava gli avrebbe fatto capire meglio. Le domande che sorgevano spontanee e tutti e due erano: - Chi gestiva il patrimonio di Giorgio? - Come aveva fatto Giorgio a costruire un'enorme ricchezza? - Che cosa aveva a che fare Chiara nello scenario finanziario di suo padre? - E soprattutto, dove era fisicamente il malloppo? Chiara nelle ore trascorse tra un treno e l'altro per arrivare a Pracchia, aveva in fin dei conti affermato che non sapeva proprio nulla dei soldi di suo padre, e che fino alla sua scomparsa non gliene poteva fregare di meno. A quei tempi aveva tutto quello che voleva, e soprattutto non aveva paura, si sentiva protetta dall'ala di suo padre. Nessuno avrebbe osato farle del male per estorcerle qualsiasi informazione. Oggi non avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco circa questa possibilità. Comunque sia, Gianni fece luce sulla seconda domanda. Giorgio aveva acquistato terreni agricoli a ridosso della città di Pistoia, con l'intento di coltivare alcune piante da ornamento o, al peggio, alberi di natale. Nel giro di pochi, anzi pochissimi anni, i terreni erano diventati edificabili, e a seguito della forte richiesta di unità abitative, ciò che aveva pagato dieci ormai valeva un milione. Aveva così capitalizzato una mezza fortuna, finendo poi con l'occuparsi della compravendita di immobili. Ovviamente in quel mondo vince

chi ha il denaro contante in mano, e lui ne aveva molto. Tutto questo si poteva dimostrare, diceva Gianni, dai contratti d'acquisto e di vendita che aveva recuperato all'ufficio del registro. Un lettore disattento vedeva in quelle carte la regolarità delle cose, Gianni vedeva qualcosa che era inusuale. Troppe vendite fatte al ribasso. Troppi soldi a nero che forse avano di mano. Poi, effettuando un minuzioso lavoro d'informazione sul territorio con le persone che lo avevano potuto conoscere prima, emergevano due storielle davvero interessanti. Non perché alla fine fossero del tutto vere… ma come sempre accadeva in questi casi, un fondo di verità c'era di sicuro. La prima sosteneva che già negli anni 60 lui comprasse oro e gioielli da chi aveva bisogno di fare cassa; la seconda, quella più affascinante, sosteneva che avesse intrapreso affari in Africa acquistando un lembo di terra al confine tra la Rhodesia e il Sud Africa. In effetti Giorgio era affascinato da quel continente, e con frequenza andava a fare dei safari proprio in quella regione, pensò senza dire nulla Tony, guardando l'espressione di Chiara. Anche lei fece un cenno di assenso sull'ultima dichiarazione di Gianni. «Due volte l'anno, a volte anche tre, mio padre andava a caccia in Africa» disse lei. «Hai mai notato nulla di strano al suo ritorno o alla sua partenza?» disse l'avvocato. «No, non direi» ribatté subito. In fondo che cosa avrebbe potuto notare allora? Col senno di poi tutto sarebbe ato da una macchina a raggi X, ma non allora. Con quelle nuove rivelazioni la cosa si faceva un tantino più interessante, pensò ancora una volta in silenzio Tony. Erano ormai ate le undici del mattino quando Gianni, uscendo dalla porta d'ingresso, salutò i due compari di avventure e fece ritorno a Pistoia. L'accordo era di risentirsi appena ci fossero state novità circa lo spostamento del

cimitero dove si pensava riposasse il povero Giorgio. A questo punto, e con le informazioni ricevute dall'amico, le verifiche da fare erano due. La prima era capire se il cadavere nella bara fosse davvero quello di Giorgio, e la seconda era verificare la causa della sua morte, confrontandola con quella certificata dal medico legale. A proposito, chi era il medico legale che aveva redatto il certificato di morte di Giorgio? E com'era morto? In tutti quei giorni trascorsi insieme a Chiara non avevano mai parlato di questo. Lui per non farle riaffiorare il dolore, lei perché le informazioni che aveva erano sconclusionate, e forse anche filtrate da mani e cervelli esperti pronti a cogliere l'attimo, disarcionandola dalla sua comodità. Tony alla fine dovette affrontare quell'argomento, e lei gli rispose che la causa della morte di suo padre fu un arresto cardiaco, un infarto. Non sapeva chi fosse il medico legale che aveva effettuato l'autopsia; comunque aveva una copia della cartella clinica e dell'autopsia in casa sua a Firenze. Dovevano entrare in possesso di quei documenti il più presto possibile. Ma come fare a raggiungere casa di Chiara? Di certo era tenuta sottocchio, e il vantaggio della sorpresa sarebbe andato a farsi benedire. Gianni li aveva infatti informati che nessuno aveva fatto una denuncia circa la mancanza di Chiara, e questo era la prova evidente che le persone che ruotavano nel suo entourage fossero in qualche modo sporche, e consapevoli di non voler avere la polizia tra i piedi. Forse non tutte. Doveva esserci qualcuno di cui lei si poteva fidare! «L'unica persona di cui potrei ciecamente fidarmi è la mia tata. Quella che mi ha allevata fin da piccola e ha continuato anche dopo la morte della mia mamma» disse lei amara, e poi continuò: «Però sono due anni che è in pensione, e non ha più gli accessi a casa mia». In fondo era giusto, che si poteva chiedere a una donna di ormai oltre settantacinque anni?

Non c'era altra via d'uscita: doveva entrare in casa di Chiara di nascosto, senza di lei. Quella sera stessa partì con la macchina dei suoi guardiani di casa per effettuare un giro esplorativo. Lei gli aveva fornito i codici di accesso del cancello elettrico e dell'allarme. I codici dovevano essere quelli, solo lei li poteva cambiare. Lasciò Chiara da loro, pregandola di non fare fesserie, e poi partì. Alle dieci di sera era nei pressi dell'abitazione di Chiara. Una villetta a sé, nei pressi delle cascine a Firenze. La casa sembrava deserta, tutto era spento e la posta, che lui avrebbe pensato strabuzzare dalla cassetta, era inesistente. Questo era il primo segnale che qualcuno faceva il giro a toglierla; ma chi? Lui si sarebbe mescolato con gli infiniti e insospettabili anti, comunque quando ò vicino al cancellino pedonale suonò per ben due volte il camlo. Nessuna risposta. Allora rifece per un paio di volte il giro della casa per vedere se qualcuno la stesse controllando, poi mise un foglietto bianco nella buca delle lettere e si allontanò. Si mise a debita distanza ad osservare se si faceva vivo qualcuno. Dopo un quarto d'ora, quando nessuno era ato, si convinse ad entrare. Lì per lì si giudicò un po' spregiudicato, ma in fondo pensò che il lavoro andava fatto e subito. Entrare in casa fu un volo, e capì subito il motivo di tanto disinteresse. La casa era già stata rivoltata come un calzino, sembrava anche con rabbia. Chi lo aveva fatto, in fondo non cercava quello che invece riuscì a trovare lui, nel marasma delle cose mandate all'aria. La cartellina dell'ASL numero 3 dell'ospedale di Careggi era sul mobile della televisione, unico a non essere stato danneggiato. Quello che sembrò strano a Tony fu il fatto che non avessero portato via nulla di valore. Il portagioie era ribaltato nel lavandino del bagno, e il suo contenuto di gioielli più o meno cari, come un orologio Cartier, non era stato toccato.

Un altro tassello del mosaico prendeva posto nella scacchiera di questo gioco, pensò mentre faceva ritorno a Pracchia, in macchina. Mentre era alla guida, salendo quella strada tortuosa che lo portava verso casa, Tony pensava a ciò che aveva visto in casa. In fin dei conti era un bell'appartamento, con tutti i comfort del caso, ma nulla aveva a che fare con la ricchezza, quella vera. Allora nella sua mente iniziò un percorso a ritroso, cercando fra quei lembi di vita che aveva condiviso con il suo amico Giorgio… un indizio, per capire quale e che cosa potesse essere per lui, il concetto di ricchezza. Non trovò nulla di quello che sperava di trovare fra i suoi ricordi. Mentre tra una curva e un'altra, tra una macchina che gli veniva incontro e una che gli si faceva troppo vicino da dietro, si trovò più di una volta a guardare quella cartellina che conteneva, tra le altre cose, gli ultimi attimi di vita di Giorgio. Aprì solo il lembo di cartone e vide che sulla prima pagina c'era riportata un'annotazione a penna. Non si trattava di poche parole scarabocchiate, bensì di una mezza pagina di scritto in corsivo. Lì per lì non ci fece caso, in fondo quanti dottori si prendono la briga di trascrivere a penna i loro appunti sulle cartelle cliniche dei pazienti? Quell'annotazione gli parve però troppo lunga, scritta senza fretta e con una bella calligrafia, cosa tra l'altro inusuale nei medici. Arrivò a Pracchia ormai a notte fonda, non andò neppure a svegliare Chiara, che magari dormiva alla grande; si limitò a fare un giretto per il paese deserto e addormentato, un po' per riflettere e un po' per controllare che tutto fosse a posto, che non ci fossero sorprese. Trovò soltanto un cane rannicchiato sulla porta d'ingresso della casa del suo ormai defunto padrone, e il fornaio che iniziava le consegne della sua merce prelibata. Quello che fece tenerezza a Tony, in quella notte fredda e senza luna, fu l'atteggiamento del cane che, alzando la testa da quel sonno sempre vigile, lo guardò, lo riconobbe al fiuto, e sembrò quasi chiedergli, ma solo con lo sguardo, se avesse visto Raul. Tony si abbassò e gli fece una lunghissima carezza, poi, colto anch'egli dall'amarezza per l'ennesimo amico partito per quel viaggio senza ritorno, decise di andare a dormire. Entrò in casa e quasi il pettirosso faceva i suoi primi gorgheggi, comunque sia si stese sul letto e dormì per alcune ore.

Verso le nove sentì l'odore inconfondibile del caffè e questa volta fu Chiara a portarglielo a letto. «Buongiorno dormiglione» disse lei in tono pacato, e gli posò la tazzina sul comodino. Lui si limitò a grugnire, un po' per reggere la parte e un po' perché ancora non era decisamente sveglio. In ogni modo, nel giro di mezz'ora aveva già fatto la doccia e stava al tavolo di cucina con lei, insieme ai documenti che aveva preso in casa sua come centrotavola. Lei, in assoluto silenzio, aspettava che lui le desse delucidazioni sul contenuto della cartellina. Questo è ciò che lui percepì dall'agitazione dei suoi occhi, dal modo con cui si maneggiava le mani, e da tanti altri aspetti del corpo che parlavano al posto suo. «Non ho letto nulla di quello che è contenuto in questa cartellina, mia cara» disse poi grattandosi un attimo il mento. «Volevo farlo con te, sono cose tue, e allo stato attuale mi piace che sia così». Tony la vide rilassarsi, chissà che cosa ava ora nella sua testolina; allora lui senza nessun altro indugio, aprì la cartellina e volle leggere ad alta voce quella lunga annotazione riportata a penna, che l'aveva così deconcentrato durante il suo viaggio di ritorno. «Il paziente risulta essere deceduto alle 18.50 di oggi; tenuto conto del suo status e dell'ora in cui l'ho visitato, sembra che la causa del decesso sia riconducibile a un arresto cardiaco. Nonostante ciò il suo cuore risulta essere in perfetto stato, e non ci sono concause che possono aver determinato un infarto così eclatante. Vorrei effettuare un'analisi approfondita circa le sostanze esterne che potremmo trovare nel suo sangue e/o nelle sue urine. Magari il paziente potrebbe aver assunto farmaci, o sostanze contenute nei cibi, che hanno determinato una così elevata alterazione cardiaca. Nella mia poca esperienza medica non mi sono mai trovato a dover tirare delle conclusioni con così poca attendibilità. A causa del ritardo con cui sono stato chiamato a effettuare questa visita post mortem, non posso escludere che vi siano delle problematiche nelle aree circolatorie importanti vicino al cuore. Il sangue, infatti, risulta essere coagulato, e la veridicità di quello che potrei dire è soltanto soggettiva. Non ho potuto determinare con assoluta certezza l'ora del decesso, in quanto il corpo del

paziente è stato riposto erroneamente in una cella frigorifera». Quell'annotazione fece arrivare un monito nella mente di Tony… e poi la dichiarazione non era firmata. Il giovane medico che l'aveva scritta sembrava volesse prendere le distanze da quella cartella clinica e da quella certificazione. Infatti, i rimanenti documenti erano firmati dal direttore del padiglione di analisi patologica, che probabilmente non aveva nemmeno visto quello che stava firmando, altrimenti avrebbe di certo cancellato un'annotazione che sembrava più un'ammissione di colpevolezza e incuranza che altro. Fatto sta che nessun'altra analisi era stata commissionata, come aveva annotato il giovane medico, e la cosa era finita lì. Chiara sembrava esterrefatta da così tanta superficialità dimostrata da un ospedale che lei stimava da sempre. Sembrava non sapesse e ora, per giunta, che non capisse. Tutto quello che avevano già trovato, le persone che erano state tolte di mezzo, il tentativo di essere controllati in Inghilterra, gli avventori che ricevettero a Montiano, li portavano a un'unica supposizione: Giorgio era morto o era stato ucciso? Per usare un termine un po' più reale avrebbero dovuto dire: assassinato. Chiara era disperata, si guardava intorno come se cercasse il fantasma di suo padre, come se, con insistenza, volesse trovare tra quei muri i tizi che l'avevano messa in questa situazione. Trovò solo lo sguardo benevolo di Tony che la rassicurò, e le disse di stare tranquilla perché di peggio non sarebbe potuto arrivare nulla. Chiara uscì nel piccolo giardino protetto da sguardi indiscreti, che era un crocevia d'incontro tra la loro vita e quella della coppia di anziani tenutari e guardiani della proprietà di Tony. Si fermò in mezzo alle ortensie ora sfiorite, tra i lunghi stecchi che guardavano il cielo nuvoloso con il suo carico di pioggia, e ammirò quel moto lieve ma continuato delle nubi che si muovevano verso nord; poi accese una sigaretta. Il fiume scorreva sotto di loro lento ma cinereo, dimostrazione di una burrasca che era già venuta e ata. Tony la riavvolse nel suo cappotto e la lasciò lì, a finire quella sigaretta, e a

combattere ancora una volta i suoi demoni. Un treno, uno dei pochi che ormai avano da quella ferrovia scalcinata e a tratti sconosciuta da tutti, lanciò uno dei suoi urli, mentre arrivò a un aggio a livello; allora lei, scossa da quel sibilo, riprese contatto con la realtà e tornò a essere quella che era. Cacciò il mozzicone della sigaretta ormai alla fine lontano da sé e tornò in casa. «Adesso che ne facciamo di questa documentazione?» «Per prima cosa dobbiamo far vedere il contenuto a un medico legale, uno che abbia già effettuato delle autopsie. In fondo abbiamo bisogno di avere il parere di un esperto, di uno che ci possa far capire quanto sono andati a fondo nella ricerca della verità, di uno che alla fine ci riesca a dare una sua personale indicazione su quelle che sono state le vere cause della morte di tuo padre». Subito dopo mangiato telefonò a Gianni e lo informò dell'accaduto. Anche lui concordava circa il fatto di dover parlare con un vero professionista; si prese qualche ora per fare tutte le verifiche del caso, per arrivare ad ottenere un nome. Tony e Chiara parlarono per un paio d'ore dopo aver pranzato, del più e del meno, di quello che avevano avuto in dono dalla vita e di quello che avrebbero voluto avere in dono. Inevitabilmente finirono col parlare di Giorgio, delle sue gioie, le sue manie e le sue fobie, e fu proprio Chiara a instradare Tony verso una nuova pista che lui non aveva visto, o forse solo che non gli era sembrata in quel momento così importante. Infatti disse che spesso suo padre si fermava a scrivere. Scriveva tanto e quasi tutti giorni, sembrava proprio che stesse tenendo un diario, un qualcosa che non voleva andasse perduto, che desiderava rimanesse da qualche parte per i suoi amati. Allora Tony capì. Capì che probabilmente quello che Giorgio stava scrivendo non era il diario di un quindicenne, ma forse, tenuto conto anche della sua intelligenza, era una sorta di testamento. E lo scriveva perché cosciente delle possibilità reali di una sua dipartita. La domanda che ora sorgeva spontanea era: dove si trovava il diario di Giorgio, ammesso che esistesse?

Fu questa la domanda che fece a Chiara. «Non saprei proprio risponderti. Quando mio padre è morto io non ero presente, e non so che fine hanno fatto i suoi effetti personali… bisognerebbe chiedere al suo segretario, l'ultima persona che l'ha visto in vita e la prima persona che l'ha visto morto». «Pensi che sarebbe possibile parlare con lui?» disse Tony. «Credo di sì. Basta chiamarlo, ho qui il numero». Provarono a contattare quell'uomo, ma né a casa, né al cellulare rispondeva mai. “Brutto segno” pensò Tony, senza dire niente a lei. In quei casi, se la sua teoria risultava essere vera, era molto più facile che quel signore fosse morto piuttosto che impegnato. Allora senza chiederle nulla, tramite un banale servizio telefonico a pagamento, riuscì ad avere l'indirizzo di quel personaggio. Gianni telefonò verso l'ora di cena e comunicò di aver trovato forse la persona giusta. Si trattava di un medico legale di vecchia esperienza, che aveva collaborato per tanti anni con vari tribunali della Toscana e che ora, essendo in pensione, faceva solo quello che gli pareva giusto, professionalmente parlando, senza compenso alcuno. Il nostro amico aveva già contattato, aveva già parlato con lui e fissato un appuntamento di lì a qualche giorno, con l'intento di risentirsi e confermare. A Tony parve che il suo amico fosse soddisfatto e allora non volle fare altro, lo salutò fraternamente, come sempre. Non disse niente neanche a lui dell'ipotetico testamento di cui aveva parlottato poco prima con Chiara. Almeno per il momento, non tanto perché non si fidava, ma piuttosto perché lo faceva troppo suggestionabile e non lo voleva influenzare. Anche quella sera si ripropose il copione del giorno precedente. Lasciò Chiara dai suoi amici e si diresse con la loro macchina, all'insaputa di lei, verso la casa del segretario di Giorgio. Il tizio abitava a Prato, in una delle tante vie che si confondevano tra mezzi palazzi e “terra-tetto” con un telaio dentro, magari nella minuscola cantina. Si poteva ancora sentire qua e là il tintinnio cadenzato dei macchinari che non smettevano mai di lavorare. La strada della periferia era poco illuminata e qua e

là si potevano vedere ancora le luci negli scantinati di quei “terra-tetto”, dove chissà quale razza umana stava generando del filato. L'uomo abitava all'ultimo piano, il quarto, di un piccolo palazzo. Senza giardino, senza posto macchina, calato forse in una realtà nemica e poco accogliente per lui. Suonò il camlo, ma non ottenne nessuna risposta. Rimase per un po' di tempo nei pressi dell'ingresso, per vedere se qualcuno dei suoi condomini, arrivando, potesse dargli qualche informazione. Di lì a poco si avvicinò una signora anziana con il suo trolley da spesa mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di come si lo guardava. Le si fece incontro e le chiese gentilmente se conosceva quell'uomo. La signora, avida di conversazione, forse per la sua inaccettabile solitudine, affermò che lo conosceva bene, ma ormai erano diversi mesi che non lo vedeva e che non gli parlava; pensava si fosse trasferito. Tony fece un sospiro di disperazione e si congedò dalla signora con un augurio circa la sua salute. Nel suo cuore invece aveva già visto quel film, quella scena. Il cadavere dell'uomo non lo trovò lui, ma la Polizia, quando dietro una sua segnalazione anonima fece irruzione nell'appartamento. Era ben riposto nel congelatore della sua cantina, con la testa fracassata dietro la nuca. Misero i sigilli a tutto l'appartamento e le luci della ribalta si accesero sul quel soggetto. Era in definitiva tutto quello che Tony voleva. Mettere allo scoperto, soprattutto agli occhi della magistratura, i personaggi di questa brutta storia. Ci volle più di un mese prima che sbollissero le acque sulla vicenda. I giornali riportarono le più diffuse teorie, dal delitto ionale a quello politico, senza tralasciare quello religioso. Nessuna voce fece riferimento al lavoro che aveva svolto negli anni, e l'interesse di tutti presto si affievolì così com'era iniziato. A Tony parve roba dell'altro mondo, per usare un termine prettamente toscano. Comunque sia, trovò la strada per poter riparlare con quella signora anziana che,

con garbo e forse del tutto involontariamente, lo aveva informato sulla possibile scomparsa del segretario. Le piombò a casa un pomeriggio con una borsata di doni, si spacciò per un volontario della croce rossa o giù di lì e lei, riconoscendolo subito, lo fece entrare senza difficoltà. Gli rivelò che quell'appartamento era stato oggetto di tante riunioni, e di un gran via vai di persone negli ultimi mesi. Però non aveva sentito nulla che l'avesse fatta insospettire troppo. Aveva notato spesso un uomo di colore, distinto e con i capelli brizzolati. Quando lui appariva, sentiva il suo amico di condominio agitarsi e alzare la voce dicendo frasi sconclusionate, come ad esempio: «Che vuoi che ne sappia io di lucentezza e cose simili?». Oppure: «Io non so neanche dov'è la Rhodesia, e non ho mai visto nessun contratto». Allora nella mente di Tony tutto cominciava a delinearsi ancora meglio. Il suo amico Giorgio aveva di sicuro affari in Africa, ed era di vitale importanza riuscire a capire quali. L'Africa non era proprio come essere a Firenze o a Roma, lì si poteva morire per un bicchiere d'acqua o per cinque maledetti dollari. L'effetto sorpresa, quello che aveva ben profetizzato al tempo della loro venuta in Italia, era venuto meno. Adesso per smuovere le acque era giunto il tempo di lavorare allo scoperto e di verificare in chiaro quelle che erano le loro risultanze. Tornò a casa, e questa volta non aspettò a svegliare Chiara. Le altre domande che si erano fatte con Gianni avevano bisogno di una risposta. Fissò un appuntamento con il legale nel suo ufficio per il giorno seguente, alle tre di notte, informarono Chiara di tutto e andarono di nuovo a dormire. Alle sette in punto la fece saltare dal letto. Quello non sarebbe stato più il loro quartier generale, ma una casa di difesa, dove rifugiarsi in caso di pericolo. Tony sapeva, o meglio sperava, che nessuno li avesse seguiti o rintracciati, e così decise di andare allo scoperto in casa di Chiara. Era sicuro che il cento per cento

dei cattivi sapesse dell'esistenza di quel posto. Alle otto in punto, quando si trovavano già a Pistoia, permise a Chiara di riaccendere il cellulare e iniziare le danze. Lei non si fece pregare e iniziò a informare il mondo circa il suo imminente ritorno a Firenze. Telefonò a ruota libera ad amici e amiche, a parrucchiere ed estetista, a direttori di banca e alla sua colf. Quest'ultima le disse che non andava più a casa sua, perché due mesi prima era stata licenziata dalla società che gestiva il personale addetto alle pulizie delle varie abitazioni dei Rocca Bruna. «Bene» disse lei, e poi sbuffò ancora più arrabbiata: «Visto che sono io l'amministratore delegato della società, chi si è permesso di fare tutto questo?» «Sei stata rimossa dall'incarico pro tempore, e chi l'ha fatto potrà dimostrare che ha agito nel tuo interesse, facendoti risparmiare un bel sacco di soldi». «Già, così la mia casa e quella di mio padre sono alla mercé di tutti. Speriamo che il cascinale di caccia sia rimasto illeso» sospirò di nuovo lei. L'attenzione di Tony si concentrò sul cascinale e volle approfondire. Chiara gli spiegò che quello era il loro posto segreto, una piccola tenuta nelle colline senesi, quasi introvabile. La casa era molto spartana ma con tutti i servizi. Spesso suo padre andava a trascorrere qualche giorno in assoluto relax in quel posto, e quando era bambina gli faceva spesso compagnia. «Chi è al corrente dell'esistenza del cascinale?» chiese prendendola per un braccio. Mentre tentava di divincolarsi gli rispose: «Pochissime persone. Come ti ho già detto era il nostro posto segreto». «Il segretario di tuo padre era informato dell'esistenza della casa di caccia?» insistette Tony, sperando in una risposta positiva che purtroppo non arrivò.

«Certamente, ma non ne ha mai voluto sapere, era un ambientalista convinto». Pensò che in fondo quella potesse essere stata una delle cause di morte. Pensò che gli avvoltoi, non credendo alla sua verità, avessero finito per ucciderlo. Ogni volta che apriva bocca, Chiara gli dava elementi nuovi fino ad allora taciuti, o sottovalutati da entrambi. Alle nove in punto si ritrovarono negli uffici di Gianni. Lui era da solo, aveva anche dato la mattinata libera alla segretaria e al praticante di turno per stare in pace. La segreteria telefonica faceva da ammortizzatore alle immancabili telefonate dei clienti e dei privati, magari amici. Dopo i convenevoli e i primi approcci sul problema, fu direttamente Gianni a rompere gli indugi dicendo: «Di cosa stiamo parlando?». Tony guardò Chiara sorpresa di quella sparata, forse non compresa nella richiesta, e poi disse: «Stiamo parlando di un sacco di cose. Per primo vorrei sapere se il medico legale è disposto a effettuare un'analisi sui documenti sanitari in nostro possesso, poi ti volevo informare che sto andando allo scoperto con Chiara, e vorrei sapere se tu ci farai da legale o no in questa vicenda. Ah dimenticavo, abbiamo trovato un altro cadavere sulla nostra strada, si tratta del segretario personale di Giorgio». L'avvocato guardò le volticine del soffitto del suo studio e poi rispose: «Alla prima domanda rispondo di sì, l'ho personalmente invitato qui tra poco più di una mezz'ora; alla seconda rispondo di sì, in fondo mi pagate per la vostra difesa». Tony spiegò a Gianni che forse il buon vecchio Giorgio aveva in ballo qualcosa di importante in Africa, e precisamente in un piccolo lembo di territorio che gli aveva detto di aver comprato. Visti i conti correnti e i depositi all'estero, o per lo meno quello che Chiara aveva in mano, non sembrava essere quella una fonte d'interesse tanto importante da far uccidere delle persone. In fondo quei soldi, anche se potevano essere una cifra esorbitante per tanti, non sarebbero potuti essere spesi da nessuno se l'erede diretto non li avesse ritirati. Quindi Chiara era in quel momento al sicuro anche a casa. Quello che invece preoccupava Tony era tutto il resto. Le cose che non avevano ancora scoperto, gli interessi segreti del

padre di Chiara e la fitta rete di potenziali usurpatori che le si era costruita attorno alla luce della morte di suo padre. Forse il suo modo accentratore e riservato avevano finito col metterlo in un rischio più grosso di lui, e a comprendere nella scacchiera della vita anche i suoi eredi. Il gioco doveva essere troppo più importante di qualche milione d'euro e una fortuna in fabbricati in Italia. Questo disse Gianni dopo una lunga conversazione che vedeva Chiara quale ascoltatrice attenta e fiduciosa. Per lei il senso del denaro non era propriamente paragonabile a quello che aveva una colf, o un impiegato, e ancor meglio un giardiniere. Per lei spendere l'equivalente di tre stipendi di uno di loro in una giornata era banale. Almeno fino a un paio di mesi prima. Non suonò né il telefono né il camlo, fatto sta che Gianni all'ora stabilita si alzò dalla sua sedia e andò dritto alla porta d'ingresso. L'uomo, distinto e anziano, era davanti alla porta, e stava aspettando che lui gli aprisse senza suonare. Tutto sembrava così strano che Tony si ripropose poi di chiedere all'amico come avesse fatto a sapere che era lì. Il tizio entrò con la sua immancabile valigetta, senza degnarli quasi di un saluto. Prese in mano il fascicolo che Gianni gli dette e si mise comodo sul divano dell'ufficio a leggere il tutto. Andava avanti e indietro nei fogli del piccolo plico, prendendo piccolissimi appunti su un notes bianco. Alla fine, dopo una mezz'ora buona, si alzò dal divano e rivolgendosi a Chiara disse: «Mi dispiace, ma tuo padre non è morto di infarto. Il suo cuore e le sue analisi precedenti non danno la possibilità di nessun ragionevole dubbio. Tuo padre è morto per una causa esterna che ha fatto fermare il suo cuore sano. Un veleno, un farmaco che non lascia traccia, qualcosa che gli ha fatto abbassare di colpo la pressione. Non essendo stato eseguito un esame tossicologico, anche se a voce richiesto da questo bravo, giovane e maldestro medico, che scrive una così importante accusa non firmandola, non posso essere più preciso, e oggi, a tanta distanza dalla sua morte, potrei esserlo ancora meno». Riprese un attimo

fiato, poi aggiunse: «Nella mia esperienza vi posso dire che le probabilità che quest'uomo sia stato ucciso sono alte, e preponderanti circa una morte accidentale». Il dottore si alzò senza attendere la risposta di nessuno, ma prima di uscire volle concludere il suo intervento con un discorso che a tutti loro parve un monito: «Come ben sa il nostro comune amico Gianni, io non sono mai stato qui». Il mistero si faceva sempre più grande, e anche il dottore pareva volesse confessare qualcosa che sapeva, ma che al tempo stesso non voleva dire. Nel frattempo la disperazione di Chiara si faceva sempre più tangibile, fino a che sbottò in un pianto liberatorio. Gianni, dal canto suo, era a dir poco frastornato. Trovarsi davanti a un omicidio, catalogato come una normale morte naturale, in una sorta di impossibilità a dimostrare il contrario, in un paese che si vantava del diritto di essere civilizzato, era troppo anche per lui. Rimasero in silenzio per un po', fin quando a Gianni venne un lampo di genio. Ipotizzò che allo spostamento del cimitero dove riposava il povero Giorgio fosse presente Chiara, che all'apertura della bara non riconoscesse suo padre. Allora si poteva procedere con una denuncia alla magistratura chiedendo una riesumazione della salma, per dare il via a tutta una serie di perizie medico legali, potendo a quel punto richiederne una di parte, mettendo in campo il loro esperto. Facile a dirsi ma complicato a realizzarsi. Comunque sia, rimasero d'accordo di muoversi per i. Il primo obbiettivo era affrettare lo spostamento del cimitero. Come fare restava un dilemma. Comunque Tony volle vedere i risultati delle perizie dei geologi e degli incaricati dell'ufficio tecnico del Comune. Con una caramella di C4 avrebbe potuto risolvere il problema in un attimo,

trovando il punto di rottura. Gianni lo esortò a non considerare quella soluzione come praticabile, e in fondo anche lui la pensava già inattuabile. Dopo quelle prime avvisaglie e aspettando gli eventi, Tony e Chiara arono circa tre settimane a bighellonare per Firenze, nell'attesa che qualcosa o qualcuno fe la mossa sbagliata. In fondo, avendo una reale sicurezza che Chiara non fosse in pericolo di vita imminente, a patto che restasse sempre nelle mani di Tony, e che la ricerca dei loro potenziali nemici fosse qualcosa di diverso dall'immediato e banale denaro, allora poterono dedicare parte del tempo a riposarsi, pensando a nulla di particolare. avano le giornate inseguiti da questo o quel finto ante, che probabilmente era il loro controllore del momento. Nel giro di una settimana avevano già stabilito i loro turni. Un giorno c'era il tipo ben vestito che leggeva il giornale, un altro il tizio vestito da hippy che suonava la chitarra, poi si trovava la donna con la spesa, quindi il finto cieco all'angolo della strada dell'appartamento di Chiara e così via. Alla fine ci fecero l'abitudine a tutte quelle persone che li osservavano di continuo. La domanda ricorrente che tormentava Tony era: chi erano? E poi ancora: com'erano organizzati? Tony non era particolarmente seccato da quel metodo blando e poco efficace di controllo, a volte gli pareva di avere una spina d'acacia piantata in un dito e di non sapere come fare a togliersela. Percepiva al tempo stesso che quella situazione avrebbe potuto cambiare da un momento all'altro, e magari gli avventori, che sembravano dei semplici e tranquilli cittadini, potevano trasformarsi in belve fameliche. Nei suoi ricordi ne aveva immagazzinati di film che non andavano a lieto fine; ne aveva viste parecchie di parodie inusuali finire nel sangue. Comunque sia, a scanso di equivoci lui era armato. Non avrebbe esitato a sparare, ma non ci volle pensare. Per il momento sembrava che non ci fossero particolari problemi, così l'arnese di

ferro che teneva nella fondina, non ricreava tutta quell'ansia che in tempi ati gli aveva trasmesso. Nella sua mente tornava spesso il ricordo, ormai per definizione la fusione di tanti, di tutte quelle vite che in qualche modo aveva contribuito a far venire meno. Non ava notte in cui quel sudore freddo, a volte gelido, non bagnasse la sua nuca e i suoi capelli, non c'era giorno che un fatto, un particolare, un bambino che piangeva piuttosto che una madre che urlava, non lo riportasse al suo ato. Furono gli anni in cui l'uomo era un giovane e null'altro. Quindi gli errori di valutazione, di comprensione della realtà che gli era intorno, lo avevano portato su una strada non proprio maestra. In parte avevano influito anche i lavaggi di testa effettuati ad hoc da questo o da quell'istruttore capo. In un giorno come tanti arrivò la telefonata di Gianni. Il cimitero dove si presupponeva che riposasse il povero Giorgio sarebbe stato rimosso nei primi giorni di marzo. Non sapeva ancora la data esatta, perché la notizia che aveva ricevuto era ufficiosa e non ufficiale. La riflessione che fece Gianni parlando con Tony, fu di prendere posizione in maniera strategica nei pressi del cimitero, per essere realmente presenti alla sua rimozione. Non sapeva spiegare il perché, o quale fantasma gli fosse venuto in sogno, ma percepiva una parabola temporale inesatta. Se le mani dei loro concorrenti (per la prima volta li chiamò così) erano in pasta con la società incaricata della rimozione del cimitero, allora anticipare o posticipare di un giorno l'inizio dei lavori, poteva davvero cambiare le cose. In quel preciso istante Tony rimpianse il suo camper, perché al momento non avrebbero saputo come fare a sorvegliare un cimitero. Di norma quei siti venivano progettati e identificati in aree adiacenti ai centri urbani, ma a debita distanza. Pensò per esempio che per sorvegliare quello di Pracchia sarebbe stato necessario mettersi davanti al cancello d'ingresso, o disporsi nel versante opposto della valle che ospita il paese, e muniti di tutta un'ottima attrezzatura da camping, con un buon cannocchiale, stabilire un campo base. La fortuna o la sfortuna, a seconda da quale avventore veniva vista, si abbatté sulla vicenda. Due giorni intensi di piogge fecero sì che lo smottamento a ridosso del cimitero si fece più intenso e repentino. Anche la strada, l'unica, che conduceva fino a quel sito di pace infinita, iniziò a dare i primi cenni di cedimento. La parte a valle iniziò a screpolarsi e a cedere sotto lo spostamento

interno della frana, ragion per cui i lavori di ricollocamento delle salme avvennero il giorno successivo all'evento. Chiara e Tony arrivarono per primi sul sito; dovettero lasciare la loro auto, questa volta quella di lei, a mezzo chilometro dal cimitero. Fecero quel tratto di strada a piedi, in silenzio, consapevoli di ciò che sarebbero andati a vedere. Le ruspe, i camion, il personale del Comune, e tutta una flotta di curiosi, si affacciarono alle soglie del cancello dopo più di un'ora che erano lì. Entrambi rimasero in assoluto silenzio davanti alla tomba del padre e dell'amico, guardando quella foto scattata in chissà quale avvenimento, dove Giorgio, forse preso in contropiede, era riuscito a fare soltanto il suo sorriso. La giacca, la camicia, il giubbotto, agli occhi di tanti potevano sembrare sgualciti e malmessi, ma invece no, erano soltanto vissuti. Come spesso accade nei pensieri della gente, quando un rumore, le voci degli altri, il suono del mondo in definitiva, ti riportano alla vita reale, anche Chiara e Tony riemersero da quei pensieri, forse comuni, e guardarono gli operai che iniziavano a smantellare le lapidi. Tutto fu normale, fino a che il piccone di uno di loro non si conficcò nella terra. Quella terra era inaspettatamente dura, sembrava volesse in qualche modo ostacolare quel lavoro. Nel giro di una decina di minuti il piccone trovò il coperchio della bara. Allora il lavoro si fece più calmo, più lento, anche chi scavava con tanta lena per finire, per andare a casa, in un suo personale rispetto si fece cauto. Fortunatamente solo il coperchio era rimasto intatto, e le spoglie di suo padre furono levate un po' per volta. Non appena lei riuscì a vedere il cadavere, ormai ridotto a ossi e brandelli di vestito, lo riconobbe subito. Notò l'anello che portava al mignolo della mano sinistra, e la mandibola che anche in quello stato, così lontana dalle contrazioni di quando era in vita, sembrava serrata come sempre. Gli incaricati della società che si occupava dei lavori chiesero se fossero presenti i parenti di quell'uomo. A quel punto Chiara alzò la mano e disse di essere la figlia, mentre Tony, con gli occhi, andava a cercare il messo di controparte, che aveva di certo assistito a quell'esumazione. I resti del povero Giorgio furono riposti in una banale scatola di compensato, su cui venne trascritto nome, cognome e data di morte, poi il contenitore venne riposto nel furgoncino che avrebbe dovuto trasportare quelle anime in un altro luogo.

Tony lasciò Chiara lì dov'era, e si spostò insieme a quella cassetta anonima e nuda, fino al punto in cui fu riposta. Un paio di soggetti tra la folla si erano spostati con lui. Lì per lì aveva fatto finta di non vederli, o per lo meno aveva soltanto verificato la loro consistenza, ma ora li aveva a poco più di un paio di metri, e nella loro inattesa noncuranza li sentì parlare di Montiano. Quindi erano loro, pensò lui, e prima che si voltassero fece retromarcia e tornò verso Chiara. La donna non era più dove l'aveva lasciata. In quegli attimi provò un senso d'impotenza, di quella incapacità di poter essere in due posti diversi nello stesso momento. Poi con sollievo si sentì toccare la spalla, e voltando la testa vide la mano affusolata di lei. Non disse nulla dei due tizi che stavano tenendo d'occhio il camioncino. Si limitò a chiederle di avviarsi verso la macchina e aspettarlo lì. Arrivarono insieme fino al camioncino, scendendo le immancabili scale di ogni cimitero. I due tizi erano appoggiati proprio all'automezzo e fecero finta di non conoscerli, continuando a fumare le loro sigarette. Chiara, senza dire nulla, si avviò verso la macchina e Tony, come a proteggerla, si mise a una ventina di metri, tra loro e lei. Non erano interessati alle persone vive, semmai a quei pochi ossi e agli effetti personali riposti in quella cassetta. Tony non sapeva con esattezza se lo avessero riconosciuto oppure no, allora si fece vicino a uno dei due e gli chiese: «Mi scusi, ha mica una sigaretta da offrirmi?». L'uomo, che fino ad allora sembrava così sicuro di sé, ciancicò un mezzo sì, poi estrasse dalla tasca un pacchetto e gliene dette una. Nel vedere quelle mani tremare capì lo stato delle cose. La mattinata era invernale, di un freddo pungente, e una nebbia a sprazzi faceva vedere e non vedere le cose, così Tony, in un attimo di poca visibilità, afferrò l'uomo per la gola e sbatté la sua nuca contro lo sportello del lato guida del camioncino. Non fece neppure un verso, si accasciò a terra come una pera marcia. L'altro, preso di contropiede, tentò una malaugurata reazione. Forse non pensava che Tony fosse armato, così quando la sua pistola fu quasi dentro la bocca di quell'uomo, egli si arrestò immediatamente. La paura lo aveva bloccato.

«Adesso voglio sapere per quale motivo siete interessati alle spoglie di Giorgio. Questa domanda non la ripeterò! Dimmi la verità o non esiterò a sparare» disse Tony a quell'uomo. Lui, mentre si stava facendo la pipì addosso, dimostrando in maniera inequivocabile la sua totale inesperienza, ciancicò qualcosa che aveva a che fare con l'Africa e un un'incredibile ricchezza. Il vociare dei dipendenti del Comune, che stavano bestemmiando per quel lavoro ingrato, e per lo scricchiolio delle piante sopra di loro che annunciava un altro imminente smottamento, fece allentare la presa di Tony, e il tizio mezzo bagnato riuscì a dileguarsi, mescolandosi con i curiosi del momento. Tony era a quel punto solo, con un tipo svenuto accanto a sé, allora prese coraggio, aprì la cassetta con i resti del povero Giorgio e prese un pezzetto di osso tra i più piccoli che gli capitarono in mano. Lo avvolse nel suo fazzoletto e se lo mise in tasca. Tornò nel giro di poco alla macchina, dove trovò Chiara che l'aspettava agitata. Non disse nulla di quell'ultima partita, si limitò a sorriderle e a dirle che tutto era andato bene. In poco di più di mezz'ora erano di nuovo in casa di Chiara. Il fardello che Tony si stava portando dietro finiva con l'essere più pesante di quello che lui in realtà immaginava. Mentre Chiara era andata a farsi una doccia per levarsi di dosso tutto quel dolore, lui telefonò a Gianni. «Sono io, puoi parlare?» disse. «Sì, dimmi pure». «Sono in possesso di un pezzo di osso del povero Giorgio. Credi che il tuo amico dottore possa analizzarlo?» «Direi di sì, devo solo contattarlo». «Aspetto tue notizie, nel frattempo ti comunico che due dei tizi che ci hanno aggredito a Montiano, li ho ritrovati proprio sulla tomba del mio amico. Uno l'ho addormentato, l'altro si è solo fatto addosso la pipì dalla paura. Tutto questo per dirti che forse abbiamo di fronte non una banda organizzata, ma tutt'altro» concluse Tony. Gianni rimase per un po' in silenzio, poi disse che conoscendo Tony sarebbe

stato meglio se la banda fosse stata composta da professionisti. Lui, per contro battuta, fece notare all'avvocato che la vita era la sua, e che un solo professionista riesce a fare in dieci minuti quello che dieci sbandati non riescono a fare in un'ora. Si lasciarono con l'accordo di risentirsi appena ci fossero novità, come sempre. Allora lui estrasse dalla tasca quel piccolo fagotto e notò che aveva preso proprio il mignolo del suo vecchio amico, compreso l'anello che Chiara aveva subito riconosciuto. Non sembrava un anello di valore, in fondo era una pietra rossa con una sorta di rilievo, sembrava quasi una stella o una croce stilizzata, o ancora una sorta di sigillo. Avvertì la mancanza di quell'uomo, di quel suo modo così caratteristico di fare e di affrontare le cose. La sensazione che provò in quell'istante fu incontenibile e anche lui finì per piangerlo. Sentì Chiara uscire dal bagno, allora ripose quel fagotto così piccolo, e al tempo stesso così ingombrante e inopportuno, in tasca; si ricompose nell'attesa di vederla, ma lei non ò in cucina, andò subito a letto. La sentì ancora un po' trafficare tra le sue cose e poi fu tutto silenzio. Quella notte fu parecchio agitata. Il telefono squillò varie volte ed entrambi si svegliarono dai loro sonni per andare a rispondere a nessuno. La comunicazione veniva interrotta non appena lei diceva: «Pronto?». In realtà dopo la prima telefonata nessuno dei due chiuse più occhio. Rimasero lì, nei loro giacigli, in attesa degli eventi. La casa era sicura e l'allarme perimetrale inserito, così anche Tony si sentiva abbastanza sicuro. Per precauzione lui spense tutte le luci e invitò lei a muoversi al buio. Aveva una strana sensazione. Credeva che fino a quel momento avesse visto soltanto le prime avvisaglie di quella strana organizzazione. Quelle telefonate continuarono per altri due giorni, poi lui prese il telefono e lo scollegò dalla presa al muro, e finalmente poterono dormire.

Una mattina gelida di fine marzo si alzarono per tempo, e dopo un'enorme colazione partirono alla volta del cascinale di caccia. Firenze era ancora addormentata, forse più perché era domenica che per il resto, comunque non trovarono traffico e si immisero sulla Firenze/Siena, nei pressi della Certosa, in un batter d'occhio. I chilometri scorrevano veloci e il fuoristrada, una volta appartenuto a Giorgio, sembrava quasi sapere da solo dove andare. L'ultima uscita per Siena immetteva poi nella Cassia, una strada statale tutta curve e dossi, che si inoltrava come un lungo serpente nella bassa maremma. Comunque sia, e con l'aiuto dell'immancabile navigatore satellitare, nel giro di un paio d'ore erano a destinazione. Lasciarono la strada asfaltata in una località come tante, poi proseguirono in un dedalo di strade bianche, fino ad arrivare in una che non aveva via d'uscita. In fondo c'era un bel cancello in ferro battuto, e oltre si potevano intravedere tre distinti fabbricati. Il primo, quello più grande, ospitava la zona giorno con la cucina; i due defilati, verso il bosco, erano le camere da letto dei proprietari e la zona notte degli ospiti. La proprietà si trovava su un piano, tutta contornata da ulivi. La piscina coperta dal telo invernale rimaneva quasi invisibile a un occhio disattento. Lei scese dall'auto insicura sulle gambe, era la prima volta che andava lì senza suo padre. Anche lui scese, chiese le chiavi del cancello a Chiara, e si accinse ad aprire. Lei non rimontò in macchina, ma fece il percorso fino alla casa principale a piedi, guardando e assaporando ogni cosa. Fu felice quando constatò che nessuno aveva fatto visita a quel sito ed entrò in casa. Accese l'interruttore del quadro elettrico, poi si apprestò a girare tutte le stanze per verificare che tutto fosse a posto. Anche Tony entrò in quella casa spartana e fornita di tutti gli elementi di base, poi arrivò in soggiorno. Su una parete vide un immenso mobile che ospitava una quantità infinita di libri, e nel centro una piccola zona bar con un'enorme TV munita di tutte le tecnologie. Dalla parte opposta un grande divano, che poteva ospitare sei, sette persone. Due zanne d'elefante facevano da monito per chi era stato il proprietario della casa. In tutte le stanze c'era qualcosa che ricordava l'Africa: altri trofei di caccia,

fotografie con persone del luogo, libri sul tema. Perfino gli arredi sembravano provenire da là. Mentre lui era rimasto abbagliato da tutto quello che stava vedendo, lei era già andata negli altri fabbricati, per dare un po' di luce e una boccata d'aria alle stanze. Tony andò in cucina e vide che la dispensa era ancora stracolma. Erano cose che si potevano conservare, come carne in scatola, pasta, sughi pronti, cibi liofilizzati, ed una ben fornita cantina di vini. Si riprese quasi subito quando rammentò il motivo della visita. Tornò sui suoi i e si mise a sfogliare i libri del mobile che erano in soggiorno. ò lì l'intera mattinata, vedendo a volte Chiara are vicino a lui. Anche lei stava cercando, ma all'una e mezzo, mossi dai morsi della fame, si ritrovarono entrambi in cucina per mettere qualcosa sotto i denti. «Io non ho trovato nulla» disse lei. «Neanche io… comunque sia non ci perdiamo d'animo e continuiamo a cercare, qualcosa dovrà pur saltare fuori!» Lei mise una pentola al fuoco per preparare un piatto di pasta e lui si distese un attimo sul divano. Pensò che in fondo uno come Giorgio, ammesso che avesse scritto un diario o una sorta di testamento, non lo avrebbe certo fatto trovare al primo viandante che si fosse intrufolato in casa sua. Mangiarono penne all'arrabbiata e trangugiarono una bordolese intera di vino rosso. Poi presero il caffè in salotto, e Tony le mostrò l'anello che suo padre aveva al dito. Lei rimase esterrefatta e quasi contrariata di quel sacrilegio, tanto che glielo strappò di mano e se lo strinse al petto. «Non sai quanto mi è costato fare questo» le disse sincero e con tono sommesso.

Lei lo guardò in volto e chiese: «Perché l'hai fatto?». «Volevo prendere un pezzetto d'osso per farlo analizzare a un medico legale, e me lo sono ritrovato in mano» disse riferendosi al gioiello. «Perché, pensi che non sia mio padre?» «Al contrario, ne sono sicuro, ma volevo sapere se si potevano rintracciare le sostanze che lo hanno ucciso». Quella parola cadde come un macigno nella stanza e lei ricominciò a parlare solo dopo una decina di minuti. «Allora tu pensi davvero che me lo abbiano ucciso?» «Sì, e non per i soldi. Tuo padre è stato ucciso per qualcos'altro… qualcosa di più grande». Parlarono ancora un po' di quella vicenda e di come lei, ora più che mai, avesse bisogno di verità. Nel frattempo gli aveva restituito l'anello e lui lo stava guardando ora con più attenzione. La pietra rossa in rilievo sembrava geometricamente incisa. Guardandola ancora meglio sembrava presentasse alcuni graffi e ammaccature non riconducibili a urti casuali. Rimasero ancora un po' a parlare e poi ripresero le ricerche. Questa volta cercarono dietro i quadri, dietro gli armadi, perfino dietro il mobile di sala. Non trovarono nulla. Allora si decisero a rinunciare e a fare ritorno a Firenze. Prima di andare via fecero un giretto nella proprietà. Trovarono un'infinità di selvaggina che andava via tra i loro piedi, e si divertirono a far scappare qualche fagiano e qualche lepre troppo assonnata. Arrivarono in un sito che Tony ribattezzò subito “l'anfiteatro” per la

conformazione del terreno, e lì poté notare che nel tufo erano state scavate chissà da quanto tempo, e chissà da quale mano, un'infinità di nicchie e di ripari come minuscole stanze. Rimase colpito da tutti quei nascondigli, e pensò a come potesse essere facile sparire in quei posti. La cosa più deprimente fu non avere incontrato anima viva in quella giornata trascorsa lì. Mentre facevano ritorno alla macchina e dopo avere chiuso porte e finestre Tony chiese: «Questa piscina è davvero funzionante?». «Certo» rispose lei. Gli spiegò che esisteva una stanza nel sottosuolo dove c'erano i motori per il pompaggio dell'acqua, e tutto l'occorrente necessario a un corretto funzionamento del riciclo. A Tony parve davvero strano che uno come Giorgio si fosse preso la briga di costruire una piscina in un posto sperduto come quello. Doveva esserci una ragione, magari futile, ma doveva certamente esserci. Non pensò più a quel fatto in controtendenza e ripartì con lei alla volta di Firenze. Il lunedì seguente parlò con Gianni, che gli fissò un appuntamento nel suo ufficio nel pomeriggio del giorno seguente, per fare un po' il punto della situazione. Bighellonarono nelle vie del centro di Firenze, lui attento ad ogni movimento, lei avvolta in un foulard scuro e dietro occhiali neri, che la rendevano irriconoscibile agli occhi di tanti. arono per un paio di volte su Ponte Vecchio, e il susseguirsi di gioiellerie fece balenare un'idea nella loro mente. Entrarono in una e mostrarono l'anello all'orefice, chiedendo quale fosse il valore reale. Il negoziante spiegò ai due avventori, con grande meraviglia di tutti, che la pietra sembrava un diamante grezzo. Al contempo però disse loro che un diamante di quel colore era quasi introvabile. Quindi, se la pietra era vera, l'anello poteva valere qualche centinaia di migliaia di euro. Lui di certo non era in grado di darne una valutazione certa, anche perché la pietra non era stata lavorata, ad eccezione di quella che poteva

apparire come una limatura geometrica sul lato frontale. Indicò ai due un laboratorio che eseguiva certificazioni sulle pietre preziose, dove anche lui si serviva di tanto in tanto, e poi li congedò con i migliori auguri. Trovarono l'ufficio indicato al terzo piano di un palazzo nei lungarni fiorentini, quasi di fronte all'ambasciata americana. La persona che prese in mano l'anello era un uomo ormai anziano, anche se la sua mano era ferma e la voce ben decisa. L'uomo mise davanti l'anello in un microscopio elettronico, e in un attimo tutto ò sullo schermo di un computer di fronte a loro. La pietra era autentica, e subito chiese dove l'avessero presa. Chiara, che sarebbe partita con lo slancio della sua gioventù, venne bloccata da un gesto di Tony, che spiegò all'esperto di averlo ereditato da un suo vecchio parente, e poi provò a chiedere quale potesse essere la provenienza. «Non è facile dirlo con certezza… comunque sia il serbatoio più grande è certamente nel sud dell'Africa. La cosa che non riesco a spiegarmi è questa sorta di simbologia geometrica, che di fatto ne ha compromesso il valore finale, andando a mangiare parte della pietra. Sembra quasi un sigillo». Tony ringraziò l'uomo che non avrebbe voluto niente per la consulenza, ma vista la sua insistenza finì con l'accettare un centinaio di euro a patto di un riservo quasi tombale. Arrivarono a casa a sera inoltrata, e nella cassetta delle lettere c'era un avviso della Polizia di mettersi in contatto con il comando di Firenze. Chiara contattò il numero indicato e nel giro di mezz'ora due poliziotti in borghese si presentarono alla porta di casa. Lei li fece entrare e accomodare in salotto, poi chiese di cosa si trattava. Fu allora che la informarono della cruenta morte del segretario di suo padre, e le chiesero se lei lo conosceva, e se aveva un alibi o dei sospetti da riferire. Tony era rimasto sullo stipite della porta che dava nella zona notte dell'appartamento, e a quel punto intervenne dicendo: «Scusate signori, non ho ben capito se state accusando qualcuno oppure no».

Entrambi si alzarono in piedi, e voltandosi verso di lui all'unisono dissero: «Lei chi è?». Lui con molta calma estrasse il aporto inglese dalla tasca dei pantaloni, glielo mostrò e disse: «Mi occupo della sicurezza della signora». Lasciò che la situazione andasse verso una riacquistata tranquillità e poi continuò, mentre i due si misero a sedere. «A proposito di sicurezza!» disse con voce alquanto isterica. «Voi non vi siete nemmeno presentati. Immagino che una controllata ai vostri distintivi sia molto lecita». Anche loro, senza dare segno di agitazione, estrassero le credenziali da sotto le giacche, facendo attenzione nel far notare a quell'uomo che erano ben armati. «Non importa che mi facciate vedere le vostre pistole, le conosco forse meglio di voi, e vi vorrei anche farvi notare che se non ci sono disposizioni particolari, come ad esempio un mandato di cattura o di perquisizione, voi siete soltanto ospiti, più o meno graditi». Le sue parole gelarono per un momento la stanza finché il più anziano dei due, forse capendo chi aveva di fronte, disse: «Naturalmente! La signora non è al momento indagata, è soltanto informata sui fatti». «Bene» disse allora Tony, riflettendo su quale potesse essere la loro successiva mossa, pensando che forse la corda l'aveva tirata al punto giusto. Alla fine si misero tutti e tre di nuovo a sedere, e parlarono un po' più amichevolmente della questione. Secondo loro il segretario era stato ucciso dopo la morte del padre di Chiara. A seguito del congelamento del corpo era quasi impossibile risalire a una data e a un'ora certa del decesso, quindi tutti e nessuno potevano essere sospettati, e nessun alibi poteva essere smontato. Solo un miracolo poteva portarli sulle tracce dell'assassino o del suo mandatario. Anche loro erano a conoscenza dell'uomo di colore e del via vai di persone nell'appartamento, ma in fin dei conti non avevano nulla in mano.

Un omicidio strano. Anomalo avrebbero detto. La persona non aveva precedenti penali, non aveva a che fare con droga e giro della prostituzione, non giocava d'azzardo, non aveva legami sentimentali, e non aveva denaro a tal punto da essere ucciso. Uno di loro, incuriosito dal suo aporto inglese, chiese a Tony come avesse fatto a trovare un contratto di lavoro a così tanta distanza. «Non lo faccio per soldi, ero amico di suo padre» disse secco. Poi chiese ai poliziotti se avessero altri casi da abbinare alla morte del segretario. Loro risposero vagamente di no, e che forse si trattava davvero di un caso isolato, quello della persona sbagliata nel posto sbagliato. Tony sapeva che non era così, non avrebbe potuto dirlo, almeno per il momento, e forse anche loro immaginavano qualcosa di diverso, comunque si alzarono e tolsero il disturbo senza complicazioni, ad esclusione della solita frase di rito: «Se le viene in mente qualcosa ce lo faccia sapere». Chiara scosse la testa in segno d'assenso, senza dire altro li scortò fino alla porta d'ingresso e li congedò con un mezzo sorriso. Tornò verso la sua guardia del corpo che le disse: «Stai calma. È soltanto una comunicazione di routine. Il tuo nome è venuto fuori quando hanno visto che lui lavorava per tuo padre». Vedendola molto agitata, anzi troppo agitata, un altro camlo d'allarme si accese nella sua testa. Le fece una camomilla e poi andarono a letto, facendo attenzione a staccare il telefono per non essere disturbati. Quella mattina Tony si alzò molto presto e rimise la cornetta al suo posto, poi prese il suo telefono, quello pulito, e chiamò in Inghilterra. Rispose Mamy, che lo rimbrottò per non essersi fatto più sentire, e poi, dopo aver appurato che tutto andava bene, si salutarono scambiandosi i baci per Sally e Chiara. Comunque sia, la reazione sproporzionata di Chiara lo aveva lasciato interdetto. A dire il vero non seppe allora, e forse non lo volle approfondire mai, quale fosse stata la causa di tutta quell'agitazione.

C'era stato un tempo, non così remoto, in cui le reazioni emotive dei suoi controllati erano tenute in grande considerazione. Tempi in cui davvero era quello che non era… o forse il contrario, chissà. ava le notti nei locali più malfamati alla ricerca di questo o di quel delinquente. Lui e Giorgio si occupavano di quella specie di personaggi che fanno del crimine, quello internazionale, il loro modo di vivere. Aveva ato le notti con corrieri della droga e con puttane, con finocchi e con ruffiani, con gente che bramava una sete continua di soldi, e con altra che alla fine voleva soltanto lo sballo mentale. Aveva anche ucciso alcuni di loro. Non ricordava più i loro volti, soltanto l'odore tragico e al tempo stesso inebriante del sangue. La legione, quella che lo aveva quasi cresciuto e sopraelevato a un livello di sopravvivenza importante, era orgogliosa di lui e delle bravate del suo reparto. Poi, con il are degli anni, quando l'azione quotidiana lasciò il posto al ricordo, lui finì con odiare quello che aveva appreso e aveva fatto, mai rinnegandolo. Le sensazioni che provava nel buio di una stanza nel bel mezzo di una città, l'odore di un uomo che gli si avvicinava fumando, la totale incapacità di muoversi nel silenzio, mostrata dalla maggior parte dei poliziotti metropolitani che aveva conosciuto dopo, erano niente in confronto al fragore del silenzio e del buio totale trovato nelle foreste del Borneo, piuttosto che in un deserto di chissà quale nazione in subbuglio. Affermare che era come portare dei erotti a un'aquila era forse la similitudine esatta. Magari negli anni si era un po' rammollito, e la pancetta aveva preso il posto della possente muscolatura statuaria di un tempo, ma la sua arma migliore, l'intelligenza, quella non gliela potevano portare via neanche gli anni. Era già la seconda volta che quella donna reagiva in modo inatteso agli stress, pensò tornando da quell'interminabile sogno. La domanda che in lui ricorreva spontanea era: perché? Quella mattina, assorto nei suoi peggiori pensieri, doveva essere l'ambasciatrice di una giornata di sciagure e disgrazie. E infatti così fu.

Avevano appuntamento con Gianni. Lui disertò, anche con sgomento della sua segretaria. Lo aspettarono tutti e tre per più di un'ora, poi il telefono dello studio squillò. Le lacrime che rigarono il volto della segretaria furono ambasciatrici di sventura. Disse soltanto qualche parola sconclusionata circa il fatto che il loro amico era all'ospedale in prognosi riservata, perché aggredito da una banda di malviventi che lo avevano ridotto in fin di vita. Di primo impulso Tony pensò di correre all'ospedale per verificare di persona le condizioni del suo fraterno amico, poi rifletté sull'accaduto e si convinse che in fondo la prima cosa da fare era mettere in sicurezza Chiara. Lasciarono in fretta e furia l'ufficio dell'avvocato e subito si misero alla volta di Firenze. Appena arrivati al loro appartamento, lui contattò i due poliziotti della sera prima, e li convinse a mandare un uomo di pattuglia a proteggere Chiara. Non fu facile, e non disse la verità. Nell'immediato gli sembrò più facile comunicare che un uomo di colore li stava seguendo, e che lui aveva bisogno di allontanarsi per un paio di giorni. Sembrò che la bevessero alla grande, tanto che nel giro di una mezz'ora avevano a casa una poliziotta in borghese a fare da guardia del corpo a Chiara. Quello che però non gli andava giù, era il fatto che probabilmente su di lui c'erano già altri due poliziotti che lo avrebbero seguito. Non aveva tempo di verificare il cosiddetto riflusso, doveva correre al capezzale di Gianni. Mentre dai lungarni si avvicinava all'autostrada, stimò che potessero essere almeno tre le auto che lo stavano seguendo, e tutte composte da due uomini a bordo. La sua previsione di scorta non accordata era stata anche troppo ottimista. Nel giro di un paio d'ore era già all'ospedale di Pistoia. Trovò il suo amico tutto fasciato, da solo, in una stanzetta della medicina d'urgenza proprio accanto al pronto soccorso. Non appena i loro occhi s'incontrarono la gioia dell'uomo, mista al dolore fisico e morale dell'altro, si fo in lacrime represse. «Chi erano?» chiese Tony prendendolo per il braccio buono.

«Non lo so, e non posso neanche dirti se erano organizzati o presi a caso dalla manovalanza locale. Fatto sta che me le hanno suonate e per bene!» «Com'erano vestiti, e che lingua parlavano?» chiese all'amico claudicante. Proprio mentre lui si accingeva a rispondere, arrivò nella stanza quella che Tony seppe, in seguito, essere sua moglie. Allora lui si acquietò, quasi come a voler lasciare il lavoro al di fuori della famiglia. Tony comprese tutto questo, e lo salutò come un collega, piuttosto che come un cliente. Uscì dalla stanza e si avventurò nei corridoi dell'ospedale, nella speranza che quella donna avesse qualcosa di più urgente da fare che restare tutto il giorno al capezzale del marito menato. A volte gli pareva d'essere troppo cinico, soprattutto nei pensieri. Alla fine dell'ora in cui i pazienti possono ricevere le visite dei parenti (ma la stragrande maggioranza di loro se ne frega e fa come gli pare), la donna lasciò la stanza e se ne andò. Per essere sicuro Tony la seguì a debita distanza, finché nel parcheggio non la vide mettere in moto l'auto e andare per propri venti. Allora tornò sui suoi i. Prima però fu attratto da qualcosa nel parcheggio che rallentò la sua corsa e gli fece perdere ancora un po' di tempo. In fondo era proprio quello che stava cercando. Un branco di audaci ubriachi si era trattenuto a ridosso del pronto soccorso; ormai stravolti dall'alcol, si sentivano liberi di danneggiare autovetture di ignari e sfortunati avventori, e di insultare le donne che avano nei paraggi. Tutte facevano finta di niente e tiravano dritto, con la speranza che nessuno di loro si fe avanti a importunarle. Proprio una delle ultime, magari una delle più brutte, non fu fortunata e un paio di giovinastri vollero importunarla un po' troppo. Tony, che fino ad allora era rimasto fermo e in disparte dietro una macchina, andò loro incontro deciso, e sicuro del fatto suo. Afferrò il primo per il collo da dietro e lo scaraventò tra due autovetture in sosta.

L'uomo rimase nella posizione in cui lo aveva messo. Pareva dormisse. Il secondo, che sorrideva ancora alla donna con sarcasmo, si rese conto dell'accaduto soltanto quando si girò per chiamare il compagno, e invece trovò il pugno chiuso di Tony, che lo travolse come un treno in corsa e lo scaraventò a terra privo di sensi. Ora anche gli altri avvinazzati si stavano interessando all'accaduto. Lui, lesto, fece montare nella propria autovettura la donna e la invitò a partire. Lei lo guardò con sollievo, e prima di andare gli volle fare una carezza sul viso. Probabilmente non l'avrebbe mai rivista. Altri tre uomini di mezza età si fecero avanti ciancicando qualcosa circa i loro amici. Lui sorrise, con una mossa ne stese subito due e prese per il cravattino il terzo, che si lasciò andare come una pera cotta senza neppure essere colpito. Quando tutti ebbero ripreso la calma, doloranti per le botte, lui prese la parola e disse: «Quella donna è mamma, come tutte le mamme del mondo, anche come la vostra. Allora da oggi voglio che impariate che tutte le donne sono o saranno mamme. Quindi sorelle delle vostre. Io potrei essere alle vostre spalle in ogni momento della vostra vita. Pensateci, perché domani non sarò magnanimo come oggi. Pensate a me come l'ultimo uomo che vorreste vedere. Io vi guarderò sempre. Se sarete tranquilli, soprattutto con gli altri, non verrò a farvi visita neanche nei peggiori sogni». Soltanto uno di loro si alzò, e mentre se ne stava andando gli disse soltanto grazie. L'adrenalina che lo aveva reso così duro e deciso lasciò il posto a un leggero dolore alle mani, e a un confuso tremolio delle membra. Finiva sempre così quando si rilassava. Tornò nella stanza di Gianni. Il suo amico era confuso, quasi incapace di pensare dopo quell'inaspettata aggressione. Lui lo aiutò a tirarsi su nel letto, mettendo un paio di cuscini dietro

la schiena. Il volto tumefatto cominciava a prendere i colori lividi delle botte. Fortunatamente erano soltanto contusioni che non avrebbero lasciato segni permanenti nel fisico, piuttosto nella sua anima. «Avanti amico, torna a quei momenti e dimmi tutto quello che ti viene in mente». «Erano in tre. Mi stavano aspettando stamani fuori casa mia. Sono uscito dal cancello e fatto un centinaio di metri una macchina nera, una vecchia Mercedes, mi si è fermata davanti impedendomi di ripartire. Uno di loro mi stava seguendo con un'altra macchina, perché me lo sono ritrovato addosso e mi ha tirato fuori dall'auto in un momento. Non ho fatto in tempo a fare nulla. Né a chiudere la macchina dal dentro, né ha chiamare il 113… nulla. Erano a viso coperto. Non hanno parlato mai. Mi hanno menato e poi, prima di lasciarmi sanguinante e malridotto nell'auto, uno di loro mi ha tirato addosso questo foglio». La comunicazione, scritta al computer e stampata con una delle tante stampanti a getto d'inchiostro, diceva: «Lascia perdere l'ereditiera e l'inglese. Possiamo arrivare alla tua famiglia. Questo è soltanto un avvertimento». Gianni dette il suo cellulare all'amico e gli mostrò una fotografia che era riuscito a scattare prima che la Mercedes partisse. Si leggeva a malapena il numero di targa, in ogni modo Tony ci volle provare. Lasciò l'avvocato nel letto d'ospedale e si avviò a piedi in centro, verso gli uffici dell'ACI, per vedere a chi poteva essere intestata quell'auto. Mentre camminava lesto, la sua mente stava andando su un selciato che non avrebbe mai voluto prendere. Adesso, il livello d'attenzione per gli attori amici di quella storia, si faceva notevolmente più importante. Gli eventi, lo stato delle cose, si stavano velocizzando, e questo voleva dire che le persone coinvolte negativamente nella vicenda si stavano spazientendo, diventando ogni giorno sempre più pericolose. Tony pensò che l'interessamento della Polizia alla vicenda, il ritorno di Chiara, la scoperta del cadavere del segretario di Giorgio, avevano le braci sotto i piedi dei cattivi. Quello che però non riusciva ancora a inquadrare era: “Come diavolo avevano

fatto a trovare il collegamento con Gianni?”. Secondo il tizio dell'ufficio, la targa appesa alla Mercedes risultava essere di un altro veicolo distrutto. “Quindi soggetti introvabili” pensò Tony. Pagò quello che doveva e poi, mentre se ne stava andando sconsolato, l'uomo dietro il banco gli disse: «Queste situazioni hanno un nome solo: i nomadi del campo di volo». Tony lo ringraziò calorosamente e gli chiese a quel punto dove fosse il campo di volo. Era l'insediamento principale dei cosiddetti “zingari” di Pistoia, situato ai margini della città in una sorta di girone infernale dantesco, dove vivevano in roulotte fatiscenti la maggior parte di loro. L'uomo lo sconsigliò di andare lì da solo, sarebbe stato meglio accompagnato dalla polizia. Tony sorrise, si voltò di nuovo e uscì. Arrivò al campo da solo. Prima gli si avvicinarono i bambini, incuriositi da una visita alquanto inattesa, poi i giovani e infine gli adulti. Uno di loro gli si fece sotto e gli chiese che cosa volesse o chi stesse cercando. «Soltanto aiuto» disse duramente Tony guardandolo negli occhi. Mostrò la foto della macchina all'uomo che aveva di fronte, che sorrise mostrando un paio di denti d'oro e poi disse: «Noi non conosciamo questa macchina». Gli rese la foto e fece per tornare alle sue faccende domestiche che non avevano nulla a che fare con il lavoro. Già a metà pomeriggio gli puzzava l'alito di vinaccio da pochi centesimi. «Vorrei parlare con il vostro capo» disse allo zingaro che ora gli dava le spalle, sicuro del fatto suo. «No. Non è al campo» rispose girando a malapena la testa.

«Bene, lo aspetterò» concluse Tony. Questa volta l'uomo si girò e fece per andargli sul muso, forse per impaurirlo. Doveva sentirsi sicuro del fatto suo, anche se ancora non sapeva quanto si sbagliasse. Blaterava parole sconnesse, un po' in italiano e un po' nella sua lingua. Fatto sta che quando arrivò a un metro da Tony, lui l'afferrò per la gola e l'alzò da terra appoggiandolo a una roulotte lì vicina. L'uomo cercò la tasca per trovare il coltello, ma fu Tony a prendere subito la sua pistola e gliela mise proprio sotto il naso. Allora lo zingaro ritrovò la ragione, e mentre si faceva intorno a loro un gruppetto folto di persone, tra cui tanti bambini, Tony decise di riprovare la strada della pace. Sapeva bene che la risposta data da quel malcapitato era una bugia. Alle sue spalle avanzò un uomo di una certa età, con dei baffoni ormai bianchi e un anello per ogni dito delle mani storte dall'artrosi. «Ti prego» disse avvicinandosi con i pesanti ma ancora decisi. «Sono io il capo, mi chiamo Hamo. Lascia mio cognato, in fondo è un brav'uomo. Parliamo in pace». «E sia» replicò Tony, mentre metteva delicatamente l'uomo a terra e la pistola nella fondina. Lo fecero accomodare nella roulotte che non era fatiscente, ma ben curata e fornita di ogni comfort. Dopo i convenevoli e le presentazioni ufficiali, fatte delle mostre più o meno vere dei gioielli e degli ori di Hamo, segno di indiscusso potere, Tony mostrò la foto dell'auto e spiegò l'accaduto. Il vecchio zingaro guardò a malapena la foto, poi chiamò una delle sue donne, le bisbigliò qualcosa nell'orecchio e poi disse: «Ora tu vai. Torna qui domani». Quando uscì dalla roulotte di quel vecchio, ma potente uomo, molte persone avevano lasciato i loro nascondigli, e aspettavano solo di vederlo in faccia, di riconoscerlo. Stavolta però non lo guardavano in cagnesco, a tratti erano sorridenti, qualcuno di loro gli fece cenno anche di entrare nella propria roulotte. Tony ringraziò con un gesto della mano e poi, mentre le persone si aprivano davanti a lui, se ne tornò in quella che chiamavano la civiltà.

Non tornò subito a Firenze, o come avrebbe detto in altri momenti “a casa”, ò prima dall'ospedale per sincerarsi delle condizioni del suo amico. Arrivò forse tardi perché le visite erano già iniziate da una mezz'oretta, e uno stuolo di persone e bambini si affollavano in quella stanza. Lui quasi non si fece vedere, ò in apparenza disattento nei pressi di quel quadretto familiare, per tanti versi così gioviale e festoso, verificò che le condizioni di Gianni fossero migliorate e poi uscì dal reparto. Comunque sia, volle lasciare mezza manciata di banconote alla caposala di turno, pregandola di contattarlo al suo cellulare in caso di necessità. Non poteva e non stette a spiegare le motivazioni e tutti i retroscena che avvinghiavano quella vicenda; la donna capì il messaggio di fondo che Tony aveva inviato e lo tranquillizzò con una decisa pacca sulla spalla. Poco prima delle nove era sotto la porta di casa di Chiara. Suonò il camlo, e poco dopo sulla porta si presentò la poliziotta. Lo riconobbe e gli sorrise facendolo entrare. Quella donna era molto bella nella sua divisa, i capelli biondi non tinti, con quel trucco lieve, con quegli occhi azzurri, dolci e al tempo stesso decisi, faceva scuotere lui, probabilmente come tanti altri. Comunque sia non volle pensare a lei come una possibile amante, almeno per il momento, aveva bisogno di sentirla parte integrante della storia, ma senza nessun secondo fine. La donna percepì quella sua lunga occhiata e fece mostra a distanza del luccicare di una fede nuziale. Tony sorrise di quel comportamento, e la immaginò ancora più intelligente di quanto avesse pensato. Comunque non perse la voglia di provarci, la rimandò a un altro momento. In fondo era troppo tempo che non corteggiava una donna, e ora la maggior parte di quelle che incontrava gli andavano a genio. Chiara era sdraiata sul divano e guardava la televisione; in realtà saltava da un canale all'altro senza trovare il basto che le entrasse. Quando lo vide fu felice che fosse tornato, e chiese subito notizie del loro amico infortunato. Tony spiegò la situazione e poi, quando la poliziotta se ne fu andata, lui sarebbe voluto entrare nei dettagli, parlare di Hamo e dei soggetti che avevano picchiato l'avvocato. Però lei disse qualcosa che subito lo riportò indietro nel tempo, e un altro camlo di allarme suonò inevitabilmente.

«Sai, oggi la compagnia dei telefoni è venuta a sostituire il mio apparecchio. Me ne hanno messo uno digitale». «Che cosa significa digitale?» «Non saprei, comunque è lì sul tavolo, al solito posto» ribatté lei quasi seccata. Tony prese quel cordless in mano, a prima vista sembrava un telefono come tanti, anche se lui era pronto a scommettere che non lo fosse. Lo aprì e iniziò a controllarlo. L'apparecchio era pulito a prima vista, era di fabbricazione cinese e a un occhio non preparato sarebbe ato; ma non a lui. La microspia era collocata nei pressi dell'aggancio tra l'apparecchio e il caricabatterie, che non serviva soltanto a ridare energia al telefono, ma anche come punto di appoggio delle telefonate in entrata e uscita, prima della rete urbana. Una domanda che rimbalzava nella testa di Tony a questo punto era: staccare il rilevatore e spiaccicarlo nella faccia di poliziotti oppure stare al gioco e are soltanto le informazioni che riteneva opportune? Per il momento non staccò lo strumento, chiamò Chiara con un gesto della mano e gli fece vedere la microspia, poi la portò in bagno, apri l'acqua della doccia, accese la stufa elettrica, e bisbigliò nell'orecchio di lei che da quel momento erano spiati. Le chiese anche che cosa aveva fatto la poliziotta nelle ore che era stata a farle compagnia, se altri manutentori si erano presentati alla sua porta per effettuare questa o quella riparazione, se altri poliziotti erano venuti a fare visita alla loro collega. Chiara fece cenno di no con la testa, e disse soltanto che la poliziotta aveva voluto fare con lei un giro completo della casa per valutare le possibili zone d'intrusione. Tony spiegò a Chiara che quel microfono non serviva soltanto per la registrazione delle telefonate in entrata e in uscita, ma anche per quello che loro dicevano nel suo campo d'azione. Attraversarono la sala andando in cucina per mettere qualcosa sotto i denti. Mentre lei si improvvisava cuoca, cercando di mettere insieme un primo arrabbiato, lui fece un'attenta riflessione sui pro e i contro di quello strumento.

Alla fine pensò che l'unica cosa che lo avrebbe reso libero, anzi chi li avrebbe resi liberi, era dire la verità. Allora, senza pensarci due volte, prese proprio quel telefono controllato, e chiamò la polizia. Cercò i due agenti che avevano informato Chiara e chiese se durante la serata potessero fare loro visita, in quanto c'erano delle novità. Questa volta fu lui a non tralasciare i convenevoli, li fece entrare, li fece accomodare sul divano, poi fu offerto il caffè e perfino qualche dolcetto. Quindi arrivò al sodo. Prese il microfono dal suo alloggiamento, glielo pose davanti e poi disse: «Con chi cazzo pensate di avere a che fare? Se non l'avete ancora capito, prima di essere una guardia del corpo volontaria sono stato una spia, e non nei servizi segreti italiani. Prima che iniziate a dirmi qualcosa di sensato vorrei che mi risparmiaste la novella del “io non so niente”. La mia cliente, se la vogliamo mettere sotto questo profilo, non è in scritta nel registro degli indagati, non è accusata di nessun reato, è solo informata sui fatti. Con questi elementi non ci sono gli estremi per mettere sotto controllo il suo telefono. Non credo che il vostro superiore vi abbia autorizzato a una così banale violazione della legge sulla privacy. Dico bene?». Vi furono un paio di minuti di silenzio, si sentivano soltanto il ronzio delle auto e dei motorini che avano di fuori. «Non sappiamo che pesci prendere e di fatto, per le informazioni che abbiamo, non c'è nessuna traccia da seguire in questa vicenda. Così, l'unico collegamento che siamo riusciti a trovare è stato quello professionale. Guarda caso il primo a morire è il capo e poi il suo segretario personale. Magari ci sono di mezzo i soldi, magari la figlia vuole tutto il bottino subito, magari lei non lo trova, magari il segretario sa e non dice nulla alla figlia, magari la figlia uccide prima il padre e poi il segretario…» disse l'agente più anziano. «Non diciamo idiozie!» inveì Tony con sarcasmo, guardando quella donna, vedendo in lei quella bambina che tante e tante volte aveva preso idealmente fra le sue braccia. Convennero con lui che le loro congetture non avevano un fondamento di verità, perché Chiara era figlia unica, e comunque sia avrebbe avuto tutto il malloppo. Doveva esserci un'altra pista, un'altra indagine da effettuare e percorrere.

Riconsegnò a quei due il microfono, in modo tale da non far perdere loro il posto di lavoro, o nella più rosea delle aspettative un ritorno al controllo del traffico cittadino, e chiese di tenerlo informato, nei limiti delle loro possibilità, sulla vicenda. Il mattino seguente, come d'accordo, la poliziotta bionda arrivò puntuale alle 8:00 per una nuova giornata di protezione. Questa volta fu Tony che le aprì sorridendo, ma lei, forse informata delle disavventure dei suoi colleghi, non era poi così radiosa come la sera prima. In ogni caso fecero tutti e tre colazione insieme e poi Tony si avviò alla volta di Pistoia. Per prima cosa ò di nuovo dall'ospedale. Gianni era sveglio, aveva già fatto colazione, e quelle ammaccature rosso fegato si stavano pian piano trasformando in giallo ocra. Nonostante tutto anche quello era il segno di una futura guarigione. Quello che non sarebbe guarito molto presto era il suo cuore. Se lo conosceva bene ci sarebbero voluti mesi prima che se ne fosse fatto una ragione. Nel suo concetto mentale di diverbio, o comunque di lotta, non era contemplato l'utilizzo delle mani. Quella mattina non restò molto con Gianni… già, Tony aveva un appuntamento, e se tutto fosse andato come lui si aspettava, avrebbe magari anche conosciuto gli esecutori materiali del pestaggio del suo amico. Non gli disse nulla, si limitò a sorridergli, mentre se ne stava andando, con la promessa che il domani sarebbe stato sicuramente un giorno migliore. Gianni lo guardò quasi affascinato per quelle parole che forse racchiudevano, nella loro semplicità, un concetto così profondo, così maledettamente vero. Intorno alle 10:00 Tony si presentò al campo nomadi. Non badò neppure di farsi riconoscere o di salutare questa o quella persona, andò dritto e senza timore verso la dimora di Hamo. Il vecchio zingaro lo stava aspettando, si fece trovare sulla porta della sua magnifica roulotte, gli sorrise e gli fece cenno di seguirlo. Soli, arono per un minuscolo sentiero che attraversava un groviglio di roulotte e camper dismessi, parzialmente smontati, forse soltanto per i pezzi di ricambio, fino ad arrivare in un piccolo spiazzo all'interno di un boschetto non più grosso di un campo da tennis. La Mercedes che Gianni aveva visto il giorno del suo attentato era proprio lì. Tre persone erano al suo interno, una davanti al posto guida, e le altre due sui sedili posteriori. Erano immobili, parevano morti, forse soltanto terribilmente impauriti. Quando i due fecero il loro ingresso in quello spiazzo, altre tre, o forse quattro figure maschili si mossero intorno. Tony

si accorse subito di quegli spostamenti ai lati del suo campo visivo. Lui non seppe dire come fece Hamo ad accorgersi del suo cambio d'atteggiamento, fatto sta che fu proprio quel vecchio uomo a tranquillizzarlo, toccandogli l'avambraccio con la sua mano indorata. Le quattro sagome, che poi alla fine erano le guardie di quei tre nella macchina, uscirono pian piano dalla penombra del boschetto e, senza dire una parola, si avvicinarono all'autovettura. Uno di loro aprì la portiera di dietro e fece scendere entrambi i soggetti. Un altro aveva già tirato fuori quello più restio al confronto, e che era stato messo davanti. Li fecero posizionare uno accanto all'altro con le schiene quasi appoggiate alla macchina, e senza dire altro tornarono sui loro i. Quello che apparve strano a Tony fu il fatto che nessuno in quel contesto parlò, e che nessuno dei carcerieri sembrava armato. Tony guardò Hamo con fare interrogativo e lui gli disse, in un italiano corretto e fluente: «Questi sono i tre giovani del mio campo che hanno aggredito il tuo amico, soltanto per poche decine di euro. Loro hanno barattato la pace mia e delle nostre famiglie per poco meno di un'autoradio da macchina». Le parole del vecchio zingaro riecheggiarono nell'aria, non tanto per il volume con cui le aveva dette, ma per la forza e la disperazione di quello che in fondo era stato costretto a fare. Fece un lungo sospiro e poi disse ancora: «Cerca di non coinvolgere tutto il campo in questa vicenda». Così dicendo si voltò senza neppure degnare di uno sguardo quei tre giovani individui, che Tony giudicò non avere più di 17 anni, e se ne andò. Lui rimase per diversi minuti in silenzio, guardando quei tre bambini negli occhi, cercando fra di loro chi fosse quello che magari avrebbe dato il primo segno di cedimento. Quello che però notò fu soltanto il mutare del loro atteggiamento dopo che Hamo ebbe fatto la sua scomparsa dalla piazzetta. I loro visi, che fino a quel momento erano corrucciati, facevano pensare anche a una sorta di struggimento, e perché no, a una reale paura; ora stavano ritornando sulla strada del disprezzo nei confronti di quell'uomo, che da solo rimaneva lì contro loro tre. Uno di loro mise una mano in tasca, tirando fuori un pacchetto di sigarette nell'intento di accendersene una; fu proprio quello che Tony avrebbe giudicato il più malleabile a parlare, e disse: «Che cazzo vuoi da noi? Non ti conosciamo e non vogliamo conoscerti».

Non ci pensò neanche un attimo, si avvicinò a quello che aveva preso coraggio e mostrava la maggior spavalderia, e mentre lo guardava negli occhi, con la mano destra lo colpì forte sul viso. L'urto lo sollevò con entrambi i piedi da terra. Ricadde come una pera cotta urtando nello sportello della macchina. Il terzo che era rimasto fermo, quasi paralizzato da quella situazione, si avvicinò a Tony alzando le mani in segno di pace e disse: «Eravamo tutti e tre in un bar in Piazza Della Sala, siamo stati contattati da un uomo di colore, che ci ha offerto una manciata di euro per mettere un po' di paura a un avvocato troppo intraprendente. Lui non si è presentato, noi non abbiamo fatto nessuna domanda, abbiamo accettato i suoi soldi e abbiamo messo paura a quello che forse è il tuo amico. È andata così e purtroppo non possiamo farci niente». Finalmente Tony sentì la verità. Intanto aveva appreso che il fantomatico uomo di colore non era un fantasma, ma esisteva davvero, e che forse era, o era stato, un collegamento per il povero Giorgio con la sua Africa. Tony capì che non poteva lasciare quei tre giovani impuniti, se non altro perché la sua lezione sarebbe stata meno cruenta di quella che gli avrebbe riservato il loro capo indiscusso Hamo. Così facendo, con il dolore nel cuore, iniziò a menare le mani finché a tutti e tre rimanesse sempre vivo il ricordo di quello che avevano fatto, e soprattutto non avessero più il coraggio e la forza di muoversi da terra. Andò diretto nella roulotte di Hamo, che lo stava aspettando, gli chiese un po' d'acqua e un asciugamano per potersi lavare le nocche delle mani sanguinanti. Il vecchio zingaro sembrò sollevato nel vedere che lui aveva provveduto a punire quei tre giovani, e con un sorriso a tutta bocca, puntualmente mezza sdentata e mezza dorata, gli fece capire che aveva trovato un amico. Quell'amicizia sarebbe durata per sempre. Tony fu munito di un braccialetto, che lo avrebbe protetto da chiunque del clan di Hamo avesse voluto importunarlo. Non che questo lo spaventasse in qualche modo, era forse l'ennesimo tentativo di un vecchio di proteggere il suo entourage familiare allargato. Volutamente Tony non si era fatto descrivere le caratteristiche fisiche dell'uomo di colore che si apprestava a cercare. In fondo era consapevole che quei tre

avevano molta paura del loro capo, ma forse ne avevano di più di quello sconosciuto, che avrebbe potuto ritrovarli in ogni momento e si sarebbe potuto fare giustizia da sé. Prima di andare via chiese al capo del campo di non essere troppo duro con quei tre giovani, essendo sicuro che da allora in avanti qualcosa nelle loro coscienze sarebbe cambiato. Si lasciarono, mentre i bambini scortavano colui che era diventato il loro eroe. Entrambi erano consapevoli di fare ritorno alle loro vite, e che non si sarebbero rincontrati mai in una situazione come quella. “In fondo quante persone non nomadi si sono affacciate da sole nel mio campo?” pensò Hamo, mentre vedeva la figura di quel guerriero diventare sempre più piccola. Tornò all'ospedale alle due ate, e nel letto che prima ospitava Gianni trovò un signore anziano che era caduto dalle scale e si era rotto il femore. Non lo chiamò al cellulare, ma pensò di ritornare a Firenze per raccogliere le idee e fare il punto della situazione. Arrivò in casa due ore dopo, e la poliziotta bionda gli aprì la porta con la pistola nella mano sinistra. «Qualcosa non va?» chiese Tony. «Non saprei, è squillato il telefono tre o quattro volte e nessuno ha mai detto niente, poi mi è parso di vedere un uomo di colore are due o tre volte sotto casa». Lui non disse nulla, ma cominciò a credere a quella leggenda metropolitana dell'uomo di colore. Erano un po' in troppi ad averlo visto. Il resto del tardo pomeriggio, fino a ora di cena, lo arono a conversare di un po' di tutto e niente, finché Tony le disse a brutto muso: «Perché io e lei stasera non ce ne andiamo a mangiare qualcosa assieme?». Si rese subito conto di essere stato maldestro e si riprese in una sorta di calcio

d'angolo, dicendo che Chiara era compresa nel pacchetto cena. «Purtroppo devo rifiutare, sarà per un'altra volta» disse lei, sembrando davvero dispiaciuta. Allora fu la volta di Chiara, fino a quel momento rimasta in silenzio, che disse: «Bene! Se lei non viene, possiamo andare noi a cena fuori, ti va?». «No. Non sono ancora sicuro del fatto mio». «Sei proprio una bestia!» disse lei su tutte le furie, e se ne andò in un'altra stanza. La poliziotta, prima di uscire, mise nella tasca dei jeans di lui un foglietto con il suo numero di cellulare e l'orario in cui avrebbe potuto contattarla, se lo desiderava. A lui non parve vero e mentalmente si fece tutta la storia. Appena fu da solo aprì il biglietto e lesse quello che c'era scritto. Rise nell'appurare che in fondo anche lei era una delle tante che avrebbe finito volentieri per infilarsi in un letto qualunque con lui. C'era il suo numero di cellulare e gli orari precisi della giornata in cui poteva essere libera. Ovviamente il primo giorno non la chiamò, e per rimettere insieme i cocci con Chiara la portò a mangiare fuori a pranzo il giorno seguente. Andarono a Viareggio in una minuscola trattoria nei pressi della darsena. Mangiarono pesce a quattro palmenti, quasi fino a scoppiare. Poi, mezzi brilli e mezzi contenti, fecero ritorno a casa. Si stravaccarono sul divano a contemplare in pace un telegiornale di una TV privata. Chiara, che fino ad allora era rimasta sulle sue, anche se con molta serietà si lasciò un po' andare, e a modo suo fece le prime avance a Tony, che invece avrebbe voluto scappare da quel divano. Mentre i piedi freddi e ben curati della donna si strofinavano nei pressi del suo basso ventre, lui si alzò rabbiosamente dal divano e le disse seccato e offeso: «Non dobbiamo! Vedi di stare calma e fatti una doccia fredda». Lei riprese subito il controllo della situazione e replicò secca e decisa: «Già, tu adesso te la fai con le poliziotte!». «Non importa con chi me la faccio! Quello che deve essere chiaro è che non me la farò sicuramente con te! Ho dei doveri, e porto rispetto per tuo padre».

La lasciò sul divano a leccarsi le ferite, e si avvicinò alla finestra che dava sul giardino e sul cancello d'ingresso. Lì per non ci fece caso, poi notò un uomo di colore che, con un bellissimo cappotto color cammello, eggiava sotto casa. Lui sembrò guardarlo e Tony, immediatamente, tornò sui suoi i e spense via via le luci di casa. Erano ormai le sei del pomeriggio e la giornata grigia, umida e buia, lasciava una sola via d'uscita per molti: un bel film sul divano. Tornò verso Chiara che faceva l'offesa, e le comunicò che l'uomo di colore forse era alla sua porta. Lei si riebbe subito da quel torpore e si rannicchiò su una spalliera del divano, quella più lontana dalla finestra. Lui la rassicurò e le chiese di non muoversi da lì, almeno fino al suo ritorno. Chiara fece cenno con la testa di sì e si mise a fissare qualcosa nella penombra della sera. Allora Tony si schiacciò a terra e si fece sotto alla finestra, per vedere se quell'uomo fosse ancora lì. Per un tempo che giudicò breve, ma che alla fine poteva essere di qualche minuto, vide are soltanto gente bianca, poi, mentre stava quasi per rinunciare, lo vide riaffacciarsi sulla strada e lo seguì, mentre faceva l'ennesima vasca davanti al cancello della casa. A quel punto Tony andò sul balcone, e fece l'unica cosa che lo avrebbe messo allo scoperto e, al tempo stesso, gli avrebbe fatto vedere la sua reazione. Aprì la porta a vetri e balzò sulla soglia del balcone dicendo: «Mi scusi, sta cercando qualcosa?». L'uomo di colore non alzò neanche la testa, si limitò ad accelerare il o e uscì dalla sua visuale. Ebbe la conferma che voleva: quello era il suo uomo. Qualsiasi altra persona sarebbe giunta a un contraddittorio, avrebbe cercato di socializzare se non avesse avuto nulla da nascondere. Tony sorrise e disse a Chiara che avevano vinto la prima battaglia. Controllò che tutti gli infissi fossero ben chiusi, poi inserì gli allarmi perimetrali e, per volere di lui, andarono a dormire in un'unica stanza. Tony aveva la sensazione che sarebbe stato meglio così, ma le disse comunque di non farsi

strani pensieri. Aveva quella situazione sotto controllo. Perlomeno voleva credere così. Lui e la sua protetta in quella sorta di fortino, e il resto del mondo fuori. Dormirono di un sonno robusto e rilassante. Un paio di volte lui si svegliò nel buio della camera, vide e sentì Chiara dormire alla grande, allora si rimise di nuovo sdraiato, e con la calma del pastore che conta le pecorelle riprese il sonno. Fatto sta che si svegliarono a giorno fatto, verso le nove. Tony si alzò una mezz'oretta prima di lei. Ebbe il tempo di farsi una doccia e la barba, poi gli venne in mente di telefonare alla poliziotta. «Ciao, sono io» disse lui chiamando dal telefono di casa. «Si, lo so» rispose lei secca e decisa. Non poteva parlare in quel momento e allora lui le disse: «Se vuoi ti chiamo più tardi». «Sarebbe meglio… se leggessi con attenzione quello che la gente scrive non succederebbero questi malintesi». Tony capì che il suo impulso gli aveva fatto perdere un sacco di tempo prezioso nella conquista di quella donna. Per questo motivo pensò che fosse necessario aspettare un paio di giorni prima di richiamare quel numero, e si rimise in tasca il foglietto. arono ancora un paio di giorni a verificare se la faccia di quell'uomo di colore si fe vedere sotto casa di Chiara, e al contempo se la poliziotta trovasse qualche scusa per ritornare da loro. In entrambi i casi lui si sbagliava. Per il primo pensò che forse si poteva trattare di un semplice errore di valutazione, e la signora in divisa forse si era stancata prima del tempo del gioco che si andava delineando. Chiara era di nuovo relegata in casa e si sentiva come una leonessa in gabbia. Di

tutte le cose riusciva a farne un dramma, anche di quelle insignificanti. Dal canto suo Tony non tollerava nulla di quello che accadeva nella casa, ed erano sempre a discutere di tutto. Una sera, mentre stavano cenando alla meglio con un miscuglio di pietanze raccolte nel frigo, suonò il camlo. Alla porta c'era la poliziotta con un suo collega. Tony li fece entrare e accomodare in cucina vista l'ora, e offrì loro qualcosa da mettere sotto i denti. Il collega della sua amica informò Chiara che la sua tata, la signora Agnese, era stata aggredita da un paio di sconosciuti e si trovava in sala di rianimazione all'ospedale di Careggi. Lei sembrava sbalordita, non riusciva a giustificare un'aggressione a una donna che era sempre stata riservata, che aveva rinunciato a una famiglia, che non aveva una vera e propria vita sociale, insomma, che faceva il solito tragitto tra lavoro-casa e casa-lavoro. La tristezza e l'angoscia la pervasero, e tutto tornò come era stato all'inizio. La paura, quella vera, si era di nuovo impossessata di lei, e Tony invece si era ricaricato di adrenalina. La mattina successiva, con la poliziotta in borghese al seguito, partirono alla volta dell'ospedale per far visita ad Agnese e cercare di capire. Lei non aveva dato spiegazioni circa l'aggressione, dicendo la falsa verità del «non ricordo». Quando la tata vide Chiara scoppiò in un pianto a dirotto, come a esorcizzare la paura della sua dipartita, ma anche quella di non vedere mai più quella bambina che, nel tempo, si era fatta ragazza e poi donna. Lei fece cenno a tutti di andare in un'altra stanza e lasciarle da sole. A Tony non parve vero, perché si trovò faccia a faccia con la poliziotta, qualcosa le avrebbe detto. Dopo un paio di minuti d'impaccio generale, dettato forse più dall'età che altro,

fu proprio lei a parlare per prima e disse: «D'accordo, ammettiamo il fatto che tu mi possa piacere, vorrai certo concordare con me che la nostra relazione sarebbe poco probabile?» «A parte il fatto che mi aspettavo che tu esordissi con qualcos'altro, parlando ad esempio della sicurezza di quelle due donne, che sono decisamente sole in quella stanza… ma chi ti credi di essere?» disse lui, secco e deciso come sempre. La donna si sentì spiazzata e allora si chiuse a riccio, non parlò più e non diede altre informazioni su di sé. «Pensi davvero che un biglietto con il tuo numero di cellulare e qualche mediocre avance fatta di occhiate e sospiri, mi possa far trasalire come quando avevo dodici anni?» sentenziò lui, più per ferire che per uccidere. «Sei solo un bruto, come la maggior parte degli uomini che conosco. Maledetto il giorno che sono venuta nella vostra maledetta casa!» disse lei avvicinandosi a lui. Lui la prese per le braccia, con un movimento delle natiche aprì la porta che le stava alle spalle ed entrò, portandosi dietro anche la poliziotta. Lei non fece resistenza, ma quando lui, rimasti soli nel ripostiglio delle signore delle pulizie, tentò di baciarla, si ritrasse e lo colpì al volto. Non fu una vera e propria lite. In fondo entrambi avevano annusato l'odore dell'altro e si attraevano. Era soltanto il gioco della seduzione che finiva tragicamente in una mini lite, con qualche graffio e qualche spintone per poi fare pace. Alla fine fu lei a prendere la decisione finale e le si avvinghiò al corpo baciandolo con forza. Le mani di lui andarono subito a cercare il proibito, ma questa volta lei non fece nulla per negarglielo. Il tutto durò poco, perché l'ardore della ione e la paura di essere scoperti avevano il sopravvento sulla pacatezza e la sobrietà dell'atto che stavano consumando. Mentre si ricomponevano e cercavano di trovare un valido e giusto argomento per due che, dopo aver fatto l'amore, non sapevano cosa dirsi perché lontani anni

luce, Tony le disse: «A proposito, non so nemmeno come ti chiami». Aveva esordito con la frase più sbagliata che avrebbe potuto dire. Si accorse dell'errore, ma ormai non poteva fare nulla per ricacciarlo in gola. Fatto sta che lei, offesa da quel suo attestato di menefreghismo, si alzò rapida e uscendo dalla stanza gli disse: «Mi chiamo Edi». Uscì chiudendo decisa la porta, come a dare un messaggio al suo nuovo e forse già vecchio amante. Lui aspettò ancora qualche minuto e poi si alzò con l'intento di ricomporsi. Proprio mentre era intento a infilarsi i pantaloni una signora, che dal camice poteva essere un'inserviente, entrò nella stanza emettendo un rauco ululato di stupore nel vedere quell'uomo seminudo. In qualche modo riuscì a convincere quel tricheco a non chiamare la sicurezza, e poi lasciò la stanzetta con le scarpe e la camicia ancora in mano. Trovò conforto nella prima toilette del corridoio e lì poté finire di vestirsi e rassettarsi al meglio. Mentre si guardava allo specchio si disse, come sarebbe successo a tanti, che avrebbe potuto fare di meglio, ma che in fondo era contento per come erano andate le cose. In fondo che cosa gli importava di una qualunque? Aveva dato un'onesta soddisfazione a lei, e lui se l'era goduta alla grande. Quando si dette l'ultimo sguardo allo specchio, per verificare se l'angelo celeste o il diavoletto rosso fosse appostato sulla sua spalla destra, provò un pizzico di vergogna per come aveva beffato quella donna, che oggi capiva potesse essere il simbolo, o forse soltanto l'animale sacrificale di tante altre. Rimase dispiaciuto di quello che vide nell'ultima immagine e andò a cercarla. La trovò nello svolgimento del suo lavoro, nei pressi di Chiara. Lui avrebbe voluto dire tanto, ma non gli venne niente di concreto e di sensato, allora le disse soltanto: «Scusa, sono stato un'idiota. Spero che un giorno potrai perdonarmi». Lei non rispose ma il suo corpo sì. Fece ritorno nella stanza da letto dove Chiara vegliava il sonno stanco della sua amata Agnese.

Lei lo guardò, sembrò percepire l'odore di un'altra donna sul suo corpo, e furono proprio i suoi occhi che lo disprezzavano a farglielo capire. Tra le mani aveva un foglietto di carta, che si mise subito in tasca non appena la poliziotta fece il suo ingresso in camera. Allora lui capì, c'erano novità. Lasciarono Agnese in compagnia della sua solitudine e tornarono verso casa. In auto c'era un silenzio surreale e Chiara riconobbe l'odore che aveva sentito sulla pelle di Tony. Appena si fu liberata della poliziotta disse: «Allora mio vecchio volpone, ti sei fatto la poliziotta eh!». La sua reazione fu misurata e pacata. «A parte il fatto che non devi mai permetterti di entrare nella mia vita privata, ma come hai fatto ad accorgerti dell'accaduto?» «Ho riconosciuto il suo odore sulla tua pelle… che schifo, è una donna sposata». «Stai bluffando, ci hai soltanto visti». Rimase ancora un po' in silenzio, valutando la possibilità di informarla su alcuni aspetti che probabilmente non conosceva, e poi comunque le disse: «Non è più sposata. È separata in casa per via dei figli e del lavoro». Lei estrasse il foglietto che aveva in mano in ospedale e glielo mostrò. Scritto con una macchina da scrivere si leggeva: «Di' alla tua bambina di mandare l'avvocato e l'inglese al diavolo, o saranno guai per lei e la morte sicura per te». Era sintetico, ma di sicuro impatto per una donna di oltre settant'anni. Era chiaro che la situazione stava degenerando, e chi aveva in mano le redini del gioco, quello sporco, poteva in ogni momento perdere il controllo e commettere atti irreversibili. Tony pensò che in fondo, l'unico modo per agire in totale sicurezza era quello di mettere sotto custodia le persone che facevano il loro ruolo sulla scacchiera e i

loro vestiti erano colorati di bianco, almeno fino a prova contraria. Il problema era trovare le potenziali guardie del corpo e soprattutto la location del cosiddetto fortino. Per prima cosa scartò l'Inghilterra, troppo pericolosa, distante anni luce da lui, e perché le persone che sarebbe andato a importunare avevano già abbastanza guai. Come seconda zona d'approdo scartò Firenze e dintorni, zona dove la signora era troppo conosciuta e avrebbe certamente dato nell'occhio prima o poi. Poi c'era il problema del coinvolgimento della Polizia e la morte del segretario. Aveva dovuto scartare anche il suo ultimo nascondiglio, Pracchia. Ormai probabile zona conosciuta da troppi. Aveva bisogno di un posto nuovo, di una zona dove nessuno li conosceva, e dove era facile are inosservati anche con una buona dose di guardie del corpo. Chiara era ormai allo sbando, vaneggiava circa la malasorte e la possibilità di non arrivare alla fine dell'anno. In quella casa nei pressi dei lungarni non si viveva più un'aria d'agiata tranquillità, ma d'ansia e d'attesa. Lei sembrava pendere dalle sue labbra; la fece mettere in pigiama, poi l'accompagnò a letto, con l'immancabile tazza di camomilla addolcita con qualche gocciolina di valeriana per farla riposare meglio. Lei ovviamente ne era all'oscuro e Tony, sicuro di non fare danno a nessuno, la rendeva tranquilla almeno la notte. Appena fu a letto si mise a pensare a quale sarebbe potuta essere la soluzione migliore. Già, ancora una volta toccava a lui valutare e decidere sulla sorte degli altri. Come in un carrozzone immaginava Chiara in una sorta di prigione, ma anche Gianni poteva essere in pericolo e perché no, anche Mamy e Sally. Il tempo gli scorreva tra le mani lasciandolo spettatore tra gli spettatori. A lui pareva che fosse sempre ieri, invece nei suoi risvegli bruschi e a volte

inopportuni era già domani. Provava una sorta di stanchezza profonda e accanita nella sua mente. I giorni, che poi diventavano settimane e mesi, fuori dai canoni di quel quieto vivere che tutti si aspettano di trovare, lo avevano portato su strade già vissute, ma con una fatica doppia rispetto alle sue aspettative. Tutte quelle costrizioni che negli anni aveva inflitto a ignari suoi attori, erano oggi ferite aperte e sempre sanguinanti viste con gli occhi della sua coscienza. Allora, quando si ritrovava da solo a escogitare una sorta di piano di salvataggio per qualche vita, non importava se davvero amica, si sentiva meglio. Era come dare un antidolorifico per il mal di testa a uno che non ne aveva sofferto quasi mai. Lo stesso effetto della droga. Lo vedevi rinascere in poco meno di una manciata di minuti. Mentre pensava a tutte quelle fantasticherie gli venne un lampo, un'idea. Dove, meglio di una piccola isola, poteva essere il luogo sicuro per i suoi naufraghi? Un posto dove la gente, tutta la gente, soprattutto gli stranieri, potevano arrivare da una parte sola: dal mare. Idea non praticabile pensò, visto che al momento era sprovvisto di isole con amici. Allora ritornò sui suoi i e volle provare a immaginare Pracchia come la sua isola. In fondo che cosa sarebbe cambiato? Di fatto poco. Niente mare, solo due strade per arrivare al paese, qualunque faccia nuova sarebbe stata subito notata, e delle ottime zuppe di cipolle dalla Silvana, piuttosto che qualche prelibatezza dalla Lorenza. «Niente frittura di paranza» pensò afflitto, mentre si convinceva che forse l'unico posto davvero sicuro per i suoi amici fosse quello. Un po' rischioso per Gianni, perché avvocato a Pistoia, forse qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo. A proposito, come avrebbe fatto a convincerlo ad un periodo di vita ritirata, quasi monastica?

Pensò che quel problema lo avrebbe affrontato dopo, prima doveva parlare con Chiara. Si riaddormentò vestito anche questa volta, sul letto di fronte a lei, che se la dormiva della grossa. A lui in fondo faceva piacere che quella sua figlioccia riposasse di un sonno vero, senza scossoni come l'aveva vista in altre occasioni. E poi gli sembrava di rendere a suo padre parte di quelle attenzioni che negli anni lui aveva collezionato. La mattina successiva mise al corrente Chiara del suo progetto e, senza discussioni alcune, la informò del suo piano successivo: andare in Rhodesia, sulle tracce di suo padre. Convocò Gianni e mandò un taxi a prendere Agnese, che sarebbe stata dimessa quel giorno dall'ospedale. Insomma, alle tredici tutti gli attori di quella solita, divertente farsa, erano nella casa di Pracchia. Come Tony aveva richiesto all'avvocato, tutte le carte di quel fastidioso e pesante fascicolo erano in casa. Quella sera, mentre la coppia di coniugi che facevano un po' da factotum in quella proprietà si apprestava a preparare una cena di tutto riguardo, a base dei quei sapori e degli odori propri di quei posti, lui e Gianni, in separata sede, facevano il punto della situazione, lontani dall'orecchio indiscreto di Chiara, che ormai aveva così socializzato con la coppia da finire con lo stare più con loro che con lui. Tony era felice e al tempo stesso invidioso di quel magnifico rapporto, anche se la contentezza vinceva e avrebbe sempre vinto sul sentimento di invidia che rimetteva a tacere nella sua mente. «Allora sei proprio deciso a intraprendere questo viaggio?» diceva l'avvocato al suo amico. «Sì, non abbiamo altra scelta. Devo scoprire perché Giorgio andava così tante volte in quel posto. Se lo conoscevo bene come penso, non era soltanto per la caccia grossa». «Me lo auguro, non voglio are mica il resto dei miei giorni a scappare da questo incubo!» ribatté Gianni.

«Gianni!» disse inaspettatamente lui, mentre lo guardava fisso negli occhi, come avrebbe fatto in tutte quelle situazioni di pericolo ormai note a entrambi. «Io devo proteggerti. Manda la tua famiglia in vacanza per un po'. Fai in modo che siano in posti non rintracciabili. Tu dovrai stare con Chiara e Agnese». Le parole di Tony caddero come un macigno nel concetto di vita di Gianni. Non era preparato all'evento e nel suo inconscio più profondo non aveva voglia di prepararsi. In fondo il suo mondo, mettendo da parte l'uomo che era in lui, finiva nelle aule di tribunale, dove al massimo rischiavi un richiamo del Presidente della Corte, o di perdere una causa importante, ma non certamente la vita. Immaginare poi la sua famiglia in un potenziale, ma non ben definito pericolo, lo faceva essere ancora più teso. Comunque sia l'avvocato aveva fornito a Tony una copia dettagliata della documentazione in suo possesso, circa la proprietà di Giorgio in Africa. La figlia, con atto falso, in quanto era improponibile presentarsi da un notaio per averne uno vero, lo aveva invece delegato, in qualità di unica erede, a rappresentarla in Rhodesia. Prima Gianni, poi lui stesso, e anche qualche fattucchiere locale della truffa, avevano messo mano in quella vicenda, riuscendo a fabbricare un documento quasi ineccepibile. L'appezzamento di terreno, come riportato nella mappa fatta dal satellite, in quanto il catasto in Africa era un concetto abbastanza difficile e complicato da spiegare ai suoi abitanti, era una lunga lingua di terra a ridosso di un corso d'acqua quasi sempre secco, almeno nella maggior parte dell'anno. Infatti, se domandi a un africano di chi è il suolo che stai calpestando, lui ti risponde che la terra è della terra. A guardarla bene, la proprietà doveva essere di alcune migliaia di ettari, anche se tutta questa faccenda aveva una buona probabilità di essere sbagliata. In ogni caso Tony doveva iniziare da una parte, e scartare le cose che con certezza non c'entravano per niente nella vicenda. Un paio di giorni prima aveva contattato una sua fonte italiana per avere la debita copertura di guardie del corpo.

Arrivarono a Pracchia in sei: quattro uomini e due donne. Erano tutti italiani e parlavano tre lingue, compreso l'inglese. Arrivarono alla spicciolata, per non destare nessun pensiero nella mente delle persone che li vedevano. Quello che era il referente di Tony, e che avrebbe avuto il comando nel periodo in cui lui sarebbe stato lontano, arrivò per primo e affittò una piccola casa che dava proprio sul fiume vicino alla sua. Gli altri arrivarono alcune ore dopo, dai posti più impensati. Una di loro giunse in treno da Porretta Terme, per verificare una probabile via di fuga e un possibile punto di contatto con il nemico; altri due arrivarono dalle strade asfaltate che raggiungevano il paese dalle città, uno con il treno da Pistoia, e l'ultimo componente del commando, che era una donna, arrivò a piedi, seguendo l'intrigo dei sentieri CAI che si diramavano dal quel crocevia, e punto nevralgico di smistamento. Tony aveva notato alla perfezione quei aggi ed era stato in ogni caso informato dal comandante, e suo personale referente, degli spostamenti. In sintesi tutto doveva svolgersi così: due uomini e una donna montavano di turno per dodici ore. Gli altri davano il cambio, e così via fino al ritorno di Tony. Quelli che si riposavano avano il tempo a bighellonare per il paese alla ricerca di possibili contatti, così li chiamavano loro, con soggetti ostili. Impossibile sapere da quale agenzia fossero inviati. In fondo lui aveva molti nemici, ma anche molti amici, soprattutto in Italia. Tutto sommato, anche se non si facevano vedere e sentire, lui sapeva che c'erano e che, in virtù del ato, lo avrebbero aiutato. La sera prima della sua partenza tutto era pronto e gli uomini erano in servizio. Si sentiva un po' più tranquillo, anche se per adesso non aveva la netta percezione di quale potenziale nemico avesse di fronte. Fatto sta che le prime avvisaglie lo avevano messo in guardia. In quei momenti finiva inevitabilmente con l'essere solo. Si ritrovava soltanto con i suoi pensieri, alla ricerca di quel qualcosa di logico, di sensato, e finiva col pensare ancora al ato. Il suo. Vedeva nella sala cinematografica della mente il film della sua vita.

Ora però, a differenza di allora, poteva interagire con i suoi sbagli e cercare di prevenirli. Il guardiano dei suoi possedimenti toscani lo toccò sulla nuca per riportarlo alla realtà. «Che c'è Renzo?» chiese Tony, per nulla seccato dal contatto con quella mano antica e dura, che nel corso degli anni aveva fatto tutto e di più per la sua famiglia. «Nulla di importante, mamma Ivana vorrebbe parlarti prima che tu parta» disse il baffuto biancone. Lui lo chiamava così perché i suoi capelli, la sua barba e i suoi baffi, avevano preso nel corso degli anni quel colore bianco “birichino” che segnava, senza possibilità di ripresa, il senso del tempo andato. Quell'uomo, con la sola missione di esistere nella vita, negli ultimi decenni del suo essere, finiva con l'avvicinarsi irreparabilmente al concetto di vivere. Dopo anni di innumerevoli avversità aveva forse trovato la sua pace. Era salito con i suoi cari su quel colle, lontano lo stretto indispensabile dagli altri, e consapevole, forse, che i medesimi gli erano utili come l'ossigeno per vivere. Avevano ato intere giornate, nella loro inconsapevolezza totale, a parlare di questa o di quella cosa. Nell'apparente banalità della discussione, non avevano tralasciato però di parlare di vita, e di quelle cose che Renzo definiva “Stanze di vita quotidiana”. Forse con quella frase sottintendeva la vita e l'andamento delle cose. Laddove tutto pareva nero e senza via d'uscita c'era una speranza, un'alternativa, una visione. Mamma Ivana li attendeva sulla porta della cucina. Nella sua imperfetta capacità visiva li aveva percepiti, li aveva sentiti arrivare. In quella cucina con l'attaccapanni alla parete dietro la porta d'ingresso, Tony trovò un giacchetto di velluto che gli evocò un ricordo vecchio e antico, represso per il dolore della mancanza di suo nonno.

Toccandolo poteva ancora percepire la sensazione della sua pelle, l'odore acre delle immancabili sigarette fumate quasi di continuo tra un ricordo e un altro, quando la sua vista lo rendeva ancora leone e attore, e non distratto spettatore della vita degli altri. «Chi sono tutte quelle persone che sono arrivate in paese?» chiese lei appena furono abbastanza vicini da non essere uditi da altri orecchi indiscreti, e poi domandò ancora, senza aspettare la sua prima risposta: «E poi quando partirai per l'Africa?». «Benedetta Chiara» pensò lui, già in difficoltà per quelle due domande mirate e precise. Meditò un attimo le risposte, mentre vedeva alle spalle di lei Renzo, che scuoteva la testa come sempre, quando voleva minimizzare qualcosa che sua moglie aveva stabilito fosse importante. «Partirò domattina, e quelle persone che sono arrivate in paese sono delle guardie del corpo per i miei ospiti e per voi. Potete fare loro riferimento in qualsiasi momento» disse lui in apparenza distaccato. Mamma Ivana, che lo aveva fino ad allora lasciato parlare, gli disse: «Proprio in Africa devi andare! Non ti bastano i guai che hai in Italia?». Lei sentiva in cuor suo che non ci sarebbero state parole sufficienti per convincerlo, allora non disse altro e idealmente iniziò a pregare. Lasciò i due vecchi che stavano litigando per una futilità, come sempre; era il loro modo di metabolizzare le storie tristi e il dolore. Quello fisico, ma molto di più quello morale. Senza tante ciance e senza tanti saluti, lasciò il paesello la mattina successiva alle sei in punto. Prese il primo treno per Pistoia con lo zaino in spalla e tutto l'occorrente per vivere, come ad esempio un buon mazzetto di dollari americani, ritirati dalla banca il giorno prima. Era consapevole di quello che sarebbe andato a trovare, o perlomeno, chiudendo gli occhi riusciva a vedere il territorio, le persone, i luoghi, e sentiva già una così inafferrabile distanza dagli odori e dai colori che erano come mescolati in un variegato frullato di nome Africa.

Mentre scendeva ancora una volta verso la civiltà, lasciando i castagni, i faggi, le sue vallate, il suo ambiente insomma, pensava a quel mondo lontano e altrettanto antico. Era partito da soltanto una mezz'oretta e già provava un senso di repulsione verso quel viaggio. Non sapeva dire dove l'avrebbe portato, la certezza era che sarebbe stato lontano dai suoi affetti, dalla persona che voleva proteggere più di ogni altra cosa, da quella che finalmente, a distanza di tanti anni, poteva anche chiamare casa sua. Lasciò che certi pensieri rimanessero dietro quel cancello ideale che aveva identificato con “Ponte Calcaiola”. Era una minuscola borgata di case e terra di confine tra la montagna e il piano. A ogni modo, nel vivo ricordo di un amico sorrise, tornando idealmente a quei giorni, e continuò per la sua strada fino alla stazione di Pistoia. Prese il primo treno utile per Firenze cercando di non destare alcun sospetto, di stare in disparte, magari a contatto con questo o quell'apprendista barbone, scansando la Polizia Ferroviaria e anche tutte quelle persone che finivano col dargli nell'occhio. Pensò alla tristezza che potevano provare quei miserabili che, per un motivo o un altro, venivano quasi carcerate ai margini visibili della città. Per loro, davvero, vivere significava farlo giorno per giorno, legandosi a tutto un insieme di situazioni fortuite, stravaganti, e davvero variabili in funzione del tempo. Così Tony si trovò a dividere la panca di legno, seppur in massello, con un paio di straccioni. Sapeva che quel termine poteva essere dispregiativo, ma era l'unica loro vera dimensione. Era tra quei due corpi, pareva che il loro avvicinarsi a lui fosse vissuto come sollievo per quella notte appena ata, e che avrebbero volentieri ripetuto la situazione in una sorta di quasi caldo, all'interno della sala d'attesa della stazione centrale. Tony era preso dal magone, non aveva mai accettato e di certo non avrebbe potuto farlo ora, che in una sorta di civilizzazione globale ci fossero ancora persone sofferenti. Dette un po' di euro a quei due malcapitati e lasciò che scegliessero tra un buon bagno, un pasto caldo, o la compagnia di un po' di vino. Mentre saliva sul treno che lo avrebbe portato a Firenze, per poi prendere la coincidenza con un intercity che a sua volta lo avrebbe portato a Roma Termini, vide con gioia il sorriso sdentato, di uno dei due, che gli mostrava un bricco di vino a buon prezzo. Le porte del treno erano già chiuse, e lui non fece a in tempo a salutare come avrebbe voluto quel malcapitato. Alla fine della giostra avrebbe voluto condurlo

a casa sua, avrebbe voluto conoscere la sua storia, il perché di tanto dolore, e soprattutto chi erano le persone che l'avevano così inumanamente abbandonato. Il treno si mosse, e inconsciamente a Tony non parve vero levare lo sguardo da quell'uomo così in affanno. Pian piano che il macchinista dava energia ai motori, le case, i fabbricati, gli orti, i giardini, le strade, sembravano sempre più corti. “Un po' come la vita” pensò Tony, mentre vedeva are sempre più velocemente le cose. In una stazione intermedia, prima di Firenze, una bella signora, non troppo in là con l'età, prese posto davanti a lui. Il suo profumo era dolce, a primo impatto sembrava Paris, e lui ci fece subito caso. A prima vista sembrava una donna indipendente, senza paura del mondo e senza fede al dito. Notò l'attenzione dell'uomo che aveva di fronte, e non fece nulla per scoraggiarlo in quella sorta di avance. Tony, nella sua ormai millenaria e incauta sicurezza, decise di presentarsi e di dire le cose come stavano senza tanti preamboli. «Signora, io non riesco a fare finta di nulla. Mi perdoni ma lei è troppo affascinante per non essere corteggiata!» disse lui secco, mentre il treno ripartiva. La signora lo guardò e quasi parve indugiare nella risposta. Alla fine si limitò a dire: «Non dica idiozie! Sono una donna felicemente sposata e non ho certo voglia di farmi abbordare da uno sconosciuto su un treno». «Infatti io volevo soltanto byare la storia dello sconosciuto, magari presentandomi» ribatté insolente Tony. «Ma mi faccia il piacere!» insistette lei, e poi decise di rincarare la dose: «Non c'è nessuna ragione al mondo che mi induca a conoscerla». Il gioco si faceva duro e lui provava quella sensazione di sfida che lo avrebbe portato a combattere fino alla fine. Lasciò la signora in attesa della sua ribattuta, che non avvenne, e fece anche finta di dormire un po'. La signora sembrò avvampare di calore, prese distrattamente un giornale dalla borsa e iniziò a sfogliare con nervosismo le pagine. Lui, per far aumentare quello stato di tensione, iniziò perfino a russare e lei, che non avrebbe mai voluto tornare sulle sue mosse, lo scosse un attimo dicendo che la stava disturbando. A

quel punto Tony cambiò posizione e nel giro di un paio di minuti riprese quel tormento. Questa volta la signora ebbe solo a che dire: «Che diamine!». Poi continuò con il tono della voce che stava diventando stridulo: «Sei proprio insopportabile!». A quel punto Tony si ricompose, si alzò dal suo posto, si scusò con la signora e andò in bagno. Quando fece ritorno al suo posto la donna era sparita; per caso o per volontà aveva lasciato i guanti sul sedile della poltroncina accanto a quella in cui lui sedeva. Erano di pelle nera, odorosi di quel corpo che con un po' di tempo avrebbe potuto essere suo, pensò Tony mentre li soppesava fra le mani. «Me li aveva nascosti» disse lei arrivando alle sue spalle. Tony, sorpreso dal tono della sua voce, che sembrava davvero cambiato, le rispose altrettanto pacatamente: «Andiamo signora, mi dica una ragione plausibile che mi potrebbe avere indotto a nascondere i suoi guanti». «Magari voleva soltanto rubarli» disse divertita. Tony pensò che stesse rielaborando il discorso andato, celato soltanto dalla morale, e poi di nuovo disse: «Magari lei è solo un depravato, un feticista». In fondo, quello che Tony avrebbe voluto dirle era che non aveva tempo di giocare a quel corteggiamento, e che forse, tutto sommato, poteva essere anche interessante finire di conoscersi tra le lenzuola di un albergo a ore a Firenze. La signora, dopo aver rimesso i guanti nella sua borsetta di pelle di serpente, gli tese la mano e disse: «Mi chiamo Andrea». Lui la guardò con più attenzione e soppesò il tono della sua ipotesi d'amicizia. Allora decise di essere schietto e di non andare oltre quello stato di incertezza tra l'essere e il non essere, tra l'amicizia e l'attrazione biologica, tra il sesso e l'amore. Già, perché una donna così non era facile portarsela a letto senza complicazioni. Quella voleva qualcosa di più di un paio d'ore di sfrenata follia. L'amore che lei cercava era anche mentale. Fatto nel rispetto reciproco, e nella continua voglia di riscoprire e ritrovare il proprio compagno o la propria compagna, esattamente per quello che è. Arrivarono alla stazione di Firenze Santa Maria Novella che non si erano detti altro, e mentre stavano scendendo per andare ancora una volta da soli incontro alla vita, si guardarono di nuovo come a cercarsi tra mille.

Lei le andò incontro in modo deciso e lo prese sottobraccio portandolo fuori dalla stazione, quasi strattonandolo. Entrarono sul primo taxi che gli aprì la portiera e lei disse al conducente: «Un albergo, piuttosto velocemente». L'uomo alla guida capì al volo; neanche si girò e si mise subito al volante. Chiese soltanto la cifra che avrebbero voluto spendere e poi si diresse in un alberghetto nei pressi della fortezza, essenziale nei comfort ma pulito, e con il bagno in camera. Andava sempre a finire così pensò Tony, mentre elargiva una ventina di euro al tassista e seguiva quella donna dall'apparenza impenetrabile e imperturbabile. «Andrea, dove stiamo andando?» chiese Tony mentre s'incamminavano per le scale dell'albergo. Lei lo guardò stupita e sorrise, dicendo angelicamente: «A fare l'amore». Tutto troppo facile pensò lui. Quella doveva essere una depravata o chissà quale altra dannata cosa. Comunque sia doveva stare al gioco e si lasciò condurre in camera. Era una matrimoniale con null'altro, soltanto il bagno era arredato di tutto punto. Appena furono dentro e la porta chiusa, lei gli si avvinghiò al corpo coprendolo di baci dappertutto. Famelica e al tempo stesso incapace di attendere, si spogliò così velocemente che lui se la ritrovò addosso ormai nuda. Il suo corpo avanti con l'età era però ancora bello, l'odore della sua pelle lo avvolse più di quel corpo e finirono straziandosi sul letto. Un paio d'ore dopo lui si ridestò dal coma procurato dalla cura di Andrea. Lei stava ancora dormendo e in fondo lui avrebbe voluto scappare, come faceva sempre. Invece rimase al tepore di quelle gambe affusolate e ben curate che lo avvinghiavano ancora in una sorta di posizione “kamasutrica”. Quella donna aveva reso a Tony un'insieme di energie e di voglia di andare avanti che già da troppo tempo non aveva più. A parte la storia che stava vivendo, finiva col rifugiarsi a casa di Mamy e Sally, sue asessuate concubine, che gli rendevano la vita assai più facile di come poi, nella realtà delle cose, si trovava a vivere. Nella sua vita c'era sempre stato una sorta di compromesso con il “dopo”, con il “semmai”, con la frase a lui inconsciamente scomoda: «Caso mai vedremo più

tardi». Un concetto temporale fastidioso da portarsi dietro, una sorta di rimando, di appendice al tempo che stava trascorrendo… un pegno forse, da pagare in futuro. Immerso nei suoi pensieri non aveva sentito Andrea che nel frattempo si era svegliata. «E adesso che cosa ne facciamo di questa storia?» disse lei energica e pragmatica. «Che cosa vuoi che ne facciamo?» disse piano lui mentre si sbilanciava per baciarle affettuosamente un seno rimasto nudo fuori dal lenzuolo: «Proviamo ad andare entrambi per la nostra strada?» concluse. «E sia» disse lei amareggiata. Quelle parole, dette dopo momenti di così apionata intesa, sembravano averla ferita. Si alzò dal letto, trascurando il fatto di essere nuda, e andò a chiudersi in bagno. Lui era consapevole di avere ferito quella donna, ma non poteva caricarsi anche di quel fardello. Era il compromesso con la sua vita. Un accordo tacito, che non lo vedeva al momento mai vincente, e forse non lo avrebbe visto mai. I suoi rapporti sentimentali finivano come il tempo che intercorre tra Natale e Santo Stefano e lui, consapevole di questo, si sentiva costretto, a volte quasi felicemente portato a una chiusura sentimentale così immediata. La parola “paura” nel suo vocabolario non era ben definita, ed era rivolta a misurare un pensiero di sofferenza degli altri, piuttosto che di se stesso; allora percorreva la strada più dritta e senza ostacoli del “lasciamoci subito con rabbia, piuttosto che domani con dolore”. Il tempo era ormai volato tra le sue mani, non sapeva più se era mattino o pomeriggio, e quanto fossero rimasti in quella camera d'albergo. Il suo intercity per Roma ormai era andato a farsi benedire, e tutto sommato i soldi spesi e non goduti di quel treno erano stati ben riposti altrove.

Andrea se ne andò quasi convinta che quella fosse la cosa migliore per entrambi, ma badò bene di lasciare un numero di telefono a Tony. Lui invece fece il contrario, si limitò a salutare con un cenno della mano, come si saluta una persona per l'ultima volta. Comunque sia, non appena lei varcò la porta di quella camera e suoi i decisi risuonarono nel corridoio, badò bene di mettere il foglietto con il suo numero in un posto sicuro. Si rivestì con calma, badando di ricomporre l'aspetto affascinante che aveva, e poi si diresse con un taxi all'aeroporto di Peretola. In fondo non aveva tutta quella fretta che si era cucito addosso. Ormai che la sua gente era protetta, poteva fare tutto con un po' più di calma. Arrivò all'aeroporto e riuscì a infilarsi su un volo Alitalia che lo avrebbe condotto a Roma Fiumicino. Da lì partì con un volo della Lufthansa per Harare, l'attuale nome della capitale della Rhodesia, oggi Zimbabwe. L'aeroporto di Harare, seppure classificato come scalo di voli intercontinentali, era un manicomio a cielo aperto. C'era un po' di tutto. A parte la zona off limits, dove atterrano gli aerei, il resto era come un mercato posto proprio a cappello dei gironi infernali descritti da Dante nella Divina Commedia. La vampata di calore che accolse Tony all'uscita del portellone dell'aereo lo paralizzò, e gocce di sudore cadevano copiose dalle sue tempie e da molte altre parti del suo corpo. Nessuno lo aspettava all'aeroporto, e proprio in quelle condizioni non era facile muoversi. Senza un aggancio in quei territori potevi rimanere impantanato per giorni. Comunque sia i dollari americani erano un buon amico, e nel giro di un paio d'ore riuscì a districarsi dalla burocrazia della dogana, trovare una guida, noleggiare un potente fuoristrada e affittare una camera con bagno di un albergo nei pressi dell'aeroporto. La guida era di etnia matabele, si chiamava con un nome indecifrabile, ma gli occidentali, compreso lui, lo chiamavano Sem. Quello

che stupì Tony quando si incontrarono, fu la frase detta da quell'uomo in una sorta approssimativa di inglese: «Io ti vedo, e dentro il mio cuore io so che tu sei amico di amico». Lì per lì Tony pensò che fosse cotto dall'alcol o dal mastice annusato, e non fece caso più di tanto alle sue parole. Sem era un uomo di una cinquantina d'anni anche se il sole, i mancamenti, e l'Africa stessa, gliene facevano dimostrare un bel po' di più. Non parlava molto, a volte si faceva capire a cenni e questo lo rendeva ancora più stravagante. Quella sera cenò in camera mostrando alla sua guida la cartina topografica. Indicò con una croce il territorio dove sarebbe voluto andare la mattina successiva. Sem fece segno di aver capito con la testa, poi raccolse da terra il suo piccolo zaino di pelle battuta e uscì dalla stanza, indicando con la mano destra il numero quattro. Tony pensò che lui intendesse le 4:00 del mattino, allora si fece una doccia e poi si buttò sul letto, addormentandosi subito. Si svegliò che il sole era già alto, con una sgradevole sensazione, come se qualcuno lo stesse osservando. Si voltò di scatto e sulla sedia in fondo al letto c'era Sem che lo stava guardando; sorrideva, mostrando un paio di finestrelle nere nella sua bocca meravigliosamente bianca. Una delle poche volte che parlò fu quella, e gli disse: «Dobbiamo andare, è già troppo tardi». Lì per lì Tony non capì il motivo di tanta fretta, e in fondo non aveva così tanta voglia di assecondare un soggetto conosciuto poche ore prima, e che era riuscito a intrufolarsi nella sua camera senza farsi sentire. Allora, mentre si stava vestendo, volle approfondire l'argomento e chiese: «Perché è già troppo tardi?». Sem scosse la testa e lo informò che la temperatura esterna era già di oltre 43 gradi, con un tasso d'umidità di oltre il novanta per cento. Insopportabile per gli africani, impossibile per il resto del mondo. Tony pensò che la macchina avesse l'aria condizionata e che il viaggio magari sarebbe stato ostico ma fresco, Sem invece sapeva che il viaggio sarebbe stato scomodo e caldo, perché per una questione d'economicità e di risparmio di carburante, il dispositivo dell'aria condizionata sulle autovetture date a noleggio veniva scollegato dal motore in maniera irreparabile. Tra una cosa e l'altra Tony avrebbe voluto iniziare il suo viaggio proprio intorno a mezzogiorno, quando il

sole raggiunge il massimo grado di aggressione. Sem per fortuna riuscì a convincerlo a rimandare alla mattinata successiva la partenza. Utilizzarono il resto della giornata per andare a comprare altro materiale per il loro viaggio, che a discapito di quello che pensava Tony, sarebbe durato più di un paio di giorni. In fondo l'Africa era così, sapevi con esattezza quando saresti partito, ma mai avresti potuto fare una previsione realistica di ritorno. Allora rinforzarono le loro scorte d'acqua, di viveri e di gasolio. Comprarono anche due pneumatici con il cerchio, in modo da avere disponibilità in caso di foratura o d'altro danno. Cercando di tirare fuori con le pinze le parole dalla bocca di Sem, Tony riuscì a capire che per arrivare al sito dovevano fare quattro o cinque ore di macchina, su una strada del tutto sterrata e anche poco segnata; era più facile uscire dal percorso che starci dentro. Tutto questo da un'altra parte non avrebbe avuto una rilevanza così importante, ma in quel posto, dopo anni e anni di guerre civili, a ritrovarsi su una mina vagante, lasciata lì da questa o da quella fazione, non era improbabile. La mattina successiva Tony si fece trovare pronto all'ora concordata con la sua guida che, con il are delle ore, risultava molto più affidabile e precisa di tanti altri soggetti con cui aveva avuto a che fare nel corso della vita. Il tempo era buono e la stagione delle piogge era ormai alle spalle da una trentina di giorni. Il bush era verde, anzi verdissimo, e la vita a causa delle piogge aveva ritrovato la sua naturale imponenza. I fiumi erano ancora percorsi da spettacolari fronti d'acqua e la savana che si trovava a vedere di fronte era rigogliosa sia di flora che di fauna. Rimaneva sbalordito quando quell'uomo di colore, seduto al suo fianco, gli mostrava animali selvatici tanto belli quanto pericolosi, così vicini al loro fuoristrada che quasi avrebbe potuto toccarli con le mani. Dopo un paio d'ore la strada (se così la vogliamo chiamare) che costeggiava il fiume, deviò bruscamente verso le montagne, lasciando il paesaggio verde e rigoglioso ad uno invece bruciato dal sole, arso, battuto dai venti e senza una goccia di quel liquido magico che in Africa è l'acqua. Sembrava che anche quella piovana trovasse altre strade invece che are da lì. Arrivarono a una vecchia baracca ormai decadente, senza più infissi e vicina alla sua fine naturale. Sem non scese subito dall'auto, aspettò che lo fe prima il suo “capo bianco”. Tony non fece neppure caso all'etichetta, mise subito i piedi a terra e si avviò piano verso i ruderi della baracca.

A prima vista, anche se era abbastanza ingiudicabile, il posto doveva essere stato vissuto da un congruo numero di persone. Trovava qua e là frammenti di vita. Uno specchietto rotto, una fibbia di una cintola, uno straccio che poteva essere stata una maglietta di cotone, e a una ventina di metri fuori dall'occhio umano, una sorta di discarica a cielo aperto. Una specie di buca, a prima vista causata da una micro esplosione, che era ricolma di spazzatura e sporcizia di tutti i generi. “Che bella la mia Africa” pensò subito Tony. Poi notò delle impronte di scarpe fresche e subito fece cenno a Sem di guardare. «Un gruppetto di paramilitari o qualche sbandato alla ricerca di qualcosa da mangiare» fu la risposta della guida nera. «Nulla di preoccupante, sono vecchie di almeno un paio di giorni». Tony entrò nella baracca e apprese che quella era divenuta nel tempo una sorta di latrina. Meno male che il caldo aveva seccato le numerose cacche di uomo che c'erano all'interno. Sem affermò che a un centinaio di metri c'era stato per un paio di mesi un campo d'addestramento per forze militari. A Tony sembrava impossibile che con tutta la foresta intorno venissero proprio a fare i loro bisogni in quella catapecchia. A ogni modo ò in rassegna lo stabile, anche se non trovò nulla di Giorgio o delle sue attività. Nella baracca non c'era più nulla, ed era ipotizzabile che tutto quello che poteva avere un minimo valore, o anche un'impossibile utilità, in un posto come quello fosse stato fatto sparire. L'unico indizio che attirò l'attenzione di Tony fu un manico di piccone rotto, e lasciato lì a consumarsi nell'oblio del tempo. Già, il tempo… sembrava avesse preso le redini del momento, sembrava si fosse seduto in cattedra e avesse cominciato la sua unica e inevitabile lezione. L'universale definizione di tempo in quei luoghi finiva con l'essere un concetto troppo ampio, anche per un soggetto aperto al mondo e alla vita come lui. Alla fine quello che Tony riusciva a trovare nelle situazioni estreme era il giusto compromesso, era il contesto, era l'incastro. Finì col mettersi a sedere su una roccia pulita e lucida come una palla da biliardo. Guardava di fronte a sé, con

Sem che gli rimaneva dietro le spalle a vegliare. Vedeva soltanto rocce, magari non uniformi, ma erano senza dubbio rocce. Tony, mentre guardava il paesaggio scarno che aveva di fronte, finì con l'interessarsi ai pensieri della guida, poi si decise e disse: «Vieni, vieni qui al mio posto e dimmi che cosa vedi». L'uomo di colore non si fece ripetere la domanda e si affrettò nei pressi della roccia dove Tony era seduto. La guida dalla pelle pittata, disse con calma che l'unica cosa visibile da quel posto era la sofferenza. Infatti lui, nelle rocce spezzate quasi a regola d'arte, in maniera quasi geometrica, vedeva l'impossibilità della vita. Allora Tony capì. Erano seduti sul posto di controllo di una miniera a cielo aperto. Il sasso liscio dove lui aveva posato le chiappe non era così lustrato a caso. Il culo di innumerevoli guardie lo avevano ridotto in quel modo; la sua visuale allora iniziò ad andare oltre lo spiazzo che aveva di fronte. Andava a cercare l'ombra, gli alberi, dove i miserabili avevano appena il tempo di familiarizzare con il riposo prima di ricominciare a soffrire. Tony vide soltanto qualche cerchio di sassi che aveva ospitato qualche fuoco in tempi ormai remoti, e allora Sem lo condusse in silenzio, quasi per mano, dove i segni erano inequivocabili. Dietro un'enorme massa di ghiaia più o meno frantumata, c'era l'ultimo rifugio, il cimitero. Una cinquantina di “groppette” nella ghiaia segnalavano la presenza di un corpo; non tutte erano a dimensione d'uomo. Tony guardò incredulo Sem che abbassò lo sguardo e divenne triste e cupo, poi una lacrima ruppe l'argine del suo orgoglio e pianse nei pressi di una di queste. Tony vide il dolore e l'orrore della tragedia. Sentiva le urla e il pianto dei bambini finché anche lui non avvertì più nulla. La vecchia e scarna signora con la tunica nera era arrivata e aveva colpito senza guardare. Inutile pensare a un senso di ragione. Nella realtà delle cose non c'era. Tony lo lasciò piangere per tutto il tempo che volle, finché fu proprio lui stesso a

parlare e disse: «Sotto questi pochi sassi c'è mio figlio. Sei anni, costretto a lavorare nella miniera. Mia moglie non so più che fine abbia fatto». Il dolore prese il sopravvento su qualsiasi cosa. Nulla sarebbe stato più come prima, dopo quello che aveva potuto osservare con i suoi occhi. Tony si lasciò cadere a terra, pensando a come un uomo fiero come Giorgio avesse potuto tollerare quell'inferno. Non voleva credere a ciò che Sem gli stava raccontando e con gli occhi lo incalzava a parlare. «Purtroppo il tuo amico Giorgio è arrivato troppo tardi in questo posto» disse Sem. «Che significa troppo tardi?» replicò sollevato Tony. Sem gli spiegò che Giorgio era arrivato dietro a un orice ferito che tentava di scampare al cacciatore. La riserva di caccia che a quel tempo gli era stata affittata, finiva proprio a poche centinaia di metri da lì, da quell'inferno. Fu lui a raccogliere il cadavere di un bambino e riporlo all'ombra, coprendolo poi con una delle sue camicie di ricambio. La prima guardia che gli si fece incontro ebbe solo il tempo di dire un mezzo alt. Il cranio del nero sobbalzò come se una leggera folata di vento gli avesse smosso i minuscoli ricci crespi. Cadde a terra in ginocchio e lì rimase per un paio di secondi, prima di stramazzare nella ghiaia e nella pozza del suo sangue. Le altre tre guardie che si fecero avanti lo trovarono stravolto dal dolore e dall'orrore, e lui sparò, finché più nessuno fece mostra di armi. La sua guida di allora viaggiava ormai in una sorta di metamorfosi, attendendo l'arrivo dei rinforzi che li avrebbero massacrati, tanto per dare un segno del potere ai miserabili. I bambini, nella loro ingenuità, furono i primi ad alzare la testa da quel suolo polveroso e arido d'acqua come i cuori dei loro ex guardiani. Giorgio li volle vicino a sé. Tutti. Prese il telefono satellitare e fece una di quelle telefonate che all'apparenza sembravano così lontane, ma nella realtà dei fatti erano a poche migliaia di

chilometri da lì. Tre elicotteri senza segni di riconoscimento, ma di forte somiglianza con quelli degli incursori americani, arrivarono di lì a poco sul sito, e una ventina di mercenari scesero armati fino ai denti, nell'intento di proteggere l'imbarco di quelle persone. Quando il grosso delle guardie della miniera si affacciò sulla voragine a cielo aperto, quello che vide non fu proprio quello che si sarebbe aspettato. La gente, se così la vogliamo definire, ma che nella realtà dei fatti era composta da bambini e da donne accompagnate da qualche malsano vecchio, era stata scortata sotto le piante, all'ombra e al riparo da possibili offensive. Un elicottero aveva fatto la spola per portare viveri, e al ritorno trasportare all'ospedale militare, che sulla carta non esisteva, i feriti gravi o le persone colte da colpi di calore. Per lo più erano bambini, e Giorgio soffriva di quell'ansia metallica che precede un impeto di rabbia. Comunque sia i signori della miniera vennero scortati dai mercenari fino a lui, in modo che potesse almeno vederli in faccia e regolarizzare la cosa. Appena arrivarono a un paio di metri, ipotizzando quale fosse il capo, Giorgio estrasse la pistola e fece fuoco alla testa di uno di loro. L'uomo stramazzò a terra senza fare nessun altro gesto. Giorgio prese il bambino morto di stenti che aveva coperto con la sua camicia e lo mostrò a tutti, e poi disse, tradotto nella loro lingua dalla guida, che ormai tremava come una foglia: «Questo bambino che tengo tra le mie braccia è morto, proprio come l'uomo che io ho appena ucciso. Da oggi, per ogni bambino che farete morire inutilmente, io ucciderò tre di voi. Non importa quanto tempo mi ci vorrà. Ho fatto arrivare gli elicotteri in mezz'ora, posso tirarvi addosso tanta di quella merda che voi non ve la immaginate neppure». Rimase per un paio di minuti in silenzio, guardando negli occhi quei delinquenti a tempo pieno e poi continuò: «Voglio essere magnanimo con voi e comprare la miniera tutta in blocco. Compresi gli schiavi». A quelle parole il capo, che fino ad allora era rimasto immobile, tradito soltanto da un minuscolo rivolo di sudore che gli aveva bagnato il colletto immacolato della camicia, accennò a un sorriso. Fece per avvicinarsi a lui, ma si sbagliava. Giorgio lo prese per il collo e gli disse: «Adesso è tempo di morire».

Gli occhi del nero si sbarrarono e la paura fece capolino tra tutte le sicurezze avute fino ad allora. Il coltello aveva già trovato la strada del fegato e il dolore insopportabile lo fece divincolare e cadere a terra, mentre la sua candida camicia cominciava a colorarsi di sangue. Allora Giorgio gli si fece vicino, inzuppata la mano nel suo sangue glielo fece vedere e disse: «Scuro, brutto segno. Adesso ti resta sì e no un'oretta di vita. Pensa a quei bambini che invece l'hanno persa in un paio di mesi, se gli è andata bene». I suoi uomini, in preda al terrore, non avevano fatto una mossa per salvare il loro capo e lo lasciarono dov'era disteso. La sua agonia fu vissuta in diretta anche da tutti quelli che erano stati i suoi moderni schiavi. I bambini, nelle ore successive all'accaduto, lo avevano già iniziato a chiamare “baba”, e non riusciva neppure a pisciare senza averne un paio in braccio. In un tempo molto breve per gli standard africani, con un po' di dollari americani, riuscì a comprare la morte di quelle guardie, la miniera ormai in disuso perché infruttifera, e a liberare tutti quei dannati. Il giorno della sua partenza, l'unico vecchio che era rimasto vivo in quella miniera a cielo aperto, lo condusse inaspettatamente in uno dei pochi cunicoli che avevano incontrato scavando alla ricerca dell'argento. Consegnò a Giorgio cinque biglie di roccia, grosse come due volte un pallone da calcio, e gli disse nella sua lingua: «Va in pace amico. La mia mano e quella della gente che hai salvato sarà sempre su di te». Quell'uomo era il padre di Sem. In un primo momento non sapeva proprio cosa farsene di quei sassi, così magnificamente rotondi e quasi perfetti, tanto che pensò addirittura di lasciarli nei pressi del fiume. Ma poi ci ripensò, caricò quelle sfere su uno degli elicotteri che fece ritornare ad uopo, e con un che soltanto poche persone al mondo riescono a ottenere, non essendo dei diplomatici, le fece arrivare in Italia. Questo era ciò che diceva Sem, o per meglio dire era quello che suo padre gli aveva raccontato mille volte, prima di morire di una qualche malattia non

diagnosticata e magari curabile, nei paesi occidentalizzati, con un farmaco da banco acquistabile anche senza ricetta medica. L'Africa era così. Si vive e si muore nel battito d'ala di un colibrì. Da lì in poi c'era il vuoto. A ragion del vero c'era un insieme di fattori e di personaggi che nulla avevano a che vedere con quel territorio arido, crudele e a volte sconfinato che era l'Africa. Tony andava indietro nei ricordi a cercare qualcosa della vita che aveva trascorso con il suo amico Giorgio, che potesse dargli un input di quella vicenda. Nulla. Quel mascalzone gli aveva celato del tutto quella vicenda e adesso lui non sapeva. Comunque sia il suo tempo in Africa era finito, doveva subito riguadagnare l'Italia. Il ritorno ad Harare non fu semplice, contrastato soprattutto dalle piogge e dal fondo stradale che risultava essere impraticabile anche per i fuoristrada. Insomma, ci vollero più di quattro giorni per rimettere i piedi nella loro camera d'albergo a due i dall'aeroporto. Non sapeva proprio che pesci prendere. I pensieri di Tony si posavano su un'associazione di idee forse anche troppo banale, secondo cui quell'uomo di colore, visto da molti, rimaneva per lui un fantasma e nulla più. Sarebbe davvero stato interessante riuscire a fare la sua conoscenza e capire il suo ruolo in tutta la vicenda. Allo stato apparente delle cose non c'era un nesso tra la presenza di Giorgio in Africa e quell'uomo, però non si poteva mai sapere, pensò Tony, mentre infilava la chiave nella serratura della porta di camera sua. Sem che aveva finito, ma al tempo stesso non aveva finito, il suo incarico, così come avviene in tutte le contraddizioni palesi e non, che si potevano riscontrare in ogni centimetro quadrato di quella terra, rimase nei pressi della camera di Tony. Soltanto quando lui, effettuato il check-in all'aeroporto, si apprestò a varcare la soglia della zona fly, Sem sembrò cambiare atteggiamento e senza

saluti ulteriori si allontanò. Non lo vide neanche partire. Tipico degli africani, pragmatici ed essenziali come le avversità della vita che devono ogni giorno sopportare, in quella terra così ricca e al tempo stesso così povera. Il tempo non era bello, e una brutta perturbazione si affacciava da ovest, minacciando quelle attese piogge che avrebbero fatto così bene a un territorio già arido di suo. Tony si addormentò subito dopo il decollo, e si risvegliò appena una decina di minuti prima dello scalo a Zurigo. Comunque sia, a un paio d'ore dallo scalo sarebbe ripartito, e nel giro delle due ore successive sarebbe arrivato a Pisa. Dopodiché era un gioco raggiungere Pracchia. Aprile era già alle porte e la montagna ricominciava a vivere di vita propria. Qua e là le prime piante davano segno dei loro boccioli, mostrando un verde in apparenza troppo chiaro e tenue per la stagione, anche se tutti sapevano che era soltanto il primo accenno di primavera, e forse un inno alla stagione buona. Nel giro di pochi giorni tutto sarebbe cambiato, e la vita avrebbe preso forma contro tutto quello che definiva l'inverno e il freddo. Pensò di trovare qualcuno ad aspettarlo a Pracchia, e la delusione fu forte. Neppure i due vecchi che gli facevano da guardiani erano lì. La bottegaia gli disse che se n'erano andati un paio di giorni prima insieme ai suoi amici. A dire il vero a lei parve che fossero abbastanza felici di andarsene. Tony non capiva. Non poteva essere stata tutta una colossale macchinazione, mirata alla ricerca di qualcosa che altri non sarebbero riusciti mai a trovare? Aveva titubato a telefonare per informare del suo ritorno, per un qualcosa che gli era nato dentro, visto che non aveva più ricevuto notizie da nessuno, nonostante avesse con sé il telefono satellitare. Purtroppo, come accadeva di sovente, la strada non aveva vie di uscita, ma una sola inesorabile direzione. Tutti contro di lui o tutti con lui. Non sapeva spiegare il perché di tanta agitazione, fatto sta che prese subito il primo treno per Pistoia che lo avrebbe condotto alla coincidenza per Firenze.

Mentre viaggiava in uno scompartimento di seconda classe degli anni settanta, volle tornare ai suoi vissuti di spia e allora tutto cambiò di nuovo. Non scese alla stazione designata e non prese il treno previsto. Neanche quello successivo. Alla stazione di Pistoia non arrivò proprio. Si fermò invece a una fermata intermedia, nelle immediate vicinanze della città, e con una serie di artifizi, si fece accompagnare da qualche viaggiatore nei pressi della stazione degli autobus. Arrivò a Firenze con una corsa della linea Lazzi che copriva il tratto Firenze – Viareggio. Anche la casa di Chiara era deserta e l'allarme imprudentemente disinserito. Era tutto molto strano, e allora volle guardare ancora più a fondo in quella vicenda. Il suo cellulare gli bruciava in mano, ma non poteva utilizzarlo e non lo avrebbe usato per niente al mondo. Era inutile anche utilizzare un altro cellulare comprato per l'occasione, o una cabina telefonica. Se era come pensava lui avrebbero potuto rintracciarlo. Allora doveva muoversi a piedi o pagando tutto in contanti, e utilizzando mezzi a tiratura locale o quasi. A quel punto il tempo non era vitale, almeno finché lo credevano in Africa. L'unico rischio poteva venire dall'aeroporto, che avrebbe potuto informare i nemici del suo rientro. Era comunque un rischio che doveva correre. Si vestì da mendicante, o da mendico come diceva lui, e si diresse a piedi alla volta della Maremma, alla ricerca dei territori di Giorgio. Seguì per un paio di giorni la strada asfaltata, e poi si decise a percorrere i sentieri mappati da questa o da quella società parastatale. Il risultato fu evidente, e in un paio di giorni ce la fece ad arrivare nei pressi della Certosa. La poteva osservare in lontananza. Il tempo era stato clemente e gli aveva permesso di dormire all'addiaccio ma all'asciutto. Non aveva fuochi, ed erano ormai troppe ore che non metteva

sotto i denti nulla di interessante. Gli capitava di are accanto a case e fattorie, e di sentire l'odore del pane fresco fatto dalle massaie, o degli altri intrugli alimentari che erano sul fuoco per il mezzogiorno o per la sera. Non poteva resistere oltre, allora si fermò a una casa e bussò deciso alla porta. Un uomo sulla settantina gli si fece incontro e gli chiese chi era e che cosa volesse. Tony chiese soltanto un pezzo di pane secco e un bicchiere d'acqua. Il vecchio, colto di sorpresa da quelle banali richieste, alla fine lo fece accomodare in casa, deluso per il mancato odore di sporco di quell'uomo che, all'apparenza, ma solo a quella, sembrava uno straccione. Mentre Tony mangiava a quattro palmenti il pane di quel benefattore lui lo soppesava e stava meditando circa le domande da fargli. «Come hai detto che ti chiami?» disse il padrone di casa guardando fisso l'ospite. «Mi chiamo Tony» rispose lui a bocca piena. «Sì! Ho capito che ti chiami Tony, ma Tony e poi?» continuò incalzando. «Be', non ha importanza come mi chiamo, l'importante è che io sia una persona per bene». L'uomo lo guardava mentre lui si ingozzava a crepapelle, non sapeva con certezza quando avrebbe rimangiato. Non che gli mancassero i soldi, era l'effetto sorpresa che lo teneva nell'oscurità. «A proposito, dove siamo?» chiese al vecchio che aveva stralunato gli occhi quando lui tirò fuori dalla tasca una mazzetta di banconote e gliene stese sul tavolo una da duecento euro. Prima balbettò un po' e poi: «Siamo a Monteroni D'Arbia, vicino a Siena». Lui gli mise in mano quei soldi e lo pregò di non rivelare a nessuno la sua presenza, poi riempì lo zaino di provviste e riprese il suo viaggio. Ora almeno sapeva di essere vicino alla sua destinazione. Calcolò che

occorressero ancora due o tre giorni, a seconda del tempo, per arrivare. La sua previsione si rilevò del tutto sbagliata, perché ci volle quasi una settimana per rinfilare la strada bianca che lo avrebbe condotto alla casa di caccia del povero Giorgio. Anche il tempo non fu clemente con lui. Fu una settimana d'acqua, che rallentò il suo o e lo costrinse a fermarsi più spesso non appena trovava un rifugio d'emergenza. Prediligeva i cascinali abbandonati e le baracche degli attrezzi dei viticoltori della zona. Un paio di notti riuscì a arle al coperto, e perfino ad accendere un fuoco per asciugare le sue membra e i suoi abiti. La terza notte invece fu ospite del mondo e dormì, o per lo meno tentò di farlo, sotto il cavalcavia di un ponte. Il vento non lo fece riposare. L'unica cosa che lo ritemprò un po' fu il fatto che non piovve quella notte, e poté almeno riposare all'asciutto. Nel tardo pomeriggio del sesto giorno, dopo aver fatto un po' di tutto, mangiando qualsiasi cosa che gli si fe incontro, purché lontanamente commestibile, vide la strada bianca che lo avrebbe condotto, di lì a pochi chilometri, alla casa di caccia. Non seppe spiegarsi neanche a distanza d'anni come avesse potuto fare quel percorso, per quale assurda ragione avesse deciso di intraprendere un viaggio così scomodo, rurale, al limite delle possibilità umane. Lo avrebbe ridefinito poi primordiale. Allora si decise e si immedesimò in quello che avrebbe fatto uno che voleva cogliere di sorpresa qualcun altro. Viste le sue condizioni, sarebbe stato necessario un riposo di almeno otto ore e una buona dose di cibo. Tornò per un paio di chilometri sui suoi i finché trovò un agriturismo sempre aperto. Per entrare gli fu necessario mostrare il colore dei soldi, ma alla fine aprirono e lo trattarono come un pascià. Il periodo dell'anno era infelice per quelle attività alberghiere e la presenza anche di un solo viandante dava la necessaria spinta ai gestori del locale.

Nella fattispecie l'agriturismo, annesso alla casa padronale, era composto da due appartamenti e due camere doppie, con una zona adibita a una forma di ristorante aperto a tutti quelli che erano graditi. Le due titolari, mamma e figlia, avevano organizzato una bella cosa, a Tony piacque subito. Si fece affittare una camera con bagno e fissò di cenare poco dopo. Le due donne furono subito felici e si misero entrambe ai fornelli. La doccia che fece fu lunga e ristoratrice, e prima di andare a cena volle provare a telefonare al cellulare di Chiara. Risultò staccato, o meglio, non raggiungibile al momento. Allora fece la telefonata di rito in Inghilterra. Almeno là andava tutto bene. Mamma e figlia, vivevano una sorta di attività turistico-rurale lontano dal mondo e dai pericoli. Fu contento di quello che sentì al telefono, e anche del tono della loro voce, che sembrava gioviale e sincero. Anche loro però era da un paio di settimane che non riuscivano a parlare con Chiara. Il suo pensiero andò alle guardie del corpo che aveva lasciato a vegliare su di lei e anche sulla tata, ma soprattutto a Gianni. La sua paura era quella che avessero preso l'avvocato, pensando che in fondo potesse essere il tenutario delle verità. Mentre faceva quei pensieri provò a pensare a quali fossero poi le verità. Nulla gli sembrò realistico in quello che pensava, e allora si decise a riposare. Dormì di un sonno da catalessi quasi totale, anche se, alle prime luci dell'alba, era già in piedi e pronto per la nuova giornata. Alle cinque e mezzo trovò la tenutaria del cascinale in piedi e già intenta a sfornare qualcosa di dolce da mettere sotto i denti. Lui buttò un paio di banconote sul banco e la salutò come se si fossero conosciuti da sempre. Uscito da quella che un po' di anni prima poteva essere l'aia di una bellissima casa colonica, si diresse subito verso la strada bianca lasciata la sera prima,

quella che portava alla casa di Giorgio. Non l'imboccò neppure, la lasciò subito defilandosi nella macchia circostante, alla ricerca di un riparo da occhi indiscreti. Più si avvicinava alla proprietà, più le sue riserve circa la sorte dei suoi amici si facevano vane. Sentiva gli schiamazzi di alcune persone venire proprio dalla piscina, e allora per un istante pensò di aver sbagliato posto. Non era così. Da dietro la recinzione poté vedere Chiara che faceva il bagno con un gruppo di bambini, e la tata sotto l'ombrellone al bordo dell'acqua, come se stesse controllando tutti. Seppe poi che quei bambini erano una sorta di riunione delle case vicine; spesso Giorgio, quando ava le settimane lì, apriva loro le porte di quel parco giochi acquatico. Gianni invece leggeva il giornale defilato in giardino, e nessuno, tranne le guardie in servizio, erano in allerta per qualsiasi movimento indiscreto. Sembrava che quella fosse una famiglia in vacanza. A primo impatto Tony ne sorrise, poi si arrabbiò con tutti quelli che lo avrebbero potuto avvisare e non l'avevano fatto. Di primo impulso sarebbe voluto andare dal capo delle guardie a dirgliene quattro, ma poi, riflettendo, che avrebbe potuto dirgli? In fondo il suo compito lo aveva mantenuto alla lettera e gli ospiti (li chiamavano così i sorvegliati) sembravano non accorgersi di quello che accadeva intorno. Deciso a valutare oltre l'affidabilità di quel suo commando, aspettò l'ora del rancio e poi si decise a saltare la rete per cogliere di sorpresa tutta l'allegra brigata. Arrivò quasi in cucina prima che una delle guardie gli infilasse la canna del mitragliatore sotto le costole e gli dicesse di seguirlo. Appena fecero il loro ingresso in cucina, con la guardia che sogghignava per la preda appena catturata, Tony fissò il loro capo. Le due donne che facevano parte della guardia lo riconobbero subito e tentarono un flebile sorriso. Anche il capo sorrise e disse all'uomo che lo aveva catturato: «Amico mio, non crederai davvero che Tony si sia lasciato prendere da te, vero?».

«Che vuoi dire?» rispose, iniziando a sudare. «Voglio dire che in un contesto serio, non lo avresti neanche sentito arrivare. Un conto è avere a che fare con civili, un altro è avere a che fare con militari». Mentre lui parlava, scartò di lato e in poco meno di un secondo aveva sfilato di mano il mitra al suo custode, e ora glielo stava puntando contro. L'uomo, incredulo e al tempo stesso rammaricato per l'accaduto, non sapeva più dove guardare e allora fu lui a rianimarlo, restituendogli l'arma tenendola per la canna. A quel punto non gliela puntò più e se la rimise alla spalla. Prima che i suoi amici lo salutassero, gli fu spiegato quel trasferimento senza lasciare tracce. Due giorni dopo la sua partenza da Pracchia, si era verificato un fatto alquanto strano. Due o tre persone avevano iniziato a girare per il paese facendo domande proprio su Chiara e dove fosse la dimora di quell'inglese, che di tanto in tanto si faceva vedere in quei posti. Quelle informazioni gli erano state riportate da qualcuno che le aveva sentite all'interno dell'unica bottega di alimentari. Non avevano allora perso tempo e si erano rifugiati nei territori di Giorgio. Mentre lui ascoltava con serietà quella storia, anche Renzo e Ivana fecero il loro ingresso in sala da pranzo. Quando lo videro sano e salvo ruppero gli indugi e lo abbracciarono. In verità erano i primi che si erano degnati di un così importante saluto. Chiara e gli altri erano rimasti a sedere, forse anche perché spaventati delle armi automatiche degli altri avventori. Comunque sia, alla fine si misero a tavola e mangiarono senza dire nulla. Il capo delle guardie parlottava con Tony sottovoce, e gli altri non facevano nemmeno caso al loro brusio, semmai erano presi dalle avventure più o meno costruite di un reality. Tony pregò quell'uomo di andarsene il giorno successivo, mentre lui se la sarebbe dormita alla grande.

A fine pasto, quando lui prese posto sul divano con una buona dose di rum, Chiara gli si fece vicino e chiese: «Trovato nulla in Africa?». Lui la guardò negli occhi e comprese che la sua domanda non aveva secondi fini, e allora rispose come avrebbe risposto a Mamy: «Soltanto povertà e disperazione». Lei non disse altro, si limitò a prendere un giornale dal tavolo da tè, e si mise accanto a lui sul divano. Poco dopo fu scosso da una solenne gomitata che lo riportò alla luce, e gli fece comprendere che in fondo stava russando un po' troppo. Allora si alzò e andò in quella che gli avevano presentato come sua stanza. In effetti, non era proprio una camera da letto, semmai un ripostiglio attrezzato, per fortuna con una finestra. In fondo le persone presenti in quella casa cominciavano a essere un po' troppe e allora bisognava adattarsi, pensò Tony mentre appoggiava i suoi vestiti sopra un tosaerba a motore. Comunque sia cadde nel sonno totale, quello dato da una stanchezza antica e da non trascurare. La mattina successiva, dopo aver dormito circa 15 ore, si svegliò un'ora prima dell'alba. Tutto taceva e anche le luci perimetrali erano accese a intermittenza. Con sollievo vide una guardia che faceva il suo giro, e la osservò incontrarsi con quella che veniva dalla parte opposta. All'apparenza sembrava tutto tranquillo. In un'altra situazione avrebbe detto: «Troppo maledettamente tranquillo». Volle ancora una volta scacciare i cattivi pensieri, e fece un giro della casa per vedere se tutti stessero bene. Stavolta si fece riconoscere dal turno di guardia, che non avrebbe pensato a nulla prima di sparare di fronte a un'ipotesi d'intrusione nel perimetro. Trovò Chiara che dormiva con la tata in un letto matrimoniale. Gianni aveva preso posto in una cameretta con un lettino a castello, e il resto delle guardie che non erano in servizio dormivano un po' dovunque. Tony si muoveva nel buio, scansando tutti gli ostacoli che trovava sul suo

cammino, come faceva nella foresta quando scansava, oltre che gli animali e le piante ribaltate, anche i cadaveri di quelli che non ce l'avevano fatta. Fece ritorno in sala e si mise di nuovo sul divano di fronte alla televisione spenta. Mentre stava seduto al buio, pensando forse a quella calma inusuale, vide ai piedi del tavolo da tè quelle che fino ad allora potevano essere sembrati oggetti ornamentali. Erano due palle di pietra, grosse due volte un pallone da calcio. A prima vista sembravano due geodi perfetti, ricordavano un enorme arancio di colore grigio. Allora la mente tornò al racconto che gli aveva fatto Sem. Lui associò subito le sfere a quelle donate a Giorgio. Quel vecchio furfante ce l'aveva fatta a farle arrivare in Italia. All'apparenza, nella penombra del giorno che si stava affacciando, sembravano integre, e soppesandole Tony si rese conto del reale peso. Finì col trovare anche il resto delle sfere che erano sparse per casa, lasciate lì come se fossero cose da niente. In fondo poche, anzi pochissime persone, sapevano che quelle rocce provenivano dall'Africa sub sahariana. Mentre le guardie che avevano riposato l'ultima notte facevano i bagagli anche per i loro compagni ancora in servizio, prese l'unica sfera rimasta da sola, proprio nella camera del vecchio amico, e notò che era molto più leggera delle altre. In un rapporto da uno a dieci, quella pesava due. Non fidandosi degli sguardi indiscreti di persone che non conosceva affatto, decise di traccheggiare fino alla loro definitiva partenza. Fece in modo di dare conferma on line del mandato di pagamento dei loro servigi, e li congedò come sempre con la frase di rito: «Speriamo di non rivederci mai più». Appena la squadra ebbe preso il largo e il cancello elettrico della tenuta si chiuse alle loro spalle, Tony chiamò Gianni e Chiara e li munì di una pistola calibro 7,65 a canna corta, pronta per ogni esigenza. Entrambi furono riluttanti a quell'attrezzo di morte posto nelle loro mani, ma poi, memori dei trascorsi, si decisero e se la misero in tasca. Per non rischiare oltre Tony decise di rimandare Renzo, Ivana e la tata in una sorta di vacanza fuori stagione o quasi, nei pressi di Cecina Mare. Li fece portare

a destinazione da un taxi venuto apposta da quei luoghi. Furono ospitati da una proprietà dell'Esercito Italiano, una residenza estiva per ufficiali e sottufficiali. Quale posto più sicuro e più deserto di quello, avendo intaccato appena il mese d'aprile e con la stagione che distava ancora un paio di mesi? Il contatto in quel caso fu un suo amico graduato, un colonnello che aveva avuto l'onore di incontrare tanti anni prima, e che per comodità lui chiamava Manlio. Nessuno seppe mai se quello fosse il suo vero nome di battesimo, fatto sta che gli bastò comporre il numero di telefono e sbrigò il tutto in pochi minuti. Prima di procedere con il resto del piano, aspettò che i tre vecchietti fossero a destinazione e nessun intralcio li avesse fermati. Anche Gianni cominciava a mostrare i primi segni di inquietudine, per il prolungarsi della sua vacanza forzata, per la lontananza dal suo ufficio e dai suoi clienti, che forse avrebbero cominciato a chiedersi il motivo di una così lunga assenza. «Non posso rimandarti a casa, non so ancora con chi abbiamo a che fare, e temo per te e per la tua famiglia, che al momento è al sicuro». «Sì» disse semplicemente lui. Chiara era diversa da quando l'aveva lasciata per andare in Africa. L'aveva ritrovata più vecchia e al tempo stesso più distaccata da lui. Sembrava non avere più timore, sembrava non essere più lei. Comunque sia quel giorno lo arono a folleggiare, parlando del più e del meno, e di ciò che ognuno di loro aveva fatto in quel periodo. Quella sera era riposato, e sapeva benissimo che con il fare delle tenebre, se qualcuno li aveva seguiti o li stava spiando, sarebbe stato il momento giusto per entrare in azione. In fondo le guardie del corpo se n'erano andate, e loro erano rimasti soltanto in tre. Lui pregò i suoi compagni di dormire, soltanto per quella sera, in una camera sola, dove avrebbe potuto controllarli meglio, e subito dopo cena si preparò all'evento.

Le due calibro nove che possedeva le ripose entrambe nelle fondine, sotto le ascelle, e attivò il sistema di allarme perimetrale silenzioso. Alle nove e trenta tutta le tenuta era al buio e lui si mise ad aspettare. Gianni e Chiara erano già nella loro camera, al buio, ma vestiti e pronti per un'evacuazione rapida. Dopo mezzanotte un gruppetto di caprioli fece il suo ingresso in giardino, proprio ai bordi della piscina, e si misero a pascolare a favore di vento. Di tanto in tanto il maschio, il capo branco, alzava la testa e annusava l'aria in cerca di un potenziale nemico, o di un altrettanto potenziale concorrente per il suo harem. Tony si trovò a sorridere nel vedere quel fenomeno della natura così vicino, poi il vento sembrò cambiare rotta, le bandierine degli ombrelloni della piscina si fermarono e poi ripresero il loro correre nella direzione opposta. Tutto sembrava normale, finché tutti i caprioli, quasi all'unisono, alzarono di colpo le teste e scapparono nelle direzione del vento. Forse quello era il segnale di un'imminente intrusione nel perimetro. Infatti di lì a poco la piccola luce rossa dell'allarme iniziò a lampeggiare e Tony, con decisione, estrasse la pistola dalla fondina di sinistra. Mise il colpo in canna in assoluto silenzio e andò in direzione dell'intrusione. Lì per lì non vide nulla di inusuale, ma si aspettava il contatto visivo da un momento all'altro. Alla fine, dopo un paio di minuti d'attesa, un uomo si affacciò nel prato con un fucile da caccia. Era un dannato bracconiere! Accese una luce esterna per metterlo in fuga, ma nella rocambolesca e maldestra fuga il tizio finì con il cascare nella piscina, e dovette correre in suo aiuto per evitare che affogasse. Recuperò l'uomo dall'acqua che, tremante di paura e di freddo, supplicò di non chiamare i Carabinieri. «Bene, io non chiamerò nessuno, a patto che tu da oggi lavori per me!» fece Tony.

L'uomo lo guardò stupito e disse sottovoce: «Non mi pare vero, sono disoccupato». In sintesi quell'uomo era il padre di quattro figli; finita la cassa integrazione, e non trovando lavoro, si arrangiava alla meglio rifornendo qualche ristorante o qualche macelleria di cacciagione. In fin dei conti come si poteva condannare? Mentre accadeva tutto questo Gianni e Chiara se la dormivano alla grande, ormai sopraffatti dalle armate di Morfeo. L'uomo fece compagnia a Tony fino alle prime luci dell'alba, si rifocillò di tutto punto e poi, con un centinaio d'euro in tasca, fece ritorno dai suoi figli e da sua moglie. Finiva sempre così, pensò Tony. Incontrava un insieme di soggetti derelitti e bisognosi, che finivano col portargli via una parte importante dei suoi soldi. E non c'era niente da fare. In fondo non erano loro che glieli estorcevano, era lui che, commosso e colto da spirito benefattore, glieli dava spontaneamente. La mattina successiva, dopo colazione, chiese a Gianni di prendere una delle palle di roccia che erano in sala. Lui la portò in cucina evidenziando che poteva pesare almeno venticinque chilogrammi. Poi chiese a Chiara di andare a prendere quella che invece era riposta in camera di suo padre. Chiara tornò con la mega biglia sottobraccio e disse a Gianni: «Ma quali venticinque chili, questa ne pesa al massimo cinque». «Infatti. Perché quella che tieni sotto braccio è vuota, o almeno è stata svuotata» disse Tony prima che Gianni potesse controbattere. Rimasero in silenzio, poi Chiara la mise tra le mani di Tony e lui l'appoggiò a terra, accanto alla gemella piena. In quel preciso momento i pensieri dei tre sembrarono fondersi in un tutt'uno. Un insieme di domande, ovviamente senza la risposta, arrivavano un po' da tutte le parti, e il ronzio che sentivano non era certo il caldo. Era un contesto difficile da sostenere… vicini, vicinissimi alla scoperta di un segreto immane, e tuttavia inevitabilmente soli, loro tre.

La sfera leggera non dava nessun segno di manomissione o d'apertura, e già questo stava deprimendo i tre amici. In fondo si sarebbero aspettati qualcosa di diverso, una traccia, una sorta d'indizio almeno. arono il resto della giornata a farfugliare sulle reali possibilità della sfera di roccia leggera. Il tempo non dava loro ragione, anche se in quella giornata lo facevano trascorrere lento e inusuale per le loro vite. Nessuno dei tre avrebbe potuto pensare che Giorgio, aiutato da un mastro marmista di Carrara, potesse aver nascosto al suo interno il suo diario. Fatto sta che Tony decise che la ricerca di un qualcosa di introvabile e indefinibile poteva dirsi conclusa, e che in assenza d'altri elementi, li avrebbe ricondotti a casa nel giro di un paio di settimane. Quella decisione risoluta e inattesa non trovò così propensa Chiara, che gli fece notare, tra l'altro, le difficoltà che lui aveva causato in tutti quei giorni di assenza forzata dalla loro vita. Finirono col fare il bagno in piscina tutti e tre. Visto l'anticipo sulla tabella di marcia, com'era accaduto in precedenza, l'acqua era stata riscaldata, e sembrava una sorta di bagno termale al freddo delle colline maremmane. Comunque sia stavano bene a guazzo, e nessuno aveva voglia di uscire da quel brodo caldo. Mentre giocava con Chiara, la vide assumere un'espressione di dolore ed emettere un lieve gemito, poi l'acqua ai loro piedi si colorò di un rosato sempre più scuro, che con il are dei secondi tendeva a un rosso sempre più , come quello del sangue. Lei disse di essersi tagliata un piede, e lui la estrasse subito dall'acqua per verificare l'entità del danno. In effetti si era procurata un taglietto proprio sotto la pianta, che mandava un bel fiotto di sangue. “Forse ha preso una venuzza, certo, ma con che cosa si è potuta tagliare?” pensò Tony, mentre Gianni diceva: «Dannati vetrini, anche a me l'altro giorno è capitato di ferirmi in acqua».

Tony non disse nulla e li riaccompagnò in sala, per medicare il piede ferito e per lasciare calmare l'acqua della piscina. Lasciò accesi i macchinari di riscaldamento e di riciclo dell'acqua e spense le luci del giardino. Cenò con i suoi amici parlando del più e del meno, e poi, quando tutti furono a letto con le coperte ben rincalzate, nei loro fulgidi sogni, si decise e uscì. Si spogliò al freddo della notte e s'immerse in acqua con gli occhialini da nuoto. A un primo impatto con il fondo della piscina non trovò nulla, poi, quando si spostò nella zona più fonda, notò un sorta di flebile luccichio sul fondo, che non era costantemente blu. Appoggiò le mani su una specie di grossa ghiaia, e anche lui vide l'acqua colorarsi del suo sangue. Pensò che si trattasse di vetri o di una bottiglia rotta in chissà quale occasione, e si ritrasse subito, accorgendosi, solo mentre stava per uscire dall'acqua, che uno di quei sassolini gli era rimasto tra due dita della mano destra. A guardarlo bene non sembrava un vetro, semmai un pezzo di calcite e di altro materiale simile. Comunque sia era un minerale, e non si trattava di vetro. Lì per lì non ci fece caso più di tanto, comunque lo tenne ben stretto fino in camera e poi lo mise in una delle tasche piccole dei jeans. La mattina successiva, mentre i tre facevano colazione e constatavano che il giardino era stato visitato nella notte dai cinghiali, disse: «Devo andare in città per un paio d'ore, potete cavarvela da soli?». «Naturalmente» rispose Gianni, che strizzando l'occhio a Chiara cercò il suo cenno d'intesa. Anche lei scosse la testa e lui poté effettuare quella gita fuori programma. Prima di andare lasciò una delle due pistole a Gianni, e lo pregò di utilizzarla in caso di bisogno.

«Cerca di non sparare per aria! Se proprio devi, mira alla figura, poi si vedrà cosa fare» disse serioso. Per l'avvocato quelle parole erano arabo. Non capiva cosa dicesse il suo amico, o forse si stava soltanto ribellando a una situazione che sarebbe potuta avvenire. Tony non uscì dal cancello principale alla vista di tutti, ma saltò la rete di recinzione nel punto più lontano dalla strada, e se la fece a piedi alla ricerca di qualche traccia sospetta. Non trovò nulla di insolito e riprese la strada trecento metri prima del cancello della proprietà. Notò che la via era vergine, la guazza della notte l'aveva resa tale. Nessuna macchina aveva lasciato le sue tracce sulla strada bianca. Allora anche lui decise di non calpestare, e rimase ai bordi del selciato fino alla strada statale. Aspettò con pazienza che l'autobus pubblico asse e lo prese alla volta di Siena. La città non era lontana e il mezzo ci mise poco meno di mezz'ora. Lui fece un paio di giri nelle viuzze intorno a Piazza Del Campo, poi si decise e s'infilò nella prima oreficeria che trovò. La scaltra proprietaria non dette alcuna importanza alla pietra che le stava facendo vedere. Soltanto un tratto del suo volto vecchio e rugoso si contrasse, quando la guardò con la lente di ingrandimento, poi si ricompose e, quasi sciatta, rese il sassolino all'uomo, dicendogli: «A me sembra un vetraccio, e anche lavorato male». Una minuscola goccia di sudore aveva però bagnato la fronte della vecchia, e lui la ringraziò cercando l'uscita. Allora lei, colta dal panico che l'uomo se n'andasse, tentò una riparata ed esordì malamente: «Comunque potrei scambiarlo con qualcosa di migliore!» Lui la guardò, ormai sicuro di quello che aveva nelle mani, e la salutò con un gesto. L'orefice successivo fu più onesto, e gli quantificò il valore del diamante grezzo che aveva tra le mani in una bella manciata di biglietti da cinquecento euro. Chiese dove l'avesse trovato, in quanto si trattava di una rarità. Tony disse di averlo ereditato da un parente che aveva vissuto per un po' d'anni in Africa, per rendere almeno credibile la storia, e poi lo salutò.

Ora era tutto chiaro, ma la domanda successiva era se informare o meno Chiara e Gianni. Alla fine informare l'uomo e richiedere la sua riservatezza non era impossibile, al contrario la figlia di Giorgio era meno gestibile. Mentre faceva ritorno a piedi dalla strada principale verso la proprietà, notò che un paio di autovetture erano ate avanti e indietro, e questo l'agitò. Infatti arrivò al cancello, e notò subito che qualcosa non andava. I fili dell'energia elettrica erano stati tagliati e il cancello stesso era stato forzato. Si fece coraggio ed entrò. Alla porta d'ingresso trovò i primi segni dell'intrusione. La porta aveva avuto molti segni di tentata forzatura, ma non aveva ceduto. Girò intorno alla casa e con gioia vide che le finestre non erano state toccate, i vetri antisfondamento avevano tenuto. Prese il cellulare per chiamare Chiara e solo allora notò che si era spento. Appena lo accese si rese subito conto che lei aveva provato a chiamarlo diverse volte. Dopo appena due squilli la sua voce lo fece rinascere all'apparecchio: «Dove cavolo ti eri cacciato! È un po' che ti cerco, qui è successo il finimondo». «Stai calma» disse lui, consapevole che l'ultimo nascondiglio era stato violato. «Sono fuori, aprimi!» Lei aprì la porta piano piano, lui invece entrò con violenza e la richiuse immediatamente. Gianni spiegò a Tony che due ceffi si erano presentati alla porta dicendo di essere della Polizia, ma quando lui aveva chiesto di vedere i loro documenti, minacciando di telefonare al 113 per verificarne le identità, era successo di tutto. Avevano provato a forzare la porta lasciando segni evidenti, anche di sangue. Forse uno dei due si era contuso cercando di forzare la porta blindata a prova d'esplosivo, poi avevano tentato con le finestre, cercando inutilmente di frantumare i vetri antisfondamento, e poi, sopraffatti dal timore d'imbattersi nella legge, erano fuggiti. Non avevano chiesto niente in particolare, né tanto meno fatto nomi o cognomi che li legassero con certezza alle loro vicende. Anche quella volta non sembrava fosse gente del mestiere. Parevano delinquenti

improvvisati, gentaccia di basso costo assoldata con poche lire, e in fondo mandata allo sbaraglio, senza scrupoli né tanto meno paura di ritorsioni. In ogni caso anche quel posto non era più sicuro senza un buon servizio di vigilanza armata, e certo non poteva richiamare e ingaggiare a vita la squadra che aveva liquidato poco prima. Così l'unica cosa che potevano fare sarebbe stata tornare a Firenze, lasciando Gianni ai suoi compiti di avvocato, mettendogli alle calcagna un baby sitter di tutto riguardo, che potesse in qualche modo assicurargli una vita migliore. Tony non disse nulla della scoperta dei diamanti, e fece in modo di nascondere bene le altre sfere che aveva trovato in casa. Alla fine, l'unico posto che riuscì a trovare fu quello della vasca di decantaggio della piscina, interrata e ben protetta da occhi indiscreti, grossa come una media stanza d'appartamento, e con l'acqua profonda un paio di metri. Il fondo grezzo nascondeva quasi alla perfezione le sfere, e le rendeva invisibili a un occhio non attento ai minimi particolari. Insomma, per trovarle si doveva sapere che cosa cercare e dove cercare. In ogni caso fece un bagnetto proprio lì prima di depositare quell'ingombro, incautamente mise i piedi nudi sul fondo e sentì il dolore prodotto da un taglio netto nella pianta del piede. Nel giro di un attimo la vasca iniziò a tingersi di rosso, e lui, lesto, uscì dall'acqua per non mandare in piscina il suo sangue. “Santo cielo, il povero Giorgio non avrà mica disseminato la sua proprietà di diamanti!” pensò mentre tentava di arrestare il flusso di quel liquido rosso. La furia e la costante paura di essere colto sul fatto anche dai suoi amici, gli fece tagliare corto e mandò a fondo tutte le palle, tranne quella leggera, che decise di portare con sé a Firenze. A volte arrivava a pensare che tutta la vicenda potesse anche essere il frutto di un insieme di congetture e casi fortuiti, poi, quando pensava alle morti troppo accidentali e troppo concentrate attorno alla vita di Chiara, ritornava alla realtà e pensava di nuovo al peggio. In questo modo, forse, era sopravvissuto a tutte le vicende della sua vita: pensando sempre al peggio. A lavoro quasi terminato, mentre si accingeva a spegnere i motori della piscina e riporre tutte le attrezzature di rito, Chiara andò da lui dicendo: «Che cosa stai facendo? È più di mezz'ora che ti stiamo aspettando».

«Mettevo a posto le ultime cose, adesso possiamo andare» ribatté, schiacciando l'interruttore generale dell'energia elettrica che riforniva il motore di riciclo. Prese lei sottobraccio e si avviarono verso la macchina; Gianni si era preso la briga di metterla in moto e prese posto sul sedile posteriore. Il viaggio di rientro fu tranquillo, e più avano i chilometri, più Tony volle pensare che quell'ultimo attacco alla vita di Chiara fosse il frutto di un paio di balordi che avevano messo gli occhi su quella proprietà. Arrivarono a Pistoia e scaricarono l'avvocato proprio davanti a casa, dove lo aspettava non solo la famiglia, ma anche la sua nuova guardia del corpo, reclutata direttamente da Tony tramite un innominabile circolo vizioso di conoscenze. Lui e Chiara entrarono nell'appartamento a Firenze poco prima di cena, riscoprendo ancora una volta che il frigo era vuoto, e allo stesso modo anche la dispensa. Allora ordinarono un buon pasto al ristorante cinese e se lo fecero portare a casa. Nel frattempo fece un paio di telefonate di rito, in Inghilterra e al cellulare di Renzo, verificando che tutte le sue donne e i suoi vecchietti fossero in salute. Per fortuna tutte le risposte furono buone, e allora poté rilassarsi un attimo schiacciando un lieve pisolino sul divano. Il camlo di casa lo fece sobbalzare dal suo torpore, e mentre Chiara andava decisa alla porta per aprire, lui la fermò con un fischio. Lei si fermò senza girarsi e, alzando la mano destra, fece cenno di aver capito. Guardò dallo spioncino e poi aprì la porta a un cinesino di appena quindici anni, che le consegnò la cena. Erano a ridosso delle festività di Pasqua e la città si stava magnificamente colorando di marrone cioccolato. Da tutte le parti uscivano uova di tutti i gusti. Trovarono anche il coraggio per fare qualche eggiata per le vie del centro, alla ricerca di quella vita tranquilla e serena che ormai da un po' si erano dimenticati. A una donna del calibro di Chiara ora faceva invidia anche la casalinga, che aveva come unico impegno inderogabile il pranzo di Pasqua, a base dell'immancabile agnello. Tony la guardava stupito per come si fermava davanti alla bottega di generi

alimentari a spiare le signore che facevano la spesa, invece di imbambolarsi di fronte a una vetrina di questo e di quello stilista che proponeva la sua merce a prezzi faraonici. Il giorno della festività lo arono a Pracchia pranzando con la tata, Renzo e Ivana. Li aveva fatti ritornare dalla vacanza simil-forzata che avevano trascorso a Cecina Mare. Diciamo che era stata una sorta di carcerazione con le inferriate d'oro. I signori della Marina che gestivano quell'albergo a quattro stelle per ufficiali, non avevano badato a spese, li avevano trattati da nababbi. L'unico problema consisteva nel fatto che non potevano uscire dal perimetro della base. Tutto filava liscio, e per qualche tempo si lasciarono alle spalle le vicende negative fino ad allora vissute. Così le ore diventavano piano piano giorni, e tutto sembrava essere pericolosamente tranquillo. Troppo tranquillo. Comunque sia, il martedì successivo Tony prese il coraggio a quattro mani, e andò a cercare un medico che potesse fargli una radiografia della palla di roccia che aveva riportato dalla casa maremmana di Giorgio. Non fu facile spiegare le motivazioni di tanto interesse per quel sasso, comunque riuscì nel suo intento da un veterinario. Lo trovò alle prese con un cane meticcio che ne aveva prese di santa ragione. Attese che finisse il lavoro, e poi gli sottopose il problema. Il dottore parve poco convinto di quanto sarebbe andato a fare, e in fondo Tony ebbe la sensazione che fosse combattuto tra accettare l'incarico e chiamare la Polizia. Alla fine gli prese una somma di denaro sproporzionata per quel compito, ma lo eseguì con diligenza. La radiografia mise in evidenza il contenuto della sfera. Quello che vide Tony fu una sorta d'agenda rilegata, e probabilmente di pregio. Ringraziò il dottore e andò a spaccare il sasso per estrarre il contenuto; non poteva più attendere. Nel rompere la palla si accorse che mani esperte avevano fatto un restauro quasi perfetto dopo averla aperta e averci messo dentro quel libretto.

Mentre lo soppesava tra le mani, e l'osservava rincartato in una sorta di pellicola di plastica aderente che non lo avrebbe fatto bagnare in caso di contatto con l'acqua, rifletteva se aprirlo insieme a Chiara o farlo da solo, e poi valutare in seguito il da farsi. Tony non immaginava il suo contenuto, anche se poteva immaginare che trattasse delle sue memorie e delle sue volontà. Si chiese se avesse il diritto di aprire da solo quel plico, e si rispose con un “no” deciso. Allora riprese le sue cose e fece ritorno a Firenze, a casa di Chiara. Quando entrò in casa lei percepì lo stato di agitazione dell'uomo e gli chiese: «Che c'è?». Lui gli mostrò prima la radiografia e poi il libretto ancora sigillato. Lei capì in una frazione di secondo, e si sedette con quel fardello che aveva preso tra le mani, guardando e riguardando, nella speranza che suo padre potesse rinascere da lì. Rimosse piano piano la pellicola che lo proteggeva e ci volle attenzione per arrivare al cuore senza comprometterlo. Era in definitiva un quaderno foderato da una copertina di pelle chiara, color miele. Più tardi seppe che era pelle di impala conciata da donne africane. Nella prima pagina trovò scritto: “Il mio diario”. Poi Tony iniziò a leggere, e si fece trasportare da quel fiume di parole:

Cara Chiara, se leggerai questo diario in mia assenza, allora vorrà dire che sono morto e che non ho potuto spiegarti appieno quello che ho fatto, e forse mi sono accontentato di fare. Se ciò che ho immaginato è vero, allora accanto a te dovrebbe esserci un signore che corrisponde al nome di Tony, che hai conosciuto in Inghilterra per mia volontà, e che di certo hai iniziato a odiare dopo pochi attimi. Lui è stato un mio grande amico, e non ho alcun motivo di dubitare di lui.

La sua parola è un contratto, e sono sicuro che tiene più alla tua vita che alla sua. Se Tony è davvero con te allora vuol dire che è già stato, o siete già stati in Africa. Chissà se avete incontrato Sem… Se è così siete un bel o avanti, viceversa ci sarà da lavorare un po'. In ogni caso, Chiara, voglio che tu sappia che tuo padre non ha mai fatto del male a nessuno, si è arricchito sull'onda dell'enorme richiesta di unità abitative degli anni '70 e '80, e poi ha avuto la fortuna di condividere un piccolissimo pezzo di Africa con un bel mucchio di persone. Già, l'Africa, un posto tanto bello e selvaggio quanto ostile e malvagio. La fortuna che io ho trovato là non l'ho neppure quantificata, è ancora dove l'ho lasciata, e se non hai accanto Tony, probabilmente rimarrà lì. Parlandoti da un diario, devi capire che per me è difficile pensarti al sicuro, ed è inevitabile che io pensi che magari, invece del mio amico, ci sia con te un qualunque cacciatore di dote. Allora devo per forza costruire un labirinto, dove soltanto chi mi ha conosciuto bene sa dove entrare, e meglio ancora sa dove uscire. All'uscita c'è il premio, c'è il bottino. Quando ero vivo non abbiamo mai parlato di tua madre, e allora, con il senno di poi, lo faccio adesso, prendendomi sulle spalle tutto quello che viso a viso non sarei riuscito a prendere. La tua mamma era una donna molto dinamica ed energica, ma al tempo stesso fragile nell'animo, e con molta facilità cadeva in depressione. Il nostro rapporto si concluse quando nascesti tu. Unica figlia femmina di una casata con una grande tradizione di primogeniti. Il suo dinamismo l'ha logorata nell'animo e io la trovai un giorno, quando tu avevi cinque anni, nella vasca da bagno di casa piena di tranquillanti e whisky. Era affogata, svenendo per un collasso, nel bagno che pensava di fare. Mi dissi che si era preparata l'ultima evasione. Non ho la presunzione che tu mi creda, e non trovo forse le parole per spiegare il mio dolore per quella vicenda, fatto sta che oggi stiamo parlando da due dimensioni diverse, e se quello che ci dicono i preti è vero, allora io sono di

nuovo con lei. Forse la sua scomparsa è anche colpa mia. Sì, cara Chiara, sono in fondo io la causa della morte di tua madre. Io, uomo sposato e con un'altra famiglia, che mi sono lasciato trascinare nel vortice della ione con tua madre. L'ho riconosciuta come mamma di mia figlia, tu, ma non le ho mai concesso quel ruolo di moglie, e al tempo stesso di madre, che lei forse cercava. Oggi che la mia parola non può essere in alcun modo contraddetta, sono qui a dirti che mi sbagliavo, e che in fondo avrei dovuto soltanto vivere con lei, insieme a te. Questa è una sorta di riassunto di tutte le cose che avrei dovuto dirti e non ti ho detto mai. Sì, ti ho dato i soldi, che in fondo portano più beghe della povertà. Alla luce di tutto questo io ti invito al viaggio. Pensa a me come al rabdomante, pensa a me come a colui che fa tesoro di quel liquido meravigliosamente perfetto che è l'acqua. Questa è la porta del labirinto. Ora sta a te, o a chi è con te in questo momento, percorrerlo e trovare la via d'uscita. Il mio amore paterno rimarrà sempre immutato. Un giorno, più tardi possibile, potremo rincontrarci tutti assieme e rivivere il nostro tempo perduto, se ci sarà concesso. Ti voglio bene,

babbo

Una lacrima cadde sull'ultima pagina. Non era quella di Chiara ma di Tony, che leggendo ad alta voce le parole post mortem dell'amico si era commosso per l'amore che provava per sua figlia. E soprattutto sentiva quel senso di beata misericordia per quella confessione senza scuse, in cui si assumeva la gran parte degli errori che aveva commesso la madre di lei.

Chiara era rimasta incredula, forse aveva bisogno di rileggerle da sola per poter avvertire un qualsiasi sentimento. La mente di Tony era già avanti, abituato com'era a sopportare il dolore. Quale significato avevano quelle parole? In quale anfratto della sua vita Giorgio si era sentito un custode dell'acqua e un rabdomante? Domanda complicata, che sottintendeva una risposta altrettanto particolare. Lui guardava Chiara, che era rimasta con quel diario tra le mani e lo stringeva fino a far diventare le dita bianche. Tony non seppe mai spiegare se quella fosse stata una sorta di punizione, sia per lei che per lui. Quella notte sognò molto. Almeno così pensò al risveglio, che lo trovò arrotolato nelle lenzuola intrise di sudore. Il ricordo immediato che ebbe fu l'Africa, con quel monte di pietrisco dove al di là c'era l'improvvisato cimitero dei senza nome. Poi, mentre si stava iniziando a vestire, vide l'acqua contenuta nella vasca da bagno, e per similitudine ricordò l'acqua contenuta nella piscina della casa di caccia. Lì per lì non ci fece caso più di tanto, gli sembrò troppo facile e magari insignificante. Mentre si metteva il calzino del piede destro inciampò nella ferita che si era procurato nella vasca di decantazione, e allora un primo camlo di allarme iniziò a suonare nella sua testa. Fra le altre cose la ferita aveva ricominciato a sanguinare; lui vide il colore rosso del suo sangue e ne percepì l'odore. Trovò Chiara in cucina che aveva già iniziato le pratiche per una colazione a base di caffè, latte e le immancabili merendine confezionate, stracariche di qualsiasi schifezza. «Penso che dovrò ritornare alla casa di caccia» esordì lui cauto. «Innanzi tutto buongiorno! Perché vuoi andare da solo stavolta?» «Penso che ci stiamo avvicinando al bottino di tuo padre, e sarebbe sciocco a

questo punto rischiare» concluse lui infilandosi in bocca una mezza crostatina all'albicocca. «Rischiare che cosa?» domandò lei. «La tua vita e la mia direi» disse Tony, pacato e non sulla difensiva. «E io che faccio, ti aspetto a casa?» sbottò quasi per gioco Chiara. «No, tu te ne vai a Cliffe a trovare le mie donne». Lì per lì non commentò, poi mentre andava in camera disse: «Preparo le valige». Il giorno dopo Chiara era nelle mani capaci di Carlos, il poliziotto londinese e vecchio amico di Tony, che l'avrebbe scortata fino a Cliffe, direttamente nelle grinfie di Mamy. Tony era ormai libero e deciso a fare tutto il possibile per chiudere la vicenda, proprio nel momento della sua assenza. In fondo pensava che Giorgio avrebbe voluto così. Allora riprese armi e bagagli e fece ritorno alla casa di caccia del suo amico. Arrivò di mattina, a dire il vero era quasi ora di pranzo, e ancora una volta, seguendo le dettature del suo istinto, lasciò la macchina presa a nolo da una nota società di rent a car, e si diresse a piedi, con la sua attrezzatura a spalla, alla volta della casa. Arrivò in poco meno di un'ora. La casa non aveva l'aria di sembrare disabitata. Infatti il camino della cucina buttava un buon fumo denso e le finestre, almeno quelle al piano terra, erano aperte. Tony arrivò di soppiatto alla rete metallica del giardino, e per rendersi meglio conto dello stato delle cose, estrasse il binocolo militare dallo zaino e si mise a scrutare quello che facevano quegli impostori. Nella casa c'era una sorta di calma piatta. L'unica stanza che sembrava agitata era la cucina, dove due donne anziane stavano preparando qualcosa da mangiare. Nelle altre stanze tutto sembrava deserto. Per l'appunto, sembrava.

In sala un uomo sulla cinquantina, del tutto calvo, o ben rasato, stava ricomponendo il mobile principale. In un primo momento Tony si chiese che cosa stesse facendo, poi lo capì da sé. Presumibilmente aveva smontato l'intero arredo della sala e ora lo stava ricomponendo di nuovo. Lui pensò che quella fosse la famiglia che il povero Giorgio aveva accolto in casa sua a Firenze, e che alla fine era sparita come nebbia al sole. Mancava soltanto una donna all'appello, la più giovane. Mentre pensava a quella situazione, sentì il sibilo di qualcosa di grosso che andò a impattare la sua testa. Ebbe solo la sensazione che un liquido caldo sgorgasse dalla ferita, scendendo sul collo sottostante, poi perse i sensi, e quando si risvegliò lo scenario era cambiato. Sentì prima una sensazione di freddo, intenso per essere aprile inoltrato. Quella sensazione divenne una certezza con il are dei minuti e la riconquista della lucidità. Era stato rinchiuso in qualcosa di metallico un po' più grande di una vasca da bagno. Era bagnato e il freddo gli permeava il corpo. La situazione non era per niente bella. Aveva le mani legate dietro la schiena con una sorta di nastro adesivo che però, a contatto con l'acqua, aveva finito con il perdere la sua capacità collante e si stava sfaldando nelle sue mani. Fu quel piccolo particolare a salvargli la vita. Riuscì a liberarsi in un paio di minuti e poi, con l'ausilio delle mani, capì. Lo avevano murato vivo. Sentiva l'odore nauseante del cemento fresco e dei laterizi. Toccò quello che giudicò il muro della sua prigione e senza farsi prendere dal panico attese ancora un paio d'ore prima di fare forza sui mattoni e ribaltare il tutto. La nicchia di metallo che lo conteneva non era altro che un armadietto di riutilizzo, lasciato lì chissà da chi, e chissà per quale assurdo motivo. Non si trovava nella casa di Giorgio, bensì in una sorta di dependance che tra le altre cose conteneva gli attrezzi da giardinaggio e un bel barbecue. Accese subito il fuoco e si scaldò. Trovò l'occorrente per una buona grigliata nel piccolo congelatore della rimessa e allora mangiò. Cercò di pensare a chi lo avesse colto di sorpresa, e optò per la donna che mancava all'appello di quella macabra famiglia.

Riuscì perfino a staccare la tenda di un grosso ombrellone per scaldarsi meglio e asciugarsi di quel liquido gelido che non poteva essere acqua. Il lampo di genio lo ebbe quasi subito, non appena riacquistate le forze. Tornò sui suoi i e ricompose il muro che aveva in precedenza abbattuto, come se non fosse mai uscito da quel suo loculo improvvisato. Si permise pure di fare un lavoro di fino lisciando la parete. Ora sì che aveva il vantaggio della sorpresa. Tutto il resto poteva aspettare. I signori che stavano grufolando in casa di Giorgio, e che pensavano di aver messo a tacere un suo buon amico, continuando a fare i loro sporchi traffici, avevano sbagliato e di grosso. Tony si rese conto che avevano provato a murarlo vivo in una baracca a mattoni, lontano anni luce dalla casa e dal centro delle attività domestiche, in modo da non dare nell'occhio a nessuno. Aspettò che fosse notte e poi si diresse di nuovo verso la casa. Ovviamente non c'era più nessuno e tutto sembrava normale. Mentre rifletteva sulla normalità si toccò l'ammaccatura che aveva in testa, e guardando tra le dita il rosso del suo sangue, pensò che gliel'avrebbe fatta pagare. Nonostante avesse le chiavi e i codici degli allarmi, decise di non entrare per il momento, si limitò a osservare con la sua piccolissima torcia elettrica l'interno della casa. In sala era tutto ricomposto e le quattro pietre tonde erano dove le aveva lasciate. Tornò alla baracca che gli altri avevano deciso potesse essere la sua ultima dimora, e riuscì perfino a dormire qualche ora. Non fu un sonno profondo, ma almeno riuscì a riposarsi e a riprendere le forze. Pensò che ne avrebbe avuto davvero bisogno. Le prime luci dell'alba lo trovarono al bordo della piscina. Si mise ad aspettare l'allegra famiglia, ma quella mattina non vennero. Lui non si mosse fino alle dieci. Il sole caldo lo coccolava e in fondo, anche se perdeva un paio d'ore in più, che cosa contava? La stagione stava andando verso l'estate, e le piante intorno alla proprietà avevano messo le foglie, che erano ate da un verde tenue a uno più deciso. Tony si ricordò del diamante grezzo e dove lo aveva trovato, e s'incamminò

verso la zona della stanza sotterranea delle pompe della piscina. Disattivò l'allarme interno, ma non quello perimetrale. Delle scale di cemento portavano qualche metro sotto il livello del suolo, a pari del punto più basso della piscina. I motori e i filtri erano alla sua sinistra, mentre la vasca di decantazione, dove arrivava l'acqua di ritorno dalla piscina per essere poi filtrata, era a destra. Proprio in quella vasca aveva trovato il prezioso. Allora quasi controvoglia si spogliò e si fece un tuffo. In cinque o sei riprese controllò al meglio il fondo, che era pulito e non conteneva nulla, salvo qualche insetto ormai quasi sfatto dall'acqua e dal cloro. Allora si decise e uscì dalla vasca asciugandosi alla meglio, e mentre stava per fare ritorno in superficie, abbandonando ogni velleità di ricerca, posò gli occhi su due sifoni che erano addetti al filtraggio dell'acqua. Si trovò a sorridere all'idea che Giorgio avesse potuto mettere il malloppo proprio lì. Risalì le scale di cemento grezzo e quasi fuori, alla luce aperta, pensò che in fondo avrebbe potuto comunque dare un'occhiata. Fece un giretto per la proprietà aspettando la sera, in modo da non dare nell'occhio, e soprattutto per verificare che quelli che avevano provato a ucciderlo non fero ritorno sul posto del tentato crimine. Invece dopo mezzogiorno una macchina, sembrava una vecchia Y10 rossa, si affacciò al cancello della proprietà, e una donna giovanile e all'apparenza ben tenuta, saltò il cancello con maestria e si diresse a colpo sicuro, non verso la casa, bensì verso quella che avrebbe potuto essere la tomba di Tony. Lui era nascosto dentro una pianta bassa di albatro e lei gli ò a poco meno di dieci metri senza vederlo. La sentì dire al cellulare che tutto le sembrava a posto e l'interlocutore probabilmente gli rispose di venire via e veloce. Lei si diresse a o svelto verso il cancello, lo saltò dopo una breve arrampicata e tagliò la corda. Mentre faceva quel movimento le cadde dalla borsetta troppo grande e strapiena di un po' di tutto, compreso un librettino piccolo e scuro. Da lontano sembrava un porta documenti. Lei non ci fece caso e se ne andò, mentre lui lo raccolse e si ritrovò nelle mani la patente di guida della donna. Ora sapeva il suo nome, il suo cognome, e soprattutto dove abitava. Ora Tony era davvero sicuro che nessuno lo avrebbe più disturbato, e fece ritorno nei sotterranei della piscina. Provò a svitare a mano i bulloni che tenevano i filtri, ma dovette andare a cercare qualcosa di più adatto per compiere

quello sforzo. Nella cassetta degli attrezzi trovata nello stanzino trovò un paio di pinze e diverse chiavi inglesi. Non si limitò a prenderne qualcuna, prese tutta la cassetta. Dopo una buona mezz'ora riuscì a svitare i dadi di tenuta, e l'involucro contenente i filtri si aprì come un cocomero gigante. Al suo interno sembrava tutto a posto. Il filtro era composto da un insieme di anelli di un diametro di circa dieci centimetri. Quello che fece porre l'attenzione di Tony sulle ciambelle fu il fatto che fossero assolutamente pulite. Sembrava che qualcuno le avesse sostituite qualche giorno prima, o che dopo la loro sostituzione avessero filtrato pochissima acqua. Lui ne prese uno e lo trovò troppo pesante. Allora lo scaraventò a terra e il filtro andò in mille pezzi, liberando il suo prezioso contenuto. Anziché pieno di carboni attivi era pieno di diamanti allo stato grezzo. Ormai aveva imparato a riconoscerli e si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Per un caso imprevedibile aveva trovato il bottino. Levò tutti i filtri dai due contenitori e poi si diresse di nuovo in casa. Ebbe l'intera notte per liberare le pietre e dividerle in cinque mucchietti per grandezza. Poi li ripose in una valigetta trovata in casa, e la mattina seguente andò nella città più vicina, a Siena. Lì nessuno lo conosceva e poteva organizzare tutto in santa pace. Chiamò Mamy a Cliffe per sentire se tutto andava per il meglio, e poi si fece are Sally. «Devi farmi un vaglia on line di cinquemila euro. I soldi sai tu dove prenderli. Me lo manderai alle poste centrali di Siena. Non ti sbagliare e non ne parlare con nessuno, mi hai capito bene?» «Ovviamente» disse lei piano, e riagganciò il telefono. Chiara dormiva e le guardie del corpo mandate da Carlos non avevano mai rilevato nessuna minaccia. Aveva preso una stanza in un alberghetto nei pressi di Piazza Del Campo, con il bagno in camera e una buona vista su quella sorta di anfiteatro.

Il mattino seguente aveva i soldi contanti in mano ed entrò nella sede centrale del Monte dei Paschi di Siena. Aprì un conto corrente e depositò la somma inviata da Sally, inoltre affittò una cassetta di sicurezza e ci mise i circa due chilogrammi di diamanti grezzi che aveva estratto dai filtri della piscina di Giorgio. Mentre faceva ritorno all'albergo per una clamorosa dormita, pensava a come avesse fatto il povero Giorgio a trafugare dall'Africa tutte quelle pietre preziose. Non ci volle pensare più di tanto e dormì per quasi dodici ore. Il suo sonno fu in ogni caso disturbato da un insieme di sogni ricorrenti e senza una conduzione logica. Sognò Giorgio che aveva in braccio un bambino di colore, sognò Chiara seduta su una delle sfere di roccia che il padre aveva riportato dall'Africa, sognò un uomo di colore che mostrava un anello con un solitario, sognò quella famiglia che aveva tentato di ucciderlo, immobile davanti alla tomba di Giorgio. Si svegliò sudato e, contrariato dalla memoria di quell'incubo, si alzò lesto per infilarsi sotto la doccia. Il cellulare squillò e Tony disse: «Pronto, chi parla?». «Sono Carlos» disse. «Che c'è?!» disse lui, sentendo la voce triste e roca di quell'uomo. «Chiara è sparita» rispose. «Come sparita!» «Sì, ha preso l'auto di una delle persone che la stavano controllando e si è dileguata». «E tu che cosa hai fatto?» replicò lui. «Ho ritrovato l'auto nei pressi della costa sulla Manica e penso che si sia imbarcata verso la Francia, in uno degli approdi dei vacanzieri, come Le Havre o qualche altro porto turistico».

«Cazzo! Hai fatto un casino» disse Tony seccato, ma al tempo stesso consapevole del fatto che era quasi impossibile proteggere una persona che non voleva essere protetta. Ora si apriva una sorta d'attesa e di ricerca. Se in quella famiglia erano disposti a uccidere per entrare in possesso della fortuna di Giorgio, allora potevano tranquillamente uccidere anche Chiara. Forse il fatto più importante era che non disponevano di mezzi economici sufficienti per assoldare dei mercenari professionisti, e che tutto quello che era accaduto era soltanto per l'utilizzo di apprendisti micro-delinquenti. Tony dovette lasciare il suo nido a Siena e riportarsi a Firenze in prossimità dell'appartamento di Chiara. Riuscì ad affittare da una signora anziana una camera, di solito per gli studenti, che guardava proprio il “terra tetto” di lei. La macchina era al solito posto e la casa sembrava disabitata. La posta strabuzzava dalla cassetta delle lettere, e il vialetto d'entrata era tutto ricoperto da fogliacce e sporco vario. A giudicare da quella distanza nessuno ci aveva camminato sopra. Per il momento era abbastanza sollevato. avano i giorni e tutto rimaneva immobile. Il suo telefono non squillava, e più avano le ore e più le sue paure si facevano avanti in un ipotetico scenario, che prima o poi sarebbe divenuto realtà. Teneva tra le mani quel documento che gli indicava la residenza dei suoi possibili aguzzini, e prima o poi sarebbe andato a trovarli, se non per altro, per ringraziarli del garbo ricevuto. Poi una mattina, a metà maggio, una signora anziana ò più volte davanti a casa di Chiara. Dopo una decina di volte si decise a suonare il camlo, e quando nessuno aprì la porta, si fece coraggio, digitò i codici segreti degli allarmi ed entrò in casa. La signora commise un errore fatale. In un batter d'occhio Tony le era addosso come un cobra. La trovò in sala che curiosava tra le scartoffie della scrivania.

Lei non lo sentì neppure arrivare. Si fece la pipì addosso quando lui le chiese deciso: «Sta cercando qualcosa di particolare?». La signora riprese il suo contegno, pensando che l'assorbente per le incontinenze di urina avesse fatto il suo lavoro e disse: «Chi è lei? E che cosa vuole in casa mia?!». Tony stette al gioco e composto, ma ancora deciso, disse: «Questa non è casa sua!» La signora, che ormai sguazzava nel liquido ambrato, disse quasi disperata: «Se non è mia sarà di mio marito. Non abbiamo soldi né oggetti preziosi, quindi mi lasci in pace». «Andiamo signora!» disse Tony seccato da quell'ignobile farsa. «Questa è la casa di Chiara… Rocca Della Bruna aggiungerei, e lei è una sorta di truffaldina ipocrita». La signora, della quale non seppe mai il nome, fece un cenno d'assenso e fece per lasciare la stanza. Lui la fermò sulla soglia, e vedendola vecchia e ormai alla soglia della sua vita, non volle infierire oltre e le disse quasi sottovoce: «Dica alle persone che sono con lei, che da questo momento non sarò più permissivo, e quello che metteranno sul piatto sarà la loro vita come la mia». Alzò lo sguardo, la guardò dritta negli occhi e continuò: «Chissà, magari la signora di questo documento d'identità è sua figlia, e magari la foto del bambino che c'è nel retro è quella di suo nipote. Non scherzate con me, io sono il diavolo!». La donna fece con la testa un cenno d'assenso e poi capì che lui le aveva dato l'ultimo permesso per uscire definitivamente dalla sua vita. Non si voltò più e andò lenta verso l'uscita di quella casa che forse conosceva già troppo bene. Che risultato avrebbe ottenuto con tutta quella manfrina? Chi lo sa? Nel suo intento pensò che fosse l'unico modo per rimescolare un po' le acque, e

far emergere le vere intenzioni dei suoi avversari. In effetti, pensò Tony, non aveva avuto ancora un contatto reale con quelle persone, a parte il fatto che lo avrebbero volentieri murato nella casa di caccia, e forse non aveva ancora ben chiare quelle le loro idee. Comunque sia, la donna aveva dimostrato di avere paura e molta. Lui tornò sui suoi i, richiuse casa, pensando in fondo che loro potevano non essere i soli che volevano la dote di Chiara, e tornò di buon grado nella camera dell'appartamento che aveva affittato. Pensò ai contrasti e alle conseguenze che Giorgio aveva causato. Chissà… se avesse immaginato tutto questo magari non lo avrebbe fatto. Leggendo il suo diario tutto gli appariva chiaro: lui era solo, e in una sorta di stravagante idiosincrasia non si fidava più di nessuno, nemmeno di sua figlia. Tanto da aver programmato un tragitto che l'avrebbe condotta tra le mani dell'unica persona che, in una sorta di religiosa amicizia, l'avrebbe aiutata senza condizioni. Di fatto tutto quello che Tony stava pensando in quel preciso momento si era avverato. Giorgio aveva ordito così bene la sua strategia che anche lui, trovatosi nella mischia, aveva fatto fatica a capire. Lui sapeva già. Sapeva di dover lasciare questo mondo prima del tempo, sapeva di dover progettare una strada maestra per sua figlia e sapeva, appunto, di dovergliela costruire accanto a lui. In fondo Tony era l'unico che avrebbe potuto difendere sua figlia fino alla fine. Giorgio sapeva e Chiara invece no. Per lei era tutta una novità. Per loro, dai rispettivi posti di combattimento, era tutta una conseguenza. La casa rimase desolata e senza che nessuno ci fe visita per alcuni giorni, finché Tony si decise, lasciò libera la signora che gli aveva affittato la camera di fronte e fece ritorno in quelle stanze.

La segreteria telefonica era piena di messaggi di gente che, a pieno titolo o no, voleva infilare le mani nel portafoglio di Chiara. Lui si divertì a richiamare quelli che avevano lasciato il numero di telefono, sconsigliandoli, in qualità di tutore legale, di richiamare di nuovo. Nessuno di quelli che raggiunse per telefono gli sembrò offensivo, allora non calcò la mano, e alla fine fece quasi trapelare una possibilità di riaggancio. Le giornate trascorrevano lente e monotone. Nulla aveva mai oscurato i suoi pensieri, a parte il fatto che Chiara fosse sparita, e che nessuno avesse avuto sue notizie. Volle credere che la sua scomparsa fosse una sorta di rivincita verso un mondo che le si era rivoltato contro, dopo la morte improvvisa di suo padre. Più avano i giorni più la sua speranza si affievoliva, e credeva di essersi sbagliato di grosso. Sentiva soltanto le notizie al telegiornale, con la speranza di non dover mai alzare lo sguardo e correre all'obitorio. Una mattina, mentre eggiava nei dintorni della casa, fu avvicinato da due soggetti che in un altro tempo avrebbe definito dei servizi segreti, che in modo subdolo gli fecero capire che conoscevano la sua storia e quella di Chiara. Lui ne prese uno per il collo e tenne l'altro a distanza puntandogli la pistola alla testa. Quello libero dalla presa si affrettò a dire la frase di rito: «Lo lasci o fra un minuto sarà tutto pieno di polizia qui!». Tony lo guardò incredulo e gli disse: «Andiamo! Che cosa crede che abbia fatto negli ultimi quindici anni della mia vita?». E poi guardando quello che aveva tra le grinfie continuò: «Secondo lei io sono o no un militare?». L'uomo, che con il are dei minuti era divenuto cereo, fece cenno d'assenso con la testa e poi si rassegnò al suo ruolo di preda. Anche il suo compagno abbassò la difesa e gli fece cenno di lasciarlo, che non sarebbe successo nulla. Tony lo fece, ma mantenne la pistola in mano ancora per un po'.

Non è che non fosse tranquillo, quella situazione era sotto controllo, in un posto abbastanza affollato, soltanto in due ad affrontarlo, pensò che tutto sommato la partita poteva dirsi già chiusa. Si sedettero su due panchine una di fronte all'altra. Il più anziano dei due prese la parola e disse: «Lei, signore, ci ha causato un bel po' di problemi». «Non vedo quali… e poi sono stato per gran parte del tempo a casa mia, nel Regno Unito». Lui si riferiva ai tempi trascorsi, quando si divertiva a dare smacco alla sua vita, ando le dogane dei più impensati paesi senza mai essere rintracciato. «Già!» rispose quello che si massaggiava il collo dopo la stretta. «Allora che cosa volete da me?» disse lui. «Da lei non vogliamo niente, magari avremo qualcosa da chiedere alla sua protetta, la signorina Chiara Rocca Della Bruna». «Non so dove sia in questo momento e certamente non me ne frega un fico secco» azzardò Tony per verificare lo stato delle informazioni dei due. Poi decise di aggiungere qualcosa di più reale e più terreno: il denaro. «Anzi, se la trovate, ditele che mi deve ancora un sacco di sterline!». «A noi pare che lei invece ne sappia più di quello che vuole farci credere, e che sappia benissimo dove si è cacciata la sua protetta, se così la vogliamo rappresentare». Il più anziano aveva detto parole un po' troppo azzardate, si era tradito in maniera banale, e aveva fatto sapere a Tony la loro conoscenza dei fatti, magari soltanto di quelli salienti, ma comunque dimostrava di essere informato. Tony spiegò in tutta sincerità che da qualche giorno aveva perso le tracce della donna, che forse era rientrata in Italia clandestinamente, o magari lo aveva fatto alla luce del giorno ed era ata inosservata. Uno dei due alzò il cellulare e fece una richiesta che sarebbe stata inoltrata verso

tutti i punti d'approdo provenienti dall'Inghilterra. «Lei proprio non capisce nulla!» sbottò Tony. «Che cosa vuole dire?» fece quello anziano che cominciava a fraternizzare con lui. «Voglio affermare che non è partita dall'Inghilterra come dite voi. Ha cambiato Stato in poche ore e poi è rientrata in Italia. Lei è già qui!» Li guardò dal basso verso l'alto e poi pensò che erano davvero dei somari. Di sicuro non sapevano degli ultimi sviluppi, non erano a conoscenza dei diamanti e non sapevano della tenuta di caccia. I pensieri di Tony andavano in onda davanti ai suoi occhi alla velocità della luce, e con il are dei secondi decise di provare a tendere una piccola trappola ai suoi avventori, per verificare quello che cercavano, e soprattutto ciò che sapevano. «Avanti, ditemi… cosa sapete che io non so?» disse lui con fare affabile, e cosciente del caos che avrebbe scatenato. In fin dei conti era inevitabile arrivare fino a quel punto. Si sarebbe in fondo aspettato un coinvolgimento statale o militare, ma non così blando e sciagurato. Sembrava che tutti volessero lasciare quel caso nell'oblio, e nessuno, proprio nessuno, se ne volesse curare. Quello più giovane guardò deciso l'anziano in volto e poi prese la parola, magari dopo l'assenso più o meno vistoso del collega. «Noi non sappiamo nulla. Ci hanno messo su questo caso appena trasferiti qui da due posti diversi e alquanto distanti. La lettera d'ingaggio, se così la vogliamo chiamare, parla di una donna, ereditiera di un'immensa fortuna, scomparsa, e che forse l'unico anello di congiunzione sei tu». «Banale, direi!» disse Tony. A pensarci bene il suo fascicolo d'informazione ne avrebbe date molte di informazioni. Non disse nulla, si limitò a chiedere ulteriori notizie sul caso. Ormai i due pendevano dalle labbra di quell'uomo, che nella sua vita ne aveva convinta un bel po' di gente a parlare.

Tony percepì quella situazione e allora divenne più paterno, più docile, e si permise pure di offrire due buoni caffè ai suoi nemici-amici. Alla fine gli raccontarono tutto. O per meglio dire, gli raccontarono quella che era la verità scaturita da uno zelante uomo dell'agenzia delle entrate, che aveva fatto un controllo incrociato sulla posizione di Giorgio. I flussi di denaro che dopo la sua morte portavano verso la figlia, erano sfociati in un'indagine a tutto campo sulla famiglia intera. Il risultato era stato interessante: beni mobili e immobili per decine di milioni di euro, il tutto regolarmente detenuto. Poi in un paese, che non era neanche un paradiso fiscale, una cassetta di sicurezza in una banca africana di Harare. L'accesso quasi impossibile, tranne che per il titolare che sfortunatamente era deceduto. Il caso volle che le chiavi della cassetta di sicurezza fossero diverse, per volontà del titolare. La banca possedeva la chiave, e l'altra carta d'accesso era lo stemma, che per forma o dimensione poteva essere un anello o qualcosa di simile. Tony non lasciò trapelare nessun sentimento da quelle parole, ma gli venne subito in mente l'anello che lui aveva asportato in occasione della riesumazione forzata. Quell'anello, con quel cammeo che forse poteva anche essere un corallo, montato su di una base di oro, scolpito in modo quasi geometrico, aveva intrigato anche lui, ma poi lo aveva lasciato, come reliquia, nelle mani del medico legale indicato da Gianni. Quel medico legale che però non si era fatto più sentire, e anche Gianni stesso aveva dato forfait. Tony congedò i due apprendisti al lavoro e si fece dare i numeri di cellulare per tenerli informati circa le vicende di quella storia. Informazioni che non gli avrebbe ato mai, anzi, forse lo avrebbe fatto con il dovuto ritardo. Informò i due signori delle sue precedenti esperienze di lavoro con i vari servizi segreti di mezzo mondo, bluffando anche un po', ma ottenne il risultato sperato, perché i due andarono per la loro strada senza voltarsi mai.

Alle dieci del mattino successivo era a Pistoia, travestito da barbone, davanti alla porta d'ingresso dell'ufficio di Gianni. Varie persone gli arono accanto e soltanto qualcuna provò misericordia per lui, lasciando qualche spicciolo. Uno dei tanti tornò poco dopo con un pane e una decina di scatolette di carne mista. Tony lo ringraziò, e vide nei suoi occhi la tenerezza di uno di quelli che lo fa per il gusto di volerlo fare. Era un giovane uomo e lo guardò andare via, finché svoltò l'angolo e la sua vita, di certo, si sarebbe scontrata con quella di qualcun altro. Quella mattina Gianni non arrivò allo studio. La sua segretaria e il praticante, che più avano i giorni e sempre meno aveva l'aria da praticante, furono puntuali, ma lui no. Quel giorno non ebbe il coraggio di chiamarlo al cellulare. Rimase lì tutto il tempo, sperando di vederlo apparire da un momento all'altro. Il giorno seguente Tony era di nuovo lì e stavolta il suo amico avvocato arrivò. Entrò negli uffici prima di tutti e Tony si alzò dal suo nascondiglio, si levò gli stracci di dosso e suonò il camlo. Nessuno rispose, come se nell'ufficio non fosse ancora arrivata la segretaria. Tony prese il cellulare e gli inviò un messaggio: “Sono fuori della porta, aprimi!”. Il relais della serratura fece immediatamente il suo tac e la porta si aprì. Tony entrò e richiuse subito la porta. Gianni non sembrava turbato dalla sua presenza, in fondo se la sarebbe aspettata prima o poi. Lo salutò, lo baciò e poi lo fece accomodare nel suo ufficio. Saltò di forza i convenevoli e disse: «Le notizie che ho non sono belle e non avrei voluto dartele. Comunque, già che sei qui, ti metterò al corrente della situazione». «Va bene, amico mio» disse Tony, come a ribadire il suo rapporto con l'avvocato. Il suo obiettivo era di rientrare in possesso dell'anello di Giorgio.

La fiducia e la sfiducia erano concetti che al momento gli sfuggivano, e lui doveva trovare la strada di casa. Gianni affermò che il medico legale aveva fatto una sorta di perizia sui resti del cadavere a lui consegnato, e aveva trovato una cosa interessante. Probabilmente, il povero Giorgio era stato prima trattato con un farmaco rilassante, quelli che si usano per dormire, poi, pensando a un arresto cardiaco, era stato sollecitato con un altro farmaco per aumentare di colpo la pressione e i battiti. Il risultato era come avere una macchina che va a benzina, e di colpo immettere nel suo motore nitroglicerina. La botta era assicurata. E infatti non il cuore, non il sistema cardiocircolatorio, bensì quello cerebrale del povero Giorgio, non aveva retto alla differenza di potenziale. Tony ascoltava in silenzio l'amico avvocato e capiva che in fondo la macchinazione sulla pelle di Giorgio c'era stata, e alla grande. Non aveva ancora chiaro come avevano potuto raggirarlo quelli che poi l'avevano ucciso, in fondo era un uomo di guerra, uno che ne aveva viste di faccende. Tony ruppe gli indugi e disse: «Ho bisogno di rientrare in possesso dell'anello che era insieme al dito». Gianni, senza neanche ribadire, andò alla libreria dietro di sé, aprì un libro che conteneva una sorta di incavo ed estrasse un piccolissimo fagotto. Lo dette all'amico e disse: «È sempre stato qui, il medico me lo riconsegnò poco dopo il nostro incontro. Sapevo che prima o poi me lo avresti richiesto. Che cosa ne devi fare, se non sono indiscreto?» chiese. «Per prima cosa devo verificare alcune informazioni che mi sono pervenute, poi lo renderò alla persona che ne ha il pieno diritto». «Non voglio sapere nulla! Basta che non ti metta nei guai» disse lui, quasi congedandolo con un po' d'imbarazzo. Tony percepì appena quella sorta di presa di posizione ma non disse nulla, e si

alzò per uscire dall'ufficio. Il suo cellulare privato iniziò a suonare, e vide che era il numero di Chiara. «Pronto!» disse, pensando di non dire altro finché lei non si fosse fatta riconoscere. Dall'altra parte una voce femminile, che non era di Chiara, disse: «Mi ascolti bene, noi sappiamo che lei ha il malloppo e sa dove trovare il resto, se vuole che Chiara torni sana e salva a casa deve consegnarci il tutto entro quarantotto ore!». «No!» rispose lui, e chiuse la conversazione telefonica. Poco dopo il cellulare suonò di nuovo e la solita voce disse: «Questa volta non riagganci, o non la vedrà più!». Tony rifletté un attimo e disse: «Voglio parlare con lei prima di qualsiasi ulteriore discussione, o i soldi ve li potete anche dimenticare. Se avete lei e vi ha detto chi sono, potrei sparire anche per una paio di anni e voi non mi trovereste neanche con il lanternino. Sono stato chiaro?». «Stia calmo signor Tony, la faremo parlare con Chiara a tempo debito. Lasci il cellulare, ci rifaremo vivi noi». La conversazione fu interrotta e Tony imprecò per il complicarsi delle cose. Da quelle poche parole aveva capito che loro effettivamente avevano in mano lei, ma non sapevano niente di preciso sul malloppo di Giorgio. Al contrario sapevano che lui si chiamava Tony, e allora Chiara aveva dovuto parlare. Sapeva di dover tornare in Africa per vedere il contenuto di quella cassetta di sicurezza, e al tempo stesso sapeva che era improponibile lasciare il paese finché non avesse saputo con certezza lo stato di Chiara. Chi avrebbe potuto aiutarlo a ritrovare le tracce di lei? E soprattutto, chi era la talpa in tutta questa situazione? Lui pensò che non poteva trattarsi di altro. Tornò a Siena, e riprese possesso della solita stanza di quell'albergo che lo aveva già ospitato. Lì non lo conosceva nessuno e si sarebbe mosso indisturbato.

Telefonò a Carlos e chiese se era possibile rintracciare la posizione di un telefono cellulare in Italia. Gli disse di sì, e che forse poteva anche fargli sapere i numeri vincenti della lotteria di capodanno a Londra. Ovviamente si stava prendendo gioco di lui, e ridendo disse che era quasi impossibile. Ci sarebbe voluta una rogatoria internazionale e sarebbero ate minimo due o tre settimane, ma poi si sarebbe dovuto spiegare il motivo di tale richiesta. Motivo del tutto inesistente. Infatti, riflettendo su quello che aveva appena chiesto, pensò non c'era motivo, e perciò dovette fare quello che non avrebbe voluto. Tirò fuori la minuscola agenda che teneva nel portafoglio e trovò il numero di telefono. Era un numero speciale, di quelli che non esistevano, e se si componeva per sbaglio, una voce registrata diceva che era inesistente. Se a quel punto da un telefono in multi-frequenza si digitava il codice segreto, allora la conversazione partiva e si raggiungeva il destinatario. «Tony, quanto tempo che non ci sentiamo, a cosa devo questa telefonata?» «Signor Ministro, la chiamo per ricevere quel favore che lei mi promise un po' di anni fa, si ricorda?» disse lui. «Sì, ricordo, ma adesso non sono più Ministro… comunque dimmi, come posso esserti utile?» «Vorrei che lei mi rintracciasse la posizione di questo numero di telefono» disse lui dettandogli le cifre. Il tizio dall'altra parte del filo rimase un po' in silenzio e poi disse: «Vedrò quello che posso fare. Non ti prometto nulla, ma credimi, farò tutto quello che mi è possibile. Chiamami domani» concluse, fiducioso di quello che stava dicendo. «Lo so, e la chiamerò. Grazie» rispose Tony, e chiuse la conversazione. Il suo cellulare suonò di nuovo, forse erano ancora loro. «Pronto» fece secco. «Sono io» disse Chiara.

«Come stai?» «Per ora bene, ma mi dicono di importi di fare quello che vogliono o saranno guai». Poi sentì una sorta di colluttazione e la voce della donna con cui aveva a che fare riprese la conversazione. «Io l'ho accontentata, signor Tony, adesso per il bene di Chiara ci accontenti lei». «Va bene… ma prima devo ritornare in Inghilterra a chiedere alcune cose, mi occorre un po' di tempo». «Non tiri troppo la corda, noi le concediamo cinque giorni a partire dalla mezzanotte di stasera, e poi la sua amica morirà. Mi creda, non lo dico per finta, tra cinque giorni io la chiamerò, se lei sarà ragionevole tutto potrà finire nel migliore dei modi, altrimenti non ci sentiremo più» disse la donna. «D'accordo» disse lui, e riagganciò la conversazione prima che lei potesse aggiungere altro. In fondo aveva ottenuto il risultato sperato. Aveva calcolato che in due giorni sarebbe andato e tornato dall'Africa, e negli altri avrebbe dato la caccia a quegli impostori e forse liberato Chiara. Lasciò Siena e si diresse alla volta di Roma, per volare fino ad Harare. Aveva speso già un patrimonio per viaggiare in aereo, e allora decise di farlo ancora una volta in businness class. Prima di imbarcarsi sul volo della Lufthansa telefonò al suo contatto segreto, che lo informò di avere bisogno, al massimo, di trentasei ore per dargli quelle informazioni. Nei suoi conti, in funzione del tempo, decise che ce l'avrebbe fatta e partì tranquillo. Questa volta il volo fu diretto e poté anche riposare per tre o quattro ore. Una hostess lo riportò alla luce quando lo svegliò, al fine di fargli indossare le cinture di sicurezza per l'atterraggio.

Cercò e trovò Sem nel solito posto, e lui quando lo vide disse di nuovo: «Io ti vedo!» e si mise una mano sul cuore. Mangiarono insieme, uno di fronte all'altro, come in un rituale che voleva rinsaldare quel legame, in uno dei migliori ristoranti della zona, con uno stuolo di camerieri di colore che guardavano con invidia Sem, e altrettanti bianchi che guardavano con disprezzo Tony. Probabilmente si sentivano tutti e due un po' in imbarazzo di fronte a quelle facce incredule, ma poi con il are delle pietanze e dell'alcol ingerito, tutto sembrò più tranquillo. Finirono la serata in un locale per soli uomini, a trangugiare birra e rum. Il mattino seguente li trovò entrambi addormentati sul divano dell'albergo che avrebbe dovuto ospitare Tony, finiti in una sorta di coma etilico. Andarono in camera per il solo motivo di fare una doccia e riprendere il bagaglio dell'inglese, poi con un taxi si mossero entrambi alla volta della banca. Il direttore della IBE, International Bank of Emirates, era un letterato del posto conosciuto da Sem, e per questo facilmente acquistabile. Condusse Tony nel caveau della banca, e insieme aprirono la cassetta di sicurezza. Lui con l'anello di Giorgio e il banchiere con la chiave. La regolarizzazione delle scartoffie per l'accesso a quella scatola venne eseguito con un bonifico on line di cinquemila sterline, da un conto di Tony in Inghilterra su un conto cifrato del tizio corrotto, di una banca commerciale con sede in una delle meravigliose isole Caiman. Il contenuto della cassetta sbalordì perfino Tony. Quattro fogli A4 scritti a mano dicevano così:

Questo è probabilmente l'ultimo baluardo del grande segreto della mia ricchezza. Se colui che ha avuto accesso a queste informazioni non sono io, allora vuol dire che sono morto. Se la persona che legge questi fogli è un amico, come io penso che sia, spero che vorrà proteggere mia figlia anche da quello

che sto per dire. In caso contrario prendete la ricchezza, ma vi prego di lasciare in vita mia figlia. Consideratelo come il mio ultimo desiderio prima della morte, che potrebbe essere anche stata causata per mano vostra. Caro Tony, amico leale e fraterno, come ben saprai dopo la mia piccola rivoluzione africana, di cui ti avrà parlato Sem, ho riportato in Italia cinque geodi di roccia il cui contenuto mi ha davvero lasciato senza parole. Donati da un popolo massacrato e distrutto da una sorta di schiavitù, sono diventati per me una sorta di enorme contenitore di denaro. Un giorno, mentre facevo dei lavori in casa, mi è capitato di spaccarne uno con uno scaleo che gli è rovinosamente caduto addosso. Il suo interno era zeppo di diamanti allo stato grezzo. Ne ho fatti valutare alcuni e ti posso garantire che l'intero bottino vale un'immensa fortuna. Vorrei che potessi ridare un po' di soldi anche a chi, consciamente o inconsciamente, me li ha donati. Di' a mia figlia che le ho sempre voluto bene, e spero davvero che sia tu il lettore di questo mio ultimo capitolo.

Giorgio

Insieme ai fogli c'erano anche una mazzetta di dollari da cento e una pistola di piccolo calibro, per il “non si sa mai”. Tony rimise tutto il contenuto nella cassetta, tranne i soldi, che avrebbero potuto fargli comodo. Poi uscì dalla banca e si fece accompagnare da Sem all'aeroporto per prendere il primo volo per l'Italia. Salutò quell'uomo di colore quasi come fosse un addio, e gli mise in mano quella mazzetta di dollari proprio prima di salire sul volo. Tre giorni dopo la sua partenza era di nuovo in Italia, a Pisa. Appena espletata la burocrazia lasciò l'aeroporto in taxi, alla volta della stazione ferroviaria. Mentre era in viaggio telefonò al suo contatto per sapere se avesse avuto quelle informazioni. L'ex Ministro disse di aver già inviato il file completo al computer del suo

ufficio, e lui lo ringraziò. Alla stazione fece una sosta in un internet point, ed ebbe accesso alla sua posta elettronica. Stampò in contenuto del file e lesse quello che c'era scritto. Il cellulare che lo stava chiamando non si era spostato, negli ultimi dieci giorni, da una cittadina della bassa Inghilterra di nome Cliffe. Lo stavano fregando. Chiara non era mai scappata, e c'era un complotto che forse poteva interessare lo stesso Carlos. I dati davano proprio come indirizzo la casa di Mamy. Possibile che anche lei, e forse Sally, fossero coinvolte in quell'affare? No. Non poteva essere vero, conosceva quelle persone da troppo tempo. La valutò una sconfitta della ragione, mentre mestamente si avviava sul binario tre che lo avrebbe condotto a Firenze e poi, cambiando treno, a Pistoia. Aveva soltanto due giorni per tornare a Cliffe, e per verificare chi stesse facendo il doppio gioco. Il tempo gli stringeva il collo quasi in modo insopportabile. Pensò che forse le sue donne fossero tutte e tre vittime di un complotto, piuttosto che parte attiva del medesimo. In fondo non ce ne sarebbe stata ragione. A Pistoia noleggiò una vettura all'Avis e partì, destinazione Normandia. Nessuno avrebbe immaginato che lui arrivasse dalla Francia. Guidò per quasi dodici ore di fila, poi si fermò in un'area di servizio vicino a Parigi. Dormì due ore abbondanti e poi, dopo avere rifornito l'autovettura di carburante e il suo stomaco di zuccheri, si rimise in marcia. Cinque ore dopo era su uno dei traghetti che lo avrebbe condotto da Le Havre, in Inghilterra. La traversata sarebbe durata altre cinque ore, e un giorno dei due che rimanevano per l'ultimatum sarebbe trascorso. Quella manciata di ore, confortate dalla possibilità di affittare, sul traghetto, delle piccole camere da letto, furono per le sue membra rinfrancanti.

Dormì ancora della grossa, mettendo la sveglia sul cellulare. Sognò un po' di tutto, poi il suono convulso dello strumento lo fece sobbalzare dalla cuccetta della cabina, e vide che già i marinai erano intenti alle manovre d'attracco del barcone al porto. Un'ora dopo era di nuovo sulla terraferma, e partì subito alla volta della casa di Mamy. Era accecato dalla rabbia di un possibile tradimento e non vedeva l'ora di sfatare o di confermare quell'incubo. Il tempo per lui assumeva caratteristiche legate al riposo, al rifornimento della macchina, all'ultimatum. Ormai il giorno sembrava uguale alla notte e la sera al mattino. La palla infuocata che lo guardava di giorno, e quella pallida, eterea, che lo osservava di notte, erano quasi elementi indesiderati per lui. Comunque sia, dopo altre quattro ore di macchina si trovò a una decina di chilometri da Cliffe, allora si fermò a riposare e a riprendere il controllo di se stesso e delle cose. Mentre rifletteva sul da farsi e sui possibili scenari che avrebbe potuto incontrare da Mamy, il suo cellulare iniziò a suonare. Erano loro, con un anticipo sulla tabella di marcia di sei ore. «Pronto» disse lui, in apparenza distaccato. «Buonasera signor Tony» disse la voce femminile che già aveva avuto la sfortuna di sentire. «Mi dà delle buone notizie, vero?» «Sì. Ho le chiavi d'accesso al gruzzolo, ma prima di parlare oltre voglio una prova che lei sia ancora viva». «L'avrà, stia tranquillo». La tizia riagganciò; dopo appena un paio di minuti il telefono suonò ancora e questa volta era Chiara. «Tony, sono io. Sto bene, mi trattano bene, ma cerca di fare quello che ti chiedono altrimenti mi uccidono».

La conversazione cadde di nuovo e poi il telefono suonò ancora. «Tra ventiquattr'ore ci troviamo a Firenze, in centro, nel loggiato davanti all'ingresso degli Uffizi». «Perché non subito!» disse Tony bluffando, scommettendo in fondo sulla vita di Chiara. Sentì la donna titubare e poi dire con una nota tremula, quasi stridula, che dimostrava uno stato di tensione: «Adesso non è possibile. Devo fare le mie ricerche e le mie verifiche prima di avvicinarmi a lei. Lo so, o perlomeno ho saputo, della sua pericolosità e del suo ato. Domani alle sei». La conversazione venne chiusa mentre Sally tentò di dire qualcosa, ma lui non riuscì a capire. Era più un grido soffocato che altro. Comunque sia la voce di Sally fu evidente, e allora ebbe la certezza che fossero davvero lì a Cliffe. Percorse altri sei chilometri, e quando iniziò a riconoscere i posti che aveva in ato frequentato con Flash, si fermò, nascose la macchina in una strada parallela alla provinciale e proseguì verso casa a piedi, attraverso i campi. Già, lui avrebbe detto così a quel cane, amico di tante battaglie di caccia: «Andiamo a casa». L'imbrunire gli dette la giusta penombra per avventurarsi in quelle macchie, fra i muretti di confine tra una proprietà e l'altra. Senza indugi, dopo le nove era in vista della casa. Arrivò dal laghetto, come se tornasse da una battuta ai germani. Le luci erano accese e Mamy in cucina stava preparando da mangiare. Sembrava che tutto fosse a posto e che nessuno fosse in pericolo, poi girando intorno al fabbricato notò che Chiara e Sally sedevano sul divano, e un tizio calvo le teneva d'occhio con una pistola in mano. Tornando sui suoi i trovò Mamy ancora in cucina, e da un'altra prospettiva poté vedere la donna che la teneva sott'occhio, per fortuna disarmata. Era anziana, e poteva essere forse una sua coetanea. Era grassottella e con gli occhiali, fatta quasi come un fiasco. Mentre osservava la scena nel silenzio, sentì dal piano di sopra una voce che

diceva: «Nani? Tutto a posto con le nostre amiche?». Riconobbe subito la voce della donna. Era quella che gli parlava al telefono. Si stava già strofinando le mani, mentre pregustava la punizione che avrebbe inflitto a tutti, quando Carlos fece il suo ingresso in sala dicendo: «Voi tre partite per l'Italia, io rimango qui con le donne. Assolderò qualche giovane aiutante finché non sarà tutto finito». Come aveva fatto Carlos a conoscere quei soggetti sgradevoli, e poi quale strana alchimia lo aveva portato a tradire un compagno d'armi? Non ci volle pensare in quel momento, doveva essere lucido per i giorni avvenire. Ritornò verso lo stagno, ormai le sensazioni che aveva avuto erano state confermate, e anche chi fossero i nemici era chiaro. Doveva mettere a punto un piano di difesa e uno di attacco, per liberare Chiara e le sue donne. Le nebbie si stavano forse diradando e qualcosa cominciava a delinearsi nel groviglio di quella vicenda? Tony si mise a debita distanza preparandosi al balzo felino, e nel cuore della notte vide l'allegra famiglia lasciare in tutta fretta la tenuta di Cliffe. Nel minuscolo zaino, nero come il suo vestiario, aveva tutto l'occorrente per poter partecipare a un'incursione dei navy seals. In fondo li aveva conosciuti, e per un piccolissimo ma utile periodo di tempo aveva vissuto nella loro base. Carlos e un paio di scagnozzi che erano arrivati dopo cena rimasero in sala, mentre le tre donne vennero rinchiuse in una delle stanze al secondo piano. Era la camera che Mamy dava in affitto ai viandanti di aggio. Tony si mosse furtivo nella notte e in un paio di minuti arrivò alla porta di cucina, lasciata scioccamente aperta. Entrò di nascosto nella casa e s'infilò nella dispensa, che era adiacente alla cucina. La casa gli apparve subito molto trascurata, con una montagna di piatti da rigovernare e altrettante sporcizie buttate fuori nell'aia. I fiori e le piante stavano patendo la sete, le loro foglie guardavano il selciato invece che il cielo. In sala, a giudicare dalle voci, erano rimasti in due. Probabile, pensò Tony, che

uno di loro fosse di guardia alla porta delle donne in ostaggio. Comunque sia, verso le undici e trenta anche Carlos decise di fare rientro a Londra e partì con la sua auto. Tutto si faceva molto più facile del previsto. Il tizio stravaccato sul divano si addormentò quasi subito, inebriato dal tepore e dai fumi del whisky trovato nella credenza di Mamy. Aveva anche spento le luci, e soltanto i bagliori della televisione illuminavano a tratti il suo viso sudato. Tony gli arrivò da dietro come un cobra, lo colpì alla nuca quando lui tentò inaspettatamente di alzarsi da quel torpore. Non ebbe il tempo di dire nulla. Si accasciò sul divano, accompagnato nel tracollo da Tony che lo aveva preso quasi sottobraccio, e l'appoggiò in modo che non potesse fare rumore, allertando il suo compagno. Gli legò le mani dietro la schiena con una reggetta di plastica, quelle usate dalla SVAT americana, e poi con il nastro adesivo gli chiuse la bocca. Il o successivo fu salire le scale che lo condussero al primo piano. Lì sembrava tutto silente e senza problemi. Troppo facile, pensò, e mentre lo faceva toccò con il dorso della mano destra il terreno davanti a sé. Una piccola lenza da pesca era stata tirata con fare artigianale, in modo da buttare a terra il contenuto di un vaso riposto su un piccolo tavolo da tè del corridoio, al aggio di un disattento e inatteso visitatore. Questo rendeva quasi certo che il tizio al piano di sopra se la stesse dormendo e alla grande. Aspettò nel silenzio ancora un po', e proprio mentre stava per salire, sentì il suono di un cellulare. Proveniva da sotto. Era quello del tipo che aveva appena addormentato. Suonò ancora una decina di volte, poi si chetò e un altro suono iniziò dal piano di sopra. Questa volta l'uomo rispose al telefono e disse: «Pronto!». Tony non poté ovviamente comprendere quello che Carlos gli disse, ma capì il

senso dalla risposta che il tizio gli diede: «Adesso vado a vedere, ma non ti preoccupare, qui tutto è calmo e se ci sono problemi ti richiamo. Visto il quantitativo di alcol che ha ingurgitato starà dormendo come un sasso». Il silenzio successivo significava che Carlos stava parlando e poi l'uomo rispose: «Io no! Non ho toccato una goccia e sono consapevole di quello che stiamo facendo e che dobbiamo andare a fare». Chiuse la conversazione. Un macigno cadde tra le mani di Tony. I due uomini avevano avuto l'ordine di uccidere le sue donne non appena fossero entrati in possesso del malloppo. Ancora una volta, e in un tempo stretto, dovette riadattare la sua strategia e pensare a cosa fare. Sentì l'uomo alzarsi dalla sedia e muoversi verso il basso. Appena fu a mezza scala, inciampò in un ostacolo che Tony aveva improvvisato, e si ribaltò in avanti, andando a schiantarsi proprio sul tavolo che avrebbe dovuto fare da spia in caso di intrusi. Mentre si rialzava aveva già la mano alla pistola, ma non fece in tempo neanche a estrarla dalla fondina. Tony lo centrò con un fendente alla nuca, e anche lui andò a fare il suo viaggio nel mondo dei sogni. Immobilizzò il complice di quello di sotto, poi si diresse verso la camera delle donne. Entrò piano, con quella prudenza che non scomoda mai, e le trovò tutte e tre a dormire su un unico letto matrimoniale, con uno dei polsi ammanettato alla spalliera del letto in ferro battuto. Erano sveglie, e quando lo videro si sentirono rinascere. Mamy iniziò a piangere, mentre Chiara, invece, gli indicò dove tenevano le chiavi delle manette. Lui le trovò al tatto sul tavolinetto della camera, tra le scartoffie, e poi le liberò. Nella penombra le abbraccio e le rassicurò sulla fine di quello che per loro era stato un vero e proprio incubo. Con l'aiuto delle donne prese i due malcapitati guardiani e, dopo averli ben

perquisiti, li mise nella camera, con entrambe le mani legate alla spalliera del letto. Per il momento dormivano ancora e li lasciò cosi. Mandò le donne a ricomporsi in bagno e dopo un'ora arrivarono docciate e profumate di tutto punto. Lui nel frattempo aveva fatto un giretto della casa e aveva cominciato a ricomporre il disastro che aveva trovato. La sua zona preferita, quella del caminetto, dove aveva ato la maggior parte delle ore di riposo totale, sembrava un campo di battaglia. Carte di giornale, involucri di pranzi veloci e di dolciumi erano sparsi in po' dappertutto. Andò in dispensa, prese un sacco della spazzatura di quelli grandi e iniziò a riordinare quel marasma. Quando vide arrivare le donne aveva già dato il via alla terza lavastoviglie, e non osava ancora guardare quello che poteva esserci in frigorifero. Si sedettero al tavolino e nel cuore della notte mangiarono carne in scatola e fagioli. Tony aprì una bottiglia di vino, ne dette una buona razione anche alle sue compagne e poi disse: «Chi mi racconta tutto?». Le tre si guardarono in faccia e poi, all'unisono, partirono tutte in un loro assolo, fatto di frasi fatte e smentite, di correzioni sui discorsi delle altre, di complimenti per la memoria svanita. Tony le fermò con un gesto, poi spiegò loro che partendo dalla più vecchia le avrebbe ascoltate tutte. Pregò di lasciar parlare quella di turno senza interrompere, rimandando a dopo le inevitabili domande. Mamy affermò che l'allegra famiglia era arrivata lì una decina di giorni fa. Chiara stava dormendo e, non vedendoli arrivare, non aveva potuto dare l'allarme. Si presentarono come amici di lei e insistettero per poterle parlare. Mentre Sally andava a svegliare Chiara, i tre le si buttarono addosso, e con la minaccia di una pistola, nel giro di mezz'ora le avevano messe tutte sotto scacco. Quello che faceva specie a Tony era come diavolo avessero fatto a essere informati di quel nascondiglio. Chiara giurò su quello che aveva di più caro che non aveva detto a nessuno di quel posto, e non aveva neanche effettuato telefonate né verso l'Italia né verso qualsiasi altro lido. L'arcano fu svelato da Sally, che dichiarò angelicamente di aver inserito il

trasferimento di chiamata sulla linea telefonica dell'ufficio. Tony la guardò e scosse la testa. Tutto sembrava finalmente chiaro. L'allegra famiglia era andata nell'ufficio londinese di Tony, non aveva trovato nessuno ed erano entrati, trovando traccia dell'avvenuto trasferimento delle chiamate. Una volta avuto il numero di telefono, trovare l'indirizzo esatto era stato banale. Non rimproverò Sally, che appariva già assai rammaricata e sottosopra. A pensarci bene le combinazioni della vita, la sua, erano decisamente troppe. Mentre iniziava a muoversi si mise a pensare come fosse possibile che una coppia di aspiranti delinquenti, o giù di lì, avesse potuto entrare nel suo ufficio di Londra e, indisturbata, fosse riuscita a reperire tutto un insieme di informazioni. Ma come diavolo avevano fatto a portare dalla loro parte Carlos? Forse si conoscevano da prima, o forse quella malandrina, che reggeva le fila del mondo e si chiamava avidità, aveva accecato anche un uomo, un militare, un amico come lui. Le lasciò in cucina che rimettevano a posto le cose, e andò in camera a vedere se i prigionieri si fossero destati. Li trovò entrambi svegli e piuttosto agitati. Alla fine della chiacchierata, nulla di più di quello che già sapeva era emerso dai discorsi un po' strampalati di quei due aspiranti mercenari. In un contesto diverso non sarebbero sopravvissuti per più di cinque minuti, e consigliò loro di cambiare lavoro. Non poteva lasciarli liberi, ma decise in ogni modo di fare uno sforzo, un accordo con loro. Il patto era quello di non belligeranza. Lui s'impegnava a lasciarli vivi, e loro s'impegnavano a non importunare nessuno. Non ci sarebbe stata altra occasione sentenziò, mentre liberava una

delle mani ai due. Non chiese, e forse non volle neppure sapere i loro nomi, si limitò a rinchiuderli in quella stanza con un minuscolo bagno senza finestra, con l'aerazione forzata. Quella sera si mise sulla veranda a farsi mangiare dalle zanzare, e mentre sorseggiava una buona dose di rum, in controtendenza con il luogo in cui si trovava, e tirava un sigaro non proprio cubano, percepì la sensazione di essere osservato. Per un paio di volte si girò di scatto verso il laghetto dei germani, ma non vide nulla, e allora si rimise ad assaporare il dolce e quieto vivere della campagna inglese. I minuti avo lenti e quella sensazione si faceva sempre più viva, tanto che all'improvviso cambiò la sua posizione e mise le spalle al muro, tanto da poter avere tutto davanti. In un primo momento pensò che uno dei due furfanti, o tutti e due, o addirittura qualche altro aggiunto, si fosse fatto vivo, poi nella calma della sera sentì una voce amica, e inconsueta per quei lidi, dire una frase di oltremare: «Io ti vedo amico». «Sem!» Balzò in piedi e andò nella direzione dalla quale proveniva il suono. Nel buio vide i denti del sorriso dell'uomo che lo aveva seguito dall'Africa. «Ma come diavolo hai fatto a raggiungermi?» chiese esterrefatto. «Non è stato difficile. Ho preso lo stesso volo che hai preso tu. Con un giorno di ritardo. Poi arrivato all'aeroporto ho trovato una hostess sorella, di colore come me, che mi ha dato tutte le informazioni del caso. Hai noleggiato una macchina e il navigatore satellitare di quella vettura mi ha portato fin qui. Una volta ho anche accompagnato Giorgio, e poi mi sono trattenuto in Italia per qualche mese» disse l'uomo di colore. «Eri dunque tu il nero che anche la polizia stava cercando dopo la morte di Giorgio?». «Non in quell'occasione.» disse Sem rammaricato.

«Sono tornato in Italia dopo la sua morte, non per altro, ma per scoprire se era stato ucciso oppure no». La risposta gliela dette Tony. Giorgio era stato ucciso come aveva appreso dall'avvocato, anche se allo stato attuale delle cose non si sapeva da chi. Il motivo era abbastanza evidente: i soldi. «Sem, tu fai la tua apparizione in questa vicenda in un momento molto particolare. Sebbene io creda che tu sia davvero pulito e onesto, devo chiederti di tornare in Africa. Ti prometto di tenerti informato su tutta la vicenda. Lasciami un recapito di posta elettronica e poi ti prego di ripartire. A dire il vero non so più da che parte girarmi». Sem lo guardò con aria incredula e poi gli disse: «E sia». Si alzò, andò davanti alla scrivania, scarabocchiò qualcosa su un foglio di carta e poi girandosi verso di lui lo salutò, toccandosi il petto con il palmo della mano, come sempre aveva fatto con la gente che rispettava. Disse: «Io ti vedo». Lasciò la stanza, poi la casa e la proprietà. Tony lo ritrovò alla fermata dell'autobus, che per portarlo all'aeroporto ci avrebbe messo un paio di giorni. Lo fece salire sull'auto di Mamy e lo condusse diretto a Heathrow. Lo imbarcò su un volo diretto per Harare e solo allora si riconcentrò su quello che era accaduto. Durante il ritorno a casa pensò a quell'apparizione sconclusionata. Come aveva fatto Sem a trovare i soldi per un volo aereo? E soprattutto, l'insieme delle coincidenze che lo avevano portato a Cliffe era da considerare una realtà, o una farsa architettata a regola d'arte da qualche nocchiere di rango? Strumenti, pedine, o re e regine di un gioco subdolo sulla scacchiera della vita. Tony si rendeva conto che gli eventi finivano col argli davanti e lui da un po' di tempo, troppo per l'esattezza, li lasciava are senza nessuna difficoltà. Com'erano lontani i giorni in cui lui e altri della sua squadra si mescolavano alla gente perbene e manipolavano gli eventi per qualcosa di importante da

raggiungere e ottenere a ogni costo. Tony tornò indietro con la memoria, e lasciò andare il tempo a ritroso fin quando lui era bambino. Si rivide con i pochi amici di sempre a pescare sul fiume, magari con le mani, a rovistare sotto i sassi e i macigni alla ricerca del pesce più grosso. Poteva ancora percepire l'odore quasi viscido dei pescetti nascosti nella salopette di jeans, e degli esili rami usati per stanare i pesci dai loro ultimi nascondigli. Sentiva una voce amica, che poteva essere quella di Giacomo, incitarlo per la stretta finale a quella trota o a quel “brocciolo”. Di rado riusciva a sentire gli altri. Quelli che non gli corrispondevano non facevano parte del suo mondo sommerso. Allora, per ritrovare certi attimi, si lasciava trasportare dal tempo, e da una qualunque cosa che lo riportasse a risvegliare tutti quegli elementi che erano permanenti, e troppo spesso silenti, dentro la sua anima. arono poche ore dalla partenza al ritorno a Cliffe. Al suo arrivo trovò i due soggetti che aveva relegato in una remota stanza che sorridevano in sala da pranzo e stavano mangiando. Questo non gli piacque, soprattutto per il rischio che le tre donne stavano correndo. In fondo quei tizi le avrebbero volentieri ammazzate alla prima occasione. Tony non credeva e non aveva mai creduto alle redenzioni lampo. Entrò in casa quasi di soppiatto e si rese subito conto di tanta ilarità. Su una sedia vicino al frigo c'era Mamy che aveva in mano la doppietta lasciata in eredità dal suo defunto compagno, una bella calibro dodici a cani esterni, fabbricata da un artigiano italiano. I due cani erano armati, cosa che faceva pensare che le cartucce fossero al loro posto nella camera di scoppio. Le ore avano e dell'allegra famiglia più nessuna traccia. Se Carlos era quello che Tony pensava, li aveva informati e loro erano spariti come avevano fatto nel recente ato. Tony capiva che avrebbe dovuto fare ritorno in Italia e al più presto, per mettere al sicuro gli altri geodi che il povero Giorgio aveva lasciato a discapito della sua vita. Fino a quel momento nessuno pareva sapere dell'enorme ricchezza racchiusa in quei sassi tondi, ma non si poteva certo continuare a sperare che tutto potesse rimanere così.

Come lui e Chiara, anche altri stavano cercando la chiave di accesso a quella ricchezza. La fiducia riposta nel prossimo finiva sempre col metterlo con il culo a bagno. Il suo lavoro, soprattutto quello sporco, l'incapacità di fermarsi in un posto dove invecchiare, lo rendevano vulnerabile a tutto, anche al tempo stesso. Soltanto a Cliffe e in quella piccola borgata di case nell'appennino tosco emiliano, che solo alcuni conoscevano con il nome di Pracchia, ritrovava una sorta di pace. Era uno stato di cose, era un essere partecipe e consapevolmente complice di un piccolo mondo che andava avanti, indipendente da tutto. Nella giostra della vita aveva avuto il senso, o per meglio dire una sorta di visione su quei paradisi, e lui consciamente li aveva sempre coltivati. Ora stava facendo i conti con ciò che doveva fare, lasciare quelle donne in Inghilterra con Carlos, libero e troppo vicino, lo rendeva nervoso. Allora optò per quella che in fondo poteva essere la sua unica soluzione: portarsele tutte al seguito. Riuscì a convincere Mamy dopo una lotta estenuante, e qualche ora più tardi erano tutti e quattro all'aeroporto in attesa del primo volo per Pisa. Ci arrivarono la mattina successiva alle dieci in punto. Di fatto avevano bivaccato in aeroporto. Ebbero solo il tempo di trovare un'auto a noleggio, e poi senza altro indugio si misero alla volta di Pracchia. Quasi due ore di strada e arrivarono al paese. Mentre viaggiava alla volta di quei monti, non troppo alti anche per quelli che avevano problemi di cuore, pensò a come tutti i nemici fossero spariti e rinchiusi nelle proprie tane. Sembrava una sorta di tattica, di aggressione, e poi un'immediata ritirata. Chissà se alla fine si sarebbe aspettato qualcosa di diverso. Forse i suoi standard erano altri, e la morte e il sangue facevano da padroni nella maggior parte di quelle che erano state le sue missioni. Maggio faceva sentire in modo repentino i cambiamenti di stagione, e la natura rigogliosa e verde riprendeva il sopravvento su un inverno freddo e piovoso.

Il fiume aveva ancora una volta ridato un nuovo percorso alle acque, che in fondo avano per la stessa strada, ma dentro quella finivano col tracciare nuovi sentieri, e scavando altri pozzi, riscoprendo diverse correnti, lo facevano sembrare ogni anno diverso. Trovarono Renzo intento a trafficare intorno alle case, quasi fosse lui l'ultimo tuttofare della famiglia, e invece la signora Ivana era in cucina a preparare qualcosa per il pranzo. Non li aspettavano, e Tony aveva avuto il senno giusto di non informarli. Rimasero spiazzati da quella visione. In fondo gli volevano bene, e tutti trafelati si fecero alla porta per abbracciarlo, come un figliol prodigo che tornava da una delle sue “malavventure”. Si misero subito a spettegolare con Chiara, che faceva da traduttrice tra l'italiano e l'inglese. Dopo i convenevoli lui si ritirò in casa sua, lasciando nelle mani capaci dei suoi guardiani quelle tre paperelle. Aprì il computer e si collegò alla rete per verificare un po' di notizie. Già le informazioni risultavano essere importanti. Apprese con notevole dolore che una donna corrispondente alla tata di Chiara era stata uccisa e ritrovata nel fiume Arno, proprio sotto la caserma militare Cavalli. La donna riportava un insieme di contusioni e aveva il collo spezzato. Chiese in modo informale e distratto a Chiara il nome della sua tata, e lei gli rispose disattenta quello che mai Tony avrebbe voluto sentire. Lasciò stare tutto quello che aveva tra le mani e andò in giardino a parlare con Renzo, che aveva fatto l'ennesima fuga per una mezza sigaretta. Lo trovò curvato su un geranio che proprio non ne voleva saperne di attecchire, e lo informò dell'accaduto. «Un bel guaio» disse lui. «Già!» rispose Tony, e abbassando la voce gli bisbigliò all'orecchio: «Devo tornare a Firenze e non so per quanto starò via. Puoi occuparti delle donne?».

«Io sì, ma cosa dico se fanno domande?» «Cerca d'essere vago, fai l'indifferente insomma» concluse Tony strizzando l'occhio a Renzo. Poi lo condusse in casa sua e aprì il baule delle meraviglie. Estrasse una pistola automatica e gliela mise nelle mani dicendo: «Non è un gioco, non dimenticarlo. Le persone che sono sulle tracce di Chiara hanno varcato la soglia dell'omicidio, e da quando lo hanno fatto non contano più i numeri. Non importa quanti Cristi hanno ucciso». «Lo so, e per questo sto pensando di andarmene da questa casa, in modo da stare un po' più tranquilli». «Sarebbe una buon'idea. Ma dove?» «Ci sono altre case che ci possono ospitare, anche in un paese piccolo come questo. È meglio che neanche tu sappia dove sono, per il bene di tutti». «Giusto!» ribatté Tony infilando in mano all'amico anche un cellulare con una scheda pre-pagata della quale solo lui sapeva l'esistenza. Lasciò il paese mentre tutti dormivano e si diresse a Firenze. La casa di Chiara era divenuta nel tempo un crocevia di aggio per tutto un insieme di gente sbagliata. L'appartamento era quasi raso al suolo e i vetri rotti delle finestre, unite al vandalismo di chi l'aveva frequentato, lo avevano reso invivibile. L'unico spazio ancora praticabile era il bagno, che aveva mantenuto una parvenza di decoro. Sullo specchio c'era una scritta fatta dalla mano di un adulto, ma con la grafia di un bimbo, che diceva: “Siamo arrivati anche a lei, ora se non ci dai il denaro morirai”. Il rossetto utilizzato era aromatizzato alla mora, e gli rimase l'odore impresso nel naso. Tony non finì neppure di leggere la frase che ebbe addosso una manciata di poliziotti in borghese. Si era comportato da sciocco e quando fece il suo ingresso in Questura per gli accertamenti di rito, il vice Questore chiese agli agenti che lo

avevano fermato gli effetti personali dell'arrestato. Non aveva documenti né carte di credito. Un telefonino, una mazzetta di soldi da cento euro e una pistola calibro nove parabellum. L'ufficiale chiese il porto d'armi e i documenti d'identità al fermato che, per tutta risposta, disse in inglese: «I don't speak italian». Fu fotografato e gli vennero prese le impronte digitali, poi lo portarono in una cella della Questura in attesa di convalida del fermo, e del successivo trasferimento a un carcere circondariale, cosa che non sarebbe mai successa. Il primo e il secondo controllo delle impronte digitali non ebbe esito positivo, fin quando il sistema non ebbe accesso a una banca dati abbastanza segreta che lo identificò subito. Venne riconvocato dal vice Questore che lo spedì fuori, con la preghiera non farsi rivedere da quelle parti. Prima di uscire Tony chiese all'uomo, in un italiano perfetto, di fare un controllo sul nominativo riportato sulla patente di guida che la potenziale moglie dell'uomo dell'allegra famiglia aveva perso nella tenuta di Giorgio. Venne fuori un po' di tutto. Tutti piccoli reati legati alla truffa e alla frode fiscale. L'ufficiale chiese a quale titolo lui avesse chiesto quella misura, e Tony rispose che voleva soltanto sapere se era il caso di restituire a quella donna la sua patente. A giudicare dai risultati sembrava di no. Si ritrovò a bighellonare per Firenze, durante l'attesa degli eventi e con la speranza che qualcun altro fe la mossa sbagliata. Quella sera fu tutto tranquillo, se così lo vogliamo definire vista la giornata, così poté riposare nella solita camera d'appartamento messa in affitto dalla signora che abitava di fronte a Chiara. Gli ci volle poco a convincere la tenutaria di quella stanza, una studentessa americana all'ultimo anno di facoltà universitaria, a sloggiare per qualche notte. Le trovò posto in un hotel a tre stelle proprio in centro. La polizia non gli disse nulla circa la morte della donna che per così tanti anni aveva avuto cura di Chiara. A lui sembrò, contrariamente allo stato delle cose,

l'ennesimo tentativo di coinvolgerlo in una storia tutta italiana, nella quale lui non c'entrava niente. Nel suo rimuginare prima dell'imminente sonno, rifletté su quello che la donna aveva potuto raccontare ai suoi aguzzini, e prese quella che sarebbe stata l'unica decisione plausibile: doveva intervenire. Il suo sonno non fu felice e i sogni lo riportarono ai tempi dei servizi segreti. Rivide le persone che morivano ai suoi piedi, di cui magari non sapeva neanche bene il nome. E rivide il nascondiglio segreto delle attrezzature del centro Italia. Già negli anni quel magazzino, alle porte di Bologna, su per la Via Bazanese, poteva essere stato dimenticato, e le attrezzature di primo grido di quegli anni, di sicuro ancora idonee oggi, gli avrebbero dato quella potenza di fuoco di cui lui aveva bisogno. Lasciò di nuovo Firenze e in treno raggiunse Bologna. Poi continuò in macchina, presa a noleggio e pagata in contanti, fino alla sua destinazione. Tutto sembrava tranquillo. Quel mezzo capannone, ricavato in un enorme garage per macchine agricole, era sempre in piedi, e il piazzale sembrava ormai lasciato all'incuria e alle erbacce da molti mesi, forse anni. Salendo verso i monti, a destra c'era la collina che sembrava diventare sempre più appennino, dall'altra, sulla sinistra, c'era un fossaccio che, scendendo verso Bologna, finiva con lo spianarsi, fino a quando i campi coltivati prendevano il posto delle vigne e delle colture a frutta. Tony ò di fronte al piazzale senza fermarsi e non notò nulla di strano, poi dopo un chilometro fece retromarcia e si fermò a un centinaio di metri dal suo obiettivo. Rimase in macchina per quasi un'ora, tempo sufficiente per mettere in ansia e poi in moto qualsiasi controllore preposto alla guardia di quel luogo. Alla fine si arrese e scese, dirigendosi verso la porta d'ingresso. Tutto era rimasto come allora. Anche la tastiera, che se ben maneggiata avrebbe accettato il codice e permesso l'accesso al magazzino, era rimasta tale e quale. Magari un po' polverosa, ma all'apparenza ben funzionante. Il caldo del mezzogiorno si faceva sentire e l'aria arida, quasi di norma in quei luoghi, lo faceva sudare oltre l'immaginabile. Si limitò a digitare il codice d'accesso per la disattivazione dell'allarme, poi tornò sui suoi i e si mise all'ombra e al riparo dalla visuale della strada provinciale, in attesa di eventi.

Aspettò ancora una decina di minuti, poi si decise ed entrò. La polvere aveva preso possesso di tutto, e questo era un buon segno per la possibilità di ritrovare ciò che gli serviva. Nelle prime due stanze, che a dire il vero erano una sorta di officina, due macchine di qualche anno prima attendevano un audace meccanico per una rimessa a nuovo. Nel retrobottega due piccoli uffici, un minuscolo bagno e poi una stanza con un'altra combinazione digitale da inserire per l'accesso. I led erano spenti, segno di una disconnessa alimentazione elettrica, ma Tony in un minuto ristabilì i contatti con una batteria nuova aperta dall'involucro. Era al litio, già nelle sue mani da una ventina d'anni, ma sconosciuta ai più. Oggi nei telefoni cellulari, nei computer portatili, perfino negli avvitatori elettrici ce n'è presente una. Mentre si decideva a inserire il codice di accesso una voce amica lo fece trasalire: «Allora ti sei deciso a tornare, vecchio imbroglione!». Era Mario, l'uomo di congiunzione tra il suo governo e quello italiano. Era colui che quando veniva in Italia per una qualsiasi missione gli faceva da secondo, e gli procurava tutto il necessario per la missione stessa. «Che ci fai qui?» chiese Tony perplesso di fronte a quella visita. «Sono qui per difenderti» disse il vecchio uomo, che a uno sguardo migliore sembrava trasandato e malvestito. «Difendermi da chi?» disse Tony per nulla spaventato. «Da quelli che hanno deciso di lasciare in vita posti come questo». «E chi sarebbero questi signori?» insisté ancora lui. «Sono coloro che quando eri in servizio erano all'opposizione; ora magari sono al governo e non aspettano altro che farti il culo!» «Tutto chiaro. Quanto tempo abbiamo?» «Direi poco meno di mezz'ora». Mentre Mario diceva quelle parole lui aveva già aperto il caveau delle armi e stava entrando nella stanza del suo arsenale. Nessuno sapeva la combinazione

per l'apertura, tranne Mario, quindi trovò tutto come lo aveva lasciato. Prese uno zaino militare e lo riempì di pistole, caricatori, timer, esplosivi vari, un paio di coltelli, una balestra, e un po' di tutto l'occorrente per fare una piccola guerra privata. Nel giro di dieci minuti erano fuori e tutto era stato richiuso alla perfezione. Per sviare le indagini aveva asportato da una delle due macchine qualche pezzo meccanico, in modo da far credere a una ragazzata o roba del genere. Aveva anche lasciato impronte nitide delle sue scarpe, che però andavano nella direzione opposta alla sua. Tornando sui suoi i era uscito dal capannone e, richiuso il tutto, aveva rotto un vetro che dava sull'esterno. Sperava così di mettere un po' di tempo tra un'altra squadra di cattivi e se stesso. Il suo in fondo era un armamento leggero, e gli avrebbe permesso di muoversi molto meglio soprattutto di notte. Ormai conosceva l'indirizzo esatto delle persone che reputava fossero essere i mandanti, e forse anche gli esecutori materiali di svariati omicidi, tra i quali quello di Giorgio. Nella sua mente una sola azione poteva far trovare pace a quelle povere anime e ai vivi che erano braccati, e quell'azione non poteva che essere di attacco. Purtroppo per loro si apriva una nuova prospettiva d'offesa: quella mortale. Tony non aveva più dubbi, né remore o possibili ipotetici rimorsi, quello che si doveva fare era l'eliminazione del problema alla radice. Troppe persone avevano sofferto e troppe avevano perso inutilmente la vita. Aveva caricato la sua macchina delle attrezzature, e rispettando quella che era la procedura, si era messo con Mario a debita distanza per verificare la presenza di altri soggetti interessati al capannone. Il tempo trascorreva assai lento e nulla su quella strada asfaltata, e infuocata dal rinato sole di fine maggio, gli faceva presagire un imminente contatto. Si aspettavano di vederli da un momento all'altro, e mentre uno guardava nello specchietto retrovisore l'altro aguzzava lo sguardo verso Bologna, nella direzione più probabile da dove sarebbero potuti arrivati. In ogni caso anche Mario alla fine si convinse.

Ripresero a chiacchierare come fossero davvero dei vecchi amici ritrovati. Si lasciarono a sera inoltrata davanti a una brocca di vino, due bicchieri ormai vuoti e un paio di piatti con qualche avanzo di salumi. Anche quella volta fu come se fosse l'ultima, e ognuno di nuovo per la propria strada, si diresse per vie opposte. Nella mente di Tony riaffiorò piano piano l'orrore di ciò che aveva visto, e anche silenziosamente combinato. Il tempo non aveva del tutto cancellato il ricordo, e ora proprio lui veniva a chiedere il conto di tanto distacco. Avrebbe voluto scacciare quei visi, quella sofferenza, quell'insensibilità di allora, e avrebbe pagato tutto quello che aveva per una sorta di redenzione, che lo portasse a riconciliarsi con la coscienza. Purtroppo l'unico modo che conosceva per redimersi era l'offesa. Strano concetto da spiegare agli altri, ma compiacendosi di offendere persone ad alto merito, viveva non il suo possibile martirio, ma il loro. Lasciò la macchina in una stradina proprio all'uscita dell'autostrada, che a memoria parve ricordarsi come Chiesina Uzzanese, e poi con la bussola si diresse verso Altopascio. In quel paese quasi medievale viveva l'allegra famiglia, e lui era sicuro che l'avrebbe trovata lì. Pregustava già l'odore del metallo, della polvere da sparo e soprattutto del sangue. In un contrasto quasi biblico era ato da un soggetto in cerca di redenzione a uno in cerca di peccato. Per quella prima ricognizione si mise leggero. Valutò la distanza da compiere a piedi in tre chilometri, e nello zaino mise solo poche cose, quelle indispensabili. Vestito di nero, compreso il cappello di lana da seal e i guanti anti-avvistamento. Nello zaino aveva la macchina fotografica, una piccola carica di esplosivo per un ipotetico diversivo, due caricatori della Beretta calibro nove, una torcia a led, un rotolo di nastro isolante e una bottiglietta d'acqua. La notte gli assicurava un'assoluta invisibilità, camminava leggero e veloce verso le luci che la bussola gli indicava come quelle di Altopascio. In un paio di occasioni si ritrovò ad attraversare strade e straducole di campagna deserte, poi si limitò a stare nei campi e nei boschetti, fino a quando trovò un ostacolo assai pericoloso da oltreare: l'autostrada.

Il tempo ava veloce e le autovetture si defilavano ancora più velocemente, mentre Tony cercava una strada alternativa per oltreare quell'ostacolo. Mentre costeggiava la rete metallica della strada si senti in un paio di occasioni osservato e si fermò subito, per verificare che fosse soltanto un'impressione, non un pericolo reale. Per due volte non notò nulla, poi lo vide: era un cane nero. Doveva essere un pastore tedesco o un labrador, in ogni caso era enorme. L'aveva a un paio di metri e quando la bestia lo sentì digrignò i denti, arruffò il pelo della schiena, alzò la coda e sferrò l'attacco. Prima del balzo lui aveva già impugnato la pistola e fece fuoco due volte. La testa del cane subì un contraccolpo all'indietro e poi l'animale si accasciò a terra privo di vita, ai piedi dell'uomo. Il silenziatore, montato in precedenza, rese la scena quasi muta. Lisciò il cane come a chiedere scusa di quanto accaduto, seppure pensasse che lui non avrebbe fatto altrettanto, e poi proseguì per la sua strada. Fece solo qualche o, poi ci ripensò e tornò indietro. Avvolse la testa sanguinante del cane in una borsetta di plastica che aveva raccapezzato nei dintorni e se lo caricò in spalla. Lo portò per un centinaio di metri e poi lo scaricò in un avvallamento del terreno che parve berlo, finché non sentì il suono gratificante dell'acqua che lo avrebbe preso tra le sue braccia e nascosto da occhi indiscreti. Ormai sicuro del fatto che il cane non sarebbe tornato a casa, in lontananza sentì le voci di due persone che chiamavano, nel tentativo di far rientrare l'animale in casa: «Toby! Toby!!!». Il cane quindi non era un randagio, forse si era soltanto allontanato da casa, o aveva preso la sua traccia olfattiva e lo aveva seguito. Un fatto tipico degli animali territoriali, scortare fino ai confini l'intruso. Le voci con il are dei minuti si affievolirono e poi cessarono del tutto. Tony si allontanò da quel luogo e arrivò dopo un'ora alle prime case di Altopascio. Non riconobbe nulla di familiare, s'imbatté in un fabbricato che era in disuso e che forse poteva essere un cementificio, e vide il cartello comunale che riportava il nome del paese. Erano ate le due di notte, e ancora qualche macchina faceva capolino dal formicolio di strade che si stendevano un po' in tutte le direzioni. ò all'ombra di quei muri ancora un paio d'ore, fino alle quattro, quando nei

centri abitati s'incontrano soltanto i fornai, gli addetti alla vigilanza e i primi cacciatori (se è stagione). In ogni caso si diresse nel centro del paese e trovò subito la loro casa, il posto dove forse si sentivano più tranquilli. La studiò per bene e si rese conto che doveva avere almeno un paio di accessi, uno sulla via principale, l'altro su una piazzetta secondaria nel centro storico. Sarebbe stato difficile accedere all'interno della casa dalla via principale, forse era meglio tentare dalla piazzetta. L'ingresso era proprio in un vicolo chiuso, e questo gli avrebbe creato qualche problema in caso di fuga. Decise che avrebbe dovuto analizzare la situazione di giorno, per studiare e ottimizzare il piano. Nel frattempo, riconoscendo nella piazzetta la macchina rossa che aveva già visto nella casa di caccia di Giorgio, non ebbe più dubbi e si limitò a forare soltanto le due gomme anteriori con il coltello. Lo fece bucando non il pneumatico, bensì la valvola di tenuta, in modo che nessuno si mettesse in allarme. Sembrava davvero una ragazzata. Tornò sui suoi i e ripercorse la stessa via che aveva fatto all'andata. Questa volta le prime luci dell'alba lo aiutarono nel ritrovare la strada, e percorse i chilometri all'indietro in un tempo inferiore. Quando le prime sfere di sole toccarono le montagne, dietro Montecarlo di Lucca e poi il suo campanile, Tony era di nuovo in macchina, di ritorno a Pracchia. Doveva rassettare le idee, e poi ideare un piano che gli consentisse di effettuare una ricognizione di giorno, per poi sferrare l'attacco finale. Pensava che forse la stagione calda gli avrebbe portato nuovi e più interessanti consigli. La strada asfaltata che montava l'Appennino, nelle sue curve, era come la sua vita. In ogni anfratto un ostacolo, celato alla vista di tutti, poteva comportare un pericolo troppo grande. Arrivò a casa poco prima del solleone e andò subito a fare una doccia.

Renzo gli si fece subito sotto con le migliaia di comunicazioni di rito, e poi lo rassicurò circa la salute delle tre pazienti che aveva in cura. In fondo era il suo modo ufficiale di salutarlo; Tony era consapevole di tutto questo e lo tollerava. Aveva, in fondo, solo il reale bisogno di dormire. Riposò dolcemente, e al risveglio sembrò rigenerato. Tony si ritrovò a pranzo con un mucchio di persone che alla fine non aveva mai vissuto fino in fondo, e pensò che quella poteva essere la sua opportunità, la strada che forse da troppo tempo aveva deciso di scartare. Le decisioni silenziose che stava prendendo in quel momento potevano cambiare la sua vita, e avrebbero di certo cambiato la vita di persone a lui care, come ad esempio Chiara. Lei mangiava e rideva a capotavola proprio di fronte a lui. La tristezza repressa per quello che sarebbe andato a fare lo faceva sorridere soltanto per la tranquillità delle persone che erano a quella tavola. Guardava i piatti appesi un po' dappertutto, e quella situazione fatta di calore e di affetti lo faceva stare sereno, indipendentemente dal crimine che avrebbe commesso. In fondo come avrebbe potuto spiegare a Chiara o a Mamy che il suo compito adesso era quello di uccidere? Stare davanti a quelle persone amate, nei modi più diversi, con la condanna sulla propria testa, era per lui una punizione intollerabile. Si vedeva, già a distanza, rinchiuso in una qualche forma di reclusione che lo privava un po' di tutto, compresa la libertà dell'anima. In fondo Tony era un uomo che poteva anche tollerare il carcere, ma non poteva neanche immaginare una costrizione mentale. Il suo mondo, quello della quarta dimensione, come lo chiamava lui, doveva avere una sua vita interiore e autogestita. Non poteva immaginare nulla di diverso. La sua vita in quel momento ava davanti a quel piatto ormai vuoto e provava a nascondersi dietro il bicchiere, pieno di quel nettare rosso chiamato vino. Lui provava a scacciarla, perlomeno quella che faceva parte del suo ato più

nero e remoto, volendola rilegare in una sorta di ricordo stanco e vecchio, come una foto riposta in un portafoglio, consumata e sdrucita dal tempo. Le ombre di quel ato però si facevano ogni momento più presenti, ricordandogli che ci sarebbero sempre state, al di là di tutto. Si sarebbe voluto mettere le mani al viso e scappare in un altro mondo, alla ricerca della pace e della redenzione che non aveva ancora potuto trovare. In uno stato di diritto, come altri gli avevano spiegato o cercato di far capire, il suo fare sarebbe stato classificato come una missione. Ormai lui non la vedeva più così. La ione e il dolore che provava gli dicevano che invece tutto era diverso. La sua isola felice era soltanto quella che aveva di fronte: un piccolo gruppetto di persone, per fortuna non combattenti, e non legate a qualche missione militare o paramilitare. Ammazzò i fantasmi del ato con un paio di bicchieri di buon Rum, rimasto in casa da chissà quale regalo, e poi si decise ad andare a letto, per l'ultima notte. Solo Renzo era in parte informato sugli avvenimenti futuri, e non lo trattenne oltre quando lui decise di andare. Salutò le sue donne come se le avesse dovute rivedere, senza dubbio, la mattina successiva. Non sarebbe andata così, e lui lo sapeva benissimo. Non trovava la strada per il letto, e quando finalmente si infilò sotto le coperte rimase sveglio a pensare per buona parte della notte. Alle quattro si alzò, si rivestì con gli abiti militari e poi lasciò la casa, consapevole di quello che l'aspettava. Alle dieci del mattino, vestito da straccione, chiedeva l'elemosina ai anti di un Altopascio ancora mezzo addormentato, in quella domenica di fine maggio.

Si era messo proprio di fronte a un bar molto frequentato, dove al primo e secondo piano risiedeva quella che lui aveva chiamato l'allegra famiglia. Quando arrivò, le finestre del primo piano, che forse identificavano la zona giorno, erano già aperte, e qualche cuscino era all'aria a prendere un po' di sole. Il piano superiore invece era tutto chiuso, segno che un po' di gente era ancora a letto. Qualcuno si fermò a dare una monetina a Tony; un bambino di circa dieci anni entrò nel bar e gli portò una pasta e un caffè in un bicchierino di plastica. Non gli disse nulla, glielo posò sotto gli occhi increduli e poi scappò via. Verso mezzogiorno in quella casa iniziò un piccolo trambusto, e tutti sembravano pronti per la partenza. Dalla roba che avevano al seguito sembrava una gita al mare, che in fondo era molto vicino. I due giovani della famiglia si fermarono a parlare con il gestore del bar, poi caricarono le due signore anziane in auto e filarono via. Per un attimo gli sguardi di Tony e del giovane uomo s'incontrarono senza che lui sospettasse niente. Il bar osservò una pausa pranzo di un paio d'ore, e Tony ebbe gioco facile per entrare nell'abitazione. ò dal dietro, proprio nell'ora in cui tutta la gente è con i piedi sotto il tavolino, gustando il pranzo della domenica, e le massaie sono così indaffarate a far sì che tutto sia perfetto che non vedrebbero un elefante… a meno che non tentasse di entrare nel loro regno, la cucina. Non forzò la serratura della porta, per caso qualcuno l'aveva lasciata aperta. Pareva proprio che vivessero in una sorta di tranquillità reale. L'entrata era una piccola stanza con una scala a chiocciola che portava a una stanza superiore. Le canne da pesca, insieme ai mucchi di vecchi giornali e alle bottiglie dell'acqua, traboccavano da quel piccolo vano. Salì le scale con circospezione, e con la pistola munita di silenziatore in mano. I gradini terminavano in quella che era la cucina, poi una piccola stanza faceva da sala pranzo, e un'altra da

soggiorno. Altre scale portavano nella zona notte, dove c'erano il bagno e tre camere da letto, quindi ancora gradini, fino a una sorta di soffitta, che avrebbe potuto essere una bella mansarda. Quello che stupì Tony fu il fatto che in ogni stanza c'era una televisione, quasi fossero tutti videodipendenti. Da una finestra del primo piano vide il posto dov'era stato a sedere quando faceva il mendicante, e si rese conto della reale dislocazione della casa. Trovò anche un fascicolo, lasciato sul tavolo in sala, che conteneva un sacco di informazioni sulla famiglia dei Rocca Bruna. Anche quell'aspetto lasciava intendere che i signori si sentivano completamente tranquilli in quel luogo, tanto da lasciare documenti anche compromettenti alla portata di tutti. C'erano rilievi fotografici delle case e dei possedimenti, estratti catastali, le piantine delle abitazioni, varie fotografie di un po' di tutti, c'era anche l'indirizzo dell'ufficio londinese di Tony. Si limitò a rimettere tutto com'era, tentato forse di portare via quel contenuto così importante, e nella sua visione pessimistica circa lo sterminio fisico di quella famiglia, si riaccese un barlume di speranza. Provò a pensare a come poter inchiodare tutti quei furfanti ai loro reati, in una sorta di legalità. Per questo però ci voleva il consiglio di un professionista, serviva Gianni. Uscì da quella casa in punta di piedi, così come ci era entrato. Non incontrò nessuno mentre tornava al luogo dove chiedeva l'elemosina, e lì si rimise a controllare. L'allegra famiglia fece ritorno poco prima di cena, e nel vedere quel mendicante ancora lì a sedere l'uomo disse alla giovane donna: «Guarda, è sempre lì quel pezzente! Avrà trovato da far bene!». La donna non disse nulla, lo guardò per più di un attimo e Tony abbassò volutamente lo sguardo, finché i due non raggiunsero le due vecchie e salirono insieme le scale di casa. Lui, in strada, aspettò che tutto fosse tranquillo, poi a piedi si allontanò da quel posto con la nuova convinzione che lo portava a sperare in una soluzione senza

perdita di ulteriori vite umane. Non tornò a Pracchia. Dormì in un alberghetto del centro di Pistoia e si gustò il aggio della domenica sera del centro. La gioventù in tutte le sue forme lo rilassò, e infine dormì. La mattina successiva si svegliò come di consueto prestissimo, quando i primi raggi di sole tingevano di giallo il campanile della chiesa del centro. Erano appena le sette, ma lui volle in ogni caso provare a chiamare l'amico avvocato. «Pronto…» disse Gianni con una voce ancora un po' impastata dal sonno. «Gianni, sono io. Come stai?» «Tony, ma tu non dormi mai?» disse l'avvocato in tono burlesco. «Dimmi, come posso esserti utile?» «Dobbiamo vederci il prima possibile». L'avvocato sospirò e poi disse: «Stamani sono in udienza, poi nel pomeriggio ho una marea di appuntamenti. Facciamo così, vediamoci durante la pausa pranzo». «Sì» disse Tony. Concordarono d'incontrarsi in quel ristorantino in centro dove già una volta avevano pranzato. Gianni arrivò con una mezz'ora accademica di ritardo, mentre Tony aveva ammazzato il tempo tentando di insidiare due americane che erano in visita a Pistoia. «Sei sempre il solito» proruppe l'avvocato in una sonora risata. Lui si congedò dalle due, che magari stavano iniziando a divertirsi di quel corteggiamento garbato e al tempo stesso diretto. «A che debbo tanta fretta?» Tony spiegò la situazione all'amico per filo e per segno.

Quando arrivò al dettaglio del fascicolo, Gianni fece una smorfia che tradiva una sorta di negatività. Non potevano, in un eventuale giudizio, portare agli atti una valigetta piena di documenti, anche incriminanti, sottratta da un'abitazione privata senza il consenso del proprietario. Il tutto sarebbe stato giudicato inutilizzabile e i signori, oggetto dell'eventuale processo, scagionati a pieno titolo. Diverso era se si poteva ottenere, tramite una richiesta alla magistratura, un'autorizzazione a una perquisizione ufficiale per la convalida di un reato. Era più facile a dirsi che a farsi. E poi non era sicuro che il contenuto di quel fascicolo potesse essere sufficiente per un atto di accusa e una condanna penale. Si trattava di omicidio, associazione a delinquere, circonvenzione d'incapace, truffa, estorsione. Gianni spiegò poi a Tony che quella non era una missione militare con una regolare lettera d'ingaggio, che poteva sfociare con l'uccisione di quattro persone, e tutto sarebbe finito lì. La situazione era molto diversa. Ci sarebbe stato un processo che si sarebbe risolto non prima di una decina d'anni, poi ci sarebbe stata la richiesta da parte della difesa di sentire i testimoni, e lui avrebbe dovuto esporre non solo Chiara, ma anche tutte le altre persone, che in fondo in quella vicenda non c'entravano per niente. Solo lui, a diritto o a ragione, ce le aveva costrette dentro. Infine c'era l'ipotetico coinvolgimento di due paesi stranieri, quali il Regno Unito e il Sudafrica. Quindi are la vicenda per le vie legali era rischioso per l'incolumità di tutti. Diverso era uscire allo scoperto e portare quei tizi in trappola, sotto l'occhio attento delle autorità. Il problema era contattare chi di dovere, montare il castello accusatorio, e soprattutto portare l'allegra famiglia a commettere l'errore e cadere nell'ipotetica trappola.

Si lasciarono alle tre in punto con l'intento di rimuginare sopra quei pensieri per poi decidere il da farsi. Intanto le due americane non avevano perso d'occhio Tony e lo sbirciavano da lontano, mentre lui pagava il conto e ringraziava il cameriere con una buona mancia per il servizio. Senza neppure far finta di essere stupito, sorrise alle due simpatiche amiche e andò loro incontro, deciso a are insieme il resto del pomeriggio. Non pensava a quello che il suo diavoletto interiore gli suggeriva, e cioè raggiungere la sua camera d'albergo per are un pomeriggio bollente, bensì le prese sottobraccio e le portò in giro per Pistoia, facendo finta di essere un buon cicerone. Visitarono il Museo Marini, la Biblioteca Forteguerriana, la Piazza Della Sala, il Battistero, la Cattedrale, e verso le sei si infilò in una sorta di enoteca dove gustò insieme a loro un buon Chianti e qualche tramezzino. Le lasciò a malincuore, mezze avvinazzate e forse pronte per un gioco a tre decisamente proibito dalla morale comune, ma nell'intimo di ogni uomo del tutto accettabile. Quelle tre ore spensierate lo avevano estraniato dall'intrigo che ormai da troppi mesi si portava dietro. ò da una bottega di generi alimentari, comprò un po' di frutta e una bottiglia d'acqua e fece ritorno all'albergo. Nessuno lo aveva cercato e telefonò a Pracchia. Rispose Renzo, che lo rassicurò del fatto che fosse tutto a posto, e allora si dedicò a elaborare il piano. Le signore lo credevano di nuovo in Africa ed erano tranquille nel loro fare e disfare. Mamma Ivana strabuzzava gli occhi per la cucina tipica dell'oltre Manica di Mamy, invece Chiara e Sally gustavano con delizia quella toscana. Il mattino successivo, al risveglio, decise di optare per la via legale, e possibilmente senza spargimento di sangue.

Il suo piano era fin troppo banale per non riuscire, si limitò a comunicarlo a Gianni, che diede il suo benestare. Lo salutò con un: «In bocca al lupo» e Tony si decise ad aprire le danze. Decise di ritirarsi ancora una volta da solo. Lasciò l'amico avvocato e fece ritorno al suo albergo, alla ricerca di quella carica che lo avrebbe ancora una volta portato sulla scena, quella reale, quella dove alla fine si poteva anche mettere sul piatto d'argento la propria vita. Nelle sue mani ora c'erano due strade: da una parte quella maestra, della legalità, che avrebbe potuto e dovuto percorrere; dall'altra invece quella dell'illegalità, che avrebbe voluto percorrere. In fondo un paio di omicidi in più sulla coscienza, cos'avrebbero cambiato nella sua già precaria esistenza? Alla fine della fiera non si sarebbe ritrovato un giudice e una giuria a fronteggiarlo, ma soltanto una coscienza e un nuovo dolore da portarsi dentro, e con cui condividere la vita per il resto dei suoi giorni. Quello che vedeva are alla televisione accesa, e con il volume volutamente abbassato, era un informe rimescolio di colori e lampi che lo distraevano dai suoi pensieri. Entrò nella Questura di Firenze in un giorno di giugno qualunque. Il tempo non lo aveva fatto dimenticare e alcuni si alzarono in piedi per il “non si sa mai”. Accanto a lui c'erano persone che intimamente lo stimavano, e poi anche quelli che lo avrebbero di certo stangato. Percepiva quei contrasti nell'aria e allora, dimenticandosi di ciò che aveva alle spalle, confortato anche dall'immunità che aveva ottenuto anni addietro, riportando a casa una famiglia troppo importante per quella Repubblica, si fece sotto al questurino addetto al ricevimento delle persone e chiese di vedere il capo della Digos. Fece una ventina di minuti d'anticamera, poi, uno di quelli che aveva conosciuto in casa di Chiara, arrivò dagli uffici alti e con un in mano lo condusse dal capo. Era un uomo troppo piccolo per la poltrona che occupava, appariva inadeguato al ruolo. Nel suo io Tony pensò che forse era stato messo lì da chissà quale politico. «Signor… come dobbiamo chiamarla questa volta?» disse beffardo.

«Mi chiamo Tony. Crede che questo nome le possa bastare?» «Fosse per me lo seppellirei insieme a un bel po' di cose, comunque non sono io a decidere, e allora debbo adeguarmi». «Già, nel sangue fino alle ginocchia non c'è mica stato lei, o qualche altro suo scagnozzo». Uno dei tizi che lo aveva scortato in ufficio, ma non quello che aveva conosciuto a casa di Chiara, tentò una maldestra repressione delle parole, pensando a un'azione fisica. Né il suo compagno, né tanto meno il responsabile dell'ufficio, riuscirono ad anticipare la risposta di Tony. Scansandosi e sbattendo sullo schienale della poltrona aveva scansato il fendente dell'uomo, e al tempo stesso si era dato lo slancio per arrivargli addosso come un cobra. La presa al collo fu fulminea, e mentre lui cercava di estrarre la pistola d'ordinanza dalla fondina, tra le urla degli altri due partecipanti, Tony gliela aveva già sottratta e fatta scivolare sulla scrivania nelle mani del piccolo uomo. La presa del leone, stringente al collo, levò piano piano le forze al malcapitato, che alla fine dette la resa alzando le mani, e allora lui lo lasciò. Quando tutti e tre si furono ricomposti l'uomo dietro la scrivania disse: «Che cosa pensavi di fare? Non hai letto il fascicolo dell'uomo che abbiamo qui di fronte? Che razza di idiota!». Si alzò dal tavolo e andò a un armadietto, dove estrasse un paio di bicchieri e una bottiglia di rum. Ne versò un po' per ogni bicchiere e poi ne dette una dose anche a Tony. «Spero che non ci siano conseguenze per l'accaduto» disse guardando male il suo sottoposto. «Direi di no, ormai ci sono abituato, c'è sempre qualcuno che pensa di essere immortale». Alla fine il tizio che lo aveva aggredito, forse a malincuore, gli tese la mano e lui accettò le sue scuse. Finite le presentazioni e i convenevoli, Tony cercò di spiegare l'accaduto e la

morte di Giorgio. Rimase un po' vago sul bottino che era oggetto della diatriba, ma fece nomi e cognomi delle persone che secondo lui erano nel gioco. Alla fine della loro chiacchierata Tony chiese di rimanere solo con il comandante, così lui mandò i suoi sottoposti a fare qualcos'altro. «Allora, cosa voleva dirmi in segreto?» «Prima di tutto che ci sono almeno cinque persone, compresa Chiara ovviamente, che devono essere messe sotto scorta almeno fin quando la vicenda è finita; poi che nessuno, compreso me e un uomo di colore che si chiama Sem, sarà chiamato a testimoniare o sarà coinvolto nel processo; infine che l'intero malloppo sarà ad uso esclusivo di Chiara Rocca Della Bruna, e non sarà oggetto di sequestro o confisca. Inoltre se lei acconsentirà a tutto questo, io la riterrò responsabile del buon esito della vicenda. Ovviamente lei e la sua famiglia». «Mi sta forse minacciando?» disse il tizio, diventato quasi cianotico dalla rabbia. «No, la sto solo mettendo in guardia. Se sarà leale con me io lo sarò con lei». Tony scrisse su un foglietto il suo numero di cellulare, comunicò al tizio che avrebbe aspettato una risposta entro quarantotto ore, e poi avrebbe fatto in maniera diversa. Mentre si alzava per uscire l'uomo dietro la scrivania gli chiese: «Non vorrà mica ucciderli tutti?». Tony tornò sui suoi i e, mettendo le mani sulla scrivania, si avvicinò al volto sudaticcio dell'uomo. «Lei sa chi sono io?» «Sì che lo so!» proruppe l'altro. «No, mi creda, lei non lo sa» disse infine, e scuotendo la testa uscì dall'ufficio, incredulo circa una possibile percorribilità della strada maestra. Mentre faceva ritorno a Pistoia con un autobus di linea, decise che forse avrebbe dovuto già iniziare da adesso a tenere i primi contatti con l'allegra famiglia… ma come avrebbe potuto fare? In fondo conoscevano la sua faccia e pensavano di

averlo murato nella tenuta del povero Giorgio. Forse la cosa migliore da fare era ordire un travestimento, e presentarsi come possibile acquirente di diamanti allo stato grezzo. Al tempo stesso poteva anche cercare un contatto, sempre con la solita comitiva, dicendo di essere il tenutario delle ricchezze di Giorgio, ma che avrebbe potuto entrarne in possesso solo alla morte della figlia del medesimo. Sì, in fondo la messa in scena poteva reggere, e se ben orchestrata se ne sarebbero potute vedere delle belle. Mentre era immerso nei suoi pensieri si ritrovò con il pullman a Pistoia, e non sapeva come aveva fatto ad arrivarci così presto. Fece ritorno all'albergo e stavolta qualcuno lo aveva cercato, di persona però. Il portiere affermò che era una donna e che sarebbe tornata all'ora di cena. Così fu. Mentre finiva di prepararsi per andare a so e a mangiare qualcosa in uno dei ristorantini tipici del centro storico, il telefono squillò e lui rispose: «Pronto?». «La signora che le avevo anticipato è arrivata. L'aspetta in portineria» disse laconico. «D'accordo, scendo subito» rispose Tony. Arrivò che lei era voltata verso l'esterno dell'albergo. Era una donna sulla quarantina, con un fisico allenato e robusto, i capelli chiari lunghi e raccolti in una treccia. Sobriamente vestita e per nulla truccata. «Ci conosciamo?» chiese l'uomo alla signora. «No, sono della Digos, e ho ricevuto incarico dal nostro comune amico di contattarla per definire il tutto». «Bene! Io avrei un certo appetito, che dice se andiamo a mangiare qualcosa?» «No. Meglio parlare prima». Lui era già innervosito da quel comportamento e allora disse: «Mia cara signora,

forse non ci siamo capiti. Io ho fame e adesso vado a mangiare. Se lei vuole può seguirmi e potremo parlare, altrimenti ci vediamo domani quando mi sveglierò». La donna, stizzita, lasciò la hall dell'albergo e lui se ne andò a mangiare. Si era quasi compiaciuto di averla fatta subito arrabbiare, ma poi si pentì, si rese conto di essere solo. Non fece in tempo a realizzare il tutto perché lei gli stava alle spalle, a un altro tavolo, e con una bottiglietta d'acqua aspettava che avesse finito il suo rancio. Lui si alzò e la raggiunse. «Ricominciamo» disse porgendo la mano aperta a quella donna. «Mi chiamo Lara» disse lei accennando un sorriso d'amicizia. «Io Tony, ma questo credo che lo sappia già». «In effetti fino a pochi giorni fa non sapevo neanche della sua esistenza, poi mi è stato sbattuto il suo fascicolo sulla scrivania insieme all'ordine di servizio» proseguì la donna, accennando ad un monte di scartoffie da leggere e controllare. Mentre facevano quella normale chiacchierata, Tony notò un paio di soggetti che gironzolavano intorno al tavolo, e con fare gentile disse alla donna: «Lara, penso che le sue due guardie del corpo possano tornare in Questura. Io non ho intenzione di fare del male a nessuno per il momento, e in ogni caso non a lei». Lei fece un cenno d'assenso con la testa, poi prese il suo cellulare e chiamò uno dei due. Il tizio rispose, e quando si rese conto che l'interlocutrice era lei, la guardò piuttosto imbarazzato e poi lasciò, insieme al compagno, la piazza. Parlarono per un paio d'ore davanti a due bicchieri di buon Chianti, del più e del meno, entrando soltanto a sprazzi in quello che era il nocciolo della vicenda. Lei spiegò che le alte sfere pensavano che una donna al suo fianco potesse essere d'aiuto, in quanto la mente dell'organizzazione avversa era quasi sicuramente la donna giovane. Avere l'opinione di chi poteva vedere le cose allo stesso modo dell'altra, poteva essere importante anche per le scelte future da adottare. Di questo concordava anche Tony, e del fatto che Lara, in fondo, avesse due belle gambe e un buon fisico. Ci fece subito un pensierino, rimandando indietro l'idea

di provarci subito. “In fondo chi credo di essere?” pensò nel vedere una marea di uomini are tra quei tavoli. Si lasciarono a notte fonda con l'intento di rivedersi il giorno dopo, domenica, per fare un sopralluogo ad Altopascio. Arrivarono in loco poco dopo le dodici, e già come in precedenza tutto ferveva per i preparativi del pranzo domenicale. L'allegra famiglia non era in casa, ma il proprietario del locale al pianoterra sembrò prendere interesse della presenza degli estranei, e sulla porta cominciò a tenerli d'occhio. Lara non si accorse di quello sguardo, mentre Tony lo aveva già percepito senza voltarsi, allora si decise e abbracciò la poliziotta, dicendo sottovoce: «Scusa, ma devo, ci stanno osservando». Allora lei si voltò e lo abbracciò, baciandolo quasi sulla bocca. L'odore della sua pelle e della carne era per lui chimicamente fatato, e lo stregò all'istante. Il gesto incondizionato che fece, senza riuscire tra l'altro a controllarsi, fu quello di mandare avanti il pube e lei se ne accorse immediatamente, rimanendo immobile e guardandolo negli occhi. Lui si limitò a dire: «Scusa. Non l'ho fatto apposta». «E come lo avresti fatto?» chiese lei, padrona del gioco. «L'ho fatto per davvero…» «Già… non metterti in testa idee sbagliate, sono felicemente separata e voglio rimanere nello stato in cui sono». «Volevo soltanto assicurarti che non mi sono saputo controllare e che non succederà di nuovo. In fondo sono un uomo e tu sei una bella donna». Lei sorrise con l'aria di una che ha vinto, mentre Tony invece sapeva benissimo che con tutta probabilità aveva già perso e alla grande. Da ora in poi non l'avrebbe più considerata come una donna, ma come un compagno di lavoro, e con il are dei giorni lei sarebbe andata su tutte le furie per tutte le mancate attenzioni che, forse, lei si sarebbe inconsciamente aspettata.

Così facendo, lei sarebbe diventata ogni giorno più audace e incazzata. Tony sorrise tra sé nel momento esatto in cui si lasciarono; nulla era successo d'interessante in quella domenica di prima estate, tranne forse quel contatto fin troppo audace. La mattina successiva non si sentirono, per il turno di riposo di lei e la cocciutaggine di lui. Comunque sia Tony, alle prime luci dell'alba, era di nuovo in un'altra posizione della strada centrale del paese, vestito questa volta da esattore delle tasse. Nel suo abito scuro, con i capelli imbrillantinati e una sorta di valigetta da dove uscivano centinaia di fogli, cercava con insistenza varie persone del posto, magari ignare e non colpevoli dei misfatti che attribuiva loro. Neanche la Polizia locale era stata avvertita della sua presenza. Da Firenze si pensava che forse le infiltrazioni, le conoscenze, i favori da restituire e perché no, i soldi, potessero aver tenuto banco. Quel giorno però qualcosa cambiò nello scenario. La signora, quella giovane, uscì di casa alle otto del mattino, e a piedi s'infilò nel traffico pedonale del paese. Non era giorno di mercato, ma il formicaio era molto attivo. Tony pensò che forse era giorno di pensioni e di pagamenti, comunque sia la gente era presente. La signora, nella sua abbagliante abbronzatura, con la pelle fin troppo lucida per essere vera, camminava a testa dritta e a naso in su. Si fermò in un paio di negozi, la tabaccheria e la ricevitoria del lotto. Lui avrebbe voluto dirle che la fortuna non faceva ormai più parte della sua vita, e che con molta probabilità sarebbe finita nelle patrie galere in un tempo breve. Finì per infilarsi in un mega supermercato ai bordi dell'autostrada e lui, convinto di non essere stato riconosciuto, la seguì. Lei girava per gli scaffali con un carrello che con il are dei minuti diveniva sempre più pieno di ogni articolo, e lui invece, con quello più piccolo da braccio, aveva comprato qualcosa di incomprensibile. A un certo punto la signora sparì e poi riapparve alle spalle di Tony, dicendo: «Io lo so chi sei!». Dopo una breve pausa e un lieve tremore alle palpebre continuò: «E soprattutto cosa vuoi da me!».

L'uomo si voltò, nel guardarla cercò di essere il più neutrale possibile e rispose: «Come fa a conoscermi, signora? Forse ha avuto qualche problema con l'ufficio delle entrate?». «Andiamo… lei si chiama Tony, non è vero?» Mentre parlava lui aveva già valutato la possibilità di afferrarla, ma poi ripensò alle persone che erano presenti nel locale e alle telecamere di sorveglianza e disse: «Sì, sono io. Sono quello che lei e la sua famiglia avrebbe voluto murato in una parete di una casa nella maremma toscana». «Be', i soldi sono soldi». «Non scherzi con me, signora. La vita è preziosa anche per un soggetto sinistro come lei» disse Tony, lasciando che il tono minaccioso prendesse il posto di quello affabile. «Veniamo al punto allora. Che vuole da noi?» A Tony non parve certo la domanda giusta, e allora lui incalzò: «Nel caso, che volete voi da Chiara». «I suoi soldi» disse in tono scialbo lei. A Tony parve che quel laconico messaggio fosse soltanto finalizzato non alla costituzione di un potere, ma all'effimera possibilità di spenderlo, quel maledetto denaro. «Vedrò cosa posso fare» disse l'uomo lasciando la donna interdetta, che forse valutava la reale possibilità di averlo dalla sua parte. Allora lei disse: «Ovviamente potremo spartirci la torta senza fare più nessuna guerra». «Si vedrà» disse Tony, e mentre la lasciava in quel corridoio tra due scaffali ripeté: «Si vedrà». Lei affrettò il o, lo raggiunse prima della fine del corridoio e afferrandolo per un braccio disse: «Come faremo a stare in contatto?». Mentre diceva quelle parole sentì il muscolo del braccio dell'uomo gonfiarsi e allora mollò la presa.

Lui disse, senza voltarsi: «Non lo faccia mai più! Non si azzardi per nessuna ragione al mondo a toccarmi di nuovo, sono stato chiaro?». «Sì» disse la donna, lasciando che la sua voce trasmettesse un tremito di paura subito controllato. «Non si preoccupi, sarò io a trovarla» fece Tony. Mentre tornava a Pistoia cercò di soppesare se quell'incontro voluto, e forse capitato troppo presto, sarebbe stato efficace per il suo piano. Pensò, infatti, a cosa avrebbe pensato se fosse stato nei panni di lei, e la conclusione fu che in fondo non avrebbe creduto a una parola, pensando a una trappola. Scacciò dalla mente quell'ennesimo fantasma e poi chiamò al telefono Lara. «Pronto!» disse lei in tono seccato, segno di un'inevitabile ferita aperta. «Ciao poliziotta, ho avuto il primo contatto. Possiamo vederci a cena per parlarne un po'?» «Sì, possiamo parlarne, ma non a cena». «Va bene, allora vengo in ufficio da te appena arrivo a Pistoia». Chiuse la conversazione e Tony pensò che dovesse essere proprio incazzata. Uscendo dall'autostrada decise di fare una deviazione per vedere se le sue donne stavano bene, e andò diretto a Pracchia. In fondo tutto il resto poteva aspettare. Mentre saliva verso il paese si ritrovò a valutare la possibilità di mettere al corrente delle attuali vicende Chiara. Finì col credere che forse poteva essere inopportuno, e decise di non dire nulla. Saliva la strada di montagna a velocità abbastanza sostenuta e vide nelle specchietto retrovisore un'auto di piccola cilindrata, con due persone a bordo, che arrancava per seguirlo. Un camlo d'allarme si accese nella sua testa, e volle rallentare di proposito

per vederci più chiaro. Anche l'auto che lo seguiva rallentò fin quasi a sparire dalla visuale, poi riapparve. Allora lui si fermò in un piccolo paese, entrò nell'unico bar a prendere un caffè e a osservare i movimenti. Dopo poco anche l'auto arrivò nei pressi del bar, ma non si fermò, tirò dritto. Allora Tony pagò il conto e si rimise alla guida. Dopo un paio di chilometri se la ritrovò di nuovo alle spalle e allora telefonò. «Toglimi quei due dalle calcagna!» disse deciso a Lara. «Sì» si limitò a rispondere lei. Vide l'auto fermarsi e fare inversione di marcia. Trovò Chiara indaffarata tra i fornelli di casa. Le arrivò alle spalle, mentre lei era assorta nei suoi pensieri culinari e leggeva una ricetta su un libro di cucina. Sembrava un vecchio Artusi, rinvolto in una copertina blu aviazione, ciancicato dalle intemperie del tempo e dalle mani unte di chissà quale massaia. «Ciao Chiara, che stai preparando di buono?» Lei si voltò di scatto e corse ad abbracciarlo. Poco dopo arrivarono tutti. Mamy e Sally, che avevano fatto amicizia con tutto il paese, e poi Renzo e Ivana, che in fondo ancora una volta tenevano saldo il fortino. Rimase l'intero pomeriggio con loro come se fosse una sorta di vacanza, e poi la sera, dopo cena, riprese la via per Pistoia. La mattina seguente arrivò di buon'ora negli uffici della Questura. Il secondino alla porta gli fornì il di riconoscimento e poi con un altro agente fu scortato nell'ufficio di Lara.

«Cosa volevi fare?» disse lui. «In che senso?» chiese lei. «Quei due che mi hai messo alle spalle potevano compromettere la mia copertura, te ne rendi conto o no? Non sappiamo fino in fondo con chi abbiamo a che fare e io non ho intenzione di mettere in pericolo la vita di Chiara, delle persone che ora sono con lei e soprattutto la mia». Lei si mise a sedere sulla poltrona della scrivania e disse: «Hai ragione, ma ci sono delle procedure che vanno rispettate». «Un cazzo! Se non si cambia metodo io faccio i bagagli e me ne torno con Chiara in Inghilterra». «Vedrò cosa posso fare» disse ancora lei. Tony spiegò l'accaduto e anche Lara fu d'accordo che forse l'incontro con l'allegra famiglia era un po' troppo prematuro. Comunque sia ormai erano in ballo, non potevano tornare indietro. In fondo che avevano da perdere? Nulla. Se il piano fosse stato scoperto l'allegra famiglia sarebbe di nuovo sparita, e lui avrebbe dovuto continuare a proteggere Chiara e la sua immensa dote, che neanche lei al momento percepiva tale. Decise con Lara che avrebbe dovuto stuzzicare l'avidità dei suoi avversari, dando un lieve assaggio di quello che era in realtà il bottino. «A proposito, non mi hai mai detto in cosa consiste il patrimonio ereditato da Chiara» disse lei. «Diamanti grezzi» rispose lui imperterrito. «Ma come? Diamanti grezzi!» «Sì, diamanti grezzi con una grandezza media che va da una nocciolina americana a una noce» continuò Tony.

«E quanti sono?» Lo stava incalzando. «Stimo che possano essere almeno una cinquantina di chili». «Ma allora stiamo parlando di una somma di denaro esagerata» disse Lara deglutendo. «Direi sfacciata. Comunque non ci pensiamo, non sono soldi nostri e sono anche abbastanza insanguinati» tagliò corto lui. ò il resto della giornata a bighellonare per il centro di Pistoia, lasciandosi attirare da qualche bella donna che in quella stagione aveva messo in mostra il proprio corpo abbronzato con dei vestitini estivi. La sera cenò in un ristorantino fuori del caos del centro storico e anche da quelle tentazioni, immerso nei suoi pensieri attuali e di tanto tempo fa. Il cameriere dovette toccarlo con una mano per riportarlo alla realtà e farlo ritornare al presente. Lui lo afferrò alla gola come se fosse il peggior nemico e poi, accorgendosi di quello che stava facendo, chiese scusa rimettendogli a posto la camicia bianca, ed entrambi si ricomposero. Sorrise mentre vedeva il cameriere fare ritorno in cucina traballante e ancora tremante di paura. La mattina seguente andò a Siena a prendere alcuni campioni dei diamanti, per poi metterli nelle mani della giovane signora dell'allegra famiglia. Prima di ritornare a Pistoia, volle fare un giro di ricognizione nella casa di caccia del povero Giorgio e constatò che tutto era a posto, a parte l'incuria della tenuta che, ormai da troppo tempo, non veniva più curata a dovere da nessuno. Decise che in fondo avrebbe potuto ingaggiare un paio di giardinieri, per dare almeno una parvenza di ritorno alla vita di quell'ambiente. Ma forse non era ancora il momento, visto ciò che quel posto nascondeva, così pensò di rimandare il tutto a vicenda conclusa, e si lasciò di nuovo alle spalle la casa con tutto quello che rappresentava. A volte gli sembrava di sentire come

un'aria lieve e ventosa, mentre ava per le stanze della proprietà. Era come se qualcuno lo guidasse con la sua anima, gli aprisse la strada, come aveva fatto cento volte quando era in vita. Altre volte gli pareva di sentire l'odore della sua pelle, dei suoi vestiti; credeva di avvertire l'odore di Giorgio. Finiva con lo scacciare quei pensieri dalla sua anima e dalla sua mente, limitandosi a essere quello che in fondo lui si sarebbe aspettato che fosse, almeno con la sua famiglia: una mano onesta e leale. Aveva nelle mani due diamanti che forse potevano valere qualche decina di migliaia di euro. Avrebbe voluto farli stimare, ma da chi? Erano pezzi modesti rispetto agli altri che aveva lasciato nella cassetta di sicurezza della banca. Uno sembrava una nocciola con il guscio, e l'altro era un po' più piccolo di una biglia di vetro. Tornato a Pistoia, andò a bussare ancora una volta alla porta dell'amico avvocato, che non poté riceverlo in quanto si trovava in udienza, ma lo indirizzò comunque da un esperto in pietre preziose. La sua stima, quella di Tony, senza una fondatezza dovuta alla mancanza d'esperienza e di conoscenza del settore, non lo aveva portato lontano dal determinare il reale valore delle pietre. Così com'erano potevano valere sul mercato una cinquantina di migliaia di euro. Una bella somma, pensò Tony, mentre il tizio con quella specie di minuscolo cannocchiale a un occhio solo stava sudando e si accingeva a porre la domanda fatidica. Deglutendo e asciugandosi il sudore disse: «Raro, anzi rarissimo vedere due pietre come queste allo stato grezzo». «Già… anche perché portarle via dal paese d'origine è decisamente illegale». «Infatti!» disse l'uomo, incredulo. «Ma come ha fatto a entrare in possesso di questo piccolo tesoro?» insisté

l'uomo incuriosito e interessato al possibile affare. «È una dote. Anzi, la piccolissima parte di una dote» disse divertito Tony. L'uomo scosse la testa pensando che in fondo quell'avventore fosse soltanto un ciarlatano e un truffaldino, indipendentemente dalla persona che lo aveva indirizzato da lui. E in fondo, anche Tony era contento di quella sensazione che aveva visto nelle espressioni dell'uomo. Il tempo gli avrebbe forse dato ragione e questo gli bastava. Chiamò Lara per informarla dei fatti, ma non era in ufficio e non rispondeva al cellulare. Lasciò soltanto un breve messaggio nella segreteria del cellulare, e poi, con quei due sassolini da cinquantamila euro in tasca, lasciati insieme agli spiccioli, andò a mangiare qualcosa. Ancora una volta gli odori e i colori delle donne in estate gli pervasero il cuore, e lui si lasciò trasportare in una sorta di viaggio nei due sensi. Si limitava a giudicare il aggio delle donne: come camminavano, le calzature che portavano, i vestiti che avevano indossato, i loro profumi, le loro scollature, la loro consapevolezza di essere comunque ammirate. La pizza che aveva davanti era ormai fredda e soltanto sbocconcellata, tanto che il cameriere gli si fece sotto per chiedere spiegazioni. Lui lo rassicurò e gliela rifilò indietro, mandandolo dal pizzaiolo per riscaldarla. Quando tornò la pizza era fumante e appena fatta. Il pizzaiolo, sotto il suo cappello bianco, aveva apprezzato il gesto e il modo, e l'aveva accontentato rifacendogli la pizza da lui desiderata e non consumata. Mentre il o femminile lasciava il posto alla sua inattesa fame, qualcosa turbò di nuovo i suoi pensieri. Un odore nuovo, ma già sentito, era entrato nel suo raggio d'azione e lo aveva distratto. Non era né un profumo, né tanto meno una pietanza, era un odore di pelle, era un odore di donna. Si voltò appena sulla sua sedia e la vide che lo stava osservando. «Ciao Tony, posso sedermi?»

«Certo che sì» disse l'uomo, riprendendo il controllo della situazione e concludendo: «Hai già cenato?». Lara scosse la testa e lui chiamò il cameriere per un nuovo coperto da aggiungere al suo tavolo e la carta del menù. Anche lei, alla fine, prese una pizza e una coca. Cenarono insieme parlando di tutto e di niente e poi alla fine, quando arrivarono i due caffè, Tony cambiò fraseggio e disse: «Sei venuta per lavoro?». «No, sono venuta per te» disse lei, immune e inconsapevole alle conseguenze. Lui non aggiunse altro, pagò il conto, poi si alzarono insieme e a braccetto girarono un po' per il centro di Pistoia in una sorta di religioso silenzio, nella calma che precede la burrasca. Il tempo trascorreva indifferente a ciò che gli esseri umani si sarebbero aspettati che fe, e allora Lara, decisa a non perderne più, disse: «Sono stanca e vorrei andare a letto». «Dove abiti? Se vuoi ti accompagno» rispose Tony, non credendo lui stesso alle parole che gli erano uscite dalla bocca. Lei lo guardò negli occhi e poi disse: «Troppo complicato, è meglio se andiamo da te». Lui la condusse nella camera dell'albergo e lasciò che usasse per prima il bagno. Aveva soltanto la luce sul comodino, offuscata con una rivista, e poi si era disteso sul letto vestito, tanto per non dare nulla di scontato. Quando lei uscì dal bagno nuda, a Tony parve di essere già immerso in quello che avrebbe, in fondo, voluto essere il suo stereotipo di sogno. Sentì prima di tutto quelle labbra, bollenti, appoggiarsi sulle sue, e poi il resto del corpo. La lasciò per un lungo periodo dirigere la situazione, fin quando la sua eccitazione non ebbe la meglio e allora dette sfogo a tutta la sua ione. La mattina li trovò addormentati e ancora avvinghiati in una sorta di sonno kamasutra.

Quando Lara si risvegliò, coperta da un semplice lenzuolo, lui era già vestito e pronto per una nuova giornata; lei ebbe una stizza di disappunto, che Tony subito mitigò con un bacio. Lei si ricompose nel giro di un quarto d'ora e poi, mentre si metteva le scarpe disse: «Adesso che cosa ne facciamo di questa nottata?». Lui la guardò in tono interrogativo, con l'aria di uno che non aveva capito bene la domanda. In realtà la sua era una richiesta specifica sul livello di coinvolgimento in quella che lei aveva già deciso di definire “storia”. «Prendiamola così come viene, giorno per giorno» disse lui, deciso a prendere tutto il tempo necessario per un'attenta riflessione. «E no mio caro! Io non sono una di quelle bagasce che restano sempre aperte purché l'uomo sia in tiro. Io cerco altro». Lui sorrise, e prendendole entrambe le mani nelle sue disse: «Lara, ci conosciamo da pochi giorni, non vorrai mica davvero che ti giuri amore eterno, vero? Almeno frequentiamoci un po', prima di giungere a conclusioni che spesso risultano essere affrettate anche se prese dopo decine di anni». Lei soppesò le parole dell'uomo e poi ribatté: «Va bene, ma fino a quando non avrai capito se vorrai stare con me scordatela!» facendo riferimento alla sua patatina. Avrebbe voluto risponderle a tono, ma poi pensò che in certe occasioni un silenzio valeva molto di più delle parole, e allora pensò che comunque ci avrebbe riprovato a ogni occasione utile. Verso l'ora di pranzo compose il numero della giovane donna dell'allegra famiglia, e lei rispose al secondo squillo. «Pronto?» «Sono io. Ho un pegno del nostro possibile accordo da consegnarle». Sentì la donna respirare e poi disse: «Vediamoci a Montecatini alle sette di stasera, alla stazione del treno, senza scherzi».

Tony non rispose neanche e riagganciò. Forse lo stava mettendo alla prova, o forse già sapeva, e voleva verificare fino a che punto sapesse lui. Insomma, si stava calando pian piano nella rete che non era una trappola, bensì una via di uscita per avere salva la vita che Tony, per la prima volta, dava a qualcuno. Telefonò a Lara e la informò del contatto e dell'appuntamento. Anche lei la pensava come lui, e un paio d'ore prima mandò sul posto un paio di agenti in borghese, per la sicurezza e il o logistico. Lei non ci sarebbe stata, il coinvolgimento sentimentale faceva brutti scherzi a volte. Un'ora prima dell'appuntamento, Tony fece un primo sopralluogo in quel posto affollato ad ogni ora del giorno e della notte, almeno finché ci sono i treni che trasportano i eggeri, per prendere confidenza con il luogo e fissare nella propria mente le possibili vie di fuga e i relativi vicoli ciechi. Tutto appariva tranquillo, i anti e i pendolari, ignari dei suoi pensieri e degli eventi che avrebbe dovuto affrontare, gli avano intorno, a volte urtandolo con una borsa della spesa o con il corpo. Era a disagio, con tutte quelle persone che aveva intorno. Comunque sia si fece coraggio, e si mise ad attendere la signora in un angolo nella sala di attesa riservata ai viaggiatori di seconda classe. Le persone che di volta in volta si soffermavano con lo sguardo su di lui, finivano con l'essere sempre più potenziali nemici invece che estranei e ignari anti. Roteava quei due sassolini che aveva tra le mani e pensava a Giorgio e a Chiara. Non poteva fare a meno di provare una sorta d'odio atavico nei confronti di quelle persone che alla fine lo avevano ucciso. Stranamente, il tempo trascorreva quasi più veloce di quello che lui si sarebbe aspettato. La signora comparve; era sola o così sembrava. Gli venne subito incontro e si sedette accanto a lui. Lo fece però mantenendo una certa distanza, mirata a evitare un qualsiasi contatto, in ricordo dell'avvertimento che lui le aveva in precedenza dato.

Rimasero entrambi per un paio di minuti in silenzio, aspettando nell'attesa che l'altro prendesse la parola. Un giochino che Tony conosceva fin troppo bene, e non ci cadde. Allora lei prese la parola e disse: «Signor Tony, che cosa aveva intenzione di mostrarmi?». «Questo è il patrimonio, per meglio dire, la dote di Chiara» disse mostrando le pietre alla donna. Lei prese i due sassi in mano; dopo averli guardati le parve di intuire qualcosa, e allora disse: «Sono quello che penso che siano?». «Se lei crede che questi siano diamanti grezzi, allora sì» rispose Tony notando un forte rossore sul viso di lei, che forse stava già pensando a come spendere tutto quel ben di Dio. «Ma quanti crede che ce ne siano?» «Direi molti» rispose ermetico Tony. Rimase un attimo in silenzio e poi incalzò la signora, ormai stregata da quelle pietre e dal loro controvalore in euro. «Mi dica, una volta eliminato Giorgio, come pensava di poter entrare in possesso dei soldi?» «Non mi aspettavo che si trattasse di pietre preziose, pensavo che fossero soldi veri. Essendo Chiara rimasta unica erede del patrimonio e non avendo parenti stretti in vita, pensavo di renderla incapace di intendere e di volere attraverso l'uso di psicofarmaci, per poi ottenere l'affidamento dei beni mobili e immobili. Poi è arrivato lei, e diciamo che ci ha stravolto i piani». «Ingegnoso… un po' complicato da mettere in pratica ma decisamente ingegnoso» ribatté Tony. Fece una pausa di riflessione, più per aumentare la tensione che per altro, e poi riprese a parlare: «Ci sono state un po' troppe morti, diciamo strane, intorno a questa vicenda. Oltre a Giorgio avete fatto fuori anche qualcun altro».

La signora si guardò intorno e poi disse: «Noi non abbiamo fatto fuori nessuno! Andiamo, signor Tony, non vorrà mica che le firmi una confessione su un piatto d'argento?». «Io non voglio nulla. Mi interessano i soldi e basta!» «E lei, signor Tony, come pensava di entrare in possesso dei soldi?» incalzò questa volta lei. Lui sorrise e poi disse: «Per me sarebbe stato più facile. Pensavo di sposare Chiara in regime di comunione dei beni, poi l'avrei eliminata». «E allora cosa le impedisce di farlo?» «Il fatto che la Polizia è sulle tracce delle persone che hanno ucciso il segretario di Giorgio e la tata di Chiara, e che l'eredità è vincolata alla sua vita». «In che senso?» disse la donna maledettamente incuriosita. «Nel senso che in caso di morte prematura di Chiara, l'intero ammontare della dote, se così la vogliamo chiamare, finirebbe in un fondo fiduciario, lasciando all'avente diritto all'eredità soltanto un vitalizio, neanche troppo vistoso, con il solo utilizzo della casa di Firenze». «Non è possibile!» disse di nuovo lei. «E invece sì! Altrimenti io oggi non sarei qui a parlare con lei». Mentre diceva le ultime menzogne, gli parve che la donna cominciasse a credere a quella rocambolesca storia. Infatti fu lei a parlare di nuovo: «Che ha in mente di fare allora?». «A dire il vero non saprei per il momento. Quello di cui ho bisogno, anzi abbiamo bisogno, è di ristabilire la calma, e lasciare che Chiara possa tornare alla sua vita normale senza pericolo di essere uccisa. Al bottino potremo pensarci dopo». Lei rifletté un attimo e poi disse: «D'accordo!».

Lui le offrì la mano in segno di assenso e lei, titubante, le porse la sua. Era fredda, e forse rifletteva quello che aveva dentro l'anima. Mentre si alzavano per tornare ognuno al proprio ovile lui le disse: «Signora, lei oggi ha accettato un accordo con me, noi abbiamo stipulato un contratto non scritto. Se decidesse di non onorarlo io la ucciderò insieme a tutta la sua famiglia. Spero di essere stato abbastanza chiaro». Lei non disse nulla, si limitò ad annuire con la testa e se ne andò. Fece ritorno a Pistoia e la prima tappa fu l'ufficio di Lara. Lei era lì che lo aspettava, non lo avrebbe ammesso mai, ma era proprio così. Non c'erano altre persone e allora lui poté parlare chiaro: «La donna con il foulard rosso sulla testa, l'uomo con il pacchetto di sigarette in mano all'entrata della stazione, la coppia di turisti in attesa di quel treno che per loro non è arrivato mai, erano le mie guardie del corpo?» «Sì, ma ce n'erano anche altre che non hai visto» disse lei calma dietro la scrivania, nella posizione di quella che comanda. Tony lasciò ancora una volta che lei credesse di avere in mano quel gioco, e in una sorta di incomprensibile comprensione, si ritrovò a far andare le cose come gli altri volevano. Si limitava a controllare i movimenti e null'altro. Pregò Lara di essere discreta sulla rivelazione delle informazioni, in fondo era riuscito a stringere un accordo di non belligeranza e si aspettava, in virtù dei soldi che erano in gioco, che gli altri si sentissero obbligati nel rispetto di quel contratto, che aveva come comune denominatore la vita di qualcuno. Lara, dopo che lo ebbe ascoltato in un momento di calo della tensione, si avvicinò a lui e gli toccò la mano. In fondo quella non poteva essere altro che una benevola carezza. Lui riuscì a prenderle il collo tra le mani e a baciarla sulla bocca. Lara si lasciò cullare da quella piccola fetta di felicità giusto il tempo per reagire e si staccò, esternamente contrariata dall'evento, ma felice e orgogliosa del gesto. Comunque sia non aveva ancora stabilito una strategia e quella distrazione, di

natura sentimentale, gli faceva perdere del tempo prezioso. Ebbe solo il tempo per mettere nelle mani della donna un biglietto che la invitava a cena per quella stessa sera. Lei non lo lesse, se lo mise in tasca e poi lo congedò vantando tanti altri casi da tenere sott'occhio. Cenarono con discrezione in un ristorante di mezza costa, a una decina di chilometri da Pistoia. Non parlarono di se stessi, ma dell'eventuale strategia per portare quei furfanti in galera. Alla fine concordarono che in fondo il piano che loro cercavano di mettere in piedi era più complicato del previsto. Non c'era un appiglio realistico su cui montare la scenografia della trappola. L'allegra famiglia in fondo aveva una profonda conoscenza delle persone che facevano, e avevano fatto parte, della vita di Giorgio e di Chiara, e poi, allo stato attuale delle cose, Tony non sapeva se fosse coinvolta altra gente nella vicenda. Lara lo aiutò a ricostruire il tutto, e la conclusione fu che nessuna prova concreta era imputabile a loro carico, circa le morti occulte che negli anni si erano verificate… insomma, senza un'ammissione di colpa tutto era inutile. Quella sera si lasciarono sulla porta di casa di lei come due ragazzi, e mentre Tony faceva ritorno in albergo per la sua ultima notte in quel posto ebbe l'idea. Tornò sui suoi i e suonò il camlo di Lara. Lei era già in pigiama e con lo spazzolino da denti ancora in mano aprì la porta; senza dire nulla lo fece entrare. Non pensava che fosse per lavoro, ma lo fece accomodare. Parlarono fin dopo le due di notte e poi lui fece ritorno, questa volta per davvero, al suo albergo. Dormì poche ore e poi, dopo aver saldato il conto, nel totale dispiacere del titolare, partì alla volta di Pracchia. Non sarebbe stato facile convincere Chiara ad affrontare quello che lui aveva escogitato. Il tutto era vincolato dall'assenso dei superiori di Lara, in ogni caso lui ci doveva provare, in fondo era l'unico modo per eliminare dalla sua vita

quelle persone e lo spauracchio di una costante minaccia sulla sua testa. Arrivò a casa sua poco dopo le nove e trovò la situazione tranquilla. Le quattro donne erano ormai quasi sempre insieme e questo lo rendeva tranquillo. Anche in quel caso ci sarebbero state complicazioni nel momento in cui avrebbe dovuto comunicare a Sally e Mamy di fare ritorno in Inghilterra, alla loro vita. “Un o alla volta!” si disse guardandosi allo specchio. Cenarono tutti insieme a casa di Renzo, e mentre lui si accingeva a dare le dovute comunicazioni, fu proprio l'uomo a prendere la parola e disse: «Tony, ieri sono venuti dei tecnici della società dell'energia elettrica a effettuare delle rilevazioni proprio qui, e anche a casa tua». «Che tipo di rilevazioni hanno eseguito?» chiese distrattamente, pensando già a qualcosa di diverso. «Non saprei dire, avevano degli strumenti di misurazione e hanno voluto fare rilevazioni in ogni stanza». Tony aveva già capito, anche se gli risultava difficile accomunare l'allegra famiglia con quello che avrebbe scoperto di lì a poco. Prese un foglio bianco e con un pennarello scrisse: “Da ora in poi non parlate più di cose riservate, siamo spiati!”. Fece are il foglio tra i commensali, e nel loro totale sbigottimento, riprese a parlare del più e del meno con tutti. C'era allora una terza figura nello scenario, forse c'erano altri cacciatori di dote. Ora sì che la situazione si faceva più complessa, infatti le organizzazioni che potevano contare su sistemi tecnologici di quella portata risultavano essere davvero più pericolose. Uscì da casa lasciando gli altri in una sorta di sgomento, e si diresse alla stazione dove poté telefonare a Lara, per sapere se era stata lei a mandare quei soggetti. La risposta negativa fu decisa e sincera. Lui la informò sulla possibilità di avere a che fare con soggetti ben più pericolosi dell'allegra famiglia.

Purtroppo dovette tornare a Bologna nel suo magazzino della spesa, per prelevare un paio di attrezzi mirati alla rilevazione di microspie. Prima di partire parlò con Mario, che con amarezza lo informò dello sgombero del capannone a cura di un camion del Ministero Degli Interni. «In ogni modo dimmi quello che ti serve e vedo cosa posso fare». «Hai presenti quegli apparecchietti che sembrano dei metal detector e invece rilevano le microspie? Ecco, io avrei bisogno di uno di quelli» disse, quasi sicuro della risposta negativa. «Se mi porti una bottiglia di buon Chianti te lo posso prestare» rispose Mario e lui rinacque. In poco meno di un paio d'ore era già davanti a casa dell'amico, ed effettuava lo scambio proprio come lui gli aveva richiesto, a parte il fatto che le bottiglie di vino erano sei. «Mi sono preso la briga di cambiare le pile e verificare il funzionamento dello strumento. E se hai bisogno di qualcos'altro non hai che da dirmelo. Loro hanno portato via tutto, ma solo dopo che io, dopo la tua intrusione, mi sono fatto il mio arsenale privato». Tony sorrise e poi disse: «Ora sì che sono incazzati con me!». Si lasciarono con un abbraccio fraterno e lui si mise sulla strada del ritorno. Aveva di nuovo quella sensazione di paura, provava un brivido freddo dietro la nuca per le sorti della sua protetta. Poco dopo era di nuovo a Pracchia, in casa sua, a setacciare ogni angolo alla ricerca delle cimici. Per il momento si limitò a identificarle senza rimuoverle, per avere ancora nelle mani il vantaggio della sorpresa. Ne avevano posizionate così tante che era quasi impossibile parlare in casa senza che il grande orecchio potesse ascoltare. Sembrava un lavoro da professionisti e forse lo era davvero. Anche nella casa dei due vecchi guardiani del fortino le cimici spuntavano un po'

ovunque, e anche in quel caso si limitò a identificarle. Non potevano nemmeno smettere di parlare, perché anche quello avrebbe potuto dare nell'occhio, e allora optò per una cena nell'unico ristorante del paese, dalla Lorenza. «Stasera vi porto a cena fuori!» disse ai suoi amici, che vivevano quella nuova intrusione con un certo disagio. «Dove andiamo di bello?» disse Chiara, inconsapevole del motivo che lo spingeva a cenare fuori casa, mettendo tutti in un sorta di potenziale pericolo. «Sorpresa» rispose Tony, indicandole con il dito al naso di non dire altro. Alle otto in punto erano con le gambe sotto il tavolino e già avevano iniziato a gustare un buon antipasto. Tony spiegò loro l'importanza di imparare a convivere con quei minuscoli aggeggi, e pregò tutti di sforzarsi di vivere e parlare come sempre. Nel ristorante c'erano altri clienti, ma nessuno dette nell'occhio a Tony, che da un momento all'altro si aspettava un contatto con quella nuova figura che aveva fatto capolino nella loro vita. Dalla veranda del ristorante vide are per ben due volte una macchina con le stesse due persone a bordo. Allora il camlo d'allarme che iniziò a suonare nel suo cervello aveva le dimensioni di una campana da chiesa. Si alzò da tavola, con la scusa di fumare una sigaretta si avvicinò alla strada e allora li vide. Era rimasto nella zona buia del giardino e loro non potevano riconoscerlo. arono ancora un paio di volte a bassa velocità e poi s'infilarono nel parcheggio. Poco dopo uno di loro si avvicino all'entrata del ristorante chiedendo se era possibile acquistare un pacchetto di sigarette. Alessandro, marito della Lorenza, lo fece accomodare e Tony, dal suo improvvisato nascondiglio, poté osservare bene l'uomo da vicino. Quando scoprì il retro della giacca per prendere il portafoglio che aveva nella tasta posteriore dei pantaloni, vide la pistola. Allora non si sbagliava, e quel contatto che aveva sperato rimanesse nella sua mente, invece si era concretizzato.

Anche lui era armato. Il tizio pagò le sigarette e poi fece ritorno alla macchina. Non ne accese una, come avrebbe fatto un qualsiasi fumatore, si limitò a metterle in tasca. Poco dopo l'auto uscì dal parcheggio e sparì nel buio della notte. Tony tornò dai suoi commensali non rivelando nulla, in fondo potevano anche essere poliziotti in borghese o malviventi comuni. Ma non ci credeva neanche lui mentre lo pensava. Tornati a casa volle entrare per primo, e andò a verificare che i segnali che aveva messo fossero sempre al loro posto. Nessuno si era introdotto nella casa. Forse quello che avevano dovuto fare lo avevano già fatto. Dormirono un po' tutti, tranne lui. Lui prese sonno soltanto per un paio d'ore, e poi si svegliò di soprassalto per un rumore diverso, che di tanto in tanto la scala retrattile che conduceva in soffitta emetteva. Il calore del giorno con il freddo della notte faceva dilatare e poi ristringere l'acciaio armonico delle molle, producendo a volte una sorta di suono simile a un gong. Tutto sommato pensava che forse sarebbe stata l'ora di agire. Stabilire il contatto anche con quelle nuove persone, per sapere chi fossero e cosa volessero. La mattina successiva, mentre facevano colazione tutti insieme disse: «Mamy, credo sia venuto il momento che tu e Sally torniate alla vostra vita in Inghilterra». Dopo un attimo d'attesa la commozione prese campo, e un po' tutti trattenevano il pianto per l'imminente partenza. Tony accompagnò le due donne all'aeroporto di Pisa, e una volta davanti all'ingresso, disse: «Stamani ho provveduto a effettuare un bonifico sul conto dove tu hai accesso. Per qualsiasi necessità potrai prendere i soldi da lì. Vedi di dare un'occhiata all'ufficio di Londra, fallo ripulire e risistemare, appena potrò ti raggiungerò e riapriremo».

«Sarà fatto» disse Sally. Tony le abbracciò insieme e le condusse all'imbarco. Con due persone in meno da proteggere era tutto più facile. Prima di mezzogiorno era di nuovo a Pracchia, deciso a prendere in mano la situazione e generare il caos. Voleva in ogni modo lasciare fuori dal quel gioco pericoloso la coppia di anziani amici, che per tanti anni, nell'ombra, gli avevano tenuto la casa e i suoi interessi in Italia alla perfezione. Lasciò volutamente le cimici nella loro abitazione, togliendo quelle nella sua, mettendole a bagno nell'acido muriatico. Doveva soltanto attendere gli eventi. Portò Chiara in una camera dell'albergo Melini e fece ritorno a casa, ad aspettare quel maledetto contatto. ò un giorno intero, poi due tizi nei panni di tecnici dell'ente dell'energia elettrica suonarono il camlo. Li fece accomodare per fare tutte le misurazioni che desideravano, ma non li lasciò mai neanche un momento. Dopo un po' pareva che girassero in tondo, interdetti da quell'uomo che li incalzava sempre più. A un certo punto ebbe la sensazione che qualcosa degenerasse e allora colpì. Quello che gli dava le spalle, intento a cercare qualcosa che non c'era più, stramazzò a terra a seguito di un colpo sferrato con il calcio della sua pistola, e poi la puntò deciso sul volto dell'altro che, colto di sorpresa, non fece in tempo a fare altro che alzare le mani. Tolse a entrambi le pistole di piccolo calibro, munite già di silenziatore, poi li fece sedere con le mani in vista sul tavolo. «Chi siete? Che volete da me?» Il tizio rimasto in piedi decise di non parlare e lui ripeté le domande. Ancora silenzio.

Allora Tony cercò la linea della comunicazione, prima di are di fatto alle maniere forti. «È ovvio che non siete tecnici dell'energia elettrica e che le microspie che state cercando non ci sono più. Ed è altrettanto ovvio che per essere dotati di una tecnologia così sofisticata e costosa dovete disporre di molto denaro. Non avete considerato una cosa però, non avete considerato me». Quello che aveva preso la botta si stava lentamente riprendendo, e per prima cosa cercò la pistola che Tony gli mostrò. Poi lo invitò di nuovo a sedersi accanto al suo compagno mettendo le mani sul tavolo. «Che intenzioni ha?» chiese il malcapitato. «Be', dipende da voi» disse lui deciso a sapere tutto. Poi si rilassò un attimo e continuò: «Vediamo, potrei chiamare la Polizia e farvi portare in Questura per i dovuti accertamenti, oppure i controlli potrei farli io, a mio modo. Da quello che posso percepire non siete poliziotti, non fate parte dei servizi segreti, sareste troppo scarsi, e non siete mercenari o malviventi. Ma allora cosa siete?». Quello che si era seduto per primo disse: «Avrei una richiesta che forse potrà sembrarle alquanto strana, in ogni caso vorrei poter fare una telefonata». «Certo» disse Tony. L'uomo prese il cellulare, compose il numero e poi disse: «Pronto, sono io». Attese la risposta dell'altra parte e poi continuò: «Sì, ci hanno scoperto e ora siamo tutti e due con una pistola puntata contro». L'uomo attese istruzioni e poi riagganciò. «Noi facciamo parte di un'organizzazione non governativa, nata da un gruppo di ricconi che vuole combattere con ogni metodo, legale o illegale, il fenomeno dei cacciatori di dote. Ci sono nel mondo centinaia di persone che, in virtù di un patrimonio lasciato in dote dalla famiglia o ereditato a seguito di matrimoni o unioni, perdono la vita in concomitanze strane. Persone che diventano pazze e vengono rinchiuse in manicomi solo dopo aver ereditato fortune, altre che perdono la vita per cause fin troppo naturali per essere vere… comunque non

siamo qui per fare del male a nessuno, semmai per proteggere qualcuno» disse l'uomo con il telefono ancora in mano. «Come faccio a credere a una parola di quello che mi state dicendo?» «La stiamo seguendo dal momento in cui Chiara Della Rocca Bruna è entrata nel suo ufficio di Londra. Se questo può esserle di aiuto, la donna di colore che è stata eliminata a Londra è opera nostra» continuò l'uomo appoggiando il cellulare sul tavolo. «Facile a dirsi. Datemi una prova tangibile del vostro operato. Fatemi parlare con una persona super partes, che mi possa confermare le vostre credenziali, e io vi crederò». «Temo che non potrò aiutarla» disse l'altro, che fino ad allora era rimasto in silenzio. «Be', allora è un bel problema. In fondo io sono davanti a voi con una vostra arma da fuoco e voi siete in casa mia. Potrei chiamare la Polizia, verificare le vostre identità, i vostri precedenti penali, e intentare un procedimento per violazione di domicilio, tentata rapina, tentato omicidio, detenzione illegale di armi… non dimentico niente, vero?» «Aspetti un attimo» disse l'uomo con il telefono, che ricompose il numero e disse solo poche cose, tra cui: «Abbiamo un grosso problema». Un'ora dopo arrivò alla porta un soggetto che si era preannunciato al telefono; consegnò nelle mani di uno dei falsi tecnici una busta per Tony. Il suo contenuto era un'altra comunicazione di Giorgio per lui. Scritta di proprio pugno, Tony riconobbe la calligrafia e la firma autografa inconfondibile.

Caro Tony, questa è la seconda volta che ti scrivo da morto, e se leggerai questa mia lettera vorrà dire che mia figlia è ancora viva e i miei interessi insieme a lei. Le persone che ti consegnano questa mia missiva post mortem sono fidate, anzi fidatissime. Con il mio contributo, insieme a quello di tanti altri fortunati uomini

o sfortunati tizi, secondo come si vedono le cose, abbiamo costruito nel tempo questa sorta d'associazione. Il suo fine ultimo è quello di far sì che gli sforzi di una vita di tanti, a favore dei cari, non divengano vani a seguito di eventi cruenti. La mia morte, come quella di tanti altri, non ti deve lasciare turbato. Nella mia vita ho sempre fatto tutto quello che ho voluto e ho potuto fare. La fortuna per lungo tempo mi ha sorriso e, anche se oggi non lo fa più, spero che anche con il tuo e il loro aiuto lo faccia per mia figlia. Fa' sì che Chiara lasci una parte dei soldi a questi signori che lavorano nell'ombra a fin di bene, e sono per me stimati amici. Ti auguro ogni bene,

Giorgio

Tony rifletté un attimo e poi disse ancora: «Non significa nulla, potreste aver ottenuto questa pseudo confessione con la forza o con il ricatto». «Sì, avremmo potuto farlo, ma non è andata così, e in fondo mi pare di capire che lei lo sappia». Tony riflette soltanto il tempo necessario a non rispondere, e poi in controtendenza disse: «Sì, forse potrei anche credervi, ma gli eventi che mi stanno cadendo addosso mi riportano a un unico punto di partenza». Lui in fondo percepiva lo stato di positiva lealtà di quelle persone che aveva davanti, purtroppo la domanda che gli rimaneva aperta a quel punto, dopo una così eclatante dichiarazione del suo amico scomparso era: “Giorgio era stato ucciso, ma da chi?”. Il perché era ovvio: i soldi, la ricchezza e il potere. Non credeva che l'allegra famiglia, alla luce di quei nuovi fatti, avesse potuto

ordire un complotto così ben orchestrato, da arrivare a uccidere il suo amico e rimanere lo stesso nell'ombra. Doveva esserci qualcos'altro che gli era sfuggito, pensò, qualcosa di dannatamente importante. Mentre i due tizi si stavano un po' rilassando, nonostante l'arma ancora puntata, lui tentò di fare un percorso all'indietro su quello che aveva vissuto e visto in quei mesi, in giro per l'Europa con Chiara. Nulla di ciò che rivedeva in quel film mandato a forte velocità lo attirava e creava sospetto. Alla fine l'unica persona che non aveva avuto il piacere di conoscere era quella sinistra figura di colore che più volte, a detta di tanti, si era trattenuta in casa del segretario di Giorgio. Ricordava che qualcuno gli aveva riferito delle discussioni a volte animate, troppo animate per temi secondari come il calcio o una lite per il giardino in comune. Pensò che quello potesse essere l'ultimo tentativo da fare, prima di riprendere i contatti con l'allegra famiglia e verificare fino a che punto il loro coinvolgimento fosse andato avanti. In sintesi, si erano limitati a cercare di derubare dei suoi averi l'ereditiera, tentando anche di uccidere la sua guardia del corpo… o anche il povero Giorgio era stato una loro vittima? Non parlò con quei tizi, si limitò a dire: «Datemi una di quelle microspie. La metterò nella mia cucina in modo che possiate sempre intervenire in caso di bisogno». Uno dei due estrasse un pacchettino di metallo dalla tasca della giacca, all'apparenza sembrava un portasigarette, invece conteneva una dozzina di quelle piccole diavolerie. Gliene dette una e lui la posizionò proprio sotto il tavolo della cucina. Mentre congedava i due gli parve giusto dire loro di andare a ripulire la casa dei due anziani amici. I tizi risposero di sì e si allontanarono in quella direzione. Nel pomeriggio chiamò Lara.

«Alla fine ti sei deciso a comunicare!» disse stizzita la poliziotta, più per la vita privata che per quella professionale. «Come procede la cosa?» disse, ricomponendosi dopo quella sorta di rimprovero. «Sono quasi allo stesso punto di partenza, e non credo che quei quattro sciagurati di Altopascio possano avere ucciso Giorgio o il suo segretario». «Questo lo penso anch'io, ma non dimenticare che con te ci hanno provato» rise lei al telefono. «Quindi se loro non c'entrano, chi è stato?» Parlottarono ancora un po' al telefono, poi lei sciolse gli indugi e disse: «Quando vieni?». «Non saprei proprio, poi adesso ho Chiara a tempo pieno, non mi fido più, penso che i tempi siano maturi e da un momento all'altro qualcuno busserà alla sua porta per chiedere il proprio conto». «Allora buonanotte» disse lei avvilita per la risposta. Lui la bloccò prima che riagganciasse e ribatté: «Non ti preoccupare, ci sarà anche tempo per noi. Comunque sia, avevo chiamato per chiederti se potevi ritrovarmi gli incartamenti sull'omicidio del segretario di Giorgio». «Perché?» «Credo che sia sfuggito qualcosa d'importante e vorrei rivedere la casa dov'è stato assassinato» «Per gli incartamenti non preoccuparti, ma entrare in quella casa, che è ancora sotto sequestro, sarà un bel problema» concluse Lara. «D'accordo, sentiamoci domani e facciamo il punto». «No, mio caro, domani ci vediamo o ti vengo ad arrestare!» Lara chiuse la comunicazione. Tony rise tra sé pensando alla cocciutaggine di quella donna. Alla fine andò in cucina e a voce alta, affinché quelli che aveva congedato poco prima potessero sentirlo bene, disse: «Domani vado via, lascio

Chiara a casa, da sola, mi sono spiegato?». Poco dopo ricevette un messaggio al cellulare proveniente da un numero privato, che diceva: «Sì». Anche quella sera cenarono dalla Lorenza, loro due soli. Parlarono di un po' di tutto, compreso delle rispettive vite, e di come alla fine tutto fosse così difficile da sopportare, da portare avanti. In una sorta di tregua del pensiero si trovarono entrambi d'accordo che in fondo, il concetto di vivere e quello di esistere, potevano essere così forti, così reali. La mattina seguente si recò a Pistoia per parlare con Lara e non solo. In fondo si aspettava una sorta di tour de force dell'amore e così andò, lo ricevette in ufficio e poi lo accompagnò in un luogo familiare: casa di lei. arono ore difficili e al tempo stesso meravigliose, con la convinzione che non le riavrebbero mai avute di nuovo a disposizione. Un presagio difficile da accettare, anche se condiviso da entrambi. Si amavano in una sorta di religioso silenzio, ognuno nel rispetto del proprio ruolo e delle proprie mansioni. Difficile credere che quello fosse amore, forse era soltanto il surrogato, il retro della medaglia, la scopata facile per entrambi, la consapevolezza celata di una complicità che solo in quel posto, nel letto appunto, poteva dirsi maturata. A dimostrazione dell'accaduto si svegliarono entrambi mostrandosi la schiena, senza un contatto fisico, senza la voglia vera di vedere un nuovo giorno insieme. Quello, pensò Tony, era l'inizio della fine. Mentre si abbuffavano su una colazione o una merenda, avendo perso il senso del tempo, fu lei a prendere la parola e disse: «Mi sa che io e te abbiamo un po' esagerato con questo coinvolgimento. Forse non abbiamo valutato bene i pro e i contro della nostra strana relazione. Anzi, non la definirei nemmeno tale. Se sei d'accordo, vista la nostra età, direi di farla finita qui e concentrarci sul lavoro». Tony si alzò dal tavolo, quasi del tutto nudo e, cercando di ritrovare qualche indumento da mettere tra la sua pelle e il senso del pudore, guardandola negli occhi disse: «Mi hai sollevato da un peso mortale. Non sapevo come fare a dirtelo, ma anch'io la penso come te».

Lei lo guardò nudo per l'ultima volta, con la stessa ione che aveva provato poche ore prima, poi si voltò nella sua nudità interiore e comprese che quell'uomo sarebbe divenuto un amico sincero. In fondo accadeva sempre così. Dal letto si finisce o con l'amarsi o con il tollerarsi, proprio come si tollera un vero amico. Fecero ritorno alla centrale di buon mattino e il poliziotto alla porta si avvicinò a Lara sibilando: «Dormito bene con la guardia del corpo?». Lei fece finta di non sentire, Tony invece mise subito le cose in chiaro con il malcapitato. ò oltre la persona come se neanche lo avesse visto, poi si girò fulmineo come un cobra, approfittando dell'ingresso ancora deserto della Questura, e lo sbatté contro la porta. Il poliziotto cercò la sua pistola ma Tony gliela aveva già sfilata, e mentre lasciava accasciare il soggetto la privò di caricatore e colpo in canna, smontata a dovere in tre pezzi, tenendo in mano soltanto il congegno di scoppio. Alla vista di tanta praticità nell'utilizzo delle armi, colui che in altri tempi avrebbero chiamato il piantone di guardia, prese coscienza della persona che aveva di fronte e nel ricomporsi chiese scusa. Tony rimise nelle mani dell'uomo tutta la ferraglia e quello si mise con calma a rimettere i pezzi insieme. Nel momento esatto in cui l'arma fu di nuovo ricomposta, il vice Questore fece il suo ingresso e tutti lo salutarono, tranne Tony che era un civile. L'uomo si fermò a osservare la situazione che sembrava paradossale, poi quando anche il piantone fece il saluto militare, ritornò nei suoi pensieri e ò oltre. «Spero che non vorrà farmi rapporto» disse l'uomo a Lara, che non rispose e continuò per la sua strada. «No, non te lo farà, sarebbe come picchiare un nano con i calzoni calati» disse Tony mentre si apprestava a salire le scale del palazzo. Lei lo munì di di riconoscimento e poi lo fece attendere, mentre

organizzava l'ipotetica visita alla casa del segretario di Giorgio. Non fu facile, perché i minuti diventarono ore, e di Lara nessuna traccia. Lui finì per sdraiarsi sul divanetto dell'ufficio di lei e si appisolò un attimo. Quando Lara fece ritorno dormiva profondamente, e russava anche. Il tempo era trascorso immune da ogni loro reale consapevolezza, e visto che erano già le dodici, si faceva avanti l'idea di un buon piatto di pasta al pomodoro. L'accesso alla casa le era stato negato, ma lei, byando le normali procedure, aveva trovato la giusta soluzione. Alle cinque del pomeriggio si ritrovarono in quel di Firenze, nel quartiere dell'Isolotto, e salivano a piedi le scale per arrivare fino al piano desiderato. Senza farsi troppi scrupoli lei ruppe i sigilli di Stato dalla porta, con l'aiuto di Tony la forzò e poi chiamò. S'identificò, e nel giro di dieci minuti una volante della Polizia stava arrivando a sirene spiegate. I militari in divisa arrivarono con pistola in pugno, invece trovarono soltanto la loro collega e un tizio a loro sconosciuto ma munito di . Dopo un primo superficiale sopralluogo li fecero entrare. L'appartamento era rimasto come lo avevano lasciato quelli della Scientifica: tutto sottosopra, alla disperata ricerca di un qualcosa che non avevano trovato. Tony ebbe la sensazione che l'uomo fosse sorvegliato e invece di scovare delle prove, degli indizi, si mise a cercare le orecchie del Grande Fratello. Non ne trovò molte, ma in ogni caso c'erano. Le cimici sparse un po' in tutta la casa erano una sorta di rivelazione per lui, perché se le avevano piazzate prima della morte del segretario, allora voleva dire che sapevano benissimo chi fosse l'assassino. Il castello si reggeva soltanto sulla misera ipotesi che l'uomo fosse stato ucciso nella sua casa. In un primo momento anche lui pensò che potesse essere una cosa realistica, ma poi, con il are dei minuti e constatando che sotto il casino fatto dalle autorità tutto sembrava al suo posto, si convinse che l'omicidio fosse stato eseguito al di fuori.

Comunque sia Tony parlò vicino a uno di quei micro-microfoni e disse: «Vorrei davvero sapere se queste orecchie hanno ascoltato le ultime parole di quell'uomo. Anch'io sono tutto orecchie, se qualcuno mi volesse informare…». Lara lo guardava stupita e al tempo stesso sicura delle sue mosse. Lui le indicò comunque la microspia; lei comprese e fece un cenno di assenso con la testa. Alla fine della loro ispezione, e prima che arrivasse qualche graduato, si dileguarono lasciando ai due poliziotti il compito di rimettere i sigilli e chiudere di nuovo il tutto. Tony aveva avuto modo di verificare che nulla fosse stato lasciato al caso, e in quell'occasione lasciò libera la sua pignoleria spulciando ogni minimo particolare. Mentre uscivano notò che sulla porta di ingresso, nella parte che guardava l'esterno, c'era un segno… a guardarlo bene poteva sembrare un simbolo. Scoprì più tardi che si trattava di una sorta di riconoscimento, come un cognome sulla porta, ma non identificava una persona, bensì un demone. Era un ammonimento rivolto alle persone che varcavano quella soglia. Nel novantanove per cento dei casi nessuno notava quel piccolo intaglio, che fra le altre cose raffigurava una sorta di totem visto e rivisto in molti film americani; ma al contrario, quelli che conoscevano il senso del disegno, si allontanavano da lì appena possibile. Tony non credeva a quelle fandonie d'altri tempi, anche se alla fine della fiera rimaneva neutrale nei confronti di quella sorta di religione. Pensava che ognuno di noi, in qualsiasi posto del mondo, potesse identificare il male e avvisare gli altri dove alla fine risiedesse. Una volta, tanto tempo prima, nella foresta del Borneo gli capitò di attraversare un villaggio di Indios. Lui non ne vide nessuno, ma con rispetto evitò tutti quei posti che avevano a loro guardia le raffigurazioni di grandi mostri e serpenti. Alcuni suoi colleghi non ebbero la sua stessa prudenza e, pensando di trovare chissà cosa, finirono con trovare soltanto la morte. Lui e la sua squadra non ebbero nemmeno un guaio per tutto il tempo che stettero in quella terra,

magnifica e quanto mai bella, ma dimenticata da Dio e tutti i suoi santi. Una notte, mentre dormiva nei pressi di un fuoco scioccamente spento, si sentì pungere dietro la nuca. La reazione fu immediata come quella del veleno che uno scorpione gli aveva iniettato nel corpo. Dopo un paio d'ore di grande sofferenza, e mentre stava per rimettere l'anima a Dio, un vecchio incartapecorito uscì dalla boscaglia e levandosi qualcosa di bocca che stava masticando, glielo strusciò sulla zona del corpo interessata dal veleno e lo guarì. Tony si chiese più di una volta quale fosse il vero potere della medicina tradizionale, e poi, lasciando che le cose andassero per la loro naturale direzione, si limitò a stringere la mano grinzosa di quel vecchio che gli aveva salvato la vita. Tony fece una fotografia con il suo cellulare alla porta, inquadrando il particolare del piccolo simbolo. Tornarono a Pistoia, con Lara trasferì la fotografia e poi fece una ricerca su internet per trovare a cosa corrispondesse. Ingrandendo il particolare sembrava una testa con due volti, uno sorridente e l'altro inumano. Nei giorni che arono nulla emerse dalle ricerche fatte, allora Tony iniziò a girare i mercati all'aperto alla ricerca di qualche venditore di colore, che potesse dirgli qualcosa sul simbolo. Credeva che fosse l'Africa la provenienza di quel simbolo, così come la mano che aveva ucciso Giorgio. Girò poco e alla fine riuscì a parlare in un se elementare con un uomo dai capelli bianchi dello Zimbabwe. «Conosce questo simbolo?» chiese Tony mostrando la fotografia. L'uomo prese tra le mani la stampa, poi si stropicciò gli occhi prima di riguardarla e dire: «Dove l'hai trovata?». «Non ha nessuna importanza, mi basta sapere se conosci il significato» disse Tony interessato. L'uomo di colore si grattò l'ispida e ricciuta barba grigia e poi lo guardò dritto negli occhi. Per una sorta di commercio a oltranza, che negli stati africani si estende anche alle parole, stava aspettando il compenso per il suo parlare.

«Va bene, va bene» disse Tony estraendo dalla tasca dei pantaloni il portafoglio, piazzando un paio di fogli da cinquanta euro nelle mani dell'uomo. Quella fu la chiave d'accesso a ciò che sapeva. Dopo un sorriso a tutta bocca disse: «Tu mi hai detto che non ha nessuna importanza, invece ne ha e moltissima. Chi ha messo il simbolo su questa porta ha decretato la sentenza di morte delle persone che stanno in quell'appartamento. È uno stregone del popolo matabele che lo ha fatto. Il viso che sorride indica il bene, l'altro il male. In questo caso il bene è l'assassino o il potenziale assassino, e il male dal volto inumano è il condannato, che dopo la morte sarà perseguitato dai loro demoni». «Giusto l'opposto di quello che pensavo» disse Tony, rispettoso dell'uomo che in un minuto gli aveva di nuovo mischiato le carte in tavola, e ora non ci capiva più niente di nuovo. Lo ringraziò, e mentre si voltava per andare per la sua strada si sentì prendere il braccio; lui disse ancora: «Non prendere alla leggera queste persone. Loro posseggono potere magico e anche materiale. Stai lontano il più possibile da quel pianeta, perché porta soltanto alla rovina del mondo e dell'anima». Tony lo ringraziò e lo salutò di nuovo, riflettendo su quei nuovi aspetti che coloravano di nero la vicenda. Lara pensò che si potesse trattare dell'esagerazione esasperata di un allucinato, ridotto così a forza di respirare i vapori di mastice; credeva alla pista africana, ma solo in funzione di parametri molto, molto più terreni. arono di nuovo la serata insieme, e alle prime luci dell'alba una telefonata al cellulare di lei li riportò alla vita e li informò dell'accaduto. L'intera allegra famiglia era stata massacrata. Le informazioni che avevano erano scarse, anche se Lara stava tempestando di telefonate i suoi colleghi lucchesi per avere maggiori informazioni. Tony telefonò a Chiara per sapere se almeno lì tutto andava bene. Lei lo informò che due tizi vestiti da tecnici dell'Enel si erano presentati alla porta, e una volta entrati si erano barricati all'interno dell'appartamento pronti a ogni evenienza. Da

quello che lui riuscì a capire ebbe la netta sensazione che si trattasse di un presidio, di un posto dove quelle persone, quei due angeli custodi, si erano messi a protezione di un debole. Tony non volle parlare con loro, si limitò a valutare la voce di lei che sembrava calma, senza paura. Perlomeno Chiara era protetta e lui poteva lavorare in santa pace. Via via che avano i minuti le informazioni erano sempre più precise. Le due donne anziane erano state uccise per prime, con un colpo secco alla nuca, e poi sgozzate per non lasciare nulla al caso. La coppia di giovani era stata uccisa in stanze diverse. Lui aveva trovato la morte sul divano della sala, lei invece era stata sgozzata nel bagno ai piani alti. Nella sua bocca la scientifica aveva trovato un diamante grezzo di notevoli dimensioni. Tony pensò subito che forse poteva appartenere a uno di quelli che le aveva dato alla stazione di Montecatini Terme. Nessun'arma da fuoco era stata utilizzata per l'agguato alla famiglia. Anche le due donne anziane avevano trovato la morte per soffocamento. A giudicare dal loro stato non avevano fatto neanche tanta resistenza. Forse, pensò Tony, finché il suo pensiero non divenne una certezza con il responso delle analisi, erano state in precedenza drogate o narcotizzate. L'unica che forse aveva dato un po' più filo da torcere era stata la donna giovane che trovata nella stanza da bagno. Infatti i professionisti della scientifica avevano rinvenuto sotto le sue unghie tracce di tessuto umano. Aveva senza dubbio provato a difendere la sua vita. Il risultato del DNA delle analisi che ebbero pochi giorni dopo, li fece sperare di essere sulla strada giusta. Il soggetto che aveva lasciato le sue tracce sotto le unghie di lei era un uomo di colore, e l'approfondimento delle analisi avrebbe anche svelato di quale etnia. Tony e Lara aspettarono con ansia la risposta che forse avrebbe chiuso un cerchio importante intorno agli assassini, e quando la fatidica risposta arrivò, si precipitarono alla volta dell'Africa. Tornavano nei possedimenti oltremare di Giorgio. Il tizio che aveva lottato con la signora uccisa era uno di etnia matabele, e questo faceva quadrare il puzzle che Tony aveva costruito e poi ridisegnato un paio di volte. Poco dopo arrivarono via e-mail le foto aberranti del crimine. Le due donne anziane erano state strozzate nel loro letto, mentre l'uomo, l'unico della famiglia, aveva trovato la morte sul divano, per mano di un potentissimo veleno di

serpente, inoculato alla vittima attraverso un'iniezione sul collo. La morte del soggetto era avvenuta quasi immediatamente, senza che egli potesse dire nulla o dare l'allarme. Il veleno in oggetto colpiva prima i centri nervosi periferici e poi quelli centrali, fino a costringere il cuore a fermarsi, e smettere di pompare il sangue carico d'ossigeno per tutto il corpo. La donna giovane invece era morta consapevole di quello che stava accadendo. La pelle delle ginocchia, che aveva appoggiato a terra accanto alla vasca da bagno, era molto lacerata a causa di uno strofinamento involontario, dettato forse da una sorta di costrizione. Le ecchimosi sulle braccia e sul collo facevano pensare che i tizi che avevano causato tutto ciò fossero almeno due. Tre forse sarebbe stato il numero perfetto. Comunque sia uno teneva il corpo della donna premuto contro la vasca, uno le reggeva le mani e un altro le tagliava la gola. Per una sorta di macabro rito o gioco, nella sua bocca fu trovato un diamante grezzo. «Fai correre la voce che il resto dei diamanti sono nelle mani della Polizia, e ben custoditi nella proprietà in maremma di Giorgio» disse Tony a Lara. La mattina successiva tutti i giornali riportavano la notizia. Lui e lei, con un buon numero d'altri poliziotti, aspettavano il blitz degli africani da un momento all'altro. Nei due giorni successivi nulla di maturo sembrò arrivare, e mentre Tony e Lara si divertivano nella piscina dell'amico Giorgio, le pattuglie in borghese perlustravano la zona in cerca di contatti. Tony pensava che in fondo era come mandare dei erotti alla ricerca del falco. Se le persone di quel continente erano quelle che lui pensava che fossero, non c'era europeo che potesse scovarli nella macchia. Decise di svelare a Lara il segreto di Giorgio. La chiamò in sala e mentre erano entrambi seduti sul divano intenti a guardare un po' di telegiornale, lui prese tra le mani una di quelle rocce tonde e la buttò a terra. Lei lo guardò esterrefatta, poi disse: «Che diavolo stai facendo?». La palla di roccia sembrò non aver risentito dell'impatto con il terreno, poi

mentre lui la capovolgeva, si resero conto che una crepa si era formata nel punto dell'impatto. Lui allora tentò di spaccarla di nuovo a terra e questa volta la crepa divenne più importante. Ora si poteva vedere il suo contenuto. Una miriade di sassolini luccicanti tentavano la fuga da quel sepolcro. «Sono quello che mi immagino che siano?» chiese lei, dando la sensazione che le mancasse la saliva in bocca per parlare. «Sì. Sono i più bei diamanti grezzi che io abbia mai visto» sentenziò Tony. Lei rimase in silenzio per lunghi attimi guardando, senza toccare, quella meraviglia della natura. Per una sorta di ancestrale rivincita sull'uomo bianco, un uomo nero aveva donato al suo più reale nemico, qualcosa di un valore così grande che avrebbe potuto sotterrare anni e anni di dura lotta per un'effimera vita agiata. Tony percepiva tutto questo e sapeva che in fondo, quello che ogni uomo di buona volontà cercava non era la ricchezza in quanto tale, ma soltanto la capacità di poter fare, di poter migliorare, di poter curare, di poter vivere, di poter essere, di poter esistere. Arrivarono da loro il terzo giorno, e maldestri, nell'uscire allo scoperto, caddero sotto il fuoco dei cecchini che erano in ogni posto strategico della proprietà. Li avevano soltanto fatti entrare. Chi erano, nessuno potrà saperlo mai. Il lavoro dei cecchini fu perfetto e nessun tizio sopravvisse. Sembrava che non si aspettassero una tale copertura. Di sicuro erano apprendisti mercenari al soldo di qualche signore, non troppo sicuro neanche dei propri mezzi. Le attrezzature di quei tizi sembrarono a Tony oggetti arcaici, e per nessuna ragione al mondo avrebbero potuto are le maglie della rete che aveva teso loro. Adesso però non importava, si doveva per forza chiudere un capitolo e guardare avanti, e Chiara lo avrebbe fatto.

Nei giorni seguenti Tony mise nelle mani della ragazza una fortuna inestimabile, con la preghiera di rispettare le volontà di suo padre. Cenarono per l'ultima volta insieme a Pracchia e poi, dopo gli inevitabili conti, fatti perché era soltanto il denaro a richiederli, si lasciarono il mattino seguente all'aeroporto di Pisa, dove lui s'imbarcava per un volo con destinazione Londra. Mentre guardava ammaliato l'hostess che gli indicava il suo posto, pensava a ciò che avrebbe fatto con quella cospicua manciata di sassolini che aveva nelle tasche. Pensò che forse finire i suoi anni nell'agio non sfarzoso con due donne amiche e non amanti, come Sally e Mamy, in fondo poteva essere un giusto compromesso con la sua vita. L'Italia, la Toscana, Pracchia, gli sarebbero per sempre rimasti nel cuore. Saltuariamente avrebbe fatto visita a quei due anziani che, con affetto reverenziale, gli avrebbero mandato avanti le proprietà fino alla fine dei loro giorni.

Mi svegliai nel mio letto, da solo. Tutto era stato un sogno, un'allucinazione e forse, solo lontano nel tempo, sarebbe rimasto un ricordo. Ero sudato fradicio, e le coperte ormai avvolte in un insieme appiccicoso, mi impastavano come una treccia di pasta fresca di pane, pronta per essere messa nel forno. Non saprei dire per quanto rimasi in quella posizione, aspettando che gli spettri della mia notte si dileguassero verso i confini della ragione. La stanza era ormai calda e troppo illuminata per essere in qualche modo vissuta. La luce delle persiane irradiava un sole ormai alto e conosciuto, in quella che sarebbe dovuta essere una magnifica giornata. Il tempo, ah, non riuscivo a capire in quale tempo ora fossi. Era caldo, o l'illusione di un sole all'apparenza amico mi permeava solo l'animo e non il corpo? Come per gioco feci capolino da quel groviglio di stoffe e cotoni per rimanere quasi nudo al cospetto del mondo: il mio. Nulla di quello che visionavo nella luce fioca della stanza mi riportava a quel sogno, o forse a quell'incubo, che pareva non volesse più scostarsi dalla mia anima. Finii quasi per invidiare Peter Pan, costretto a rincorrere la sua perfida ombra. Poi, con un gesto quasi sconsiderato, almeno per i miei occhi, mi decisi, detti una manata alla persiana socchiusa e luce fu. In un attimo, ma come accade spesso, cambiò il volto di ogni cosa. Nella più totale euforia capii che il giorno era già da tempo arrivato, e il buio aveva perso piano piano la sua lugubre e solitaria idiosincrasia. Da quella finestra vidi le cose di sempre: il fiume sotto, la ferrovia ad altezza

naso e qualche migliaio di castagni e faggi, poi ancora carpini e noccioli, avvinghiati in un tutt'uno che alcuni chiamano montagna. Riflettevo su quel sogno e sul male che mi ero fatto la sera prima con un cena troppo pesante. Rivedevo Londra e Sally, con le sue meravigliose tette, ma soprattutto rivedevo lei. Rivedevo Chiara. Con un senso di vero dolore mi vergognai di aver quasi dimenticato il suo nome, ma… poi mi pervase come lo scirocco caldo, che entra con grazia nelle persiane di tutte le case ai primi albori di maggio. Non dispiace, non dà fastidio, ed è forse preludio di una stagione nuova e rinata. Tutti inconsciamente, quando finisce marzo e il freddo sole d'aprile fa rannicchiare qualche lucertola, si voltano verso la marina nell'attesa di un anelito, di un canto di foglie antiche rotolate con eleganza. Nella mia vita reale era quello che il sogno mi lasciava assaporare di Chiara. Con il are dei minuti il sogno, invece di rendersi vago, e indirizzarsi verso le strade del dimenticatoio, si faceva più nitido. La sua trasparenza finiva col farmi distinguere persino i colori delle cose che avevo lasciato, gli indirizzi, i volti dei anti e di quelli che mi salutavano. Riuscivo addirittura a percepire la sensazione di freddo che mi procurava l'acqua gelida della pioggia londinese. Qualche ora dopo, in un tempo ancora a me indefinibile, sentii il camlo dell'ufficio suonare e la segretaria aprire la porta, fino a che il telefono della mia scrivania trillò e lei disse: «La signora Rocca Della Bruna è arrivata». «Sì, e scommetto che si chiama anche Chiara!» sbottai in una mezza risata. «Sì, ma lei come diavolo fa a saperlo?» chiese stupita la mia segretaria.

RINGRAZIAMENTI Vorrei ringraziare in ordine sparso ma non di importanza:

Greta Biondi per aver messo a disposizione la sua bella mano nella copertina

Armeria Country Sport di Pistoia

BS Gioielli di Bruni Samuele per aver fornito il materiale di pregio per la copertina

Giordano Tognarelli per la disponibilità e l'affetto dimostrato nella realizzazione delle foto che poi hanno prodotto la copertina.

L'amico fraterno Gianni F.

Inoltre vorrei ringraziare tutte quelle persone che nel bene, e soprattutto nel male, hanno dato l'ispirazione e il la a questo romanzo.

INDICE FRONTESPIZIO IL LIBRO L'AUTORE COPYRIGHT CACCIATORI DI DOTE RINGRAZIAMENTI