Dedica
Mentre scrivo queste pagine, mi sento in mezzo a loro, i miei studenti del ato e del presente. Con loro ho sentito battere il cuore della poesia sotto la sabbia del tempo, con loro mi sono avventurata sempre in nuovi sentieri per cercare, come in una foresta, i segreti della natura e del cuore umano. Mille volte in modo diverso. Ma un ragazzo coglie in un insegnante soprattutto la sincerità, il movimento vitale, la dinamica del conoscere. È quella che gli entra nella testa e nel cuore e lo fa crescere. Ci sono forze misteriose e prepotenti che da un anno all'altro lo trasformano: una magia. Me li vedo attorno ora senza distinzione di classe o di annata, per me sono ancora tutti ragazzi, anche Angelo che ha i capelli bianchi e viene a parlare di suo figlio. Voglio pensare a loro, compagni di questo mio lungo viaggio nella poesia. Ci sono tutti. Un posto in terza fila è vuoto. Manca lei, Carmen, inghiottita anni fa dall'autostrada del sole. Penso a lei, che era bella, libera e amava la letteratura. A Carmen dedico queste lezioni. Chissà che non venga a riprendere il suo posto.
Poesia e dolore
Quando leggiamo, siamo simili a un bicchier d'acqua, nel quale misceliamo un'erba che ci darà colore, sapore, profumo cioè forza, felicità, calma, languore. Talvolta non ci darà niente. In quel caso converrà cambiare libro. Ma quando l'infuso sarà buono, darà senso e luce alla nostra vita, quella che abbiamo vissuto e che vivremo. L'arte si occupa sempre della vita, ne trascrive momenti e problemi. C'è un carme di Catullo (il 65), non tra i più famosi, che ci fa comprendere la relazione tra creatività e dolore. -Sì, quello che parla del fratello morto- ricorda Federico e comincia a tradurlo: Per quanto l'angoscia mi tenga lontano dalle dotte vergini (le Muse), sfinito dalla continua sofferenza, né la mente creativa riesca a partorire i dolci frutti delle Muse (nec potis est dulces Musarum expromere fetus mens animi), in mali cosi grandi fluttua l'anima mia...Il senso generale è chiaro: la sofferenza del lutto è stata talmente dura, che Catullo si è allontanato dalle Muse e non riesce più a produrre poesia. Colpisce la relazione tra mens e Musa, che hanno la stessa radice che è poi comune a memoria. -Ma le Muse- tira fuori Thomas- non sono figlie di Zeus e Mnemosine, la dea della memoria?Perciò poesia e memoria sono collegate. Cosa è successo a Catullo? -Ha perso la memoria- conclude Alberto. Perché? -Perché gli è morto il fratello.-
Infatti l'onda che arriva dal gorgo leteo, bagna il suo piede pallidulum, cioè livido del colore dei morti. Ma cos'è più esattamente il gorgo leteo? Il Lete è il fiume dell'oblio, ma l'oblio è l'opposto della memoria. Quindi il dolore, provocando l'oblio, cancella la memoria che è madre delle Muse e perciò madre della poesia. -Ma non è possibile- dicono in parecchi. -Il dolore genera poesia;- spiega Federico -proprio quando si sta male, si creano le condizioni della creatività.I soliti danni del romanticismo! Catullo da buon classico, da buon romano, garantisce il contrario: se si sta male, non si partorisce nulla. Alessandro, che scrive poesie, conferma: -Guardate che se si sta male le poesie non vengono fuori.La fertilità perciò nasce da felici congiunzioni o congiunture. E Catullo infatti, rivolgendosi al fratello morto, piange e dice: -Non ti parlerò, non ti vedrò, non ti ascolterò, ma certo sempre ti amerò e canterò canzoni tristi per la tua morte.Quante negazioni, che malinconia! E il paragone che viene appresso fa accapponare la pelle: Catullo si sente simile a Progne che, tramutata in usignolo, piange il tragico destino del morto Itilo. Progne, moglie di Tereo, madre di Itilo, scoperto che il marito Tereo aveva violentato Filomela, sorella di Progne, e le aveva tagliato la lingua per impedire che parlasse, si vendicò uccidendo Itilo e dandolo in pasto a Tereo. Filomela (amante del canto) è la mens animi, ovvero la mente creativa che viene mutilata del suo organo vitale, la lingua, dal cognato Tereo, simbolo del lutto e della morte. Progne provvede a sopprimere i fetus Musarum (cioè Itilo) e li cancella dalla coscienza: è l'onda letea, l'oblio. Questa è la premessa. Ma per fortuna c'è qualcosa di nuovo.
Catullo non è solo, gli amici lo sorreggono (se non ci fossero gli amici!). Ortalo lo sprona a ricominciare a scrivere. E Catullo per non deluderlo si è rimesso a tavolino e ha stilato una traduzione dal greco Callimaco, suo maestro ed autore. Il testo tradotto è la famosa Chioma di Berenice, che parla di capelli regali, tagliati e offerti in sacrificio agli dei, che a loro volta benevoli li accolgono in cielo in forma di stelle. Fossero cosi trasformati i nostri sacrifici o tutto ciò che ci viene tolto o tagliato! Ma andiamo avanti: Catullo si sta riprendendo, lavora, sta guarendo. E come ce lo dice? Come fanno i poeti: con similitudini e occulte metafore. Egli si paragona ad una ragazzina che dal suo innamorato ha ricevuto in dono un malum (malum con la a lunga vuol dire frutto, al contrario di malum con la breve che vuol dire dolore o disgrazia). Lei tiene nascosto il frutto sotto le vesti, ma all'improvviso entra la madre nella stanza, lei si alza di scatto e il malum rotola giù. La ragazzina, colta in flagrante, arrossisce. Cristiano a questo punto ride; il malum gli è sembrato un'allusione erotica. Lui ha visto i due ragazzi amoreggiare, quasi lì lì per fare all'amore. La madre entrando ha rovinato tutto. Pazienza, sembra dire Catullo, non è possibile tutto subito, bisogna combattere contro i sensi di colpa, con i divieti interiori, ma alla fine si riuscirà. L'importante è svegliarsi dall'oblio, ricordare eros, che è la premessa dell'accoppiamento come della fecondità artistica. Il malum, che il ragazzo offre alla sua innamorata, è il primo elemento di potenziale fecondità che ricompare nell'orizzonte psichico di Catullo devastato dal lutto. Dal malum verranno fuori i semi, cioè i fetus Musarum. La memoria ha ricominciato a funzionare. Deo gratias!
Poesia e creatività
Cos'è la poesia? Dobbiamo chiederlo ai poeti: loro sì che lo sanno! Perciò poche chiacchiere e leggiamo il testo. Piddu sorride con la sua aria saggia, prende Le Metamorfosi di Ovidio e traduce:- Prima Apollo non faceva distinzione tra albero e albero, qualsiasi albero gli andava bene, ma da un certo punto in poi volle solo l'alloro...Apollo si innamora di Dafne non appena l'ha vista. Ma lei subito fugge avventurandosi nei boschi, felice delle sue scorribande e dei suoi trofei di caccia. Ovidio aggiunge: aemula innuptae Phoebes (emula della vergine Diana). Interviene Claudia: -Ma perché si innamora di una che somiglia a sua sorella?Come spesso capita, insegue una immagine interna, qualcosa di familiare, ma allineato su un altro piano: Dafne non è una dea, tanto meno è sua sorella, ma la ricorda nell'aspetto, nei gusti, negli atteggiamenti. -Ora che ci penso succede anche a me- nota Luca. Del resto anche la luna fugge davanti al sole, per non impallidire, per non essere cancellata dalla luce più vivida di suo fratello. Forse anche Dafne si sente minacciata nella sua identità, perciò fugge. Dafne ha un padre speciale, è una divinità naturale, un fiume che scorre come la vita. Egli non è geloso né possessivo, perciò vuole un genero, dei nipotini, insomma un corso naturale di fecondità e di sviluppo. Ma lei ha altro per la testa e chiede di poter restare vergine. Il padre la asseconda, ma Ovidio avverte: Sed iste decor te vetat quod optas esse (la tua bellezza ti impedisce di essere ciò che vuoi). Infatti Apollo la ama e la insegue, guarda i suoi capelli inornatos, sine lege positos (disadorni, disposti senza un ordine) e si chiede: Quid si comantur? (come sarebbero se fossero pettinati?); Apollo ama quella bellezza spontanea e
un po’ selvaggia, ma già vorrebbe gestirla, organizzarla. Forse per questo Dafne fugge, per restare quello che è, per non rinunciare a se stessa. Ma chi è Dafne e cosa è? Pietro, che non studia quanto capisce, dice col suo vocione: -La creatività!Credo che abbia proprio ragione: Dafne rappresenta quel moto della mente che cerca, che fruga nei nascondigli dell'anima alla ricerca della vita; Dafne è all'inizio del processo creativo. Apollo, che l'ama davvero, sa cosa si rischia in questi percorsi e ha paura per lei e l'avverte e la prega di fare attenzione a non cadere a terra, a non graffiarsi quelle gambe così belle: di creatività si può morire, il dio lo sa. Apollo non è un volgare stupratore che si aggira nei boschi, è un dio grande, benefico, opifer (soccorritore), e a suo modo vigila sull'integrità di Dafne. Che anche lui la voglia vergine? Ma allora questa ragazza è sospesa tra due richieste opposte: il padre la vorrebbe feconda, il dio la vuole intatta. -Ma non sarà questo il segreto dell'arte? Feconda e vergine al tempo stesso?brucia le tappe Antonella. Apollo offre garanzie e illustra le sue credenziali: è figlio di Giove, signore di molte terre, dio dell'oracolo, della musica, della conoscenza, della medicina. È anche il dio dell'arco, ma malgrado ciò è vulnerabile, può innamorarsi, può soffrire per amore, può ignorare il suo destino di innamorato. -Mi piace questo dio,- osserva Tiziana -non fa paura, è un dio quasi umano-. -Fortunata questa Dafne,- si inserisce Paola -ha un buon padre e un bravo pretendente-. -Beata lei!- conclude Marta. Ma continuiamo la corsa di Dafne, che forse per tutte quelle cose che ha detto Apollo e queste che abbiamo detto noi, si è ancora più spaventata e corre a perdifiato, con Apollo ancora più lanciato all'inseguimento. Sembra un cane che insegue una lepre, un'aquila che insegue una colomba.
-E quando ce la fa!- sospira Valeria. -Ma tutti arrivano a un traguardo,- osserva seccato Andrea, che è forte nei 200 metri, -si vede che Dafne è arrivata al suo traguardo. Nessuno corre sempre, nemmeno un creativo.Ha ragione lui. Dafne è arrivata al suo limite e allora, per non essere assorbita dal dio, invoca il padre: qua nimium placui mutando perde figuram (elimina, trasformandomi, la sembianza per la quale troppo piacqui). E il padre la trasforma da donna in alloro: pian piano si ferma, si radica nella terra, i capelli le crescono in foglie, le braccia in rami e la sua carne morbida (mollia precordia) si cinge di una sottile membrana (tenui libro). Questa membrana si chiama libro. Perché? -È logico,- osserva sca -anche allora i libri si facevano con gli alberi-. Dafne è diventata libro; non si può are troppo rapidamente su questo punto. Cos'è il libro? È la nuova immagine di Dafne: prima donna, poi albero, infine libro. -Stiamo correndo troppo,- protesta Omar -intanto capiamo l'albero-. L'albero è la nuova forma naturale che il padre Peneo dà a Dafne, ma cosa rappresenta l'albero? È qualcosa che sta tra la terra e il cielo, ha radici terrestri, cime aeree. -Sembra un uomo -azzarda Stefan-; -un uomo che prega- aggiunge Patrizio. Dunque un orante con le braccia al cielo; -e poi- osserva Danilo -gli alberi si volgono al sole.Dafne è divenuta perciò un'orante rivolta al sole, testimone di un antico culto solare. Ma non basta. Apollo la abbraccia e la bacia, sente il cuore battere sotto la corteccia, ma il legno non risponde ai baci. Quel legno vivo nasconde ormai un segreto che è il libro, la sottile membrana
che recinge la morbida carne di Dafne: una seconda pelle che separa le due sponde del mondo, l'umano e il divino, la terra e il cielo. Il dio bacia il libro che nasconde il segreto della creatività umana. Ma noi umani, se ora baciamo il libro per ringraziare Ovidio, lo facciamo perché sentiamo che lì dentro c'è qualcosa di più dell'umano. Così è Dafne, umana e divina, naturale e celeste, intermediaria tra i due mondi, vestita di luce argentea terrestre che ricorda l'argentea luce della luna. Somiglia alla luce degli dei, ma non è la luce degli dei. Questa è la poesia. Il dio vorrebbe possederla per sentirsi padrone assoluto del mondo umano, ma si deve rassegnare ad onorarla. In tal modo ebbe posto nel mondo greco chi fosse capace, anche per qualche istante, di somigliare agli dei.
Poesia e sincerità
Io amo Dante. -Lo sappiamo bene;- dice Aleksander- io ero addirittura geloso.-A me piaceva così tanto,- interviene Laura- quanto mi è mancato!-Io ricordo ancora gli scricchiolii delle sedie e la tensione quando si parlava di invidia, tradimento, superbia: tutti ci sentivamo chiamati in causa- dice Pierluigi. -Io quando leggevo di Sapia, non ho potuto fare a meno di dire: ma Sapia sono io- fa Elena. -La sua spiegazione era molto diversa dai commenti tradizionali; all'inizio ero sospettoso, poi mi è piaciuta; mi faceva capire- dice Simone. Ricordate i canti di Forese? -Sì, quelli della sincerità- con slancio Annalisa. -Vuoi dire del peccato di gola- precisa Thomas. Ma sono entrambi nel giusto, perché Dante insegna che smettiamo di mangiare e bere a dismisura il giorno che riusciamo davvero a parlare. I golosi infatti recitano il salmo: Aprirai le mie labbra per cantare ...per abituarsi a pensare che il canto è un ottimo sostitutivo del cibo. -Però è vero,- ammette Lorenza -da quando canto jazz sono dimagrita una cifra.Ma il cibo viene dall'esterno, la parola dall'interno: non c'è solo una sostituzione, c'è anche una inversione. -Come l'albero dei golosi- sgrana gli occhi Salvatore,- che ha i rami all'insù: un albero alla rovescia.-
-Come un uomo a testa in giù- aggiunge con aria trasognata Valerio. E i frutti che non si mangiano, che stanno su quell'albero, cosa saranno? -Sono le parole- conclude trionfalmente Gianluca. Mi viene in mente il giardino delle delizie di Bosch con l'uomo a testa in giù che partorisce un frutto. Che stia partorendo la parola? Ma che cosa è la parola? -Secondo Aristotele la parola è l'uso più nobile che l'uomo possa fare del suo corpo- dice Anna. -La linguistica- spiega Gabriele- distingue tra Langue, il codice d'uso, e Parole, atto individuale e creativo di elaborazione del codice d'uso.-La Parola- aggiunge Giampaolo- è espressione della creatività personale.-Sentite cosa dice Jovanotti in questa canzone- interviene Stefano- Se tutti i grandi libri qualcuno li ha già scritti se tutte le grandi frasi qualcuno le ha già dette se tutte le grandi canzoni le hanno già cantate mi chiedo ragazzi voi che cosa fate? Perché siam qui a suonare, a leggere, a studiare...
Questa canzone ha per titolo Parola e vuol dire che tutti noi dobbiamo parlare, anche se non siamo dei geni.Ma è facile partorir parole? Non è facile, forse è doloroso, ma al tempo stesso bello, emozionante: pensate ad una donna che soffre nel parto, ma è anche felice perché sta per dare alla luce un figlio. Chi mangia o beve troppo invece distrugge se stesso e la sua famiglia, come Eresittone che finì per mangiare le sue stesse carni o una certa Maria di Gerusalemme che alla fine mangiò il suo
stesso figlio. -Allora meglio cantare- conclude Roberto che è un tipo molto chiuso, ma ha una bellissima voce da baritono. Ma veniamo ora all'incontro tra Dante e Forese che erano amici in gioventù, che se ne erano dette di tutti i colori, nella famosa Tenzone, sul padre di Dante che era un usuraio e sulla moglie di Forese che aveva sempre tosse e raffreddore, perché a letto dormiva sempre sola eccetera eccetera. Ora si ritrovano in Purgatorio, per fortuna salvi. -Come noi che stiamo qui,- dice Sara- vi ricordate quanto eravate barbari e quante ne dicevate: una parola, cinque parolacce -. -È vero, certe volte eravate proprio schifosi,- fa Alessia con disgusto- non vi si poteva sentire -. -Beh, eravamo sinceri- fa Dario. -Macchè sinceri,- protesta Silvia- eravamo dottor Jekyll e Mister Hyde: con i professori una faccia, tra noi un'altra -. -Eravamo molto scompensati, mia madre lo diceva sempre- conferma Alberto. -Finitela- esorta al solito Alessandra. Riprendiamo il nostro cammino. Dove eravamo? A quell'albero delle parole ancora per noi inaccessibile, a Eresittone e a Maria che non hanno trovato la via e si distruggono, a Forese e a Dante che la strada l'hanno trovata e ora sono uno davanti all'altro. Da cosa Dante riconosce Forese? Non dal volto scavato, ma dalla voce ed è naturale perché è la sua voce il veicolo che ci porterà a destinazione. Prima un grido (qual grazia m'è questa), poi la preghiera (dimmi il vero), poi le chiacchiere... come fanno gli amici che non si vedono da tanto tempo e non fanno che ricordare, chiedersi e raccontarsi... Guardano nel loro ato e lo esaminano insieme, spigolano nelle cose di un tempo e qualche cosa la salvano, altro lo buttano, esattamente come facevate voi
un momento fa. Cosa salva Forese nel mondezzaio della sua vita? Prima di tutto Nella, la povera moglie, tanto bistrattata, tanto derisa per la sua tosse, tanto abbandonata per la bottiglia e le abbuffate. È Nella la cosa vera della sua vita, è Nella la cosa buona, è lei che lo ha salvato, con il suo pianger dirotto, con i suoi prieghi e sospiri. I colpi di tosse, gli starnuti del raffreddore della tenzone sono diventati qui pianti, preghiere, sospiri: i segni di malessere diventano segni d'amore? -Sembra uno strumento che si sta accordando- osserva Ornella, che ama il violino. Questo è ciò che si salva. Ma c'è molto da buttare. Da buttare sono le donne fiorentine che normalmente sono scollacciate (van mostrando con le poppe il petto), ma non appena ci sono provvedimenti disciplinari, allora si coprono e si comportano decentemente. -Che vi dicevo io?- parla Sara- voi eravate esattamente come le sfacciate donne fiorentine che van mostrando con le poppe il petto: da soli facevate rumori come i diavoli tra i barattieri, quando c'era filosofia sembravate dei damerini-. -Hai ragione,- ammette Dario- lasciai una ragazza dolcissima e carina per un gruppo che si divertiva a fare rumori con la bocca, e pensare che mi voleva bene davvero-. -Guarda che sei sempre in tempo, mica sei morto- gli fa Mario. Sembrano proprio Dante e Forese:
........Se tu riduci a mente qual fosti meco e qual io teco fui ancor fia grave il memorar presente.
Ma la malinconia va bandita perché i problemi si sono risolti. Gli amici non pensano più al ato, non guardano più alle cose negative, ora vedono il presente con serenità. -Insomma, pensano positivo- dice Tatiana. Ma sentiamo le loro chiacchiere: Dante:- Dov’è Piccarda tua sorella? Come sta?Forese:- Benone. Sta in Paradiso.Dante:- E questi che stanno con te chi sono?Forese: -Bonagiunta da Lucca, papa Martino, Ubaldin della Pila, Bonifazio dei Fieschi, Marchese degli Argogliosi. Vedi come sono contenti? E mica si vergognano di essere nominati. Mica stanno all'Inferno. Loro si sono salvati, eppure sì che bevevano come spugne e mangiavano come maiali. Ma non gliene importa più nulla-. Vedete che bella tutta questa sincerità? Non sentite quanto fa bene all'anima? Ma c'è Bonagiunta che vuol dire qualcosa:
El mormorava e non so che-Gentuccasentiv'io là ov'el sentia la piaga de la giustizia che si li pilucca
Prima di tutto valutiamo i suoni: mormorava, Gentucca, sentiva, pilucca. Cosa vi sembra? -Sono suoni carini,- fa Luisa- alcuni dolci, altri forti.Massimo:- L'effetto è gradevole, molto diverso dai pianti, prieghi e sospiri della povera Nella-.
Ma anche Bonagiunta è consapevole che i suoi suoni, anche se migliori rispetto a quelli di Forese, non sono ancora perfetti, perciò si rivolge a Dante e gli chiede: -Ma sei tu quello che ha scritto Donne che avete d'intelletto amore?- Bonagiunta vuol capire in cosa consiste il nuovo apporto, il nuovo traguardo segnato dallo stil novo e da Dante stesso, che ne è il miglior esponente. Anche noi dobbiamo capire, perciò valutiamo prima di ogni cosa i suoni. C'è qualcosa di nuovo rispetto a Nella, rispetto a Gentucca, nel verso Donne ch'avete intelletto d'amore? -Accidenti!- fa Giacomo- con Nella eravamo alla batteria, con Gentucca alla chitarra, qui si può dire che nemmeno c'è musica. Qui si parla-. -Ma forse- raccoglie Patrizio- questo è il punto. Finalmente ci sono le parole. E parole belle, importanti: donne, intelletto, amore. Sentite?-Dunque- conclude Giovanni, che vuol fare il pediatra- è nata la Parola-. È proprio vero. È nata la Parola che non è più un suono, brutto o bello, che copre il significato delle cose. È nata la parola che rivela l'essenza e la nuda verità della cose, non serve ad abbellire, né a camuffare o a vestire, serve a esprimere. Ma indaghiamo meglio sul significato di quelle parole. -Donne- spiega Annamaria- vuol dire donne sposate. Donne che hanno intelletto d'Amore significa donne intelligenti.Ma Amore, cosa significa Amore? -Amore in Dante- spiega Monica- vuol dire Amore platonico. Platone nel Simposio aveva detto che Eros è figlio di Penia, che non ha, e di Poros, che ha in abbondanza. Eros esprime la tensione che tutti noi abbiamo verso qualcosa di bello che non possediamo ma che vorremmo avere. La scala dell'amor platonico va dall'oggetto bello al corpo bello, quindi ai comportamenti belli fino ai pensieri belli per arrivare alla meta suprema che è il Bello in sé.-L'Amor platonico in Dante- aggiunge Domenico- si mescola al Cristianesimo. Anche Cristo è figlio di due realtà opposte (Maria = umanità, Dio = mondo
superiore) e anche Cristo come Eros spinge l'uomo a tornare a Dio attraverso una serie di esperienze via via più spirituali.-Ma esistono donne così intelligenti?- fa Antonio. Ma per voi, che certamente siete intelligenti, cosa è Amore? -Per me- dice Chiara dolcemente- Amore è volere il bene di chi amiamo.-E come lo sai il bene degli altri?- chiede Michele. -Se io voglio il tuo bene,- risponde Chiara- vuol dire che non ti voglio opprimere, né che ti voglio tutto per me, voglio che tu ti realizzi, che tu vivi una vita bella e buona. Se lo è per te, non può non esserlo anche per me.-Ma questo Amore- obietta Michele- può essere l'amore di chiunque, di un padre, di una madre, di un fratello, di un prete, di un medico.-E perché questo amore non può essere anche di un marito o di una moglie, perché necessariamente dobbiamo immaginare mariti e mogli possessivi, meschini, infantili, e non persone che comprendono il cammino dell'altro e lo sanno rispettare ed amare?- propone Chiara. -Ma questo vuol dire che uno può star tranquillo?- insiste Michele. -Certamente- conclude Chiara- perché il vero Amore è un amore psichico, quasi impersonale, ma forse è più corretto dire transpersonale, va oltre cioè il confine fisico della persona-. Gli altri annuiscono rapiti. Come hanno parlato bene i nostri innamorati! Ma ora è Dante che spiega:
...I' mi son un che quando Amor mi spira, noto e a quel modo
che ei ditta dentro vo significando.
Cosa vuol dire? -Vuol dire che quando uno è mosso da quel sentimento, la parola esce come un dettato del cuore- spiega sco. -Vuol dire anche- fa Valentina- che la parola è spontanea, immediata, semplice, serena-. -Vuol dire,- aggiunge Diana - che dalla batteria e dalla chitarra siamo ati agli strumenti a fiato che, basta soffiare, producono un suono liscio, continuo, immediato. Ma questo è anche il massimo della sincerità: dal dentro al fuori, dai sentimenti alla parola con immediatezza, dal significante al significato. Senza aggiungere altro.-Ma è tutto- osserva Serena. Dunque l'uomo sincero è come uno che scrive sotto dettatura, cioè in modo quasi automatico e impersonale; non parla per sé, non difende interessi particolari, parla a nome di un principio di verità che è dentro di lui e si fa strada da solo dal fondo dell'anima, perché non trova ostacoli sul suo percorso. Ecco perché la parola rende sovrani, cioè signori del proprio corpo, come della propria espressione. La falsità è stata debellata.
Poesia e riservatezza
Sappiamo cos'è la sincerità. Ma ora bisogna chiedersi: è sempre giusto dire tutto o talvolta è necessario tacere? E questo il tema del canto XXVI del Purgatorio dove si parla della lussuria, ma contemporaneamente dello stile. Ma è poi cosi strano? Stefania immediatamente congiunge: -Non è sempre fine mostrare il proprio amore o forse bisogna mostrarlo nei modi opportuni.-In effetti- confessa Fabrizio -quando mi innamoro sono un disastro, telefono 10 volte al giorno, scrivo lettere infuocate, sono geloso, faccio regali a tutto spiano.-Sei proprio rozzo!- Ride Giampiero. -Guarda Ivano che stile! È affabile, cortese con le sue ammiratrici, ma come le tiene sulla corda. Impara che fai sempre a tempo!-Io sono naturale- dichiara Luigia. -Se amo, amo e basta. Non ditemi che mi devo contenere perché per me il bello è proprio qui, nel mostrare tutta me stessa-. -E si vede anche da come ti vesti- fa ironica Cristina. -Ma che male c'è,- ribadisce l'altra -è così bello essere belli!-A me invece piace la segretezza- interviene Silvia -forse perché sono così timida. Mi piacciono gli sguardi furtivi, i bigliettini nel diario, le dichiarazioni sottovoce.-Più te ne fanno, più sei contenta- scherza Aldo. -Io- dichiara Paolo -sono per i simboli. Se amo, voglio si capisca da una cosa strana, che non sia così evidente per tutti, mi deve decifrare solo colei che amo. Allora c'è gusto, perché ho la prova che siamo affini.-
-Spiegati meglio,- fanno gli altri incuriositi -non ci è chiaro.-Ma se lo dico, finisce il segreto- chiude Paolo. I miei ragazzi stanno scaldando i muscoli. Faccio qualche domanda. Cos'è la lussuria? -Eros troppo in vista, assenza di stile.Cosa rappresenta la lussuria? -Il fuoco che, come la ione, brucia.Perché Virgilio dice a Dante: Giovi ch'io ti scaltri? -Perché in amore la ragione scaltrisce, cioè modera, consiglia, raffredda.Ma allora l'amore non deve bruciare? -È sufficiente che scaldi.Quali esempi di amore non lussurioso vengono proposti? -La Madonna, Diana e le persone sposate che non commettono adulterio.Ma allora cos'è l'amore non lussurioso? -Secondo me Dante vuol dire che l'amore vero non è quello fisico.-Secondo me vuol dire che è meglio l'innamoramento dell'amore.-Secondo me che anche l'amore, come la poesia, deve tenere desti i sensi, ma senza placarli.Cosa fanno i lussuriosi per purificarsi? -Sono divisi in due schiere, omosessuali ed eterosessuali che vengono da parti opposte, si incontrano, si baciano, quindi ritornano là da dove sono venuti-. Perché si baciano?
Risponde Corrado: -È strano. In genere gli eterosessuali odiano gli omosessuali. Ed è naturale, anch’io non li posso proprio soffrire.Gridano gli altri in coro: -Ma che dici? Ma che t'hanno fatto? Sei un barbaro!Con aria di superiorità GianLuigi: -Veramente sono gli omosessuali che disprezzano gli eterosessuali e li ritengono dei rozzi che ignorano cosa sia il vero amore, che è quello intellettuale.-Ed hanno ragione;- rinforza Cinzia -quando si sentono certe bestialità, cos'altro si può dire se non che gli etero sono delle bestie?Ma vediamo cosa dicono i lussuriosi danteschi, là in mezzo alle fiamme. Gli omosessuali gridano: Sodoma e Gomorra e ricordano Cesare che si sentì chiamare in trionfo Regina (Cesar triumfando regina contra sé chiamar s'intese). Gli eterosessuali parlano di Pasifae che, per eccitare il toro alla copula, entrò in una vacca di legno (nella vacca entra Pasifae perché il torello a sua lussuria corra). Cosa vogliono farci capire? -Ho capito- esclama Corrado -sbaglio io, ma sbagliano anche loro. Io sono troppo rozzo, ma loro sono troppo snob, raffinati, intellettualoidi.-Più esattamente è questo.- precisa Carlo -Esistono due forme di lussuria: quella dell'istinto, molto bassa che ci avvicina alle bestie, quella intellettuale, troppo alta. In altri termini possiamo dire che la lussuria intellettuale deforma la ragione che è maschile, facendole assumere connotati di effeminatezza che non le sono propri.-La questione può sciogliersi anche in un altro modo.- conclude Luciano -Se gli eterosessuali evitano gli eccessi dell'istintivismo e gli omosessuali quelli dell'intellettualismo, vanno bene entrambi.-Scusate, ma tra intelletto e istinto non c'è qualcosa? E non sarà questo il segreto dell'eros?- chiede Brunella. -Ve lo dico io cosa c'è in mezzo: una cosa rara, che non va più di moda, che è
stata involgarita, rovinata, buttata alle ortiche.- risolve Sergio -È il sentimento: la zona intermedia dell'amore, l'asse su cui dovremmo imparare a camminare, volteggiare, giocare con eleganza; è il sentimento la fiamma che non brucia, la qualità nascosta delle cose.Ma come parlarne senza sciuparlo? Chiediamo a Dante che sa. Due modi esistono per esprimere l'amore: l'uno è aperto e dolce, l'altro chiuso e forte, l'uno espansivo e femminile, l'altro austero e maschile. Questo rappresentano i due poeti che Dante vede tra le fiamme. Uno è Guido Guinizzelli, l'iniziatore del dolce stil novo, l'altro è Arnaut Daniel, esperto di trobar clus (stile ermetico). A Guido Dante deve la genesi della sua poesia, ad Arnaut il rafforzamento della sua tempra di scrittore. -In effetti c'è molta differenza tra i due;- osserva Gabriella -intanto quando parla Guido tutti possiamo capirlo, Arnaut è molto più difficile, qualche parola poi è proprio incomprensibile: consiros, jausen, ma cosa vorranno dire?-Guido a Dante da del tu, è confidenziale,- osserva Fabio -Arnaut gli dà del voi, sta più sulle sue.-Io noto questo:- dice Giulio -Guido parla per ben 57 versi, Arnaut solo per 8.Guido si rivela capace di informarsi, informare, spiegare, far spiegare, sa decifrare le ragioni delle cose, ma intuisce anche gli aspetti emotivi, sa distinguere la verità dalla diceria, sa fare rapporti gerarchici, sa finalizzare i suoi discorsi ad un obiettivo concreto. -Mi sembra mia madre- non può fare a meno di notare Nicola -quando parla riesce subito a sapere e a raccontare tutto a tutti. Non so proprio come fa.-Avete notato,- interviene Silvana -che quando Guido si rivela, Dante si paragona ai figli di Isipile, che videro la madre condotta al rogo e subito corsero a salvarla? È proprio vero che per lui Guido è come una madre.-Ma poi c'è un'altra prova,- interviene Grazia -Guido gli ha insegnato i dolci detti, le rime dolci e leggiadre. Non sembrano le prime parole o le prime filastrocche che insegna una mamma al suo piccolino?-
-Mia madre- si intenerisce PierNicola -mi parlava sempre quando ero bambino, ma non storpiava mai le parole, anzi le pronunciava con chiarezza e dolcezza, senza apparire mi correggeva, senza apparire mi insegnava. Mio padre invece era di pochissime parole, aveva delle mani grandi e forti, sapeva fare tante cose. Con lui capivo che i fatti valgono di più delle parole.-Ma allora era Arnaut!- esclama Clelia -Arnaut è infatti fabbro del parlar materno cioè aggiunge forza, materia, robustezza alla parola, conferisce la personalità adulta all'atto naturale dell'espressione. E poi è bravo sia nei versi d'amore che in prose di romanzo. È molto più completo di Guido che ha scritto solo le rime leggiadre.Arnaut è essenziale, non si nasconde né si espone, è cortese ma non è espansivo, condensa tutto il suo eros in due atti che sono il pianto e il canto, in due sentimenti che sono il dolore e la speranza, in due gesti che sono l'aprire e il chiudere. L'affettività di Guido si concentra nella riservatezza di Arnaut. L'emotività si condensa. L'arte si affina come il sentimento che l'accende.
Poesia e sacrificio
-Ma sarà vero che il dolore con la poesia non c'entra niente?- insiste Valeria, ancora non del tutto convinta -e la tragedia allora come si spiega?-Ma lì- provo a spiegarle- c'è il sacrificio, che è un'altra cosa.E per convincerla chiedo aiuto ad Orazio e alla sua fonte di Bandusia.
O fonte di Bandusia, più lucente del vetro, degna di vino dolce e fiori domani avrai in dono un capretto , cui la fronte rigonfia di corna appena sporgenti promette Amore e combattimenti: Inutilmente, poiché con il suo sangue rosso macchierà le tue gelide correnti.
La fonte, dice Orazio, potrebbe ricevere vino e fiori che sono offerte simboliche, ma in luogo di quelle avrà un dono cruento: un piccolo capretto, pronto agli amori e alle lotte cadrà ucciso in suo onore. I miei ragazzi non ci stanno. -Ma non era meglio offrire vino e fiori?-
-Ma perché ammazzare una povera bestiola?-Per giunta così carina?-È cattivo Orazio.-Ha un cuore di pietra.-Come la fonte, che ha acque gelide.-E invece il capretto ha un sangue caldo, rosso e vivo, come i suoi desideri e le sue speranze....Piace a Orazio il gioco dei contrari: prima l'acqua cristallina e il liquore denso del vino dolce, ora la gelida corrente e il sangue rosso. -Sembra quasi che sia necessario ammorbidire l'eccessivo gelo, attenuare il carattere vitreo con liquidi caldi, intensi, di colore vivo.-Il gelo del cuore ha forse bisogno del caldo della ione e della sofferenza.-Probabilmente in quella fonte è nascosto un dio implacabile e duro che pretende un sacrificio per diventare più umano.Ma Fons o Fontus è davvero un dio romano: era figlio di Giano, il suo tempio era sul Gianicolo, era il dio delle sorgenti e divinava, rivelava e purificava. Tutto questo non si fa gratuitamente, ma solo dopo offerte sostanziose e cruenti sacrifici. Avviene anche nella tragedia greca: si uccide un capro e sull'arena intrisa di sangue prende forma un dialogo tra divinità e uomini. Qualcosa del genere succede anche alla fonte di Bandusia dopo il sacrificio del povero capretto:
Tu inalterabile persino nell'ora atroce della Canicola offri un amabile refrigerio
ai tori stanchi del lavoro e alle mandrie vaganti.
-La fonte è diventata gentile.-È meno gelida; il frigus è amabile, cioè piacevole, non esagerato.-Dà da bere a chi ha faticato.-Dà da bere a chi è stanco.Quindi la fonte è cambiata e non per la canicola che non riesce nemmeno a sfiorarla, dice Orazio, bensì, diciamo noi, per il sangue rosso, caldo e vivo del capretto che con il suo sacrificio ha fatto diventare la fonte più soccorrevole, più utile, più comunicativa, più generosa. Ecco a cosa servono i sacrifici: creano dialoghi laddove c'era incomunicabilità, aprono porte e spiragli d'amore. E un orizzonte nuovo si schiude anche per la fonte di Bandusia:
Anche tu diventerai una fonte rinomata grazie a me che parlerò di quella quercia che si è imposta sulla vuota roccia da dove zampillano le tue acque loquaci.
Quante novità! La fonte, prima vitrea, poi gelata, è diventata amabile e adesso è pure chiacchierona. -E poi c'è una quercia che con forza si è imposta sulla roccia.-
-Che bella la quercia, così grande, così maestosa.-Ci voleva un po’ d'ombra, con quel caldo.Ma cosa rappresenta la quercia o il leccio che le somiglia? Non si tratta di un albero qualunque, come la cava roccia non è una pietra qualunque. Ancora un gioco di contrari, questa volta decisivo: da un ato doloroso emerge una realtà positiva, sulla pietra sterile si impianta un grande albero. -Ma la quercia non è l'albero di Giove?-E Giove non è il dio giusto che ha cacciato Saturno, dopo averlo costretto a vomitare i figli che aveva ingoiato?-Ecco perché la pietra è vuota-. -Ecco perché la quercia si è imposta con la forza.-Dunque il capretto è servito davvero.-Non solo è servito, ma è stato anche vendicato.-Ora Saturno è vinto e la fonte è tutta contenta perché c'è Giove: ecco perché è diventata loquace; prima era triste.E anche Orazio è felice, perché anche lui aveva molto sofferto prima di diventare il poeta famoso che conosciamo. Si era sentito solo, aveva sacrificato tutta la sua giovinezza, con i suoi amori e il suo desiderio di combattere, ma alla fine trovò in Mecenate un amico grande e potente che fu davvero la sua quercia, il suo rifugio e la sua gioia. Avvenne così che la sconosciuta fonte di Bandusia, piccola fonte pugliese, diventò celebre e loquace, in grado cioè di poetare liberamente ed estesamente. L'Alceo romano.
Poesia e immaginazione
Si può amare un’immagine? -Come no,- fa Giorgio -basta guardare il diario di Marzia. Ci sono quarantacinque foto di Tom Cruise e nemmeno lo conosce.-E tu allora- attacca lei, -hai tutte Harley Davidson e sono sicura che non ne hai toccata nemmeno una in tutta la tua vita.Ricordate quando per la prima volta insieme incontrammo l'amore per un'immagine? Accadde in una poesia di Giacomo da Lentini:
Maravigliosamente un amor mi distringe e mi tene ad ogn'ora. Com'om che pone mente in altro exemplo pinge la simile pintura così bella facc'eo che'nfra lo core meo porto la tua figura.
Perché dice maravigliosamente?
Spiega Franco: -Amare un'immagine è un fatto magico come l'amore virtuale, è irreale, però funziona, funziona davvero-. E infatti Giacomo si sente distringere cioè afferrare con forza, stretto in una morsa e mai abbandonato nemmeno per un momento. E questo accade perché un'immagine si è piazzata lì in mezzo al suo cuore: l'immagine del suo amore. Capita anche a voi? -Se mi innamoro- dice Laura -lo capisco quando mi ritrovo da sola e non mi sento più sola, perché nella mia mente ha preso posto qualcosa di forte che mi fa stare quasi male….-
In cor par ch'eo vi porti pinta come parete e non pare di fore. O Deo, com mi par forte non so se lo sapete con v'amo di bon core ch'eo son sì vergognoso ca pur vi guardo ascoso e non vi mostro amore.
L'amore è dentro, ma fuori non si vede. Giacomo è timido e guarda di nascosto la sua bella, non riesce a manifestare il suo amore. -Succede anche a meconfessa Micaela- quando mi innamoro; all'inizio mi sento paralizzata , non ho coraggio nemmeno di guardare, figuriamoci di parlare. Tutto succede dentro di me e mi sovrasta.-
Avendo gran disio dipinsi una pintura, bella, voi simigliante, e quando voi non vio (vedo) guardo 'n quella figura e par ch'eo v'aggia avante....
Ora Giacomo prova un desiderio così forte che sente il bisogno di trascrivere l'immagine interna in una figura esterna, un quadro oggettivo e reale: una pittura. L'immagine prima interiorizzata ora viene portata fuori, rappresentata, oggettivata . Giacomo ce l'ha di fronte, può guardare avanti a sé. -Quando ero piccolo- ricorda Nicola, -mi innamoravo sempre di qualcosa: un giocattolo, un animale, un oggetto. E avo ore a disegnare ciò che volevo: robot, cavalli, motociclette. Amavo intensamente quei disegni, li appendevo al muro vicino al letto e li guardavo....E l'amore cresceva e si alimentava col desiderio:
Al cor m'arde una doglia com'om che ten lo foco a lo suo seno ascoso e quando più lo 'nvoglia allora arde più loco e non può stare incluso; similelemente eo ardo
quando o e non guardo a voi viso amoroso.
Giacomo ora non ce la fa più, arde di desiderio più che mai, il fuoco non riesce a star più chiuso nel cuore, vuole uscire anche lui allo scoperto. E allora? Giacomo esce e stavolta guarda la sua amata, non si nasconde più, osa mostrare finalmente il suo amore. Cosa è accaduto? -Forse, propone Caterina, facendo il disegno si è come impadronito di ciò che ha disegnato: questo lo fa sentire più sicuro di sé, come se avesse maggiori diritti sulla sua amata, come se l'avesse assimilata a sé.-
S'eo guardo, quando o, inver voi, no mi giro, bella, per risguardare. Andando ad ogni o Getto un gran sospiro Che facemi ancosciare E certo bene ancoscio Ch’a pena mi conoscio Tanto bella mi pare.
Giacomo ora a, guarda e non si gira. Perché non si gira? -Perché ormai è sicuro di sé, non ha bisogno di girarsi.-
-E poi se tu guardi bene, stampi l'immagine dentro di te, non hai bisogno né voglia di girarti, rovineresti tutto con una visione sbieca, mezza storta.-Ma poi scusate, Giacomo mica è scemo. Che non lo sa che Orfeo, girandosi, ha perso Euridice?Lui alla sua bella ci tiene, si contenta di guardarla una volta e subito attacca il mantice dei sospiri. -Che vi dicevo?, esulta Franco, è come l'amore cibernetico: tu guardi, ma è come se fosse tutto vero.-
Assai v'aggio laudato madonna in tutte parti di bellezze ch'avete. Non so se v'è contato ch'eo lo faccio per arti (lo faccio per finta) che voi pur v'ascondete. Sacciatelo per singa (riconoscetelo dai segni esterni) zo ch'eo no dico a linga (ciò che non dico a parole) quando voi mi vedrite.
La bella si nasconde ancora. Forse qualcuno ha messo in giro la voce che quest'amore sia tutto una messa in scena; ma Giacomo non ha dubbi: quando la sua amata vedrà i segni concreti dell'amore, allora crederà ai suoi occhi e saprà che è tutto vero. Quali saranno i segni, secondo voi?
-È semplice,- risponde Nicola -mica si può amare e basta. Bisogna fare i fatti. Io quando mi sono innamorato dei cavalli, poi sono andato a scuola di equitazione, altrimenti che amore era?-E a me piace cantare,- conferma Marzia -ma quanto studio e fatico, lo so io.-E io voglio la moto, ma d'estate faccio il cameriere per metter via dei soldiaggiunge Giampiero. Eccoli i ragazzi, quando una cosa li tira, eccome che si danno da fare!
Canzonetta novella va’ canta nova cosa, levati da maitino davanti a la più bella fiore d'ogni amorosa blonda più ch'auro fino. Lo vostr'amor ch'è caro donatelo al Notaro ch'è nato da Lentino-
Giacomo si è dichiarato apertamente, ha mandato un messaggio inequivocabile, firmato e sottoscritto, manco fosse un atto notarile davvero. Non si nasconde più, non si vergogna più. L'amore è diventato realtà. Ma senza l'immaginazione sarebbe giunto alla meta? -Certo che no!-
Poesia e sublimazione
Cosa rappresenta la donna in poesia? -La donna è simbolo dell'Anima.-Ogni poeta in fondo dialoga con la parte femminile di sè, la sua interiorità, la sua parte nascosta.Sapete cosa dice il poeta Mario Luzi? Il poeta quando parla della Donna, vuol intendere la Poesia e il suo particolare rapporto con la Poesia. Dunque la Donna è l'immagine stessa della Poesia. Quanti personaggi femminili nel nostro percorso abbiamo incontrato! Aleksander: -Per me Beatrice resta insuperabile. È l'archetipo della donna: sorella , amica, amante, madre. Tutto.Pavel:-Mi piace di più Angelica: una Venere in miniatura, corre dappertutto svegliando il desiderio. È il riflesso dell'Alma Venus di Lucrezio, è la voluptas. È la natura ormai angelicata del Rinascimento.Marco: -Preferivo Aura, l'amante invisibile di Cefalo nel racconto di Ovidio.Fabio: -E la vedova di Castel Giubileo che soccorre Rinaldo d'Esti nel Decameron? E concede al povero rozzo mercante sfortunato tutto ciò che di diritto apparteneva al grande marchese di Ferrara: bagno caldo, ricca cena e tanto tanto amore?Marzia:- E la Lucrezia di Tito Livio, stuprata dal perfido Tarquinio: che morte eroica!Paola:- Un po’ troppo tragica, meglio la Lucrezia della Mandragola che alla fine si innamora di Callimaco e vive felice e contenta.Marzia:- Bella morale. Si innamora del suo stupratore e mette le corna al
marito.Paola: -Ma guarda che Callimaco la ama davvero e non la stupra affatto.Emanuela: -E Sofronia allora della Gerusalemme liberata? Così seria, onesta, solenne, ma con quei veli che si muovono di qua e di là e fanno intravedere. Provocante a modo suo: il tipico esemplare di bellezza cattolica.Fabiana:- Ma è la Chiesa cattolica. Povero Olindo!Emanuela:- Ma guarda che lui è contento.Daniele :- Ma di tutte la più bella resta per me la Dianora del Boccaccio che è Donna e Madonna nello stesso tempo.-Ma che vuoi dire?- chiedono gli altri. Daniele:- Ora ve la racconto a modo mio e vi faccio capire. Dianora è una donna stupenda e piena di virtù che vive nel Friuli, la regione più fredda d'Italia. -Forse è un po’ sprecata in un paese così freddo: somiglia alla Madonna che era perfetta in un mondo al contrario.Possiamo immaginare che qualche volta in cuor suo vorrebbe un po’ di allegria, di colori, di festa. -Come tutte le donne che non sono mai contente.Dianora ha un ottimo marito, di nome Gilberto, mercante ricchissimo, di ottimi costumi. Ma di lei si innamora un grande barone, di nome Ansaldo. -Il solito dilemma tra nobiltà e mercanzia. Chi sceglierà tra i due?Poiché Ansaldo corteggia Dianora in modo pressante, riempiendola di doni che vengono regolarmente restituiti, alla fine Dianora per farla finita propone una sfida impossibile: solo se Ansaldo sarà in grado di offrire un giardino fiorito in pieno inverno, solo allora Dianora concederà il suo amore. In questa richiesta Dianora si rivela completamente donna, ma non perché vi
abbia messo malizia, ma forse perché ha osato un azzardo mentale: vuol forse conoscere la potenza dell'Amore. Suo marito è un uomo molto concreto, realista, razionale, è un mercante. Ansaldo invece è diverso, chissà che per lei non possa fare un salto dalla rupe, un volo pindarico, un qualcosa di eccezionale, mai visto. -Dianora in questo caso sembra Eva, rompe un ordine stabilito. Per scommessa, forse per noia.Lei non lo sa, ma sta mettendo in moto il mondo. Vuole un giardino dell'Eden in un mondo che Eden non è: vuole fiori tra i ghiacciai. Ma Ansaldo raccoglie la sfida, convoca il miglior mago che esiste e a caro prezzo ordina il più bel giardino fiorito laddove c'è posto solo per neve e gelo. Alla fine grazie alle arti magiche il giardino viene fuori e tutti corrono a vederlo. Anche Dianora, che improvvisamente scopre quanto possa Amore e cosa possa produrre. Ma non capisce nella sua ingenuità che non è solo potente Amore, ma anche chi può suscitarlo. Ed è stata lei, con la sua virtù, con la sua femminilità, con la sua bellezza. -Adesso è diventata di nuovo la Madonna.Ecco che tutta affranta va da suo marito Gilberto e gli racconta ogni cosa. Lui ascolta serio, dovrebbe arrabbiarsi e in cuor suo è molto seccato, ma si controlla perché è un uomo che ha il pieno dominio di sé. Rimprovera la moglie per aver sottostimato la potenza dell'Amore, per non aver ipotizzato gli effetti straordinari che può produrre. La rimprovera, ma le ricorda che i patti vanno onorati. Lui, che è un grande mercante, conosce le regole del gioco e quindi invita la moglie a rispettare gli accordi: andrà da Ansaldo, dichiarerà la sua disponibilità a meno che lui stesso rinunci per sua magnanimità o per improvviso risveglio della coscienza morale. -Certo questo Gilberto è davvero eccezionale, ma chi sarebbe stato capace di fare una cosa del genere?-Béh, pure lui sarà rimasto folgorato: quel giardino d'inverno mica è una cosa da poco-. -E poi è tutto merito della moglie che è così bella.-
Sì d'accordo, ma Gilberto resta comunque eccezionale. Ecco dunque Dianora che va da Ansaldo che la accoglie con gioia e rispetto. La fa entrare in una bella sala col camino e sente il bisogno per prima cosa di mostrare Dianora al mago per ringraziarlo: è merito suo se una così bella creatura è venuta nella sua casa. Per Ansaldo, non c'è dubbio, il giardino d'inverno è lei, luogo di tutte le perfezioni naturali. -Ma anche Ansaldo è sublime. Mica la porta subito in camera da letto per saldare il conto.Ma veniamo ora al punto cruciale: Dianora con garbo spiega ciò che le ha ordinato suo marito Gilberto, facendo rimanere trasecolato Ansaldo che a tutto aveva pensato, eccetto al fatto che lì dall'altra parte c'era un marito. E che marito! Un uomo di tutto rispetto, intelligente, fine, rigoroso, pronto anche ad andare contro se stesso e i suoi sentimenti. Gilberto, che Dianora ha posto come artefice della sua resa, è colui che farà desistere Ansaldo. -Ma come pensava che Dianora avesse un marito non degno di lei?Ecco che allora Ansaldo si sente nuovamente sfidato da Dianora, che in qualche modo gli ha detto: -Questo è mio marito, tu vorrai essergli da meno?- E come Gilberto ha rinunciato alla moglie, così Ansaldo ora rinuncia all'amante. Ma la cosa più bella è che il mago rinuncia alla parcella e sapete perché? In questa scena egli ha visto il vero giardino d'inverno: Ansaldo, Dianora e Gilberto sono tre meravigliosi fiori in un mondo di lupi. E il mago ha scelto di essere fiore tra i fiori. Ora sono in quattro: Dianora e i suoi tre splendidi cavalieri; insieme sono il simbolo della quaternità, cioè della perfezione della natura. Quella natura in cui l'istinto naturale diviene altro da sé: civiltà e sublime spiritualità.
Poesia e azione
-Scusate ma qui sembra che esista solo la donna, e l'uomo non conta niente in poesia?- corre la protesta maschile per voce di Giorgio. Ma cosa rappresenta l'uomo in poesia? -Se la donna è l'Anima,- parla Erica- l'uomo è l'Animus, il che vuol dire l'elemento attivo, maschile, operativo della mente: l'idea platonica naturalmente, perché nella realtà....-Perché voi siete tutte belle come Dianora- ironizza Felice. -Insomma- calma le acque Marco -se la donna è la Poesia, l'uomo è il Poeta, colui che crea, costruisce, fabbrica la poesia. Non è poco, se ci pensate: cosa sarebbe senza Dante Beatrice? Una Bice qualunque oppure la Teologia, sai che divertimento!Dunque l'azione, il coraggio, l'iniziativa ardimentosa, la creazione fattiva: tutto questo è l'Uomo, ciò che in letteratura diventa l'Eroe. Ma quando si parla di eroismo, ci vuol poco a sembrare retorici, scontati, mitomani.... -Non so perché,- interviene Nunzio -mi vengono in mente più sconfitti che vincitori, più antieroi che eroi. Forse perché oggi il male trionfa, eroi ce ne sono pochi e quei pochi vengono sopraffatti…Ma allora cominciamo dagli eroi negativi. Chi è il peggiore? -A me -apre Marco- ha fatto più ribrezzo di tutti Sesto Tarquinio, quello che violentò Lucrezia che poi si uccise.-Raccontaci la storia- tirano gli altri. Siamo in un accampamento romano nei pressi di Roma. La pressione militare è
bassa, l'atmosfera è oziosa, rilassata..... un po’ troppo. I giovani ufficiali, tutti aristocratici, sono riuniti nella tenda dei figli di Tarquinio il Superbo e bevono, ridono, parlano..... anzi straparlano. Come spesso capita, si va a finire a parlare di donne. Ognuno vanta la propria, ma uno in particolare sembra in uno stato di eccessiva esaltazione: è Collatino, da poco sposato con Lucrezia. Forse è molto innamorato, forse è ubriaco, ma vanta sua moglie in modi esagerati. Alla fine, trascinato dalla furia della competizione lancia una sfida: "Perché non montiamo a cavallo e andiamo a vedere coi nostri occhi come sono le nostre donne?". Partono di volata, la sera stessa sono a Roma e cosa trovano? Le nuore del re nella reggia se la sano allegramente, Lucrezia invece se ne sta nella sua casa e nel cuore della notte fila lana con le sue ancelle. Immaginiamo le facce degli improvvisi visitatori: Collatino esultante, gli altri lividi; ma in particolare sul volto di Sesto Tarquinio, l'erede al trono, ano velocemente stupore, ammirazione, invidia, gelosia, rabbia e alla fine voglia di avere tutto o distruggere tutto, com'è logico per un figlio di re, prepotente e viziato fin dalla nascita. Ed ecco nella sua testa prender forma un piano diabolico.... Qualche giorno dopo si presenta a casa di Lucrezia, è accolto con onore e rispetto, com'è dovuto a un amico, com'è dovuto a un figlio di re. Dopo cena è accompagnato nella stanza degli ospiti, ma non si addormenta.... aspetta invece che siano gli altri addormentati e come un serpente sguscia fuori della sua stanza, si infila in quella di Lucrezia, si avvicina al suo letto. Ha un pugnale nella destra, con la sinistra schiaccia il petto alla donna, che intanto si è svegliata ed è terrorizzata; quindi sibila: "Se fiati, ti uccido". Poi travolto da uno strano raptus, forse perché la vede bella, forse perché si sente un verme, comincia a parlarle d'amore, a pregarla, a supplicarla, poi la minaccia, poi torna a pregarla, di nuovo la minaccia; infine la piega con la violenza: "Se tu non fai quello che dico io, ti ammazzo, ti violento, ti butto addosso un servo nudo e sgozzato con le mie mani, quindi mi metto a urlare che sono stato io ad uccidervi, perché ti ho scoperto in flagrante adulterio con uno sporco schiavo." Chissà forse nella sua paranoia immagina di are alla storia come il giustiziere di un'infame adultera: Sesto Tarquinio, l'ottavo re di Roma, detto il
Giusto. Lucrezia capisce che è tutto vano, perciò si rassegna e subisce in silenzio lo stupro; quando tutto è finito e lo scalpitio dei cavalli si allontana, raduna le proprie forze, si alza, chiama i servi e li manda dal marito e dal padre con un messaggio allarmante : "Fate presto, è successa una cosa terribile." Arrivano e la trovano seduta sulla sponda di un letto stranamente in disordine. Con scarne parole racconta il misfatto. "Tracce di un altro uomo sono nel tuo letto," dice a Collatino "appartengono a Sesto Tarquinio che, venuto in questa casa nemico anziché amico, ha tratto di qui un piacere che mi ha rovinato. Ma anche lui sarà rovinato, se voi siete uomini veri." Collatino ora forse ricorda lo strano sguardo di Sesto Tarquinio, forse ora può misurare esattamente la profondità dell'odio che sempre li ha uniti e divisi, ora capisce di essere anche lui responsabile, complice, si sente in colpa, vorrebbe consolare Lucrezia e l'assicura: "Tu non hai nessuna colpa, tu non volevi, la tua anima è pura." Ma per lei le cose stanno diversamente; lei sa che molti rideranno di lei, che pochi le crederanno, forse col tempo anche Collatino si vergognerà e la odierà.... meglio farla finita, pensa, al mio onore ci bado io; Collatino pensi al suo, se ci tiene. Tira fuori da sotto la veste un pugnale (ma non sarà quello di Tarquinio?) e se lo ficca nel cuore.Marco ci ha commosso. Immaginiamo che la stessa commozione abbia provato Niccolò Machiavelli, quando più volte lesse la storia di Lucrezia negli Annales di Tito Livio, in una delle tante serate che ava all'Albergaccio, isolato nel suo studio, a parlare a tu per tu con gli antichi, come piaceva a lui, senza complessi, senza spocchia, alla pari, con amicizia. Certamente ser Niccolò avrà pensato che Lucrezia così bella e così virtuosa non meritava una fine tanto violenta. E per colpa di chi? Di due uomini entrambi stupidi: uno ingenuo e chiacchierone che non è riuscito a salvaguardare la sua famiglia e il suo onore, l'altro violento e coatto che per una bravata di questo genere è arrivato a giocarsi il regno, pensate, la MONARCHIA!
-Troppo alta Lucrezia per due idioti del genere!- Questo avrà pensato Machiavelli con disgusto; lui che insegnava a tutti come creare e come mantenere le monarchie, vedeva, nel tragico caso della donna romana, figurata in modo esemplare la distruzione dell'antichissima e nobilissima monarchia romana. E tutto questo per un istinto cieco e folle, tutto questo per mancanza di intelligenza politica. E allora a tavolino, a mente fredda, ser Niccolò pensò: -Cosa si poteva fare per salvare Lucrezia e con lei la monarchia?-. Da questo gioco mentale nacque La Mandragola, commedia che sembra proprio la palinodia del tragico caso di Lucrezia. Raccontiamone la storia. Un giovane italiano, di nome Callimaco, di notevole bellezza, eleganza e cultura, vive a Parigi, capitale del paese più moderno d'Europa, all'avanguardia per strutture economiche, organizzazione politica, solidità finanziaria (Niccolò era un francofilo). Una sera Callimaco invita a cena alcuni amici; si va a parlare anche lì di donne e mentre tutti lodano le si, uno solo mette avanti a tutte un'italiana: sua cugina Lucrezia, moglie del fiorentino Nicia Calfucci. Callimaco sente il richiamo della terra d'origine, torna a Firenze e davvero scopre che Lucrezia è la più bella di tutte, se ne innamora perdutamente, ma non sa come farla sua. La donna è onestissima, ben protetta, sposata ad un uomo vecchio, ma ciononostante da lei tenuto nella massima considerazione. Ecco i due uomini della Mandragola, ben diversi, come vedete dai contendenti di Tito Livio: Callimaco non è tenebroso né psicotico come Sesto Tarquinio, Nicia non è giovane e impulsivo come Collatino. -Questa alterazione dei profili maschili già offre a Lucrezia qualche possibilità di salvezza.- avrà pensato certamente Niccolò, che subito dopo avrà aggiunto questa considerazione :-Non basta, è troppo poco, ci vuole altro.....E allora fa diventare Nicia un vecchio marito che smania per la paternità, che vuole a tutti i costi un erede, vuol continuare la dinastia: in altri termini non vuole la fine del suo regno malgrado il declino senile lo renda impotente a procreare.
-Già così- pensa Niccolò -Lucrezia è salva, perché fa un figlio con Callimaco che è bello, giovane e intelligente; il regno continua, ben rinsanguato da energie fresche-. Ma come evitare che Lucrezia si trasformi da paladina dell'onore in donna di facili costumi? -No, -pensa Machiavelli- Lucrezia non deve diventare una baldracca. Tutto, ma questo no, piuttosto rinuncio-. Ecco che allora ai nostri eroi ( si fa per dire, perché di eroico hanno ben poco) si affiancano due personaggi di sostegno: uno è Ligurio, scroccone, ma ricco di inventiva e di spirito organizzativo, l'altro è Timoteo, uomo di chiesa, che sa trattare l'aspetto psicologico delle questioni, sa prendere le persone dal verso giusto, soprattutto le donne.... Entrambi non sono dei missionari e hanno un tornaconto: Ligurio si assicura il vitto, Timoteo le offerte per la sua chiesa, ma sono abili, tenaci e portano a termine le loro iniziative come meglio non si potrebbe. Ligurio tiene a bada Callimaco, si lavora Nicia, li governa e li muove come marionette; Timoteo invece prepara l'anima di Lucrezia al grande salto dell'adulterio, facendo leva solo su un punto: il desiderio di un bambino, comune a lei e al vecchio marito. Grande è l'abilità di questo frate che porta Lucrezia all'adulterio, senza che lei perda un grammo della sua grazia e della sua candida umiltà. Azione e pensiero congiunti creano il gioco: a Lucrezia viene somministrata la pozione miracolosa di mandragola e nel letto dove lei giace è trascinato un giovane, ufficialmente destinato a morire dopo aver assorbito nell'amplesso tutta la velenosità dell'erba. Ma quel giovane nella realtà è Callimaco, che dopo aver fatto la sua parte, si rivela, scopre il suo amore e dichiara apertamente a Lucrezia tutto ciò che è stato tramato alle sue spalle. Lei potrebbe gridare, chiedere vendetta; è evidente che Callimaco sta rischiando, ma lui l'ama e se la vuole guadagnare anche onestamente la sua Lucrezia. Vuole essere scelto, a sua volta amato e non per una notte, bensì per tutta la vita . Per questo accetta il rischio. Ecco che ora Lucrezia sa tutto, può vedere il concerto di forze aggregate in un unico scopo, può osservare la convergenza di tutte le linee in un centro che è dentro di lei, dove nascerà quel bambino che farà felici tutti. Allora sceglie
Callimaco come amante e uomo della sua vita. La discendenza è assicurata, il regno è salvo; nominalmente è di Nicia, in verità è gestito da valenti ministri che si sono guadagnati il potere in modi forse discutibili, ma con profusione di impegno, con tenacia e soprattutto attenzione al risultato. -Ma questa- protesta Arianna - è una commedia all'italiana!-Ma gli eroi dove sono?- rinforza Alessandra -qui ci sono imbroglioni, disonesti, mi dispiace per Lucrezia, ma pure lei in capo a tre mesi con quelli lì è diventata una poco di buono!E allora cerchiamo ancora l'eroe. Chi è per voi il migliore? -Per me- risponde sicura Marilina -il migliore è in assoluto Orlando. La sua correttezza è unica. Ve lo ricordate quando combatte con l'Orca ed evita accuratamente di sbirciare le belle nudità di Olimpia, per non mancarle di rispetto? È una piccola cosa, se vuoi, ma per me vale più di cento battaglie.-Sì, però a che gli serve essere così corretto?- fa notare Giancarlo -Alla fine Angelica, che lui venera come la Madonna, si mette con un ragazzotto biondo e paffutello che a Orlando non può nemmeno legare le scarpe. Mi dici quanto ci ha guadagnato a fare l'eroe?Qui occorre un mutamento di prospettiva: forse non è Orlando l'eroe, del quale conosciamo tutto, le imprese, la follia, il rinsavimento. Forse l'eroe è Medoro che riesce laddove lui ha fallito. Domandiamoci allora se Medoro non abbia qualche virtù nascosta che manca ad Orlando. -Forse- aiuta Giulia -Orlando è troppo perfetto, sempre impeccabile, non ne sbaglia una.-Già- osserva Silene- è troppo bravo. Ma ci pensate che conosce a perfezione sei lingue? Ma è un mostro, non è un uomo!-È vero, -conferma Giovanna- è esagerato; a una donna un uomo così non piace, a una donna piace coccolare, proteggere; il senso materno lo vogliamo considerare?-
Forse Medoro suscita il senso materno di Angelica quando lo trova ferito nel campo di battaglia. E poi Medoro è un ragazzo; non conta nulla nella scala sociale, ma si fa apprezzare da tutti per la sua grazia, per la sua bellezza, ma ancor più per il suo ardore e per la sua abnegazione. Cloridano che è suo amico, più grande, più forte, più esperto probabilmente, talvolta si sorprende nel costatare l'ardimento e lo spirito di iniziativa di questo ragazzino, ma soprattutto quel modo tutto suo di condurre le imprese, ad esempio quando propone di andare a seppellire il corpo del loro signore Dardinello, morto in battaglia. Medoro vede il campo illuminato dalla luna e anziché temere quel chiarore che ad altri ha portato sfortuna, si rivolge alla luna come ad una madre e le chiede aiuto e protezione, ma soprattutto vuole che quel chiarore consenta di individuare il corpo del morto Dardinello. E la Luna maternamente lo accontenta. Medoro e Cloridano trovano Dardinello e se lo caricano sulle spalle: Medoro, così piccolo, ma già tanto forte, cammina col suo fardello anche quando Cloridano lo lascia solo all'arrivo improvviso dei nemici. Medoro sembra Enea con Anchise: forse per lui Dardinello è stato come un padre, lo ama così tanto che non si separa da quel corpo nemmeno quando i nemici lo circondano e lo vogliono uccidere. Egli non chiede la vita per sé, chiede solo di poter seppellire il suo signore, poi morirà tranquillo. Di fronte a tanta grazia e a tanto eroismo anche il nemico Zerbino resta commosso! Ma chi è questo Medoro? -A me sembra come un fratellino di Orlando;- osserva sca- è come se volesse emulare i grandi, ma lo fa con ingenuità.Ma forse è l'Eroe. Forse rispetto ad Orlando ha qualcosa di più, la magia della fanciullezza, un rapporto candido con la natura, con la quale è ancora in comunione, ha degli affetti così profondi che non si sono formalizzati ancora in ruoli precisi. Ha proprio la freschezza e la tenerezza che mancano a Orlando: parla con la luna come fosse sua madre, difende Dardinello come fosse suo padre. È perfetto. Ecco perché Angelica se ne innamora e lo sposa, ma prima di tutto lo guarisce. E Medoro per gratitudine scrive poesie. -Scommetto che Orlando le poesie non le sapeva fare: troppo razionale, troppo controllato!- insinua Marina -e chissà forse anche nell'amore Medoro è più
bravo...- Quindi abbiamo scoperto che l'eroe, quando è fanciullo, è più completo, proprio perché sa davvero fare tutto. Forse sa anche ridere e scherzare, ed anche amare. -Ora capisco perché nei cartoni animati l'eroe è sempre un ragazzo. Vi ricordate Goldrake, Jeeg robot d'acciaio, Mazinga Z? Erano tutti ragazzini- fa osservare Oscar. L'Eroe è un divino fanciullo, candido, apionato, pronto a tutto......come Pavone di Giambattista Marino. -Chi? quello che rubò le stelle?- chiede Barbara. Sì, anche lui era un ragazzo, ma a differenza di Medoro, le sue origini non erano affatto oscure. Figuratevi che era il favorito di Apollo:
Era questi un garzon superbo e vano tutto d'ambizion colmo la mente cameriero d'Apollo e cortigiano che l'amò molto e 'l favorì sovente.
Pavone è un privilegiato, per questo è così superbo, vanitoso ed ambizioso; ma se Apollo lo ama e lo favorisce, forse avrà qualche merito. Come succede non di rado a chi appartiene alle classi superiori, si innamora di una ragazzina di grado sociale piuttosto modesto. Il suo nome è Colomba. -Ma Colombina non è il nome della servetta della Commedia dell'Arte?- associa Lorella. Le differenze tra Pavone e Colomba sono notevoli:
Di qualità contrarie avean le voglie:
tutto era fasto e gloria il giovinetto nei pensieri, negli atti e nelle spoglie. l'altra costumi avea dolci ed umili mansueti, piacevoli e gentili.
Colomba è più vicina alla terra, fa parte dello stuolo delle ancelle di Venere. Pavone per far colpo si fa bello, cambia d'abito ogni minuto:
per farsi grato a lei nei suoi tormenti s'abbellia, s'arricchia con maggior cura, pompe fogge livree fregi ornamenti variando ogni dì fuor di misura facea vedersi in sontuosa vesta con gemme intorno e con piumaggi in testa.
Ma nonostante questo continuo sfoggio di gemme, piume e decorazioni varie, Pavone non riesce a impressionare Colomba che indifferente procede per la sua strada, come fanno spesso le ragazze semplici con i loro spasimanti troppo altolocati. Pavone che la insegue dappertutto con sospiri, speranze e promesse varie a un certo punto si lancia:
tutto l'offrì ciò che bramasse al mondo
dal sommo giro al baratro profondo.
In questo istante Pavone si trasforma da ragazzo in eroe dei tre mondi, pronto com'è a donare le ricchezze del cielo, della terra e del profondo sottosuolo. Colomba, scettica come sempre nei confronti di quello che crede un presuntuoso e arrogantello pretendente, lo invita a fornire prove della sua bravura e chiede in dono le stelle.
Recami alquanti dei celesti lumi se vuoi pur ch' ad amarti io mi converta
Colomba sa che è un'impresa ardua, ma forse non impossibile per un cameriero del dio che tutte le sere accende le stelle, per spegnerle il mattino dopo. E poi Colomba è innamorata delle stelle e ne vuole tenere qualcuna nelle sue mani....
Qualora scintillar lassù le veggio di tanta luce io mi compiaccio assai e bramo alcuna in mano aver di loro sol per saper se son di foco o d'oro.
Vuole toccar con mano le stelle, questa emula dell'apostolo Tommaso o meglio ancora di Galileo, poiché anche lei pretende di trasformare l'astrologia in empiria. Ma grazie alla curiosità scientifica di Colomba Pavone diventa eroe. La mattina, uscito in compagnia del sole, suo dio,
alle luci notturne e mattutine accostossi per far l'alte rapine
deciso a scambiare stelle con altre stelle, le luci del cielo con le luci terrene degli occhi di Colomba. Quando vede le stelle fuggire sbigottite e tremanti all'arrivo del sole, stende il suo mantello
ed un groppo nel lembo alfin ne prese.
Il furto è fatto, l'impresa è compiuta. Ma Giove, signore del cielo, se ne accorge:
sdegnossi forte e da grand'ira tocco gli trasformò repente abito e pelle: l'orgoglioso cimier divenne un fiocco, e nella falda gli restar le stelle. Febo che pietà n'ebbe e l'amò tanto, per sempre poi gliele stampò nel manto.
Pavone come Prometeo è punito da Giove per aver osato donare all'umanità ciò che è degli dei. Ma Apollo, meno severo, stampa per amore le stelle nello strascico di Pavone, perché egli possa mostrare a Colomba sopra di sé quei segni che lei voleva tanto conoscere.
A Colomba ora basta contemplare Pavone per scoprire i segreti della luce:
..........emulator del prato fa di se stesso ambiziosa mostra l'occhiuto augel di più color fregiato e del bel lembo che s'indora e inostra di fiori incorruttibili gemmato dilettoso spettacol a chi 'l mira un più vago giardin dietro si tira.
Pavone è un prato fiorito, ma quando si sente guardato, la sua coda cambia aspetto e rivela altre meraviglie:
Ond'egli allor delle sue ricche penne il superbo gemmaio in giro aperse ed allargò quasi corona altera dei suoi tant'occhi la stellata sfera.
Non solo i fiori della terra, ma anche le preziose gemme del sottosuolo e le stelle del firmamento sa mostrare Pavone a chi, come Colomba, vuol sapere. E a chi, come la divina Giunone, vuole più semplicemente un po’ di sollievo nella calura, Pavone presta le penne per fare un ventaglio.
Ma chi è Pavone? Per tutti risponde Pietro: -Ma è il Poeta naturalmente!Dunque l'eroe più grande è il poeta che trasmette i segreti della natura nei suoi tre aspetti a chi li vorrebbe toccar con mano, agli altri offre un po’ di gioia e di sollievo dalle pene. Sembra fatuo, vanitoso, presuntuoso, a volte arrogante, ma in effetti è solo pieno d'amore.
Poesia e dono
Vi piacciono i regali? Guido. A me piacciono i regali utili. Detesto i cosiddetti pensierini. Preferisco al limite i soldi. Enzo. A me i regali non piacciono proprio. Sono sempre insinceri. Io li chiamerei obblighi fiscali, altro che regali! sca. Ma come siete duri! È così bello fare e ricevere regali! Cos'è un compleanno o un natale senza nemmeno un piccolo dono? Ma perché si fa un regalo? Emilio. Mio zio fa i regali importanti alla gente che conta, a noi altri solo stupidaggini. Valentino. Mia madre a Natale è disperata, non sa che fare, odia andare in giro per negozi. A vedere lei, a la voglia di scambiarsi i doni! Rosa. Mia zia invece vanta per mezz'ora il regalo che t'ha fatto. Carola. Un'amica di mia madre invece, dopo aver fatto il regalo, chiede subito in cambio qualcosa. Rosaria. Ma scusate, il regalo non si dovrebbe fare per amore? Raffaella. Macché amore! Conosco coppie che si odiano e si sopportano tutto l'anno e a Natale se ne escono con certi pacconi luccicanti che pare si amino alla follia. Ma chi vogliono convincere? Patrizia. Pensate quanti ragazzini sono pieni di regali e sono trascurati tutto il tempo! Eugenio. Io nemmeno i regali.
Andiamo male davvero! Ma come si ricevono i regali? Riccardo. Mio fratello non dice nemmeno grazie. Claudia. Mio zio critica sempre i regali che riceve. Massimo. Mio nonno non li vuole proprio! Giuseppe. La verità è che i regali sei obbligato a restituirli. Guarda noi, cominciamo a farci un regalino spontaneo e carino per un compleanno, poi siamo inchiodati alla ruota: tutti i santi compleanni a tutti i compagni, anche quelli che non puoi soffrire. Ecco la colletta, la tassa obbligatoria e non puoi dire di no, altrimenti apriti cielo! Vittoria. Ma non è così. Il regalo è anche un rito. Gianluca. E come tutti i riti è falso. Io sono contrario alle religioni come ai regali. Falsi entrambi e coatti! Dio mio, che squallore! Donare è una pena, si dona male, si riceve peggio. Ma ci sarà un modo bello di fare i regali? Proviamo, su, a trovare le condizioni ideali del dono! Luciano. Il primo requisito del donare è l'affetto che lo causa. Come si fa a desiderare di donare qualcosa a una persona che non amiamo? E dico di più: come si fa a donare a chi ci odia? Io quindi mi farei prima questo esame di coscienza: voglio bene a Tizio? Tizio mi vuole bene? Se sì, gli farei il regalo. Elisabetta. Il secondo requisito secondo me è invece la spontaneità; non è possibile che una persona si senta costretta da una data, o dal fatto di dover restituire un piacere, o dagli altri che vogliono a tutti i costi coinvolgerti nelle collette. Giovanna. Il dono porta scritte alcune parole invisibili come ti voglio bene, non voglio niente in cambio, mi sembra già tanto quello che ho avuto da te. Dunque c'è anche un po’ di gratitudine nell'atto del donare? Paola. Ma sì che c'è, ma non nel senso che tu devi contraccambiare un favore, ma perché tu senti di aver avuto la fortuna e la gioia di avere a che fare con una
persona che ti è piaciuta davvero, mi sono spiegata? Insomma amore, spontaneità, gratitudine: questi i prerequisiti del dono. E le qualità? Flavia. Per me il dono ideale è inutile ma anche utile, piccolo ma anche grande, naturale ma anche artificiale, estemporaneo ma fatto al momento giusto. Il dono sa di antico e anche di nuovo, è una benedizione del cielo che a dalle mie mani ad altre mani e crea una specie di unione mistica. Lorenzo. Io regalo canzoni e sono utili e inutili, grandi e piccole, estemporanee ma opportune, riprendono temi ati ma sempre nuovi. Alessandro. Ed io regalo poesie. Cosa c'è di più inutile, spontaneo, improvviso di una poesia? E la vita cosa sarebbe però senza la poesia? Ricordate quei versi di Enrico che ci piacquero tanto?
A che servono tante belle perle se manca il filo per farne una collana?
Raccogliamo le nostre perle e infiliamole insieme. Sarà il nostro cerchio magico, sarà il nostro dono.
Come l’alba
Come l’alba la pagina è muta.
Poi all’improvviso la poesia mi appare, nuda.
Per lui
Per lui (io credo) sono unica. Se parlo (lo sento) si commuove e dentro si meraviglia. Anche lui (forse) si contenta di semplici metafore
e quel ch’è più vero lo cela nel segreto del cuore.
Non combattere Eros
Non combattere Eros, scioglilo nello spazio sicuro.
Amore per farne dono
Amore per farne dono mi costruisce dentro un flauto.
Amore spiraglio
Amore
spiraglio che assolve dagli obblighi della vendetta.
Amore cammina
Amore cammina sul filo delle nostre parole senza cadere.
Non donare
Non donare le tue primizie agli antichi demoni.
Amo questo luogo
Amo questo luogo dove l’energia si chiude in un quadrato, dove le armi vengono deposte, dove la ione guarda la forza, dove i conti come nel quadrato magico tornano in ogni lato.
Per te per te soltanto
Per te per te soltanto sono Venere
in pantofole, Minerva che attacca un bottone, Diana che prepara l’abbacchio. Mi veneri, ma non fai la riverenza.
Vieni a giocare con la sabbia
Vieni a giocare con la sabbia, ma ti avverto, è un gioco triste. Qui giochi con la solitudine; la sabbia ti riporta alla terra e poi ti fa lacrimare.
Vieni a giocare con la sabbia, questa volta ti divertirai.
La sabbia è l’ebbrezza dei corpi che fanno all’amore e poi nuotano liberi nel mare.
Vieni a giocare con la sabbia, sentirai il vortice improvviso che ti trascina in alto dove nascere e morire si chiudono in un punto.
Spargo lacrime
Spargo lacrime d’inchiostro su fogli bianchi di solitudine.
Ad occhi spenti
Ad occhi spenti o in rassegna l’esercito schierato dei miei pensieri.
Affiora la gora
Affiora la gora dell’antica sozzura. Immergi ancora la tua anima nella cenere degli orribili ricordi.
Chiesa sconsacrata
Chiesa sconsacrata e recinto sacro, albergo sempre aperto del bene e del male, ospizio transitorio
di demoni assatanati e divinità benigne. Questo tu sei.
Navigare nei tuoi occhi
Navigare nei tuoi occhi come in acque tranquille senza timore di lampi e improvvise burrasche. Non riparare più dietro le ciglia, né volgere il viso lontano. Insediarmi vorrei nei tuoi occhi e poi veleggiare.
Ti diverte in me
Ti diverte in me misurare la profondità del dolore,
scoprire il tartaro annidato nel cuore,
trovare l’anima più docile della cera.
Crudele fedele, questa è la rima.
Tu sei rosa
Tu sei rosa che sboccia, conchiglia che si schiude in un sorriso, aghi teneri di pino, luce fredda del mattino.
Te n’eri andata
Te n’eri andata, ora ti ritrovo. Dunque non è successo niente,
è tutto come prima. Anzi sono successe molte cose ed ora è meglio di allora. Sei più libera, più forte, più sicura. Adesso puoi amare davvero.
La mia paura
La mia paura ti rende ostile, il mio dubbio ti indispettisce, eppure basterebbe una parola:
quella che tu non vuoi dire.
Domani
Domani come prigioni in catene tutte le mie vite ti consegnerò. Le guarderò accartocciarsi nelle tue mani. E sarò in pace.
Dialogo
-Cuore Bravo, il tuo ardimento fa divertire,
la tua forza prolunga l’agonia, la tua ione attira il colpo mortale.-
-Ho visto i tuoi occhi furenti e decisi mentre assegnavi il colpo fatale. Ora vedo i tuoi occhi farsi pietosi a constatarne l’effetto letale.-
Tu che le mie piaghe
Tu che le mie piaghe hai guarito, un’altra più cruda hai aperto
nel cuore.
Tu che pietoso sei stato, ti rallegri che sangue coli dalla mia ferita.
Tu che l’odio hai spento perché divampi amore, nascondi ora la mano che agì.
Carezzate i vostri bambini
Carezzate i vostri bambini con la voce, con lo sguardo, con le mani.
Che siano carezze buone, abbondanti, mai timorose, nemmeno esitanti. Proteggeranno come un unguento, guideranno come una mappa segreta, saranno le carezze il lessico antico seppellito nel cuore.
Prego, entrate
Prego, entrate. Questa è la nostra casa. Qui ci sono spazi ancora da occupare, ognuno trova sempre il suo da fare ed il cane è l’unico ad abbaiare.
Ecco le nostre perle unite col filo dell'amore, che ci ha guidato nel nostro cercare di questi anni, che ci ha permesso di costruire ed ora finalmente di donare. Non importa quanto vale il nostro dono, conta che sia stato fatto con le nostre mani.
Poesia e gioia
Via i libri! Oggi ci vogliamo divertire. Siamo nel vecchio teatro del liceo. Le luci sono spente. Si è fatto silenzio. Il sipario si alza. Davanti a noi compaiono un uomo e una donna, dignitosamente accomodati su due sedie alte coi braccioli. È lei che per prima prende la parola.
Griselda Chi siamo? Due personaggi in cerca di spettatori. L'autore ce l'abbiamo già e non è davvero l'ultimo arrivato. È niente di meno che Giovanni Boccaccio. Noi siamo i protagonisti dell'ultima novella del Decameron e lo saremo ora di questo vostro decimo incontro. Dobbiamo parlare della gioia. A guardarci non sembriamo divertenti, abbiamo i nostri anni e qualche acciacco, però credetemi siamo tanto felici e sappiamo davvero cos'è la gioia. Io mi chiamo Griselda e lui è Gualtieri, Marchese di Saluzzo, mio marito.
Vedete, è ancora bello e adesso ha un'aria dolce, ma non potete sapere cos'era da giovane e che occhi terribili avesse. Mi vengono ancora i brividi quando ci penso ......
Gualtieri Provvidenziali questi brividi! Ne approfitto per inserirmi e dire la mia. La nostra storia ebbe inizio molti anni fa e dopo mille tormenti ha avuto un lieto fine. So che da voi il lieto fine è disprezzato, noi invece alla nostra epoca ci tenevamo... Griselda la conosco da quando era bambina; già allora era bellissima ed era così dolce, buona, servizievole. Io la guardavo dalla finestra del castello e mi piaceva.
Griselda Io ero poverissima e vivevo in una catapecchia con Giannucolo, mio padre. Mi faceva pena poveruomo e cercavo di aiutarlo in tutti i modi. Ogni tanto guardavo su, verso il castello, vedevo il marchesino e dicevo tra me: "Beato lui e chi se lo sposa!" Chi l'avrebbe detto che toccava a me!
Gualtieri A dire il vero, di sposarmi non ne volevo sapere. Ma i miei uomini cominciarono a farmi pressioni in tutti i modi e ad ogni occasione mi mettevano avanti qualcuna. Erano tutte donne della mia cerchia, ma non so perché, non mi tiravano; erano
tutte uguali e poi nemmeno troppo serie: ogni tanto saltava fuori una storia ... Ma io dovevo pensare al regno e alla fine decisi di far contenti i miei sudditi e perciò mi venne in mente Griselda: forse era lei la donna giusta. Di dubbi però ne avevo: e se questa abituata ad aver niente, si ritrova marchesa e si monta la testa, chi li sente i miei pari? Me ne fanno una colpa tutta la vita e mi considerano uno scemo. E così mi metto in testa di stare molto attento, di non mollare mai, di vigilare, di controllare sempre ... per il regno, s'intende, per il regno. E faccio i patti chiari con tutti. Con i miei uomini: "Mi volete ammogliato? Allora accettate quella che scelgo io". Con Giannucolo: "Tua figlia fa una cattiva riuscita? Allora la rispedisco al mittente". Con Griselda: "Sei disposta ad obbedirmi in tutto, a sopportare tutto, a non fare né ah né bah? Altrimenti non se ne fa niente". E lei mi dice di sì.
Griselda Io, è vero, dissi di sì, ma chi s'immaginava ... Quel giorno stesso che mi venne a prendere con i suoi uomini, il giorno del matrimonio dico, sapete cosa fece? Ordinò che mi spogliassi nuda davanti a tutti; vi sembra normale? Io mi sentii morire: gli avevo appena detto che avrei obbedito, sopportato ... ora che facevo? Scappavo subito? E allora, senza guardare in viso né lui né gli altri, cominciai a togliermi quella veste contadina che avevo addosso. Pensavo al Poverello d'Assisi: lui si era tolto la veste da ricco per sposare
Madonna Povertà, io mi toglievo la veste da povera per diventare Marchesa. Chissà perché mi sembrava la stessa cosa.
Gualtieri Ma era la stessa cosa. Nudo vuol dire vero, sincero, senza falsità. E così ti volevo. Ma poi la feci rivestire con un vestito bellissimo che le avevo fatto fare, apposta per lei, e le misi in testa una corona.
Griselda Avevo i capelli tutti scarmigliati e con quella corona mi sentivo ridicola. Mi sembrava una corona di spine e tra me pensai: "Ma non sarà un Calvario questo matrimonio?" E lo fu amici, lo fu per davvero ...
Gualtieri Vi assicuro che vestita da Marchesa sembrava davvero di nobilissimi natali: i suoi modi erano così gentili ed era sempre così soccorrevole che tutti nel castello si innamorarono di lei. E come mi stimavano e quanto parlavano bene di me! Gualtieri sì che è saggio, ha avuto l'occhio lungo, lui sì che le donne le conosce. Meglio di così non poteva scegliere, e via discorrendo ...
Griselda Era tutto un incanto, io non credevo ai miei occhi, ero così felice e Gualtieri mi sembrava il miglior marito del mondo. Rimasi incinta ed ebbi una bambina sana e bella: io ero fuori di me dalla gioia e anche lui, si vedeva, era contento. Se la guardava, tutto compiaciuto ...
Ma un giorno viene fuori con una storia che mi sembra strana, non è più lui, è un'altra persona, con certi occhi ... Sì, ora lo capisco, quegli occhi io li avevo già visti, così freddi, così indifferenti, come quella prima volta ... Insomma per farla breve sapete che mi dice? Che non vado bene, che in fondo sono sempre una guardiana di pecore, che la mia bambina è pur sempre figlia di una guardiana di pecore, che i sudditi non sono contenti e i suoi pari meno che mai ... Io rimango male: che io non vada bene, i, ma questa bambina, così bella, l'ho fatta pure con lui, perché non gli va bene? Che ha che non va? E però non piango mica, mi mostro forte, e gli dico che queste cose le so già, le ho sempre sapute e perciò decida lui cosa vuol fare di me. Già mi preparo al peggio, ma non penso davvero che mi porti via la bambina, e non solo questo, che me la voglia uccidere ... cancellare ... come una cosa venuta male, lei che è un fiore tenero tenero. Vorrei piangere, disperarmi; invece, non so cosa mi prende, resisto e non faccio una piega. Voi direte che sono matta o masochista come dite voi, e che lui non è il Marchese di Saluzzo, ma quel vostro, come si chiama, Marchese de Sade. Ma non era così, vi assicuro, lui intanto non era uno sporcaccione, era anzi la persona più pulita del mondo. Era solo .... crudele. E poi c'è un altro fatto da considerare: quando faceva così, non mi sembrava lui e anch'io non mi sembravo io. Una parte di me si dilaniava, voleva scappare, urlare, fare la pazza; l'altra me stessa invece stava a guardare, imibile. Perché, direte voi. Non lo so nemmeno io!
Gualtieri Io la guardavo e dicevo tra me: "Che brava, cosa non sopporta!"
Voi però vi chiederete perché mai fi questo. Proverò a spiegare, anche se so che difficilmente sarò capito. Quante volte succede che una donna ha un figlio e si mette in testa di comandare, di aver chissà quali diritti e manovra e approfitta e ricatta ... Questo in una famiglia normale è già un guaio, figuriamoci in un regno. Ma dirò di più: io in fondo sapevo di che pasta fosse mia moglie, ma dovevo dimostrarlo anche agli altri, ai miei pari, ai miei sudditi e, dirò di più, soprattutto a Griselda, che non ha mai saputo tutto quello che vale ... E poi signori miei una regina deve essere capace di rinunciare alle proprie creature. Nulla le appartiene, nemmeno il regno. È lei che appartiene al regno.
Griselda A sentir lui è tutto semplice. Ma non fu così, ve l'assicuro. Mi separai dalla mia creatura, pregai solo che non me la esponessero ai corvi e agli sciacalli, un po’ di protezione, un po’ di cura, solo questo per quel tenero corpicino.
Gualtieri Vedo le vostre facce inorridite. Non crederete davvero che io fi uccidere la nostra bambina? Io l'affidai solo in mani sicure e la feci allevare a Bologna da una mia parente. Poi tutto ricominciò come prima. I sudditi e i miei pari però mi guardavano come fossi un mostro e Griselda la veneravano come una santa. Io ero contento sotto certi aspetti. Mi piaceva che l'apprezzassero. Che io assi per severo poi non m'importava granché, non è mai male in un regno, lo sapete anche voi.
Griselda Dopo qualche anno mi nacque un maschietto. Di nuovo una gioia e Gualtieri sembrava così orgoglioso, lo faceva vedere a tutti: l'erede al trono! Ma un giorno all'improvviso di nuovo le vecchie storie, gli stessi occhiacci, lo stesso gelo. E così un'altra coltellata e mi porta via pure quello, allo stesso modo. Anche stavolta, con la morte nel cuore, resisto; non so perché, ci credo e non ci credo, una parte di me soffre come una bestia ferita, l'altra vuol vedere come va a finire e non molla.
Gualtieri Io sapevo com'era carnale nell'affetto per i figli e mi stupivo di quanta forza avesse. Delle volte mi sembrava che ci fosse una sfida tra noi, un braccio di ferro. Era come se mi dicesse: "Tu sei potente, io sono forte; tu sei crudele, io sono buona; tu sei nobile, lo sono anch'io". E io me la guardavo e l'ammiravo e l'amavo ogni giorno di più. Come tutti del resto, che cominciavano ad odiarmi e a disprezzarmi come fossi davvero quel vostro Marchese de Sade. Ma io non sono come lui, ve l'assicuro, non sono mai stato un libertino!
Griselda Qui bisogna accelerare, marito mio; gli amici vogliono sapere com'è andata a finire. Insomma, lui da ultimo decide di mandarmi via dal castello e di prendere un'altra moglie. L'ultima umiliazione è addirittura la dispensa papale che dichiara nullo il
nostro matrimonio.
Gualtieri Era falsa naturalmente: tutta una messa in scena.
Griselda Però io non lo sapevo e ci sto male davvero e mi preparo a fare le valigie. Lui però sapete che mi dice? Di portare via solo la dote che mi ha dato mio padre e lasciar tutto quello che mi ha dato lui. Beh, ve lo ricordate com'ero partita? NUDA. Insomma lui pretende che mi rispogli nuda davanti a tutti. Non sono più giovane, ho avuto due bambini, mi vergognavo allora, figuriamoci adesso! Questo è troppo, mi sembra quasi insostenibile. E perciò per la prima volta provo un moto di ribellione e gli chiedo una cosa. Sapete cosa gli chiedo? Una camicia in cambio della verginità e dei figli che gli ho dato, quei figli che lui non ha voluto tenere, ma che comunque dal suo seme e dal mio sangue sono usciti. Una camicia per coprire il mio dolore e la mia sconfitta.
Gualtieri Non so dirvi cosa provavo, da un lato piangevo dentro di me, dall'altro però fui felice; finalmente si ribellava, sempre con la solita grazia, però si ribellava. Finalmente mi chiede una cosa piccola, simbolica: una camicia. Non se ne vuole tornare nuda, sente che qualcosa s'è guadagnata, un velo per coprire la sua verità, un velo per avvolgere la sua storia. Quanto mi piacque quella richiesta!
E allora a muso duro le dissi: "E prenditi una camicia!"
Griselda Così senza cappello, con una sola camicia, me ne andai a piedi nudi a casa di mio padre, sotto gli occhi di tutti. Anche stavolta mi sembravo il Poverello d'Assisi non più nudo, ma col saio ... Giannucolo, mio padre, mi aspettava sulla porta, aveva tirato fuori dalla cassapanca quella veste contadina che aveva tenuto da parte (non si sa mai) e me la rimise addosso. Io anche se dentro sono morta, riprendo la mia vita, sfaccendo, sistemo, curo le mie bestiole, lavoro, perché lavorare fa bene, soprattutto quando si soffre. E soprattutto non mi lagno con nessuno.
Gualtieri Io intanto stavo preparando l'ultima grande mossa. Faccio finta che mi debbo sposare, chiamo Griselda e le chiedo di organizzarmi la casa per la sposa e per gli illustri ospiti (come lei non lo sa fare nessuna). Lei con i suoi panni ruvidi e grossi viene e sistema tutto a meraviglia. Vedeste che brava! Quasi quasi era contenta di far comunque qualcosa per me. Eppure il suo cuore sanguinava. E tutti l'ammiravano, anch'io. E tutti mi odiavano e mi supplicavano che la smettessi di umiliarla, la rivestissi oppure la mandassi via. Intanto faccio venire da Bologna la nostra figlia che ha dodici anni ed è un fiore in boccio, sarà lei a fare la parte della sposa. Naturalmente viene anche il fratellino, il mio erede al trono. Sapete qual è la mia meraviglia? Appena arriva questa ragazzina, Griselda invece di essere invidiosa, gelosa, acida, fare storie e cattiverie, la accoglie con affetto e direi con entusiasmo. Sapete che le dice? “Ben venga la mia donna!”
che da noi vuol dire: "Benvenuta mia Signora!" Quella bambina così tenera e trasparente, Griselda così solida e forte e tra loro subito nasce una solidarietà, un'amicizia.
Griselda Mi faceva tenerezza quella creatura, così bella, così giovane, così ignara. Mi faceva pensare alla bambina che non ero mai stata, alla bambina che avevo perduto: lei così delicata, fine, abituata bene, io fin da piccola nutrita di sofferenze e prove e dolori. Non so cosa mi diceva la testa, mi sembrava un fiore. E quel fratellino poi, com'era carino, vivace, correva dappertutto ...
Gualtieri Io che dentro mi sentivo spezzare il cuore e che ormai non ne potevo più, decido di sciogliere gli inganni, e chiedo a Griselda: "Ti piace la nostra sposa?" Ho detto nostra, è un lapsus, è logico, è la nostra creatura. Ma è l'ultima pugnalata, sto per svelare la verità.
Griselda Io lo capisco che mi vuol ferire, ma questa volta reagisco e gli rispondo a tono. Sapete che gli dico? "La sposa è bellissima e meglio di così non potevate scegliere, una sola cosa vi chiedo: non datele tutte le trafitture che avete dato a me. Io le ho potute reggere perché fin da bambina ho solo faticato e patito. Ma lei non potrebbe, è troppo delicata e bene abituata. La uccidereste, vi prego, non fatelo!"
Perché ho detto così? Quella bambina poteva essere mia figlia. Insomma, che me ne importa più di me? La mia vita l'ho fatta, ma loro, i bambini, non devono soffrire quello che ho sofferto io.
Gualtieri E cosi terminò il nostro calvario. Corsi da Griselda, l'abbracciai, le spiegai tutto e insieme andammo ad abbracciare i nostri figli. Cominciò allora una festa così bella e così lunga che si può dire non è finita. Tutti gioirono allora e compresero che da Griselda io avevo tirato fuori tutto il bene che poteva dare non solo a se stessa, non solo a me, ma anche agli altri, anche a coloro che non le appartenevano. E di nuovo tutti mi amano, e per loro sono il capo carismatico di sempre. E lei è la mia regina.
Griselda Ed io ora sono molto felice. Nostra figlia sta per sposarsi e chissà forse presto diventerò nonna. È stata dura, ma è valsa la pena, credetemi. Siamo felici. Ed io non ho rancore per Gualtieri. Lui è un sovrano, sa quello che fa.
Congedo
È giunta l’ora di salutarci. Fabrizio. Siamo stati bene insieme. Ora è triste dirsi addio. Daniela. Le scrissi una lettera, finito il liceo; le dicevo tante cose, ero piena di speranze e di malinconia, di sogni e di paure. Temevo la solitudine .... poi è andato tutto bene.Gabriele. Anch’io le scrissi una lettera, le parlavo di mio padre col quale non andavo d’accordo. Ora mi ritrovavo solo a combattere con lui e avevo paura. A scuola mi sentivo protetto, amato, capito. Cosa sarebbe stata la mia vita? Franca. Compresi all’improvviso quanto avevo ricevuto. Tornai a dirle grazie per avermi aperto la testa. Poi non sono più tornata. Vincenzo. Io sono tornato per dirle che mi ero laureato. Alessandro. Io sono tornato sempre. Mi piaceva vederla e farmi vedere. Leo. Io invece non ho avuto il coraggio. C’eravamo lasciati male, ricorda? Ma ora siete tutti qui e questa volta ci saluteremo per bene. Nella vita reale questo non si fa. Cristina. È vero, in genere i saluti sono frettolosi, talvolta sbrigativi per non dire squallidi. Ma perché? Simone. Non si può fare diversamente, altrimenti si resta incastrati, quasi intrappolati in un qualcosa di inattuale. E poi chi ha tempo da perdere? Eugenio. Ma non sarà la paura dei sentimenti? Igia. O manca il rito del congedo?
È vero, congedarsi è un’arte difficile e splendida e per averne inconfutabile prova leggeremo insieme alcuni i di Castaneda. Andrea. Castaneda lo paragonavamo a Dante: leggemmo in parallelo alcuni canti del Purgatorio e dei capitoli di Viaggio a Ixtlan. Fu un’esperienza bellissima. Matteo. Per me Castaneda era il Dante del XX secolo! Quant’era suggestivo e come si illuminava nel confronto la Divina Commedia! Nell’ultimo capitolo di L’Isola del tonal Castaneda descrive l’addio dei due insegnanti don Juan e don Genaro ai loro apprendisti Carlos (il protagonista) e Pablito. All’addio assiste in qualità di testimone Nestor. Paola. È bella questa situazione. Nessuno è solo. Questo di certo allevia il dolore. E di dolore ce n’è in abbondanza sia negli insegnanti che negli apprendisti, ma il dolore anzi che essere fuggito, è reso più intenso ed acuto, per essere poi svincolato e proiettato in una direzione liberatoria. Castaneda. Don Juan parlò di un bambino... disse che era certo che ogni volta che io pensavo a quel bambino il mio spirito balzava di gioia e gli augurava tutto il bene possibile senza traccia di egoismo o di meschinità. Mi ricordò una storia che gli avevo raccontato un giorno a proposito di quel bambino: una storia che gli era piaciuta e che aveva trovato ricca di significato. Durante una delle nostre gite sulle montagne intorno a Los Angeles il bambino si era stancato di camminare e lo avevo preso in spalla. Ci aveva allora invaso un’ondata di intensa felicità e il bambino aveva gridato il suo grazie al sole e alle montagne. “Era il suo modo di dirvi addio,” aggiunse don Juan “il modo migliore consiste forse nel conservare un particolare ricordo di gioia....” Lella. È bello quel bambino, dà un senso di fiducia e di ottimismo, come il futuro che si apre dopo il distacco. E mi piace il fatto che Carlos se lo mette a cavalcioni sul collo, mi fa pensare a un superamento del ato, a un progresso. Non vi ricorda i nani sulle spalle dei giganti, che sono piccini, ma vedono più lontano?
Insomma ora ci diciamo addio e soffriamo al pensiero di separarci, ma quel bambino che è salito dal cuore e si è posato sulle nostre spalle, quel bambino vede il sole ed è felice, guarda lontano ed è entusiasta per tutto quello che ha avuto e che potrà avere.... Castaneda. D’improvviso s’aprì dinanzi a noi il panorama di una valle. Era uno spettacolo da togliere il respiro: una lunga vallata verde luccicava al sole: su di essa si innalzavano due magnifici arcobaleni. Mirko. Questi due arcobaleni sono un segno: Carlos e Pablito si stanno per avventurare da soli nell’ignoto; gli arcobaleni saranno i loro ponti: questo è un buon auspicio. Castaneda. (Genaro) “Quando sarete entrati da soli nell’ignoto, non dipenderà più da noi richiamarvi indietro; la vostra decisione è dunque l’unica che conta; dovrete decidere voi se tornare o no.. Sabrina. Ogni distacco è un salto nell’ignoto. Fin tanto che siamo protetti, guidati, telecomandati, oltreiamo i confini del mondo ordinario avendo esperienze e contatti con le cose superiori, quali la bellezza, il divino, l’ideale, l’assoluto, la profondità, il mistero, ma torniamo sempre nel mondo reale, come fanno gli uccelli che volano nel cielo, ma sanno tornare al loro nido. Ma se siamo lasciati a noi stessi, sapremo ascoltare il canto delle sirene senza essere sopraffatti, sapremo vivere con equilibrio questo continuo andirivieni dall’ideale al reale, dal sogno alla veglia, dal mondo del bello al mondo del vero? Castaneda. Se sceglierete di non ritornare, sparirete come se la terra vi avesse inghiottito. Ma se sceglierete di ritornare a questa terra, dovrete aspettare da veri guerrieri che i vostri specifici compiti siano terminati. Una volta terminati questi, sia con il successo, sia con il fallimento, avrete il comando sulla totalità di voi stessi. Ciò che conta comunque è il vostro compito. Questa è la donazione che l’insegnante e il benefattore fanno ai loro apprendisti. Marino. Don Genaro mette in guardia dai pericoli di un eccessivo idealismo ed estetismo. Anche noi ci siamo nutriti di poesia, abbiamo ascoltato le voci dei poeti che sono come un dolce fascinoso richiamo. Ma ora rientrando nelle nostre dimensioni personali, saremo capaci di essere felici, tranquilli, operosi, oppure resteremo con la testa per aria e troveremo brutto il nostro mondo e ci sentiremo
fuori posto? Viviana. Portare i propri compiti al culmine vuol dire che ognuno di noi deve coltivare il proprio giardino. Fulvio. Don Genaro vuol dire che chi volesse restare troppo sul sublime può fare la fine di Icaro o Fetonte, che precipitarono. Marina. D’accordo, ma attenzione a non fare l’errore opposto di rinunciare per sempre all’Ideale, alla Bellezza. Sarebbe un immiserire la vita: a che serve conoscere il sublime, se poi si deve vivere nel mediocre? È esattamente questo che vuol farci capire Genaro con la sua storia della banda dei guerrieri. Castaneda. Ogni volta che si riteneva che un guerriero di quella banda avesse commesso un’azione contraria alle leggi, il suo destino era affidato alle decisioni di tutti. L’accusato doveva spiegare le ragioni per cui si era comportato così. I compagni dovevano ascoltarlo, poi o scioglievano la riunione oppure si allineavano con le loro armi sull’estremo limite di una montagna piatta, molto simile a questa, pronti a eseguire su di lui la sentenza capitale, poiché avevano trovato inaccettabili le sue ragioni. Dopo aver detto addio ai vecchi compagni il guerriero condannato cominciava a scendere il pendio, verso gli alberi. I compagni allora preparavano le armi e puntavano contro di lui. Se nessuno lo colpiva o se egli riusciva a sopravvivere alle ferite e a raggiungere il limitare degli alberi, il guerriero era libero...... Dicono che alcuni riuscivano a rimanere illesi..... Il guerriero doveva camminare fino al limitare degli alberi in un modo prestabilito. Doveva muoversi calmo e imperturbabile, a i sicuri, decisi, gli occhi dritti dinanzi a sé, tranquillamente. Doveva scendere il pendio senza inciampare, senza voltarsi e soprattutto senza correre..... Se deciderete di tornare su questa terra, dovrete aspettare da veri guerrieri che i vostri compiti siano terminati. Questa attesa è molto simile alla tranquilla camminata del guerriero nella storia. La differenza sta in chi vi prende di mira. Il guerriero era preso di mira dagli altri guerrieri suoi compagni. Ma ciò che prende di mira voi è l’ignoto. La
vostra unica possibilità sta nell’essere senza macchia. Dovete aspettare senza voltarvi. Dovete aspettare senza sperare in una ricompensa. E dovete concentrare tutto il vostro potere personale nell’esecuzione dei vostri compiti. Pierluigi. Ma non vi sembra di leggere in controluce i canti di Cacciaguida nel Paradiso? Anche lì c’è un addio, anche lì c’è un’investitura di un guerriero, di un crociato. Anche lì c’è la commozione, l’affetto immenso di Cacciaguida e Beatrice per il loro protetto, ma c’è in Dante l’angoscia e la paura dell’ignoto. Anna. Ma Dante dice di sentirsi tetragono ai colpi di ventura e quindi è forte e pronto ad eseguire i suoi compiti. Giampaolo. E dice anche: Saetta previsa vien più lenta. Anche lui sta aspettando i colpi dell’ignoto. Laura. E poi c’è un bambino prodigioso che è Cangrande della Scala che aprirà a Dante un avvenire più grande. Paola. E anche Dante dovrà are dall’ideale al reale e così l’investitura da privilegio diviene impegno totale e devozione assoluta alla causa. Lino. E il compito di Dante sarà di parlare al mondo. Castaneda. “È ora necessario che il guerriero dica addio a tutti i presenti e a tutto ciò che si lascia alle spalle” intervenne improvvisamente don Juan. “Deve farlo con parole sonore in modo che la sua voce rimanga per sempre qui in questo luogo di potere.” Alessandro. Ma questo è il tema dell’esilio. Cacciaguida dice a Dante: “Tu lascerai ogni cosa diletta più caramente e questo è quello strale che l’arco dell’essilio pria saetta”. Castaneda. (Carlos) La mia tristezza era incontenibile. Non ero capace di dire addio a coloro che avevano spartito con me le vicende della mia sorte. Dissi a don Juan e a don Genaro....che il mio spirito non sopportava di partirsene solo. “Tutti siamo soli Carlitos.” don Juan disse piano” È la nostra condizione....Ma morire soli non significa morire in solitudine.”........ Pablito piangeva in silenzio. Poi si alzò e parlò. Non fu un’arringa o una
testimonianza. Con voce chiara ringraziò don Genaro e don Juan per la loro benevolenza. Si voltò verso Nestor e lo ringraziò....Si asciugò gli occhi con la manica. “Com’è stato bello vivere in questo splendido mondo! In questo tempo magnifico!” esclamò sospirando...... Anch’io espressi la mia gratitudine e la mia tristezza. Tornammo a tacere. Un vento settentrionale sibilava leggero, colpendomi in viso. Don Juan mi guardò. Non avevo mai visto tanta benevolenza nei suoi occhi. Mi spiegò che un guerriero dice addio ringraziando tutti coloro che ebbero per lui un gesto di benevolenza o di premura e che io dovevo esprimere la mia gratitudine non solo a loro, ai presenti, ma a tutti coloro che s’erano presi cura di me e mi avevano aiutato nel mio cammino. Mi volsi a nord-ovest in direzione di Los Angeles e tutto il sentimentalismo del mio spirito venne fuori. Che sollievo purificante esprimere così la mia gratitudine! “Un guerriero riconosce la sua pena , ma non vi indulge” disse don Juan. “Lo stato d’animo del guerriero che entra nell’ignoto non è quindi segnato dalla tristezza; egli anzi è lieto perché si sente umile dinanzi alla sua gran fortuna, fiducioso che il suo spirito sia senza macchia e soprattutto perfettamente consapevole della propria efficienza. La gioia del guerriero procede dal fatto che egli ha accettato la sua sorte e ha esattamente valutato ciò che gli sta dinanzi.” Danilo. Ma qui rischiamo di affogare nella commozione! Per favore chi sa l’ultima sui carabinieri? Sara. Dai, finiscila, è così bello! Stiamo a sentire. Castaneda: (don Juan) “La vita del guerriero non ha la possibilità di essere fredda e solitaria e priva di sentimenti, perché è fondata sulla sua devozione, sulla sua dedizione a chi egli ama. Chi egli ama? Chiederete voi: Ora ve lo mostrerò.” Don Genaro si alzò e raggiunse a i lenti una zona perfettamente piatta più in là. Laggiù fece uno strano gesto. Mosse le mani come se si scuotesse della polvere dal petto. Accadde allora una cosa singolare. Il lampo di una luce quasi impercettibile lo attraversò; proveniva dal terreno e parve accendere tutto il suo
corpo. Egli fece una piroetta all’indietro o più esattamente un tuffo all’indietro e atterrò sul petto e sulle braccia. Il movimento fu eseguito con tale precisione e destrezza che don Genaro parve essere una creatura senza peso, simile a un verme che si fosse girato su se stesso. Una volta a terra eseguì una serie di movimenti impossibili. Si mise a scivolare a pochissima distanza dal suolo, a rotolare come se fosse stato su cuscinetti a sfere, a nuotare in cerchio, roteando con la velocità e l’agilità di un’anguilla nell’oceano. A un certo momento cominciai a incrociare gli occhi; poi senza alcuna transizione, mi trovai ad osservare una palla luminosa che scivolava avanti e indietro su qualcosa che sembrava il piano di una pista di ghiaccio per pattinare scintillante di luci. Era una vista sublime. Poi la palla di fuoco rallentò, si fermò immobile....Potei vedere soltanto don Genaro sdraiato a terra con le braccia e le gambe allargate.Davide. Ma è il microcosmo! Castaneda. “L’amore di Genaro è il mondo” diceva don Juan.”Ora egli stava abbracciando questa enorme terra. Ma siccome è così piccolo, non può fare altro che nuotare in essa. Però la terra sa che Genaro la ama e gli accorda la sua protezione. Per questo la vita di Genaro è colma fino all’orlo e la sua condizione sarà di pienezza ovunque. Genaro vive sui sentieri del suo amore e ovunque si trovi è completo.” Don Juan si accovacciò di fronte a noi. Carezzò delicatamente il suolo. “Questa è la predilezione di due guerrieri” disse, “questa terra, questo mondo. Per un guerriero non può esserci amore più grande..... Solo se si ama questa terra con inflessibile ione, ci si può liberare della tristezza. Un guerriero è sempre pieno di gioia perché il suo amore è inalterabile e la sua amata, la terra, lo abbraccia e gli concede doni straordinari. La tristezza è solo di quelli che odiano ciò che dà riparo ai loro esseri........ Questo essere amato che è vivo fin nei suoi ultimi recessi e capisce ogni sentimento, mi ha curato delle mie pene e finalmente, quando ho compreso appieno il mio amore per essa, mi ha insegnato la libertà......
Solo l’amore per questo essere splendido può concedere la libertà allo spirito di un guerriero e libertà è gioia, efficienza e abbandono ad ogni sorte. Questa è la lezione ultima.”
Amici, la scuola per noi è stata la terra. Ci ha dato riparo, ci ha accolto, ci ha amato. Anche noi l’abbiamo amata, ma possiamo amarla di più, possiamo proteggerla, rispettarla, restituirle il vigore che ci ha dato. Ed ora andiamo.
Conclusione
Leggere significa dialogare con un testo per conoscerlo, comprenderlo e interpretarlo. Al tempo stesso vuol dire entrare in relazione conflittuale o solidale con coloro che hanno già letto e interpretato quel testo. Ma leggere vuol dire anche aprire un dialogo con una parte nascosta dentro di noi, che approfitta di quel testo per comparire, per rendersi visibile, per avanzare qualche richiesta. Forse la partita più impegnativa si gioca su questa linea, perché dall’esito di quel confronto dipende il rinnovarsi continuo dell’interesse per la letteratura, che è poi ciò che la tiene in vita . Nell’apprendistato della lettura la scuola gioca ovviamente un ruolo decisivo, perché dalle prime esperienze dipende sia la formazione di un metodo, sia la percezione di quel particolare piacere che dà un libro. Probabilmente non importa quanto si legga o quando si inauguri massicciamente la stagione della lettura (ogni individuo, ma anche ogni generazione ha i suoi modi e i suoi tempi). Importa di più invece che leggere sia percepito fin dall’inizio come un’operazione vantaggiosa e piacevole. In questo senso è certamente fondamentale il ruolo dell’insegnante che fa da tramite e da interprete. Ma cosa significa esattamente interpretare? In latino interpretari vuol dire tradurre e quindi spiegare. L’etimo è probabilmente racchiuso nella parola pretium che allude ad una contrattazione economica. L’interprete è perciò un negoziatore che transducit, cioè guida un messaggio da una parte all’altra, da un codice di appartenenza ad un codice nuovo, nel quale quel messaggio si ricodifica mantenendo se stesso, ma acquisendo
contemporaneamente una vita nuova. La nuova esistenza è data dai bisogni, dagli interessi dei nuovi fruitori e dall’uso che essi faranno dei messaggi acquisiti. L’interprete conduce un’informazione da una lingua all’altra, da un luogo in altro luogo, da un’epoca in un’altra epoca; così vediamo trasferirsi canti, musiche, drammi da punti lontani dello spazio e del tempo nel momento presente, qui dove noi siamo. A scuola noi insegnanti conduciamo la letteratura, da dove si trova, nelle concrete necessità dei nostri giovani studenti. È ogni volta emozionante avvicinare il grande e il piccolo. Così Dante che ha 730 anni riesce a stare vicino a chi ne ha 17, e Saffo che ne ha più di 2500 si siede al banco con chi ne ha 16. Trasferire la grande umanità nella piccola serve a prolungare la vita della prima e a far crescere la seconda: così entrambe se ne giovano. Noi insegnanti costruiamo i ponti che permettono l’incontro e lo scambio tra i due mondi. Dobbiamo tenere presenti le leggi economiche e badare che lo scambio sia percepito come vantaggioso da parte dei nostri studenti ed evitare in tutti i modi che le pregevoli merci che noi portiamo vengano disprezzate o guardate di sfuggita o messe via senza essere utilizzate. Questo ci impone di scegliere le merci con oculatezza, mirando ai bisogni e ai desideri dei destinatari. È d’obbligo inoltre presentare le nostre merci in modo tale che non possa sfuggire ai nuovi acquirenti il vantaggio dell’acquisto. Qui entra in gioco l’interpretazione, che deve essere visibile, funzionale e diretta, anche se innovativa ed ardita: esattamente come un ponte. Se l’interpretazione funziona, l’insegnante lo vede subito: la classe si muove e va verso il testo, per interrogarlo e per farlo proprio; il testo a sua volta apre i battenti e offre i suoi valori.
Da una serie di questi incontri fortunati nasce il gusto del confronto, l’abitudine allo scambio, la ricerca del meglio, il rispetto di sé e degli altri, che tanto si desiderano oggi nella scuola e, oserei dire, ovunque nella società.