PREFAZIONE A dieci anni di distanza dalla prima edizione di Latine doceo, e sulla scorta dell’esperienza maturata dallo scrivente e da centinaia di docenti italiani e stranieri che si sono cimentati nello sperimentare a scuola il “metodo natura” per l’insegnamento del latino, s’è imposta una riflessione e una revisione del materiale in quella prima Guida presentato. Se infatti in questo lungo periodo di tempo s’è confermato e consolidato il complessivo impianto metodologico, le possibilità d’esercizi e di coinvolgimento degli studenti si sono rivelate notevolmente più ampie di quelle che venivano piuttosto timidamente proposte un decennio fa. Le ricerche e la sperimentazione di questi anni hanno messo in rilievo alcuni punti di fondamentale importanza, che abbiamo tentato di sintetizzare in questa nuova edizione, nella quale dunque confluiscono i risultati d’esperienze diverse e i contributi dei molti docenti che si sono impegnati a fondo perché l’insegnamento secondo il metodo dell’Ørberg risultasse realmente e pienamente efficace. Non insignificante è stato l’apporto d’insegnanti stranieri, affianco a quello dei docenti italiani; il confronto con le attuali posizioni e scuole di glottodidattica, anche delle lingue moderne, i cui risultati mutatis mutandis, e tenuto conto del fatto che la nostra finalità primaria è quella della lettura e comprensione dei testi classici, perlopiù frutto d’una complessa e raffinata elaborazione retorica e stilistica, non vanno comunque trascurati e possono anzi dare spunti di grande utilità sia alla riflessione teorica, sia, specialmente, all’azione pratica dell’insegnamento su campo. Importante per noi è stata anche l’indagine storica sull’insegnamento delle lingue classiche, che ha fatto riscoprire tutta una serie di strategie, esercizi, metodologie già in uso nelle scuole umanistiche e sepolte nell’oblìo dall’affermarsi, già dalla metà dell’Ottocento, del metodo grammaticaletraduttivo. Non lieve apporto al miglioramento d’alcune tecniche d’insegnamento col metodo diretto l’ha dato lo studio attento dei metodi utilizzati dagli umanisti tra il XV e il XVIII secolo e dei materiali prodotti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo da W. H. D. Rouse e la sua scuola, a cui esplicitamente l’Ørberg s’è in qualche misura rifatto per la creazione di Lingua Latina per se illustrata *. * Si veda quanto dall’ Ørberg stesso dichiarato alla radio di Brema nel 2005: “Ego adhuc reminiscor elementa mea Latina, quae mihi puero communia fuerunt cum plurimis discipulis Danis: saepe mihi ante oculos obversantur illa exempla quae tunc mihi in prima lectione proposita sunt: “Scriba sum. Poeta es. Nauta non sum. Agricola non es. Scriba, non poeta sum...”. Itemque in lectione secunda: “Hic rosa deest. Scriba poeta est. Ubi eras, nauta?...”. Antequam has sententias re-
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Dalla convergenza di tutte queste esperienze è nato il documentario La via degli umanisti, pubblicato dalle Edizioni Accademia Vivarium novum, che mostra insegnanti lavorare in classe con un gruppo di studenti quindicenni utilizzando diversi tipi d’esercizi attivi, coinvolgenti, dinamici e di notevole efficacia per apprendere morfologia, sintassi e lessico latino. Il documentario, ch’è visibile anche sulla rete nel sito www.vivariumnovum.it, viene distribuito gratuitamente agl’insegnanti che ne fanno richiesta. Questa Guida rinnovata vuol esser dunque un o ulteriore che ordina e commenta quanto nel documentario praticamente illustrato**. conditas temptavi, mihi ediscendum fuit tempus praesens et imperfectum indicativi verbi quod dicebatur “sum” atque significatio singulorum vocabulorum in glossario quaerenda. Hoc modo unam quamque sententiam verbum verbo reddendo in meam linguam vertere conatus sum, sed parum prospero successu, ut mihi videbatur, cum satis sanum sensum reperire non possem in sententiis tam inanibus atque absurdis. Nihilominus versio mea ridicula magistro valde placere videbatur: me laudavit quod omnia recte intellexissem! Mirabundus sic mecum cogitabam: si hoc est intellegere, intellegentior sum quam putabam! Ita magno cum labore magis aenigmata solvere discebam quam Latine legere! Me pigebat disciplinam linguae Latinae tantum differre ab ea qua utebantur aliarum linguarum magistri, neque enim in sententiis Anglicis, Germanicis, Francogallicis legendis necesse erat singula verba grammatice scrutari atque in linguam Danicam vertere. Linguas huius aetatis cito, tuto, iucunde discebam, linguam Latinam lente, timide, moleste! Postquam ipse magister linguarum factus sum, in scholis Danicis linguam Anglicam et Francogallicam nova atque efficaci ratione docere coepi, Latinam vero eadem illa ratione irrita qua ipse didiceram! Ergo frustratione et taedio discipulorum meorum instinctus mihi persuasi Latinam linguam, cum non minus iusta esset lingua vel sermo atque linguae quae nunc sunt, eadem ratione docendam esse, id est ratione et via directa, misso circuitu illo incommodo qui per patriam linguam ad singula vocabula intellegenda fert. Hanc docendi rationem, quae iam dudum adhibebatur a plerisque linguarum magistris, ad Latine docendum accommodare temptaverant magistri quidam Angli, in iis W. H. D. Rouse et R. B. Appleton. Etiam si consilium eorum, nescio quomodo, parum prospere evenisse videbatur, ego ipse linguam Latinam, tamquam linguam vividam, methodo illa directa docere cupiebam. Stimulavit me opera popularis mei Arthur M. Jensen, qui viam ad linguas docendas excogitaverat quam naturae methodum vocabat et iam ad linguam Anglicam adhibendam curaverat. Quae docendi ratio hoc maxime principio nititur, ut lingua discenda inde ab initio ipsa per se explicetur, cum lectiones ita ordinatae sint ut omnia deinceps vocabula itemque res grammaticae ab omni discipulo intellegi possint, cum significatio verborum atque usus grammaticus perspicue appareat ex ipsa iunctura verborum sive contextu orationis.” ** Del vecchio Latine doceo non è rimasto molto in questa nuova Guida: qualche sezione delle Linee metodologiche, che in parte derivavano da materiale delle vecchie edizioni fornitomi dal professor Ørberg, una parte sulla pronunzia e sull’Avviamento allo studio, che ho però ritenuto meglio collocare in premessa alle Note per l’insegnante non comprese nell’Enchïridion; ho conservato per intero queste ultime, che mi sembravano la parte che meno aveva bisogno di revisione radicale; così come non ho modificato alcune delle appendici, pur aggiungendovene altre che ho creduto utili. La Pianificazione d’una lezione tipo, pur rimanendo nel complesso impostata allo stesso modo, è stata qui e lì ritoccata; alle vecchie Raccomandazioni ne ho aggiunte altre, che mi son parse non meno importanti. Ho eliminato la Bibliografia su aspetti di civiltà romana, che mi sembrava superata e ritrovabile da ogni buon insegnante, per quelle che sono le necessità della
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In generale nel corpo del testo (ma non nelle note) e in tutte quelle parti che potrebbero essere utilizzate nella pratica d’insegnamento a qualunque titolo, sulle vocali lunghe è stata segnata la quantità, secondo la consuetudine di questo corso; consuetudine ch’è utile a fini didattici per ottenere quella buona pronunzia indispensabile per la lettura della prosa e della poesia latina. Resta scelta dell’insegnante, come si dirà, l’utilizzo della pronunzia cosiddetta restituta o di quella tradizionalmente in uso nelle scuole italiane.
Ringrazio sentitamente tutti coloro che, con i loro consigli e suggerimenti hanno collaborato alla realizzazione di questa rinnovata edizione; in particolare vorrei esprimere la mia gratitudine ai docenti che in questi anni hanno sostenuto e aiutato la ricerca dell’Accademia Vivarium novum per una sempre più efficace didattica delle lingue classiche e una più incisiva trasmissione dei valori dell’humanitas in cui crediamo: fra tutti quelli ai quali va la mia personale riconoscenza, e che non è possibile nominare singolarmente, vorrei ricordare almeno Antonia Arveda, Giuseppe Cannavò, Maria Berica Garzìa, Marilisa Munari e Federica Niola del liceo “G. B. Quadri” di Vicenza; Claudia Teresa Brambilla del liceo “S. Weil” di Treviglio (BG); Ivana Milani del liceo “C. Beccaria” di Milano; Luciana Preti del liceo “G. Berchet” di Milano; Salvatore Lo Manto, dirigente del liceo “Arnaldo” di Brescia; Gian Biagio Pìttaro, dirigente del liceo “I. Calvino” di Città della Pieve; Filippo Stirati del liceo “G. Mazzatinti” di Gubbio; Patrizia Giulivi e Anna Maria Pescolloni del liceo “Tacito” di Terni; Enrico Renna del liceo “A. Pansini” di Napoli; Fabio Dainotti, del liceo “A. Genoino” di Cava de’ Tirreni; Angela Gueli Alletti del liceo “G. Meli” di Palermo, e i cento altri dirigenti e colleghi che coi loro consigli, l’affettuosa vicinanza, le riflessioni derivate dall’esperienza, la produzione d’interessanti materiali e la partecipazione alla realizzazione di attività che testimoniassero l’efficacia dell’approccio induttivo all’insegnamento delle lingue antiche, hanno consentito un consolidarsi d’una squadra e d’una rete di docenti i quali, nonostante tutto, credono fermamente che nella scuola italiana, e nei licei in particolare, ancora molto resti da fare e molto possa esser fatto. I tanti che non posso qui citare uno a uno sappiano che comunque li ricordo con animo grato per l’impegno profuso con l’intenzione ferma di rinnovare e migliorare l’insegnamento delle discipline umanistiche in Italia, da Bolzano a Siracusa, senza distinzioni.
Se questo manuale contiene un nutrito excursus storico e un riferimento costante ad alcuni approcci glottodidattici contemporanei, lo deve anche al fecondo colloquio che ho avuto la fortuna in questi anni di potere instaurare con alcuni grandi studiosi di queste
scuola, visto anche che alla nuova edizione di Familia Romana s’accompagna un opuscolo su usi e costumi dei romani, che a me sembrerebbe sufficiente allo scopo di trasmettere ai ragazzi le nozioni necessarie a comprendere il retroterra culturale della letteratura latina: ma ho aggiunto una bibliografia semiragionata di quelle opere che possono essere utili al docente per prepararsi con coscienza e professionalità al metodo induttivo, segnalando volumi che non sono così conosciuti, e cercando anche, dove possibile, d’indicare dove reperirli in rete. La sezione assolutamente nuova che maggiormente spero sarà accolta con favore dai colleghi, e che potrebbe suggerire nuove vie alla pratica didattica, è quella delle varie possibilità d’esercizi attivi, scritti e orali.
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materie: ringrazio dunque il professor Michael von Albrecht, dell’università di Heidelberg, per le ripetute delucidazioni e le dimostrazioni pratiche d’alcuni esercizi in uso nelle scuole umanistiche, e la discussione foriera di mirabili frutti che ne è scaturita; i professori Terence Tunberg e Milena Minkova, i quali nel loro Institute for Latin studies dell’università del Kentucky da anni sperimentano con successo i metodi rinascimentali d’insegnamento della lingua latina e hanno prodotto interessantissimi materiali e strumenti per la pratica didattica, che hanno ispirato alcune parti di questo manuale***; il professor Andreas Fritsch della Libera Università di Berlino, col quale ho avuto più volte modo di discutere della storia della didattica delle lingue classiche, in particolare delle varie e complesse vicende del metodo induttivo e del grande magistero del Comenio; il professor David Morgan, dell’università “Furman” della Carolina meridionale, straordinario conoscitore della letteratura neolatina dal XIV al XIX secolo, e contemporaneamente uno dei più dotati docenti di lingue ch’io abbia mai conosciuto, che m’ha indicato testi da leggere e mi ha mostrato sul campo diverse tecniche d’insegnamento; il professor Mauro Agosto, dell’Università Lateranense di Roma, che m’ha fatto molta luce sui progymnasmata delle scuole di retorica e sulla loro possibile forza didattica anche nella scuola attuale; la professoressa Nancy Llewellyn, dell’Università cattolica del Wyoming, espertissima del metodo Rassias, del Total Physical Response e dello Storytelling applicati all’insegnamento del latino, che mi ha trasmesso un notevole interesse per le attività didattiche di quei metodi perfettamente applicabili al corso dell’Ørberg; il professor Claude Fiévet, dell’università di Pau, che, sin dall’ormai lontano 1991, mi comunicò nei dettagli l’esperienza entusiasmante del metodo audio-orale nella didattica delle lingue classiche. Molti altri sarebbero da citare, perché il movimento che si sta creando in Italia scaturisce non dall’improvvisazione di singoli, ma da una coralità d’esperienze solide e feconde, che si uniscono insieme come in un’armonia di voci diverse eppur consonanti. Fra tutte queste voci, naturalmente, non posso che ritenere a me carissima quella del professor Hans H. Ørberg, che mi ha costantemente sostenuto con consigli, correzioni, amorevoli rimproveri, mai privi dell’estrema e signorile modestia, la paterna dolcezza e il fermo rigore dello studioso che lo contraddistinguono. A lui, come sempre, va tutta la mia piena, incondizionata riconoscenza. Molta della feconda discussione i cui risultati confluiscono in questo volume s’è sviluppata durante le occasioni d’incontro e confronto costituite dai due convegni HVMANITAS e LITTERARVM VIS, che si son potuti realizzare anche per la tenacia e l’incondizionato appoggio morale e materiale dell’avvocato Gerardo Marotta, infatica*** Molti esercizi di composizione latina possono esser visti in: M. Minkova - T. Tunberg, Readings and exercises in Latin prose composition: from antiquity to the Renaissance. With answer key, Focus publishing, Newburyport MA 2004. Per quanto riguarda la parafrasi di testi classici, si veda, degli stessi autori, Reading Livy’s Rome (Selections from books I-VI of Livy’s Ab Urbe condita), Bolchazy and Carducci, Mundelein IL 2005.
PREFAZIONE
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bile promotore d’iniziative culturali che grazie a lui acquistano un respiro ampio e divengono nobili e alte. Non posso che esprimergli tutta la mia gratitudine più profonda.
Molto mi hanno aiutato in questo lavoro, così come nella produzione di materiali didattici e documentari, alcuni di quelli che sono stati studenti o che comunque hanno frequentato in vario modo l’Accademia Vivarium novum in questi anni: ringrazio in particolare Jiří Čepelák, che va sempre più specializzandosi nell’utilizzo del corso dell’Ørberg e ha suggerito non pochi degli esercizi che qui si troveranno; le sue mirabili competenze nell’insegnamento della composizione latina si sono mostrate in tutte le loro potenzialità; Patrick Owens, che mi ha molto aiutato nel reperimento di materiale altrimenti assai difficile da trovare, e ha contribuito con la discussione di singoli punti alla stesura di questo manuale; Alexander Winkler, Jan Országh e Giuseppe Marcellino, che hanno preso parte come docenti nel documentario La via degli umanisti; così come il professor Vladislav Dolidon, che, con la sua incredibile conoscenza delle lingue classiche, mi ha sostenuto in quest’impresa e mi ha dato suggerimenti assai preziosi.
Per l’esperienza del documentario La via degli umanisti fondamentale è stata la disponibilità, la bravura, il coinvolgimento, l’entusiasmo dei ragazzi che vi hanno partecipato, e che sono stati anche motivo della produzione di molto del materiale in questa Guida compreso: li ringrazio di cuore dunque tutti: Ferdinando Adinolfi, Federica Attardi, Mara Bassi, Martina Costantini, Veronica Dal Porto, Matilde De Luca, Matteo Di Marino, Marco Di Maso, Federico Dragoni, Valeria Godi, Marco Graziano, Elena Invernizzi, Margherita Minchilli, Noemi Panci, Eleonora Panfili, Andrea Pettrachin, Martina Ruspi, Gioia Tarani, Valeria Terruso e Stefano Trancossi.
Un grazie profondo va anche a Sergio Scala, un tempo mio alunno al liceo “P. Calamandrei” di Napoli, oggi fedelissimo collaboratore, che, con la sua professionalità di grafico editoriale e il sacrificio delle sue giornate, ha impreziosito con una forma elegante questo libretto, che senza di lui sarebbe certo stato di gran lunga più povero e meno attraente.
Infine, parlando di sacrificio, devo manifestare tutta l’immensa gratitudine che sento nei confronti di colui ch’è la colonna d’ogni iniziativa che negli ultimi anni ho intrapreso, e che non avrei mai potuto realizzare senza il suo affetto profondo, le sue infinite competenze culturali, le sue incredibili capacità organizzative: se non ci fosse la pazienza mirabile e l’attentissima cura di Roberto Carfagni, un tempo anche lui mio alunno al liceo “R. d’Aquino” di Montella, ora altro me stesso nella vita tutta, apparirebbe intera, misera e senza veli, la mia negligenza, il mio disordine e la mia trascuratezza, né troverei le forze per affrontare sempre nuove battaglie. Montella, gennaio 2009
L.M.
IL LATINO E NOI Perché il latino? Quale latino?
È fondamentale che i ragazzi sentano sin dal primo giorno il desiderio d’intraprendere lo studio del latino come quello d’una nuova e avvincente materia, e di ricavarne il massimo profitto. Bisognerà dunque, com’è ovvio, comunicare loro entusiasmo per ciò che andranno ad apprendere, per le possibilità che acquisteranno col possesso del latino, e gli orizzonti che s’apriranno dinanzi a loro, ampliandone sempre più la visuale. Sia loro chiara sin dal primo giorno la meta verso cui sarà orientato il nostro percorso: si faccia capire che la conoscenza del latino sarà per loro un grande arricchimento spirituale. Li si faccia soprattutto pensare agl’inestimabili valori culturali che saranno loro dischiusi da questa lingua d’importanza universale. Bisognerà, certo, sottolineare come lo studio del latino sia, con quello dell’archeologia, l’unico mezzo di cui disponiamo per acquistare una conoscenza viva della cultura di Roma antica, in cui affonda le proprie radici tutta la nostra civiltà occidentale. La vita e gli ideali dell’uomo romano, la millenaria storia dell’Impero, la letteratura e l’arte di Roma che assimila e rielabora i tesori della cultura greca: tutto ciò costituisce l’eredità spirituale di una delle più gloriose età del genere umano, e quest’eredità vive tuttora nel nostro mondo, dandogli un’impronta incancellabile.
Ma il latino, sarà bene ricordarlo ― prima di tutto a noi stessi ― non fu solo la lingua degli antichi romani1: esso è stato infatti lo strumento principale con cui la civiltà occidentale ha espresso la sua vita-
Significative sono a proposito le parole di L. Canfora: “Ciò che sorprende è che non s’è mai chiamato in causa un fenomeno, pur macroscopico e certo significativo: il fatto che fino al secolo XVIII (e oltre) il latino ha continuato ad essere anche una delle lingue dei moderni. Di quei moderni, da Giordano Bruno a Galileo, da Kant a Pascoli, che hanno continuato a servirsene accanto alle altre parlate. Per non parlare della lunga durata di un caposaldo della civiltà quale il diritto romano; per non parlare della Chiesa cattolica in 1
Comunicare entusiasmo: l’importanza del latino
Il latino chiave della storia
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lità in ogni campo per tutto il medioevo, l’umanesimo, il rinascimento e l’età moderna: in latino sono state scritte opere di colossale importanza per il progresso morale, civile, politico, giuridico, scientifico, filosofico dell’umanità intera; e questo immenso tesoro di opere, questa straordinaria eredità non può rimanere oscura e inesplorata per i nostri ragazzi. Sapere il latino significa dar nelle mani dei giovani una chiave per aprire i palazzi della cultura storica: significa permetter loro d’ascoltare la voce di chi ha dibattuto con serietà sulla tolleranza, sulla convivenza civile, sulla possibilità di conciliazione tra uomini di fedi diverse, sul concetto di “guerra giusta”, sul sogno d’uno Stato perfetto, sull’interiorità dell’uomo e i suoi labirinti, sul problema morale individuale e della società, sull’indipendenza critica del pensiero rispetto alle auctöritätës, sulla formazione dei giovani, sulla conoscenza dell’altro e l’apertura a civiltà diverse dalla nostra, su cos’è l’uomo nella sua essenza. Significa permettere di vedere lo sviluppo storico della scienza, del diritto, della filosofia, della politica; significa, in una parola, rendere i giovani cittadini consapevoli del loro tempo e cultori della memoria storica. La recente tendenza di ridurre lo studio del latino a uno studio di “civiltà classica”, intendendo per questo uno studio archeologico di usi, costumi, antropologia greco-romana2, non è solo pericoloso perché propende a un abbandono o a una riduzione d’un serio studio linguistico che permetta un reale accesso alle fonti, ma anche perché depriva i giovani di tutto ciò che è nascosto sotto la punta dell’iceberg, e non fa loro sufficientemente render conto che, se è vero che lo studio delle istituzioni politiche romane o d’usanze imperiali può avere un interesse per il nostro mondo attuale e la coscienza Occidente e di quella ortodossa in Oriente, le quali hanno continuato ad usare il latino e il greco per parlare ai moderni. La discussione si è sempre focalizzata sulla domanda: “a che serve ormai la letteratura degli antichi a fronte della ricchezza dei contenuti dei moderni?”, mentre conveniva tener conto della lunghissima vitalità delle due lingue antiche fattesi moderne tra i moderni. Nei programmi scolastici il latino dei moderni manca del tutto. Forse sarebbe un ricco nutrimento per rinsanguare le nostre scuole.” (Perché ai moderni serve il latino, “Corriere della sera”, 19 marzo 2005, p. 33.) 2 Neanche tanto recente, se già nel 1915 W. H. S. Jones scriveva: “It is difficult to hear with patience of boys who cannot read their Vergil, but delight to handle ancient coins or plaster casts of them. Such boys are either badly taught or else unfitted for a classical education. A means has been exalted into an end in itself. The study of antiques is not the study of the classics; it is not even a able substitute for it. The one may help the other, but cannot replace it” (Via Nova, or the application of the direct method to Latin and Greek, Cambridge University press, Cambridge 1915).
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IL LATINO E NOI
delle sue radici storiche, ancor di più può averlo l’impadronirsi d’una lingua che permetta d’ascoltare la voce di Marsilio da Padova e di Giovanni di Salisbury, di Petrarca e di Leonardo Bruni, d’Erasmo e di Tommaso Moro, di Melantone e di Keplero, di Jean Bodin e di John Locke; che consente di capire come gli esploratori nel medioevo, i navigatori del Quattrocento, i missionari del Seicento e del Settecento vedevano le nuove genti con cui venivano in contatto; come gli umanisti scavavano dietro le differenze per scoprire cos’è che unisce gli uomini e che permette di chiamare popoli così diversi con un unico nome che li accomuna tutti nel genere umano, sinfonia di voci che supera lo spazio e vince la tirannìa del tempo edäx rërum che tutte le cose travolge nel suo moto. L’importanza dell’acquisizione di questo strumento linguistico è capitale, e noi insegnanti per primi dobbiamo esserne convinti, coscienti e consapevoli, per poter trasmettere questa sicurezza ai nostri alunni, ai loro genitori, a chi governa il nostro Paese, che della cultura umanistica è stato e potrebbe tornare ad essere un faro luminoso per l’intera Europa, invece d’inseguire come un’ombra, con ridicoli scimmiottamenti, modelli che non gli appartengono.
Paradossalmente, il latino ha continuato a vivere proprio perché “morto” nell’uso quotidiano: esso solo infatti, fissato nelle norme e non continuamente mutevole come le lingue “vive”, poteva garantire non solo una comunicazione che superasse i confini spaziali, ma anche la ricezione dei messaggi e quasi un colloquio vitale con coloro che, come bellamente scrisse il Petrarca, multïs ante nös saeculïs in terram versï, nöbïscunt vïvunt, cohabitant, colloquuntur3. È per questo che Lorenzo Valla poteva celebrare il sacrämentum della lingua latina, che neanche i barbari avevano voluto profanare4: anch’essi, infatti, s’erano ben resi conto che, se la compagine politica e civile dell’Impero romano era stata dissolta e frantumata, l’unità culturale andava preservata, e che non poteva difendersi una compattezza unitaria se non attraverso un vincolo d’una lingua comune, non soggetta al caleidoscopico cambiamento delle lingue volgari, che valesse tanto per la comunicazione diacronica quanto per quella sincronica. Frammentata e distrutta la rës püblica civile, si rafforzava e acquistava nuovo valore la rës püblica litteräria; finita la ratiö imperiï, il latino instaurava, o tentava d’instaurare, un imperium ratiönis. Entrare in contatto con i cïvës di questa rës püblica non può non costituire un’esperienza entusiasmante per i nostri giovani; un baluardo
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F. Petrarca, De remediis utriusque fortunae, Praef. L. Valla, Praefatio in sex libros Elegantiarum.
Latino: lingua viva o lingua ‘morta’?
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Perché studiare il latino? Una domanda, tante risposte
contro il conformismo e lo sviluppo d’un pensiero autonomo e critico basato non sull’imitazione pedissequa o sulla cieca venerazione, ma sul confronto coi grandi, le cui opere, il cui messaggio, non siano per noi norma, ma germe.
Le altre argomentazioni solitamente addotte per sostenere lo studio del latino, che pure erano nella prima edizione di questa guida enumerate e illustrate, ci appaiono oggi, a dieci anni di distanza e a una più matura valutazione del problema, tanto deboli da non poter far vera presa sugli animi degli adolescenti. Certo, la nomenclatura scientifica della zoologia, della botanica e d’altre discipline naturali, persino, in larga parte, della medicina, è ancor oggi in latino. Ma questo può davvero giustificare le ore che il ragazzo impiegherà a studiar questa lingua nel suo percorso liceale? Molti ne dubiteranno, e non senza ragione. S’usano ancora numerosisime espressioni latine; se ne potranno citare ai ragazzi alcune fra le più comuni, mostrando anche come esse siano talmente note e usate, da essere spesso oggetto di distorsione a scopo umoristico (si pensi ad alcune pellicole di Totò), o per finalità pubblicitarie: ma può questo relitto di vita essere il motivo per cui si debba studiare per cinque anni una lingua? Che il latino sopravviva boccheggiando nella Chiesa cattolica, rimanendo formalmente la lingua delle encicliche, delle bolle, dei brevi, recentemente (e solo teoricamente) richiamata dall’esilio liturgico, non entusiasmerà più di tanto i nostri ragazzi, fatte salve alcune eccezioni. Per quanto riguarda l’apprendimento dell’italiano, il discorso è un po’ diverso: la speciale enfasi che il corso dell’Ørberg pone sull’apprendimento del lessico farà sì che ben presto i ragazzi possano rendersi conto da sé degli enormi vantaggi che l’apprendimento del latino porterà loro per una migliore conoscenza e una più ampia consapevolezza della lingua che usano ogni giorno: si potrà dunque mostrare l’evoluzione del latino nelle lingue romanze e nell’italiano in particolare; si farà notare che, affianco al naturale sbocco nelle lingue neolatine, il latino è sopravvissuto nelle cosiddette “voci dòtte”, prese dal latino e rimaste nell’uso delle persone cólte; faremo comprendere, anche con semplici esempi, che lo studio della lingua di Roma è davvero indispensabile per formarci quel gusto che ci permette di leggere i nostri grandi scrittori con una più fine sensibilità per il loro stile e le loro scelte lessicali e sintattiche, spessissimo modellate o ricalcate sul latino5. 5 Chi volesse approfondire quest’aspetto del valore dello studio del latino e presentarlo in questi termini ai propri alunni, potrebbe leggere quanto ne scrive E. Mandruzzato nel bel libro Il piacere del latino, A. Mondadori, Milano, 1989, p. 13-18.
IL LATINO E NOI
Anche la questione dell’apprendimento delle lingue moderne non sappiamo fino a che punto possa esser sostenuta: non è che la conoscenza del latino non possa dare un vantaggio nell’imparare il se, l’inglese, lo spagnolo, tante altre lingue e dialetti: il punto sta nel vedere se il gioco vale la candela: se cioè non valga più la pena d’impegnarsi bene nell’apprendimento di queste lingue piuttosto che impiegare anni di studio per conoscere il latino che ci avvantaggerà nel comprendere qualche vocabolo in più: insomma, perché uno capisca che nello spagnolo nunca vale numquam e pedir significa quello che in latino era petere e preguntar deriva da percontärï; per comprendere il significato dell’inglese perfunctory a partire da perfungï, e di contempt o despicable da contemnere e dëspicere, è veramente il caso di studiare cinque anni di latino? È ragionevole che si impieghino quattro ore alla settimana d’un orario scolastico per ricordare che herbe e théâtre in se o triumph e human in inglese non si scrivono come in italiano, perché derivano la loro ortografia da parole latine? Sono, queste, argomentazioni che potranno essere addotte a sostegno e o, come vantaggi ulteriori e accessori che la conoscenza del latino apporterà ai nostri ragazzi: e i vantaggi non si limiteranno a questo; probabilmente uno studio accurato della grammatica e della sintassi porterà loro anche, come sostengono i fautori della Formale Bildung, una maggiore capacità d’analisi e un’attenzione più pronta ai fenomeni e alla struttura delle lingue, di tutte le lingue che eventualmente studieranno nella loro vita. Ma tutti questi sono benefici collaterali, e chi si rifà ad essi, parte già in una posizione debole di difesa: sembra infatti accettare come fatto scontato che il latino, di per sé, come si dice, non serva a niente, e che fuori di esso, in altre discipline, in altri campi sia necessario trovare la ragione della sua sopravvivenza, magari ridotta al lumicino, magari specializzata, magari trasformata, magari opzionale... Tutto ciò è assurdo: il latino porta tanti vantaggi, è vero, a chi lo sa, come tanti vantaggi portano tante altre materie di studio: ma è nel latino stesso, nell’incalcolabile peso culturale che esso ha come chiave d’infiniti tesori del nostro patrimonio occidentale, come porta d’accesso alla nostra storia, come lingua della memoria, che sono da ricercarsi le ragioni non solo della sua sopravvivenza, ma, soprattutto in un Paese come l’Italia, della sua promozione, della sua crescita, della sua valorizzazione a livello scolastico e universitario. Non c’è “antropologia culturale”, non c’è “studio dell’antichità classica”, non c’è “conoscenza delle radici” che regga, senza una solida conoscenza linguistica: perché tutto si riduce a letture filtrate, a ripetizioni d’opinioni altrui, a mancanza d’accesso alle fonti e alle scaturigini prime: psittacismo culturale, impossibilità di rifarsi all’origine, di meditare e di-
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scutere sui testi veri, anche nelle pieghe della lingua; questo specialmente nelle letterature classiche, in cui i contenuti sono spesso tratti dai locï, sëdës et domicilia argümentörum, e l’originalità, la vera vïs sta nella luce che la forma espressiva, la maniera di presentare, la proprietäs verbörum, la collocazione stessa delle parole nella frase riescono a infondere all’opera6. Che cosa poi voglia dire chiudere i nostri ragazzi nella “prigione del loro presente”, impedendo loro di leggere nell’originale le pietre miliari della nostra storia occidentale e i testi attraverso cui l’Occidente ha scoperto gli altri popoli e le altre culture, ben oltre, come abbiamo detto sopra, i pur ampi confini temporali dell’impero politico di Roma, può comprenderlo solo chi sa quanto e quale apporto, e a quali egregie cose il colloquio fecondo con i maiörës può accendere animi nobili, e quanto può esso nobilitare gli animi di chiunque vi si avvicini e vi s’immerga. Un solo esempio, breve e scelto a caso fra gl’infiniti che si potrebbero addurre, basti: si prenda questa frase tratta dalla V Filippica (5, 42): Advoläbat ad urbem ä Brundisiö homö impotentissimus, ärdëns odiö, animö hostïlï in omnës bonös cum exercitü Antönius. Le due parole più importanti, quelle sulle quali si concentra la forza dell’azione tutta, son poste in rilievo all’inizio e alla fine della frase: Advoläbat... Antönius: con la prima s’indica il movimento repentino, privo di rèmore e scrupoli, del rapido precipitarsi d’Antonio, come un uccello rapace, verso Roma; nella seconda c’è il soggetto, atteso lungamente dopo una serie d’indicazioni che ci dipingono al vivo lo scatenamento delle efferate ioni del suo animo e la sua pericolosità: egli, così ferocemente animato, non vien solo, ma conduce un intero esercito. L’uso di homö invece di vir è spregiativo: Antonio è impotentissimus, pur avendo cum exercitü il potere di schiacciare omnës bonös: egli infatti non è più compos suï, non riesce a dominare i belluini affetti che agitano e squassano il suo animo ärdëns odiö, che brucia e deflagra come una città devastata dai nemici: e per un parlante latino era di grande effetto sentire queste espressioni appositive, che normalmente seguono il soggetto a cui si riferiscono, preposte al nome: homö impotentissimus, ärdëns odiö, animö hostïlï in omnës bonös... Antönius. Il nome che chiude il periodo giunge quasi come una rivelazione dell’identità di colui ch’è stato già con tinte così fosche descritto. Tutto questo è espresso con un periodare incalzante, fatto di gruppi binari (homö impotentissimus / ärdëns odiö / animö hostïlï) collegati con un in ― che indica il movimento bellicoso d’Antonio contro i bonï e l’intera urbs ― ad un’altra coppia di gruppi binari (omnës bonös / cum exercitü): sentiamo in questo andamento della frase il veloce muoversi delle truppe, l’advoläre del giovane impotentissimus verso il bersaglio della sua sfrenatezza. Qualunque traduzione, anche la migliore, perderà gran parte di quest’arte; qualunque traduttore, anche il più bravo, sarà costretto dalla diversa indole della lingua in cui traduce a spostare anche di poco un ordine delle parole così pregnante, a usare lunghe perifrasi (“un uomo incapace del 6
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IL LATINO E NOI
Tutti possono imparare il latino
Quest’entusiasmo va comunicato ai ragazzi con forza e sicurezza; bisogna ch’essi si convincano sin dal primo momento che il latino può essere appreso, e appreso bene: che non si tratta d’una materia per iniziati, per superdotati, per chi ha avuto la grazia d’un miracolo pentecostale: il latino è una lingua, e come tutte le lingue può essere imparata con i metodi giusti e col giusto impegno. Il successo che giorno dopo giorno la maggior parte degli studenti otterrà sarà la conferma delle nostre parole. Si cominci così la lezione: “Sapete come si dice in latino ‘finestra’? Si dice fenestra. E ‘pavimento’? Pavïmentum. E ‘lume’? Lümen. E ‘cielo’? Caelum. E ‘terra’? Terra. E ‘sole’? Söl. E ‘luna’? Lüna. E ‘stelle’? Stellae. E ‘mare’? Mare. E ‘vento’? Ventus. Vi sembra una lingua difficile, questa?” Si faccia sentire l’orgoglio d’intraprendere un cammino che li porterà a un immenso incremento della loro cultura con l’acquisizione d’uno strumento formidabile capace di superare i confini del tempo; si mostri loro che questo sarà fatto attraverso un metodo graduale e sempre commisurato alle forze e alle competenza che a mano a mano essi avranno acquisito; che nulla sarà sproporzionato alle loro reali possibilità; che il latino sarà per loro anche piacevole e darà grandi soddisfazioni. Ma nulla s’ottiene senza impegno: si richieda sin dal primo giorno con fermezza una certa dedizione, una partecipazione attiva, si stimoli un coinvolgimento: l’impegno e il lavoro risultano assai più piacevoli e doppiamente efficaci quando nascono da una motivazione interna, da un interesse, che starà a noi suscitare. Quanto più noi daremo, in termini d’entusiasmo, di lucidità, di carica ed energia, tanto più risponderanno i ragazzi. Ed essi devono sentire ogni giorno sia pur minimo controllo”: G. Bellardi), a non distinguere tra sinonimi (homö e vir), a perdere le immagini (ad-voläre), a banalizzare parole dense di significati (i bonï diventano “i bravi cittadini”). Questo, se è vero per la traduzione da qualunque lingua, lo è molto di più nella resa delle lingue classiche, in cui è la forma a dare la vera originalità ai contenuti: cfr. V. Gravina, De lingua Latina dialogus, in: Scritti critici e teorici, a cura di A. Quondam, Laterza, RomaBari 1973, p. 125; G. Leopardi, Zibaldone 3472-3477 (19 settembre 1823); E. Norden, La prosa d’arte antica, Salerno, Roma 1986, vol. I, p. 9-22; il latino non conosce neanche una parola per esprimere il concetto di “originalità”: chi è eccessivamente novus e non nasconde questa sua novità dietro il paravento d’una imitätiö della tradizione, soprattutto nei contenuti che prende a trattare, è un eversore, bollato da marchio d’infamia. Su quanto e in che modo possa la nozione di “originalità” essere applicata alla letteratura romana, si veda M. von Albrecht, Storia della letteratura latina, Einaudi, Torino 1995, vol. I, p. 15 e seguenti.
Il latino lingua difficile?
8 Finalità del corso: lettura corrente dei classici
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d’avvicinarsi sempre più alla meta: la lettura corrente e non sofferta dei testi d’autore: non solo dei classici antichi, ma dei testi del medioevo, del rinascimento, dell’età moderna che hanno fatto la nostra storia. Una lettura che assomigli a un vero e proprio colloquio, non una faticosa decifrazione. La finalità ultima del corso è proprio questa: mettere i ragazzi in condizione di leggere la prosa (e, con pochi accorgimenti, la poesia) latina con gioia e facilità, così da sentire, da ascoltare il messaggio che viene da chi generazioni di uomini e l’improba fatica di scribi e copisti o la cura di bibliotecari ha ritenuto di dover salvare dall’oblìo. Non decifrare, non compitare, non almanaccare e strologare per risolvere un enigma d’una decina di righe. Non sudare su logogrìfi, su sciarade, su oscuri indovinelli per tentare d’uscire da un caecus et inextrïcäbilis error cosparso e lardellato di trappole e insidie. La lingua è vincolo umano, sacrämentum che congiunge anche le generazioni lontane e crea quell’aurea catena che chiamiamo cultura: non può e non deve essere diaframma che divide; apprenderla significa superare la maledizione di Babele, non ribadirla e rinnovarla. Solo così potremo esortare i nostri alunni, col Machiavelli, a entrare nelle corti degli antichi huomini; solo così, con Bernardino senese potremo dir loro: “Orsù, va’, leggi i loro libri, qual più ti piace; e parlerai con loro, ed eglino parleranno teco; udirannoti e tu udirai loro.”7
La bella frase, con l’idea umanistica che c’è dietro, è tratta dal Quaresimale (1425); il testo si può leggere in: L’educazione umanistica in Italia, a cura di E. Garin, Laterza, Bari 1949, p. 39 e seguenti. 7
L’INSEGNAMENTO DEL LATINO NEI SECOLI Un po’ di storia
Qual è il “metodo tradizionale” per insegnare il latino e il greco? Molti non esiterebbero a rispondere: morfologia, sintassi, traduzioni di frasi e brani. Eppure questo sistema grammaticale-traduttivo, contrariamente alla commünis opïniö, è d’introduzione piuttosto recente nella didattica delle lingue classiche, e non risale più indietro del XIX secolo8; esso è figlio di più fattori concomitanti: 1. della cosiddetta Formale Bildung, tesa soprattutto a esercitare una “ginnastica mentale”, e a sviluppare pazienza, attenzione, diligenza, “logica”: qualità che avrebbero poi dovuto esser trasferite allo studio d’altri campi del sapere, e costituire così una “formazione di base” del carattere e delle attitudini al lavoro intellettuale; in questa prospettiva, che s’imparasse davvero il latino (o il greco) non era eccessivamente importante: la motivazione dello studio delle lingue classiche era infatti posta sempre in un oggetto esterno ad esse e all’immenso patrimonio letterario e culturale che le stesse dischiudono; greco e latino erano visti come meri “strumenti”: strumenti per
Questo non significa che degenerazioni grammaticaliste non fossero state denunziate anche precedentemente: ma erano abusi di pedanti che ricadevano sui giovani discenti; il sistema per apprendere che s’adoperava nelle scuole di marca umanistica era tutt’altro, come si dirà più avanti, e gli stessi pedanti ne adottavano una forma distorta, che non consisteva nel mero apprendimento di regole e nella traduzione di frasi e brani estrapolati dal contesto. Quanto poi fosse sopravvissuto alla “rivoluzione umanistica” l’approccio logico-razionalista (per non dire metafisico) allo studio del latino, e quali siano state le sue alterne vicende, è questione che non è possibile trattare in questa sede; esso infatti non scomparve mai completamente e tentò più volte, con maggiore o minore successo, di risorgere distorcendo e soffocando anche la via umanistica fondata sui progymnasmata e sugli altri esercizi di amplificatio, variatio e imitatio ripresi dall’antichità e completati da drammatizzazioni, uso dei sensi, immagini e realia. 8
Il cosiddetto “metodo tradizionale”: dove, come e quando nasce
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Gli effetti del metodo grammaticale-traduttivo in Italia...
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acquisire dominio di facoltà analitiche, di tolleranza del lavoro mentale più improbo, di obbedienza a “regole” razionali, o al massimo per sviluppare competenze metalinguistiche, strumenti concettuali, capacità sistematiche spesso assimilate a quelle delle discipline matematiche; 2. dell’influenza dell’Illuminismo prima e del Positivismo poi, tesi a ricercare anche nell’insegnamento delle lingue classiche un “metodo scientifico” sistematico e razionale (i cui precursori erano stati i grammatici di Port-Royal); 3. del forte peso che ebbero le ricerche di linguistica storica, le sistematizzazioni grammaticali, le indagini sulla sintassi complessa, gli avanzamenti della filologia classica che informarono gli studi specialmente in ambito germanico; 4. della volontà, non scevra di contenuti ideologici, di proporre un metodo alternativo e “nuovo” al sistema d’insegnamento che pareva esclusivo appannaggio d’istituti ecclesiastici e d’ordini religiosi, e che sembrava ― non del tutto a torto ― privilegiare la forma sui contenuti, creando oratori e versificatori privi di senso comune e di contatto colla realtà presente e viva. Gl’illuministi che nei Paesi di tradizione cattolica (specialmente Francia e Italia) intraprendevano questa lotta, dirigevano però i propri strali verso un bersaglio sbagliato: accusavano i metodi d’apprendimento della lingua lì dove avrebbero dovuto accusare la degenerazione formalistica e lo svotamento dei contenuti; senza consapevolezza storica del fatto che quei metodi “gesuitici” da loro attaccati, erano in realtà i metodi degli umanisti raffinati e corroborati dai docenti della Compagnia di Gesù e da esponenti d’altri ordini che alla didattica s’erano con fervore dedicati. La lingua, con quei metodi, s’imparava, e bene, come dimostra la plètora di raffinati scrittori latini usciti quasi ex equö Tröiänö da quelle scuole; quali fossero poi spesso i contenuti in quella lingua trattati, e quanto odorassero di pulvis scholasticus o di dogmatica soggezione alle auctöritätës, è un’altra faccenda.
Gli sperati effetti che il nuovo “metodo prussiano” avrebbe dovuto sortire, non ci furono affatto; anzi, specialmente in Italia e in Inghilterra, le proteste d’intellettuali di spicco non tardarono a sollevarsi, vibrate e forti. Ecco allora levar la sua voce già nella seconda metà dell’Ottocento il Tommaseo: Perché tanto penano i giovanetti ad apprendere quella lingua essi che pure così agevolmente imparano a un tratto più lingue vive? Perché quella lingua rimane nel loro pensiero morta; perché, fuori della scuola e del cómpito, la scuotono via da sé quasi soma molesta. Più
L’INSEGNAMENTO DEL LATINO NEI SECOLI
farebbe sentir continuo parlare latino e dover rispondere una mezz’ora al dì, che studiarne la grammatica sette [...] Per via dell’analisi non apprendiamo, né fanciulli, né uomini; per essa rendiam conto a noi medesimi dell’appreso. Nella sintesi consiste la vita9.
Nel 1894 il Pascoli, chiamato dall’allora ministro Ferdinando Martini “a indagare cause e accennare rimedi di mali” riguardo all’insegnamento del latino nelle scuole, scriveva: Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica. I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s’intorpidiscono; e ricorrono ai traduttori non ostinandosi più contro difficoltà che, spesso a torto, credono più forti della loro pazienza. E l’alunno, andando innanzi, si trova avanti ostacoli sempre più grandi e numerosi; a mano a mano che la via si fa più erta e malagevole, cresce il peso sulle spalle del piccolo viatore. Le materie di studio si moltiplicano, e l’arte classica e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso. Anche nei Licei, in qualche Liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un’ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal Liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de’ quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio.
Il quesito forse più scottante, date le proteste che s’erano sollevate contro “il nuovo metodo” d’importazione germanica, che scardinava ed esiliava il “metodo tradizionale” producendo, a detta di molti, un forte calo nell’apprendimento della lingua, era il seguente: “Il metodo scientifico nell’insegnamento della grammatica latina affretta o ritarda l’apprendimento della lingua?” La commissione presieduta dal Pascoli rispose così: Possiamo dichiarare che il metodo che regna, con le sue minuzie e lungaggini e necessarie soste e continui richiami alla meditazione e al raziocinio, non affretta davvero l’apprendimento della lingua. Per noi la grammatica più efficacemente didattica è quella che, non dissidendo dalla grammatica condotta secondo i risultati della linguistica e le sue successive vicende, congiunge alla chiarezza e alla
Esercizi letterari ad uso delle scuole italiane e di chiunque attenda ad addestrarsi nell’arte dello stile, proposti da N. Tommaseo, Le Monnier, Firenze 1869, p. 604. 9
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semplicità la giusta e proporzionata partizione della materia. L’insegnante potrà sempre, quando la condizione della classe lo permetta, fornire agli alunni qualche dato della scienza linguistica dei più semplici e accertati, che non confonda, ma chiarisca l’intelletto e aiuti così la memoria10.
E, in una lettera dell’anno seguente indirizzata al ministro, il Pascoli scriveva: La lettura non sveglia nessun sentimento nei cuori, perché il libro di testo, generalmente, nelle sue note richiama a ogni o lo Schultz e il Madvig, non evoca mai la vita antica11.
Né la voce del Tommaseo, né quella del Pascoli riuscirono a scalfire la fede cieca che gl’insegnanti, preoccupati di non apparire retrogradi o “poco aggiornati” o “meno scientifici” e “seri” nella loro didattica, riponevano nei nuovi sistemi. A nulla valsero neanche le proteste sollevate già dalla metà dell’Ottocento da pedagogisti insigni, come il Lambruschini. Il “metodo prussiano” era destinato ad affermarsi, nonostante il forte detrimento che subiva l’apprendimento della lingua: “Ma tanto ― interveniva in difesa del metodo la Formale Bildung ― non è in fondo così importante che i ragazzi imparino davvero il latino, lingua ‘morta’; la cosa fondamentale è che facciano ‘ginnastica intellettuale’, che pratichino la pazienza e la diligenza, che sian capaci d’analisi e sviluppino qualità dell’ingegno e dello ‘spirito’ sempre utili anche in altri campi...” Come dire a uno che studia musica e s’esercita al pianoforte che non è tanto importante imparare a suonar bene e gustare le armonie di Beethoven o di Mozart, ma che quel che conta è esercitare le dita perché non s’abbia a soffrire, in età matura, d’artrite.
Nel 1905, visti i disastrosi risultati del metodo grammaticale-traduttivo, si convoca una nuova commissione per vagliare la situazione nelle scuole d’Italia. Questo è uno stralcio dalla relazione che i membri della commissione scrissero allora: Il metodo adottato nelle scuole italiane per l’insegnamento delle lingue classiche è il più difficoltoso e il meno redditizio; serve poco alla conoscenza della lingua, serve anche meno alla conoscenza dello spirito letterario;
Relazioni sull’insegnamento del latino nella scuola media, in G. Pascoli, Prose, A. Mondadori, Milano 1946, vol. I, p. 592-593 e 595-596. 11 Ibïdem, p. 607. 10
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Alla base del fallimento la Commissione identificava due errori di fondo: il primo, ed è il più grave e il più frequente, e quindi anche quello che più comunemente viene lamentato, è di prendere subito le mosse da un insegnamento sistematico della grammatica per introdurre alla conoscenza della lingua, e poi di continuare ad insistere con esso come se nell’apprendimento delle regole sue e nelle ripetute esercitazioni per applicarle consistesse tutta la ragione dello studio della lingua, anzi l’essenza della lingua stessa. L’altro errore, pure frequente, ma meno generale, è di estendere oltre la conoscenza e i bisogni propri alla scuola secondaria l’erudizione filologica e l’analisi grammaticale, morfologica e sintattica, della parola, della frase, del periodo, in guisa che la parola per sé diventi l’obiettivo principale dell’istruzione linguistica12.
Ma non ci fu nulla da fare. Gl’insegnanti si sentivano soddisfatti, anche se gli alunni non imparavano gran che: il mito della “formazione mentale” poteva tranquillizzarli: in fondo, se quello studio aveva avuto effetti, lo si sarebbe visto solo dopo molti anni: e non era forse vero che i migliori alunni d’ingegneria o di matematica erano gli studenti usciti dal liceo classico? Certo, perché il latino e il greco avevano fatto loro praticare la debita “ginnastica”.
Nel frattempo anche altrove in Europa le proteste si facevano sentire: in Francia, nella stessa Germania13, in Inghilterra. A Cambridge un grande studioso delle lettere classiche, filologo e linguista raffinatissimo e di chiara fama, sanscritista, divulgatore delle letterature la-
M. P. I., Commissione reale per l’ordinamento degli studi secondari in Italia, Roma 1909: cit. in G. Pittàno, Didattica del latino, B. Mondadori, Milano 1978, p. 35. La Commissione aveva fra i suoi membri quel Girolamo Vitelli che non poteva certo esser sospettato di non aver simpatia per la filologia di marca germanica e per uno studio serio e “scientifico” della lingua: il problema sta tutto nel vedere, con un po’ di buon senso, se i risultati di quegli studi, meritevolissimi, debbano esser presentati agli alunni nella maniera sistematica e arida con cui sono disposti in grammatiche normative o descrittive, o non possano piuttosto essere trasmessi in maniera didatticamente più efficace, costituendo più un punto d’arrivo che un punto di partenza. 13 Reazione al grammaticalismo della Formale Bildung fu in Germania la riforma di Francoforte, che riproponeva in una certa misura metodi induttivi e uso parlato della lingua; vedi: J. W. Headlam - F. Fletcher - J. L. Paton, The teaching of classics in secondary schools in , Printed for H. M. Stationery off. by Wyman and sons, London, 1910. 12
... e in Europa: W. H. D. Rouse
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tina e greca e fondatore della Loeb classical library, William Henry Denham Rouse, lascia l’università, preoccupato del terrificante calo di competenze che si misura nei giovani che s’iscrivono alle facoltà letterarie14. Egli, che senza dubbio ascrive questa diminuzione di pratica delle lingue latina e greca all’introduzione di nuovi “metodi devastanti”, scrive: Il metodo attualmente in uso non è più antico del XIX secolo. Esso è figlio dell’erudizione tedesca, che tenta d’apprendere tutto riguardo una cosa piuttosto che la cosa in sé stessa; il metodo tradizionale inglese, che è durato molto oltre il XVIII secolo, era d’usare la lingua latina parlandola15.
Il Rouse, più audace dei nostri, non si limita a geremiadi, non ritiene sufficiente denunziare i mali: egli vuole mostrare la via per rimediare. Prende la direzione della Perse School, che stava andando in fallimento; in pochissimo tempo s’uniscono a lui bravissimi insegnanti: l’Appleton, il Jones, il Paine, il Mainwaring, l’Andrew, l’Arnold, molti altri; scrivon libri di teoria e pratica della didattica delle lingue classiche con quello ch’essi chiamano il “metodo diretto”16; insegnano con Sulla vita e l’opera del Rouse, vedi: Ch. Stray, The living word - W.H.D. Rouse and the Crisis of classics in Edwardian England, Bristol classical press, Bristol 1992. 15 W. H. D. Rouse - R. B. Appleton, Latin on the direct method, University of London press, London 1925, p. 2: “...the current method is not older than the nineteenth century. It is the offspring of German scholarship, which seeks to learn everything about something rather than the thing itself: the traditional English method, which lasted well beyond the eighteenth century, was to use the Latin language in speech.” 16 Tra gli altri si vedano: The teaching of Latin at the Perse School, Cambridge (Educational Experiments in Secondary Schools, N° i; Educational Pamphlets, N° 20.) HM Stationery Office, London 1910; S. O. Andrew, Praeceptor, Clarendon press, Oxford 1913; The teaching of Greek at the Perse School, Cambridge (Educational Experiments in Secondary Schools, N° iii; Educational Pamphlets, N° 28.) HM Stationery Office, London 1914; W. H. S. Jones, Via nova, cit. (n. 2); Idem, The teaching of Latin, Blackie and son, Glasgow and Bombay, s.d.; W. H. D. Rouse - R. B. Appleton, Latin on the direct method, cit. (n. 15); W. H. D. Rouse, Scenes from sixth form life, Basil Blackwell, Oxford 1935. Testi scolastici: E.A. Sonnenschein, Ora maritima, K. Paul, Trench, Trubner & Co, London 1902; Idem, Pro patria, Swan Sonnenschein & Co., London - Mc Millan, New York 1907; W. L. Paine - C. L. Mainwaring, Primus annus, Clarendon press, Oxford 1912; R. B. Appleton W. H. S. Jones, Puer Romanus, Clarendon press, Oxford 1913; R. B. Apple14
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sorprendenti risultati, che meritano l’attenzione di tutto il mondo: lo zar di tutte le Russie manda a Cambridge degli ispettori, per vedere, saggiare, eventualmente imitare i sistemi del Rouse e del corpo insegnante della sua scuola17; il metodo s’estende ad altre scuole dell’Inghilterra; giunge in America, dove si diffonde con successo18; il Rouse fonda l’Association for the Reform of Latin teaching; dal 1911 avvia le “Schools of Latin teaching” per formare gl’insegnanti, e fonda la rivista Latin teaching. Esempi delle sue lezioni, in parte , in parte stenografate e ricostruite, furono pubblicate in un libretto, che ne rimane viva testimonianza19. Lo scoppio della grande guerra prima, con la morte di alcuni fra i suoi più fidi e stretti collaboratori, e la soffocante burocrazia centrale poi, le invidie, le meschine gelosie di chi vedeva sul Rouse concentrarsi troppi riflettori di tutta l’Europa e non si sentiva alla sua altezza, la “riluttanza delle scuole pubbliche alla sperimentaton, Initium, Cambridge university press, Cambridge 1916; R. B. Appleton W. H. S. Jones, Pons Tironum, G. Bell and sons, s. d.; W. H. D. Rouse, Chanties in Greek and Latin [...], Thomas Nelson and sons, London s. d. (ma ca. 1920); R. B. Appleton, Ludi Persici, Oxford university press, London 1921; W. L. Paine - C. L. Mainwaring - E. Ryle, Decem Fabulae pueris puellisque agendae, Clarendon press, Oxford 1923; W. H. D. Rouse, Latin stories for reading or telling [...], Blackwell, Oxford 1935. 17 “His annual reports to the school governors list the increasing number of visitors, from Britain, Europe and beyond, who came to test his claims. Morant sent his HMIs to watch; Reinhardt, whose successes at Frankfurt had led to his promotion to the Prussian Ministry of Education, added his seal of approval; Peter Sokoloff, the travelling inspector of the Russian Imperial education office, made a special trip to England to visit the Perse. By 1910, Rouse had become a public figure in both educational and wider circles (Ch. Stray, The living word ..., cit. [n. 14], p. 27). 18 Per avere un’idea di come veniva adoperato il metodo diretto del Rouse in America, si vedano almeno E. C. Chickering - H. Hoadley, Beginner’s Latin by the direct method, Charles Scribner’s sons, New York - Chicago - Boston 1914; E. C. Chickering, First Latin reader, Charles Scribner’s sons, New York - Chicago - Boston 1914; naturalmente i testi della scuola del Rouse venivano usati anche negli Stati Uniti; i libri del Sonnenschein avevano un’edizione americana. 19 W. H. D. Rouse, Scenes from Sixth form life, cit. (n. 16); il Rouse pubblicò anche alcune delle lezioni elementari di latino, con la voce sua e degli alunni incisa su disco, in Linguaphone: The direct method applied to latin (a handbook for teachers), written, illustrated and recorded by W. H. D. Rouse, The Linguaphone Institute, London s.d.; pubblicò poi in un libriccino la trascrizione d’una sua lezione di greco in greco, facendo, nella prefazione, esplicito riferimento alla didattica degli umanisti: vedi: W. H. D. Rouse, A Greek lesson, Cambridge university press, Cambridge 1907.
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Gli anni ’50 e oltre: ritornare agli umanisti?
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zione, e le scoraggianti competenze didattiche e culturali che a molti osservatori sembravano esser richieste dal “metodo diretto”20, fecero scemare e poi concludersi questo mirabile fermento: la stessa associazione da lui costituita si rinominò, meno battaglieramente, Association for Latin teaching, e di riforme non si parlò più. Eppure il magistero del Rouse non andò perduto: due studiosi usciti dalla sua scuola, il Peckett e il Munday21, continuarono a proporre il “metodo diretto” nelle scuole, sia per il latino sia per il greco22; e, benché assai ridotti nei mezzi e nelle finalità, i cosiddetti reading methods, ormai diffusi in tutt’Europa, sono il frutto anche del suo sforzo di ripensamento della didattica e di superamento dello stallo grammaticale-traduttivo23. Accesi dibattiti si suscitarono dopo la morte del Rouse, avvenuta nel 1950, sulla necessità d’un rinnovamento della didattica del latino e del greco. Anche in Italia, anche da parte di famosissimi grammatici, studiosi finissimi dell’evoluzione storica della lingua. Ma proprio perché tali, essi comprendevano bene che lo studio scientifico della struttura linguistica latina o greca e della sua evoluzione andava ben
Cfr. Ch. Stray, The living word..., cit. (n. 14), p. 73: “...the reluctance of the public schools to experiment, and the dauting pedagogic and scholarly equipment which seemed to many observers to be demanded by the Direct Method.” 21 Il Peckett era stato diretto discepolo del Rouse; il Munday era stato alunno d’un suo alunno, il Lockwood. 22 C.W. E Peckett - A.R. Munday, Principia, Wilding and Son, Shrewsbury 1949; Iidem, Pseudolus noster, ibid. 1950; Iidem, Trasymachus, Bristol Classical press, Bristol 1964. 23 “Yet the spirit of Rouse’s mission survived. The work of his epigoni after the Second World War, broadening the Method, making it more accessible to the average teacher, co-operating with the CA in setting up new institutional forms, brought the spirit of directiness into with the ordinary world of Classics teaching. The new Latin courses of the 1960s, conceived in the aftermath of the collapse of Compulsory Latin at the end of the previous decade, reacted against the dead hand of the paradigm in what may seem a different direction. Both the Cambridge Latin Course and its Scottish equivalent, Ecce Romani, set Latin narratives in Roman contexts [...]; they seek to immerse the pupil in a lived experience, to give back to the printed word the meaning which came from sequential, oral utterence and social context. [...] One of their fundamental features was an emphasis on the sound of a spoken language, to be listened to as a stream of meaningful sound, rather than pored over as a row of words on a page, a puzzle which was somehow not expected to make ordinary sense. The maintenance of this emphasis through the years of ‘thoroughness and unreality’ we owe in great part to Rouse and his gospel of the living word” (Cfr. Ch. Stray, The living word..., cit. [n. 14], p. 72-73). 20
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distinto dalla sua presentazione agli adolescenti; presentazione che doveva essere informata alle opportunità didattiche, ed esposta nella maniera più efficace. Nell’agosto del 1952 il Movimento circoli per la didattica organizzò un convegno a Carezza sul Lago; al convegno partecipò, tra gli altri, Giovanni Battista Pighi; il quale, pur tenendo una cauta posizione non del tutto dissociata, anzi talora ben allineata con gli esponenti della Formale Bildung, d’altro canto s’esprimeva in questi termini: La degenerazione del metodo grammaticale [...] alligna nelle scuole italiane ed europee in genere; essa distende sugli otto anni più preziosi della vita, in cui il bambino diventa adolescente e uomo, la melma d’una grammatica imbecille, malnota ai docenti e inutilmente sofferta dai discenti, e l’afa di letture stonate nella pronunzia, nell’intonazione, nell’interpretazione, infette d’oscurità e d’artificio; galleggia, nel cielo di piombo, la nuvoletta rosa, da cartolina lucida, della lezione di letteratura, e l’amorino della critica estetica, nel cui ghignetto si sposa la duplice capestreria del meretricio materno e del paterno lenocinio24.
...il fatto è [...] che gli studi di grammatica e di linguistica comparata portano a un approfondimento della conoscenza del latino e del greco, come del resto di molte altre lingue; e a una visione storica di quella che è la evoluzione della lingua, il diverso valore dei fatti linguistici nei diversi tempi, e così via; e c’è quindi tutta una massa di fatti interpretati ormai rettamente o quasi rettamente, che si accumula davanti al professore di greco e di latino. E allora si affaccia il problema pedagogico: di tutti i risultati della linguistica, quali possiamo mettere nella grammatica che s’insegna nelle scuole? [...] A che cosa portò in pratica la conoscenza della glottologia e la tendenza verso la grammatica generale, nella grammatica? Portò a questo: che si arrivò a uno scientifismo rispettabile da un lato, ma dannoso dall’altro, perché si perse il contatto con l’esercizio e con l’uso della lingua e invece si diede una grandissima importanza a una filologia astratta dall’uso linguistico25.
Il Pighi faceva esplicito riferimento ai migliori tra gli umanisti come modello per una nuova eppure antica maniera d’insegnare il la24 G. B. Pighi, Funzione formativa dell’insegnamento del latino, in “Ricerche didattiche” (Rivista del Movimento circoli della didattica), anno III, n. 4-5, luglio-ottobre 1953, p. 83-88; citazione a p. 85. 25 G. B. Pighi, Grammatica e lingua, Ibidem, p. 98-109; citazione a p. 107.
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tino: si richiamava al Poliziano, ai suoi “latinucci” scritti per Piero de’ Medici26. Al convegno partecipò anche il Munday, che illustrò brevemente il “metodo diretto” del Rouse27. Altri proposero altre strade. Ma la situazione rimase immobile, tanto che ancora nel 1978 un altro filologo, grammatico e studioso insigne della storia della lingua, il Pieraccioni, scriveva: È impensabile [...] cominciare il latino con lo studio sistematico di declinazioni da mandare a memoria e con le frasette senza senso delle vecchie grammatiche, o le favolette di Fedro di venerata tradizione. Se vogliamo che lo studio delle lingue classiche sopravviva, la prima cosa da fare è un insegnamento che superi per quant’è possibile ogni sterile filologismo e lasci posto fin dall’inizio a una sempre più ampia lettura di testi. Bisogna cominciare una buona volta a escludere inizialmente quello studio sistematico della morfologia e della sintassi (con annesse eccezioni e sottoeccezioni) che per tanto tempo ha aduggiato e aduggia tuttora i primi anni di studio del latino e del greco. Porre subito i giovani davanti ai testi: non dimentichiamo che in questo modo impararono e insegnarono il greco gli umanisti, dal Guarino al Valla al Poliziano a Marsilio Ficino28.
“Non so se voi conoscete i ‘latinucci’ del Poliziano. Il Poliziano per il suo scolaretto Piero de’ Medici a cui era stato assegnato come maestro di latino, faceva i cosiddetti latinucci. Erano notizie sui fatti del giorno: è arrivato l’ambasciatore del Gran Turco; il re di Francia ha mandato a dire al re di Spagna questo e questo. Si capisce, si trattava dell’educazione d’un principe. Ma c’erano anche cose di questo genere: ‘Io so che tu hai ione per il tuo pony, per il tuo ginnetto, ma bada che ti fa male; l’altro giorno sono andato al mercato di Poggibonsi e ho visto un cavalluccio che era una meraviglia (e glielo descrive apposta per fargli venire l’acquolina in bocca), però m’ha detto tuo padre che non ti vuol dare i soldi per comprarlo, perché teme che tu cada’. Insomma cose di questo genere, che il Poliziano preparava a tempo: dopo, il ragazzino doveva naturalmente leggerle, tradurle, ecc. Vedete che il Poliziano, che di latino e greco ne sapeva qualcosa, non adoperava le regole grammaticali; non c’è il minimo accenno in questi latinucci a una regola grammaticale; qualche volta ne avrà parlato; se il ragazzo avrà detto, per esempio, ‘iteris’ invece di ‘itineris’, gli avrà dato uno scappellotto dicendo ‘no, itineris!’.” Ibidem, p. 106. I “Latini” dettati dal Poliziano a Piero de’ Medici nel 1481 possono esser letti in: Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini Poliziano, raccolte e illustrate da Isidoro Del Lungo, G. Barbèra, Firenze 1867, p. 17-41. 27 A. R. Munday, Il metodo diretto, in “Ricerche didattiche”, cit. (n. 24), p. 133-136. 28 D. Pieraccioni, Dove vanno latino e greco?, “Il Tempo”, sabato 25 febbraio 26
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Ma tra il convegno di Carezza e l’intervento del Pieraccioni molte cose erano successe, e una proposta fra le molte aveva suscitato grande entusiasmo nel mondo degli studiosi del latino. Giacomo Devoto, Scevola Mariotti, Emilio Springhetti l’avevano caldamente incoraggiata, e s’erano augurati che potesse trovare una piena e ampia accoglienza nelle scuole italiane. Lo stesso fecero in altri Paesi personaggi del calibro di L. Hjelmslev, K. Jax, A.D. Leeman, D. Norberg, R. Schilling, W. Schmid, H. Zilliacus, J.F. Latimer29. Un giovane studioso danese, Hans Henning Ørberg, specialista di glottodidattica e latinista, propone al Nature method Institute di Copenaghen, allora diretto da Arthur Jensen, di applicare il “metodo natura” anche al latino. Per diversi anni lavora intensamente al progetto, avvalendosi di lessici frequenziali, di quel che c’era del Thesaurus, dell’intero corpus degli autori classici. Pesa col bilancino ogni parte del suo corso, dandogli una struttura assi razionale: prima la morfosintassi nominale (nomi, aggettivi, pronomi), poi quella verbale e del periodo; nesso fra le due, un capitolo sul participio. Tutto il vocabolario della prima parte è studiato perché il discente impari le parole più frequenti nei testi d’autore; l’immersione nella lingua è totale, e il latino è spiegato col latino, la lingua Latïna è per së illüsträta. Un racconto continuo, che coinvolge e cattura. Le nuove forme e le nuove strutture a mano a mano introdotte e ripetute con insistenza in vari contesti; i nuovi vocaboli inseriti tra i vocaboli già appresi in una misura mai superiore al venti per cento, e spiegati con sinonimi già noti, circonlocuzioni, contrari, derivazioni, immagini. In trentacinque capitoli l’alunno vien condotto dall’ignoranza totale del latino alla conoscenza di tutta la morfologia e di tutta la sintassi. Potrà poi are gradualmente alla lettura degli autori, perfezionando le sue conoscenze grammaticali e ampliando sempre più il vocabolario. Gli esercizi non sono di traduzione, ma di completamento o d’uso attivo della lingua. L’Ørberg si rifaceva esplicitamente, come ha più volte riconosciuto, al “grande esperimento” del Rouse e dei suoi 1978. Gli faceva eco, quello stesso anno, uno dei più illustri studiosi della letteratura e del mondo greco, K. J. Dover, che così scriveva: “There is one criterion, and one only, by which a course for the larners of a language no longer spoken should be judged: the efficiency and speed with which it brings them to the stage of reading texts in the original language with precision, understanding and enjoyment [...] The technique of compiling a descriptive grammar for reference purposes and the technique of introducing a learner to a language are utterly different, as teachers of modern languages know.” (Foreword a Reading Greek - text, Cambridge university press, Cambridge 1978, p. vii e viii.) 29 Si vedano, in appendice a questa Guida (p. 223), alcune delle prefazioni che questi grandi studiosi scrissero allora.
19 Lingua Latïna per së illüsträta: una proposta accolta con favore dagli studiosi
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seguaci30; ma migliorava di molto i sistemi didattici, con un’attenzione estrema alla gradualità, alla frequenzialità del vocabolario e della morfosintassi, al coinvolgimento attivo attraverso una storia continua, alla cura con cui spiegava i fenomeni grammaticali e li metteva in pratica nel testo e negli esercizi. Dal 1954 ad oggi egli ha perfezionato sempre più quest’opera, che risulta così uno dei testi per l’apprendimento del latino più meditato, più ponderato, più coeso e più efficace oggi esistente al mondo.
Le radici del metodo Ørberg: la “via degli umanisti”
I grammatici tardomedioevali
Ma i metodi del Rouse e dell’Ørberg sono davvero i metodi degli umanisti? In che consisteva la didattica umanistica, e quali ne erano gli strumenti?31
Gli umanisti partivano da una critica serrata e durissima ai metodi in uso nel tardo medioevo: sempre più anche la lingua e la “grammatica” erano divenute ancillae theologiae, e subordinate a interessi di
Si veda quel che lui stesso riferisce a p. I di questa Guida. Per una sua breve illustrazione del metodo, si veda la Postfazione a p. 217. 31 Uno studioso straordinario come Remigio Sabbadini scrisse un libretto sul “metodo degli umanisti”, con lo specifico scopo di far chiarezza nella controversia tra fautori del “metodo filologico” e sostenitori del “metodo estetico”, l’uno fatto d’analisi, l’altro consistente nella sintesi, ma ambedue invocanti in loro aiuto gli umanisti (R. Sabbadini, Il metodo degli umanisti, Le Monnier, Firenze, 1920). Che il Sabbadini fosse uomo d’impareggiabile acribìa e profondità e di vastissima erudizione basata sullo studio diretto delle fonti, nessuno potrà metterlo in dubbio. Eppure, nell’analizzare il metodo d’apprender le lingue presso gli umanisti, la sua formazione deve averlo condizionato. L’affermazione è audace; ma è davvero sconcertante constatare come nell’intero libretto l’“insegnamento del latino” sia identificato con quello della grammatica (inclusa quella di Alessandro di Villa Dei, tanto criticato da cento umanisti, compreso Erasmo, nonostante le espressioni attenuatrici della sua condanna), senza nessuna, o quasi nessuna, descrizione vera dei metodi che superavano di gran lunga la pura descrizione grammaticale; senza un accenno alla lotta contro la grammatica come logica e metafisica tipica delle scholae: con un’identificazione dei themata con le “versioni”, sïc et simpliciter; e con molte altre svianti impostazioni. È vero che il Sabbadini si limita all’umanesimo italiano, e, nel suo interno, solo a pochi nomi; ma comunque la sua analisi appare parziale e condizionata, lo ripetiamo, da una förma mentis determinata dall’esser cresciuto alla scuola della Formale Bildung e non saper concepire, nonostante l’immensa cultura, altro inegnamento del latino se non quello di grammatica, sintassi, versioni. 30
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tipo speculativo e metafisico: i modistae, o grammaticï speculätïvï avevano portato all’estremo questo processo, che allontanava gli studenti dalla ricerca dell’origine fontale del latino, per indagare piuttosto i supposti e fantasiosi paralleli tra i modï significandï, i modï intelligendï e i modï essendï, come con barbaro latino chiamavano le modalità d’essenza che affermavano presenti in ogni cosa in sé, al di fuori della mente del soggetto32. L’analisi della lingua dei classici, in questa prospettiva ― ma anche in quella d’altre tendenze grammaticali del tardo medioevo ― non aveva spazio, anche perché la convinzione diffusa e accettata (a cui accenna anche Dante nel Dë vulgärï ëloquentiä)33 era che il latino fosse sempre stato una lingua artificiale, creata dai dotti e dai sapienti sulla base delle lingue che noi chiamiamo romanze, allo scopo d’avere una lingua franca della cultura. Dunque il latino dei modistae valeva tanto quanto quello di Cicerone. Il risultato era una babele linguistica che andava sempre più allontanando la lingua dei filosofi da quella dei giuristi, e questa da quella dei teologi; una lingua che innovava selvaggiamente e senza regola, che s’imbarbariva con l’introduzione non solo di parole, ma anche di costrutti vernacoli, tanto da rischiare di non esser più un buono strumento di comunicazione internazionale; per quanto riguarda la trasmissione diacronica, il danno era già fatto, perché la differenza tra il gergo delle Cfr. E. Garin, L’educazione in Europa (1400-1600), Laterza, Bari 1957, p. 32: “Modi essendi, modi intelligendi, modi significandi, sembrano definire il rapporto fra metafisica, logica e grammatica, fra scienza delle res, della vox, del signum, fra ratio essendi, ratio intelligendi, ratio consignificandi: ove tuttavia è la grammatica che sembra usurpare il posto della logica.”; P. F. Grendler, La scuola nel rinascimento italiano, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 181: “Nel complesso gli umanisti italiani consideravano la grammatica speculativa un’invenzione perversa della Scolastica, che collegava stoltamente il linguaggio alla dialettica. Dato il loro radicale rifiuto della logica medievale, gli umanisti non potevano attribuire alcun valore al legame fra grammatica ed essere. Aborrivano, poi, il latino tecnico, non classico e quindi ‘barbaro’ dei grammatici speculativi. Gli umanisti erano letterati che imparavano la grammatica per leggere i classici e per diventare eloquenti, nient’altro; per loro la grammatica speculativa non aveva interesse. Preferivano istintivamente la grammatica pedagogica, ma non necessariamente la grammatica pedagogica medievale; e ben presto cominciarono a criticare i manuali dei loro medievali predecessori.”; J. JIsewijn, Alexander Hegius (†1498), Invectiva in modos significandi, text, introduction and notes, in “Forum for modern language studies”, vol. VII, n° 4 (Oct. 1971), pagine 299-318, p. 304: il maggiore interesse degli umanisti “was the restoration of the ‘better’ Latin in education and literature”; essi “did not care for the speculations of abstract mediaeval philosophy, often considered as a symbol of ‘gothic barbarism’”. 33 De vulg. eloq. 9, 11. 32
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scholae e il latino antico era spesso tale da non consentire, anche ai “dotti”, di leggere con facilità i monumenti letterari del ato34.
Gli umanisti intervennero con una vera rivoluzione dei metodi che, contrariamente a un’opinione tanto falsa quanto diffusa anche in ambienti accademici, salvò il latino dalla scomparsa, lo sanò dalle assurdità dei grammatici metafisici e dell’innovazione barbarica, e gli garantì ancora più di quattro secoli di vita piena e vitale, durante i quali poté degnamente e con precisione esprimere tutte le pieghe del pensiero e trasmettere tutte le innovazioni e le rivoluzioni della cultura
L. Vives, De disciplinis libri XX, tomus I De causis corruptarum artium, liber secundus, De corrupta grammatica, Lugduni, apud Ioannem Frellonium, 1551, p. 78: Sed quum iam Latina lingua prope tota interiisset, viderentque plausibile, et venerandum, magnique ad opinionem ingentis eruditionis momenti horrenda barbarie, et soloecismis orationem conspurcare, unusquisque ad exprimendum quod volebat, verbum de sermone vernaculo mutuabatur, alias quod decorum crederetur, si quam pessime Latine loqueretur: alias quod expeditius: interdum quoque quod meliore quidem voce non carebat quidem, sed non esset intellecta. Itaque malebant aliqui iuxta vetus dictum imperitius loqui, modo apertius: nata est hinc barbaries non una, sicut una erat Latina lingua, verum sua cuique nationi et genti. Aliam ex suo vernaculo invexit Hispanus, aliam Italus, aliam Gallus, aliam Germanus, aliam Britannus, nec hi mutuo intelligebant. Cfr. J. IJsewijn, Companion to neo-Latin studies, part I (History and diffusion of neoLatin litterature), Leuven university Press – Peeters Press, Leuven / Louvain 1990, p. 41: “The alarming extent to which language decay and corruption had developed by the time of the early humanists may be seen in the disturbing barbarization of the vocabulary, which seriously endangered the universal usefulness of Latin, and the appalling doggerel written by so many authors of the late scholastic age. Here I am not referring, of course, to the technical scholastic terminology, but to the introduction into Latin on a massive scale of vernacular and word patterns such as buntos tabardos and ventus sum (instead of veni) which you find in the fifteenth century Saxon history of Werner Rolevinck and which you cannot understand unless your mother-tongue is German.” Molti esempi di questo latino imbastardito da arbitrari apporti del vernacolo possono trovarsi in J. IJsewijn, Erasmus ex poeta theologus in Scrinium Erasmianum I, a cura di J. Coppens, Leiden 1969, pagine 375-389 (p. 376), nelle parti in versi delle Epistolae Obscürörum virörum, che sotto la satira rispecchiano una situazione reale, e, soprattutto, nel De corrupti sermonis emendatione di Maturino Corderio (Mathurin Cordier), Rédaction Anvers 1540, texte et commentaire linguistique par Leena Löfstedt et Bengt Löfstedt, Lund university Press, Lund 1989. L’étude linguistique annesso all’edizione di quest’operetta mostra chiaramente come gli usi scolastici tardomedievali riguardassero non solo apporti lessicali barbarici e non assimilati al latino (come, per scegliere un solo esempio tra i più di milleseicento proposti, Vadamus ad pormenandum 34
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europea, compresa la grande trasformazione scientifica avvenuta tra il XVI e il XVII secolo35. La prima cosa, dunque, a cui gli umanisti misero mano, fu di sradicare dall’uso le grammatiche e i lessici commentati medievali, infarciti d’assurdità in ogni pagina: la lotta fu anche condotta contro quei libri ch’erano meno peggio degli altri, come il Doctrïnäle d’Alessandro di Villa Dei, perché, nonostante un’approssimazione maggiore a una più precisa descrizione della lingua, assurdo appariva il metodo tutto deduttivo, fatto di precetti interminabili, il cui apprendimento talora occupava anni e anni di studio sterile e infecondo, senza che mai s’arrivasse una buona volta ad ascoltare le grandi voci del ato36. Grammatichette dunque brevi, talora brevissime furono approntate dagli umanisti: a cominciare da Guarino Veronese e Niccolò Perotti, nos, che trasporta di peso nel latino, e per pura pigrizia o ignoranza linguistica, il se medievale Allons nous pourmener), ma anche la sintassi e la morfologia, con cambiamenti strutturali che fortemente imbastardivano la lingua, fino a renderla un’altra cosa, un jargon comprensibile solo ai parlanti la lingua vernacola. Ma, bene annota J. IJsewijn, “when a Latin writer reaches that point he had better turn at once to the use of the vernacular.” (Companion..., cit., p. 42; cfr. anche M. Riley & D. Pritchard Huber, Introduction a: John Barclay, Argenis, Royal Van Gorcum, Assen – Arizona Center for Medieval and Renaissance studies, Tempe AZ 2004, vol I, p. 40: “An international language becomes impossible if each nation speaks its own version.”) La grande differenza tra un Gregorio di Tours, che nell’accingersi a presentare la sua Historia Francorum, pur ancora implicitamente rifacendosi a S. Gregorio Magno (intendo alla famosa Epistola ad Leandrum 5 [ed. M. Adrien, vol. I, Brepols, Turnhout 1979, CCh 143, p. 7]), sente l’esigenza di scusarsi per la sua povera grammatica non esente da solecismi, attribuendone la colpa alla propria ignoranza (Hist. Franc., Praef.: ...prius veniam legentibus praecor, si aut in litteris aut in sillabis grammaticam artem excessero, de qua plene non sum imbutus) e gli pseudodotti tardomedievali, è che questi ultimi aggiungono all’ignoranza crassa un’intollera- bile superbia tumida di fasto inconsistente e vano: che questa superbia fosse stata una delle principali causae corruptarum artium fu ben sottolineato dal Vives, op. cit. (n. 34), pagine 10-11 e 16-17. 35 Cfr. J. Ijsewijn, Companion..., cit. (n. 34), p. 42: “...the purified humanist Latin rendered for many generations ― indeed until well into the seventheenth century ― excellent service to literature, science, the Church and society in general in more countries than ever before. Scholars, diplomats and all kinds of educated persons shared the same international language.” 36 Cfr. il Thesaurus eloquentiae di P. Niavis, pubblicato insieme con altri colloquia in: Latina ydeomata Magistri Pauli Niavis. (Add: Thesaurus eloquentiae; Dialogus litterarum, sive Latina idiomata pro scolaribus adhuc particularia frequentantibus), Lipsiae, ap. Conradum Cacheloffen, 1494 (Il Thesaurus eloquentiae alle pagine 43-101): Arnolfo, personaggio del dialogo,
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I colloquia scholastica
fino a quelle degli umanisti d’oltralpe. Dopo aver appreso pochissimi rudïmenta (ossia essenzialmente declinazioni e coniugazioni regolari) i ragazzi avano sùbito a esercizi attivi: apprendimento di nomenclatura divisa per campi semantici, colloqui, förmulae facilës et iücundae, brevi conversazioni, piccole composizioni, esercizi d’imitazione dalle lettere di Cicerone (o anche di Plinio). I colloquia in particolare ebbero una così larga diffusione da divenire presto quasi un genere letterario autonomo, sfruttato poi da autori, come Erasmo, anche per intenti che andavano ben oltre la semplice finalità didattica. Famosissime in tutt’Europa, e usate anche moltissimo in Italia, furono le Exercitätiönës linguae Latïnae del Vives; ch’erano state precedute dai dialoghi di Paolo Niavis e dai colloqui di Pietro Mosellano, d’Erasmo, appunto, e di molti altri; ed erano destinati a esser seguiti dalle opere di Maturino Corderio, del Duncano, di Giacomo Pontano della Compagnia di Gesù, e di tantissimi loro emuli37. La consuetudine dei colloquia affondava le sue radici in una tradizione didattica antichissima, risalente agli Hermëneumata del terzo secolo, la cui influenza era in vario modo e con alterne vicende continuata fino almeno a tutto il secolo undicesimo38. All’interno dei colloquia v’è una ripetizione studiata e regolare delle parole per favorirne l’apprendimento (anche che frequenta i grammatici scolastici, ha già ato vent’anni (!) su Donato e su Alessandro di Villa Dei. Per una straordinaria satira di questo sistema d’istruzione, si legga il cap. XIV dell’opera del Rabelais, dove si descrive l’educazione di Gargantua. 37 Questi colloquia, insieme ad altri, possono oggi esser letti in rete nel sito: www.stoa.org/colloquia. 38 Gli Hermeneumata sono stati pubblicati dal Goetz: Goetz, G., Corpus glossariorum Latinorum a Gustavo Loewe inchoatum composuit recensuit edidit Georgius Goetz, Verlag Adolf M. Hakkert, Amsterdàm 1965, vol. III; cfr. J. Debut, Les Hermeneumata Pseudodositheana. Une méthode d’apprentissage des langues pour grands débutants, in: “Koinonia” 8/1 (1984), pp. 6185; S. Gwara, The Hermeneumata pseudodositheana. Latin oral fluency, and the social function of the Cambro-Latin dialogues called “De raris fabulis,” in: Carol Dana Lanham (ed.), Latin Grammar and Rhetoric: from classical theory to medieval practice, New York - Londra 2002; L. Miraglia, La didatica del greco e del latino nell’impero romano: aspetti tecnici e culturali, in : Miscellanea in ricordo di Angelo Raffaele Sodano, a cura di S. Medaglia (Università di Salerno - Quaderni del dipartimento di scienze dell’antichità), Guida, Napoli 2004, p. 207-238; Idem, Doctrina et usus in viis rationibusque docendae linguae Latinae inde ab Hermeneumatis Pseudo-Dositheanis usque ad Aelfricum Batam (III-XI saec.), in Acta Selecta Decimi Conventus Academiae Latinitati Fovendae (Matriti, 2-7 Sept. 2002), ed. A. Capellán García - M.a D. Alonso Saiz, Romae-Matriti 2006, p. 111-155. Le conclusioni di
L’INSEGNAMENTO DEL LATINO NEI SECOLI
attraverso una disposizione per campi semantici all’interno di contesti dialogici), l’introduzione di sinonimi, locuzioni e formule variate in mille modi per accrescere la cöpia non solo dei verba singula, ma anche delle intere frasi e dei verba coniuncta39, e vengono di volta in volta introdotti costrutti sintattici o parti della morfologia: per esempio, per far apprendere le forme locative di domus e rüs, il Corderio presenta questi due dialoghi40: Persönae: Sulpitius, Rogērus
S.: “Unde tibi māter mīsit litterās?” R.: “Rūre; ex vīllā nostrā.” S.: “Quandō rūs profecta est?” R.: “Superiōribus diēbus.” S.: “Quid agit rūrī?” R.: “Cūrat nostra negōtia rūstica.”
Persönae: Garbīnus, Furnārius
G.: “Quod est tibi domicilium?” F.: “Paterna domus.” G.: “Unde nunc venïs?” F.: “Domō.”
superiōribus: praeteritïs
domicilium - iï n = locus ubi habitātur, domus paternus -a -um < pater
questi due saggi (di cui il secondo è in parte versione latina del primo) sono ora condivise e accolte da B. Rochette, La question des langues dans l’Empire romain: l’enseignement du latin et du grec dans l’Antiquité (Journée d’étude du SCEREN-CRDP, Lille, 5 déc. 2007), che si può leggere in rete: helios.fltr.ucl.ac.be/Conference B ROCHETTE .pdf 39 Cfr. M. Breva-Claramonte, La didáctica de las lenguas en el Renacimiento: Juan Luis Vives y Pedro Simón Abril (Con selección de textos), Universidad de Deusto, Bilbao 1994. 40 Fra le tantissime edizioni, vedi: Maturini Corderii Colloquiorum scholasticorum libri V. Serie nativa autoris, &c. cum Argumentis seu locis communibus, pietati, decoro et literis puerilibus longe emendatius iterum et cum ludicris puerorum Joach. Camerarii et Memoria Pythagorea &c. Ut et cum indice, Latine discentibus necessario, editi, Lipsiae, apud Jo. Samuel Heinsium, MDCCXXXVIII, p. 44, lib. I, colloq. LXIV (altre ed.: colloq. LXV); ibid., p. 73, lib. II, colloq. XXXIII (altre ed.: colloq. XXVI). Presentiamo i due colloqui in questa forma, con note a margine, perché può essere utile leggerli in classe, quando si studia il XXVII capitolo di FAMILIA ROMANA.
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G.: “Ubi prandistī?” F.: “Domī.” G.: “Ubi cēnābis?” F.: “Domī vestrae, ut spērō.” G.: “Quī scīs?” F.: “Pater ipse tuus hodiē mē invītāvit.” G.: “Ubi illum vīdistī?” F.: “Domī Varrōnis.” G.: “Quod illīc erat tibi negōtium?” F.: “Pater mē mīserat nūntiātum aliquid.” G.: “Ubi es cubitūrus?” F.: “Domī frātris.” G.: “Quid habēs negōtiī cum frātre tuō?” F.: “Dīxit sorōrī nostrae sē velle convenīre mē.” G.: “In quā domō habitat?” F.: “In quādam conductīciā.” G.: “Eho, nūllamne habet propriam domum?” F.: “Habet quidem, sed eam locat quibusdam inquilīnīs.” G.: “Locat igitur domum propriam, et condūcit aliēnam?” F.: “Scīlicet, ut ex mē audïs41.”
prandēre -disse = merīdiē cibum sūmere quī...? = quōmodo? invītāre = hospitem domum suam vocāre Varrō -ōnis m
conductīcius -a-um = prō quō solvitur mercēs locāre = ūtendum dare mercēde acceptā inquilīnus -ī m = quī domum conductīciam habitat condūcere = ūtendum accipere mercēde solūtā
Questi dialoghetti, come si vede anche dalla loro struttura, erano destinati a principianti; a livello un po’ più avanzato i complementi di luogo coi nomi di città, di regioni, con domus e rüs potevano essere insegnati attraverso un colloquio come questo tra Philippus e Leönardus, che si trova nella Syntaxis dialogica del Clarke in Dux Grammaticus Tyronem scholasticum ad rectam Orthographiam, Syntaxin, & Prosodiam Dirigens, Cui suas etiam Auxiliares Succenturiavit Copias Dux Oratorius. Quintuplici viz. cohorte: Imitatione, Paraphrasi, Synopsi, Metaphrasi, Variatione Phrasium. Ubi variae tum Regulae, tum Formulae traduntur, rem eandem exprimendi varie, cura atque opera Johannis Clarke, S. T. B. Ludimagistro quondam Linconensi, Editio sexta, novissima, Authoris cura emendatior [...] Londinii, Typis R. I. [...] Anno 1664, p. 159; (i corsivi sono miei): 41
P.: “Grätulor tibi reditum, Leönarde. Ubi locörum, cedo, versätus es hoc omne triennium?”
L’INSEGNAMENTO DEL LATINO NEI SECOLI
Erasmo, per esercitare quello che noi chiamiamo ‘complemento di prezzo’, propone ai discenti, in un colloquium, che tratta, tra le altre cose, della ‘sintassi del genitivo’, questi tre dialoghetti42: 1. Quantī istum agrum in singulōs annōs locās? [...] Vīgēnīs lībrīs francicīs. Hui, nimiō locās. Immō locāvī ōlim multō plūris. At egō tantī nōn condūcam. Sī condūxeris minōris, peream. Immō iam vīcīnus tuus Chremēs agrum obtulit, ac rogat. Quantī? Tantīdem, quantum tu petis. At multō meliōrem. Mentīris. Faciō, ut solent, quī licentur. Tū ipse tantī possidē. Quid licēris, vel licitāris, quum nihil sīs ēmptūrus? Quantīcumque addīxeris, solvam optimā fidē. 2. Congrum istum, Syra, quantī vendis? Decem obolīs. Nimiō, turpissima. Immō minimō; nūlla tibi vendet minōris. Ēmoriar, sī nōn tantī mihi cōnstat, aut certē nōn multō minōris. Mentīris, venēfica, quoniam duplō vīs vendere, aut triplō. Et centuplō, sī queam: sed fatuōs nōn inveniō. Quid sī liciter tē ipsam? Quantī aestimās tē? Ut lubet. Quantī mē licēris? Quantī indicās tē? Dīc, quantī tē taxās? Quantī tē ipsum īnscrībis? Decem scūtātīs. Hui, tantī? Eho, an tū minōris mē aestimās? Egō ōlim nōn semel plūris in ūnam noctem sum conducta. Crēdō: at nunc nōn paulō minōris aestimō, quam piscem. Abī in malam rem, gāneō; tantīdem tē aestimō, quantī tū mē. Quī tē terūnciō ēmerit, nimiō ēmerit. Aut plūris emar; aut nōn vendar. Sī magnō vēnīre cupis, lārvä tibi opus est: nam rūgae istae nōn sinunt, ut cārius vendāris. Eī, quī tantī mē nōlit, nōn sum vēnālis. Egō nē culmō quidem tē ēmerō. Cōnstitī plūris.
L.: “Ego, Philippe, Londïnö discëdëns duöbus paene mënsibus, in marï variïs jactätus sum procellïs, nocte saepe vigiläns, lüce aliquandö dormiëns. Hinc multös mïlle üs provectus sum. Ïbam enim prïmum in Hispäniam mïlitätum.” P.: “Mïlitiae igitur ënütrïtus es? Putäbam enim Venetiïs të, mercibus commütandïs, fuisse occupätum.” L.: “Minimë gentium: sed cum mihi nëquäquam placuit domï manëre ociösë, meä plürimum referre putäbam, vel sub Hispänörum rëge morärï, in Cyprö; vel ab Hispäniä per Galliam proficïscï in Italiam, Römae etiam aliquot diës commorärï. Deinde ab Italiä, in Graeciam träjcere, & antïquäs ïre vïsum Athënäs. Hinc, Macedoniä peragrätä, & Cönstantinopolï parumper agere: sed domum reversus sum, häc spe früsträtus, cui nön contigit höc vötö potïrï.” P. “Döroborniä jam venis, opïnor.” L.: “Certë, & Londïnium properö; hïc enim, rürï dum agö, nesciö quö modö, mörum më piget agrestium.”
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Nel Colloquium intitolato Convivium profanum.
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3. Auctiōnī hodiernae interfuī. Ain’ tū? Licitātus sum vectīgālia. Quantī tandem? Decem mīlibus. Hui, tantī? Nē mīrēris; erant, quī multō plūris licitārentur, paucī, quī minōris. Cui tandem addicta sunt vectīgālia? Chremētī, uxōris tuae summō et māximō amīcō. Sed dīvīnā, quantī sunt addicta. Decem. Immō quīndecim. Deus bone, egō mihi hominem ipsum cum tōtā familiā dīmidiō addictum nōlim. At ille uxōrem tuam duplō ēmptam cupit.
Exercitationes degli umanisti
Ai colloquia e alla lettura di facili testi s’affiancavano una serie d’esercizi che noi possiamo abbastanza facilmente ricostruire da varie fonti, per esempio dagli scritti pedagogici del Vives43, da quelli d’Erasmo44, dalle Epistolae classicae dello Sturm45 o dai Progymnasmata del Pontano46, dalla Ratiö Studiörum47 e dalla Ratiö docendï et discendï Si veda soprattutto: Epistola I de ratione studii puerilis, in: Joannis Ludovici Vivis Valentini Opera omnia, distributa et ordinata in argumentorum classes praecipuas a Gregorio Majansio [...] tomus I, Valentiae Edetanorum, in officina Benedicti Monfort, 1782, p. 257-269; Epistola II de ratione studii puerilis, ibid., p. 270-280. 44 Si veda: Erasmi Roterodami, Declamatio de pueris statim ac liberaliter instituendis; De ratione studii, ed. J.-C. Margolin, in Erasmi opera omnia I, 2, North-Holland publishing company, Amsterdàm 1971. 45 J. Sturm, Classicae epistolae, sive scholae Argentinenses restitutae, traduites et publiées avec une introduction et des notes par Jean Rott, Librarie E. Droz - Éditions Fides, Paris - Strasbourg 1938. 46 J. Pontani, de Societate Jesu Progymnasmatum Latinitatis, sive dialogorum Volumen primum, cum annotationibus. De rebus litterariis. Editio octava cum indice [...] Ingolstadii, excudebat Adam Sartorius, anno M.D.IC.; Idem, Progymnasmatum Latinitatis, sive dialogorum Volumen secundum, cum Annotationibus. De morum perfectione. Editio septima, cum indice [...] Ingolstadii, Excudebat Adam Sartorius, Anno M.D.IC. (ora leggibili in www.stoa.org/colloquia). 47 Il V vol. dei Monumenta Paedagogica Societatis Iesu, contiene l’edizione critica della Ratio atque institutio Studiorum Societatis Iesu delle edizioni del 1586, del 1591 e del 1599 a cura di Ladislaus Lukács; un’ottima edizione divulgativa facilmente reperibile (con abbondanti note e bibliografia) è: Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu, Ordinamento degli studi della Compagnia di Gesù, Introduzione e traduzione di A. Bianchi, Rizzoli, Milano 2002. Che i metodi degli umanisti fossero esattamente gli stessi dei gesuiti era stato notato dallo Sturm: Vidi enim quos scriptores explicent et quas habeant exercitationes et quam rationem in docendo teneant, quae a nostris praeceptis institutisque usque adeo proxime abest, ut a nostris fontibus derivata esse videatur (Classicae epistolae, cit. [n. 45], p. 12); la derivazione è stata oggi provata dagli studiosi: cfr. G. Codina Mir S. I., Aux sources de la pédagogie des Jésuites: le “Modus Parisiensis”, Institutum Historicum S. I., Roma 1968. 43
L’INSEGNAMENTO DEL LATINO NEI SECOLI
di Ioseph Iuvencius48. Il confronto fra queste e altre innumerevoli testimonianze ci dà un quadro chiaro e sufficientemente preciso del “metodo degli umanisti”, che ci mostra anche chiaramente come laici e religiosi, cattolici e protestanti fossero nella didattica accomunati da sistemi assai simili, che variavano solo per particolari, o per i contenuti trasmessi attraverso la lingua che s’apprendeva. Gli esercizi più frequenti per la prosa erano: 1. 2. 3. 4.
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domande di comprensione del testo; riassunti scritti e orali ed esposizione del testo; parafrasi del testo letto; composizioni descrittive (per es. d’un giardino, d’una chiesa, d’una tempesta) guidate o semiguidate49; composizione semiguidata di lettere (a volte a partire da un testo dato); composizione di favole o racconti; spiegazione d’apologhi; amplificazioni e chrïae; composizioni libere; drammatizzazioni (di brani e intere opere a volte scritte dagli stessi alunni, a volte dagl’insegnanti); dispute fra gli alunni (contröversiae, colloquia); esercizi di sinonimia di parole singole e di locuzioni (varietäs e cöpia verbörum); uso di locuzioni e adagia in contesti diversi (simili agli esercizi sulle frasi idiomatiche assai in uso nella didattica delle lingue moderne); esercizi di antinomia; esercizi d’imitätiö.
Spesso questi esercizi erano svolti sotto forma di gara (certämina): certämen cöpiae, certämen scrïptiönis, disputätiö, contröversia, con-
J. Juvencii, e Societate Jesu, Ratio discendi et docendi, Parisiis, apud fratres Barbou [...] M.DCC.XXV. 49 Per esempio per mezzo di loci: si veda questo tema assegnato dal Guarino a un suo alunno: Memineris [...] cum vel rus laudabis vel, contra, improbabis urbem, laudis ac vituperationis rationes ex quattuor locis decerpere, ut, videlicet, utilitatem, iucunditatem, honestatem, laudemque inesse demonstres ruri; contra, urbi damna, acerbitates, vitia, vituperiaque. I loci della lode erano riassunti in questi due versi: Quattuor ista solent augere negotia cuncta: Utile, iocundum, laudes, iungetur honestas (cfr. R. Sabbadini, La scuola e gli studi di Guarino Veronese, Catania 1896, p. 65; Idem, Epistolario di Guarino Veronese [R. Deputazione veneta di storia patria. “Miscellanea di storia veneta”], Venezia 1915, vol. I, p. 594). 48
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certätiö, etc., per suscitare tra i discenti una sana e stimolante aemulätiö. Naturalmente, grande era l’esercizio della memoria; invece, contrariamente a quello che molti continuano a credere, l’esercizio della traduzione aveva scarso peso, se non come forma alta d’esercitazione retorica per l’acquisizione, attraverso l’imitazione, di figure, forme e colori del discorso, ördö verbörum: in questo senso, specialmente in Inghilterra (ma anche altrove), era diffusa la cosiddetta double translation: un o, per es., di Cicerone veniva dato a un alunno di grado già avanzato (cioè già in grado di leggere, scrivere e parlar latino con una certa padronanza della lingua) perché lo volgesse in vernacolo; poi dopo qualche tempo (un’ora, qualche ora o anche qualche giorno), gli si faceva ritradurre in latino la sua versione; dal confronto e dallo scarto fra il suo scritto e l’originale egli comprendeva cosa dovesse ancora correggere nello stile50. Anche la traduzione dal greco al latino o dal latino al greco (lì dove il greco s’insegnava), era perlopiù un esercizio alto di stile, non un progymnasma elementare d’apprendimento dei rudimenti linguistici. Su questi tipi d’esercizi sopra enumerati praticavano gli allievi degli umanisti il latino: vocaboli, fraseologia, grammatica, per acquisire un possesso della lingua simile a quello d’un parlante nativo non disgiunta dalla scaltrezza dello studioso, che perlopiù sa rendere ragione dei fenomeni e delle strutture che adopera o che incontra nei testi. Üsus e doctrïna mai disgiunti51, con un apprendimento induttivo e basato su una pratica attiva e continua e su un richiamo alla realtà, al mondo, alla vita umana. Sï parva licet compönere magnïs, è una didattica di questo genere che, mütätïs mütandïs intendiamo promuovere con il metodo induttivo; una didattica che coinvolga il discente in maniera attiva, con tutte le sue facoltà: col suo intelletto, la sua ragione, ma anche coi suoi sensi, Vedi: W. E. Miller, Double Translation in English Humanistic Education, in: “Studies in the Renaissance”, Vol. 10, (1963), pp. 163-174. Della “doppia traduzione” parla anche il Vives; probabilmente il primo a parlare della traduzione come mezzo normale e principe dell’apprendimento della lingua fu Tanaquil Faber (Tannegui Lefebvre 1615-1672), che lo propose nella sua fortunata operetta Méthode pour commencer les humanités Grecques et latines, ch’è del 1670; ma esso tardò ad affermarsi, e non ebbe il posto che oggi occupa se non a partire dal XIX secolo. 51 Due frasi son poste come esergo dell’opera del Clarke sopra citata (n. 41): una di Protagora: Mhéte teécnhn a"neu meleéthv, mhéte meleéthn a"neu teécnhv (apud Stob. III Flor. 29, 80), l’altra del De raptu Proserpinae di Claudiano (3, 32, con lieve variante), Artes peperit solertia, nutriet usus: esse riassumono lo spirito dell’opera, e in genere l’atteggiamento umanistico di fronte alla didattica delle lingue classiche. 50
L’INSEGNAMENTO DEL LATINO NEI SECOLI
la sua azione, la sua percezione d’una realtà presente e viva e del suon di lei. Per formare non dei doctörës umbräticï, ma degli uomini veri, consapevoli della loro storia, gioiosamente desiderosi di integrös accëdere fontës per intrattenersi a stimolante e intelligente colloquio con coloro che li hanno nei secoli preceduti in questa breve stagione terrena52. Si potrebbe obiettare, e s’è già detto molte volte, che gli umanisti insistevano sull’uso attivo perché i loro studenti dovevano imparare a parlare e scriver latino, ch’era ancora la lingua ufficiale della cultura, mentre i nostri alunni, che probabilmente non dovranno mai né scrivere libri, né tenere orazioni in latino, possono ben accontentarsi di saperlo solo leggere. Ma lo studio attento delle fonti, specialmente di quelle che oggi chiameremmo di “teoria didattica”, ci mostra che la convinzione di fondo, pedagogica e didascalica, degli umanisti era che una lingua non potesse essere appresa solo ivamente; e la cosa è dimostrata nella pratica, giacché essi, che quasi mai, se non in rari casi, avevano la necessità di scrivere o parlar greco, utilizzavano nondimeno gli stessi metodi anche per l’apprendimento della lingua di Platone: è per questo che Erasmo e altri umanisti si obbligavano a parlar greco a casa del Manuzio (vedi: A. Firmin-Didot, Alde Manuce et l’hellenisme a Venise, Culture et civilisation, Paris 1875, p. 435-474; J.-Ch. Saladin, La battaille du grec à la Renaissance, Les belles lettres, Paris 2004, p. 96-99); ed è per questo che molti programmi di greco, fino alle scuole gesuitiche e oltre, prevedono esplicitamente esercizi di composizione e di temi in greco; è per questo che il sogno di par esse in utriusque orationis facultate solleticava ancora il Mosellano; è per questo che s’adoperavano i Disticha Catonis nella traduzione di Planude, così come il Guarino utilizzava frasi parallele greco-latine, per insegnare non solo parole staccate, ma anche una fraseologia (R. Sabbadini, Il metodo degli umanisti, cit. [n. 31], pagine 17-27; p. 20); per questo Michele Apostoli vedeva nell’insistenza sulla sola traduzione invece che sulla comprensione diretta e nell’uso eccessivo del latino nelle classi di greco un ostacolo all’apprendimento pieno e profondo della lingua (Cfr. Deno J. Geanakoplos, Bisanzio e il Rinascimento, Roma 1967, pagine 115-120; p. 116); per questo molti dei nomenclatores erano latinogreci, come l’o\nomastikoèn bracué di Francis Gregory [Franciscus Gregorius] (London 1662); per questo umanisti come il Ficino, il Beato Renano, il Reuchlin e il Corderio usarono gli Hermeneumata per esercitarsi nel colloquio quotidiano, e Erasmo, seguìto da molti altri, consigliava di partire dai dialoghi di Luciano; per questo, soprattutto, molti Colloquia ebbero edizioni latinogreche, come le formule erasmiane tradotte dal Posselio o l’Ei\sagwghé sive Introductorium Anglo-Latino-Graecum di Giacomo Shirley (Jacobus Shirleius), pubblicato a Londra nel 1656; o ancora la comeniana Ianua linguarum trilinguis anglo-latino-greca, edita a Londra nel 1652 e i Progymnasmata del Pontano tradotti in greco perché i giovani della Compagnia di Gesù potessero esercitarsi nei colloquia anche in attico (in: Jacobi Gretseri S.J. theologi Opera omnia [...] tomus XVI [...], Ratisbonae, sumptibus Joannis Conradi Peez et Felicis Bader, MDCCXXXIV, pars prior, p. 29-34). 52
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STRUTTURA DEL CORSO LINGVA LATINA PER SE ILLVSTRATA Il corso LINGUA LATINA PER SE ILLUSTRATA (di seguito abbreviato in LINGUA LATINA) consiste innanzitutto di un testo diviso in due volumi fondamentali, FAMILIA ROMANA (per il livello base) e ROMA AETERNA (per il livello avanzato), ciascuno dei quali è accompagnato da spiegazioni grammaticali (Enchïridion discipulörum) in italiano. Per Familia Römäna l’Enchïridion è contenuto nel volume complementare di sussidi LATINE DISCO; per Röma Aeterna è pubblicato separatamente.
Struttura del corso
1. FAMILIA ROMANA: È il testo base, in cui è contenuta, in trentaquattro capitoli, la storia d’una familia romana del II secolo d. C. Si comincia con l’illustrazione dell’Impero romano, per are poi alla conoscenza dei personaggi che accompagneranno i discenti durante tutta la prima parte del loro percorso d’apprendimento della lingua latina. Al principio le frasi sono estremamente semplici e la struttura è sempre paratattica; a mano a mano che si procede, l’ipotassi aumenta, s’introducono nuove forme, nuove strutture e nuovi vocaboli, ripetendo contemporaneamente ciò ch’è stato studiato nei capitoli precedenti finché non venga acquisito e interiorizzato. Dopo l’introduzione del congiuntivo e della sua sintassi, il discorso si fa gradualmente più complesso, e si giunge alla fine a leggere anche brani di poesia latina di Catullo, Ovidio e Marziale. A ogni capitolo s’accompagna una breve rubrica di Grammatica Latïna, intesa a sottolineare i principali punti di grammatica su cui deve concentrarsi particolarmente lo studente, e a dare gli elementi essenziali della terminologia grammaticale latina; tre pënsa concludono ciascun capitolo, coi quali l’alunno e l’insegnante possono verificare l’acquisizione dei contenuti morfo-sintattici e lessicali. Il trentacinquesimo capitolo contiene un estratto dall’Ars
Il corso base: FAMILIA ROMANA + LATINE DISCO
Corso base:
LUIGI MIRAGLIA
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grammatica minor di Donato. Il volume è corredato d’un Index vocabulörum grazie al quale è sempre possibile rintracciare la prima occorrenza d’ogni vocabolo in ciascuna delle sue accezioni. Con questo repertorio gli alunni possono ritrovare immediatamente il o che spiega una parola di cui momentaneamente sia loro sfuggito il significato, e l’insegnante può in qualunque momento risalire alla prima occorrenza di un termine o di una norma grammaticale che intende spiegare più approfonditamente. Le parti di cui è composto LATINE DISCO:
Colloquia persönärum
Enchïridion discipulörum
Exercitia Latïna
2. LATINE DISCO (Le varie sezioni contenute nel volume sono anche pubblicate separatamente l’una dall’altra):
2.1: Colloquia Persönärum: I primi XXIV capitoli di Familia Römäna sono accompagnati da altrettanti Colloquia che ripetono vocaboli, forme e strutture studiate di volta in volta nel testo base. I Colloquia danno la possibilità di rivedere i contenuti di Familia Römäna utilizzando testi in forma dialogica, e sfruttando le opportunità che vengono offerte dalla drammatizzazione. Possono essere utilizzati anche per molti altri tipi d’esercizi di cui si parlerà più avanti in questa Guida (vedi p. 125).
2.2: Enchïridion discipulörum: È la vera “grammatica” su cui giorno dopo giorno devono studiare gli alunni, e segue punto per punto ciò ch’è presente nei singoli capitoli di Familia Römäna. L’insegnante potrà utilizzarla anche per identificare con sicurezza i contenuti su cui strutturare le proprie lezioni. Si dovrà curare che gli alunni acquisiscano un possesso pieno e sicuro, non solo ivo, ma anche attivo, di tutti gli elementi grammaticali contenuti nell’Enchïridion. Consigliamo che i ragazzi leggano queste spiegazioni non prima di avere studiato minuziosamente i capitoli a cui esse si riferiscono, ma solo dopo; e ciò per la semplice ragione che essi dovrebbero esser capaci di superare da sé punti che riescono loro difficili. L’Enchïridion, insieme agli Exercitia Latïna (per i quali si veda il paragrafo seguente), è complemento INDISPENSABILE per l’apprendimento dei contenuti di Familia Römäna. 2.3: Exercitia Latïna: Sono oltre quattrocento esercizi di completamento morfologico-sintattico o lessicale, trasformazione, risposta a domande di comprensione. Ogni capitolo di Familia Römäna è diviso in due o tre lëctiönës (a cui s’aggiunge la lëctiö grammatica), ognuna delle quali può essere sviluppata in un’ora di lezione a
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STRUTTURA DEL CORSO
scuola. L’inizio d’ogni lëctiö è indicato a margine del testo con un numero romano; a ciascuna lëctiö corrispondono tre o più exercitia, che devono perlopiù essere assegnati come cómpiti per casa, e velocemente corretti in classe, come si dirà più avanti.
2.4: Grammatica di consultazione (Phönëtica Latïna, Morphologia Latïna, Syntaxis Latïna): Si tratta d’un’esposizione più sistematica dei contenuti grammaticali del corso: la Morphologia consiste essenzialmente di schemi morfologici commentati con essenziali spiegazioni in latino; la Phönëtica e la Syntaxis sono scritte in italiano; la Syntaxis si serve perlopiù d’esempi tratti da Familia Römäna e Röma Aeterna. È inteso come strumento di consultazione e approfondimento, non come un trattato da studiare sistematicamente; un Indice analitico consente di ritrovare con facilità gli argomenti che interessino. Un Lexicon Latïnö-Italicum è annesso alla Syntaxis: in esso son contenute tutte le parole di Familia Römäna e dei Colloquia; è uno strumento a cui gli alunni devono ricorrere solo come extrëma ratiö, non come sussidio quotidiano e continuo.
Grammatica di consultazione
3. SUSSIDI ULTERIORI:
3.1: QUADERNO DI ESERCIZI (vol. I: cap. I-XIX; vol. II: cap. XXXXXIV): I due Quaderni contengono esercizi supplementari a quelli presenti in Familia Römäna e Exercitia Latïna. Le tipologie sono più varie, e vanno dal completamento alla trasformazione, a domande di comprensione, alla “caccia all’intruso”, agli “incroci di parole”, a esercizi di sinonimia e vocabolario, fino a verifiche di competenze grammaticali e di riconoscimento di forme e strutture. Possono essere utilizzati per il consolidamento di quanto appreso, per verifiche periodiche, per recupero.
Esercizi supplementari
Oltre a questi strumenti di lavoro quotidiano, il corso offre la possibilità di ampliare la gamma di letture e d’esercizi attraverso una serie di volumetti destinati a chi abbia completato o stia per completare Familia Römäna: sono finora stati pubblicati:
Letture consigliate
3.2: CORSO INTERATTIVO: I dischi, utilizzabili con elaboratori elettronici, contengono il testo integrale di Familia Römäna con lettura dei primi XXX capitoli da parte dell’autore che utilizza la pronunzia restitüta; e un’edizione interattiva con autocorrezione di tutti i Pënsa contenuti nel volume alla fine di ciascun capitolo.
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Il corso avanzato: ROMA AETERNA + ENCHIRIDION DISCIPVLORVM II + EXERCITIA LATINA II
LUIGI MIRAGLIA
AMPHITRYO: Si tratta della commedia di Plauto nel suo testo originale, senza alterazioni, con la sola omissione di alcuni versi. Può esser letto dagli alunni che abbiano completato Familia Römäna. COMMENTARII DE BELLO GALLICO: I brani sono tratti dal I, IV e V libro dei Commentäriï cesariani, con testo inalterato e note, adatti a chi abbia terminato lo studio di Familia Römäna. FABVLAE SYRAE: Cinquanta miti e leggende greco-romane, scritte per gli alunni che stiano per completare Familia Römäna (a partire dal XXV capitolo), con esercizi di vocabolario, morfologia e sintassi: il libro può essere utilizzato come lettura ulteriore e per esercitazioni varie, come illustrato più avanti. EPITOME HISTORIAE SACRAE: È l’opera classica dell’abate Charles François Lhomond (1727-1794), sulla quale hanno appreso il latino molte generazioni di studenti. Può essere adoperata per letture ulteriori, per l’ampliamento del lessico, e per il consolidamento di morfologia e sintassi degli alunni che abbiano terminato Familia Römäna. SERMONES ROMANI: È un’antologia di brevi i scelti dagli Hermëneumata pseudo-Dositheäna, Plauto, l’Aesöpus Latïnus, Fedro, Catone, Tacito, il Vangelo di Luca, la Rhëtorica ad Herennium, Orazio, Aulo Gellio, Cicerone, Marziale, Plinio il Giovane, la iö Scillitänörum. I brani sono annotati in modo da poter esser letti senza particolari difficoltà dagli alunni che abbiano completato Familia Römäna.
Corso avanzato:
ROMA AETERNA: È il testo fondamentale del livello avanzato, che contiene un’illustrazione dell’historia rërum gestärum dei romani dalle mitologiche origini fino agli ultimi palpiti della lïbera rës püblica. Il testo principia con una descrizione della città di Roma e dei suoi monumenti; segue la narrazione dei cäsüs d’Enea a Cartagine con la tragedia di Didone, fino al suo sbarco sulle coste del Lazio; il racconto virgiliano è messo in prosa, ma all’interno del testo son riportati cento versi originali dell’Eneide. Il resto della storia di Roma è narrato con le parole stesse degli autori: gli episodi tratti da Livio son messi a confronto con l’interpretazione degli stessi avvenimenti tramandata da Ovidio nei Fästï. Seguono lunghi estratti da Eutropio, A. Gellio, Cornelio Nepote (Vïta Hannibalis), Sallustio (Bellum Iugurthïnum), Cicerone (Dë imperiö Gn. Pompëiï, Dë rë püblicä). L’ultimo capitolo contiene l’intero Somnium Scïpiönis; tutto il libro si conclude con l’Integer vïtae d’Orazio. Il latino
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STRUTTURA DEL CORSO
dei classici è sempre meno adattato: la poesia è originale sin dai primi capitoli; la prosa, di pagina in pagina sempre più vicina al testo degli autori, non subisce più nessun adattamento a partire dal rigo 222 del cap. XLV. Ogni capitolo è corredato d’una sezione di Grammatica Latïna e di Pënsa. Al volume, che esiste anche in forma di disco interattivo, è annesso un fascicolo di INDICES, che comprende una lista cronologica dei consoli e dittatori romani, Fästï cönsulärës et triumphälës, un indice analitico dei nomi e un elenco di tutti i vocaboli che ricorrono nelle due parti del corso, con l’indicazione della prima occorrenza d’ogni accezione, e infine una lista dei temi nominali o verbali diversi (come tul- e lätrispetto a fer-) o semplicemente mutati.
ENCHIRIDION DISCIPVLORVM II: Come alla prima parte del corso, anche a Röma Aeterna è annesso un Enchïridion, che accompagna il discente capitolo per capitolo, e raffina le sue competenze grammaticali, ampliando e rafforzando quanto già appreso con lo studio di Familia Römäna. L’Enchïridion contiene anche inquadramenti storici e introduzioni ai singoli autori e al loro stile. È un libretto agile, ma di grande utilità, e indispensabile per lo studio della seconda parte di LINGVA LATINA.
EXERCITIA LATINA II: Il volume contiene altre centinaia d’esercizi sulle varie parti della grammatica che di volta in volta s’incontrano nei capitoli di Röma Aeterna. Gli esercizi sono sempre di completamento morfo-sintattico e lessicale, di trasformazione o di risposta a domande di comprensione del testo. È naturale che le tipologie ulteriori d’esercizi e verifiche proposte più sotto (vedi p. 125) possono, anzi debbono essere adoperate anche per vivacizzare e movimentare lo studio dei lunghi capitoli di Röma Aeterna e permettere la fissazione duratura dei vocaboli. A mano a mano che la competenza degli alunni aumenta, le possibilità di progymnasmata attivi divengono assai più ampie.
A questi testi fondamentali s’accompagnano vari volumetti contenenti opere d’autori classici, che possono essere lette dai discenti, nell’originale con note in latino, a vari stadi d’apprendimento, a partire dal XL capitolo di Röma Aeterna.
ENCHIRIDION
DISCIPVLORVM II
EXERCITIA
LATINA II
IL CORSO IN BREVE Il metodo
Il corso LINGVA LATINA PER SE ILLUSTRATA è informato a un metodo induttivo, che parte da testi e contesti perché da essi il discente risalga a forme e costrutti e apprenda vocaboli e fraseologia. La morfosintassi, prima induttivamente assimilata mediante il riconoscimento di strutture ricorrenti e la riflessione su di esse, vien poi sistematicamente organizzata. Üsus e doctrïna procedono così di pari o per un più efficace apprendimento della lingua. Il sistema prevede un forte coinvolgimento attivo dello studente tramite letture, esercizi di comprensione e produzione orale e scritta. La narrazione continua, oltre a fornire sostegni mnemonici a parole e costrutti da imparare, illustra con chiarezza la vita romana antica. Nella seconda parte del corso l’alunno è introdotto alla lettura diretta degli autori latini nei loro testi originali.
Il testo
Il testo base della prima parte (FAMILIA ROMANA) consiste in un vero ‘romanzo’ in latino. I ragazzi seguono le vicende d’una familia romana del II secolo d.C.: genitori e figli, padroni e schiavi, il rapporto con la cultura greca, la scuola, l’esercito, la medicina, il commercio, l’agricoltura, i lüdï, etc. La lingua, inizialmente assai semplice e di struttura paratattica, a mano a mano che si va avanti cede il o a un latino sempre più complesso. Il testo sin dalla prima pagina è per së illüsträtus, grazie al contesto, alle note a margine, alle figure. Già nel primo volume si leggono estratti dai Vangeli, da Catullo, Ovidio, Marziale, Donato. Gradualmente si a alla seconda parte, con l’accesso ai testi originali di Livio, Sallustio, Cicerone e altri prosatori
Il fine
Lo scopo del corso è di portare nel minor tempo possibile e con la massima efficacia gli studenti a leggere i classici latini antichi, medievali, rinascimentali e moderni con semplicità, naturalezza e piena comprensione. L’uso attivo della lingua, che il metodo prevede, è dunque un efficacissimo mezzo, ma non il fine che ci si propone. Lo studente non dovrà decifrare compitando singole parole, né dovrà risolvere enigmi aggrappandosi a vocabolari e grammatiche, ma dovrà essere in grado di leggere, ascoltare e capire il messaggio che i suoi maiörës gli hanno lanciato.
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Le note a margine
La lingua d’ogni capitolo è comprensibile ai discenti grazie a note assai calibrate, che spiegano il latino con il latino ― cioè con sinonimi, contrari, circonlocuzioni, derivazioni ― sempre usando vocaboli e costrutti già precedentemente incontrati. Quattro simboli (equivalenza [=], antonimia [↔], derivazione [<] e equivalenza in un determinato contesto [:]) aiutano a identificare immediatamente il significato della strutture e delle parole nuove.
Il vocabolario
L’approccio induttivo del corso riserva grandissima importanza all’apprendimento del vocabolario latino. Le parole introdotte nella prima parte (oltre 1500 vocaboli) e gran parte di quelle della seconda parte (circa 2500) sono scelte con un criterio di frequenzialità. Esse sono studiatamente ripetute con insistenza in contesti diversi e a intervalli regolari, e riprese nei numerosi esercizi e nelle verifiche, così da fissarsi nella memoria senza sforzo eccessivo. Gli studenti imparano non solo a riconoscerle e comprenderle, ma pure a usarle con naturalezza e proprietà. In questo modo il patrimonio lessicale e fraseologico degli alunni s’arricchisce e s’amplia di giorno in giorno con una piena immersione nella lingua.
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Le immagini
Centinaia di figure illustrano il significato di vocaboli introdotti nel testo, permettendone una migliore e più duratura fissazione nella memoria, ed evitando che le parole latine debbano esser comprese solo attraverso il aggio per le parole della lingua dell’allievo. Verba e rës vengono connesse con un legame più forte e più immediato.
Il contesto
La storia narrata nel volume FAMILIA ROMANA fa sì che i ragazzi apprendano con naturalezza e senza eccessiva difficoltà vocaboli, locuzioni, forme e strutture, all’interno d’un quadro di riferimento continuo e verosimile. Gli studenti vedono così non regole astratte e frasi estrapolate da qualunque cornice, ma scene di vita e comprendono la reale funzione espressiva d’ogni parte della morfosintassi e del lessico che studiano di volta in volta. La lingua è così percepita come un organismo vivente e non solo come un insieme di regole astratte. Il contesto consente anche di ricordare in maniera più efficace e duratura il vocabolario e le caratteristiche morfosintattiche che s’incontrano pagina per pagina. Usi e costumi dei romani aiutano a capir meglio l’ambiente e la civiltà all’interno della quale s’è sviluppata la letteratura che gli alunni presto affronteranno.
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La grammatica
Pratica e teoria della lingua non sono mai disgiunti in LINGVA LATINA: dopo aver trovato esempi delle ‘regole’ e averne compreso il funzionamento in contesti e situazioni diverse, l’alunno sistema e fissa le conoscenze così acquisite grazie a un’accurata descrizione grammaticale che, capitolo per capitolo, senza nulla trascurare e facendo anche, quando necessario, riferimento all’evoluzione storica del latino, aggiunge tassello a tassello fino a costruire l’intero mosaico della morfosintassi. I fenomeni grammaticali sono illustrati con linguaggio semplice e piano, che intende essere quasi un’ eco delle spiegazioni dell’insegnante. Schemi a margine compendiano forme e strutture da imparare. Una volta così fissate le nozioni apprese nel vivo della lingua, esse vengono ulteriormente consolidate grazie a varie attività pratiche. Esercizio attivo e consapevolezza razionale costituiscono i pilastri su cui s’edifica una solida preparazione alla lettura degli autori.
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L’Enchïridion
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Ai singoli capitoli del corso oltre alla breve lëctiö grammatica con cui terminano, sono annessi altrettanti capitoli d’un Enchïridion, ossia d’un ‘manuale’ di grammatica, che spiega punto per punto, con linguaggio semplice e piano, tutte le parti di morfologia e sintassi che sono state incontrate nella lettura del testo. A margine vengon presentati schemi di declinazioni e coniugazioni. Le forme vengono proposte nel loro uso, cioè con la morfologia viene introdotta gradualmente anche la sintassi, senz’artificiali barriere. Quando contribuisce a chiarire meglio e a creare maggiore consapevolezza della lingua, l’Enchïridion fa anche riferimento a semplici nozioni di grammatica storica. Le nozioni acquisite tramite lo studio di questa parte del corso, potranno essere anche approfondite ricorrendo alla Grammatica di consultazione, dove forme e strutture sono disposte in maniera più sistematica e con dovizia d’esempi.
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La pratica linguistica
Centinaia d’esercizi contenuti sia nel testo base sia in volumi supplementari, oltre alla pratica attiva che l’insegnante fa svolgere in classe, consentono un approccio assai dinamico e coinvolgente al latino, che diviene ben presto una lingua familiare e piacevole. Gli esercizi non sono semplici traduzioni, ma prevedono completamento morfosintattico e lessicale, risposta a domande, scelta multipla, drammatizzazioni (per le quali possono essere adoperati i Colloquia persönärum), sommari, caccia all’errore, descrizione d’immagini, composizioni guidate e libere, amplificazioni, ricerca di sinonimi e contrari, trasformazione, etc. Spesso essi son proposti sotto forma di gioco o amichevole competizione. Questo tipo d’attività va svolto sia come cómpito a casa, sia in classe, sotto la direzione dell’insegnante, che potrà vedere esempi di questa maniera di condurre la lezione nel documentario La via degli umanisti e trovare risorse anche in rete.
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IL CORSO NEI DETTAGLI Un vero romanzo in latino
L’insieme dei due volumi principali forma un’opera di oltre 700 pagine divise in 56 capitoli. Abbiamo detto un’opera, ma potremmo dir senz’altro un romanzo. Un vero romanzo scritto completamente ed esclusivamente in latino e che tuttavia può esser letto e capito dalla prima all’ultima pagina anche da chi all’inizio della lettura non sa nemmeno una parola di latino. È un’esperienza che si può fare facilmente. Si vedrà sùbito, infatti, che non si tratta di leggere aride frasi costruite al solo scopo di esemplificare delle regole grammaticali. Fin dal primo capitolo, ci s’immerge nella lettura di un testo che ha un intreccio, dei personaggi, uno svolgimento vivo. Questa caratteristica è fondamentale per il coinvolgimento degli alunni: il materiale che costituisce il corso è stato studiato in maniera tale da suscitare e catturare l’interesse dei ragazzi a mano a mano che si va avanti nella lettura. Non solo, infatti, se l’alunno sarà interessato alla materia e all’argomento procederà con sempre rinnovato impegno nello studio della lingua e raggiungerà molto più velocemente e meglio la meta della padronanza linguistica; ma non avrà l’odiosa impressione di star leggendo un testo costruito solo allo scopo di fargli apprendere regole di grammatica e di farlo esercitare; inoltre sarà attento agli aspetti della civiltà, al carattere e al comportamento dei personaggi che animano la storia, al retroterra culturale del mondo romano, e riuscirà con maggiore efficacia a penetrare nell’indolës sermönis che di quel mondo è l’espressione.
Il primo capitolo dà alcuni cenni geografici sull’impero romano. Questa prima parte è introduttoria, e non entra ancora in mediäs rës. In séguito, però, gli alunni faranno conoscenza con una famiglia romana, le cui vicende quotidiane si svilupperanno nei capitoli successivi. È un quadro in cui non mancano motivi d’interesse e spunti addirittura drammatici. I ragazzi vedranno svolgersi davanti ai loro occhi la vita quotidiana degli antichi romani, potranno rivivere pagine
Una lettura avvincente
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Dai testi strutturati ad hoc ai testi originali
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di storia e di leggenda, del mito pagano e del nascente cristianesimo. Accompagneranno in una pericolosa navigazione lo schiavo fuggitivo e la persona che gli è cara, seguiranno le legioni romane nella campagna di Germania, prenderanno parte alle cerimonie e ai banchetti d’un mondo tanto lontano dalle nostre abitudini: insomma vivranno giorno per giorno la vita dell’antica Roma. E attraverso quest’esperienza del mondo classico arriveranno, da sé e con l’aiuto dell’insegnante, a leggere e a capire la letteratura latina: la vera letteratura latina: Livio, Nepote, Sallustio, Cicerone, Virgilio, Ovidio in originale. Se il testo viene usato correttamente, quest’aspettativa di leggere correntemente anche testi latini classici tradizionalmente considerati ‘difficili’ non sarà delusa.
Perché un testo “artificiale”?
Molti esprimono la loro perplessità riguardo all’uso d’un testo “artificiale”, costruito cioè ad hoc da un autore moderno per l’insegnamento del latino. È una questione ricorrente nell’insegnamento delle lingue classiche, già nota agli umanisti e ai loro epigoni53. 53 Per esempio il Comenio polemizzava con coloro che volevano immediatamente partire dagli autori classici: cfr. quanto egli dice nella prefazione della Ianua linguarum reserata: 6. ...mederi animadversis incommodis putantur Authores boni, magnorum consilio virorum in Scholas introducti; Terentius, Plautus, Cicero, Virgilius, Horatius, etc.: tum quia cum linguae cognitione, variarum simul rerum notitia inde acquiri, tum quia castissima Romani sermonis puritas ex antiquis illis scriptoribus, tanquam ex vero fonte, securissime hauriri possit. 7. At vero institutum hoc ut plausibile, ita maxime incommodum est. 8. [...] ad horum Authorum (plerumque sublimiora quam pro pueritiae captu, et a nostro usu aliena, tractantium) tam vasta volumina juventutem adigere, est cymbam exiguo ludere cupientem lacu, in oceanum vastum, vel aeternis jactandam erroribus, vel absorbendam fluctibus, vel certe sine ullo fructu reddendam littori, propellere. [...] 11. Omnium itaque votis optandum erat, epitomen aliquam linguae totius ita construi, ut [...] brevi temporis spatio, laboreque exiguo [...] facilem, iucundum, tutum, ad reales authores transitum praestaret. Vere enim Dominus Isaacus Habrecht scripsit [...]: Quemodum, inquit, multo facilius esset visu dignoscere omnia animalia visitando arcam Noë, continentem ex omni genere bina selecta, quam peragrando totum terrarum orbem, donec casu in aliquod animal quis incidisset: eâdem prorsus ratione, multo facilius omnia vocabula addiscentur ex epitome linguae, in qua fundamenta omnium continentur, quam audiendo, legendo, donec casu in tot vocabula quis incidat. (J. A. Komenský, Opera omnia, in aedibus Academiae scientiarum Bohemoslovacae, Pragae 1970-1989, vol. 15/1, p. 263-264). Gli umanisti, oltre ai Colloquia o ai Latinucci, come quelli del Poliziano (vedi n. 26), erano soliti comporre intere
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Chiunque sa che non esiste testo originale adatto a un principiante. Ci si può limitare a singole frasi: si può, per esempio, proporre a un alunno che abbia appena studiato prima e seconda declinazone e il presente del verbo esse, questo verso d’Ovidio: est aqua Mercuriï portae vïcïna Capënae (Ov., Fästï 5, 673). Verso che, quanto a suscitar motivazione, entusiasmo o interesse nel discente, vale più o meno quanto Ancillae portant rosäs et violäs ad äräs Diänae et Minervae o Discipula amat magistram. È la narrazione continua che presenta innumerevoli vantaggi, diventando in qualche misura avvincente, pur nella sua semplicità estrema, offrendo sostegni mnemonici all’apprendimento con la cornice contestuale, facendo riferimento a un mondo concreto con cui ci si familiarizza; d’altro canto un testo costruito ad hoc permette di ripetere studiatamente e con insistenza vocaboli, forme, strutture, scegliendole con un criterio frequenziale; permette d’isolare un fenomeno sul quale vogliamo soffermarci, di far su di esso esercizio coinvolgendo gli alunni attivamente; fa sì che gli studenti vogliano proseguire lo studio anche solo per sapere “come va a finire”. Ma proviamo a prendere, come alcuni vorrebbero, un testo continuo, anche considerato “facile”, come quello dei Vangeli, e vediamo quanto sia proponibile a principianti: operette introduttive ai singoli autori; per es.: A. Rossaeus, Colloquia Plautina viginti, ex totidem M. Plauti Comoediis excerpta, & annotatiunculijs marginalibus illustrata: In quibus omnes Plautinae elegantiae in compendium contractae sunt, & usibus nostris accommodatae. Opusculum scholis, & linguae Latinae studiosis, ad intellegendum Plautum, Lucretium, Persium, Apuleium, aliosque obscuriores Authores utile & iucundum. Opera Alexandri Rossaei, Londini, excudebat J. Junius [...] 1646; esplicito scopo di introdurre ad Orazio o a Plauto manifestano, per citare un altro esempio, i dialoghi di Adriano Barlando: Dialogi XLII. per Hadrianum Barlandum, ad profligandam e scholis barbariem utilissimi: Ad priorem editionem accesserunt tredecim dialogi. Eiusdem dialogi duo, post tredecim illos iam recens excusi. Item Augustini Reymarij Mechliniensis dialogus unus de ludo chartarum. Barlandi opusculum de insignibus oppidis inferioris Germaniae. Coloniae, apud Eucharium, anno MDXXX. D’altra parte già il Mosellano aveva scritto: Iam si quis est, qui vehementer putet indignum has, sicut prima fronte videntur, nugas in chartarum perniciem scribi, is mihi virum paulisper exuat et in puerum redeat cogitetque iam primum sibi Latini sermonis usum discendum. Statim, opinor, videbit, quam facile et nullo paene negotio per eiusmodi fabulas velut quosdam gradus ad Terentii proprietatem ac Ciceronianam facilitatem prima illa aetas traduci potuisset (P. Mosellanus, Paedologia, a cura di H. Michel, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1906 [Lateinische Litteraturdenkmäler des XV. und XVI. Jahrhunderts Herausgegeben von Max Hermann, 18.], p. 2-3).
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Cum ergö nätus esset Iësüs in Bethleem Iüdaeae in diëbus Hërödis rëgis ecce magï ab oriente vënërunt Hierosolymam, dïcentës: “Ubi est quï nätus est, rëx Iüdaeörum? Vïdimus enim stëllam eius in oriente et vënimus adöräre eum.”54
Che farà l’insegnante? Dovrà spiegare cos’è il cum col congiuntivo? E dovrà introdurre il congiuntivo prima dell’indicativo? E un verbo deponente (näscï) prima dei verbi attivi? E a che declinazione dirà che appartiene Iësüs? Dirà che la maniera d’indicare lo stato in luogo coi nomi di città è quella qui usata? Spiegherà prima, seconda, terza, quinta declinazione insieme? Dovrà spiegare i participi (dïcentës; anche oriëns è propriamente un participio attivo, di forma e di significato: ma d’un verbo deponente; riguardo però ai verbi deponenti forse l’insegnante avrà appena detto che hanno forma iva e significato attivo...); dovrà spiegare i paradigmi e il tema del perfetto per dar ragione di quel vënërunt, di quel vïdimus e di quel vënimus; dirà che le finali s’esprimono in latino con l’infinito? E si tratta di soli due versetti.
Prendiamo ora un testo di FAMILIA ROMANA, per esempio tratto dal capitolo XXVIII, dove s’introduce l’imperfetto congiuntivo e la cönsecutiö temporum (ll. 30 e seguenti): Lÿdia: “Quï medicus verbïs sölïs potest facere ut hominës caecï videant, surdï audiant, mütï loquantur, claudï ambulent?” Mëdus: “Potestne dominus tuus haec facere?” Lÿdia: “Profectö potest. In Iüdaeä Iësüs nön sölum faciëbat ut caecï vidërent, surdï audïrent, mütï loquerentur, vërum etiam verbïs efficiëbat ut mortuï surgerent et ambulärent.” [...] (Lidia tira fuori un libretto: è il Vangelo secondo Matteo, e lo porge a Medo)
Mëdus, quï legere nön didicit, Lÿdiae librum reddit eamque rogat ut aliquid sibi legat; quae continuö librum ëvolvit et “Legam tibi” inquit “dë virö claudö cui Iësüs imperävit ut surgeret et tolleret lectum suum et domum ambuläret.” Mëdus: “Modo dïxistï ‘Chrïstum etiam mortuïs imperävisse ut surgerent et ambulärent.’ Plüra dë eä rë audïre cupiö.” Lÿdia: “Audï igitur quod scrïptum est dë Iaïrö, prïncipe quödam Iüdaeörum, quï Iësum rogävit ut fïliam suam mortuam suscitäret: ....” 54
Matth. 2, 1- 2, 2.
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I ragazzi che leggono questo brano non hanno difficoltà di vocabolario, perché le parole o già son conosciute, o sono spiegate a margine con vocaboli già noti; conoscono tutte le forme e tutte le strutture tranne quella che intendiamo introdurre, cioè l’imperfetto congiuntivo e il rapporto di cönsecutiö tra la reggente e la subordinata; possono osservare il parallelismo tra una costruzione già nota, cioè quella delle completive o sostantive con ut e il presente congiuntivo (potest facere ut... videant) e la nuova costruzione, cioè la stessa completiva, ma in dipendenza da un tempo storico (faciëbat ut... vidërent); può vederne il funzionamento in molti altri esempi legati tra loro da un contesto unitario (efficiëbat ut... surgerent et ambulärent; imperävit ut surgeret et tolleret lectum suum et domum ambuläret; dïxistï Chrïstum etiam mortuïs imperävisse ut surgerent et ambulärent; Iësum rogävit ut fïliam suam mortuam suscitäret); potrà esercitare e praticare quanto appreso su esercizi che ancora ripetano lessico e grammatica finche s’infiggano in maniera duratura nella memoria. Tutto ciò seguendo anche una narrazione gradevole e in una certa misura interessante. In più, egli riprende parti della sintassi già studiate nei capitoli precedenti, ed evita così ch’esse cadano nel dimenticatoio.
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Insomma, i testi originali sono la meta, non il punto di partenza. E un sistema d’apprendimento è tanto più consigliabile ed efficace, quanto più velocemente, piacevolmente e in maniera coinvolgente conduce a quella meta.
Cosa significa che la lingua è per së illüsträta?
È realmente possibile che un testo sia comprensibile per sé stesso, spiegabile da sé? Riportiamo qui le parole del prof. Ian Thomson, dell’Indiana University, che ha usato per molti anni il corso di Ørberg nel suo insegnamento:
Può veramente essere eliminata la traduzione? La migliore risposta è esaminare il testo. Come esempio, ho scelto il cap. XXX, 1-10: Ex agrïs reversus Iülius continuö balneum petit, atque prïmum aquä calidä, tum frïgidä lavätur. Dum ille post balneum vestem novam induit, Cornëlius et Orontës, amïcï et hospitës eius, cum uxöribus Fabiä et Paulä adveniunt. (Hospitës sunt amïcï, quörum alter alterum semper bene recipit domum suam, etiam sï inexspectätus venit.) Hodië autem hospitës Iüliï exspectätï veniunt, nam Iülius eös vocävit ad cënam. (Cëna est cibus, quem Römänï circiter hörä nönä vel decimä sümunt.)
Intendere il latino col latino
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Ho posto in corsivo tutte le nuove parole introdotte in questo o. Il capitolo, intitolato Convïvium (anche questa è una parola nuova), è introdotto da un disegno di due schiavi che decorano una sala da pranzo. Non è disegnato nessun oggetto che gli studenti non possano già identificare con una parola latina, o che non saranno in grado di designare in latino dopo aver letto il capitolo. L’aiuto visivo è fortemente funzionale, così come le note marginali che appaiono affianco alle parole nuove. Sin dall’inizio del corso bisogna che gli studenti imparino a riferirsi agli aiuti visivi e alle note marginali.
Immaginiamo che queste dieci righe siano parte di un cómpito che lo studente debba svolgere a casa. Egli per prima cosa guarderà la figura, in parte per curiosità, in parte perché gli è stato insegnato d’usare tutti gli aiuti che gli vengono forniti, e in parte perché egli sa per esperienza che essa lo aiuterà certamente in qualche modo. All’inizio egli non sarà in grado di verbalizzare il concetto più oltre che con una semplice frase come Ecce duo servï, ma questo non gli creerà problemi. L’immagine mentale è stabilita, e il desiderio, subcosciente e cosciente, di darle corpo con parole, è ormai creato. Egli poi comincia a leggere rapidamente, ad alta voce, nell’ordine latino, e a pezzi di una certa lunghezza (io raccomando un paragrafo alla volta, ma ogni studente ha le sue proprie preferenze e gli dev’essere permesso di far come vuole). Dopo poche righe di lettura è ovvio quali parole e frasi non conducono a nessuna immagine mentale di ciò che sta accadendo. Questo è il punto in cui lo studente studia le note marginali. La forma reversus potrebbe procurare difficoltà, benché revertï sia stato introdotto già nel cap. XX. 123, e lo studente abbia visto forme analoghe a reversus molte volte in precedenza. La glossa marginale è revertï, revertisse/reversum esse, che è la maniera abbreviata usata dal metodo natura — maniera con cui certamente l’insegnante ha fatto familiarizzare i suoi allievi — che comunica l’informazione che revertï è l’infinito presente, e revertisse o reversum esse è l’infinito perfetto. Il significato di reversus da solo dovrebbe ora apparire chiaro. In caso contrario, lo studente sottolineerà la parola con una matita, e andrà avanti. La parola balneum è così definita nella nota a margine: locus ubi corpus lavätur. La parola hospitës è definita nel testo stesso. A margine compare hospes, -itis, m., che dice allo studente che hospes è maschile. L’alunno conosce già parole come comes e non troverà difficoltà a riconoscere la maniera in cui hospes va declinato. Affianco a recipit compare recipere = ac-cipere, ittere, che rendono chiaro il significato di recipit, dal momento che accipere e ittere sono già noti. Poiché exspectätus è stato incontrato in precedenza,
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inexspectätus non dovrebbe presentare problemi, ma la glossa inexspectätus = nön exspectätus non lascia possibilità di dubbio. Infine, cëna è definito nel testo. Notate che queste sei parole nuove sono introdotte in 72 parole del testo. Alcune si incontrano più d’una volta, e non sempre nel medesimo caso. La giustapposizione alter alterum rende chiaro e armonioso il latino, e sottolinea l’importanza delle terminazioni per indicare i casi55.
Crediamo che l’esempio riportato possa servire ad eliminare ogni dubbio sulla possibilità di comprensione dei testi inclusi nel corso di Ørberg senza ricorrere a traduzioni.
Il valore delle immagini
Le illustrazioni e le carte geografiche abbondano in ogni capitolo e rendono più immediata l’evidenza del testo: costumi, oggetti d’uso comune, edifici pubblici e privati, mobilio, etc. tutto è stato ricostruito come effettivamente era, in immagini che si attengono scrupolosamente ai dati della letteratura e dell’archeologia. Ma il compito delle figure non è solo quello d’illustrare in modo vivo l’ambiente, le persone, le situazioni di cui parla il testo. Esse sono anche un prezioso sussidio per imparare il latino. L’immagine, infatti, è di solito accompagnata da una dicitura in latino, cioè ‘parla’ in latino, dà un significato preciso e vivo alla parola latina. In questo modo, con l’aiuto dell’immagine gli alunni vedono ciò che si descrive e assimilano il latino quasi come una lingua viva. L’utilizzo delle immagini (e, più ampiamente, di quelli che gl’inglesi chiamano visual aids) fa riferimento a una tradizione didattica umanistica, a cui accennano già Erasmo56, il I. Thomson, Further thoughts on the nature method, in: “The classical world”, sett. 1976, p. 10-11. 56 Cfr. Erasmo, Declamatio de pueris statim ac liberaliter instituendis, in Opera omnia, North-Holland Publishing Company, Amsterdàm 1971, vol. I/2, p. 1-78 (citazione p. 67-68): Fabulas et apologos hoc discet libentius ac meminerit melius, si horum argumenta scite depicta pueri oculis subiiciantur, et quicquid oratione narratur, in tabula demonstretur. Idem aeque valebit ad ediscenda arborum, herbarum et animantium nomina, simul et naturas, praesertim eorum quae non ita im sunt obvia, veluti rhinoceros, tragelaphus, onocrotalus, asinus Indicus, elephantus. Tabella habet elephantum, quem draco suo complexu stringit, primoribus pedibus cauda involutis. Arridet parvulo nova picturae species, quid hic faciet praeceptor? onebit ingens animal a Graecis dici e\leéfanta, Latine similiter, nisi quod interdum ad Latinae inflexionis formam dicimus elephantus elephanti. Ostendet quam Graeci 55
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Verba et res
Vossio57 e il Lubinus58; essa fu perfezionata e sviluppata dal Comenio. Il grande pedagogista del Seicento, aveva scritto questa premessa alla sua edizione dell’‘Orbis sënsuälium pictus’: “Sënsüs [...] obiecta sua semper quaerunt, absentibus illïs hebëscunt, taediöque suï hüc illüc së vertunt; praesentibus autem obiectïs suïs hilarëscunt, vïvëscunt, et së illïs affïgï, dönec rës satis perspecta sit, libenter patiuntur. Libellus ergö hic ingeniïs [...] captïvandïs et ad altiöra studia praeparandïs bonam näväbit operam” 59. Crediamo che queste parole possano valere da prefazione anche per il criterio seguìto nel corso Lingua Latïna per së illüsträta. Le immagini permettono, per tutte le parole che indicano oggetti concreti o azioni, d’unire verba e rës, di comprendere a cosa si riferisca il vocabolo latino senza bisogno di are per la traduzione nella vocant probosciéda, Latini manum, quod ea sibi porrigat cibum. onebit illud animal non respirare ore, quemodum nos, sed proboscide: ostendet dentes utrinque prominentes, unde ebur quod apud divites in precio est, simulque proferet pectinem eburneum. Deinde docebit apud Indos esse tam ingenti corpore dracones. Dracon autem esse vocem Graecam cum Latinis communem, nisi quod nos eam nostro more inflectimus, quum Graeci dicant draécontov, quemodum leéontov, unde foemina dracaena, sicuti laena. onebit inter hos dracones et elephantos esse genuinum atroxque bellum. Quod si puer erit discendi avidior, poterit multa alia commemorare de natura elephantorum ac draconum. Plerique gaudent pictis venationibus, hic quot species arborum, herbarum, avium, quadrupedum, per lusum disci possunt? 57 Gerardi Joannis Vossii, De studiorum ratione opuscula, in: Th. Crenius, Consilia et methodi aureae studiorum optime instituendorum praescripta studiosae juventuti a maximis in re litteraria viris Fortio Ringelbergio, E. Roter. L. Vive, J. Casellio, J. Sturmio, C. Scioppio, Ol. Borrichio, L. Aretino, G. Naudaeo, H. Grotio, J. Vossio, Rotterodami, ap. Petrum Vander Slaart, 1692, p. 698: Figurae singulae monstrentur, explicentur. Ita breviculo spatio puer historiam biblicam sciet. Exemplis etiam subjicere liceat salutaria praecepta, quae inde colligentur. Sic metus Numinis, et reverentia instillabitur. Etiam sylvam vocum Latinarum occasione eadem addiscere licebit. Exempli gratia, in prima pictura, quae creationis historiam proponit: videre erit Solem, Lunam, Stellas, virum, feminam, arborem, serpentem, pomum, leonem, bovem, cuniculum, pavonem, alia; in quibus puer togatus quid quidque sit, Latine etiam nominare discet. Par ratio fiet in ceteris picturis. 58 E. Lubinus, lettera prefatoria all’edizione del Nuovo Testamento: E. Lubinus, Novi Jesu Christi Testamenti Graeco-Latino-Germanicae editionis pars prima [...] Cum praeliminari ad celsissimum Pomerianae principem Philippum epistola, in qua consilium de Latina lingua compendiose a pueris addiscenda exponitur, Rostock 1617. 59 Orbis sensualium pictus, Praefatio, in J. A. Komenský Opera omnia, cit. (n. 53), vol. 17, p. 59-60.
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propria lingua. L’utilizzo delle figure non soltanto consente una fissazione migliore con la generazione d’un’immagine mentale legata alla parola, ma evita quelle improbabili corrispondenze binarie che son proprie degli elenchi di vocaboli spesso propinati ai discenti: quale parola italiana dovrà esser proposta come equivalente di familia? “Famiglia” esclude tutti i servi; “servitù” esclude i parenti. Non esiste più l’istituto della familia, dunque non esiste più una parola per indicarlo. Ma l’immagine con cui s’apre il secondo capitolo di FAMILIA ROMANA, con le parole che nel testo l’accompagnano non può lasciar dubbi sul significato del termine. Oppidum non è, come s’insiste a dire, solo una “cittadella fortificata”: spesso anche la distinzione tra oppidum e urbs è incerta presso gli autori60; oppidum fa perlopiù riferimento a una città di dimensioni minori. Dunque, invece di fuorvianti traduzioni, avrà miglior effetto l’immagine posta all’inizio del primo capitolo del nostro libro. Quando l’alunno ritroverà la parola in testi diversi, saprà dal contesto comprendere se si tratta d’un’amena cittadina sul mare o d’una sorta di arx munita sull’alto d’un colle.
Altri mezzi per illustrare il significato delle parole
Per presentare le spiegazioni marginali in modo chiaro e conciso, il testo si serve di quattro segni convenzionali. Un segno d’uguaglianza (=) collocato fra due parole o espressioni significa che esse hanno significato denotativamente più o meno identico; sarebbe come dire in italiano: ‘madre = mamma’ (un esempio in latino: förmösus = pulcher). Talora come equivalente si dà una definizione o una perifrasi (per es.: senex senis m = vir annörum plüs quam LX). Il segno (:) significa ‘cioè’ e serve a spiegare meglio una parola; sarebbe come dire in italiano: ‘buono: non cattivo’; spesso viene adoperato per spiegare il significato d’una parola o d’un’espressione in un particolare contesto (per es.: eäs: rosäs). Il segno (↔) indica che due paPer esempio, nel narrare la distruzione di Pompei, Seneca la chiama urbs, Tacito oppidum: Sen. , Questiones naturales VI,1,1-5: Pompeios, celebrem Campaniae urbem, in quam ab altera parte Surrentinum Stabianumque litus, ab altera Herculanense conveniunt et mare ex aperto reductum amoeno sinu cingunt, consedisse terrae motu vexatis quaecumque adiacebant regionibus, Lucili virorum optime, audivimus. Tac., Annales XV,22: ...motu terrae celebre Campaniae oppidum Pompei magna ex parte proruit. Come si vede dalla descrizione dei luoghi fatta da Seneca, l’oppidum non richiama né rocche poste su alture di monti, né mura ciclopiche: esso è munito né più né meno d’ogni città d’epoca romana. 60
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role o espressioni hanno significato contrario; come dire in italiano: ‘buono ↔ cattivo’ (in latino, per es.: claudit ↔ aperit). Infine si incontra di tanto in tanto il segno (<) che vuol dire ‘deriva da’ e serve a mostrare che una parola deriva da un’altra che già si conosce; come se in italiano scrivessimo: ‘bontà < buono’ (un esempio latino può essere fëminïnum < fëmina). Tutti questi segni vanno spiegati e chiariti con precisione agli alunni prima ancora di cominciare il corso. Com’è ovvio i vocaboli con i quali s’illustrano le parole nuove sono già stati incontrati dai ragazzi precedentemente, e quindi si considerano acquisiti: il corso LINGVA LATINA è un sistema où tout se tient e nulla è lasciato al caso. Talora il significato delle parole è spiegato dal contesto stesso: per esempio, nel primo capitolo, il senso di quoque o di sed s’evince se ci si concentra sul testo, se lo si legge in rapporto alla frase che precede (e se si tiene d’occhio anche la carta geografica). Il testo è d’altra parte costruito in maniera tale che la stessa parola ricorre più volte in espressioni opportunamente variate, in modo da spiegarsi da sé. Altre volte parole di domanda si chiariscono tramite la risposta: nello stesso primo capitolo, il significato di “ubi...?” risulta evidente dalla risposta: Ubi est Röma? Röma in Italiä est.
Verifica della comprensione
Domande, esercizi di completamento e manipolazione linguistica
Ma come si può esser sicuri che un ragazzo abbia esattamente interpretato un vocabolo latino o un intero brano? È il problema, più vasto, della verifica della comprensione del testo. Prima di tutto, se ciò che legge ha un senso compiuto, in sé e in rapporto a ciò che precede e a ciò che segue, vuol dire che ha capito esattamente ogni parola. Perché il testo di Ørberg è congegnato in modo tale da non avere un senso compiuto e ragionevole se non quando si dà ad ogni parola nuova il suo significato giusto. Questo esercizio di coerenza logica contestuale non solo affina la capacità di comprensione di lettura degli alunni, sviluppandone l’intelligenza, ma evita la possibilità di traduzione meccanica — che purtroppo, nonostante le mille raccomandazioni, è il normale modo di procedere dei nostri alunni abituati al metodo grammaticale-traduttivo — spesso generatrice di mostruose “versioni” prive d’ogni minimo senso. Si può poi procedere per diverse strade. Innanzi tutto le domande del pënsum C, e quelle degli exercitia sono appunto domande di comprensione, alle quali è ben difficile rispondere, se non s’è capito bene il testo cui si riferiscono. Ma l’insegnante non deve accontentarsi di una comprensione generica: bisogna essere sicuri che il ragazzo abbia
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inteso non superficialmente quanto ha letto, e lo abbia chiaro parola per parola, senza fraintendimenti ed errori. Si possono a questo scopo porre ulteriori domande, nel corso della lettura, su aspetti specifici: le domande possono essere formulate in latino (preferibilmente) o anche in italiano. Per esempio, nella prima lezione, per controllare che si sia ben capito il valore di ubi, di quid e di num si potranno subito fare domande del tipo “Ubi est Tiberis?” “Ubi sunt Röma et Tüsculum?” “Num Sparta in Italiä est?” “Num Melita ïnsula magna est?” “Ubi est Germänia?” “Quid est Brundisium?” “Quid est Rhodus?” “Num Sardinia ïnsula parva est?” e così via. Nel cap. XXXII, per dare un esempio di qualcosa di un po’ più complesso, per verificare se il ragazzo abbia veramente compreso il valore di timëre në (che gli sarà stato comunque esplicitato e chiarito con una spiegazione illustrata alla lavagna con vari esempi), gli si potrà chiedere, durante un’interrogazione: “Cür timet Mëdus? Quid mïlitës factürös esse crëdit, sï eum cëperint?” Non è necessario che l’alunno risponda utilizzando il costrutto timëre në: se anche infatti, per esempio, rispondesse “Ille mïlitës së Römam abductürös esse putat, ut ad mortem in amphitheätrö cöram populö mittätur, sïcut Iülius servïs suïs minärï solëbat”, la risposta implica che l’allievo abbia correttamente compreso la frase del testo “Timeö në mïlitës më captum Römam abdücant” (XXXII. 212-213). Altri esercizi, come quelli di verifica proposti più sotto (vedi p. 125) daranno prova dell’acquisizione dei contenuti e della comprensione dei testi di volta in volta affrontati. Può essere ammesso un utilizzo della traduzione estemporanea come strumento di verifica: si tratta di un momento ultimo, non finalizzato alla comprensione del testo, ma solo al controllo, da parte dell’insegnante, di quanto realmente il ragazzo abbia capito del testo. Prima di effettuare questa richiesta di traduzione, si chieda sempre all’alunno se ha inteso quello che ha letto; se risponde negativamente, lo si faccia leggere di nuovo, gli si pongano altre domande, si utilizzino sinonimi per chiarire parole oscure, si frammenti il periodo trasformando l’ipotassi in paratassi, si richiami l’attenzione sulle note a margine. Solo quando il ragazzo è certo di aver compreso gli si può chiedere di tradurre, formulando la domanda più o meno in questo modo: “Come diresti la stessa cosa in italiano? Come renderesti questo concetto?” ecc. La traduzione è dunque un mezzo di controllo, non un incentivo alla pigrizia mentale, o peggio ancora, all’abitudine a trasferire parole e frasi nella propria lingua per poterle capire: bisogna che l’allievo abbia prima trovato una soluzione perché il docente la possa controllare. E insistiamo sul fatto che uno studente dotato di normale buona volontà deve poter fare a meno di traduzioni.
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Non si traduca per capire, ma si capisca per poi eventualmente tradurre
58 Una grammatica induttiva: dalla prassi alla teoria
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Grammatica sì, grammatica no: quale grammatica?
Non vorremmo che quanto premesso desse l’impressione agl’insegnanti che il metodo induttivo non preveda l’apprendimento della grammatica. Il corso LINGVA LATINA si basa su una ratiö docendï che non è quella cosiddetta ‘globale’: non trascura l’apprendimento, solido e senza sconti, della grammatica tutta, fonetica, morfologia, sintassi; si tratta infatti del cosiddetto metodo ‘diretto’ o ‘induttivo’ che parte da testi e contesti, cioè dal vivo della lingua, dall’üsus, per poi fissare in maniera certa, salda e duratura la doctrïna, cioè la descrizione dei fenomeni grammaticali. Studi recenti e meno recenti hanno dimostrato con evidenza che la sola immersione nella lingua, senza riflessione, senza comprensione cosciente dei meccanismi che la regolano, non può giungere oltre certi livelli di comunicazione e intellezione; si può imparare il se quotidiano con la sola pratica, ma ben pochi possono leggere, non dirò testi di poesia, ma lo stesso Proust, senza una certa scaltrezza che consenta di comprendere la complessa struttura dei periodi artisticamente elaborati. Giacché la nostra finalità, nello studio del latino, non è quella di chieder l’ora o informazioni sull’orario dei treni, ma quella di legger testi costruiti con una somma e raffinatissima elaborazione retorica, e poiché non abbiamo neanche la possibilità d’immergerci in un Latium redivïvum, l’ausilio d’una consapevole competenza grammaticale ci deve sostenere nel nostro affrontare la lingua nelle opere degli autori. D’ogni capitolo i ragazzi dovranno possedere in maniera sicura e pronta tutte le parti della grammatica contenuta nell’Enchïridion discipulörum (vedi sopra, p. 37 e 43); ma, come si mostrerà più avanti, l’acquisizione di queste competenze grammaticali dovrà essere contemporaneamente teorica e pratica; gli alunni dovranno saper dare ragione dei fenomeni ed esser non solo capaci di riconoscerli nei diversi contesti in cui essi compaiono, ma anche usarli con precisione e accuratezza. Le ‘regole’ dovranno perlopiù prima esser viste nell’uso, sia nei testi, sia nella pratica orale, e poi formalizzate ed esposte, così come avviene nell’Enchïridion e nella Grammatica di consultazione. Si tratta insomma d’una rivoluzione copernicana dell’insegnamento grammaticale, che tende a evitare che i ragazzi conoscano una serie di informazioni sulla lingua, senza saper usare la lingua, neanche nei suoi aspetti ricettivi (lettura e comprensione): è assurdo possedere una qualunque competenza metalinguistica d’una lingua che non si conosce e non si sa usare61. Ma attenzione: chi crede che non sia ne61 Cfr. G. Pasquali, Pagine stravaganti, Sansoni, Firenze 1968, vol. I, p. 147: “Nessuna lingua, neppure una lingua morta, si conosce davvero se non si sa scrivere e in qualche misura parlare.”; U. E. Paoli, Latino sì, latino no, in:
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cessaria una solida competenza in questo campo, e s’accontenta d’un pressappochismo limitato a una comprensione ‘a orecchio’ dei testi, sbaglia, e non riuscirà ad ottenere i risultati che questo corso può dare a chi lo adopera nella maniera giusta, né potrà condurre efficacemente i ragazzi oltre i primi capitoli: appena la paratassi cederà il posto all’ipotassi, gli studenti che non abbiano sufficientemente compreso ed esercitato forme e strutture si smarriranno: solo coloro che conoscano senz’alcuna esitazione quanto è stato di volta in volta loro proposto nell’Enchïridion non avranno difficoltà nel loro percorso.
Al corso è annessa anche un’ordinata esposizione di Morphologia e Syntaxis latine. Ci si potrà chiedere come mai un corso induttivo come LINGVA LATINA presenti un’illustrazione della grammatica non troppo dissimile da quelle note Urbï et orbï. Il motivo è duplice: da un lato siamo convinti che non nella trattazione della grammatica risieda il difetto del metodo grammaticale-traduttivo: un libro come quello del Traìna e del Bertotti, per esempio, ci appare come un modello di chiarezza impostato su solide basi scientifiche, che descrive in modo completo ed esaustivo tutta la sintassi latina62. Dall’altro intendiamo la Morphologia e la Syntaxis accluse al corso come testi di riferimento, a cui ricorrere solo dopo che la norma grammaticale sia stata incontrata in situazioni diverse e in contesti vari, sia stata assimilata e compresa attraverso una semplice spiegazione come quella che può trovarsi nell’Enchïridion, e praticata in mille modi come illustrato nella sezione di questa Guida dedicata agli esercizi e alle prove di verifica (vedi p. 125); Morphologia e Syntaxis costituiscono dunque solo uno strumento di consultazione ordinatamente disposto, o un materiale utile per la sistemazione di quanto già diversamente appreso. Molti d’altro canto s’interrogano su quale tipo di modello grammaticale ci si debba fondare. Alcuni sostengono che l’analisi logica non sia
“L’osservatore politico e letterario”, dic. 1959: “L’uso esatto delle parole non si impara con la sola lettura, ma scrivendo e parlando”; A. Garzya, Guida alla traduzione dal greco, UTET, Torino 1991, p. 86: “Se è vero che scopo dell’insegnamento liceale e universitario è mettere il discente in grado d’intendere i testi antichi e non di formare dei traduttori-interpreti, non è men vero che a quella intellezione si può giungere sul serio, e più rapidamente, e soprattutto meglio, ove della lingua antica si possegga l’uso attivo, non solo quello ivo, e poco importa se a costo di scrivere, cosa inevitabile, ma scontata in partenza, dei pezzi di greco (o di latino) non sempre... quali avrebbe scritti Platone (o Cicerone)”. 62 A. Traìna - T. Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, Cappelli, Bologna 1993.
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Perché una sintassi di tipo tradizionale?
Latino, non linguistica generale
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Il criterio della ‘pia reticenza’ e delle approssimazioni successive
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per nulla logica, e che non dia ragione di molti fenomeni e strutture linguistiche. Sin dagli anni ’50 del secolo scorso s’è proposto d’insegnare il latino basandosi sulle teorie della verbodipendenza, sul metodo Tesnière adattato dal Sabatini, o sulle ipotesi della grammatica generativo-trasformazionale. Altri modelli pure si sono affacciati sul panorama della didattica delle lingue classiche, come il funzionalismo del Martinet. Tuttavia la diatriba che n’è nata non ha molto senso: e nasce tutta dalla convinzione, in ultima analisi sempre risalente all’impostazione della Formale Bildung, che il latino non si debba studiare per altro motivo che per “formare la mente” o per “acquistare consapevolezza del funzionamento grammaticale d’una lingua”. Ma lo studio del latino va tenuto distinto da uno studio, pur degnissimo e apprezzabilissimo, di linguistica generale: questo troverà molto miglior collocazione nelle ore dedicate all’italiano, lingua in certa misura (più o meno ampia a seconda delle competenze di partenza degli alunni) già nota, e sulla quale dunque è non solo possibile, ma opportuna una riflessione metalinguistica; per quanto riguarda il latino, il fuoco delle nostre lezioni dev’esser concentrato sull’apprendimento della lingua; ogni riflessione è ordinata a quel fine; scegliamo dunque il modello che più riteniamo congeniale a noi, alla nostra preparazione, ai nostri studi.
Il problema fondamentale è come e quando presentare la descrizione dei fenomeni grammaticali; come esercitarli e trasformarli in automatismi linguistici sui quali non dover più stare ad almanaccare troppo; come insomma unire teoria e prassi della lingua. Non tutto va detto sùbito: ci si freni e ci si limiti perlopiù a quanto di volta in volta suggerito dall’Enchïridion: un tassello alla volta, fissato alla base della memoria col glutine dell’esercizio e della pratica, noi daremo la possibilità ai nostri alunni di costruire con pazienza tutto il mosaico della grammatica latina. Basterà un esempio, che riprendiamo dalla prima edizione di questa Guida: normalmente s’usa, spiegando la costruzione del verbo iubëre, dire: (1) che iubëre si costruisce con l’accusativo e l’infinito: Caesar iubet mïlitës rescindere pontem; (2) che, se la persona a cui è rivolto il comando non è espressa, si troverà usato l’infinito ivo: Caesar iubet pontem rescindï; (3) che al ivo diventa personale: Mïlitës iussï sunt rescindere pontem; (4) che, specialmente nel linguaggio giuridico e quando si parla di decreti del popolo o di magistrati, spesso si trova utilizzato con ut + cong. per analogia con imperäre: Senätus iussit ut iüra servärentur reï püblicae; (5) che la stessa costruzione l’hanno anche vetäre, sinere, prohibëre, etc. Si può ragionevolmente pensare che un ragazzo possa tenere a mente a lungo ed esercitare a sufficienza nell’uso un elenco di regole come questo?
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E si tratta solo di un esempio, non certo del peggiore dei casi. Come procedere, allora? Quando s’incontrerà, si faccia solo riflettere, in un primo tempo, sul fatto che iubëre si costruisce con l’accusativo e l’infinito, e s’abbia il coraggio e la forza di tacere, per ora, sul resto. Certo non è una trattazione completa delle costruzioni del verbo iubëre. Ma è preferibile are momentaneamente sotto silenzio una parte di ciò che riguarda quel verbo, piuttosto che rischiare, anzi, piuttosto che aver la certezza che di quel che abbiamo voluto comunicare non rimanga più traccia dopo pochi giorni, o che comunque tra la ‘regola’ astrattamente formalizzata e la pratica linguistica resti un’irreparabile frattura e un ostacolo insormontabile. Si faccia dunque solo notare che iubëre regge l’accusativo e l’infinito, e anche questa constatazione non si faccia sïc et simpliciter da parte dell’insegnante, se prima gli allievi non vi abbiano ragionato da sé e abbiano compreso che, nella regola generale delle oggettive con acc.+ inf., una frase come Iülius servum suum Tüsculum ïre iubet (XI. 44-45) vale qualcosa come ‘Giulio ordina che il suo servo vada a Tuscolo’. L’alunno avrà da quel momento in poi numerosissime occasioni di riscontrare questa ‘norma’ sintattica, finché gli risulterà spontaneo e naturale, trovato il verbo iubëre, cercare l’accusativo e l’infinito che lo accompagnano: e a questo sarà giunto anche attraverso un uso attivo più volte ripetuto, in esercizi e colloqui, di tale costruzione. Avrà insomma trasformato una norma grammaticale in un ‘possesso perenne’ e in un uso spontaneo e automatico, tanto che gli risulterebbe ‘strano’ trovare una costruzione diversa. Allora, e solo allora, si potrà aggiungere un altro tassello al mosaico: e infatti il ragazzo troverà (Rëx) eum in labyrinthum dücï iussit (XXV. 59). Il resto più avanti, e così via.
La Syntaxis esemplifica ogni norma per lo più con frasi e brani tratti dal corso stesso. Solo raramente c’è parso opportuno ampliare il raggio, attingendo qualche esempio da autori classici non presenti nei due volumi FAMILIA ROMANA e ROMA AETERNA. S’è curato, specie per la sintassi dei casi, di corredare le spiegazioni con un numero di frasi quanto più ampio possibile: spetta naturalmente all’insegnante fare un’eventuale scelta degli esempi su cui richiamare maggiormente l’attenzione degli alunni, specie nel caso che decida di presentare ‘tasselli’ della norma a mano a mano che vengono incontrati e affrontati nel corso della lettura dei testi. Com’è ovvio, gli esempi non son tradotti, giacché l’alunno deve esser portato a considerarli e riflettervi solo quando sia già in grado di comprenderli da sé. Oltre agli esempi tratti dal contesto dei capitoli che costituiscono l’esperienza di lettura dei ragazzi, in appendice a questa Guida, in un Ripetitorio della sintassi latina vengono offerti esempi ‘normalizzati’:
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La ‘norma’ deve divenire ‘possesso perenne’ e automatismo linguistico
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L’ordine dei casi
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esempi cioè estremamente semplificati, che possono costituire per gli alunni una base mnemonica per la fissazione della norma. Molto più efficace, infatti, crediamo sia tenere a mente un esempio breve, chiaro ed evidente, da cui poi saper ricavare la ‘regola’, piuttosto che imparare a memoria un’astratta definizione disgiunta da ogni concreta pratica linguistica. Penoso sempre ci è apparso lo spettacolo non infrequente di ragazzi che sanno enunciare perfettamente la ‘regola’ di videor o della perifrastica iva, anche in maniera piuttosto complicata, ma poi, richiesti di formulare un esempio, non ne sono capaci, o incorrono in errori madornali.
Qualche particolarità nella descrizione della morfologia
Il corso, fino al capitolo IX, non parla di “declinazioni”: esso presenta i singoli casi di prima e di seconda, distinguendo maschili (uscenti in -us), femminili (uscenti in -a) e neutri (uscenti in -um). Solo più avanti verranno introdotti i rari femminili in -us (per es. papÿrus, cap. XVIII, 163; Aegyptus è nel I capitolo, ma solo come indicazione geografica, senza che ne sia specificato il genere), e i pochi maschili in -a (per es. nauta, cap. XVI, 28). Questa presentazione permette più facilmente di far concentrare gli alunni sulla nozione di segnacaso, senza le artificiali barriere della declinazione; il che porta, ad esempio, il vantaggio di mostrare immediatamente l’esatta corrispondenza delle terminazioni nei nomi e in molti casi dei pronomi (Iüliam : eam; Märcum : eum; servïs : iïs; fïliös : eös, ecc.; lo stesso per ille); le declinazioni complete vengono introdotte a partire dal cap. IX, quando si presenta la terza. L’ordine dei casi che vien proposto è diverso da quello a cui è abituata la tradizione didattica italiana: si propongono nom., acc., gen., dat., abl. Il vocativo è presentato come una caratteristica dei nomi in -us della seconda; nel capitolo XIX (93) vengono introdotti i vocativi in -i dei nomi propri uscenti in -ius, e di meus; nel capitolo XXI (30) si presenta anche il vocativo fïlï. L’ordine proposto dal corso presenta diversi vantaggi: innanzitutto mette sùbito in evidenza i casi diretti, nominativo e accusativo, che per un italiano, per il quale la distinzione tra soggetto e oggetto è determinata perlopiù solo dalla posizione nella frase, offrono maggiore difficoltà. Nel plurale, a partire dalla terza declinazione, e per i neutri già dalla seconda, la vicinanza di nom./acc. e di dat./abl. rende assai più facile la memorizzazione, riducendosi le terminazioni a tre: per es.: nom./acc. hominës bella gen. hominum bellörum dat./abl. hominibus bellïs
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Questa diversa disposizione non toglie che le parole, dal momento in cui vengono introdotte le declinazioni, vanno imparate citando sempre nom. e gen: homö, -inis: questo per poter distinguere senza esitazione a che declinazione appartengono. Naturalmente va imparato a memoria anche il genere di tutti quei vocaboli in cui esso differisca dall’italiano63. 63 Che l’ordine dei casi normalmente adoperato non fosse il più efficace, era già stato rilevato, per esempio, da F. Soave, che proponeva perciò, nella sua Grammatica delle due lingue italiana e latina ad uso delle scuole (P. Bernardi, Milano 1819), d’associare i casi con eguale desinenza; lo stesso fece il Tommaseo, che propose nom., acc., abl., dat., gen.: “Quest’ordine, ch’è il più ragionevole, giova insieme a rendere più evidenti le analogie delle forme de’ casi, [poiché] avvicinando rosa a rosam, rosae dativo a rosae genitivo, [...] mettendo in ultimo luogo i genitivi plurali che in tutte le declinazioni si somigliano assai, i’aiuto e la memoria e l’intelligenza a ritenere e a comprendere (Dell’educazione: desideri e saggi pratici, Andruzzi, Venezia 1836, p. 238). Per il Tommaseo “ciò che più importa al senso è vedere la relazione ch’è tra’ nomi ed il verbo, cioè qual sia l’oggetto principale del pensiero intorno al quale si vengono a raccogliere le idee minori. Onde il nominativo e l’accusativo, essendo i casi d’ordinario più importanti, giova che vengano primi” (Ibid., p. 237). Dell’ordine dei casi discute, in un testo fondamentale per la didattica del latino, P. Distler: “The traditional order of the cases does not present them in the order of importance [...] Many modern texts give the nominative and then the ablative. This has advantages since the accusative singular can be formed by the addition of “m”, and the accusative plural by the addition of “s” provided one is careful of quantities in the accusative singular. [...] Considering all the problems the ideal order seems to be: nominative, accusative, ablative, dative and genitive. A brief glance at the paradigms when they are drawn up in that order reveals several advantages over the traditional presentation. For example, the dative and ablative plural are placed close to each other as are the nominative and accusative plural. These latter are identical in form in most declensions.” (P. Distler, Teach the Latin, I pray you, WPC Classics, Nashville TN 2000, p. 13-14). Lo stesso autore propende, più avanti, per una presentazione “orizzontale” piuttosto che “verticale” delle declinazioni. Molti corsi moderni di latino in Europa e negli Stati Uniti adottano oggi un nuovo sistema di presentazione dei casi, perlopiù ponendo in rilievo nominativo e accusativo. Come si vede, l’argomento è dibattuto e con posizioni diverse: tutti coloro che vi prestano attenzione, però, convengono sull’opportunità di scegliere una via più efficace ed economica di proporre la materia ai discenti. A noi sembra che, di là da ogni considerazione, valga quanto scrisse lo stesso Tommaseo: “...mandare a memoria meccanicamente la serie de’ casi, è come nulla per l’uso, peggio che nulla per il fastidio, e per l’abito di ripetere parole senza por mente alle cose. Dopo un mese d’esercizio allora comprendano nella memoria la declinazione intera; ma per ora non ripetano mai tutti i casi coll’ordine stesso: e comincino quando dall’accusativo, quando dal genitivo, e sempre variino” (op. cit., p. 231).
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64 I paradigmi
Anche la maniera di presentare i paradigmi dei verbi è diversa da quella alla quale siamo abituati. Il corso infatti, a partire dal capitolo XXII, dopo aver introdotto perfetto e supino, suggerisce di imparar sempre solo i tre infiniti: per es.: laudäre laudävisse laudätum (esse); per i verbi deponenti le forme si riducono a due: loquï locütum (esse). Dai temi degl’infiniti (che si raccomanda di far mandare a memoria agli alunni) si possono ricavare tutte le altre forme verbali. L’utilizzo di tre radici non solo è più economico e più facilmente ritenibile a memoria, ma ha anche un corrispondente in altre lingue che i ragazzi probabilmente hanno studiato, come l’inglese64.
Una grammatica attiva
Teoria e pratica in azione: la morfologia...
Non può esser sufficiente spiegare una ‘regola’, sia essa un insieme di forme, sia un sistema di funzionamento sintattico. Le norme che regolano la lingua vanno comprese e assimilate; per far questo alla spiegazione teorica e allo svolgimento degli esercizi vanno affiancate una serie di strategie attive che consentano un assorbimento pieno, saldo e duraturo della morfosintassi.
Facciamo alcuni esempi (molti dei quali sono mostrati nel disco contenente il documentario La via degli umanisti): per esercitare le terminazioni dell’accusativo singolare di prima e seconda declinazione dopo il capitolo III, possiamo scrivere alla lavagna una lista di verbi transitivi (interrogäre, pulsäre, verberäre, vocäre, vidëre, audïre); i ragazzi possono, anche con l’uso di semplicissimi costumi, interpretare alcuni personaggi: servus, ancilla, domina / mamma, puer, puella, dominus (identificabili anche tramite targhette); si chiede loro di mimare azioni che dovranno esser descritte dal resto della classe; l’insegnante può sollecitare gli alunni con domande del tipo: Quid facit puer? quid dicit puella? quem vocat servus? quem audit dominus?; verbi come facit e dïcit, anche se non ancora incontrati, non presentano nessuna difficoltà per un parlante italiano. Possiamo usare una serie di oggetti i cui nomi sian già noti agli alunni (un libro, una forma di lettera di legno o di plastica, una forma di numero, un foglio [pägina], il disegno d’un fiume, d’un’isola), o che conosceranno tra poco e che possiamo senza danno anticipare (un sacchetto, una moneta, un tavolino, una palla) o ancora reälia come una tabula, uno stilus, un calamus e oggetti che sono nella classe, come fenestra, iänua, sella, tabula nigra; immagiPer i pochi verbi in -iö della terza, il corso presenta modelli di questo tipo: capere (-iö) cëpisse captum. 64
IL CORSO NEI DETTAGLI
niamo d’avere un alunno di nome Marco; gli si mostrano gli oggetti o i disegni (dicendo, per esempio: ecce fluvius! ecce pägina!, ecc.); poi si chiede alla classe: Quid videt Märcus? Poi si poggiano gli oggetti sul banco dello stesso ragazzo e si chiede: Quid est in mënsä Märcï? Si possono usare esercizi di scelta multipla, di completamento, di sostituzione (frase modello di riferimento: puer videt puellam; soggetto/oggetto da sostituire: Märcus / Marïa; Iülia / mamma; Quintus / Marcus); può esser l’insegnante a fare o mimare determinate azioni (Quid facit magister?: per es.: Magister vocat Marïam; Magister audit Märcum; Magister pulsat Antönium, etc.); si può proporre un aparola con immagini (si mostrano immagini accompagnate ciascuna da sei o sette frasi; bisogna scegliere la frase che s’attaglia bene alla figura); una descrizione d’immagini (si mostrano immagini di azioni, come quelle del cap. III, e si chiede di descrivere quel che in esse è illustrato); dei crucigrammi; si può chiedere d’ordinare le parole nella frase (coniungere membra disiecta: per es.: Märcum puer improbus verberat quï est Aemilia > Aemilia verberat Märcum, quï est puer improbus); ordinare frasi date alla rinfusa per fare una narrazione continua che segua un ordine cronologico; etc. (per un elenco d’esercizi possibili e di risorse presenti in rete, vedi p. 125 e 113). Si può sin da sùbito abituare i ragazzi a porre l’accusativo in prima posizione, rispettando l’ordine di domande del tipo: Quem pulsat Märcus? Risposta: Quïntum pulsat Märcus. Si può far recitare anche una semplicissima scenetta precedentemente scritta dall’insegnante (o fatta scrivere ai ragazzi: vedi sotto, a p. 151, il metodo dello storytelling) di questo tipo: Personae: Püblius (dominus), Hëgiö (servus), Fabia (domina)
Narratore (normalmente l’insegnante): “Hëgiö est servus Pübliï. Püblius est vir Römänus. Fabia est fëmina Römäna.” P.: “Ubi est Hëgiö? Hëgiö! Hëgiö!”
Narratore (rivolto alla classe): “Quid facit dominus?” Risposta: “Dominus servum vocat!” (talora la risposta va sollecitata dicendo frasi sospese come: “dominus vocat ser...”) Narratore (facendo finta di non aver sentito bene): “Quid? Quem vocat dominus?” Risposta: “Servum vocat dominus!” Narratore: “Hui! Dominus ïrätus est, quia servum vocat, neque servus venit! Cür servus nön venit?” (mostra Egione che dorme) Risposta: “Quia dormit neque dominum audit.”
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(Egione si sveglia, sente il padrone chiamare e si precipita) Narratore: “Sed ecce! Iam non dormit servus. Nunc Hëgiö dominum audit et venit.” P.: “Äh, ecce Hëgiö.” H.: “Quis me vocat?” Fabia: “Dominus te vocat!”
Narratore: “Quis vocat servum?” Risposta: “Dominus eum vocat!” (se i ragazzi rispondono “Dominus servum vocat!”, si può dire una frase sospesa come sopra: “Dominus vocat e...” oppure finger di non aver capito, indicare Fabia e chiedere: “Vocatne eam?”) Narratore: “Hëgiö venit et videt dominum ïrätum.” P.: “Hëgiö, ubi est liber meus?” H.: (fra sé) “Cür dominus më interrogat?” (a Publio) “Liber tuus in mënsä est!” (indica il tavolo posto dietro Publio) “Ecce liber tuus!” (Publio si gira verso il libro) Narratore: “Quid videt dominus?” Risposta: “Librum, quï est in mënsä, dominus videt.”
P.: “Liber quï est in mënsä nön meus, sed Fabiae est. Ubi est liber meus?” F.: “Liber tuus nön est hïc. Ubi est dominï liber, Hëgiö?” Narratore: “Quem interrogat domina?” Risposta: “Domina servum interrogat, quï non respondet.”
P.: “Cür Hëgiö nön respondet? Nön respondet, quia servus improbus est!” (Publio prende un bastone). Narratore: “Ëheu! Quid facit nunc Püblius?” (Publio incomincia a picchiare il servo) Risposta: “Püblius servum pulsat!” Narratore: “... Heu! Pulsat, et pulsat! tux tax, tux tax! Quid facit dominus?” Risposta: “Dominus servum verberat!”
La scenetta, oltre che recitata, può esser proposta con una serie di disegni. Non è necessario che l’insegnante abbia particolari inclina-
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zioni artistiche per proporre semplici quadretti: anche disegni assai schematici son più che sufficienti per dare un’idea chiara di ciò che si rappresenta. Nonostante la semplicità estrema dell’azione scenica, non si può credere quanto queste piccole drammatizzazioni possano vivacizzare l’insegnamento, quanto siano apprezzate dai ragazzi, e quanto risultino efficaci per l’apprendimento del vocabolario e dei punti di grammatica di volta in volta proposti. Naturalmente, a mano a mano che si va avanti, le scene posson diventare assai più complesse, ricche e divertenti.
Molto utili possono essere anche le formulazioni continuate a partire da un modello dato dall’insegnante, secondo quello che propone il cosiddetto “Metodo Rassias”: per esempio, se dopo il capitolo VI vogliamo esercitare il ivo, possiamo proporre una frase-modello di riferimento, come “Servï Iülium portant > Iülius ä servïs portätur” e poi, con un ritmo assai sostenuto, camminando fra i banchi, pronunziare altre frasi e chiedere ai singoli ragazzi della classe, indicandoli uno a uno, di trasformarle in ive a uno schiocco di dita: “Iülia rosäs carpit >...; Aemilia Märcum vocat >...; Servus dominum audit >...; Davus Iülium salütat >...” etc.
I tempi verbali possono essere esercitati con semplicissime azioni; per esempio: Insegnante: Surge: quid faciës? Alunno: Aperiam fenestram. Ecce fenestram aperiö. Fenestram aperuï. Per queste esercitazioni si può anche adoperare quella che il Rouse chiamava “la serie”, ossia i verbi surgere, ambuläre, revenïre, sedëre, che ci danno esempi di tutt’e quattro le coniugazioni.
Molti docenti che pure utilizzano attivamente la lingua nei primi stadi dell’insegnamento, tendono a diminuire quest’uso a mano a mano che si va avanti, e a scivolare in un mero esercizio traduttivo. Questa tendenza nuoce gravemente agli alunni, perché fa perdere il punto di forza del sistema induttivo-contestuale proprio lì dov’esso dovrebbe dare i maggiori risultati: non è la sola morfologia a dover essere assimilata in maniera perfetta, ma anche e forse soprattuto la sintassi, e particolarmente alcuni punti della sintassi dei casi, insieme agli usi del congiuntivo dipendente e indipendente. In particolare vanno assai esercitate le seguenti costruzioni: a) accusativo + infinito; b) imperäre, oräre, rogäre, petere, postuläre, cüräre; fit / accidit / evenit ut (evenïre compare per la prima volta in ROMA AETERNA); c) verba timendï;
... e la sintassi
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Imparare partecipando
d) nön dubitö quïn (che s’incontra però per la prima volta in ROMA AETERNA); e) interrogative indirette e dubitative; f) verba prohibendï; g) verbi costruiti con l’ablativo e verbi costruiti col dativo; h) espressioni di ‘dovere’ con il gerundivo.
Tutte queste costruzioni possono esser praticate in mille modi, il più semplice dei quali è forse l’esercizio denominato “quid dïcit magister?”: l’insegnante dice una frase e gli alunni devono ripeterla usando la costruzione appropriata che di volta in volta si sta studiando. Per es.: a) “Optima est aqua!” > “Magister dïcit aquam optimam esse!”; “Märce, claude fenestram!” > “Magister iubet Märcum claudere fenestram.”; “Gaudeö: hodië söl lücet in caelö!” > “Magister gaudet quod hodië söl lücet in caelö / sölem hodië in caelö lücëre.”; “Puer inträvit” > “Magister dïcit puerum inträvisse; “Puer inträbit!” > “Magister dïcit puerum inträtürum esse.” b) “Marïa, aperï iänuam!: Quid imperö?” > “Imperäs ut Marïa aperiat iänuam”; “Dä mihi librum, Märce!: Quid imperävï?” > “Imperävistï ut Märcus tibi librum daret.”
c) “Quö ïs Märce? Ille canis feröx të mordëbit!: Quid timet magister?” > “Magister timet në canis feröx Märcum mordeat!”
d) “Hunc librum certissimë hodië vesperï legam!: Quid dïcit magister?” > “Magister nön dubitat quïn hodië vesperï sit lëctürus illum librum!” (nön dubitö quïn compare a partire dal cap. XL di ROMA AETERNA).
e) “Quid agis, Marïa?: Quid interrogö?” > “Interrogäs quid agat Marïa.” “Quid interrogävï?” > “Interrogävistï quid ageret Marïa.”; “Quid fëcistï herï, Marïa?: Quid interrogö?” > “Interrogäs quid herï Marïa fëcerit” “Quid interrogävï?” > “Interrogävistï quid Marïa herï fëcisset”. “Quid faciës cräs, Märce?: Quid interrogö?” > “Interrogäs quid cräs Märcus factürus sit.” “Quot puerï absunt? ” > “Magister rogat quot puerï absint.” (le frasi quotidiane di questo tipo utilizzabili a tale scopo sono tantissime: “Quis nön intellëxit? Cür nön tacëtis? Quandö venient? Quis est ille? Quis äfuit herï? Quandö pënsum scrïbëtis?”, etc.). “Nesciö. Fortasse hoc Latïnë dïcï nön potest.: Quid dïcö?” > “Dubitäs num hoc Latïnë dïcï possit.”
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f) “Nölï exïre, Märce!: Quid prohibeö?” > “Prohibës Märcum exïre / në exeat.”
g) “Häc catënä vinciam canem feröcem” > “Magister catënä ütëtur, quia vult vincïre canem feröcem” (dopo il cap. XXXIII: “ad vinciendum canem feröcem”); “Nölï appönere carnem hodië in cënä: nam Märcus carnem ësse nön solet; is tantum holera ëst” > “Märcus carne vescï nön solet: is tantum holeribus vescitur” (vescï compare a partire dal cap. XXXVIII di ROMA AETERNA); “Ëheu! hostës illum montem cëpërunt! ” > “Hostës illö monte potïtï sunt” (anche potïrï compare a partire dal cap. XXXVIII); “Quam pulchra est hodië sölis lüx; haec lüx më dëlectat et corpus iuvat” > “Magister sölis lüce fruitur”; “Märcus uxörem düxit Marïam” > “Marïa nüpsit Märcö”; “Antönius studiösissimus est litterärum” > “Antönius studet litterïs”; “Märcï örätiönem audïvï, et crëdö eum omnibus dë rebus rectë sentïre” > “Märcus örätiöne suä magiströ persuäsit”; Faciäs hoc: optimum tibi erit” > Mihi persuäsit ut hoc facerem”; etc.
h) “Oportet Märcum epistulam scrïbere” > “Märcö epistula scrïbenda est.” “Quid dïxit magister?” > “Magister dïxit Märcö epistulam scrïbendam esse”; “Antönï, oportet të claudere iänuam. Quid oportet Antönium facere?” > “Antöniö iänua claudenda est”; “Litterärum studiösus fierï dëbës, Aemilï!” > “Tibi littërïs studendum est, Aemilï! ”; “Märcus nön dëbet esse timidus” > “Märcö nön est timendum”; “Nön dëbëtis semper incertï esse” > “Nöbïs nön est semper dubitandum”; “Omnium discipulörum dux tü esse dëbës” > “Omnës discipulï tibi dücendï sunt!”, etc65.
Fra oportëre, dëbëre e la perifrastica iva c’è sottile differenza: oportëre indica ciò che conviene fare per dovere morale o pratico, dëbëre ciò che bisogna fare per un debito nei confronti di qualcuno, la perifrastica ciò che si deve perché le circostanze lo impongono. Tali differenze non sempre sono così marcate: comunque una certa equivalenza tra oportere e la perifrastica può essere accettata; con dëbëre sarà meglio, come negli esempi qui sopra riportati, adoperare frasi con verbi come esse o fierï, che mancando di gerundivo, utilizzano debëre in ogni caso. Per quanto riguarda i verbi che reggono il dativo, come studëre, nella perifrastica iva la persona si pone in ablativo con ab solo se c’è ambiguità: altrimenti s’à bene il dativo. Ora, qui è evidente che non possono esser le lettere a dedicarsi ad Emilio: cfr. Cic., De or. 1, 105: Gerendus est tibi mös adulëscentibus, dove il contesto chiarisce ampiamente chi è che deve gerere mörem e a chi. Per quanto riguarda opus est e necesse est, il primo indica ciò ch’è utile per un fine preciso; il secondo ciò ch’è indispensabile, inevitabile, ineluttabile (talora addirittura fatale). Bisogna perciò sceglier con cura gli esempi e le sostituzioni che proporremo: sempre cum gränö sälis, naturalmente, e senza eccessiva pedanteria. 65
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Altre costruzioni di grande importanza da ripetere con assiduità sono: i) finali (ut + cong., ad + gerundio / gerundivo, gen. del gerundio / gerundivo + causä, supino); l) consecutive; m) ablativo assoluto; n) cum + cong.; o) congiuntivi indipendenti (esortativo, ottativo, dubitativo, potenziale); p) imperativo negativo; q) aggio dal gerundio al gerundivo.
Anche queste costruzioni possono esser praticate con una gran varietà d’esercizi. Forse il più semplice di tutti è quello che possiamo chiamare coniunge sententiäs: l’insegnante dice due frasi e gli allievi devono unirle usando le costruzioni che di volta in volta s’esercitano: i) “Surgö ex sellä. Volö salütäre Märcum!: Coniunge!” > “Surgis ex sellä ut Märcum salütës / ad salütandum Märcum / Märcum salütandï causä.” (si può anche chiedere ai ragazzi di mimare azioni e domandare: “Quid facis?” “Surgö ex sellä.” “Cür? / Quö cönsiliö?” “Ut aperiam fenestram / ut exeam / ut salütem amïcum / ut librum capiam / ut ...”; “Quid fëcistï?” “Surrëxï ex sellä.” “Cür? / Quö cönsiliö?” “Ut aperïrem fenestram”, etc.).
l) (L’insegnante finge di voler sollevare un sacco): “Heu! Saccus gravissimus est! Eum tollere nön possum!” > “Saccus tam gravis est, ut magister eum tollere nön possit.”
m) “Sellam relinquö et librum sümö” > “Sellä relictä, magister librum sümit.”; “Librum sümö et fäbulam recitö.” > “Librö sümptö, magister fäbulam recitat”; “Fäbulam recitö, sed discipulï dormiunt!” > “Magiströ fäbulam recitante, discipulï dormiunt!”; “Discipulï dormiunt, et ego ïrätus fiö!” > “Discipulïs dormientibus, magister ïrätus fit!”, etc. (si può anche chiedere ai ragazzi di dire ognuno a turno una frase, e di continuare così la storia: ciascuno riprende la proposizione principale di colui che l’ha preceduto, la trasforma, sempre che si possa, in un ablativo assoluto, e formula una nuova proposizione. Se non si può fare un ablativo assoluto, il ragazzo dovrà usare un altro costrutto, per es.: “... Omnibus puerïs currentibus, Antönius cecidit” > “Cum Antönius cecidisset, pater accurrit”.)
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n) Stesso procedimento sopra descritto: “Pästor ovës in campum ëgit.” “Cum pästor ovës in campum ëgisset, sub arbore somnum cëpit.” “Cum somnum cëpisset, ovis aberrävit ä grege.” > “Cum ovis aberrävisset ä grege, canis läträvit.” > “Cum canis läträvisset, pästor aperuit oculös”, etc. Naturalmente l’azione della subordinata può essere anche contemporanea: “... Cum pästor dormïret, ovis in silvam inträvit.” (l’esercizio può anche esser condotto dall’insegnante, come sopra: “Pästor ovës in campum ëgit et sub arbore somnum cëpit; Coniunge sententiäs!” > “Cum pästor ovës in campum ëgisset...”)
o) Per i congiuntivi indipendenti, si può proporre un vero colloquio o uno scambio di battute o una trasformazione; per es.: (M.= Magister; D. = Discipulus) M. “Nölö venïre vöbïscum”. D. “Veniäs, magister!”; “Cür sine nöbïs legitis?” > “Legätis etiam vös!”; etc. “Ö quantum velim novam domum!” > “Utinam novam domum habeam!”; “Dubitö: hanc paginam recitäbö an illam?” > “Quid recitet magister?”; etc.
p) Lo stesso può farsi con gl’imperativi negativi: M. “Märcum pulsäre volö!” D. “Në pulsäveris eum!”; M. “Libellum tuum aperiam!” D. “Nölï aperïre libellum meum!”; etc.
q) M. “Cür stilum et tabuläs in mënsä habës?” D. “Ad scrïbendum.” M. “Ad quid scrïbendum?” D. “Ad scrïbendäs epistuläs”; M. “Ego sum tyrannus. Cür gladium in sacculö tuö occultäs, improbe?” D. “Ad occïdendum.” M. “Ad quem occïdendum?” D. “Ad të, tyranne, occïdendum!”; M. “Ecce hostës barbarï. Cür tü, mïles, catënam in manibus tenës?” Ad quid facta est illa catëna?” D. “Catëna ad vinciendum est facta.” M. “Ad quös vinciendös?” D. “Ad vinciendös hostës!”.
La pratica del coniungere sententiäs può essere utilizzata anche per ripetere più costrutti insieme, per esempio, narrando le fatiche d’Ercole: Sextus labor cönfectus est. Deinde iussus est Herculës leönem Crëtënsem invenïre. Coniunge haec. Herculës, postquam sextum labörem cönfëcit, iussus est etc. Aliter. Cum Herculës sextum labörem cönfëcisset, etc. Aliter. Simul atque... Aliter.
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Sextö laböre cönfectö, etc. Herculës igitur iussus est hunc leönem invenïre et domum referre. Coniunge tü. Herculës iussus est leönem inventum domum referre66.
Per tutte le dipendenti al congiuntivo potrà essere utilizzata questa “Tabula magica”67: VERBO PRINCIPALE
non ato ato
TABULA MAGICA
azione presente
VERBO SUBORDINATA
azione ata
cong. presente cong. perfetto cong. imperfetto
azione futura
-ürus sim
cong. piuccheperfetto -ürus essem
Bisognerà che i ragazzi comprendano bene e mandino a memoria non solo questa Tabula, ma anche alcune piccole e semplici regole pratiche:
1. Coi verba timendï si scambiano “ut” e “në”: temo che = në; temo che non = ut (o në nön). 2. “Il timore non ha futuro”: Gubernätor timet në pïrätae veniant (NON: ventürï sint!)68.
Cfr. The teaching of Latin at the Perse School, Cambridge, cit. (n. 16), p. 25. Così scherzosamente chiamata da H. Loehry nel suo articolo: Oral method, in: “Latin teaching”, June 1964 - Nov. 1966 (la Tabula nel numero di nov. 1966, p. 109), poi pubblicato come libro autonomo: H Loehry, Notes on the oral method of Latin teaching, Centaur books, Slough 1968. 68 Che il rapporto di posteriorità non s’esprima neanche con tutte le completive rette da verbi di volizione, è fatto intuitivo per un italiano: imperö ut veniat = comando che venga! (a nessuno verrebbe mai in mente di dire, anche in italiano, “comando che verrà”: non succede quasi mai dunque che a un ragazzo venga spontaneo di dire in latino imperö ut ventürus sit, che sarebbe errato). Perlopiù lo stesso discorso potrebbe farsi per i verbi che indicano la constatazione d’un fatto, come fit ut, evenit ut, accidit ut ecc.; benché raramente in italiano si dica anche “accadrà che verrà”. Quanto sia importante lo studio contrastivo di questi fenomeni per una più pronta e immediata comprensione della sintassi latina, e per una più rapida assimilazione delle strutture, si dirà più avanti [p. 74]; questo, com’è ovvio, senza voler far sì che il 66 67
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3. In tutte le interrogative indirette non s’usa mai “sï”, ma sempre “-ne, num, an”69.
È spesso utile usare la costruzione prima di spiegarla per suscitare interesse e mostrarne il funzionamento e l’uso. Per questo è necessario chiamare in disparte prima della lezione alcuni ragazzi e dar loro delle frasi che ad un certo momento dell’ora essi dovranno dire; bisogna anche descrivere determinate azioni che dovranno fare. L’insegnante prenderà l’occasione per introdurre esempi della nuova struttura che poi spiegherà. Quanto più divertenti, improvvise, inaspettate saranno le azioni che i ragazzi metteranno in campo, tanto meglio gli alunni ricorderanno la nuova struttura che s’introduce. Esempi chiari di questo procedimento potranno esser visti nel documentario La via degli umanisti, ai capitoli XXVII e XXXIII. La pratica non si deve limitare al giorno o al periodo in cui si sta spiegando il costrutto o il fenomeno, ma dev’esser ripetuta ogni volta che, anche incidentalmente, se ne presenti l’occasione: e le occasioni quotidiane sono infinite. Per esempio: 1. invitando i ragazzi ad aprire i loro libri: Aperïte librös. Quid imperö? > Imperäs ut librös aperiämus. Quid imperävï, Märce? > Imperävistï ut librös aperïrëmus.
2. “Professore, possiamo fare una breve pausa?” Timeö: nam clämäbitis; dein praeses më reprehendet. Quid timeö, Marïa? > Timës në clämëmus; timës në praeses të reprehendat.
3. “Professore, posso uscire?” Lege anteä ultimam sententiam, et posteä exïbis. Quandö exïbit Märcus? > Lëctä ultimä sententiä, Märcus exïre poterit. ragazzo, per parlare o scrivere in latino, debba continuamente, anche solo mentalmente “tradurre” dalla propria lingua. 69 Naturalmente l’insegnante potrà spiegare, anzi, sarà opportuno che spieghi che lo “scambio” nei verba timendï dipende da un aggio storico dalla paratassi all’ipotassi; che non s’usa il futuro, perché nel timore è già implicita l’idea d’una cosa che deve succedere ancora; che le interrogative indirette non hanno un valore congetturale, ipotetico, ma dubitativo; eppure non sarà sufficiente per produrre una pronta capacità di riconoscimento delle strutture e di riproduzione delle stesse: per questo è necessario avere a disposizione un metodo facile, immediato e veloce di riferimento. Non è il caso di spiegare, finché non se ne incontrino esempi, che i verbi che significano “aspettare” o “tentare” hanno spesso sï nell’interrogativa indiretta: Exspectäbam, sï quid scrïberës (Cic.); Cönätï, sï perrumpere possent (Caes.)
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4. Quis vult hanc sententiam in tabulä nigrä scrïbere? Tü, Märce? Bene. Ergö, quö cönsiliö (oppure: cür) Märcus ad tabulam nigram accëdit? > Ut sententiam scrïbat / ad sententiam scrïbendam / sententiam scrïbendï causä. 5. Silëte, quaesö! Quid rogö, discipulï? > Rogäs ut sileämus. Quid iubeö? > Iubës nös silëre. Quid prohibeö? > Prohibës në clämëmus.
6. (Alunni): Marco è assente, professore. (Insegnante): Sapete perché? (Alunni): È malato. (Professore): Ergö, quid nunc accidit Märcö? > Accidit ut aegrötet. 7. Pënsumne perfëcistï, Matthaee? Quid interrogö, Marïa? > Interrogäs num Matthaeus pënsum perfëcerit.
8. Quid fëcistï, Märce? Quid interrogävï, Andrëa? > Interrogästï quid Märcus fëcisset, etc.
Con questo semplicissimo sistema in breve tempo gli studenti s’impadroniranno delle principali strutture sintattiche e potranno riconoscerle e usarle senz’alcuna difficoltà70.
Sfruttare somiglianze e differenze tra italiano e latino
Lo studio contrastivo e quello che parte dall’interno della lingua vanno coniugati in maniera armonica
Non si deve credere, com’è falsa opinione, che il metodo induttivo, in quanto tale, impedisca uno studio contrastivo d’italiano e latino. Le due lingue sono infatti così simili sotto molti rispetti, che tale confronto risulta addirittura d’obbligo ogni volta ch’esso possa essere utile ad apprender meglio il latino, o a divenire più consapevoli dell’italiano. Talora, anzi, ci sembra che un metodo attivo possa contribuire più d’un metodo grammaticale-traduttivo a mostrare somiglianze e differenze. Per quanto riguarda le più frequenti frasi d’uso scolastico, possiamo anche insegnare ai ragazzi a dirle in latino: Licetne exïre?; Pënsum meum nön perfëcï; Märcus hodië abest, quia aegrötat; Unde incipiam? etc. Tra i molti repertori di queste semplicissime frasette, segnalo le Locutiones scholasticae della prematuramente scomparsa Ulrike Wagner (ed. Rudolf Spann, Herrsching, 2000, ISBN 3-929280-16-7); brevi elenchi di espressioni scolastiche frequenti possono leggersi in S. O. Andrews, Praeceptor, cit. (n. 16), p. 60-62, e W. H. S. Jones, Via nova, cit. (n. 2), p. 74-77. 70
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Per esempio: per quanto riguarda il periodo ipotetico, sarà opportuno mostrare com’esso sia sempre uguale all’italiano, tranne che nel secondo tipo e nei cosiddetti exempla ficta; e solo questi andranno realmente imparati71: per gli altri tipi basterà il confronto con l’italiano. La famosa “regola pratica” per le consecutive potrà essere di grande aiuto; si potrà suggerire un’analoga regola pratica per il cum narrativo-causale seguito dal congiuntivo:
Cum = 1) poiché, giacché 2) mentre, dopo che.
I tempi saranno quelli italiani, ma al modo congiuntivo: poiché ero andato = cum ïvissem; giacché faceva = cum faceret; mentre camminava = cum ambuläret; dopo che ho visto Roma, nessuna città mi sembra bella = cum Römam vïderim, nülla alia urbs mihi pulchra vidëtur esse; dopo che aveva udito le imprese di Cesare, volle diventare soldato = cum Caesaris rës gestäs audïvisset, mïles fierï voluit; Giulio interrogò i coloni dopo che aveva fatto una eggiata per i campi = Iülius colönös interrogävit, cum per agrös ambulävisset 72. Sarà opportunissimo mostrare il parallelismo della regola generale della consecütiö italiano-latina in quasi tutti i casi, e soffermarsi dunque solo sulla differenza: italiano “ti chiedo che cosa fi / facevi // abbia fatto / hai fatto nel giardino” vs. latino: të interrogö quid in hortö fëceris (nel discorso diretto sia quid faciëbas?, sia quid fëcistï?: si può confrontare coll’uso dell’infinito perfetto nelle oggettive: sciö eum hoc fëcisse corrisponde sia a hoc fëcit, sia a hoc faciëbat 73); si mostrerà che l’ut finale latino si comporta esattamente come l’affinché italiano, così come si farà notare che i tempi del congiuntivo nelle concessive con cum, quamvïs etc. sono gli stessi dell’italiano con “benAnche negli exempla ficta, in qualche caso almeno, il raffronto con le ipotetiche eventuali italiane può essere agevolmente fatto: Sï quis tälia fëcerit, püniätur = Qualora uno abbia compiuto azioni simili, sia punito. 72 Con “dopo che” l’italiano ammette anche i corrispondenti d’un perfetto latino quando nella principale c’è un tempo storico: “dopo che ebbe letto quella notizia, scoppiò in lacrime; dopo che morì, gli tributarono molti onori”. Si potrà dunque dire che con qualunque tempo ato nella principale, il valore temporale, se non significa “mentre”, s’esprime in latino col piucchepperfetto. 73 Può darsi che i ragazzi chiedano come si faccia a distinguere un’azione consuetudinaria, durativa o ripetuta da un’azione avvenuta una volta sola; si dirà dunque che in latino s’usa solitus sim / solitum fuisse o s’aggiungono avverbi come saepe, crebrö, haud rärö, etc. 71
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ché, sebbene”; che l’ablativo assoluto sopravvive anche in italiano: “Morto Cesare, la repubblica si trasformò in impero”; “Auspice il signor Rossi, quell’impresa fu un successo”; si possono insomma far notare le mille cose che la pratica di ciascuno suggerirà, e sarà opportuno farlo ogni volta che questo parrà utile. Non parliamo qui delle somiglianze e differenze lessicali e dei cosiddetti “falsi amici”: il discorso è infatti troppo ovvio perché debba trovare spazio in una guida.
Il materiale dell’Ørberg non può esser solo materiale di lettura e traduzione
All’origine storica della traduzione come mezzo di verifica
Utilizzare FAMILIA ROMANA solo come materiale di lettura e traduzione fa perdere al corso la sua efficacia e lo snatura nella sua indole. Fino al Settecento nella didattica delle lingue classiche lo scopo che ci si prefiggeva era quello di insegnare una lingua: partire cioè da testi semplici e immediatamente o con lieve sforzo comprensibili, apprendere prima di tutto un vasto numero di vocaboli, costruirsi a poco a poco una copiosa fraseologia, gradualmente, e attraverso l’osservazione e l’imitazione dei testi proposti, imparare la morfologia e la sintassi; praticare tutto ciò che si apprendeva attraverso esercizi vari, con molto coinvolgimento attivo e produttivo da parte dello studente, fino a giungere a generare una competenza e una scioltezza vicina a quella d’un parlante nativo unita alla scaltrezza dello studioso capace di dar ragione dei fenomeni della lingua. Doctrïna e üsus, teoria e pratica uniti in maniera indissolubile per giungere ai migliori risultati. Nonostante la pedanteria di certi ambienti scolastici, le migliori scuole degli umanisti produssero risultati mirabili, tangibili (con buona pace di qualche originale studioso dei nostri giorni) da parte di chiunque sappia valutare le competenze acquisite nella lingua latina da uno scrittore. Verso la fine del Settecento motivi ideologici in prïmïs fecero abbandonare questa strada che aveva dato straordinari risultati, e che aveva fatto intuire, con secoli d’anticipo rispetto alle scoperte della glottodidattica moderna, molte strategie didattiche d’incredibile efficacia. Il latino, sostituito a poco a poco dalle lingue moderne nella produzione scientifica e nella comunicazione scritta e orale fra i dotti, perde gradualmente, anche dietro la pressione nazonalistica del nascente Romanticismo, il suo ruolo di lingua della trasmissione culturale attuale e moderna, e acquista sempre più un significato solo storico; non è più di lapalissiana evidenza che si debba studiar questa lingua per accedere al sapere universale, e si cercano nuove strade
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per giustificarne la sopravvivenza nelle scuole. Le Altertumswissenschaften, col relegare lo studio del latino all’antichità classica, lo trasformano sempre più in una disciplina archeologica e museale, lontana dalle sfide del mondo reale, e dal dibattito dell’attualità. Ecco allora che quegli stessi innovatori della “scienza dell’antichità classica”, rompendo una catena ininterrotta che arrivava almeno fino al Vico e a Ludovico Holberg, propugnano la persistenza del latino nelle scuole non perché sia tanto importante per chi non sia specialista apprendere la lingua di Roma, ma perché questa lingua “logica per eccellenza” fornirebbe l’occasione di sviluppare determinati habitüs del pensiero e della psiche assai importanti per lo svolgimento di qualsiasi attività intellettuale: la pazienza, l’acribia, l’attenzione, la capacità d’analisi e di sintesi: in una parola, il latino, da lingua per la comunicazione di contenuti culturali che trascende i secoli e travalica i tempi, diviene favolosamente una “palestra” per la “ginnastica mentale”. La traduzione, introdotta allora come strumento principe d’apprendimento e di verifica, serve non tanto a imparare la lingua, ma specialmente a produrre quegli effetti di formazione generale da poter poi trasferire ad altri ambiti d’indagine e d’attività intellettuale: il giovane discente è addestrato soprattutto al problem solving: deve, per lo stesso scopo che ci si prefigge, esser posto di fronte a difficoltà di volta in volta lievemente o anche sensibilmente superiori alle sue forze e alle sue reali competenze, perché, attraverso l’esercizio della pazienza, dell’attenzione, della diligenza, adoperi i suoi poveri mezzi, tutti solo astrattamente razionali e logici, per trovare il bandolo della matassa a lui proposta come prova, e sciogliere l’enigma che ha di fronte come sfida. L’apprendimento del lessico non ha più importanza, perché anzi egli deve “imparare a usare il vocabolario”, che significherebbe, nelle intenzioni dei fautori della Formale Bildung applicata alle lingue classiche, domare e frenare la sua volontà di comprensione immediata, e analizzare con pazienza i singoli lemmi, leggendo da cima a fondo ogni colonna del dizionario per cercare l’accezione che meglio s’attaglia al contesto che egli deve analizzare, sezionare, sminuzzare, anatomizzare con gli strumenti della logica che un apprendimento teorico della grammatica dovrebbe avergli messo a disposizione. Se per i più questo lavoro risulta frustrante, demotivante, tedioso, insopportabile, tanto meglio: il latino avrà assolto al suo compito di selezionatore e scrematore sociale, avrà separato coloro che son destinati ad alte attività dell’intelletto da quelli che sono per natura votati alle attività pratiche, meccaniche e di picciolo affare. Oggi queste posizioni sono state duramente criticate (forse anche oltre misura) dagli esperti di psicologia cognitiva, dagli studiosi di
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glottodidattica, da chi s’occupa professionalmente della formazione degli adolescenti; le argomentazioni contrarie non si contano: si va da chi, prove alla mano, dimostra che non minore palestra di logica potrebb’essere lo studio d’altre discipline ben più “spendibili” anche dal punto di vista pratico, come la matematica, la logica formale, la logica computazionale o anche alcune lingue moderne come il tedesco; a chi accusa la Formale Bildung di non tener conto dei rischi di selezione al contrario: la creatività, l’originalità, la capacità di mettere in campo tutte le facoltà dell’intelletto e non solo quelle dell’arida astrazione razionale (di cui non si mette in alcun modo in discussione la fondamentalissima importanza), verrebbero dall’impostazione formale castrate e compresse a favore di capacità che spesso son proprie di individui diligenti, sì, ma poco dotati d’altre virtù; il rischio grande, che vien messo in rilievo, è che tale studio inibisca l’intelligenza nelle sue poliedriche e multiformi capacità, per sviluppare solo una parte di essa, che, privata delle altre, sfocia facilmente nella pedanteria erudita priva di vivacità mentale e di prontezza. Lo studio formale del latino non consente mai allo studente, se non dopo interminabili anni di preparazione specialistica, e spesso neanche dopo un tirocinio infinito, di giungere a gustare i testi classici (antichi, medievali o moderni), producendo un blocco mentale che impedisce la lettura diretta e la comprensione non filtrata attraverso l’analisi sminuzzante, la notomizzazione pseudologica, la cosiddetta “costruzione” e, soprattutto, il aggio, esplicito o implicito, per la traduzione nella lingua materna del discente. Mai l’alunno potrà entrare nelle corti degli antichi huomini per interrogarli, e udire le voci dei grandi che per loro cortesia gli rispondono, e cibarsi di quel cibo che solum è fatto per lui e per il quale egli nacque.
Il materiale del corso dell’Ørberg è strutturato in maniera tale che la lingua sia davvero per së illüsträta, senza che risulti necessario il aggio per la lingua materna del discente; la struttura paratattica nei brani iniziali, la ripetizione studiata del lessico e la piena interiorizzazione delle caratteristiche morfo-sintattiche fanno sì che ogni pagina sia comprensibile immediatamente sulla base delle competenze che di volta in volta l’alunno acquisisce; ne consegue che il mero esercizio di traduzione per verificare la compensione diviene sterile e inefficace. Molto meglio sarà utilizzare tutta una serie di altri esercizi, più sotto elencati (vedi p. 125), che non solo permetteranno una più appropriata verifica delle competenze, ma eviteranno una semplice comprensione iva dei testi, che, per la loro iniziale semplicità, possono ingannare l’alunno e fargli credere che non sia necessaria anche un’accurata riflessione razionale e grammaticale; molto più che il metodo
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grammaticale-traduttivo, il metodo induttivo richiede una continua attività che faccia anche comprendere sin da sùbito all’alunno che non deve solo capire “ad orecchio” basandosi sulla similarità con l’italiano, ma che deve penetrare nelle forme e nella struttura della lingua che impara, e assimilarle pienamente, da un lato comprendendone razionalmente il funzionamento, e sviluppando dall’altra una capacità immediata di riconoscimento delle funzioni e dell’uso delle strutture. Se insomma è assai facile per un italiano capire cosa voglia dire in imperiö Römänö sunt multae prövinciae, assai meno facile è produrre lo stesso enunciato senza errori, a meno che non siano state ben comprese dall’interno e fatte proprie le “regole” che sono sottese alla lingua. L’uso attivo sin dai primi stadi permetterà d’allenare e sviluppare quella che gli studiosi anglofoni chiamano language awareness assieme alla language consciousness: consapevolezza e capacità di reddere ratiönem dei fenomeni linguistici unita alla coscienza profonda di forme e strutture trasformate in sücum et sanguinem prontissimamente, immediatamente e con sicurezza riconosciute e messe in opera74. Questa doppia competenza amplifica e rafforza le capacità di chi impara, per diventare addirittura indispensabile negli stadi più alti dell’apprendimento e di fronte a testi di difficoltà maggiore: non bisogna mai dimenticare che la mèta è quella della lettura corrente di opere retoricamente e letterariamente assai elaborate, e non la produzione di frasette adatte a cavarsela nel quotidiano per spiccioli scopi pratici, come potrebb’essere nella didattica di primissimo livello delle lingue moderne. L’idea di fondo è questa: presentare di volta in volta testi che non offrano al discente particolari o insuperabili difficoltà, perché egli, non eccessivamente distratto dall’ostacolo della comprensione o addirittura d’una decifrazione del senso, possa concentrarsi sull’assimilazione totale e completa e sull’acquisizione della padronanza pronta e sicura dei nuovi vocaboli, delle forme e delle strutture di volta in volta presentate. I testi vanno dunque utilizzati a questo scopo, cioè per impadronirsi di lessico, morfologia e sintassi attraverso esercizi mirati e attivi. In altri termini, introdotti da Stephen Krashen, si tratta di sviluppare sia un’acquisizione (acquisition) sia un apprendimento (learning); il Krashen dubita fortemente che un apprendimento razionale possa mai trasformarsi in una reale acquisizione, mentre è ben possibile (e, nel caso delle lingue classiche, a mio parere indispensabile) che avvenga il contrario: cioè che un fenomeno linguistico acquisito negli stati profondi della coscienza, in modo che sia immediatamente riconosciuto e riproducibile, possa esser portato alla consapevolezza razionale attraverso uno studio teorico che ne i, corregga e corrobori l’acquisizione. 74
Language awareness e language consciousness
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L’apprendimento del lessico dev’esser posto in primo piano
Il lessico frequenziale
Da quanto sopra detto discende naturalmente che uno dei punti fondamentali su cui si basa il corso è una sicura e duratura acquisizione dei vocaboli. Un’abitudine radicatasi sin dalla metà dell’Ottocento e ormai inveterata nelle scuole italiane fa sì che spesso s’accentri la lezione su morfologia e sintassi, trascurando l’apprendimento lessicale; anche manuali recenti, i cui autori per buona ventura hanno sottolineato l’importanza d’imparare quanti più vocaboli possibile, non presentano poi altro che elenchi di parole, quasi sempre non ati da adeguati esercizi, e al massimo offrono al discente quadri e tabelle con famiglie lessicali e derivazioni etimologiche. Su questa strada è illusorio sperare che un alunno possa, nel corso d’un biennio, apprendere quelle poche migliaia di vocaboli (il cui numero si riduce drasticamente per un italiano!) che gli sarebbero indispensabili per una lettura corrente e non sofferta dei testi letterari. Com’è noto, gli studi sul vocabolario frequenziale della lingua latina, principiati molti anni fa, e recepiti nella didattica già a partire dalla Heath-Chicago Latin series negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, hanno ricevuto un forte impulso dalle ricerche svolte dagli studiosi di Liegi (1981) e di Besançon (1982), e portate in Italia soprattutto grazie alla mediazione di sco Piazzi e di Luciano Stupazzini; secondo questi studi, condotti anche con l’ausilio di elaboratori elettronici e su autori diversi, le prime milleseicento parole del lessico frequenziale costituiscono l’ottantacinque per cento dell’intero vocabolario latino a noi giunto attraverso il corpus degli scittori antichi. A queste parole vanno aggiunti altri vocaboli propri dell’idioletto dei singoli autori o del lessico specifico di singoli campi. Per un italiano medio, anche tenendo presente l’estrema povertà lessicale da cui sono sempre più affette le masse giovanili, il numero dei vocaboli latini da memorizzare, considerata la similarità con parole italiane di uguale o simile significato, scende di molto. Anche i cosiddetti “falsi amici” spesso non sono parole di senso completamente diverso, ma solo vocaboli che hanno subito un lieve slittamento di significato: ed è certo assai più semplice per un italiano ricordare che casa in latino vale “capanna” di quanto non lo sia per un inglese, il quale nella sua lingua materna dice hut o cabin. Una volta stabilito però, sulla base della frequenza e della gerarchia di parole (è stato infatti giustamente notato che alcune parole chiave di concetti che formano la civiltà occidentale non per questo devono necessariamente esser frequentissime nei testi d’au-
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tore) quali vocaboli far imparare e possedere ai nostri alunni, bisognerà anche identificare le strade per comprendere come far assimilare il lessico. Già il y (1899) e poi il Palmer (1917) avevano sottolineato che le parole vanno apprese non singolarmente in elenchi astratti e isolati, ma in situazione: il Palmer in particolare sviluppò il concetto di spatialization, secondo cui una parola viene appresa collegandola al “luogo” (place) nel quale è stata imparata: per “luogo” s’intendono spazi o circostanze di tempo reali o immaginarie in cui la parola viene adoperata; essi fungono da ‘sostegni mnemonici’ che appoggiano il vocabolo quasi inserendolo in una cornice che ne favorisce la memorizzazione. Il “luogo” può esser determinato da ausili visuali (immagini, disegni, pitture, fotografie), da oggetti (reälia), da azioni, da narrazioni e da altri tipi di rappresentazioni. Le strategie che da allora la moderna glottodidattica ha sviluppato per l’apprendimento del lessico sono tante, e si tenterà più avanti di darne un breve sommario, suggerendo alcune tecniche che posono essere utili anche per l’insegnamento del latino. Piuttosto recentemente (1971) il cosiddetto lexical approach ha segnato un ulteriore o avanti nella didattica delle lingue: secondo il Lewis, che conforta le sue affermazioni con una notevole mèsse di prove sperimentali, non esiste semplicemente un “vocabolario” fatto di parole isolate, ma in ogni lingua vi sono dei nessi fissi o semifissi (chunks) portatori di senso, che consentono a chi ascolta o legge di prevedere lo sviluppo degli enunciati, e a chi parla di sviluppare una scorrevolezza e una fluidità nell’espressione. Questi nessi non sono soltanto le frasi idiomatiche (idioms) proprie d’ogni lingua, ma delle unioni fraseologiche che ogni parola ha con alcuni vocaboli e non con altri. L’insieme di singole parole e delle loro possibili combinazioni nel parlato e nello scritto formano la lexis; e non esiste una grammatica lessicalizzata, ma la lingua nasce come lexis e viene poi ‘grammaticalizzata’. Fino ad oggi, per quel che è a me noto, questi interessantissimi studi ― che in buona parte riprendono alcune brillantissime intuizioni degli umanisti, espresse nei loro trattati dë duplicï cöpiä verbörum et rërum ― non hanno trovato larga applicazione nella didattica delle lingue classiche. Eppure queste lingue, proprio per la loro forte formalizzazione e per l’impianto retorico che regge la maggior parte dei testi a noi pervenuti, offrono un campo assai fecondo per il lexical approach. Per comprendere quanto l’utilizzo di questi nessi ricorrenti formi e strutturi un testo letterario latino, basterà aprire a caso i Commentäriï di Cesare, e analizzare quanti siano i chunks ivi presenti, che ricompaiono in altre parti della sua stessa opera o in opere di altri
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La spatialization
Il lexical approach
La struttura lessicale d’un testo latino
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autori latini coevi, anteriori o posteriori. Prendiamo ad esempio Dë bellö Gallicö 7, 475:
Similï ratiöne76 ibi Vercingetorïx, Celtillï fïlius, Arvernus, summae potentiae adulëscëns77, cuius pater prïncipätum Galliae totïus obtinuerat78 79et ob eam causam80, quod rëgnum appetëbat81, ab cïvitäte erat interfectus, convocätïs suïs clientibus82 facile incendit. Cognitö eius cönsiliö83 ad arma concurritur84. Prohibëtur ab Gobannitiöne, patruö suö, reliquïsque prïncipibus, quï hanc temptandam fortünam85
La maggior parte dei confronti è tratta dagli stessi Commentäriï dë bellö Gallicö, e non è quindi indicato il titolo dell’opera; BC = Bellum cïvïle. Le altre opere sono indicate come di consueto. 76 7, 38:... hortätur ut similï ratiöne atque ipse fëcerit suäs iniüriäs persequantur; BC 3, 76: Similï ratiöne Pompëius cönfectö eius diëï itinere in suïs veteribus castrïs ad Asparagium cönsëdit. 77 7, 32: …Cotum, antïquissimä familiä nätum atque ipsum hominem summae potentiae et magnae cognätiönis…; BC 3, 35: summae nöbilitätis adulëscëns. 78 1, 3: …itemque Dumnorïgï Haeduö, frätrï Diviciacï, quï eö tempore prïncipätum in cïvitäte obtinëbat ac mäximë plëbï acceptus erat, ut idem cönärëtur persuädet; 1, 17: sï iam prïncipätum Galliae obtinëre nön possent; 1, 3 pater rëgnum in Sëquanïs multös annös obtinuerat; ... cuius lëgätiönis Nammëius et Verucloetius prïncipem locum obtinëbant. 79 1, 3: cuius pater rëgnum in Sëquanïs multös annös obtinuerat; 1, 47: cuius pater...; 5, 20: cuius pater in eä cïvitäte rëgnum obtinuerat; 7, 31: cuius pater ab senätü noströ amïcus erat appellätus. 80 1, 17: ...ob eam causam quam diü potuerit tacuisse; 3, 23: obsidëre et castrïs satis praesidiï relinquere, ob eam causam minus commodë frümentum commeätumque sibi ärï; 5, 33: posse in itinere accidere atque ob eam causam profectiönis auctor nön fuisset; 6, 16 ob eam causam, quï sunt adfectï graviöribus morbïs ...prö victimïs hominës immolant; idque ab druidibus proditum dïcunt; 6,18 ob eam causam spatia omnis temporis nön numerö diërum, sed noctium fïniunt. 81 Cic, Prö Milöne 72, 8: in suspïciönem incidit rëgnï appetendï; Philippicae 2, 114, 6: propter suspïciönem rëgnï appetendï sunt necätï; 2, 114, 7: nön in rëgnum appetentem, sed in rëgnantem impetum fëcërunt. 82 1, 16: convocätïs eörum prïncipibus; 7, 38: convocätïs subitö mïlitibus lacrimäns, “Quö proficiscimur,” inquit, “mïlitës?” 83 7, 39: Ex eïs Eporedorïx cognitö Litaviccï cönsiliö… 84 2, 20: Caesarï omnia ünö tempore erant agenda: vexillum pröpönendum, quod erat ïnsigne, cum ad arma concurrï oportëret…; 3, 22: cum ad arma mïlitës concurrissent; 5, 39: nostrï celeriter ad arma concurrunt. 85 1, 36: Haeduös sibi, quoniam bellï fortünam temptässent et armïs congressï ac superätï essent, stipendiäriös esse factös; 3, 6: saepius fortünam temptäre Galba nölëbat; 5, 55: nön esse amplius fortünam temptätürös; 7, 64: neque fortünam temptätürum; BC 3, 60: temptäre fortünam. 75
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non exïstimäbant; expellitur ex oppidö86 Gergoviä; nön dëstitit tamen atque in agrïs habet dïlëctum87 egentium ac perditörum. Häc coactä manü88, quöscumque adit ex cïvitäte ad suam sententiam perdücit89; hortätur ut commünis lïbertätis causä90 arma capiant91, magnïsque coactïs cöpiïs92 adversariös suös ä quibus paulö ante erat eiectus expellit ex cïvitäte. Rëx ab suïs appellätur93. Dïmittit quöque versus lëgätiönës94; obtestätur ut in fide maneant95. Celeriter sibi Senonës, Parïsiös, Pictönës, Cadurcös, Turonös, Aulercös, Lemövïcës, Andös reliquösque omnës96 quï Öceanum attingunt97 adiungit98: omnium BC 2, 20: ex oppidö expellerent. 6, 1: dïlëctum habëre ïnstituit; 7, 1: dïlëctum töta prövincia habëre ïnstituit; BC 1, 2: dïlëctüs tötä Italiä habitï; BC 1, 6: tötä Italiä dïlëctus habeätur; BC 1, 6: tötä Italiä dïlëctus habentur; BC 1, 9: tötä Italiä dïlëctus habërï; BC 1, 11: dïlëctüs habëre; BC 1, 11: dïlëctum habëre ïnstituit; BC 1, 12: dïlëctumque... habëbat ; BC 1, 14 : dïlëctumque... habëre ïnstituit; BC 1, 30: dïlëctus habëbat; BC 1, 31: dïlëctüque habitö; BC 2, 18: dïlëctum habuit. 88 6, 5: nüllä coactä manü. 89 2, 10: Ad eam sententiam cum reliquïs causïs haec quoque ratiö eös dëdüxit; 3, 8: Omnï örä maritimä celeriter ad suam sententiam perductä. 90 2, 5: commünisque salütis; 5, 48: ünum commünis salütis auxilium in celeritäte pönëbat; 7, 2: commünis salütis causä; 7, 29: commünis salütis causä; 7, 89: commünis lïbertätis causä; BC 1, 24: commünis salütis. 91 7,12: clämöre sublätö arma capere; 3, 18: arma utï capiant; 3, 28: arma cëpërunt; 4, 14: arma capiendï spatiö datö; 4, 14: arma capere potuërunt; 6, 38: capit arma; 7, 12: arma capere. 92 7, 56: ut prius quam essent maiörës eö coactae cöpiae dïmicäret; 7, 66: maiöribus enim coactïs cöpiïs. 93 1, 35: cum... rëx atque amïcus ab senätü appellätus esset; 1, 43: rëx appellätus esset ä senätü; BC 1, 4: rëgum appellandörum largïtiönibus movëtur; BC 2, 26: imperätor appellätur; 2, 32: vös më imperätöris nömine appellävistis; BC 3, 31: imperätörem së appelläverat; 3, 71: imperätor est appellätus. 94 5, 53: nüntiös lëgätiönësque in omnës partës dïmittëbant; 3, 23: lëgätös quöque versus dïmittere; BC 1, 36: classem quöque versus dïmittere. 95 2, 14: Bellovacös omnï tempore in fidë atque amïcitiä cïvitätis Haeduae fuisse; 6, 4: adeunt per Aeduös, quörum antïquitus erat in fidë cïvitäs; 7, 5: Eius adventü Biturïgës ad Aeduös, quörum erant in fidë, lëgätös mittunt subsidium rogätum; 7, 10: praemittit ad Boiös quï dë suö adventü doceant hortenturque ut in fidë maneant. 96 1, 28: reliquös omnës; 1, 53: reliquös omnës; 2, 3: reliquös omnës; BC 1, 85: reliquös enim omnës; 3, 38: reliquös omnës. 97 2, 34: sunt maritimae cïvitätës Öceanumque attingunt; 7, 75: üniversïs cïvitätibus, quae Öceanum attingunt. 98 6, 2: Ambiorïgem sibi societäte et foedere adiungunt; 6, 12: Ariovistum sibi adiunxerant. 86
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cönsënsü99 ad eum dëfertur imperium100. Quä oblätä potestäte omnibus hïs cïvitätibus obsidës imperat101, certum numerum mïlitum102 ad së celeriter addücï iubet103, armörum quantum quaeque cïvitäs domï quodque ante tempus efficiat cönstituit; in prïmïs104 equitätuï studet. Summae dïligentiae105 summam imperiï sevëritätem addit; magnitüdine suppliciï106 dubitantës cögit. Nam maiöre commissö dëlictö ignï atque omnibus tormentïs necat107, leviöre dë causä108 auribus dësectïs aut singulïs effossïs oculïs109 domum remittit110, ut sint reliquïs documentö111 et magnitüdine poenae112 perterreant aliös.
Com’è evidente, Cesare intesse una vera tela, un vero e proprio textus, non utilizzando solo singole parole, ma facendo larghissimo uso di verba coniuncta, di iunctürae, commissürae verbörum, che consentono a lui una maggiore scorrevolezza nel dettare le sue pagine, e al lettore una maggiore fluidità nel recepirne il messaggio. Se si prescinde dai nomi propri e da poche altre espressioni, si vedrà facilmente che la maggior parte del brano è composto da nessi fissi o semifissi, ricorrenti altrove, proprio come sostiene il Lewis. Possiamo individuare almeno questi blocchi fraseologici:
2, 28: omnium quï supererant cönsënsü lëgätös ad Caesarem mïsërunt; 2, 29: cönsënsü eörum omnium; 7, 15: Omnium cönsënsü häc sententiä probätä. 100 2, 4: summam totïus bellï omnium voluntäte dëferrï; 5, 6: dïxerat sibi ä Caesare rëgnum cïvitätis dëferrï; 6, 2: ad eius propinquös ä Trëverïs imperium dëfertur. 101 4, 27: obsidësque imperävit; 5, 1: obsidës imperat; 5, 22: obsidës imperat; 7, 64: ille imperat reliquïs cïvitätibus obsidës. 102 7, 31: certum numerum mïlitum; 7, 75: certum numerum cuique cïvitätï imperandum; BC 1, 30: equitum peditumque certum numerum. 103 2, 5: obsidës ad së addücï iussit; 4, 18: obsidësque ad së addücï iubet. 104 1, 33: in prïmïs; 3, 10: in prïmïs; 5, 6: in prïmïs; 5, 54: in prïmïs; 6, 14: in prïmïs; 7, 1: in prïmïs; 7, 45: in prïmïs. 105 6, 36: summä dïligentiä; BC 1, 77: summä dïligentiä. 106 BC 3, 8: magnitüdine poenae reliquös terrërï speräns. 107 6, 19: ignï atque omnibus tormentïs excruciätäs interficiunt; Cic. Nät. deör. 3, 82: tormentïs necätum. 108 Cic. Dï fïn. 3, 42: leviöre dë causä. 109 Cic. Rëp. 3, 27: effodiantur oculï; Nät. deör. 3, 91: oculös... effodërunt; A. Gellius, 10, 17: oculös effodere; Dïgesta Iüstïn. 9, 2, 52: oculös effoderat; Ibïd.: nisi datä operä oculum effodisset; Plaut. Aululäria 189: oculös effodiam; Captïvï 464: oculös effodiam. 110 1, 43: si nüllam partem Germänörum domum remittere posset; 4, 21: eös domum remittit. 111 BC 3, 10: ipsï incommodïs suïs satis essent documentö. 112 BC 3, 8: magnitüdine poenae reliquös terrërï speräns. 99
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similï ratiöne summae potentiae prïncipätum obtinëre ob eam causam (quod) rëgnum appetere convocätïs clientibus cognitö (eius) cönsiliö ad arma concurrere temptäre fortünam expellï ex oppidö / ex cïvitäte habëre dïlëctum coactä manü / coäctïs cöpiïs (cögere manum / cögere cöpiäs) aliquem ad propriam sententiam perdücere commünis lïbertäs / commünis lïbertätis causä arma capere rëx / imperätor appellärï ä suïs dïmittere (quöque versus) lëgätiönës obtestärï / hortärï ut aliquis in fide maneat (in fide manëre) sibi adiungere aliquem reliquï omnës Öceanum attingere omnium cönsënsü imperium ad aliquem dëferre obsidës imperäre certum numerum (mïlitum) imperäre aliquem ad së addücï iubëre in prïmïs summä dïligentiä magnitüdö suppliciï / magnitüdö poenae ignï atque omnibus tormentïs interficere / necäre leviöre dë causä oculös effodere domum remittere esse alicui documentö
A questi vanno aggiunti altri nessi, la cui prevedibilità è alta, data l’analogia con iunctürae assai simili:
acc. del gerundio / gerundivo + exïstimäre113
1, 23: reï frümentäriae pröspiciendum exïstimäns; 1, 37: mätürandum sibi exïstimävit; 1, 38: sibi praecavendum Caesar exïstimäbat; 2, 2: dubitandum nön exïstimävit; 2, 17: nön omittendum sibi cönsilium Nerviï exïstimävërunt;
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quä oblätä potestäte114 maiöre commissö dëlictö115 auribus dësectïs116
Il Lewis suggerisce che la lexis sia formata da elementi che potrebbero esser così classificati117: - parole semplici (per es.: liber, calamus); - parole plurime (per es.: plüs minusve, sërius öcius, ex professö, in prïmïs); - ‘collocazioni’ o società di parole (per es.: probë nosse, committere proelium, örätiönem habëre); - espressioni istituzionalizzate (per es.: Cögitantï mihi..., ut ita dïcam, quid plüra?, ut brevï comprehendam, päce tuä dïxerim, per më licet; quid mïrum? quid ergö?); - inquadramento o inizio fisso di frasi (per es: Ex quö intellegitur....; Addücï nön possum ut crëdam / nëmö addücï potest ut crëdat...; id quod gravissimum est... Nëmö dubitat quïn...;) e anche inquadramenti di testi o di periodi: (per es.: Prïmum... deinde... tum... denique; vix potest crëdï / dïcï quam...; dïcam quod sentiö).
3, 3: nihil dë bellö timendum exïstimäverat; 3, 17: dïmicandum nön exïstimäbat; 3, 23: nön cünctandum exïstimävit; 4, 5: nihil hïs committendum exïstimävit; 4, 6: ea quae cognöverat dissimulanda sibi exïstimävit; 4, 13: nihil spatiï dandum exïstimäbat; 4, 17: nön trädücendum exercitum exïstimäbat; 4, 36: nävigätiönem subiciendam nön exïstimäbat; 5, 28: nön neglegenda exïstimäbant; 5, 28: discedendum exïstimäbant; 5, 49: remittendum dë celeritäte exïstimäbat; 6, 5: detrahenda auxilia exïstimäbat; 6, 31: quod proeliö dïmicandum nön exïstimäret; 7, 7: cönsiliïs antevertendum exïstimävit; 7, 25: praetereundum nön exïstimävimus; 7, 30: omnia... sibi patienda et perferenda exïstimärent; 7, 33: praevertendum exïstimävit; 7, 55: nön praetermittendum... tantum commodum exïstimävërunt; 7, 56: faciundum exïstimäbant. 114 6, 35: oblätä spë; BC 1, 72: oblätä facultäte; 2, 12: quä novä rë oblätä. 115 Cic. Prö Sull. 6, 4: tantö scelere commissö; In Verrem 2, 1: quae tantum facinus commiserit. 116 dësecäre e prösecäre s’adoperando specialmente per parlare del taglio di parti del corpo o dei tagli di piante ed erbe in agricoltura; cfr. Apul. Met. 1, 13: quïn... virïlia dësecämus?; ibïd. 2, 22: id omne dë facië suä dësectö; Liv. 2, 31: tötä cervïce dësectä; Plin. Panegyr. 26, 6: dësectum corpore caput; Propert. 4, 10, 37-38: dësecta Tolumnï / cervïx; Verg. Aen. 8, 438: dësectö... collö; Apul. Met. 2, 30: prösectïs näsö... ac mox auribus; 2, 30: in modum prösectärum... aurium. 117 M. Lewis, “Pedagogical implications of the lexical approach”, in: J. Coady e T. Huckin (a cura di), Second language vocabulary acquisition: A rationale for pedagogy, Cambridge university Press, Cambridge 1997 p. 255-270.
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IL CORSO NEI DETTAGLI
È dunque di vitale importanza che l’attenzione del discente sia rivolta non solo verso le parole singole e isolate, ma verso quei nessi che producono espressioni istituzionalizzate e ‘collocazioni’ di vocaboli; invece di sole parole staccate l’una dall’altra, bisogna “sforzarsi coscientemente di pensare alle ‘collocazioni’ [...] invece di tentare di disgregare le unità in pezzetti sempre più piccoli, ci dev’essere uno sforzo consapevole di guardare le cose in modi più ampi, più olistici”118. In appendice a questa Guida l’insegnante troverà un elenco dei nessi fraseologici più importanti che si trovano in FAMILIA ROMANA (vedi p. 215).
È davvero fondamentale per la comprensione dei testi la maniera in cui, leggendoli, lo studente li suddivide: è da questa suddivisione che si comprende il significato. Se l’alunno non giunge a vedere nel testo una successione di nessi e verba coniuncta, che siano legati dal ritmo e dal suono o siano fissi per un vincolo idiomatico, ma continuerà a scorgere solo una successione di parole slegate, gli risulterà assai difficile, se non impossibile, capire il significato dell’insieme.119 Importantissimo è anche che vi sia una studiata ripetizione non solo iva, ma consapevolmente attiva del lessico che vien gradualmente presentato all’alunno perché lo assimili. E questa ripetizione è bene che avvenga all’interno di contesti significativi, e col o di ausili visivi, gestuali, ludici, di azioni e messa in iscena.
È insomma necessario che l’insegnante si convinca dell’importanza dell’apprendimento lessicale e prenda coscienza che se gli studenti non riconoscono il significato delle parole chiave d’un testo, o non sono in grado di identificare e prevedere i nessi fraseologici, non M. Lewis, Implementing the lexical approach: Putting theory into practice, Language Teaching Publications, Hove 1997, p. 204. 119 Il fatto è stato ben compreso anche da chi non fa esplicito riferimento alle teorie del lexical approach, per esempio, nella didattica del latino, dagli autori del metodo denominato Ars legendi (vedi: R Lenaers [et alii], Atrium, Wolters Plantyn, 1999; Idem, Tablinum, Ibid., 1999), e dai fautori dei cosiddetti High segmentation acceleration readers (per cui vedi: www.slu.edu/colleges/AS/languages/classical/latin/tchmat/readers/accreaders/arprefh.html; testi graficamente organizzati in questo modo possono esser letti nel sito: www.geocities.com/blas3/quotidie, del compianto Felix Sanchez Vallejo, e nel sito: www.slu.edu/colleges/AS/languages/classical/latin/tchmat/readers/lho-epitome/lho-index.html, in cui l’intera Epitome Historiae sacrae dell’abate Lhomond è presentata con una forma che sottolinea nessi, cola e commata. 118
L’importanza dell’apprendimento lessicale
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potranno mai essere in grado di leggere correntemente un testo latino, anche se conoscono a menadito morfologia e sintassi. Il metodo induttivo-contestuale si fonda sulla certezza che per le lingue classiche sia necessaria una solida competenza grammaticale, e che non sia il caso di sostituire l’insegnamento grammaticale con una didattica incentrata solo sul lessico; ma la didattica d’una lingua che non dia ampio spazio e forte peso all’apprendimento dei vocaboli e della fraseologia è monca e destinata a non raggiungere il suo obiettivo. D’altro canto anche progetti europei recenti hanno dimostrato in maniera inoppugnabile che “gli studenti, posti di fronte a un testo in una lingua che ignorano, sono bloccati principalmente dalle parole che non capiscono, e non tanto da strutture complesse, da verbi irregolari, da tempi verbali, ecc. Persino i temuti falsi amici sono disambiguati dal contesto e vengono spesso interpretati correttamente.”120
Autori vari, C’era una volta il metodo (tendenze attuali nella didattica delle lingue straniere), a cura di Carlo Serra Borneto, Carocci, Roma 1998, p. 278.
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L’INSEGNANTE E LINGVA LATINA Come prepararsi?
L’insegnante deve conoscere prima d’entrare in classe ogni parte del capitolo che intende affrontare; dovrà esser pronto a leggerlo a voce alta con espressività e vivacità, ponendo attenzione alle pause e al raggruppamento di parole che vanno unite per il senso; non dovrà temere di adoperare abbondantemente mimica e gestualità. Non deve avere esitazioni sulla pronunzia, ed esser preparato a correggere gli eventuali errori degli alunni. Sarà bene che il docente, con un evidenziatore, e magari con colori diversi, sottolinei tutte le parti sulle quali vuole soffermarsi; se intende spiegare in latino frasi, vocaboli o intere parti del testo, sarà opportuno che prepari il materiale prima della lezione con una certa cura. A mano a mano che l’esperienza dell’insegnante cresce, questa preparazione così minuziosa non sarà più necessaria, e tutto riuscirà spontaneo e naturale: all’inizio però, è meglio avere a disposizione delle note, per evitare esitazioni e incertezze. Si badi a usare solo parole, espressioni, forme e strutture che gli alunni già conoscono e che siano da loro facilmente comprensibili. Un insegnante italiano può, con una certa cautela, anche introdurre altre parole che siano d’immediata comprensione per avere nella nostra lingua un perfetto equivalente. Si tengano presenti i seguenti princìpi: 1. È essenziale che ogni lezione abbia come un piano da realizzare. Questo piano può esser mentale o può esser messo per iscritto: ma ogni insegnante deve aver ben chiaro, prima d’entrare in classe, cosa vuole raggiungere con lo studio delle singole parti del corso.
2. Le lezioni devono esser condotte con vigore e sicurezza. I ragazzi devono sentire questa fiducia che vien loro trasmessa dall’insegnante. Si scherzi, si giochi, non si tema d’essere anche un po’ istrionici, ma si tenga ben presente il risultato che si vuole, che si deve raggiungere.
L’insegnante e LINGVA LATINA
Princìpi generali
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3. Le attività in classe devono esser quanto più varie possibile. S’adoperino per questo i suggerimenti che vengono proposti nella parte di questa Guida dedicata a esercizi e verifiche (vedi p. 125). Nulla è più nocivo all’apprendimento della monotonia. L’interesse e l’attenzione degli studenti solitamente non supera i quindici minuti. La stessa attività può però esser proposta in lezioni diverse. Giochi e competizioni potranno aiutare molto a tener desto l’interesse degli alunni. Ogni lezione dovrebbe idealmente includere uno spazio per la pratica d’ascolto e comprensione, di produzione orale, di lettura e di scrittura in latino. 4. L’insegnante deve esser pronto a cambiare il suo piano, qualora noti stanchezza, calo d’attenzione, mancata efficacia dei mezzi messi in campo, problemi di qualunque genere che siano sorti. Deve dunque prevedere quest’evenienza e tenere a disposizione un piano alternativo.
Alcuni consigli
Le lezioni possono esser pianificate in modi diversi; più avanti (vedi p. 111) si troverà uno schema tipico, dal quale però non si deve temere d’allontanarsi, per dare maggiore varietà alla nostra pratica didattica. In genere si tengano presenti i seguenti punti:
a. Revisione del lavoro precedentemente svolto: veloce correzione degli esercizi, sommari orali, domande in latino. b. Introduzione del materiale nuovo: lettura ad alta voce, domande di comprensione, esercizi vari, drammatizzazione, spiegazione dei punti grammaticali.
c. Esercizi per consolidare quanto incontrato e spiegato. Sui singoli punti, specie se di grande importanza e frequenza, si tornerà anche in lezioni successive, come spiegato sopra (vedi p. 64).
d. Breve preparazione e spiegazione del lavoro da svolgere a casa.
L’insegnante farà bene a non consentire all’alunno di scriver nell’interlinea la “traduzione” di parole e frasi. Sin dal principio, i ragazzi devono abituarsi a collegare direttamente le parole latine con ciò che esse designano; insomma, devono capire il latino col latino, cioè devono abituarsi a pensare in latino. E si vedrà che in questo modo la nuova lingua s’impara con rapidità e sicurezza sorprendenti. Naturalmente ogni strada va intrapresa con una certa elasticità mentale. Non stiamo certo perciò qui dicendo che l’insegnante debba rite-
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nere quasi proibito dare occasionalmente i significati italiani di vocaboli latini. Non si trascuri però il fatto che la traduzione è intesa in questo corso come momento di approdo finale e non necessario, in cui l’alunno, che abbia già compreso perfettamente, senza necessità di trasportarlo in italiano, il testo latino, si prova a riformulare le stesse idee e gli stessi concetti nella sua lingua materna. Insomma, come abbiamo detto le mille volte, il ragazzo non deve tradurre per capire, ma capire a fondo il testo nell’originale latino per poi eventualmente tradurlo. Né crediamo possa esistere altra maniera seria di tradurre. Dunque non s’abitui il ragazzo alla necessità di dover trasferire le parole e le frasi nella sua lingua per poterle capire121. Noi vogliamo che dopo un paio d’anni di lavoro intenso gli allievi siano in grado di leggere Livio, Nepote, Sallustio e persino Cicerone con scorrevolezza e semplicità, né più né meno che se leggessero un classico italiano, con la difficoltà che al massimo potrebbero trovare nel leggere un Machiavelli. Non vogliamo che annaspino affannosamente nel tentativo di decifrare, vocabolario alla mano, dieci righe estrapolate da un contesto, e spesso destituite di qualunque interesse: il nostro scopo è che Tra gli svantaggi che Sidney Morris, in uno studio approfondito sulle tecniche di insegnamento del latino (Viae novae: new techniques in Latin teaching, Hulton educational publications, London 1966, p. 9), trovò nel metodo grammaticale-traduttivo, c’erano i seguenti: 1) Il latino viene trattato non come un mezzo per comunicare idee, ma come un insieme di esercizi esemplificativi di grammatica e sintassi. 2) A causa del lungo tempo impiegato nell’analisi del latino e nella traduzione, è impossibile fare molto esercizio di lettura di testi in latino. 3) Gli alunni divengono incapaci di comprendere il latino a meno che non lo traducano, o siano aiutati dall’insegnante e da un apparato di note a tradurre. 4) Quasi tutto il lavoro di traduzione ha poca rilevanza per gli alunni: la natura analitica del metodo risulta noiosa per la maggior parte degli allievi . È soprattutto sul terzo punto che vorremmo soffermare la nostra attenzione. La forma mentis della traduzione necessaria per la comprensione spesso non riesce ad essere eliminata neanche dopo anni e anni di esercizio di lettura latina. Ciascun insegnante può controllare su sé stesso tale affermazione, che potrebbe sembrare troppo perentoria: noi tutti, abituati al metodo grammaticale-traduttivo, siamo portati a trasportar sempre, nella nostra mente, le frasi latine in italiano, per capire un testo. Perché? La risposta è semplice: perché nel profondo della nostra coscienza alle parole latine non corrispondono cose e concetti, ma solo altre parole italiane. Filtriamo sempre il latino attraverso la nostra lingua madre. Lo scopo del corso LINGVA LATINA PER SE ILLVSTRATA è di ridurre al minimo questo aggio, e avvicinare sempre più i ragazzi al testo latino senza diaframmi d’alcun tipo. Forse non sempre ci si riuscirà: ma dev’essere la meta ideale verso cui tendere. 121
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Obiezioni all’uso attivo del latino
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il ragazzo prenda gusto alla lettura intensiva, che sia in grado di leggere senza sforzo eccessivo pagine e pagine, persino opere intere. Allora non lo condizioniamo sin dai primi giorni col fargli sentire la necessità di “tradurre” per capire: deve capire direttamente in latino. In séguito, se vorrà, se ne sarà richiesto, se se ne presenterà la necessità — per esempio, per far capire ad altri, che non conoscono il latino, il contenuto di uno scritto — potrà anche tradurre.
Come può l’insegnante usare attivamente il latino?
Parecchi insegnanti si scoraggiano di fronte alla prospettiva di dover utilizzare attivamente il latino nella loro pratica didattica. Per molti la cosa risulta addirittura inimmaginabile: se ancora si riesce a concepire la possibilità d’una traduzione dall’italiano in latino, l’idea di pensare, parlare e scrivere nella lingua di Roma e della cultura europea sembra assurda, lontana e irraggiungibile. C’è chi sostiene, senz’addurre argomenti, che chi parla latino non farebbe altro che tradurre dall’italiano122; chi addirittura afferma con una sconcertante decisione che non ci sarebbe nessuno al mondo, oggi, capace di leggere (altro che pensare o parlare!) il latino senza il perenne ausilio di grammatiche e vocabolari123. Sono state anche formulate assai strane teorie sull’”impossibilità” per un moderno di ‘parlar latino’124. Ora, è necessario fare un po’ di chiarezza: Cfr. O. Tappi, L’insegnamento del latino: i testi latini e la loro lingua nell’educazione moderna, Paravia - B. Mondadori, Torino 2000, p. 28 (ma cfr. anche p. 31): “Chi pretende di ‘parlare latino’ pensa (né potrebbe fare altrimenti) nella propria lingua per poi cercare i ‘corrispondenti’ in latino.” Quod gratis assertur, gratis negatur. 123 Cfr. L. Scarpa, Teaching Antiquity: perspectives for disciplinary didactics, conferenza tenuta al convegno Meeting the Challenge: European perspectives on the teaching and learning of Latin (Cambridge UK, 22-24 luglio 2005): il testo si può leggere in rete: www.cambridge.org/uk/education/secondary/classics/eu_classics/s/Scarpa.pdf (citazione p. 5): “... the reading of Latin as comprehension of the text does not even exist, since it always follows translation: nobody [sic!] is able to read a Latin text without having translated it before or without using a translation with parallel text.” 124 Si ripete spesso che non esiste più il mondo, gli usi, i costumi, la civiltà a cui faceva riferimento la lingua degli antichi romani. Qualcuno ha detto, per esempio, che non si potrebbe parlar latino perché “se un parlante italiano pensa ad un “bacio”, quale parola latina sceglierà fra osculum, basium e savium, in un mondo in cui gli istituti e gli usi che determinavano la differenza di significato fra questi tre termini non ci sono più, come per esempio la sa122
L’INSEGNANTE E LINGVA LATINA
1. Nessuno vuol restaurare o riportare in vita il latino. L’uso attivo della lingua è, come ben sapevano gli umanisti, un artificio: imitiamo, per quanto è possibile, la lingua dei classici con una lutatio o il ius osculi?” (O. Tappi, L’insegnamento del latino ..., cit. (n. 122); cfr. G. Cipriani, Il vocabolario latino dei baci, in “Latina didaxis VII”, D.ar.Fi.Cl.E.T., Università di Genova, 1992). Ora, come si sa, la distinzione addotta fa parte di quelle spesso fantasiose differentiae verborum così care ai grammatici d’ogni tempo: il suavium sarebbe solo proprio della libidine e riservato dunque a meretrici ed etère, l’osculum degli affetti parentali (moglie, genitori, figli), il basium dei ‘pudìci affetti’. È probabile che gli scrittori antichi non fossero stati bene informati sugl’”istituti” e sugli “usi” a cui la distinzione tra questi tre termini faceva riferimento: altrimenti come avrebbe osato Cicerone scrivere ad Attico (16, 11) della di lui figlioletta: Atticae, quoniam hilarula est, meis verbis suavium des, marchiando così d’infamia la povera bambina? Né Ovidio (Amor., 3, 7, 9) avrebbe mai detto d’un amante focosa: Osculaque inseruit cupida luctantia lingua; un French kiss non proprio da affetti parentali; né forse Catullo avrebbe voluto dar mille basia alla sua Lesbia; e se i basia fossero stati solo espressione di ‘pudici affetti’, non si capisce come potesse destar tanto scandalo dei senes severiores. Ma ammettiamo che tali distinzioni, che sono in realtà fantasie di grammatici, fossero vere: come possiamo noi distinguere in inglese tense, time e weather se non con l’uso nei contesti appropriati? Come possiamo capir bene la distinzione tra to do e to make, tra high e tall, se non adoperando queste parole? Se ci abituiamo solo alla traduzione, esse non saranno altro che “tempo”, “fare”, “alto”. “Ma ― ecco pronto il critico sapiente ― in inglese ci sono i parlanti nativi; in latino no, e non sappiamo a chi rivolgerci per esser sicuri della proprietas verborum”. In verità, mi pare il contrario: la continua, cangiante volubilità delle lingue vive e fluide fa sì che spesso anche il parlante nativo sia incerto, e che l’uso oscilli assai di luogo in luogo, di registro in registro, persino, talora, da individuo a individuo; la lingua latina, proprio perché ‘morta’ ci offre perlopiù la possibilità di determinare con precisione nei testi degli autori l’uso dei singoli vocaboli, delle espressioni, delle iuncturae in una maniera che non corre il rischio di mutare tra qualche anno: lo san bene i teologi, che oggi si trovano a dover continuamente aggiornare i loro manuali e a specificare e precisare di volta in volta le loro definizioni, che per secoli sono rimaste fissate nel marmo dell’espressione latina aere perennior. Per quanto riguarda poi la ‘lontananza’ del mondo dei romani dal nostro, c’è da dire prima di tutto che il latino non è solo la lingua degli antichi romani; in secondo luogo che alcuni imparano il tibetano, il cinese o lo swahili, che fanno riferimento a mondi ben più estranei alla nostra mentalità del mondo romano, in cui il nostro affonda le sue radici e di cui è la storica prosecuzione. Se questa lontantanza c’è, essa esiste anche nella ricezione; ed è ben più facile fraintendere i messaggi quando non ci s’è abituati a deporre in una certa misura la propria mentalità per cercare, in qualche modo, d’immedesimarsi in quella degli antichi, per poi comprendere, dallo scarto, cos’è che ci divide e cosa ci accomuna.
93 Mezzo, non fine dell’insegnamento
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Struttura e lessico vanno tratti dagli autori
Il latino letterario: una lingua a ‘mobilità ridotta’
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certa approssimazione, così come hanno fatto per secoli nella scuola, nell’università, nelle opere erudite gli uomini di cultura. Questa lingua usata in modo attivo è per noi, diversamente che per i nostri illustri predecessori, un mezzo, non un fine dell’insegnamento: un mezzo didattico per giungere in maniera piuttosto veloce, coinvolgente ed efficace a far assimilare ai nostri alunni morfologia, sintassi, lessico e fraseologia degli autori. Questo latino bloccato nella sua mobilità morfo-sintattica, e con “mobilità ridotta” (in senso steineriano) per quanto riguarda il lessico, ha svolto un egregio servizio alla cultura europea per secoli, con buona pace di qualche sedicente studioso dei nostri giorni, troppo avventato nel trinciar giudizi facilmente oppugnabili. Hanno imparato a scrivere e parlare questo tipo di latino generazioni di studiosi e di studenti, soprattutto in epoca carolingia, nel XII secolo e poi dalla restaurazione petrarchesca fino almeno a tutto il Settecento, con alterne vicende dovute a metodi più o meno efficaci e a maggiore o minore pedanteria degl’insegnanti. Non si vede perché non potremmo impararlo noi: tutte le obiezioni a questo punto sono deboli e pretestuose.
2. Quale fosse realmente la “lingua d’uso” o “lingua volgare” quotidiana all’epoca di Cicerone o di Quintiliano, c’importa davvero poco, se non come curiosità erudita e dato storico. Il nostro scopo è di portare i ragazzi a leggere con maggiore scorrevolezza e intellezione i testi classici, ed è quindi quella lingua che tentiamo, per quel ch’è possibile, d’imitare nella sua struttura, senza pretendere d’emulare l’arte e l’elaborazione retorica dei grandi scrittori che la succhiavano cum lacte nütrïcis. L’obiezione dunque spesso ripetuta, che noi non conosciamo a sufficienza quale fosse la vera lingua parlata ogni giorno a Roma, è per noi nulla e vana.
3. La questione dell’evoluzione storica della lingua, e quindi di “quale lingua” imitare, è di minor peso per il latino di quanto non sia per altre lingue vive, e ciò per la semplice ragione che la mobilità del latino letterario è stata ben più ridotta di quella d’altre parlate: già dall’epoca di Cicerone e Cesare il latino che noi studiamo si fissò nelle sue strutture e nelle sue forme in maniera abbastanza certa; le differenze successive sono perlopiù differenze di stile o aggiunte lessicali. Lievi usi sintattici diversi non hanno intaccato la struttura nel suo complesso.
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L’insegnante procederà gradualmente insieme agli allievi: egli possiede già una competenza iva della lingua, conosce morfologia e sintassi e buona parte del lessico. Si tratta di portare queste conoscenze a diventare attive. All’inizio il docente formulerà perlopiù brevi domande in latino, che potrà anche preparare in precedenza. Gradualmente, svolgendo gli stessi esercizi che proporrà poi agli alunni, e con la pratica di amplificazioni successive (vedi p. 154), le frasi e i periodi diverranno più complessi, senza per questo costituire un problema. L’esperienza ormai decennale ha dimostrato che un insegnante con una buona preparazione di base può raggiungere ottimi risultati in tempi assai brevi. Il documentario La via degli umanisti mostra, tra gli altri, giovani, anche giovanissimi docenti usare il latino in classe nella maniera in cui dev’essere adoperato per un buon risultato del metodo induttivo: il che dimostra che non occorrono anni e anni per acquisire tali competenze attive, ma solo un buon metodo e un po’ di buona volontà. I risultati e le soddisfazioni che s’otterranno in classe, dove non si vedranno più oscitanti volti svogliati e infastiditi, ma pronti e attivi ragazzi desiderosi d’apprendere e impadronirsi dei mezzi espressivi, ripagheranno ampiamente degli sforzi compiuti. Il docente non deve parlar troppo, ma piuttosto stimolare i propri alunni alla produzione, orale e scritta, in latino. Il lavoro orale è veloce, motivante, efficace. I ragazzi lo svolgono volentieri, e non s’avviliscono per le correzioni (che devono esser piuttosto proposte con una riformulazione della frase da parte dell’insegnante che non con continue interruzioni), come davanti a un cómpito scritto colorato come una carta geografica. Una continua pratica orale sviluppa fluidità e scorrevolezza, e, se svolta nella maniera giusta, permette d’avvicinarsi con molto maggiore scioltezza ai testi. Il vantaggio che se ne ricava non sarà sentito solo dagli studenti, ma colpirà in senso assai positivo anche l’insegnante che, scevro da pregiudizi, voglia farne l’esperienza. È importante che, a mano a mano che si procede, il latino usato sia per quanto è possibile “vero”, cioè abbia riscontro nella lingua usata dagli autori. Utili possono risultare per questo fraseologie e lessici specifici. Un insegnante può anche aver bisogno di un repertorio di sinonimi, all’interno del quale scegliere parole latine già note ai ragazzi per spiegare vocaboli nuovi125. Lì dov’è possibile, sarebbe opportuno che gl’insegnanti d’una stessa scuola o di scuole vicine si tenessero in contatto per esercitare Si veda per fraseologie, lessici e sinonimi, la Bibliografia in appendice a questa Guida. 125
95 Procedere insieme agli allievi
Il lavoro orale
Altri suggerimenti
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sui testi le ‘abilità’ attive. È per questo utile mettersi in rapporto con la già esistente “rete” di scuole che utilizzano il metodo induttivo nell’insegnamento delle lingue classiche (vedi p. 101). Fondamentale è che il docente (o i docenti che collaborano insieme per raggiungere l’obiettivo) leggano i testi ― sia quelli da presentare ai propri alunni sia, gradualmente, estese e ampie parti di classici antichi, medievali126 e umanistici ― non solo con un atteggiamento ivo di chi tende semplicemente a comprendere quanto scritto nella pagina degli autori nella sua mera trasmissione denotativa; ma con una disposizione dell’animo attiva, che tende a impadronirsi di locuzioni, frasi idiomatiche, costruzioni, vocaboli, e ne immagina i possibili usi in contesti diversi. Questa posizione di lettore attivo porterà in breve tempo innumerevoli vantaggi anche alla comprensione, che diventerà più attenta, più profonda, estremamente più sottile e accurata. Non ci sfuggiranno le scelte lessicali, i fatti stilistici, la forza espressiva d’un particolare ördö verbörum. È questa la maniera con cui gli umanisti stessi si ponevano di fronte ai testi127. Bisogna fuggire due errori: l’uso sciatto d’un latino improbabile e folenghiano e il timore reverenziale eccessivo che ci blocca e ci riduce al silenzio, o addirittura ci spinge a ingrossare le schiere di coloro che esclamano: “nöndum mätüra est!”128 Gli scritti del venerabile Beda, d’Eginardo, di Paolo Diacono, di S. Bernardo, di Guglielmo di S. Thierry, d’Abelardo, d’Aelredo di Rievaulx, di Goffredo di Monmouth, di Giovanni di Salisbury e di tanti altri ci offrono letture interessanti e un buon latino vicino a quello dei classici ch’essi imitavano. 127 Cfr. T. Corcoran, Studies in the history of Classical teaching (Irish and continental: 1500-1700), Benzinger brothers, New York-Cincinnati-Chicago 1911, p. 172-173: “The student of three hundred years ago read in order to write and speak with freshness, vigour, and aptness of phrase: in the whole of such reading its adaptability for his main purposes was his main concern, and incessantly stimulated him to observe, compare, note contrasts and analogies. The modern student reads in order to know: a certain degree of ive retentiveness as regards things read will amply serve his purposes. The former process was observation for use, the latter acquisition for storage. The methods and purposes of classical studies have therefore been to a large degree devitalised in the course of time; they have become largely ive instead of constantly active, and are rather a survey of other views than an active development of one’s own.“ 128 Significative a questo proposito le parole dello Stephanus: “Mirum [...] quiddam nbis qui Galli sumus, sicut et Italis usuvenit, ut magna sermonis nostri cum Latino in plerisque affïnitas, quam nobis Latine loqui volentibus velut praeire oporteret, contra resistere saepenumero in medio sermone cogat, dum affinitatem illam suspectam habemus”. Ma egli avverte anche: “Spero [...] fore 126
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aggio biennio-triennio
Molti insegnanti si preoccupano che i ragazzi che abbiano usato il metodo Ørberg non siano poi in grado di continuare al triennio con un metodo grammaticale-traduttivo. Bisogna certo rammaricarsi se non c’è la possibilità, mütätïs mütandïs, di continuare ad esercitare i ragazzi, nella maniera in cui s’è cominciato nel biennio, anche su testi d’autore, e ben oltre i livelli elementari d’apprendimento della lingua. Ma spesso i nostri alunni devono continuare il loro percorso con un altro docente che segue altre metodologie; e la libertà d’insegnamento è, per buona ventura, la legge fondamentale della scuola italiana; d’altro canto qualunque metodo riesce bene solo se l’insegnante è pienamente convinto della sua efficacia o se, partendo da una posizione d’apertura, se ne convince sempre più adoperandolo e considerando i risultati positivi: in caso contrario è destinato al fallimento. Qualora ci si trovi nella condizione di dover consegnare i nostri alunni a un collega che li seguirà nel triennio, possiamo trovarci comunque di fronte a tre situazioni diverse:
1. Il collega è disposto a continuare con lo stesso metodo. In questo caso i problemi sono assai ridotti: essi son quelli che normalmente si possono incontrare cambiando insegnante: maggiore o minore simpatia dei ragazzi per il nuovo docente, qualche abitudine diversa, qualche esigenza da tenere in conto. Sarà comunque opportuno dare vera continuità al lavoro, programmando insieme, tenendo qualche ora di lezione in compresenza, immaginando un’ideale prosecuzione in cui l’uno lampada trädat all’altro tendendo entrambi alla stessa meta.
2. Il collega non se la sente d’intraprendere la strada d’una didattica induttivo-contestuale, ma non si mostra ostile ad essa, e anzi è fondamentalmente aperto e interessato a vedere di che si tratta. In questo caso possiamo invitarlo nella nostra classe, mostrargli i risultati ottenuti, spiegargli che il metodo tende alla ut multos meum istud opusculum ad Latine frequentius et loquendum et scribendum incitet [...]. Sed caveant interim ne fines a me praescriptos excedant, atque ex nimium timidis audaces, ex superstitiosis irreligiosi circa linguae Latinae usum evadant: ita ut sumpta ex hoc meo libro occasione, quicquid in buccam
et loqui et scribere audeant, ac tandem culinaria [...] uti Latinitate sibi permittant” (De Latinitate falso suspecta, Expostulatio Henrici Stephani: eiusdem De Plauti Latinitate dissertatio, et ad lectionem illius Progymnasma, anno M.D.LXXVI excudebat Henricus Stephanus, p. 9 e 13).
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Il collega è disposto a continuare con lo stesso metodo
Il collega si mostra interessato, anche se dubbioso
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meta di far leggere e comprendere e non decifrare con difficoltà i testi; fargli vedere dove siamo giunti, e da che livello di competenze è necessario prendere le mosse per il lavoro del triennio; chiedergli di proporre ai ragazzi sempre brani proporzionati alle loro progressive competenze, il che significa brani di cui essi conoscano già la maggior parte dei vocaboli e tutte le strutture sintattiche, e che non siano longë petïtï o estrapolati da qualunque contesto; di conservare un’attenta gradualità; di non gettarli sùbito in pasto al vocabolario che li distragga dall’attenzione al testo, ma piuttosto di dar loro glossate in latino o già tradotte, in una colonna laterale, le parole che non conoscono (che non dovrebbero mai superare il dieci per cento dell’intero brano!) e abituarli lentamente all’uso del dizionario identificando qualche parola chiave ancora ignota (non più di cinque o sei per pagina) e fornendo ai ragazzi fotocopie delle colonne d’un buon dizionario che le illustri. Potremo noi stessi cominciare sporadicamente questo lavoro nel secondo quadrimestre del secondo anno, e preparare così i ragazzi a quello che li aspetta. Un certo calo ci sarà, più per l’avvilimento degli alunni di fronte a un metodo meno coinvolgente, attivo, stimolante che per una reale difficoltà oggettiva. Dobbiamo esser coscienti ― e trasmettere questa consapevolezza ai ragazzi ― che, se s’è lavorato bene, uno studente che ha con successo completato Familia Römäna conosce e padroneggia tutta la morfologia regolare e gran parte della sintassi, non solo quella dei casi, ma anche quella del verbo e del periodo; in più, rispetto ai suoi colleghi che abbiano adoperato il metodo grammaticale-traduttivo, ha imparato quasi duemila vocaboli, la stragrande maggioranza dei quali è ad altissima frequenza. Il problema è che il nostro alunno ha acquistato confidenza in sé stesso ed è abituato a comprendere senz’indugi il messaggio del testo; di fronte a un brano non immediatamente comprensibile, i suoi compagni del metodo grammaticale-traduttivo s’avviliscono meno, perché sono abituati sin dal primo momento a non capire neanche una parola, anzi a non sognare neppure di poter capire qualcosa: essi si pongono nell’atteggiamento di chi deve o tentare d’indovinare per risolvere la sciarada, il logogrìfo, il rebus, o di chi smonta, rimonta, disseziona, ricuce, almanacca, tenta di strologare il significato coi poveri mezzi a sua disposizione, o ancora cerca la “frase” direttamente sul vocabolario: quest’ultima è l’abitudine più frequente. Ma facciamo capir bene questa cosa ai nostri alunni, infondiamogli fiducia nelle loro reali possibilità, mostriamo cosa realmente hanno appreso, facciamoli provare a
L’INSEGNANTE E LINGVA LATINA
confrontarsi con le cosiddette “versioni” col nostro aiuto, e facciamo in modo che prendano coscienza che devono porsi in maniera diversa, ma che ad essi non manca proprio nessuna delle competenze richieste: mostreranno tutto il loro valore e si faranno onore con chi li prenderà in carico, che rimarrà sorpreso dalle loro capacità.
3. Il collega è apertamente ostile al metodo induttivo-contestuale. Speriamo che gradualmente quest’ostilità preconcetta vada diminuendo; e noi lavoreremo perché quanti più insegnanti possibile comprendano che si tratta d’una cosa davvero seria, e non d’un sistema “alla buona”, non d’una pagliacciata che trascuri un giusto rigore e una vera acribìa. Ma se siamo sicuri che il nostro collega è sul piede di guerra, sarà meglio non esporre i nostri ragazzi: ogni insegnante può mettere in crisi, se vuole, anche il più preparato degli alunni.
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Il collega non è disposto a continuare con lo stesso metodo
STRUMENTI PER L’INSEGNANTE Il documentario La via degli umanisti
Oltre a questa Guida e alle risorse presenti in rete (vedi p. 113), l’insegnante può contare sull’ausilio del documentario La via degli umanisti, annesso a questo volume. Esso è stato realizzato con l’aiuto di docenti e alunni quindicenni che utilizzano il metodo induttivo nella loro pratica scolastica quotidiana. Si tratta d’un’antologia che illustra molti dei mezzi, degli esercizi e delle strategie didattiche che un insegnante può adoperare in classe con i suoi studenti; i docenti che agiscono nel documentario, italiani e stranieri, giovani e meno giovani, hanno scelto alcuni dei capitoli più significativi della prima parte del corso, e hanno ad essi applicato una serie di accorgimenti e di tecniche volte non solo a vivacizzare la lezione e a renderla più attiva e coinvolgente, ma anche a raggiungere più efficaci risultati. Le immagini di questi studenti freschi, gioiosi, pronti, capaci d’intendere il latino e di adoperarlo con facilità, dovrebbero costituire la migliore riprova dell’incisività e della validità del metodo.
Rete di scuole (nazionale e internazionale)
Uno dei vantaggi degli insegnanti del metodo Ørberg è quello di poter contare su di una rete formata da colleghi italiani e stranieri che adoperano lo stesso sistema didattico. Questo può consentire lo scambio d’esperienze, la condivisione di materiali, il dibattito su alcuni punti, e permette di ricevere suggerimenti lì dove eventualmente s’incontrino difficoltà. Già negli anni ’90 nacque il progetto “Pallante”, che riuniva molte scuole del Veneto, e che organizzò nel 2003 il primo incontro residenziale d’insegnanti che utilizzavano il metodo induttivo presso la villa S. Fermo di Lonigo (Vicenza) e mise in piedi il primo laboratorio stabile di latino, che consente ai docenti interessati di approfondire e sperimentare le tecniche d’insegnamento e acquisire sempre più competenze per un uso anche attivo della lingua; il progetto,
Il progetto “Pallante”
102 La rete “Europa Latina”
Possibili contatti internazionali
LUIGI MIRAGLIA
che per molti anni ha dato notevoli frutti, è confluito nella rete “Europa Latina”, che, nato come consorzio di scuole lombardo-venete, si va a mano a mano allargando anche a istituti del resto d’Italia e stringe relazioni internazionali con scuole d’altri Paesi d’Europa. Il progetto della rete “Europa Latina” va ben oltre l’attenzione prestata al metodo Ørberg, per approfondire in maniera seria e costruttiva tematiche legate al rinnovamento della didattica delle lingue classiche, indagare lo sterminato campo della letteratura scritta in latino del medioevo, del rinascimento e dell’età moderna, promuovere e valorizzare l’eccellenza degli studenti, tra l’altro con l’organizzazione d’un Certämen annuale. I docenti di “Europa Latina” hanno reso stabile un appuntamento annuale sul lago di Garda, dove per due o tre giorni si confrontano, sperimentano nuove tecniche d’insegnamento, esercitano alcune competenze indispensabili per un’efficacia didattica129.
Va inoltre segnalato il fermento che per il metodo dell’Ørberg va assai diffondendosi in molte scuole della Spagna, dove centinaia d’insegnanti se ne dichiarano entusiasti e il sistema viene sempre più adottato ogni anno. I docenti spagnoli hanno istituito un sito sulla rete, con occasioni d’interessante dibattito, moltissimi materiali ed esercizi anche interattivi (dei quali molti sono a piacimento modificabili da chi li usa, così che possono essere adattati alle esigenze di ciascuno) e momenti di importante scambio culturale, che culminano in almeno due congressi annuali, le Jornadas de cultura clásica, che hanno luogo a Sagunto in autunno e in località diverse dell’Andalusìa in aprile. Gl’insegnanti spagnoli, che ricevono forte sostegno morale e didattico anche da parte di docenti universitari, e che sono riusciti a ottenere un ampliamento del quadro orario dedicato al latino da parte delle autorità ministeriali, possono costituire per gl’italiani un importante interlocutore. Il metodo dell’Ørberg è utilizzato con successo e ampiamente anche in Belgio e negli Stati Uniti d’America; gli americani hanno istituito una lista di discussione, che però è troppo frequentata da genitori che chiedono consigli per usare i libri di Lingua Latïna per së illüsträta nel cosiddetto homeschooling, e tolgono spazio a discussioni più tecniche che potrebbero interessare agl’insegnanti italiani. I belgi Ci si può mettere in contatto con la rete “Europa Latina” scrivendo al preside Salvatore Lo Manto del liceo “Arnaldo” di Brescia:
[email protected]; o a qualcuno dei rappresentanti delle singole scuole, come la professoressa Bèrica Garzìa (
[email protected]) del liceo “G. B. Quadri” di Vicenza o la professoressa Claudia Brambilla (
[email protected]) del liceo “S. Weil” di Treviglio (BG). 129
STRUMENTI PER L’INSEGNANTE
hanno creato materiale d’esercizi ch’è confluito nei due Quaderni che accompagnano l’edizione italiana. Non è da trascurare l’opportunità di realizzare scambi tra classi di studenti italiani e stranieri che utilizzano il “metodo natura”, anche fondando gl’incontri su attività di studio, di lettura commentata, o di svago che prevedano l’uso della lingua latina. Tali occasioni sono per i nostri ragazzi uno stimolo enorme all’apprendimento, e possono costituire uno strumento in più per creare autonoma e forte motivazione nei discenti.
Convegni
Legata e connessa alla rete d’insegnanti che guardano con favore o utilizzano attivamente il metodo dell’Ørberg, o che comunque sono aperti a una discussione sul rinnovamento delle metodologie didattiche, è l’istituzione di convegni nazionali e internazionali che in questi anni ha dato non pochi frutti, creando occasioni di crescita e dibattito culturale d’alto livello. Già all’inizio degli anni ’90 il convegno internazionale dallo scherzoso titolo Latino sì, ma non così permise a centinaia d’insegnanti e docenti universitari di tutt’Europa di riunirsi per una settimana di feconda riflessione e di scambio d’esperienze; nel ’98 il convegno Docëre riunì oltre settanta relatori da ogni parte del mondo (tutti i Paesi d’Europa, molti Stati d’America, il Messico, l’Australia, il Senegàl, la Corea) per discutere sul rinnovamento dei metodi didattici nelle scuole e la necessità di rifondare lo statuto stesso delle discipline classiche; nel 2001 il Progetto Pallante diede vita al convegno A ciascuno il suo latino, in cui si poté anche fare un punto della situazione in cui si trovava la sperimentazione nelle scuole di tutt’Italia; nel 2007 oltre trecentocinquanta studiosi di tutto il mondo si riunirono a Napoli nel convegno Hümänitäs per indagare, durante un’intensissima settimana di studi, l’attualità dell’umanesimo e le forme della sua vitalità nella storia e nel presente; nel 2008 dieci giorni di seminari e dibattiti si sono svolti in Ungheria tra Szeged e Budapest durante il convegno Litterärum vïs; nello stesso anno alcune centinaia di docenti si sono riuniti al liceo “C. Beccaria” di Milano per riflettere sull’utilità della traduzione come unico mezzo e meta didattica nella prassi dell’insegnamento delle lingue classiche, nella giornata di studi Tradotto / tradito promossa da “Europa Latina”; la stessa rete ha organizzato a Vicenza per il 2009 la giornata internazionale di studi Il latino in Europa con la partecipazione di ospiti specialisti di didattica provenienti da Francia, Gran Bretagna e Germania.
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Rivista
LUIGI MIRAGLIA
Negli anni 2000-2001 un forte aiuto alla didattica degl’insegnanti che utilizzavano il metodo Ørberg fu la nascita d’una rivista bimestrale, Docëre, che proponeva, in diverse e assai varie rubriche, ulteriori materiali didattici, spunti di riflessione, opere di autori neo-latini meno frequentate in ambito scolastico, ma di grandissimo interesse per i nostri alunni, documenti di storia della didattica delle lingue classiche, aperture sulla didattica negli altri Paesi del mondo, etc. La rivista, per le difficoltà che hanno afflitto la casa editrice a partire dal 2003, ha interrotto temporaneamente le pubblicazioni, ma è in corso una riorganizzazione che la porterà presto a rinascere per poter essere davvero un tramite tra tutti coloro che s’interessano a un’innovazione costruttiva nell’insegnamento del latino e del greco.
SCANSIONE TEMPORALE DEL CORSO BASE I quadri orari dei singoli indirizzi di scuola (liceo classico, liceo scientifico, liceo psicopedagogico, liceo europeo, liceo lingustico) variano anche sensibilmente, ed è quindi impossibile proporre un’unica scansione temporale che valga per tutti indifferentemente. Inoltre la preparazione di base dei ragazzi, la composizione della classe, l’esperienza dell’insegnante col metodo induttivo, l’andamento dell’anno scolastico e imprevisti di diversa natura sono elementi che rendono assai oscillante la pianificazione annuale del corso. Qui offriamo, con lievissime varianti, una programmazione che viene con successo da anni attuata nel liceo scientifico “G. B. Quadri” di Vicenza. Essa è stata strutturata dal prof. Stefano Marchese, poi sottoposta a periodiche revisioni e aggiustamenti a mano a mano che i docenti della scuola procedevano nel loro percorso. Si tratta dunque d’una proposta consolidata dalla pratica didattica, e credibile perché sperimentata su periodi piuttosto lunghi da insegnanti diversi. Al lavoro con FAMILIA ROMANA va, naturalmente, affiancato lo svolgimento degli esercizi relativi a ciascun capitolo, un’abbondante pratica con le attività proposte in questa Guida, e la lettura e messa in scena dei Colloquia. A partire dal capitolo XXV si possono affiancare letture supplementari, come le Fäbulae Syrae; quando si sarà completata FAMILIA ROMANA potranno leggersi altre opere specificamente destinate ai giovani discenti, soprattutto per ampliare il lessico, come l’Epitomë historiae sacrae del Lhomond, ch’è per questo utilissima, anche grazie alla selva d’esercizi che la corredano. L’Amphitryö di Plauto s’adatta perfettamente al programma di letteratura del terzo anno; ma nulla vieta d’anticiparne stralci alla fine del biennio, al posto degli altri classici. CLASSE PRIMA
SETTEMBRE - OTTOBRE Lezione introduttiva: caratteristiche del corso e pronuncia del Latino (p. 282 di LATINE DISCO) ― pronuncia tradizionale italiana. CAPITVLVM I: IMPERIVM ROMANVM
Il numero: nom. singolare/plurale I/II decl. e agg. I classe. La preposizione in seguita da ablativo. Le particelle interrogative: -ne?, num?, ubi?, quid? Litterae et numerï (introduzione).
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CAPITVLVM II: FAMILIA ROMANA
LUIGI MIRAGLIA
Il genere: maschile, femminile, neutro (-us, -a, -um) I/II decl. e agg. I classe. Il caso genitivo (-ï, -ae, -örum, -ärum). Le forme interrogative: quis?, quae?, quid? (gen.: cuius?, nom. pl. quï? quae?), quot? Alcuni numerali (ünus, duo, trës). Cëterï -ae -a. La congiunzione enclitica -que.
CAPITVLVM III: PVER IMPROBVS
I casi: accusativo I/II decl e agg. I classe. Il verbo: presente indicativo (terza persona singolare delle quattro coniugazioni). I pronomi personali, interrogativi, relativi (nei casi nominativo e accusativo). Domande e risposte: Cür...? Quia... La congiunzione neque.
CAPITVLVM IV: DOMINVS ET SERVI
I casi: vocativo II decl. Il verbo: distinzione delle coniugazioni sulla base del tema verbale; imperativo (II persona sing.). Il Genitivo di is, ea, id (eius). Uso di eius/suus, -a, -um.
CAPITVLVM V: VILLA ET HORTVS
L’accusativo plurale (-ös, -äs, -a), l’ablativo plurale (-ïs) I/II decl. e gli agg. I classe. L’ablativo con preposizioni (ab, cum ex, in, sine). Il verbo: presente indicativo (III persona pl.) e imperativo (II persona pl.) delle quattro coniugazioni. Declinazione completa di is, ea, id.
NOVEMBRE - DICEMBRE
CAPITVLVM VI: VIA LATINA
Alcune preposizioni con l’accusativo (ad, ante, apud, circum, inter, per, post, prope). I complementi di luogo: Quö? Unde? I complementi di luogo coi nomi di città. Il caso locativo. Il verbo: presente indicativo attivo/ivo (III persona sing. e pl.). L’ablativo strumentale.
CAPITVLVM VII: PVELLA ET ROSA
I casi: dativo sing. e pl. (-ö, -ae; -ïs) I/II decl. e agg. I classe. Il riflessivo së. In + ablativo/accusativo. Le interrogative retoriche: Nonne...est? Num...est? (Immö…) Et…et, neque …neque, nön sölum …sed etiam. Il pronome dimostrativo hic, haec, hoc (introduzione). Plënus + genitivo. I verbi composti con preposizioni (ad-, ab-, ex-, in-).
CAPITVLVM VIII: TABERNA ROMANA
I pronomi interrogativi, relativi, dimostrativi (declinazione completa). Il verbo: verbi con tema in -ĭ-. Tantus e quantus. L’ablativo strumentale e l’ablativo di prezzo.
CAPITVLVM IX: PASTOR ET OVES
Dëclïnätiö prïma, secunda et tertia: quadro completo e sistematico. La terza decl.: temi in consonante e temi in vocale. Ëst/edunt; düc/dücite. Suprä + acc. e sub + abl. Ipse. L’assimilazione: ad-c... > ac-c... ; in-p... > im-p...
CAPITVLVM X: BESTIAE ET HOMINES
Dëclïnätiö tertia (altri sostantivi: temi in velare, nasale e dentale; neutri: flümen, mare, animal). Nëmö. Le congiunzioni cum e quod. Il verbo: infinito attivo e ivo delle quattro coniugazioni. Potest/possunt, vult/volunt. Necesse est + dat. L’ablativo di modo. Il rotacismo intervocalico.
SCANSIONE TEMPORALE DEL CORSO BASE
GENNAIO - FEBBRAIO
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CAPITVLVM XI: CORPVS HVMANVM
Dëclïnätiö tertia (altri sostantivi neutri). L’accusativo con l’infinito. Atque e nec. Dë + abl. L’ablativo di limitazione. Posse, infinito di potest/possunt. Gli aggettivi possessivi: noster -tra -trum / vester -tra -trum.
CAPITVLVM XII: MILES ROMANVS
Dëclïnätiö quärta. Il concetto di plüräle tantum (castra -örum). Il dativo con esse (dativo di possesso). I tria nömina. Imperäre e parëre + dat. Gli aggettivi di II classe. Il comparativo dell’aggettivo. Il genitivo partitivo. Le misure di lunghezza. Mïlia + gen. pl. Ac = atque. La III coniugazione con temi in -i- e in -u-. Fert/ferunt/ferre (imperativo: fer/ferte). Dïc!, Düc! Fac!
CAPITVLVM XIII: ANNVS ET MENSES
Il calendario romano. Dëclïnätiö quïnta. Rio sistematico delle cinque declinazioni. I nomi dei mesi. Tempo determinato e tempo continuato. I numeri cardinali e ordinali (continuazione). L’imperfetto di esse (III persona sing./pl.) Il superlativo e gradi di comparazione. Velle, infinito di vult/volunt. Le congiunzioni vel e aut.
CAPITVLVM XIV: NOVVS DIES
Uter, neuter, alter, uterque. Il dativo di vantaggio (datïvus commodï). L’ablativo di duo. Il participio: declinazione e uso. I pronomi personali di I e II persona sing. (accusativo, dativo, ablativo). Inquit. Nihil/omnia. Il sostantivo rës.
CAPITVLVM XV: MAGISTER ET DISCIPVLI
Le desinenze personali del verbo (flessione completa dell’indicativo presente attivo delle quattro coniugazioni, compresi i verbi con tema in -i- breve). I pronomi personali di I e II persona sing. e pl. (nominativo). Esse e posse. L’accusativo esclamativo. I verbi impersonali: licet + dat.
MARZO - APRILE
CAPITVLVM XVI: TEMPESTAS
Verba dëpönentia (forma iva, significato attivo): III persona sing. e pl. L’ablativo assoluto (sostantivo + aggettivo; sostantivo + participio; sostantivo + sostantivo). Multum, paulum + gen. partitivo. Multö e paulö per rafforzare il comparativo e con ante/post. L’ablativo semplice con locus. Puppis (acc. -im, abl. -ï) I maschili di prima declinazione (nauta -ae). I verbi irregolari (ïre e fierï).
CAPITVLVM XVII: NVMERI DIFFICILES
La monetazione romana: as, sëstertius, dënärius, aureus. Contare in latino. Le desinenze personali ive. Il verbo dare (tema in -a- breve). Il doppio accusativo con docëre.
CAPITVLVM XVIII: LITTERAE LATINAE
L’alfabeto latino e la scrittura romana. Il pronome dimostrativo idem. I superlativi in -errimus e -illimus. La formazione di avverbi da aggettivi della I e II classe. Il comparativo e il superlativo degli avverbi; gli avverbi numerali (domanda: quotiës?) Fierï come ivo di facere. Cum + indicativo
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LUIGI MIRAGLIA
CAPITVLVM XIX: MARITVS ET VXOR
Iuppiter, Iovis. I comparativi e superlativi irregolari. Il superlativo relativo (+ genitivo partitivo) e il superlativo assoluto. Neque üllus. Nüllus, üllus, tötus (genitivo sing. in -ïus e dativo sing. in -ï). Il genitivo di qualità. L’imperfetto indicativo, attivo e ivo, delle quattro coniugazioni e di esse. Il sostantivo domus. Il vocativo dei nomi di persona della II declinazione in -ius e il vocativo di meus. Pater/mäter familiäs.
MAGGIO - GIUGNO
CAPITVLVM XX: PARENTES
Il futuro indicativo, attivo e ivo, delle quattro coniugazioni e di esse. Il presente indicativo di velle. Nölï/nölïte + infinito per l’imperativo negativo. I complementi di luogo con domus. Carëre + ablativo. Dat. e abl. dei pronomi personali nös e vös.
CAPITVLVM XXI: PVGNA DISCIPVLORVM
Il perfetto indicativo (tema del perfetto e tema del presente) delle quattro coniugazioni e di esse. Aspetto compiuto del perfetto e duraturo dell’imperfetto. I temi del perfetto. L’infinito perfetto. Il participio perfetto. Il perfetto ivo e l’infinito perfetto ivo. Nomi neutri della IV declinazione. Il pronome indefinito aliquis, aliquid. Il neutro plurale di aggettivi e pronomi usato come sostantivo (multa, omnia, haec, et cëtera).
CAPITVLVM XXII: CAVE CANEM
Il supino attivo e ivo (tema del supino). Il paradigma dei verbi. Il pronome indefinito quis, quid dopo sï e num. Il pronome dimostrativo iste, -a, -ud. L’ablativo assoluto con il participio presente e perfetto.
CAPITVLVM XXIII: EPISTVLA MAGISTRI
Il participio futuro. L’infinito futuro attivo e ivo. Il verbo impersonale pudet e la sua costruzione. Il participio presente del verbo ïre (iëns, euntis).
CLASSE SECONDA
SETTEMBRE - OTTOBRE Rapida ripetizione degli argomenti del primo anno, con particolare riferimento ai capitoli XX-XXIII. NOVEMBRE - DICEMBRE
CAPITVLVM XXIV: PVER AEGROTVS
Il piucchepperfetto indicativo attivo e ivo. Il perfetto dei verbi deponenti. L’ablativo di paragone. Nöscere e il perfetto logico növisse. Gli avverbi in -ö.
CAPITVLVM XXV: THESEVS ET MINOTAVRVS
I complementi di luogo con i nomi di città plurali di II declinazione e con i nomi di piccole isole. L’imperativo dei verbi deponenti. Il genitivo oggettivo. L’infinito ivo col verbo iubëre. L’accusativo + infinito con velle. Il participio perfetto dei verbi deponenti concordato col soggetto (participio congiunto). Oblïvïscï + genitivo.
SCANSIONE TEMPORALE DEL CORSO BASE
CAPITVLVM XXVI: DAEDALVS ET ICARVS
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Il gerundio dei verbi latini e suo uso (nei diversi casi). Ad + acc. del gerundio e il gerundio + causä per esprimere le finali. Gli aggettivi di II classe a tre uscite (celer, äcer) e a un’uscita sola (prüdëns, audäx). I superlativi irregolari summus e ïnfimus. Neque quisquam / neque quidquam; neque üllus; neque umquam. Estö!, estöte! Il verbo vidërï.
GENNAIO - FEBBRAIO
CAPITVLVM XXVII: RES RVSTICAE
Il presente congiuntivo attivo e ivo delle quattro coniugazioni e del verbo esse. La costruzione dei verba postulandï e cürandï (ut/në + congiuntivo). Në... quidem. Ütï + ablativo strumentale. Il plurale di locus -ï. Altre preposizioni latine che reggono l’ablativo (prae, prö). Abs të = ä të. Quam + superlativo dell’avverbio.
CAPITVLVM XXVIII: PERICVLA MARIS
L’imperfetto congiuntivo attivo e ivo delle quattro coniugazioni e del verbo esse. Le proposizioni finali (ut + congiuntivo). Le proposizioni consecutive (ut + congiuntivo). Ut comparativo + indicativo. Differenza tra i verba dïcendï e sentiendï (+ accusativo e infinito) e verba postulandï e cürandï (+ ut/në + congiuntivo).
CAPITVLVM XXIX: NAVIGARE NECESSE EST
Il congiuntivo dubitativo. Le proposizioni interrogative indirette al congiuntivo. Cum iterätïvum. Cum temporale-causale + congiuntivo. Differenza fra proposizioni finali negative (negazione në) e proposizioni consecutive negative (negazione ut nön). Il genitivo di stima e genitivo di colpa. La formazione di verbi composti con preposizioni e mutamenti vocalici del tema.
CAPITVLVM XXX: CONVIVIVM
I pasti dei Romani. I numerali distributivi. Il congiuntivo esortativo. Il futuro anteriore attivo e ivo. Fruï + ablativo strumentale. Gli avverbi in -iter e in -nter. Sitis, -is (acc. -im, abl. -ï). Il plurale di väs, väsis. Alcuni verbi con doppia costruzione.
MARZO - APRILE
CAPITVLVM XXXI: INTER POCVLA
Il congiuntivo ottativo. Il gerundivo. Il gerundivo e la perifrastica iva. Il pronome quisquis, quidquid. Ödisse. Altre preposizioni con l’ablativo (cöram, super). I verbi semideponenti.
CAPITVLVM XXXII: CLASSIS ROMANA
Il perfetto congiuntivo attivo e ivo delle quattro coniugazioni. Në + perfetto congiuntivo per esprimere l’imperativo negativo. Utinam + congiuntivo (negazione në). Timëre në + congiuntivo. Il genitivo con i verbi di memoria. Ancora l’indefinito quis dopo sï/num/në. Fit/accidit ut + congiuntivo. L’ablativo di qualità. Sëstertium = -örum. Il sostantivo vïs.
CAPITVLVM XXXIII: EXERCITVS ROMANVS
Il piucchepperfetto congiuntivo attivo e ivo delle quattro coniugazioni. Cum + piucchepperfetto congiuntivo (= postquam + indicativo). Il congiuntivo irreale e il periodo ipotetico. Il aggio dal gerundio al gerundivo. L’imperativo futuro.
LUIGI MIRAGLIA
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CAPITVLVM XXXIV: DE ARTE POETICA
La poesia latina: Catullo, Ovidio, Marziale. L’ordine delle parole nella poesia. Nozioni di prosodia e metrica: esametro, pentametro, endecasillabo. L’elisione. Il plurale poetico. In + acc. = conträ. Alcuni verbi che reggono il dativo. Contrazioni e sincopi (mï/nïl; -ässe; -ïsse; nörat).
CAPITVLVM XXXV: ARS GRAMMATICA
L’Ars grammatica minor di Donato. La terminologia grammaticale latina. Le otto parti del discorso (partës örätiönis). Il genus commüne.
MAGGIO - GIUGNO Ipotesi A - Lettura di classici: Sermönës Römänï Cesare: Dë bellö Gallicö Ipotesi B - da ROMA AETERNA:
CAPITVLVM XXXVI: ROMA AETERNA CAPITVLVM XXXVII: TROIA CAPTA
PIANIFICAZIONE D’UNA LEZIONE TIPO Nel lavoro con i singoli capitoli di LINGUA LATINA si può procedere nel modo seguente:
1. Invitare i ragazzi a guardare attentamente l’immagine ch’è posta all’inizio del capitolo. Normalmente l’alunno dovrebbe già conoscere parecchi vocaboli per indicare quanto rappresentato nell’illustrazione: altri gli vengono suggeriti nella figura stessa dalle didascalie che l’accompagnano. Si commenti insieme con loro la scena rappresentata, e si introduca l’argomento che verrà trattato nel capitolo che si sta per leggere. Se si vuole, si possono porre domande in latino su quello che si vede: per esempio, nel prendere in considerazione l’immagine posta all’inizio del capitolo IX, si potrà chiedere: Quö it pästor? Quid portat? Habetne pästor baculum? (o anche, mostrando la mano: Quid habet in manü pästor ?: “in manü” sarà compreso facilmente dal gesto e dalla similarità con l’italiano) Ubi est silva? Ubi est söl? Ubi sunt ovës?Ubi est rïvus? Le risposte prevedibilmente saranno: Pästor ad umbram it. Pästor saccum umerïs portat et baculum habet. Silva est post rïvum. Söl est in caelö. Ovës sunt in campö. Alcune di queste domande devono servire anche a ripetere quanto studiato nei capitoli precedenti: nel caso specifico, le preposizioni e la loro reggenza: (ad umbram; post rivum; in caelo; in campo; ante silvam / inter silvam et campum). S’invitino i ragazzi a prendere in considerazione i vocaboli nuovi e a cercare di ritenerli nella memoria.
2. Si legga con attenzione ad alta voce e in maniera espressiva un brano del capitolo. Se si vuole si può invitare qualche alunno a rileggere lo stesso brano con giusta intonazione: è un procedimento che va più volte variato, per evitare che la ripetitività del metodo risulti noiosa e demotivante. L’insegnante dev’esser capace di leggere in maniera coinvolgente, né troppo velocemente ― per evitare che gli alunni non riescano a seguirlo ― né troppo lentamente ― perché la lettura non risulti tediosa e soporifera. L’äctiö, cioè il modo di porgere, non lo si dimentichi, era forse uno degli aspetti più curati della retorica antica. Per recuperare il senso di una letteratura fatta per l’ascolto e non per la lettura, come era la letteratura latina, è necessario che si legga bene. 3. Ci s’accerti che tutti abbiano compreso dal contesto, e con l’aiuto delle note a margine ogni parola e ogni frase del testo letto. Si possono porre ulteriori domande in latino: per tornare all’esempio precedente, dopo aver letto le prime sette righe del testo del capitolo IX, si potrà chiedere: Quis est vir quï in campö ambulat? Estne sölus in campö?
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LUIGI MIRAGLIA
Quot ovës habet pästor? Num centum ovës albae sunt? Quid dat pästor ovibus suïs? (Le varianti sono molte: per es., dopo aver letto le ll. 1-14, si può anche chiedere: Quid agit pästor Iüliï? Cuius est canis? Num canis sölus est in silvä? Num canis herbam ëst? Quis dat cibum canï et ovibus? Ā quö accipit panem canis? Quid edunt ovës?Ubi est herba, quam ovës edunt? Ubi est aqua, quam ovës bibere volunt? Estne rïvus in silvä? Quot sunt ovës in campö? Suntne centum ovës nigrae? Cui pärent ovës? Quem dominum habent ovës? ) Le risposte a queste domande potranno già farci capire se gli alunni hanno compreso correttamente il testo. Alcune delle domande sono intese anche a verificare l’acquisizione dei casi di pästor: D.: Quis dat cibum canï et ovibus? R.: Pästor. D.; Cuius est canis? R.: Pästöris. D.: Cui pärent ovës? R.: Pästörï. D.: Quem habent dominum ovës? R.: Pästörem. D.: Ā quö accipit panem canis? R.: Ā pästöre.
4. Si richiami l’attenzione dei ragazzi sulle note a margine, che essi, a questo educati sin dal primo giorno, devono già aver osservato e considerato nel corso della lettura. Nell’esempio che stiamo analizzando, si dovrà introdurre il concetto di declinazione e far concentrare gli alunni sullo schema dei cosiddetti parisillabi di terza. S’insista sull’importanza di impadronirsi dei casi e si faccia il confronto tra i casi delle prime due declinazioni e quelli di ovis. Utilizzando l’aggettivo albus, a, um si chieda ai ragazzi di concordarlo con i casi di ovis: si eviti però di seguire un ordine precostituito: i ragazzi devono essere capaci di dire, e quindi, ä fortiörï, di riconoscere i casi anche al di fuori di qualsiasi schematismo: domanda: ovibus...? risposta: ...albïs; domanda: ovium...? risposta: ...albärum; domanda: ovem...? risposta: albam; e così via. Questo tipo di esercizio ha due funzioni: far familiarizzare gli alunni con le nuove forme e controllare e insieme praticare quelle già precedentemente acquisite.
5. A questo punto si può anche, se si vuole ― s’eviti però di farlo sempre ― chiedere ai ragazzi di tradurre. “Se qualcuno che non conosce il latino ti chiedesse cosa c’è scritto in queste righe, e volesse saperlo proprio parola per parola, come renderesti questo brano?” Se si avesse il sia pur minimo sospetto che gli alunni non abbiano ancora compreso il testo direttamente in latino, non si i a questo ulteriore stadio, ma si ritorni alla lettura espressiva e a variazioni-spiegazioni in latino: per uniformità ― benché convinti che non vi possa essere ragazzo di media intelligenza che non riesca a comprendere il semplicissimo brano proposto all’inizio del cap. IX, dopo che sia stato presentato come sopra illustrato ― prendiamo in esame le stesse righe 1-7 di Pästor et ovës: l’insegnante potrà così spiegare: Iülius habet pästörem: ecce pästor. Iülius est dominus huius pästöris. Pästor est in campö. Cum eö sunt canis et ovës; e così via. 6. Procedere brano per brano e spiegare volta per volta le nuove forme morfosintattiche o i nuovi vocaboli che si incontrano. Sarà opportuno fare veloci schemi alla lavagna, o utilizzare lucidi per lavagna luminosa.
7. Completata la lettura e l’analisi di una lëctiö (indicata da un numero romano posto sul margine interno) si i alla pratica di quanto incontrato: si possono adoperare per
PIANIFICAZIONE D’UNA LEZIONE TIPO
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questo gli esercizi presenti nei Quaderni, o quelli interattivi messi in rete (sul sito www.culturaclasica.com)130, o proporne altri come suggerito nella sezione di questa Guida a questo dedicata (vedi p. 125). È fondamentale far quanta più pratica possibile, sotto forma d’esercizi, competizioni, giochi, scritti e orali, a ritmo serrato e veloce, solo in latino. 8. S’assegnino gli exercitia relativi alla lëctiö studiata, e s’abbia cura che i ragazzi li svolgano tutti con lavoro individuale a casa. La volta successiva si correggano velocemente, ma con accortezza, in classe. Quando si è giunti all’ultima lëctiö del capitolo, si legga la sezione Grammatica Latïna e si confrontino gli esempi che sono lì presentati in ordine sistematico con quelli incontrati nel testo base. 9. S’invitino i ragazzi a leggere a casa l’intero capitolo ancora una volta (testo + Grammatica) tutto di séguito, e con attenzione particolare al contenuto, cercando d’evitare ogni fraintendimento. Si dovrà soprattutto far caso alle parole e alle forme nuove incontrate nelle note a margine e nella sezione grammaticale, e opportunamente spiegate dall’insegnante in classe.
10. Gli alunni possono ritrovare quanto illustrato dall’insegnante nelle spiegazioni grammaticali relative al capitolo che stanno esaminando, presenti nell’Enchïridion discipulörum: le studino con attenzione e imparino tutto quanto in esse contenuto.
11. I ragazzi potranno svolgere il pënsum A ricapitolativo riferendosi agli esempi presenti in Grammatica Latïna. Li si inviti poi a are in rassegna la lista dei vocaboli nuovi (vocäbula nova) per esser sicuri di conoscere il significato delle singole parole. Un
Da alcuni anni ormai, specialmente per opera di Antonio Gonzáles Amador ed Emilio Canales Muñoz, s’è sviluppato in Ispagna un incredibile movimento di promozione del metodo induttivo nelle scuole; le Jornadas de cultura clasica riuniscono ogni anno centinaia d’entusiasti insegnanti che in vario modo utilizzano i libri dell’Ørberg nella pratica didattica (vedi p. 102). Naturalmente, come spesso succede, talvolta il fervore si spinge troppo in là, e trascende in un campo che non può esser quello della scuola, se non per gioco: cioè quello della cosiddetta Latinitas viva. Tuttavia il sito www.culturaclasica.com, nella sezione dedicata allo scambio di esperienze tra docenti (www.lingualatina-orberg.blogspot.com), oltre ad aggiornamenti continui e aggiunta di materiali che possono risultare assi utili, presenta una sezione di collegamenti a diversi eserciziari interattivi: 1. quello di Enrique Martínez Cossent, di Sagunto; 2. quello di Alejandro Pastor; 3. quello di Santiago Carbonell; 4. quelli del magister McCan. Talvolta c’è qualche svista: ma nel complesso sono esercizi utili, che possono essere adoperati in maniera fruttuosa anche dagl’insegnanti italiani, così come mostrato nel documentario La via degli umanisti. Altri sussidi potranno esser ritrovati nello stesso sito (come quelli proposti da Juan J. Cienfuegos o da Ansgarius Legionensis). Si può pensare, per l’utilizzo di questi ausili, di portare i ragazzi in una sala informatica o multimediale; se in classe c’è un collegamento alla rete, basterà un elaboratore portatile e un proiettore. Oggi, inoltre, molte scuole dispongono di lavagne interattive, che possono essere utilizzate con profitto. 130
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utile esercizio in cui i ragazzi possono cimentarsi insieme con l’insegnante consiste nel costruire una semplice frase con ogni parola, o un intero brano con tutti i nuovi vocaboli. Dovranno poi collocare le parole mancanti nel pënsum B, così da fornire un buon senso compiuto. Ultimo esercizio sarà quello di rispondere alle domande del pënsum C con brevi frasi, orali o scritte. Anche i pënsa possono essere svolti a casa come riepilogo.
12. Nel procedere alle verifiche, non si tralasci mai di far fare ai ragazzi un riassunto orale in latino di quanto letto nei capitoli precedenti. Mentre gli alunni riassumono, dopo averli lasciati parlare, si pongano domande di comprensione del testo. Questo esercizio orale permette l’assimilazione perfetta, fino alla trasformazione in automatismi, di norme e strutture linguistiche. A mano a mano che il vocabolario e le cognizioni grammaticali si ampliano, i ragazzi saranno in grado di parlare con sempre maggiore correttezza e scioltezza, fino a che si potrà istituire un vero e proprio dialogo tra insegnante e alunni. Il riassunto può richiedersi anche prima di cominciare la lettura del nuovo capitolo. 13. Per consolidare quanto appreso, si possono leggere i Colloquia persönärum raccolti in LATINE DISCO. Questi ventiquattro colloqui permettono di ripetere grammatica e vocabolario dei rispettivi capitoli attraverso scenette piacevoli e divertenti. Si può pensare a una recitazione vera e propria e dunque all’apprendimento a memoria dei dialoghi. Dopo l’XI capitolo, quando si saranno studiate le oggettive con acc. + inf., si può ritornare sui Colloquia per invitare i ragazzi a volgerne le frasi enunziative in discorso indiretto. Anche dei colloqui si potrà curare che gli alunni facciano riassunti orali o scritti. 14. Si potrà, qualora lo si ritenga opportuno, approfondire gli aspetti di civiltà e di retroterra culturale a cui nei testi del corso si fa riferimento. L’attenzione agli aspetti storici, archeologici e di costume è, naturalmente, fondamentale: non si perda però di vista lo scopo primario del corso, che è quello di mettere i ragazzi in grado di leggere i classici correntemente. Lo studio della civiltà dev’essere dunque funzionale alla comprensione dei testi, nel senso che non è possibile comprendere veramente a fondo un testo senza conoscere gli aspetti anche materiali del mondo che l’ha prodotto: non si trasformi però lo studio del latino solo in uno studio delle caratteristiche culturali del mondo romano, mettendo in secondo piano, o addirittura trascurando gli aspetti linguistici, che sono poi la chiave per accedere a quel mondo senza diaframmi.
ALCUNE RACCOMANDAZIONI IMPORTANTI 1. Motivazione degli alunni
Una delle condizioni più importanti per qualunque apprendimento è che l’allievo sia animato da una forte motivazione. Molti insegnanti sono convinti che questa sia un’utopia con i ragazzi d’oggi, distratti da troppi altri interessi ben diversi da quelli scolastici. In realtà, se è vero quello che sostiene Peter Wülfing, e cioè che il docente dell’epoca nostra si trova nelle condizioni di un venditore in un mercato dove moltissimi altri hanno strumenti pubblicitari molto più attraenti dei suoi, e i cui “beni d’informazione, per continuare con la metafora economica, devono essere annunciati, offerti, portati in casa da pubblicitari e rappresentanti esterni”131; è d’altro canto non meno vero che, in buona parte dei casi, non è troppo difficile entusiasmare ragazzi di quattordici-quindici anni alla conquista dei mondi nuovi e inesplorati che il possesso di una lingua come il latino può aprire loro. Naturalmente un fattore indispensabile perché i ragazzi siano emotivamente coinvolti in maniera positiva nel processo d’apprendimento è il successo: essi devono sentire sempre che a pari sforzo corrisponde pari risultato, e che questo risultato viene riconosciuto in maniera gratificante. Il cosiddetto ‘effetto Pigmalione’, che sortisce così disastrosi effetti quando su di un ragazzo si cuce un giudizio negativo, può essere sfruttato a fini costruttivi, qualora l’alunno, continuamente incoraggiato dall’ insegnante, sia stimolato a conservare l’immagine positiva che s’è creato, e senta giorno per giorno palpabili e tangibili i suoi progressi. Si trasmetta quasi per contagio l’entusiasmo, si faccia avvertire la gioiosa meraviglia di riuscire a comprendere testi via via più difficili e complessi, si comunichi agli alunni fiducia e confidenza in sé stessi, nelle proprie forze che vanno irrobustendosi giorno per giorno. Non si lesini sugli elogi, pur senza svalutarli con l’effonderli a destra e a manca a ogni piè sospinto: si guardino in volto i ragazzi e si cerchi di sottolineare soprattutto i successi, il superamento di scogli e difficoltà, senza far tragedie per qualche inciampo in cui gli allievi potranno incorrere (ma non drammatizzare non significa essere trascurati nelle correzioni d’eventuali errori o imprecisioni: l’importante è solo far sentire agli studenti che, se l’insegnante li corregge, non è per un’intenzione punitiva o mortificatoria, ma solo perché essi possano P. Wülfing, I primi testi d’autore nell’insegnamento del latino, in: Temi e problemi della didattica delle lingue classiche, Herder, Roma 1986, p. 72.
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raggiungere sempre migliori risultati): li si segua con amore profondo, e si faccia della scuola un luogo di gioia in cui vibri un’intima corrente affettiva, e non un’oscura casa di tortura. Si stimolino i ragazzi con esercizi e interrogazioni che siano costanti e sapientemente calibrate, in modo tale che non risultino tanto difficili rispetto al livello d’apprendimento linguistico raggiunto, da essere inattingibili in maniera frustrante, né tanto facili, da produrre un calo d’attenzione e d’interesse da parte degli alunni. Tutto questo sarà comunque suggerito all’insegnante dall’amore che porterà ai suoi allievi. Anche nell’insegnamento vale dunque l’agostiniano dïlige, et quod vïs fac132.
2. Comunicare agli studenti sicurezza
Che l’insegnante non mostri mai scoraggiamento, dubbi o indecisioni. In ogni lezione il docente deve avere un’idea molto chiara di ciò che andrà a fare, e deve stare attento a non mostrare alcuna incertezza. Nei primi tempi i ragazzi troveranno una certa difficoltà a trasformare in automatismo l’uso dei casi, che è notevolmente distante dalle strutture normali della nostra lingua (tranne che per alcune forme particolari): un insegnante che non ha mai usato il corso potrebbe in questi momenti iniziali scoraggiarsi, perdere fiducia nel buon esito del suo insegnamento, e comunicare quest’insicurezza ai suoi alunni. Si dia invece ai ragazzi più tempo, si facciano fare più esercizi, si faccia leggere, parlare, scrivere. Non si vada avanti se non si è assolutamente certi che gli alunni possiedano il sistema delle declinazioni, in modo tale da saper usare i casi appropriati al posto giusto senza doverci stare a pensare. Si conservi sempre l’entusiasmo iniziale, si conduca la lezione con vigore e sicurezza, non si abbandoni mai la certezza assoluta del buon risultato finale, e le aspettative non saranno deluse.
3. Il valore dello humour
Se, come ha dimostrato ampiamente la suggestopedia, un clima sereno e la mancanza di paure e tensioni negative ha notevole efficacia sull’apprendimento linguistico, non v’è dubbio che un pizzico di humour può favorevolmente contribuire non solo a creare tale clima, ma anche a fissar meglio vocaboli, forme e strutture nella memoria. Com’è noto, infatti, la memoria ritiene assai più facilmente ciò ch’è strano, assurdo, ridicolo, divertente, rispetto a ciò ch’è consueto, ordinario, comune, indifferente. Come possa suscitarsi un certo divertimento anche col latino, è presto detto. Consideriamo questo dialogo realmente avvenuto tra lo scrivente e uno dei suoi alunni: Alunno: “Inter folia et rämös arboris sunt nïdï, in quibus sunt ovës.” Insegnante: “Ovës? Potestne rämus tenuis ovës sustinëre?” (il resto della classe comincia a ridere; il ragazzo che dialoga con l’insegnante non capisce ancora) Alunno: “Ita: rämus ovës sustinet.”
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Aug., Commentarium ad primam epistulam Iohannis, 7, 8.
ALCUNE RACCOMANDAZIONI IMPORTANTI
Insegnante: “Äh, bene. Hoc est mihi novum. Num bälant ovës in nïdö?” (a questo punto anche il ragazzo capisce, ride anche lui e si corregge) Alunno: “Uhi! Stultus sum! Öva, öva sunt in nïdö, nön ovës!”
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Facciamo un altro esempio:
Alunno: “Märcus, quamquam puer improbus est, posthäc pàrere vult.” Insegnante: “Intellegö. Nön erit tamen tam facile eï pàrere.” Alunno: “Cür?” Insegnante: “Quia nön est mulier, neque novum fïlium exspectat!” (la classe ride) Alunno: “Uhmm... Parëre volëbam dïcere, parëre parentibus!”
Non di rado capiterà che questo humour parta dai ragazzi; per esempio, nel leggere il cap. XXIX (ll. 70-71): Alunno: “Orpheus tam pulchrë canëbat, ut bëstiae ferae, nätüram suam oblïtae, accëderent...” Insegnante: “Tü quoque canis, nönne?” Alunno: “Minimë, ego nön canis: ego homö sum.”
Ancora, nel leggere il cap. XXX (ll. 63-64):
Alunno: “Necesse est paulisper famem et sitim ferre, dum cibus coquitur...” Insegnante: “Nös quoque famem patimur häc horä, nönne? Nönne tü, Märce, cupidus es aliquid edendï? Et, ut mihi vidëtur, Antönï, tü quoque!” Alunno: “Minimë, ego nön coquam. Nön sum cocus!” 133
Naturalmente anche nello scegliere esempi, nel proporre scenette, nel mostrare la funzione di strutture sintattiche sarà bene scegliere qualcosa di inaspettato, di divertente, di sorprendente, che s’infigga meglio nella memoria. Molti esempi di questo genere si potranno vedere nel documentario La via degli umanisti.
4. L’uso dei realia
Suscita sempre una notevole curiosità l’uso d’oggetti nuovi durante le lezioni. La curiosità sarà maggiore se gli oggetti che porteremo in classe riproducono in maniera più o meno fedele cose del mondo romano. Tabulae, stilï, calamï, chartae ex papÿrö, lucernae, nummï, sacculï, signa (anelli con sigillo), son facilmente acquistabili a poco prezzo; gladiï, scüta, hastae, pïla, e altre armi, così come coppe, vasi, specchi, statue sono deciÈ singolare come questo gioco di parole, realmente e spontaneamente venuto fuori dall’arguzia d’uno studente, fosse già antico: cfr. Quint. 6, 3, 47 e, nei Colloquia d’Erasmo (che trae il gioco da Quintiliano e Cicerone), Apotheosis Capnionis, sub finem. 133
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samente più costose (ma, per esempio, riproduzioni in legno di gladiï sono assai economiche); però in qualche caso può acquistarli la scuola. Modelli anche assai economici di case romane, di vïllae rüsticae, di castra possono essere stimolanti per immergersi sempre più nell’ambiente che costituisce lo sfondo di FAMILIA ROMANA. Indossare una tunichetta o una semplice toga fa sentire maggiormente agli alunni il ruolo che interpretano, nel caso di drammatizzazioni di parti dialogate. Con un pizzico di fantasia si possono inventare altre cose, e, con un po’ d’approssimazione, molti oggetti fatti in casa andranno bene allo scopo134.
5. Rompere la monotonia nella dinamica delle lezioni
Tutti gli esercizi presentati più avanti in questa Guida (vedi p. 125) possono essere usati sia come prove di verifica, sia come attività pratiche in classe, insieme a un’ampia varietà di altri progymnasmata, che vanno da quelli presenti negli Exercitia e nei Pënsa a quelli contenuti nei due Quaderni e a molti altri: completamento, amplificazione, domande, sommari (sarà opportuno chiedere ai ragazzi una breve epitome del capitolo precedente ogni volta che cominciamo un nuovo capitolo), incroci di parole, scelta multipla, anagrammi, gioco dell’impiccato, aparola con immagini, descrizione di figure, brevi rappresentazioni sceniche, drammatizzazioni (anche comiche), dialoghi, composizione di frasi e storie, descrizione d’azioni mimate, esercizi di sinonimia, di “caccia all’intruso”, di membra disiecta da riordinare, di campi semantici da costruire, di giochi linguistici diversi, e tutte le altre attività che possiamo escogitare contribuiranno a creare un clima sempre nuovo e attivo in classe, rompendo quella monotonia che spesso è la causa prima del fallimento nella trasmissione dei contenuti. L’insegnante non dev’esser troppo comato, né deve ripetere stancamente ogni giorno lo stesso schema: dev’essere in grado di bilanciare un necessario allenamento degli studenti a determinati esercizi e quella varietäs continua che sola dëlectat. Non si tratta di compromettere la serietà delle nostre lezioni, ma proprio di rendere le nostre lezioni più serie, perché più adatte allo scopo, ch’è quello di far sì che i nostri ragazzi imparino il più possibile e digeriscano anche le cose più ostiche senza doverle per questo odiare. Omnia tempus habent: quando, porgendo aspersi di soave licor gli orli del vaso avremo ottenuto che si sia suscitato un interesse non disgiunto da un amore, e da un senso di piacere nell’affrontare una disciplina, saranno i ragazzi stessi a domandare approfondimenti, maggiori delucidazioni, chiarimenti ulteriori; saranno allora pronti ad affrontare lo studio di qualsiasi difficoltà, anche di quelle che mai ci saremmo sognati di vedere aggredite con tanto piglio, determinazione e positiva caparbietà di voler superare gli ostacoli. Ma dobbiamo far sì che Rimandiamo alle parole del Jones riportate nella nota 2 per sottolineare fino a che punto i realia debbano aver posto nella nostra didattica, e soprattutto per ribadire che essi devono costituire un mezzo, e non un fine dell’insegnamento. Alcuni buoni siti da visitare per acquistare materiale molto ben riprodotto: www.antike-zum-begreifen.de; www.antiquaexcelsa.com; www.armillum.com; www.prima-cohors.com; www.medievalfactory.com; www.deltin.net; www.amigosmuseoromano.org; www.stonehenge.rimini.it /armi_romane_daghe_ gladi_pilum.htm. 134
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l’esigenza nasca dall’interno, e non sia eteronoma: e dobbiamo esser convinti che possono perfettamente esser coniugate allegria e serietà, rigore e piacevolezza, concentrazione e gioco. Questo senza, naturalmente, trasformare la scuola in un bamboleggiare continuo, ma conservando quei fïnës quös ulträ citräque nequit cönsistere rëctum.
6. Interrogazioni e spiegazioni: continuità nello studio
Se la continuità dello studio è importante per l’assimilazione piena e completa dei contenuti di tutte le discipline, essa è addirittura indispensabile per l’apprendimento delle lingue. Dunque sarà prima di tutto assai raccomandabile distribuire o far distribuire il proprio orario di latino su quanti più giorni della settimana possibile, evitando concentrazioni di ore in un solo giorno e lunghi vuoti nei giorni restanti; in secondo luogo bisognerà fare in modo che i nostri ragazzi studino con assiduità e senza salti. Questo, oltre che generando un autonomo interesse, dev’essere ottenuto attraverso un continuo, costante, quotidiano controllo e valutazione dei risultati. Naturalmente le nostre classi sono spesso numerose, e non è possibile interrogare tutti ogni giorno. Ma possiamo utilizzare alcune strategie. Prima di tutto mai solo “spiegare” o solo “interrogare”: ogni volta, da posto, prima d’affrontare nuovo materiale e nuovi argomenti, o anche mentre si tratta qualcosa di nuovo, si facciano domande sparse: una domanda a uno, una a un’altro degli alunni, senza un ordine precostituito, e girando fra i banchi. A volte si chiami anche chi è dietro le nostre spalle, o comunque fuori dal nostro campo visivo. Si tenga sempre un taccuino con una legenda, in cui a ogni simbolo corrisponda un punto di grammatica o d’altri elementi studiato; per esempio: x * □ ○ ◊ ► ☼ etc.
nom. sing. e plur. I/II decl. stato in luogo sing. I/II decl. concordanza agg./nome domande retoriche con num gen. sing. e plur. I/II decl. acc. sing. I/II decl. lessico
Il valore dei simboli va mutato a mano a mano che si studiano nuovi punti e che i precedenti sono stati assimilati. A ogni risposta dei ragazzi si annoti un segno positivo o negativo affianco a ogni simbolo. Le domande, come le risposte, devono avere un ritmo sostenuto, veloce. Sappiano i ragazzi che le loro risposte saranno valutate con un voto. In questo modo s’ottengono diversi risultati: 1. Ogni giorno possiamo far domande a dieci, forse anche quindici ragazzi, senza grande dispendio di tempo. 2. I ragazzi sanno d’esser sottoposti a un controllo continuo, e che non possono trascurare lo studio della materia per lunghi periodi in attesa del loro turno d’“interrogazione” (magari “programmata”).
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3. Possiamo sùbito identificare quali sono i punti non assimilati dai singoli alunni. Lo sottolineeremo immediatamente: “Non conosci ancora bene gli accusativi: domani o dopodomani ti farò altre domande; studiali, mi raccomando.” Non si può credere quanto questo contribuisca a colmare le lacune; spesso infatti lo studente non studia perché è pigro, non sa da dove cominciare, e si sente avvilito di fronte a una mole che gli pare insormontabile. Identificare giorno dopo giorno uno, due elementi su cui concentrare lo studio dà effetti sorprendenti. 4. Avremo alla fine del trimestre o quadrimestre oltre venti “voti” segnati sul nostro registro. Di questi voti non va fatta una media, ma da essi va valutato se l’andamento è stato costantemente positivo (e in che misura positivo) o negativo. Solo nei rari casi in cui l’andamento risultasse assai oscillante chiameremo l’alunno alla cattedra e indagheremo con profondità sulle sue competenze. Gli esercizi vanno fatti scrivere su di un quaderno. Quando si verifica il loro svolgimento, si deve far sì che i ragazzi abbiano davanti a sé il libro in cui non siano scritte le soluzioni degli esercizi: eviteremo così che essi leggano ivamente ciò che hanno magari trascritto da compagni o da altre fonti, per esempio da un libro usato. Se sul libro del ragazzo che interroghiamo gli esercizi sono svolti a penna o a matita, chiudiamoglielo e mettiamogli davanti il nostro libro con gli spazi bianchi.
7. Il vocabolario
Il corso LINGUA LATINA contiene circa 4.000 vocaboli. Tutte le parole presenti nei testi costruiti ad hoc e in quelli adattati non sono scelte a caso, ma sono state tratte dai migliori lessici frequenziali della lingua latina135, e costituiscono dunque il vocabolario di base dei testi che ogni alunno avrà occasione di leggere durante il suo corso liceale. La didattica grammaticale-traduttiva non riserva, purtroppo, grande attenzione all’apprendimento lessicale, se non lì dove qualche insegnante illuminato cerca strategie e si preoccupa di trovare strade più o meno efficaci per permettere agli alunni di assimilare quanti più vocaboli possibile. Nel corso LINGUA LATINA, al contrario, imparare il lessico viene considerato fondamentale, e tutti i testi sono strutturati in modo tale da facilitarne l’apprendimento attraverso una ripetizione studiata delle parole all’interno di contesti diVedi, in particolare, P.B. Diederich, The frequency of Latin words and their endings, The university of Chicago Press, Chicago, IL 1939; G. Lodge, The vocabulary of high school Latin, Teachers Coll., New York, 1907; L. Delatte, Et. Evrard, S. Govaerts, J. Denooz, Dictionnaire fréquentiel et index inverse de la langue latine, L. A. S. L. A. (Laboratoire d’analyse statistique des langues anciennes), Université de Liège, 1981; Maurice Mathy, Vocabulaire de base du latin, Editions O. C. D. L., Paris VIIe, 1952; A basic Latin vocabulary, published for the Orbilian society by Centaur books, 4th impression, Slough 1956 (1st impression 1949); D. Gardner, Frequency dictionary of classical Latin words, Stanford university, 1971; G. Cauquil-J.-Y. Guillaumin, Vocabulaire de base du latin (alphabétique, fréquentiel, étymologique), ARELAB, Besançon 1984 (in edizione italiana: Lessico essenziale di latino, a cura di F. Piazzi, Cappelli, Bologna 1998); E. Riganti, Lessico latino fondamentale, Pàtron, Bologna 1989. 135
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versi, esercizi appositi e stimolazione del procedimento induttivo per la comprensione del significato dei vocaboli nuovi. È assolutamente necessario che l’insegnante controlli la perfetta assimilazione del vocabolario da parte degli alunni, che devono apprendere tutte le parole del corso, e non solo ivamente, ma anche in maniera tale da essere in grado di utilizzarle al momento opportuno. Il modo migliore per fissare definitivamente nella memoria voci e forme espressive, infatti, è senza dubbio alcuno quello di usarle in situazione. La contestualizzazione del vocabolo fornisce una serie di ‘sostegni mnemonici’, che consentono all’allievo di mandare a memoria e ritenere più facilmente le parole. Non si consideri secondario dunque l’apprendimento lessicale, condiciö sine quä nön per una lettura corrente dei testi classici, e non si faccia adoperare il vocabolario durante i primi tre anni di studio della lingua. Nell’insegnamento del latino e del greco è diffusa la strana idea che il vocabolario vada usato nei primi stadi di apprendimento linguistico136, e solo a livelli molto avanzati di conoscenza della lingua possa essere abbandonato. Una didattica efficace, invece, si basa proprio sul procedimento opposto: a livello elementare il vocabolario non deve mai essere strumento normale di lavoro, dovendo i ragazzi avvertire l’esigenza di imparare il lessico di base della lingua che imparano, senza sentir sempre la necessità di are attraverso la propria lingua materna, ma facendo corrispondere cose a parole, e non parole d’una lingua a parole d’un’altra lingua. Naturalmente, questo metodo può esser adottato solo a patto che i testi di volta in volta proposti presentino un lessico gradualmente ampliato in maniera razionale, e non una casuale congerie di vocaboli all’interno della quale il ragazzo non abbia alcuna possibilità di orientarsi da sé. Solo quando il patrimonio lessicale sarà stato acquisito e definitivamente assimilato, gli alunni potranno, qualora richiesti di effettuare una traduzione letteraria, utilizzare uno strumento come il vocabolario per trovare in esso suggerimenti per una resa più efficace ed elegante di ciò che essi, in latino hanno già capito, o per cogliere meglio il significato di qualche rara parola ignota che compaia di tanto in tanto in 136 Se già il Comenio sosteneva che i lessici e i vocabolari fossero i principali responsabili del fallimento d’una certa didattica del latino (e vocabulariis [...] et dictionariis Latinae linguae studium nimis est impeditum: Ianua linguarum reserata, Praef., § 5, cit. [n. 53]), tanto più possiamo affermarlo noi, che da anni ormai, nonostante tutte le raccomandazioni possibili, vediamo i nostri alunni gettarsi a capofitto sul dizionario per cercare affannosamente “la frase” già bell’e tradotta; e che ci accorgiamo attoniti che, se una parola, foss’anche enim, compare tre volte nel brano da noi proposto, i ragazzi la cercano tutt’e tre le volte nel loro ponderoso vocabolario. Riteniamo dunque che, se vogliamo che gli alunni imparino i vocaboli necessari, anzi indispensabili per comprendere un qualunque testo latino, essi debbano fare a meno del dizionario almeno per i primi tre anni. Si potrà poi consentire un graduale inserimento, a patto che non si tralasci l’uso attivo della lingua, e che i vocaboli appresi si tengano sempre vivi nella memoria con l’uso continuo. D’altro canto, “imparare a usare il vocabolario” non può significare che questo: farne cioè un uso razionale, adoperarlo più per controllare che per scoprire l’ignoto, sapere in che contesto vada inserita la parola di cui cerchiamo un equivalente nella nostra lingua, cioè conoscere gli altri vocaboli della frase in cui essa è collocata. L’introduzione precoce e indiscriminata dell’uso del dizionario può vanificare buona parte dei nostri sforzi. Naturalmente anche le prove scritte in classe andranno svolte sempre senza vocabolario.
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contesti che risultano perfettamente comprensibili in ogni loro parte. Anche nella valutazione si tenga ben presente che l’apprendimento lessicale deve costituire uno dei fattori di giudizio essenziali.
8. Anticipare il presente e l’imperfetto?
Alcuni insegnanti italiani e spagnoli sentono l’esigenza d’anticipare, rispetto alla scansione del libro, la coniugazione completa di presente e imperfetto, che per parlanti lingue neo-latine non presentano grandi difficoltà. Bisogna tener presente ed esser coscienti del fatto che il corso dell’Ørberg non lascia nulla al caso, ma segue un percorso assai razionale nella presentazione dei contenuti grammaticali: prima tutta la morfologia nominale (sostantivi, aggettivi e pronomi); poi il participio presente, che, “partecipando” del nome e del verbo fa da trait d’union con la parte dedicata allo studio del verbo latino; poi, dal capitolo XV in poi, la morfo-sintassi del verbo: prima l’indicativo, poi il congiuntivo coi suoi usi. Inoltre il corso è destinato a un pubblico internazionale: se è assai semplice per un italiano o uno spagnolo imparare a padroneggiare una coniugazione con sei forme diverse, indicatrici della persona che compie l’azione anche lì dove il soggetto non è espresso, la cosa non è altrettanto scontata per chi parla altre lingue, per esempio l’inglese. I primi quattordici capitoli, dunque, introducono solo le terze persone, singolari e plurali, dell’indicativo presente attivo e ivo di tutt’e quattro le coniugazioni, dei verbi in -iö della terza e di molti verbi irregolari. Questa scelta dà sicuri e ottimi risultati. È però comprensibile che un insegnante che voglia fare maggior uso delle tecniche attive sin dall’inizio, senta la necessità di introdurre anche la prima e la seconda persona del verbo, almeno al presente e all’imperfetto, per potere in qualche modo esprimere azioni che avvengano ora o nel ato. La cosa è, naturalmente, possibile con pochissimo sforzo da parte degli alunni, e può essere accompagnata da esercizi attivi, basati sulle tecniche del Total Physical Response; conviene aspettare di avere studiato bene il capitolo IV, in cui son presentati gl’imperativi: poi, utilizzando la semplice serie sopra menzionata (vedi p. 67) di sedeö surgö ambulö reveniö possiamo noi stessi mimare le azioni, alzandoci e dicendo contemporaneamente Surgö; poi ordinando a un ragazzo d’alzarsi (Surge, Märce!), e dicendo, mentre lui si alza Tü surgis, poi chiedendo: Quid facis? e attendendo la risposta Surgö!, e così via, prima ponendo un solo alunno a sedere affianco a noi, e facendolo alzare insieme a noi (Surge! Surgimus), poi con due ragazzi (Surgite! Vös surgitis); poi ancora con gli altri verbi della serie (ci si ricordi che sedeö non è cönsïdö, e che indica lo “star seduto”, non il “mettersi a sedere”). Lo stesso può farsi coll’imperfetto: mentre siamo seduti diciamo sedeö; poi, mentre ci alziamo diciamo sedëbam, sed nunc surgö, e così via137. La cosa può ripetersi dando a un ragazzo l’inca137 Il procedimento è spiegato nei dettagli, facilmente intuibili, sia nel bellissimo libro di W. H. D. Rouse e R. B. Appleton, Latin on the direct method, cit. (n. 15), p. 143-151, sia nel volumetto di W. H. S. Jones, Via Nova, cit. (n. 2), p. 92 e seguenti, sia nel libriccino di S. O. Andrew, Praeceptor, cit. (n. 16) p. 28-30, sia, ancora, nel già citato (n. 67) articolo di H. Loehry, Oral method, pubblicato nella rivista “Latin teaching” (vol. XXXI, n. 6, giugno 1965, pagine 190-198).
ALCUNE RACCOMANDAZIONI IMPORTANTI
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rico d’indicare uno o più compagni e d’ordinare loro di compiere azioni (alzarsi, star seduti, camminare, tornare al posto) dicendo lui stesso quel che fanno, poi chiedendo: quid facis? quid facitis? e attendendo le loro risposte. Con questo sistema, che sembra dispendioso, si risparmierà invece un sacco di tempo, e si farà in modo che tutti imparino l’intera coniugazione in maniera duratura. Poi la si potrà usare in vari contesti, specialmente nel raccontare storie, nel comporre dialoghi, nella recitazione di scenette, nei dialoghi con l’insegnante o degli alunni fra loro. Siano spesso gli alunni a prendere le parti del “docente” e coinvolgano loro i compagni: questo li responsabilizzerà e farà in modo che studino con più scrupolo e coscienza138.
9. Le verifiche scritte
In questa Guida è stato incluso un buon numero di testi, che costituiscono un materiale che potrà essere proposto con una certa frequenza: i brani qui raccolti contengono gli stessi vocaboli e le stesse strutture morfosintattiche dei relativi capitoli di FAMILIA ROMANA. Su ognuno dei brani è segnalato anche, indicativamente e con larghezza, il tempo da assegnare per lo svolgimento. I brani non devono essere intesi come soli i di versione: con essi è possibile effettuare un gran numero d’esercizi e verifiche diverse, come indicato nella parte specifica di questa Guida (vedi p. 125). Tutte le verifiche devono essere svolte senza l’ausilio del vocabolario. Non ci si spaventi per la lunghezza dei brani: si ricordi che lo scopo del corso è quello di mettere in grado i ragazzi di leggere correntemente il latino, e dunque non dovrà essere per loro difficile leggere una pagina intera in un’ora, e in un’altra ora rielaborare quanto letto in vari modi. D’altro canto è possibile anche assegnare solo una parte di ciascun o. Tutti i brani, prima che i ragazzi s’impegnino nel lavoro, dovranno essere recitati a voce alta dall’insegnante in maniera espressiva, con grande attenzione al senso.
10. Pensare in latino
Se nutriamo una certa diffidenza nei confronti della validità di una ‘traduzione’ dal latino in italiano nei primi stadi di apprendimento linguistico, lì dove si traduca per comUn umanista come il Fortius credeva addirittura (non del tutto a torto), che porre il discente nel ruolo d’insegnante fosse lo strumento principe e più efficace d’ogni altro per l’apprendimento: “Tanti ego facultatem istam [sc.: docendi] facio, ut malim iudicium adolescentis qui perpetuo docuisset, etiam res humillimas, quam eius, qui solitaria domi lectione autores optimos perlegisset. Multa saepe legi, sed mensis unius intercapedo memoriam ita deleverat omnem, ut vix dum scirem quos legissem. At quae alios docui, ea tam mihi perspecta sunt, quam corporis membra ipsa. Ea non aliter ac solis splendorem ante oculos haerere sentio. Horum cognitionem firmam esse, certam esse, frugem proferre amplissimam, experimento comperi. Horum memoriam vix morte credam extingui posse” (Ioachimi Fortii Ringelbergii, Desiderii Erasmi, M. A. Mureti, G. J. Vossii & C. Barlaei Commentationes de ratione studii; accessit elogium Tiberii Hemsterhusii, auctore viro celeberrimo Davide Ruhnkenio [...], cura Ev. Scheidii, Lugduni Batavorum, apud Sam. et Joh. Luchtmans, MDCCLXXXXII, n° 1, p. 29). 138
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prendere il senso di un brano, invece di comprendere per poi eventualmente tradurre, cioè, etimologicamente, ‘trasportare’ lo stesso concetto, riformulandolo, in un’altra lingua; a maggior ragione siamo fortemente dubbiosi, a questo livello elementare, riguardo alla ‘traduzione’ dall’italiano in latino, che spesso non si riduce ad altro che a una mera e piuttosto meccanica applicazione di ‘regole’ da parte di chi non ha, e non può avere, alcun ‘senso’ dell’indole della lingua. Se parliamo di competenza attiva della lingua come fondamentale nel processo di apprendimento — come mezzo, si capisce, non come fine — intendiamo riferirci a una produzione non mediata (colloqui, composizioni, sommari, risposte, anche articolate, a domande, esercizi di completamento e manipolazione) che abituino il ragazzo sin dai primi giorni quanto più è possibile a pensare direttamente in lingua, senza forzature che spesso tendono ad appiattire il latino sull’italiano o viceversa. Occasionalmente, comunque, specie all’inizio, potranno esser proposte, tra gli altri esercizi, brevi frasi da rendere estemporaneamente in latino.
NOTE PER L’INSEGNANTE NON COMPRESE NELL’ENCHIRIDION Come s’è già detto, l’Enchïridion discipulörum compreso in LATINE DISCO è uno strumento che, a dispetto del titolo, può essere utile tanto agli insegnanti quanto agli alunni. È infatti seguendo la falsariga in esso proposta che il docente può pianificare al meglio la sua lezione. Qui di séguito si potranno trovare ulteriori note che non s’è ritenuto opportuno inserire nelle spiegazioni rivolte ai ragazzi, per lasciare che ogni insegnante potesse liberamente scegliere se e come presentarle alla sua scolaresca. Tutto quanto è compreso nell’Enchïridion, naturalmente, non è riportato in queste note aggiuntive.
Preliminari
In primo luogo raccomandiamo di studiare le pagg. 279-284 di LATINE DISCO dedicate alla pronunzia. Senza voler entrare nella vexäta quaestiö della ‘migliore’ o ‘peggiore’ pronunzia del latino, è un fatto che, dopo il convegno internazionale di Avignone del 1956, nella maggior parte dei paesi d’Europa s’è concordato d’adottare nelle scuole e nelle Accademie la cosiddetta pronunzia restitüta, cioè quella che, con una certa verosimiglianza e una buona approssimazione, si ritiene fosse la pronunzia classica del primo secolo avanti Cristo154. In Italia la forte tradizione della Chiesa cattolica e vari altri fattori storici e culturali non hanno favorito, anzi, diremmo, hanno decisamente ostacolato l’introduzione della restitüta a livello scolastico e universitario. Noi non ci rammaricheremo di questo: la pronunzia ‘italiana’, infatti, ha anch’essa una sua validità e una sua tradizione storica che risale al tardoantico, ed è stata tramandata attraverso le solenni note della liturgia gregoriana e la trasmissione vïvae vöcis öräculö delle scholae e dei monasteri sin dall’alto medioevo. Non crediamo dunque che tale tradizione vada cancellata, e non siamo sfavorevoli ad una conservazione della ‘nostra’ pronunzia in ambito didattico: tra l’altro, se il latino va studiato nella prospettiva di leggere non solo autori dell’antichità classica, ma anche opere medievali, rinascimentali e moderne della nostra cultura occidentale, ci apparirebbe non solo piuttosto discutibile, ma anche antistorico leggere, per Il testo di riferimento per la ricostruzione della pronunzia ‘classica’, è: S. Allen, Vox Latina: a guide to the pronunciation of classical Latin, Cambridge university press, Cambridge 2004.
154
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esempio, s. Tommaso, Giordano Bruno o Galileo con la pronunzia di Cicerone e Cesare. Non sarà però fuori luogo che l’insegnante curi un’adeguata sintesi delle principali caratteristiche delle due maniere di pronunziare il latino vigenti in Europa, soffermandosi maggiormente sulle caratteristiche della pronunzia ‘italiana’. Egli potrà anche leggere qualche pagina del corso con le due pronunzie, o far ascoltare lo stesso Ørberg che legge con pronunzia restitüta nel disco interattivo che contiene FAMILIA ROMANA. Si rimanderà a uno stadio più avanzato del corso, quando ormai i ragazzi avranno preso familiarità con la lingua, uno studio più accurato delle pagine a cui sopra ci riferivamo, perché essi comprendano lo sforzo fatto dagli studiosi per ricostruire l’esatta articolazione dei suoni delle classi cólte all’epoca di Cesare e Cicerone. Uno studio di tal genere sarà poi fondamentale per comprendere gli esiti delle parole latine nelle lingue romanze, e in particolare nell’italiano. Nessuno potrebbe capire, per far solo un esempio, perché in italiano si dica “suòlo” per indicare il terreno e “sólo” nel senso di ‘soltanto’ se crede che derivino da un perfetto omòfono solum. In realtà, fra la parola latina che significava ‘terreno’ e la forma avverbiale sölum la differenza c’era, e non era da poco: si trattava della quantità della o, che faceva sì che già in età classica una parola si pronunziasse sòlum e l’altra sólum. Per ora tuttavia si diano solo alcune nozioni fondamentali molto brevemente, e si suggerisca agli alunni di leggere con un po’ d’attenzione il paragrafo 4 (“La pronunzia tradizionale”) sottolineando soprattutto la pronunzia dei dittonghi ae e oe, del gruppo ti seguito da vocale e del gruppo ph. Si sorvoli per ora sul resto. Si dia la regola fondamentale della penultima, che i ragazzi troveranno sottolineata a pag. 283 di LATINE DISCO in una forma un po’ diversa da quella a cui siamo abituati, ma forse più efficace perché essi possano sin dall’inizio pronunziare accuratamente le parole latine. Essa infatti dice: La penultima sillaba è sempre accentata, a meno che finisca in vocale breve: in questo caso soltanto, l’accento cade sulla terzultima sillaba. Nel corso tutte le vocali lunghe (cosiddette ‘lunghe per natura’) sono indicate, e quindi facilmente riconoscibili. Basterà badare alla divisione sillabica (che si fa come in italiano, tranne che, principalmente, per la regola dell’esse impura e quella dei dittonghi), per sapere se per caso la penultima sillaba d’una parola finisca in consonante, in vocale lunga o dittongo (nei quali casi su di essa cadrà l’accento), o in vocale breve (nel qual caso l’accento si ritrarrà sulla terzultima). Si ricordi che in questo primo stadio, la cosa più importante — e perciò più seria — è di avvicinare i ragazzi allo studio del latino senza traumi, anzi cercando di far sì che essi traggano da esso la massima piacevolezza e soddisfazione possibile: non mancherà il tempo, successivamente, di precisare con maggiore acribìa ciò che ora avremo solo accennato o detto con una certa approssimazione semplificativa.
CAPITVLVM I
NOTE PER L’INSEGNANTE
(1-10) Per prima cosa, si invitino gli alunni ad aprire il libro e a guardare la cartina che sta di fronte alla pag. 7 in modo da potervi ritrovare subito i nomi geografici del primo capitolo, via via che s’incontrano nel testo. Si cominci a leggere a voce alta: Röma in Italiä est. Ci vuol poco a capire che cosa significa. Si faccia notare il fatto che est sta in fondo alla frase, e si chiarisca che in latino la posizione delle parole è molto più libera che in italiano. Del resto, si può anche dire Röma est in Italiä. Si continua con due frasi altrettanto facili: Italia in Euröpä est. Graecia in Euröpä est. E poi si dice lo stesso con una frase sola: Italia et Graecia in Euröpä sunt. I ragazzi capiranno subito ― e ci vuol poco ― che cosa significa et ed è anche facile comprendere come mai ora si trova sunt in luogo di est. Su quest’ultimo punto comunque ci si soffermi, e si facciano domande specifiche, finché non si è sicuri che tutti gli alunni, fino all’ultimo, non abbiano più alcun dubbio. Altro punto su cui l’nsegnante deve far convergere l’attenzione degli alunni è la differenza tra Italia e in Italiä. s’invitino gli alunni stessi a riflettere: poco più avanti vedranno in Euröpä (l. 2); poi in Āfricä (l. 5) e in Asiä (l. 7); più avanti in Galliä (l. 12). Da questi esempi non sarà difficile indurre che se vogliamo esprimere lo stato in luogo con una parola che finisce in -a, dovremo premettere ‘in’ e allungare l’-a della terminazione. Non parliamo ancora di ablativo, non ancora di prima declinazione. Ma potremo far molta pratica, anche con l’uso di realia, come illustrato nel documentario La via degli umanisti.
È necessario procedere con attenzione da parte dell’insegnante. In queste prime
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espressioni, infatti, la somiglianza di latino e italiano è tale che i ragazzi, se non si sta in guardia, intenderanno tutto ― diciamo così ― ivamente, con l’orecchio anziché con l’intelligenza. Ma è invece proprio in queste prime fasi che bisogna abituarli a riflettere sul testo e a intendere il latino in latino, ossia non a orecchio ma per riflessione, non per istinto ma col ragionamento: ed è appunto per questo che bisogna sempre richiamare la loro attenzione sulla colonna marginale, dove si pongono in rilievo le nozioni grammaticali che essi apprendono praticamente nel vivo del contesto. È proprio in queste prime pagine che essi possono e devono abituarsi al procedimento del “metodo natura”: se andranno avanti superficialmente, ingannati dalla facilità di questa prima fase, non faranno nessuna fatica, ma dopo poche pagine non sapranno più proseguire. È perciò fondamentale, in questo primo stadio, l’intervento ― per dir così ― frenante dell’ insegnante: il ragazzo non sa e non può sapere quanto sia importante per lui la riflessione e la presa di coscienza dei fenomeni che sta incontrando: capisce, e questo gli sembra sufficiente. È il docente che deve fargli intendere che, a mano a mano che si va avanti, quella comprensione fondata sulla somiglianza e sull’analogia con l’italiano non può bastargli, se non v’è la solida base di un apprendimento cosciente dei meccanismi che regolano la lingua. Senza spaventarlo, dunque, si sottolinei l’importanza di riflettere su ogni frase, su ogni nota marginale: si stimoli nei ragazzi il piccolo orgoglio di riuscire da soli a ricavare induttivamente la “regola” dal contesto che è stato studiato proprio a questo scopo. Ogni volta che vi riusciranno sarà per loro un piccolo successo personale, che contribuirà a rafforzare in loro il desiderio di im-
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parare il latino. Si pratichi molto l’uso attivo della lingua, che obbligherà i ragazzi al ragionamento e alla vigile e intelligente attenzione a forme e strutture grammaticali.
Nelle righe successive quoque e sed son comprensibili dal contesto, cioè se si legge il testo in rapporto alla frase che precede (e se si tien d’occhio anche la carta geografica). S’invitino esplicitamente gli alunni (senza tradurre!): “guardate bene: Italia in Euröpä est. Graecia in Euröpä est. Hispänia quoque in Euröpä est.” Insomma, è indispensabile intendere il latino col latino. Le parole saranno ripetute con insistenza finché non siano perfettamente comprese e assimilate. Si osservi che quoque segue sempre la parola a cui si riferisce. (11-15) Si trovano le frasi: Est-ne Graecia in Euröpä? e Est-ne Röma in Graeciä? I ragazzi capiranno evidentemente che queste frasi sono domande, perché finiscono con un punto interrogativo e saranno state lette con una certa intonazione, ma si faccia subito notare che il latino ha una speciale paroletta che si attacca a un’altra per far tali domande: -ne. Dapprincipio, nei testi più elementari, ogni interrogazione è seguita dalla relativa risposta e spesso occorre leggere quest’ultima per poter intendere con sicurezza il significato della domanda. Per esempio, la domanda al rigo 12, Ubi est Röma?, s’intende con sicurezza solo in base alla risposta: Röma in Italiä est. Nell’Enchïridion discipulörum gli alunni troveranno scritto che non esiste una parola sola per dire in latino “sì” o “no”. Sarà però opportuno suggerir loro già da subito ch’essi possono, seguendo buoni esempi dei classici, usare Ita o Ita vërö per affermare e Minimë o Minimë vërö per negare. Per ita, cfr. Plauto,
Amph., 362: M. Haecine tua domust? S. Ita inquam. Ibīd., 370: Merc. At mentīris etiam: certō pedibus, nōn tunicīs venīs. Sos. Ita profectō. Ibīd., 410: M. Quid, domum vostram? S. Ita enim vērō. Asin., 340: Leon. Iam dēvorandum cēnsēs, sī cōnspexeris? Lib. Ita enim vērō. Aulul., 775: Eucl. Neque partem tibi ab eō quī habet indipīscēs neque fūrem excipiēs? Lyc. Ita. Bacch., 807: Chrys. Egōne istuc dīxī? Nic. Ita. Capt., 262: Phil. Captus est? Heg. Ita. Casina, 402: Lys. Quod bonum atque fortūnātum mihi sit. Ol. Ita vērō, et mihi. Curc., 422: Lyc. Mihin? Curc. Ita. Ter., Andria, 849: Da. mihin? Si. Ita. Ter. Eun., 697: Ph. Fräterne? Do. Ita. Adelph., 655: Ae. Hem, virginem ut sēcum āvehat? Mi. Sīc est. Ae. Mīlētum ūsque obsecrō? Mi. Ita. Per minimē, vedi Plauto, Bacchid., 87: Bacch. Manum dā et sequere. P. Aha, minimē. Ibïd., 1186: Nic. Minimē, nōlō. Menaechmï, 1035: Mess. Apud tēd habitābō et quandō ībis, ūnā tēcum ībō domum. Men. Minimē. Ibïd., 1122: Mess. Dīc mihi: ūnō nōmine ambō erātis? Men. Minimē. Ter., Heautontim., 742: Ba. Etiamne tēcum hīc rēs mihist? Sy. Minimē: tuom tibi reddō. Adelph., 193: Cōgēs mē? Ae. Minimē. Già a partire dal rigo 15 l’insegnante può fare attiva pratica di domande in latino, ritornando alla cartina; la cartina può essere anche proiettata sulla parete (anche con un lucido e una semplice lavagna luminosa). Si domandi dunque Ubi est Röma? Ubi est Italia? Ubi est Graecia? Ubi sunt Italia et Graecia? Estne Graecia in Euröpä? Estne Röma in Graeciä? Estne Germänia in Asiä? Estne Syria in Euröpä? Suntne Gallia et Hispänia in Āfricä? etc. Possiamo anche noi dare risposte per le quali i ragazzi devon formulare domande. Un’altra maniera efficace d’esercitare i ra-
NOTE PER L’INSEGNANTE
gazzi in questi primi stadi è quella delle frasi sospese ch’essi devono completare: Gallia nön in Asiä... (sed in Euröpä est); Hispänia nön in Āfricä... (sed in Euröpä est); Syria nön in Euröpä... (sed in Asiä est); Syria et Arabia nön in Euröpä... (sed in Asiä sunt); Hispänia et Italia nön in Āfricä... (sed in Euröpä sunt), etc.; così anche: Gallia in Euröpä est. Italia... (quoque in Euröpä est); Arabia in Asiä est. Syria... (quoque in Asia est). Germänia et Italia in Euröpä sunt. Gallia et Hispänia... (quoque in Euröpä sunt); Britannia et Germänia... (quoque in Euröpä sunt). (16-21) Viene introdotto il plurale dei nomi uscenti in -us di seconda. Anche se le nozioni di maschile, femminile e neutro sono presentate nel capitolo successivo, l’insegnante può, se vuole, anticiparle qui, ritornando al disegno posto in testa al capitolo, e dicendo che la maggior parte delle parole uscenti in -us è maschile, di quelle uscenti in -a è femminile, e che quelle uscenti in -um sono neutre. Si può praticare il singolare e plurale utilizzando dei lucidi con esercizi di completamento: Rhënus ________ est. Dänuvius ________ est. Rhënus et Dänuvius ________ sunt. Tiberis _________ est. Tiberis et Rhënus ________ sunt. etc. Lo stesso più avanti coi plurali dei femminili e dei neutri, e con gli aggettivi di prima classe. (49-54) L’introduzione di num e di quid ci consente la formulazione di molte più domande, con le quali potremo anche fare una buona revisione e rio di tutto quanto appreso nelle prime due lëctiönës. Si diano anche risposte, per le quali i ragazzi debbano formulare domande con ne, con num, con quid, o con ubi. (55-60) Si faccia rilevare che se nei sostantivi e aggettivi uscenti in -a basta allungare la vocale della terminazione, nei
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nomi uscenti in -um, come imperium, per indicare lo stato in luogo con in la terminazione si cambia in -ö: in imperiö Römänö. Più avanti si vedranno (ll. 72-73): in vocäbulö e in capitulö prïmö.
CAPITVLVM II
(15) Normalmente nelle grammatiche italiane vien riportato il pronome interrogativo con la forma quis? valida sia per il maschile che per il femminile. La forma interrogativa quae?, che pure si trova nei classici, viene interpretata come derivante da quï, quae, quod. Purtuttavia l’autore danese ha preferito, come altri grammatici, ritenerla forma femminile di quis?. Ogni insegnante potrà decidere se dire o meno a questo punto agli alunni che spesso (specie nei comici) quis? viene adoperato sia per il maschile che per il femminile: cfr. Plaut., Aulul., 2, 170: Quis ea est quam vīs dūcere uxōrem?; Plaut., Epid., 4, 533: Quis illaec est mulier quae ipsa sē miserātur? Ma anche nei comici la forma quae per il femminile è usata: cfr. Plaut. Curc., 640-643: Ther. Cedo, sī vēra memorās, quae fuit māter tua? Plan. Cleobula. Ther. Nūtrīx quae fuit? Plan. Archestrata. Ter., Phorm., 732: Quae haec anus est exanimāta ā frātre quae ēgressast meō? E lo stesso Cicerone (Paradoxa Stoicōrum, 4, 27): Quae est enim cīvitās? omnisne conventus etiam ferōrum et immānium? omnisne etiam fugitīvōrum ac latrōnum congregāta ūnum in locum multitūdō? Certē negābis: dov’è evidente ch’egli voglia dire “cos’è una cīvitās?”, non “quale cīvitās è?”. L’uso di quae pronome interrogativo femminile diviene comune nel tardo antico, e frequente nel latino cristiano a partire dalle traduzioni del Vecchio e Nuovo Testamento fino
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ai Padri (per es.: Canticum canticōrum, 3, 6: quae est ista quae ascendit per dēsertum sīcut virgula fūmī ex arōmatibus murrae et tūris et ūniversī pulveris pīgmentāriī? Ibīd.. 6, 9: quae est ista quae prōgreditur quasi aurōra cōnsurgēns pulchra ut lūna ēlēcta, ut sōl terribilis, ut aciēs ōrdināta?; 1 Samuēlis, 15, 14: Quae est haec vōx gregum quae resonat in auribus meīs et armentōrum quam egō audiō?; Liber Iūdicum, 9, 28: Clāmante Gaal filiō Ōbēd: “Quis est Abimēlēch et quae est Sychem ut serviāmus eī?” Matth. 12, 47-49: Dīxit autem eī quīdam: “Ecce māter tua et frātrēs tuī forīs stant quaerentēs tē.” At ipse respondēns dīcentī sibi ait: “Quae est māter mea et quī sunt frātrēs meī?” et extendēns manum in discipulōs suōs dīxit: “Ecce māter mea et frātrēs meī”. Aug., Adversus Iūliānum, 4, 13, 64: Et quae illa est, quam Iōannēs dīcit ā Patre nōn esse? “Luxuria”, inquiēs. Bernardus Claravallensis, In laudibus Virginis Mariae, PL 183, 64d (Bernard de Clairvaux, A la louange de la Vierge Mère, ed. M.I. Huille - J. Regnard, Éd. du Cerf [Sources Chrétiennes 390], Paris 1993, p. 122): Fēmina circumdabit virum. Quae est haec fēmina? Quis vērō iste vir?
In questo capitolo non si parla ancora di declinazioni. Nell’Enchïridion si dice che i nomi in -us sono maschili, mentre quelli in -a sono femminili, e forse questa nozione si sarà anticipata durante lo studio del I capitolo. Come ogni insegnante sa, l’affermazione non è del tutto vera: basti pensare a mälus, pirus, e agli altri nomi di piante, a methodus, papÿrus e ad altri nomi derivanti dal greco, ad Aegyptus, etc; a nauta, poëta e agli altri nomi maschili della prima. Tuttavia in questo primo stadio di apprendimento linguistico riteniamo op-
portuno che si taccia su queste, che in realtà sono eccezioni ad una regola generale, e s’apprenderanno più tardi, a mano a mano che si va avanti.
CAPITVLVM III
(40) Sottolineare la lunga di hïc: sarà molto utile più avanti perché i ragazzi possano facilmente distinguere l’avverbio di luogo dal pronome hic, haec, hoc. (69-82) Distinguere il pronome relativo in funzione di soggetto da quello in funzione di oggetto non è facile per dei ragazzi italiani spesso non allenati alla riflessione logica. È questo un punto sul quale converrà soffermarsi a lungo, con molti appositi esercizi: non occorre che le frasi su cui ci si esercita siano in latino: anche frasi in italiano andranno benissimo. Si sia però sicurissimi che tutti gli alunni siano in grado di riconoscere immediatamente in una relativa italiana soggetto e oggetto. Si potranno, com’è ovvio, utilizzare anche frasi paratattiche da doversi ipotatticamente disporre (sul tipo: Tu mi hai dato il libro. Io ho letto il libro > Io ho letto il libro che [= quem] tu mi hai dato; Il libro è sulla tavola. Io prendo il libro >Io prendo il libro che [= quï] è sulla tavola). Frasi del tipo ‘Quem vocat Quïntus?’ hanno bisogno di essere trasformate, per esser rese senza ambiguità in italiano: “Quinto chi chiama?” oppure: “Chi è che Quinto chiama?”
Lëctiö grammatica: viene per la prima volta presentato lo schema della frase elementare [sogg. + ogg. (con agg.) + verbo].
CAPITVLVM IV
NOTE PER L’INSEGNANTE
(9-10) Si curi che gli alunni imparino bene i numerali cardinali da 1 a 10. Più avanti completeranno il quadro dei numerali. (20-23) Vengono qui presentati per la prima volta alcuni composti di esse. Le note laterali aiutano a comprenderne la struttura e la formazione. (75) Viene introdotto il neutro del pronome relativo: quod. La declinazione completa dei pronomi, presentata caso per caso in diversi capitoli, sarà poi riepilogata nel capitolo VIII, su cui converrà fermarsi un po’ più di tempo.
CAPITVLVM V
(60-62) Compare un primo verbo ‘transitivo in latino e intransitivo in italiano’: Eam dëlectant; Iüliam dëlectant. Si curi che i ragazzi imparino bene questa costruzione. Per questi verbi si veda la Syntaxis Latïna a pag. 316 di Latïnë discö, § 6. In realtà ‘dilettare’ anche in italiano è transitivo: solo che noi siamo portati a tradurre më dëlectat con mi piace. (70) Il verbo rïdëre è usato sia intransitivamente (Märcus et Quïntus rïdent) sia transitivamente (“Puerï etiam më rïdent!”) Si faccia rilevare l’analogia con l’italiano ‘deridere’, transitivo. Sui verba affectuum che reggono l’accusativo, si veda la Syntaxis Latïna a pag. 317 di Latïnë discö, § 7.
CAPITVLVM VI
(20-21) Importante è che i ragazzi comincino a familiarizzare con forme irregolari come it / eunt, e che le imparino perfetta-
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mente. Più avanti sarà data tutta la coniugazione. (67-68) Come presso i grammatici antichi, in questo corso ‘comparativo’ viene considerato come forma speciale solo quello di maggioranza: qui compare invece per la prima volta quello di uguaglianza: ma lo si comprende immediatamente conoscendo il valore di tam e di quam. ( 76) Normalmente, con via, porta, pöns, etc., s’adopera il semplice ablativo per indicare il moto per luogo. Tuttavia il cumulo di ablativi va evitato stilisticamente: è per questo che qui si ricorre a per + accusativo, perché già s’era detto viä Latïnä: Quï viä Latïnä venit per portam Capënam Römam intrat. Si confronti Liv., 33, 26, 9: Lupus Ësquilïnä portä ingressus, Tüscö vïcö atque inde per portam Capënam prope intäctus ëväserat, dove “la variätiö sembra obbedire al desiderio di evitare due ablativi successivi, come anche altrove in Livio: 4, 46, 6; 23, 47, 8” (A. Traìna-T. Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, vol. I: teoria, Cappelli, Bologna 1993, pag. 141, nota 3). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 352, § 4.
CAPITVLVM VII
(3) Dopo aver incontrato hïc nel terzo capitolo, i ragazzi vedono qui per la prima volta illïc: pian piano, tassello per tassello completeranno tutto il quadro degli avverbi di luogo. I pronomi dimostrativi hic e ille saranno spiegati più avanti, proprio a partire dagli avverbi corrispondenti (cfr. l. 43: hic saccus = saccus quï hïc, apud më, est); per distinguere hic pronome da hïc avverbio fondamentale sarà riconoscere la quantità. ( 14) Le note a margine e il grafico illu-
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LUIGI MIRAGLIA
strano con sufficiente chiarezza la differenza tra in + ablativo (incontrato già dal capitolo primo) e in + accusativo: nell’Enchïridion la cosa viene portata ad un maggior livello di coscienza e chiarezza. Utile può risultare, per i ragazzi che studiano inglese, il confronto con in e into, l’uno usato per esprimere stato in luogo, l’altro per il moto a luogo (ingresso). (23) Non si trascuri che i ragazzi siano in grado d’ora in poi di riconoscere e usare l’imperativo del verbo esse. La lëctiö I dà l’opportunità di ritornare sulla non facile distinzione tra suus ed eius: cfr. ll. 3, 4, 7, 10, 28. Quasi sempre suus corrisponde all’italiano ‘proprio’, sia al singolare che al plurale. Si potrà far rilevare che la stessa distinzione esiste tra së ed eum / eam, eös / eäs: ll. 14-15: Syra östium aperit et in cubiculum intrat, neque östium post së claudit. ll. 34-36: Dominus per östium in vïllam intrat. Post eum veniunt Syrus et Lëander... Östiärius post eös östium claudit. (39) Non è opportuno anticipare che inest può reggere anche il semplice dativo, come molti altri verbi composti con preposizioni (cfr. Syntaxis Latïna, pag. 337, § 9): si annoti la cosa e si trovi più tardi, dopo aver trattato il dativo, il tempo ― per esempio in una eventuale ripetizione, o più avanti, nel IX capitolo, quando s’incontrerà (l. 84) Pästor laetus ovem in umerös impönit ― e l’occasione per spiegare la norma. (43) Plënus nel latino classico regge più spesso il genitivo che l’ablativo. Si potrà però far rilevare ai ragazzi che può dirsi plënus mälörum o plënus mälïs, specialmente in vista della futura spiegazione dell’ablativo d’abbondanza con i verbi come implëre (cfr. XVI, 34: Mägnï flüctüs nävës aquä implëre possunt; Syntaxis Latïna
pag. 343, § 9). Se si sceglie questa strada, ogni volta che s’incontrerà ancora plënus col genitivo si potrà chiedere ai ragazzi di darne l’altra costruzione coll’ablativo. (76) Viene presentato per la prima volta l’imperativo del verbo ïre: si curi che gli alunni lo imparino. (101) Assieme agli altri dativi viene presentato anche quello di quï, quae, quod e di quis?, quae?, quid?. I pronomi saranno sistematicamente riepilogati nel capitolo successivo.
CAPITVLVM VIII
(3) L’ellissi del dimostrativo quando si trovi nello stesso genere, numero e caso del relativo è d’immediata comprensione per il maschile singolare (per l’analogia col nostro ‘chi’), ma meno facilmente s’intuirà per il femminile e per il plurale (ll. 14, 16, 101; cfr. anche l. 35). Converrà soffermarsi un momento, senza per questo rallentare troppo il corso della narrazione continua. (5) Si faccia rilevare il significato di aliï... aliï, ‘alcuni... altri’: possibilmente si spingano i ragazzi a ricavarlo essi stessi dal contesto. (8-9) Il cum è qui usato per esprimere il complemento di unione. (33) Si sottolinei la terminazione -ud del neutro di alius, così come quella del neutro di ille (l. 79). (56) Si potrà anche anticipare, nel trattare l’ablativo di prezzo, che con tantï e quantï s’usa il genitivo. Se si vuole, si potrà dire ― anche se non se ne sono ancora incontrati esempi, e non s’è ancora vista la terza declinazione ― di plüris e minöris. Dovranno proporsi molte frasi, del tipo: Quantï cönstat...?, Quantï stat...?, Änulus
NOTE PER L’INSEGNANTE
Lÿdiae tantï stat quantï änulus Aemiliae, Änulus cum gemmä plüris cönstat quam änulus sine gemmä, e così via. (Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 327, § 5.) Il principio generale che regola il corso è, naturalmente, quello di non presentare forme e strutture di cui non si siano incontrati esempi: ma, come detto più volte, occorre agire cum gränö salis, e non crediamo possa fare gran danno dare qualche piccola anticipazione ogni tanto, purché non diventi regola generale. Fondamentale è però esercitare, oralmente e per iscritto, quanto più possibile ciò che s’è appreso.
Si badi bene che i ragazzi imparino in maniera tale da non aver più alcun dubbio le declinazioni dei pronomi. Ci si soffermi su questo punto tutto il tempo necessario, senza per questo far perdere un ritmo piuttosto sostenuto. I ritmi, com’è ovvio, non possono essere stabiliti a prescindere dalle reali condizioni che variano da classe a classe: tempi troppo lenti indeboliscono e fiaccano quella tensione necessaria ad un buon apprendimento, ma d’altra parte se si corre troppo velocemente si rischia di lasciare indietro i più e di scoraggiare molti. Anche qui, come sempre, est modus in rëbus.
CAPITVLVM IX
(3) Ündëcentum è espressione di Plinio il vecchio (7, 60, 60, § 214); Valerio Massimo (8, 7, ext. 11) usa ündëcentësimus, che, naturalmente, presuppone ündëcentum. Altrove però si trova anche nönägintä novem, fino al famosissimo evangelico: Quis ex vöbïs homö, quï habet centum ovës, et sï perdiderit ünam ex illïs, nönne dïmittit nönägintä novem in dësertö et
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vädit ad illam quae perierat, dönec inveniat eam? (Luc., 15, 4-5). Anche come cifra può trovarsi scritto IC o XCIX. (32) Si potranno far riflettere gli alunni sui vari significati di petere a partire dal nucleo semantico ‘dirigersi verso’: in questo capitolo troveranno esempi con significato di ‘andar verso’ (32-33; 41; 47; 80) e con significato di ‘muoversi verso qualcosa con intenzione ostile’ = ‘attaccare’ (74; 7879). Si potranno anche, se si vuole, anticipare i significati di ‘muoversi verso qualcosa per interesse’ = ‘aspirare ad avere, a conquistare’ (petere praetüram, cönsulätum) e di ‘aspirare ad avere qualcosa da qualcuno’ = ‘chiedere a qualcuno qualcosa’ (petere ab aliquö aliquam rem: esempi dal cap. XXXII; si può scegliere di rimandarne la trattazione a quel punto): cfr. Syntaxis Latïna, pagg. 315-316, § 5. (55-56) Sarà opportuno controllare che gli alunni abbiano ben compreso il significato di ipse. Nel presentare per intero le prime tre declinazioni, come s’è detto sopra, non solo la disposizione mette in rilievo i casi diretti (nom. e acc.), ma non viene considerato il vocativo, che è sempre uguale al nominativo, tranne che nei nomi in -us di seconda (e nei pochi nomi propri in -ius che escono in -ï). Nell’Enchïridion si troverà spiegata la i- del genitivo plurale dei nomi come ovis con una nozione di grammatica storica. Se si vuole, per praticità, si potrà anche ricorrere alla tradizionale suddivisione in parisillabi e imparisillabi, utile ai fini didattici, anche se priva d’ogni valore scientifico. Se si sceglie questa strada, si può dare questa facile ‘regola pratica’ per la terminazione del gen. pl.: “Tutti i nomi di III delinazione escono in -ium, tranne gl’imparisillabi con una consonante davanti all’uscita -is del
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gen. sing.” Delle eccezioni si parlerà a mano a mano che le s’incontra (canum in questo cap. al rigo 124).
sono preparatorie ad una più approfondita trattazione delle oggettive, che sarà svolta nel capitolo XI.
CAPITVLVM X
CAPITVLVM XI
(30) Si faccia notare ― come fa la nota a margine ― che enim, enclitico, va sempre posposto. (32-35) Per i ragazzi che studiano inglese, può essere utile il raffronto con i significati di can, che spesso va inteso nel senso di ‘essere in grado di, saper (fare)’. (40-56) Di mare, -is e di animal, -älis si facciano soffermare gli alunni sull’ablativo singolare in -ï e sul nom./gen. plurale -ia, -ium. Tutti i neutri di terza saranno trattati più a fondo nel cap. XI. Si ricostruisca già ora, però, alla lavagna tutta la declinazione di mare (l. 44: marium; l. 56: marï) e di animal; se si vuole si può anche ricorrere alla tradizionale definizione di questi nomi come ‘neutri in -e, -al, -ar (con -älis ed äris con -ä- lunga)’. (62) Le forme emï nön potest e edï nön possunt (l. 64) sono immediatamente comprensibili: si potrà chiedere ai ragazzi di renderle con un equivalente italiano, e farli riflettere sulla possibilità di adoperare il ‘si’ ivante. (72-73) Si mettano in guardia i ragazzi, perché imparino a non confondere parere con pärëre (già incontrato a partire dal cap. 4). In questo capitolo vengono presentati molti esempi di acc. + inf. con verbi di percezione (ll. 80; 83; 113; 114; 120; 121; 126; 131). Essi sono immediatamente comprensibili, anche (ma non solo!) per il parallelismo con l’italiano e molte altre lingue moderne. Si facciano però studiare queste costruzioni con cura, perché esse
(3) In bracchiö, in crüre valgono qui, naturalmente, in extrëmö bracchiö, in extrëmö crüre. (7) È questo un primo caso di soppressione del dimostrativo nel secondo termine di paragone: si facciano riflettere i ragazzi sul fatto che Capillus virörum nön tam longus est quam fëminärum vale Capillus virörum nön tam longus est quam capillus fëminärum. Si troveranno più avanti molti esempi di questo tipo. (8) Viene introdotta la preposizione ïnfrä + acc. (15-16) Come si sa, bene audïre, male audïre sono locuzioni idiomatiche che voglion dire ‘avere buona, cattiva reputazione’. Si arriva ad esse attraverso un ‘audïre bene / male (loquï dë së) ab aliquö’, “s’entendre bien ou mal traiter” (Ernout-Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Klincksieck, Paris, 1994, s.v. audïre); così anche in greco ‘kalös / kakös akoùein’. Questo non toglie che bene audïre, male audïre siano spesso adoperati, come qui, semplicemente con il loro significato letterale di ‘sentirci bene, sentirci male’ (come, per evitare ambiguità, si dice anche distïnctë, liquidë, clärë audïre; parum, graviter audïre: cfr., per es., Plin. 10, 88 (191); ïd., 10, 89 (193); Cat., R.R., 157; Cels., 6, 7, 7). Il doppio senso dava origine anche a giochi di parole, come quello che troviamo presso Cicerone (Tüsc., 5, 40): Erat surdäster M. Crassus; sed aliud molestius, quod male audiëbat!, ‘M. Crasso era sordastro; ma un altro di-
NOTE PER L’INSEGNANTE
fetto era più fastidioso: il fatto che aveva cattiva reputazione.’ (21) Iecur ha la forma regolare iecoris che appartiene alla migliore latinità accanto a iecinoris e iocineris irregolari. Non ci sembra il caso per ora di far imparare ai ragazzi queste altre forme, che potrebbero creare inutili confusioni. (45) La costruzione di iubëre è qui introdotta insieme a quella degli altri verbi che reggono l’acc.+ inf. Solo più tardi si presenterà iubëre con l’infinito ivo, e nel secondo volume s’incontrerà la costruzione personale. Iülius servum suum Tüsculum ïre iubet sarà probabilmente reso in italiano ― qualora si chieda agli alunni di farlo ― con ‘Giulio ordina che il suo servo vada a Tuscolo’. Si facciano riflettere i ragazzi sul fatto che in italiano lo stesso concetto si può esprimere con ‘Giulio ordina al suo servo di andare a Tuscolo’. Sarebbe opportuno che essi vi arrivassero da soli. (114-118) Due frasi parallele dànno l’occasione di parlare della doppia costruzione dei verba affectuum: Aemilia gaudet quod fïlius vïvit e Syra Quïntum vïvere gaudet. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 366 e pag. 385.
CAPITVLVM XII
(9) Come forma particolare di ‘dativo di possesso’ v’è qui l’occasione di studiare la formula mihi nömen est..., spiegando ai ragazzi che, oltre che Eï nömen est ‘Lücius Iülius Balbus’ potrebbe dirsi anche Eï nömen est ‘Lüciö Iüliö Balbö’, concordando il nome proprio col dativo eï: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 331, § 2. (47) Si dà qui l’occasione, di là dalla nota presente nell’Enchïridion, di trattare compiutamente il complemento d’estensione
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nello spazio, riferendosi alla Syntaxis Latïna, pag. 319, § 12. (53-59) Già nel capitolo precedente è stata affrontata l’omissione del dimostrativo come secondo termine di paragone (col comparativo d’uguaglianza); qui è possibile approfondire l’argomento col comparativo di maggioranza (detto, come nei grammatici antichi, semplicemente ‘comparätïvus’): La frase Gladius equitis longior et gravior est quam peditis è messa a confronto con la successiva Gladius eius... est... brevior et levior quam is quï ab equite fertur e ancora con Etiam gladiï quï ä Germänïs feruntur longiörës et graviörës sunt quam Römänörum per finire con Pïla eörum longiöra et graviöra quam nostra sunt. Si faccia notare che, a parte il contesto, la concordanza di longiöra e graviöra e il verbo al plurale, anche la lunghezza della ï non può far sussistere dubbi sul fatto che si tratti di giavellotti e non di una palla.
CAPITVLVM XIII
(7-11) Si faccia notare che, mentre centum è indeclinabile, ducentï e trecentï si declinano secondo la I e II declinazione. (52) Lüna ‘nova’ esse dïcitur: far notare i due nominativi con i verbi come dïcï. (71) Per una più facile memorizzazione dei mesi in cui le nönae cadono il 7 e le ïdüs il 15, si ricorra alla tradizionale parola mnemonica ‘Marmaluot.’ (80-81) Si facciano notare i generi: aestäs (f.), hiems (f.), vër (n.), autumnus (m.) (100) Si ripetano i valori di petere. ( 148-149) Non è ancora possibile introdurre la distinzione (tra l’altro piuttosto sottile e non sempre rispettata dagli autori) tra tempus est dormïre e tempus est dor-
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miendï. Tempus est dormiendï comparirà nel cap. XXVI, 122-123. Si potrà però accennare al fatto che tempus est dormïre è espressione quasi equivalente a necesse est dormïre. Il resto più avanti.
CAPITVLVM XIV
(11) Si faccia rilevare come in espressioni come alter ë duöbus la preposizione ë, ex con l’ablativo abbia valore partitivo: ‘tra i due, dei due’. D’ora in poi si troverà con una certa frequenza. (15-18) Fenesträ apertä e fenesträ clausä sono due primi esempi di ablativo assoluto. Non ci si soffermi per ora su di essi: l’ablativo assoluto sarà affrontato a partire dal capitolo XVI. Puer gallum canentem nön audit potrà esser compreso immediatamente con il confronto con frasi del tipo puer audit gallum quï canit e puer audit gallum canere. A questo proposito, notiamo prima di tutto (a chiarimento di quel ch’è detto nella Syntaxis Latïna, pag. 368, § 1) che, se audïvï Iülium loquentem dë më significa “ho sentito Giulio che (mentre) parlava di me (ho sentito Giulio parlar di me)”, audïvï Iülium loquï dë më può voler dire due cose un po’ diverse: (1) “ho sentito che Giulio parlava di me” (percezione diretta), (2) “ho sentito dire che Giulio parlava di me” (conoscenza indiretta). Tra i molti esempi che si potrebbero portare del primo significato, si veda questo di Plauto (Epid. 246): Egomet, postquam id illäs audïvï loquï,... “io, dopo ch’ebbi sentito che dicevano questo (o “il loro discorso”),...” Ugualmente con vidëre: videö eum hoc facientem vuol dire “lo vedo mentre (che) fa questo, lo vedo far questo”; invece, videö eum hoc facere può significare sia
“vedo ch’egli fa questo” (si veda come esempio Caes., B. C., 2, 34, 3: Hüc töta Värï conversa aciës suös fugere et concïdï vidëbat) sia “vedo (noto, constàto, osservo) ch’egli fa questo”. Del resto, questa differenza tra la costruzione dei verba sentiendï con acc. + inf. e quella col participio c’è certamente, ma non sempre è sentita così fortemente dagli scrittori latini. (70) Poscere in questo primo volume del corso viene presentato con la costruzione classica più frequente, con ä, ab e l’ablativo: Märcus vestïmenta sua ä servö poscit; al rigo 102 troviamo: Märcus autem mägnum mälum ä patre poscit. Quando, dal cap. XVII, s’incontrerà docëre, si potrà dire anche dell’altra costruzione di poscere, più rara, col doppio accusativo. (78) Viene introdotta per la prima volta la prep. praeter con l’accusativo. (87) Si facciano rilevare le forme mëcum, sëcum e, al rigo 108 (e, ripetuto, al rigo 117), tëcum. D’ora in poi gli alunni dovranno conoscerle. (104) Si curi che i ragazzi memorizzino l’imperativo di ësse, e si faccia notare come l’ë lunga lo differenzi dall’imperativo di esse. (115) Compare l’importantissimo aggettivo omnis, -e.
CAPITVLVM XV
(2) Certo, per il ragazzo che già conosce il verbo lüdere, risulterà un po’ difficile concepire la scuola come ‘gioco’. “Lüdus, ― spiega l’Ernout-Meillet ― sans doute par une litote ou une antiphrase comparable à celle du gr. scholè, a désigné ‘l’école’”. (16-18) La differenza tra il significato stativo di sedëre e quello, implicante un mo-
NOTE PER L’INSEGNANTE
vimento, di (cön)sïdere , risulta evidente dall’esempio: Il maestro ordina: ‘cönsïde!’: ‘Mettiti a sedere’; Sesto si mette a sedere sulla sedia: Sextus in sellä cönsïdit. Infine Sesto rimane in silenzio stando seduto sulla sedia: Discipulus tacitus ante magistrum sedet. Quest’alternanza di significato, come si sa, si ritrova in molti altri composti: assidëre / assïdere; ïnsidëre / ïnsïdere; obsidëre / obsïdere; possidëre / possïdere, etc. (23) A meno che la questione non sia sollevata dagli alunni stessi, si può per ora trascurare di spiegare l’accusativo esclamativo, che sarà trattato esplicitamente nel cap. 29. Nel caso sia necessario farlo, non si trascuri il confronto con “Ö improbï discipulï!” delle righe 101-102. (81) A questa prima comparsa del locativo domï seguirà un’esplicita nota nell’Enchïridion nel cap. 20. Già qui, però, si potrà accennare alla funzione del locativo, facendo il confronto con il già incontrato Tüsculï. (97) Sarà opportuno spiegare la differenza, non d’immediata comprensione per noi italiani, fra prior, che è il primo fra due, e prïmus, che è il primo tra molti: prior, infatti, è un comparativo, mentre prïmus è un superlativo.
CAPITVLVM XVI
(1) Quörum è il primo esempio di genitivo partitivo retto da pronome, spiegato a margine con l’equivalente ex quibus. (7) Si faccia notare il significato particolare di ad = apud. (34) Si sarà già spiegato che plënus può reggere, oltre che il genitivo, anche l’ablativo. Ora s’incontra la frase mägnï flüctüs nävës aquä implëre possunt, che dovreb-
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b’essere d’immediata comprensione: si facciano riflettere i ragazzi sul fatto che si tratta, anche qui, d’un ablativo d’abbondanza: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 343, § 9. (45-49) Queste righe dànno l’occasione di ripetere e chiarir meglio la costruzione col doppio nominativo di verbi come dïcor, appellor, ecc. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 309, § 1. (50-51) Si colga l’occasione per spiegare il dativo di relazione con altri esempi. ( 79- 84) Si ripetano, con opportune domande agli alunni, le due costruzioni dei verba affectuum: si richieda ai ragazzi di trasformare le tre frasi con gaudëre e con laetärï dalla costruzione con quod + indicativo a quella con l’acc. + inf.: “Nönne gaudës... quod... in patriam nostram redïmus?” > “Nönne gaudës nös in patriam nostram redïre?”; “Gaudeö... quod mihi licet tëcum venïre” > “Gaudeö mihi tëcum venïre licëre”; “At nön possum laetärï quod omnës amïcäs meäs Römänäs relinquö” > “At nön possum laetärï më omnës amïcäs meäs Römänäs relinquere”.
CAPITVLVM XVII
(1-3) Si faccia notare e memorizzare che docëre regge il doppio accusativo. Utile, per i ragazzi che studiano l’inglese, sarà il raffronto con to teach: Magister puerös numerös et litteräs docet = The teacher teaches the boys numbers and letters. (29) Si potrà far rilevare come, in espressioni del tipo longum est, il latino usa l’indicativo lì dove l’italiano ebbe il condizionale: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 359, § 1. (60-61) Cögitäre nön potes! è un’espressione nella quale il verbo posse ha il significato, già analizzato sin dal cap. XI, di
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‘essere in grado di, esser capace di’. Si confronti l’inglese You can’t think! (79-80) Amïcus e inimïcus sono stati finora incontrati solo come sostantivi, e pertanto in unione con genitivi: per es., cap. VI, 44-45: Dävus amïcus Mëdï nön est... Mëdus est inimïcus Dävï. Ursus autem amïcus Dävï est. Ora li troviamo in funzione di aggettivi, e quindi costruiti col dativo: Magister amïcus est patribus vestrïs, patrï meö inimïcus. Da questa distinzione procede l’alternanza tra il possessivo (che equivale, per il senso, a un genitivo) e il dativo del pronome personale: cfr. Cic., Att., 1, 8, 1: Ille noster amïcus, vir optimus et mihi amïcissimus (vedi Traìna-Bertotti, Sintassi normativa della lingua latina, pag. 111). Per far comprendere ai ragazzi la differenza tra il valore d’aggettivo e quello di sostantivo di amïcus e inimïcus, si faccia il confronto tra le due frasi italiane ‘Tizio è amico mio’ (sost.) e ‘Tizio mi è amico’ (agg.). Del resto, la costruzione col dativo è attestata anche nell’italiano letterario: cfr. Dante, Par., XXV, 6: Nimico ai lupi che gli dànno guerra. (81) Con quamquam si cominciano a incontrare le concessive. Potrebb’essere che quamquam non risulti d’immediata comprensione: si facciano riflettere i ragazzi sul senso complessivo del brano e si cerchi d’indurli a ricavarne il significato: qualora non vi riuscissero da soli, se ne diano anche le varie possibilità di resa in italiano: ‘anche se, benché, nonostante che, sebbene, ecc.’ (94-95) La risposta di Marco potrà far riflettere gli alunni sul fatto che, nelle interrogative retoriche, colui che pone la domanda s’aspetta una risposta (positiva o negativa che sia), ma non è detto che il suo interlocutore concordi con lui: qui infatti il maestro è certo di incutere timore con la
sua ferula, ma Marco, impertinente come sempre, contraddice alle sue aspettative, e sostiene di non aver alcuna paura. (110-111) Viene presentato oportet nella sua costruzione con l’infinito.
CAPITVLVM XVIII
(41) Viene introdotto quisque, di cui, com’è ovvio, si dirà che la declinazione è identica a quella di quis per il maschile, di quae per il femminile e di quod per il neutro, con l’aggiunta dell’enclitica (indeclinabile) -que. (58) Nella frase Sextus ünus ex tribus puerïs rëctë scrïbit, si faccia rilevare il significato di ünus: ‘Solo Sesto, fra i tre ragazzi, scrive correttamente’. (65) Si facciano riflettere gli alunni sul significato di quälis partendo dai derivati italiani come ‘qualità’. (67) Troviamo qui un esempio di suus riferito al soggetto logico della proposizione: Magister suam cuique discipulö tabulam reddit. Raccomandiamo che i ragazzi vi si soffermino un momento per ragionare, e imparino formule di questo tipo: in unione con quisque s’usa sempre suus, mai eius. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 380, § 1, oss. 2. (97) Nön semper idem dïcimus atque scrïbimus sarà probabilmente interpretato dai ragazzi nel senso di: ‘non sempre diciamo e scriviamo lo stesso’. In realtà questo è effettivamente il senso originario e proprio della frase. Così, per es., in Cicerone (Dë off., 1, 30): Aliter dë illïs ac dë nöbïs iüdicämus, si può intender così (dando ad ac il suo primario valore copulativo): ‘Noi giudichiamo in maniera diversa su quelli e su noi’. Questo valore cedette poi il posto, nella coscienza dei parlanti, a quello com-
NOTE PER L’INSEGNANTE
parativo (cfr. Traìna-Bertotti, cit., pag. 463, nota 1). Si faccia dunque rilevare che atque in espressioni di questo tipo, cioè dopo aggettivi o avverbi come similis, ïdem, alius, conträ, perinde, ecc., ha tale valore: come dice Prisciano (pp. 1192-1193 P.): Frequenter Latïnï ac et atque in sïgnificätiöne similitüdinis accipiunt. Si ricordi il precetto gesuitico, che impone d’ubbidire perinde ac cadäver; cfr. Syntaxis Latïna, pag. 403, § 1. (122) Nella frase Märcus, ut piger discipulus, quater tantum V scrïbit, l’ut dal suo fondamentale valore comparativo (= come) ha sviluppato una sfumatura causale (= poiché è..., da alunno pigro qual è). (145) Per far comprendere la frase Märcus stilum vertit et litteram H dëlet bisognerà spiegare com’era fatto uno stilus: appuntito da un lato, per incidere le lettere sulla cera, e piatto come una spatolina dall’altro, così da poter raschiare la cera per cancellare quanto precedentemente inciso. ‘Verte stilum!’ significava dunque ‘gira lo stilo!’ per ërädere o dëlëre le lettere. (163) L’uso di ex + abl. per esprimere il complemento di materia è nuovo per i ragazzi, e va imparato. Nel cap. XXII verrà introdotto lo stesso complemento espresso con aggettivi: ferreus, aureus, ecc. Inutile dunque anticiparlo. (183) Si rilevi il fatto che quöque mënse equivale a singulïs mënsibus; si interroghino i ragazzi su cosa significhi, secondo loro, tertiö quöque mënse: ‘ciascun terzo mese’; cioè? ‘Ogni tre mesi’ oppure ‘ogni due mesi’ (= ‘ogni terzo mese’). Su quest’incertezza, si veda Syntaxis Latïna, pag. 345, § 3, nota. Questo tipo d’espressioni per indicare ‘ogni quanto tempo’ avviene un fatto, saranno incontrate dal cap. XX. Si faccia anche notare che quöque, ablativo di quisque, si distingue chiaramente
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dalla congiunzione quoque per la lunghezza dell’-ö-. (190) In ad diem la preposizione ad è usata per esprimere la ‘coincidenza con un punto di tempo’ (Lewis-Short): cfr. Cic., Tüsc., 5, 22: onuit ut pecüniam ad diem solverent; ïd., Att., 16, 16 A: nostra ad diem dictam fïent.
CAPITVLVM XIX
( 3-4) Qualche ragazzo, nonostante si sia studiato l’ablativo strumentale già dal capitolo 8, potrebbe meravigliarsi del fatto che non si dica Tëctum peristÿlï *ab altïs columnïs sustinëtur. Li si faccia riflettere sul fatto che l’ablativo strumentale indica in latino anche la causa efficiente che è ben diversa dal complemento d’agente. ( 15- 21) Potrà precisarsi meglio quanto detto nell’Enchïridion in prima approssimazione relativamente al partitivo: infatti da un lato il partitivo, oltre che col genitivo, può essere espresso con inter + acc. (cfr. l. 15: Inter omnës deös deäsque Iuppiter pessimus marïtus est) o con ë, ex + abl.; dall’altro il superlativo può anche sottintendere il partitivo (e non essere perciò seguìto da genitivo espresso): per es.: In häc bibliothëcä centum librï sunt: pulcherrimus est ille quï ‘Dë officiïs’ ïnscrïbitur. ( 33) Si dà qui l’occasione di trattare il complemento d’età: 1) Märcus octö annös habet (classicissimo, usato da Cicerone, Livio, Nepote e altri); 2) Quïntus est puer septem annörum (col genitivo di qualità); se si vuole, si potranno anche anticipare le altre maniere per esprimerlo: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 321, § 14 (con gli esempi lì riportati). (83) Si faccia rilevare il fatto che, mentre in un’espressione come post ünum annum
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il post funge da preposizione e dunque regge l’accusativo, in annö post ha valore d’avverbio, e l’ablativo annö è un abl. di tempo: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 346, § 5. S’è incontrato, al rigo 38, ante decem annös, che va ora (l. 86) confrontato con decem annïs post. (90-96) L’uso del ivo con significato intransitivo, proprio di alcuni verbi latini, può ben essere illustrato con alcuni esempi tratti da questa parte del capitolo: amor meus tempore nön minuitur (ll. 90-91); Tempus amörem meum nön minuit, immö vërö auget! (l. 95-96); cfr. Syntaxis Latïna, pag. 358, § 1. (110) Viene introdotto dïgnus nella sua costruzione con l’ablativo. Naturalmente, non essendosi ancora studiato il congiuntivo, non si potrà ancora parlare della costruzione con quï, quae, quod + cong. ( 133) Con la frase “Num hodië minus pulchra sum quam tunc eram?” viene introdotto il comparativo di minoranza (minus... quam). (149) Viene qui presentato per la prima volta opus est. Al rigo 152 se ne vede la costruzione con l’infinito: Num opus est më plüs dïcere?
CAPITVLVM XX
(2) Si noti che cünae, -ärum è un plüräle tantum (cüna, ae si trova solo in Prudenzio, Diptych., 111: praesëpe iacentï cüna erat). (6) Si noti e si faccia imparare che carëre regge l’ablativo di privazione, come il già visto implëre regge quello d’abbondanza: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 343, § 9. (10-11) Si rilevino gli ablativi strumentali päne e lacte nella frase parvulus ïnfäns... nön päne, sed lacte vïvit.
(39) Compare qui un primo esempio di interrogativa disgiuntiva diretta con -ne... an: mäter-ne, an nütrïx? Con utrum... an s’incontreranno dal cap. XXVIII. (61) Diverbi tra marito e moglie non erano rari neanche nella Roma repubblicana: famosa è la scenata che Pomponia, moglie di Q. Cicerone, e sorella di Attico, fece al marito in occasione d’un convïvium: cfr. Cic., ad Att., 5, 1, 3: ...prandimus in Arcänö. Nöstï hunc fundum, quö ut vënimus, humänissimë Quïntus: “Pompönia,” inquit “tü invïtä mulierës, ego virös acciverö.” Nihil potuit, mihi quidem ut vïsum et, dulcius idque cum verbïs, tum etiam animö ac vultü. At illa audientibus nöbïs: “Ego ipsa sum” inquit “hïc hospita!”― id autem ex eö, ut opïnor, quod antecesserat Stätius ut prandium nöbïs vidëret. Tum Quïntus: “Ën” inquit “mihi haec ego patior cotïdië.” Dïcës: “Quid, quaesö, istuc erat?” Magnum; itaque më ipsum commöverat; sïc absurdë et asperë verbïs vultüque responderat. Dissimulävï dolëns. Discubuimus omnës praeter illam, cui tamen Quïntus dë mënsä mïsit. Illa rëiëcit. Quid multa? Nihil meö frätre lënius, nihil asperius tuä soröre mihi vïsum est; et multa praetereö quae tum mihi maiörï stomachö quam ipsï Quïntö fuërunt. Ego inde Aquïnum. Quïntus in Arcänö remänsit et Aquïnum ad më postrïdië mäne vënit mihique närrävit nec sëcum illam dormïre voluisse <et> cum discëssüra esset fuisse eius modï quälem ego vïdissem. Quid quaeris? Vel ipsï hoc dïcäs licet, humänitätem eï meö iüdiciö illö dië dëfuisse. In età imperiale, com’è noto, l’emancipazione femminile aveva raggiunto notevole sviluppo e molto maggiore poteva essere la libertà anche di parola d’una donna di fronte al marito. (84-96) Si noti che in una frase come hoc est mätris officium la parola officium può
NOTE PER L’INSEGNANTE
esser facilmente sottintesa; nel qual caso parliamo di ‘genitivo di pertinenza’ (= è proprio di, è dovere di...). Anche nella frase meum officium est... si può sottintendere officium: meum est pecüniam facere = ‘mio dovere, mio compito è guadagnar denaro’. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 326, § 3. (104) Non si trascuri di far imparare che occurrere regge il dativo. (120) Sïve, che è stato incontrato da solo già nel cap. XVI, 2, e, con lieve differenza di significato, all’inizio di questo capitolo (l. 12), viene ora presentato in correlazione con un altro sïve: sïve mare tranquillum sïve turbidum est. In espressioni di questo tipo, cioè con particelle disgiuntive, l’italiano ebbe il congiuntivo (‘o che il mare sia tranquillo, o che sia turbato’), mentre il latino adopera l’indicativo: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 360, § 2. (123-124) Di nuovo compare l’accusativo esclamativo, che sarà spiegato nell’Enchïridion al cap. XXIX. (135) S’è già avuta l’occasione per trattare di espressioni come tertiö quöque dië nel cap. XVIII. Se ne approfitti per farne una ripetizione. (158-159) Viene presentato më decet, relativamente impersonale.
CAPITVLVM XXI
(20) Compare qui il locativo humï, ripetuto poi più volte (ll. 50-51, 74). Sarà opportuno, com’è ovvio, il parallelo con il già incontrato domï. Rürï si troverà più avanti (cap. XXVII, 66). (28) Ci si soffermi un attimo su cum prïmum, e lo si identifichi come unica espressione con il significato di ‘non appena’: le altre congiunzioni con lo stesso significato
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(simul ac / atque; ubi prïmum) verranno presentate più avanti, nei capp. XXX e XXXII. Solo a quel punto sarà opportuno riferirsi alla Syntaxis Latïna per uno sguardo d’insieme sulle proposizioni temporali. (30) Si faccia notare il vocativo irregolare di meus e di fïlius: mï fïlï! (64) Si sottolinei l’importanza della quantità vocalica per distinguere solum = ‘suolo, pavimento’ da sölum = ‘solo, soltanto’. ( 79) Viene introdotto postquam col perfetto indicativo, ad indicare una successione immediata.
CAPITVLVM XXII
( 1) Cönstäre nel significato di ‘constare, esser fatto di’, con ë, ex + l’abl., è qui presentato per la prima volta. Le righe successive permettono di completare la trattazione del complemento di materia (ll. 13-21), espresso con ë, ex + abl. o con un aggettivo: catëna ex ferrö / catëna cönstat ë multïs änulïs ferreïs. ( 16) Si colga l’opportunità, offerta dalla frase Aurum est mägnï pretiï sïcut gemmae, per ripetere il genitivo di qualità. Normalmente (cfr. Syntaxis Latïna, pag. 326, § 4) si distingue tra qualità morali espresse in genitivo o in ablativo, e qualità fisiche espresse coll’ablativo. È chiaro che per ‘qualità morali’ va inteso ― e andrebbe forse chiarito con un’espressione più felice ― ‘qualità non materiali’: vanno in genitivo infatti anche le indicazioni spazio-temporali, di quantità, valore, ecc. Come ben spiega la sintassi del Traìna e del Bertotti, “il genitivo presenta la qualità come una categoria a cui appartiene e in cui si definisce la persona o la cosa consi-
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derata, e ha perciò un valore caratterizzante, mentre l’ablativo è di natura strumentale-sociativa e indica la qualità come qualcosa che accompagna l’individuo o l’oggetto” (Traìna-Bertotti, cit., pag. 78, nota 3). Nel caso del nostro esempio, il ‘gran valore’ è una qualità intesa dal parlante come caratterizzante l’oro, e ad esso essenziale, e non un ‘modo di essere’ accidentale che può esservi o non esservi. Poniamo l’accento sul punto di vista del parlante, perché, se qui l’oro ha oggettivamente un gran valore, in altri casi il valore potrebb’essere puramente soggettivo: per esempio, se uno parlasse di uno mnëmosynum mägnï pretiï, cioè di un ‘souvenir di gran valore’, il ricordo a cui si fa riferimento potrebbe non aver alcun valore oggettivo. È questo il motivo per cui anche le qualità fisiche, quando eccezionalmente dal soggetto sono viste come caratteristiche essenziali, e non accidentali, dell’oggetto, sono anch’esse espresse in genitivo: così Cesare (B. G., 2, 30, 4) dice che i Galli disprezzavano i Romani, hominës tantulae statürae: evidentemente i Galli quasi identificavano i Romani con la loro bassa statura (cfr. Traìna-Bertotti, ibïd.). (23) Da questo momento in poi compariranno sempre più frequenti gli ablativi assoluti, sia con il participio presente che col participio perfetto (in questo stesso cap., cfr. ll. 30, 119, quest’ultimo anticipato già da XXI, 96: magiströ recitante). A completamento di quanto detto nell’Enchïridion si potrà chiarire che: 1) in un ablativo assoluto non vi dev’essere legame grammaticale col soggetto della reggente (cioè non vi dev’essere alcun pronome che richiami il soggetto della reggente); 2) col participio presente l’ablativo assoluto si può fare con tutti i verbi, mentre col participio ato solo con i verbi deponenti in-
transitivi e transitivi attivi (facilmente ricordabili con l’acrostico mnemonico DITA). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 369. (29) Si spieghi la natura di quïn, derivato da quï (= ‘come’, ablativo arcaico di quï, quae, quod) + la negazione ne = nön, dunque propriamente ‘come non, in che modo non...? = perché non...?’. Nelle interrogative s’usa per indicare un invito, un comando (retorica volitiva). Ai ragazzi sarà sufficiente dire, in prima approssimazione ― come si trova scritto nella glossa marginale ― che è uguale a cür nön...? o ad un imperativo (Cür nön aperïs? Aperï!). Altri usi di quïn saranno studiati nel volume ROMA AETERNA (dal cap. XL). (38) Nei classici ― e particolarmente nei comici ― la formula quid est tibi nömen? è più frequente della più regolare quod est tibi nömen? Cfr., per es., Plaut., Amph., 1, 364: Quid ais? Quid nömen tibi est?; Men., 3, 498: Respondë, adulëscëns, quaesö, quid nömen tibist?; Pers., 4, 623: Quid nömen tibist?; Pseud., 2, 636 e 653: Sed quid est tibi nömen?; Pseud., 2, 744: Quid nömen esse dïcam istï servö?; Rud., 4, 1160: In ënsiculö quid nömen est paternum?; Trin., 4, 889: quid est tibi nömen, adulëscëns? (43) La frase “nömen meum nön est facile dictü: Tlëpolemus nöminor”, oltre ad introdurre il supino ivo in -ü, ci dà l’occasione per ripetere la forma particolare del dativo di possesso ‘Mihi nömen est... (Tlëpolemus / Tlëpolemö)’ e per ribadire che i verbi appellativi ― di cui si troveranno ancora esempi ― si costruiscono con doppio nominativo: in questo caso uno dei due è sottinteso: (ego) Tlëpolemus nöminor. (56) Si badi che i ragazzi, una volta per sempre, non confondano forïs (avv.) con foris, -is, sostantivo femminile; più avanti
NOTE PER L’INSEGNANTE
(ll. 115, 117, 118) s’incontrerà foräs: si spieghi che forïs s’usa per lo stato in luogo, foräs per il moto a luogo. In realtà foräs e forïs sono, rispettivamente, un accusativo di moto e un ablativo-locativo di un *fora, doppione di foris, e vorrebbero, alla lettera, dire ‘alla porta’: forïs sum varrebbe ‘sono alla porta’ = ‘sono fuori’; venï foräs significherebbe ‘vieni alla porta’ = ‘vieni fuori’. ‘La notion de “dehors” est souvent exprimée par des formes signifiant “à la porte”: outre lat. foräs, forïs, on a arm. durs (locatif et accusatif) “dehors”, gr. thyraze (c’està-dire *thyras-de) “dehors” et thyrda: èxo, Hés. En gotique, faura-dauri traduit plateîa. La “porte” clôt non la maison, mais l’“enclos”, au point de vue indo-européen; de là le dérivé *dhworo- désignant l’enclos qui, aujourd’hui encore, dans l’Europe orientale, entoure la maison...; mais v. perse duvarayä signifie “à la porte”; ainsi s’explique lat. forum, forus” (Ernout-Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Klincksieck, Paris, 1994, s.v. forës). (60-65) Già l’immagine all’inizio del capitolo, tratta dal famoso mosaico della casa del poeta tragico a Pompei, avrà fatto comprendere agli alunni che cavë canem significa ‘attento al cane!’ Qui questo significato viene esplicitato; se si crede opportuno, si potranno far riflettere i ragazzi sul fatto che cavëre vuol dire ‘stare attento’ e che, costruito coll’accusativo (o con ä, ab + abl.) significherà ‘guardarsi da, evitare’, mentre con il dativo varrà ‘stare attento per, badare a, provvedere a’. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 336, § 8. (67) Si richiami l’attenzione degli alunni su propius, comparativo di prope. (77) Si noti che sinere ha la stessa costruzione di iubëre: se ne incontreranno altri esempi alle righe 86 e 114. (84) Si spieghi che, con l’aggettivo tötus,
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lo stato in luogo può esprimersi sia con l’ablativo semplice, che coll’ablativo preceduto da in: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 351. La differenza consiste nel fatto che l’ablativo semplice s’usa con “un processo verbale dinamico” il cui movimento “si estende a tutto lo spazio considerato” (per es.: Cic., Dë nät. deör., 2, 95: tötö caelö lüce diffüsä), mentre in + ablativo si adopera quando “il processo verbale è statico e fissa uno o più punti entro uno spazio” (per es.: Cic., Phil., 10, 10: Tria tenet oppida tötö in orbe terrärum: non certo cioè su tutta la superficie terrestre, ma in più punti dell’intera terra; cfr.Traìna-Bertotti, pag. 139, nota 2). Nel nostro caso si tratta proprio d’un processo verbale dinamico (il tremare) che non è localizzato in uno o più punti dello spazio considerato, ma si estende a tutta la superficie del corpo. Quando s’usa l’ablativo semplice, questo si può anche interpretare come un tipo di strumentale (cosiddetto ablativo prosecutivo, come quello dei nomi di aggio: viä, portä, ponte, ecc.). (92) Si spieghi che amäbö të è un’espressione di cortesia, equivalente ai nostri ‘ti prego, per piacere, sii buono, fammi il piacere’ (= örö të).
CAPITVLVM XXIII
( 2) Si faccia subito notare che la lunga sull’-ë- (e quindi l’accento) distingue, in venïre il presente dal perfetto: advenit / advënit. (4-11) Vengono introdotti altri due avverbi di luogo: illinc e hinc. Si facciano riflettere i ragazzi sul fatto che la n è caratteristica degli avverbi di moto da luogo: unde, hinc, illinc; inde s’incontrerà a partire dal cap. XXIX.
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(26) Neque umquam qui viene soltanto glossato in nota marginale come = et numquam; una trattazione esplicita si troverà nell’Enchïridion al cap. XXVI. (28) Si faccia osservare agli alunni che, in frasi come queste, nëmö ha il valore d’un aggettivo (equivale cioè a nüllus). In realtà è come se si dicesse: nëmö, quï sit magister; quindi anche qui il valore è di pronome. (36) Si faccia notare e imparare che ob e propter con l’accusativo esprimono il complemento di causa (causa esterna al soggetto). (57) Ancora un esempio di indicativo latino usato lì dove l’italiano avrebbe usato il condizionale: Märcus prope omnia fëcit quae facere nön dëbuit. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 359, § 1. (79) Vanno introdotti e spiegati i verbi assolutamente impersonali: ci si può limitare al solo pudet, o partire da questo, per dir poi che la stessa costruzione l’hanno anche piget, paenitet, ecc. Per la spiegazione si veda Syntaxis Latïna, pag. 313, § 2. Esempi, in questo capitolo alle righe 8283, 138-139. Si può utilizzare la vecchia spiegazione della grammatica di PortRoyal, ancora efficace per una buona memorizzazione: më pudet factï equivarrebbe a pudor factï më tenet: ‘la vergogna dell’azione mi tiene, mi prende’. Si confronti Hor., Epist., 1, 18, 24: quem paupertätis pudor... tenet. La stessa equivalenza si può stabilire con gli altri verbi: më taedet huius reï = taedium huius reï më tenet; më paenitet huius reï = paenitentia huius reï më tenet; më miseret illïus hominis = misericordia illïus hominis më tenet; më huius reï piget = pigritia huius reï më tenet; cfr. Sen., Dë tranq. an., 2, 8: illös paenitentia coeptï tenet. “Quindi ― conclude l’antico Compendio del Nuovo Metodo di Porto-Reale
― è che se io dico: ‘noi dobbiamo attediarci’, non si fa dëbëmus, ma dëbet taedëre nös, cioè taedium dëbet tenëre nös. E così degli altri.”
CAPITVLVM XXIV
(18) Mëne dormïre? è una forma di infinito interrogativo-esclamativo, non priva di equivalente italiano: ‘io dormire? / dormire, io?’ Il soggetto si pone in accusativo forse per analogia con l’accusativo esclamativo. (33) Si faccia notare un ulteriore esempio di un indicativo latino usato lì dove l’italiano ebbe un condizionale: facile os frangere potuistï. Si osservi come os si distingua da ös, öris per la diversa quantità dell’o-. Quando si cominciò a perdere il senso della lunghezza e brevità delle vocali, fu necessario introdurre ossum, ï (probabilmente modellato sul plurale ossa sull’esempio del tipo övum / öva e già citato da Varrone apud Charis., p. 112 P), che evitava ogni confusione. Interessante è il o delle Ënärrätiönës in Psalmös, in cui Agostino, che come maestro di retorica e come grammatico raccomandava la correptiö dell’o- in os, ossis, nel rivolgersi al popolo sentiva l’esigenza di utilizzare il sinonimo popolare ossum per spiegare un versetto del salmo 138 che, persa la distinzione quantitativa, poteva risultare ambiguo: “Nön est absconditum os meum ä të, quod fëcistï in absconditö. Os suum dïcit: quod vulgö dïcitur ossum, Latïnë os dïcitur. Hoc in Graecö invenïtur [ostoûn]. Nam possëmus hïc putäre ös esse, ab eö quod sunt öra; nön os correptë, ab eö quod sunt ossa. Nön est ergö absconditum, inquit, os meum ä të, quod fëcistï in absconditö. Habeö in absconditö quoddam ossum. Sïc
NOTE PER L’INSEGNANTE
enim potius loquämur: melius est reprehendant nös grammaticï, quam nön intelligant populï. Ergö est, inquit, quoddam ossum meum intus in absconditö; tü fëcistï intus ossum mihi in absconditö, et nön est absconditum ä të. In absconditö enim fëcistï; sed numquid et tibi hoc abscondistï? Hoc ossum meum factum ä të in absconditö hominës nön vident, hominës nön növërunt; tü autem nöstï, quï fëcistï. Quod ergö ‘os’ dïcit, frätrës? Quaerämus illud; in absconditö est. Sed quia Chrïstiänï in nömine Dominï Chrïstiänïs loquimur, modo invënimus quod sit ossum huiusmodï. Fïrmitäs quaedam est interior; quia in ossibus fïrmitäs et fortitüdö intelligitur.” Si noti come in tutto il brano s’alternino la forma popolare ossum e quella più ‘nobile’ os; quest’ultima, però, non viene usata che nel plurale, cioè lì dove non vi può essere fraintendimento e confusione. (38) Dopo quamquam, viene ora introdotto etsï, sempre coll’indicativo. Esso verrà ripetuto alle ll. 47, 51, 75. Le concessive al congiuntivo, rette da quamvïs, licet, ecc., saranno studiate col secondo volume, ROMA AETERNA. (59) “Avec certë sciö, qui est la forme la plus fréquente dans Cicéron, la certitude est dans notre connaissance, certum est më scïre; ― avec certö sciö la certitude est dans ce que nous savons. Certö ne se trouve guère qu’avec sciö; certë se rencontre avec toutes sortes de verbes”(C. Meissner, Phraséologie latine, traduite de l’allemand et augmentée de l’indication de la source des ages cités e d’une liste de proverbes latins par Charles Pascal, Klincksieck, Paris, 1942, pag. 101; cfr. anche A. Haacke, Lateinische Stilistik, Berlin, 1875). “Si distingua il senso degli avverbi: certë (1. ‘certamente’; 2. ‘almeno’) e certö (‘per certo’): certë sciö ‘certa-
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mente io so’ (= ‘è un fatto che io so’); certö sciö ‘so per certo’ (= ‘so, e non ho dubbi in proposito’); ‘se mi tieni nel conto in cui certamente mi tieni’: sï më tantï facis, quantï certë facis; ‘attendere una cosa con la certezza che avverrà’: aliquid exspectäre quasi certö futürum” (U. E. Paoli, Scriver latino, Principato, Milano-Messina, 1948, pag. 280; l’ultimo esempio non contraddice all’affermazione della fraseologia del Meissner e della stilistica del Haacke: infatti la frase sottintende ‘aliquid exspectäre (quod) quasi certö futürum (esse scïs)’. (60) S’osservi che növisse, benché sia infinito perfetto, ha valore di presente: certö sciö eum aliquam fëminam növisse = ‘so per certo che conosce qualche donna’; così al rigo 94, canis të növit, ignörat illum = ‘il cane conosce te, ma non conosce lui’. Si tratta d’un perfetto logico, il cui significato è propriamente ‘esser venuto a conoscenza’, e quindi ‘sapere’. Quando, più avanti, s’incontreranno ödisse e meminisse, si confrontino con növisse.
CAPITVLVM XXV
(40) Viene presentato l’avverbio di luogo illüc. Più avanti (l. 53) viene introdotto ibi, e poi (l. 74) hüc. Si faccia notare che la caratteristica degli avverbi di moto a luogo è -ü- oppure -ö: hüc, illüc, quö...? Nel cap. XXVIII si troverà eö. ( 62) Si faccia notare che coepï in realtà non è propriamente il perfetto di incipere, ma un perfetto a sé, mancante di presente (coepiö è solo arcaico, usato dai comici e da pochi altri autori). (74) Si osservi che il participio congiunto con i verbi deponenti transitivi è spesso la forma con la quale s’esprime ciò che con altri verbi si direbbe con un ablativo
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assoluto: ‘Esortati i soldati, Cesare attaccò battaglia’ Hortätus mïlitës, Caesar commïsit proelium. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 369, § 3. (117) L’espressione montës aurï pollicërï è di Terenzio (Phorm., 1, 68): è il nostro ‘prometter mari e monti’.
CAPITVLVM XXVI
Alla fine di questo capitolo sarà opportuno fare una ripetizione di tutti i vari modi per esprimere la proposizione finale finora incontrati: 1. con causä (e grätiä) + il genitivo del gerundio; 2. con ad + l’accusativo del gerundio; 3. col supino in -um (coi verbi di movimento). Ut col congiuntivo e le forme col gerundivo verranno presentate più avanti (capp. XXVIII e XXXI). Altre maniere d’esprimere la finale (quï, quae, quod e il cong., part. fut., part. pres.) saranno analizzate in ROMA AETERNA. (26) S’incontra qui neque quisquam, come già neque umquam del capitolo XXIII, viene spiegato a margine come = et nëmö; si rimandi all’Enchïridion e alla Syntaxis Latïna, pag. 355, per una trattazione più esplicita di et seguito da avverbi, aggettivi o pronomi negativi. (27) S’incontra qui iuväre, relativamente impersonale: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 314, § 3. Ulteriori esempi alle righe 32-33. (38) Nella frase Quis est tam lïber quam avis quae träns montës, vallës, flümina, maria voläre potest?, si faccia notare che, oltre al senso, nessuna possibilità di confusione v’è tra liber, librï e lïber, -ra, -rum, che si distinguono grazie alla quantità dell’-i-. (47) Ci si soffermi sul significato di item, che potrebbe non risultare del tutto chiaro dalle note marginali e dal contesto.
(78) Sïn, come già quïn nel cap. XXII, va spiegato a partire da sï + ne (= nön); sïn ‘introduce una seconda ipotesi contraria alla prima, per es. Plaut., Merc., 3, 589, sï domï sum, forïs est animus, sïn forïs sum, animus domïst.... S’usa anche senza esser preceduto da sï’ (Ernout-Meillet). (80) Ürere ci dà l’occasione di ripetere l’uso del ivo con significato intransitivo (già accennato al cap. XIX); cfr. Syntaxis Latïna, pag. 358, § 1. (85) Nisi ha qui, naturalmente, un valore eccettuativo (se non = tranne, eccetto), come molto spesso quando è preceduto (o seguito) da negazione (in questo caso da neque quisquam fugam eörum animadvertit). Da espressioni tipo nön lëgërunt hunc librum nisi paucï hominës, ‘non hanno letto questo libro se non poche persone = questo libro l’hanno letto solo poche persone’, facilmente si ò ad altre, più o meno equivalenti, come nön nisi paucï hominës hunc librum lëgërunt, dove nön nisi (a volte anche fuso in una parola sola nella grafia fonetica nönnisi) ha oramai semplicemente il valore d’un avverbio, ‘soltanto’ (= tantum, tantummodo; cfr. nön numquam o nönnumquam = interdum, nön nüllï o nönnüllï = aliquï, ecc.) Si noti infine che, in questo caso, non avendo nisi valore di congiunzione ipotetica, è del tutto normale che segua aliquï e non quï. Del resto, la regola, spesso ripetuta nelle nostre grammatiche, secondo cui dopo sï, nisi, në, num...? e alcune altre particelle aliquis e aliquï “perderebbero le ali” (cioè “diventerebbero” quis e, rispettivamente, quï), è troppo semplificatoria, e anche inesatta. Infatti, prima di tutto quis e quï non sono affatto varianti o forme secondarie di aliquis e aliquï, ma parole completamente diverse, anche per il senso: aliquis e aliquï indicano una persona la cui
NOTE PER L’INSEGNANTE
esistenza è certa, anche se se n’ignora l’identità (vënit aliquis = è venuto uno [= non si sa chi, ma qualcuno di certo è venuto]), mentre con quis e quï s’allude a una persona la cui stessa esistenza è ipotetica (sï quis veniet... = se verrà qualcuno...). Poi, è vero che, dopo sï, nisi, në, num...? ecc. s’usano per lo più quis e quï, ma non sono affatto rari, dopo di esse, neanche aliquis e aliquï. E la ragione è la differenza di senso appena vista: se infatti quelle particelle introducono più spesso espressioni di senso ipotetico o comunque eventuale, in non pochi casi non è così: nel primo caso (più frequente) avremo perciò quis e quï, nel secondo aliquis e aliquï. Si veda quest’esempio di Cicerone (Tüsc., 4, 72): Sï quis [amor] est in rërum nätürä sine sollicitüdine, sine dësïderiö, sine cürä... Sïn autem est aliquis amor, ut est certë, quï nihil absit ab ïnsäniä...: nella prima frase si tratta d’una vera e propria ipotesi; non così nella seconda, come si vede dall’inciso ut est certë. Altri esempi di aliquis in casi in cui la regola scolastica, troppo rigida, vorrebbe quis: Cic., Tüsc., 1, 6: Sï aliquid örätöriae laudis nosträ attulimus industriä... (qui l’ipotesi è puramente retorica, dovuta al tono di modestia con cui Cicerone vuol comunque affermare d’aver portato contributi importanti all’oratoria romana); Sen., Dë vïtä beätä, 13, 7: Quï voluptätem sequitur vidëtur... perventürus in turpia nisi aliquis distïnxerit illï voluptätës (chi segue il piacere cadrà senz’altro in cose turpi, a meno che non ci sia qualcuno che gl’insegni a distinguere, com’è detto sùbito dopo, i piaceri conformi al nätüräle dësïderium e quelli che sono “sfrenati e smodati”; Seneca vuol quindi affermare energicamente la necessità d’una guida: chi essa sia non importa, l’importante è che ci dev’essere); ïd., ibïd., 15, 1:
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“Quid tamen” inquit (= si dirà) “prohibet in ünum virtütem voluptätemque cönfundï et ita efficï summum bonum ut idem et honestum et iücundum sit?” “Quia pars honestï nön potest esse nisi honestum, nec summum bonum habëbit sincëritätem suam sï aliquid in së vïderit dissimile meliörï” (Seneca, confutando la tesi epicurea che il sommo bene sia insieme honestum e iücundum, cioè virtù e piacere, osserva che, se fosse così, esso non avrebbe più la sua sincëritäs, “integrità” o “purezza”, perché avrebbe in sé aliquid di diverso dalla sua parte migliore, la virtù: quest’aliquid è qualcosa di ben reale e determinato, il piacere o iücundum); Caes., B. G., 7, 20, 6: sï alicuius indiciö vocätï [intervënerint]... (il senso è, come spiega il Paoli, ‘se l’attacco dei Romani è stato reso possibile dalle rivelazioni di un traditore’, e quindi con aliquis s’allude a una persona reale, non ipotetica). Cfr. Traìna-Bertotti, pag. 187-8 e U. E. Paoli, pag. 172 nota 10. Dal punto di vista didattico, osserviamo che potrebbe presentarsi il caso in cui un alunno, che abbia studiato la nota linguistica presentata nell’Enchïridion al cap. XXII, in cui l’argomento è trattato in termini molto elementari ― anche se lì, in verità, non si dice che s’usi quis, quid dopo sï e num, ma solo che esso in questo caso è pronome indefinito, e non interrogativo ― sollevi qualche perplessità sul fatto che qui venga adoperato aliquï; le spiegazioni che abbiamo dato sopra, quindi, semplificate e portate al livello di ragazzi di quattordiciquindici anni, serviranno all’insegnante per rispondere in maniera adeguata. Notiamo inoltre che la tradizionale formula per cui aliquis ecc. ‘perdono le ali’ può esser didatticamente utile (a fini mnemonici), purché s’avverta del suo carattere empirico, e non scientifico.
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(88) Ci si soffermi un momento sui nomi di città in unione con un appellativo anche (come in questo caso) accompagnato da un attributo: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 353, § 1. (93-97) È importante che i ragazzi si soffermino e s’esercitino (frasi possono esser fatte al momento o esser già state preparate dall’insegnante) sul verbo vidërï, la cui costruzione essi troveranno spiegata sia nell’Enchïridion che nella Syntaxis Latïna, pag. 310, § 2. Nella Syntaxis Latïna abbiamo interpretato il dativo che s’accompagna a vidërï (che è in realtà il ivo di vidëre) come dativo d’agente, mentre altri grammatici sembrano pensare ad un datïvus iüdicantis. Del resto non si tratta che d’una quaestiö dë nömine, perché il dativo impropriamente detto d’agente è in realtà un dativo del punto di vista o iüdicantis: hoc mihi vidëtur esse bonum vuol dire propriamente ‘questa cosa è veduta dal mio punto di vista esser buona = questa cosa è vista da me come buona = questa cosa mi par buona’. (122) Nel cap. XIII s’era già incontrata l’espressione tempus est dormïre, che era probabilmente stata spiegata come equivalente di necesse est dormïre. Ora si trova tempus est dormiendï, e sarà possibile chiarire che mentre con tempus est + infinito si suole mettere l’accento sulla necessità dell’azione (cioè si dà rilievo al verbo), con il gerundio si sottolinea che ‘è l’ora, il momento’ di dormire: mentre infatti nel primo caso l’infinito dormïre è il soggetto determinato da tempus est, nel secondo caso dormiendï è il complemento che specifica di quale tempus si tratti.
CAPITVLVM XXVII
(38) Cöpia, ae viene qui introdotto al sin-
golare; il plurale si troverà solo in ROMA AETERNA (dal cap. XLI). (42) S’osservi l’espressione bis terve in annö e si facciano esempi simili: semel in annö, quater in mënse, ecc. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 346, § 4. (55) Che në... quidem significhi ‘neanche, neppure’ dovrebbe risultare chiaro dal contesto e dalla nota marginale. S’osservi comunque che la parola negata va posta sempre in mezzo tra në e quidem. (65) Anche se qui i negötia a cui pensa Giulio non son certo impegni politici, ma affari privati, si può cogliere il pretesto per parlare dei concetti di ötium e negötium nel mondo romano. La frase in ötiö cögitat dë negötiïs è infatti estrapolata da un contesto ciceroniano (Dë off., 3, 1), in cui Cicerone paragona la sua forzata inattività al ritiro volontario dagli impegni civili di Scipione l’Africano: l’atteggiamento dell’Arpinate in quel caso ci mostra come per un romano (almeno del periodo repubblicano) la solitudine e la meditazione assumessero valore se si presentavano come preparazione ad una maggiore incidenza nel tessuto della vita politico-sociale, nell’idea che la vita individuale non avesse vera nobiltà e dignità se non portava un contributo alla rës püblica. (66) Dopo domï e humï, ecco comparire rürï, che dovrebbe risultare facile per l’analogia con gli altri due. Si curi che i ragazzi lo memorizzino, e che ricordino anche che si tratta d’un nome neutro: il complemento di moto a luogo senza preposizione sarà dunque rüs. (76) Viene introdotto quïdam: si faccia osservare che ha la stessa declinazione di quï, quae, quod, con l’aggiunta dell’indeclinabile -dam. (83) Si faccia notare che la causa impediente s’esprime spesso con prae + abla-
NOTE PER L’INSEGNANTE
tivo, e si ripeta che la causa esterna si esprime invece con ob o propter + accusativo. (89) Si rilevi che un’espressione del tipo iam trës mënsës implica che la cosa dura ancora, cioè che Giulio sta ancora aspettando; se il fatto fosse concluso (se cioè, per esempio, Giulio avesse detto ‘Tre mesi fa ho ricevuto il denaro’) si sarebbe trovato abhinc + acc. (o abl.). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 347, § 7. Altro esempio al rigo 120. (94) Tantum pecüniae è un’espressione col genitivo partitivo sul modello di molte altre già incontrate (per es. multum aquae, paulum cibï, ecc.) e dunque non dovrebbe creare problemi. Si badi che i ragazzi non confondano tantum, -ï con l’avverbio tantum = soltanto. (94-95) Si chiarisce ora come si debba dire ‘entro quanto tempo’ avverrà o dovrà avvenire una data cosa (inträ + acc.). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 345, § 2. Altri esempi alle righe 113-114. (108) Si faccia notare quest’uso di per in preghiere, scongiuri, giuramenti ed esclamazioni. (122) Si faccia memorizzare che prödesse regge il dativo. (123) Non si trascuri che i ragazzi ricordino che nëquam è indeclinabile. (138) Ancora un esempio di accusativo esclamativo: s’aspetti il cap. XXIX per una trattazione completa. (169-175) Si spieghi, come suggerisce la nota a margine, che prohibëre deriva da prö + habëre = ‘tener davanti = lontano’, con abbreviazione dell’ö di prö davanti a vocale (l’h- non impedisce che s’applichi la regola secondo cui vöcälis ante vöcälem corripitur). Da questa spiegazione etimologica discenderà come evidente la costruzione con (ä, ab +) ablativo: prohibë ovës tuäs ab agrïs; nölï më officiö meö prohi-
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bëre. Poco più avanti si troverà la costruzione coll’infinito: Ego të nön prohibëbö officium facere. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 388, §2 e 389, Oss. 1. Si faccia notare come prohibëre abbia spesso la stessa costruzione di iubëre, sinere, ecc.: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 312, § 1. ( 177) Quam celerrimë potest è glossato nella nota marginale come tam celeriter quam mäximë fierï potest; si spieghi che quam rafforza il superlativo, e che il verbo posse non sempre è espresso: Hoc faciam quam celerrimë poterö, ma anche semplicemente hoc faciam quam celerrimë; quam brevissimë fierï potest o quam brevissimë.
CAPITVLVM XXVIII
Questo capitolo offre l’occasione per un primo incontro con testi originali: esso presenta infatti, inserita nel contesto della narrazione, una scelta di brani tratti dal vangelo secondo Matteo. Si noti che, a questo punto dell’apprendimento, non solo il aggio dai testi costruiti ad hoc agli originali antichi dovrebbe avvenire senza scosse, ma addirittura i i presentati dovrebbero apparire agli alunni più semplici e più facilmente comprensibili del latino al quale si sono gradualmente abituati. (8-9) Si faccia notare la correlazione ut... ita. (12) S’osservi: 1) Quid...? viene qui usato nel senso di cür...?, piuttosto frequente nei classici: cfr., a puro titolo d’esempio, Cic., Phil., 2, 38, 99: ëloquere, quid vënistï?; ïd., Prö Mil., 16, 44: Sed quid ego argümentor, quid plüra disputö? 2) Vengono introdotte le disgiuntive dirette con utrum... an...? Altro esempio al rigo 20. (23) Viene presentato l’avverbio eö; si fac-
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cia notare che la vocale caratteristica degli avverbi di moto a luogo è -ö oppure -ü-: quö, eö, hüc, illüc. (37) Si colga l’occasione per sottolineare la differenza tra omnis, üniversus e tötus: ‘omnis indica un tutto analizzato nelle sue parti... tötus indica sinteticamente un tutto come unità compatta, indifferenziata... üniversus indica il tutto come un complesso in antitesi alle parti’ (Traìna-Bertotti, pag. 179). Si distingua dunque tra tötös diës (per es. Cic., Dë fïn., 5, 74: quïn etiam ipsï voluptäriï... virtütës habent in öre tötös diës) ‘le giornate intere’ e omnës diës (per es. Sen., Dë brev. vïtae, 7, 9: ille... quï omnës diës tamquam vïtam ördinat nec optat crästinum nec timet) ‘tutti i singoli giorni’; Caes., B.G., 6, 5, 1: tötus et mente et animö in bellum... ïnsistit; Cic., Dë off., 1, 18: omnës enim trahimur et dücimur ad cognitiönis et scientiae cupiditätem. Dunque ‘mïlitës tötï in bellum irruërunt’ = ‘i soldati si gettaron tutti (cioè anima e corpo) in guerra’; ‘mïlitës omnës in bellum irruërunt’ = ‘tutti i soldati (cioè nessuno escluso) si gettarono in guerra’. Cic., Ör., 142: ëloquentia... örnat... üniversam rem püblicam ‘l’eloquenza è d’ornamento all’intero Stato (nel suo complesso, e non ad alcune sue parti soltanto)’. Cünctus apparirà nel XXXII capitolo. Alle righe 82-86 del presente ca- pitolo tötus mundus indica genericamente il mondo come totalità organica; mundus üniversus è contrapposto alla divisione che gli dèi fanno di esso. (53) Si distingua in höc librö da höc librö: la differenza è simile a quella, già rilevata, tra tötä Italiä e in tötä Italiä: il primo è un vero e proprio stato in luogo; il secondo è un ablativo strumentale: dunque il primo può riferirsi anche solo ad una parte del libro; il secondo s’adopera con riferimento
al libro tutt’intero. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 351, § 1. (57) Si noti il riflessivo indiretto sibi: s’usa infatti, come si sa, sempre suus o suï, sibi, së nelle frasi all’infinito e al congiuntivo (che non siano consecutive o proposizioni rette dal cum narrativo-causale): per una spiegazione di questo fenomeno si veda Syntaxis Latïna, pag. 381, § 2. (80) È importante che i ragazzi ricordino questo significato del ivo di habëre: habërï = exïstimärï. (106) Si noti come dubitästï sia forma sincopata per dubitävistï, e si facciano altri esempi: amästï, laudästï, örästï, ecc. Si confronti l’italiano ‘amasti, lodasti, orasti, dubitasti’. (110) Si faccia memorizzare che persuädëre regge il dativo: altri esempi alle righe 115, 164, 173-174. (143-144) “Il famoso verso incidis in Scyllam, cupiëns vïtäre Charybdim è di un poeta del XIV secolo, Gualtiero di Châtillon (Alessandreide, 5, 301), e corrisponde perfettamente all’adagio greco tèn Chàrybdin ekphygòn tê Skylle perièpesen, attestato in Apostolio (16, 49). Esso allude a un tratto di mare particolarmente pericoloso per i naviganti, quello dello stretto di Messina, dove bisognava evitare il pauroso vortice che tutto inghiottiva vicino alla costa siciliana (Cariddi) e nello stesso tempo non andare a sbattere contro una roccia che s’ergeva di fronte, su quella calabra (Scilla): nella fantasia popolare, Cariddi diventò un mostro che tutto inghiottiva (e, a livello proverbiale, designava una persona estremamente vorace, sia in senso proprio che metaforico, cfr. ad es. Aristofane, Cavalieri, 248, Alcifrone, Ep. 1, 6, Cicerone, Filippiche, 2, 27, 67, Dë örätöre, 3, 41, 163 e Orazio, Carm., 1, 27, 19 [in quest’ultimo luogo si tratta di una donna che fa soffrire
NOTE PER L’INSEGNANTE
l’amante]), mentre Scilla fu vista come un’essere metà donna e metà animale. Alla fama di tale tratto di mare contribuì il fatto che vi ò, non senza fatica e perizia, Odisseo, secondo il racconto del XII libro dell’Odissea (vv. 85 ss.); così, in seguito esso fu topicamente richiamato per designare una posizione particolarmente rischiosa, in bilico fra due pericoli estremamente gravi (cfr. ad es. Libanio, Ep. 746 [10, 673, 12 s. Förster], Gregorio Nazianzeno, Carm. 61, 148, Ör. 3, pag. 92 D., Eustazio, Opuscula, 305, 80-83, Excerpta poëtica, in Anecdota Parïsiënsia, 4, 288, 1). Molte anche le attestazioni latine precedenti a Gualtiero: si vedano ad es. Cicerone, In Verrem äctiö secunda, 5, 56, 146, Virgilio, Eneide, 3, 420-423, S. Girolamo, Ep. 14, 6; 125, 2; 130, 7, Salviano, Dë gubernätiöne Deï, 5, 11 (in questi, come in altri i cristiani, la nostra immagine indica la possibilità di cadere in due peccati, entrambi altrettanto gravi, anche se per lo più di segno opposto). La forma latina del proverbio più usata è incidit in Scyllam quï vult vïtäre Charybdim” (R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, Milano, 1991, pag. 695). Il proverbio, naturalmente, corrisponde al nostro ‘cader dalla padella nella brace’. Tra tutti i i citati sopra dal Tosi, si veda specialmente Aen., 3, 420 ss.: Dextrum Scylla latus, laevum impläcäta Charybdis / obsidet atque ïmö barathrï ter gurgite västös / sorbet in abruptum flüctüs rürsusque sub auräs / ërigit alternös et sïdera verberat undä. / At Scyllam caecïs cohibet spëlunca latebrïs / öra exsertantem et nävës in saxa trahentem. / Prïma hominis faciës et pulchrö pectore virgö / pübe tenus, postrëma immänï corpore pistrïx / delphïnum caudäs uterö commissa lupörum. (150) Si noti il gerundio del verbo ïre.
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(151-165) Viene qui presentato tutto il presente indicativo di mälle, che, naturalmente, i ragazzi dovranno imparare. Si spieghi che, come chiarito dalla nota a margine, mälle vale magis velle. (171) Nëmö potest duöbus dominïs servïre è, come tutti sanno, frase evangelica (Matth., 6, 24; cfr. Luc., 16, 13).
CAPITVLVM XXIX
(9) Si spieghi che in latino due negazioni affermano: nönnüllï vale dunque alla lettera ‘non proprio nessuno’, quindi qualcuno sì e qualcuno no; così, al rigo 121, nönnumquam ha il valore di ‘non proprio mai’, cioè talora sì e talora no. Si chiarisca anche che, se il nön precede l’aggettivo, il pronome o l’avverbio di forma negativa, l’affermazione è parziale, se invece segue, l’affermazione è totale: nönnüllï = ‘alcuni’; nüllï nön = ‘non c’è nessuno che non’ = ‘tutti’; nönnumquam = ‘talvolta’; numquam nön = ‘non v’è mai una volta che non’ = ‘sempre’. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 355. (14) Si noti eö cönsiliö prolettico dell’ut finale: quest’uso è piuttosto frequente nei classici, che l’adoperano non senza eleganza: cfr. Cic., Dë fïn., 1, 21, 72: Explicävï sententiam meam, et eö quidem cönsiliö, tuum iüdicium ut cognöscerem; Caes., B. G., 1, 48: ulträ eum castra fëcit eö cönsiliö, ut frümentö commeätüque... Caesarem interclüderet; Nep., Milt., 5, 3: proelium commïsërunt... höc cönsiliö, ut... montium altitüdine tegerentur; Sall., Cat., 57: reliquös Catilïna per montës asperös... in agrum Pistöriënsem abdücit eö cönsiliö, ut per trämitës occultë perfugeret in Galliam Cisalpïnam. Un altro esempio alle righe 139-140.
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(27) Compare dïvitiae, -ärum: s’osservi che si tratta d’un plüräle tantum. (38-43) S’osservi che il genitivo plurale di noster e vester è nostrum, vestrum quando ha valore parititivo (= ex nöbïs, ex vöbïs); nostrï, vestrï, quando ha valore oggettivo. Però, per una specie d’attrazione, si dice sempre omnium nostrum, omnium vestrum, qualunque sia il significato del genitivo. (45-51) Si sottolinei il valore di afficere, che, nell’attivo come nel ivo, prende il significato dall’ablativo strumentale che l’accompagna: afficere aliquem laude, malö, beneficiö; afficï laude, morbö, dolöre; cfr. Syntaxis Latïna, pag 340, § 4. Un altro esempio in questo capitolo al rigo 172. (58-59) S’introduce la disgiuntiva indiretta con utrum... an. (62) S’osservi che, nella frase delphïnö servätus est, il delfino non è considerato tanto come l’agente dell’azione (nel qual caso si sarebbe detto ä delphïnö), ma come il mezzo o lo strumento (cosiddetta causa efficiente) grazie al quale Arìone fu salvato. La frase risulta dunque analoga ad una del tipo Cornëlius equö vehitur. (71) Si ricordi che il participio ato dei verbi deponenti ha valore attivo e può essere elegantemente usato come participio congiunto: bëstiae ferae, nätüram suam oblïtae... (72) Si curi che i ragazzi memorizzino la costruzione di invidëre col dativo; si sottolinei anche che invidëre non ha precisamente lo stesso significato dell’italiano ‘invidiare’, e significa piuttosto, come senso primario, ‘guardare di mal occhio’, ‘così da recar danno alle persone o agli oggetti guardati, secondo il pensiero degli antichi’ (Georges-Calonghi). Da questo significato primo, naturalmente, discende
anche quello di ‘avere un atteggiamento d’invidia e di gelosia verso qualcuno’. (75) Viene introdotto l’avverbio di moto da luogo inde. Si sottolinei ancora una volta che la -n- è la caratteristica di questi avverbi: inde, illinc, hinc, unde. (89) Dëspëräre vïtam è presentato in questo capitolo assieme a dëspëräre dë salüte (l. 120). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 316, § 6. Si facciano imparare agli alunni entrambe le costruzioni. (99) Hominem natantem subiit, come poco più avanti (l. 102) rëgem Periandrum... adiit, forniranno l’occasione per riparlare dei verbi intransitivi che, composti con preposizioni, diventano transitivi e possono essere usati anche al ivo: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 318, § 9. Adïre coll’accusativo s’è trovato sin dal capitolo XVI. (116) Si badi che i ragazzi si soffermino sulla costruzione di dubitäre con un’interrogativa indiretta introdotta da num. I verba dubitandï possono costruirsi, naturalmente, anche con altre particelle interrogative o, più raramente, con un pronome interrogativo: Cic., Dë rë p., 1, 38: cür igitur dubitäs, quid dë rë püblicä sentiäs?; ïd., Dë off., 1, 3, 9: honestumne factü sit an turpe, dubitant; Nep., Thrasybül., 1: sï per së virtüs sine fortünä ponderanda sit, dubitö, an hunc prïmum omnium pönam; Plin, Ep., 6, 27, 1: Dubitö, num idem tibi suädëre dëbeam; Quint., 6, 1, 3: licet et dubitäre num quid nös fügerit. Con an di solito si propende per il sì, con num l’incertezza è assoluta. (118) S’osservi l’uso dell’indicativo con le particelle disgiuntive sïve... sïve (cfr. Syntaxis Latïna, pag. 360, § 2). (123-124) Dum anima est, spës est?: la frase è tratta da una famosa lettera di Cicerone, Att., 9, 10, 3: Ut aegrötö, dum
NOTE PER L’INSEGNANTE
anima est, spës esse dïcitur, sïc ego, quoad Pompeius in Italiä fuit, spëräre nön dëstitï: ‘Come un malato finché ha vita si dice che abbia speranza, così io, finché Pompeo fu in Italia, non ho smesso di sperare’. Per l’espressione, si confronti anche Ter., Heaut., 98: modo liceat vïvere est spës; la forma proverbiale ancor oggi in uso è Dum spïrö spërö, che corrisponde al nostro ‘finché c’è vita, c’è speranza’. (153) Si notino le espressioni mïrum in modum e (l. 177) terribilem in modum: gli alunni le imparino come espressioni di tipo idiomatico. (161-162) Si faccia imparare che suädëre, come il già incontrato persuädëre (vedi cap. XXVIII) regge il dativo. Tyrannö suäsit, ut iactüram faceret... vuol dire ‘esortò, consigliò il tiranno di gettare...’; Tyrannö suäsit iactüram esse faciendam... varrebbe invece ‘convinse il tiranno che era necessario gettare...’ Spesso è rispettata dagli autori questa distinzione tra la costruzione di suädëre e persuädëre con l’acc. + inf. = ‘persuadere, convincere che’, e quella con ut + cong. = ‘consigliare, indurre, convincere a’: cfr. Caes., B. G., 1, 2: [Orgetorïx] cïvitätï persuäsit, ut dë fïnibus suïs cum omnibus cöpiïs exïrent; [persuäsit item] perfacile esse, cum virtüte omnibus praestärent, tötïus Galliae imperiö potïrï: ‘Orgetorìge persuase gli abitanti tutti ad uscire in massa dai propri territori; li convinse che era impresa assai facile impadronirsi del comando dell’intera Gallia, dal momento che essi erano superiori a tutti per valore guerresco’. Nella nota a margine suädëre è glossato come = persuädëre cönärï: infatti il prefisso per- dà al verbo composto un aspetto puntuale e un significato perfettivo: cfr. Sen., Ep.71, 30: Suädeö mihi ista quae laudö, nöndum persuädeö: ‘tento di convincermi di questi
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beni che vado lodando, ma non me ne convinco ancora’, ‘ci può essere un momento nel quale io sia giunto a consigliarmi la virtù e a farne la lode; ma non è detto ancora che con questo io sia giunto alla piena persuasione di seguirla’ (trad. Balbino Giuliano); ‘Consiglio a me stesso di seguire questi beni che lodo, ma non riesco ancora a metterlo in atto’ (Traìna-Bertotti). ( 185) Si faccia imparare che appropinquäre regge il dativo; un riepilogo schematico dei verbi che reggono il dativo lo si troverà in Exercitia Latïna, pag. 273, exercitium 7. Per quanto riguarda appropinquäre, in particolare, si badi che gli alunni non tendano ad usarlo in forma iva con valore mediale, influenzati dall’italiano ‘avvicinarsi’: Cornëlius Iüliö appropinquat = ‘Cornelio s’avvicina a Giulio’. ‘Avvicinare’ nel senso di ‘accostare’ è di solito espresso in latino con ovëre aliquid alicui. (187) Come già nel cap. XXVII, 108, per viene qui adoperato in una formula deprecativa-esclamativa di scongiuro: per deös immortälës! Cfr. Cic., Verr., 2, 3, 10, 25: Per deös immortälës, quid est hoc?; ibïd., 35, 80: Nam, per deös immortälës! quod dë capite iste dëmpsit, quö tandem modö vöbïs nön modo ferendum, vërum etiam audiendum vidëtur? In questo tipo di formule anche prö (interiezione, non preposizione) s’unisce ad un accusativo esclamativo: prö deum atque hominum fidem, Ter., And., 1, 5, 2, 11; ïd., Heaut., 1, 1, 9; Cic., Verr., 2, 3, 40, 137; Sall., Cat., 20, 10; o ad un vocativo (che secondo altri sarebbe un nominativo: ma cfr. Ter., Ad., 2, 1, 42: Prö suprëme Iuppiter! Cic., Phil., 2, 13, 32: Prö säncte Iuppiter!): cfr. Syntaxis Latïna, pag. 321, §15. Prö, Iuppiter! si troverà in ROMA AETERNA, XL. 221. Si noti come l’accusativo esclamativo si trovi spesso in
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alternanza con il vocativo: l. 198: Ö dï bonï! (196) Si noti magis magisque e si confronti con l’italiano ‘più e più’ e con l’inglese more and more. Si curi che i ragazzi l’imparino come espressione formulare.
CAPITVLVM XXX
(3) S’osservi che, mentre qui si dice che Giulio vestem novam induit, al rigo 15 si leggerà che il padrone di casa, novä veste indütus entra nell’atrio per salutare gli ospiti. S’osservi che verbi come induere, circúmdare, dönäre, aspergere (vedi ll. 109-111), miscëre (ll. 115 e 132), ecc., possono avere doppia costruzione: induö (mihi) vestem / induö më veste; circumdö urbem mürö / circumdö urbï mürum; dönö tibi librum / dönö të librö; aspergö cibum sale / aspergö cibö salem. In italiano è rimasta ora l’una, ora l’altra costruzione: noi diciamo infatti ‘circondare la città con un muro’ e ‘aspergere il cibo col sale’, ma ‘donare ad uno un libro’; d’altra parte però diciamo sia ‘mescolare il vino coll’acqua’ che ‘mescolare l’acqua al vino’: cfr. ll. 115: Römänï vïnum cum aquä miscent e 132: semper mel vïnö misceö. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 335 § 7. Circúmdare si troverà al cap. XXXIII, 19-21. (16) Si faccia imparare la formula di saluto salvëre të iubeö. (17) Dopo ütï compare ora fruï coll’ablativo strumentale. Un ulteriore esempio al rigo 59. (30) S’osservi che docëre costruito con dë + abl. vale ‘informare di’: cfr. Cic., Verr., 2, 4, 51: dë eius iniüriïs iüdicës docëre; ïd., Rösc. Amer., 9, 26: Üsque adeö autem ille pertimuerat, ut morï mället quam dë hïs rëbus Sullam docërï; 44, 127: Ego haec
omnia Chrÿsogonum fëcisse dïcö,... ut hïs dë rëbus ä lëgätïs Amerïnörum docërï L. Sullam us nön sit; Sall., Iug., 13, 3: Adherbal... Römam lëgätös mïserat, quï senätum docërent dë caede frätris et fortünïs suïs. (33) Si noti e si faccia imparare la costruzione di praeesse + dat. = ‘essere a capo di’, ‘sovrintendere a’. Praeesse può anche essere utilizzato in senso assoluto, con in + abl.: cfr., in questo stesso capitolo, l. 81: Uter nostrum in culïnä praeest?: Cic., Verr., 2, 3, 77, 180: vidë, quaere, circumspice sï quis est forte ex eä prövinciä, in quä tü triennium praefuistï. (35-36) Si spieghi che il quod nella frase prüdenter facis quod non è propriamente causale, ma sostantivo-dichiarativo: ‘fai bene a...’ Cfr. Syntaxis Latïna pag. 385. (40-41) Si noti la frase Sex hörae sunt cum cibum nön sümpsï, in cui il cum temporale assume il valore particolare di ex quö: ‘sono sei ore che...’ ‘son ate sei ore da quando..’ Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 399. (48) Si faccia notare che sitis, -is, come pochi altri vocaboli di terza declinazione, ha l’acc. in -im e l’abl. in -ï. (59) Come nei due capitoli seguenti, e come già nel cap. XXVIII, si dà qui l’occasione d’imparare un proverbio latino: Vïnum vïta est (con la sua variante ex vïte vïta). (73) Quot e non ‘quotënï convïvae in singulïs lectïs accubant?’, come forse qualcuno s’aspetterebbe per la distinzione scolastica tra quot e quotënï: cfr. H. Menge, Repetitorium der lateinischen Syntax und Stilistik, München, 1965, § 214, 14: Quot discipulï in singulïs classibus (cfr. Quint., 1, 2, 23-24; 10, 5, 21) scholae vestrae sunt? ‘Quotënï’ è vocabolo estremamente raro, che non si trova nei lessici frequenziali di base.
NOTE PER L’INSEGNANTE
(78-79) Si sottolinei l’uso dell’indicativo latino lì dove in italiano si sarebbe trovato un condizionale: ‘Cënam iam prïdem parätam esse oportuit!’ (80) Si noti la disgiuntiva diretta con -ne... an. (129) Si faccia notare che, oltre a idem atque, può trovarsi anche idem quod: Fabia... omnibus dë rëbus idem sentit quod marïtus. (139) Si osservi la tmesi di ante... quam: ‘sententiam meam nön ante dïcam quam utrumque gustäverö’ = ‘sententiam meam nön dïcam antequam utrumque gustäverö’. Essa è molto frequente nei classici: cfr., per es., Cic., Phil., 11, 24: ante prövinciam sibi dëcrëtam audiet quam potuerit tempus eï reï datum suspicärï; Liv., 39, 10: neque ante dïmïsit eum quam fidem dedit. (145) Si colga l’occasione offerta dalla frase cum prïmum meum vïnum pötäveritis, Falernum pötäbitis per parlare della legge dell’anteriorità; già si sono incontrati esempi d’applicazione di questa ‘legge’ stilistica col futürum exäctum sin dalle righe 83-84. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 361, § 3. Molti esempi si troveranno nel cap. XXXI. (152) S’osservi che la reciprocità può esprimersi con inter së, senza per questo mutare il verbo da attivo in ivo con valore mediale: ‘guardarsi (l’un l’altro)’ = aspicere inter së: cfr., per es., Ter., Ad., 2, 4, 7: quasi nunc nön nörimus inter nös; Cic., Dïv., 1, 28, 58: Saepe tibi meum närrävï... somnium: më... vïdisse in quiëte... nös inter nös esse complexös.
CAPITVLVM XXXI
(10) Si spieghi che aliquid può trovarsi coll’aggettivo al genitivo (partitivo), come
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qui, aliquid novï, o con l’aggettivo concordato: aliquid novum. Con gli aggettivi di seconda classe, però, si trova sempre concordato: aliquid turpe. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 325. Stessa costruzione ha anche nihil. (16) Vien qui introdotta la costruzione di quaerere con ä, ab + abl. Si colga l’occasione per fare una rapida ricapitolazione delle costruzioni dei verbi di domanda fin qui incontrati. Altro esempio di quaerere ab + abl. al rigo 36. (29) In questo capitolo si troveranno molti esempi della ‘legge’ dell’anteriorità: si vedano anche le ll. 64, 65, 77-78, 102. (38) Si noti il nesso relativo cui Orontës, e si spieghi che spesso, ad inizio di frase, quï vale et is, et ille / sed is, sed ille. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 402, oss. 2. ( 41) L’introduzione di simul atque ci dà l’occasione di ripetere i modi per dire ‘non appena’ finora incontrati: cum prïmum, simul atque (simul ac). Tutte queste locuzioni congiuntive si costruiscono sempre con l’indicativo. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 398. Altro esempio di simul atque al rigo 44. Ubi prïmum s’incontrerà nel cap. XXXII, 176. (55-56) Si noti e si faccia imparare che fïdere e cönfïdere si costruiscono col dativo di persona, ma, in genere, coll’ablativo della cosa in cui si confida (anche però col dat.: cfr. Verg., Aen., 9, 378: Celeräre fugam in silväs et fïdere noctï; 11, 351: Fugae fïdëns; Ov., Met., 15, 827: Taedae nön bene fïsa; Tac., Ann., 4, 59: Praebuitque ipsï mäteriem cür amïcitiae cönstantiaeque Seiänï magis fïderet); fïdere, tranne che nel participio fïdëns, s’usa poco in prosa, dove viene utilizzato per lo più cönfïdere. (69) Si notino tot... quot correlati. (90) Si raccomandi ai ragazzi d’imparare
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LUIGI MIRAGLIA
la costruzione d’ignöscere col dativo. Anche se contestata dall’Ernout-Meillet, ci sembra didatticamente utile la spiegazione tradizionale (che risale agli antichi grammatici, la qual cosa dimostra, se non altro, che così interpretava il verbo e il costrutto la coscienza linguistica dei Romani), secondo cui in ignöscere, da in- + gnöscere (forma antica di nöscere), il prefisso inavrebbe valore privativo (cfr. la glossa ignöscere: nön nöscere, Loewe, Prodromus, 409 e Thës. glöss. ëmend., s. v. ignöscö); ignöscere aliquid alicui vorrebbe quindi dire “non conoscere (far finta di non vedere) qualcosa per qualcuno”, con alicui come datïvus commodï. (140) Si spieghi il valore dell’espressione mittere (o damnäre) ad bëstiäs. (172) Si noti il nesso fortissimus quisque: si spieghi che il superlativo + quisque vale ‘tutti i più...’: praestantissimus quisque = ‘tutti i più in gamba’; fortissimus quisque ‘tutti i più forti’, ecc.: cfr., per es.: Cic., Tüsc., 1, 31, 77: Doctissimus quisque; Caes., B. G., 1, 45: Antïquissimum quodque tempus; talora anche al plurale, per es. Plaut., Möst., 1, 76: Optimï quïque expetëbant ä më doctrïnam sibi. (176) Viene introdotto quisquis, che, come tutti i raddoppiati e composti con -cumque, per lo più si costruisce coll’indicativo, mentre l’italiano in espressioni analoghe usa il congiuntivo. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 360. (179) Nel leggere ad alta voce si faccia una pausa tra ünum e tantum, così da far capire che tantum è correlato con quantum e non unito a të ünum. L’espressione alterum tantum vale ‘due volte tanto’, come il greco hèteron tosoûton: cfr. Plaut., Epid., 3, 81: Etiamsï alterum tantum perdendum est, perdam potius quam sinam; Cic., Ör., 56, 188: Alterö tantö longior.
(185-186) Il proverbiale ab övö üsque ad mäla deriva, come si sa, da un o di Orazio (Sat., 1, 3, 6 e s.), e si riferisce all’abitudine romana di cominciare con un antipasto in cui spesso erano servite uova, per finire con la frutta: esso dunque vale ‘dall’inizio alla fine’. S’usa anche senza riferimento ai pasti.
CAPITVLVM XXXII
(1) Cünctus viene spiegato in nota come equivalente ad omnis o a tötus nel singolare; ad omnës nel plurale, ma sottolineando l’unione delle parti: cfr. Paul. Fest., 44 Linds.: ‘Cünctï’ sïgnificat quidem omnës, sed coniünctï et congregätï. Altri esempi di cünctus / cünctï alle righe 40, 43, 53. (34-35) Si spieghi che i perfetti coepisse e dësiisse si trasformano in ivi quando s’accompagnano ad un verbo ivo di forma e significato: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 358, § 2. Invece, non solo con un verbo attivo (come per es. in XXV. 62: [Ariadna Thëseum] amäre coepit, ‘Arianna s’innamorò di Teseo’ [alla lettera: ‘...cominciò ad amare T.’]), ma anche con un verbo come minuï, ivo di forma ma non di significato (giacché non vuol dire “esser diminuito”, ma “diminuire” intransitivo), è normale che coepisse resti attivo: diremo quindi Pretium frümentï minuï coepit, ‘Il prezzo del grano cominciò a diminuire’ (vedi la nota a margine). D’altra parte (cfr. Traìna-Bertotti, pag. 214, nota), già a partir da Livio, dunque da un autore certamente classico, si trovano eccezioni: si confrontino, con fierï ‘avvenire’ (che può però anche esser sentito come il ivo di facere), Cic., Verr., 2, 4, 133: Posteäquam iüdicia sevëra Römae fierï dësiërunt e Liv., 2, 21, 6: Plëbï iniüriae ä
NOTE PER L’INSEGNANTE
prïmöribus fierï coepëre da una parte, ma dall’altra Liv., 3, 65, 7: Plëbï ab iüniöribus patrum iniüriae fierï coeptae; e, con movërï, Suet., Tib., 75, 3: Corpus movërï coepit (irregolare per movërï coeptum est, perché, come si vede dal contesto, movërï è qui un vero ivo: ‘Il cadavere cominciò a esser mosso’) e Verg., Aen., 6, 256-7: Iuga coepta movërï (di nuovo irregolare, per movërï coepërunt, ‘...cominciarono a muoversi’). L’uso reale della lingua, anche classica, è, come si vede, meno regolare e costante di quel che potrebbe sembrare a chi si fermasse all’enunziato della regola: il fatto è, come ogni insegnante sa bene, che, in questo come in tanti altri casi, le regole grammaticali si riferiscono solamente a id quod plërumque accidit, e vanno dunque prese cum gränö salis. Queste considerazioni valgano a giustificare il fatto che nel testo si trovi Pretium frümentï minuï coeptum est, glossato però in margine col più regolare, o più frequente, ...minuï coepit. Ai ragazzi sarà bene, comunque, fare imparar la regola com’è enunziata in questa nota, e anche nella Syntaxis Latïna; sarà però anche il caso d’avvertirli che la regola stessa non è poi così assoluta, e di far loro notare appunto l’eccezionalità del costrutto delle ll. 34-35. (41) Si ripeta che afficere s’accompagna ad un ablativo da cui prende il significato: summïs laudibus affëcit = ‘lodò in maniera straordinaria’, ‘attribuì le lodi più grandi’. (60) Si ribadisca la regola pratica del riflessivo indiretto, secondo cui s’usano suus e së nelle frasi all’infinito e al congiuntivo (tranne che nelle consecutive e nelle frasi col cum narrativo-causale). Altri esempi alle righe 142-143 e 147. (66-69) Si dà qui l’occasione per imparare altri due proverbi latini: fortës Fortüna (ad)iuvat, che si trova in Terenzio (Phorm.,
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203), in Cicerone (Dë fïn., 3, 4, 16; cfr. anche Tüsc., 2, 4, 11), in Livio (8, 29, 5; 34, 37, 4) e Plinio il giovane (Ep. 6, 16, 11, riportata, con alcuni adattamenti, tra le prove di verifica comprese in questa Guida). Virgilio (Aen., 10, 284) usa audentës Fortüna iuvat, ripreso poi da Ovidio (Met., 10, 586; Ars am., 1, 606; Fästï, 2, 782), da Seneca (Ep. 94, 28), da Claudiano (Carm. Minöra, 41, 9) e da Corippo (Iöhann., 6, 711). Il Traìna, in un suo contributo (Audentës fortüna iuvat: per la storia di un proverbio, in: Catalogo d’un disordine amoroso, Chieti 1988, pagg. 293-297) sottolinea come Virgilio adoperi audentës e non audäcës (come vorrà la trasformazione volgarizzata del proverbio già a partire dall’alto medioevo: cfr. lo stesso Corippo, Iöhann., 1, 561 e s.), perché il participio indica una disposizione d’animo transitoria e non una qualità permanente (che qui avrebbe il valore negativo della temerarietà). L’altra sentenza presente in queste righe è l’evangelica Converte gladium tuum in locum suum (Matth., 26, 52), più nota nella formulazione di Giovanni (18, 11): Mitte gladium tuum in vägïnam. Maggior fortuna ha avuto il séguito della frase di Gesù presso Matteo: Omnës... quï accëperint gladium gladiö perïbunt, semplificata nell’assonante Quï gladiö ferit gladiö perit. (72) Dönec, che è piuttosto raro in Cicerone (solo 4 volte, e sempre col significato di ‘fino al momento in cui’) e totalmente assente in Cesare, è invece utilizzato con una certa frequenza nella poesia augustea e nella prosa da Livio in poi; nel significato di ‘per tutto il tempo che’ si costruisce per lo più, come dum nello stesso significato, con l’indicativo di tutti i tempi: qui dunque vïvam è, naturalmente, futuro. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 399. Altro esempio,
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tratto da Ovidio (Trïst., 1, 9, 5), al rigo 104. (74) Vien qui introdotta la costruzione di petere con ä, ab + abl. Si ricapitolino dunque tutti i significati di petere e si rivedano le costruzioni dei verbi di domanda: non si dimentichi che repetïtiö est mäter studiörum e che repetïta iuvant. Altri esempi di petere alle righe 88 e 120. Al rigo 169 c’è postuläre ab aliquö aliquid. (76) Si noti che dissuädëre regge il dativo come suädëre e persuädëre; oltre che con në + cong. può costruirsi anche, e più spesso, coll’infinito (con o senza l’acc.): cfr. Gell., 7, 2: Is më dëhortätur dissuädetque në bellum faciam; anche C. Gracch. apud Gell., 11, 10: Quï prödeunt dissuäsürï në hanc lëgem accipiätis; Cic., Dë off., 3, 27, 101: Quï nön modo nön cënsuerit captïvös remittendös, vërum etiam dissuäserit; Sen., Herc. Oet., 929: Quïcumque miserae dissuädet morï crüdëlis est; Quint., 4, 2, 121: Në sententiä quidem stomachum iüdicis reficere dissuäserim; ïd., 2, 8, 7: Certum studiörum facere dëlëctum nëmö dissuäserit; Suet., Tib., 2: Appius Caecus societätem cum rëge Pyrrhö, ut parum salübrem, inïrï dissuäsit. (78) Opus est vien qui introdotto nella sua costruzione con l’ablativo strumentale (dopo essere stato fin qui usato solo in unione con l’infinito). Riteniamo sia qui opportuno spiegare che opus est può avere anche costruzione personale: si può cioè dire ‘Quid opus est armïs?’ o ‘Quid opus sunt arma?’: cfr., per es., Plaut., Capt., 1, 61: Maritimï mïlitës opus sunt tibi; Cic., Fam., 2, 6, 1: Huius nöbïs exempla permulta opus sunt; Liv., 1, 41, 1: Quae cürandö vulnerï opus sunt. Si ricordi che la persona che ha bisogno si trova espressa in dativo: mihi opus est aliquä rë / mihi opus est aliqua rës. Opus est indica un bisogno soggettivo, legato alla volontà individuale
o all’utilità, e contrapposto dunque alla necessità oggettiva e assoluta, o all’indigenza di qualcosa, che viene espressa con necesse est o con egëre e indigëre: cfr., per es., Cato apud Sen., Ep. 94, 28: Emäs nön quod opus est, sed quod necesse est; Sen., Ep. 9, 12: Ait [Chrÿsippus] sapientem nüllä rë indigëre, tamen multïs illï rëbus opus esse, conträ stultö nüllä rë opus est, nüllä rë enim ütï scit, sed omnibus eget. Come si vede dall’ultimo esempio, opus est è messo in stretta relazione con l’esser capaci di ütï: infatti, non solo sia ütï sia opus est reggono l’ablativo strumentale, ma opus est si trova alternato con üsus est (anche in autori del periodo classico), e con gli stessi costrutti: cfr. Ter., Heaut., 1, 28-29: M.: Mihi sïc est üsus; tibi ut opus factö est, face. Ch.: An cuiquam est üsus hominï, së ut cruciet? M.: Mihi. Il costrutto di opus est con l’ablativo del participio perfetto sarà presentato in ROMA AETERNA. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 338, § 1. Altri esempi di opus est con l’ablativo alle righe 118 e 195. Al rigo 124 viene usato assolutamente: sï opus fuerit. (84) Dopo dubitäre num, troviamo qui haud sciö an. (86-90) La cosiddetta ‘legge dell’anteriorità’ non è una regola fissa da doversi applicare tutte le volte che, logicamente e in astratto, un’azione è anteriore ad un’altra, ma solo quando chi parla o scrive vuole esprimere questa circostanza; inoltre non basta che un’azione sia cominciata, ma bisogna che si sia anche conclusa prima di un’altra: per esempio, nella frase Fëlïx eris, sï pecüniae grätiä vïtae tuae parcent, i due processi verbali sono visti come contemporanei; chiarificatorio può essere in questo senso considerare il famoso distico ovidiano riportato alle righe 104-105, in cui nel primo verso si tratta di due processi
NOTE PER L’INSEGNANTE
verbali durativi visti come paralleli: si conteranno molti amici per tutto il tempo in cui si sarà fortunati; nel secondo verso, invece, il cambiamento di condizione è presentato come un fatto anteriore e compiuto, in séguito al quale si resterà soli. (90) Si spieghi che grätiä è sinonimo di causä nel complemento di fine come nelle finali col genitivo del gerundio (e del gerundivo). (109) Si noti fallit con la costruzione relativamente impersonale. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 314, § 3. (133) S’osservi che ipse non è concordato con të (come sarebbe nell’italiano ‘te stesso’), ma è soggetto della frase, e si distingua tra ipse sibi nocuit = ‘s’è fatto del male da sé’ (e non è stato un altro a farglielo) e ipsï sibi nocuit = ‘s’è fatto male’ (lo ha fatto a sé stesso, e non ad altri). Si vedano anche cap. XXXIII, 161 e cap. XXXIV, 16. (146) Come il già incontrato eö cönsiliö, anche qui häc condiciöne è prolettico di ut. (172) Si noti e si faccia imparare che minärï regge il dativo. (175) L’introduzione del cum concessivo ci dà l’occasione per ripetere ancora e ricapitolare le varie maniere per esprimere le concessive finora incontrate: etsï, quamquam con l’indicativo; cum col congiuntivo. (175-176) Viene qui introdotto ubi prïmum: si ricapitolino di nuovo i modi per dire ‘non appena’. (176-177) Si faccia vedere come il latino spesso esprima con una sola frase (usando un participio congiunto) ciò che noi, in italiano, renderemmo più naturalmente con due coordinate: Captös praedönës in crucem tollï iussit = ‘Catturò i pirati e ordinò che fossero crocifissi’ (ma anche: ‘Ordinò che i pirati catturati fossero crocifissi’, così
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come il latino avrebbe potuto dire ‘Cëpit praedönës et in crucem tollï iussit’); la frase alle righe 212-213, Timeö në më captum Römam abdücant, difficilmente potrebbe esser resa in un italiano naturale se non con ‘Temo che mi catturino e mi portino a Roma’ (forzato risulterebbe infatti ‘Temo che portino a Roma me catturato’ o ‘...dopo avermi catturato’). Talvolta rendere in italiano con due coordinate è addirittura d’obbligo: la frase di Nepote (Cim., 2, 2), Cimön... classem dëvictam cëpit, non potrebbe esser tradotta ‘Cimone catturò la flotta sconfitta’, perché si potrebbe pensare a una flotta sconfitta da qualcun altro: è dunque necessario dire ‘Cimone sconfisse la flotta e la catturò’. Al contrario una frase come Lÿdia änulum oblätum accipit (l. 184) non potrà esser tradotta altrimenti che ‘Lidia prende l’anello che le viene offerto / l’anello offertole’. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 368, § 2. (189) Il quod che segue ignösce mihi non è in realtà causale, ma sostantivo (o completivo): in origine si trattava d’un accusativo neutro del pronome relativo inteso come accusativo di relazione: ‘Quanto al fatto che t’ho accusato, perdonami!’ = ‘Scusami che t’ho accusato’. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 385.
CAPITVLVM XXXIII
Uno studio accurato di questo capitolo permetterà agli alunni di leggere senza grandi problemi buona parte delle opere di Cesare e di altri storici che trattano argomenti bellici. Si raccomanda dunque di soffermarsi su di esso tutto il tempo necessario per una piena assimilazione di vocabolario e fraseologia. (18-19) Si noti il doppio nominativo nella
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frase Dux ä mïlitibus ‘imperätor’ salütätur. (19) S’osservi che qui locö... idöneö vale in locö idöneö: “La mancanza della preposizione si spiega perché il valore locale è implicito nel sostantivo” (Traìna-Bertotti, pag. 139, nota 2). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 351. (20) Viene introdotto il verbo circúmdare: si spieghi dunque che esso presenta la stessa doppia costruzione di induere, dönäre e degli altri verbi analizzati al cap. XXX: dunque non solo castra vällö et fossä circumdantur, ma anche castrïs vällum et fossa circumdantur. S’eviti anche che i ragazzi, per analogia con l’italiano, pronunzino circumdáre. (24-26) S’offre qui l’occasione per ripetere tutti i modi per esprimere il complemento d’età: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 321, § 14. (29) Si noti e si faccia imparare studëre + dat. (30) S’invitino i ragazzi a ricordare la locuzione stipendia merëre. (65) Si faccia rilevare che il significato primo di dësïderäre è quello di ‘sentir la mancanza di’, con l’idea predominante di ‘aver perduto’ qualcosa e di volerlo riavere. (Anche nel linguaggio tecnico della filologia classica quaedam verba dësïderantur vuol dire ‘alcune parole sono andate perdute’, cioè ‘mancano’; cfr. l. 137: haud multï dësïderantur). (77-79) Si noti la costruzione di decet relativamente impersonale. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 314, § 3. (91) S’osservi che litterae, -ärum s’usa al numero plurale sia per indicare una sola lettera (ünae litterae = üna epistula) sia ― contrariamente a quanto pensano molti, legati a false interpretazioni di regole scolastiche ― per significare più missive (bïnae, trïnae, quaternae litterae = duae, trës, quattuor epistulae): cfr. Cic., Fam., 3,
7: Ünïs litterïs tötïus aetätis rës gestäs ad senätum perscrïbere; ibïd., 10, 18: Bïnïs continuïs litterïs ut venïrem rogävit. In realtà epistula è la lettera in senso materiale, mentre litterae si riferisce piuttosto al contenuto: cfr. Cic., ad Q. fr., 3, 1, 3: Veniö ad tuäs litteräs, quäs plüribus epistulïs accëpï, ‘Vengo ai tuoi scritti, che ho ricevuto in più lettere’ = ‘Vengo alle tue lettere, che ho ricevuto in più spedizioni’ (epistula, dal greco epistèllo = inviata, missiva). Importante rimane da notare che con i plürälia tantum e con i nomi che al plurale hanno significato diverso dal singolare s’usano i distributivi invece dei cardinali, e, in particolare, ünï e trïnï invece di singulï e ternï. (101) Si badi bene che i ragazzi non confondano il perfetto cecïdï con cecidï < cadere; così in tutti i composti: occïdö, cioè occído < caedere, occidö, ossia óccido < cadere; incïdö / incidö, etc. (116) Si ricapitolino di nuovo tutti i modi per rendere la finale finora incontrati: ut + cong.; ad + gerundio / gerundivo; causä e grätiä + gen. del gerundio / gerundivo; supino (con i verbi di moto: un nuovo esempio in questo cap. al rigo 150). (143-144) Bisognerà far notare che qui s’usa il congiuntivo obliquo, e non l’indicativo, perché, come sottolineano le virgolette semplici, si riporta il pensiero e il discorso del dux: ‘lodò il nostro valore, perché riteneva che avessimo combattuto con grande coraggio’. Non è detto che il pensiero del dux non sia condiviso da Emilio che scrive, ma egli si limita ad attribuirlo a lui; altre volte una certa presa di distanza può risultare dal contesto: per es.: Athëniënsës Söcratem damnävërunt, quod iuvenës corrüpisset, ‘Gli Ateniesi condannarono Socrate perché ritenevano che avesse corrotto i giovani’ (o: ‘col pretesto che...’). Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 382, § 1.
NOTE PER L’INSEGNANTE
(152) Si noti il costrutto gaudëre aliquä rë. (173) Si confronti etiam atque etiam col già incontrato magis magisque.
CAPITVLVM XXXIV
(17-18) S’introduce dummodo + congiuntivo (volitivo: infatti la negazione è në) = ‘purché’; per le proposizioni condizionali, si veda Syntaxis Latïna, pag. 406. (25) Plüs spesso si costruisce senza il quam: cfr. Ter., Ad., 2, 46: Plüs quïngentös colaphös ïnfrëgit mihi; Cic., Dë rë p., 2, 22, 40: Nön plüs mïlle quïngentös; Liv., 31, 34: Paulö plüs ducentös üs ä castrïs. (37) Si noti iuväre nella sua costruzione relativamente impersonale: Lüdï circënsës më nön minus iuvant quam gladiätöriï. Cfr. Syntaxis Latïna, pag. 314, § 3. Si ricapitolino tutti i verbi impersonali finora incontrati: decet, fallit, iuvat. Altri si incontreranno in ROMA AETERNA. (40) Si rilevi e si faccia imparare favëre + dat. (in questo caso: ‘fare il tifo per’). Negli Exercitia Latïna (pag. 273) si troveranno ricapitolati tutti i verbi reggenti il dativo che si sono incontrati. (47) S’incontra qui per la prima volta dum col presente acrònico: si spieghi che quando dum significa “mentre, nello stesso tempo che”, si costruisce sempre col presente indicativo, a prescindere dal tempo della reggente; si potrebbe poi far imparare ai ragazzi la famosa frase di Livio (21, 7, 1, ata poi, volgarizzata, nel proverbio Dum Römae cönsulitur, Saguntum expugnätur): Dum ea Römänï parant, iam Saguntum summä vï oppugnäbätur: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 399. Molti altri esempi si troveranno in ROMA AETERNA. (57) Il problema della lettura dei versi è
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molto spinoso, e non riteniamo opportuno addentrarci in esso: vogliamo solo qui rilevare che la maniera solitamente in uso nelle nostre scuole può essere al massimo considerata come un esercizio inteso al riconoscimento delle strutture metriche fondamentali, ma non può in nessun modo, come ben sosteneva il Pighi (cfr. G. B. Pighi, Quömodo versüs legendï sint, in: Dë librö Aenëidos VI, quae est catabasis Aenëae, Pontificium Athënaeum Salesiänum, Römae, 1967, pagg. 139-144), pretendere di essere una ricostruzione del modo di legger poesia degli antichi: “‘Scandere’ nihil aliud esse quam versüs recitäre quï crëdunt, iï quidem tötö caelö, ut aiunt, errant. Nempe in scholïs Römänïs, postquam longitüdinës et brevitätës distinguï dësitae sunt et intentiörës syllabae fierï coepërunt, quae ölim ëlätiörës fuerant, discipulï, ut pedës discerent, versum dïvidere iussï sunt. Ita Prïsciänus in Partïtiöne XII versuum Aenëidos, gramm. III pp. 461 ss.: scande versum: armavi rumqueca nötro iaequï [cioè nötroj jaequï, due spondei: vedi Phönëtica Latïna, pag. 282, in principio] prïmusab örïs... scande versum: conticu ëreom nësin tentï quörate nëbant; atque aliï ármavi, aliï armaví ënüntiäbant. Quae legendï ratiö fuit nülla, sed omnïnö versum dïvidendï. Sed cum renäscentium litterärum temporibus Graecös Latïnösque versüs novellïs linguïs imitärï doctï virï vellent, fuërunt, in Germäniä praesertim, quï scänsiönem continuam, ut est ármavirúmquecanó, sibi ad imitandum pröpönerent: ita factum est illud versuum ‘barbarörum’ genus, quod Theodiscïs mäximë placuit atque, ut nosträtem nöminem, Iöannï Pascoli. Neque tamen ea fuit ‘metrica’ versificätiö, ut quïdam falsö opïnantur, sed ‘syllabica’ et ‘accentiönum’ (vocäbulö ütitur Favönius Eulogius somn. Scïp. p. 15,
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15 Holder) ördine quödam cönsistëns, ut sunt plërumque recentiörum linguärum versificätiönës” (pagg. 143 e s.). Quale consiglio dunque dare? Lo stesso che il Pighi dava: “Sequitur ut Latïnï versüs ita legendï sint ut noströs legimus, dummodo syllabäs longäs në corripiämus, brevës në prödücämus, nëve intentiörem faciämus quae ëlätior fuerit. Hic est, quod ad nös attinet, nödus, quï nostrïs quidem linguïs et öribus vix et aegrë expedïrï potest. Nam facile adsuëscimus longäs brevësque rëctë ënüntiäre ac distinguere, sed Römäna cantilëna abhinc mïlle quïngentös annös obmütuit: quamquam exaudïre possumus in Ambrosiänïs et Grëgoriänïs antïquissimïs cantibus. Necesse est igitur ut accentüs noströs quam mäximë extenuëmus, ex quibus abnörmis et prörsus aliënus rhythmus näscätur, atque ut dïligentissimë mënsüram syllabärum servëmus: hoc sï fëcerimus, ipsös Vergiliï versüs suö rhythmö, suö quasi sonö praeditös licëbit audïre: quös nön est dubium quïn haec nostra loquendï cönsuëtüdö aliquantulum vexet et vitiet, sed ipsam versüs animam, rhythmum dïcö, söspitätam laetäbimur” (pagg. 140 e s.). Se non s’è in grado di riprodurre le quantità vocaliche e l’accento melodico (o musicale), riteniamo sia addirittura meglio leggere i versi come se si trattasse di prosa, piuttosto che spostare gli accenti delle parole in maniera arbitraria: sempre parlando del nostro modo di ‘scandire’ i versi, il Pighi diceva: “Ibi (cioè nella cosiddetta ‘lettura metrica’) hominés sonat quod alibï hómines, canó quod cáno, aliaque summä ïrätiöne dïgna vocäbulörum mönstra” (pag. 140). Ma il problema è estremamente complesso, e non può esser trattato esaurientemente in questo manualetto. (114) S’osservi che qui, per ragioni metriche, si deve leggere ünius, cioè únius, e
non ünïus, cioè uníus, come di regola; il caso contrario si presenta al rigo 121, dove va letto fëcerïmus, ossia fecerímus, e non fëcerimus, ossia fecérimus. Si ripeta il complemento di prezzo e di stima: cfr. Syntaxis Latïna, pag. 327, § 5. (125-126) Si noti la differenza tra uxörem dücere e nübere, il primo detto dell’uomo, il secondo (propriamente ‘mettere il velo per’: nübere avrebbe la stessa radice di nübës) della donna. Si faccia imparare che nübere regge il dativo. Altro esempio dei due verbi alle righe 191-193, in versi di Marziale. Questo capitolo dà l’occasione per parlare della poesia lirica ed epigrammatica latina. Ciascun insegnante valuterà in che limiti contenere il discorso, e fino a che punto spingersi. Naturalmente sarà possibile presentare agli alunni anche altre liriche e altri epigrammi, che si potranno corredare di note a margine così come nel libro. Noi ― anche se la cosa potrà sembrare strana e fuori moda ― saremmo favorevoli ad indurre i ragazzi ad imparare a memoria quanta più poesia possibile, in originale (discorso che vale anche per l’italiano: sed nön est hïc locus disputandï), non perché fautori di uno psittacismo scolastico, ma perché fermamente convinti che solo imparando par coeur, come dicono i si, o by heart, come dicono gli inglesi, cioè facendo are attraverso il cuore ciò che si considera, si può veramente sentire che l’armonia del verso e il linguaggio poetico con la sua pregnanza penetrano fin nelle fibre più profonde del nostro essere tutto, coinvolgendoci e trasformandosi in parte costitutiva ed essenziale di noi stessi. Ma queste sono opinioni, e nulla più.
NOTE PER L’INSEGNANTE
CAPITVLVM XXXV
Con questo capitolo si chiude il primo volume del corso: esso presenta un lungo excerptum dall’Ars minor di Elio Donato, grammatico romano del IV secolo, maestro di S. Girolamo. Come si sa, quest’opera ebbe uno straordinario successo nel medioevo, e veniva appresa a memoria nelle scuole (si veda L. Holtz, Donat et la tradition de l’enseignement grammatical, Paris, 1981). A noi potrà servire per una rapida, ma efficace ripetizione delle fondamentali regole di morfologia che sono state apprese dai ragazzi. Se un alunno avrà studiato con diligenza tutto il volume FAMILIA ROMANA dal primo all’ultimo capitolo, avrà nelle sue mani lo strumento per poter procedere agevolmente e velocemente verso la
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meta, costituita dalla lettura corrente e spedita dei classici latini. A questo punto egli non solo conoscerà tutte, o quasi, le principali forme e strutture della lingua di Roma, ma avrà assimilato anche oltre 1500 vocaboli del lessico di base, grazie ai quali potrà già leggere testi di media difficoltà, come quelli propostigli negli ultimi capitoli di FAMILIA ROMANA o nei primi di ROMA AETERNA. Con l’aiuto dell’insegnante sarà anche in grado di leggere, senza sforzo eccessivo, vari testi originali corredati da un apparato di note a margine, sullo stile del corso. Sa anche, nella misura in cui gli è utile per leggere i classici, parlare e scrivere in latino. Bisogna andare avanti. Bisogna portarlo sempre più agli autori. È quanto farà, con la gradualità che è propria di questo corso, il volume ROMA AETERNA.
APPENDICE A RIPETITORIO DELLA SINTASSI LATINA
(I numeri romani si riferiscono ai capitoli di LATINE DISCO, i numeri arabi ai paragrafi.)
Questo Ripetitorio va adoperato per suggerire agli alunni esempi ‘normalizzati’ dei più importanti fenomeni sintattici, suggerendo loro di apprenderli a memoria. È infatti più efficace ricordare un esempio, e da esso risalire alla “regola”, che partire dalla norma astratta. I fenomeni di cui qui non si riportano esempi sono illustrati con frasi e schemi ‘normalizzati’ già nel volume LATINE DISCO. I. 1. Doppio nominativo / doppio accusativo: Cicerö cönsul creätus est. Römänï Cicerönem cönsulem creävërunt. 2. Vidërï: costruzione personale: Iülius mihi vidëtur pater sevërus esse.
3. Vidërï: costruzione particolare: Magiströ necessärium esse vidëtur tabellärium mittere ad Iülium. Discipulïs nön vidëbätur magistrum recitantem interrogäre. Iüliö vidëtur Märcum paenitëre pigritiae suae. Dävö vidëbätur fore (futürum esse) ut Më-dus fugeret. 4. Dïcitur, närrätur, träditur, fertur, ecc.: Daedalus labyrinthum aedificävisse närrätur. Träditum est Ariadnam fïlum Thëseö dedisse.
II. 1. Verba iubendï, ecc.: Iülius servum saccum portäre iubet. Dävus iubëtur crumënam suam pönere in mënsä. Aemilia iänuam claudï iussit.
2. Verbi assolutamente impersonali: Puerum pudet factï suï. Më paenitet dïxisse hoc. Më pudet hoc ä fïliö meö factum esse. Më paenitet quod të offendï. 3. Verbi relativamente impersonali: Të decet honestë vïvere. Puelläs decet verëcundia. Më fugit nömen illïus. Më fugit quod nömen eï sit.
Më iuvat Latïnë discere. Më iuvat lingua Latïna. Më fallit memoria.
4. Doppio accusativo: Doceö discipulös grammaticam. Cëlö mätrem vëritätem.
Poscö sociös frümentum. Flägitö rëgem senätum / ä senätü.
Römänï Cicerönem cönsulem creävërunt.
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5. Verba petendï et interrogandï: Aemilia Quïntum interrogat. Pästor Iülium örat. Senätörës rogävërunt cönsulem sententiam.
Petö ä të librum. Quaerö ex të vëritätem.
6. Verbi transitivi in latino e intransitivi in italiano: Më dëficiunt vïrës. Më dëlectat lüdere. / Më dëlectant rosae.
Antönium pecüniä iüvï / adiüvï. Ulcïscor mortem amïcï. Ulcïscor iniüriäs.
7. Verba affectuum: Märcus Iüliam rïdet. Antönius flet / lüget patrem mortuum. Quïntus horret medicum.
8. Olëre, redolëre, sapere, resipere, sitïre: Sitiö honörës. Haec sententia sapit Cicerönem.
9. Verbi composti con preposizioni: Circumïre ïnsulam. Illum hominem / ad illum hominem adiï. 10. Accusativo dell’oggetto interno: Pugnäre pugnam. Vïvere vïtam.
11. Accusativo di relazione (o “alla greca”): Nüdus pedem. 12. Accusativo d’estensione nello spazio: Vällum decem pedës altum. Via centum pedës läta. Fossa decem pedum. 13. Complemento di distanza: Urbs distäns trium mïlium uum spatiö.
Hadrümëtum abest ä Zamä trecenta mïlia uum.
14. Complemento d’età: Märcus octö annös nätus est. Märcus nönum annum agit. Märcus est puer octö annörum. Märcus octö annös habet.
15. Accusativo esclamativo: Beätös agricoläs! Bene Antönium!
16. Accusativo avverbiale: Mägnam, mäximam partem. Librï id genus. Hostës partim occïsï, partim captï sunt. Verba tua multum më commovent. III. 1. Genitivo soggettivo e oggettivo: Amor mätris. Timor mortis. 2. Genitivo partitivo: Paulum aquae. Plüs pecüniae. Parum cibï. Multum vïnï. ünus discipulörum. ünus ex discipulïs.
Quid novï? Aliquid novï.
Satis pecüniae. Nëmö vestrum. Nihil malï. Nihil malum. Nihil turpe.
3. Genitivo di pertinenza: Mätris est lïberös cüräre. Meum est id facere.
RIPETITORIO DELLA SINTASSI LATINA
4. Genitivo di qualità: Vir summae sapientiae. Vir summä sapientiä.
Vir brevï statürä.
5. Genitivo di stima e di prezzo: Quantï stat? Mägnö stat.
Decem sëstertiïs stat. Mägnï aestimäre. Parvï aestimäre.
Parï pretiö. Decem sëstertiïs aestimäre.
Prö nihilö facere.
Mägnï mömentï esse. Floccï nön facere.
6. Genitivo di colpa: Accüsäre fürtï.
7. Genitivo di pena: Morte damnäre. Capite / capitis damnäre.
} }
8. Genitivo di memoria: Meminisse illïus reï / illam rem. Oblïvïscï Meminisse Oblïvïscï
illïus hominis.
9. Costruzione di interest e rëfert: Iüliï interest agrös invïsere. Meä Tuä Eius
IV. 1. Dativo d’interesse (datïvus commodï /
incommodï): Nihil difficile est amantï. Nön vïtae, sed scholae discimus.
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2. Dativo di possesso: Mihi est liber. Mihi nömen est Iülius / Iüliö.
3. Dativo finale / doppio dativo: Diem colloquiö statuere. Hoc est mihi cordï. Dönö tibi dö hunc librum. Auxiliö vënërunt Iüliö. 4. Dativo d’agente: Omnibus patria amanda est.
5. Dativo di relazione: Nävigantibus Prochytam, möns Mïsënus est ad dextram. 6. Verbi costruiti col dativo: Tibi assentior. Tibi grätulor. Tibi cönfïdö. Mihi persuäsit. Ignösce mihi! Lesbia Catullö nön nüpsit. Multï dïvitibus invident. Eï persuädëre nön potuï. Parce mihi! Linguae Latïnae libenter studëmus. Dïvitibus invidëtur.
7. Costruz ione di dönäre, circ úmda re, exuere, induere, aspergere, ecc.: Dönö tibi librum. Dönö të librö. Induö të veste. Induö tibi vestem.
8. Verbi con diversi costrutti e significati: Cavë canem! Cavë canï!
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Sextus litterïs vacäre solet. Ab officiïs vacäre.
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9. Dativo con verbi composti: Librös addere bibliothëcae / ad bibliothëcam.
10. Verbi di eccellenza: Cicerö omnës / omnibus praestat ëloquentiä. Cicerö omnës superat ëloquentiä. V. 1. Costruzione di opus est: Properäre / properätö opus est.
Nummïs mihi opus est. Nummï mihi opus sunt.
2. Ablativo di materia: Änulus ex aurö / aureus. 3. Ablativo di paragone: Melior sum frätre / quam fräter. Mihi is doctior vidëtur quam tibi. Mälö esse quam vidërï bonus. Amïcus ille, quö nëmö mihi cärior est. 4. Ablativo strumentale: Equö vehï. Per tabellärium aliquid dë më sciës.
5. Ütï, fruï, fungï, vescï, potïrï: Agricola arätrö ütitur. Carne vescï. Iugurtha Numidiä / Numidiae potïtur. Rërum potïrï.
6. Ablativo di limitazione: Märcus et Sextus differëbant möribus.
7. Costruzione di dïgnus e indïgnus: Dïgnus laude. Dïgnus quï laudëtur.
8. Ablativo d’argomento. Dë amïcitiä disputäre.
Liber dë amïcitiä.
9. Ablativo di privazione e d’abbondanza: Carëre pecüniä. Egëre auxiliö. Implëre aquä. Plënus nummörum. Refertus nummïs.
VI.1. Quandö? Kalendïs Iänuäriïs. Hörä nönä. Aestäte. Annö quadrägësimö quärtö ante Chrïstum nätum Caesar necätus est.
In bellö. Bellö Iugurthïnö. Sub fïnem diëï. Circä illum annum.
2. Quö temporis spatiö? Inträ quod tempus? Decem diëbus. Inträ decem diës.
3. Quö temporis intervällö? Quïntö quöque annö lüdï Olympiï celebräbantur.
4. Quotiës in temporis spatiö? Semel in annö.
5. Quantö ante? Quantö post? Decem annïs ante. Ante decem annös. Decem ante annïs. Decem ante annös.
6. Quamdiü? Per decem annös. Decem annös.
7. Ex quö tempore? Tertium iam annum. Tot annös.
RIPETITORIO DELLA SINTASSI LATINA
Decem abhinc annös. Ante (hös) quïnque annös.
XI. 1. Congiuntivo esortativo: Bonum vïnum bibämus!
9. In quod tempus? In posterum! Üsque ad mortem.
Aliquis dïxerit.
8. Post quod tempus? Post ünum annum.
VII. 1. Ubi? In Italiä. Römae. Athënïs. Neäpolï.
2. Quö? In / ad Italiam. Römam. Athënäs. Neäpolim.
3. Unde? Ab urbe venïre. Ë patriä ëgredï. Dë caelö dëscendere. Römä. Athënïs. Neäpolï.
4. Quä? Per Römam. Ïbam forte viä Sacrä.
X. 1. Uso dell’indicativo latino dove l’italiano usa il condizionale: Longum est omnia explicäre. 2. Indicativo latino al posto del congiuntivo italiano: Quisquis / quïcumque est ille... Sïve hoc vërum (est) sïve falsum est... 3. Legge dell’anteriorità: Cum pervënerö Römam vidëbö Colossëum.
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2. Congiuntivo dubitativo / congiuntivo potenziale: Quid dïcam? Quid dïcerem? 3. Congiuntivo ottativo (o desiderativo): Utinam veniäs! Utinam vënerit! Utinam venïret! Utinam vënisset!
4. Congiuntivo concessivo: Dïcat sänë hoc Märcus: tamen nön crëdö. XII. 1. Imperativo negativo: Nölï hoc facere! Nölïte hoc facere! Në hoc fëceris! Në hoc faciäs!
XIII. 1. Costruzione dell’accusativo con l’infinito: Dïcö ‘të bonum puerum esse.’ Të advënisse gaudeö. Gaudeö quod advënistï.
XIV. 1. Uso del participio coi verbi di perce zione: Videö Märcum scrïbentem. Videö Märcum scrïbere. 2. Participio congiunto: Hostës urbem captam incendërunt. 3. Ablativo assoluto: Mortuö Caesare.
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Omnibus spectantibus.
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Caesar, hortätus mïlitës, commïsit proelium.
XV. 1. Gerundio e gerundivo: Mihi legendus est liber. Dësïderium legendï librös. Dësïderium legendörum librörum.
2. Coniugazione perifrastica: Moritürus sum! Omnibus moriendum est. XVI. 1. Il supino: Veniö të salütätum. Difficile dictü.
Nesciö vërumne sit hoc an falsum. Nesciö vërum sit hoc an falsum.
XXI. 1. Le proposizioni sostantive (dichiarative) con quod: Bene facis quod linguae Latïnae studës. Të laudö quod linguae Latïnae studës. Gaudeö quod linguae Latïnae studës.
2. Le proposizioni sostantive con ut: Bone Deus, fac ut vïvat!
Të hortor ut linguae Latïnae studeäs. Të rogö ut linguae Latïnae studeäs.
Cürä ut valeäs.
XVIII. 1. L’uso di suï, sibi, së e di suus, sua, suum: Iülius loquitur cum Cornëliö et cum frätre suö (= Iüliï). Iülius loquitur cum Cornëliö et cum frätre eius (= Cornëliï).
XXIII. 1. Nön dubitö quïn: Nön dubitö quïn rës ita së habeant.
XIX. 1. I valori del congiuntivo nelle proposi zioni subordinate e l’attrazione modale: Putö eum esse virum quï të adiuväre possit. Sï vïveret pater tuus, hoc nön probäret. Sï quis të interroget, eï vërum dïc.
XXIV. 1. I verba timendï: Timeö në hostës adveniant. Timeö në nön discam bene linguam Latïnam. Timeö ut pecüniam mägnam accipiam.
Paulus effëcit ut omnës sibi crëderent. Factum est ut nëmö eï crëderet.
XX. 1. Le proposizioni interrogative dirette: Ubi est Röma? Est-ne Röma in Italiä? Num Röma in Graeciä est? Nönne Röma in Italiä est? Utrum hoc vërum est an falsum? Vërumne est hoc an falsum? Vërum est hoc an falsum?
2. Le proposizioni interrogative indirette: Nesciö utrum hoc vërum sit an falsum.
2. I verba impediendï et recüsandï: Prohibeö quöminus id faciäs. Prohibeö në ë cubiculö exeäs.
Nön prohibeö quïn Römam eäs. Nön prohibeö quöminus illum librum legäs.
XXV. 1. Le proposizioni finali: Studeö / studëbö ut discam. Studëbam / studuï / studueram ut discerem. XXVI. 1. Le proposizioni consecutive: Tam bonus est ut omnës eum ament. Tam bonus erat ut omnës eum amärent.
Hic saccus maior est quam ut ä puerö portärï possit. XXVII. 1. Le proposizioni causali: Eum amö quod bonus est.
}
RIPETITORIO DELLA SINTASSI LATINA
Dïcit së eum amäre quod bonus sit.
XXVIII. 1. Le proposizioni temporali: Cum prïmum Ubi prïmum eum vïdit, (eum) Ut prïmum amplexus est. Simul ac (atque) Postquam
Titus iänuam pulsat antequam intrat. Studë antequam magister të interroget.
Dum Römae cönsulitur, Saguntum expugnäta est.
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Licet më reprehendant omnës, dïcam quid sentiam. XXX. 1. Le proposizioni relative: Quä sapientiä es. Quae tua sapientia est.
XXXI. 1. L e proposi zi oni c om para ti ve se mplici: Ut homö vïvit, ita moritur. Antönius tam bonus est quam Paulus fuit. Idem sentiö atque tü.
}
Dum spïrö, spërö.
2. Le proposizioni comparative suppositive: stultus sim omnïnö, sïc më Quasi alloqueris. Tamquam
Quamvïs doctus sit, homö omnia scïre nön potest. Etiamsï omnës eum reprehendant, vir probus semper honestë agit.
XXXIII. 1. Le proposizioni condizionali: Öderint, dum metuant. Sextus potest së dëfendere, dummodo cum singulïs certet.
}
XXIX. 1. Le proposizioni concessive: Etsï doctus est, historiam Tametsï nätürälem tamen Quamquam ignörat.
XXXII. 1. Il periodo ipotetico: Sï hoc dïcis, erräs. Sï hoc dïcäs, errës. Sï hoc dïcerës, errärës.
APPENDICE B PRINCIPALI NESSI FRASEOLOGICI
contenuti nei singoli capitoli di FAMILIA ROMANA 3 6 7 10 11 12
13 14 15 16
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nön iam / iam nön equö vehï östium pulsäre animam dücere pecüniam facere nüllum verbum facere ex equö pugnäre pedibus pugnäre initium facere nöminäre aliquem ä + abl. tempus annï së habëre malum dare ä dexträ ä sinisträ ä tergö altum petere nävem cönscendere pars caelï satis multum decimus quisque ünö öre ad diem Graecë scrïbere Latïnë scïre Latïnë scrïbere per së rëctam lïneam dücere verba reddere opus esse
21 ain’ (vërö)? hodië mäne 22 inter së 23 pecüniam solvere salütem dïcere alicui 25 auxilium ferre fïlia virgö nävem solvere 26 orbis terrärum rëctä viä sibi vidërï 27 hüc illüc propter hoc ipsum quam celerrimë potest sub urbe 28 salvum facere ventus conträrius 29 aequö animö subïre bonö animö esse dolöre afficere aliquem iactüram facere omnia vëla dare perïcula adïre spem pönere in + abl. tuä causä vïtam agere 30 caput cënae dominus convïviï frontem contrahere inter së aspicere
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iter facere mënsa secunda salvëre iubëre sëx hörae iam sunt cum cibum nön sümpsï 31 ab övö üsque ad mäla alterum tantum bene velle alicui bis tantö capite pünïre aliquem post hominum memoriam prömissum solvere 32 adversa fortüna afficere aliquem aliquä rë cursum flectere fortës fortüna adiuvat grätiam habëre grätiam referre grätiam agere in metü esse mare Internum mare Tuscum meä grätiä nävis longa nävis mercätöria opus esse aliquä rë pecünia mütua pecüniam mütuam dare pecüniam mütuam sümere rës adversae rës secundae 33 ä prïmä aetäte ante lücem arma pönere
castra pönere epistulam dare etiam atque etiam ex vulnere morï genus hominum impetum facere in aliquem impetum sustinëre in itinere iter cönficere lacrimäs effundere numerö superior officium praestäre proelia lüdere puer septem annös nätus rës mïlitäris s.d. = salütem dïcit stipendia merëre terga vertere 34 ars poëtica bellum gerere bonä valëtüdine ütï habëre aliquem in dëliciïs haud multum interest inter… et … male mihi est manibus plaudere meä/tuä/eius operä memoriä tenëre operä alicuius ratiönem reddere rës gestae, rërum gestärum rïsum movëre sanguinem mittere ünïus assis aestimäre uxörem dücere
APPENDICE C DE VIA LATINE DOCENDI PER EXEMPLA (postfazione di Hans H. Ørberg)*
Gratias vobis ago quod me barbarum ex paeninsula Cimbrica huc in Italiam invitavistis, ut cum magistris humanissimis, doctissimis, disertissimis de lingua Latina docenda disputarem. Scio me de insolenti ratione docendi dicturum esse, sed tamen una de re credo nos omnes consentire, id est quo modo non docenda sit lingua Latina. Incipiamus igitur ab exemplo clarissimo quod nobis dedit vir illustrissimus Winston Churchill, qui in libro de prima sua aetate, My Early Life, narrat de die illo memorabili quo ei reserata est ianua ad linguas classicas, ‘ex quibus, ut compertum habeo, multi cives nostri egregii tantum solatii atque tantum emolumenti sibi quaesiverunt.’ Puer septem annos natus ad scholam privatam missus est, ut ab optimis magistris erudiretur. Ecce verba eius, quae Latine reddere temptabo: In scholam deductus sum et iussus considere. Ceteri discipuli omnes foris erant, ego solus eram cum ludi magistro. Ille libellum prompsit pullum et compactum cuius paginae plenae erant vocabulorum variis typis scriptorum. ‘Tune iam elementa Latina didicisti?’ inquit. ‘Minime, domine.’ ‘Ecce liber grammaticus.’ Librum aperuit ad paginam tritam. ‘Haec tibi discenda sunt’ inquit ostendens ordinem vocabulorum lineis inclusorum. ‘Post horam dimidiam redibo, ut experiar quantum didiceris.’ Ergo finge me, vesperascente caelo, aegrum animi, sedentem coram prima declinatione: Mensa a table Mensa O table Mensam a table Mensae of a table Mensae to or for a table Mensa by, with or from a table. Quidnam hoc sibi vellet? Merae nugae mihi videbantur. Sed etiamsi nihil intellexi, unum praestare potui: ediscere. Ergo suscepi, quantum prae curis privatis potui, aenigma illud obscurum memoriae mandandum. Ad tempus magister rediit. ‘Iamne didicisti?’ interrogavit. ‘Certe enuntiare possum’ respondi, et omnia e memoria decantavi.
* Questa ‘postfazione’ deriva da una conferenza tenuta dal professor Ørberg al convegno internazionale “Docere” (Napoli-Montella, 24 aprile - 1° maggio 1998).
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Id magistro tam gratum visum est, ut interrogare ausus sim: ‘Quid significat?’ ‘Significat id quod declaratur. Mensa: a table. Mensa est nomen primae declinationis. Declinationes nominum sunt quinque. Iam didicisti numerum singularem declinationis primae.’ ‘Sed’ inquam ‘quidnam significat?’ ‘Mensa significat a table’ respondit ille. ‘Sed cur Mensa etiam significat O table?’ perrexi, ‘et quid significat O table?’ ‘Mensa, O table, est casus vocativus.’ ‘Sed cur O table?’ perrexi sincero studio. ‘O table – ita dixeris in mensa appellanda, in mensa invocanda’ inquit, et videns me parum intellegere, ‘ita dixeris cum mensam alloqueris.’ ‘At numquam id facio!’ exclamavi vere stupefactus. ‘Si insolens es, poenas dabis, et, mihi crede, poenas severissimas!’ Hac onitione facta me dimisit.
Certe Churchill nihil detrahit de magistri inhumanitate aut de inutilitate doctrinae, sed etiam hodie plurimi discipuli coguntur formas et leges grammaticas ediscere atque singula vocabula in glossario quaerere antequam paucissimas sententias Latinas, ut ita dicam, ‘dissecare’ incipiunt et verbum verbo reddendo in suam linguam vertere. Hoc modo discipuli magno cum labore magis aenigmata solvere discunt quam Latine legere atque intellegere. Si artem legendi docere volumus, non incipiendum est a praeceptis grammaticis atque glossis; haec methodus, ‘deductiva’ quae vocatur, perversa mihi videtur. Incipiendum est ab integris exemplis legendis quibus plane illustrantur formae et leges grammaticae et significatio vocabulorum. Haec methodus, ‘inductiva’ quae dicitur, efficacem se praestitit qua linguae traderentur. Verum est quod (de alia quidem re) dicit Seneca (Ep. 6.5): Longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla. Sed cavendum est ne exemplis utamur quae discipulos defatigent et taedio afficiant. Necesse est id quod discipulis legendum proponitur dignum esse quod legatur, id est utile et aptum ad delectationem lectorum – miscendum utile dulci – nam fastidiosi sunt discipuli et lectionem sine delectatione neglegunt. Gaudeo plerosque libros quibus hodie lingua Latina docetur iam pridem sustulisse sententias illas segregatas atque inanes – ut has quae mihi tironi quindecim annorum propositae sunt: Hic rosa deest. Scriba poeta est. Ubi eras nauta? – sed etiam narrationes ineptae e libris discipulorum tollendae sunt. Ecce exemplum, quod potius deridiculi causa confectum est (ex libro cui titulus est ‘Latinum cum risu’: Latin with laughter): Agricola cenam parat. Gallina cenam spectat. Gallina appropinquat. Gallina cenam gustat. Cenam devorat. Agricola gallinam spectat. Clamat. Gallinam calcat. Gallina volat. Haec ‘parodia’ quidem est, nec vero multum differt a lectionibus quae etiam libris recentioribus continentur. Lectionibus opus est quibus discipuli incitentur ad Latine legendum sine taedio atque cum delectatione, cum argumentum iis acceptum probatumque sit. Ut orator auditores, ita magister discipulos a principio benevolos, attentos, dociles facere debet. Id potissimum efficitur utendo, quantum fieri potest, genere narrationis in quo (ut verbis Cicero-
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nis utar) multa debet inesse festivitas confecta ex rerum varietate, animorum dissimilitudine... fortunae commutatione, insperato incommodo, subita laetitia, iucundo exitu rerum (De inv. 1, 27). Atque ut exerceatur ars legendi, a primis elementis satis amplae lectiones Latinae discipulis dandae sunt, non paucorum versuum, sed integrarum paginarum! Notum est proverbium: Scribere scribendo, dicendo dicere disces. Nisi metrum vetaret, auctor sine dubio adiecisset: legere disces legendo. Usus enim magister est optimus, sed usu assiduo et cotidiano opus est. Sed quid iuvat tironibus lectiones quamvis festivas legendas tradere si nimis difficiles sunt intellectu? Quomodo discipulus tiro, cui nullum vocabulum Latinum notum est, sine glossario et sine praeceptis grammaticis totas paginas legere potest? Id fieri potest si lectiones ita ordinatae sint ut inde ab elementis omnia deinceps vocabula itemque res grammaticae per se ab omni discipulo intellegantur, cum significatio verborum atque usus grammaticus perspicue appareat ex ipsa iunctura verborum sive contextu orationis. Discipulis qui hoc modo omnia per se intellegunt opus non est prius formas grammaticas definire et significationem singulorum vocabulorum explorare: linguam Latinam quasi recta via discunt, nec est quod vocabula et sententias in suam linguam vertant – ipsis discipulis id supervacaneum videtur. Haec disciplinae principia sequi conatus sum in conficienda institutione cui titulus est Lingua Latina per se illustrata. Incipio a sententiis simplicissimis et ad rem communem omnibusque notam spectantibus, quae ita accurate disponuntur ut nihil difficilius sit quam ut statim a discipulo intellegatur. In singulis lectionibus vocabula discenda ita cum aliis iam notis coniunguntur ut significatio semper in promptu sit, interdum imaginibus vel adnotationibus in margine paginae positis adiuvantibus. Nec vocabula tantum, sed etiam res grammaticae ita gradatim in sententias continuas insinuantur ut earum vis atque usus ex ipso contextu sententiarum plane declaretur. Simul curavi ut omnia discenda, cum grammatica necessaria tum vocabula quaeque usitatissima, toties repeterentur ut animis discipulorum infigerentur. Ad id assequendum plurimum hoc confert quod discipulis necesse est ratiocinando ac deliberando omnia persolvere. Satis enim constat ea quae discipulus sua ratiocinatione atque contentione animi reppererit multo facilius ac firmius memoriae inhaerere quam quae expedita et absoluta ei ediscenda tradita sint. Haec est ratio linguae Latinae per se discendae ex contextu, sive, ut sermone artificioso et scholastico utar, methodus directa, inductiva, contextualis. Nunc, quoniam satis praeceptum est de docendi ratione, non alienum videtur exemplis ostendere quemodum disciplinam ac rationem quam exposui secutus sim in conscribenda institutione mea. De institutionis forma pauca dicam: In parte elementaria, cui titulus est Familia Romana, traditur grammatica necessaria et vocabula quaeque usitatissima (circiter 1500), quae omnia per se ex contextu intelleguntur. Capitulis 35 continetur narratio de vita et fortuna alicuius familiae Romanae. Singula capitula sequuntur partes de grammatica et terna pensa. Offeruntur etiam duo volumina separata, Colloquia personarum et Exercitia Latina, quae plures lectiones atque exercitationes subtiliores continent (haec subsidia etiam continentur libro cui index est Latine disco; qui liber in Italia discipulis offertur). Altera pars, quae inscribitur Roma Ae-
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terna, est de urbe Roma et de rebus gestis Romanorum sicut narrantur ab ipsis scriptoribus Romanis: Vergilio, Livio, Ovidio, Sallustio, Cicerone, cet. Exempla quae vobis ostendam sumpta sunt e libro meo elementario, qui, ut ceteri, omnino Latine scriptus est. Ita demonstrabo linguam Latinam inde ab elementis per se Latine doceri posse. Inspiciamus principium capituli primi, cui titulus est Imperium Romanum. Ut apparet, in his sententiis simplicissimis vocabula nova in, est/sunt, et, quoque, non, sed, ubi facile ex contextu intelleguntur, cum nota sint nomina propria locorum Roma, Italia, Graecia, Europa, Africa, cet. (haec nomina in tabula imperii Romani in pagina adversa reperiuntur). Praeter particulas et verbum esse in hac pagina apparet nomen appellativum fluvius in exemplo Nilus fluvius est; versa pagina sequuntur nomina insula et oppidum (Corsica insula est, Brundisium oppidum est). His et aliis exemplis (littera, numerus, vocabulum) in cap. I traditur nominativus singularis et pluralis nominum primae et secundae declinationis. In prima capituli II pagina inducuntur personae. Ecce familia Romana in scaenam prodit. In hac pagina vocabula nova sunt nomina substantiva, vir, femina, puer, puella, cet., praeter coniunctionem -que et pronomen quis. Nova res grammatica est casus genetivus, qui ex propinquitate familiae facile intellegitur: Iulius pater Marci est. Marcus est filius Iulii et Aemiliae. Iulius est dominus Medi et Davi. Iulius dominus multorum servorum est. Sequitur pars quae inscribitur Grammatica Latina, ubi novae res grammaticae ordine exponuntur, ut masculinum, femininum, neutrum et genetivus singularis et pluralis. His duobus capitulis nulla rerum gestarum narratio continetur, neque enim ullum verbum praeter esse reperitur (formae est/sunt). Certe nulla argumenti varietas aut festivitas animos lectorum recreat! Verum in cap. III, quod est de turbis puerorum, suppeditant verba agendi, ut in scaena prima cantat, pulsat, plorat, ridet, videt, vocat, venit. Significatio horum verborum et ex contextu, id est ex ipsa narratione rerum, et ex imaginibus declaratur, itemque usus accusativi in sententiis Marcus Iuliam pulsat, Quintus Marcum videt/pulsat, cet. In colloquio matris cum liberis [cap. III, ll. 24-30] apparet accusativus pronominum, ut me, te, eam, et adverbium interrogativum cur? cum coniunctione quia. In parte Grammatica Latina [cap. III, ll. 99-118] exemplis ordinatis illustratur usus nominativi et accusativi cum variis verbis. Sequitur Pensum A, ubi terminationes supplendae sunt. In cap. IV inducitur dominus servos suos interrogans, quia pecunia deest. Ita illustratur vocativus et imperativus quattuor coniugationum, primum ex contextu narrationis, postea distincte et ordinate in sectione Grammatica Latina. Postquam discipuli primis octo capitulis declinationes primam et secundam perdidicerunt, in cap. IX declinationem tertiam inveniunt. In prima illius capituli pagina ostenduntur omnes casus vocabulorum quae sunt ovis et pastor (imagine superposita illustratur significatio horum aliorumque nominum tertiae declinationis, ut sunt sol, mons, arbor, collis, canis). Longum est exempla proferre e singulis capitulis, sed breviter demonstrabo quibus artificiis explanentur quaedam res syntacticae quae discipulis difficiliores videri solent. Incipiamus ab accusativo cum infinitivo. Ea figura facile intellegitur ex usu apud verba sentiendi, ut videre, audire, sentire, ut in his exemplis ex cap. X: Pueri puellam canere au-
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diunt et Marcus Quintum ad terram cadere videt – Quintus enim arborem ascendit nidi quaerendi causa. Ergo in cap. XI puer pede convulso lecto tenetur et medicus arcessitur: Iulius servum suum Tusculum ire iubet atque medicum arcessere. Adsunt apud puerum aegrotum parentes et Syra ancilla, quae male audit (proprio verborum sensu, neque enim quisquam tam bonam ancillam diffamet!); quoniam igitur ancilla surdastra verba medici vix audire potest, rogitat:“Quid dicit medicus?” velut in ll. 61-64 ubi haec leguntur: Medicus puerum dormire videt. Medicus dicit: “Puer dormit.” Syra, quae male audit, id quod medicus dicit audire non potest; itaque interrogat: “Quid dicit medicus?” Aemilia (in aurem Syrae): “Medicus ‘puerum dormire’ dicit.” Ita primum inducitur accusativus cum infinitivo apud verbum dicendi. Plura exempla sequuntur, etiam cum verbo quod est putare [l. 108], nam, cum misellus puer missione sanguinis exanimatus sit, Syra eum mortuum esse putat. Aemilia vero ancillam suam consolatur his verbis: “Medicus dicit ‘Quintum spirare et cor eius palpitare.’ Ergo Quintus vivit.” Sequitur accusativus cum infinitivo apud verbum quod est gaudere: Syra Quintum vivere gaudet (= Syra gaudet quod Quintus vivit). Ultima medici verba sunt haec: “Iam necesse est puerum dormire.” Postremo dicendum est de coniunctivo eiusque usu docendo. In parteGrammaticae Latinae [cap. XXVII, ll. 181-231] traditur coniunctivus praesentis post verba postulandi et curandi, in primis imperare. Coniunctivus post hoc verbum facile adaequatur cum imperativo, ut in his exemplis: Dominus: “Intra, serve! Claude forem! Tace et audi!” = Dominus servo imperat ut intret, forem claudat, taceat et audiat. Sequuntur sermones in quibus repetuntur omnes formae quattuor coniugationum et verbi esse (eiusmodi sermonibus, maxime magistri cum discipulis, illustrantur omnia verbi tempora). In capitulis sequentibus multis exemplis declaratur usus coniunctivi praesentis et imperfecti post ut consecutivum et ut/ne finale, id quod sic in Grammatica Latina repetitur: Iulius Davo imperat ut puerum excitet. Aemilia Syram monet ne puellam excitet. Davus clamat, ut puerum excitet (= quia puerum excitare vult). Syra tacet, ne puellam excitet (= quia puellam excitare non vult). Davus ita (tam clara, tanta voce) clamat ut puerum excitet. Syra tam quieta est ut puellam non excitet. Postquam in cap. XXXIII expeditus est coniunctivus plusquamperfecti et imperativus futuri, discipulus noster universam morphologiam Latinam callet. Denique, in cap. XXXIV, cui titulus est De arte poetica, in convivio recitantur aliquot versus Ovidii, Catulli, Martialis, atque in parte grammatica explicatur res metrica, i.e. versus hexameter, pentameter, hendecasyllabus. Capitulum ultimum sumptum est ex Donati Arte grammatica minore, de partibus orationis. Ita discipuli ad extremum eodem modo grammaticam Latinam repetunt quo pueri illius aetatis. Haec omnia Latine, vocabulum ex alia lingua nullum invenietis in libro meo! HANS H. ØRBERG
APPENDICE D PREFAZIONI ALLA PRIMA EDIZIONE (1954) Pubblichiamo qui di séguito, a titolo d’esempio, alcune delle prefazioni che insigni filologi italiani e stranieri scrissero per la prima edizione del corso, nel 1954. Altre, che abbiamo omesso, sono però a disposizione di chiunque le richieda presso la sede dell’accademia Vivarium Novum*.
Prefazione di GIACOMO DEVOTO professore di glottologia nell’università di Firenze
Il «metodo natura» per l’insegnamento del latino non si raccomanda in Italia solo per ragioni tecniche. La sua completezza, e insieme la sua semplicità, lo hanno fatto riconoscere all’estero; e da questo punto di vista le parole premesse da Louis Hjelmslev all’edizione danese sono valide per tutti i lettori, indipendentemente dalla loro lingua materna. Ritengo necessario invece, in Italia, sottolineare le ragioni esterne che accrescono l’importanza del «metodo natura» al di fuori dei suoi meriti intrinseci. La prima sta nella grande diffusione che ha lo studio del latino nelle scuole secondarie italiane di ogni ordine e grado. Un perfezionamento dei metodi d’insegnamento si ripercuote su tutta la base scolastica con risonanze maggiori che in qualsiasi altro paese. La seconda sta nel fatto che, attuata finalmente dal «metodo natura» la parificazione del latino con le lingue viventi sul terreno pratico dell’insegnamento, questo, alleggerito di tutta l’armatura della grammatica tradizionale, viene a rivoluzionare indirettamente in Italia l’educazione grammaticale in genere. Com’è noto, si sorvola generalmente da noi sull’insegnamento grammaticale della lingua materna, perché questo sforzo di analisi, di classificazione, di ordinamento * Prefazioni, oltre a quelle qui pubblicate, furono scritte da: Karl Jax (università di Innsbruck); Louis Hjemslev (università di Copenaghen); Wolfgang Schmid (università di Bonn); Henrik Zilliacus (università di Helsinki); John F. Latimer (università George Washington). Giacomo Devoto scrisse la sua prefazione in duplice versione, italiana e latina: le presentiamo qui entrambe (la latina a p. 229), come testimonianza d’un uso della lingua da parte d’insigni studiosi italiani anche in tempi assai recenti.
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paradigmatico è fatto tutto in vista del latino e con conseguenze sfavorevoli per lo stesso latino. Per lunga tradizione, si ammette comunemente che proprio lo choc delle declinazioni, dei casi, della diàtesi media, della consecutio temporum, delle pesanti proposizioni dipendenti al posto dei nostri agili gerundi, sia, oltre che avviamento a intendere gli autori, anche benefica ginnastica mentale, e cioè educazione. Il «metodo natura», semplificando l’accesso agli autori, scinde i due problemi, e viene indirettamente a riaffidare allo studio della lingua materna quel cómpito di pura educazione grammaticale che non avrebbe mai dovuto esserne staccato. Nell’avvicinare il lettore agli autori, esso non sacrifica la portata benefica dello sforzo grammaticale, ma solo la trasferisce. Oso dire anzi che il «metodo natura» getta le basi essenziali perché l’educazione grammaticale, riaffidata alla lingua materna, non soltanto non perda la sua efficacia, ma la aumenti. Educazione grammaticale non vuol dire infatti cappa di piombo che aggiunge col solo suo peso un contenuto al nostro cervello, o che intende presentare una realtà più concreta e ricca. Educazione grammaticale vuol dire capacità di orientamento consapevole rispetto a quello di cui già ci valiamo intuitivamente. Appaiono allora questi due altri vantaggi, specifici per gli italiani. Il primo che una educazione grammaticale, come consapevolezza delle istituzioni linguistiche italiane, diventa molto più sottile raffinata e vivente, perché queste istituzioni linguistiche si realizzano quotidianamente sulla bocca degli scolari, anche dei più giovani, come qualcosa di spontaneo e, a suo modo, maturo. Il secondo è che, realizzata una conquista intuitiva del latino col «metodo natura», se si perde forse il gusto delle esercitazioni astratte dello scriver latino ciceroniano, si prepara un terreno fertile per la elaborazione grammaticale anche del latino. E cioè quel tormento mnemonico (nelle circostanze attuali insopprimibile) dell’insegnamento grammaticale all’inizio si trasforma nel godimento intellettuale di chi diventa consapevole di certo ordine, di certe strutture, di certi rapporti, sui quali istintivamente ha già imparato a muoversi. Sorvolo sugli aspetti, collaterali e pure importanti, relativi al latino vivente, quale è stato oggetto di un recente congresso, e al latino come lingua tecnica internazionale, che proporrebbe inevitabilmente il problema di certe semplificazioni. Rimane nella sostanza questa grande facilitazione al primo o. Il «metodo natura», ben lo sappiamo, è stato concepito non per le scuole, ma come corso per corrispondenza destinato proprio al gran pubblico che, al di fuori della scuola, vuole avvicinarsi, senza troppa fatica, alla lingua latina, e con essa a campi nuovi di studio, nell’ambito della insopprimibile visione storico-umanistica della vita. Ma siccome in Italia il latino si deve studiare, e precipuamente si studia, nella scuola, non si può non considerare il «metodo natura» anche nel suo aspetto di facilitazione, innovazione e rivoluzione nell’apprendimento scolastico; il che non significa travisarne l’essenza ma, se mai, affermarne la validità anche oltre i limiti della sua più immediata destinazione. Di fronte all’importanza di queste constatazioni, basta un accenno ai tratti salienti che colpiscono subito il lettore: la cura con cui si registra il fatto nuovo delle differenze tra sillabe di quantità lunga e breve, il soccorso chiesto alle rappresentazioni figurate, al-
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l’impaginazione tipografica, alla contrapposizione dei significati, allineando il valore di bonus con malus e così via; il aggio lento ma sicuro dalle frasi più elementari, ripetute in modo quasi martellante, a brevi racconti, per finire, con gli ultimi capitoli, nella sorprendente certezza di essere diventati così bravi da poter leggere Tito Livio e Cicerone senza difficoltà, poiché infatti ci troviamo di fronte al testo originale nella sua integrità. È forse una coincidenza a prima vista strana, ma in fondo non troppo, che il «metodo natura» sia nato ed abbia avuto la sua prima fortuna in Danimarca. La Danimarca è il paese della grammatica generale, sì, ma anche del più grande maestro di una lingua moderna come l’inglese, Otto Jespersen. È il paese in cui, in proporzione agli abitanti, gli studi linguistici hanno destato maggiore interesse e hanno avuto campioni autorevoli e significativi. Si augura agli italiani di poter profittare in pieno di questo dono. GIACOMO DEVOTO
Prefazione di SCEVOLA MARIOTTI professore di lingua e letteratura latina nell’università di Urbino
L’introduzione in Italia di un metodo d’insegnamento del latino qual è questo di Hans H. Ørberg dev’essere favorita e incoraggiata. In un punto fondamentale esso è superiore ai metodi ancora prevalenti fra noi: nel considerare concretamente l’esempio vivo della lingua come un prius rispetto alle astrazioni della grammatica. E appunto l’esigenza di concretezza si apprezzerà soprattutto in questa applicazione a una lingua antica, riuscita brillantemente malgrado le difficoltà non lievi, di un sistema ideato per l’insegnamento pratico di lingue moderne. Al mondo latino l’Ørberg introduce globalmente: i semplici esemplari linguistici che rappresentano il nucleo di ciascuna lezione sono costruiti o scelti in maniera da richiamare, insieme con oggetti ed esperienze che sono di ogni ambiente e di ogni tempo, alcuni aspetti fondamentali della civiltà e della vita antica. Anche a questo fine sono rivolte le garbate illustrazioni che variano le nitide pagine dell’opera. Così in questi quindici fascicoli si organizza una minuscola elementare enciclopedia che non solo interesserà i giovanissimi studenti della scuola media, ma non sembrerà troppo infantile ai seri studiorum che si accostano al latino; una categoria, questa, che per diverse ragioni è molto scarsa in Italia, ma che potrebbe aumentare, invogliata e aiutata da metodi come questo. Un avvertimento ci pare opportuno nel presentare il «metodo natura» nel paese in cui i pregiudizi umanistici sono più radicati. Con esso non si intende affatto propagandare l’uso del latino. Gli avvii alla conversazione così frequenti nei pensa si giustificano soltanto, nell’ambito di una viva forma d’insegnamento, come mezzi per facilitare i primi contatti con la lingua antica. Il latino non s’impara per essere parlato o scritto. Se la-
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sciamo da parte le consuetudini di organismi religiosi, l’uso del latino è giustificato oggi solamente in scritti tecnico-filologici rientranti in una precisa tradizione o le rarissime volte in cui quella lingua risponda a determinate esigenze della poesia, come nel caso del Pascoli. Per il resto, i tentativi di riportarlo in vita, oltre ad essere antistorici, metterebbero in pericolo, attraverso i mille inevitabili compromessi, la stessa serietà dello studio di quella lingua. Unico scopo dell’apprendimento del latino può essere il diretto contatto con gli scrittori antichi, l’esperienza di un mondo scomparso che pure è premessa non eliminabile della civiltà e della cultura presenti. Così, se l’Ørberg, seguendo i principi dello Jensen, non usa per le sue lezioni altra lingua che il latino, se anzi la fonda per la maggior parte su un ciclo di i latini da lui stesso amorevolmente costruiti, è chiaro però che egli ha fretta di liberarsi da questo espediente e di lasciare la parola ai classici, che infatti alla fine del suo corso hanno ormai assoluta prevalenza. Noi auguriamo che in questo cammino verso i classici lo seguano anche in Italia schiere numerose di scolari-lettori. SCEVOLA MARIOTTI
Prefazione del p. EMILIO SPRINGHETTI S. J. professore della “Schola Superior Litterarum Latinarum” nella Pontificia Università Gregoriana di Roma
Potrà sembrare ardito, in mezzo a tante polemiche sulla vita e sui metodi d’insegnamento del latino, presentare per questa lingua, che alcuni si ostinano a considerare morta o semimorta, il metodo più vivo finora trovato per imparare una lingua viva. È questo il «metodo natura», introdotto alcuni anni fa da Arthur M. Jensen per lo studio dell’inglese, favorevolmente giudicato da eminenti professori nel campo linguistico, e collaudato da risultati lusinghieri. Il metodo natura è una nuova, geniale applicazione del «metodo diretto»: uso esclusivo della lingua latina; graduale e pratico apprendimento del lessico e della struttura grammaticale mediante il ricorrere di facili espressioni di pensiero, variate in tutte le forme, coordinate e inquadrate in modo non solo da spiegarsi a vicenda, ma anche da fare sempre più luce sul modo latino di concepire le cose, e da porre subito in mano il mezzo adatto per capire ed esprimersi in latino; esercizio costante della memoria e dell’intelligenza, dovendo la prima continuamente richiamare vocaboli, significati e forme, e l’altra intuire, attraverso opportune figure e facili nessi, nuovi significati, e completare forme e frasi che, lasciate appositamente incomplete in speciali “pensum” aggiunti ad ogni lezione, ricapitolano e insieme saggiano la saldezza del progressivo avanzamento. È vero che questo metodo è stato ideato e steso per autodidatti, qualunque sia la loro età e il loro grado di cultura; ma potrà essere usato anche nella scuola o comunque Sotto la guida di un esperto maestro, il quale, pur aiutando a individuare, collegare, ricordare
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forme e significati, non dovrà diminuire lo sforzo degli allievi, né accelerare la loro corsa a scapito del loro graduale serio profitto. L’apparente facilità di impostazione non deve far credere che basti una lettura superficiale, saltellante, frettolosa; essa deve essere metodica e seria, perché ogni pagina è legata all’antecedente dalla quale riceve la chiave per sciogliere le nuove difficoltà e la luce per rischiarare un nuovo squarcio di orizzonte, che si andrà man mano completando in armonia unitaria col procedere del corso. Se si pensa all’insegnamento del latino in questi ultimi tempi, non vi è dubbio che il metodo natura segni una ripresa, se non proprio una novità, del trattamento del latino come lingua viva, e serva a darne, in un certo grado, quel sentimento linguistico, che i vigenti metodi troppo spesso non riescono a dare. Qualora poi sia condotto con costanza e serietà, non sarà un’esagerazione parlare di risultati pratici, quali già si hanno per le lingue moderne, e di contributo iniziale ma efficace a una restaurazione del latino vivente, quale fu auspicata dal Congresso Internazionale di Avignone del settembre 1956. Un’altra utilità del corso penso che consista nel servire come base sia per una successiva lettura diretta degli autori mediante i circa 3500 vocaboli diversi da esso forniti, sia per un susseguente studio grammaticale e sintattico tradizionale, volto non più all’apprendimento della lingua (come ora si fa col latino e le lingue straniere) ma al completamento e alla consapevolezza di nozioni già praticamente assimilate. E questo completamento mediante un tradizionale riassunto teorico e il contatto pratico con gli autori, non dovrà mancare per quanti vogliano pervenire alla vera mens Latina e alla perfetta conoscenza della peculiare struttura sintattico-stilistica di questa lingua. Così inteso e così applicato, questo metodo porterà un buon contributo alla soluzione della dibattuta questione del metodo d’insegnamento del latino, e meriterà quella considerazione che già va ottenendo in altre nazioni. EMILIO SPRINGHETTI
Préface de ROBERT SCHILLING directeur de l’Institut de latin de l’université de Strasbourg directeur d’études à l’École des hautes études
“D’instinct l’homme se porte d’abord vers ce qui est conforme à la nature.” Cette réflexion de Cicéron155, ne s’applique-t-elle pas aussi à nos méthodes d’enseignement? J’ai souvent songé à cette déclaration de Paul Valéry, qui disait un jour, en substance: “Je croirai au latin quand je verrai un jeune homme ou une jeune fille monter dans un compartiment de chemin de fer et ouvrir un Virgile ou un Horace pour son plaisir.” Reconnaissons que nos bacheliers éprouvent rarement le besoin de ce plaisir aristocratique. 155
Prima est enim conciliatio hominis ad ea quae sunt secundum naturam. De fin. III, 21.
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Pourquoi? Il serait oiseux de revenir une fois de plus sur les causes variées de désaffection qui semblaient peser irrémédiablement sur l’avenir du latin. Il n’en va plus de même, depuis la réaction vigoureuse qui s’est développée en avec la naissance du Mouvement pour le latin vivant, et qui a été scandée par trois congrès internationaux, tenus successivement à Avignon en 1956, à Lyon en 1959, à Strasbourg en 1963. Une vérité évidente s’est imposée aux esprits: la crise du latin a été surtout une crise de méthode. On sait que notre enseignement classique se caractérise essentiellement par la pratique de la traduction (versions et thèmes) et de l’explication des textes. L’expérience a montré que cette méthode, précise et analytique, est toutefois insuffisante pour imprégner l’esprit des enfants par le génie de la langue, bref pour leur donner envie de lire à livre ouvert. Souvent les textes avaient tendance à devenir en quelque sorte des prétextes à révision de grammaire plutôt que de rester la fin même des études. Devant cette dégradation, nombre d’enseignants répondaient avec résignation: “Que voulez-vous? au moment d’aborder Tite-Live ou Virgile, trop d’élèves ont oublié les règles de grammaire qu’ils sont censés connaître et ils ne savent absolument pas de vocabulaire.” Ainsi on tournait en rond dans une sorte de cercle vicieux. C’était la stagnation stérile: on révisait jusqu’à satiété des règles toujours évanescentes, on revoyait sans cesse des mots qui ne s’ancraient jamais dans la mémoire. Au lieu de proposer à nos enfants un apprentissage vivant du latin, de les inviter à penser dans le génie de la langue, on leur offrait des exercices de dissection sur le cadavre d’une “langue morte”. Ainsi on glissait de plus en plus vers une nouvelle scolastique de coloration philologique. À quoi servirait-il pourtant à nos élèves d’apprendre les lois de la morphologie ou de la phonétique, s’ils n’étaient plus capables de comprendre les vers de Virgile ou la prose de Tacite? Levons donc hardiment l’hypothèque de la “langue morte” et apprenons le latin comme une langue vivante. Il ne s’agit pas de renier les aspects valables de notre enseignement classique, mais de créer enfin les conditions qui permettront à ses fins de ne plus demeurer illusoires. Un élève doit d’abord se sentir à l’aise dans la pratique de la langue, comme il se sent à l’aisance dans sa propre langue, qu’il a apprise par la voie naturelle. Il nous faut revenir à la nature. A cet égard, je n’hésite pas à dire le mérite immense de la méthode danoise mise au point par Arthur Jensen et appliquée au latin par Hans Ørberg. Qu’il s’agisse de l’enfant ou du grand commençant, elle le prend pour ainsi dire par la main, en allant des propositions les plus simples aux plus complexes. Le vocabulaire s’apprend naturellement, par le jeu même des phrases: un même mot est répété autant de fois qu’il convient en des contextes différents. Progressivement, l’éléve se familiarise aussi bien avec les mots qu’avec la structure de la phrase, sans jamais recourir à la traduction. Chaque chapitre est suivi d’un appendice grammatical qui regroupe les faits de grammaire et propose des exercices d’application. Ajoutons que, pour la commodité de l’élève, on a marqué les voyelles longues par un signe, qu’en marge du texte on a noté les faits de langue caractéristiques et proposé des illustrations qui facilitent l’intelligence de la lecture. Tel est le principe de cette méthode “nature”, qui a été assortie d’heureuses trouvailles dans sa réalisation.
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Le thème du récit, qui se développe en seize fascicules, porte sur l’histoire d’une famille romaine qui a trois enfants. Ainsi le lecteur est initié par les péripéties de la vie de cette famille aux aspects essentiels de la vie quotidienne à Rome. Il entre de plein-pied dans les usages de la vie romaine, en apprenant, chemin faisant, les mots idiomatiques ou les expressions caractéristiques: l’usager de la “méthode nature” ne trébuchera pas plus sur les questions élémentaires telles que: “Quel jour sommes- nous? Le 16 mai”, qu’il ne sera pris de court par les allusions à la vie religieuse, politique ou istrative de la Rome antique. A partir du onzième fascicule, il fera plus ample connaissance avec Rome, en se familiarisant avec les principaux monuments de 1’Urbs, les faits essentiels de sa légende et de son histoire. Ainsi il aura fait d’une pierre deux coups: il découvrira à la fin des seize livrets qu’il a été initié à la langue latine en même temps qu’au génie romain. Un vocabulaire de quelque trois mille cinq cents mots ainsi qu’une connaissance générale de la vie romaine lui permettent désormais de pratiquer la lecture de Tite-Live ou de Cicéron. Mais ce n’est pas assez dire. Le lecteur de notre méthode sera parvenu à ces résultats par une imprégnation méthodique et féconde, qui doit son efficacité aux voies propres à la nature. Que de déboires évités à l’enfant qui ne sera plus rebuté par des exercices fastidieux de grammaire mais captivé par le fil d’une histoire ionnante! Quel encouragement pour l’adulte que les circonstances de la vie ont empêché d’entrer dans le monde mystérieux de la latinité! Voici enfin une méthode vivante pour aborder le latin! Au jeune élève qui a été déçu par de mauvais débuts comme à l’adulte qui se demande s’il n’est pas trop tard, on voudrait répéter le mot décisif que saint Augustin entendit un jour, en d’autres circonstances: “Tolle, lege, tolle, lege!” Oui, prenez et lisez! ROBERT SCHILLING
Praefatio IACOBI DEVOTO in studiorum universitate Florentina glottologiae professor
‘Naturae ratio’ ad linguam Latinam docendam accommodata, quae, ut est simplex et perfecta, iam apud exteras nationes valde probata est, non propriis tantum virtutibus Italis commendatur. Ea autem, quae L. Hjelmslev praefatus est editioni in usum Danorum prolatae, ad omnes cuiusvis linguae lectores pertinent. Sed nobis illustrandas esse censeo causas externas et adventicias quae, praeter intimas virtutes, ‘Naturae Rationis’ gravitatem videntur potissimum apud nos augere. Ac primum quidem considerandum est quam multi Italorum Latine discant in omnibus fere scholarum gradibus; si igitur aptiore ratione ac via linguam Latinam tironibus tradere coeperimus, hoc discipulorum multitudini maiori usui erit apud nos quam apud ceteras gentes. Deinde, si institutio linguae Latinae cum recentiorum linguaruin institutione adaequatur secundum ‘Naturae Rationem’, omni compage, ut ita dicam, traditae grammaticae sublata, universa grammaticae doctrina penitus commutatur.
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Nemo enim ignorat grammaticam explicationem Italici sermonis in nostris scholis plerumque praeteriri, cum omnis cura et intentio in verbis excutiendis describendis digerendis Latinitatis tantum docendae causa adhibeatur; quod ipsius Latinitatis cognitioni est detrimento. Nam vetus et communis opinio est declinationes, casus, voces medias, consecutionem temporum, sententias pendentes pro gerundiis nostris non sine tarditate usurpatas non modo ut scriptores legi et cognosci possint discenda esse, sed etiam ut discipulorum ingenia, velut ictu quodam pulsa atque agitata, nova hac exercitatione excolantur. ‘Naturae ratione’ adhibita cum aditus ad veteres scriptores expeditior fiat, quaestiones quas attigi ita dirimuntur ut investigatio artis grammaticae cum studio patrii sermonis rursus coniungatur; atque utinam illa ab hoc numquam esset seiuncta. Quod si lectores ad scriptores Latinos facilius accedunt, tum animi contentio, qua grammatica discitur, prorsus non detrahitur, sed alio transfertur. Quin etiam dixerim ‘Naturae Ratione’ ea fundamenta iaci ut institutio de grammatica, cum studio patrii sermonis rursus coniuncta, vim suam non solum servet sed etiam augeat. Haec enim institutio non est quasi quoddam plumbeum onus quod ipsum per se mentes repleat vel aliquid certius et uberius praebeat, sed facultas ratione concipiendi ac penitus intellegendi id quod natura attingimus et intuemur. Duo alia inde manant eaque Italis utilia: nam et grammaticae institutio ad nostri sermonis studium translata accuratior, subtilior, vigens denique fiet, cum omnes discipuli, minimi quoque natu, assidue neque operose linguam ipsi pariant suis quisque necessitatibus aptam, et qui Latine didicerint naturae normam potius quam artis praecepta sequentes, ii Ciceroniane scribere vana animi oblectatione fortasse neglegent, at certe sentient se viam ingressos esse quam munitissimam etiam ad Latinam linguam recte et ratione intellegendam. Ita contentio illa memoriae, que in elementis grammaticae perdiscendis nunc carere non possumus, in mentis delectationem convertetur cum linguae ordo et ratio et structura, adiuvante natura iam perceptae, mente penitus cognoscantur Quaedam vero omittam quae hoc quidem loco levioris momenti videntur: num sit Latine aetate nostra loquendum, de qua re nuper in quodam doctorum hominum congressu actum est, aut num Latino sermone, utique in commodiorem formam redacto, viros technicos omnium nationum uti par sit. Sed ‘Naturae Ratione’ hoc praesertim efficitur, ut multo faciliora prima elementa fiant. Quam rationem non ignoramus inventam esse non ad scholarum discipulos erudiendos, sed ad instituendos per litteras eos omnes qui parvo labore cum humanitatis historiaeque disciplinis tum Latinis litteris domi studeant. Sed apud nos Latine in scholis praecipue discitur; quare facere non potui quin dicerem quantopere linguae Latinae institutio, ‘Naturae Ratione’ adhibita, et facilior fieret et immutaretur. Neque tamen putandum est ‘Naturae Rationis’ vim ita deformari, sed potius eam extra cancellos egressam esse quibus inventores eam inclant. Quae cum maximi sint momenti, restat ut breviter tantum percurramus alia quaedam quae viri docti, hos libellos legentes, statim probabunt et laudabunt: syllabas longas et breves, novam rem et insolitam tironibus, diligenter signatas, paginas et typos accurate dispositos, verba inter se contraria ut ‘bonum malum’ saepenumero coniuncta, lentum sed firmum progressum ex sententiis facilioribus, quae peropportune bis terque repetuntur,
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ad narratiunculas, ad T. Livii, Ciceronis, aliorum denique locos. Nam in extrema huius Operis parte scriptorum Latinorum integros locos invenimus; quos cum discipuli nullo negotio intellegent, tum se tam perfecte eruditos esse mirabuntur. Si quis forte miratur ‘Naturae rationem’ apud Danos et ortam et statim prospera fortuna usam esse, is Daniam meminerit non solum grammaticae generalis, quae dicitur, inventricem, sed etiam patriam fuisse O. Jespersen doctissimi viri, in Anglorum lingua explananda et interpretanda principis; ibi autem maxime pro incolarum numero linguae et grammaticae studia vigere et complures viros hac arte perdoctos summa auctoritate floruisse. Ex dono quod nunc inde accipiunt utinam Itali quam laetissimos fructus ferant. GIACOMO DEVOTO
Praefatio A. D. LEEMAN in studiorum universitate Amstelodamensi Latinitatis professor
Numquam fere in patria nostra tot artes grammaticae Latinae elucubratae sunt quot hisce temporibus, numquam tamen vera notitia linguae latinae tam pusilla fuit quam hodie; quae res quanto in discrimine sit tota humanitatis disciplina ad oculos demonstrat. Quaerenti mihi quemodum huc delapsi simus occurrerunt haec. Multa per saecula ita didicerunt linguam Latinam discipuli, ut plurimarum regularum scientia nisi latinitatem veterum auctorum intellegere possent. Simul cotidie fere ipsi sermone Latino utebantur, nec solum auctores veteres interpretabantur, sed etiam suo Marte imitabantur. Ita per imitationem linguam latinam quasi vivam colebant et restaurabant. Eruditio autem vere humanistica in hisce duobus constabat: et interpretari posse monumenta vetera, et loqui posse sermone veterum. Quamquam Montaigne ille humanista iam scripserat ‘c’est un bel et grand agencement que le grec et latin, mais on l’achète trop cher’ Saeculo XIX in scholis minus temporis impendi poterat studiis humanitatis, qaippe quae cederent aliis studiis, quae magis ad usum vitae pertinere videbantur. Quantum temporis supererat, minus erat quam quod et ad grammaticam discendam et ad auctores legendos et ad imitationem veterum sufficere posset. Ita factum est ut imitatio, quae studia humaniora quasi coronabat et qua lingua Latina vita quadam perpetua fruebatur, omnino tolleretur. Sane grammaticam ediscendo et auctores legendo haud spernendam scientiam linguae Latinae sibi parare et poterant et possunt discipuli; sed postquam ea studia per quinque vel sex vel etiam plures annos assidue culta sunt, etiamtum recte Latine scribere nesciunt, nedum loqui. Apparet institutionem, qua tantum operae impenditur ad eventum tam mediocrem, imbecilliorem esse quam ut necessitatibus hodiernae vitae resistere possit. Quae cum ita sint, multi homines docti novas rationes docendi humaniora invenire conantur, quibus huic difficultati atque discrimini occurratur. Cotidie fere novae artes grammaticae in lucem prodeunt, neque quisquam bene novit quo se vertat.
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Imprimis ratio et via directa quae dicitur quaerentibus se obtulit. Videmus enim infantes notitiam perfectam et absolutam linguae sibi parare nec tamen aut grammaticam perdiscere aut themata facere. Qua in re nimis facile oblivisci solent homines docti mentem adulescentuli vel iuvenis aliquantum differre ab infante. Tantum abest ut ratio ea discendi commodior atque proclivior sit, ut etiam molestior atque operosior saepe sit discipulis, quibus multa varia et diversa sub oculos veniant et quos difficultates plane obruant! Eo accedit, quod infans sane linguam suam sua sponte mirabiliter perdiscit, neque tamen eo ipso eruditior humaniorque fit. Nam homines sua lingua prius loqui quam scribere discunt, et paucissimi tantum monumenta litterarum intellegere discunt. Ecce hoc temporis discrimine, quo omnis humaniorum institutio periclitatur, discendi ratio apparet, quae naturalis appellatur. Hoc statim dicam: me meliorem rationem neque vidisse neque novisse. Praestat enim omnia rationis directae commoda, cum tamen incommodis quae supra memoravi libera est. Perite et ingeniose huius rationis auctores difficultates ordinaverunt, distribuerunt, temperaverunt. Vere dicere possumus auctores utile dulci miscuisse ita ut alterum ab altero distingui non possit. Hi libri iucundi sunt nec tamen levitate peccant; discipulus quasi ludens rem seriam et gravissimam penitus cognoscit. Nostro saeculo Latine loqui discere per se ipsum iam mirabile est – neque dubito quin discipulus huius rationis auxilio duobus fere annis eo pervenire possit, sed – quod maius etiam est – eodem temporis spatio legere et intellegere monumenta litterarum veterum et illos fontes sapientiae atque humanitatis discit. Nam usque a primo fasciculo multa cognoscit quae ad vitam Romanam et cultum antiquorum pertinent, quo facilius in fasciculis posterioribus Sallustium, Livium, Ciceronem legat. Utinam aliquando haec ratio in scholis nostris adhiberi possit! Quantopere ibi et gaudium et profectum discipulorum augere posset! A. D. LEEMAN
Praefatio DAG NORBERG in studiorum universitate Holmiensi professor
Saeculum vicesimum magnis et mirabilibus rebus insignitum est quas viri scientiarum et artium technicarum periti effecerunt. Novas inventiones paene cotidie audimus, et automatio quae vocatur, vis atomica ad usum hominum adhibita, exploratio earum cosmicarum regionum quae extra orbem terrae sitae sunt aliaque his similia fortasse spem nobis iniciunt novam aetatem venire et magnum saeculorum ordinem de qua vates cecinit ab integro nasci. Quibus consideratis credere possis veteres artes liberales et in primis studia antiquitatis classicae scientiis et artibus technicis cedere debere. Sed longe aliter res se habet. Quo longius enim ars technica progreditur, eo magis iis nobis litteris studendum est quibus ad veram humanitatem fingimur. Alioquin periculum est – ut technici ipsi recte viderunt – ne homunculi machinis serviant, ne pecudum ritu inconstan-
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ter vitam miserriman degant, licet copiae per machinas augeantur. Quin etiam ipse progressus artis technicae periclitabitur, nisi eundem laborem eandemque operam humanitati et liberalibus artibus dederimus. At studium humanitatis non plane idem est quod studium litterarum antiquarum. Concedo id quidem. Sed hic cultus vitae ad quem populi Occidentis deducti sunt e studio litterarum Graecarum et Romanarum profectus est. Hodieque necesse est res e fonte repetere et initia et progressus humani cultus et ordinem rerum gestarum cognoscere, si praesens tempus prorsus intellegere volemus. Constat exempli gratia Platonem ad doctrinam Christianorum formandam plurimum valuisse, constat sapientiam et disciplinam medii aevi ex Aristotele et e iuris consultis Latinis pendere, constat litteras recentioris aetatis theatro et fabulis Graecorum et Romanorum incredibile quantum debere. Quod antiqui cogitando et fingendo invenerunt, quasi fundamentum quoddam est totius huius cultus quo nunc utimur. Adhuc philosophi, auctores, artifices saepissime divino instinctu Musarum Graecarum et Latinarum fruuntur. Quod magno nobis documento est ne putemus cultum antiquum mortuum nisi ad memoriam annalium non pertinere: adhuc spirat, adhuc fructus uberes profert. Si humanitatem antiquorum, qui nihil humanum a se alienum putabant, recte intellexerimus, pertinaciter atque inepte contra nostri temporis inventa non contendemus, sed virtute ac viribus humanis confisi eundem spiritum tradere possumus quo olim, temporibus veterum Graecorum et Romanorum et post mille quingentos fere annos cum veteres artes renatae sunt, viri summo ingenio praediti et artis peritissimi tot et tanta effecerunt, ut quasi novus ordo rerum oriretur. Accedit quod populi Occidentis studio humanitatis antiquae artissime inter se coniuncti sunt. Nam initiis consideratis penitus discere possumus qualis sit natura nostri cultus, quibus ex elementis compositus sit quantoque cum labore constructus sit. Fieri non potest quin id opus summae nobie curae sit quod tanto temporis impendio aedificatum est et ad quod nihil quod quidem aliquid valet gratis accessit. Populi divisi si patrimonium commune acceperint, communitatem amissam recuperabunt. Studium litterarum Graecarum et Latinarum quippe cua populorum Occidentis commune sit, fundamentum societatis multo stabilius est quam quod ex usu earundem machinarum efficitur. Humanitatem veterem a libris veteribus in linguas nostrae aetatis conversis et ex libris manualibus et ex commentationibus diversi generis aliqua ex parte cognoscere licet. Sed ex ipsis fontibus potionem vitalem haurire non possumus nisi linguae operam dederimus. Haud parvi est laboris Latine discere; nam ea de lingua in primis agitur, ut nunc sunt res in Occidente. Multi ardore quodam amoris huic se studio dedissent, nisi difficultatibus quae tironibus occurrunt et ratione abstrusa et spinosa qua plerumque grammatica docetur deterriti essent. Itaque maximo cum gaudio opus quod “Lingua Latina per se illustrata” inscribitur a viro doctissimo Hans H. Ørberg, adiuvante Arthur M. Jensen, editum accepinus, quo novam viam aperuit qua ad litteras Latinas cognoscendas itur. Quae via quantam utilitatem nobis afferat, disserte ab aliis explicatum est. Hic satis est pauca dixisse. Vel ex titulo apparet discipulos per “naturae rationem” novam linguam eodem fere modo memoriae mandare quo iis patrius sermo natus est. Iam inde ab initio nulla alia lingua nisi Latina utuntur; nihil in linguam recentiorem convertitur. Quid novae voces significent e contextu apparet, et totiens repetuntur ut memoriae infigantur. Sic
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copia verborum Latinorum sensim augetur, multo quidem facilius et multo certius quam si verba separata e glossario aliquo discas. Sua observatione et sua comparatione discipuli etiam grammaticam pedetemptim e contextu verborum percipiunt. Etiamsi antequam incipiunt nihil e grammaticorum scientia cognitum habeant, ad linguam Latinam hac via discendam venire possunt. Nam ad grammatcae quoque cognitionem quasi natura ipsa ducente sine ambagibus praescriptorum abstrusorum veniunt, dummodo textum attento animo legant. Insigne ac notabile est “naturae rationem” ad eam linguam discendam adhibitam esse quae mortua appellatur quia nemini iam innata viva voce traditur. Id eo fieri potuit quod auctor huius operis Romam antiquam et omnes res ut tunc erant optime cognovit. Animo suspenso narrationem sequimur quae ab initio uno tenore fluit et qua comperimus, quomodo Romani domi et in civitate vitam cotidianam et festam vixerint. Studio huius operis absoluto non solum usus linguae. bene partus est sed etiam cognitio haud contemnenda cum aliarum rerum Romanarum tum vitae communis, historiae, religionis. Suavissime et facillime liberis studiis ea via inceditur qua “Lingua Latina” ad id quod propositum est deducit, scilicet ad ea sine difficultate legenda quae Cicero, Livius aliique nobiles Latini scripserunt et posteritati tradiderunt. DAG NORBERG
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Questa bibliografia non ha nessuna pretesa, se non quella di offrire agl’insegnanti un repertorio di opere che possono essere utili per la loro preparazione e la pratica dell’insegnamento col metodo induttivo. È per questa ragione che, delle varie edizioni esistenti, sono state spesso indicate quelle presenti sulla rete (soprattutto in Googlebooks, in Gallica, o in Archive), che sono per tutti di facile reperibilità e gratuite. Molti dei libri antichi qui indicati e editi in Inghilterra possono esser ritrovati nel sito a pagamento Early English books on line (eebo.chadwyck.com). Ma è solo questione di tempo: rispetto a chi ha inseguito e collezionato con pazienza, durante lunghi anni e sfogliando centinaia di cataloghi, i libri che lo potessero aiutare nelle sue ricerche, il docente oggi non ha problemi di rinvenibilità, perché li può (o li potrà tra breve) rintracciare quasi tutti, gratuitamente, sulla rete. Per i titoli di cui qui non è indicato nessun sito in cui poterli reperire, converrà consultare, anche a ripetuti intervalli di tempo, il motore di ricerca Electronic resources HKU Libraries (sunzi1.lib.hku.hk/ER/searchForm.jsp?coll= hkul) e Googlebooks.
1) LIBRI SCOLASTICI
Come s’è detto, gl’immediati antenati del metodo dell’Ørberg sono i libri che furon prodotti dalla scuola del Rouse (per la quale vedi p. 13), alcuni dei quali possono esser reperiti facilmente in formato digitale sulla rete. Ma anche altre opere possono essere utili all’insegnante che utilizza il metodo induttivo: le Fabulae faciles del Ritchies, ad esempio, possono costituire un materiale ulteriore di grande utilità da proporre, con gli opportuni accorgimenti, ai nostri alunni.
APPLETON, R. B. - JONES, W. H. S.: Pons Tironum, G. Bell and sons, s. d. APPLETON, R. B. - JONES, W. H. S.: Puer Romanus, Clarendon press, Oxford 1913 (in rete all’indirizzo: www.archive.org/details/puerromanus00applrich). APPLETON, R. B.: Initium (A first Latin course on the direct method, to which is appended a book of exercises and some grammar questions), Cambridge university press, Cambridge 1926. CHICKERING, E. C. - HOADLEY, H.: Beginner’s Latin by the direct method, Charles Scribner’s sons, New York - Chicago - Boston 1914 (in rete all’indirizzo: www.archive. org/details/beginnerslatinby00chicuoft).
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LUIGI MIRAGLIA
CHICKERING, E. C.: First Latin reader, Charles Scribner’s sons, New York - Chicago Boston 1914 (in rete all’indirizzo: archive.org/details/firstlatinreader00chicrich). PAINE, W. L. - MAINWARING, C. L.: Primus annus, Clarendon press, Oxford 1912 (in rete all’indirizzo: archive.org/details/primusannus002006mbp). PECKETT, C.W. E - MUNDAY, A.R.: Principia, Wilding and Son, Shrewsbury 1949. PECKETT C.W. E - MUNDAY A.R.: Pseudolus noster, Wilding and Son, Shrewsbury 1950. RITCHIE, F.: Fabulae faciles, a first Latin reader, containing detached sentences and consecutive stories, with notes and a vocabulary, Longmans, Green, and co., London, New York... 1898 (in rete all’indirizzo: www.archive.org/details/fabulaefacilesfi00ritcrich; anche in formato elettronico in: www.thelatinlibrary.com/ritchie.html). SONNENSCHEIN, E. A.: Pro patria, Swan Sonnenschein & Co., London - Mc Millan, New York 1907 (in rete all’indirizzo: www.archive.org/details/propatrialatinst00sonnrich, o openlibrary.org/b/OL7149721M). SONNENSCHEIN, E.A.: Ora maritima, K. Paul, Trench, Trubner & Co, London 1908 (in rete all’indirizzo: www.archive.org/details/oramaritima002166mbp).
2) FABULAE SCAENICAE
Proporre ai ragazzi scenette, drammatizzazioni, brevi azioni drammatiche e teatrali dà grandissima forza alla nostra azione didattica, coinvolgendo gli alunni in una forma attiva d’apprendimento che costituì uno dei cardini dell’ars docendi già nel rinascimento e nella ratio studiorum dei gesuiti. Le proposte della scuola del Rouse sono assai utili, perché hanno sempre un particolare occhio alle strutture e forme da imparare. Naturalmente, a questo scopo possono essere anche utilizzati gli stessi capitoli del corso o i Colloquia personarum. I libretti più recenti, pure da tenere in considerazione, sono però meno adatti allo scopo che ci prefiggiamo.
APPLETON, R. B.: Ludi Persici, Oxford university press, London 1921. BURNELL, D.: Vesuvius and other Latin plays, Cambridge university press, Cambridge 1991. JONES, W. H. S. - APPLETON R. B.: Perse Latin plays (Original plays for the teaching of Latin to middle forms in schools, with an introduction on the oral method of teaching the classics, and an introduction to the method of using the book in class), W. Heffer, Cambridge 1913 (il testo in rete all’indirizzo: www.arlt.co.uk/dhtml/arlt_db. php?catID=57). LYNE, G. M.: Personae comicae, Bolchazy-Carducci, Wauconda IL 1992 (ristampa d’un buon libro di scenette di stile plautino: l’edizione originale è: Centaur Books, Slough 1956). PAINE, W. L. - MAINWARING, C. L. - RYLE, E.: Decem Fabulae pueris puellisque agendae, Clarendon press, Oxford 1923. ROUSE, W. H. D. - HAPPOLD, F.- CROSSFIELD, F.: Two plays from Perse school, W. Heffer & son, Cambridge 1921.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
3) TESTI SUL METODO INDUTTIVO
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Per quanto ci si sia sforzati d’includere in questa Guida una sintesi delle più importanti caratteristiche del metodo induttivo, non sarà inutile all’insegnante che ne voglia approfondire alcuni aspetti riferirsi a scritti teorico-pratici che diano ulteriori suggerimenti. Consigliamo per questo prima di tutto le opere del Rouse, del Jones e dell’Andrew, che riferiscono quel ch’essi facevano nella Perse school di Cambridge; utilissimo è anche il volume del Distler, ricco di proposte d’esercizi e impostazioni didattiche. Non sarà inutile leggere qualche pagina di storia dell’insegnamento delle lingue classiche, con particolare riferimento alla pratica degli umanisti: per questo il volume del Corcoran, quello del Kelly e quello del Breva-Claromonte (per la didattica del Vives) sono chiari e precisi.
ANDREW, S. O.: Praeceptor: A master’s book, Clarendon press, Oxford 1913 (in www.archive.org/details/praeceptormaster00andrrich). APPLETON, R. B.: Some practical suggestion on the direct method of teaching Latin, W. Heffer & sons, Cambridge 1913. BREVA-CLARAMONTE, M.: La didáctica de las lenguas en el Renacimiento: Juan Luis Vives y Pedro Simón Abril, Con selección de textos, Universidad de Deusto, Bilbao 1994. CORCORAN, T.: Studies in the history of classical teaching (Irish and continental 15001700), Benzinger brothers, New York - Cincinnati - Chicago 1911 (in www.archive.org/details/studiesinhistor00corcgoog). DISTLER, P. F.: Teach the Latin, I pray you, Loyola University press, Chicago 1969 (nuova edizione: WPC Classics, Nashville, 2000). JONES, W. H. S.: The teaching of Latin, Blackie & son, London, Glasgow..., 1906 (in www.archive.org/details/teachingoflatin00jonerich). JONES, W. H. S.: Via Nova, or the application of the direct method to Latin and Greek, Cambridge University press, Cambridge 1915 (in www.archive.org/details/vianovaorapplica00jonerich). KELLY, L. G.: 25 centuries of language teaching (500 BC - 1969), Newbury house, Rowley, Massachusetts 1969. ROUSE, W. H. D. - APPLETON, R. B.: Latin on the direct method, University of London press, London 1925. ROUSE, W. H. D.: Scenes from sixth form life, Basil Blackwell, Oxford 1935. The teaching of Latin at the Perse School, Cambridge (Educational Experiments in Secondary Schools, N° i Educational Pamphlets, N° 20.), HM Stationery Office, London 1910.
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4) COLLOQUIA SCHOLASTICA
LUIGI MIRAGLIA
Per l’insegnante che utilizza il metodo induttivo, può essere utile possedere e leggere una serie di colloquia scholastica, che lo aiuteranno a migliorare la propria pratica attiva della lingua latina. I migliori opuscoli di questo genere sono, naturalmente, quelli degli umanisti: in particolare i colloquia d’Erasmo per la loro vivacità, freschezza, purezza linguistica; quelli del Corderio sono semplici scenette di vita scolastica utili per locuzioni e fraseologia (sono stati ripresi ad litteram dallo Schwieder, che vi ha aggiunto un’utile rubrica fraseologica); quelli del Vives presentano un eccessivo numero di parole rare e longe petitae; quelli del Pontano sono assai eleganti nella lingua e ci danno un’idea degli esercizi che i gesuiti facevano fare ai loro allievi. Gli altri sono di livello inferiore, e talora saccheggiano i grandi, senza confessarlo (vedi, per es., i Dialogi di Antonio van Torre). Altri si son provati, in epoca moderna, a proporre dialoghetti, spunti di conversazione, colloqui in latino; negli anni ’30 del secolo appena trascorso anche l’Italia fu inondata da questi volumetti, in coincidenza con una disposizione ministeriale che prevedeva l’uso di conversazioni latine a scuola 156. Ma questi libriccini, benché stimolino la curiosità d’ogni amante della lingua latina, non sono i più adatti per noi, perché troppo spesso i loro autori son preoccupati di proporre neologismi e uso moderno della parlata antica: e questo non è il cómpito della scuola. Fanno eccezione i dialoghi e le scenette composte da Guido Pasquetti, troppo duramente criticati, all’epoca, dal Gandiglio 157. Molti dei Colloquia umanistici possono esser letti in rete all’indirizzo www.stoa.org/colloquia. Naturalmente i colloquia erano libri scolastici, e, specialmente in epoche che non conoscevano diritti d’autore, le edizioni furono spesso innumerevoli: questo vale soprattutto per le opere di maggiore divulgazione, come quelle d’Erasmo, del Vives o del Corderio. Qui ne segnaliamo alcune solo exempli causa, per mostrare la vitalità e la longevità di queste operette 158. R. D. 7/5/1936, XIV: “Nello studio del latino gli alunni debbono essere educati fin dalle prime classi all’uso diretto della lingua sia come espressione orale sia come espressione scritta. La versione dall’italiano è quindi una delle forme di esercitazione, ma non la sola. Anche dai primi i, con opportuni spunti di conversazione, con risposte a domande su letture fatte, con piccoli riassunti, con brevi composizioni, gli alunni debbono essere indirizzati per mezzo di esercizi e anche dell’espressione diretta in latino a raggiungere la padronanza della lingua indispensabile alla piena conoscenza dei classici.” 157 La polemica tra il Gandiglio e il Pasquetti fu serrata, e non riguardò solo Roma antica da vicino; il primo scrisse un fascicoletto, Roma.... al cinematografo, o latino per i metallurgici (Zanichelli, Bologna 1922) e Deverticula flexionesque del prof. G. Pasquetti (Zanichelli, Bologna 1922); il secondo ribatté con Quello che non è... Roma, ossia Dalla grammatica alla suburra : (risposta al prof. Adolfo Gandiglio) (Sandron, Milano... 1922). 158 Chi volesse vedere un elenco di tutte le edizioni della maggior parte dei Colloquia fino all’Ottocento, potrebbe consultare A. Bömer, Die Schülergesprache der Humanisten [...], P. Schippers, Amsterdàm 1966. 156
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BALBONI, G. - NERI, E.: Colloquia Latino sermone conscripta, ad usum scholarum secundi ordinis, Ticci, Siena 1937. BARLANDUS, H. (A. van Barlaand): Dialogi XLII, per Hadrianum Barlandum, ad profligandam e scholis barbariem utilissimi: ad priorem editionem accesserunt tredecim dialogi. Eiusdem dialogi duo, post tredecim illos iam recens excusi. Item Augustini Reymarij Mechliniensis dialogus unus de ludo chartarum. Barlandi opusculum de insignibus oppidis inferioris Germaniae. Coloniae, apud Eucharium, anno MDXXX (in Googlebooks l’edizione: Lutecia, apud Christianum Wechel, 1529). BROWN, R. T.: Modern Latin conversation, D. C. Heath and Company, Boston - New York -Chicago - London - Atalanta - San Francisco 1913. CAMPANINI, G., Latinae collocutiones. Ex aureis Latinitatis fontibus derivatae et tironibus propositae - Conversazioni latine. Ad uso delle scuole medie, Paravia, Torino 1937. CAPELLANUS, G. (pseudonimo di E. Johnson): Sprechen sie Lateinisch?: I ed. A. Koch, Leipzig 1890 (pubblicato innumerevoli volte in moltissime lingue; ora in ed. italiana con copioso apparato di note e indicazione delle fonti: G. Capellanus, Parlare latino oggi, a cura di E. Renna e C. Ferone, Ariello, Napoli 2000). CASTALIO, S. (S. Chateillon): Dialogi sacri Latino-gallici, ad linguas moresque puerorum formandos. Liber primus, authore Sebastiano Castalione, Genavae, Jean Girard, 1543 (I colloquia del Castellione, singolarmente immaginati come dialoghi tra personaggi biblici – a partire da Adamo ed Eva – ebbero varie edizioni, per es.: Colloquia sacra ad linguam simul & mores puerorum formandos libri quatuor, in quibus insigniores tam veteris, quam Novi Testamenti Historiae denarrantur, Parisiis, apud Babuty [...] M.DCC.XLVIII). Colloquia quotidiana, or an introduction to familiar Latin conversation principally designed for the use of the schools, Pinnock and Maunder, London 1820. COMENIUS, I. A. (J. A. Komenský): Schola Ludus, in: Opera didactica omnia, editio anni 1657 lucis ope expressa, sumptibus Academiae scientiarum Bohemo-slovenicae, Pragae 1957, vol. II, pars III, 830-1040 (si tratta in realtà di operette teatrali [praxis scaenica] scritte per la scuola, ma che possono esser considerate come dei colloquia, perché intesi come esercizio dialogico della Ianua linguarum reserata dello stesso Comenio). CORDERIUS, M. (M. Cordier): Colloquiorum scholasticorum libri IIII ad pueros in sermone Latino paulatim exercendos [...] excudebat Henricus Stephanus M.D. LXIIII (I Colloquia del Corderio ebbero infinite edizioni, fino all’Ottocento [107 dal 1564 al 1821!]: per es.: Colloquiorum scholasticorum libri quatuor, auctore Maturino Corderio, ab ipso aucti, & recogniti, suis, quibusque dictionibus, adiectis accentibus [...] Londini ex Typographia societatis Stationariorum, 1608; Colloquiorum scholasticorum libri Quatuor: Authore Maturino Corderio, ab ipso aucti et recogniti, Edinburgi, excudebat Andreas Hart, 1618; Colloquiorum scholasticorum libri V. Serie nativa autoris, &c. cum Argumentis seu locis communibus, pietati, decoro et literis puerilibus longe emendatius iterum et cum ludicris puerorum Joach. Camerarii et Memoria Pythagorea &c. Ut et cum indice, Latine discentibus necessario, editi, Lipsiae, apud Jo. Samuel Heinsinn, MDCCXXXVIII; etc.; un’altra edizione elettronica, oltre quella
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di www.stoa.org, si trova in: grexlat.com/biblio/corderius/corderius_1.html; un’altra ancora, nella revisione di Arcadio Avellano [Árkád Mogyoróssy], si può leggere in: www.slu.edu/colleges/AS/languages/classical/latin/tchmat/pedagogy/crd/crd1.html). DUNCANUS, M. (M. Donck): Praetextata Latine loquendi ratio, per Colloquiorum formulas, nunc ioculariter, nunc serio, studiosis pueris non modo bene loquendi, sed etiam bene vivendi modum praescribens, & miscens utilia dulcibus, Authore Martino Duncano Quempernate, Guormarianorum Pastore in Hollandia, Antuerpiae, apud Ioan. Latium typogr. iuratum [...], M. D. LII (I Colloquia del Duncano si segnalano, come le prime Formulae erasmiane, per la copia verborum, le mille maniere di variare la stessa frase: esercizio assai utile per chi voglia imparare davvero il latino). FISCHER-LAMBERG, H.: Der Junge Goethe (neu bearbeitete Ausgabe in fünf Bänden), herausgegeben von Hanna Fischer-Lamberg, Band I, Walter de Gruyter & Co., Berlin, 1963, pagine 8 e seguenti159. SHIRLEIUS, I. (J. Shirley): EISAGWGH sive Introductorium Anglo-Latino-Graecum, complectens Colloquia Familiaria, Aesopi fabulas et Luciani selectiores mortuorum dialogos in usum scholarum, Londini 1656. ERASMO DA ROTTERDAM: Colloquia, progetto editoriale e introduzione di Adriano Prosperi; edizione con testo a fronte a cura di Cecilia Asso, Einaudi, Torino 2002 (la traduzione è spesso incerta e non sempre attendibile; ma il testo latino a fronte e le note sono senza dubbio utili). ERASMUS ROTERODAMUS, D.: Familiarium colloquiorum formulae et alia quaedam per Des. Erasmum Roterodamum, Basileae, apud Joannem Frobenium, M. D. XVIII (dei Colloquia d’Erasmo, che furono, com’è stato scritto, un “libro d’una vita”160 continuamente ampliato [edito 77 volte solo dal 1518 al 1533!], si trovano in rete, com’è ovvio, molte edizioni, oltre a quella elettronica del progetto stoa.org: per es., in GooÈ interessante per vedere come anche il Goethe imparò il latino per mezzo di colloqui e sistemi attivi (anzi, a sentir lui, “senza metodo”, ossia in maniera del tutto naturale): cfr. W. Goethe, Dichtung und Wahrheit, parte I, libro I: “Die Grammatik mißfiel mir, weil ich sie nur als ein willkürliches Gesetz ansah; die Regeln schienen mir lächerlich, weil sie durch so viele Ausnahmen aufgehoben wurden, die ich alle wieder besonders lernen sollte. Und wäre nicht der gereimte angehende Lateiner gewesen, so hätte es schlimm mit mir ausgesehen; doch diesen trommelte und sang ich mir gern vor.” [La grammatica non mi piaceva, perché la consideravo solo una legge arbitraria, le regole mi sembravano ridicole, perché venivano scalzate da tante eccezioni che mi toccava di studiare a parte. E se non fossero stati i princìpi di latino in rima, avrei fatto una gran brutta figura; ma quelli amavo ricantarmeli spesso da me.] Parte II, libro VI: So hatte ich denn das Lateinische gelernt wie das Deutsche, das Französische, das Englische, nur aus dem Gebrauch, ohme Regel und ohne Begriff.[...] mir schien alles natürlich zuzugehen, ich behielt die Worte, ihre Bildungen und Umbildungen in Ohr und Sinn, und bediente mich der Sprache mit Leichtigkeit zum Schreiben und Shwätzen [Così avevo imparato il latino come il tedesco, il se, l’inglese solo per pratica, senza regole e senza metodo... a me pareva che tutto procedesse naturalmente, ritenevo nell’orecchio e nella mente le parole, la loro formazione e flessione e mi servivo con facilità della lingua per scrivere e per chiacchierare. (Trad. di E. Sola)]. 160 Cfr. F. Bierlaire, Erasme et ses colloques: le livre d’une vie, Libraire Droz, Genève,1977. 159
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glebooks: Colloquia familiaria ex recensione et cum notis perpetuis Petri Rabi [...], Norimbergae, in officina Felseckeriana 1784; Colloquia familiaria nunc emendatiora cum omnium notis [...], Bernae, apud Danielem Tschiffeli, M. DCCIX; Colloquia, ed. cum scholiis selectis variorum, curavit G. Stallbaum, Lipsiae, MDCCCXXVIII, sumptibus Hinrichsii; Colloquia familiaria et Encomium Moriae, ad optimarum editionum fidem diligenter emendata [...] Karl Tauchnitz, Leipzig 1833, etc.; altre edizioni in: daten.digitale-sammlungen.de; www.digital-collections.de). FABBRI, P.: Conversazione e composizione latina, Perrella, Napoli 1938. FORNARI, J.: Communia vitae: phrases et formulae ad latina colloquia instituenda, Typis Polyglottis Vaticanis 1920. GRAPHEUS, C. (C. Schryver): Ex P. Terentii Comoediis Latinissimi colloquiorum flosculi ordine selecti, Michael Hillenius, Antuerpiae 1534. HEYDEN, S.: Formulae Latine loquendi pueriles (1528; un’edizione del 1685 è disponibile ora in ristampa per i tipi della Klett, Stuttgart 1990). LANGE, I.: Tirocinii pars dialogica, continens centuriam colloquiorum, in “Vox Latina”, 92 e 93 (1988), p. 75-89 e 211-227. VALPY, R.: Latin dialogues, collected from the best Latin writers for the use of schools, Smart and Cowslade, London 1803. LEVI, E. - BINI, A.: Il latino come lingua viva, Vallecchi, Firenze 1937. MANUTIUS, A. junior (A. Manuzio j.): Purae, elegantes et copiosae Latinae linguae phrases, Coloniae 1571 (moltissime altre edizioni, anno dopo anno; per es.: Elegantes et copiosae Latinae linguae phrases, Coloniae 1593 (ap. Joan. Gymnicum); Elegantes et copiosae Latinae linguae phrases, Lutetiae 1594 (ap. Joan. Le Preux), etc. MOSELLANUS, P. (P. Schade): Paedologia, a cura di H. Michel, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1906 (Lateinische Litteraturdenkmäler des XV. und XVI. Jahrhunderts Herausgegeben von Max Hermann, 18). MUELLER, J.: Idiomata linguae latinae, Cleveland, Ohio, 1896, fasc. I e II (locuzioni cesariane e ciceroniane). NOËL, B. I.: Alterni sermones. Conversazioni italiano-latine, Federico & Ardia, Napoli 1937. PAPERINI, C.: Impara a parlare e a scrivere nella lingua latina (scene, quadretti, lettere, dialoghi in latino con spunti grammaticali), La nuova scuola, Roma 1938. PASQUETTI, G.: Roma antica da vicino: dialoghi, scenette, spunti di conversazione latina, Sandron, Palermo-Milano 1936. PIZZI, C.: Latinissantes (avviamento all’uso della espressione diretta in latino), Dante Alighieri (Albrighi, Segati & C.), Milano-Genova-Roma-Napoli, 1938. PONTANUS I. (J. Spanmüller): Pontani, J., de Societate Jesu Progymnasmatum Latinitatis, sive dialogorum Volumen primum, cum Annotationibus. De rebus litterariis. Editio octava cum indice [...] Ingolstadii, excudebat Adam Sartorius, anno M.D.IC.; Idem, Progymnasmatum Latinitatis, sive dialogorum Volumen secundum, cum Annotationibus. De morum perfectione. Editio septima, cum indice [...] Ingolstadii, Excudebat Adam Sartorius, Anno M.D.IC. POSSELIUS, J.: Oi\ k eié w n dialoég wn bibliéon seu familiarium colloquiorum libellus Graece et Latine, J. Macock, Londinii 1671.
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ROSSAEUS, A.: Colloquia Plautina viginti, ex totidem M. Plauti Comoediis excerpta, & annotatiunculijs marginalibus illustrata: In quibus omnes Plautinae elegantiae in compendium contractae sunt, & usibus nostris accommodatae. Opusculum scholis, & linguae Latinae studiosis, ad intellegendum Plautum, Lucretium, Persium, Apuleium, aliosque obscuriores Authores utile & iucundum. Opera Alexandri Rossaei, Londini, excudebat J. Junius [...] 1646. SCHWIEDER, G.: Latine loquor, Herder, Romae-Friburgi Brisg.-Barcinone 1963. TEMPINI, O.: Manuale di conversazione latina, Società editrice internazionale, TorinoMilano-Genova-Parma-Roma-Catania 1936. TORRE, A., VAN.: Dialogi familiares litterarum tironibus in pietatis, scholae, ludorum exercitationibus utiles et necessarii, Antverpiae 1657 (in Googlebooks l’edizione: Antuerpiae, apud Petrum Joannem Vander Plassche, MDCCLXIII). TRAUPMAN, J. C.: Conversational Latin for Oral Proficiency: Phrase Book and Dictionary, Classical and Neo-Latin, Bolchazy-Carducci, Wauconda IL 2007 VITALI, G.: Colloquia et fabellae, Vallardi, Milano 1932. VIVES, L.: Dialogos Latinos de Luis Vives (Exercitatio linguae Latinae ) con Introducción, Notas, Vocabulario y un Apéndice alfabético-biográfico de C. Fernández, o. p., Editorial políglota, Barcelona, 1940 (Questa è solo una delle innumerevoli edizioni antiche e moderne dell’Exercitatio del Vives [97 dall’editio princeps: Parisiis, apud Joannem Foncher et Vivantium Gaultherot 1539, al 1849, per non contare quelle successive]. Su Googlebooks si possono vedere, per es., queste altre: Linguae latinae exercitatio: cum rerum et verborum memorabilium diligentissimo indice, Lugduni, Apud Seb. Gryphium, 1542; Colloquia, alioqui Latinæ linguæ exercitatio [...], Maceratae, ex Typographia Seraphini Paradisi, 1666, etc.).
5) LOCUZIONI E FRASEOLOGIA
Per evitare un uso improbabile del latino, è necessario rifarsi alla fraseologia degli autori, che ci consenta d’utilizzare non solo singoli verba, ma iuncturae che siano testimoniate nei classici. Quella del Meissner, che ha visto innumerevoli traduzioni in lingue diverse, rimane forse la migliore, specialmente nell’accorto miglioramento dell’edizione se curata da Ch. Pascal, che la corredò delle fonti da cui ogni locuzione è stata tratta. Il Dizionario metodico del Bonino si rifà perlopiù al Meissner, ma vi aggiunge un lessico ordinato per materie, ed è corredato di esercizi, che però son solo di traduzione. Il vocabolario del Luciano può essere assai utile per ricercare un’espressione adatta al pensiero: è un vero peccato che la revisione del Traìna non sia andata oltre le prime lettere. Naturalmente buona fraseologia, perlopiù ciceroniana, può trovarsi pure nell’editio maior del Badellino. Anche le frasi in appendice al Nizolius, raccolte dal Doleto, possono risultare utili, così come altre fraseologie umanistiche o post-umanistiche (notevolissimo è il lessico del Wagner, per cui vedi sotto, n. 6), che possono esser ritrovate pure in rete (per es. in Googlebooks). BONINO, G. B.: Dizionario metodico e fraseologia della lingua latina, R. Giusti, Livorno 1907.
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BONINO, G. B.: Esercizi sul dizionario metodico e fraseologia latina, R. Giusti, Livorno 1909. CLARKE, J.: Transitionum formulae, in usum scholarum concinnatae [....] Londini, excudebat Tho. Harper, impensis Roberti Milbourne, 1628. DOLETUS, S. (E. Dolet): Phrases et formulae linguae latinae elegantiores Stephano Doleto auctore [...] cum privilegio Caesareo, Josias Richelius, Argentorati M. D. XCVI (in Googlebooks). LIPPARINI, G.: Vita romana - Nomenclatura e frasi, Signorelli, Milano 1962. LUCIANO, L.: Nuovissimo vocabolario fraseologico italiano-latino, Paravia, Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo 1940 (nuova ed. a cura di A. Traina, Pàtron, Bologna 1962). MEISSNER, C.: Phraséologie Latine, Klincksieck, Paris 1942 (ed. originale: Lateinische Phraseologie / für den Schulgebrauch bearbeitet von Carl Meissner, Teubner, Leipzig, 1880; ed. italiana: C. Meissner, Fraseologia latina ad uso delle scuole secondarie, recata in italiano da Giuseppe Coceva, Loreto Pasqualucci, Roma 1889; ed. inglese: Latin Phrase book, Duckworth & C., London 1981; l’attuale edizione tedesca, a cura di Christina Meckelnborg, ha impoverito l’impianto originale, limitando la selezione del materiale fraseologico praticamente al solo Cicerone). NIZOLIUS, M. (M. Nizzoli): Lexicon Ciceronianum, ex recensione Alexandri Scoti [...] Accedunt Phrases et formulae linguae Latinae ex commentariis Stephani Doleti, iuxta editionem Jacobi Facciolati, tom. III, J. F. Dove, Londinii, MDCCCXX (in Googlebooks). PAREUS, J. PH.: Calligraphia Romana: in quâ velut thesauro linguae Latinae omnes phrases, et formulae elegantiores, quotquot exstant in optimis linguae Romanae classicis auctoribus [...] disponuntur, Francofurti, ex Officina Haeredum I. Rosae, 1620. PETR-ADOLPHUS I.: (I. P. Adolph), Medulla oratoria, continens omnium transitionum formulas, quibus ornari possit oratio rhetorica, in gratiam studiosorum eloquentiae, ex variis orationibus collecta, in Ubiorum urbe, sumptibus Tri-adelphorum, M. DC. XCIII (in Googlebooks). ROBERTSON, W.: A Dictionary of Latin phrases, comprehending a metodical digest of the various phrases from the best authors [...], for the more speedy progress of students in Latin composition [...], London, A. J. Valpy, 1829 (in Googlebooks). SCHÖNBERGER, O.: Lateinische Phraseologie, Carl Winter - Universitätverlag, Heidelberg 1979. SCHORUS, A. (A. Schore): Phrases linguae Latinae, ratioque observandorum eorum in auctoribus legendis, quae praecipuam ac singularem vim aut usum habent [...], Coloniae Agrippinae, apud Gosvinum Cholinum, anno M.D.XCV (in Googlebooks). Thesaurus locutionum Latinarum in: “Latinitas” dal n° 1 (1983) al n° 2 (1986) in 14 fascicoli. VLADERACCUS CH. (Ch. Vladeracken, van): Selectissimae Latini sermonis phrases ex uno soloque Cicerone Belgice et Gallice redditae; item formulae epistolis conscribendis utilissimae, ex eodem Cicerone collectae per Christophorum Vladeraccum Ducissilvium, Antuerpiae, ex officina Plantiniana, apud viduam & filios Ioannis Moreti, M.DC.XIII (in Googlebooks).
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6) SINONIMI LATINI
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È utile che l’insegnante abbia a sua disposizione un repertorio di sinonimi latini, all’interno del quale possa scegliere le parole più adatte per spiegare un testo. Si tenga presente che i vocaboli nuovi vanno illustrati con l’utilizzo del lessico già incontrato dagli alunni (per sapere con certezza quali parole sono già apparse, si possono utilizzare gli Indices annessi al corso). Per questo scopo sono certamente importanti le opere sulla sinonimia latina; ma più utili sono il lessico del Wagner (che prima di tutto è un copiosissimo repertoro di fraseologia!), la Regia Parnassi e il vocabolario del Perugini, dove, pur senza specificare le diverse connotazioni di significato, sono elencate e ritrovabili facilmente tutte le voci che hanno senso pressoché uguale. Si segnala anche il Lexicon atriale del Comenio: esso infatti presenta utili variazioni e verba idem significantia, che, con un po’ di giudizio e selezione accurata, possono, specie negli stadi più avanzati, essere adoperate dall’insegnante per preparare le sue lezioni. Il Thesaurus Ciceronianus dello Schorus contiene spesso, oltre ai sinonimi, i contrari.
COMENIUS, I. A. (J. A. Komenský): Lexicon atriale Latino-Latinum, simplices et nativas rerum nomenclationes, e Ianua linguae Latinae jam notas, in elegantes varie commutare docens, Amstelodami, apud Joannem Janssonium, MDCLVIII (in Googlebooks). DOEDERLEIN, L.: Lateinische Synonyme und Etymologieen, Vierter Theil, Leipzig 1831, bei Friedr. Christ. Wilh. Vogel (in Googlebooks) FAVA, D.: I sinonimi latini, Reprint Hoepli (Milano 1910) Cisalpino-Goliardica, Milano 1976. GARDIN DUMESNIL, J.-B. - ACHAINTRE, N.-L.: Synonymes latins et leurs différentes significations, avec des exemples tirés des meilleurs auteurs, à l’imitation des synonymes françois de l’Abbé Girard, A. Delalain, Paris 1821. GARDIN DUMESNIL, J.-B.: Latin synonyms with their different significations and examples taken from the best Latin authors, (tr. ingl. di J. M. Gosset), second edition, Whittaker - Baldwin, Cradock and Joy - Cuthell - Ogle, Duncan and co. - Nunn, London 1819 (in Googlebooks). MENGE, H.: Lateinische Synonymik, Karl Winter Universitäts - Verlag, Heidelberg 1959. PELEGROMIUS, S. (S. Pelgrom): Synonymorum sylua olim a Simone Pelegromio collecta, & alphabeto Flandrico ab eodem authore illustrata nunc autem e Belgarum sermone in Anglicanum tranfusa, & in alphabeticum ordinem redacta per H.F. & ab eodem denuo multis locis emendata & aucta. Accesserunt huic editioni synonyma quaedem poetica in poesi versantibus perquam necessaria, Londini, apud Iohannem Billium 1619 (si tratta d’una delle tante edizioni d’un’opera che ebbe larga diffusione). PERUGINI, A.: Dizionario latino-italiano, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1976. POPMA, A. (Popmen, A., von): Ausonii Popmae Frisii De differentiis verborum libri IV et de usu antiquae locutionis libri duo [...], Amstelodami, Sumptibus Iohannis Jansonii Junioris, 1654 (in Googlebooks, dove possono trovarsi anche parecchie altre edizioni).
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Regia Parnassi seu Dictionarium poeticum, più volte ristampato e ampliato; p. es.: Piscopo, Neapoli 1861. Sulla rete (in Googlebooks) è facile trovare un omologo della Regia, ch’è l’opera intitolata Gradus ad Parnassum, in varie e diverse edizioni. SCHORUS, A. (A. Schore): Thesaurus Ciceronianus linguae Latinae: in usum et gratiam studiosae iuventutis jam olim collectus per Antonium Schorum [...] Cum gratia et privilegio Caesareo, Argentorati, Typis Josiae Rimelii haeredum, anno M. DC. XVIII (in Googlebooks). WAGNER, F.: Universum Phraseologiae Corpus congestum, Augustae Vindelicorum 1718, (editio emendata et aucta a. 1745); - Universa Phraseologia Latina ab eodem secundis curis Sallustiana, Caesareana, Liviana, Corneliana, etc. Phraseologiis ac denique indice verborum quae in foro militari civili sacroque obtinent locupletata et ad usum juventutis litterarum studiosae accommodata. Editio novissima, auctior et emendatior, Augustae Vindelicorum, sumptibus Matthaei Rieger p.m. filiorum, MDCCXCII (in rete su Googlebooks; sempre in Googlebooks c’è anche la buona edizione con prefazione di M. Span: Viennae et Tergesti apud Iosephum Geistinger Typographum, 1824). - Lexicon Latinum seu a P. Franc. Wagner, Societatis Jesu, Universae Phraseologiae Corpus Congestum [...] cui triplex additur index: alter vocum barbararum, alter vocum quae in foro militari, civili sacroque obtinent, tertius Gallico-Latinus, Nova Editio accuratissime recognita, aucta et de Germanica nunc primum in Gallicam linguam translata a P. Aug. Borgnet, ejusdem Societatis, in collegio Ambianensi magistro, Brugis, MDCCCLXXVIII (in rete all’indirizzo www.grexlat. com/biblio/wagner/index.html).
7) STILE LATINO
Non senza utilità possono essere opere che trattino dello stile latino: anche se la miglior palestra di stile è la lettura continua, assidua, profonda degli scrittori antichi e umanisti. Tra tutti i manuali di questo genere si segnalano l’opera del Gandino (complemento della Sintassi latina mostrata con luoghi delle opere di Cicerone, Paravia, Torino 1883 vol. 1-2), col suo metodo di versioni ragionate, che, nonostante l’eccessivo ciceronianesimo dell’autore, fornisce un’ingente mèsse di notazioni di grande interesse sulla lingua; l’opera del Paoli, finissimo conoscitore del latino, che però è più adoperabile come strumento di consultazione che come manuale per apprendere, data la mancanza d’ogni tipo d’esercizi; e il volume dello Springhetti, scritto in latino, e perciò singolare nel panorama delle stilistiche del XX secolo. Per un’idea sulle opposte posizioni riguardo al ciceronianesimo, è consigliabile leggere le due opere qui segnalate d’Erasmo e del Doleto: la prima in particolare, con la vivacità che l’autore dà al dialogo, è assai piacevole e interessante. Fra le varie opere umanistiche de copia verborum et rerum (per esempio quella del Micrae¨lius o del Willichius), segnaliamo il classico volume d’Erasmo, ch’è senz’altro il migliore. Non disprezzabile è la Syntaxis ornata in appendice al lessico del Wagner (vedi qui sopra, n. 6).
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8) STORIE DELLA LETTERATURA
L’insegnante può ritenere utile per sé ― e quando giungerà nella sua pratica didattica alla lettura degli autori classici, per le spiegazioni ai propri alunni ― conoscere alcune storie della letteratura scritte in latino. Si tenga presente che abbondantissime e notevoli introduzioni ai singoli autori (utilizzabili specialmente per quel che riguarda l’illustrazione di vita e opere) si possono anche leggere sia nelle edizioni in usum serenissimi delphini
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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(delle quali consigliamo la serie curata dal Valpy), sia in quelle della collezione Bibliotheca Classica Latina, opera del Lemaire. Libri dell’una e dell’altra serie possono esser trovati sulla rete (per esempio su Googlebooks o su Gallica). I volumi della collezione in usum delphini che contengono opere di poeti (ma anche quelli che comprendono le opere di Apuleio e di Tacito) presentano un’utilissima parafrasi in semplice prosa latina del testo degli autori e abbondanti note. D’ELIA, A.: Latinarum litterarum historia, M. D’Auria, Neapoli 1964. DE ROSA, E.: De litteris Latinis commentarii libri V ad criticam artis rationem exacti, Radio (di G. Ricevuto), Drepani 1927. HARLESS, H.: Lineamenta historiae Graecorum ac Romanorum litterariae scholarum in usum, Lemgoviae, sumtibus Meyerianis, 1827 (in Googlebooks). MAMONE, G.: Latinarum litterarum historiae, Signorelli, Milano 1951. VALLAURI, T.: Historia critica litterarum Latinarum, Augustae Taurinorum, ex officina regia, 1860 (delle varie edizioni dell’Historia del Vallauri, segnaliamo questa ch’è su Googlebooks. Le dure parole di svalutazione di quest’operetta scritte dal Pasquali 161 sono senz’altro vere, anche se qualche utile spunto può in questo libriccino trovarsi). WEYTINGH, H.: Historia Graecorum et Romanorum litteraria ad usum scholarum Belgii accommodata [...], Mechliniae, apud P. - J. Hanicq [...], 1831 (in Googlebooks l’edizione intitolata Historia Graecorum et Romanorum literaria, Hagae Comitum, ap. viduam J. Allart et socios, MDCCCXXII).
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