Temporale A Trafalgar Square u49

TEMPORALE A TRAFALGAR SQUARE

Un romanzo di LAURA FERRARI

Youcanprint Self-Publishing

Titolo | Temporale a Trafalgar Square Autore | Laura Ferrari Copertina e grafica di “hidden behind a reflex! studio”. ISBN | 9788867514854 Prima edizione digitale: 2015

© Tutti i diritti riservati all’Autore Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE) [email protected] www.youcanprint.it

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Questo romanzo è opera di fantasia. Tutti i personaggi sono fittizi, luoghi ed eventi sono frutto della fantasia dell'autrice. Qualsiasi somiglianza con fatti e persone reali, è assolutamente casuale.

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Un doveroso grazie a Laura, Franca e a mio papá Flavio che, con la loro pazienza ed il loro entusiasmo, si sono prodigati a correggere gli inevitabili errori di questo romanzo. Un grazie alla Vale per la realizzazione della copertina del libro.

Ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che, con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti.

(Pablo Neruda) …alla mia famiglia …

1

Salve a tutti. Mi presento.Sono Laura Marshall.

Ho abitato a Verona con la mia famiglia fino a tre anni fa. I miei genitori si sono conosciuti negli anni dell’università e, appena mio padre si laureò in medicina veterinaria, sposò mia madre che, con il are degli anni diede alla luce tre splendidi bambini, l’ultima dei quali sono io.

Come mio padre anch’io amo gli animali, non c’è che dire, ma curarli, vi garantisco, è tutt’altra cosa. La mia vita quindi ha preso una strada diversa.

Ho vissuto per trent’anni in questa splendida città percependo le sue infinite varietà di colori, i suoi suoni, i suoi profumi freschi d’estate e accoglienti d’inverno e le sue emozioni.

Verona è unica nel suo genere, è una città da visitare con calma, eggiando tra le caratteristiche vie che percorrono il centro storico rimasto splendidamente intatto nei secoli, e con i suoi scorci affascinanti sull'Adige offre uno spettacolo unico.

Imponente è l'anfiteatro dell'Arena, dove nelle stagioni calde un susseguirsi di concerti e opere d’importanza mondiale fanno da cornice alla città.

Osservando le sue numerose chiese, le sue sontuose piazze, i suoi ornati palazzi, la fantasia ti trasporta dalla quotidianità frenetica e pesante, ad una realtà d'altri

tempi che fa sognare e rivivere il ato. Suggestivo è anche andare alla ricerca di qualche piccolo locale, nascosto fra i vicoli e magari scoprire che proprio lì qualche illustre personaggio ha frequentato quel luogo.

Anche lui avrà goduto di quell'atmosfera magica che si respira in questa città.

Dopo essermi laureata in giornalismo all’università Sacro Cuore di Milano, come ogni giovane, che cade e si rialza con grande forza d’animo, aspiro a dei progetti.

Tutti abbiamo una data nel corso della vita che segna profondamente il cammino.

Per me il giorno di svolta fu il 19 settembre 2012, quando, dopo innumerevoli curricula spediti, quasi ovunque e concorsi tentati, mi arrivò una risposta da parte della rivista National Geographic di Londra, la quale era interessata ad avere un colloquio con me.

Questa società era propensa a dedicarmi uno spazio all’interno di una rubrica focalizzata su servizi fotografici da realizzare in varie parti del mondo.

Senza pensarci sopra più del dovuto, anche con il dispiacere del distacco da tutto ciò che mi era caro, accettai la proposta e, pochi mesi dopo, trovai un appartamento molto grazioso nel cuore di Londra, nel verde polmone di Hyde Park.

Ricordo ancora quel giorno della partenza all’aeroporto, quanta eccitazione mista a nostalgia, ma l'opportunità che mi si offriva dovevo assolutamente coglierla.

Hyde Park è uno dei più ampi parchi del centro londinese. Il parco è diviso in due parti: la zona del lago artificiale detta il “Serpentine Lake” e la parte del “Kensigton Gardens”.

Entrambi considerati come una parte di Hyde Park, anche se in realtà sono ufficialmente separati dal 1728, quando la Regina Carolina della dinastia Hannover impose la divisione.

Il parco è, inoltre, diventato sede di numerose manifestazioni politiche e culturali ed è stato anche la sede di molti concerti come quello dei “The Rolling Stones” nel 1969 e dei “Queen” nel 1976. Quest’ultimo seguito da duecento venticinque mila persone.

Il 07 luglio 2012 il parco londinese ha ospitato il MDNA: “Word Tour di Madonna” ed io non potevo mancare a quest’ultimo evento. Subito avevo sentito questa metropoli in sintonia con me, forse per la gente che ci vive, per l’arte che si sprigiona in qualsiasi angolo, per la cultura che affiora con le sue innumerevoli attrazioni o per il divertimento che ti travolge.

La sede della rivista per la quale lavoro si trova a pochi chilometri dal mio appartamento, approfitto quindi delle belle giornate di sole per recarmi al lavoro a piedi oppure in sella alla mia bici.

Ho avuto poco tempo per ambientarmi nel mio ufficio: ricordo ancora il primo

giorno quando il capo mi ha presentata agli altri colleghi.

Emozione mista adrenalina erano le sensazioni di quel primo incontro.

Nel piano dove svolgo la mia mansione siamo tutti fotografi e giornalisti.

I miei collaboratori sono decisamente preparati in questo campo, io sono la più giovane ma mi hanno accolta subito come una di loro.

Philippe è il capo ufficio, mentre Isabelle, Francois, Mark e Joy sono fotografi come me provenienti da varie parti d’Europa.

Sono queste diverse etnie e culture che ci legano in questa affascinante attività.

“Buon giorno a tutti” dissi entrando in ufficio con il bicchiere di tè in mano preso al distributore automatico in fondo al corridoio.

“Questa mattina devo sbrigare alcune faccende in merito alla discussione che ho avuto ieri con il titolare” continuai.

“Era ora” rispose Philippe.

“È un po’ di giorni che andate avanti bisticciando voi due” proseguì.

“Hai ragione Philippe, ma lo sai meglio di me che è difficile fare cambiare direzione ai suoi ragionamenti” dissi.

Andrew Scott è il dirigente della Magazine Society, la ditta per la quale lavoro.

Andrew è un uomo sulla quarantina, bello, fisico atletico; insomma il classico uomo al quale qualsiasi donna non riuscirebbe a dire di no, tranne me ovviamente.

“Buongiorno Laura!”

“Salve signor Scott” replicai e, con tutta la forza che avvertii in quel momento, le parole mi uscirono dalla bocca.

“Penso signor direttore che all’interno di questa società siamo tutti una squadra, le discrepanze fanno altro che male al nostro obiettivo che è quello d’informare i lettori del nostro giornale sui fatti reali, concreti e veritieri” continuai.

“Non posso permettermi di cominciare la carriera falsificando il vero.

Non metterò sul giornale scatti fotografici completamente ritoccati” dissi terminando il mio discorso.

“La capisco signorina Laura per la giustificazione che mi ha appena esposto, ora la esonererò da questo problema ma non s’illuda che acconsentirò sempre alle sue richieste.”

“Bene, adesso se non le dispiace, devo fare alcune telefonate” mi disse ed io, chiudendo la porta, me ne andai più infuriata che mai.

2

Nel tardo pomeriggio per rilassarmi andai dalla mia amica Lucy, una delle proprietarie del Tea & Company situato nel cuore di Mayfair.

È uno splendido piacere per gli occhi e soprattutto per il palato per chi si sofferma a degustare i migliori tè d’Inghilterra.

Londra, capitale per antonomasia del rito del tè, fa di quest’ambiente, un nome conosciuto in tutto il mondo, per le sue variate tipologie di foglie.

Ciò che lo rende ancora più caratteristico sono le ricche e sfarzose vetrine le quali sprigionano una varietà di aromi di tè, tisane e infusi.

“Bellissima giornata di sole oggi” dissi rivolgendomi a Lucy, elegante signora dell'alta società londinese, nonché una delle socie della boutique.

“Non ti abituare troppo tesoro” ribatté lei mentre stava servendo del tè ad un uomo grassottello che indossava un elegante pullover scuro.

“Si sta avvicinando la primavera ma qui a Londra il freddo persiste sempre e ovunque” si rivolse a noi l’elegante signore in tono quieto.

“A proposito di primavera cara Laura” lo interruppe Lucy, “la settimana scorsa

abbiamo proposto la degustazione del nuovo infuso chiamato Sogno di Primavera.Delicato sapore di frutta miscelato all’intenso aroma dello zenzero.”

“Preparalo un’altra volta, più in fretta che puoi, che ho proprio voglia di assaggiarlo” risposi incuriosita.

Dopo aver sorseggiato il delizioso infuso salutai e mi avviai verso casa.

La stanza preferita del mio appartamento è il salotto.

Oltre al televisore trentasei pollici appeso alla parete, ho un grazioso divano ad angolo colore chiaro e un particolare tavolino di forma ovale fatto di pietra che ho acquistato al famoso mercato di Portobello Road.

Il punto forte del soggiorno, che lo rende davvero intimo ed accogliente, è la libreria composta a mia fantasia che occupa tutta la parete, dipinta di rosso .

Arrivata a casa mi sdraiai sul divano, aprii il portatile, scaricai la posta e mi accorsi che il mio amico Chris mi aveva contattato il giorno prima.

Aprii la sua mail che come oggetto citava: “LEGGI PRIMA DI CESTINARMI!”

Mi misi a sorridere e sbirciai subito per sapere cosa mai avesse da dirmi.

“Ho procurato due per l’inaugurazione del dipinto di Monet “Le Ninfee”, donato da un noto collezionista al museo del National Gallery.”

“P.S. So che non mi diresti mai di no in queste circostanze.”

Chris ed io ci siamo conosciuti, per caso, prendendo il medesimo taxi in una serata molto piovosa.

Nei primi giorni, dopo il mio arrivo in questa frenetica città, ero come un pesce fuor d’acqua e Chris lo capì subito.

Mi stette vicino e si adoperò in mille modi per non farmi sentire disorientata, prestandosi anche da Cicerone per farmi conoscere questa meravigliosa Londra.

Da allora siamo diventati grandi amici e devo dire che la sua simpatia, mescolata alla sua creatività ed intelligenza, mi spinge a provare verso di lui sempre più ammirazione.

Comunque, in merito alla mail, Chris aveva ragione, non potevo rifiutare un invito al museo.

È contro la mia natura!

Prima di partecipare a questa inaugurazione, mi ero documentata su internet riguardo Monet, essendo uno dei miei pittori preferiti.

Claude Monet, padre dell'impressionismo, nacque a Parigi il 14 novembre 1840 e morì il 16 dicembre 1926 a Giverny, un piccolo villaggio agricolo, nella valle della Senna.

Di origini familiari assai modeste, fin da giovanissimo si dimostrò versato nel disegno e, grazie all’interessamento di una ricca zia, poté trasferirsi a Parigi per frequentare una scuola d’arte.

Nel 1859 giunse dunque nella capitale; nonostante le assicurazioni date in famiglia, egli non s'iscrisse mai a regolari corsi accademici e le sue prime frequentazioni furono quelle degli ambienti artistici vicini al più anziano Manet.

Pochi anni più tardi, Monet prestò il servizio militare in Africa, dove la luce e i colori contribuirono a sviluppare in lui la ione per la natura.

Un anno dopo fu nuovamente a Parigi. L’incontro con Manet e con gli altri frequentatori del Café Guerbois arricchì enormemente il suo bagaglio di esperienze, e quelli che seguirono furono anni di lavoro accanitissimo, con poche soddisfazioni e molte amarezze, acuite anche da una forte depressione e da gravi problemi economici.

Dopo il 1880, il successo sembrò favorire Monet, ormai divenuto indiscutibilmente, l’uomo simbolo dell’impressionismo.

Leggendo le righe successive, notai quello che più m'interessava.

Alla fine dell’ottocento Claude Monet acquistò la casa e il giardino di Giverny, lungo la Senna, a nord di Parigi.

Quella dei giardini è una sua grande ione e, Giverny è finalmente il sogno di una vita, il suo vero grande progetto.

Accanto al giardino se, con i fiori piantati in un primo tempo, con fatica e tenacia e perfino con l’aiuto del presidente Clemenceau, costruirà un giardino acquatico e, in uno stagno, circondato da cotogni, felci, salici, rododendri e azalee, metterà a dimora le più diverse specie di ninfee: è il suo giardino giapponese, oggi il più visitato al mondo.

Quegli anni, dall’ultimo decennio dell’Ottocento al 1926, saranno per Monet il tempo delle ninfee, quello a cui è interamente dedicata la serata dell'inaugurazione.

In questo piccolo paradiso privato, Monet trascorse il resto della sua vita segnato da una grave malattia agli occhi e, nel 1926 morì per un tumore ai polmoni.

3

Da quando abitavo a Londra, avevo visitato il National Gallery un paio di volte, così in questa particolare circostanza decisi di non vestirmi con i soliti jeans e le abituali scarpe comode, come fossi una turista ma, con molta pazienza, mi vestii con l’abito più elegante che avevo.

“Sei uno splendore Laura!” disse Chris sfoderando tutto il suo charme, quando gli aprii la porta.

“E questo vestito in giacca e cravatta da dove spunta fuori?” dissi stupita non avendolo mai visto così elegante.

“Ti sorprendo sempre vero?” mi disse.

“Dai muoviti che facciamo tardi signorino Halls” esclamai in tono allegro sorridendogli.

Chris è un bel ragazzo, capelli rossicci biondi corti, carnagione non troppo chiara, dei bellissimi occhi azzurri, ma quello che mi piace di più di lui è quella barbetta rossa a volte incolta.

È professore di lettere e filosofia da ben dieci anni, al college Kingsbury High School di Londra, e uno dei pregi del suo lavoro è che ha molti accessi nel campo artistico e culturale, infatti, l’ingresso al National, per ammirare una delle più belle opere d’arte a livello mondiale, era una di queste.

Con tutta la sua imponenza, il National Gallery si mostrava davanti a noi.

Il museo è situato nella piazza di Trafalgar Square, nota per la Battaglia di Trafalgar nel 1805, in cui la Royal Navy di Nelson sconfisse la flotta di Francia e Spagna durante le guerre napoleoniche.

Le luci calde dei lampioni illuminavano le scalinate bagnate dalla pioggia che, ci accompagnavano con estrema eleganza all’ingresso principale dov'erano appese alcune strisce di velluto rosso che pubblicizzavano il nuovo arrivo del quadro di Monet.

“Benvenuti” ci disse la ragazza incaricata a scannerizzare i nostri biglietti mentre ci indicava l’ingresso.

La ragazza si chiamava Erika, aveva lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, portava inoltre, dei pendenti come orecchini che risaltavano la bellezza del viso.

Vestiva un impeccabile tailleur scuro, calzava decolté con tacco dodici e per questo mi chiesi come fe a restare per così tante ore in piedi senza la minima smorfia di dolore.

“Inizia a piacermi questa visita” mi disse Chris facendomi notare la bellezza della ragazza.

“Opere d’arte anche in 3D” incalzai io sorridendo.

“Che tipo di persone ci sono?” domandai al mio amico guardando tutto quell'andirivieni di gente che sfoggiava il loro abito da sera migliore.

“Robert Venturi e Denise Brown, sono gli architetti che hanno progettato il più importante ampliamento dell’ala chiamata Sainsbury per ospitare la collezione dei dipinti rinascimentali.”

“E poi tanti come noi! Amanti dell’arte” dissi ad alta voce.

4

Dopo gli ultimi convenevoli ci dirigemmo tutti nel salone rosso, dove il quadro di Monet era ancora appeso alla parete coperto da un telo di lino bianco.

“Un caloroso benvenuto a tutti” cominciò il Dott. Taylor, direttore del museo.

“Siamo qui riuniti, in questa storica serata, per condividere con voi e con tutto il popolo britannico questo meraviglioso acquisto che, un generoso collezionista privato, ha deciso di donarci.

Parliamo signori e signore del famoso dipinto di Monet.”

Mentre il direttore stava parlando, vedemmo tutti il telo bianco scorrere verso sinistra per mettere in risalto tutto l’incanto che il quadro “LE NINFEE” riusciva a sprigionare.

Nello stesso istante un fragoroso applauso invase l’intero salone.

Il dottor Taylor proseguì dicendo: “Il nostro donatore, Paul Sperling, di Washington, ha deciso di presenziare all’inaugurazione di quest’opera, ritenuta da molti un bene comune dell’umanità, appartenuta a lui per ben cinquant’anni.”

“Un applauso per il Dott. Sperling” disse mentre, in fondo alla sala un uomo di

bassa statura, sulla settantina con capelli bianchi, vestito di doppio petto blu e un divertente papillon bordeaux, avanzava lentamente.

“Buonasera a tutti voi” cominciò il signor Sperling iniziando un lungo discorso.

“Nel 1942 mio padre acquistò questo gioiello nella famosa asta a livello mondiale: l’asta Christiès che attualmente è di proprietà del magnate se Pinault.

Rappresentata, come gran parte di voi sapete, da ben cinquantatré uffici in trentadue paesi in tutto il mondo tra cui Londra, New York, Parigi e Ginevra.

La prima vendita risale intorno al lontano 1762.

Alla morte del fondatore avvenuta nel 1803, l’asta fu acquistata dal figlio Christie.

Nel 1941 in piena guerra mondiale i locali dell’azienda londinese furono gravemente danneggiati da una bomba; ed è qui che antichi oggetti e alcune opere di enorme valore furono trasportati via mare nella sede di New York per proteggerle da eventuali danni” proseguì il collezionista notando l’interesse degli invitati.

“E fu così che mio padre, critico d’arte nella galleria della cinquantaduesima strada, appena giuntagli la notizia comprò questo quadro che avete davanti ai vostri occhi e, al fine di pagare il debito che aveva contratto per acquistare il

dipinto, lavorò una vita intera.

Con gli anni a seguire, essendo io figlio unico, decisi di consegnare questo oggetto di valore in uno dei musei più ambiti di Londra. Il National Gallery.

Credo che concedere il quadro come patrimonio collettivo sia un bene a livello economico – finanziario ma soprattutto emotivo.

Un ringraziamento speciale va a tutte le persone che mi hanno incoraggiato in tutto questo” concluse il discorso il collezionista con la voce emozionata.

Nell’intera sala si cominciarono a sentire parole di elogio.

Il direttore Taylor prendendo in mano il microfono riferì a voce alta, “vogliamo rubarvi ancora un po’ del vostro tempo, fuori si sta scatenando un forte temporale, nella sala sottostante c’è un ricco buffet per tutti voi, per condividere insieme questo momento di gioia.

Grazie a tutti per la partecipazione.”

“Non male come idea ho una leggera fame” mormorai.

Chris ed io scendemmo le scale e ci trovammo nel centro della grande sala.

Un tavolo rettangolare, con incantevoli e profumati bouquet di fiori variopinti, disposti sopra ad una tovaglia di seta bianca, dove abbondavano prelibatezze per soddisfare tutti i palati, era posto nel centro del salone.

Il personale, addetto al servizio bevande, aveva un’inconfondibile divisa color blu elettrico con un bordino dorato sulle finiture, il tutto reso più formale da un cartellino appoggiato al taschino della giacca per identificare ciascuno di loro con il rispettivo nome.

“Salve signora Barbara, due calici di spumante per me ed il mio amico” dissi leggendo il nome che riportava il cartellino.

“Il direttore del museo da quest’anno ha optato per questa soluzione perché spesso non si ricorda nemmeno il nome dei suoi figli” obiettò la cameriera porgendoci i due flûte.

“Troppo stress e troppo lavoro portano la mente lontana da quello che si ha di più caro” mi limitai a rispondere.

Chris ed io ci guardammo.

“Ehm… cin cin allora, a quello che si ha di più caro” si affrettò a dire Chris rivolto a noi.

“Cin Cin …”

“Oh!, guarda chi si vede” sentii una voce provenire da dietro le nostre spalle, mi voltai e vidi la mia amica Helene.

“È da due settimane che vado al parco a correre e non ti trovo mai” mi disse.

“Ho avuto mille cose da fare in ufficio, ma questa settimana, se vuoi, andiamo a smaltire un po’ di calorie” risposi.

Helene è una studentessa che frequenta il quinto anno di recitazione.

L’ho conosciuta durante una sua esibizione al Royal Court Theatre.

È una co-protagonista negli spettacoli che interpreta e, ha tutte le carte in regola per diventare una perspicace attrice.

Ventisette anni, fisico esile da ballerina di danza classica, ma quello che sicuramente la contraddistingue è il suo caratterino!

“Non capisco come fanno questi ricconi a decidersi un bel giorno di privarsi di un patrimonio che si tramandano da generazione in generazione e consegnarlo ad un museo” si domandò perplessa Helene.

“Problemi finanziari” si affrettò a rispondere Chris.

“Oppure sensi di colpa per aver sottratto per così tanto tempo un bene comune” proseguii.

“Vi presento Jack, il mio ragazzo” ci interruppe Helene.

“Ho sentito parlare di te e sono felicissima di conoscerti di persona” replicai mentre la mia amica arrossì, “propongo una cena nel mio appartamento sabato sera, liberatevi da qualsiasi impegno che dobbiamo festeggiare questa bella notizia.”

5

Lasciai il mio amico Chris a parlare con alcuni suoi conoscenti all’interno della sala, mentre io mi diressi al piano superiore per cercare la toilette.

Le luci, a differenza del piano sottostante, dove si stava svolgendo la cerimonia, erano più soffuse quasi ad indicarmi che mi stavo dirigendo nella parte sbagliata; ma ovviamente il museo, essendo chiuso al pubblico, aveva questa illuminazione tenue.

Guardai l’orologio, segnava le dieci ate.

Decisi di mettere piede nel salone est ed una sensazione strana mi invase mentre mi trovavo in quella sala solitaria ma arricchita da parecchi quadri.

Mi soffermai a guardare quei capolavori nella penombra della luce che penetrava dalla finestra vicino.

Sentii un tocco di dita sulla mia spalla destra e sobbalzai dallo spavento.

Mi girai di scatto e vidi un uomo di alta statura, con un berretto, che mi fissava con aria severa.

“Lo sa che è proibito aggirarsi per le sale del museo fuori dagli orari

prestabiliti?” mi sorprese una voce dal tono duro mentre un brivido mi percorreva la schiena.

La luce improvvisamente si accese.

“Sono la guardia notturna del museo e le ricordo che il piano della festa è quello sottostante.”

Ebbi il tempo di riprendermi ed obbedii.

Turbata da quanto avvenuto, stavo dirigendomi frettolosamente verso il salone del buffet quando sentii sbattere forte una porta.

Il rumore sembrava provenire da una stanza vicino al luogo in cui mi trovavo.

In preda al panico ero indecisa se scendere nel salone o andare a vedere cosa fosse successo.

Seguii il mio istinto e poco più in là della sala est, mi trovai di fronte all’unica porta da dove poteva essere arrivato quel rumore.

Con tutto il mio coraggio e il mio buon senso indossai il guanto di velluto che avevo nella borsetta e aprii la porta.

Entrai, facendomi chiaro con la luminosità del mio cellulare, cercando un interruttore, ben presto mi accorsi che in quella stanza mancava l’elettricità.

Mi spaventai ancora di più quando vidi una mano sbucare da sotto lo scrittoio.

Con il cuore in gola cercai di fare luce per quanto fosse possibile, ma ero tutta tremante alla vista di quello che avevo scoperto.

Rimasi incredula, ma proprio davanti ai miei occhi, il collezionista Sperling giaceva sul freddo pavimento del terzo piano, di uno dei più noti musei della città, senza tracce di sangue.Il rumore violento di un tuono mi fece sobbalzare dalla paura.Presi la macchina fotografica digitale che portavo sempre con me e scattai con il flash alcune foto sia del cadavere in varie prospettive,sia alla scrivania sotto la quale giaceva il corpo.Quella che doveva essere una serata memorabile si trasformò in un orribile momento da dimenticare.

Le luci lampeggianti blu e rosse dell’ambulanza e della polizia si rispecchiavano sulle colonne doriche dell’entrata del National Gallery.La squadra mobile della City of London Police mi fece subito delle domande inquisitorie.Decisi quindi di parlare solo con la presenza del mio avvocato.Chris vide che ero ancora sconvolta e, appoggiando il suo braccio sulla mia spalla mi accompagnò a casa.

6

Il giorno dopo trascorsi la giornata in ufficio tra pile di carte e questo mi aiutò a distogliere la mente da quello che era successo la sera precedente.

“Mi dispiace per quanto ti è capitato” mormorò Philippe con l’espressione preoccupata, sorseggiando il caffè.

“Ti ammiro sempre più, sei una donna molto coraggiosa, al posto tuo sarei scappato come un coniglio appena udito il tonfo della porta.”

“Si sa qualcosa di più approfondito sull’accaduto?” mi domandò il mio collega.

“No, Philippe, stanno ancora accertandose si tratta di decesso naturale odi omicidio, nel frattempo sono nella lista degliindagati per il fatto cheho scoperto io il corpo senza vita di Sperling” risposi sconvolta.

In quel preciso istante entrò Andrew il nostro capo e mi tese la mano.

“Una nuova giovane investigatrice è nata oggi ed è qui nel nostro ufficio, dovremmo modificarti la targa sulla scrivania, Laura Marshall giornalista reporter di servizi fotografici ed investigatrice all’occorrenza.”

Ci guardammo tutti e scoppiammo a ridere.

Ero sollevata a pensare che la squadra per la quale lavoro non avesse il minimo dubbio che fossi stata io a commettere una tale azione.

Non tardò la chiamata da parte del commissariato per farmi delle domande riguardo il possibile delitto della sera precedente.

Così insieme al mio avvocato raggiungemmo il distretto quanto prima.

“Salve signorina Marshall, salve avvocato Clark accomodatevi pure sono il detective Spenser, vi aspettavo.”

Il profumo misto di pipa e legno di travi inondava lo studio.

“L’abbiamo chiamata qui, perché abbiamo scoperto che il collezionista Sperling, dopo attenti esami, non è deceduto per cause naturali ma è stato assassinato.

Stiamo cercando di capire quale sia stata l’arma del delitto.

Quindi, siamo costretti a sapere da lei come esattamente si sono svolti i fatti, dato che era sola nella stanza del crimine” cominciò il detective.

Sapevo di queste possibili domande, dopotutto avevano ragione ero io la persona che ha trovato il corpo senza vita del collezionista.

Tutto ad un tratto rimpiansi il fatto di aver seguito quella sera il mio istinto andando verso il luogo dove proveniva il forte rumore.

Non dovevo aver timore di nulla.

Raccontai, insieme al mio avvocato, in modo dettagliato, il motivo della mia entrata in quell’ufficio e misi sul tavolo le foto che avevo scattato.

“Con le indagini ancora in corso signorina Marshall,siamo costretti a mettere in atto tutte le misure di sicurezza, quindi la informiamo che da ora non potrà lasciare la città fino al nostro beneplacito” m’informò con tono deciso il detective.

Quando uscimmo dal commissariato mi sentii più infastidita di prima.

“Vedrai Laura che la giustizia farà il suo corso” mi tranquillizzò il mio avvocato prima di salutarci.

7

L’aria d’inizio marzo è ben pungente qui a Londra soprattutto la mattina presto.

Non ero dell’umore giusto, dopo tutto quello che mi stava succedendo, ma pensavo che distrarmi un paio d’ore mi avrebbe fatto solo che bene, così infilai la tuta, scarpe da running e m’incontrai con la mia carissima amica Moira nel bar vicino l’ingresso principale dell’Hyde Park.

Succo d’arancia rossa e un croccante panino allo speck furono la mia colazione, a differenza di Moira che preferì un cappuccino e brioche alla crema appena sfornate che sprigionavano nell’aria un dolce profumo intenso.

Il bar che abitualmente frequentiamo per le nostre colazioni è un bistrot risalente a metà novecento e, dal duemila nove, preso in gestione da Jessy.

Ristrutturato, tenendo inalterate le caratteristiche dell’epoca con tanto d’insegna vintage, si presenta molto accogliente soprattutto nelle ore del mattino ancora così fredde.

“Spero non ti stiano accusando per l'accaduto" mi disse Moira bevendo il suo cappuccino.

“Devono ancora arrivare ulteriori analisi, nel frattempo, ho l'ordine di non lasciare il Regno Unito fino al loro benestare” le risposi.

Presi dal tavolino a fianco il TIMES e, in prima pagina, vidi le foto del collezionista Sperling, sorridente durante la presentazione del quadro. Sopra alla foto però, nel giornale risaltava a caratteri cubitali il titolo: “OMICIDIO AL NATIONAL GALLERY.”

Lessi tutto d’un fiato l'articolo e rabbrividii quando appresi che avevano scoperto lividi sul collo che facevano dedurre uno strangolamento, effettuato con una corda, trovata pochi isolati più in là in un cassonetto dei rifiuti.

L'articolo proseguiva raccontando nello specifico, che delle minuscole tracce di sangue lasciate sull’arma del delitto inducevano al DNA di un cromosoma Y, quindi, per questo motivo, si trattava con certezza di un'entità maschile.

“Se hai bisogno di me, lo sai che ci sono sempre” mi incoraggiò Moira mentre era intenta anche lei a leggere l’articolo.

Inghiottii l’ultimo boccone del panino che stavo divorando.

“Grazie Moira e se ho problemi, soprattutto a livello tecnologico, so a chi rivolgermi.”

Moira infatti, l’avevo conosciuta ad un corso di fotografia, era un’ esperta d’informatica.

Diciamo, che se dovessi descrivere l’arredamento del suo bilocale, non è il

classico con piatti di porcellana e bicchieri di cristallo ma di computer portatili, macchine digitali fotografiche e tablet..Moira ha una vera e propria collezione a riguardo; ione che ovviamente condivido anch’io.

8

Dopo quella confortante notizia cominciai a rilassarmi.

Era trascorsa circa una settimana, da quando mi avevano inserita nella lista delle possibili colpevoli, ma mi sembrava fosse ata un’eternità.

Quale motivo avrebbe avuto l’assassino per uccidere il collezionista di Washington?

Mi chiesi e soprattutto cercai di fare mente locale su chi avesse conosciuto il signor Sperling quella sera al National Gallery.

Il cellulare in quel momento squillò.

“Ciao Laura, dovevo chiamarti subito perché ho appena letto il TIMES…” le parole dall’altra parte della cornetta cominciavano a scorrere come un fiume in piena, ma riuscii a fermarlo.

“Sì Chris, sono al bar di Jessy con Moira e ho appena letto anch’io l’articolo sul giornale,

sono contenta perché la giustizia ha fatto il suo corso” risposi sollevata.

"Però adesso è arrivato il momento di cercare di capire come sono andate realmente le cose, ho bisogno di vederti” gli dissi con tono gentile.

“A dir il vero ho bisogno della biblioteca del college” mi corressi imbarazzata.

“Ho lezione fino alle quattro e poi ti accompagno volentieri” mi rispose.

Pochi minuti più tardi mi incontrai con il mio avvocato al commissariato, dove firmai delle pratiche per riavere il aporto.

“Dovete scusarci signorina Marshall ma ci siamo attenuti al nostro protocollo prima di incolpare qualcuno ingiustamente ” m’informò Spencer.

“Avete fatto quello che era giusto fare e non vi nascondo che sono decisamente più serena.Vorreisapere la causa della morte e in quale stanza del museo esattamente si trovava?” gli domandai incuriosita.

“Le confermo, come avrà già letto tramite la stampa, che il signor Sperling è deceduto a causa di uno strangolamento tra le ore ventidue, ventidue e trenta di quella notte.

Stiamo studiando le impronte digitali sull'arma del delitto.

Siamo riusciti a recuperare alcune impronte rimaste, dato che molte si sono cancellate a contatto con i rifiuti" mi rispose Spenser per poi proseguire.

"Fortunatamente alcune minuscole macchie di sangue sono state lasciate sull’arma del delitto ma

non abbiamo un quantitativo sufficiente per effettuare campionature su tutti i partecipanti alla festa, quindi l' obiettivo sarà concentrarci sullo studio delle impronte" concluse il detective.

“Avete guardato le registrazioni del sistema di sorveglianza di telecamere del museo?” gli chiesi.

“Sì, le telecamere sono poste solamente lungo i corridoi e nei saloni, dove sono esposti i quadri, ma non negli uffici privati, è stato il primo o delle nostre indagini signorina ma…” il tenente interruppe per un momento il suo discorso.

Impaziente della risposta lo invitai a continuare.

“Non abbiamo notato nessun movimento di persone in quell'ala del piano se non lei e poi i relativi soccorsi” continuò Spenser.

“È terribile, questo significa che …” le parole di Spenser bloccarono il mio discorso.

“Che l’assassino ha usato una scorciatoia o un aggio segreto per consumare il delitto in quella stanza” aggiunse infine il detective con un filo di voce.

“Mi tenga informata appena avete delle notizie, adesso che siete certi che non sono stata io la colpevole.

Ho scoperto il corpo del signor Sperling e mi sento coinvolta in tutto questo.

Se mi terrete informata dell’esito delle successive indagine ve ne sarò grata” dissi salutandolo e porgendogli la mano.

Cosa ci faceva Sperling nella stanza del direttore del museo? mi chiesi.

Qualcuno l’avrà visto sbirciare tra le carte private del direttore e per questo l’avrà ucciso?

Oppure l’avevano trascinato in quella stanza dopo aver commesso l’omicidio? Le domande cominciarono ad essere vive nella mia mente.

9

Attraversai il viale che conduceva all’entrata dell’edificio scolastico lasciando alle mie spalle la confusione della città e, m’immersi in una zona in aperta campagna, dove le distese di campi erano ancora addormentate dal freddo inverno.

Parcheggiai la mia Range Rover color verde bottiglia all’interno del cortile e mi ritrovai davanti all’antico college costruito con i classici mattoncini rossi a vista.

Avevo letto in alcuni opuscoli che la data di fondazione della struttura del college è incerta, ma esistono prove della presenza di un centro di studio in questo edificio risalente al millecento quando, Enrico II d’Inghilterra proibì agli studenti inglesi di studiare all’estero, in particolare all’università di Parigi.

Il College Kingsbury High School è organizzato secondo un sistema in cui le funzioni centrali sono svolte dai dipartimenti con le relative facoltà, biblioteche e laboratori scientifici.

Sentii un brivido di gelo dentro di me quando mi trovai davanti alla porta d’ingresso; forse per il solo motivo di trovarmi in un luogo così ricco di storia.

Vidi Chris scendere l’imponente scalinata, posta nella zona centrale della hall.

“Che meraviglia vederti Laura.”

“Sei un vero amico che mi dedichi il tuo tempo anche sul luogo del lavoro, ma dobbiamo andare a fondo per cercare di capire cos’è successo al museo” dissi eccitata.

“Che cosa dici se ci pensa la polizia mentre noi ne restiamo fuori?” rispose in tono ironico.

“Ho scoperto tutto in prima persona e non intendo certo mollare la presa con o senza il tuo aiuto.”

“Mi hai convinto signorina, non mi resta che dirti di sì” rispose il mio amico ammiccando.

Raccontai a Chris tutto quello che mi aveva riferito il commissario poche ore prima.

“Mi sorprende come nel duemila e tredici non riescano in tempi veloci a definire il riconoscimento delle impronte digitali.”

Mi riportò alla realtà Chris.

“Calma amico mio, ci stanno lavorando e noi daremo il nostro contributo.”

“Ho sentito che il sistema di sorveglianza è rimasto intatto, nessuna manomissione” proseguì.

“Esatto Chris, adesso che abbiamo la conferma che il collezionista è stato assassinato, riemerge la teoria del tenente.”

“Quale teoria?” si affrettò a chiedere Chris.

“Esistono dei aggi segreti all’interno del museo e, sicuramente, il criminale avrà usato uno di questi.”

“Buon pomeriggio professor Halls” disse un ragazzo sui vent’anni, con la divisa collegiale, attraversando l’atrio, mentre si stava dirigendo nell’aula di musica.

“Ciao Clark, domani t’interrogherò di nuovo” replicò Chris con voce autoritaria.

Non ero abituata a vedere il mio compagno di serate nei panni del professore, tra l’altro di una delle più prestigiose scuole di Londra.

“Dice di studiare tanto e poi al momento dell’interrogazione va in panico, annebbiamento totale.

Penso siano le troppe ore che trascorre in giro per i locali di Londra che lo distraggono tanto” disse Chris sorridendo.

10

Il college si trovava dall’altra ala dell’edificio attraversando il giardino.

Un meraviglioso parco con innumerevoli specie di fiori e piante che in primavera rendevano il luogo una cornice incantata.

L’inverno, invece, mostrava tra i rami degli arbusti un suggestivo spettacolo di ombre e scenari scheletrici ancora privi di fioritura.

“Spero che nessuno attraversi il parco di sera, con questa nebbiolina.

Già a quest’ora del pomeriggio mi mette un po’ di suggestione” dissi.

“Il custode del giardino chiude i cancelli alle sette, stai tranquilla” ribatté Chris salutando con la mano un vecchietto mentre potava le ultime piante dal rigido inverno.

“Si chiama Luke e da quando è rimasto vedovo, si dedica a tempo pieno anche al nostro giardino, dice che gli fa mantenere vivi i ricordi della sua Clara e lo fa sentire meglio” m'informò Chris sotto voce.

“Che triste storia, ma dove abita?” chiesi dopo averlo anch’io salutato.

“Proprio all’inizio del parco” mi disse indicandomi una graziosissima casetta in muratura dove dal comignolo fuoriusciva del fumo.

Immaginai che dopo ore al freddo, il povero Luke si sarebbe finalmente riscaldato davanti al suo camino.

Il freddo era pungente e decidemmo di entrare nell’edificio.

La biblioteca era come l’avevo pensata.

Una boiserie tutta di legno che va a definire le pareti.

Il profumo di libri aleggiava nell’aria.

“Dobbiamo fare una ricerca dettagliata sul perché il collezionista Sperling ha deciso di portare il quadro al National Gallery” cominciai.

“E qui in biblioteca, di certo, non troveremo le risposte sul National di Londra” incalzò Chris.

“Hai ragione sul National Gallery di Londra non troveremo risposte, ma sul National di Washington forse qualcosa sì” dissi dirigendomi verso lo scaffale d’arte.

Estrassi un grosso libro con la copertina raffigurante la capitale degli Stati Uniti d’America.

Sorto secoli dopo il National di Londra, il museo di Washington fu fondato nel 1937 e si tratta di uno dei musei d’arte più vasti ed importanti del mondo.

La pinacoteca, in particolare, è la più vasta e completa degli Stati Uniti e spazia dall’arte bizantina fino alle opere d’arte del XX secolo.

La galleria venne inaugurata dal Congresso d’America a seguito delle importanti e cospicue donazioni dei dipinti di privati.

“Guarda guarda”, dissi chiamando all’attenzione Chris, “il nostro collezionista, aveva discendenti inseriti nella lista dei donatori del museo” dissi leggendo le prime righe del riquadro dell’enciclopedia, notando delle evidenti somiglianze nelle foto in bianco e nero degli Sperling, con il collezionista assassinato.

“Peter A.B. Sperling, originario di Philadelphia, era un importante magnate delle ferrovie con la ione del collezionismo di importanti quadri.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1926, la sua collezione fu portata avanti dal figlio J. Sperling che, col tempo, si apionò di dipinti di artisti emarginati dalla critica” conclusi la lettura guardando il mio amico che nel frattempo si era seduto sulla scrivania per ascoltarmi meglio.

“Se è come sto pensando, il nonno del nostro sfortunato donatore, ha tramandato la ione per l’arte al figlio e al nipote” mi riferì Chris fissandomi da vicino.

“Esatto, con l’unica differenza che il vecchio Peter Sperling, il nonno del defunto, aveva possibilità economiche più cospicue per far fronte agli acquisti di capolavori, donando al museo di Washington ben quattro stanze di dipinti.

Il padre del defunto, invece, ricordo quanto era stato detto durante la conferenza, pagò il quadro di Monet indebitandosi, probabilmente era meno agevolato rispetto al vecchio Peter” continuò Chris.

“Per non parlare dell’ultimogenito, poi defunto, che ha venduto il quadro al nostro museo di Londra, per non avere altre opere in possesso, liberandosene definitivamente anche rimettendoci la pelle” obiettai.

Spegnemmo le luci della biblioteca e uscimmo a prendere una boccata d’aria fresca.

Quelle ore di ricerca mi avevano assopito la mente.

Decidemmo così di andare a mangiare una buona pizza italiana nella vivacissima Little Venice, e mi sentii finalmente un po’ come a casa.

11

Erano trascorse due settimane dallo sfortunato evento di quella serata. Capita a Londra, come in qualsiasi altra metropoli che, con il trascorrere del tempo, gran parte della gente si dimentica di un fatto di cronaca per dare spazio a notizie più recenti.

Infatti, nelle ultime settimane le informazioni riguardo all’omicidio erano state tralasciate dai media.

Avevo trascorso una giornata indaffarata e piena di appuntamenti con clienti più o meno abituali.

Decisi, quindi, di terminare una giornata così frenetica ed impegnativa andando a casa a prendere la mia macchina fotografica, una Fujifilm HS20, per usarla durante la mia eggiata.

Soddisfatta di quello che avevo tra le mani, presi l’automobile e mi diressi in direzione del Millenium Bridge, il famoso ponte situato sopra il fiume Tamigi nei pressi della Basilica di St. Paul.

Quest’ultima ricordata per importanti eventi come le nozze della principessa Diana con il Principe Carlo.

Desideravo scattare alcune foto da cartolina durante il crepuscolo della sera.

Poiché chiudevo l’ufficio a metà pomeriggio, avevo più tempo da dedicare ai miei hobby, come immortalare un tramonto indimenticabile.

Era mia abitudine, appendere ai muri del salotto gli scatti fotografici migliori, fatti in varie circostanze e questa veduta sarebbe stata una da aggiungere sicuramente.

Andai al parcheggio attraversando Baker Street e mi imbattei in un negozio di elettrodomestici e telefonia.

Dalle vetrine vidi in un televisore al plasma, il servizio del TG SKY ultime news, che proiettava l’immagine del signor Sperling ancora in vita.

Mi affrettai ad entrare nel negozio mentre una trentina di apparecchi comunicavano la medesima notizia.

Sullo schermo vidi il detective Spenser, davanti ad una decina di microfoni all’esterno del National Gallery, che stava rilasciando un’intervista ad alcuni giornalisti.

“Oggi è una data da non dimenticare per noi della City of London Police e soprattutto per la giustizia”cominciò il discorso il detective.

Vidi le immagini scorrere e restai pietrificata quando il direttore del museo, il Dott. Taylor, scortato da due agenti della polizia, veniva fatto salire a bordo

dell’auto pattuglia.

“Abbiamo esaminato le impronte digitali sulla corda ritrovata pochi isolati dal luogo del delitto e combaciano perfettamente con quelle del direttore del museo” si affrettò a concludere il detective compiaciuto dei risultati ottenuti dal lavoro svolto in così breve tempo.

“E con questo è tutto, arrivederci alla prossima edizione del TG” chiuse il servizio la presentatrice del telegiornale.

Chiamai subito Chris e gli raccontai quanto avevo appena visto.

“Ciao Laura, ho appena la tv e ho assistito a tutto l’arresto” confermò il mio amico con tono sbalordito.

“Ho chiamato Jonathan e dice che è un complotto” continuò Chris.

“Jonathan ed io siamo amici da una vita e ci siamo sempre confidati tutto, ma mai mi ha accennato che suo padre, il signor Taylor, aveva problemi particolari tanto da essere perfino incolpato di un omicidio” mi riferì parlandomi singhiozzando a tratti dall’agitazione.

Meditai sul discorso che mi aveva appena esposto, cercando di ricordarmi delle poche conversazioni che avevo avuto direttamente con il papà di Jonathan, in occasione di qualche cena a casa loro.

In effetti apparentemente, sembrava una persona nonostante il suo ruolo importante nella società, molto normale. Non sempre l’abito fa il monaco pensai.

Chi altro poteva conoscere oltre a lui un aggio nascosto dalla stanza del suo ufficio?

E come mai le impronte su quella corda erano proprio le sue?

12

“Stento ancora a crederci, quando ieri dal citofono di casa, mia madre ha sentito pronunciare dalla bocca della polizia l’arresto di mio padre” disse Jonathan sorseggiando un cocktail alla frutta al Tifany Bar con me e Chris.

“Se quella sera invece di andare al torneo di calcio, fossi stato all’inaugurazione, tutto questo non sarebbe successo” continuò con la voce carica di sensi di colpa.

“Non dire sciocchezze amico mio, tu non c’entri nulla e tutto questo sarebbe successo ugualmente” gli rispose Chris cercando di tranquillizzarlo.

“Grazie ragazzi che mi avete invitato a prendere un aperitivo con voi; da quando mi è giunta la notizia, non riuscivo ad uscire da casa.

Mio padre ci ha sempre raccontato tutto e se avesse avuto dei problemi, ne avrebbe sicuramente parlato con noi.”

“Ti crediamo Jonathan” intervenni mentre stavo sgranocchiando alcune noccioline che il barista aveva portato insieme all’aperitivo.

“Riguardo alle impronte digitali sulla corda cosa ne pensi?” continuai.

“È stato un complotto Laura, mio padre neanche conosceva quel collezionista,

non aveva nessun interesse a farlo fuori” rispose agitandosi sul divanetto sul quale era seduto.

“Sei un grande amico per me Jonathan e cercheremo di aiutarti per fare luce su questa inchiesta” replicò Chris posando il bicchieredi soda sul tavolo.

“A quest’ora di sera fa un bel freddo” mi abbracciai per scaldarmi appena usciti dal locale.

“Facciamoci un panzerotto da Mitch” propose Jonathan.

Salimmo sulla sua Audi A6, piuttosto costosa per un ragazzo universitario di soli venticinque anni, ma poi pensai alle possibilità economiche del padre.

“Che bello averti qui a fianco a me Laura, dovremmo uscire più frequentemente” disse lui con il suo sguardo da bel ragazzo, quale sapeva di essere.

Con quella camicia azzurra e carnagione abbronzata sembrava un po’ più grande della sua età.

“Ehm, dove si trova la panzerotteria?” si intromise Chris.

“Siamo quasi arrivati amico mio” rispose Jonathan divertito.

“È il più buon panzerotto di tutta la città, dovremmo venirci più spesso a fare uno spuntino qui” dissi con la bocca piena ai due miei amici seduta sulla panchina fuori dalla bottega.

“Scusate ragazzi” borbottò la voce di Mitch, gestore del negozio, rivolto in direzione di Jonathan.

“Ho appena collegato ora che sei il figlio del direttore del National, mi dispiace veramente per l’arresto di tuo padre, sono certo che la giustizia farà il suo corso” disse asciugandosi le grosse mani sul grembiule che indossava.

“Sì, lo spero anch’io” rispose l’amico con un'espressione di rassegnazione sul suo volto.

“Mi sono trovato anch’io anni fa ingarbugliato con la giustizia e se ti può aiutare giovanotto, ti faccio conoscere uno dei migliori avvocati di Londra così, in meno di quarantotto ore, potrai riabbracciare tuo padre” proseguì l’artigiano di panzerotti in tono beffardo.

Saliti in macchina per rincasare, discutemmo di quanto avvenuto.

“In che guaio si sarà mai cacciato Mitch?” esordì Chris guardando fuori dal finestrino della macchina.

“Che vogliate o no io quell’avvocato lo voglio chiamare”replicò Jonathan convinto.

Effettivamente lui aveva tutte le ragioni per contattare quell’avvocato.

“Tienici aggiornati appena vieni a conoscenza di questo noto personaggio” aggiungemmo.

Arrivati nel parcheggio, ci salutammo tutti e tre, ringraziandoci della bella serata trascorsa.

Jonathan ingranò la marcia e la macchina si fece sempre più piccola lungo il viale alberato, mentre Chris mi accompagnò a casa facendo insieme una eggiata a piedi.

“Pensi sia veramente innocente il padre di Jonathan?” mi chiese Chris fermandosi.

“Io credo di sì, ma intendo fare qualcosa aldilà delle mie capacità. Domani per prima cosa andrò al museo, devo capire meglio certe cose.”

“Cerca di non metterti nei guai Laura.”

“Sei stato tu un giorno ad insegnarmi di seguire il mio istinto” gli risposi baciandolo sulla guancia.

“Buona notte Chris, grazie ancora della serata” dissi chiudendo il cancelletto del mio giardino.

“Laura!” la voce di Chris mi fece sobbalzare e mi girai piano verso di lui.

“Lo so che è inopportuno ma … ecco volevo sapere se…”

“No, Jonathan non è il ragazzo che fa per me, se è questo quello che vuoi dirmi” lo anticipai prima che potesse concludere la frase.

Vidi una bozza di sorriso sulle sue labbra, lo salutai ed entrai in casa.

13

Il rumore del mare della sveglia mi ricordò che era ora di alzarsi.

Avrei voluto starmene volentieri a letto, dato che sentivo insistenti picchiettii di gocce d’acqua battere contro la finestra.

Ed invece lasciai a malincuore il mio piumone ancora caldo e mi diressi in cucina per prepararmi una tazza di buon tè bollente prima di dirigermi in ufficio.

Erano trascorsi pochi mesi e ormai del mio appartamento così accogliente e caldo, non sarei riuscita più farne a meno.

“Hai un bel po’ di lavoro oggi” sogghignò il mio collega Philippe, guardando la pila di documenti che avevo sopra la scrivania.

“Hai scoperto qualcosa in più riguardo l’omicidio?” mi chiese interessato.

“Hanno arrestato il direttore del museo, il dott. Taylor, dopo aver analizzato le impronte digitali sulla corda che è stata ritrovata pochi isolati più in là del museo. Ed il figlio Jonathan è convinto che si tratti di un complotto.”

“Un complotto da parte di chi?” mi domandò il collega incuriosito come se io sapessi già la risposta.

“A questa domanda ancora la polizia non sa rispondere, ma stiamo arrivando a qualche conclusione, almeno lo spero.”

Sulla scrivania, all’interno di un block notes, vidi le foto scattate la sera dell’omicidio.

Le riguardai per l’ennesima volta e mi accorsi che sullo scrittoio sotto il quale giaceva il corpo, c’era un documento che vidi solo per metà, dato che l’angolazione della foto era concentrata più sul cadavere che sulla stanza.

Con sorpresa, aprii il cassetto del comodino ed estrassi una piccola lente d’ingrandimento.

Prendendo in mano la foto andai sotto la lampada e guardando attentamente le lettere ingrandite dalla lente scorsi una carta con questa intestazione: Avvocato Pascuzzi Salvatore.

Andai alla ricerca di questo nome in internet e lessi tra le righe che era un noto avvocato conosciuto in tutta l’Inghilterra per la sua bravura professionale.

Questo gentiluomo, almeno così traspariva dalla foto sul sito, era di origini napoletane ma la sua residenza era in Cornovaglia da più di vent’anni.

Composi il numero di Jonathan e ad ogni squillo attendevo che mi rispondesse al più presto.

“Ciao Laura” sentii la sua voce squillante dall’altra parte della cornetta, “speravo tanto mi chiamassi e così è stato, sai se ti avessi chiamato io non so come avresti reagito”continuò l’amico.

“Ti ho chiamato soltanto per sapere se Mitch, il proprietario della panzerotteria, ti ha lasciato il nome dell’avvocato che ti ha suggerito” risposi sperando di non averlo ferito più del dovuto.

“Sì, certo” disse con voce sottile.

Sentii il spiegazzare della carta.

“Si chiama avvocato Pascuzzi, ho anche l’indirizzo se ti interessa.”

“Sì. Appena puoi, girami una mail con il biglietto da visita completo dell’avvocato, vorrei saperne di più. Grazie Jonathan ci sentiamo in settimana, ti abbraccio forte.”

La giornata fu piuttosto pesante al lavoro, ma dovetti sistemare tutto impiegando anche maggior tempo di quello previsto.

Gran parte dei musei a Londra tra cui il National Gallery, sono aperti fino all’ora del tè quindi, avevo ancora un po’ di tempo prima che mi chiudessero le porte.

Arrivare al museo, dal lavoro, impiego meno di dieci minuti ma, con il traffico che c’era, tardai.

Mi diressi nella hall centrale del National e mi imbattei con la ragazza della serata inaugurale che aveva scansionato i biglietti ai partecipanti e, con il suo modo professionale, mi chiese di cosa avessi bisogno.

“Buonasera, sono Laura Marshall, sono stata ospite all’inaugurazione del famoso quadro di Monet” continuai decisa sull’obiettivo che mi stavo prefiggendo.

“Sì, mi ricordo di lei, io sono Erika, come posso esserle utile?” intervenne la ragazza in un modo del tutto grazioso.

“Ecco, vede, sono una cara amica di Jonathan, il figlio del vostro direttore, mi correggo ex direttore” incalzai subito cercando di rimediare la frase, “sto cercando di aiutarlo per avere delle prove a favore di suo padre per la sua ingiusta carcerazione” conclusi timorosa di avere il suo consenso.

“Jonathan viene al museo tutti i giorni a fare le veci del padre” disse la ragazza dai lunghi capelli biondi questa volta lasciati liberi sulle spalle.

“E mi ha anche già parlato di lei” continuò squadrandomi mentre percepivo un’aria di sfida.

“Che cosa vorrebbe sapere Laura?”

Estrassi le foto dalla borsa e gliele mostrai.

“Vede, queste sono le foto che ho scattato al momento che mi sono imbattuta nel cadavere del Dott. Sperling” cominciai a spiegarle.

“Sopra la scrivania del vostro direttore ci sono questi fogli, dove si vede l’intestazione di un noto avvocato, il Dott. Pascuzzi” continuai.

“Sapete qualcosa a riguardo di dove possono essere queste importanti carte?” conclusi il discorso ansiosa di avere una risposta.

“Ha tutto sotto sequestro la polizia, noi qui non abbiamo nulla” replicò senza tante parole Erika.

“La polizia ed io siamo in stretto contatto e loro mi hanno assicurato che non hanno nulla a riguardo” obiettai contrariandola.

Decisi di guardarla negli occhi mentre lei diventava all’improvviso rossa in viso, “Jonathan mi ha riferito che lei è la vice direttrice di questo museo” continuai.

La ragazza prese il suo telefono cellulare e si ritirò in un’altra stanza.

Non riuscii a sentire la telefonata.

“Venga nel mio ufficio”, cambiò tono la ragazza una volta rientrata.

Salimmo una grande scalinata ed attraversammo un lungo corridoio fino ad arrivare davanti ad una massiccia porta sopra la quale una targhetta dorata citava:” Vice DirettriceDottoressa Erika Bain.”

“Si accomodi pure Laura.”

14

Un panorama mozzafiato dai piani alti del museo si presentò davanti ai miei occhi.

Le elegantissime vetrate che davano su Londra tutta illuminata di sera da vivacissime luci di grattacieli e palazzi, mi fecero dimenticare per un attimo dove mi trovavo.

Gustai quell’emozione.

L’impeccabilità dell’ordine in quella stanza e il delicato profumo di germe di grano, proveniente dal diffusore di lunghi bastoncini di bambù posti sopra un antico trumò di noce massello, mi fecero sentire a mio agio.

“Vuole una tazza di tè?” mi chiese la vice direttrice, in maniera più sciolta rispetto a una decina di minuti prima. Acconsentii volentieri, “avrei dovuto avvisare prima di arrivare da lei, ma le circostanze me lo hanno impedito.”

“Non si preoccupi, le mostro i documenti che le interessano” disse Erika aprendo il cassetto sotto il piano dello scrittoio.

Guardammo insieme quel foglio che finalmente si materializzava tra le mani e non più soltanto attraverso una foto.

Potevo vedere con i miei occhi quello che non riuscivo a vedere tramite la lente d’ingrandimento.

“Ho portato via io questo contratto dalla scrivania, dove si trovava al momento dell’omicidio. Pensavo di fare una cosa giusta nei confronti del signor Taylor.

L’omicidio si è consumato nel suo ufficio e non volevo che la polizia andasse a sbirciare tra le sue carte” disse accentuando le ultime parole.

Lessi le poche righe scritte a mano dall’avvocato che citava la stima di settecento mila sterline sul quadro di Monet.

Il contratto stipulava l’accettazione di questa stima che il direttore del museo doveva versare al collezionista.

Il contratto era firmato da tutti e tre i professionisti. L’avvocato per primo, poi nella riga sottostante il collezionista ed infine la firma del direttore.Alzai lo sguardo verso Erika, cercando delle risposte.

“Come vice direttrice del museo, ho appreso dai registri contabili che solo il settanta percento della quota pattuita fu rimborsata al collezionista dal direttore Taylor” mi comunicò Erika.

“Quindi il collezionista è stato assassinato dopo aver ricevuto solo i due terzi dell’importo stabilito ” replicai, cercando di incastrare i puzzle mancanti.

“Esatto Laura, sicuramente dopo una lite accesa. Se la polizia avesse in mano questo contratto e controllasse i registri contabili, vedrebbe questa incongruenza e non libererebbero più il nostro direttore dal carcere, ma noi come ente dobbiamo proteggerlo a tutti i costi” concluse la ragazza appoggiandosi sullo schienale della poltrona.

“E lei, come pensa siano andati realmente i fatti?” domandaiincuriosita.

“Che il direttore avesse avuto dei grossi debiti, di questo siamo tutti al corrente, data la diminuzione del personale del venti per cento in questi ultimi due anni” abbozzò Erika.

“Ma che arrivasse a tale gesto non ce lo saremmo mai aspettati” mi riferì ancora incredula di quanto fosse accaduto.

Volevo avere delle risposte in più.

“Avete sempre trattato gli affari del museo con l’avvocato Pascuzzi?”

“L’avvocato lavora con noi solo per quanto riguarda lo scambio di opere d’arte con i vari collezionisti con cui trattiamo” mi rispose.

“Vuole ancora una tazza di tè Laura?”

“No, la ringrazio e grazie anche delle informazioni che mi ha dato, sono molto

utili e cercherò, insieme alla polizia della City of London Police di risolvere quanto prima la vera dinamica dell’omicidio” dissi porgendole la mano in segno di gratitudine e salutandola.

Mentre mi stavo dirigendo verso la porta, mi girai di scatto.

“Mi perdoni ancora un attimo, le chiedo un’ultima osservazione.

Abbiamo constatato dalle telecamere di sicurezza che non è stata rilevata nessuna traccia di aggio di persone dal corridoio all’ufficio del signor Taylor.

Con il detective Spenser abbiamo immaginato che qui ci siano dei aggi segreti che collegano alcune parti del museo tra cui la stanza dove è stato ritrovato il cadavere.”

“Sì, ci sono dei rifugi nei sotterranei del palazzo, che furono usati anche come nascondigli durante la seconda guerra mondiale” rispose pronta Erika.

“Se vuole, posso farglieli vedere” mi riferì mettendosi il cappotto immaginando che nei bassi fondi fe parecchio freddo.

“Mi segua Laura, prenderemo la strada inversa; cioè partiremo dalla stanza del delitto per farle vedere dove si uscirà.”

Con le chiavi che la signorina Erika possedeva, entrammo nello studio del direttore Taylor, ancora delimitato dal nastro giallo della scena del crimine, che vietava, così, di oltreare il limite consentito e restai a bocca aperta quando, vedendola spostare una parte della libreria si aprì un piccolo varco dove, per entrare, era necessario inchinarsi.

Non sapevo che in questo museo esistessero simili aggi segreti.

Entrammo lentamente accompagnate dalla luce della torcia di Erika.

Il pavimento sotto ai nostri piedi, dopo pochi i, cessò di essere di parquet facendosi all’improvviso di freddo cemento grezzo.

“Attenzione a dove si cammina, il pavimento non è molto lineare e ci sono dei piccoli dossi a causa dell’eccessiva umidità” m’informò la ragazza come se conoscesse ogni metro del cunicolo.

L’aria si fece sempre più rarefatta, umida e percepii un leggero odore di muffa, speravo finisse quel percorso quanto prima perché cominciava a diventare alquanto sinistro.

Continuare ad avventurarmi lì dentro mi avrebbe aiutato a capire chi fosse il colpevole?

Dopo circa trecento metri deviammo verso sinistra, mentre un’altra ramificazione si apriva sulla destra.

Guardai alle spalle il tunnel avvolto nell’oscurità. “Siamo quasi arrivati alla fine del aggio” mi tranquillizzò come se percepisse il mio nervosismo.

Grazie al cono di luce sulle pareti, mi accorsi di una porta scassata e ormai scrostata con il are degli anni.

Cominciai a udire dei rumori provenire dall’alto.

“Sento del chiasso, è come se fossimo sotto la strada” feci notare.

“Esattamente Laura, come può vedere, questa è la porta per l’uscita” mi riferì Erika cercando di fare pressione sulla maniglia arrugginita dopo averla aperta con le apposite chiavi.

Ci trovammo catapultate fuori sulla strada, come in un film di fantascienza, da una porticina quasi invisibile agli occhi dei anti che percorrevano il marciapiede.

“Non ci posso credere”dissi incredula.

“Come vede, qualcuno può essere entrato da qui quella sera, oppure da altri aggi che dal piano inferiore portano al livello superiore, ma sinceramente alcuni cunicoli sono anche a me sconosciuti” mi informò lei.

“Se avete bisogno ancora del mio aiuto, non esitate a contattarmi” terminò l’elegante e raffinata vice direttrice del National Gallery rientrando poi dall’entrata principale del museo poco distante da lì.

Camminai verso la macchina chiedendomi chi poteva conoscere tale labirinto tanto da attraversarlo trasportando con sé un corpo.”

Gli altri aggi erano davvero sconosciuti alla vice direttrice del museo?

Poteva aver guidato lei l’assassino fino alla stanza del delitto?

Le domande erano accese nella mia mente.

15

La luce del mattino arrivò troppo in fretta, ero desiderosa di starmene ancora un po’ a letto, anche se il dovere mi chiamava.

Aprii la finestra della camera e lo scenario non fu dei migliori, data la scarsa visibilità dovuta alla fitta e gelida nebbia mattutina.

Mi feci una doccia calda per risvegliarmi quanto prima e, mentre stavo chiudendo la porta del bagno, suonò il cellulare.

Una voce squillante di prima mattina mi intontì un po’.

“Ciao Laura, sono Helene, è dalla sera dell’inaugurazione che non ti vedo, sei libera per pranzo?”

“Sono felicissima di sentirti Helene, facciamo per l’una alla tavola calda in King’s Road.”

Con l’acquolina in bocca attraversai più in fretta che potei la città dirigendomi al ristorante.

Il via vai a quell’ora di punta era insostenibile.

Vidi Helene all’entrata del locale, indossava un maglione sportivo colorato con una delle sue borse all’ultima moda.

La vidi venirmi incontro a braccia aperte.

“Che bello rivederti Laura.”

“Se sapessi quanto ti ho pensata in quest’ultimo periodo” le dissi mentre ci stavamo incamminando verso un tavolo che il cameriere ci aveva preparato.

Ordinammo due piatti di mezze penne al ragù ed un’insalata.

“Con Chris allora come va?” cominciò il discorso in maniera invadente, mentre aspettavamo di essere servite.

“Helene, siamo solo grandi amici, spero te lo ricordi questo particolare vero?” ribattei sorridendole.

“Sì sì, dicono tutte così.”

“Comunque è un bravissimo ragazzo e soprattutto bello ed affascinante e se non fosse per il fatto che amo il mio Jack, un pensierino ce l’avrei fatto pure io” continuò disinvolta sgranocchiando i grissini presenti sul tavolo.

Fortunatamente arrivò la cameriera con i piatti fumanti al momento giusto e cominciammo a mangiare.

“Come va a proposito con Jack?” cercai di cambiare il discorso mentre stavo imboccando la prima forchettata di pasta.

“È un tesoro, è successo tutto così in fretta con lui. Da quella festa di compleanno in cui la mia amica Jennifer me l’ha presentato, non ci siamo più staccati” rispose la mia cara amica con gli occhi che luccicavano dall’emozione.

Non feci nessun commento in merito, rispetto le decisioni di Helene perché la reputo una ragazza intelligente, ma a volte è tutt’altro che razionale, soprattutto in fatto di sentimenti.

“Sono felicissima per te, spero tanto che Jack sia migliore di Luca” risposi ridendo insieme a lei ricordandoci dell’avventura con il ragazzo precedente che era durata poco più di un paio di mesi.

Tra una chiacchierata e l’altra ci gustammo anche un delizioso tiramisù tanto che feci i complimenti al cuoco per l’ottima riuscita, neanche in Italia ne avevo mangiati di così buoni.

“È ora di ritornare in ufficio” sospirai pagando il conto.

“Già anch’io alle due riprendo il lavoro” ribatté Helene.

“Comunque se tu e Jack siete liberi, che ne dite se sabato sera facciamo una buona cena da me in compagnia di amici?” le proposi dirigendomi verso l’uscita del ristorante.

“Bellissima idea Laura, ti do’ già la conferma che ci saremo” rispose entusiasta abbracciandomi e salutandomi.

Alla sera rientrando a casa sfogliai i ricettari che avevo nella libreria e la curiosità si fermò su un primo piatto, alquanto insolito, a base di provola affumicata che decisi di provare in quell’occasione.

Feci quindi una lista della spesa di quanto mi occorreva e tutto il necessario per un buon aperitivo, aggiunsi anche birra, salatini vari e patatine.

Andai al centro commerciale lì vicino a casa e presi anche, per l’occasione, una scatoletta porta bustine da tè di legno grezzo.

Presi quindi l’occorrente da decoupage e scelsi con cura alcuni disegni stampati sulla carta di riso esposti in bacheca.

Scelsi una serie di graziose immaginiantiche che rappresentavano una tipicacioccolateria londinese del secolo scorso.

Arrivai a casa, sistemai tutta la spesa negli scaffali e mi preparai un buon risottino alle verdure.

Dopo un paio d’ore trascorse al supermercato, prendendo tante prelibatezze, la fame si faceva parecchio sentire.

16

La settimana trascorse velocemente.

Sentii il camlo suonare alla porta, mi guardai un’ultima volta allo specchio e corsi ad aprire.

Abbracciai Chris e Jonathan, contentissima di rivedere i miei due cari amici.

“Ogni volta che ti vedo sei sempre più bella” si affrettò a dirmi Jonathan levandosi il cappotto.

“Bella e brava a sentire il profumino proveniente dalla cucina” intervenne Chris porgendomi gentilmente una bottiglia di champagne.

“Questa la apriamo più tardi in occasione della nostra rimpatriata” dissi stupita dal regalo.

Pochi minuti dopo, entrò Helene accompagnata dal fidanzato Jack e dalla nostra amica Moira che indossava un coloratissimo cappotto a motivi floreali, a mio parere troppo appariscente su qualsiasi altra persona, ma su di lei qualunque capo d’abbigliamento stava alla perfezione.

La serata trascorse all’insegna del divertimento e della serenità.

Ero contenta di aver trovato degli amici in una città così grande.

“Ci dispiace per tuo padre Jonathan, ma sono sicura che tutto si risolverà” disse Helene fermando per un momento l’atmosfera gioiosa della serata.

“La giustizia deve fare il suo corso, è solo questione di tempo” sopraggiunse Jack sorseggiando del vino rosso.

“Sì, mio padre non avrebbe mai commesso una cosa simile e un grazie lo devo dire anche a Laura e a Chris per il loro prezioso aiuto” finì Jonathan con gli occhi che brillavano dalla commozione.

Cercai, per quanto potevo, di farlo distrarre dall’argomento almeno per una serata, così proposi di fare un brindisi alla nostra amicizia aprendo la magnifica bottiglia di spumante che mi avevano regalato.

“Per quanto i si siano antipatici a noi londinesi, avranno sempre la meglio su di noi, solo per merito di questo sublime champagne” considerò Chris ridendo.

“E che deliziosi dolcetti” affermò Jonathan rivolto ad Helene che li aveva portati in occasione della cena.

“E tu Jack in che ambito lavori?” continuò Jonathan impegnato nella scelta del suo prossimo pasticcino da assaggiare.

Jack non intervenne molto nei discorsi, mi sembrava un ragazzo riservato, però non volevo avere dei pregiudizi su di lui alla prima occasione.

“Lavoro da poco più di un anno alla British American Tobacco dovefaccio il magazziniere a tempo pieno” rispose, “sono soddisfatto di fare parte di un’azienda ricca di tanta storia e grandezza.”

“Ci lavorano gran parte dei londinesi in quella fabbrica sorta nel secolo scorso. È un marchio del nostro Paese” ribadì Chris orgoglioso.

“Già… tutte le più note marche di sigarette sono uscite dalla British American, ogni giorno scarico bancali di merce per essere esportate ovunque” concluse il fidanzato della mia amica.

“Non posso più permettermi di cambiare lavoro, vorrei pensare ad un futuro sicuro e perché no, vorrei avere una famiglia” si pronunciò intimorito guardando Helene che gli si avvinghiò baciandolo apionatamente.

Non potei non alzarmi dalla sedia.

“Udite, udite suggerisco un brindisi ad un futuro sicuro” dissi ridendo insieme agli altri amici in questa memorabile serata.

“A proposito di festeggiamenti io ed Helene la settimana prossima andiamo a farci un po’ di giorni di relax a Cuba” intervenne Jack con l’espressione del viso

che emanava contentezza.

“E lo dite solo ora? ti ho chiamata pochi giorni fa e non mi hai detto nulla a riguardo” reagì Moira.

“Volevamo farvi una sorpresa cogliendo l’occasione di questa cena” si affrettò a dire Helene.

“Allora siete scusati amici miei” pronunciai a nome di tutti i presenti.

Si era fatto ormai tardi e ci salutammo promettendoci di rivederci presto.

“Buon viaggio ragazzi, aspetto delle foto meravigliose da quei luoghi paradisiaci” riferii a Jack ed Helene.

“Senz’altro Laura e grazie dell’ottima cena” mi abbracciò il suo ragazzo sentendosi più a suo agio.

Moira mi aiutò a sparecchiare la tavola e a mettere i piatti nella lavastoviglie, mentre Chris e Jonathan erano rimasti in salotto a parlare tra loro.

“Bella sorpresa ci ha fatto Helene dicendoci che partirà per Cuba” considerò Moira con un pizzico d'invidia.

“Avrà voluto farci realmente una sorpresa, non la trovo male come idea.”

“Si sono appena conosciuti da pochi mesi e già fanno un viaggio insieme e per lo più a Cuba!” continuò a ripetere.

“Che male c’è, è un’occasione per conoscersi meglio” ribattei in modo del tutto sorpreso per la reazione di Moira in merito alla notizia della nostra cara amica.

“Sì un’occasione per conoscersi di più” sentì la voce di Chris mentre entrava in cucina.

“Vedo che si origlia” precisò Moira.

“Che ne dite di un bel viaggio tra noi per conoscersi di più?” propose Jonathan divertito.

“Non vedo l’ora!” rispose a tono Moira, “l’importante, Jonathan, è che venga qualcun altro al posto tuo” concluse.

Scoppiammo a ridere tutti e quattro per poi salutarci e metterci d’accordo per rivederci nei giorni successivi.

17

Chiesi un giorno di permesso al mio capo Scott perché dovevo raggiungere la Cornovaglia il più presto possibile.

Chiamai Chris che non volle sentire discussioni riguardo al fatto di farmi partire da sola.

“Non ci penso nemmeno che tu vada a Tintagel senza qualcuno, sono settecento chilometri andata e ritorno” mi rispose senza lasciarmi il tempo di replicare.

“Pensi sia bene informare anche Jonathan che andiamo allo studio dell’avvocato Pascuzzi?”gli domandai.

“Ritengo sia meglio andare noi due per non preoccuparlo più del dovuto, domani avrà un incontro importante con un notaio e non potrebbe ugualmente venire.”

Una delle varie ioni di Chris sono le macchine d’epoca.

Quella mattina arrivò, infatti, con la sua Mercedes 190 52 del 1968.

Uno splendore per gli occhi.

Color panna, interni bordeaux, legno di resina lucente, due fanaloni classici del marchio e una splendida capottina divenuta cabrio, data la soleggiata giornata.

“Allora signorina Laura, è pronta per attraversare la costa meridionale dell’Inghilterra?” domandò il mio amico che per l’occasione indossava un grazioso cappellino a coppola a motivi scozzesi di color rosso.

“Ciao Chris, sono prontissima” risposi, chiudendo la porta di casa, contenta ed emozionata per il viaggio panoramico che ci aspettava, cercando di fare mente locale di non aver dimenticato nulla, dato che il rientro era previsto in tarda serata.

I chilometri che ci aspettavano erano tanti, quindi volevo avere tutto il necessario, tra cui ovviamente la macchina fotografica sapendo in quali meravigliosi panorami ci saremmo imbattuti.

Lasciammo la città alle nostre spalle, in pochi minuti, data l’ora di primo mattino, priva di traffico.

Arrivammo a Bristol prendendo la M4 circa un’ora dopo.

Si cominciava già ad intravedere l’atmosfera incantata ed incontaminata tipica di quelle zone del sud.

Ciò che caratterizza la parte costiera di quei luoghi sono le strade che diventano sempre più strette, quasi a senso unico, ad ogni tornante.

A mio avviso poco caratteristiche ma soprattutto pericolose e ringraziai il mio compagno di viaggio che mi aveva avvisato di questo pericolo.

Dopo un paio d’ore ci fermammo in un piccolo bar situato di fronte ad una delle molte suggestive scogliere.

La struttura era di color bianco e marrone con travi di legno che facevano da ornamento.

Tempo prima poteva essere stato un deposito per le attrezzature di pescatori dei porti vicini.

“Buongiorno, vorrei un caffè” domandò Chris ad un signore anziano il quale immaginavo fosse il proprietario.

“Per me un succo d’arancia” gli chiesi ringraziandolo.

“Avete trovato una splendida giornata di sole per venire dalle nostre parti” disse l’uomo servendoci pochi minuti dopo al tavolo.

“La primavera è alle porte ma di solito in questo periodo dell’anno, i venti soffiano più forti e l’acqua sugli scogli s’infrange in modo così violento da fare arrivare qualche goccia fin qui, alla vecchia locanda” continuò facendoci partecipi di tutto ciò.

Chris innalzò le sopracciglia guardando il proprietario, “ci stiamo dirigendo in Cornovaglia, spero che il tempo sia clemente per tutta la giornata, dato che rientreremo a Londra verso sera.”

“Mi dispiace giovanotti ma in queste zone all’estremità del Regno Unito, noi non siamo abituati, come fate voi cittadini, ad informarci ad ogni cambiamento meteorologico.

Qui il tempo cambia all’improvviso e all’insaputa di tutti” continuò il vecchio con la sua voce profonda e misteriosa.

“Speriamo non sia una giornata di quelle allora” risposi sorridendogli.

Il profumo di affumicato in quella stanza si accentuò sempre di più e mi fece dimenticare per un attimo la vita frenetica di tutti i giorni e di questo ne ero felice.

Vecchie canne da pesca appese alle pareti facevano da ornamento alla stanza.

“Chissà quanti anni hanno questi arnesi” domandai a Chris.

“Saranno vecchie tanto quanto questo locale” disse ridendo mentre ci rialzavamo per proseguire il nostro cammino.

“Ti ricordo che non siamo in un locale glamour di Londra” obiettai cercando di fargli apprezzare l’originalità dell’ambiente.

“Grazie infinite dello spuntino” ci rivolgemmo all’unisono.

“Chiamatemi pure Paul e buon viaggio amici miei, spero di rivedervi presto.”

Prima di risalire in macchina, immortalai quel movimento irrequieto di onde sull’alta scogliera a strapiombo sull’oceano.

18

Non ero mai stata in questi incantevoli, misteriosi ed intriganti luoghi.

Pensavo che Londra fosse la parte migliore della Gran Bretagna, ma mi sbagliavo a riguardo.

Ho sempre, però, avuto un grande desiderio di conoscere quest’isola per scoprire le diversità dei vari paesi e loro rispettive usanze.

Mancava poco all’arrivo a Tintagel quando Chris accostò la macchina sul ciglio della strada.

“Non possiamo andare oltre senza visitare St.Materiana’s Church” mi annunciò.

“Ne ho sentito parlare, la chiamano la chiesa sulla collina” replicai.

Dopo essere scesi dalla macchina, salimmo verso l’altura lungo una strada impervia che portava a tre graziosissimi cottage, tinteggiati ognuno di colore diverso che spaziava dal bianco all’azzurro intenso. Numerosi cespugli di more mature e fiori di erica selvatica dall’ color violaceo, facevano da cornice a queste costruzioni.

Giunti in cima alla collina, davanti ai nostri occhi, si presentò una chiesa

anglicana molto piccola, immersa nel verde della campagna.

Le sue mura erano ammuffite e, qualche calcinaccio cadeva a terra, tutto questo dovuto alla secolarità della sua data di costruzione.

Un piccolo cimitero attorniava l’edificio. Al suo interno le lapidi, annerite dal tempo, e la severità del luogo creavano un’atmosfera di mistero ed inquietudine.

Ad aumentare queste sensazioni ci pensava il sibilare del vento di tramontana che, con il suo impeto, spazzava via i pochi fiori che ornavano le tombe.

Un panorama d’altri tempi faceva da sfondo alla chiesa.

Il silenzio ti avvolgeva in questo luogo di preghiera e solitudine, rotto soltanto dal rimbombo profondo delle onde che s’infrangevano, violentemente, sugli scogli sottostanti e lo stridio acuto dei gabbiani che volteggiavano nel cielo plumbeo.

“È qualcosa d'indescrivibile!” esclamai meravigliata dalle sensazioni che stavo provando.

“Vieni un po’ qui” mi invitò Chris calpestando l’erba ancora bagnata dalla rugiada, dirigendosi verso un loculo.

“Un pezzetto d’Italia anche in questi luoghi”gli risposi leggendo sul marmo il

ricordo di un ragazzo di quattordici anni napoletano morto a fine ottocento durante un naufragio in questo turbolento oceano.A quella vista un’ondata di gelido mi percorse il corpo e pensai con tristezza a quel giovane e sfortunato ragazzo morto in quella tragica situazione.“Forza Laura, è meglio riprendere il cammino, siamo quasi arrivati” mi distolse Chris dai tristi pensieri.Saliti in macchina, guidai per tutto il tragitto, volendo provare l’emozione della guida di una macchina d’epoca.Purtroppo dopo neanche un’ora, il navigatore segnalava l’arrivo allo studio dell’avvocato.

Ci inoltrammo quindi in un breve viale ghiaioso.Un delizioso cottage inglese color verde scuro, con un piccolo parcheggio adiacente segnalava l’arrivo a destinazione.

Dalla porta di casa vicina, un paffuto signore distintamente vestito, scese i gradini in tutta fretta per dirigersi verso la sua autovettura.

“Mi scusi, è qui lo studio dell’avvocato Pascuzzi?” gli domandai.

“Sì signorina, è proprio qui il signor Salvatore, suoni pure che mi sembra non abbia nessun cliente per il momento” rispose con un accento strano sorridendomi tra i suoi spessi baffi.

Dopo il suono del camlo, un collaboratore domestico ci aprì e ci fece accomodare in una piccola sala accogliente.

L’arredamento di quella stanza era molto ricercato.

Alcune sedie di velluto rosso erano disposte attorno ad un tavolino con la base di marmo lavorato e ricoperto di un vetro argenteo.

Lungo le finestre scendevano dei drappeggi sempre di velluto che richiamavano il colore delle sedie.

Un importante lampadario di vetro di Boemia sovrastava il soffitto e le pareti erano tinteggiate di un colore giallo brillante.

Il tutto rendeva la stanza luminosa e solare.

Su di uno scaffale di legno scuro e massiccio erano disposti alcuni grossi libri un po’ sdruciti dal tempo e impolverati.

Era un arredamento un po’ retrò ma adatto all’atmosfera che si respirava in questa parte dell’Inghilterra.

Pochi secondi dopo un uomo in doppio petto, sulla cinquantina, uscì della porta in fondo all’androne.

“Buon pomeriggio” ci disse stringendoci la mano.

Dopo le presentazioni ci fece accomodare nel suo accogliente ufficio.

L’emozione di essere fisicamente all’interno di un cottage mi prese di soprassalto.

Avevo sempre desiderato visitarne uno ed era, finalmente, arrivato il momento.

Dall’aspetto mi sembrava una residenza rurale del diciottesimo secolo tanto che si potevano notare ancora alcune caratteristiche come le travi a vista di rovere e un grande camino a legna che fungeva da stufa, dove si poteva ancora sentire il profumo della legna bruciata.

Ero attirata e, nello stesso tempo, distratta da ciò che avevo visto, ma la mia attenzione doveva concentrarsi sul motivo della visita.

“Siamo due cari amici di Jonathan Taylor, il figlio del suo cliente” cominciò Chris appoggiando la schiena alla sedia.

L’avvocato sgranò gli occhi a sentire quel nome.

“Sappiamo anche, tramite la vice direttrice del museo Erika Bain, che il direttore ha liquidato solo in parte la somma pattuita al collezionista del quadro di Monet” esclamai prendendo la parola e appoggiando le mani sull’antica scrivania.

Pascuzzi cominciò ad agitarsi sulla sua poltrona.

“Il dott. Nicholas Taylor, ha alcuni debiti ma nulla di preoccupante, cosa volete

sapere?” esclamò l’avvocato corrugando la fronte infastidito da tutto ciò.

“Abbiamo trovato questo foglio sulla scrivania del direttore” gli mostrai la sua carta intestata datami da Erika pochi giorni prima.

“Siamo venuti qua da lei per saperne di più in merito, per provare l’innocenza del signor Taylor.”

A queste parole Pascuzzi sembrò aprirsi di più anche se continuava a guardarci con occhi sbarrati.

“Ho detto ripetutamente a Nicholas di modificare il contratto poiché sapevo che non sarebbe riuscito a saldare quella cospicua somma entro i termini previsti.

Non ha voluto sentir ragione.

Era convinto di riuscire a pagare entro breve tempo per non dare una brutta immagine del museo” disse.

“E poi sapete come sono andate le cose e non c’è stato più tempo per sistemare nulla, dato che è stato incarcerato per sospettato omicidio” continuò versandosi del brandy, senza offrire un bicchierino anche a noi.

“Comunque ho parlato anche troppo. Non sono tenuto a dare delle spiegazioni a dei perfetti sconosciuti, quali siete. Vi prego di togliere il disturbo in quanto ho

alcune pratiche urgenti da sbrigare.”

“La ringraziamo di averci dato ascolto anche se non avevamo un appuntamento con lei” dissi chinando il capo in segno di riverenza.

“Impertinente quell’italiano” si affrettò a dirmi Chris risalendo in macchina.“Era indispettito dalla nostra presenza e l’incalzare delle nostre insistenti domande lo hanno agitato a tal punto da non sapere più cosa dire, se non darci il ben servito.”“Sono d’accordo con te” risposi.Ormai erano le cinque del pomeriggio e così decidemmo di andare a bere qualcosa di caldo, prima di far ritorno verso casa, dato che la temperatura stava radicalmente scendendo.

19

La Cornovaglia è una regione in prevalenza collinare con coste frequentemente incise da profonde insenature.

Il clima di tipo atlantico, con copiose precipitazioni, è il più mite di tutta l’Inghilterra.

Mentre guidavo all’andata avevo potuto scorgere qualcuno dei misteriosi castelli e sontuosi palazzi, abitati un tempo da ricche regine e nobili.

Questa regione è anche contornata da leggende di fantasmi che, si crede, si aggirino ancora tra le segrete dei castelli in cerca di pace.

Tutto ciò la rende più affascinante ed enigmatica che mai.

Il piccolo villaggio di Tintagel racchiudeva tutto questo.

Il sole del mattino aveva fatto spazio a delle vaporose nuvole cariche d’acqua.

“Il tempo qui è come se si fosse fermato” mi disse Chris “e con esso anche le abitudini di questa gente” continuò notando una caratteristica bottega antica del pane.

“Che cosa intendi dire?” lo interrogai.

“Semplicemente che non cercano affatto di essere al o con i tempi.

Tutta la regione della Cornovaglia è così ricca di storia, e non cercano di modernizzarsi” concluse.

“Beh! Io penso che i milioni di turisti che vengono ogni anno in questi luoghi estremi, vogliano godere di tutta l’essenzialità assaporandone tutta la pace” lo contrariai.

Attraversando le vie del piccolo centro ci dirigemmo in un’osteria, forse un tempo usata come cantina sotterranea.

“Salve, cosa volete che vi porti?” ci disse una ragazza addetta alle ordinazioni dopo che ci eravamo seduti.

“Volevamo qualcosa di caldo per riscaldarci ma abbiamo optato per due birre piccole" si rivolse Chris alla ragazza dai lunghi capelli rossi con le lentiggini sul bellissimo viso.

Gustammo quella favolosa birra fino all’ultimo sorso, parlando dell’incontro con l’avvocato.

Tutto d’un tratto le luci delle lanterne si spensero e l’atmosfera dell’osteria si fece, a mio parere, più sinistra.

“Sarà saltata la corrente” mi tranquillizzò Chris.

“Scusate signori, ma sta arrivando un forte temporale e hanno tolto l’elettricità per precauzione” ci informò la ragazza rivolta a noi e ad una coppia di ragazzi seduti al tavolo poco più in là del nostro.

Udimmo il rumore di un tuono ed uscimmo dall’osteria per vedere quali realmente fossero le condizioni del tempo.

“Mannaggia! Il cielo sta prendendo un brutto colore” dissi chiudendomi per bene il cappotto.

“Penso Laura, che non sia una buona idea rientrare a Londra con questo tempo: sarebbe pericoloso attraversare quelle minuscole strade sulla scogliera a precipizio sul mare” precisò Chris convinto che il cattivo tempo sarebbe peggiorato.

Rientrammo all’osteria per pagare il conto.

La corrente era ancora fuori uso e, solo grazie alla luce tenue di candele poste sopra alcuni tavoli, riuscimmo ad orientarci nella sala.

“Siete turisti?” ci chiese la ragazza al di là del bancone, lavando alcuni bicchieri.

“Sì, cioè non precisamente” rispose Chris.

“Diciamo che siamo qui per lavoro” rimediai.

“La maggior parte delle persone che vengono qui a Tintagel sono turisti” proseguì la ragazza dai capelli rossi.

“Potresti consigliarci qualche hotel qui nella zona dove trascorrere la notte?” le domandò Chris nella speranza di sentire una risposta positiva.

“Pensavamo di tornare a Londra in serata ma non abbiamo calcolato la possibilità di imbatterci in un forte temporale” mormorai.

“Certo vi capisco. Lasciatemi fare alcune telefonate con il mio cellulare e arrivo subito” cercò di rassicurarci l’addetta dell’osteria speranzosa di trovarci un alloggio.

Furono minuti di intensa attesa.

Trovarsi in un villaggio del tutto sconosciuto, nel bel mezzo di un forte temporale a circa trecento chilometri da casa, senza una camera dove trascorrere la notte è un’esperienza del tutto insolita per il mio carattere.

Non fu così, evidentemente, per il mio amico che, nell’attesa della risposta, si sedette sulla sedia fumandosi un sigaro che la coppia di ragazzi presenti sull’altro tavolo gli avevano offerto.

Vedendo quella scena mi misi a sorridere. Io agitata e lui tranquillo.

“Eccomi arrivata” disse con il fiatone la ragazza che immaginavo avesse fatto una veloce corsa essendo tutta bagnata dalla pioggia.

“Ho chiamato un paio di hotel qui vicino ma purtroppo sono tutti al completo.

C’è però un albergo a circa mezz’ora di strada da qui che, molto probabilmente ha qualche camera disponibile, ma non riesco a contattare il proprietario a causa del forte vento e della linea disturbata” ci informò dispiaciuta.

L’espressione del viso di Chris si fece più seria e alzandosi mi abbracciò, per rincuorarmi e, dopo aver pagato, salutammo la ragazza dirigendoci là dove ci aveva indicato.

L’acqua si fece sempre più insistente e, per smorzare un po’ la tensione, Chris accese la musicassetta dello stereo della macchina.

“La prossima volta, prima di partire, è meglio dare un’occhiata alle previsioni del tempo” mi disse sorridendomi e prendendomi la mano.

A quel tocco mi sentii più sicura e cercai di farmi are la paura che avevo di non trovare un posto dove dormire in quella notte burrascosa.

Dopo circa mezz’ora arrivammo all’albergo indicatoci.

Parcheggiammo la macchina e, correndo a grandi i per evitare quell'acqua torrenziale, entrammo nell’albergo.

“Buona sera” ci accolse una signora di mezza età stile governante inglese.

“Salve signora, siamo capitati qui nel bel mezzo del temporale e siamo speranzosi di trovare una camera per questa notte” comunicò Chris cercando di asciugarsi il cappotto per quanto poteva.

“Ma certo figlioli, siete fortunati. Siamo in bassa stagione e ho alcune camere disponibili. Venite con me che vi accompagno.”

La voce rassicurante di quella signora mi tranquillizzò e Chris si voltò verso di me dimostrando con il suo sguardo la contentezza di aver trovato un alloggio per quella notte.

20

Il The Old Wain House era, come diceva il nome stesso, un vecchio pub con un salone centrale dove il fumo un tempo faceva da padrone, ed ora adibito ad albergo con poche stanze al piano superiore.

Data la situazione non ci si poteva lamentare.

La proprietaria del pub, la signora Margareth, ci accompagnò al piano superiore salendo una lungascala di legno che scricchiolava ad ogni o.

“Da dove venite ragazzi?” ci chiese incuriosita voltandosi verso di noi.

“Siamo di Londra, ma oggi eravamo a Tintagel per

incontrare una persona” le risposi mentre un forte tuono ci fece balzare dallo spavento.

“Per questa notte sarete al sicuro qui” continuò la donna aprendo la porta cigolante della stanza.

Accese la luce e ci mostrò la piccola camera.

“La ringrazio signora Margareth” le disse Chris.

“Se avete bisogno di spazzolini da denti e dentifricio li trovate nella toilette, con i gettoni li potete acquistare.

Per qualsiasi altro problema non esitate a chiamarmi” ci informò.

“Non potevamo trovare una stanza più confortevole” disse ridendo Chris riferendosi all’eccessiva essenzialità.

“Già, molto calda ed accogliente” replicai strofinandomi le mani cercando di scaldarle un po’.

Dopo una doccia calda decidemmo di andare al pub al piano inferiore, pieno di persone, dove ordinammo un toast gigante e due coca cola dato che la fame si faceva sentire.

Il barista azionò un giradischi talmente antiquato che non ne vedevo dagli anni ottanta.

Mise la puntina su una traccia del disco e la musica cominciò a suonare.

“Forza ragazzi, stasera si balla” urlò il giovane barista rivolto ai presenti nel locale.

Dopo pochi minuti gran parte delle persone salirono sopra i tavoli per ballare anche se erano un po’ brilli.

Un ragazzone paonazzo in viso si accorse di noi stranieri e, come benvenuto, ci portò al tavolo due bicchierini di scotch invitandoci a berli tutto d’un fiato come consuetudine in quel posto.

Chris come al solito ne fu entusiasta, scolò tutto in un secondo e io feci altrettanto.

Presto lo stordimento si fece sentire e ci ritrovammo a ballare e a scherzare per tutta la serata capendo a mala pena quello che gli altri ci dicevano, sia perché avevano un accento diverso rispetto al nostro, sia per l’inebriamento dovuto all’alcol.

Ma quando si è in queste situazioni poco importa capire il senso delle frasi.

Mai nella mia vita avrei immaginato di ubriacarmi di scotch in un pub sperduto nel bel mezzo della Cornovaglia.

Dopo un paio d’ore di divertimento, il cessare della musica ci fece capire che la festa stava per concludersi e tutti a malincuore presero le loro cose e lasciarono il pub.

“È stata una fantastica serata” disse Chris eccitato dalla festa appena trascorsa.

“In queste zone così fredde basta della buona musica e del buon scotch invecchiato per divertirsi” gli risposi ancora frastornata da quel tipo di liquore che non avevo mai assaggiato prima.

“Si devono scaldare in qualche modo” mi informò divertito Chris.

Dopo un po’ vedendo che il barista sistemava tutti i tavoli, decidemmo di lasciare anche noi la sala per dirigerci verso la camera.

Una volta entrati guardammo contemporaneamente il letto matrimoniale, che troneggiava al centro della stanza.

“Se vuoi dormo sul divano” mi disse lui intuendo il mio imbarazzo.

“Non c’è bisogno che ti senti a disagio, siamo amici” cercai di dirgli con tono meno impacciato che potevo.

Mi diressi verso la finestra, la aprii, davanti ai miei occhi un incontaminato bosco formato da piante ed alberi accarezzati dalla leggera pioggia. Ne assaporai tutta l’aria.

“Quando torniamo a Londra racconteremo ai nostri amici quello che ci è successo in questa giornata, e non ci crederanno mai” dissi.

“Già, hai ragione e comperiamo alcune bottiglie di birra del posto, così sapranno cosa vuol dire bere della buona birra” mi rispose venendo verso di me.

Sentii le sue mani sui miei fianchi, con il cuore che mi batteva dall’emozione mi voltai piano verso di lui.

Ci guardammo nella penombra della notte.

Mi attirò a sé e mi baciò profondamente.

21

“Buon giorno, ben svegliata” mi sussurrava all’orecchio la voce di Chris mentre cercavo di aprire gli occhi ancora appesantiti dall’effetto dell’alcool della sera precedente.

“Oggi splende un limpidissimo sole, è ora di ritornare a casa signorina Marshall” continuò alzandosi e dirigendosi verso la finestra facendo entrare una boccata d’aria fresca di primo mattino.

Dopo una doccia rigenerante scendemmo nel salone e facemmo una ricca colazione a buffet scegliendo tra succhi di frutta d’ogni tipo, panini e brioche.

Chris mi guardava intensamente negli occhi mentre mescolava il suo bicchiere di succo d’arancia rossa, non parlava, ma il suo sorriso imbarazzato diceva più di mille parole.

“Fortunatamente ti sei addormentato appena hai toccato il letto” gli mormorai prendendolo in giro.

“Ho fatto finta di addormentarmi altrimenti mi avresti buttato fuori dalla camera” mi contrariò lui ridendo.

“Buongiorno figlioli” la voce della proprietaria ci apostrofò mentre entrava nel salone.

“Avete riposato bene questa notte?”continuò con uno sguardo malizioso fraintendendo che eravamo fidanzati.

“Sì proprio una splendida nottata” le rispose Chris con un pizzico d’ironia.

“Grazie infinite dell’accoglienza”continuai facendole i complimenti per l’ottima colazione.

Dopo aver pagato il soggiorno, ricevemmo da Margareth dei volantini pubblicitari che illustravano la meta principale di Tintagel ovvero il castello, dove secondo la leggenda nacque Re Artù e vissero i suoi famosissimi cavalieri.

La donna ci porse anche dei bigliettini da visita dell’albergo semmai ne avessimo avuto ancora bisogno.

“Margherita Pascuzzi!!” esclamò a voce alta Chris leggendo il cartoncino.

“Ma lei è parente del noto avvocato?” le domandò un po’ sbalordito.

“Certo, sono sua sorella” rispose con estrema disinvoltura la proprietaria del vecchio pub.

Chris ed io ci scambiammo un’occhiata perplessa.

“Vede, ieri pomeriggio, prima di venire da lei, siamo stati nello studio di suo fratello per avere alcune delucidazioni in merito alla carcerazione del direttore del National Gallery di Londra” la informai.

“Sì, ne ho sentito parlare dai giornali, le notizie corrono in fretta anche fin quaggiù” ci rispose spostandosi la ciocca di cappelli sul viso, scossa dalla notizia appena data.

“Quindi ha sentito questo caso dai giornali, non da suo fratello” le chiesi istintivamente.

“Esatto, io e Salvatore non parliamo mai del suo lavoro, abitiamo vicini ma, essendo un personaggio molto conosciuto, è spesso fuori paese per le sue commissioni e quindi ci vediamo raramente.”

“La capisco, a volte gli affetti più cari vengono sormontati dagli impegni spezzando quell’unione importante qual è la famiglia” risposi a Margareth che si stava soffiando il naso, capendo che avevo toccato un tasto delicato.

“È così cocciuto nel suo lavoro che a volte faccio fatica a capirlo” continuò, “l’ultima volta che ho visto Salvatore è stato circa un mese fa. Era venuto a farsi due bicchierini di buon whisky in compagnia di un altro signore” ci informò.

Il telefono a fianco il registratore di cassa squillò.

“Penso sia importante capire con chi fosse venuto al pub quella sera l’avvocato, potrebbe essere la stessa settimana dell’omicidio” dissi in fretta e sottovoce a Chris, mentre la signora rispondeva alla chiamata.

“Ecco ragazzi, scusate, ma ho ricevuto la telefonata dal mio fruttivendolo che sono arrivate al negozio le patate che avevo ordinato e devo andare a prenderle.”

“È stata molto gentile con noi, a regalarci del suo tempo prezioso e se dovessimo avere bisogno ancora non esiteremo a contattarla” la elogiò Chris mostrandole il bigliettino ricevuto pochi minuti prima.

“Saprebbe descrivermi la persona che era con suo fratello quella sera qui al pub?” incalzai certa che le rubavo ancora un po’ del suo tempo.

Margareth mi guardò dubbiosa, poi camuffò l’espressione in un sorriso marcato.

“Ah, che domanda mia cara, non lo ricordo proprio, sai alla mia età faccio fatica ricordare i volti dei miei clienti, figuriamoci di un tizio che ho visto per pochissimo tempo” rispose ridendo mentre prendeva dal tavolo le chiavi della sua automobile.

Il tentativo di saperne di più sull’argomento non era andato come credevo, pensai.

“Almeno ci hai provato” disse giustamente Chris salendo sulla sua auto d’epoca, ricoperta di foglie secche portate dal forte vento della notte appena trascorsa.

“Tentare non nuoce, amico mio..!”

A differenza del giorno precedente, il sole del sud dell’Inghilterra baciava tutta la costa, così Chris, cogliendo l’occasione, scoperchiò il tetto dell’auto e mi adagiò la sciarpetta attorno al collo.

Facemmo così ritorno nella nostra cara e amata Londra.

22

Arrivammo a casa nel pomeriggio e ad accoglierci c’era la frenetica vita di città.

Sentii un po’ di nostalgia per quella tranquillità che si respirava a poche ore da Londra, ma subito scomparve al pensiero che non sarei mai riuscita a viverci per più di quarant’otto ore.

Chris mi aiutò a scaricare l’ingombrante borsa che conteneva gli acquisti che avevo fatto ai grandi magazzini, ritornando verso casa.

“Sono stati due giorni indimenticabili” disse il mio amico.

“Le esperienze più belle sono quelle ricche d’imprevisti” gli risposi abbracciandolo e baciandolo sulla guancia.

“Ci sentiamo domani” lo salutai.

Entrai in casa, appoggiai la schiena alla porta d’entrata, e ne assaporai tutto il profumo che alcuni fiori posti sopra il tavolo del salotto emanavano.

Il giorno seguente ritornai alla vita di tutti i giorni.

“Buongiorno signor Scott” iniziai.

“Avendo trascorso due bellissimi giorni in Cornovaglia, non potevo non pensare alla mia grande ione nonché il mio lavoro, così ho scattato queste meravigliose foto” gli mostrai porgendo quanto sviluppato.

“Bel lavoro Laura, le possiamo utilizzare per la tua prossima rubrica che uscirà il mese venturo” mormorò Andrew soddisfatto.

“Ah, dimenticavo…, ieri ti ha chiamato la direzione del carcere da parte del signor Taylor, gli ho comunicato che eri fuori città e tornavi oggi, non mi ha riferito nulla in più a riguardo " concluse il mio datore di lavoro.

Cercai di trovare un nesso sul perché mi aveva cercato in ufficio e non tramite il figlio Jonathan.

Mi interrogai su come mai avesse preso quella scorciatoia e decisi di andare a visitarlo in carcere appena potevo.

Il giorno seguente arrivai alle carceri nelle ore di visita perché così le guardie non mi avrebbero causato intralci.

“La faccio accomodare nel parlatorio” mi rispose uno degli addetti alla sicurezza dopo che gli avevo chiesto del Dott. Taylor.

Poco dopo lo vidi entrare nel salone ben vestito come se aspettasse delle visite.

“Oh Laura, è sempre bello vederti” mi abbracciò il direttore venendomi incontro.

Notai nei suoi occhi un luccichio per l’emozione. “Sono contenta di vederla anch’io.”

“Come sta Jonathan?” mi domandò preoccupato.

“Sta bene, è rimasto sconvolto appena successo il fatto, ma ora siamo qui per aiutarla tutti insieme”.

“Ti ho fatta contattare nel tuo ufficio perché volevo parlarti di un fatto importante che mi sono ricordato e, ho pensato di non avvisare mio figlio per non allarmarlo.”

“Sono qui per ascoltarla signor Taylor.”

“Sono rinchiuso qui dentro da ormai quasi un mese e sono stato incolpato di un omicidio che non ho commesso.

Qualcuno mi ha ingannato Laura e io non ho diritto di perdere i giorni della mia vita rinchiuso in questo terribile carcere” esclamò battendo le mani sulla scrivania sfogandosi tutto d’un fiato.

“Jonathan mi ha riferito di quanto state facendo per me e vi ringrazio tanto” continuò.

“La polizia locale di Londra e alcuni miei avvocati stanno cercando di capire meglio quanto avvenuto, ma le indagini vanno a rilento” si interruppe un attimo andosi le mani tra i folti capelli brizzolati.

“Ho promesso a mia moglie che ritornerò a casa, non l’ho mai delusa e di certo non lo farò questa volta” mi disse guardandolo fisso negli occhi pieni di speranza e ricchi d’amore per la sua famiglia.

“Mi dispiace per tutto quello che sta subendo signor Taylor, ma se ha dei particolari ricordi anche vaghi sospetti me li riferisca, perché anche un piccolo dettaglio, per quanto insignificante, è utile per andare avanti con le ricerche” gli riferii cercando di non raccontare l’incontro avvenuto con l’avvocato Pascuzzi giorni prima.

“Appunto Laura, ti ho chiamata perché in queste settimane di reclusione ho cercato di comporre più tessere possibili del puzzle.”

“Sono tutta orecchie” lo incitai.

“Quella corda che hanno trovato con le mie impronte è realmente mia.

Tengo sempre delle corde, che uso per annodare i grandi cartelloni, all’interno

del primo cassetto della mia scrivania” continuò mentre ero concentrata sul ragionamento del direttore.

“Qualcuno sapeva di tutto questo e lo ha usato come prova del delitto contro di me” mi riferì Nicholas inarcandosi verso di me come per farmi capire meglio quello che stava dicendo.

“Il tempo a disposizione sta per scadere!” si rivolse verso di noi una giovane guardia entrando dalla porta della sala dove ci trovavamo.

La ringraziai e feci un cenno di approvazione.

“È stato come un flash l’altra notte” si affrettò a riferirmi Nicholas consapevole del poco tempo rimastoci.

“L’unica persona a conoscenza che avevo delle corde all’interno del cassetto è l’ avvocato Pascuzzi, in quanto addetto alla compravendita di quadri di valore” mi disse, mentre un gelo lungo la schiena m’immobilizzò.

“In uno dei nostri tanti incontri di lavoro mi aveva chiesto se, con tutto quel patrimonio presente nel museo, avevo delle armi da difesa nel mio ufficio.

Io inconsciamente, ridendo, gli risposi che le armi più pericolose erano delle corde e degli elastici per legare i cartelloni” concluse Taylor, mentre gli intravedevo una lacrima scendere dal suo viso.

“Terrò presente questo prezioso particolare e sono fiduciosa di fornirle delle risposte quanto prima” conclusi alzandomi dalla sedia perché il tempo a nostra disposizione era terminato.

“Le vogliamo tutti bene signor Taylor” lo rassicurai mentre era voltato di spalle per essere riaccompagnato nella sua cella.

Uscendo dal carcere imboccai un vialetto prima di riprendere la macchina.

Avevo voglia di camminare, svagandomi un po’ attraversando quelle vie così ricche di negozi di ogni genere.

I profumi di saponi e fragranze percepiti dalle signore appena uscite da una profumeria del centro, i luccichii colorati nelle vetrine, la musica che fuoriusciva dai locali colmi di gente, mi fecero respirare a pieni polmoni la libertà.

23

Rientrando a casa vidi nella cassetta delle lettere un pacco che fuoriusciva per metà.

Cercai la chiave nella mia borsetta e aprii lo sportellino delicatamente cercando di non far cadere quello che conteneva.

Proveniva dall’Avana, ovviamente capii subito che me l’avevano spedito Helene e il suo fidanzato dalla vacanza a Cuba.

Lo aprii desiderosa di vedere cosa contenesse.

Fui meravigliata dal fatto che mi avessero spedito alcune foto dove si immortalavano con i loro visi spensierati, con sottofondi da cornice di spiagge bianche incontaminate ed acque azzurre cristalline.

Una foto a colori immortalava Jack seduto all’interno di un’auto tipica di Cuba; una Chevrolet anni cinquanta color verde acqua con tettuccio bianco, mentre salutava Helene che lo stava fotografando.

Girai la foto e lessi: “Ciao tesoro, qui stiamo trascorrendo dei giorni da favola, appena ritorniamo t’insegno come preparare un cocktail tipico dell’Avana che devi assolutamente provare.

Così lo potrai inserire nella tua rubrica del National Geografic.

Ti voglio bene. Helene.”

Helene aveva il dono di distogliermi dai miei pensieri ogni volta che la sentivo.

Non mi era mai capitato di pensare inconsciamente durante il sonno, ma quella notte provai questa sensazione, così il mattino seguente decisi di fare una sana colazione da Lucy.

“Ma guarda che sorpresa” esclamò, a gran voce, uscendo dal bancone diretta verso di me per abbracciarmi.

“Non ti ho più vista, ho pensato ti fosse successo qualcosa.”

“No, fortunatamente sto bene” la ringraziai.

“Ho avuto un paio di imprevisti, ma adesso sono qui per godermi una buonissima colazione” conclusi sedendomi sulla sedia girevole di fronte al bancone.

“Sai Lucy, ho bisogno del tuo aiuto” cominciai.

“L’ultima volta che sono venuta nel tuo locale è stato circa un mese e mezzo fa” dissi pensando che ero stata effettivamente da lei pochi giorni prima dell’omicidio al museo.

“Sì, ricordo bene” annuì cercando di ricordare quanto più riusciva.

“Quel pomeriggio era seduto qui dove sono io adesso, un signore di mezza età paffutello, che indossava un pullover scuro” proseguii “e a quanto ricordo non aveva un accento londinese, ma americano” conclusi intravedendo sul volto di Lucy un' espressione concentrata mentre cercava di capire a chi mi riferivo.

Dopo pochi minuti Lucy ebbe un’illuminazione.

“Ho capito di chi stai parlando!” gridò entusiasta.

Fortunatamente il locale era ancora vuoto, altrimenti le persone avrebbero sobbalzato, dato l’elevato timbro di voce di Lucy.

“Se non ricordo male, si era intromesso nei nostri discorsi riguardanti il meteo di quella giornata.”

“Esatto Lucy, proprio lui” affermai contenta.

“Non ti so dire il nome, sai non è mio cliente abituale, è venuto qui a degustare un tè rosso rooibos un paio di volte al massimo ed è un perfetto americano

dall’accento” terminò la mia amica che speravo mi fornisse informazioni più dettagliate.

“La seconda volta che l’hai visto è stato prima o dopo la mia presenza qui al Tea & Company?”

“Pochi giorni dopo e da allora non è più tornato” rispose preparandomi la colazione.

Sorseggiando del caldo tè verde e mangiando alcuni biscotti allo zenzero, ero immersa nei miei pensieri.

Stavo guardando le persone che entravano nel locale quando i miei occhi si soffermarono sul soffitto facendomi andare di traverso quanto bevuto e procurandomi alcuni colpi di tosse.

“La telecamera Lucy, tutte le registrazioni le tieni archiviate?” le chiesi cercando di scandire piano le parole per non tossire ulteriormente.

“Sì, certo! ma come mai tanto interesse per quell’uomo?” mi chiese giustamente.

Le spiegai dell’omicidio avvenuto al museo e quanto fossi coinvolta in questo caso, avendo trovato per prima il cadavere.

Inoltre volevo aiutare il mio amico Jonathan a scagionare suo padre in quanto

costui era stato ingiustamente rinchiuso in carcere.

“O povero Jonathan, non sapevo fosse tuo amico” mi riferì dispiaciuta per tutto ciò.

“Come posso aiutarti mia cara? Ho le registrazioni catalogate giornalmente.”

“Mi bastano solo quelle relative ai due giorni prima del delitto” conclusi riferendole la data esatta mentre consultavo il calendario sul cellulare.

Pochi istanti più tardi misi nella borsetta il dvd delle registrazioni della telecamera presente all’entrata del Tea & Company e uscii dal locale ringraziandola per la collaborazione.

“A proposito se viene un’altra volta al bar, cerca di indagare su di lui coinvolgendolo con le tue domande” le dissi ammiccando.Salita in macchina mi collegai con il bluetooth e chiamai Moira poiché avevo bisogno del suo aiuto.

24

Arrivata, cercai di trovare parcheggio nei pressi della nota azienda Microsoft dove Moira lavora.

Entrai nella hall e la vidi impegnata in una conversazione con dei signori rigorosamente in giacca e cravatta.

Dai movimenti capii che voleva sbrigarsi della loro presenza il più in fretta possibile.

Era la prima volta che entravo in questa importante struttura d’informatica.

Nell’attesa non potevo che ammirare la meravigliosa fontana a cascata posta nel bel mezzo dell’entrata principale, con una maestosa scalinata centrale sopra la quale uno spettacolare lampadario di cristallo lasciava esterefatti coloro che entravano.

“Ciao Laura, scusa dell’attesa” mi disse Moira felice di vedermi e posandomi la mano sulla spalla.

“Andiamo pure nel mio ufficio.”

“Ti devo fare i complimenti per il luogo in cui lavori, sono fiera di te” le

mormorai parlando a voce quasi impercettibile per non disturbare i suoi colleghi che erano concentrati davanti ai rispettivi computer.

“Ecco Moira, poco fa sono stata da Lucy, ho qui due dvd con le registrazioni delle telecamere del locale” dissi estraendo dalla borsetta le due custodie contenenti il prezioso materiale.

“E pensi che ci siano tracce dell’omicida nel dvd?” mi interruppe lei.

“Che si tratti di omicida o no, sono sicura che in questo dvd ci sia qualcosa di interessante per dare una svolta alle indagini” conclusi decisa.

“Sto intuendo quello che mi stai per chiedere” disse sogghignando.

“È violazione della privacy e tutto quello che ne consegue” continuò.

“Mi prenderò le mie responsabilità ma sei l’unica persona che mi può aiutare in questo ambito” le ribattei immaginando che fosse stato più semplice il colloquio ma evidentemente mi sbagliavo.

“Che sia la prima e l’ultima volta che mi chiedi una cosa simile” disse sottovoce Moira guardandosi attorno per controllare che non ci fosse nessuno ad origliare.

“Adesso seguimi e non dire una parola in più! In caso di bisogno parlo io! Altrimenti finiremo nei guai.”

Ero cosciente di quanto poteva accadermi ma dovevo rischiare.

Attraversammo una serie di uffici, dove alcuni suoi colleghi le chiedevano delucidazioni sul lavoro da svolgere.

Sapevo che aveva un ruolo importante all’interno dell’azienda e non era mia intenzione comprometterla.

Entrammo in una stanza, illuminata dalla luce tenue che entrava dagli spiragli dei suffissi semichiusi, priva di computer, cosa che mi sembrava alquanto strana in quel contesto.

“Allora vediamo da dove possiamo cominciare” disse lei estraendo dalla scrivania un cofanetto dentro il quale inserì il dvd.

Improvvisamente nel bel mezzo della stanza si materializzò davanti ai nostri occhi il locale di Lucy con tutto l’andirivieni delle persone.

Ero sorpresa da tale tecnologia in 3D, ma mi concentrai per trovare il signore che avevo visto quel pomeriggio al Tea & Company.

“Ferma, ferma” esclamai dopo una manciata di minuti, incitando Moira ad effettuare un blocco immagine.

Mi avvicinai il più possibile alla sagoma e scorsi quello che cercavo.

“È proprio lui” dissi rivolgendomi a Moira soddisfatta dell’aiuto che mi stava fornendo.

Vidi sul suo volto un cenno di sorriso.

Una serie di griglie verdi sopra il viso zumato ad effetto tridimensionale dell’anonimo signore si fecero più evidenti e, dalla stampante pochi istanti più tardi uscirono un paio di pagine.

“Ecco quello che volevi signorina Laura, qui c’è il resoconto con i dati anagrafici relativi all’uomo che ti interessa e una scheda del suo profilo.”

“Sei un tesoro Moira, sono in debito con te” la ringraziai cercando di andarmene più veloce che potevo per non essere notata.

Appena entrai in macchina, chiusi la porta e feci un profondo sospiro di sollievo.

Presi in mano la foto dell’identikit che gentilmente Moira mi aveva stampato.

Il mio dubbio era scomparso, avevo la conferma.

L’uomo presente quel pomeriggio nel locale di Lucy, era la stessa persona con la quale io e Chris avevamo scambiato due parole mentre stavamo entrando nello studio dell’avvocato Pascuzzi.

Il cellulare squillò. Il nome di Chris comparve sul display.

“Ciao, non ti fai sentire da giorni, come stai?”

“Scusami tanto Chris ma dopo il rientro dalla Cornovaglia ho avuto un sacco di lavoro in redazione.

Volevo chiamarti perché sto scoprendo qualcosa d’interessante e mi serve come sempre la tua preziosa collaborazione” lo informai.

“Questa sera sono libero, tu hai impegni?”

“No, vieni pure da me per le otto così cercheremo di capire insieme riguardo le informazioni che ho appena avuto con l’aiuto di Moira” gli comunicai.

“Ti va bene se ordino due pizze?” mi chiese Chris.

“Mmhh…ottima idea, sento già il profumino.”

25

Mancavano pochi minuti alle venti quando Chris suonò alla porta.

“Brr..che serata fredda però ricca di stelle” mi salutò Chris abbracciandoci contenti di rivederci.

“Cosa preferisci bere, coca cola o birra?”

“Ah,ah, penso Laura che la coca cola vada più che bene dopo quei due giorni in Cornovaglia non berrò più birra per un bel po’ di tempo.”

Il camlo squillò nuovamente.

“Ecco che arrivano le pizze!” esclamai mentre aprivo la porta al giovane ragazzo che, dal bauletto del suo scooter, prendeva il sacchetto con la cena ordinata.

“Ricky che ci fai qui?” disse sorpreso Chris rivolto al ragazzo.

“Buonasera professore. Eh, sa per pagare gli studi sfreccio consegnando le pizze in questa zona della città” rispose imbarazzato.

“Bravo, bravo Ricky ci vediamo domani a lezione.”

Durante la cena raccontai anche quanto era successo con Lucy e Moira in quel pomeriggio.

Gli mostrai quindi le foto e i documenti stampati poche ore prima.

Dopo esserci ristorati con la deliziosa pizza a domicilio di Tony’s distante pochi isolati da casa mia, ci sedemmo sul divano,bevendo una calda tisana, per valutare attentamente quanto avevamo davanti.

“Ma questo è il tizio che abbiamo incontrato prima di entrare dall’avvocato Pascuzzi” disse, prontamente, appena vide la foto dell’uomo zumata.

“Esatto, hai una buona memoria.”

“Vediamo un po” cominciò.

“George Brown, nato e residente nella città di Washington dal 1948.

Fedina penale pulita” continuò senza battere ciglio.

“È un medico in pensione questo signor Brown” mi anticipò Chris leggendo la

riga indicante l’occupazione: dal 1989 al 2009 ha esercitato come medico chirurgo presso l'Hospital di Washington.”

“Ed ha viaggiato parecchio all'estero per lavoro, leggo qui” indicando con il dito sul foglio la riga corrispondente.

“Perché hai posto la tua attenzione su di lui?” mi domandò Chris distogliendo lo sguardo dai fogli per fissarmi dritto negli occhi.

“Sto cercando di capirlo anch’io, ma mi servono ancora alcuni dettagli e poi ti spiegherò il motivo” gli dissi certa che il caso si stava chiarendo sempre di più.

“Quando tutta questa storia finirà mi prometti che ti prenderai un periodo di relax?” mi disse.

“A proposito di questo, ti faccio vedere cosa Helene mi ha spedito” lo interruppi andando a prendere le foto.

“Guarda questi due come se la sano” rispose, ridendo, sfogliando gli scatti che gli avevo consegnato.

“Già. Può essere che la prossima vacanza sceglierò proprio uno di questi luoghi incantevoli.”

“Beh, spero proprio che vorrai invitare anche i tuoi amici, così trascorreremo la

prima estate tutti insieme” si affrettò a dirmi Chris.

“Non male come idea” risposi felice della proposta.

“Quel pomeriggio alla biblioteca del college avevamo fatto quella ricerca sul National Gallery di Washington” gli dissi mentre indossava guanti e sciarpa prima di uscire.

“Sì ricordo e penso ci sia un nesso in tutto questo. Porterò una foto al padre di Jonathan per vedere se conosce questo personaggio e poi ti farò sapere” rispose baciandomi sulla fronte e abbracciandoci forte.

Quella sera tardai ad andare a letto, avevo deciso di inserire il dvd della registrazione della telecamera all’interno del lettore, prima di riconsegnare il tutto a Lucy.

Dopo alcuni minuti, intravidi un ragazzo che in maniera del tutto disinvolta si dirigeva una volta entrato nel locale, al banco del bar.

Guardai attentamente tutta la scena dato che dopo aver finito di sorseggiare il suo caffè, la telecamera mi fece vedere in tutta la sua persona Jack, il ragazzo di Helene, che con un’intesa di sguardi guardò per un istante il vecchio Brown, prima di uscire.

Decisi di pensare tutto questo a mente più lucida, forse è stata solo una casualità, così decisi di non fare lavorare più la mia mente.Spensi la luce della sala e andai

a letto.

26

Mancava poco meno di un mese a Pasqua e le prime gemme sbocciavano sui rami al Richmond Park.

Essendo il parco più grande di Londra, decisi quel pomeriggio di attraversalo con la bici da trekking city, acquistata subito dopo aver preso casa, essendo il ciclismo una delle mie tante ioni.

Le tolsi il lenzuolo sotto il quale aveva trascorso il freddo inverno, spolverandola e gonfiando le gomme ormai a terra per il disuso, salii in sella.

Attrezzata di tuta termica accesi il contachilometri e l’inseparabile iPod per ascoltarmi un po’ di musica e incominciai a percorrere le piste ciclabili poste lungo la città.

Un’immensa distesa verde tra i laghetti e piante in fiore era la giusta ricetta per trovare momenti preziosi ed unici con me stessa.

Lungo il percorso mi imbattei con alcuni daini e cervi che giravano liberi in quanto specie di animali protetti, mentre secoli fa, purtroppo, erano riserva di caccia per la casa reale.

Decisi di scendere dalla bici per sgranchirmi le gambe e per ammirare più da vicino queste creature dato non ne avevo mai avuta prima l’occasione.

Erano tutt’altro che schivi, infatti a distanze opportune si lasciavano guardare senza fuggire spaventati.

Che tenerezza osservare un piccolo cervo che a i incerti seguiva la mamma intenta a portarlo a scoprire luoghi per lui ancora sconosciuti.

Per la lontananza dalla mia famiglia un’ondata di malinconia mi travolse e composi velocemente il numero di casa.

“Ciao tesoro mio, tutto bene?” mi disse contenta mamma appena udita la mia voce.

“Sì mamma, sono trascorse poco più di ventiquattro ore dall’ultima volta che ho sentito papà, ma avevo nostalgia di voi e ti ho chiamata” risposi.

“Per le vacanze di Pasqua ti aspettiamo a casa, qui a Verona, poiché tutti sentiamo la tua mancanza,così ci farai vivere Londra attraverso i tuoi racconti”.

“Wow, è un’idea fantastica” risposi eccitata dalla contentezza.

“Il papà del tuo amico è ancora in carcere?” mi domandò preoccupata.

“Sì, ma sto cercando, insieme ad amici, di capirne qualcosa di più a riguardo.”

“Stai attenta mi raccomando, sei proprio uguale a tuo papà, andate sempre in cerca del pericolo voi due.”

“Non ti devi preoccupare, stai tranquilla, salutami tutti. Ti voglio bene, ci sentiamo domani” le risposi mandandole un bacio.Alzai la cerniera del giubbino fino al mento, indossai il berretto e mi misi nuovamente in sella respirando il profumo dell'erba dei prati appena tagliata del Richmond Park.

27

“Non capisco Laura che nesso c'è tra l'avvocato Pascuzzi e il signor Brown tanto da incolparli entrambi dell'omicidio” mi domandò il detective Spenser mentre mi trovavo al commissariato per informarlo su quanto avevo saputo in questo periodo.

“Non sto accusando ancora nessuno” obiettai. “Vede, l'avvocato era l'unico a sapere che nell'ufficio del direttore Taylor c'erano delle corde” gli comunicai.

“Sì, ma alla sera dell'inaugurazione non era registrato nella lista degli invitati” mi anticipò il detective mostrandomi la lista.

“Esatto, quindi dovrebbe aver dato l'incarico di commettere l'omicidio a qualcun altro presente quella stessa sera. Guarda caso, il signor Brown era presente all'inaugurazione.

È l'unico tra i sessanta invitati del quale non si sa nulla, perfino Taylor non lo conosceva” conclusi indicando con il dito il suo nome sul foglio.

“E per quale motivo avrebbe commesso un atto così terribile proprio lui che è un medico di Washington?” mi domandò.

“Dobbiamo prima essere certi che la corda non è stata l'arma principale del delitto” obiettai. “Abbiamo trovato impronte digitali sulla corda relative al signor Taylor” mi contrariò Spenser. “Sì, ne sono consapevole, ma chi può dire

che Sperling non fosse deceduto pochi momenti prima e che l'arma del delitto, cioè la corda, fosse stata usata in un secondo momento, per depistare le indagini?” dissi.

Il detective si alzò dalla poltroncina dietro la scrivania e si diresse verso la finestra, dove scrutava le nuvole che si muovevano, a causa del forte vento, su un cielo terso.

“Chiamerò il sovrintendente Charles della ScotlandYard.È arrivato il momento di chiedere aiuto anche a loro per indagare nuovamente, facendo riesumare la salma del collezionista per eseguire ulteriori accertamenti.”

“È la cosa più importante da fare detective” lo ringraziai per quello che stava facendo.

Appena uscita dal commissariato, guardai il cellulare e mi accorsi di avere una chiamata persa. Sul display compariva il nome di Helene, così decisi di richiamarla.

“Che bello risentire la tua voce” esclamò. “Quando siete rientrati da Cuba?”

“Ieri in tarda serata, abbiamo avuto dei ritardi con il volo, ma tutto bene, ho mille cose da raccontarti e foto da farti vedere. Che ne dici se organizziamo una cena sotto il portico di casa mia?”

“Certo è un'ottima idea Helene. Fammi sapere quando e arriviamo, un bacio

grande.”

Chiamai subito dopo Chris per informarlo della cena.

“Wow è straordinario, appena sai qualcosa di più preciso chiamami” mi riferì lui e in sottofondo sentii la voce di Jonathan che entusiasta acconsentiva anche lui.

“Perché non ci raggiungi a bere qualcosa?” mi chiese Jonathan, probabilmente aveva preso il cellulare dalle mani di Chris. Mi misi a ridere ed accettai.

28

Andai nel mio salotto e accesi il caminetto dato che il freddo continuava ad essere pungente anche ad inizio primavera.Avevo sempre desiderato averne uno perché pensavo che questo arredo desse un tocco elegante alla casa.

Misi dei tronchetti di legno nel braciere accendendoli con un solvente apposito e chiusi la porticina di vetro per evitare fumi nella stanza.

Mi preparai una buona tazza di tè, in queste situazioni mi sentivo una perfetta inglese e ciò mi fece sorridere.

Poiché avevo un po' di tempo a mia disposizione mi sdraiai sul divano e cominciai a leggere uno dei libri gialli di Donald Bain.

Solitamente leggo la sera prima di andare a dormire, per rilassarmi e conciliare il sonno. Trascorsi la serata immersa nella lettura ed era ormai tardi quando tra le righe del romanzo lessi un particolare che aveva attinenzacon l’omicidio.

Mi colpì all’istante e decisi di uscire anche se era notte.

Indossai un maglione di lana pesante, mi coprii per bene e prendendo la macchina imboccai la Strand Fleet Street in direzione dell' American Tobacco.

Speravo vivamente che quello che avevo in mente andasse a buon fine.

Data la fitta nebbia, la visibilità in quelle strade, già così prive di illuminazione, era poca ma questa situazione non mi fece demordere dal mio intento poiché anche a Verona ero abituata a questo tipo di condizione meteorologica.

La fabbrica si presentava davanti a me e parcheggiai poco distante dal cancello d'entrata aperto, con un andirivieni del personale presente a causa dei turni.

Guardai l'orologio, erano circa le dieci e mezza, la stessa ora in cui fu commesso l'omicidio.

Una sensazione strana mi avvolse.

Semi nascosta dalla nebbia mi diressi verso il magazzino carico e scarico merci dove una decina di uomini svolgevano il faticoso lavoro.

“Che ci fa lei qui?” sentii una voce possente provenire dalla mia direzione e intuii che qualcuno aveva notato la mia presenza.

“Oh, buonasera e scusate il disturbo” cercai di rabbonirlo.

“Vede, non ho visto nessuno al cancello d'entrata e ho immaginato ci fosse il via libera” continuai in maniera più disinvolta che potevo, anche se provavo tutt'altro che tranquillità.

“Cercava qualcuno?” mi domandò l'operaio in tono più gentile guardandomi sotto la luce fioca del lampione.

“Sì, vorrei sapere se questa sera è di turno il signor Jack” feci una pausa perché ricordai che Helene non mi aveva nominato il cognome del suo ragazzo.

“Sono una sua amica e dovrei parlargli un attimo.”

Intravidi nel volto di quell'uomo una smorfia di sorriso.

“Il giovane Jack, si è ficcato nei guai signorina, al rientro dal suo viaggio da Cuba il datore di lavoro lo ha liquidato.”

“È terribile, non sapevo nulla, ma per quale motivo?” cercai di capirne di più.

“Girano voci che il ragazzo abbia avuto dei giri loschi, così il capo se ne è liberato senza pensarci due volte” concluse parlandomi sottovoce come se nessuno dovesse sentire.

“Sono senza parole, comunque è stato veramente gentile e mi scusi se l'ho distolto dal lavoro.”

“Si figuri, non capita tutte le sere di vedere una così bella ragazza da queste

parti” mi disse avvicinandosi le dita sulla tempia in segno di saluto.

Arrivata a casa indossai il pigiama sperando di prendere sonno quanto prima.

Spensi la luce della bajour, mi tirai le coperte fino sotto il mento ma il mio pensiero andò subito a Jack, perché il piano che avevo escogitato purtroppo non stava andando come prevedevo.

29

Durante il tragitto verso il mio ufficio, pensai che nel tardo pomeriggio sarei ata a teatro, dove Helene faceva le prove per il musical, così le mandai un messaggio.

Volevo consolarla e starle vicino per il licenziamento del suo compagno, anche se avrei fatto finta di non sapere niente.

Aperta la porta dell’ufficio Philippe mi bloccò all’istante.

“Sai Laura, dopo questa vicenda che è successa un mese mezzo fa al museo, mi sto immedesimando nei dettagli che mi racconti. Giusto l'altro ieri ho cominciato a leggere un bel libro di Agata Christie” m’informò mentre fotocopiava delle pagine.

“Mi fa piacere, spero allora di contare sul tuo aiuto” gli dissi.

“A proposito, ieri con mia moglie dato che era il compleanno di mio figlio Mark, siamo andati tutti e tre al museo delle cere al Madame Tussauds, che tra l'altro ti consiglio.”

“Sì, vorrei visitarlo quanto prima, dicono sia strepitoso” intervenni.

“E lo è eccome, fa anche un po' paura. La guida ci ha informato che faranno una cena di beneficenza al museo dove interverranno alcuni illustripersonaggi di Londra e l'iscrizione sarà aperta anche a noi cittadini, ovviamente i posti sono limitati. Il ricavato andrà ad alcuni ospedali per bambini affetti da sindrome di Down” proseguì il mio collega.

“È meraviglioso, sicuramente parteciperò anch'io con i miei amici e grazie per l'invito.”

“C'è un piccolo particolare” mi fermò Philippe. “Tutti i partecipanti dovranno assomigliare per quanto possibile ad alcuni personaggi famosi, dopotutto siamo al museo di Madame Tussauds” mi informò.

“Wow, non sarà un'impresa semplice, ma sarà senz'altro divertentissimo” risposi sbalordita.

Nel pomeriggio andai a teatro dove faceva le prove Helene e la vidi recitare sul palco con la sua eleganza e disinvoltura, anche se era alle prime armi.

“Pausa!!” gridò lo sceneggiatore pochi minuti dopo il mio arrivo.

“Sei ancora più bella sopra quel palco” le dissi abbracciandola.

“Che bello rivederti Laura, questo musical mi sta divertendo un mondo” mi riferì Helene entusiasta.

“Lo credo bene, recitare la parte di Sandy nel musical Grease non è da tutti” le risposi complimentandomi.

“Allora raccontami del viaggio.”

“È stata una vacanza indimenticabile a Cuba, anzi aspetta che vado a prendere le foto che te ne faccio vedere alcune” disse correndo velocemente nel suo camerino.

Mi guardai attorno per ammirare la moderna costruzione di questo teatro, si odorava un profumo intenso di nuovo, di legno di parquet, di poltroncine drappeggiate di bianco, il tutto avvolto da calde luci che illuminavano il teatro.

“Eccomi” gridò la mia amica venendomi incontro. “Non voglio rubarti tutta la pausa.”

“Abbiamo mezz'ora, non ti preoccupare.”

Ci sedemmo sulle poltroncine della platea e mi raccontò tutti i luoghi che aveva visitato sfogliando quelle splendide foto.

“Pensa che un giorno Jack ha avuto l'idea di portarmi con la barca in una spiaggia dove non si riusciva a distinguere l'acqua dalla sabbia talmente questa era bianca.”

“A proposito Jack come sta?” le chiesi.

“Sta bene, lavora parecchio, ha poco tempo per noi, però mi accontento così per adesso.”

Feci il possibile per avere un'espressione normale ma evidentemente non fino in fondo.

“Tutto bene Laura?” mi chiese preoccupata Helene.

Furono istanti lunghissimi poiché non sapevo come comportarmi ma preferii dirle la verità, così le raccontai quanto avevo saputo.

“Ma è terribile, no …non posso crederci, Jack me lo avrebbe detto!” cominciò a sussultare agitandosi sul seggiolino.

“Stai calma, pensavo lo sapessi” dissi presa dal senso di colpa per averle detto tutto.

“Per quale motivo l'avrebbero licenziato? E poi che diavolo ci facevi nel suo luogo di lavoro ieri sera?” mi domandò in cerca di risposte.

“Ohhh adesso capisco, pensi che Jack sia legato a quel caso che ti sta tanto a cuore e, che stai cercando di risolvere?” mi domandò infuriata non lasciandomi il tempo di risponderle.

“Helene, non dire sciocchezze e cerca di ragionare” le dissi ad alta voce cercando di farla tacere.

“Non so spiegarti ancora nulla, ma voglio solo metterti in guardia da lui, pensi sia facile per me venire qui e dirti tutto questo?.. invece l'ho fatto perché ti voglio bene e tu sai quanto” mi sfogai vedendo che cominciava ad avere le lacrime agli occhi.

“Adesso è meglio che me ne vada” e con grande tristezza mista a rabbia la salutai.

Chiamai il detective Spenser per avere novità sulla riesumazione del cadavere.

“Volevo chiamarla domani ma lei mi ha preceduto” disse il detective, ma credevo ben poco alle sue parole.

“La scientifica di Scotland Yard ha trovato delle piccolissime tracce di droga nel corpo del collezionista andate direttamente al cervello ed evidentemente letali” mi informò tutto d'un fiato.

“La sua teoria Laura era giusta, lo strangolamento è stato messo in atto per sviare le indagini.”

“La ringrazio detective, restiamo in contatto poiché ci manca ancora un ultimo tassello.”

“Capire chi è stato non sarà semplice, ma seguirò con più attenzione i suoi consigli da adesso in poi” mi annunciò con un pizzico di ironia.

30

Dopo un lungo e rigido inverno una giornata di sole si affacciò sulla città, così presi la macchina e andai con Chris e Moira alla spiaggia più vicina di Londra, a Brighton; una delle mete preferite di villeggiatura della Gran Bretagna, essendo una stazione balneare apprezzata per il clima mite, per la rinomata vita notturna e per le numerose case in stile Regency.

“Ho proprio voglia di mare ragazzi” esclamai mentre ci stavamo avvicinando alla località.

“Sono stanca di queste giornate invernali.

Hai avuto una bellissima idea di trascorrere una domenica al mare, non mi ricordavo più che forma avesse il sole” disse Moira che aveva abbassato in finestrino della macchina, per fare entrare un po’ d’aria di mare.

Durante il tragitto in macchina ascoltammo le canzoni di alcuni miei cantanti italiani preferiti come Vasco Rossi, Fiorella Mannoia, sco De Gregori sul cd che Ilaria, una mia cara amica di Verona, mi aveva regalato prima della partenza per Londra. Feci loro la proposta del mio collega Philippe, riguardo la serata di beneficienza.

“Cosa ne pensate?”

“Ma è fantastico, prenotaci subito, rispose entusiasta Moira.

“Ottima idea, invitiamo anche Jonathan e Melissa” propose il mio amico.

“Ma non si erano lasciati poco tempo fa?” gli chiesi perplessa.

“Sì, ma ieri lei mi ha chiamato dicendomi che gli manca Jonathan, quindi questa mi sembra un'ottima occasione per farli riavvicinare.”

“Bella idea cupido” risposi guardandolo seduto di fianco a me.

Facemmo tutti e tre una lunghissima eggiata sul bagnasciuga della lunga spiaggia.

“È la prima volta che vengo in questo luogo, ma è così pieno di fascino” esclamai stupefatta alla vista di tutto ciò.

Un lungo mare con numerosi bar, ristoranti e negozi già brulicanti di gente anche a fine inverno.

Il particolare di questa spiaggia è senz'altro il West Pier, cioè il molo di Brighton dove nei primi del novecento è stato costruito un elegante padiglione in stile vittoriano, con una grande sala da concerto. Purtroppo, mi raccontò Chris, la struttura era stata incendiata per ben due volte nel corso dei secoli.

Durante la eggiata raccontai gli ultimi dettagli saputi il giorno precedente dal detective Spenser.

Tutti e due furono colpiti dal fatto che erano state trovate tracce di droga nel cadavere, causando così il decesso.

“È tutto così scioccante” pronunciò Chris, “personalmente quell'avvocato mi dà la sensazione di un tipo tanto misterioso, ha qualcosa da nascondere.”

“Effettivamente come dice il papà di Jonathan solo lui sapeva delle corde” precisai.

“Calma calma ragazzi, vi prego non parliamo di questi argomenti, almeno nel giorno di domenica abbiate un attimo di relax” ci invitò giustamente Moira.

“Ben detto, sono esausto di questa situazione” replicò lui.

“Allora dato che siete esausti a sentire le mie considerazioni sapete cosa vi dico..! Chi arriva ultimo al molo paga per tutti il pranzo a base di pesce” urlai tutto d'un fiato cominciando a correre più veloce che potevo.

Sentii le risate dietro di me e loro che correvano lungo la spiaggia.

“Un piatto di spaghetti allo scoglio per me” ordinò al cameriere Chris, guardando, con la coda dell'occhio Moira.

“Uno ai frutti di mare alla menta per me” aggiunse subito dopo lei guardandolo a sua volta.

“E rimango io, che, dopo una scommessa appena persa, gradirei un filetto di trota in crosta al basilico” dissi divertita alla cameriera del ristorante in riva al mare.

“Mi scusi, dimenticavamo un particolare, ci porti anche una bottiglia di vino bianco Camellvalley” esclamò Chris.

“Siete proprio due cretini” dissi mentre scoppiammo tutti a ridere.

31

Trascorsi la settimana cercando di capire a quale personaggio potevo vagamente assomigliare. “Penso che almeno per una sera, farò la parte di Sherlock Holmes che ne pensi?” mi disse Chris dall'altra parte del telefono.

“Ma sei geniale! Sì, penso proprio che sia un'ottima idea, anche perché hai delle somiglianze con l'attore Jude Law” replicai felice.

“E tu invece chi pensi di interpretare per una notte?”

“Ancora non lo so, ma sarà una sorpresa.”

La serata al museo delle cere Madame Tussauds arrivò velocemente.

Ci trovammo, come d'accordo, davanti all'entrata principale, dove parecchie persone stavano già entrando. Feci fatica a riconoscere i miei amici mascherati da personaggi famosi.

Fummo tutti sbalorditi appena ci vedemmo.

“Siamo a dir poco stupendi” esclamò Jonathan che, per un attimo avevo veramente scambiato per Johnny Depp poiché indossava il costume da pirata del film Pirata dei Caraibi.

“Con quel pizzetto e il trucco agli occhi sei uguale” gli dissi facendogli i complimenti per l'ottima riuscita.

“Sei una meraviglia Laura” mi rispose a tono Jonathan facendomi il baciamano.

“Con quel vestito e quel trucco assomigli un sacco a Audrey Hepburn nel film Colazione da Tiffany” disse Moira che per l'evento era una splendida Amy Winehouse con tanto di parrucca alta, rossetto rosso e quel famosissimo neo sopra il labbro.

“Sei fenomenale con quel vestito Moira, di meglio non potevi trovare, sei bellissima.”

“Ed ecco a voi arrivare Sherlock Holmes e Watson” disse a voce alta Jonathan guardando al di là della strada.

In perfetto costume londinese Chris, accompagnato da un suo amico, si diresse subito verso di me.

“Sei splendida” mi bisbigliò all'orecchio baciandomi la guancia.

Vidi arrivare poco dopo una bellissima Marilyn Monroe con parrucca bionda, rossetto rosso e con tacchi a spillo che slanciavano ancora di più la sua persona. Accompagnata da quel che potevo capire a distanza da JFK il presidente, nonché suo amante Kennedy.

“Ma siete voi?” cominciò a chiedersi Jonathan. “Esatto, siamo proprio noi” rispose divertita Helene accompagnata da Jack immedesimandosi nell'attrice che stava impersonando.

Ci fu un attimo di sguardi tra noi a dir poco imbarazzanti ma poi decisi di abbracciarla facendole i complimenti per la sua bellezza.

“Mi dispiace per quello che è successo l'altro giorno” mi rispose.

“È una serata di festa e sono contenta che sei qui con noi” le ribattei.

Dopo vari minuti di complimenti e battute varie sui relativi costumi, ci dirigemmo all'entrata del museo dato che l’aria della sera si faceva pungente.

Una erella di attori famosi, cantanti e personaggi politici di ogni genere, si dirigeva verso il salone principale e tutto ciò era lusinghiero poiché anche noi eravamo presenti e coinvolti in quest’atmosfera magica.

Sembrava tutto così irreale poter stare a contatto con personaggi famosi e condividere con loro parte della serata.

I tavoli erano rotondi di legno massiccio, ospitavano ognuno dieci persone.

Ci sedemmo al tavolo a noi assegnato in un posto strategico di fronte all'entrata. Poco più tardi arrivò il mio collega accompagnato dalla moglie. “Guarda un po', sei irriconoscibile” mi disse Philippe presentandomi sua moglie per la prima volta.

“Anche tu sei proprio buffo” risposi osservando il suo costume di cappellaio magico tratto dal film Alice in the Wonderland e all'ottimo trucco.

Pochi minuti dopo, una signora mascherata da Marie Tussauds iniziò il discorso su una piattaforma sopra il pavimento.

“Buonasera e benvenuti a tutti voi.

Vi ringrazio per la partecipazione a questo importante evento e voglio sappiate che il ricavato di questa serata andrà in beneficenza ad alcuni istituti di Londra, che ospitano bambini e ragazzi affetti da sindrome di Down; i soldi saranno utilizzati per comprare vestiario, beni primari e regali per strappare loro un sorriso.”

Un forte applauso invase la sala.

“È mio dovere essendo la padrona di casa” si udirono alcune risate nel salone, “di accennarvi un po' la storia di questo museo ormai famoso in tutto il mondo.”

“Il museo Madame Tussauds, fu fondato dalla scultrice naturalista svizzera Marie Tussauds esperta nella lavorazione della cera. Ebbene eccomi qui, sono

nata nel lontano 1761, ho qualche ruga ma mi mantengo giovane con la mia simpatia” tutti scoppiarono a ridere all’improvvisa battuta.

“Dopo aver trascorso parecchi anni in casa Curtis, come governante, pian piano imparai l'arte della modellazione della cera facendola poi diventare il mio mestiere.

Nel 1835 mi trasferii a Becker Street, dove aprii il museo delle cere e la prima attrazione, fu la camera degli orrori dove venivano esposti statue delle vittime della Rivoluzione se, assassini ed alti criminali” si interruppe con aria misteriosa.

“Poi, come voi sapete, a causa dello spazio limitato e dei costi crescenti di Becker Street, il museo fu trasferito nella sede attuale, ad opera di mio nipote.”

“Auguro a tutti voi una magnifica serata, all’insegna del divertimento” concluse la governante inglese.

“Brava!!” voci che provenivano da ogni dove accompagnate da forti applausi.

“Che simpatica interpretazione” esclamai.

Poco dopo l'inizio della cena a buffet, sul palco salì un gruppo di musicisti che suonavano musica leggera, invitando i presenti a partecipare al karaoke.

”Non mi aspettavo venisse anche Helene con Jack alla cena” riferii a Chris mentre stavamo andando verso il buffet per prendere alcune prelibatezze.

“Infatti l'ho invitata personalmente io, pensando fosse una bella occasione per rivedervi e rappacificarvi.”

“Grazie Chris, sei veramente un ragazzo speciale.”

Un Elvis Presley già alticcio per il troppo alcool fu chiamato tra una pausa e l'altra dell'orchestra a cantare e a sfoderare una delle sue performance, ed, essendo stonato come una campana, suscitò divertimento fra gli ospiti.

32

Il salone del museo era addobbato molto elegantemente, su ogni tavolo si trovavano dei candelabri color oro. Le luci delle candele infondevano nell'aria un velo di mistero, trasformando l'ambiente in un luogo romantico ed affascinante.

Tra i vari ospiti illustri notai il sindaco di Londra ed il proprietario di una nota catena alimentare londinese.

Tirai per una manica Chris, il quale si era assentato per parlare con una ragazza travestita da catwoman.

Vedendo che non mi prestava attenzione decisi di intervenire nei loro discorsi.

“Scusate se vi interrompo, ma è una cosa di estrema importanza” rivolsi il mio sguardo a Chris sperando che interrompesse la conversazione con la catwoman del momento.

“Perdonami Jane, ti vengo a salutare dopo” rispose scocciato nei miei riguardi.

“Beh, ti sembra il momento adatto per interrompermi mentre sto parlando con Jane?”

“Ma chi diavolo è quella?” gli domandai.

“È una mia ex compagna di classe che non vedevo da tempo.”

“Ha fatto la gatta morta strusciandosi addosso a te per tutto il tempo che sono andata a riempirmi questo piatto” continuai.

“Non vedo quale sia il problema” mi rispose.

“Infatti, non c'è nessun problema” ribattei cambiando discorso per non sembrare ridicola nei suoi confronti.

“Ti ho chiamato solamente perché volevo una conferma, se riesci a capire chi è quel signore seduto al tavolo con il sindaco della città.”

“Dall'aspetto mi sembra che sia lui…l'avvocato Pascuzzi” mi rispose cercando di riconoscerlo nonostante il costume che indossava e le luci che lo disturbavano.

“Già, allora avevo visto giusto.”

“Io ritorno al tavolo, ci vediamo dopo” dissi a Chris che ritornò dall’ ex compagna di classe.

Fu una serata veramente piacevole e completamente originale.

Verso la fine della cerimonia stavo per andare a prendere un dolce, quando m’imbattei in un ragazzo travestito dal cantante George Michael. “Piacere” mi disse, vestito con un perfetto smoking e assomigliando parecchio al personaggio che stava imitando.

Cominciammo a parlare di vari argomenti scambiandoci dei pareri sulla serata e, prendemmo insieme un liquore sotto gli occhi vigili di Chris che mi seguiva con lo sguardo. Trascorsi una piacevole mezz'ora con lo pseudo cantante inglese.

“Ed ecco signore e signori il nostro George Michael che canterà per noi Careless Whisper” gridò la voce di un presentatore.

“Devo andare a cantare è stato un piacere conoscerti.”

Lo vidi salire sul palco e cominciare la sua esibizione. Rabbrividii quando scoprii che la voce era identica a quella del vero cantante.

“Sì, è proprio lui in persona!” mi riferì una ragazza vicino a me. Stentai a crederci mentre tornavo al mio tavolo.

“Pensavo fosse un travestimento” notò Helene.

“A chi lo dici” le risposi e scoppiammo entrambe a ridere.

Al momento del caffè notai che Jack dopo aver scambiato qualche parola con Helene stava dirigendosi all'uscita principale.

“Spero non sia successo nulla di grave” chiese Chris ad Helene, preoccupato per la sua improvvisa assenza.

“No, non preoccupatevi si è assentato un attimo per andare in macchina a prendere delle cose.”

Guardai l'orologio, appeso sulla parete, erano le undici e mezza ate e la festa era ancora nel bel mezzo della serata.

Notai che Jonathan si era appartato in un angolo vicino alla sala e stava parlando sommessamente con Melissa, la sua ex ragazza, che era arrivata da lui dopo essersi liberata del suo attuale compagno. Era veramente bella, forse un po' più grande di lui, io la conoscevo solo di vista, dato che si erano lasciati poco prima del mio arrivo a Londra. Jonathan me ne aveva sempre parlato e aveva anche sofferto molto per la loro separazione, dovuta alla relazione che lei aveva iniziato con un altro ragazzo, ma da come procedeva la conversazione le cose tra loro sembravano andare per il verso giusto.

Nonostante l'entusiasmo per la bella serata percepivo qualcosa di strano nell'aria, capivo che eravamo vicini a risolvere il caso che mi stava a cuore, dovevo solo trovare il momento giusto per svelare quanto avevo scoperto.

Lo riferii a Chris che aveva anche lui questa sensazione. Guardammo la tavolata e ci accorgemmo dell'assenza prolungata del ragazzo di Helene.

“Meglio se prendiamo cappotto, sciarpa e andiamo a vedere” dissi a Chris che aveva intuito cosa avessi intenzione di fare.

“Arriviamo subito ragazzi, ci assentiamo un attimo” comunicò il mio amico con molta disinvoltura.

Arrivammo all'uscita del museo e ci facemmo mettere un timbro sul dorso della mano per poi rientrare senza problemi.

“Dobbiamo fare finta di niente, stiamo cauti. Forse è meglio che ci dividiamo, tu vai in quella direzione” cominciai.

“Ok, stai attenta Laura tengo il cellulare nel caso ci fossero problemi” mi rassicurò Chris cercando di non farmi notare la sua preoccupazione.

Finsi di fare una eggiata intorno all'edificio e, l'aria devo ammettere, non era delle più miti, dato che il vento cominciava ad alzarsi e con sé anche le foglie sul marciapiede.

Sentii delle voci poco distante da me e notai Jack che stava parlando con un ragazzo che non riuscivo a riconoscere, perché mi girava le spalle.

Cercai quindi di captare i loro discorsi stando nascosta alla loro vista.

“È da mezz'ora che aspetto qui fuori” disse spazientito il giovane.

“Prima non potevo con tutta quella gente alle calcagna” rispose Jack consegnando al ragazzo una bustina di polvere bianca, in cambio di denaro, mentre quest'ultimo la intascava guardandosi attorno sicuro che nessuno li stesse osservando nella semi oscurità della strada.

Le gambe mi cominciarono a tremare, avevo timore di essere scoperta.

Non potevo chiamare Chris, avrebbero sentito anche solo uno spostamento del mio piede, poiché il posto era immerso nel più totale silenzio.

Avevo immaginato giusto, Jack spacciava droga e questo l'avevo capito quando ero andata alla fabbrica dove lavorava.

Ma non era il momento per pensare dovevo solo scappare via per non mettermi ulteriormente nei guai.

“Miaooo” un miagolio emesso da un gattino che faceva le fusa sulla mia gamba in cerca di cibo attirò la loro attenzione.

“Sschhh piccolino” ma tutto fu inutile, i due si girarono di scatto e si accorsero di me.

Mi vennero incontro a gambe levate poiché Jack mi aveva subito riconosciuta.

Cercai di correre più in fretta che potevo, ma un braccio mi afferrò facendomi cadere a terra.

“Lasciatemi!!” gridai con tutto il fiato che avevo in gola.

“Stai buona, non ti faccio del male” mi bisbigliò Jack.

“Devi solo non impicciarti degli affari altrui e non ti farò nulla” continuò con il fiato sul collo mentre cercavo di alzarmi da terra.

“Lasciala andare” urlò Chris dietro alle sue spalle. “E chi è questo pazzo mascherato da Sherlock Holmes?” lo accerchiò il complice di Jack bloccandogli le braccia, mentre Chris cercava di divincolarsi.

“Portiamoli via” disse Jack rivolto all'amico mentre una macchina, sgommando, sbucò dall'oscurità del viale alberato.

Le sirene della polizia si materializzarono sulla strada all'inseguimento della macchina in fuga.

“Voi non li portate da nessuna parte!” una voce agghiacciante arrivò da dietro di noi.

33

Il detective Spenser arrivò al momento giusto, scortato da due uomini della polizia.

“Ma come facevate a sapere che eravamo qui?” dissi a Spenser con un filo di voce ancora tremante.

“Li ho chiamati io, ho intuito che la situazione prendeva una brutta piega” mi rassicurò Chris.

“Sei il migliore” gli risposi abbracciandolo forte ancora presa dalla paura e guardandolo intensamente negli occhi.

La gente cominciò a radunarsi attorno a noi per capire cosa stesse succedendo.

Il detective ammanettò i due per portarli alla centrale.

“Non sono stato io ad uccidere quel collezionista” mi disse Jack guardandomi fisso negli occhi.

“Jack!!” gridò piangendo Helene, ancora incredula per tutto quello che stava accadendo.

“Mi dispiace amore mio, l'ho fatto per noi” le rispose con voce straziante.

Ci dirigemmo all'interno del museo e la polizia ordinò che nessuno uscisse senza il loro permesso.

Il detective ci portò in una sala, dove ci sedemmo tutti attorno ad un grande tavolo di legno con il piano di marmo.

Il salone doveva essere adibito a riunioni dato l’eleganza di affreschi sui soffitti e l’importanza dello stile dell’arredo.

Un istante più tardi arrivò un secondo agente che aveva inseguito la macchina in fuga.

Subito dopo, vidi entrare nella sala, accompagnato da due poliziotti, il signor Brown, il quale venne ammanettato e fatto sedere vicino ai due spacciatori.

“Questo è il signore che abbiamo inseguito mentre si dava alla fuga” riferì un poliziotto al detective.

“Mi devi dare delle spiegazioni” si rivolse Helene infuriata verso il suo fidanzato.

“Esatto, siamo qui per questo signorina” le rispose il detective cercando di sollevarla sotto il braccio per farla accomodare.

“Spacciare droga è illegale” iniziò Spenser.

“Ce ne sono di persone come voi che inquinano la città.”

“Arrestatemi pure cosa aspettate?” s’irrigidì l'amico di Jack.

“lo faremo, non si preoccupi.”

“Questa sera una ragazza stava per essere aggredita da due delinquenti come voi” alzò la voce il detective.

“La conosco, non le avrei mai fatto del male” disse Jack con un basso tono di voce.

“Jack, abbiamo il diritto di capire il motivo di tutto questo, Helene per prima” dissi alzandomi dalla sedia.

“Volete sapere perché spaccio eh, lo volete sapere?” cominciò a dire alzando la voce.

“Per soldi e per cosa altrimenti!!”

“E lei signor Brown perché è fuggito a tutto gas, quando la polizia ha scoperto i due ragazzi?” lo interrogò Spenser.

“Ve l'ho detto, non c'entro nulla con loro, ditelo anche voi che non mi conoscete” urlò Brown ai due ragazzi.

“Io penso che c'entra e non poco” esclamai.

“Sapeva della nostra partecipazione alla serata di beneficenza e ha ingaggiato ancora una volta Jack.”

“Che razza di diceria sta blaterando questa ragazza?” si innervosì il signor Brown.

“Ha ingaggiato il ragazzo, suo complice, per uno scambio di droga con Jack, poiché sapeva che a questa festa avrebbe partecipato il figlio del direttore del National, nonché l'attuale incolpato del delitto, ed io.

Persone che stanno a tutti i costi cercando di risolvere il caso dell'omicidio di Paul Sperling.”

34

Qualcuno bussò alla porta e ci distrasse tutti per un attimo. Un uomo della polizia di Scotland Yard entrò e si diresse da Spenser.

“Il contenuto della bustina spacciata dal ragazzo è lo stesso trovato nel corpo del collezionista” comunicò il poliziotto in borghese.

“E questo spiega tutto. Avete progettato un perfetto incastro con questo medesimo scambio di droga signor Brown, non c'è che dire” cominciai decisa.

“Un tipo di droga non comune e non commercializzata ovunque, quindi se si fosse trovato lo spacciatore il cerchio si sarebbe ristretto incolpando sempre di più il trafficante, quindi in questo caso Jack.”

“Voglio la presenza del mio avvocato non dirò una sola parola in questa insulsa ed inutile conversazione” blaterò Brown.

“Sì, ottima idea chiamate pure il suo avvocato Pascuzzi dato che è presente anche lui alla cena e, se non erro caro signor Brown, quel giorno in Cornovaglia lei era nello studio dell'avvocato” dissi notando il suo sguardo stupefatto.

“Vecchio stupido, ti conviene parlare al più presto se non vuoi metterci tutti nei guai, noi non c'entriamo nulla con quell'omicidio” lo incitò chiaramente Jack sconcertando tutti.

“Io, insieme al professor Chris ci siamo informati ed effettivamente questa droga, che ha effetti letali, anche a piccolissime dosi, si trova soprattutto a Cuba. Questo spiega anche il motivo del soggiorno della vostra vacanza, ovviamente pagata dal signor Brown.

Purtroppo, come tu ben sai Jack, non è andato tutto liscio perché mischiando la droga con il tabacco e nascondendola al lavoro, all'interno di alcune casse, il tuo datore ti ha scoperto e ti ha improvvisamente licenziato” lo smascherai.

“A me i soldi servivano, ho solo fatto da tramite!”gridò il ragazzo.

Guardai per un attimo Helene ancora in lacrime, mentre provava tristezza mista a rabbia nei confronti del suo compagno.

“Stai straziando di lacrime la tua fidanzata Helene, hai rovinato la vita a mio padre, che sta scontando in carcere una pena che non ha commesso, deciditi a parlare prima che lo faccia io con la forza!” gridò Jonathan pieno di collera.

“No Jonathan, non è stato Jack ad asse il collezionista” lo tranquillizzai.

“Perché, signor Brown, ha ucciso lei il dottor Sperling la sera dell'inaugurazione del quadro di Monet?” gli domandai sconvolgendo le persone presenti nella sala.

“Cosa?? per quale motivo mi sta accusando” dichiarò il signor Brown mentre si stava dirigendo verso l'uscita.

“Non hai più scampo vecchio George, ti conviene dire la verità e sarà meglio per tutti o sarò costretto a cominciare io” esclamò l'avvocato Pascuzzi alzandosi dalla sedia.

“No, tu non sai niente mafioso che non sei altro” cominciò ad insultare Brown.

“Vede detective, Laura e Chris sono venuti nel mio studio in Cornovaglia per capire qualcosa di più in merito alla carcerazione del dottor Taylor, nonché mio cliente, ma non volevo svelare nulla ai due ragazzi, perché mi sembrava prematuro. Ma ora siamo tutti qui e la signorina Laura ha scoperto prima di noi il vero colpevole” si pronunciò l'avvocato.

“Vedete” disse rivolgendosi ai presenti “il signor Brown è di Washington, rivale del collezionista newyorkese Sperling.

Aveva contrattato con lui fino all'ultimo dollaro per non vedere quell'opera d'arte rinchiusa in un museo.”

“Mio padre ha sognato quel quadro tutta la vita” diventò rosso in volto dalla furia Brown.

“Le conviene dirci tutta la verità in merito all’omicidio di Sperling, non ha più via di scampo” disse faccia a faccia il detective con il medico di Washington.

“Subito dopo la guerra mio padre per essere certo di portare con sé il quadro di

Monet, fece il viaggio via mare da Londra a New York, ma il padre di Sperling avendo più risorse finanziarie distrusse il suo grande sogno comperando lui l’opera” iniziò Brown sconfitto con tutta l’attenzione di noi presenti nel salone.

“In punto di morte, mio padre, mi disse di non avere rancori con nessuno perché quel dipinto aveva il diritto di restare in casa Sperling.

“Non volevo seguire le orme di mio padre diventando un noto esperto d’arte, m’indirizzai alla facoltà di medicina, non volevo avere legami con questa ione” disse con un nodo alla gola il medico di Washington.

“Quando ha saputo che il figlio del signor Sperling, dopo la morte di suo padre avvenuta pochi anni fa, voleva donare il dipinto al National Gallery di Londra lei ha deciso di ucciderlo” spiegai ai presenti.

“Dovevo seguirlo, ho avvelenato io quell'uomo mettendo nella sua pipa quella droga mista a tabacco, l’ho portato un attimo fuori dal museo nella prossimità del aggio segreto esterno, con la scusa di fumarci un buon sigaro, sapevo che gli effetti sarebbero stati istantanei, così vedendolo accovacciarsi lo trascinai all’interno del cunicolo trasportandolo fino alla stanza del direttore.

Un senso di riscatto nei confronti di mio padre, non sopportavo l'idea che fosse morto senza avere la sua rivincita” confessò straziato preso dall'ira.

Il detective Spenser si alzò dalla sedia “un momento, quindi la corda l’ha usata in un secondo tempo per fare depistare le indagini uccidendolo una seconda volta.”

La testa del colpevole annuì.

“Mi dispiace per il direttore Taylor ma non avevo altra scelta” continuò l’affranto colpevole.

“Avevo saputo della presenza di questi aggi segreti tramite dei chip che avevo inserito in alcune stanze del museo. Tutto questo per avere il tempo di studiarmi tutto il piano.”

“A differenza sua, signor George Brown, suo padre era in pace con se stesso e spero che un giorno anche il buon Dio avrà comione di lei” concluse Chris guardandolo severo negli occhi.

Uscimmo dalla sala tutti frastornati ma contenti che la verità fosse uscita dalla bocca del colpevole.

Gli invitati ora potevano lasciare il museo e ritornarsene a casa, ma molte persone volevano sapere qualcosa di più sull'accaduto.

Fu compito della polizia dare le ulteriore spiegazioni.

Le espressioni sconvolte ed incredule dei nostri volti, dopo quella serata, rimarranno impresse nella mia mente.

Vedemmo ammanettare il signor Brown, il ragazzo complice dello scambio di droga ed il giovane Jack.

“Ti amo Helene” queste erano le uniche parole che il ragazzo riuscì a dire davanti alle lacrime della sua fidanzata.

“Hai sbagliato Jack, ma noi siamo pronti a perdonarti appena uscirai dal carcere”, risposi a nome di tutti i miei amici ancora increduli di quanto appena accaduto.

Il cielo era ricco di stelle come non ne avevo mai viste prima in questa splendida città, e al contempo avevo un velato desiderio di essere trasportata magicamente nel mio appartamento, per togliermi quanto prima quel costume che oramai non sentivo più mio.

35

Erano trascorse ormai due settimane.

Il padre di Jonathan venne scarcerato e poté riabbracciare la sua famiglia.

Helene ed io ci unimmo ancora di più nell'amicizia, situazione che pensavo non fosse più possibile.

Jack, invece amava veramente Helene, ma aveva intrapreso una strada sbagliata e per questo doveva scontare un po’ di anni in carcere.

L'avvocato Pascuzzi benché avido di soldi, aveva fatto la sua parte, aiutandoci a scoprire la verità. Ci aveva promesso che nel nostro prossimo viaggio in Cornovaglia ci avrebbe ospitato nella locanda di sua sorella Margareth. E perché no, in fondo quella signora era proprio simpatica.

“E la pipa secondo te come mai nessuno è riuscito a ritrovarla?” mi chiese Chris mentre eggiavamo per le animate vie di Oxford Street traboccanti di luci.

“Secondo il detective l'avrà buttata chissà da quale rupe.. anzi, adesso che ci penso bene, forse l'avrà gettata in una delle scogliere durante il tragitto per raggiungere lo studio dell'avvocato, attraversando le coste sud dell'Inghilterra” risposi.

“Già, a questo non ci avevo ancora pensato” ribatté il mio amico ridendo appoggiandomi il suo braccio attorno alle spalle.

La primavera era ormai cominciata e raggiungevo l’ufficio in bicicletta attraversando Hyde Park e respirando i profumi dei fiori.

“Buongiorno a tutti.”

“Buongiorno a lei signor Scott.”

“Laura, ieri pomeriggio mi ha contattato la redazione poiché quest'estate dovrà effettuare un servizio fotografico con tutta la nostra troupe nell'incantevole arcipelago delle Bahamas.

Verrei volentieri anch'io in quel luogo paradisiaco, sono sincero, ma a causa dei precedenti impegni presi purtroppo non posso” mi riferì il mio principale.

“È un'opportunità fantastica, attendo tutti i suoi dettagli” risposi entusiasta della proposta.

Ma quello che mi stava più a cuore, in quel momento, era di rivedere e riabbracciare la mia famiglia e le vacanze per la festa di Pasqua erano finalmente arrivate.

La sera prima della mia partenza organizzai una cena tra amici per ringraziarli

del loro prezioso aiuto.

Preparai per quell’occasione il mio piatto forte.

Spaghetti alla carbonara e tagliata di manzo con rucola e grana all’aceto balsamico.

Mi scusai ancora una volta con Helene per quanto era successo. Ringraziai per la disponibilità e l'aiuto che mi avevano offerto Moira e Lucy, dandomi le registrazioni delle telecamere del locale.

“Ho rischiato di essere licenziata, ma per gli amici questo e altro” mi confessò Moira mentre sorseggiava il suo vino preferito che le avevo comprato per l’occasione.

Condividemmo, con la presenza di Jonathan, la felicità della scarcerazione del padre, ancora incredulo di quanto accaduto.

Ovviamente non poteva mancare Chris, che, avendomi sopportato ed aiutato in tutte le mie ricerche, si fumava un meritato sigaro intrattenendo tutti noi, che ridevamo alle sue battute di alcuni aneddoti.

Il distacco di quella fine serata fu assai più duro di quanto immaginavo.

“Fai buon rientro in Italia Laura, non dimenticarti di noi” mi disse Moira

abbracciandomi prima di uscire.

“Ritorna presto, mi raccomando” mi salutò Helene. Le lacrime cominciarono a bagnarmi il viso mentre cercavo di trattenerle.

“È giusto che ritorni un po’ dalla tua famiglia, ma ricordati che anche qui hai delle persone che ti vogliono bene” mi strinse forte a sé Jonathan e sentii la sincerità nelle sue parole.

“Adesso ragazzi andiamo a dormire che è tardi” si affrettò a dire Helene immaginando che io e Chris volessimo rimanere da soli.

Un’ondata di malinconia mi prese quando si voltarono tutti insieme per salutarmi un' ultima volta, incamminandosi per il viale verso le loro macchine.

“È meglio che tu vada a risposare, domani dovrai alzarti alle prime ore dell'alba dato che il volo parte presto” mi disse Chris rimasti io e lui sulla soglia di casa.

“Mi mancherete tutti.”

“Sono solo una ventina di giorni poi ci rivedremo” mi rassicurò.

“Portami dall’Italia qualcosa di buono, sai che sono un buongustaio.”

“Sì, senz’altro, penserò cosa regalarti” gli risposi ridendo.

Lo vidi uscire dal cancelletto del cortile e con un nodo alla gola chiusi la porta di casa.

DIN DON sentii il camlo pochi istanti dopo suonare nuovamente alla porta. Andai ad aprire.

“Scusami ma sono un perfetto idiota, mi stavo dimenticando di darti questo” mi disse Chris porgendomi una scatoletta quadrata avvolta in una simpatica carta regalo tutta colorata.

“Promettimi che la aprirai solo quando sarai salita sull’aereo” m’ informò.

“Ok, mi devo preoccupare?” risposi sorpresa, “lo sai che sono curiosa e aspettare fino domani per aprire questo regalo non sarà semplice, ma ci proverò.”

“Allora, buon viaggio e rilassati in Italia, mi mancherai.”

“Mancherai anche a me” risposi guardandolo negli occhi. Non ebbi il tempo di pensare che mi sfiorò il viso con le sue mani e mi baciò dolcemente.

“I eggeri per il volo British Airways 572, sono pregati di imbarcarsi presso il gate 10” avvisava la voce squillante di una donna all’altoparlante dell’Aeroporto di Gatwick.

Attraversai il lungo corridoio per raggiungere la zona imbarchi.

Mentre guardavo le luminose vetrine dei negozi comperando gli ultimi regali che mi rimanevano da fare, mi venne una certo languorino e decisi quindi di mangiarmi un trancio di pizza farcito.

Amo viaggiare con l’aereo perché ogni volta che decollo su quelle ali, provo un senso di estrema libertà.

Poco dopo decisi di aprire il regalo di Chris tanto ero incuriosita.

Rimasi entusiasta e felicissima quando vidi tra le mie mani un nuovo i pod con un bigliettino.

“Sapevo tramite Moira che il tuo era rotto così ho pensato di regalartelo, ti ho messo anche un po’ di musica così le ore di viaggio ti eranno più velocemente. Bacio Chris.”

Regalo azzeccato, pensai tra me entusiasta del dono appena ricevuto.

Mi accorsi, tra le varie edicole presenti in aeroporto, che sul quotidiano TIMES in prima pagina, era presente la mia foto mentre i giornalisti mi intervistavano all'uscita del National Gallery, subito dopo l'arresto del dottor Brown, fotografato ammanettato e scortato dalla polizia nel riquadro più in alto.

Non tardai nemmeno un secondo che ne acquistai subito una copia.

SVELATO L'INTRIGANTE MISTERO DELLA MORTE DEL COLLEZIONISTA NELLA PIAZZA DI TRAFALGARE SQUARE.

A soli pochi mesi dall'uccisione del noto collezionista Paul Sperling al terzo piano del sontuoso museo del National Gallery, si è arrivati ad individuare il colpevole di tale delitto, grazie anche all'aiuto della giovane giornalista Laura Marshall.

Cominciai a leggere la mia intervista.

"C'è stata un'intensa collaborazione tra me e la polizia di Londra, studiando ogni piccolo dettaglio abbiamo capito che il dott George Brown di Washington, avesse coinvolto i due ragazzi, facendo spacciare droga proprio in quella serata e facendo ricadere su di loro una colpa non commessa, per fare deviare il più possibile ogni traccia da se stesso.

Ma in questo modo il ragno si é intrappolato nella sua stessa tela."

"Papà, è lei la ragazza della foto sul giornale?" domandò un bambino indicandomi a suo padre, mentre stavo leggendo il quotidiano, seduti a fianco a me nella sala imbarchi.

"Sí, sono io" risposi al bambino cominciando a raccontare brevemente alla

giovane famiglia quello che mi era successo.

"Abbiamo seguito tutta la vicenda e siamo contenti che la giustizia abbia fatto il suo corso" mi rispose la mamma entusiasta di questo incontro.

"Ma quando arriviamo a Verona andiamo subito a vedere il balcone di Giulietta" ci interruppe nei discorsi il piccolo, impaziente di salire sull'aereo.

Sorrisi a tutti e tre “ė una bellissima città Verona, vedrai ti piacerà un mondo” gli risposi accarezzando i ricci biondi del piccolino.

“Abiti a Verona?” mi domandò la mamma sentendo il mio accento italiano.

“Sì, però adesso vivo a Londra per lavoro da un po’di tempo” spiegai.

“Allora avremo modo d’incontrarci” continuò lei. “Certo” risposi io immaginando già il posto dove avrei potuto portarli a degustare uno dei piatti tipici della città.

“Buon viaggio” dissi uscendo dalla navetta che ci aveva accompagnato alla pista di decollo.

“Buon rientro anche a te, e grazie per l'aiuto che hai dato alla nostra città” mi risposero i due genitori.

Il cielo quella mattina era di un azzurro e il sole ci avvolgeva scaldandomi da quel lungo e rigido inverno.

Salii la scaletta che portava all’ingresso dell’aereo e prima di entrare mi voltai per un attimo, pensando che tra poche ore avrei riabbracciato la mia famiglia. Sorrisi tra me guardando il cielo, del resto è sempre così, in qualunque parte del mondo io mi trovi.

THE END

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