STAGIONE 2 VOLUME 4
Stefano Di Marino
Vigilantes
Racconto lungo
Prima edizione marzo 2016 ISBN 9788865306116 © 2016 Stefano Di Marino Copertina: jtanki Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano Versione: 1.0 Font Stardon Stencil Bold by Vernon Adams, SIL Open Font Licence 1.1
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Indice
Il libro
L'autore
Vigilantes
Nelle puntate precedenti
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
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Il libro
Fuorilegge, contrabbandieri e sporchi politicanti coinvolti nel traffico d’armi.
Interrogare l’affarista Talbot sul traffico d’armi con i Seminoles richiede un’azione di forza. Ma nessuno sospetta che nell’ombra tramano uomini potenti. Nel frattempo nel carcere di Yuma Norton ha trovato un altro killer disposto a dare la caccia a Wild Bill.
L'autore
Stefano Di Marino è uno dei più prolifici e amati narratori italiani. Viaggiatore, fotografo, cultore di arti marziali da anni si dedica alla narrativa popolare scrivendo romanzi e racconti di spy-story, gialli, avventurosi e horror. Ha scritto saggi sul cinema popolare e curato numerose collane di dvd e vhs dedicate alla fiction di intrattenimento. Per Delos Digital cura e scrive la collana Dream Force. È autore della prima stagione di Wild West.
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Nelle puntate precedenti
Wild Bill, Raquel e i loro compagni stanno indagando su un traffico d’armi che lega un ricco mercante di New Orléans all’albino Max Donovan e ai ribelli Seminoles.
1
Lo studio privato di James Talbot occupava una grande stanza tra il soggiorno e la sala da pranzo dal primo piano della grande villa ai confini del bayou, l’immensa palude che si estendeva sino al lago Ponchartrain. Scrivanie alte sino al soffitto, statue di mori intagliate nel legno, simboli di virilità quali spade e fucili della Guerra Civile e appartenenti a conflitti ancora più antichi, come quello con il Messico e persino con la Francia e l’Inghilterra combattuti in quelle regioni all’inizio del secolo. Talbot non era un combattente e neanche un eroe. I quadri degli scontri tra la Marina americana e i pirati Lafitte, le immagini dei bastioni in fiamme gli piacevano, però. Conferivano al suo aspetto di uomo d’affari rotondetto e tutt’altro che virile, quella potenza di cui aveva bisogno per farsi rispettare. In realtà si serviva della penna per rubare e di altri uomini violenti per eliminare gli avversari. Malgrado si fosse circondato di simboli di virilità e potenza, quando ricevette il visitatore arrivato da Washington non si sentiva per nulla sicuro. L’uomo era arrivato con una carrozza personale e due guardie del corpo che avevano preferito restare all’esterno a sorvegliare il cambio dei cavalli nelle stella. Il visitatore non si sarebbe fermato per molto tempo. Si faceva chiamare Rockerson, era un uomo straordinariamente alto, con i favoriti bianchi e una cicatrice che da sotto l’occhio destro scendeva sino al labbro. Indossava una abito di taglio elegante e una mantella nera che arriva sino ai polpacci. La bombetta scura nascondeva il cranio che – Talbot l’aveva visto solo una volta – rivelava una orrenda cicatrice che gli aveva lasciato un indiano Sacks quando lo aveva scalpato per metà, una decina d’anni prima. Rockerson era norvegese e svolgeva incarichi molto particolari per un senatore di Washington che aveva interessi vari e non tutti onorevoli nelle regioni del Sud ovest.
La sua presenza, annunciata da un cablogramma il giorno precedente, non era un fattore positivo per l’uomo d’affari di New Orléans. Gli ricordava che, anche i ricchi e prepotenti come lui, a qualcuno dovevano pur rispondere. – Vuole un sorso di brandy, Rockerson? Un sigaro? Vengono da Cuba – cercò di blandirlo l’affarista dalla sua poltrona. Dal caminetto venne un crepitio di un ciocco che cadeva generando una fontanella di scintille. Il riflesso illuminò il viso deturpato del norvegese. – Non sono venuto per queste amenità, Talbot e poi lo sa che non mi diverte né bere né fumare – lo disse con una voce rauca, fortemente accentata che evocava ben altri più feroci pacieri in grado di scaldargli il sangue. – Sono qui per portarle un messaggio. Talbot fece ricorso a tutto il suo sangue freddo per rimanere imibile. Si ò sotto le narici un sigaro, ne tagliò l’estremità e lo accese. – Tutto procede secondo i piani. La prima spedizione è già in viaggio. Il mio uomo… – Il suo uomo è un pazzo sanguinario – fece Rockerson con un sibilo freddo. – Ha fatto uccidere un agente della Pinkerton e ha scatenato una battaglia tra la polizia e quei dannati cinesi. – Nulla li può portare sino a noi – protestò Talbot. Rockerson si mosse. Senza fare rumore e con una rapidità incredibile. Dalla manica della casacca estrasse un lungo coltello d’acciaio che baluginò nella semi oscurità. Lo piantò con un gesto secco sul ripiano della scrivania di Talbot ricavandone un suono agghiacciante. Gli occhi promettevano che il prossimo colpo sarebbe affondato nel corpo del faccendiere. – E allora perché quegli agenti del governo sono venuti a ficcare il naso nel suo locale? Sospettano qualcosa. – I fucili – tornò a insistere Talbot. – Sono già in viaggio. I bucanieri e i Seminoles li riceveranno entro una settimana e potranno cominciare le razzie. A
quel punto il suo… committente potrà avere mano libera per proporre una più ampia spedizione militare in Florida e appropriarsi una volta per tutte del territorio. – Forse siamo stati imprudenti – disse l’altro estraendo con un gesto nervoso la lama dal ripiano del tavolo. – Forse abbiamo sbagliato ad affidare a uno come lei quel carico di fucili. – Le assicuro… – Al Senatore le sue assicurazioni non fregano un accidente. Non vuole pasticci. Già permetterle di procurarsi quelle armi a Fort Bliss ha creato numerosi problemi. Dove sono i fucili, adesso? Talbot tirò una boccata nervosa di fumo poi posò il sigaro sul posacenere e trangugiò un mezzo bicchiere di brandy. – In un deposito al sicuro qui nel bayou. Duecento sono già partiti, presto anche l’altra spedizione. – Lei deve spostarli in un posto più sicuro – intimò Rockerson. – In un luogo che non sia collegabile con le sue attività. Immediatamente. Il Senatore è stato categorico. Talbot si alzò e con un o buffo e saltellante si avvicinò a una mappa appesa alla parete. Studiò la zona per qualche istante in silenzio. Dentro di sé malediceva Rockerson ma soprattutto il senatore, un uomo così potente che era impossibile pensare di poterlo disobbedire. Alla fine sembrò aver trovato una soluzione. – Qui –disse – credo di aver trovato una soluzione… c’è un vecchio convento che a volte gode delle mie donazioni. Si trova al limitare del territorio degli indiani Houma. Nessuno andrà a arcare le armi in quel posto. Rockerson si concesse qualche istante per valutare la situazione, quindi annuì. – Sì, potrebbe essere una soluzione. Da questo momento i fucili eranno di lì; del resto non abbiamo intenzione di fornirne altri ai bucanieri. Già procurarci quei cinquecento modelli è stato difficile e qualcuno sospetta. Una volta consegnato il secondo carico e scatenati gli indiani, il suo uomo farà in modo di segnalare all’esercito i principali capisaldi dei ribelli. Dovrà essere una operazione pulita. Il fatto che nel frattempo sarebbero morte diverse decine di coloni non pareva avere alcuna importanza.
– D’accordo, Rockerson, lo farò. – Immediatamente, Talbot e non affidi l’incarico a qualcuno dei suoi incapaci servitori. Deve provvedere personalmente. Io la seguirò da vicino. Per controllare. Inutile specificare cosa sarebbe avvenuto se il controllo non si fosse rivelato soddisfacente per Rockerson e il Senatore.
2
James Talbot era un delinquente ma non uno stupido. Sapeva riconoscere una minaccia reale quando la vedeva. Rockerson era stato mandato dal Senatore con un doppio incarico. Impartire ordini che non potevano essere disattesi e mettergli paura. La sua ricchezza, la sua posizione e i suoi intrallazzi potevano sopravvivere solo sinché il Senatore li avesse giudicati utili. Su questo non poteva farsi illusioni. Decise così il giorno dopo di occuparsi personalmente della faccenda dei fucili. Fece preparare la sua carrozza, si armò con un revolver Smith &Wesson con la canna damaschinata e il calcio di madreperla perché riteneva che fosse un’arma adeguata al suo rango, ma portò con sé oltre al vetturino Smith, che era uno schiavo liberato, forte come un toro e fedelissimo, anche quattro dei suoi migliori tagliagole. Uno era un indiano Houma, etnia poco nota che viveva di pesca e piccoli furti a sud di New Orléans. Si chiamava Hiss, vestiva come un bianco a parte una folta capigliatura scura. Abilissimo con l’accetta e il coltello oltre che con la carabina Spencer. Con lui c’era un altro schiavo liberto, Drum, che durante la guerra era stato un campione di combattimenti tra Mandingos, un pugile clandestino che aveva continuato a esercitare la sua violenta attività con sadismo e gusto nelle piantagioni anche dopo la vittoria del Nord ed era fedelissimo al suo padrone che gli riservava tutte le migliori lavoranti delle sue proprietà. Assieme a loro c’erano due cacciatori di schiavi, rimasti senza lavoro dopo il conflitto ma brutali e ancora sufficientemente in forze per costituire dei feroci combattenti in caso di scontro. Boulder era quello più grosso, con il doppio mento nascosto dalla barba e con la bombetta sempre in testa. E Stratter, magro come un fuso, con la camicia abbottonata su un fianco e il cappello Steatson. Era un tejano, fuggito in Louisiana dopo un assalto a una banca ancor prima della guerra. – Muoviamoci – disse Talbot salendo a calesse. – Abbiamo venti miglia da fare peri di arrivare a destinazione. Ci fu uno scalpiccio di zoccoli, qualche sbuffo dalle narici dei cavalli seguito da
cigolii di finimenti e dal gracchiare del meccanismo delle ruote. Poi il convoglio si mise in movimento lungo il viale fiancheggiato da alti cipressi che conduceva sino ai limiti della proprietà.
3
– Eccoli lì – sibilò Kinnock appostato sopra un grande albero fronzuto, nascosto dai rami del tronco che si dipartiva formando una grande V dal tronco principale. Si trovavano a circa un paio di miglia dalla sorvegliatissima tenuta dei Talbot. Una precedente ricognizione aveva rivelato loro che un assalto anche notturno alla magione era impossibile. Talbot aveva a suo servizio almeno dieci pistoleri se si escludeva la servitù. Anche per un gruppo determinato come il loro era un azzardo. Oltre a ciò un attacco alla villa di uno stimato imprenditore locale, benché sospettato di condurre attività illecite, avrebbe potuto causare un problema. Un gruppo di “vigilantes” invece poteva avere molta mano libera su una delle strade che confinavano con l’enorme distesa delle paludi. – Quanti sono? – domandò Wild Bill da sotto il tronco mentre controllava le sue armi vicino al cavallo. Kinnock puntò il binocolo posizionandosi con la carabina Sharp adatta tiri lunghi nella sua posizione sopraelevata. – Una vettura con un brutto diavolo nero a cassetta, armato di doppietta e quattro pistoleri. Un indiano, un nero e due brutti ceffi dalla pelle bianca. Direi che il nostro Talbot che di certo sta dentro la carrozza, non vuole correre rischi. Wild Bill assentì con un grugnito. Terminò di caricare il Winchester e lo posò di traverso alla sella. Caricò poi la Dragoon e la infilò nella fondina. Il suo sguardo incrociò quello di Raquel che aveva levato il cappello per infilare il cappuccio rosso con i fori per gli occhi. Tutti loro ne avevano di simili. Era la tenuta dei “vigilantes”, i gruppi armati e non autorizzati dalla legge che si prendevano carico di punire i malviventi e non di rado portavano a termine vendette personali che nulla avevano a che fare con la giustizia. Erano figure comuni alla Frontiera, spesso detestate dagli uomini di legge. Wild Bill era stato braccato dai Vigilantes di Brigham Norton dopo la morte del figlio avvenuta in duello. Una questione ancora da risolvere.
In quel momento però incombevano nuove preoccupazioni. – Raquel, è sicura di volerlo fare? Lei lo fulminò con un’occhiata prima di infilarsi il cappuccio. – Dopo il simpatico pic-nic organizzato peri pescecani da Talbot e compagni? Ricordi cosa è capitato a Grissom. Io sono con voi sino alla fine. A ogni prezzo. Wild Bill commentò cin un grugnito celandosi il viso a sua volta con il cappuccio. Ancora si chiedeva quali fossero le motivazioni di quella donna. Per la verità lo incuriosiva e lo intrigava, così differente da tutte le donne della Frontiera che aveva conosciuto. Il fatto che provasse per lei un’attrazione che da tempo sembrava aver dimenticato, lo irritava. – Bene – mettiamoci al lavoro – disse. – Sa quel è il suo ruolo. – Perfettamente – ribatté lei. Aveva impastoiato il suo cavallo nella macchia. Si diede da fare per legare una lazo a un tronco poi corse dall’altro lato della strada dando volta intorno a un altro albero. Le sarebbe bastato tirare con le mani guantate per create una barriera per i cavalli. Mentre ancora il convoglio si avvicinava, badò di coprire la fune con erbacce, foglie e terriccio. Mascherata e armata, la giovane donna si mise al riparo dietro un cespuglio. Wild Bill non poté fare a meno di ammirarla. Salì a cavallo allora impugnando il Winchester. – Che donna, eh? – sogghignò Spade, anche lui incappucciati e posto al suo fianco, con un fucile Springfield in pugno. Wild Bill preferì non rispondere. Ormai dalla strada si udiva il sordo martellare degli zoccoli. Talbot era vicino.
4
La vettura a quattro cavalli procedeva in una nuvola di pulviscolo giallastro, accompagnata dai quattro pistoleri a callo. La zona era relativamente sicura, i gorilla bene armati, ma era anche una regione quasi disabitata dove potevano annidarsi pericoli di ogni genere. Per questa ragione Smith il postiglione ci dava dentro con la frusta. Uno strumento che in tempi ati aveva assaporato sulla sua stessa schiena e che ora, per una bizzarra legge del contrapo, non si faceva scrupolo di usare sui cavalli. Li incitava con la sferza e le parole, anche lui convinto che prima fossero arrivati al vecchio deposito sorvegliato da altri uomini di Talbot, usciti da quella foresta di vegetazione cupa e silenziosa, prima sarebbe stato meglio per tutti. Smith era un sessantenne ruvido come una treccia di tabacco dura da masticare. Portava con sé la doppietta e faceva schioccare al frusta come se fosse stata un’arma guardava diritto davanti a sé per evitare che gli animali sbandassero o rallentassero il o. Ai fianchi ci avrebbero pensato gli altri, erano assassini abituati alle sparatorie. In caso di pericolo Smith contava che avrebbero fatto la loro parte. Di colpo qualcosa cambiò. Non udì lo schiocco del lazo che Raquel aveva tirato con tutta la forza sollevandolo a circa un metro dal terreno, teso tra due tronchi ai margini della strada. Ma qualcosa aveva messo in agitazione il postiglione, forse una indecisione dei cavalli che, pur non vedendo il pericolo ne avevano sentito l’odore. Quando si accorse dell’ostacolo era già troppo tardi. I due cavalli di testa inciamparono malamente trascinando gli altri in una rovinosa caduta nella polvere. Si spezzarono le gambe, la vettura sbandò. A nulla valsero gli sforzi di Smith per tenerla in riga. Scudisciò nel vuoto poi lanciò un richiamo di allarme ai suoi compagni e si gettò sulla doppietta.
– Attenti – gridò. – Ci attaccano. Si chinò per afferrare lo shotgun ma non terminò il movimento. A meno di venti metri Kinnock lo teneva sotto mira con il suo Sharp. Il pesante fucile calibro 50, usato per uccidere i bisonti a grande distanza, in quel frangente, si mostrò preciso e micidiale. Il proiettile di piombo raggiunse Smith alla gola aprendogli uno squarcio crudele, il sangue volò in aria mentre il corpo del postiglione venne scaraventato a terra tra la polvere generata dai cavalli. La vettura sbandò ancora rovinando su un lato. Dall’interno arrivò l’imprecazione di Talbot. Poi si volse tutto molto in fretta. Hiss evitò per un pelo di essere travolto dal deragliamento della vettura ma perse tempo a estrarre la pistola. Caricando Wild Bill gli sperò due colpi di Winchester in rapida successioni azionando la leva. Entrambi i proiettili giunsero a bersaglio. L’indiano cadde da cavallo. L’animale proseguì la corsa tirandoselo dietro. Uno stivale era rimasto bloccato nella staffa. Drum fece in tempo a estrarre la sua pistola, un curioso assemblaggio di un’arma a pietra con un calciolo da fucile. Micidiale da vicino. Tirò nel mucchio inondandola strada di polvere. Spade si era slanciato in avanti, si chinò evitando il colpo e sparò un colpo di carabina appoggiando la canna al pomolo della sella. Il tiro fu preciso e raggiunse il nero allo stomaco. Intanto Boulder e Stratter avevano estratto le pistole. Ci fu un rapido scambio di colpi, fragoroso della foresta. Impacciati dal carro e dalla polvere, vigilantes e gorilla non riuscivano a colpirsi. Finalmente Boulder ebbe l’impressione di vedere un bersaglio e sparò. Troppo precipitoso. Spade, invece, si era rialzato in sella, aveva aperto la trapdooor del fucile e inserito un altro colpo, fermò il suo animale con una brusca stretta di ginocchia sui fianchi e si puntellò per mirare. Un colpo gli ò vicinissimo ma l’agente Pinkerton rimase imibile. Tirò il grilletto e centrò in piena fronte Boulder.
quanto a Stratter, vista la mala parata, tirò ancora un paio di colpi alla cieca poi tentò la fuga. Fu una pessima idea perché Wild Bill non voleva testimoni. Gli abbatté il cavallo mandandolo a ruzzolare sulla pista. Con agilità Stratter si rimise in piedi, il viso stravolto dall’odio. Impugnò la Colt me un nuovo tiro di Kinnock gli scoperchiò il cranio. La battaglia era finita. Wild Bill scese da cavallo e infilò il Winchester nella fondina. Aveva già al Dragoon in pugno. Aprì il portello della vettura rovesciata e spianò l’arma direttamente in faccia al frastornato Talbot. Questi di fronte ai cappucci e all’arma alzò subito le mani. – Non fatemi del male – implorò. – Tutto dipende dalle risposte che ci darai – ringhiò Wild Bill da sotto il cappuccio.
5
Secondo le indicazioni che Talbot aveva fornito spontaneamente, stimolato dalla canna rovente di una pistola, il deposito dove venivano tenute le armi rubate a Fort Bliss si trovava sul bayou a meno di cinque miglia dal punto in cui era avvenuto l’agguato alla vettura. Lasciati solo un paio di cavalli alla pariglia (gli altri due con le gambe spezzate avevano dovuto abbatterli), il gruppo si era rimesso in marcia. Kinnock era salito a cassetta e teneva ben stretti lo Sharp e la doppietta che era stata di Smith. Del defunto postiglione il gobbo aveva indossato anche la mantella e il cappello che lo rendevano indistinguibile. Wild Bill e Spade avevano preso posto delle guardie del corpo mentre la bella Raquel, più che mai nel ruolo che le era stato assegnato, badava a tener buono Talbot puntandogli la Remington nella trippa con l’accortezza di coprire l’arma con lo scialle. – Vedrà, signor Talbot, andrà tutto benissimo. – Lei… come può…? È una donna. La ragazza gli rimandò un ghigno feroce. – Ero buona per gli squali quanto per poveretto di Grissom. Speri solo che non ce ne siano anche là nella fortezza, altrimenti un bel tuffo non glielo leva nessuno. La frase, pronunciata con convinzione, aveva posto fine alla discussione. Accasciato sul sedile Talbot faceva buon viso a cattivo gioco. Che altro poteva fare? Quegli scatenati avevano fatto fuori la sua scorta con una facilità sconcertante. Cercò di mettersi comodo e assorbire gli scossoni della diligenza. Il tragitto si rivelò breve. Procedettero ancora per un miglio circa lungo la strada costeggiata dagli alberi, quindi seguirono una striscia di terra tra acquitrini e canneti.
Il deposito era una vecchia fortezza risalente ai tempi della guerra civile. Un basso fortilizio difeso da tre alti da un muro di cinta da cui spuntavano pali di legno scuro. Oltre c’erano un paio di baracche per il personale, un dormitorio, una cucina e diversi grandi magazzini dove veniva impilata la merce in transito. Che si trattasse di armi rubate, balle di cotone, a volte esseri umani venduti ancora come schiavi in barba a qualsiasi legge, whisky di contrabbando o munizioni, non importava. Secondo Talbot sorvegliavano la postazione una decina di uomini tra bianchi, neri e meticci, armati e disposti a sparare al primo segnale di pericolo. Sul lato più largo del fiume che ormai entrava in mare si allungava un pontile cui era ormeggiato un pesante barcone di legno con un motore a vapore con tanto di fumaiolo e alcuni gozzi a remi e a vela. Grossi cani abbaiarono all’arrivo della vettura e da una torretta sul lato del fortino provennero dei richiami. Tre uomini con pesanti giacconi e alti stivali alti adatti per quel suolo umido si fecero avanti. Erano tutti armati. Uno alzò un braccio riconoscendo la vettura del signor Talbot. – Deve avere una fretta del diavolo – osservò un nero con la barba grigia e una doppietta in pugno, vicino al portale. Un altro bianco con una brutta faccia butterata sputò una scraccata di tabacco. – C’è qualcosa che non mi piace. Il capo del gruppo, un tipo alto e secco con una camicia di flanella sotto il giaccone brandiva uno dei nuovi Winchester, un privilegio concesso a pochi. – Chiamate, Slim. Qualcosa non mi torna. Il nero si affrettò a entrare nel fortilizio. Furono le ultime parole del butterato. Kinnock, a cassetta, era quello in posizione migliore per cogliere segnali di nervosismo dei guardiani. Dovevano entrare nel cortile della fortezza. Non appena vide muoversi il nero, il gobbo afferrò le redini coni denti
stringendo forte nella speranza che gli animali non glieli strapero via. Impugnò lo Sharp e alzò il cane. Tirò un colpo preciso che per il rinculo rischiò di farlo cadere. Malgrado la sbandata ila vettura procedette a gran velocità. Il nero fu centrato in mezzo alle scapole e cadendo spinto dall’impatto del proiettile calibro 50 spalancò del tutto il portale. Con un urlo selvaggio, Kinnock lasciò andare il fucile da bisonti. Ormai le briglie erano in bando. I cavallo caricavano diritti senza necessità di indicazioni. Si chinò e afferrò al doppietta che scaricò sul petto del tipo con la camicia di flanella.
6
L’eccitazione vinceva ogni senso di timore, persino il desiderio di vendetta. Colpevolmente Wild Bill a volte si convinceva che la vita che la Frontiera aveva scelto per lui fosse l’unica che in realtà avesse desiderato. Il fragore degli spari, il tuono degli zoccoli sul terreno, il fremito del cavallo mentre il fango e la polvere si alzavano intorno a lui. Tese la Dragoon e sparò. Mancò il primo colpo ma il gesto automatico di alzare il cane e premere un’altra volta il grilletto seguì naturalmente. Il butterato non riuscì neanche ad estrarre. Rotolò nel fango. Dalla banchina emergevano altri uomini armati. Colti di sorpresa esitavano a tirare sulla vettura del signor Talbot. Spade tirò le redini e fermò il suo stallone. Puntò la carabina e centrò alla testa uno dei guardiani scoperchiandogli il cranio. Espulse il bossolo rovente e ricaricò. Sparò ancora producendo una scheggia larga un palmo nella baracca sul fiume. Smontò da cavallo. Nel tempo in cui si era puntellato sul pomolo della sella, aveva già messo un colpo in canna. Questa volta non sbagliò. Un altro dei lavoranti finì nell’acqua con un urlo. Lasciato il cavallo, Spade avanzava con la carabina in una mano e la pistola Schofield nell’altra. Tirò a braccio teso, fermo sugli appoggi. Altri due centri. La vettura aveva fatto irruzione nel piazzale della fortezza provocando un fuggi fuggi di cani e polli. dai magazzini Slim, il capo sorvegliante, uscì con un fucile calibro 12. Sparò provocando un tuono terrificante. Kinnock fu costretto a gettarsi a terra sfidando gli zoccoli impazziti degli animali. Nel punto in cui si era trovato solo un attimo prima i pallettoni avevano aperto uno squarci da cui uscivano molle e materiale di rivestimento.
Ansimante, il gobbo ricaricò la doppietta. Richiuse le canne e tirò dal bassò. Slim che a sua volta stava ricaricando il calibro 12 si beccò una rosa di pallini tra le cosce e il basso ventre che lacerarono muscoli, tessuti e ossa. Eseguì un movimento sconnesso tra urla e schizzi di sangue. Kinnock si era puntato su un ginocchio. La sua vecchia Smith & Wesson tuonò due volte mandando all’inferno il capo sorvegliante. Wild Bill non aveva perso tempo. Mentre scendeva da cavallo coprendosi con l’animale, dalla bisaccia aveva estratto due candelotti di dinamite. Li scagliò verso le finestre delle baracche del personale. Puntò la Dragoon ed eseguì un doppio tiro spettacolare. La dinamite fu centrata in volo. Lo scoppio fu simile a quello prodotto da una cannonata. Il tetto della baracca si sollevò e ampie crepe si aprirono nei muri. Fumo grigio e soffocante dappertutto. Alcune indiane uscirono urlando dalle cucine implorando pietà. Restavano non più di cinque sorveglianti. Uno ci rimise la testa fulminato da Spade con una fucilata dall’ingresso della fortezza, gli altri preferirono lasciare le armi e arrendersi. – Pietà – gridò uno di essi. – State tranquilli e mettetevi lungo quella parete. Se non fate i furbi non vi succederà nulla. In quel momento la portiera della vettura fu aperta con violenza e Talbot scaraventato nel fango da un calcione. Raquel Stoner voleva dire la sua. Intorno a lei la battaglia era terminata. La polvere si posava e i ronzii assordanti dei colpi diminuivano di intensità. Dalla baracca principale uscivano fumo e fiamme. Animali da cortile e feriti si lamentavano. Kinnock, Spade e Wild Bill ricaricarono le armi scambiandosi sorrisi spavaldi.
Erano vivi, prima di tutto.
7
Il cielo grigiastro della palude era illividito dalla colonna di fumo che saliva dal basso battello a vapore che si era trascinato dietro la chiatta sin da New Orléans. Terminato lo scontro Kinnock aveva preso un cavallo ed era partito con un messaggio di Spade diretto al primo avamposto militare. Da qui era stata diramata per telegrafo la notizia a Fort Bliss e, meno di tre ore dopo, era arrivata dal fiume una tozza imbarcazione con una pattuglia di fucilieri. Gli uomini stavano radunando i prigionieri da un lato e caricando le case con i trecento Winchester rubati dall’altro. L’ufficiale del drappello, un tipo azzimato con tanto di piuma sul berretto e baffoni impomatati era soddisfatto. Spade e Wild Bill stavano trascinando il malconcio Talbot sul pontile del deposito ormai distrutto. – Non avete il diritto di trattenermi – protestò James Talbot senza troppa convinzione. Spade e Wild Bill risero di gusto. – Senza parlare di ciò che è successo al nostro amico, qui abbiamo prove per seppellirla in un carcere federale per il resto della sua vita. Non una bella prospettiva per un signore come lei – fece l’uomo della Pinkerton. Talbot cercò di riguadagnare un certo contegno. Si guardava in giro con circospezione, però. – Mi avete assalito come volgari banditi. – Come Vigilantes – fece cupo Wild Bill. – E il ritrovamento di quei fucili non giova alla sua posizione. Se lo ricordi. Adesso ci vuol dire dove sono gli altri e dove è finito Max Donovan? – Donovan? Mai sentito? Il montante di Wild Bill partì senza preavviso. Spade, se anche avesse voluto, non avrebbe potuto fermarlo. Le nocche del pugno di Wild Bill finirono sul
mento dell’uomo facendolo volare sul pontile. Talbot atterrò lungo disteso provocando un fragore di assi. – Maledetto…– imprecò con la bocca sporca di sangue. – Questo per farti capire quanto siamo decisi– disse Wild Bill posando con disinvoltura la mano sulla pistola. – hai visto qualcuno venire in tuo aiuto, amico? Nessun avvocato ti difenderà. Rubare le armi all’esercito è un reato grave. A proposito, devi ancora spiegarci come ci sei arrivato. Il movimento con cui Talbot si rimise in piedi fu goffo e quasi ridicolo. Decisamente un signore di città non era abituato a scazzottate e azioni violente. Raccolse il berretto ormai sfondato e se lo rimise in testa, come per affermare la sua posizione. Inutile. – Su, Talbot – fece Spade con un tono cordiale che non lasciava sperare nulla di buono. – Non ci forzi la mano. – Voi non capite… quella gente è potente… – Che cosa vuol dire? – fece Spade. Ma Wild Bill, benché si rendesse conto che Talbot era solo un burattino impaurito, non voleva lasciare la presa. – Max Donovan – ripeté – dove si trova? Le labbra e il doppio mento di Talbot remarono. Si guardò ancora attorno poi sospirò, vinto. – Ormai sarà in Florida. Deve consegnare il primo carico di fucili a un bucaniere, un bandito che chiamano cane nero. Lui ha i contatti con i Seminoles. – Dove? – Al… lago Okeechobee, nelle Everglades. Non so esattamente dove. C’è un’antica fortezza spagnola abbandonata che i bucanieri usano come… Lontano si udì una sorta di tuono. Poi un sibilo lacerante.
Un istante dopo la testa di Talbot scoppiò come un melone maturo, traata da un proiettile a punta molle. L’effetto fu devastante. La calotta cranica dell’affarista si spappolò schizzando ossa frantumate, sangue e materia cerebrale. L’uomo crollò quasi decapitato sul pontile. Solo la prontezza di Spade evitò che cadesse nel fiume. Wild Bill aveva già in pugno la pistola. – Hanno sparato da là – esclamò indicando un punto a quasi trecento metri dal pontile, tra il canneto.
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Rockerson, nascosto tra i cespugli, azionò la leva della carabina con l’ottica montata sopra la canna al posto del mirino ed espulse il bossolo. Inutile cercare di recuperarlo in quella melma. Piuttosto doveva mettersi al riparo. Aveva avuto buon fiuto a seguire quell’idiota di Talbot. Di certo i loro avversari erano in gamba. Avevano quasi mandato in fumo l’operazione. Per fortuna, una parte dei fucili era già a destinazione e nulla avrebbe potuto fermare la rivolta. Piuttosto il Senatore avrebbe dovuto trovare un altro modo di rifornire quei selvaggi e i loro alleati. Ma forse con 200 fucili sarebbe bastato per far esplodere le fiamme nel territorio della Florida e far scatenare un piccola lucrosa guerra. Il norvegese smontò in fretta il binocolo e lo ripose in una sacca. Infilò la carabina nella fondina della sella e rimontò a cavallo. Sì, i loro nemici erano in gamba e qualcosa bisognava fare per provvedere. Al momento la cosa migliore era levarsi di torno. Diede di sprone e si allontanò rapidamente verso la strada che portava in città. Una volta a New Orléans avrebbe preso il primo treno per la Virginia.
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Wild Bill e Spade impiegarono meno di dieci minuti per arrivare a cavallo dall’altro lato del canale, nel punto in cui era stato sparato il colpo che aveva ucciso Talbot. Wild Bill, esperto cacciatore di piste, scese subito dalla sua cavalcatura e cominciò a esaminare il terreno. C’erano segni di zoccoli ferrati e del punto in cui un uomo era rimasto appostato a sorvegliare la situazione dall’altro lato del fiume in attesa del momento propizio. Con un grugnito di soddisfazione, alla fine Wild Bill recuperò il bossolo espulso della carabina finito sul ciglio del canale. Lo prese con le dita guantate mostrandolo al suo compagno. – Che cosa ne pensi? – domandò l’uomo della Pinkerton. Wild Bill soppesò il frammento di metallo ancora caldo per un po’ quindi disse. – Direi un calibro 45 per tiri a distanza. Sembra una cartuccia europea. Direi una Jaeger tedesca usata per la caccia grossa. Il nostro sicario viene da lontano e non è un rozzo pistolero dell’Ovest. – Mmm – fece Spade aggiuntandosi la bombetta sul capo. – E questo cosa ci dice? – Che il signor Talbot non era solo. Probabilmente era il prestanome di un inghippo molto più grande e ciò spiegherebbe come questi fuorilegge siano riusciti a rubare un carico di fucili ufficialmente ancora non in commercio. Purtroppo le possibilità di risalire al sicario sono minime. Anche esaminando le carte di Talbot non ne ricaveremo molto. – Credo che sarà un lavoro per Grissom. Anche se non può entrare in azione, rendersi utile gli tirerà su il morale. Quanto a noi… – Adesso sappiamo dove è diretto Donovan con il resto dei fucili e chi deve incontrare. Escludo però che sia possibile eliminarlo da soli. Anche con l’aiuto
della volonterosa Raquel siamo solo in tre. Spade si rollò una sigaretta che accese con un gesto solenne. – Questa faccenda rischia di essere più grave di quello che avevamo immaginato. Manderò un cablo al comando e penseranno loro a mettersi in contatto con il ministero della guerra. Ho una certa idea per risolvere la faccenda. Sempre che ti interessi, naturalmente. Wild Bill trasse di tasca un sigaro e gli rimandò un’occhiata carica di significati. Finalmente aveva una traccia per arrivare a Donovan!
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Carcere Federale di Yuma, Arizona
Il calore era soffocante. Anche sotto la tettoia di canne nel palco rialzato all’interno delle mura di quella città di dannati che era il carcere federale di Yuma, non tirava un filo d’aria. – Gradisce bere qualcosa, signor Norton? – disse con una voce untuosa il direttore Warden, un uomo piccolo e squadrato che, visibilmente, traeva piacere dalla sua posizione di potere all’interno del carcere. Brigham Norton rispose un “Sì, grazie” senza entusiasmo e ricevette dalle mani di un sorvegliante una bottiglia di birra presa da un barile di ghiaccio immerso in una più grande tinozza di sabbia. Il silicio conservava l’isolamento termico. Era la sostanza che rendeva così caldi i giorni e così gelide le notti nel deserto. Norton si bagnò appena le labbra. Con lui c’erano Kearny e Sterling, il Texas Ranger, che gli aveva promesso la risoluzione ai suoi problemi. Erano arrivati neanche da un giorno al fosco carcere di Yuma, una sorta di città scavata nella roccia all’interno di una regione così desolata e desertica che neppure gli indiani osavano avventurarvisi. Solo qualche banda di Hualpai che il direttore Warden usava per riprendere i rari prigionieri che osavano fuggire. Gli Hualpai erano indiani selvaggi, diversi da ogni altro, quasi degli esseri primitivi che ignoravano l’uso del cavallo e vestivano di perizomi di tela e null’altro. Originariamente venivano dal deserto di Mojave ma una colonia era stata trasferita in Arizona dopo una rivolta sedata nel sangue. Vivevano di saccheggi. Per un tocco di pane e qualche barile di whisky erano pronti a riportare al direttore ogni fuggiasco. Vivo o morto. Spesso nella seconda condizione. Tutta la prigione era un luogo di sofferenza, con le mura spesse, le ombre
lunghe, il caldo massacrante durante il giorno e le notti gelate. A un paio di miglia c’era una cava di pietra dove a turni i reclusi venivano portati a lavorare per dieci ore al giorno. Molti non ce la facevano. All’interno delle palizzate guardate da una feccia di sbirri che avrebbero potuto benissimo essere dei ladri e assassini in altra occasione, il popolo della galera si era creato un suo mondo brutale. Per assistere a uno dei suoi riti il direttore Warden aveva portato il suo ospite all’interno di una fossa cinta da alte pareti sui cui bastioni era consentito dai reclusi che non erano di corvée di assistere allo spettacolo scommettendo quelle poche sigarette e generi di sopravvivenza di cui disponevano. – Un sistema per tenerli calmi – aveva assicurato Warden. – Conosce le lotte tra cani e topi che si usano nelle grandi città? Buttano un mastino affamato in una fossa con venti topi. La gente scommette sul tempo in cui ci impiegherà a divorarli tutti. Ovviamente capita che i topi, a volte, si mangino il cane. E questo eccita la gente. Qui è lo stesso. Il ghigno sifilitico di Warden non andava per nulla a Norton, ma voleva fidarsi di quanto gli aveva assicurato Sterling. Là avrebbero trovato un uomo in grado di uccidere Wild Bill Hancock.
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Senza proferire parola, Brigham Norton terminò la birra, la posò su un tavolaccio e si accese un sigaro facendo sfrigolare lo zolfanello su un palo di sostegno della tettoia che li riparava dal sole. Si guardò in giro. Vide la folla compatta dei reclusi sorvegliati sui bastioni degli uomini armati, intuì la loro rabbia, il loro dio. Cominciava a comprendere. Quella era una riserva di cani selvaggi che avrebbero potuto servire il suo scopo. Il ranger sogghignava in silenzio, intuendo i suoi pensieri. Kearny sembrava a disagio. Era un fedelissimo di Norton ma il suo pane erano mandrie e pascoli. Forse qualche sparatoria con indiani e messicani, ma quell’ambiente di depravazione e violenza lo metteva a disagio. Dalla folla si levavano delle urla. In un palchetto separato c’erano persino alcuni giovani reclusi (per lo più neri o messicani) vestiti da donna che fungevano da prostitute ed eccitavano la folla. Grottesco. C’era, però, qualcosa che colpiva l’allevatore più di ogni altro dettaglio. Una presenza estranea, un uomo che non gli era stato presentato. Era un tipo alto e secco, con i favoriti grigi e il viso segnato da cicatrici ottenute in battaglia. Indossava abiti eleganti benché impolverati, una bombetta e un bastone. Stava in un angolo del palco, in silenzio e, di tanto intanto lo scrutava. Norton non chiese chi fosse, era certo che prima o poi lo avrebbe scoperto. – Ecco, cominciano – esclamò eccitato Warden quando il pubblico eruppe in una salva di schiamazzi e invocazioni volgari. Sembravano tutti impazziti, assetati di sangue. In fondo alla fossa fu aperta una porta di metallo. Entrarono cinque uomini con le uniformi lacere dei reclusi. Individui brutali, con i muscoli gonfi e i visi segnati. Erano coperti di sudore e sporcizia, un paio zoppicavano ma sembravano pronti a battersi. I topi. E, quasi immediatamente dopo, dall’altro lato del cortile si schiuse una porticina
di assi. Di colpo la folla sembrò dimenticare le volgari ed esaltate esclamazioni di qualche attimo prima. Adesso tutti scandivano una sola parola che Norton impiegò un poco a comprendere. Poi alle orecchie gli arrivò un suono più distinto. – Gilas! Gilas! Gilas! – urlavano tutti, secondini e dannati. E dal buio apparve un uomo. Era alto e massiccio. Si levò la casacca dei reclusi mostrando un torso muscoloso, segnato da frustate e cicatrici. Aveva la barba lunga e un occhio bendato. Era il cane che doveva azzannare i topi. – Il capitano Malcom Spikes. Fuorilegge, disertore, rapinatore di banche, stupratore e assassino. Lo chiamano Gilas. Non uscirà mai più di qui… a meno di un miracolo –fece Warden con una strizzata d’occhio a Norton. Questi non disse nulla. Valutò l’uomo dal modo in cui si muoveva sicuro di sé, incurante della folla, con gli occhi sui cinque avversari. Né intimorito né arrogante. Sicuro di sé. A piedi nudi sulla rena rovente, non sembrava avvertire il calore. Forse era davvero lui l’uomo giusto.
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Gilas sputò il sasso che aveva tenuto sotto la lingua per facilitare la salivazione nelle ultime ore. Un vecchio trucco indiano appreso quando aveva dato la caccia quindici anni prima a Mangas Coloradas. Malcom Gilas era un figlio della Frontiera. Sapeva che la vita era brutale e non si tirava indietro. Affrontava il pericolo ogni giorno, senza porsi troppi problemi. Sapeva che tra quel pubblico urlante lo odiavano e lo esaltavano in egual misura. Era il simbolo dell’uomo che non si spezza. Finché avesse superato giorno per giorno le avversità sarebbe sopravvissuto. E finché fosse sopravvissuto avrebbe avuto una possibilità di uccise da quell’inferno. Perché lui, a Yuma non intendeva rimanerci. Avanzò ancora di un o sotto il sole e valutò i cinque disgraziati che gli avevano messo di fronte. Non erano peggio della febbre dissenterica che un mese prima aveva rischiato di ucciderlo. Eppure, anche quella volta si era battuto e aveva vinto. Il più pericoloso dei “topi” era Matt Murdock, un gigante con la testa piatta che aveva giù ucciso venti uomini a mani nude nella miniera di Coal Butte in Texas. Era alto quasi due metri e possedeva una muscolatura da orso grizzly. Poi c’erano Vernon, Pacos, Samuel, il nero che era un buon pugile a quanto dicevano e Hungan, un indiano Pueblo che si era ubriacato e aveva sterminato una famiglia di coloni. I veri problemi potevano venire da Murdock e dal nero che tirava di boxe, gli altri erano solo carne da cannone. Di colpo Gilas si fermò. Non mostrava, paura né fretta e questo innervosiva i suoi avversari. Gli spalti si erano fatti silenziosi. La gente aspettava il sangue. Anche le scommesse si erano interrotte. Gilas strinse le labbra e si chinò sul terreno. Raccolse una manciata di sabbia. Dalle narici emise un sibilo. Poi scattò come se le gambe fossero state molle
d’acciaio. Corse in direzione di Murdock che allargò le braccia per afferralo, ma, all’ultimo istante, Gilas scartò di lato e caricò Vernon e Hungan. Quando fu vicinissimo scagliò la sabbia contro gli occhi del bianco che si ritrasse cercando di proteggersi. L’indiano non sapeva come reagire. Gilas gli stampò un calcio frontale schiacciandogli i testicoli con una botta violentissima. L’altro si piegò in due fulminato. Poi Gilas afferrò Vernon e lo colpì prima con il ginocchio al petto, quindi con una gomitata dietro l’orecchio, frastornandolo. Lo gettò senza difficoltà tra le gambe di Pacos. I due uomini ruzzolarono impendendo al corpulento Murdock di avvicinarsi. La folla proruppe in un grido di giubilo. Gilas non li sentiva. Si mosse rapido sulla sabbia. In un attimo fu di fronte a Samuel che già serrava i pugni come un pugile. Poche speranze di cavarsela in un match regolare. Gilas oscillò sul busto costringendo l’altro a tirare delle sventolacce nel vuoto. Approfittò dello slancio del nero per afferragli il polso. Con l’avambraccio gli pestò sul gomito procurandogli un dolore atroce all’articolazione. Lo sgambettò torcendogli il braccio in una angolazione innaturale. Premette con tutto il peso del corpo sino a quando non sentì l’osso che si spezzava. Solo allora calò i due pugni uniti dietro la nuca dell’uomo e lo uccise con una botta della potenza di una mazza ferrata. Si volse e riprese a correre. Scalciò alla testa di Pacos che cadde sul terreno senza capire cosa gli succedeva. Gilas saltò atterrando con le ginocchia sul petto del già malconcio Vernon. Gli sfondò la cassa toracica mentre sugli spalti la folla era impazzita. Le finte prostitute si strappavano i vestiti. Persino le guardie avevano perso il controllo. Alcuni spararono in aria, eccitatissimi. Restava Murdock che, fermo nell’arena agitava le braccia enormi. Il gigante emise un suono inarticolato. Si dondolava sulle gambe agitando le braccia. Le dita parevano chele di un mostro. Gilas non perse tempo a valutarlo. Faceva un caldo bestiale e lui era già allo stremo delle forze. Il cuore gli pulsava nel petto. Respirava fuoco.
Fintò un calcio e il gigante ci cadde. Si chinò in avanti protendendo le braccia convinto di poterlo afferrare per la gamba e rivoltare a terra. Sul terreno lo avrebbe schiacciato. All’ultimo istante, Gilas ritrasse la gamba e cambiò appoggio sui piedi. Davanti a sé vedeva il viso scoperto di Murdock. Tese le dita a punta di coltello e le piantò direttamente nel bulbo oculare del gigante. Fu un colpo micidiale. Dall’orbita schizzò un getto di sangue e liquido vischioso. Murdock urlò disperato.. solo allora Gilas si concesse due precisi ganci sinistri in successione alla mascella e all’orecchio del gigante. Frastornato. Murdock piegò il ginocchio a terra. Gilas gli era già alle spalle. Piegò l’avambraccio a triangolo ando sotto la linea difensiva del mento. Una volta assicuratasi quella posizione, strinse le mani artigliandole in una morsa. E strappò inarcandosi all’indietro. Impiegò trenta secondi prima di sentire il rumore del collo di Murdock che si spezzava. L’uomo fu scosso da un tremito, si agitò, svuotò gli sfinteri provocando un flusso di liquame ributtante e si accasciò sulla sabbia. Sfinito Gilas si alzò sollevando le braccia. Moderno gladiatore, aveva vinto anche quella volta.
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Nell’ufficio del direttore Warden la temperatura era solo un po’ più mite di quella che si respirava all’esterno. Brigham Norton sedeva di fronte al direttore fumando un sigaro. Con lui c’erano anche Sterling e Kearny. In un angolo sedeva, sempre diritto, cupo e senza fornire spiegazioni sulla sua presenza, l’uomo elegante che il ranchero aveva notato al combattimento. – Sono disposto a pagare 500 dollari per avere quell’uomo a disposizione per regolare un conto in sospeso – disse Norton. – Sono certo che è l’uomo che ci vuole. Warden ridacchio versandosi un mezzo bicchiere di whisky che ingollò come se fosse acqua. – Non ne dubito. Malcom Gilas è un assassino nato e quello che gli ha visto fare con le mani nude è niente rispetto a quanto può combinare con un’arma in pugno – disse. – Purtroppo è condannato a centodieci anni di carcere. Uccidere un ufficiale dell’esercito americano è un reato grave, soprattutto se uno gli ha violentato la moglie e la figlia nella stessa notte. – Non mi interessa la lista delle imprese criminali di Gilas – fece secco Norton. – Offro a lei 500 dollari per ‘affittarmelo’ e 300 a lui per portare a termine il lavoro. L’uomo che cerco è molto pericoloso e non sarà facile trovarlo. – Questo non risolve il problema del fatto che Gilas sia un condannato a vita al carcere di Yuma – sentenziò il direttore. Nervosamente Norton si rivolse a Sterling. – Credevo che mi avesse proposto una soluzione – osservò. Il ranger tossicchiò e indicò con il mento l’uomo seduto in un angolo. Questi si alzò e si levò il cappello con un gesto cortese che, tuttavia, mise ancor
più in risalto il suo aspetto feroce. – Mi chiamo Rockerson – annunciò – e rappresento interessi di persone potenti. So chi è l’uomo che lei cerca. Wild Bill Hancock e, per un caso, è un impaccio anche per le persone per cui lavoro. So che si trova in Florida e deve essere eliminato. Perciò ho l’autorità di far emettere un mandato di rilascio temporaneo per il detenuto Malcom Gilas con la promessa che, se porterà a Termine il suo incarico, la sua posizione potrà essere migliorata. Verrà pagato 1000 dollari per il suo lavoro e altrettanti ne verranno versati al qui presente signor Warden. Brigham Norton era in grado di riconoscere una sporca manovra politica quando ne vedeva una. Warden comprese al volo e versò affrettatamente da bere per tutti e tre. Si alzò per un brindisi. – Ai buoni affari, allora – fece tutto salamelecchi. Norton si inumidì appena le labbra e fissò Rockerson. – In Florida, dice? L’altro assentì. – Per quanto Gilas possa essere l’umo adatto, non potrà agire da solo. Quando saremo fuori da questo inferno abbiamo un appuntamento a Gorcey Fork, un villaggio di frontiera dove ci aspetta un gruppo di uomini equipaggiati e riforniti per l’impresa. Li guida un tipo bizzarro, un amico di Gilas che lo aiuterà a prendere la decisione giusta. Si chiama Axe–in–the–Skull, un veterano della guerra contro i Comanches. Non è necessario che lei incontri quella gentaglia, signor Norton, penserò io a tutto. Le posso assicurare che eliminare Hancock e i suoi amici sta a cuore ai miei committenti quanto a lei, anche se per motivi differenti.
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Le Everglades
Il grande barcone a chiglia piatta aveva rallentato sin quasi a fermarsi. Donovan stava a prua con il fucile imbracciato e le pistole pronte. Viaggiavano da cinque giorni lungo un fiume costellato da una vegetazione selvaggia, intrecciata. I tronchi degli alberi, coperti di muschio e rampicanti formavano strane figure, simili a idoli scolpiti nella pietra. L’aria era pesante, umida e, al calar della sera si riempiva di insetti che costringevano gli uomini a coprirsi e spalmare mani e viso di olio di balena. A bordo con Donovan c’erano cinque uomini oltre a tre mariani neri, reclutati a Tampa. Le casse con i fucili e le munizioni, assieme a una provvista di barilotti di liquore che avrebbe tolto la vita a un uomo sano e che gli indiani parevano gradire moltissimo, erano radunati sotto un tendone. Insieme a quella mercanzia Donovan aveva caricato anche cento asce da lavoro che gli indiani avrebbero usato invece dei loro rozzi tomahawk di selce. La civiltà, pensò ridendo tra sé. – Ci siamo – disse Fiboulette, la guida se che Cane Nero aveva inviato al porto in Florida per far loro strada sino al punto dell’incontro. Donovan, di notte non portava gli occhiali. Alla luce della torcia gli occhi rilucevano gialli come quelli di un coguaro. Non gli piaceva Fiboulette, ed era convinto che il sentimento fosse reciproco. Il se era un tipo magro, senza una mano sostituita da un uncino. Indossava larghi pantaloni di tela, mocassini e una maglia a righe blu e bianche che non doveva essere stata lavata da almeno cinque anni. Fumava sempre una lunga pipa di gesso ma quella notte la teneva spenta. Donovan strizzò gli occhi e scrutò la costa irta di canne e fogliame indistinto. Non si vedeva un’anima e, tra le acque ferme la luna giocava creando strani
riflessi perlacei. S’intuiva, però, una presenza. Fiboulette puntò il lungo cannello della pipa verso un promontorio che si insinuava come un dito nelle acque marce della palude. Per qualche istante a Donovan non sembrò di vedere nulla poi sul suo viso si delineò un ghigno. Cerco, pensò, mentre ritraeva le labbra sui denti. Uomini. Una ventina. Adesso li vedeva meglio. Senza aspettare oltre, afferrò la torcia infissa in uno scalmo sulla murata e l’agitò diffondendo una scia di lapilli nel buio. Poi gettò la fiaccola nel vuoto. La fiamma compì un ampio arco nella notte e, prima di cadere sulla sabbia e spegnersi con un crepitio. Illuminò una fila di uomini. I bucanieri di Cane Nero. Spettri più che esseri umani. Vestiti di stracci, bandane in testa, strane coccarde, cartuccere a bandoliera, spade, picche e moschetti. Cane Nero fu illuminato brevemente sulla sabbia sembrava un demone sputato dall’inferno. Forse era davvero così. Al suo fianco c’erano Micco e Tustenugge con le camicie colorate, i pendagli d’argento e i turbanti ornati con piume di uccelli esotici. I viso erano dipinti coni colori di guerra. Micco sembrava una pantera tutto punti bianchi e neri, mentre Tustenugge aveva il volto per metà rosso e per metà blu. Gli occhi rilucevano come diamanti forgiati da un demone. Max Donovan alzò il fucile e lo mostrò bene al comitato di ricevimento. Con lentezza i mariani stavano accostando. Senza aspettare inviti, l’Albino saltò nella battigia sollevando una colonna d’acqua. Raggiunse il bucaniere e gli indiani serrando loro la mano. – Benvenuto – fece Cane Nero. – Hai quello che ti ho chiesto? – Anche di più, vecchia canaglia – fece l’Albino. – I fucili, le munizioni, e altri
giocattoli per i tuoi amici. Ma dobbiamo far presto. – Che fretta c’è? – domandò l’altro girandogli intorno. Donovan gli appoggiò con noncuranza la canna del fucile sul petto. L’altro non sembrò offendersi né essere intimorito. Un duello di personalità e carattere. Gli indiani osservavano affascinati. – Mi dicono che dobbiamo accelerare le operazioni – disse Donovan. – In più farai bene a mettere degli uomini in appostamento sulle principali vie di accesso alla palude. Temo che avremo compagnia sgradita. – Di chi si tratta? – brontolò il pirata. – Uomini della legge. Canaglie dure a morire. Ho predisposto che fossero eliminati a new Orléans ma non credo che saranno morti tutti. Verranno, stai tranquillo. – Bene, li riceveremo. Tustenugge ha trecento guerrieri pronti a scendere in campo compresi i seminole neri, gli schiavi fuggiti. – E io mi auguro che tu possa mantenere la tua promessa. Nel buio, trai due uomini ò una corrente fredda. – L’oro di Coronado? – domandò a mezza voce il bucaniere. L’albino gli si avvicinò. – Ho la chiave per valicare qualsiasi porta. Ti racconterò. Sbrighiamo questo affare poi portami diritto in quel posto. Ci spatrieremo il bottino e ce ne andremo da qui. O vuoi morire in questa palude? – Ssh – fece Cane Nero, portandolo discosto dagli altri. – È un luogo segreto, meglio che i nostri amici rossi non lo sappiano. Adesso scarichiamo le casse e prepariamoci. Donovan si voltò e, messe due dita in bocca, emise un fischio acutissimo che si perse tra i rumori della notte. Il segnale che tutto era regolare e potevano cominciare a scaricare i fucili.
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New Orléans
– Io non mollo – disse Mike Grissom con uno sforzo per dominare il groppo in gola che gli faceva tremare la voce. Era sofferente, dimagrito. La convalescenza procedeva ma c’era, assieme al dolore, la consapevolezza di aver perso un braccio, circostanza che alla Frontiera significava un o verso la fine. Nel volto scarno gli occhi sembravano, più grandi e luminosi. Wild Bill lo fissò cercando di nascondere la sensazione che quel ragazzo ricordava troppo quello che aveva ucciso per sbaglio per le strade di Abilene, molto tempo fa e ancora veniva a tormentarlo. Almeno con questo ci aveva provato. – Mai pensato una cosa del genere. Grissom abbozzò un sorriso. – Grazie – sussurrò. Il parco dell’ospedale di Saint Eustache, ai margini del quartiere se, tenuto da una comunità di frati si, era cupo nel suo ordine e nella sua pulizia. Vialetti e panchine, siepi e cipressi. Incombeva su tutti un’aura di solitudine e dolore che neanche la solerzia delle infermiere riusciva ad attenuare. In giro si muovevano degenti in camice bianco, a volte soli, a volte scortati da parenti e suore. Uno spettacolo deprimente. – Non sapete cosa darei per venire con voi – disse Grissom. Spade tossicchiò. – Credo che avrai il tuo bel daffare qui – disse indicando due uomini con lunghi spolverini neri e bombette che sedevano vicino a una fontanella intenti a importunare una delle infermiere che sembrava piuttosto propensa a dar loro corda. – La Pinkerton ha mandato due uomini per la tua protezione, ma il lavoro più duro toccherà a te. Il Giudice ha stabilito che Talbot
stava complottando contro il Governo federale, per cui avrai accesso a tutti le sue carte. Credo che sarà un lavoro complesso e non privo di rischi. L’immagine della morte del faccendiere ò nelle loro menti, rapida e inquietante. – L’uomo con La carabina Jeager – disse Wild Bill – di sicuro è il legame tra Talbot, Donovan e i trafficanti delle Everglades. C’è sicuramente sotto qualche manovra politica e pericolosa. Stai attento. Il giovane estrasse la mano sana dalla vestaglia di pesante panno rosso mostrando una pistola Remington calibro 38, un’arma da città ma che sarebbe bastata. – E voi? – Noi – intervenne Kinnock – abbiamo un appuntamento in Florida. Più o meno sappiamo quale è la zona in cui agiscono i bucanieri e i loro alleati Seminoles. – Il capitano Kilpatrick – annunciò Spade – ci aspetta a Camp Jesup, un avamposto sulle paludi costruito in onore del generale che vinse la seconda guerra con Osceola, il capo Seminoles. I tempi sono cambiati ma le paludi no. Sembra che sia una scuola di guerra per reparti speciali. Li Chiamano i fanti di marina e Dio solo sa che cosa siano. Non certo fanteria o cavalleggeri, visto che per entrare in quei territori occorre una preparazione tutta speciale. Noi ci uniremo a loro per dare una strigliata a Donovan. – Buona fortuna, ragazzi – replicò ancora tristemente il giovane. A quel punto fu Raquel che per l’occasione aveva scelto un abito da vera signora che non solo le stava a pennello ma riusciva a trasformarla completamente cancellando l’immagine dell’avventuriera che gli altri si erano ormai abituati a conoscere. Per dire la verità aveva alleggerito il trucco e la veletta che dal cappellino calava sugli occhi le conferiva un tocco di elegante sobrietà che aveva sorpreso tutti. – Se non vi dispiace, vorrei salutare il nostro Mike. Capisco che i vostri virili addii siano importanti, ma forse un pensiero femminile non sarà sgradito.
Spade tossicchiò e Kinnock gli diede di gomito. Trascinarono via Hancock che rimase per un lungo attimo a scambiare un saluto con il giovane. Una promessa che avrebbero portato a termine la missione e la vendetta.
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Raquel Dubois Stoner indossava dei fini guanti senza dita di raso nero coperti da una veletta di pizzo. Le unghie erano curatissime ed emanava un profumo che certo Grissom non sapeva valutare ma che gli parve dolcissimo. Lei gli posò le dita sulla mano sana. – Raquel… – Non dire nulla. – In quella fossa ho avuto paura, ma non per me. Ho temuto di perderti. Io… non sono come spiegare e adesso… adesso che sono… – Non dirlo neanche – fece lei con un sussurro. Poi, spinta da un impulso si chinò verso di lui e gli sfiorò le labbra con un bacio. Fu dolcissimo. Si ritrasse e lo guardò fisso negli occhi. – Raquel… – Tornerò da questa avventura. – Devi proprio andare? Lei rise, un’espressione appena abbozzata. Dentro di sé avvertì una trafittura. Quale uomo avrebbe mai potuto conquistarla chiedendole di rinunciare all’avventura, a ciò che era la sua stessa natura? Non certo Grissom. Ma in quel momento quel coraggioso giovane aveva bisogno di ogni incoraggiamento. – Sì, ho rischiato troppo per ritrovare il tesoro di Coronado e poi quei ragazzi senza di me non se la caverebbero. Non aggiunsero altro, sapendo che ogni parola li avrebbe compromessi su una strada che era insicura per entrambi. Grissom sospirò e la fissò con i suoi occhi tristi. – Fai buon viaggio, allora. Ti
aspetterò. – Ci conto – disse lei stringendogli la mano ancora una volta con le sue dita per dargli conforto. Si alzò provando vergogna. Perché alimentare false speranze? Non era Grissom l’uomo per lei. A volte dubitava che ne esistesse uno.
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– Bello l’amore, eh? – osservò Kinnock a mezza voce rivolto a Spade. I due uomini stavano a una certa distanza dalla giovane coppia. Non avevano udito le parole ma di certo l’atteggiamento di Raquel sembrava loro inequivocabile. L’agente della Pinkerton si strinse nelle spalle. – Chissà, quella non mi sembra il tipo da ragazzini… anche se adesso il giovane Grissom ispira tenerezza. – Hai ragione. Io l’ho vista nel deserto. Quella donna ha il fuoco nelle vene. Ci vuole un uomo vero per domarla? l pistolero che di certo aveva visto la scena e camminava nervosamente tra le siepi. – Il nostro Wild Bill s’irrigidisce ogni volta che la bella Raquel guarda un altro. Chissà cosa succederà in quelle paludi – fece Spade, pensieroso. Kinnock assunse una espressione preoccupata. – Wild Bill è bruciato da un tale odio che neanche si rende conto di chi gli sta intorno. Il rimorso per la fine della sua famiglia, per quel ragazzo che ha ucciso per sbaglio. Non credo che uccidere Donovan gli darà la pace. Entrambi rimasero a osservare il pistolero che procedeva solo, in un vialetto costeggiato da filari di alberi tristi, la mano sulla pistola. Il viaggio era appena cominciato e si preannunciava pieno di insidie.
Continua in… Acque morte
Delos Digital non usa DRM
Delos Digital ha scelto di non imporre ai propri ebook protezioni dalla copia che costituiscano una limitazione all'uso da parte dell'acquirente. Siamo convinti che i sistemi di protezione basati sulla criptazione danneggino solo chi acquista il libro onestamente. Il lettore che ha speso i propri soldi per acquistare questo ebook deve esserne il proprietario: questo libro non diventerà illeggibile cambiando computer, o spostando il file su un lettore di ebook o su uno smartphone. Per usarlo non è necessario un software che si colleghi a un server di autenticazione. Fermo restando che la legge e l'onestà dell'individuo vietano di ridistribuire il volume acquistato - e in definitiva il buon senso lo sconsiglia, perché autori ed editori hanno bisogno di guadagnare per portare avanti il proprio lavoro - il lettore può sentirsi libero di leggere il file con il dispositivo o computer che vuole e deve sapere di poterlo conservare e convertire in eventuali formati futuri per salvaguardare il suo acquisto. Quando possibile, Delos Digital utilizza il social DRM, ovvero scrive all'interno del libro il nome dell'acquirente; una sorta di "ex libris" elettronico. La criptazione del file viene usata solo nei casi in cui è obbligatoriamente richiesto dal contratto con l'autore. Nel caso di questo libro non è stato necessario. È comunque possibile che al libro venga applicata un'encriptazione drm dal negozio da cui lo si è acquistato. Delos Digital vuole combattere la pirateria nel modo che riteniamo migliore: rendere i nostri ebook acquistabili in modo facile e rapido, e metterli in vendita al prezzo migliore possibile.
in questa collana
Wild West
STAGIONE 1 Stefano Di Marino, Rinnegati Comincia la Prima Stagione di WILD WEST: un romanzo western tra Sergio Leone e Quentin Tarantino ISBN: 9788867759187 Stefano Di Marino, Assalto al treno Un colpo spettacolare messo a segno da una banda di rinnegati apaches e messicani. Il primo o di una caccia spietata vero il Messico ISBN: 9788867759293 Stefano Di Marino, Rio Bravo Una tempesta di sangue e morte accompagna i rinnegati di Donovan oltre il confine. Wild Bill e i suoi volontari li seguono in un territorio infido. ISBN: 9788867759385 Stefano Di Marino, Deserto di quarzo In un deserto infernale si profila la figura del Monaco, organizzatore di rapine e trafficante d’armi. ISBN: 9788867759422 Stefano Di Marino, El castillo La resa dei conti. Odio, vendetta e riscatto si consumano in una vecchia missione abbandonata. Il ato uccide… ISBN: 9788867759590
STAGIONE 2 Stefano Di Marino, Gold Town Un uomo solo braccato da tre killer. Ma la città fantasma può diventare un alleato ISBN: 9788865305874 Stefano Di Marino, Seminoles Bucanieri e indiani ostili tra le paludi della Florida. Una missione per l’Esercito, ma anche una vendetta personale per Wild Bill e i suoi amici. ISBN: 9788865305928 Stefano Di Marino, Squali Tra i vicoli di New Orléans, Wild Bill e Raquel si scoprono alleati. ISBN: 9788865306017 Stefano Di Marino, Vigilantes Fuorilegge, contrabbandieri e sporchi politicanti coinvolti nel traffico
d’armi. ISBN: 9788865306116 Stefano Di Marino, Acque morte Comincia una lunga missione di guerriglia nelle paludi della Florida (in preparazione) ISBN: 9788865306215
Gli ebook rapidi ed emozionanti
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sco Calè, Sherlock Holmes e l'avventura del ratto gigante di Sumatra Sherlockianan. 102
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Marco Paracchini , Sherlock Holmes e la Setta degli Sciacalli Sherlockianan. 104
Giuliano Spinelli, Sherlock Holmes e l'esorcista - Sherlockianan. 105(in preparazione)
Antonio Bocchi, Sangue di madre sulle labbra - Trilogia delle donne perduten. 1
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Narrativa
Salvo Figura, Morto che parla - Odissea Digitaln. 37
Caterina Saracino, L'anima espansa - Odissea Digitaln. 38
Poesia
Fernando Feriozzi, Rosanna Santoro, Certi amori - Dialoghi d'amore - Odissea Digital Poesian. 3
Romance
Elena Vesnaver, Il sogno dei guerrieri fanciulli - ioni Romantichen. 47
Stefania Fiorin, The charging bull: il toro - Senza sfumaturen. 78
Valter Padovani, Amore senza amore - Senza sfumaturen. 79
Ester Ashton, Solo una notte per amarti - Senza sfumaturen. 80(in preparazione)
Spionaggio
Massimiliano Giri, Il tatuatore di Asakusa - Dream Forcen. 73
Marco Donna, Arrivano le fate - Dream Forcen. 74
Storico
Umberto Maggesi, Complotti e sangue - History Crimen. 41
Thriller
Alberto Odone, L'uomo col basco del Che - Delos Crimen. 41
Emanuela Ionta, Occhio di vipera - Delos Crimen. 42
Western
Stefano Di Marino, Gold Town - Wild Westn. 1
Stefano Di Marino, Seminoles - Wild Westn. 2
Stefano Di Marino, Squali - Wild Westn. 3
Stefano Di Marino, Vigilantes - Wild Westn. 4
Stefano Di Marino, Acque morte - Wild Westn. 5(in preparazione)
Zombie
Davide De Boni, Il laboratorio degli orrori - The Tube Exposedn. 25