Indice
INTRODUZIONE PRIMO CAPITOLO SECONDO CAPITOLO TERZO CAPITOLO QUARTO CAPITOLO CONCLUSIONE
Titolo | Sulle orme di sco D'Assisi
Autore | sco Primerano
ISBN | 9788891154781
Prima edizione digitale: 2014
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
[email protected]
www.youcanprint.it
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio,
commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun
modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.
Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce
violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà
sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto
dalla legge 633/1941.
INTRODUZIONE
Qualunque discorso sulla Cronaca impone il tentativo di una collocazione di essa nel suo tempo: una determinazione delle intuizioni, degli atteggiamenti, delle finalità, dell'ottica con cui Salimbene osserva e scrive.
L'interesse della storiografia è stato costante verso la Cronaca, ma ha conosciuto nel nostro secolo alcuni momenti di particolare intensità stimolato da ricorrenze e dalla pubblicazione di edizioni critiche, di traduzioni e quindi di studi vari.
La storiografia salimbeniana segue ovviamente l'evoluzione del concetto di Medioevo ed è quindi una storiografia “aperta” per niente ad orientamento univoco e definito.
Fra la vastissima gamma delle antologie , le problematiche più importanti ai fini del tema sono - medievalismo o modernità di Salimbene? Religiosità tradizionale o laicismo progressista? Mondanismo rozzo ed incolto?
od artistocraticità colta e cortese? Valori laici o valori scani?
I sostenitori della medievalità della Cronaca sono tra gli altri il Momigliano e lo Scivoletto, della modernità,Violante, Turchi, Capitani.
Le varie posizioni sono strettamente connesse ai motivi ispiratori della Cronaca di cui si tratterà diffusamente nel lavoro e che qui si cita schematicamente:
a) vocazione narrativa: narrazione per il gusto di narrare con forte componente autobiografica.
b) raccolta di exempla 1) ad uso di tutti, in quanto ogni evento invita a meditare sulle virtù e sui vizi dell'uomo (fine etico-didattico); 2) ad uso del clero e dei predicatori .
c) il desiderio di tramandare la memoria storica (fine storico, religioso, e/o politico).
Il dibattito ha dato luogo ad una larga gamma di interpretazioni, da quelle categoriche ed antinomiche a quelle moderate e sincretiche; esso ci interessa, soprattutto per misurare il valore e il significato storico e politico della Cronaca.
I critici sono tutti d'accordo nel considerare la Cronaca come il più vasto e originale affresco del Duecento, brulicante di figure umane, grandi e minime, descritte con fresca e loquace semplicità, in un latino di eccezionale comunicativa ed espressività, vivo e mimetico, in perenne movimento fra la solennità biblica e profetica e la minuta cronaca quotidiana.
Tutti d'accordo che la Cronaca sia la fonte più preziosa per la storia, non solo italiana, del secolo XIII. Ma il problema è come interpretare tale quadro e tale fonte, problema che a tutt'oggi non ha trovato molte soluzioni convergenti e che si pone e si deve riproporre ogni qualvolta si affronta l'analisi di un qualunque risvolto della Cronaca.
Qualsiasi interpretazione non può prescindere, infatti, dalle convinzioni dell'autore rispetto al concetto di storia e di Cronaca, dal suo atteggiamento politico e religioso, dai fini che si propone. Si tratta, insomma, di tentare di individuare, l'angolo prospettico dal quale Salimbene si è posto nello scrivere questo testo per molti versi sorprendente, il che non è facile data la personalità complessa di Salimbene uomo, religioso e scrittore.
Intento di questo volume è quello di affrontare una lettura della Cronaca dall'angolatura degli eventi e dei risvolti civico-politici.
Tenendo presente la concezione della storia in Salimbene, la sua personalità, la destinazione della Cronaca, il ruolo dell'individuo in essa, si procederà ad una lettura “politica” della Cronaca prendendo in esame le grandi istituzioni dell'epoca: Impero e Chiesa, in particolare la vivace quanto complessa realtà comunale.
CAPITOLO PRIMO
LA CONCEZIONE DELLA STORIA IN SALIMBENE
Mancano del tutto altri scritti ed altre testimonianze; l'unica fonte per definire la coscienza storiografica di Salimbene è la Cronaca. Essa peraltro ci è pervenuta mutila delle prime 207 carte: manca quindi la carta 100 che, per riferimento autografo dello stesso Salimbene, svolgeva l'interessante concetto “ad quid valeat Chronica”.
E' da credere che nelle prime carte, come era d'uso per opere di così vasta mole, si trovasse anche il prologo generale.
Comunque da una lettura attenta della Cronaca risulta alquanto chiara in Salimbene una concezione provvidenziale, dogmatica ed allegorica della storia sostanzialmente coerente col pensiero medievale.
Non si trova però in alcuna parte della Cronaca una esplicita elaborazione dottrinaria di tale concezione che viene data per scontata. D'altra parte il discorso dottrinario esula, oltre che dal tipo dall'opera propria, dalla mentalità di Salimbene che è uomo e scrittore affascinato dai fatti nel loro compiersi più che dalle relazioni fra di essi. In questo, come si vedrà, è spirito propriamente scano. Così scrive Stanislao da Campagnola. “Lo stesso concetto che Salimbene ha della storia come attuazione di un disegno provvidenziale, non solo non è da lui approfondito e ripensato in modo personale al punto di divenire il principio animatore essenziale della sua esposizione e dei suoi giudizi, ma s'intravede chiaramente che esso fa parte di un comune patrimonio d'idee, accettato ivamente senza preoccupazioni di nuove verifiche. Se il cronista avesse compreso e avesse tenuto fede ai suoi principi dottrinali, ci
avrebbe dato senza dubbio un'esposizione oggettiva dei fatti con il solito commento di tipo moralistico, ma in una inevitabile freddezza personale, anziché mettere in primo piano quelle sue simpatie che tanto vigore danno alla sua opera”.
Il provvidenzialismo è dunque richiamato come ovvio. Ogni evento è riferito come premio, e più spesso, come punizione divina.
Lo Scivoletto a riguardo nota:
“Quasi completamente privo di profondità spirituale, infatti egli non sa abbracciare complessivamente il fatto storico, né sa valutare la portata storica di un avvenimento nel corso della civiltà umana”. Questo lo assolve spesso, per fortuna non sempre dall'impegno della ricerca e dall'analisi delle cause dei fatti sempre considerati come intervento, appunto per lo più punitivo, di Dio. Da ciò l'avvicendarsi delle vittorie e delle sconfitte dei popoli e degli uomini.
Questa concezione spiega i riferimenti biblici che riempiono, si può dire di ogni pagina della Cronaca. Secondo un modello biblico, egli concepisce la storia come lo snodarsi collegato di fatti originati dalla volontà divina.
Volontà creatrice, programmatrice ed ordinatrice, per cui nessun evento umano può essere considerato fortuito o accidentale, ma per quanto piccolo e senza rilievo, diretta conseguenza dell'imperscrutabile copione scritto da Dio. E poiché la volontà divina è sempre diretta al bene spirituale dell'uomo singolo o comunità, per ogni avvenimento Salimbene sente il dovere di ritrovare una remota ragione positiva. Ma bisogna dire che tale concezione provvidenziale non rende monotona e sciatta la storia facendole perdere dinamismo e vivacità. L'interesse di Salimbene è per il fatto singolo nella sua vivacità come dell'evento complesso nelle sue sfaccettature più minute e caratteristiche, segno di una
capacità istintiva di Salimbene di catturare più che le cause, gli aspetti vivaci e vitali di ciò che narra.
“La Cronaca” è il compendio di tali esperienze, e la fitta rete di inserti, rinvii, accostamenti dottrinali da cui è attraversata, ci piaccia o no, sappia di libresco e erudito, o persino pedante, ne è indispensabile corredo, in questo esprime componenti essenziali delle culture del tempo largamente assimilate dal nostro frate da essere entrate nel suo modo di pensare, di argomentare, di comporre.
Ciò che a prima vista può apparire arbitraria intersezione di piani, o banale giustapposizione, o meno artificio, acquista con tale presupposto una fisionomia ben diversa, un'autentica motivazione.
Pur senza alcuna esplicita trattazione dottrinaria innovativa, Salimbene finisce per proporre come protagonista di ogni evento l'uomo nella sua singolarità e vivacità.
La concezione provvidenziale della storia era ormai, già al tempo di Salimbene, anche se certamente non negata posta in crisi e ridimensionata dall'avanzante umanesimo della rinascita e dell'età dei comuni.
San Tommaso e lo stesso Dante avevano assunto posizioni chiare nel dibattito tra predestinazione e libero arbitrio. Salimbene non partecipa al dibattito ma ne accoglie la sostanza, non delinea alcun quadro organico e perciò nella Cronaca non generalizza né fa grandi affreschi storici.
Gli eventi importanti della storia ufficiale vengono qua e là riferiti senza particolare rilievo e solo di rado adeguatamente valutati, anche perchè, proprio
per la sua vocazione al particolare, gli sfugge il significato globale di essi. Tutto questo consente a Salimbene una larga indipendenza di giudizio e la continua presenza nella Cronaca.
Salimbene vive nel suo tempo di cui assimila certo i nuovi orientamenti.
Così nella Cronaca c'è un progetto narrativo che ci indica che la “Cronaca”tende a spostarsi verso la “Storia”. Ma sembra azzardato affermare che Salimbene esprima consapevolmente il nuovo senso della storia. Si può dire piuttosto che Salimbene da scano, assimila lo spirito neo-umanistico del scanesimo, di cui esprime anche i nuovi orizzonti culturali. Ma rispetto alla concezione della storia egli ha ancora idee e forme tradizionali e pertanto la sua cronaca non è certamente “storia”.
CAPITOLO SECONDO
SALIMBENE E LA CRONACA
1. I fatti e gli elementi della Cronaca.
Salimbene è il cronista degli eventi quotidiani.
Il suo criterio guida è quello generalmente enciclopedistico ma gli eventi sono scelti in relazione ai fini che egli si propone.
In tal senso si può dire che egli abbia la vocazione della Cronaca nel senso moderno del termine della narrazione, cioè del fatto assunto nella sua singolarità per una finalità che sembra essere in pari misura - storica e letteraria. In un certo senso fu proprio il scanesimo ad aiutarlo in questa vocazione di cronista in quanto, distaccandolo da quelli che potevano essere gli ideali astratti oppure particolaristici della storiografia medievale, lo abituò all'osservazione diretta e serena di una realtà varia e molteplice. E concedendogli un'ampia libertà di movimento, lo mise nelle condizioni di rendersi conto personalmente di tanti fatti e delle loro cause. Salimbene ha girato molto e visto molto ed ha, si può dire, il fiuto del fotoreporter, di fissare momenti particolari, di disegnare rapidamente profili, di indicare personalità che sembrano le più disparate e senza nesso ma che poi si compongono sempre in quadro narrativo. Perciò fu eminentemente scrittore di Cronache. Ne scrisse diverse anche se purtroppo a noi ne è pervenuta una sola. E' convinto inoltre di averle scritte “ottimamente”, come è convinto della sua perizia nella scienza della storia e della sua capacità di emendare i testi ai quali attinge.
Del resto ribadisce che la memoria storica è necessaria “E dato che sono cose degne di essere riferite io ho il dovere di scriverle perchè di questo sono stato pregato da molti, non è bene che restino nascoste a causa del mio silenzio, ma è bene vengano scritte per la generazione successiva e il popolo che verrà loderà il Signore”.
Il fine è sempre religioso per la glorificazione del Signore. Ma c'è anche il fine dell'utilità che la storia può recare agli uomini sia per la conoscenza degli eventi sia delle persone cattive che di quelle buone. Una scelta preziosa e motivata è quella del metodo annalistico.
“Se qualcuno domanda perché le cose che riguardano i Tartari io non le abbia raggruppate insieme, dico che le cose avvenivano in successione di tempo e io le raccontavo, man mano che mi venivano riferite. E per questo è stato necessario che io le raccontassi ora trattando di un anno, ora di un altro secondo che gli avvenimenti succedevano e secondo me ne poteva pervenire notizia.
Allo stesso modo ha fatto Mosè nei suoi libri. Infatti non ha messo tutto insieme quello che riguardava i sacrifici e le oblazioni, ma in tempi successivi, secondo che gli diceva il Signore e nel frattempo inseriva altre narrazioni”.
Questo metodo (che è poi quello tradizionale della cronistica medievale) qui assume un significato particolare perché si tratta per lo più di eventi vissuti o quanto meno osservati da Salimbene, e narrati man mano che accadono nella successione cronologica. Il che conferisce alla narrazione un senso straordinario di attualità, di vivacità e di verità.
Egli peraltro è preoccupato che alla sua Cronaca non vengano mai meno tre elementi, secondo lui, fondamentali ad ogni narrazione storica: la verità, la precisione, l'imparzialità.
”Finiamo per ritornare impeccabilmente alla storia cominciata e niente omettiamo per questo della verità del racconto della storia che mi tira. E in verità bisogna sapere che a secondo dei tempi diversi un tempo ha avuto una storia più di un altro da raccontare e noi non possiamo raccontare le vicende se non come di fatto avvennero e noi le vedemmo con gli occhi nostri al tempo dell'Impero di Federico e per molti anni dopo la sua morte fino ai giorni nostri, nei quali stiamo scrivendo queste cose, nell'anno del Signore(1284)”.
Egli perciò quasi sempre certifica la veridicità dei fatti che racconta o dichiarando la sua presenza ad essi o citando fonti individuate di persone degne di fede che vi hanno assistito. Per quanto attiene alla precisione lo sforzo di Salimbene è altrettanto notevole.
Egli preferisce non fornire la notizia o dati che non abbia potuto in qualche modo controllare. Così a proposito della famosa battaglia della Meloria tra Genovesi e Pisani, sulle quali si diffonde a lungo, avendo egli vissuto anni felici a Pisa, scrive :“ Queste cose avvennero il 13 agosto di Domenica, festa dei Santi martiri Ippolito e Cassiano. Non ho voluto scrivere il numero dei prigionieri e degli uccisi di entrambe le città, perché era riferito in modo differente . L'arcivescovo di Pisa ne scrisse il numero preciso in una lettera al Vescovo di Bologna, che è suo fratello germano, ma non ho voluto annotare questo numero perché aspettavo frati minori di Genova e di Pisa che me lo dicessero con più precisione”.
Insomma il suo principio metodologico è quello di controllare sempre le notizie che da anche quando, per motivi diversi, incorre in errore. Caratteristica poi è la sua imparzialità. Salimbene è prima cronista e letterato e poi tutto il resto. Perciò malgrado le sue convinzioni politiche - di cui si parlerà – riesce per lo più ad essere alquanto imparziale.
Egli considera l'imparzialità come attributo necessario dello storico.
Così al principe Manfredi riconosce, accanto ai gravi difetti “alcune buone qualità delle quali ha parlato a sufficienza nel trattato su Papa Gregorio X”.
Esemplare è il caso dei ritratti di Pietro d'Aragona e di Carlo d'Angiò. Salimbene tesse l'elogio di entrambi. Il che è comprensibile per Carlo che considera “illustre protettore e scudo della sacrosanta madre Chiesa romana e della fede cristiana”, ma lo sarebbe meno- senza l'impegno dell'imparzialità – per Pietro d'Aragona nemico del Papa Martino e della Chiesa nella lotta contro Carlo.
Del resto egli riconosce che la lode o il biasimo sono atteggiamenti soggettivi dell'individuo che lo storico deve comprendere e valutare, appunto, con imparzialità.
Peraltro Salimbene non ha remore di alcun genere e giudica con molto equilibrio anche quando usa i toni più duri.
Egli è consapevole di parlare di persone importanti e non si abbandona ad alcun personalismo o ad alcun atteggiamento avventato. Cerca di essere equilibrato e minuzioso nell'individuazione delle colpe e dei meriti, dei difetti e delle virtù.
Pur nella vivacità delle espressioni o delle pagine, egli non si abbandona mai al gesto iroso ed irritato o all'invettiva feroce. Specialmente quando si tratta di vizi e di virtù, Salimbene è di una minuziosità a volte imbarazzante.
La consapevolezza di parlare di vescovi non frena la sua libertà di linguaggio: egli si sente in diritto e in dovere di farli entrare nella sua Cronaca con le infule, la nobiltà del casato, la fama dei dottori e oratori, le gesta gloriose e le ricchezze, ma anche le malefatte commesse alla luce del sole e con tutte le magagne, segrete o quasi.
Così rifugge dalle espressioni letterariamente paludate anche se si esprime con proprietà letteraria.
2. Salimbene autore e personaggio.
La presenza di Salimbene nella Cronaca non si giustifica solo con il desiderio di essere testimone diretto delle verità degli eventi che narra, ma con quella di essere autore e personaggio egli stesso.
La verità delle chiavi di lettura con le quali la Cronaca può essere interpretata si deve proprio a questa compresenza in essa di Salimbene autore e personaggio.
Nella Cronaca c'è l'interesse preminentemente autobiografico e spesso autocelebrativo che dimostra la costante attenzione di Salimbene di presentarsi come personaggio importante del suo tempo per cui egli si tiene all'interno della Conaca e se ne fa protagonista. “E' uno dei casi più stupefacenti della nostra letteratura antica, di simultaneità fra l'atto dello scrivere e presentazione di se stesso come attore all'interno degli eventi, contemporanei o di poco anteriori(almeno a partire da un certo momento). Ed ancora “Emerge sempre il protagonismo di Salimbene, il rilievo dell'io nel caleidoscopio di eventi e di personaggi, farsi attore più che spettatore dei fatti narrati in una sorta di scrittura monodica”.
Con orgoglio Salimbene dice di aver conosciuto la maggior parte dei personaggi nominati aggiungendo con visibile malinconia e amaro senso della caducità delle cose che in breve tempo essi scomparvero dal mondo.
Ma questi uomini hanno fatto la storia ed egli a molti di loro è stato a fianco e non in posizione secondaria.
Spesso ci informa di essere stato chiamato ad arbitro non solo in contrasti tra individui, ma tra stati e comunità. E, ad ogni piè sospinto, trova il modo di autoesaltarsi.
Esemplari sono le pagine in cui ricalca l'episodio del rifiuto di San sco al padre nella diffusa narrazione dello stesso episodio di se stesso nel quale coinvolge l'imperatore Federico II e anche Innocenzo IV .
Salimbene non tralascia nulla per porre in rilievo la sua inflessibilità di fronte alle invocazioni del padre alle quali risponde con secche ed impersonali (e poco umane) citazioni dei libri sacri, e ne sottolinea particolarmente il risultato che è la glorificazione di se stesso presso i confratelli e i secolari presenti.
Come i casi biblici che egli frequentemente cita perché anche questo suo dire deve diventare esemplare per l'umanità.
L'autocelebrazione, se non così esplicita, si rivela anche in molti casi, come, ad esempio, nelle pagine (frequenti) in cui parla dei suoi incontri con papi e cardinali.
Giova ricordare quello con Innocenzo IV a Lione. Nella narrazione di questo incontro Salimbene fa emergere la considerazione e il riguardo che il papa e i cardinali hanno verso di lui che parla da pari a pari con essi.
Salimbene vive ai vertici della comunità sociale e politica pur non facendo politica attiva e di parte. Egli è consultato spesso per la sua cultura da prelati e
laici perché preparato a rispondere a tutto. Gli vengono affidate ambascerie ed incarichi di particolare importanza. Considera l'anno 1259 degno di essere ricordato anche per il solo fatto che in esso egli ha scritto un'Opera.
La sua vita è importante per se, ma anche come esempio per gli altri per cui la Cronaca è colma di riferimenti autobiografici, tanto da aver fatto credere a molti la finalità del libro sia appunto sostanzialmente autobiografica.
Si può avanzare l'ipotesi che i richiami rispondano non tanto ad un intento autocelebrativo quanto ad un bisogno tutto umano di Salimbene di sentirsi dentro le vicende, ora espresso con nostalgia, ora con malinconia, ora con disappunto. Rispondono frequentemente ad un intento di informazione e di indicazioni di esperienze esemplari o comunque utili. Naturalmente il motivo umano e quello conoscitivo non sono mai separati, come ad esempio nel ricordo del suo aggio dal Convento della Verna, luogo scano di particolare suggestione per lui.
Un tono certamente vivo e moderno è conferito all'autobiografismo della Cronaca dall'uso della prima persona che costituisce un fattore di modernità come autorevolmente rilevato.
3. Destinazione della Cronaca
L'interesse autobiografico non rappresenta il motivo esclusivo della Cronaca neppure se inquadrato in quello parenetico domestico, anch'esso largamente diffuso.
Tuttavia l'importanza della celebrazione delle geneologia è fondamentale ed è sottolineata dal fatto che Salimbene destina espressamente la sua opera alla nipote suor Agnese, figlia del fratello Guido, alla quale peraltro destina anche le diverse cronache che ha scritto, essendo la stessa dotata di grandissima capacità di comprendere la scrittura, di buon impegno, di memoria, e del dono di esprimersi in modo grazioso ed elegante. Si tratta dunque di una componente della famiglia della quale si gloria.
Del resto per sua esplicita dichiarazione Salimbene espone cinque ragioni che lo legittimano ad occuparsi della propria geneologia. La prima è quella di farla conoscere alla nipote Agnese; la seconda perché essa sappia per quali persone deve pregare; la terza perché è consuetudine antica tenere annotate le proprie geneologie; la quarta è l'occasione che tale trascrizione gli offre di dire cose buone e utili; e infine per ribadire il senso della caducità della vita terrena.
4. Ruolo dell'individuo nella Cronaca.
Nella Cronaca l'evento viene sempre presentato nella sua contingenza e sempre attraverso il personaggio che lo determina. In tal senso, abbiamo visto, che resta solo come comune denominatore degli eventi, la concezione provvidenziale della storia.
Del resto la funzione dell'individuo è correlata alla concezione sociale sostanzialmente aristocratica del Salimbene, nella quale l'individuo deve consolidare la posizione propria e della famiglia, continuare la discendenza e strutturarla in lignaggio, con matrimoni prestigiosi, con accorte strategie politiche ed economiche, con la conquista di posizioni e di traguardi sempre più ambiziosi. Caratteristico è il modo di Salimbene di presentare i personaggi in maniera chiara e lineare qualificata da una grande ricchezza di attributi che ne determinano pienamente la personalità e il carattere.
Le qualità che Salimbene pone in rilievo sono riferite soprattutto alla condizione culturale, alle capacità oratorie, alla generosità ed alla cortesia, virtù particolarmente apprezzate dal cronista.
CAPITOLO TERZO
L'IMPERO E LA CHIESA NELLA CRONACA
1.L'Impero.
Anche se il criterio di classificazione politica nella Cronaca è l'aderenza all'Impero o alla Chiesa, il problema del rapporto tra le due istituzioni non è mai affrontato da Salimbene. Anzi come problema politico o/e religioso, si può dire che venga ignorato.
Il rapporto Impero-Chiesa non è individuato nella Cronaca nella sua sostanza e nella sua dialettica politica, ma di volta in volta indicato nell'esposizione dei singoli eventi storici ed al massimo commentato con considerazioni generali tratte dalle Scritture.
Solo qualche volta Salimbene riesce a vedere un avvenimento nella sua prospettiva generale.
Un esempio è l'assedio di Parma da parte di Federico II visto come momento decisivo della lotta tra Papato ed Impero.
2. La Chiesa.
Salimbene accetta genericamente la tesi guelfa della supremazia politica della Chiesa motivando quasi sempre i comportamenti e gli atti dei pontefici con la sete di potere e con l'avidità dei beni temporali.
Con aperto realismo Salimbene evidenzia il prezzo politico che i pontefici si fanno astutamente pagare per l'incoronazione imperiale a cui pure, dopo la morte di Federico II, egli non attribuisce alcun valore.
D'altra parte, da buon scano, il cronista non insiste molto sul potere temporale della Chiesa e sulla sottomissione ad essa di tutti i sovrani. Parla poco dei pontefici e specie della loro politica. Spesso anch'essi sono giudicati in rapporto al loro atteggiamento verso l'ordine scano. Ed a proposito Salimbene non esita a considerare la morte dei pontefici ostili come punizione divina. Caratteristico è l'esempio di Onorio IV che, oltre che per aver voluto incoronare imperatore Rodolfo, muore improvvisamente il giorno prima di prendere una decisione grave contro l'Ordine scano. Ed in ciò, secondo Salimbene, Dio esaudisce una corale preghiera dei frati.
Una sola figura di pontefice affascina il cronista parmense: Innocenzo III come persona, ma anche come pontefice. Tuttavia l'attenzione di Salimbene è rivolta particolarmente alle qualità dell'uomo “probo”, “forte”, “maestro”, “indigne di giure”, “audace e di gran cuore”, “sapiente ed erudito”. Come per tutti i personaggi di particolare rilievo, Salimbene cerca di presentare tutti gli aspetti, anche quelli secondari della personalità di Innocenzo III. Agli altri papi accenna spesso senza però soffermarsi a lungo. Su di essi il cronista non ha esercitato la sua vocazione di ritrattista attento e minuzioso.
Una qualche attenzione la rivolge ad Innocenzo IV che era buon conoscente del padre e che lui stesso ebbe modo di conoscere personalmente e di frequentare, come afferma in più punti della Cronaca. A questo Papa Salimbene riconosce la fermezza con cui fronteggiò Federico II, ma gli imputa anche la rovina di Parma senza peraltro spiegare mai il perché di questa accusa.
Qualche attenzione è rivolta pure a Gregorio IX, favorevole all'Ordine dei scani e in continua lotta con Federico II.
Ma neppure di lui il cronista ci dà alcun ritratto. Degli altri papi nella Cronaca troviamo pochi nomi e rari giudizi.
Insomma l'atteggiamento di Salimbene sia verso l'Impero che verso la Chiesa sembra alquanto formale e misurato.
Salimbene appare come un personaggio vivo, psicologicamente disponibile ad accogliere l'ottica di riformatori nella valutazione degli uomini e degli eventi, ma mai impegnato nelle scelte politiche, anzi disponibile ad accogliere riguardo alle istituzioni le opinioni correnti e scontate del guelfismo. In tal senso si può parlare dello scarso impegno politico di Salimbene il cui interesse, preminentemente religioso, lo porta ad opporre alla Chiesa corrotta l'ordine scano.
Il suo è vivace atteggiamento etico-religioso e solo in parte politico-ideologico.
Comunque bisogna considerare Salimbene uomo del suo tempo, religioso scano per vocazione e pervicace scelta, che secondo un'ottica religiosa medievale osserva e giudica sia pure con un fresco gusto narrativo ed espressivo
“letterario”.
In realtà non si può considerare come uno scrittore ideologicamente disimpegnato che anche riguardo alle vicende del Papato e dell'Impero si compiace quasi di scoprire raggiri dell'una parte e dell'altra per un suo gusto dell'intelligente astuzia.
Si rischia di confondere Salimbene, per esempio, col Boccaccio.
CAPITOLO QUARTO
SALIMBENE E IL COMUNE MEDIEVALE
1. La Coscienza civile.
Se vera fede politica ci fu in Salimbene essa è quella comunale e con questa fede egli si impegna nella sua attività di cronista. Ma anche qui bisogna chiarire che questa fede non si traduce mai in lui in impegno propriamente politico, in partecipazione ben definita alle lotte politiche, in scelte di parte.
Il suo atteggiamento è coerente con la sua condizione di scano in certo senso superiore alle parti. Anche ovviamente schierato in campo guelfo, egli non si può dire uomo di parte. Allora più di fede o coscienza comunale è il caso di parlare di coscienza civica in Salimbene. Coscienza civica in tal senso significa l'assunzione del comune come somma complessa di valori che va ben oltre all'associazione di autorevoli cittadini che rappresentano la comunità e si impegnano quindi ad organizzarla. Il fine è la concordia e la giustizia e la pace fraterna tra i cittadini.
Pertanto lo spirito comunale si esprime nella conflittualità dei partiti, mentre la coscienza civica nell'ordine e nella pace è utile ed indispensabile ai cittadini. Per questo la figura di Salimbene nella sostanza è difficilmente catalogabile nel quadro delle ideologie politiche.
La sua attenzione è rivolta a tutte le forme di vita della società comunale (politiche, sociali, economiche, religiose) senza mai individuare il prevalere di
una sull'altra. C'è l'anelito alla pace, c'è l'amore per la sua città, c'è l'aspirazione ad una società ordinata e giusta, non concettualizzata in formulazioni ideali, ma espressa nelle cose, nelle vicende e nei personaggi realisticamente rappresentati con accenni fugaci e talvolta indiretti, ma espliciti ed intensi. Questo atteggiamento e la genericità del suo guelfismo spiegano la sua libertà di giudizio, espresso caso per caso, e la sua imparzialità. Ciò risulta più sorprendente e significativo se si pensa che Salimbene vive e descrive gli anni più intensi ed esaltanti delle lotte comunali che, in modo diverso, coinvolgono politicamente tutti gli scrittori del tempo. In termini sociali l'ideale di Salimbene è aristocratico, conseguente alla sua condizione sociale e culturale. Egli ha grande disprezzo per i servi, i villani ed in genere il popolo minuto.
I servi sono la seconda delle cinque categorie il cui dominio è molto crudele e disonesto.
La concezione aristocratica si esprime nella continua esaltazione che Salimbene fa del lignaggio, nel rispetto delle memorie collettive, nella celebrazione degli antenati, nel mantenimento delle consuetudini e dei comportamenti. Egli perciò è contro il comune popolare. Le città devono essere gestite da persone, scelte dalle migliori famiglie, per attuare le leggi dei saggi e notabili, anch'essi di estrazione aristocratica. In ogni caso Salimbene desidera che al governo della città vadano gli uomini capaci ed onesti e riconosce in essi il nucleo più valido dell'organizzazione sociale e politica. Egli celebra l'esaltazione della via urbana proprio come unità politica, come coscienza municipale.
Il Comune indubbiamente è per Salimbene uno Stato a pieno titolo anche se subordinato gerarchicamente al potere universale del Papa: uno stato che può esercitare la sua attività autonoma ma al quale il parmense contesta la politica espansionistica che è causa di feroci e interminabili guerre. Salimbene coglie e descrive la vita dei comuni negli anni della maggiore attività,cioè nella seconda metà del 200', quando l'indebolirsi dell'autorità dei due poteri universali li pone in condizione di esprimersi in tutta la sua autonomia. Così i comuni sono i
protagonisti della Cronaca che è per la maggior parte impegnata ad esporre tutti i risvolti più significativi della vita di città e di personaggi.
In molte città di cui parla, Salimbene aveva soggiornato a lungo trovandosi dentro fatti e a contatto con personaggi eminenti.
2. L'economia tra le varie povertà
In modo imparziale Salimbene cerca di osservare sotto il profilo anche economico personaggi ed eventi. L'interesse verso tale aspetto porta, ad esempio, Salimbene a parlarne spesso in termini concreti e precisi dell'attività economica privilegiata al suo tempo: l'agricoltura. La presenza dell'aspetto economico nella Cronaca è stato invero poco studiato e comunque va considerato che Salimbene mostra scarsa simpatia verso l'attività commerciale (della gente nuova e dei subiti guadagni) della borghesia delle arti.
Quando parla di commercio e di mercati, Salimbene lo fa con molta riserva perché pone questa attività sempre in rapporto con la sete espansionista per la ricerca di mercati sempre nuovi e quindi con la fatale conseguenza delle guerre. L'economia agricola è legata alle condizioni atmosferiche e ad esse Salimbene presta particolare attenzione dando continue notizie di alluvioni, nevicate, grandinate, gelate con relative conseguenze sui raccolti. Naturalmente, secondo la sua convinzione religiosa, Salimbene considera questi eventi rovinosi come punizioni divine, e la loro assenza come premi. Spesso Salimbene documenta le carestie con particolari, come testimonia la cura descrittiva dedicata alla grande carestia che nel 1272 afflisse la Romagna, di cui offre un minuto resoconto, mostrando la lievitazione subita dai prezzi. Parimenti non manca di sottolineare le terribili conseguenze delle guerre sull'agricoltura.
Con toni forti, descrive il desolante aspetto della campagna dell'alta Italia al tempo delle lotte di Federico II. Gli uomini non potevano accudire ad alcuna attività agricola e neppure abitare in campagna. Alcuni lavoravano nei campi limitrofi alla città sotto la scorta di militi armati anche per essere difesi dalle ruberie dei predoni. Nelle campagne abbandonate si moltiplicavano gli animali selvatici e branchi di lupi scendevano fino alla periferia della città, facendo strage di animali e anche di uomini, specie di bambini. Ma non tralascia di indicare il benessere di cui godono alcune città, specie della Romagna, dove il cronista è vissuto come testimone diretto. Così Salimbene sottolinea il benessere
di Ravenna in cui c'è tanta abbondanza di vettovaglie, che sarebbe stoltezza volerne di più.
Nella Cronaca c'è molta attenzione ai vari prodotti della terra e al loro impiego.
Si parla spesso del frumento e quindi del pane, della varie paste alimentari, delle torte, della spalta, oggi poco coltivata, che era molto diffusa ed usata nel medievo, del sorgo e di altri cereali inferiori. Particolare attenzione è riservata alla vite ed al vino; e molte affermazioni fanno credere che Salimbene non disdegnasse il buon vino.
Pur avendo indossato il saio di un ordine pauperistico, Salimbene considera la povertà una nota negativa, mai una condizione da esaltare. Negli elogi degli uomini troviamo tutti gli aggettivi, spesso quello di “dives”, ma mai quello di “pauper”.
Egli, come i suoi contemporanei, distingue i poveri volontari (pauperes Christi) e i poveri per condizione di nascita (pauperes mundi); ma considera questi ultimi come vittime di situazioni ineluttabili. Il secondo genere di povertà è quella di coloro che soffrono una povertà necessaria e inevitabile, che vorrebbero evitare; essi sono costretti a mendicare per l'indigenza che hanno di cose materiali. E finisce per considerare che è preferibile la beneficenza verso i pauperes Christi rispetto a quella verso i pauperes mundi. La povertà è quasi una macchia fatale per cui quelli che ano da essa alla ricchezza diventano avari e portati ad ostentare un fasto provocatorio. Alle volte la povertà è una colpa. In fondo la distinzione che fa Salimbene tra pauperes Christi e pauperes mundi era anteriore a San sco, il quale invece si sentì non povero separato, ma povero tra i poveri del mondo e in mezzo a questi volle vivere. Ma il cronista, pur avendo scelto la povertà volontaria al seguito di sco, non aveva affatto capito lo spirito del poverello: per questo poneva uno steccato tra la condizione di povero volontario a quella del povero per necessità, nel confronto del quale vantava l'appartenenza ad uno stato diverso e privilegiato.
Aveva scelto la povertà volontaria, ma per quanto era in lui, si rifiutava di confondersi col povero del mondo, e quindi essere un vero povero.
3. Le fazioni
Fino al 1236 la Cronaca pone un'attenzione relativa ai comuni e alla vita quotidiana. E ciò è comprensibile perché Salimbene scrive richiamandosi alle fonti. Successivamente la vita comunale è osservata quasi sempre in relazione alla lotta con Federico II. Per gli anni seguenti non c'è punto di riferimento e la narrazione è esclusivamente rivolta agli eventi ed alla vita dei comuni, soprattutto di quelli dei quali egli ebbe diretta e personale esperienza. Peraltro l'attenzione del cronista, coerentemente al suo programma, è rivolta agli eventi singoli.
L' atteggiamento di Salimbene nei confronti della guerra è molto complesso e potrebbe pure apparire contraddittorio. Da un lato egli condanna la guerra come fenomeno esecrabile e dall'altro è portato spesso ad idealizzarlo come unico strumento per realizzare fini di giustizia. Sembra che, non tanto per l'ideale scano quanto per il suo carattere pacifico, Salimbene condanni la guerra., ma peraltro non esclude che essa sia quasi una legge di natura. C'è in lui in fondo la doppia valutazione cristiana della guerra ingiusta e di quella giusta, della guerra come contrasto di egoismi di avidità e quella combattuta per nobili e alti ideali. La guerra accennata è quella voluta da Dio per far trionfare la giustizia ed i buoni contro i cattivi. In tal caso vengono esaltate le crociate per la liberazione del Santo Sepolcro, e molte pagine della Cronaca sono dedicate alla III Crociata ed alla celebrazione di Federico II sfortunato eroe di essa. Così, viene anche esaltata la spietata guerra di Innocenzo III contro gli eretici.
L'altra guerra è quella con cui Dio punisce come colpevoli tutti i contendenti. Si può dire allora che per Salimbene esiste la guerra-crociata come unico mezzo per sconfiggere i violenti e gli usurpatori da accettare e quella “stolta”, che è
conflitto di interessi privati, sempre deprecabile. In tal senso sono esaltate nei personaggi più ammirati dalla Cronaca “la cortesia”, il coraggio, il valore militare. E tali virtù egli celebra indifferentemente sia in personaggi laici che religiosi.
4. Forme di vita comunale nella Cronaca
La storiografia salimbeniana ha affrontato finora per lo più problemi generali e solo in questi ultimi 20 anni ha svolto ricerche specifiche su aspetti particolari.
Dalla vita familiare quotidiana nei suoi vari aspetti, ai rapporti tra i singoli ed i ceti sociali, alle abitudini, ai servizi pubblici, alle attività di culto, alla giustizia, ai modi del vestire e dall'alimentazione al campo ricreativo, al galateo, alle arti ed ai mestieri, ai mercati, ai mezzi di trasporto, agli strumenti di lavoro, alla vita nei monasteri, all'arte, alla musica, alla letteratura, all'urbanistica, ai richiami sanitari ed igienici, alla magia ed alla scienza.
La Cronaca è una miniera di notizie e di testimonianze ancora in gran parte da scoprire. Essa è stata sì largamente usata per singole ricerche sulla vita medievale, ma raramente è stata oggetto di studi particolari in sé.
Salimbene considera la donna secondo la tradizione scritturale, come fonte di peccato e la pone al primo posto tra le cinque categorie di persone il cui dominio è molto crudele e disonesto. A tal riguardo una categoria bistrattata è quella delle monache badesse che dimostrano, secondo Salimbene, come le donne al potere siano inaffidabili.
Le donne di cui Salimbene si occupa in concreto vivono nell'ambiente familiare
e vengono valutate individualmente in modo diverso secondo le virtù ed i vizi personali.
Il tipo più presente nella Cronaca è la donna del quotidiano, buona cristiana, caritatevole, ubbidiente e silenziosa, buona madre e sempre pensosa della salvezza dell'anima.
Un altro soggetto privilegiato della Cronaca è il mondo della musica. In merito la Cronaca fornisce notizie numerose e preziose poiché Salimbene è un testimone attendibile per competenza, realismo ed aderenza al vero.
Interessante è la particolare sensibilità che Salimbene dimostra per la musica, della quale ammira le finalità di edificazione e di educazione in chi la esercita ed in chi l'ascolta.
Leggere la Cronaca è trovarsi di fronte al teatro del mondo medievale osservata, al di là delle citazioni e dei commenti scritturali, con scorci realistici molto efficaci. Questo rende l'Opera di Salimbene originale ed unica fra le cronache del Medioevo prodotte per lo più da scrittori politici attenti solo agli eventi decisivi della storia ufficiale.
CONCLUSIONE
La Cronaca di Salimbene è un testo di tale ricchezza di contenuti e di tale significato storico e culturale nel quadro delle opere simili del nostro Medioevo che consente punti di osservazione pressoché illimitati.
E' scontata pertanto la necessità di una lettura sempre mirata e ben determinata negli obiettivi e negli interessi mai peraltro individuabili fuori di una contestualità organica dell'opera che, per vari motivi, risulta saldamente unitaria.
C'è nella Cronaca, in modo caratteristico e preminente, sempre un esplicito riferimento, rappresentato da Salimbene nella duplice dimensione di autore e protagonista fisico dell'opera. Ed allora la trattazione di qualunque aspetto particolare della Cronaca deve essere inquadrata nell'atteggiamento dello stesso autore.
Ricercare i risvolti comunali nella Cronaca di Salimbene non vuol dire certo soltanto catalogare le vicende, le lotte, le situazioni politiche ed economiche dei comuni, ma soprattutto individuare lo spirito, l'atteggiamento di Salimbene, il suo modo di affrontare ed interpretare gli eventi - sempre e comunque coinvolgenti la vita dei comuni - da uomo e da autore del suo tempo.
In tal senso la Cronaca è tutta immersa nella vita comunale italiana, anzi negli anni culminanti di essa e Salimbene vive e scrive dall'interno di quel clima pur con la sua specifica personalità.
Salimbente fu e volle essere soprattutto testimone del suo tempo. E si pone sempre in rapporto personale con gli eventi che narra proprio per garantire l'autenticità.
Testimone o celebratore di se stesso? Anche questo è un altro problema molto controverso.
A noi pare che la soluzione sia ambivalente. In ogni caso il Salimbene della Cronaca è un personaggio vivo, molto aperto e chiaro nella valutazioni e nelle scelte, rappresentante di una religiosità tendenzialmente laica.
Salimbene è uomo schietto, libero nel giudizio. E' uomo di grande equilibrio. La sua misura è saggezza e non calcolata prudenza.
Perciò si può dire che la Cronaca, pur essendo rivolta a dei fini individuali, è anche il frutto di un intimo bisogno di narrare fatti e soprattutto uomini. Peraltro Salimbene avverte il crepuscolo cui si avvia l'istituzione comunale e, pur senza individuare o chiaramente determinare alcun nuovo sistema politico, anela apionatamente alla fine delle lotte di fazioni, alla pace ed al buon governo.
Al fondo della Cronaca c'è un profondo interesse umano che le conferisce valore anche letterario ed un marcato carattere di attualità.
In uno schema storiografico formalmente provvidenziale, Salimbene individua l'evento sempre come risultato del pensiero e dell'azione dell'uomo osservato nella sua individualità.
Qui sta la modernità della Cronaca, l'interesse ed il fascino che ancora oggi essa riscuote.