Antonella Regina
Nelle tue mani
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ISBN 979-12-201-0828-7 I edizione marzo 2021
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Nelle tue mani
Abbiamo tutti una storia da raccontare, una pagina da scrivere, un libro da ultimare che si chiama vita.
Capitolo 1
Questo è il viaggio interiore della mia esistenza, un percorso molto particolare. Ho sempre pensato di vivere su due binari. Sono nata con una sensibilità spiccata e questo già di per sé può essere un handicap, un limite in un mondo come quello in cui ho vissuto. In virtù della mia sensibilità ho sofferto molto, forse troppo. Sono stata circondata da persone che avevano poco da offrire a livello umano. Ho ato tanti anni col cruccio di essere diversa dagli altri, nella convinzione di avere qualcosa di sbagliato in me, per poi capire che non ero io a non andar bene, ma le persone di quel posto. Fin da principio ho vissuto con un piede da un’altra parte, dimorando in questo mondo e, al tempo stesso, in un altro: un luogo diverso, ulteriore, che non vediamo. Qui sono successe tante cose che non sarà facile raccontare, ma questo è il momento giusto per farlo: il kairos, il tempo opportuno, è arrivato e bisogna saperlo riconoscere. Da sempre mi accompagna il ricordo di quando sono nata. Di solito, quando una persona nasce i suoi canali con la dimensione ulteriore vengono chiusi… nel mio caso non è stato così: i miei canali di contatto con il mondo metafisico, da cui tutti proveniamo, sono sempre rimasti aperti. La vita che ricordo di aver scelto al momento dell’incarnazione non è tra le più semplici… però, mi offre la possibilità di essere d’aiuto a molte persone: tutte coloro che saranno in grado di cogliere il mio messaggio. In questo momento servono testimonianze simili, affinché la gente prenda coscienza di alcune cose importanti, su cui bisogna far luce al più presto. Prima di nascere sono stata chiamata a scegliere: transitavo nella dimensione da cui proviene ogni cosa e nella quale tutt’oggi mi sentirei a mio agio. Nell’istante dell’incarnazione non volevo abbandonare quel luogo, ma era arrivato il momento e dovevo decidere: vivere in un corpo e compiere insieme ad esso un viaggio impervio, difficile da sostenere, ma che si sarebbe rivelato utile a tante persone. Tale scelta non la feci molto volentieri… sono sempre stata un po’
ribelle, anche nell’aldilà. C’era un uomo, lo ricordo bene, con dei lunghi capelli bianchi, barba lunga e un abito fino ai piedi che sfogliava con solerzia un grande libro. Io ero come un bambino, riccioluto, biondo e guardavo quest’uomo mentre narrava delle mie vite ate sfogliando lentamente le pagine del libro. Dopo il suo racconto mi pose dinanzi a un bivio: una vita agiata, quella di un personaggio famoso, priva di ristrettezze, ma di breve durata; oppure un’altra, senza dubbio più difficile da affrontare, ma dotata di maggior valore spirituale. Scelsi la seconda e in virtù di questa decisione non ho mai avuto vita facile. Ne ho ate tante e non so se un’altra persona sarebbe stata in grado di sopportare tutto quello che ho sofferto; sono riuscita a superare un periodo di malattia molto brutto, grazie al carattere che ho ricevuto in dono. La mia esistenza è sempre stata una guerra, una battaglia, fin dall’inizio. Oggi ho cinquantotto anni e dentro di me sono come una giovane fanciulla, ho uno spirito fervente, ma il mio corpo risente spesso dei dolori che ho provato. Mi dicono che non dimostro affatto la mia età e il motivo è semplice: basti guardare il Dalai Lama per comprendere che una persona spiritualmente elevata invecchia molto più lentamente delle altre. È il campo energetico della persona a fare la differenza, me ne sono resa conto. In virtù di questa mia natura, ho dovuto affrontare più volte le forze del male. Mi è toccato sostenere anche questa dura battaglia, senza esclusione di colpi. Sono stata una spina nel fianco per loro, perché servo agli altri e in virtù del mio compito ho imparato a difendermi dai soprusi. Appartengo per questo alla prima ondata di “bambini indaco”, mi riconosco pienamente in loro: sono sempre stata molto particolare, col bisogno impellente di essere d’aiuto al prossimo. Ogni spirito eletto ha il suo modo per farlo… il mio finalmente l’ho trovato. Quando insorgono problemi di ogni genere, a livello mondiale, io e i miei simili ci mettiamo in contatto e trasmettiamo energia positiva al mondo. Oggi la Terra sta vivendo un momento di ascensione, tutto sta cambiando! Ci sono persone che possono affrontare questo ulteriore giro di boa e altre che
invece sono molto in difficoltà; ecco che nel loro caso si intraprende un certo tipo di lavoro, svolto unicamente col pensiero. A ben vedere, la realtà fisica è solo un’illusione, lo aveva già capito Platone nel mito della caverna. Ognuno aiuta a modo proprio, secondo la sua strada unica e irripetibile. La mia è stata quella del Risveglio… la via maestra. Non si tratta di evangelizzare il prossimo, non è una fede religiosa quella che voglio trasmettere. Penso che le religioni mirino a tenerci nell’ignoranza di ciò che veramente accade nel profondo dello spirito: alle varie “Chiese” fa comodo che le persone rimangano all’oscuro di tutto, per poterle dominare meglio. Noi, invece, abbiamo bisogno di altro: dobbiamo andare oltre le apparenze, essere meno ipocriti per non falsificare la vita. L’incontro con una “persona speciale”, una grande conoscitrice della dimensione metafisica, mi ha dato conferma sulla veridicità delle mie intuizioni, introducendomi alla pratica meditativa del Reiki: ciò mi ha dato la possibilità di difendermi dagli attacchi energetici che il mondo oscuro mi stava sferrando. Ci sono, in realtà, molte persone in grado di assestare questo tipo di attacchi, anche involontariamente. Nel mio caso, invece, c’è stata anche una precisa intenzione di annientarmi; quindi, ho dovuto costruirmi una vera e propria armatura spirituale per sopravvivere e sconfiggere il nemico. Fin da ragazzina ho espresso una grande profondità spirituale; spesso mi sono sentita più matura rispetto alle mie coetanee. Presi l’abitudine di annotare su un diario le frasi dei libri che più mi colpivano, per non perderle e preservarle; poi, affiancai ad esse i desideri più belli e il mio quaderno divenne un crocevia di poesie, aforismi, intuizioni, un ricettacolo di pensieri e parole che veicolano forti emozioni. Per ogni periodo della mia vita ci sono delle riflessioni specifiche che la mia mente ha partorito, in maniera del tutto spontanea, o che il mio cuore ha scelto fra le tante immagini trascorse dinanzi agli occhi. Il mio percorso è stato arduo, ma ricco di stimoli interiori e di ricerca trascendentale: un cammino composto da piccoli frammenti esistenziali che ad oggi trasmetto inalterato, come un puzzle di emozioni, a chiunque abbia il desiderio di accoglierlo. Ciò che emerge dall’unione dei frammenti rappresenta
molto di più della loro semplice somma: è una forma ulteriore che si struttura in armonia con la propria coscienza. Ho realizzato, strada facendo, quale fosse la dimensione ideale per la mia psiche; adesso comprendo cose che prima non riuscivo a cogliere nella loro reale natura. Guardando al mio ato con gli occhi del presente, capisco ciò che non avevo la forza di accettare… comprendo finalmente qual è sempre stato il senso di ogni azione, di ogni mia scelta. Oggi non ho più bisogno di credere, di illudermi, perché so quel che sono. Ritorno ora ai miei ricordi d’infanzia e attribuisco alle vicende di quel periodo una grande influenza sullo sviluppo del mio carattere; quella prima parte della mia vita acquista un significato diverso se interpretata con le lenti della maturità spirituale. Tutto ruotava attorno al rapporto difficile tra i miei genitori: in quegli anni ho sofferto molto la perenne conflittualità che si instaurò in casa nostra. Mia madre e mio padre non sono mai andati d’accordo e, quindi, fin da bambina mi sono trovata a sperimentare un contesto di tensione emotiva costante, che ha determinato il procedere incerto di un’infanzia non proprio serena. Al di là di queste difficoltà, un’altra costante della mia vita è stata la presenza della malattia; ci sono sempre stati dei momenti in cui la mia salute ha vacillato e, da questo punto di vista, devo ammettere di essere stata davvero forte e resiliente. Il mio corpo iniziò ad ammalarsi già all’età di quattro anni, quando contrassi la tubercolosi e dovetti affrontare una lunga degenza che segnò senza dubbio quella fase della mia crescita. Fui inviata dai miei genitori in un posto più idoneo alla cura e, quindi, mi ricoverarono nella città di montagna in cui vivevano i nonni, così da poter respirare aria più pulita e salubre. Mi trovavo in una piccola cittadina a ridosso delle Alpi, uno di quei posti da cartolina in cui il paesaggio è verdeggiante d’estate e innevato d’inverno. In quel luogo, vivevano i genitori di mia madre, che erano di origine austriaca, ma che si erano trasferiti lì, trovandovi rifugio durante gli anni bui della Seconda guerra mondiale. Temprata dalle avversità legate alle vicende belliche, mia madre è stata fin da piccola una persona forte, ma decisamente immatura e legata alla materialità: ella è cresciuta in una famiglia alquanto benestante, che non le ha fatto mancare nulla. Mio nonno era un grosso commerciante austriaco, molto stimato e benvoluto da tutti; sotto certi punti di vista gli assomiglio e lui stesso nutriva una spiccata predilezione nei miei riguardi, considerandomi la nipote più
in sintonia col suo carattere. Mi raccontava spesso degli episodi che avevano caratterizzato la sua vita, di come riuscì a scampare alla Prima guerra mondiale, nonostante avesse vissuto sulla propria pelle i dolori e le paure di quel periodo. Durante il successivo conflitto bellico, ebbe invece un ruolo attivo nel tentativo di aiutare alcune famiglie di ebrei che vivevano nella sua zona, correndo grossi rischi e trovandosi spesso a dover fronteggiare personalmente le insidie naziste. Per alcuni mesi, i miei nonni nascosero in casa alcuni amici ebrei, escogitando il modo migliore per aggirare i controlli tedeschi e riuscendo, infine, a salvarli delle loro grinfie. Erano due persone molto coraggiose, capaci di grandi gesti di umanità. Mia madre, nonostante i primi anni di guerra, ha goduto di un’infanzia felice: è cresciuta sempre al centro dell’attenzione, servita e riverita dai genitori e dagli zii benestanti. Dicono di lei che fosse una bella donna e che, per questo, si pavoneggiasse molto, abituata a ricevere le attenzioni dei coetanei. Questo atteggiamento ha rappresentato un aspetto costante e problematico del suo carattere; anche dopo il suo matrimonio, ha sempre continuato a fomentare questa vanità adolescenziale che le serviva per seguitare a darsi un tono e vivere nell’illusione di avere tutti ai suoi piedi. Credo che entrambi i miei genitori avessero i propri difetti, e quindi attribuisco ad ognuno le colpe in merito al fallimento del loro matrimonio. Pur godendo di buone possibilità economiche, la mia famiglia non è mai stata felice proprio a causa del rapporto conflittuale tra i due genitori, di questo senza dubbio fui io la maggiore vittima. La spiccata sensibilità che mi caratterizzava, in quel caso, giocò a mio sfavore, rendendomi più vulnerabile alle sofferenze e al clima di tensione che si respirava nelle mura domestiche. Ho avuto un fratello e una sorella completamente diversi da me; ravvisavo la nostra distanza caratteriale in parecchie occasioni. In quel periodo della mia vita, durato all’incirca undici anni conclusosi con la separazione e più tardi, a ventidue anni, con il divorzio dei miei genitori, ho dovuto penare a causa delle varie vicende legali che mi videro coinvolta. Era da poco ato il referendum sul divorzio ed io, in qualità di figlia maggiore, mi ritrovai a dover subire tutte le varie fasi del processo di separazione, comprese le numerose udienze in tribunale, non prive di inaspettati colpi di scena e rovinose peripezie. Rappresentai per tanto tempo l’ago della bilancia nel loro rapporto, mi sentivo
sobbarcata dalla responsabilità di dover scegliere chi dei due avesse ragione. Mi costrinsero in ogni caso a prendere delle posizioni, a schierarmi di volta in volta con uno dei due e ciò suscitò in me un profondo senso di alienazione. Non potevano farmi soffrire in quel modo! In fondo, non avevo nessuna colpa, nulla a che fare con l’insorgere dei loro problemi. L’astio tra i miei genitori covava da tempo e il loro conflitto irrisolto si riversava su di me, che diventai una sorta di capro espiatorio per le loro frustrazioni. Mi trovavo sempre in mezzo ai loro diverbi e la cosa più brutta fu essere usata come arma di ricatto, per mettere l’una contro l’altro. Entrambe le parti tentavano di indirizzare i comportamenti dei figli a loro favore, cercando in noi manforte, nella speranza di screditare l’altro e di produrre nei bambini una crescente disaffezione nei suoi riguardi. In questo modo diventammo, nostro malgrado, delle pedine nelle loro mani; a ciascuno dei due interessava solamente accaparrarsi la fiducia del giudice, ma non si preoccupavano del bene dei loro figli. Non si rendevano conto di quanto fosse difficile per me, soprattutto, continuare a sostenere questa atroce situazione: ti ritrovi al centro, bloccata tra i due fuochi dell’ellisse, ad osservarli, cercando di scrutarne ogni singolo movimento. Vorresti solo una risposta… guardi e chiedi loro: io cosa sono per voi? Tu esisti, ma è come se non ci fossi; non sei più al centro del loro mondo, la priorità diventa ottenere la meglio sull’altro, tu i in secondo piano. Questo è ciò che accade nella maggior parte dei divorzi, sempre più frequenti negli ultimi anni. La mia domanda rimase sempre inascoltata… per lungo tempo, completamente ignorata. Nessuno dei due ha avuto il coraggio di guardarmi bene in faccia e dirmi la verità. Poi ci sono state le imposizioni paterne che, in sintonia con le privazioni del collegio, mi impedivano di frequentare i miei coetanei proprio negli anni in cui sarebbe giusto e naturale costruire la propria identità sociale nella maniera più spontanea. Questo, se da un lato comportò notevoli rinunce e sofferenze, dall’altro favorì uno spiccato processo di introspezione che già trovava nella mia indole naturale un terreno fertile in cui germogliare. Essendo incline a riflettere in maniera costante e approfondita sugli eventi della vita, questa solitudine imposta sollecitò ulteriormente la mia propensione al pensiero e alla meditazione.
Guardando una foto di quel periodo, mi sono resa conto che non dimostravo l’età che avevo, sembravo più grande. Oggi, al contrario, manifesto una così spiccata vitalità da meravigliarmi, giorno dopo giorno, di come sia stato possibile mantenere una simile energia dopo tutte le traversie che ho dovuto affrontare. Ho sempre avvertito la presenza di un’entità positiva al mio fianco, in ogni momento della mia esistenza terrena: il mio angelo custode mi ha aiutata nei periodi più duri, nei tempi in cui le forze sembravano abbandonarmi e con me ha sempre parlato, anche se ciò non è avvenuto in maniera costante. Dialoghiamo telepaticamente, ma questo non accade con regolarità; ci sono, piuttosto, delle fasi ben precise della vita nelle quali è il mio spirito stesso a sentirne il bisogno e, puntualmente, questa presenza avverte tale esigenza, non esitando a manifestarsi… a venirmi in aiuto. Il mio angelo compare e mi fa riflettere sulle cose che succedono. Prima di nascere, anch’io ho compiuto la scelta decisiva, quella che tutti noi facciamo: ho deciso in quale famiglia e in quale momento storico reincarnarmi. Questa non è solo una teoria, nel mio caso è un vero e proprio ricordo, connotato da alcuni dettagli inequivocabili. Per tanti anni ho portato con me, nel silenzio, la forza di questa memoria, chiedendomi spesso se fosse vera, oppure il frutto della mia fantasia. Mi domandavo perché proprio io ricordassi questo evento metafisico. Ma la prova che tutto ciò accadde realmente è stata la vita stessa a fornirmela, ponendomi di fronte ai tanti ostacoli che ho superato e che solo oggi acquistano un senso in relazione a quella scelta originaria. Tutto si ricollega a un filo comune, che dona significato alla mia esistenza terrena: se questo filo viene interrotto, ogni sofferenza sarà vanificata. Già all’età di undici anni avevo ben chiara l’idea che non esistono coincidenze, perché nel mondo non c’è casualità: ogni mutamento nell’ordine delle cose è solo apparente; tutto è già scritto e accade per un motivo ben preciso. Non si verifica evento che non abbia una sua ragion d’essere. Se certe cose avvengono c’è sempre un principio sottostante, che al momento attuale non viene colto, ma che in seguito si manifesta al proprio spirito in forme spesso inattese. Io sono nata per riscattare gli errori della mia famiglia, questo mi fu detto. La mia primogenitura in linea paterna avrebbe condizionato per sempre il procedere
della mia storia. Avrei dovuto affrontare insidie sovrumane per riuscire in un simile intento. Tuttavia, fin dal momento della prima scelta, su di me assunsi il peso della nemesi storica: una vicenda famigliare da redimere con l’ausilio delle mie uniche forze, radici lontane da rievocare e comprendere. Un compito gravoso mi attendeva, ma solo io avrei potuto affrontarlo nel modo in cui era scritto.
Capitolo 2
Un grande errore commesso dalla mia famiglia è stato quello di pensare che la primogenitura dovesse spettare necessariamente al figlio maschio, come accadeva nelle dinastie reali della tradizione. Mantenere la linea maschile nella discendenza è sempre stata una prerogativa della storia dell’uomo e questo principio è stato assunto con vigore anche dalla famiglia di mio padre. Durante una vacanza che facemmo nella sua città d’origine, incontrammo una zia che aveva preso in disparte mia madre, le aveva parlato raccontandole una strana storia. Mia madre mi narrò in parte questa vicenda, che oggi faccio fatica a ricordare con estrema precisione. A lei fu consegnato un anello cardinalizio risalente al Seicento, che fu presto custodito in cassaforte e segretato in tutti questi anni. L’anello, donato da un cardinale di famiglia, avrebbe dovuto essere portato dal primogenito come protezione in quanto pesava un’atroce maledizione: pare che la famiglia di mio padre fosse molto in vista a quei tempi, vantando numerosi giuristi e uomini di prestigio tra le sue fila. Purtroppo, però, la caratteristica distintiva di questa discendenza sarebbe stata la sua estrema cattiveria: si trattava di uomini avidi e disposti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi; la perfidia connotava i loro volti, che di tante ingiustizie si macchiarono. Si resero responsabili, fra le tante nefandezze, anche di un famoso rogo di libri che vide ardere le più belle pagine di letteratura di tutti i tempi. Accadde un giorno che, a seguito dell’ennesima angheria perpetrata ai danni di poveri malcapitati, un padre e sua figlia, condannati al rogo per stregoneria, lanciassero una maledizione a livello generazionale sulla loro famiglia: tremendi affanni l’avrebbero perseguitata, generando dolori atroci, finché non fosse nata una persona pura nella loro stirpe, l’unica capace di spezzare questa catena malefica frutto della loro cattiveria. Solo una persona buona e integra avrebbe potuto riscattare quella famiglia dalle sue colpe, esautorandola dalle immani sofferenze che il destino le avrebbe riservato. Una caterva di eventi sciagurati avrebbe castigato i suoi membri, portandoli nel baratro della disperazione.
Continui problemi ed episodi di devastazione caratterizzarono effettivamente la mia famiglia, di questo vi sono tracce tangibili nelle memorie di un tempo, così come non mancano testimonianze dirette in età contemporanea. Scoprii dopo anni che quella, in realtà, non era la mia vera famiglia. Mia nonna in punto di morte confessò: colui che mi aveva cresciuta non era il mio vero padre. In quel periodo, mia nonna non era in condizioni ottimali e in me sorse il dubbio che nel pronunciare una simile frase non fosse stata particolarmente lucida. Tuttavia, quanto detto non poteva lasciarmi indifferente, quindi presi a rimuginare sulle sue parole nella speranza di aver capito male. Divenne un tormento quel pensiero angosciante. Fino a quando, poco prima del divorzio tra i miei genitori, ci fu un momento in cui decisi di affrontare questo dubbio che da allora mi perseguitava. Mi recai da mio padre, lo guardai dritto negli occhi e gli chiesi se quanto riferito da mia nonna corrispondesse a verità: «Tu sei veramente mio padre?». La risposta fu per me inquietante: «Non affondare il coltello nella piaga», così mi disse, lasciandomi nel più totale sgomento. Anche se non ebbi mai una conferma esplicita, le parole anguste di mio padre fornirono la prova indiretta che la nonna non si sbagliava; ella mi aveva confidato in punto di morte ciò che da sempre avrei dovuto sapere. Fu l’unica ad avere il coraggio di affrontare la dura realtà con la diretta interessata e per questo le sarò infinitamente riconoscente. Nonostante i miei dubbi, in fondo ho sempre saputo che si trattava della verità dal momento che, fin da piccola, ebbi modo di constatare una netta differenza tra me e i miei fratelli: io sono molto diversa da loro e questa mia peculiarità mi è stata fatta pesare continuamente dai parenti. Quelli che oggi considero a pieno titolo il mio fratellastro e la mia sorellastra mi hanno osteggiata in malo modo, già in età infantile, facendomi sentire un’estranea rispetto a loro. Hanno entrambi un caratteraccio: molto materialisti e venali, poveri di spirito, sono i tipici rappresentanti della famiglia di mio padre, connotati dal livore e dall’invidia. Persone violente, aggressive, tratto distintivo di tutta la linea paterna, a cui non appartiene affatto il campo della spiritualità. Il clima conflittuale che presto si venne a creare tra noi derivava proprio da questa estrema divergenza di temperamento, e dalla diversità di intenti che caratterizzava le nostre scelte di vita. Stando poi al volere genitoriale, io avrei dovuto intraprendere un certo tipo di studi verso i quali non nutrivo il benché
minimo interesse; svolgere un lavoro che non mi sarebbe affatto piaciuto e, non da ultimo, sposare una persona che non amavo, ma che secondo loro rappresentava l’uomo giusto per me. Io invece ho cercato di essere me stessa in ogni cosa che ho fatto nella vita, al di là dei condizionamenti esteriori: per me le cose più importanti sono sempre stati i sentimenti. Non ho mai rinunciato alla mia identità, ai miei valori, alle emozioni più autentiche. Di ciò vado estremamente fiera, credo rappresenti una profonda attestazione di autenticità. Il leitmotiv di tutta questa parte della mia vita è stata la volontà di combattere le influenze negative che provenivano dal mio contesto famigliare, il bisogno di preservare la mia singolarità a prescindere dalle rivendicazioni altrui. Liberarmi dalle pressioni di una madre arcigna, anche lei abbeverata di materialismo e superficialità, che spingeva affinché sposassi un uomo che potesse garantirmi una certa posizione sociale; anche a trent’anni mi rinfacciava di non capire quali fossero le mie intenzioni, le sfuggiva il mio obiettivo nella vita, quello che cercassi, solo perché era diverso dal suo. Era incapace di immedesimarsi nella mia persona, non riusciva a comprendere che la mia diversità non era da stigmatizzare, ma da apprezzare come un’autentica manifestazione di indipendenza spirituale. Dinanzi alle sue pretese, ripetevo a me stessa che mai mi sarei sposata se non avessi trovato l’uomo giusto. Non credo sia lecito unirsi a una persona per tutta la vita solo per accontentare il volere di un genitore, senza amarla davvero. Molta gente si sposa per paura di rimanere sola, perché teme di non trovare la persona giusta e quindi si accontenta di sopravvivere accanto all’uomo sbagliato piuttosto che affrontare la vita a viso aperto. Io non ho mai temuto la solitudine, forse perché fin da bambina ne avevo imparato il lessico e la prosodia. Mi sono ambientata al suo interno, non mi faceva più paura. Decisi di sposarmi solo quando avessi trovato colui che avrebbe potuto rendermi davvero felice, il solo che avrei amato con tutta me stessa. Non ho mai ceduto alle pretese di chi si ergeva a tutore della mia incolumità senza essersi mai preoccupato di capire quali fossero realmente i sentimenti che provavo. Sono sempre andata avanti per la mia strada, senza mai voltarmi indietro. Dagli undici ai ventidue anni sono stata invischiata nelle loro beghe matrimoniali,
frutto di un rapporto costruito a tavolino tra due persone che non si amavano sul serio e non hanno avuto il coraggio di confessarlo a loro stesse. I problemi sono stati innumerevoli. Mia madre non era abituata a lavorare e, quindi, noi ci siamo trovati a cambiare città, trasferendoci dai nonni, che ci aiutarono a tirare avanti, senza farci mancare nulla. Stando bene economicamente, ci hanno messo a disposizione una casa, ma lei in cambio avrebbe dovuto lavorare per sostenerci. Tuttavia, mentre io cercavo in tutti i modi di contribuire, dando una mano in casa ogni volta che potevo, mia madre non faceva nulla per alleggerire la situazione. Già a undici anni avevo iniziato a cucinare, a far di necessità virtù. Cercavo sempre di aiutare mentre mia madre continuava solo a riprendermi e osteggiare ogni mio comportamento: quella donna è stata un’autentica vessazione per me, non era mai contenta! Rappresenta una delle persone che mi ha fatto più soffrire nella vita, perché oltre a lamentarsi di continuo per ciò che facevo, non è stata in grado di farmi sentire amata, né rispettata. Credo che a un figlio non faccia mai piacere sentire la propria madre pronunciare una frase del tipo: «Io devo pensare ai tuoi fratelli, tu puoi arrangiarti da sola, tanto lo sai fare». Ancora oggi nelle mie orecchie risuonano le sue parole, quelle che un bambino non dovrebbe mai sentire. Solo una persona completamente diversa dai miei genitori avrebbe potuto redimere la discendenza, facendosi carico dall’immane sofferenza derivata dalla loro cattiveria. C’era bisogno di un essere umano che tenesse testa a tutto il male prodotto. Non è stato facile ricondurre questa enorme e intricata matassa a una trama comune, che potesse risultare plausibile in virtù della svolta che la mia vita rappresentò fin da subito. Rievocare questi eventi è un esercizio di pura catarsi che può aiutarmi a inverare il messaggio che in tempi remoti mi fu affidato. Confrontarsi con una realtà che esiste, ma che nessuno è disposto ad accettare è stato difficile. Molta gente, anche se non lo sappiamo, ricorre alla magia per continuare a proliferare alle spalle degli altri. I miei ricordi d’infanzia testimoniano questo, e scardinano ogni luogo comune sulla natura del mondo materiale in cui viviamo. C’è un episodio che precede il divorzio dei miei e che ancora oggi ricordo in maniera nitida. In casa mia potevo giocare ovunque tranne in una stanza, al cui interno mi era vietato entrare. Come si sa, i bambini hanno la tendenza innata a
trasgredire le interdizioni e i divieti, in balìa di una curiosità estrema che proprio in quegli anni caratterizza il loro universo psicologico. Proprio in virtù di questo sublime bisogno di scoperta che mi caratterizzava al pari degli altri coetanei, un giorno decisi di entrarvi e iniziai a ispezionare tutto ciò che al suo interno vi trovai. Tra i numerosi oggetti, notai qualcosa di singolare che suscitò in me timore: si trattava di un vecchio pugnale foderato che recava sul manico l’incisione di una svastica. Allora non potevo sapere in alcun modo il significato di quel simbolo, ma ricordo chiaramente che tale visione mi inquietò alquanto. Vivevamo nella nostra casa in Emilia, una villetta circondata dal verde nella quale ho sempre avvertito delle presenze oscure, che non mi lasciavano indifferente… anzi, contribuivano in larga parte a turbare i miei sogni di ragazzina. In diverse circostanze, presi coscienza del fatto che in quel luogo non ci fossimo solo noi ad abitare: ricordo un episodio risalente al giorno della mia Prima Comunione, in cui mi parve di avvertire una presenza che mi dava un senso di malessere e in una foto scattata nel giardino di casa, dietro le mie spalle, è rimasta immortalata, come scoprii più tardi. Dopo tanto tempo, riuscii ad avere una spiegazione in merito a questi fenomeni tremendi che solo io avvertivo. In occasione del mio matrimonio, entrai in contatto con il sacerdote che operava in quel paese durante gli anni della mia infanzia; dopo averlo salutato e avergli raccontato un po’ della mia vita pregressa, lui mi interruppe per farmi una domanda: «Antonella, ma in quella casa si praticavano messe nere?». Io risposi d’istinto: «Sì, penso proprio che in ato si svolgessero riti oscuri tra le mura di quella villa». Ho sempre avvertito un alone demoniaco nelle stanze di casa nostra e il mio sesto senso mi spinse a rispondere affermativamente alla domanda del prete. Con la mia nascita, rappresento un ostacolo per le forze del male. Ho sempre dato fastidio perché rispetto a loro sono l’opposto: io sono qui, su questa Terra, per portare un messaggio, qualcosa di prezioso che va protetto e trasmesso a quanti avranno la sensibilità di recepirlo. Chiaramente, non sarà facile comprendere le mie parole, questo lo so bene, ma ritengo che uno sforzo ulteriore in questa direzione potrà essere salvifico. La gente ha bisogno di prendere coscienza di ciò che alberga realmente intorno a
noi; è necessario che tutti aprano gli occhi dinanzi alla verità del Cosmo. Ero una bambina, quando una notte iniziai ad avvertire un freddo surreale, che non avevo mai provato prima. Una “presenza” si palesò alla mia vista e mi fissò nel buio con uno sguardo carico di odio. Mi svegliai, nel cuore della notte, ritrovandomi al cospetto di questa entità malefica, una sagoma di bassa statura con gli occhi fosforescenti, il suo odio così forte era capace di traare il mio corpo da una parte all’altra. Per mia fortuna, sono sempre stata devota alla Vergine Maria: essendo stata battezzata nel giorno dell’Immacolata Concezione, sono incline a nutrire profonda fiducia nella Madonna e, quindi, girandomi dall’altra parte, mi sono messa a pregare, aspettando che questa tremenda presenza mi lasciasse in pace e se ne andasse. Quello sarebbe stato solo l’inizio della mia dura battaglia contro le forze del male, che per tutta la vita mi ha visto coinvolta e che mai mi ha dato tregua. Fu solo un avvertimento: come a volersi presentare, quel demone mi fece visita per inaugurare una lunga serie di scontri che mi trascinò in una lotta senza esclusione di colpi. Avrei avuto uno scontro diretto col male intorno ai venticinque anni, ma già in precedenza mi trovai ad affrontarlo in forme sibilline. Nella mia vita ho visto con i miei occhi sia il male estremo, come il bene allo stato puro, ed ho sempre scelto di accogliere quest’ultimo, rifiutando il suo opposto con tutta me stessa. Le energie vitali, trasmesse attraverso il canale metafisico della reincarnazione, mi avevano già provvista della forza necessaria per osteggiare il demonio in tutte le sue forme… ero già preparata al peggio. La porta d’accesso alla dimensione ulteriore, nel mio caso, fu lasciata aperta, al contrario di quanto avviene con la maggior parte degli esseri umani, questo fu deciso affinché io potessi intraprendere il mio percorso e fermare queste forze, che volevano impedirmi di portare a termine il mio compito esistenziale. Quando iniziai a svolgere il lavoro di maestra elementare mi resi conto di quanti casi di doppie famiglie esistessero in Italia: i divorzi si fanno sempre più frequenti e tante storie simili alla mia sono sparse per il mondo. Questo non servì a consolare il mio dolore, cosa che ormai riuscivo a fare già per conto mio, affrontandolo a testa alta, senza il bisogno di cercare ulteriori elementi di compensazione; tuttavia, quell’esperienza mi diede la possibilità di realizzare che nella vita mi sarei voluta occupare dei bambini. Quella infantile è sempre stata la fascia d’età che ho prediletto nel corso degli
anni, perché ad essa possono essere ricondotti molti dei nostri motivi dominanti. Ho amato il mio lavoro e mi sono anche divertita a farlo, mettendoci sempre tanta energia. Il mio sogno in campo pedagogico era quello di specializzarmi nell’istruzione dei bambini stranieri; prendevo l’insegnamento come un gioco, oltre che al pari di una sfida con me stessa. Mi divertivo a confrontarmi con gli alunni, a rispondere alle loro domande ingenue, ma ricche di verità. Non davo nulla per scontato: per me la riflessione di un bambino, per quanto possa sembrare strano, ha lo stesso peso, se non maggiore, di un discorso sui massimi sistemi svolto da una persona adulta. È nell’infanzia che bisogna ricercare le origini di ciascuno di noi e, se si è intenzionati a comprendere l’umanità, non è possibile ignorare questa splendida fase di nobile semplicità, che riempie di gioia la nostra esistenza quando ci capita di entrarvi a contatto. Vivere al fianco di tutti quei fanciulli ancora ignari delle insidie che il mondo adulto gli avrebbe riservato, era per me fonte di stimolo e gratificazione costante. Ho amato profondamente il mio lavoro ed ho continuato a svolgerlo fino a quando le circostanze me l’hanno permesso. Poi è accaduto qualcosa che mi ha fermata e non è stato facile affrontarlo, ho rischiato molto, ma ne sono uscita vittoriosa. La vita riserva sempre grandi sorprese: non è detto che il bene perso sia smarrito per sempre e non possa ritornare. D’altronde, a livello cosmico qualcosa di epocale si sta verificando in questa fase storica, lo avverto chiaramente. Una nuova pagina verrà scritta nel grande libro del mondo, basta solo aprire gli occhi e sforzarsi di leggerlo nel giusto modo. Credo che in tutto questo i bambini possano ricoprire un ruolo fondamentale, abbiamo molto da imparare osservando il loro comportamento. La mia predilezione per l’infanzia deriva proprio da questa fondamentale identificazione: io mi sento come loro, innocente e bisognosa di apprendere. Ho conosciuto persone importanti nel corso degli anni, gente di un certo spessore culturale e spirituale; qualcuno un giorno mi pregò di non cambiare mai, di coltivare sempre quel fanciullo interiore che continua ad albergare dentro di me. A vent’anni non capivo queste parole, ma dopo mi sono resa conto che il loro significato si trova perfettamente in linea con la mia coscienza cosmica e con il modo in cui ho impostato il percorso terreno. Se mia madre non è stata benevola e comprensiva fino in fondo, mia nonna ha
rappresentato invece la mia vera ancora di salvezza. È stata lei a curarmi amorevolmente durante tutto il periodo di degenza dovuto alla tubercolosi, donandomi nuovamente la vita. Mia nonna rappresenta una figura fondamentale per comprendere il procedere della mia esistenza: si è comportata da vera madre e in questa veste mi piace sempre ricordarla. Spesso, non è chi ci ha messo al mondo a trattarci da figli, ma colei che più di ogni altro ci considera degni di amore. Nel mio caso è stato così, mia nonna ha assunto le veci di amica, confidente, educatrice. Mi ha donato tutto quello che mia madre non seppe nemmeno comprendere. A ben vedere, oggi mi rendo conto di aver amato qualcuno che non è mai stato in grado di accogliermi nelle sue braccia: questo è successo con mia madre. Da lei sono stata ferita profondamente, messa da parte rispetto agli altri. Oltre a questo, ho avuto un fratello e una sorella che me ne hanno combinate di tutti i colori. Anche loro hanno risentito della situazione in famiglia e, come me, hanno pagato tutta la vita per gli errori dei nostri genitori; dunque, non sono nelle condizioni di incolparli per ciò che è successo, non è nella mia natura. Tuttavia, hanno sempre dimostrato la loro appartenenza alla discendenza Regina, in virtù del carattere arcigno e rabbioso. Ho vissuto sulla mia pelle la loro cattiveria… ho perdonato, ma non posso dimenticare. Ricordo nitidamente una circostanza in cui mio fratello mi chiuse la mano in una porta blindata per un futile diverbio scaturito tra noi. Egli è sempre stato molto violento, la sua matrice è quella paterna, quindi non poteva essere diversamente. In quell’occasione, finii al pronto soccorso, però non dissi ai medici che cosa fosse successo veramente. Lui mi aveva minacciato di non fare menzione dell’accaduto, altrimenti mi avrebbe uccisa di botte. Non ricordo nemmeno come fossero andati i fatti nella realtà… col tempo la mia memoria ha selezionato gli eventi più significativi, lasciandosi alle spalle le parentesi spiacevoli accadute. La nostra mente seleziona ritagli e ricordi per inserirli in un puzzle ben preciso, che solo al termine del nostro viaggio avremo la possibilità di osservare nella sua interezza. Le dinamiche vissute dai bambini quando i genitori decidono di separarsi non sono facili da affrontare e spiegarle risulta ancor più doloroso. Spesso la gente fatica a immaginare in che misura si possano ferire i propri figli, se trattati alla mercé di oggetti di scambio: sono atroci le sofferenze di coloro che, costretti a
subire gli errori dei più grandi, si trovano a dover scegliere se vivere col padre o con la madre. Io e i miei fratellastri abbiamo assistito a scene raccapriccianti, connotate da pesanti insulti e vessazioni continue. Tutto ciò non erà mai inosservato agli occhi di un figlio, lo traumatizzerà per tutta la vita e non sarà semplice aiutarlo a redimere questa immane sofferenza. Subentrerà in lui un senso di colpa indotto dalla vigliaccheria degli adulti, che gli farà presupporre di essere la causa della rottura tra i propri genitori. Nulla di più falso! I bambini non sono responsabili degli errori dei grandi e questo bisogna metterlo in chiaro fin da subito, spiegarglielo in tutti i modi, altrimenti le ricadute saranno difficili da arginare. Sono gli adulti ad aver pensato sempre e soltanto ai loro interessi egoistici, i bambini hanno sempre subìto le conseguenze della loro tracotanza, non avrebbero potuto fare altrimenti. Sia da una parte che dall’altra, non c’è la minima comprensione nei loro riguardi. Ho sperato tanto che i nostri genitori potessero tornare insieme e vivere in felicità il loro rapporto di coppia, ma evidentemente non è così che era scritto. Oggi sono più che mai convinta del fatto che incolparsi a vicenda non serva a nulla: ognuno farà i conti con la propria coscienza e forse un giorno capirà quale fosse la strada giusta da seguire.
Capitolo 3
Avevo ventidue anni quando arrivò la sentenza di divorzio dei miei genitori. Si chiuse in quel momento finalmente una lunga pagina della nostra storia famigliare, causa di non pochi affanni per tutti noi. Nel frattempo, ero cresciuta, avevo assunto ormai le fattezze fisiche e caratteriali di una giovane donna, ero riuscita a lasciarmi alle spalle tutte le sofferenze del periodo adolescenziale per affrontare con spirito rinnovato le esperienze dell’età adulta. Mia nonna era stata indispensabile nel mio processo di formazione: è anche grazie a lei se sono riuscita a superare quel momento. Per qualche tempo le acque sembrarono calmarsi e così mi accinsi a frequentare l’università sotto i migliori auspici della nonna, che più di chiunque altro sostenne tale scelta. I miei i a fianco ai suoi furono sempre scanditi dallo sguardo attento della persona che più mi amava; colei che mi insegnò a sorridere nonostante tutto… la donna che mi spinse a proseguire gli studi, che comprese il mio desiderio più autentico. Ricordo ancora quando mi accompagnò in Facoltà nel giorno dell’immatricolazione, che momento indimenticabile! Riprese a scorrere la mia vita, seguendo linee inedite che mai avrei immaginato di percorrere, ma un evento segnò presto quel periodo, connotato da ulteriori difficoltà. A seguito del divorzio scoprimmo che la mia sorellastra era stata risucchiata nel tunnel della droga e non accennava ad uscirne. Si trattava di un problema serio che ci colse tutti alla sprovvista. Da parte mia, sentivo di dover fare qualcosa per lei e cercai di comprendere le ragioni che l’avessero spinta a imboccare quella strada funesta. Non riuscii a ricavarne molto, dato che non avevamo un rapporto così intimo da poter sperare in una sua confidenza. Nonostante ciò, non mi diedi per vinta, continuai a starle accanto e le dedicai sincere attenzioni, nel tentativo di aiutarla. Fu allora che ricomparve mio padre, il quale si offrì di portarla via da quel posto, per tenerla con sé e farla guarire. In tale occasione, gli rivolsi la parola, non fu facile, ma era per discutere con lui di ciò che fosse più opportuno fare in merito alla situazione di mia sorella.
Rimanemmo un’oretta in macchina a parlare di lei: mio padre mi chiese una mano a convincerla che la cosa giusta da fare in quel momento sarebbe stata staccarsi dalle persone che le ronzavano attorno, per riuscire a venirne fuori. Nonostante tutte le sue colpe, in quel contesto egli si comportò dignitosamente e fece il possibile per aiutare mia sorella, cercando anche il mio sostegno. Nostra madre non si rese conto di tutto ciò, la sua mente era annebbiata dal livore che provava per il suo ex marito: aveva fatto tanto per metterci contro di lui e così, vedendoci in confidenza, iniziò a temere di poter perdere i frutti del suo lungo lavoro di manipolazione. Non parlavo con mio padre da anni e, per la prima volta, dopo la sentenza di divorzio ci stavamo confrontando faccia a faccia. Ormai, non ricordo più ciò che ebbe a dirmi, però quel momento fu importante perché riuscì a sbloccare la mia totale ritrosia nei suoi confronti e ci aprimmo al dialogo. Fu una piccola svolta nel nostro rapporto che, tuttavia, suscitò la violenta reazione di mia madre. In quell’occasione, mi azzardai a rivolgergli la parola… non l’avessi mai fatto! Dopo la nostra conversazione, lui si offrì di accompagnarmi a casa ed io accettai. Una volta scesa dalla sua macchina e imboccato il vialetto che mi avrebbe condotto all’ingresso, intravidi alla finestra la sagoma di mia madre che osservava attentamente la scena. Una volta rientrata, fu lei stessa a sbattermi fuori di casa! Non avevo commesso nulla di male, eppure mi trovai a subire questa sua inaspettata reazione. La mia grave colpa era stata quella di rivolgere la parola a mio padre, questo non mi fu perdonato. Per questo la sua reazione fu violenta, mi aggredì subito impedendomi di entrare in casa. A ventidue anni non godevo della libertà di rivolgere la parola a quell’uomo. Ecco allora che i ricatti tornarono a imperversare nella mia vita: gli avevo rivolto la parola e non avrei più potuto metter piede in casa. In questo modo si declinò la “grande magnanimità” di mia madre, una donna senza scrupoli che non conobbe comione. Decisi quindi di accettare l’invito di una cara amica, che mi propose di trascorrere la stagione invernale lavorando in un albergo, su in montagna, per avere un posto in cui alloggiare e guadagnarmi anche qualche soldino. Fu lì che conobbi un rinomato giornalista di Milano, che si era recato in quel posto per seguire le gare sportive che si svolgevano durante l’inverno, in particolare la Millegrobbe, una competizione sciistica internazionale che prende il nome dall’omonima località situata sull’altopiano dei Sette Comuni. Si fermava spesso
a prendere qualcosa al bar dell’albergo e in più di un’occasione avemmo modo di parlare a lungo dei nostri progetti; entrammo presto in confidenza e, così, gli raccontai la mia storia: fu in quel contesto che, per la prima volta nella mia vita, una persona mi disse che non sarei mai dovuta cambiare. Andavo bene così com’ero! Quella frase mi fece star bene, iniziai a sentirmi accettata dal prossimo. Mia madre era stata tremenda, mi aveva sbattuto fuori di casa senza un valido motivo. Non è ammissibile che un genitore riservi un simile trattamento alla propria figlia. Fortunatamente la mia amica mi aiutò, offrendomi quel posto di lavoro che divenne per alcuni mesi anche la mia dimora. Mia nonna, nel frattempo, mi telefonava spesso, fu sempre molto protettiva con me. Eravamo molto simili, estremamente empatiche e volitive. Lei mi permise di iscrivermi all’università e finché c’è stata tutto è andato relativamente bene. Avevo ripreso a studiare mentre lavoravo, il che non fu affatto facile, ma riuscii ugualmente a barcamenarmi in entrambe le occupazioni, riscuotendo buoni risultati. Mia madre ovviamente continuò a non degnarmi della minima attenzione; non mi telefonava mai, si disinteressava totalmente delle mie sorti. Per lei sono sempre state ben altre le priorità: la sua vita mondana e le varie frequentazioni di cui si circondava, questo le importava davvero. Tutt’al più le interessavano i miei fratelli, quando si ricordava di avere anche dei figli, ma di certo non ero io ad essere al centro dei suoi pensieri. Così fu per sempre ed io imparai ben presto ad accettarlo, a farmene una ragione. La cosa assurda fu che, nonostante il suo totale disinteresse, pretendeva ugualmente l’esclusività delle mie attenzioni. Alcune volte si lasciava andare a scenate di gelosia nei confronti di mia nonna, che io riuscivo chiaramente a interpretare nel giusto modo. Ricordo che un giorno, quando ero ancora adolescente, entrai in silenzio a casa sua, che abitava al piano di sotto, e la vidi piangere sconsolata. Le lacrime di mia nonna mi fecero star male e cercai di capire cosa le avesse provocate; le chiesi cosa fosse successo e lei mi raccontò che mia madre si era rivolta in malo modo verso di lei, insultandola pesantemente, perché gelosa del nostro rapporto speciale.
Ma come! Proprio lei che mai mi aveva considerato al pari di una figlia, sempre rimossa dal novero delle sue priorità, seppellita sotto i suoi ordini assurdi, ora diventava gelosa della persona che, invece, si era sempre mostrata aperta e affettuosa nei miei riguardi!? Mia madre era incapace di donarmi attenzioni, ma stava male al pensiero che qualcun altro potesse farlo al posto suo. Pretendeva la mia devozione assoluta in cambio di nulla; anzi, al prezzo del suo totale disinteresse. La vera tragedia è iniziata con la morte della mia amata nonna. Lei se ne andò di colpo, lasciandomi sola col mio immenso dolore. Nessuno poté mai sostituirla. Persi la vera madre e con lei tutto ciò che era stato il mio mondo fino ad allora… da un momento all’altro mi sono ritrovata da sola. Quando ci lasciò, venni a sapere della sua morte ancor prima che fossi avvisata telefonicamente, da mia madre, dall’ospedale. Era stata ricoverata a Verona ed io la andavo a trovare quasi tutti i giorni. Accadde allora che, la notte in cui venne a mancare, mi svegliai di colpo e sulla portafinestra della mia camera da letto vidi la sua sagoma fluttuare, tutta immersa in una luce bianca. Compresi subito che si trattava di lei: la sua anima era spirata in quel momento, si era ricongiunta alla dimensione metafisica a cui apparteniamo, ma prima di lasciare questo mondo era ata a salutarmi. Fu un momento indescrivibile, che trascende le possibilità espressive inscritte nel linguaggio. Mia madre per mettersi la coscienza a posto acquistò una casa per me, una per mio fratello e un’altra ancora per mia sorella con i soldi dell’eredità ricevuta. Per me non ci sono stati grossi problemi dal punto di vista economico, perché come lei stessa ebbe a dire, mi sapevo arrangiare benissimo da sola. Prima che andassi ad abitare nella nuova casa, in quegli anni vivevo in uno degli appartamenti di famiglia, in cui aveva vissuto mia nonna, e lì cominciarono ad accadere cose strane. In quelle stanze seguitava ad albergare la sua presenza inconfondibile. Ricordo che una sera ero nella sua veranda, seduta su una sedia, quando a un tratto il mio sguardo andò a posarsi sulla poltrona che un tempo fu di mia nonna. Mi accorsi allora che il sedile era raggrinzito, come se qualcuno si fosse appena accomodato… lei era seduta accanto a me, la sua presenza si rese tangibile attraverso quell’improvviso mutamento nell’ordine delle cose. Nessuno aveva occupato quel posto da mesi, quindi la seduta era intatta, senza nemmeno una
piega, fino a pochi secondi prima. Dal canto mio, la sentivo vicina e, sebbene fossi incredula, provai ben presto la gioia di averla a fianco a me, come una volta. Poco prima, della morte di mia nonna, avevo fatto un’esperienza molto importante per la mia crescita, ma anche di arricchimento personale, che avrebbe segnato senza dubbio la mia vita futura: decisi di prender parte a un progetto di volontariato estivo da svolgersi in Africa centrale al fianco dei missionari Comboniani. È stata un’esperienza bellissima, tra le più affascinanti della mia vita. Eravamo a stretto contatto con le tribù locali, dei nomadi dediti soprattutto alla pastorizia che vivono in capanne costruite esclusivamente con rami, pietre e tronchi di albero. Gli appartenenti a queste tribù seguono tradizioni locali e animistiche, in quegli anni si stava assistendo in modo sempre più massiccio a un’invasione silenziosa di mussulmani che arrivavano su camion tutti ammassati. Al loro cospetto, chiunque di noi occidentali penserebbe di avere a che fare con delle persone primitive, senza capacità di comprensione, forse anche un po’ aggressive e imprevedibili. E invece, stando a diretto contatto con quella realtà, mi sono resa conto della loro grande umanità e profondità d’animo, sintomatica di una spiritualità autentica vissuta nelle piccole azioni di tutti i giorni. Ricordo le parole che scrissi in un articolo al rientro da quest’esperienza: sono partita pensando d’aiutare gli altri e paradossalmente è accaduta la cosa inversa. Grazie a quell’esperienza ho capito che la nostra è una società in decadenza, che sta perdendo forza vitale giorno dopo giorno; il futuro sono loro, che hanno mantenuto un approccio più spontaneo e naturale verso l’esistenza. Ascoltavo i saggi pensieri del capo villaggio, restandone affascinata; così mi recavo da lui ogni volta che potevo per continuare a beneficiare delle sue massime ancestrali che tanto vigore restituivano al mio spirito offeso. Durante i giorni trascorsi in quel luogo, noi davamo una mano agli abitanti del villaggio intenti a realizzare l’edificazione di un piccolo luogo di culto: fu mentre stavo raccogliendo delle pietre che ne sollevai una e mi trovai al cospetto di un grosso serpente che strisciava a ridosso dei miei piedi. Mi dissero in seguito che si trattava di un brutto esemplare di Mamba Nero, una delle specie più velenose che esistano al mondo.
L’avevo scampata per un soffio: il serpente si allontanò presto, mentre io rimasi come paralizzata, dinanzi alla sua scia sibillina… ed ecco le parole del capo villaggio che una sera, dopo questo episodio, mi disse qualcosa che non mi aspettavo di sentire: «Nella tua vita c’è qualcuno che ti vuole molto male». Queste furono le sue parole, perentorie e improvvise, come un temporale estivo. Le ascoltai impietrita, lo guardai e rimasi in silenzio. Non ebbi la forza di rispondergli, nemmeno per chiedergli di chi si trattasse. Le sue erano intuizioni energetiche, repentine percezioni che non potevano indirizzarsi ad un soggetto ben preciso. Persino un’esperienza come questa, in cui ti sembra di aver sfiorato la morte per un pelo, è stata formativa ed ha contribuito a temprarmi nel carattere. Non è durato molto il nostro viaggio, circa un mese e mezzo, ma è stato intenso e importante perché in quei giorni ho avuto la possibilità di sperimentare un altro modo di stare al mondo. In quelle tribù si vive in condizioni di assoluta naturalezza, ogni gesto equivale a un piccolo rituale sacro. Tutte le cose, anche le più insignificanti acquistano una loro peculiare importanza. Le giornate non vengono programmate a tavolino; la frenesia occidentale in quei posti è solo un lontano miraggio. Laggiù non c’è tempo che regga il peso dello spazio! Da allora non porto più l’orologio al polso, ho imparato a vivere senza l’ansia di essere sempre in ritardo, di avere sempre qualcosa da fare, da ottenere, da raggiungere. La verità è questa: il loro rapporto con la dimensione cosmica è più diretto e, quindi, più profondo. Sotto certi aspetti, noi abbiamo solo da imparare da quella gente, e invece ci ostiniamo a pensare che si tratti di una sottospecie di umanità dalla quale tenersi alla larga. Siamo ancora vittime del pregiudizio secondo il quale esiste una sola forma di civiltà, la nostra, depositaria di cultura e scienza, mentre tutte le altre sono inferiori e non possono far altro che sperare di essere colonizzate per approdare a forme di maggiore benessere e ricchezza. Ma come scrisse un grande poeta, spesso noi identifichiamo il progresso con il mero sviluppo economico, e in questo modo finiamo per alienarci dalla nostra vera natura, che non è fatta solo di produzione, consumo e accumulazione materiale, bensì di relazioni dirette con l’ambiente in cui ci troviamo, l’orizzonte in cui tutto ha senso, che fa da sfondo alle nostre vite e a quelle di coloro che ci accompagnano nel nostro percorso terreno.
Durante quei giorni, prestai anche servizio di pronto soccorso, con l’infermiera del gruppo. Si partiva attraverso la savana per raggiungere a piedi i villaggi più vicini e in tali circostanze mi resi conto di quanto fosse bello soccorrere le persone in difficoltà. Quella gente mi regalò un nuovo sguardo sull’uomo, qualcosa di prezioso che ho custodito gelosamente fino ad oggi. Avevo solo ventisei anni quando andai in Africa: quel viaggio mi fece crescere molto, cambiando la mia visione del mondo e degli altri. Dopo un’esperienza simile, nulla è più lo stesso. Ai nostri occhi quella gente non possiede nulla… io invece ho scoperto in loro una grande ricchezza, che trascende gli schemi abituali del pensiero materialistico, perché si rivolge direttamente all’essenziale. Anche noi dovremmo riscoprire il piacere del necessario: la possibilità di star bene attraverso il valore delle piccole cose, spogliandoci di quel velo di frivolezza, e superficialità, che ci impedisce di apprezzare le vere gioie della vita, perché desideri semplici, ma autentici, muovono lo spirito dei più grandi esseri umani! Tornata in Italia, feci fatica a riadattare il corpo e la mente ai ritmi occidentali. Niente era più lo stesso: il luogo in cui vivevo mi appariva estraneo. Già da tempo ero insofferente nei confronti di quel luogo, ma dopo il mio viaggio venni colta da un perenne senso di alienazione verso la gente che ci viveva. Ci hanno abituati, condizionati, a presupporre l’esistenza dei confini temporali, perché viviamo in un mondo legato alla tridimensionalità della materia; ma questi limiti, in realtà, non esistono. Ad oggi, vivo nella consapevolezza di aver sempre avuto un rapporto di mutuo scambio con l’altra dimensione, che identifica, a ben vedere, ciò che siamo veramente. Quello che sta succedendo in questa fase storica, e quello che accadrà fra poco, si sta verificando in vista di uno scopo: tutti dovremo cambiare, perché a ognuno è concessa la possibilità di evolversi. Raggiungere uno stato di coscienza superiore, illuminare la propria anima con la forza dello spirito, è un aggio necessario affinché si possa vivere in maniera armonica, gli uni con gli altri. Nonostante tutto quello che ho ato, nella sostanza non sono mai cambiata e, cosa ancor più bella, non ho mai portato rancore nei confronti di qualcuno. Mi hanno fatto soffrire, ma l’odio per me non è mai esistito, non fa parte di me.
Amo la spiritualità, l’amore. Sono una persona solitaria, interessata alla conoscenza, alla ricerca della verità e della saggezza, mi piace scavare nel profondo, ritrovare la vera essenza in ogni cosa e non fermarmi alle apparenze. Non mi interessa la ricchezza, lo status o la fama, io vivo per le piccole cose che riempiono il cuore. Guardando al mio ato, ho sempre avuto la tendenza innata ad analizzare ciò che mi succede e a cogliere quello che alla maggior parte delle persone sfugge. Oggi, non mi sforzo più di capire: ora comprendo e ciò mi basta. Per questo sono così tollerante col prossimo, perché so bene che la vita vera è altrove. E vado avanti, superando me stessa, ma rimanendo sempre fedele alla mia natura.
Capitolo 4
A mantenermi giovane è la mia energia, quella forza spirituale che mi tiene in stretto contatto con la dimensione ultraterrena. Tutti coloro che riescono a vivere questa esperienza di continuo interscambio col metafisico faticano a invecchiare, perché la loro aura si rigenera costantemente e nuova linfa scorre nelle loro vene, tonificando il corpo e la mente. Siamo presenti a noi stessi, abbiamo una famiglia, un lavoro, degli interessi, ma siamo sempre coscienti del nostro compito principale: aiutare gli altri, cercando di incrementare il loro livello di consapevolezza. È stata una cara amica, che ben conosce la mia storia, a farmi notare un altro aspetto di me che ad oggi mi sorprende: nonostante ne abbia ate tante, riesco sempre ad essere ottimista, sono positiva nei confronti del futuro e della vita in generale. Ho sempre avuto la forza di rialzarmi, anche quando pensavo di non farcela, come dopo una lunga e brutta malattia che mi ha colta impreparata in questi ultimi anni. Col senno di poi, mi rendo conto di aver affrontato tutto questo con spirito costruttivo, cercando di cogliere il lato migliore di ciò che, di volta in volta, ero chiamata ad affrontare. Ricordo che mia madre mi faceva sempre pesare i suoi problemi, ma io non avevo alcuna responsabilità in merito, e dentro di me facevo delle riflessioni che non erano comuni in ragazze della mia età; mi chiedevo, infatti, come mai lei si preoccue così tanto delle difficoltà mondane e non avesse fiducia nella Provvidenza, nella possibilità che le cose possano risolversi col tempo, avendo fede nell’ordine cosmico, per sua natura rivolto al bene dell’umanità. Non bisogna smettere di credere che, alla fine, tutto si sistemerà: nel momento in cui hai bisogno e i problemi si presentano copiosi, pian piano affiorano anche le soluzioni, bisogna solo pazientare e attendere il tempo opportuno. Agitarsi, farsi prendere dal panico non serve a nulla, perché le cose aspettano solo di compiere il loro corso naturale, è necessario saper pazientare. Spesso il mio sesto senso mi ha permesso di capire in anticipo come sarebbero andate a finire le cose. Durante l’adolescenza, nel bel mezzo di queste vicende, ho scoperto di avere delle capacità sensitive, il dono di vedere in anticipo ciò che
sarebbe accaduto. In qualche modo, già so quale sarà la meta finale di un percorso esistenziale. La Provvidenza, in senso etimologico, consiste appunto nella possibilità di conoscere prima gli eventi futuri per agire in anticipo e salvare il destino di una persona. In questo senso, posso dire di essere investita dalla Provvidenza, quella forza celestiale che mi aiuta ogni giorno ad affrontare le varie insidie che questa vita ha in serbo per me! Avevo appena quattordici anni quando vidi la Terra: era in condizioni pessime a seguito dell’esplosione di Chernobyl, una sciagura che sarebbe avvenuta molti anni più tardi. Una nuova premonizione era giunta al mio sguardo interiore, ma questo ancora non potevo saperlo. Era accaduto di nuovo, ed io non avevo fatto nulla affinché ciò si verificasse: sapevo in anticipo cosa sarebbe successo al pianeta e il disastro ecologico a cui saremmo andati incontro. All’epoca in cui avvenne la premonizione, fui colta da un tale sgomento che descriverlo risulta alquanto difficile. Riflettevo con me stessa e mi crucciavo del fatto che, oltre alle tante sofferenze pregresse, un giorno avrei dovuto assistere ai danni di quel maledetto incidente, e non solo… non immaginavo di poter vedere il mio pianeta ridotto in quel modo, né tanto meno di ipotizzare il pericolo di una battaglia nucleare. Tuttavia, da lassù fui rassicurata: mi dissero che non l’avrei sperimentata sulla mia pelle, perché sarei stata condotta su un altro pianeta giusto in tempo. Avrei raggiunto un tale grado di evoluzione spirituale da non poter più vivere sulla Terra. Il mio aggio, quindi, si rivela necessario per procedere sulla strada dell’Illuminazione e progredire nella ricerca della Verità, ma la meta finale è altrove. Probabilmente, la mia prossima reincarnazione avverrà in un pianeta che si muove in sintonia con il grado di evoluzione da me raggiunto, a seguito del percorso svolto in questa vita. Fin da ragazzina ho scoperto i grandi poteri della meditazione e questo mi ha aiutato molto nel corso della crescita. In me era già presente la consapevolezza di provenire da un altro mondo, del quale però sapevo molto poco; l’avevo intravisto, ma non mi era stato concesso di approfondirne la conoscenza. Questo sarebbe avvenuto in seguito, nel corso della mia travagliata esistenza, ai tempi ero troppo piccola e le cose importanti,
si sa, vanno apprese cum grano salis. Il mio rapporto simbiotico con la natura, i costanti déjà vu, le frequenti premonizioni mi inducono al pensiero che io possa appartenere alla prima ondata di “bambini indaco”, caratterizzati da una spiccata sensibilità spirituale, empatia e creatività che spesso li pone in relazione dialogica con dimensioni ulteriori, tramite la telepatia e il contatto con esseri angelici. Nonostante le numerose controversie sorte in merito alla natura di queste esperienze, io ne sono testimone diretta e posso asserire con certezza di aver vissuto tali eventi senza tema di smentita. Non è stato facile accettarlo e fare i conti con una realtà diversa da quella a cui siamo tutti abituati, nell’illusione che essa sia l’unica dimensione esperibile. In verità, come ha dimostrato la fisica quantistica, ci sono dei mondi paralleli in cui noi ci muoviamo senza saperlo. In essi albergano identità simultanee, che si muovono in orizzonti fluidi e svolgono scelte diverse da quelle assunte nella nostra dimensione attuale. Quando ci capita di ricordare un evento, che non abbiamo mai vissuto nella nostra vita presente, o di avere l’impressione di aver già visto qualcosa, che non avremmo mai potuto conoscere in precedenza, noi stiamo prendendo coscienza del fatto che esistano tante dimensioni ulteriori, che non a tutti è dato esperire, ma la cui intersezione determina la complessità stessa del nostro spirito. Si tratta di piani inclinati che si incontrano, in modo tale che i loro punti di contatto, gli anelli di intersezione tra le varie dimensioni, possano manifestarsi nell’agire di ciascuno di noi. Tuttavia, questa consapevolezza non è presente in molte persone e talvolta i dolori della vita non vengono interpretati nel giusto modo: non si attribuisce un senso trascendentale alla sofferenza, si guarda solo al mero aspetto fisico ed esteriore. La mia vita è stata davvero pesante, e il modo giusto di affrontarla mi è stato fornito proprio da questa profonda consapevolezza: l’idea di appartenere ad uno sfondo più ampio, nel quale tutto acquista un significato ben preciso. In questo mondo si vive di emozioni, che a volte fanno male, perché le esperienze e i sentimenti possono anche essere negativi o indirizzati in maniera sbagliata, e le persone spesso incorrono nel rischio di ferire il prossimo. Tuttavia, questo rappresenta anche la grande forza propulsiva di questa dimensione: nulla avviene senza un motivo e questo contribuisce a definire i nostri limiti, ma anche le nostre infinite possibilità di evoluzione.
Il rischio nella vita è quello di poter soffrire, ma il suo riscatto è dato dalla conoscenza di sé, che proprio attraverso il dolore si amplia e ci permette di procedere a testa alta nel lungo cammino che ci attende. Il dolore, in questo senso, è fonte di maggiore consapevolezza e, quindi, può contribuire anche a renderci migliori. In fondo, chi non ha mai sofferto, non si conosce abbastanza. Crescere vuol dire evolvere e la vita è fatta di questo: mai adagiarsi sulla stabilità apparente delle cose; non bisogna pensare che il mondo rimanga sempre nello stesso stadio, anche il pianeta nella sua complessità può regredire o avanzare di livello. Ciò che conta è contribuire, nella misura in cui ci è concesso, al suo potenziale sviluppo. Le cose cambiano e la vita si costruisce o dopo o, maturando in vista di un obiettivo più alto, che non è possibile cogliere se si rimane ancorati alla semplice materialità. Anche in amore, la grande sfida è stare insieme nonostante le avversità, crescere e superare i momenti difficili con l’aiuto dell’altro, che può avere tempistiche differenti rispetto a noi, ma ciò non importa: quello che conta è che entrambi siano legati dalla volontà di mettersi in gioco e maturare assieme. Certo, anche in questi casi il male è sempre in agguato, cerca di insinuarsi nelle fitte maglie dei nostri rapporti sociali per sortire inganni e tentazioni, ma se il legame è fondato su basi solide, rinvigorite costantemente dall’amore reciproco, queste insidie non giungono a scalfirlo. Molti uomini si vendono per il potere e la sete di denaro, seguono il culto della materialità e in suo nome commettono le peggiori nefandezze. Da loro provengono i peggiori attacchi all’amore, perché questa gente non riesce a sopportare che il mondo sia mosso anche da valori positivi, che esulino dall’ingordigia dei potenti. I componenti dell’élite che ci governa non sono nemmeno degli esseri umani, pur avendone le fattezze fisiche; da un punto di vista spirituale sono delle creature abbiette, inaridite dal male e dall’avarizia che instilla nelle loro menti. Per fortuna, noi non siamo come loro! Tuttavia, gli uomini al servizio di queste élite finiscono per assumere i loro stessi caratteri diabolici e spesso entrano a far parte degli oscuri gruppi o sette ben note, che popolano da secoli il nostro pianeta.
Essi hanno barattato la purezza della loro anima in cambio di fama, gloria e potere, perché le forze del male li hanno sedotti, prendendo il sopravvento su di loro. In tanti si sono scontrati con queste avversità, sia nel ato che nel presente, ed io stessa ho dovuto affrontare uomini che in cattiva fede hanno sempre cercato di abbattermi. È stato un sacerdote missionario, uno di quelli che avevo conosciuto in Africa, ad avvicinarsi a me e a capire la situazione in cui mi trovavo. Ho sempre sorriso di fronte alle avversità, mentre gli altri non hanno mai capito i problemi che ho dovuto affrontare. Questo prete, in occasione del matrimonio di una nostra amica, anche lei facente parte del gruppo di volontari partiti per l’Africa, comprese la mia irrequietezza e mi chiese cosa stesse succedendo. In quel periodo avevo l’impressione di essere destinata a rimanere da sola; poco prima era morta mia nonna e il rapporto con i miei genitori era in frantumi. Temevo di non trovare nessuno con cui star bene insieme, mentre tutte le mie amiche si sposavano, io ancora non avevo trovato la persona giusta. Allora lui mi indirizzò verso un ex missionario che ai tempi dirigeva il Centro Missionario della mia città, dicendomi di andare da lui, perché di sicuro sarebbe stato in grado di aiutarmi. E così feci, pochi giorni dopo quell’incontro. Questo ex missionario si rivelò una persona squisita ed entrammo in amicizia. Vivendo in stretto rapporto con le culture animistiche africane e reduce da una conoscenza approfondita di varie forme di spiritualità e conoscenza, egli fu in grado di riconoscere l’avversione del Maligno nei miei confronti. Mi disse che ciò è evidente quando i campi della vita sono bloccati: la salute, l’amore e il benessere materiale. C’era lo zampino di qualcuno che non desiderava il mio bene e si prodigava per ostacolarlo da parecchio tempo ormai. Stavo ancora vivendo delle esperienze allucinanti a casa mia: avvertivo delle presenze misteriose, dei rumori e a volte mi capitava di notare delle entità dalle sembianze antropomorfe nel cuore della notte, tanto che arrivai a tenere sempre la luce accesa. Fu in quel periodo che mi accadde anche di risvegliarmi paralizzata, nel cuore della notte, di non riuscire più a muovere il corpo, ridestata da un sonno tormentato. Ancora una volta mi affidai alla fede e, recitando ad alta voce una lunga serie di Ave Maria, feci scappare quella presenza maledetta. Mentre pregavo, notai con la coda dell’occhio una sagoma nera, alta e magra, che si stagliava sullo sfondo luminoso creato intorno a me e transitava da una stanza all’altra, terrorizzandomi.
Casa mia era diventata un autentico campo di battaglia: anche in pieno giorno, quando entravo dalla porta d’ingresso e mettevo la mano sulla maniglia sentivo il crepitio e vedevo delle forti scosse di energia statica stagliarsi nell’aria. Fino a quando una sera riuscii a parlare, in maniera telepatica, con una di queste forze negative, trovando il coraggio di affrontarla: «Ma cosa volete ancora?», le dissi, «Mi avete portato via tutto». «Tu credi?», mi rispose, con una voce sibillina e perfida che mai dimenticherò. Mi faceva venire i brividi quel tono subdolo e maligno con cui mi rispondeva. Ebbi tanta paura, come poche altre volte nella mia vita, ma la fede anche in quel caso mi salvò. Ci misi due anni per liberarmi da queste pericolose entità, non fu affatto una eggiata! Mi costò notevoli affanni e patimenti fisici. Sono sempre stata una spina nel fianco per loro, ma alla fine ho avuto la meglio. La pesante maledizione che gravava sulla mia famiglia trovò in me la sua fine, costituii un argine contro la malvagità delle loro forze, superbe e dannate. Quelle entità, in fondo, rappresentavano tutte le persone intenzionate a farmi del male, perfide e invidiose, che non si davano per vinte dinanzi alla mia caparbia resistenza. Io mi trovavo sola, in questa casa dove aveva vissuto mia nonna, la quale prima di morire mi avvertì del pericolo a cui sarei andata incontro. Mi aveva proprio detto che sarei andata a vivere lì, lei sapeva quello che sarebbe successo e, in preda all’ansia, me lo comunicò prima di andarsene. Io, per fortuna, avevo con me le candele benedette di Sant’Antonio da Padova, una figura a cui sono molto devota, portando il suo nome. Esse mi aiutarono a sconfiggere quelle forze oscure e per questo, ogni sera, non dimenticavo di rivolgere un pensiero al Santo per ringraziarlo del suo aiuto. Il sale e l’acqua benedetta sono altri due elementi fondamentali per tenere lontane le energie maligne. In casa mia non sono mai mancati, ho mantenuto la buona abitudine di prendere una bottiglia di acqua santa e custodirla gelosamente per tutto l’anno. Oggi con il Reiki ho anche imparato a farla da sola, perché ognuno di noi rappresenta un flusso di energia, che può essere convogliata a fin di bene sul circostante, ma all’epoca non avevo ancora questa capacità. Il mio è stato un durissimo scontro col male, a seguito del quale nulla è rimasto invariato. La gente, il più delle volte, non se ne rende conto, ma ognuno di noi può rappresentare un argine contro la cattiveria.
Bisogna entrare dentro se stessi per scoprire Dio e cogliere il suo autentico messaggio. Tutti cercano in lungo e in largo la felicità, ma non si rendono conto che è solo tramite la meditazione che si può giungere a una forma stabile di serenità e pace interiore. All’età di tredici anni mi capitò di andare in un campeggio organizzato dalla parrocchia e, per la prima volta dopo tanto tempo, mi trovai circondata da persone della mia età, che condividevano i miei interessi. Durante l’infanzia non avevo avuto molte occasioni per conoscere e giocare con i coetanei, imprigionata com’ero in quella sfera di cristallo che i miei genitori avevano contribuito a creare. In questo campeggio si faceva un gioco in cui si dava la caccia a qualcuno che doveva nascondersi e una volta trovato lo si buttava nella fontana del paese. Nessuno poteva salvarsi e toccò anche a me farlo, anche se non mi andava proprio di immergermi in quella fontana per bagnarmi tutta vestita, così mi rifugiai nella chiesa del paese che si trovava nelle vicinanze. Entrai e seduta in un banco avvertii una forte presenza: percepivo l’influsso di energia di quell’essere attorno a me, una pace assoluta che avvolgeva tutto lo spazio, colmando il vuoto dell’assenza con la poesia del silenzio. È una sensazione indescrivibile quella che si prova in quei momenti di sospensione eterea. Quella sera mi arrivò un messaggio! Per ogni persona che fe parte del gruppo al quale mi ero unita in campeggio era stato preparato un pensiero. A me fu regalato un libro dagli organizzatori, un bellissimo testo con delle immagini didascaliche, ne fui entusiasta e mi conquistò subito, ma… notai, come un fulmine a ciel sereno, che sulla copertina di questo libro c’era un fuoco che ardeva, con su scritto: «L’oro si prova col fuoco. Ti legherò per sempre a me». Anche questo non poteva essere un mero caso. Tutto è già scritto, bisogna solo imparare a leggere nel giusto modo il circostante. Gli angeli non ci lasciano mai soli: nei momenti più duri, in cui abbiamo paura e pensiamo di non farcela, loro ci sono, ci comunicano un messaggio di speranza, ci indicano la strada, attraverso vie inaspettate, ma sempre efficaci e giuste. Ci stanno sempre accanto, siamo noi ad essere sordi al cospetto della loro voce. Il più delle volte non li percepiamo, però esistono e vogliono solo il nostro bene! Ricordo, a tal proposito, un altro episodio molto particolare e toccante che mi accadde un anno. Era in occasione della Pasqua, quand’ero ormai sposata. Avevo ripreso ad avere problemi di salute e, per tale ragione, mi ero recata in un
santuario della Madonna, assieme ad una cara amica che soffriva anche lei di problemi alle gambe. Si trattava di salire in ginocchio una Scala Santa in segno di penitenza e purificazione, cosa che avevo già visto fare a Roma qualche tempo prima. Quel giorno, giunti all’interno del santuario, mi sono seduta ed ho guardato attentamente quella marea di persone che si accingevano a compiere il faticoso percorso, dentro di me ho pensato che non sarei mai riuscita a fare lo stesso, visti i problemi alle gambe che avevo. Auspicai di farlo col pensiero, concentrandomi sul mio spirito, come se lo stessi facendo fisicamente; però avvertivo un profondo senso di mortificazione, mi sentivo impotente. Avrei tanto voluto riuscirci, ma non potevo mettere sotto sforzo il mio corpo in quel modo. Quando siamo rientrati a casa mi sono messa in una stanza, che dava direttamente sul nostro terrazzo, e dal cielo ho avvertito che qualcosa mi stava guardando. Continuai a fissare quel punto nel cielo, che sembrava invitarmi al dialogo, fino a quando questa presenza non entrò in casa mia dalla finestra. Anche in quel caso provai una sensazione difficile da descrivere a parole: ti senti profondamente amato, protetto, come se nulla ti possa mai succedere. È un’emozione di gioia profonda, di benessere, che nessun essere umano sarebbe in grado di suscitare nel prossimo; si tratta di esperienze davvero forti, che nella mia vita sono capitate alquanto spesso. Ho combattuto il male, ma sono stata allietata anche da queste palesi manifestazioni di grazia e letizia. Investita di luce, mi sentivo perfettamente in linea col mio spirito, non avevo bisogno d’altro: in quei momenti ero nel luogo giusto, al momento giusto. Proprio io che mi sono sempre sentita fuori posto nel contesto in cui stavo vivendo, trovai la pace, una sensazione che, nonostante le numerose avversità, mi ha accompagnata per tutta la vita. A quei tempi, purtroppo, dovevo continuare a vivere lì, per adempiere al mio compito provvisorio: era necessario aiutare mia madre, così mi fu detto e questo feci, perché sapevo che si trattava della cosa giusta. Il mio destino, però, aveva in serbo ben altro per me: in futuro avrei lasciato quel posto per recarmi in una città più in sintonia con il mio spirito. Oggi so che in quella città, la Capitale, ero già stata in ato, nel corso di una vita precedente. Da bambina disegnavo sempre una casa con un patio, la fontana
e un giardino interno. Questo ricordo ha un preciso significato simbolico: come scoprii in seguito, quel luogo rappresentava la mia domus, quella che cercavo e che finalmente un giorno ho raggiunto. Di sicuro, Roma ha un’energia positiva, in ato, sono stata felice di vivere lì. Ci sono tornata per rinascere, quando il pericolo di sprofondare si è palesato ai miei occhi. Sarei stata ricompensata di tutto il bene che ero stata capace di infondere nel prossimo, dell’amore infinito che ho seminato durante la mia esistenza. Non ho mai provato rancore verso coloro che mi hanno fatto del male, pur avendo sofferto tanto a causa di questa gente. Riconosco la mia diversità rispetto a loro, la mia anomalia, ma ho smesso di considerarla come qualcosa di cui preoccuparmi; al contrario, sono fiera di come sono, della mia natura autentica, e credo che essa possa giovare non solo a me stessa, ma soprattutto a chi mi sta attorno. La mia incapacità di provare sentimenti negativi verso il prossimo può costituire il presupposto essenziale per edificare un nuovo messaggio di speranza e amore, che non si basi solo sui concetti espressi in nome del bene, ma soprattutto sul fervido esempio di una persona che, come poche altre, ha saputo soffrire con dignità, affrontando il pericolo della morte a testa alta, cogliendo sempre il senso profondo del suo e dell’altrui dolore, utilizzando queste scoperte per andare avanti e guardare al futuro con spirito rinnovato. Perché è proprio nei momenti difficili che scopri la tua vera identità: quando la vita ti mette alla prova ed emerge l’incredibile forza che è in te… quella forza che nemmeno immaginavi di avere.
Capitolo 5
Quando tornai dal mio viaggio in Africa, mi colpì una frase del Dalai Lama, che prontamente annotai: «Ero intelligente e volevo cambiare il mondo, ora sono saggio e sto cambiando me stesso». Mi rimase impressa, perché rispecchiava esattamente quello che stavo provando e che avrei sperimentato in maniera ancora più radicale nel prosieguo della mia vita. Stavo per allontanarmi da mia madre, perché compresi che ogni rapporto umano necessita della sua specifica distanza, con lei non era il caso di rimanere ancora così vicine, avrebbe fatto male ad entrambe. Da quel momento, ho lasciato che mia madre andasse per la sua strada, anche se lontana dalla mia: quella donna non mi avrebbe più cercata e nemmeno io l’avrei fatto. Certe cose finiscono quando decidiamo che è arrivato il momento di volerci bene. A prescindere da tutto, ho scoperto che nella vita bisogna sempre essere ottimisti, che non vuol dire essere privi di pensieri negativi, ma fare in modo che essi non ti controllino l’esistenza, inficiando costantemente il tuo umore e le tue scelte. C’è bisogno che le nostre paure non diventino totalizzanti, ma vengano percepite per quello che sono, attribuendo loro il giusto peso. Il rocambolesco rapporto con mia madre mi ha anche insegnato l’importanza del perdono e l’inutilità del risentimento: se non perdoni ti ammali, ma per poterlo fare bisogna anche lasciar andare. Ognuno si muove a una certa distanza dagli altri, nessuno può obbligare il prossimo ad accorciare o estendere lo spazio che lo separa da sé quando non è il caso di farlo, perché questo potrebbe ferire entrambi. Le distanze sono sempre modulate in base al tipo di persona che abbiamo di fronte, non esiste un rapporto ideale: esistono tante forme di relazione quante sono le creature presenti sul pianeta. Credo che decidere chi tenere lontano sia importante quanto scegliere chi tenere vicino: imparare ad accettare non vuol dire rassegnarsi, ma semplicemente non
perdere energie ad inseguire situazioni che non si possono cambiare. Non augurare mai del male, piuttosto lascia andare: questo è un mantra che molto spesso mi ripeto, ma non è mai abbastanza. Quello che gli altri pensano di noi, non corrisponde a ciò che siamo veramente. Se qualcuno ci ha causato dolore non bisogna condannarlo: egli probabilmente l’ha fatto perché soffre a sua volta, ma non ne ha contezza. Augurargli la guarigione è ciò di cui ha più bisogno. Perdonare quindi… non perché gli altri meritino necessariamente la nostra comione, ma perché noi meritiamo la pace! Perdonare qualcuno non significa condonare il suo comportamento. Non significa nemmeno dimenticare il modo in cui ci ha ferito e neppure concedergli di farci ancora del male. Perdonare significa fare pace con ciò che è accaduto. Significa riconoscere la propria ferita, dando a noi stessi il permesso di sentire quel dolore in tutta la sua intensità, arrivando a comprendere che quel dolore, adesso, non ci serve più. Ecco cosa significa lasciar andare: abbandonare il male, il risentimento, per poter guarire e volgersi incontro al futuro. Il perdono, in fondo, è un dono che fai a te stesso. Ti libera dal ato e ti consente di vivere nel tempo presente. Quando impari ad accettare te stesso e gli altri, diventi veramente libero. Perdonare significa liberare un prigioniero dalla sua gabbia, per poi scoprire che quel prigioniero eri tu. Un simile grado di consapevolezza, che fin da piccina ha caratterizzato il mio percorso, non è stato recepito dalla gran parte della gente che avevo attorno, la quale invece di apprezzare il mio temperamento è stata indotta a considerarmi una persona debole, scambiando sensibilità per debolezza. Dal mio punto di vista l’essere vulnerabili è in verità una forza, non un difetto: è ciò che più di ogni altra cosa ci rende umani. Nella vita rimangono sempre delle questioni in sospeso, che sono destinate a risolversi, prima o poi. In questa vita ci sono state due persone con cui ho avuto un conto in sospeso: una è ovviamente mia madre, ma ce n’è un’altra, mediante la quale, un giorno, ebbi modo di sperimentare l’ambiguità dei rapporti umani. So per certo che in una vita precedente lui c’era… e quindi probabilmente tornerà. Con persone di questo tipo rimane sempre un legame particolare, a prescindere dal male che possano arrecare al prossimo e a noi stessi.
Lo conobbi quando frequentavo l’università, negli anni in cui il mio unico punto di riferimento era mia nonna. Tutto sommato, quest’uomo rappresenta una figura positiva nel condensato della mia esistenza. Nonostante ciò che è successo in seguito, tra noi stava nascendo un sentimento autentico, che mi faceva star bene e che, in qualche modo mi ha salvato dalla sofferenza atroce che mi assalì nel momento più brutto della mia giovinezza, quando la mia vera madre venne a mancare. Lui mi fu vicino, come nessun altro in quel momento, tuttavia, per la situazione che stavo vivendo, fu necessario che io trovassi il coraggio di troncare. A volte, nella vita, bisogna capire quand’è il momento giusto per agire, pur sapendo che ciò farà soffrire, inevitabilmente. Allora avevo una paura matta di soffrire: prima di lui, commisi l’errore di far entrare nella mia vita una persona solo perché temevo di restare sola… uno sbaglio che molti fanno nel corso del tempo e di cui spesso si pentono quand’è troppo tardi. Bisogna avere il coraggio di camminare da soli, di non accontentarsi; il desiderio di avere a tutti i costi una persona vicino ci spinge a compiacere qualcuno che non amiamo, solo perché ci dà sicurezza. Lo dicevo anche a mia madre: «O trovo l’uomo giusto per me, oppure niente… rimango da sola». In quella prima occasione caddi in un simile errore: lui a modo suo mi avrà anche voluto bene, però in seguito è stato poco sensibile nei miei confronti, si è comportato nel modo più scorretto possibile, ferendomi profondamente senza immedesimarsi nella mia situazione. A volte un uomo non si rende conto del male di cui può rendersi capace. Spesso, quando si è giovani si pensa soprattutto a se stessi e gli altri ano del tutto in secondo piano. Ho impiegato dieci anni per riprendermi da quella ferita: durante tutto il tempo ho camminato da sola, affrontando a muso duro i problemi della vita. Mia madre mi aveva abbandonata e, quindi, mi sono dovuta arrangiare a modo mio. Poi, la Provvidenza è intervenuta. Iniziai a lavorare – per fortuna all’epoca ero riuscita ad ottenere le prime supplenze nella scuola primaria – anche se, dopo poco, subentrò un problema che fu all’origine di un nuovo periodo oscuro: lo Stato non ci pagava con
regolarità, rimanevi senza stipendio e non sapevi nemmeno quando l’avresti potuto ricevere; nel frattempo, dovevi mantenerti, ma non sapevi come fare. In quel momento, la Provvidenza è intervenuta… ancora una volta. È comparsa una donna, Clara, che ha avuto un peso importante nella mia vita e che è andata pian piano a sostituire l’immagine di mia nonna. Una donna molto intelligente, che aveva perso prematuramente il suo unico figlio e che nei momenti di difficoltà economica e morale mi ha sostenuta come una madre; così, grazie a lei sono riuscita ad andare avanti. Bisogna sempre confidare nell’intervento della Provvidenza, anche nei casi estremi: la soluzione arriva, questo è certo! Il fatto è che tante volte smettiamo di crederci. Piegarsi, ma non abbattersi mai, perché la soluzione c’è sempre: questo me lo ha insegnato lei, che come me non ha avuto una vita semplice da affrontare. Questa maturità spirituale va di pari o con i valori autentici dell’essere umano, che rappresentano il timone col quale indirizzare il nostro viaggio sulla nave della vita. La solidarietà produce un’emozione interiore così grande che è impossibile non lasciarsi contagiare dalla sua scia. La mia narrazione è catartica perché si muove da un estremo a un altro della mia persona, liberandomi dalle pressioni interiori che un tempo mi opprimevano. Tiro le somme della mia vita e così riesco a chiudere finalmente con il ato: un peso viene meno e torno a respirare, a pieni polmoni. C’è stato un momento in cui ho temuto di toccare il fondo, di sfiorare l’abisso. Allora pensavo di essere sconfitta, mi sembrava di non poterne venire fuori. Tuttavia, quando nel corso dell’esistenza succede questo, vuol dire che si sta compiendo un salto in avanti: si evolve quando si è posti di fronte a se stessi, nel baratro della sofferenza più atroce. Oggi mi rendo conto che per troppo tempo non mi sono voluta bene. Solo in questo periodo, dopo tutto quello che mi è successo, ho imparato a farlo. Prima non riuscivo a estraniarmi dai problemi di ogni giorno, mi lasciavo sempre coinvolgere dalle vicissitudini avverse, dalle situazioni spiacevoli. Ho sempre dato più di quello che ho ricevuto, ci mettevo l’anima, anche nel mio lavoro. Questo credo abbia suscitato davvero tanta invidia, e quindi altrettanta cattiveria, soprattutto nei luoghi in cui ho vissuto durante la seconda parte della mia vita.
Il destino ha deciso che avrei dovuto intraprendere un lungo percorso di scoperta interiore, prima di approdare nel posto in cui il mio spirito avrebbe trovato ristoro. La vita non si fa col senno di poi, ma si affronta in presa diretta… e così è stato per me. Nel mio silenzio ho chiuso porte che difficilmente potranno aprirsi nuovamente e non per orgoglio, ma per rispetto verso me stessa. Con la morte di mia nonna è iniziato un periodo di vera solitudine… la mia cara amica solitudine, come la chiamavo un tempo. È diventata un valore per me, perché imparare a stare da soli ci insegna molte più cose di quanto non si creda. Osservi gli eventi in maniera diversa, considerando certi aspetti che prima non riuscivi a vedere. Di sicuro, ti insegna a comportarti in un modo che non sia superficiale: ci pensi sempre alle cose che fai, non agisci d’istinto, diventi più riflessivo. Quindi, il tuo carattere cambia, perché quando il periodo è lungo non può non avere influenze anche sul temperamento personale. La morte di mia nonna in questo ha fatto da spartiacque. È iniziato un periodo ancora più buio perché mi sono trovata a dover affrontare tutto da sola. Ho dovuto abbandonare l’università, che pure amavo profondamente; avevo ottimi voti, ma era necessario che io lavorassi per potermi mantenere, quindi fui costretta a lasciare. Non accettavo voti inferiori al ventisette, o al ventotto in alcuni casi, non ero una di quelli che si iscrivono all’università tanto per scaldare il posto accettando anche un diciotto. Mi ero iscritta a Lettere moderne, con indirizzo linguistico e ne ero entusiasta. Quello dell’università è stato un periodo che mi ha arricchito profondamente, in cui ho fatto tante esperienze interessanti. Non studiavo per diventare qualcuno, ma per amore della conoscenza: ero curiosa, volevo capire e arricchirmi interiormente. Questo fu compreso subito anche dai professori, perché partecipavo alla vita universitaria non come studente ivo, ma in veste attiva, da militante convinta. Avevo intenzione di laurearmi e magari fare qualcosa in ambito accademico, ma si vede che le cose non dovevano andare in questo modo, dato che in seguito la vita mi ha condotto altrove. Alla fine, non sono riuscita a terminare gli studi proprio perché mia nonna è morta, ritrovandomi con tutti i problemi del quotidiano che mi hanno tarpato le ali. Ho cercato di tenere duro, anche dopo, ma soprattutto per un discorso economico non è stato possibile continuare, perché quando si è da soli bisogna mantenersi in qualche modo. Non potevo pensare di tornare da mia madre, avrebbe continuato a rendermi
infelice, si sarebbe intromessa nella mia vita sentimentale, forse impedendomi di sposare l’uomo giusto. Mi avrebbe resa ancora più insicura di quanto già non fossi. La sicurezza, a ben vedere, me la sono conquistata da sola, in quei dieci anni, nei quali mi sono resa conto che sarei riuscita a fare determinate cose grazie alla forza innata che avevo scoperto in me stessa. All’inizio non avrei mai pensato di affrontare tutto questo facendo leva solo sulle mie forze… eppure, ce l’ho fatta. Ricordo che da bambina giocavo a fare la maestra. Ero destinata a fare questo lavoro, non c’è dubbio! Dai diciotto anni ho iniziato a fare qualche lavoretto grazie alle colonie estive della Caritas Diocesana, poi sono ata alle colonie diurne promosse da una cooperativa locale. In seguito, ho iniziato a lavorare nelle scuole dell’infanzia per un breve periodo e poi, sempre in virtù del mio diploma di Istituto Magistrale, sono ata a insegnare alla scuola primaria. Mi piaceva stare a contatto coi bambini, una caratteristica costante della mia vita: anche quando facevo parte dei gruppi parrocchiali mi dilettavo nel ruolo di animatrice. Sono sempre stata in mezzo a loro, forse perché ho sempre manifestato uno spirito gioviale e creativo. In occasione di alcuni recital di Natale, ho collaborato anche alla stesura dei testi e alle sceneggiature: «Tante parole per non parlar d’amore» scrivevo, per indicare coloro che pensano solo al successo, alla materialità, quando ciò di cui abbiamo bisogno è ben altro. Mettevo giù il copione, le canzoni… le condividevo con quei ragazzini che erano più piccoli di me. Prendevamo i nostri incarichi con grinta e determinazione. Due di noi suonavano la chitarra, uno il piano, e altri invece sapevano cantare. Ci mettevamo d’accordo e si imbastiva il tutto per la data stabilita. Una volta ci esibimmo anche in teatro in virtù dell’elevato numero di spettatori che venne a seguirci. Un’altra volta il nostro spettacolo venne rappresentato in chiesa, prima della messa di Natale, a mezzanotte. Fu un vero onore per noi! Già a quell’età facevo questo tipo di cose. Avevo un gruppo di catechesi molto affiatato ed io mi trovavo bene con loro. Mi sono sentita sempre a mio agio con i bambini e gli adolescenti, perché riconosco di avere uno spirito simile al loro. Mi rendo conto che oggi tutto questo può sembrare anacronistico: si vive in un’epoca in cui l’oratorio ha perso la sua funzione, e insieme ad esso anche la maggior parte delle associazioni ricreative.
D’altronde, anche la Madonna aveva preannunciato questo scenario, in una delle sue apparizioni a Medjugorje: le chiese saranno vuote, disse… i tabernacoli saranno profanati. Stiamo vivendo, purtroppo, la degradazione della Chiesa Cattolica, mediante l’ingresso della Massoneria nelle sue file. La religione di un tempo, quella autentica, non esiste più! Ci insegnano cose che non hanno niente a che fare con la vera fede, con la vera spiritualità, che un giorno rinascerà! In una delle mie visioni ho visto un frate… egli camminava verso di noi, proveniva da una regione non ben specificata della ex Iugoslavia, da una località che si affaccia sull’altra sponda dell’Adriatico. Lo ricordo con un saio scano addosso, ma non so di più. L’unica cosa certa è che quella visione si rivelerà salvifica per l’umanità. Stiamo vivendo in un’epoca molto particolare, in cui le forze oscure hanno avuto modo di distruggere tutto quello che è stato edificato in vari secoli di elevazione spirituale. Oggi l’uomo non ha più un volto “umano”: non abbiamo più rispetto di niente e nessuno, per questo ci dovremmo vergognare. Abbiamo molto da imparare dagli animali, perché ormai abbiamo perso la nostra umanità. Non so più chi siamo! Di sicuro non più gli esseri prediletti del Creato. Tuttavia, questa fase di transizione sta per finire, ma affinché ciò avvenga dobbiamo iniziare a cambiare tante cose nella nostra società! A breve accadranno degli eventi drammatici che tuttavia serviranno a purificarci, perché la gente deve capire, le cose devono cambiare! E come sempre, affinché avvenga un cambiamento significativo, bisogna toccare il fondo. Noi lo toccheremo, ma poi inizierà il risveglio, la rinascita. D’altronde, il messaggio era chiaro: l’oro si prova col fuoco, lo dicevano anche gli antichi saggi! Tutto acquista un senso se lo guardi all’interno di una prospettiva dialettica, di scontro tra gli opposti che in qualche modo dovrà trovare la sua sintesi, ed essa non potrà che pronunciarsi in nome del bene. Per quanto mi riguarda, so di essere dalla parte giusta e quindi l’avvenire non mi spaventa. Sono nata per aiutare il pianeta ad evolvere, con la presenza della mia energia, non di me stessa in qualità di singolo individuo. In un certo senso, rappresento un mezzo di propagazione per le energie positive, un ponte per raggiungere l’Illuminazione, in virtù del messaggio che ho da comunicare. Sono fiera di questo! Non tutti hanno avuto in sorte un simile destino.
A volte non vorrei ricordare, perché questo provoca in me sofferenza, ma imparare a scontrarsi con gli spettri del ato ci aiuta a distruggerli… ad attribuire un significato complessivo alla nostra esistenza. Per questo, dobbiamo farlo! Per il nostro bene e per quello di tutti gli altri. Potrà sembrare paradossale, ma noi stiamo vivendo anche l’epoca più bella della storia recente, perché ci offre la possibilità di evolvere dopo molti secoli: ora si preannuncia il momento del risveglio, in cui finalmente l’umanità riuscirà a liberarsi dalla matrix in cui è avvolta e ritroverà la sua vera essenza. Noi saremo perdonati, perché il male che abbiamo perpetuato è stato frutto di una manipolazione… qualcosa di molto più grande di noi, di cui abbiamo perso il controllo. Solo allora saremo in grado di aiutarci davvero! Il cambiamento non avverrà senza sofferenze, ma servirà a rinascere. Chi, come me, è già nato tante volte, in forme diverse, con la coscienza del suo aggio, deve contribuire a ridestare i dormienti dal loro sonno perenne. Ognuno a suo modo deve agire per modificare l’esistente. Qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta, lo sento… c’è ancora speranza per questo mondo. Ricordo che già all’età di sedici anni mi fu reso l’onore di assistere al cambio d’Era. Ho visto la Terra avvolta nel buio, non mi era dato are oltre quella cortina così spessa e osservare ciò che stesse accadendo. So solo che era profondamente buio! La Madonna stessa a Medjugorje aveva preannunciato l’ingresso nella notte già dalla sua prima apparizione. Poi, a un certo punto, vidi il pianeta con occhi nuovi: questa volta osservavo un mondo completamente diverso, una Terra cambiata in modo radicale, dove tutto era in armonia e dominava l’amore. Si respirava aria nuova, più pulita. Spero di riuscire a vederlo una seconda volta, non più sotto forma di premonizione, ma di realtà effettiva. Ho visto la Terra azzurra, come appare dallo spazio, man mano che mi avvicinavo, diventava sempre più verde, il colore della natura. Sentivo l’autenticità dei rapporti tra le persone: nella mia visione dall’alto, eterea, ho avuto una premonizione, percepivo delle sensazioni di estrema quiete e tranquillità. Tutto era in pace, si sentiva il calore umano, l’amore in ogni dove. Non si può descrivere a parole tutto ciò, bisogna sperimentarlo direttamente per riuscire a capirlo. Tuttavia, penso sia fondamentale comunicare agli altri questi
eventi, a tutti coloro che non hanno ancora vissuto niente di simile, affinché possano prepararsi nel giusto modo all’avvento. Durante l’estate per alcuni anni sono stata invitata dal padre missionario, che avevo conosciuto in Africa, al suo campeggio, in compagnia di alcuni miei coetanei di origine veneta. In quest’occasione ho fatto amicizia, sperimentando nuovi modi di approcciarsi al mondo, mentalità differenti, che furono per me fonte di ulteriore stimolo. Tramite il contatto con queste persone, ho cominciato ad aprire gli occhi: non ero io ad essere sbagliata… era il luogo in cui vivevo a non corrispondere affatto alla mia natura, al mio carattere. Fu una vera e propria rivelazione! Per tanti anni non ero riuscita a legare con la gente del luogo in cui vivevo, anche coi miei coetanei avevo difficoltà in tal senso. In virtù delle mie esperienze di vita, risultavo più matura rispetto a loro e questo, paradossalmente, mi penalizzava nei rapporti sociali. La mia vera indole è protesa alla gioia, all’allegria. Sono sempre stata spiritosa, ottimista, incapace di lasciarmi abbattermi dalle difficoltà, di darmi per vinta, ma non riuscivo ad esprimere il mio carattere perché frenata dall’ambiente chiuso, pesante, non molto solare in cui vivevo. A seguito di quel campeggio, invece, iniziai a rendermi conto di non avere nulla di cui sentirmi in colpa, che andavo bene così com’ero, non dovevo ritenermi un’esclusa dal mondo. Ho stretto delle amicizie importanti in quel periodo. Con una ragazza, in particolare, si è sviluppato un rapporto splendido; nel momento in cui ho avuto bisogno, lei c’è sempre stata, anche quando col lavoro le cose non andavano affatto bene e gli stipendi erano solo un lontano miraggio. Quest’amica mi ha aiutata in quel periodo, perché Dio vede e provvede, ne sono sicura. Se si ha fede, non bisogna mai disperare. Nella realtà sostanziale della nostra vita c’è molto più di quanto noi possiamo credere: quando meno te l’aspetti, la Provvidenza invia qualcuno pronto ad aiutarti, per risalire sulla scialuppa dopo una brutta caduta. Sono momenti di aggio questi, non facili da affrontare, ma fondamentali per evolversi: vanno superati per diventare persone migliori, più forti e resilienti. Rappresentano una sorta di prova, nel solco di un cammino arduo ma salvifico. La vita è fatta di alti e bassi, ma questo non è affatto un caso: ciò avviene affinché l’esperienza ci dia la possibilità di imparare. Sta a noi cogliere questo
senso ulteriore negli eventi della vita. Per questo tutto deve cambiare, in primis la nostra modalità d’approccio alla realtà, le lenti con cui guardiamo il mondo di fronte a noi. Quello che ci aspetta è un’evoluzione che va al di là della tridimensionalità: stiamo emergendo dal materialismo, per giungere alla verità, alla luce e alla vita dell’anima. Sarà la materia stessa a trasformarsi e noi con essa diventeremo esseri di luce, perché la nostra essenza, in fondo, è pura energia come tutto ciò che ci circonda. Se noi riuscissimo a prendere coscienza del fatto che siamo tutti collegati al medesimo campo energetico, che non vediamo, ma che ci unisce in un solo fascio di luce, il Cosmo finirebbe per apparire ai nostri occhi nella sua reale essenza… infinito.
Capitolo 6
L’abitudine ci distrugge. Ci tiene fermi nell’ozio, nell’indolenza e ci dimentichiamo del nostro compito più importante: superare noi stessi. Quando le cose appaiono troppo tranquille, c’è da preoccuparsi… così diceva mio nonno, che portò i segni di due guerre mondiali e che, quindi, sapeva bene il significato del verbo ”soffrire”. Egli aveva ragione: più ci adagiamo sul già detto, sul già visto, e maggiore sarà la nostra difficoltà nell’evolvere verso uno stadio superiore di consapevolezza. Il problema è che non tutti sono disposti a mettersi in discussione, ad uscire dalla propria zona di comfort e questo spinge alla diffidenza verso coloro che invece sono nati per trasformarsi. Tuttavia, quando meno te l’aspetti, succede sempre qualcosa che stravolge gli equilibri. Ecco che in quel caso fu un brutto incidente alla gamba, i cui postumi ancora oggi influiscono sulla qualità della mia vita. Ero andata a sciare con degli amici presso un ghiacciaio estivo, perché all’epoca nevicava anche in bella stagione, da quelle parti. Ho voluto fare quest’esperienza, ma sono finita con un ginocchio da ricostruire. Dopo quella prima caduta, fui io stessa a darmi un ulteriore colpo di grazia in un campeggio. Avevo appena ripreso i contatti con il missionario con cui ero stata in Africa, che per l’estate organizzava dei campeggi coi ragazzi. Invitata da lui in uno di questi, ci andai tutta felice, cogliendo l’occasione per compiere il mio ritiro spirituale, oltre ad allietare le mie giornate con le classiche escursioni in montagna e i giochi di gruppo. Si facevano anche preghiere e meditazioni. Fu allora che la sorte mi giocò un brutto tiro: mentre stavamo giocando su un sentiero coperto di aghi di pino, sono scivolata e finita giù per un dirupo, la mia gamba subì una torsione completa. Ecco la fine di tutto, ho pensato… ero decisamente a pezzi!
Tutto accadde nel lungo periodo oscuro di cui ho già parlato, una fase durata diversi anni, che si concluse solo con la comparsa di mio marito. Durante il primo intervento alla gamba, i medici sbagliarono a farmi l’anestesia, somministrandomi un farmaco in dose eccessiva e provocando degli effetti negativi sul mio corpo. Mi svegliai in un letto d’ospedale con un infermiere accanto che continuava a provarmi la pressione, temeva per me e quando mi vide aprire gli occhi ricordo il sospiro di sollievo che fece. Fortunatamente riuscii a riprendermi! Una volta dimessa tornai a casa, pur continuando a stare male. Mi ritrovai, sola nel mio appartamento, in preda all’ansia di non farcela a riprendere la vita di tutti i giorni. Chiamai il medico di base, che mi consigliò di recarmi nuovamente in ospedale, cosa che feci avendone uno vicino. Giunta in sala d’attesa, le mie condizioni peggiorarono repentinamente: andai in iperventilazione e intervennero d’urgenza. Non appena i medici colsero un attimo di lucidità nei miei occhi, provati dal dolore, mi chiesero se avessi qualcuno da poter chiamare. Chi avrei dovuto avvisare se non mia madre?! Istintivamente diedi loro il suo recapito e i medici le telefonarono. Lei allora conviveva con un uomo molto più giovane e abitava non molto lontano da casa mia. Anche per questo, dai diciotto anni in poi rappresentai per mia madre una rivale, piuttosto che una figlia, cosa che capii in seguito, ma che già allora non fu semplice affrontare. Dopo aver ricevuto la telefonata dei medici lei venne in ospedale e anche in quell’occasione non si smentì affatto. Entrata nella mia stanza, si dimostrò subito infastidita dall’accaduto: iniziò a sbuffare, tacciandomi di averla scomodata come se fosse stata una mia scelta sentirmi male. Evidentemente non avrei dovuto avvisarla, l’errore fu mio… però, almeno in quel caso, speravo di poter beneficiare del sostegno di una madre piuttosto che della sua rabbia ingiustificata. Mi sembrò quasi di aver turbato la sua tranquillità facendola chiamare in ospedale in cerca di aiuto… ora cosa avrebbe dovuto fare con me? Non poteva certo prendere sua figlia a casa e occuparsi di lei una volta tanto… no, questo era impensabile! Mi disse che le avrei creato ulteriori problemi, poi prese a gironzolare nervosamente per la stanza, del tutto incurante del mio malessere. Fu così che al dolore fisico si aggiunse, ancora una volta, l’immane sofferenza psicologica
arrecatami da quella donna, che non ebbe nemmeno il buon cuore di impietosirsi dinanzi a un letto d’ospedale. Accadde allora che un medico del reparto, sentendola urlare e inveire contro di me, la fermò… accompagnandola all’uscita. Non so cosa si siano detti, ma di sicuro quell’uomo non le risparmiò una bella ramanzina. Dimessa dall’ospedale, per qualche giorno rimasi con lei, subendo in silenzio le sue continue recriminazioni; poi, appena riacquistai le forze necessarie per muovermi in autonomia, tornai a casa mia, non priva di un tremendo senso di disgusto per l’ennesima manifestazione di “grande benevolenza” da parte di colei che mi aveva generato. In seguito all’artroscopia avrebbero dovuto ricostruirmi i legamenti, ma dopo quell’episodio non fu possibile operarmi subito. Nel frattempo, dovevo lavorare e facevo molta fatica ad andare avanti. Dovetti attendere fino a gennaio dell’anno dopo per fare il secondo intervento e per me fu difficile continuare a svolgere le attività di tutti i giorni. Avevo preso una fascia ortopedica per sostenere il ginocchio e alleviare il dolore continuo che provavo mentre ogni mattina mi recavo a svolgere il mio lavoro. Quando subii poi l’intervento di ricostruzione mia madre venne a trovarmi una sola volta in ospedale, per il resto mi dovetti arrangiare da sola, come sempre. Me la son vista brutta! Tra l’altro, in quel periodo abitavo al quinto piano di un palazzo senza ascensore, quindi era una faticaccia salire e scendere ogni volta, senza nessuno che potesse darmi una mano. Un giorno caddi mentre salivo le scale del condominio con le stampelle. Per fortuna, anche in questo periodo, giunse la Provvidenza ad assistermi, dandomi la possibilità di incontrare due persone di Roma, che furono molto gentili con me. Si trattava di una giovane coppia, Paola e Luciano, che conobbi tramite un’amica in comune e con cui feci amicizia sin da subito, c’era notevole affinità tra di noi. Mi venivano a trovare, mi davano una mano con la spesa e con altre faccende domestiche; si dimostrarono due persone squisite che ricordo ancora con grande affetto e gratitudine! In dieci anni la mia vita non è stata mai semplice: non è facile oggi ricordare, mi riesce a fatica, ma devo farlo. Alcune cose, adesso, posso affrontarle e non mi fanno più male, in tutto questo tempo sono rimaste depositate in un cassetto che non riuscivo ad aprire.
In quel periodo buio ero completamente sola. La presenza di quella coppia è stata fondamentale: ha rappresentato l’ennesimo segno della Provvidenza nella mia vita, un piccolo miracolo, che arriva all’improvviso e se ne va, nel momento in cui tutto il male è ormai ato. Così, le persone entrano ed escono dalla nostra vita in momenti ben precisi, mai a caso, per svolgere il loro compito, magari per insegnarci qualcosa, oltre che a darci aiuto materiale, perché così dev’essere! Ho avuto più amicizie sincere lontano dal luogo in cui abitavo… lì la gente non è mai stata troppo clemente con me. Per le mie coetanee sono sempre stata una potenziale antagonista, l’oggetto delle loro invidie e gelosie, erano solo attente all’esteriorità della vita, non guardavano all’essenziale. Le uniche cose a cui badavano erano il successo, il denaro, la reputazione. Anche per questo sono uscita dai gruppi parrocchiali: c’era troppa ipocrisia per i miei gusti. In virtù di queste esperienze ho capito che una cosa è la religione e un’altra è la spiritualità. Nella nuova Era i vari Credi religiosi verranno pian piano superati, da una consapevolezza sempre maggiore verso l’unico, vero bene, emergerà una forma nuova di spiritualità. Se l’essere umano procede nella sua evoluzione, non ha bisogno di religioni: gliene basta una sola, perché Dio è lo stesso per tutti e quindi si approda alla vera Fede. C’è molta ambiguità negli ambienti di parrocchia, troppa falsità! Io invece ero pratica: sentivo di dover aiutare gli altri, ma in un contesto diverso, difatti poco dopo sarei entrata in un’associazione di volontariato che si occupava di pronto soccorso e anche questa esperienza mi servì a capire chi fossi realmente. Prestare aiuto al prossimo, entrando in contatto diretto con la sofferenza altrui: era questa la cosa più importante in quel momento, non la dottrina. Ho ato troppi anni in ritiro con me stessa, da sola… la mia mente non li ricorda neanche bene come a volerli dimenticare. Avevo ventinove anni quando feci l’intervento: il medico mi disse che se ne avessi avuti trenta sarebbe stato troppo tardi. All’epoca, facevo ancora la supplente e quindi avevo la necessità di spostarmi di volta in volta per raggiungere il posto di lavoro. Sono stata fortunata, tutto sommato, perché non mi hanno mai mandata troppo lontana da casa, tranne un anno in cui ho insegnato in un paesino ad un’ora di distanza, proprio nel periodo in cui incontrai mio marito.
Lo conobbi tramite Clara, una donna di una certa età che frequentava molto la parrocchia e faceva parte della Comunità di San Vincenzo, dove si davano appuntamento gli anziani del posto, per farsi compagnia e are del tempo piacevole insieme. In quel momento ero parecchio demoralizzata e avevo assoluto bisogno di distrarmi. Lei mi aiutò a riprendermi, comunicando nel modo giusto con la mia anima ferita. È stata una persona eccezionale con cui ancora oggi sono in contatto. Purtroppo, anche a lei capitò di perdere un figlio, esperienza di cui non ha mai voluto parlare, nonostante il nostro rapporto di fiducia, per non soffrirne ulteriormente. La nostra amicizia è durata negli anni, anche se siamo lontane, perché i rapporti autentici non conoscono distanze. All’epoca, si recava in montagna durante l’estate da un’amica e una volta mi invitò ad andare con lei. In tale occasione mi fece conoscere una ragazza che si trovava in condizioni di estrema difficoltà, chiedendomi di aiutarla. Riuscendo bene nel mio intento, mi fu proposto dalla sua famiglia di rimanere una settimana in casa loro per trascorrere in compagnia il periodo di riposo. Io accettai e il nostro rapporto si intensificò ulteriormente. Arrivai in una fase critica: i suoi genitori non sapevano più a chi rivolgersi, la figlia era sotto cura di psicofarmaci, ma continuava ad essere molto depressa. Cercai di aiutarla in tutti i modi, standole vicino, facendola distrarre… mi presi a cuore la sua vicenda! In lei rividi quella sofferenza che per tanti anni avevo sperimentato su me stessa, anche se in forma diversa. Nelle settimane trascorse insieme, la ragazza sembrò riprendersi ed io mi sentii sollevata, ero felice di vederla migliorare giorno dopo giorno. Fu proprio in quell’anno che vidi per la prima volta l’uomo che sarebbe diventato poi mio marito. Lui aveva una casa estiva proprio in quella località di villeggiatura, era originario di Roma, città che ancora una volta tornerà nella mia vita, ricoprendo un ruolo di primo piano. Ci presentarono di sfuggita, lui andava di corsa e la prima cosa che pensai quando lo vidi fu: “Che scoppiato!”, non avrei mai immaginato che un giorno ci saremmo messi insieme. Si dice che tutti i grandi amori nascano così… per caso. L’anno dopo, mi ritrovai a trascorrere le vacanze sempre in quella zona di montagna, ospitata dall’amica di Clara. Durante quel periodo tornai dalla famiglia della ragazza che l’anno prima avevo seguito e, in virtù del mio ritorno,
organizzammo una grande cena con diverse persone del posto. In tale circostanza ricomparve anche quel fantomatico ragazzo che un giorno avrei scelto per compagno. Scoprii che il suo nome era g., anche lui era amico di quella famiglia; ò di lì per salutarci, era appena arrivato, dopo un lungo viaggio da Roma. Si fermò pochi minuti, giusto il tempo di adempiere ai convenevoli, poi andò via… Io stavo preparando le pizzelle, quando lo vidi in lontananza e allora dissi alle altre persone presenti: «Perché non invitiamo anche lui?». In quel momento g. era lì con sua madre, la quale di fronte alla nostra proposta gentilmente declinò, decidendo sia per lei che per suo figlio. Allora pensai di preparare alcune pizzelle apposta per lui e gliele portai… così, la mia futura suocera si convinse e lo lasciò venire a cena con noi. Quando lo conobbi stava affrontando un periodo di crisi con la sua ragazza di allora, originaria di Parma, anche lei con una casa estiva in quel posto. Lui non era molto convinto della sua relazione e quella sera, a cena, si sfogò con noi. La serata, poiché quello era il periodo delle feste campestri, ci portò poi a decidere di andare tutti a ballare. Fu lì che avvenne il nostro primo contatto, il momento in cui scattò la chimica dell’amore, la scintilla. Vedevo in lui qualcosa di simile a me, c’era complicità… per la prima volta dopo tanto tempo mi sono sentita rinascere. g. è stato un faro nella notte, la luce che irrompe nelle tenebre per indicarti la strada. Dopo averlo conosciuto, la mia vita subì una svolta: il tragitto è più semplice quando si cammina in due. Si sta insieme e ci si sostiene a vicenda. Mio marito è una persona profondamente buona, forse anche troppo, e a volte a per ingenuo proprio in virtù di questa sua estrema purezza d’animo. Per questo, in certe occasioni l’ho dovuto anche scuotere, per non lasciarlo irretire nelle maglie dell’inganno altrui. A dispetto mio, egli ha sempre vissuto sotto l’egida di sua madre, da buon figlio unico. Su di lui si riversarono tutte le attenzioni dei genitori che purtroppo persero due figli, nati qualche anno prima. Poi, per miracolo, la madre riuscì finalmente a partorire il suo unico bambino, a seguito di una gravidanza molto incerta e travagliata, come ebbe modo di raccontarmi. Nel ricordare il giorno in cui conobbi mio marito, mi viene in mente una cosa
alquanto particolare, che non riesco a dimenticare: durante la mia adolescenza, quando studiavo ancora alle magistrali, in uno dei momenti di sconforto in cui parlai col mio angelo custode, gli chiesi se un giorno avrei trovato l’amore della mia vita, perché temevo di restare sola per sempre. Ne ricevetti una risposta emblematica: mi disse che un giorno l’avrei trovato, avrebbe avuto gli occhi azzurri e i capelli biondi. Poi mi disse di aprire la mano sinistra perché sul palmo avrei scoperto l’iniziale del suo nome. Nella mia mano si era formata la lettera g che corrisponde infatti all’iniziale del nome di mio marito. Il mio angelo fu molto restio a darmi altre informazioni. Dal canto mio, continuai a chiedergli come mai non potessi incontrarlo subito. Egli mi rispose che non era ancora giunto il momento: sarebbe stato troppo pericoloso anticipare i tempi, le forze del male non me l’avrebbero permesso. Non mi era dato conoscerlo prima di allora, lui doveva essere protetto. Anche le forze oscure hanno un loro peso nella nostra vita, ecco perché alcune cose devono rimanere nascoste e quando arriva il momento giusto bisogna proteggerle. Con mio marito è stato il destino ad agire. È stata la Provvidenza ad unirci, a venirmi incontro. Dovevo riprendermi da un periodo troppo buio per un comune mortale, altrimenti non avrebbe avuto alcun senso andare avanti, per questo è comparso lui… A quel punto, la chimica è stata reciproca! All’epoca ero ospite in una casa di montagna, piuttosto vecchia, quelle case di una volta dove non c’erano nemmeno i telefoni, g. sapendo che io stavo per partire, mi aspettò più di un’ora e mezza, fuori dal portone di quella casa, perché desiderava avere il mio numero di telefono. Quando finalmente uscii me lo trovai davanti… Questa cosa mi conquistò definitivamente! Una persona che si comporta così, ci tiene veramente a me, mi dissi… non posso lasciarlo andare! g. mi diede il suo numero di telefono, ma io non feci altrettanto. Lui che per primo trovò il coraggio di farsi avanti e me lo chiese, finì per darmi il suo senza ricevere il mio in cambio. Sono stata perfida, lo ammetto! Effettivamente, gliene ho fatte are tante, prima di lasciarmi conquistare.
Dopo la mia partenza, lo feci bollire nel suo brodo per qualche tempo, una settimana o dieci giorni all’incirca. Tra l’altro, lui aveva ancora una relazione in ballo e non volevo trovarmi invischiata in ulteriori problemi. Poi un giorno, mi decisi a chiamarlo, perché il mio pensiero non faceva altro che rivolgersi a lui. Quando gli telefonai, era in macchina con un suo amico, stavano andando a prendere un rampichino. Mi rispose tutto contento… era al settimo cielo! Fu allora che mi decisi a dargli il mio numero e da quel momento prendemmo a sentirci spesso, fino a quando non andai a trovarlo nuovamente in montagna. Volevamo incontrarci al riparo da sguardi indiscreti, perciò ci demmo appuntamento in un posto nelle vicinanze, ma lontano da amici e parenti. È stato proprio in quell’occasione che decidemmo di metterci insieme. Prima di ritornare ognuno alla propria vita, ci scambiammo le rispettive foto, con la promessa che ci saremmo rivisti presto. g. è più giovane di me, ha nove anni in meno, anche questo mi ha un po’ frenato all’inizio. Poi, però, mi sono convinta a frequentarlo, perché nonostante la differenza d’età mi sono subito resa conto della sua spiccata maturità. È una persona molto intelligente e sensibile, d’altronde è un Cancro. Dicono che di fronte alla persona giusta l’età non conti ed effettivamente il tempo mi ha dato ragione! Lui è cresciuto nell’ambiente militare: mio suocero desiderava per il figlio una carriera nell’Esercito. Lì ne ha ate di tutti i colori. Ha trascorso alcuni anni nelle Forze Armate, poi, non senza difficoltà, è riuscito ad uscirne. In fondo, abbiamo fatto una scelta insieme, per il bene di entrambi. Quando ci siamo conosciuti, g. aveva alle spalle alcuni anni di servizio nell’Esercito come ufficiale di complemento, aveva ventisette anni, poi in seguito a un concorso per entrare in servizio permanente effettivo, prese servizio a Venezia spinto soprattutto dalla famiglia. Chiaramente ho dovuto faticare per farmi accettare dai suoi genitori ed è stato difficile superare le iniziali ritrosie di mia suocera. Non credo che all’inizio lei fosse molto d’accordo… inoltre, essendo il suo unico figlio, era molto protettiva nei suoi confronti: g. rappresentava tutto il suo mondo. Alla fine, però, anche lei si rese conto che il nostro rapporto era una cosa seria,
che teneva duro, e quindi sembrò rassegnarsi all’idea di avermi come nuora. Così, dopo due anni dal nostro fidanzamento, ci sposammo nel 1998. Nonostante ciò trascorsero ben sette anni prima che mi accettasse definitivamente e mi chiedesse scusa. Io e mio marito ci siamo sempre detti tutto, cosa fondamentale in una coppia degna di questo nome, e una volta parlando tra di noi ci siamo resi conto di quanta importanza i suoi genitori riservassero agli altri. Erano come ossessionati dall’opinione che la gente aveva di loro, volevano sempre are per gente di un certo livello con una vita perfetta, preservare le apparenze a tutti i costi. Un’attenzione spasmodica al parere altrui. In seguito al nostro matrimonio, mia suocera si trasferì da Roma stabilendosi in pianta stabile nella loro casa di montagna, ad un’ora di distanza da noi. Io e g. andavamo a trovarli nel fine settimana, ma ogni volta c’era tutta la compagnia riunita ad attenderci: amici e conoscenti sempre pronti a giudicare e ficcanasare. Erano abituati a un ambiente superficiale come quello del Ministero, dove lavorava mio suocero, e si erano assuefatti purtroppo al culto delle apparenze. Anche l’ambiente dell’Esercito in cui mio marito ha lavorato nei primi anni, si è rivelato fin troppo superficiale: rappresenta un mondo a sé. Tutti credono di essere chissà chi, si sentono superiori, in diritto di guardare gli altri dall’alto in basso. Anche per questo, in quell’ambiente mio marito non si trovava affatto bene e ne soffriva molto. Io allora, sempre grazie alla forza di volontà che mi contraddistingue, gli dissi che se avesse voluto lasciare quel posto, avrebbe potuto trovare lavoro, dove vivevo, più facilmente e magari superare altri concorsi pubblici. Prima di sposarmi pensavo di stabilirmi in Veneto, perché lì avevo i miei migliori amici, più socievoli e aperti rispetto alla gente di quel luogo in cui vivevo, ma feci il sacrificio di rimanere ancora un po’ per accontentare mio marito. Certo, non ne fui molto contenta, perché in ato avevo sofferto molto e quindi non mi trovavo più a mio agio in quel posto. Tuttavia, per lui ho fatto anche questo sacrificio. Un giorno ci sarei riuscita, ad andarmene, ma non era ancora giunto il momento! Con g. è stato bello parlare, fin dall’inizio. È stata la cosa che ci ha uniti fin dal primo giorno. Anche durante quella prima settimana in cui siamo andati alle feste campestri, quando lui esordì parlandomi dei suoi problemi con la fidanzata,
avemmo occasione di confrontarci sui nostri destini e di conversare piacevolmente. Ci siamo subito trovati a livello di affinità caratteriali e di pensiero. Questo ci ha avvicinato più di ogni altra cosa: con lui si poteva affrontare qualsiasi argomento. La nostra storia è stata un transito ininterrotto, un continuo aggio da uno stadio all’altro: una vita in viaggio, fin dal nostro primo incontro. Ci siamo spostati in varie città, senza mai fermarci. Nel piccolo, come nel grande, la nostra relazione è un procedere in divenire. Abbiamo viaggiato moltissimo, anche all’estero, già in occasione del nostro viaggio di nozze, quando decidemmo di andare in Francia. Avevo studiato molto bene la storia e la cultura se quando frequentavo l’Università – seguii anche un corso ad Angers – ed eravamo desiderosi di visitarla in ogni suo aspetto. Perciò organizzammo un tour dei posti più belli e caratteristici di questa splendida nazione: visitammo i tanto nominati castelli della Valle della Loira, ma soprattutto Parigi, una città sensazionale, dalla sublime carica evocativa. Poi, ci siamo spinti fino in Bretagna e a Mont Saint-Michel, un meraviglioso isolotto situato presso la costa settentrionale della Francia, sul quale venne costruito un santuario in onore di San Michele Arcangelo, una delle figure spirituali che più hanno caratterizzato il nostro percorso. Nella mia vita, infatti, questo Santo ha giocato un ruolo fondamentale, anche se inizialmente non lo sapevo: si era palesato ai miei occhi, con forza e vigore, proprio nel periodo in cui ho conosciuto mio marito. Non eravamo ancora sposati ed io non avevo mai visto una sua raffigurazione, fino a quando, un giorno non entrammo in una piccola chiesa, che si trovava nei pressi di casa sua, in montagna: lì lo vidi, in tutto il suo splendore, con la spada nella mano destra… mi colpì fortemente, ne rimasi folgorata! Questo fu uno dei motivi per cui decisi che il nome che avremmo dato al nostro bambino sarebbe stato proprio Michele. La mia vita dopo l’incontro con g. cambiò completamente! Lui è stato capace di darmi tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento: mi ha fatto ridere, riflettere, emozionare; mi ha offerto sicurezza, una spalla solida su cui potermi appoggiare nei momenti di difficoltà. Dopo tutto quello che avevo vissuto, finalmente un po’ di tranquillità e serenità giunse con la sua presenza. Un giorno, infatti, qualcuno mi disse: «Arriverà una persona nella tua vita che ti amerà così tanto da permetterti di superare il ato… una persona che entrerà nella tua esistenza sconvolgendo ogni cosa: senza nemmeno chiedertelo, sarà in
grado di colmare tutte quelle mancanze da farti dimenticare quanto tu abbia sofferto!». Quelle parole furono profetiche, ebbero il peso di un oracolo delfico, perché così è stato: g. è arrivato al momento giusto e mi ha cambiato la vita! Con lui ho scoperto la bellezza del dialogo, della condivisione, della partecipazione; a lui potevo confessare tutte quelle cose che da sempre percepivo, ma che il resto del mondo non riusciva a vedere: gli parlai soprattutto della mia esperienza prenatale, dei miei ricordi prima di nascere. Fu la prima volta che una persona mi ascoltava dando piena fiducia alle mie parole, senza giudicarmi. g. crede in me e in ciò che di vero mi è successo. Egli mi ha sempre capito e ato nelle mie scelte più importanti. Ho scoperto che a volte la vita inizia proprio quando pensi sia finita, quando tutto ti crolla addosso… quando decidi di buttare la chiave del tuo cuore a un’anima, la raccoglie, e con gentilezza ed un sorriso ti chiede se sia tua. Non si tratta semplicemente di fare innamorare un altro essere umano, ma di riuscire a fare battere nuovamente il cuore di una persona ferita… di una donna che per anni aveva chiuso la porta segreta dell’anima perché troppo delusa dal suo ato.
Capitolo 7
Gianluca mi ha fatto rinascere! Abbiamo condiviso dei momenti bellissimi insieme. Tra noi c’è stata fin da subito una carica magnetica impressionante, un’attrazione fortissima che ci ha portati a credere nella nostra unione da quel momento in avanti, nonostante le difficoltà che la vita ci ha posto di fronte. C’è qualcosa di telepatico tra noi, che non è mai venuto a mancare. Oltre a questo, ciò che rende indissolubile una coppia è il rispetto, la complicità, l’ironia; la componente burlesca, infatti, risulta fondamentale per superare le avversità, e tra noi due non è mai mancata. Per fortuna ho incontrato lui e tutto è tornato a sorridere. Abbiamo intrapreso un bel cammino insieme, protetti dai nostri angeli custodi e dalla mia cara amica Clara: lei e suo marito ci hanno accompagnati all’altare, un’esperienza indelebile, carica di significato per entrambi. Ogni anno festeggiamo con loro il nostro anniversario di matrimonio. Ci siamo sposati subito dopo Pasqua, in corrispondenza della festa della Divina Misericordia, ma io non sapevo cosa fosse; fu Clara a spiegarmi l’importanza simbolica di quel giorno, in cui la grazia di Dio si riversa sulle anime che si avvicinano alla sorgente della sua infinità bontà. Lo spirito si accosta alla Confessione e alla santa Comunione, ricevendo il perdono totale delle colpe e dei peccati. La mia amica mi fece riflettere sul dono immenso ricevuto in sorte, mio marito, e mi indusse a ritenermi fortunata per quella splendida occasione che mi fu concessa. Camminare in due sulla strada impervia della vita significa affrontare al meglio le sfide che essa ci pone davanti, superando gli ostacoli tenendosi per mano. L’altro ti sostiene nelle tempeste e tu riesci a sconfiggere ogni avversità. Migliorarsi reciprocamente, senza darsi mai per vinti: questo è l’amore. Per g. non fu semplice prendere la decisione di uscire dall’Esercito, perché la pressione dei genitori si faceva sentire. Loro auspicavano per lui la stessa carriera del padre e quindi la sua scelta fu letta come un tradimento e un disonore per la famiglia. Dal canto suo, mio marito scoprì di non essere portato
per quel tipo di lavoro, non era ciò che avrebbe voluto fare nella vita. Quell’ambiente non gli apparteneva affatto. I soprusi erano all’ordine del giorno e le gerarchie fin troppo rigide. Nei primi anni di fidanzamento la nostra è stata una relazione a distanza, facevamo sempre avanti e indietro col treno pur di riuscire a vederci il più possibile. Era anche il periodo degli scioperi ferroviari, una cosa allucinante! Nel frattempo, continuavo a lavorare come maestra di scuola primaria e l’ultimo anno prima di sposarci andai incontro a una vera Odissea! Impiegavo più di sette, otto ore per arrivare a Roma in treno, fra scioperi e ritardi sempre all’ordine del giorno. Nonostante questo, siamo stati vicini anche se lontani, perché ad unirci è stato un amore sincero, che travalica le distanze e le contingenze del tempo. Se siamo riusciti ad amarci a distanza, senza che il nostro sentimento si affievolisse in alcun modo, vuol dire che in principio la nostra storia era destinata a durare, e infatti così è stato. Se il sentimento è autentico non ci sono distanze che tengano. Iniziammo a sentire il bisogno di fare un o ulteriore e allora decidemmo di sposarci. D’altronde, non riuscivamo più a vivere lontani, sentivamo il bisogno di condividere tutto e stare insieme! Nei primi tempi, lui fu costretto a fare il pendolare, per via del suo lavoro. Io lo sostenevo al telefono durante il tragitto. Abituato al bel clima romano, g. accusò l’impatto con le rigide temperature del nord Italia. Il freddo e la nebbia si facevano sentire! Dopo cinque anni in servizio, riuscì finalmente ad uscire dall’Esercito, proprio nell’anno in cui iniziarono le missioni all’estero. Per tutti e due fu un grosso sollievo. Certo, per g. non è stata una decisione semplice, ma rappresentava ciò che in cuor suo desiderava fare. Il mio sostegno non gli è mai venuto a mancare, specialmente in quel periodo. Dopo le dimissioni, ha lavorato inizialmente per un privato, per poi superare un concorso pubblico come assistente amministrativo presso l’università e si è posizionato terzo, senza alcuna raccomandazione. Questo percorso gli è servito anche per sganciarsi dalla madre, che negli anni lo aveva reso molto insicuro: era una donna alquanto possessiva, sebbene avesse sofferto anche lei in ato e questo in parte giustificava il suo modo d’essere. Tuttavia, riuscire ad ottenere qualcosa nella vita facendo affidamento solo su se stesso e sulla propria bravura, senza l’aiuto di nessuno, credo sia stata una grandissima soddisfazione per mio marito. Vincere quel concorso è stato di sicuro un grande o!
Negli anni a seguire, ha svolto un apprezzato lavoro presso il Dipartimento di Criminologia, un campo decisamente all’avanguardia per gli standard italiani, ricoprendo anche ruoli di responsabilità; tant’è vero che quando è giunto il momento di trasferirci a Roma, tutti i suoi colleghi non volevano lasciarlo andare. Hanno cercato di boicottarlo in ogni modo, per loro si trattava anche di una questione di principio, ma soprattutto di orgoglio. Tuttavia, noi avevamo delle precise esigenze in quel periodo, mia suocera era venuta a mancare e mio suocero era tornato a Roma, e quindi abbiamo fatto di tutto per trasferirci nella Capitale. A quei tempi avevamo intrapreso un percorso simile a livello di crescita personale. Anche per questo il nostro è stato un rapporto di armonia e simbiosi, in cui si andava di pari o, crescendo insieme, per migliorarsi a vicenda. Tra di noi è andata a gonfie vele, fino a che non mi sono ammalata, ma questa è un’altra storia! Nel frattempo, era venuto a mancare mio padre. Poco prima che morisse, g. ebbe l’occasione di sentirlo al telefono. Egli era un uomo dalla doppia personalità, che svolgeva pratiche misteriose e occulte. Basti pensare alla famosa, quanto angosciante, storia del pugnale. Sentendolo al telefono, anche mio marito rabbrividì al suono della voce ambigua e sibillina di quell’uomo. Un timbro capace di indurre disagio nel prossimo. Ascoltate le sue parole, g. si rese conto di quello che era stato mio padre, una persona da cui tenersi a debita distanza. Anche attraverso quel breve incontro telefonico mio marito ha cominciato a capire: nella sua vita certe cose non erano mai apparse, quindi aveva bisogno di maggior tempo per assumerne consapevolezza. Certi argomenti, certe esperienze finché non le vivi sulla tua pelle non puoi comprenderle a pieno, fai fatica a crederci. Solo allora ha iniziato ad aprire gli occhi e capire quanto gli avevo raccontato della mia famiglia. Mentre eravamo in viaggio di nozze a Parigi, mi è rimasta impressa una visita fatta alla basilica del Sacro Cuore: entrata in questa chiesa, ho provato un’emozione fortissima, delle sensazioni molto particolari. Ebbene, fu proprio allora che appresi la notizia della morte di mio padre. Ricevetti una telefonata che mi avvisò della sua scomparsa… un misto di ricordi e impressioni contraddittorie affollò la mia mente. In quel preciso istante, nel cielo notai qualcosa di singolare: ricordo che le
nuvole si aprirono e comparve d’improvviso un’immagine simile a una croce. Lo feci notare anche a g. e ci chiedemmo quale significato potesse avere. La vita ci parla anche in questa maniera: attraverso dei segni che diventano simboli perché assumono un significato decisivo, che tocca a noi riuscire a interpretare. In alcuni casi ciò diventa possibile, in altri invece no. Per lo meno, io e mio marito abbiamo potuto condurre la nostra vita lontani, al riparo dalle due persone che avrebbero potuto minarla drasticamente, interferendo nel nostro matrimonio: mio padre e mia madre. Col tempo, ho cercato anche di realizzarmi nel lavoro, facendo dei corsi di formazione per insegnare l’italiano ai bambini stranieri, e così creare dei laboratori ad hoc, proprio per loro. Quel lavoro mi piaceva molto, mi gratificava, ma non ho avuto la fortuna di lavorare in un ambiente che fosse all’altezza delle mie aspettative, soprattutto da un punto di vista umano. Il mio rapporto con i colleghi in molti casi non è stato idilliaco, perché spesso ho trovato persone che si sentivano in competizione con la sottoscritta, che invece di aiutarmi pensavano bene di mettermi in difficoltà, calunniarmi per invidia. Se penso al mio percorso lavorativo, nella sua interezza, non credo di aver conosciuto molta gente collaborativa, disposta a capirmi e a venirmi incontro. Forse, ciò è dipeso, in buona parte, dal posto in cui vivevo, ma in generale il contesto scolastico mi ha un po’ deluso. Poi è accaduto di nuovo… ho cominciato ad avere problemi di salute e a sprofondare nel buio: ho dovuto abbandonare i miei bei propositi per causa di forza maggiore. Certo, non è ancora detta l’ultima parola: forse riuscirò, un giorno, a realizzare il mio progetto educativo, perché non sempre ciò che crediamo esser perso, lo è davvero… tutto il bene perduto può tornare, magari in altra forma, ma sempre identico a se stesso. Anche perché, il più delle volte, ci aspettiamo che le cose arrivino in un modo prestabilito, ma alle fine esse si presentano in modalità inedite, che ci sorprendono e che apprezziamo a maggior ragione. Per sopravvivere ho dovuto dimenticare, cancellare dalla mia mente i lunghi anni i cui mi è sembrato di annegare nell’oblio, coi miei pensieri più tristi. A noi talvolta sembra di aver rimosso il peggio, ma in verità non è così, perché fino a che ogni ferita non verrà rimarginata, le porte della memoria rimangono sempre
socchiuse. E allora bisogna lottare con tutte le forze a disposizione, per affrontare i propri scheletri e distruggerli, senza lasciarsi contaminare dalle energie negative. Nel pensiero orientale, colui che combatte è la persona più mite ed equilibrata, perché fa della propria armonia la sua grandissima forza energetica. Io sono una guerriera in questa precisa accezione: sono forte e resiliente pur restando ferma! D’altronde, non si cade solo una volta nella vita… è un continuo susseguirsi di buche e ostacoli. L’importante è sapersi rialzare. Ma non sempre è facile. Durante il periodo di malattia g. si è fatto prendere dal susseguirsi degli eventi e, col senno di poi, non ha affrontato nel giusto modo le difficoltà. Credo sia stato un po’ debole in questo, ma non gliene faccio una colpa, la fragilità non va mai condannata, bisogna sempre comprenderla! Arrivare a questo tipo di consapevolezza, mi ha fatto crescere e maturare. Dovevo capire ancora tante cose. Così come si nasce da soli, si muore da soli: ciascuno di noi vive in prima persona l’esperienza della morte, anche il senso della vita si può trovare soltanto in forma individuale. Lo cerchiamo insieme agli altri, certo, ma lo scopriamo in solitudine. Una persona accanto ci può sostenere, ci accompagna nel cammino, nei momenti di gioia e di difficoltà. Ma non bisogna mai dimenticare che siamo sempre soli, dinanzi a noi stessi, nell’istante della verità… e quindi tutto il lavoro di introspezione va costruito giorno dopo giorno, autonomamente, non lo ricevi certo da qualcuno. Il senso della vita va ricercato prima dentro di sé, poi nel mondo. Non bisogna mai aspettarsi di trovare una persona pia che ce lo restituisca, tutto intero… è già nostro, ma dobbiamo trovarlo da soli. La mia vita, in fondo, è stata questa: un perenne cammino verso la consapevolezza del Sé. Nella quotidianità della mia esistenza sono riuscita a cogliere dei significati che sono emersi strada facendo, che mi hanno arricchita e che mi rendono la persona che oggi so di essere. E questo dovrebbe servire anche agli altri, mi auguro, come forma di testimonianza, per capire che di fronte al male c’è rimedio. Questo è il periodo del Risveglio, quindi mi chiedo: se non ora, quando? In fondo, ognuno di noi intraprende un percorso diverso, ma il punto d’arrivo è sempre lo stesso: la spiritualità è una sola, e ricongiunge tutti noi entro
quell’orizzonte comune che fa da sfondo all’esistenza. La vita di ognuno rappresenta una declinazione diversa della stessa fondamentale sinfonia, in cui il singolo musicista esegue la sua parte, per far in modo che l’intera orchestra possa risuonare in profonda armonia ed elevarsi nel Cosmo, nella consapevolezza che ogni individuo sia portatore di un compito… un piccolo compito personale da svolgere su questa Terra. A quanto pare, il mio sarebbe stato quello di elevare il grado di consapevolezza, attraverso questo sforzo contribuire all’evoluzione degli altri esseri umani, perché il lavoro spirituale di ognuno di noi non serve solo ad elevare se stessi: produce un miglioramento globale, che investe l’intero pianeta. Tuttavia, il prezzo da pagare per raggiungere un tale scopo non è indifferente. Il destino aveva in serbo per me un’altra dura prova, da affrontare con coraggio e saggezza. È stata una cosa che in quel momento non mi aspettavo, ma che dentro di me ho sempre saputo. Già durante il corso prematrimoniale non ero molto convinta di avere figli. Francamente, avevo molti dubbi in tal senso, qualcosa mi diceva che non ne avrei avuti e, difatti, così è stato. Quell’esperienza ha avuto un impatto determinante su di me. Sapevo chi fosse il piccolo uomo che portavo in grembo… quella creatura in procinto di venire al mondo, quel bambino mai nato. Ognuno di noi ha il suo percorso da compiere, ormai lo sappiamo. Alcuni sono destinati ad avere figli, altri no, ma questo non accade per caso. Al contrario, c’è un disegno più grande che ci determina in qualità di esseri umani e ci affida un destino ben preciso. Il problema è che al momento presente risulta difficile comprendere quale esso sia, lo scopriamo solo in seguito. Più volte mi sono chiesta come mai proprio io non dovessi avere figli. Ero destinata a non averne, l’ho sempre sentito dentro di me. Non era quella la tappa successiva del mio cammino. Spesso l’esperienza della maternità avviene in persone molto legate al mondo esteriore; ecco che un figlio si trova ad essere ostacolato nelle sue scelte, quando invece bisognerebbe indirizzarlo, per poi lasciarlo andare per la sua strada, affinché possa compiere quel cammino in piena autonomia. Parafrasando Khalil Gibran, un figlio è una freccia che una volta scoccata, bisogna lasciar andare: il genitore è l’arco che lo lancia verso il domani, ma nel suo mondo egli non può entrare. Bisogna aiutarlo a crescere, ma fino ad un certo punto. Poi è necessario che il distacco avvenga, altrimenti non si tratta più di
amore, ma di possesso. Questo non è sempre facile da recepire per un genitore, anzi, si rivela fonte di numerosi problemi. Non è una cosa tanto scontata riuscire a distaccarsi da un figlio. Evidentemente, nel mio caso questa esperienza doveva svolgersi in forme inedite, esplicitandosi in chiave diversa. Per alcuni anni, mi è anche pesato il fatto di non poter avere figli. La società mi spingeva a viverla come una menomazione, un difetto, specie per una donna. Io che per tutta la vita mi ero sentita diversa dagli altri, continuavo a provare questo senso di alienazione anche in quel caso. Tutti i miei colleghi avevano figli ed io no, quindi ciò suscitava domande fuori luogo che in più di un’occasione mi sono state rivolte, senza peli sulla lingua. Sembrava inconcepibile che una donna non avesse figli, come se si trattasse di una tappa obbligata, standardizzata, omologata. Ma io credo che il più delle volte un figlio, più che un atto d’amore incondizionato, si riveli espressione di un’estrema forma di egoismo, derivata dalla paura di rimanere soli. Anche per questo una donna non deve sentirsi “inferiore” o “diversa” se sceglie di non averne: ella è donna a tutti gli effetti, a prescindere dall’esperienza della maternità, questo è importante che si comprenda al più presto! Sono sempre andata per la mia strada, che mi è apparsa nitida e precisa. Il mio amore materno si è esplicitato in maniera diversa: in primis nel lavoro, ambito della vita in cui ho dato tutta me stessa, anche se questa cosa non mi è stata riconosciuta appieno, né da parte dei genitori, né da parte dei colleghi. A mio parere, ciò è dipeso soprattutto dal modo in cui è impostata la nostra società: i genitori non sono più quelli di una volta, la funzione di educatori è venuta meno, lavorano tutto il giorno ed hanno poco tempo per occuparsi seriamente dei loro figli. Tante sfumature della vita odierna possono pesare sui bambini. Anche gli insegnanti, al giorno d’oggi, tendono a lasciar perdere l’aspetto educativo degli alunni; paradossalmente, sono “istruiti” a farlo, per non entrare in potenziale conflitto con i genitori, depositi ambulanti di gelosia e vanagloria. Invece di intendersi reciprocamente, come alleati, le due figure sono diventate quasi antagoniste e i ruoli vengono a confliggere ogni qual volta ci si ritrova dinanzi a un problema comune. Ecco che, nella maggior parte dei casi, gli insegnanti cercano di arruffianarsi i
genitori, cosa che riusciva molto bene alle mie colleghe. Io invece non ero proprio disposta a farlo, perché non sarebbe stato giusto nei confronti dei bambini. Anche per questo, forse, ero mal vista da alcuni di loro, perché a molta gente risulta alquanto difficile pensare in maniera divergente e mettersi in discussione. A volte, trovi genitori che vengono a riversare su di te tutti i loro problemi, che esulano dal rapporto precipuo coi figli, anche se di fatto vanno a pesare proprio su di loro. Tu puoi cercare di girarci intorno, o di arrivare dritta al punto, ad ogni modo, sarà sempre difficile riuscire a dispensare buoni consigli senza rischiare di essere fraintesi; a volte, più che al bene e alla serenità dei bambini, si punta all’amor proprio e al bisogno di pavoneggiarsi, come se i figli fossero degli oggetti compensatori delle proprie frustrazioni personali. Un bambino non può essere trattato al pari di un trofeo da esibire, quando non si ha altro a cui aggrapparsi per sopravvivere in società. Ecco che al giorno d’oggi non è affatto semplice ricoprire il ruolo di insegnante. Ci vuole infinita pazienza. Sotto questo aspetto, non posso dire che il mio lavoro mi abbia dato delle grandi soddisfazioni. A gratificarmi, invece, erano le risposte positive che ricevevo dai singoli alunni, quando i miei insegnamenti si rivelavano adeguati ad affrontare le situazioni e le contingenze di tutti i giorni. Ciò che mi rendeva felice e soddisfatta del mio lavoro era l’idea di essere stata concretamente d’aiuto agli altri. La soddisfazione l’ho trovata in ciò che, di fatto, rappresentavo per i miei alunni, in tutto ciò che sono riuscita a trasmettere nei lunghi anni d’insegnamento e che, puntualmente, mi è stato restituito con gli interessi. Penso di essere sempre stata una persona creativa e quindi cercavo di invogliare i miei alunni a mettersi alla prova, sollecitavo la loro inventiva, attraverso i giochi, le filastrocche e i metodi pedagogici più disparati. Facevamo tante attività insieme, privilegiando la dimensione ludica e la sperimentazione diretta del mondo. Scomporre la materia, per vedere com’è fatta; allenare la memoria attraverso poesie, canzoncine e associazioni linguistiche che sorgevano spontanee nella mia mente. Tutto questo risultava molto efficace ai loro occhi. Imparare a leggere il mondo attraverso metafore e allegorie significa conoscere divertendosi: questo era il mio obbiettivo principale e, ad oggi, sono fiera di averlo raggiunto. Una cosa molto particolare mi accadde mentre ero in gravidanza. Essa mi ha fornito l’ulteriore prova del fatto che quando ci reincarniamo non lo facciamo
mai da soli, ma ci sono persone con cui abbiamo già avuto dei legami nelle vite ate che ritornano. Non era un sogno: i miei nonni vennero a trovarmi, poco prima di perdere il bambino. La mia cara nonna, persona a cui ero più legata, mi disse che, in origine, sarebbe stato suo marito a dover nascere nel corpo di mio figlio, ma che, a seguito di un suo ripensamento, ciò non sarebbe stato più possibile: «Ci dispiace tanto», mi disse, «ma tuo nonno ha cambiato idea». Dopo qualche settimana, avrei perso il bambino, il cui nome sarebbe stato Michele. La reincarnazione di mio nonno, quindi, sarebbe avvenuta attraverso di lui, ma per qualche strana ragione, questo non accadde. Personalmente, già credevo nella reincarnazione, in virtù delle esperienze fatte prima di nascere e mai rimosse dalla memoria. Quella notizia, tuttavia, mi sorprese molto: quand’era in vita, mio nonno sosteneva che io fossi la nipote più simile alla sua famiglia da un punto di vista caratteriale; francamente, lo ascoltavo senza dargli troppo peso, perché non ebbi la fortuna di conoscere nessuno dei suoi avi. Effettivamente, l’indole creativa a lui non mancava: era una persona molto intelligente, rimasto orfano era stato in grado di creare un impero commerciale da solo, senza l’aiuto di nessuno, e questo non è cosa da poco. Il suo acume, l’animo sensibile e la profondità di pensiero che lo caratterizzavano si esprimevano attraverso dei bellissimi quadri, che spesso mi dedicava. Scriveva anche delle poesie, alcune delle quali risultavano davvero commoventi. Ci sono delle similitudini di questo genere tra noi e, anche se affettivamente il mio punto di riferimento è stata mia nonna, il suo imprinting c’è stato eccome! Anche a me, infatti, è sempre piaciuto scrivere e dipingere, specie durante l’adolescenza; poi col tempo, dovendo lavorare, ho smesso, ma in me la ione per il bello non si è mai spenta. Poco dopo il nostro incontro, le profetiche parole della nonna si avverarono. La mia gravidanza sembrò andar bene nei primi tempi. Tuttavia, dopo il terzo mese ho cominciato ad avvertire una strana sensazione: temevo fosse successo qualcosa, lo sentivo. D’altronde, durante i mesi di gestazione si stabilisce una grande simbiosi tra mamma e figlio, qualsiasi cosa succeda ad uno, l’altro ne risente.
Tutti i discorsi sulla bellezza della gravidanza andarono a farsi benedire nel momento in cui arrivarono i primi sintomi di malessere, dalla nausea alla stanchezza, ai dolori alla schiena. Fino a quando una notte mi svegliai in preda al panico, con un brutto presentimento. Non riuscivo a dormire, poi iniziai a vedere delle macchie di sangue e allora mi allarmai! Così, decisi di andare subito dal ginecologo. Dopo avermi visitata, egli mi disse che il battito del bambino era assente. La creatura che portavo in grembo aveva smesso di vivere. In quelle fasi tremende, in cui l’angoscia prende il sopravvento, il ginecologo fu in grado di ridurre le mie sofferenze agendo tempestivamente. Ad ogni modo, non potrò mai dimenticare l’esperienza dell’aborto… è stata orribile! È come se ti venisse tolto qualcosa: da un momento all’altro, un pezzo di te viene sottratto e ti senti deprivata della tua stessa forza vitale. Ti crolla il mondo addosso. Tutto quello che avevi immaginato, programmato per lui e per la tua famiglia di colpo non c’è più. Sogni e desideri si infrangono e tu sei lì sola, mentre soffri le pene dell’inferno, in cerca di una spiegazione che possa giustificare, in qualche modo, quel terribile dolore. Ma essa fatica ad arrivare… Ripensi alla prima ecografia, quando il medico ti ha fatto sentire per la prima volta il battito del nascituro ed hai provato un’emozione indescrivibile, perché ti sei accorta della totale sincronia che si è stabilita fra te e il bambino. Quell’esserino fragile è dentro il tuo corpo e tu, fino a qualche giorno prima, nemmeno lo sentivi… è incredibile la forza della vita! Pensi alle meraviglie della natura, estasiata dal fatto di esserne parte attiva. Ti chiedi come sia possibile quel miracolo, te ne meravigli ogni mattina. Poi, tutto crolla, improvvisamente, come una torre caduta in frantumi, proprio nel momento in cui eri arrivata in cima, pronta ad ammirare il panorama. Ti senti distrutta, non riesci a capire come mai sia successo proprio a te: questa domanda risuona in modo ossessivo nella tua mente, fino a quando non lo accetti e inizi a capire che, forse, anche quel dolore immenso, indescrivibile, ha un significato profondo.
Capitolo 8
La perdita di un figlio è qualcosa che ti coglie alla sprovvista, ma in cuor mio già sapevo che non era mio destino averne uno… era già scritto nel mio dna . Paradossalmente, questa consapevolezza mi ha aiutato ad affrontare quel periodo di sofferenza e mi ha permesso di accettare un evento così drammatico, riflettendoci e interpretandolo nel giusto modo. Dopo l’accaduto, io e mio marito provammo nuovamente, ma i figli non arrivavano. Ci siamo sottoposti a svariati accertamenti, ma tutto sembrava essere a posto. C’era anche l’opzione di ricorrere alla fecondazione assistita, ma né io né g. ce la siamo sentita: «Se Dio vuole, dispone» mi ripetevo, non siamo noi a decidere realmente. Dall’età di undici anni ho fatto da madre ai miei fratelli. Già allora ho dovuto imparare a cucinare, lavare e stirare per occuparmi di loro. È come se in questo modo avessi fatto quel percorso in anticipo, come se già fossi stata “madre”. Un’infanzia mutilata, per certi aspetti, ata ad accudire gli altri, ad un’età in cui avrei avuto bisogno anch’io di ricevere l’amore e le attenzioni di una madre. Nel mio caso, invece, non è andata in porto: sono arrivata alla conclusione che non era questo che avrei dovuto realizzare nella mia vita, ma avrei ugualmente manifestato il mio bisogno d’amore in altro modo, forse più intenso e autentico. Tramite il lavoro di maestra, ho indirizzato le mie attenzioni sugli alunni, dando espressione alla mia indole materna e protettiva in forme diverse, ma ugualmente sentite. Tale natura si è manifestata sia coi miei fratelli che attraverso l’insegnamento e gli altri progetti educativi a cui ho partecipato, come nel caso delle colonie estive, ma ancor prima svolgendo attività di catechesi coi ragazzi, nei gruppi della gioventù, che si creavano dopo la Cresima per intraprendere insieme dei percorsi molto interessanti, con tante belle esperienze di maturazione personale. Esempi di grande solidarietà: si andava nelle case di riposo, si preparavano giochi, recite, sagre, attività di volontariato. Posso dire di essermi
occupata di infanzia per tutta la vita. Sono sempre stata in movimento e per qualche tempo ho fatto anche volontariato in pronto soccorso, andando in ospedale a svolgere il tirocinio. D’altronde, non si può salire su un’ambulanza senza un certo tipo di preparazione. Anche grazie a questo tipo di esperienze, ho imparato a vivere l’essenziale nei rapporti con le persone, senza badare ai formalismi e al parere della massa. Seguo il mio istinto e ricerco ciò che è giusto, non mi faccio inquadrare nelle classiche griglie che tutti i giorni la società ci impone, omologati come siamo dal consumismo e dalla “morale” dominante. Subito dopo l’aborto, ero molto confusa e disorientata, priva di forze. Avevo bisogno di riordinare le idee per capire quello che mi era successo. Una costante del mio percorso di vita è stata l’abitudine ad accettare gli eventi, senza pretendere di cambiarli a tutti i costi: impara ad accettare e vai avanti, questo è stato il mio motto fin dall’età giovanile. Così fugace fu il suo ingresso nella mia vita, quanto rapida è stata la sua dipartita: quel bambino mai nato, il cui nome sarebbe stato Michele, in realtà non mi ha più abbandonata. D’altro canto, anche questa esperienza doveva servirmi a capire che nulla viene a caso nella vita, ognuno ha la sua strada da affrontare, e per qualche motivo a noi ignoto io non ero destinata a diventare madre. Ho pensato che spesso il fatto di avere figli ti priva del tempo e della tranquillità necessarie per riflettere in merito alla propria crescita interiore. Non è difficile notare che la maggior parte delle persone con l’arrivo dei figli si chiude in un mondo a sé, e non riesce più a dedicarsi ad altre forme d’amore, di attenzione verso il prossimo, che un genitore inevitabilmente è portato a trascurare, dando priorità ai suoi bambini. Per questa ragione, in tali casi si fa più fatica a sviluppare un certo tipo di profondità spirituale, la ricerca interiore ne risente molto. Anche per questo i grandi saggi del ato non mettevano su famiglia, perché probabilmente ciò li avrebbe distolti dal loro intento principale: elevare il mondo! Chi ha figli spesso non riesce a soffermarsi su determinati aspetti che io ritengo decisivi per il nostro sviluppo globale, mette in secondo piano la propria crescita e si fossilizza su dinamiche esterne che il più delle volte diventano totalizzanti. In questo senso, forse il mio compito era troppo importante per essere subordinato ad altro, sebbene io non giudichi nessuno. Ognuno di noi è un fiume
e come tutti i corsi d’acqua, si sviluppa nel solco di un percorso unico e irripetibile… siamo tutti predestinati in qualche modo. Nel mio caso, il fatto di aver goduto di maggior autonomia decisionale mi ha facilitato nell’intento di conseguire alcuni risultati spirituali, che altrimenti non avrei potuto raggiungere. Adesso è anche mio compito aiutare le persone a prendere coscienza della propria condizione, infondendo energia tramite la pratica del Reiki, che ci permette di entrare in contatto con le forze cosmiche, e testimoniare la verità del nostro cammino attraverso il messaggio inscritto nelle parole. Il Reiki oltre a dare sollievo alle persone ammalate e in difficoltà, serve anche a far emergere le conflittualità latenti della nostra vita. Se c’è qualcuno che agisce per farci del male a nostra insaputa, il Reiki ce ne dà cognizione, smascherando l’origine di tale azione e proteggendoci da eventuali attacchi. Questa disciplina orgonica fa pulizia, dentro di noi e nel mondo: è armonia pura, energia universale. Infatti, nei primi ventun giorni che seguono l’attivazione Reiki si subisce un netto scompenso energetico, perché tutto viene a galla: traumi subiti, sofferenze ate, nemici occulti. È per questo che una simile pratica infastidisce coloro che esercitano la magia, perché il Reiki può fermarli, aiutando le persone a liberarsi dalle energie negative e dagli attacchi che ogni giorno subiscono senza esserne consapevoli. Uno dei motivi per cui la gente soffre deriva proprio da queste pratiche occulte che agiscono sordidamente su di noi, abbassando i nostri livelli di frequenza elettromagnetica e generando frustrazione, debolezza, senso di colpa indotto. Col Reiki possiamo fermare i maghi, i profeti dell’occulto, ma soprattutto gli Illuminati e i Massoni, coloro che per vile sete di potere e denaro aspirano a destabilizzare il pianeta, minando l’equilibrio cosmico e il bene degli esseri umani. Dopo quel trauma che tenne occupata la mia mente per diverso tempo, ci furono ulteriori eventi spiacevoli che misero a dura prova la mia resistenza. Fecero all’improvviso comparsa delle vere e proprie emorragie, sempre più abbondanti. Mi sottoposi, allora, a una lunga serie di controlli accurati che mi portarono a scoprire la presenza di un adenomioma di otto centimetri nell’utero. In precedenza, mi era stata diagnosticata un’infezione da papilloma virus, che mi
portò a capire la vera causa della mia sterilità. Per debellarla, dovetti subire una terapia alquanto invasiva che consisteva nella bruciatura delle pareti uterine. Poi, iniziò il vero e proprio calvario! Dove abitavo la Sanità lasciava piuttosto a desiderare, quindi pensai di rivolgermi altrove. Nel frattempo, ero già in cura all’ospedale di Verona per via di problemi ortopedici alla gamba sinistra, dovuti ai postumi dell’incidente del 1993. Avevo fatto una serie di infiltrazioni al ginocchio, che già era stato sottoposto a un delicato intervento di ricostruzione. Poi iniziai ad avere problemi alla caviglia, che si gonfiava spesso, soprattutto quando mi affaticavo. Allora mi sottoposi ad altre infiltrazioni per poter alleviare le notevoli sofferenze che insorgevano ogni qual volta stavo troppo in piedi o camminavo per lunghi tragitti. L’adenomioma si aggiunse a infliggermi il nuovo colpo di grazia! Decisi, per questo, di rivolgermi ai medici chirurghi di Verona anche per risolvere quel problema impellente. Peccato che il vecchio primario con cui si era stabilito un bel rapporto di fiducia andò in pensione e la nuova équipe di specialisti che prese il suo posto non si rivelò alla sua altezza. Il problema continuava ad acuirsi ed io sollecitai il loro intervento con una certa urgenza. Scelsi il primo medico che si rese disponibile e mi recai subito da lui. Egli mi fece prima un’ecografia interna, a seguito della quale mi fu consigliato di non fare l’intervento di asportazione, perché ci sarebbe stata una cura sperimentale, proveniente dagli Stati Uniti, che avrebbe potuto risolvere la situazione senza il bisogno di are sotto i ferri, come si suol dire. Inoltre, ero già in età da menopausa, almeno secondo la loro opinione, quindi non era il caso di affrettare i tempi, si doveva attendere. Dunque, accettai di sottopormi a una cura di due mesi e mezzo che, di fatto, non servì a granché, se non a peggiorare le mie condizioni di salute. A seguito di quel trattamento, infatti, l’adenomioma non si era rimpicciolito per niente, la verità fu che nessuno volle assumersi la responsabilità di fare un intervento, nessuno era disposto a correre il rischio. In compenso, pensarono bene di somministrarmi una dosa massiccia di antiemorragici che contribuirono a provocare un’embolia… Tutto iniziò un sabato sera qualunque. Mentre ero in casa a preparare la cena, avvertii dei dolori lancinanti alla gamba sinistra, la solita… mi spaventai molto,
pensando al peggio. Mi sentivo come se mi stessero strappando la gamba, urlavo dal dolore. Andammo subito al pronto soccorso, dove mi fecero un esame specialistico, mediante il quale si scoprì la presenza di ben due emboli localizzati nella gamba. A quel punto mi mandarono in reparto, dove mi accadde un’altra cosa questa volta veramente assurda: dovevo sottopormi a un’iniezione di eparina, ma l’infermiera dopo aver preparato tutto il necessario mi diede la siringa e mi disse di farmela da sola. Col male che stavo provando non ci vidi più! Avrei dovuto effettuare un’iniezione sulla mia pancia con una professionista di fronte che, invece di fare il suo lavoro, delegava al paziente la responsabilità di agire. Come avrei potuto fare? Fu qualcosa di allucinante, fuori da ogni logica e buon senso. Guardavo quella gente allibita, senza nemmeno avere la forza di parlare, per il dolore e lo sgomento che provavo. Mi dimisero, ma a casa il giorno dopo mi accorsi di non riuscire più a respirare… sentivo venir meno le forze, ero da sola. Forza di volontà e sangue freddo mi aiutarono ancora una volta! Telefonai subito a mio marito che stava cercando in un negozio di articoli ortopedici la calza contenitiva prescrittami la sera prima dicendogli di venire immediatamente. Chiamammo un’ambulanza, g. spiegò chiaramente la situazione e il medico del pronto soccorso iniziò a misurare tutti i miei parametri. Quando mi caricarono sull’ambulanza non ero in grado di capire dove fossi, avevo perso totalmente la lucidità di pensiero. Arrivati al pronto soccorso, però, sono riuscita a sentire il medico gridare: «Chi è quel disgraziato che l’ha dimessa ieri sera?». Andiamo bene, mi son detta! Dopo quello sfogo emblematico, mi hanno iniettato il liquido di contrasto per localizzare gli emboli, che nel frattempo erano arrivati tutti e due ai polmoni. Ho avuto un’embolia bilaterale e mi hanno salvata per un pelo. Due settimane in ospedale collegata alle macchine, continuamente controllata dal personale sanitario, col solito problema che le mie vene non si riuscivano a vedere e quindi gli infermieri utilizzavano anche un apparecchio ecografico per trovarle. Non riuscivo a dormire perché la macchina ogni mezz’ora mi schiacciava il braccio per misurarmi la pressione. Una notte finalmente riuscii a prendere sonno, quando arrivò l’infermiere tutto agitato: «Si svegli! Ma cosa sta combinando?». Proprio nell’istante in cui mi ero addormentata, la pressione si era alzata repentinamente, ma io stavo solo dormendo, ero distrutta. E invece ci
stavo per rimettere la pelle, anche in quell’occasione! Riuscii a superare anche quel grave pericolo dopo un mese di degenza. Le emorragie, però, continuavano a presentarsi ed io ad essere fortemente debilitata; gli specialisti a cui mi rivolsi non riuscirono ad affrontare il problema. Io regredivo sempre di più, arrivando a non riuscire nemmeno più a camminare e i problemi di cui già soffrivo peggioravano rapidamente. Un giorno un medico mi avrebbe detto: «Signora, lei non tornerà più come prima, lo sa?». Ne ero ben consapevole. D’altronde, lo stress psicofisico che avevo subìto era stato troppo forte per non lasciarmi dei danni permanenti. Il trauma di essere intubata, di dover rimanere attaccata alle macchine per continuare a vivere, non è qualcosa che si possa dimenticare facilmente e il tuo corpo lo sa bene. Anche se in quei giorni dannati ho visto la morte in faccia, una carica positiva non ha mai smesso di vibrare insieme a me: sentivo di essere avvolta da una luce, un’energia calda che mi rendeva tranquilla. Non mi preoccupavo, nonostante tutto quello che stava succedendo. Era la luce della dimensione ulteriore, l’orizzonte da cui proveniamo tutti e in cui ciascuno tornerà, un giorno. Nel mio caso, però, non era giunto il momento di cambiare stato, avevo ancora tanto da realizzare su questa Terra. Se ci penso, la mia vita è sempre stata un continuo andirivieni dagli ospedali: già da bambina con la tubercolosi, poi la gamba, le emorragie, l’embolia, i continui problemi di pressione. In particolare, tra il 2014 e il 2017 i ricoveri si intensificarono in maniera inverosimile. Non ne potevo più… mi sentivo bastonata! Nonostante questo, non ho mai perso l’ottimismo, la voglia di vivere e l’energia per continuare a lottare. In fondo, chi mi conosce bene mi considera un’ottimista di natura. Cerco sempre di guardare al di là delle apparenze, perché so come stanno veramente le cose. Me ne succedono tante, ma sono consapevole che la vita, in realtà, sia una mera illusione: il fatto di aver condotto una duplice esistenza, fin dall’inizio, di essere nata con la facoltà di comunicare con l’aldilà, mi consente di attuare quel distacco dai problemi di ogni giorno che rappresenta il primo o per raggiungere l’atarassia, l’imperturbabilità dell’anima, quello stato di perfetta serenità a cui ambivano i filosofi stoici ed epicurei, e a cui noi “moderni” dovremmo tornare. È il contatto diretto con la spiritualità pura a darmi la forza di
sopravvivere alle sofferenze più atroci della vita. Dopo questa brutta esperienza, avvenuta nel 2016, ho continuato ad andare a lavorare, ma non ce la facevo a reggere lo stato di affaticamento che provavo ogni giorno. Chiesi quindi un periodo di malattia, non mi sentivo in grado di svolgere al meglio il mio lavoro. La cosa più brutta della malattia è stata questa: piano piano, ho cominciato a non essere più capace di fare le cose di tutti i giorni. Mi è crollato letteralmente il terreno sotto i piedi. Sono arrivata al punto di non essere capace più di fare lo sforzo di pensare, ero un automa, non riuscivo a rendermi conto di quello che stesse accadendo. Di colpo iniziai ad avvertire un certo distacco dagli eventi, dagli affetti… da tutto ciò che fino a quel momento aveva colorato la mia esistenza. Da allora in poi mi sembrò di andare sempre più indietro: a furia di avere emorragie non mi potevo muovere, mi ero ridotta a stare sdraiata sul divano tutto il giorno, avevo anche il terrore ad andare in bagno. Avevo perso lucidità, ero apatica… dentro di me c’era il vuoto. Non riuscivo neanche a guardare la televisione. Nell’ultimo periodo ero talmente debilitata da non riuscire a far nulla. Ciò che contribuì a deprimermi fu la consapevolezza di non essere aiutata da nessuno, eccetto mio marito. Non ho avuto il benché minimo sostegno nemmeno da parte dei colleghi, perché nel momento in cui ho subìto l’embolia e sono finita nuovamente in ospedale, nessuno si è degnato di mandarmi un messaggio o di venire a trovarmi in segno di solidarietà. Solo un collega ha manifestato la sua vicinanza, ma per il resto zero empatia. A seguito di quest’esperienza ho capito che era giunto il momento di chiudere definitivamente con quel luogo! Nel contesto lavorativo sono stata trattata al pari di una macchina: dovevo funzionare e basta, altrimenti mi avrebbero rottamato. Non pensano ad altro! Il fatto che tu stia bene o male, che rischi anche di crepare è indifferente per loro. Anche per questo abbiamo scelto di cambiare città, per sperimentare un altro tipo d’ambiente, sia a livello climatico, troppo freddo per i miei problemi di salute, sia dal punto di vista umano, perché il fatto di essere circondati dalle persone sbagliate, invece di aiutarti, ti deprime ancora di più. Decidemmo allora di trasferirci a Roma, città che abbiamo sempre frequentato assiduamente in virtù dei legami di parentela con mio marito. Era nostra abitudine tornare nella Capitale non appena possibile, per trascorrere del tempo
in compagnia dei nostri cari, almeno due o tre volte l’anno. Da tempo avevamo fatto la scelta di spostarci, andarcene, chiudere del tutto con quella realtà, ma doveva arrivare il momento giusto per farlo. Non sempre ciò che si desidera arriva quando lo vogliamo: si realizza per ragioni che in quel momento non puoi comprendere, ma che più tardi si renderanno chiare ai tuoi occhi. Per noi quel momento è arrivato con l’aggravarsi della mia malattia. Con coraggio abbiamo chiuso un ciclo, lasciando andare progetti, lavoro, casa e città. Non potevamo fare altrimenti. Se non s’impara a lasciar cadere le foglie ormai morte dall’albero della vita, senza cercare di trattenerle a tutti i costi, si è destinati a soccombere nella delusione più totale! Ci si rattrista, ci si ammala… si resta immobili, come dei manichini senz’anima né sorriso. Quando il malcontento ha preso il sopravvento mi son dovuta fermare a riflettere: quella vita non faceva più per me! Era arrivato il momento di fare un salto in più, di attuare quel cambiamento, quel o ulteriore che mi avrebbe resa più serena. Quando una fase della nostra vita finisce, dobbiamo accettarlo. Rifiutare l’evidenza delle cose significa privarci della gioia, della possibilità di essere felici in senso pieno. Che siano porte, strade o pagine ingiallite non fa differenza: l’importante è chiuderle e andare avanti, perché non si può vivere il presente se si rimane troppo legati al ato. Ho imparato a divenire in parallelo con i cambiamenti della vita, senza restare intrappolata in un tempo che ormai non esiste più. Anche se potrà sembrare un paradosso, penso di dover ringraziare “l’umanità” ricevuta in campo lavorativo: a volte si ringrazia anche chi ci fa del male, perché, costringendoci a cambiare strada, ci permette di scoprire mondi migliori. In fin dei conti, a chi mi ha fatto del male devo la mia forza, il mio coraggio, l’aver imparato a sopravvivere, scegliendo la strada più giusta. A tutti coloro che mi hanno voltato le spalle nel corso degli anni, attribuisco il merito di avermi fatto capire che si può vivere benissimo senza di loro! L’ultimo dirigente scolastico con cui ho avuto a che fare prima di andarmene, voleva reinserirmi come insegnante prevalente dopo un anno di malattia, per darmi il tempo di riprendermi, ma ormai la mia decisione era presa e gli
annunciai prontamente la decisione di trasferirmi. L’unica soluzione, d’altronde, era questa: concludere il periodo di malattia a cui avevo diritto e poi andare in aspettativa. Cambiare fa paura, questo è ovvio, ma serve a rinascere, a tornare innocenti come un tempo. «La vita? ’Na strada piena de sassi», diceva Anna Magnani, ma io aggiungo: non c’è sasso che tu non possa sfruttare per la tua crescita personale. Prima di trasferirci, nel maggio del 2017, dovemmo organizzarci per affrontare i miei problemi di salute irrisolti. Così, fummo indirizzati dal primario di Verona all’ospedale Gemelli, dove prenotai una visita e fui messa finalmente in lista d’attesa per il fatidico intervento. Tuttavia, anche i medici del Gemelli ebbero paura a mettere le mani su di me, perché ero un soggetto a rischio, ma io sapevo che non avrei potuto aspettare ancora: dovevo essere operata, lo sentivo, altrimenti non ce l’avrei fatta. Dopo i risultati delle analisi, mi inginocchiai dinanzi al medico e lo pregai di affrettare i tempi… lui doveva operarmi! Avevo già trascorso troppo tempo in balìa di terapie palliative e cure fallimentari. Ma anche lui aveva timore, l’adenomioma era troppo grosso, avendo subìto anche un’embolia, non potevo rischiare. In seguito, mi fu spiegato che sarebbero intervenuti solo nel caso in cui fossero stati costretti a farlo. In pratica, sarei dovuta arrivare in fin di vita in ospedale per farmi operare. Mi dissero così, fuori dai denti: «Lei ha avuto un’embolia, ne rischia un’altra e quindi sappia che qualunque patologia lei abbia, che necessiti di un intervento, con difficoltà i medici potranno acconsentire ad operarla… dev’essere un caso limite, da prendere in extremis. Solo in condizioni critiche si potrà intervenire, perché altrimenti rischiamo il peggio». Di fronte alla mia insistenza, il primario mi fece mettere comunque in lista d’attesa per l’intervento, fino a quando non finii d’urgenza in sala operatoria, a giugno dello stesso anno, appena concluso il trasloco con mio marito. Feci l’intervento in fin di vita… mi salvò la Grazia Divina e la bravura dei chirurghi del Gemelli, che non smetterò mai di ringraziare per l’impresa compiuta. Allontanata da ogni cosa, indebolita fino allo stremo, ho imparato ad accettare che il corpo cambi e non c’è nulla che si possa fare per impedirlo. Anche dopo
l’intervento, mi sono rassegnata al fatto che alcune attività non le avrei più svolte, ma pazienza, ce ne sono tante altre che ancora sono in grado di realizzare. Bisogna adattarsi e trovare la maniera migliore per realizzare le stesse cose di prima, ma in modo diverso, alternativo. Questa è la sfida! È necessario avere molta pazienza in quei momenti, accettare le cose come vengono, nella consapevolezza che, prima o poi, eranno. A volte, siamo troppo assuefatti dalle ombre per vedere la luce, ma essa ci accompagna in ogni angolo della Terra: ci visita in ogni momento, in attesa di un nostro sguardo. Sta a noi rivolgere l’attenzione verso di essa, senza timore. La paura è fisiologica, lo so bene, ma va indirizzata sugli oggetti giusti, per non sfociare in angoscia. Nel mio caso sono riuscita a intravedere una meta finale che mi ha dato la possibilità di non essere assalita dal malessere di un’esistenza apparentemente priva di senso. Oggi non ho più paura di nulla, perché troppe ne ho ate e ancora continuo a lottare, ma queste sofferenze non sono mai vane nella logica del Cosmo: la vita ha un significato ultimo che ognuno dovrà cercare a suo modo, ma che alla fine tutti potremo scoprire e divenire, finalmente, esseri di luce.
Capitolo 9
Roma è una città che ha sempre esercitato un forte richiamo su di me: credo che per ognuno di noi esistano dei luoghi capaci di esercitare un’influenza particolare, che ci chiamano… non ne conosciamo la ragione, però sappiamo che seguendo la loro eco staremo bene, semplicemente perché avvertiamo a pelle che si tratta di ambienti giusti per noi. Sappiamo, ancor prima di averci vissuto, che attraverso il loro richiamo troveremo un pezzo della nostra anima. L’ingresso in Urbe ha rappresentato l’inizio di una nuova vita. La scelta di intraprendere un nuovo cammino di solito spaventa: per me, invece, è stata come una liberazione, un’occasione per ritrovare me stessa. In questo senso, anche il clima mi ha aiutato molto. Questa città mi ha permesso finalmente di conoscere persone affini al mio carattere, mi ha dato la forza di rialzarmi, di stare in piedi da sola. Gradualmente, ho ripreso a camminare! Con grandi sforzi, indebolita, col fiato corto… prima per qualche minuto, poi sempre di più… nel tanto amato parco di Talenti, dove s’incontrano persone splendide, con le quali condividere l’amore per gli amici a quattro zampe: i nostri cuccioli. Il lungo periodo di malattia è servito a risvegliarmi, a insegnarmi qualcosa che altrimenti non avrei mai capito. Sono scivolata nella notte lunga e buia, mi sono trovata all’improvviso come in un tunnel di oscurità, nel quale ogni cosa sembrava crollare al suono dei miei i… mi sentivo disorientata, confusa, perfino depressa. Mi sembrava di non farcela. Le attività di tutti i giorni, quelle che dai per scontate, diventano un’impresa da titani e in te aumenta il senso di frustrazione, perché ti rendi conto di non riuscire più a destreggiarti nel mondo come facevi una volta. In seguito a quel vecchio incidente in montagna, mi fu diagnosticata anche un’artrosi al ginocchio e un principio di necrosi alla caviglia, come complicanza della lesione al legamento, che ancora oggi non mi consentono di restare a lungo in piedi. In preda al dolore, non sai dove la corrente ti stia portando e sei costretta ad abbandonarti in balìa delle sue onde. Quando poi la tempesta finisce
non sai neanche tu come hai fatto ad attraversarla tutta, ad uscirne viva, ti meravigli della straordinaria forza che è in te, anche se non avrai mai la certezza che sia finita per davvero. L’unica cosa certa è che, una volta uscita da quella tempesta, non sei più la stessa. Devi prendere giorno dopo giorno, così come viene. Come insegna il Reiki, se si vive il presente, ansia e paura vengono meno. Si è nell’eternità perché l’attimo si dilata, diviene forza di vita, come l’Aion per i Greci. La chiave di volta è sempre la stessa: tutto accade per una ragione. Un bel giorno ci viene dato di capirne il senso e questa oscurità si dilegua, da un momento all’altro, come nient’altro che un aggio in vista di un altrove. E allora capisci che non tutte le tempeste arrivano per distruggerti la vita, alcune ano per ripulire il tuo cammino. L’importante è non perdere mai la speranza, perché anche in balìa delle onde la vera forza la trovi solo, e sempre, in te stessa. Nessuno sarà in grado di salvarti se non sei tu a volerlo. La salvezza, in fondo, è uno stato mentale! A Roma, tutti i pezzi della mia vita, come in un puzzle, si sono incastrati ed ho cominciato a capire, per la prima volta, ciò che in fondo ho sempre saputo: la mia anima si è resa artefice di un messaggio importante, che va assolutamente recapitato; un compito che aspetta il momento giusto per essere realizzato, e quel tempo è adesso. Un frate con cui ebbi il piacere di parlare, ancora giovanissima, in un momento di sconforto, mi aveva ascoltata e le sue parole risuonano ancora nelle mie orecchie: «Dopo i cinquant’anni sarai una persona che volerà molto in alto». Allora chiaramente non avevo gli strumenti per recepirle rettamente, ma oggi è tutto molto chiaro. Quando sei chiamata ad avere un compito elevato, tale risulta anche il prezzo da pagare in termini esistenziali. Il mio vissuto traumatico può essere inteso proprio in tal senso. In questa epoca di grandi cambiamenti che tutti percepiamo come inarrestabili, ci sono persone predestinate, come me, con il dono della guarigione, inclini a partecipare a un cambiamento cosmico, in atto da alcuni decenni, il cui scopo è quello di facilitare la trasformazione della coscienza e provvedere all’evoluzione del genere umano.
Chiaramente, per far questo i portatori di luce hanno dovuto attraversare una sorta di “rito d’iniziazione”, una fase che si traduce in trauma o in una serie di esperienze molto forti, capaci però di trasformare in profondità il nostro stato di coscienza. Chi come me ha queste doti tende a isolare se stesso, a ritirarsi in un luogo dove potrà sentirsi al sicuro: tende spesso ad immergere la sua anima nella natura, in quell’orizzonte primigenio da cui provengono le impressioni fondamentali, ciò che gli altri non vedono e non sentono. Questa percezione profonda rende difficile il ritorno in società, la re-immissione del nostro corpo nella folla indiscriminata. Per comprendere il vero scopo del Tutto bisogna prima guarire se stessi, le proprie ferite, quindi amarsi e rispettarsi: solo allora si può arrivare a ricevere una chiamata spirituale, chiara a sufficienza da indicare la strada: quella voce che invita a mettere se stessi al servizio delle forze del bene per alleviare la sofferenza altrui. Rifiutare un simile compito, opporsi alla chiamata dell’Universo, significa sprofondare nell’oblio dell’ignavia e dell’indigenza, cadere vittima di squilibri psicologici e dolori fisici. Quando si accetta, invece, che il nostro destino sia scritto in calce sul portale della Storia, si rende manifesta l’autentica realtà delle cose: capiamo quanto sia necessario prendere coscienza del dono che abbiamo ricevuto. Il guaritore allora non fa altro che comportarsi da mediatore, funge da ponte tra la dimensione umana, sempre precaria, e quella salvezza, libera dalle contingenze, destinata a durare in eterno. Se smetti di correre, se smetti di pensare, se riesci a fermarti e a fare silenzio fuori e dentro di te, ti accorgerai che il “silenzio” parla, risponde, dona la pace. Quando lo avrai scoperto, non vorrai più lasciare questo meraviglioso stato di beatitudine! Noi siamo energia, luce e coscienza imprigionati in un corpo materiale, in questo piano tridimensionale che ci limita fin dalla prima incarnazione. Nel momento presente siamo chiamati a tornare a casa, a capire chi siamo veramente. Non siamo soli in questo percorso: accanto a noi ci sono presenze amorevoli che ci spingono a perseguire il bene, ma siamo troppo presi a correre,
inquadrati nel rito della quotidianità, a svolgere i più frenetici impegni, attività che ci tolgono la libertà di pensare, e abbiamo paura di fermarci, di arrestare il tempo… non ne siamo capaci. Ed ecco allora l’arrivo nella nostra vita di qualcosa che ci costringe a farlo, ad arrestare il tempo. Nella mia è stata proprio la lunga malattia a permettermi di fare questo o decisivo, gravoso, quanto essenziale. Pensavo a tutti e ad ognuno, ma avevo dimenticato me stessa, non mi volevo bene! Sono stata per mesi ferma su un divano senza muovermi, vedendo le mie forze pian piano affievolirsi, non potevo far nulla. Attonita osservavo quello che mi accadeva, contemplandolo dall’esterno, come alienata. La mia mente libera osservava e basta. Sono arrivata a subire un intervento molto rischioso, quando ormai le mie uniche parole si riducevano a gesti. L’intervento per fortuna è andato bene, ma soprattutto sono stata trattata come un essere umano, dopo tante ingiustizie subite. Sia i medici che gli infermieri si sono dimostrati delle persone splendide, molto competenti e dotate di empatia. Il primario del Gemelli aveva capito che la mia era una situazione estremamente grave, infatti, l’ho rischiata grossa! Per una seconda volta, dopo l’intervento, ho rivissuto l’esperienza di rimanere legata alle macchine. È stata dura, molto dura! Dopo l’intervento, però, è iniziato un altro capitolo della mia vita: c’è poco da fare, a Roma ho riscoperto il significato della parola “comione”. Tutti in ospedale si sono presi cura di me. Hanno accompagnato la mia convalescenza o dopo o, con empatia e spirito di servizio. Quando sono stata dimessa, l’intera équipe che mi aveva operata mi è venuta a salutare. Ricordo la commozione nei miei occhi, mentre incrociavo lo sguardo di quei professionisti che mi restituirono la possibilità di tornare a sperare nel genere umano. Per poter evolvere, mi fu detto, bisogna guardare in faccia il dolore più atroce, avere un contatto diretto con la morte. Sia nel caso dell’embolia, che in quell’occasione al Gemelli, mentre ero ricoverata, mi sentivo sempre circondata da una calda luce bianca, da un amore cosmico che nulla aveva a che vedere con la dimensione fisica, sensuale. È stata un’esperienza di profonda pace e godimento interiore che non ha paragoni con nessuna altra dinamica a cui siamo abituati qui sulla Terra. Mi sentivo avvolta da questa luce e ciò mi rendeva tranquilla, serena, nonostante tutto quello che stava succedendo… non avevo
alcuna paura. Dopo quell’evento ho imparato a volermi bene! Se non riesci a dare amore e attenzione a te stessa, non potrai fare altrettanto col prossimo, non ti riuscirà di certo nel migliore dei modi. All’intervento è seguita una lunga fase di recupero. Non ero in grado di svolgere le normali attività domestiche e in questo mio marito mi aiutò, fu per me una salvezza, anche in quell’occasione. Mi sono sempre sforzata di riacquistare le forze, ma è stato un lungo cammino, molto lento e graduale. A seguito dell’aumento di peso e del conseguente aggravarsi delle patologie ortopediche, che mi tediavano fin dall’incidente alla gamba, con il o di un medico legale è iniziato un percorso giuridico per il riconoscimento dello stato di invalidità, in virtù della legge 104/92. È iniziata così una lunga trafila che mi portò ad affrontare una serie di peripezie pur di far valere i miei diritti. Ho dovuto lottare con le unghie e con i denti per farmi riconoscere sia lo stato di invalidità da parte dell’Inps, sia il distacco definitivo dall’insegnamento che la Commissione del Lavoro mi ha riconosciuto solo dopo il terzo anno di battaglie avendo constatato la mia effettiva condizione di salute. Quando mi recai al controllo, dopo un’ora in piedi ad aspettare, non riuscivo a camminare. Chi mi visitò – quella volta fu una donna… menomale! – seppe essere obbiettiva. La dottoressa era salita in ascensore con me e già in quel momento si era accorta che mi trovavo in grosse difficoltà nel deambulare. Mi disse poi, in Commissione, che ero peggiorata e mi invitò a rivolgermi nuovamente all’Inps per un aggiornamento della mia situazione, di cui dovevano tener conto, ma sto ancora aspettando… è trascorso più di un anno! Nel frattempo, a Roma stavo trovando tutto ciò che da sempre avevo cercato, senza mai trovarlo. Questo luogo incantevole, che già mi aveva ospitata in una vita precedente, risplende di luce propria: Roma è luce. Non è un caso che questa città abbia dato i natali alla persona che ho sposato, il vero amore della mia vita. Nel luogo in cui avevo vissuto in precedenza non avevo potuto esprimere il mio vero potenziale. Relegata in un angolo, non ero me stessa, non ero io. Nella Città Eterna, invece, ho da subito trovato quel calore
umano, quella capacità di saper sorridere alle cose della vita, accettando le difficoltà, che mi hanno reso una persona più forte. Dopo una vita ata a sentirmi diversa e a domandarmi cosa non andasse in me, ho ottenuto la mia rivincita. Roma è una città viva, ricca di stimoli e, abitandoci, ho potuto riscoprirla ed ammirarla nelle visite organizzate dalle diverse associazioni di archeologi che offrono ancora oggi splendide escursioni nei grandi luoghi del ato, dai più famosi ai siti meno conosciuti, ma ugualmente carichi di suggestione. Con l’iniziativa Bellezze di Roma, io e g. ci siamo persi nelle meraviglie di questa città incantevole. Abbiamo fatto delle escursioni: a Ostia antica, a Trevignano, un paesino sulla costa settentrionale del lago di Bracciano, dove mio marito ha dei parenti. Sono rimasta molto colpita dal quartiere di Trastevere, che abbiamo visitato seguendo il percorso guidato, accompagnati dagli stornelli al suono di una chitarra. Poi abbiamo fatto un giro sul Tevere in battello, siamo andati all’isola Tiberina, a Castel Sant’Angelo, abbiamo visitato la Piramide Cestia… Non ti annoi mai nella Capitale, offre tanto ed è tutta da scoprire. Fin da piccola ho adorato la Storia, era la mia materia preferita quando andavo a scuola. Anche per questo, è a Roma che la mia curiosità ha trovato piena soddisfazione. Dicono che la Storia sia importante perché studiandola riusciamo a capire quale sia la vera essenza del genere umano. Ma se la consideriamo in parallelo alla nostra storia personale scopriamo che è fatta di continui cambiamenti, progressioni… di momenti belli e dolorosi che dovrebbero accomunare le persone e farle crescere. Ecco, la Storia con la s maiuscola dovrebbe essere insegnata partendo da questo presupposto, ovvero mettendo in luce la profonda e strutturale assonanza che l’accomuna al percorso della nostra esistenza, intesa come singolarità pulsante. Andrebbe insegnata senza i soliti freddi schemi, espressione di mero nozionismo: un susseguirsi di date, nomi, eventi che invece di avvicinare i ragazzi alla comprensione del ato, li allontanano ulteriormente dalla conoscenza del presente. Se si tornasse a spiegare la Storia partendo dai suoi legami strutturali con il quotidiano, il suo studio risulterebbe senz’altro più piacevole e fruttuoso.
Roma, in fondo, è la Storia, ma in qualche modo riassume anche la mia vita: rappresenta il luogo in cui ho dovuto rimparare a stare in piedi e a reggermi sulle mie gambe, tornare a vivere insomma. In questa città ho conosciuto e iniziato a praticare il Reiki. Esso insegna il superamento della tridimensionalità, del mondo materiale. È questo, in fondo, ciò che la nostra civiltà attuale deve realizzare: tutto ciò che sta succedendo in questa fase storica è motivato proprio dall’esigenza dell’umanità di cambiare rotta, al più presto, perché non c’è più tempo da perdere. A noi è dato il compito di ricostruire tutto da capo, con un’altra logica. Chiaramente, l’uomo deve evolvere, deve capire che c’è qualcosa che va ben oltre le varie beghe intramondane. Dobbiamo svegliarci! La gente, presa dalla frenesia di tutti i giorni, non si concede nemmeno il diritto sacrosanto di informarsi. L’erudizione ormai è retrocessa a mero orpello, serve solo a pavoneggiarsi, mentre la vera conoscenza, purtroppo, rimane appannaggio di pochi, quella sparuta minoranza disposta ad uscire dalla propria zona di comfort e mettere in discussione ogni cosa intorno a sé! La nostra specie si conosce troppo poco, non sa ancora quanto grandi siano le sue possibilità di guarigione. L’uomo in fondo è un potenziale inespresso… ora è giunto il momento di manifestarlo appieno! Tutto è energia, noi stessi siamo energia pura, e come noi anche le piante, gli animali, i sassi. Essendo spirito in divenire, tutto si può modificare, persino le malattie possono essere alleviate se si scopre il modo giusto di intervenire sul piano astrale, che differisce da quello materiale. Ci troviamo in una fase di trasformazione a livello cosmico: siamo tutti costretti ad evolvere, a innalzare le vibrazioni del mondo, e quindi tutti ci dobbiamo are prima o poi. Io sono solo una fra i tanti che indica la strada, fa capire quello che siamo e che dobbiamo fare per migliorarci a vicenda. Anche perché l’energia dei singoli si somma per innalzare il potenziale dell’intera umanità. Dobbiamo entrare nell’ottica per cui ciò che un essere vivente compie nel suo piccolo non lascia indifferente il resto del Creato: ogni nostra azione ha ripercussioni sull’intero Universo. Siamo operatori di luce, serviamo proprio a questo, anche se molti di noi ancora non ne sono consapevoli.
Allora, rispecchiandosi nelle mie parole qualcuno potrebbe anche capire e iniziare un nuovo cammino spirituale, mettendo a frutto le potenzialità ricevute. Chi, come me, ha già fatto un certo tipo di strada e di lavoro su di sé, è in grado di recepire molte più informazioni di prima, riuscendo a collegarle meglio tra loro. D’altro canto, le vibrazioni sono fortissime in questo momento, bisogna cogliere l’attimo! Ora non mi agito più, l’energia è così forte in me da impedire che la mia mente s’incupisca con pensieri negativi. Anche quando arrivano, riesco a domarli e a guardarne il lato produttivo. La serenità che comunico è frutto proprio di questa complessa armonia, dell’inestricabile pacatezza che ho acquisito. Non è impossibile raggiungere questo stadio dello spirito; al contrario, tutti possiamo realizzarlo, ed ora è il momento giusto per seguire questa strada. La vita di oggi ci impone la frenesia, la produttività a tutti i costi, la dissennata corsa al successo, non sappiamo più cosa significhi la parola “silenzio”, immersi come siamo nel chiacchiericcio quotidiano. Bisogna fermarsi a pensare! L’uomo è tutto preso a rincorrere chissà quale obiettivo, in preda a desideri forvianti e bisogni indotti, ma non è più capace di stare da solo con se stesso e riflettere. In questa fase molto particolare per la Storia del pianeta, abbiamo l’occasione di poter are molto tempo in solitudine, frangente di cui possiamo servirci per imparare a meditare: ci sono delle energie che stanno cambiando sulla Terra, quindi c’è chi erà dalla tridimensionalità a livelli di sostanzialità più elevati ed eterei. Saremo quindi destinati ad ascendere, a salire di livello sul piano spirituale. Capiremo molte cose, in primis ciò che siamo: arrivi a conoscere te stesso quando impari a non aver paura di rimanere da solo. Questo è fondamentale! Nel momento in cui ci troviamo da soli, spesso non siamo capaci di stare fermi, dobbiamo muoverci a tutti i costi; ci hanno abituati ad avere sempre qualcosa da fare, altrimenti ci sembra di sprecare il nostro tempo. In realtà, è proprio questa frenesia quotidiana a sottrarre energie al nostro spirito, carburante essenziale della riflessione, della meditazione, attività che più di ogni altra libera la mente e rigenera il corpo.
Gradualmente, mi sono accorta di non aver bisogno necessariamente dell’aiuto degli altri: tutto ciò che mi serviva era la pace dentro di me. Il prossimo non dev’essere un’ancora a cui aggrapparsi, altrimenti è solo il bisogno a legarci. Si vive bene con l’altro se si avverte il piacere della sua compagnia, come frutto di spontaneità e naturalezza, altrimenti è solo illusione. Pensare la solitudine come qualcosa da cui rifuggire a tutti i costi è il primo o per essere infelici. Solo se si raggiunge la serenità e l’autosufficienza in solitaria ci si potrà davvero aprire al prossimo! Chi non sta bene prima di tutto con se stesso non ha nulla da offrire agli altri, anzi, avvertirà la loro presenza come un peso. Essendo stata abituata fin da piccola ad affrontare ogni cosa da sola, ho imparato a bastarmi, a non aver bisogno di nessun altro per andare avanti. Quando ho raggiunto questo equilibrio, mi sono resa conto di essere davvero pronta ad accogliere l’Altro, in tutti i suoi aspetti. Bisogna abituare l’essere umano a confrontarsi con se stesso, a dialogare col proprio Sé, per scoprire il suo incredibile potenziale e condividerlo col mondo. Ascoltare il suono del silenzio, questa è la cosa più difficile, ma la pratica della meditazione ci insegna a farlo nel migliore dei modi. Chiaramente, c’è bisogno di pazienza, senza di essa nulla si ottiene nella vita. Tuttavia, ciò si rende manifesto ed è proprio grazie a questo immane sforzo spirituale che saremo in grado di evolvere, di incontrare noi stessi. Quando fai silenzio dentro di te e la mente si abitua a riprodurre il vuoto ogni giorno, si aprono al tuo cospetto delle porte che conducono verso mondi inesplorati, che pure esistono e sono intelligibili. Il Reiki insegna a conseguire questo scopo, indicando anche la quantità di tempo necessaria ad evolvere. Si entra in contatto con quello che noi non vediamo, ma che ci accompagnava già prima di nascere, come realtà parallela con la quale è possibile comunicare a livello di pensiero. Non siamo soli nell’Universo, ormai lo sappiamo: esseri di luce ci affiancano in ogni istante, indicandoci la via da seguire. Il Reiki prima di tutto è uno stile di vita, che si fonda sulla necessità di vivere appieno il presente, fino a farlo dilatare in un orizzonte di tempo infinito, in cui ato e futuro si fondono nel continuum dell’esistenza.
Il principio di accettazione del contingente ci permette di rimanere sereni anche di fronte alle avversità, generando un’inedita forma di quietismo, che oltre a rappresentare un’importante dottrina filosofica, si traduce in un concreto stile di vita. C’è sempre un motivo se le cose vanno in un certo modo, non bisogna dimenticarlo! L’impossibilità di muovermi e camminare, che mi ha bloccata in casa per mesi e mesi, come segregata, ha avuto un risvolto positivo molto importante su di me: ho utilizzato il mio tempo per studiare e ricercare altre forme di conoscenza. La malattia è servita ad apprendere, su vari livelli, nuove concezioni del mondo e dell’Universo. Uno dei lati migliori della svolta tecnologica, verso la quale inizialmente ero scettica, è proprio questo: darti la possibilità di accedere ad alcune informazioni che diversamente sarebbe stato difficile ottenere. È stato così che tramite internet sono venuta a contatto con una donna molto intelligente e spiritualmente elevata: una Master Reiki, di origine rumena che però vive in Italia da molti anni, una persona dotata di notevole forza d’animo, con un vissuto di grande sofferenza alle spalle. Tra noi si è stabilita una profonda amicizia, che la stima reciproca rinvigorisce giorno dopo giorno. Questa donna, unica nel suo genere, mi ha aiutato davvero ad affrontare le insidie degli ultimi anni: anche lei ha dovuto patire molte sofferenze nella sua vita, proprio come me. Quindi la nostra sintonia è derivata in forma spontanea dalla condivisione di un percorso simile a livello esistenziale. Spesso, le amicizie vanno avanti anche perché la strada intrapresa è comune. Noi due stiamo facendo lo stesso cammino spirituale, quindi ci sosteniamo a vicenda perché sappiamo che il compito intrapreso è di aiutare l’umanità in questa difficile fase di transizione. C’è qualcosa che mette insieme persone simili, le unisce, come a formare un grande cerchio: ci incontriamo, ci riconosciamo e diamo una mano a chi ne ha bisogno. Mettiamo la nostra forza a disposizione degli altri, tramite i metodi messi a disposizione dal Reiki, che consente di trasmettere energia anche a distanza. Viene sbloccato e attivato il potenziale energetico che abbiamo nei palmi delle mani, così come vengono riattivati i sette chakra del corpo umano. Ci vengono forniti dei simboli, che cambiano in base al nostro livello di energia
attuale, ed hanno delle proprietà specifiche. Non a caso, il Reiki e la fisica quantistica trovano notevoli punti di connessione: entrambi sostengono che tutto sia energia e che ogni corpo abbia una sua specifica frequenza, espressa in Hertz. In base ai livelli di frequenza raggiungiamo stati di coscienza e possibilità di guarigione sempre maggiori. Si sostiene che ogni persona abbia una sua specifica frequenza in base al livello di evoluzione spirituale raggiunto. Ci vuole un po’ di tempo per allenarsi a comprendere queste nozioni, ma quando apriamo la nostra mente fino al punto da mettere in discussione le principali conoscenze acquisite, ci rendiamo conto di quanto le cose siano più complesse di come eravamo abituati a descriverle. Il Reiki sostiene l’esistenza del mondo astrale, una dimensione parallela alla nostra dove esistono sia entità luminose, portatrici di bene, ma anche entità oscure che influenzano negativamente le nostre vite. Con i suoi metodi si può agire su questo mondo, fino al punto da prevenire alcune le malattie, generando delle protezioni. Infatti, una delle prime cose che insegnano i Master Reiki è quella di stabilizzare il proprio corpo energetico, in maniera tale che non ci siano interferenze di nessun genere. In questo modo, ciascuno sarà in grado di proteggersi da eventuali attacchi provenienti dalle energie esterne, di qualunque forma esse siano. Questo perché le forze oscure possono essere di vari tipi: sono entità che si nutrono dei nostri pensieri, della nostra energia vitale, che minano la stabilità dell’umore e la salute del corpo. Ma noi possiamo evitare tutto questo, o per lo meno attenuare i danni, creando un vero e proprio scudo contro di loro. Fino a quando un essere umano non prende coscienza di certe cose, egli rimarrà schiavo dell’occulto, in balìa dei suoi attacchi. L’umanità dovrebbe cominciare a capire che il primo o per combattere queste presenze tenebrose consiste proprio nell’adottare un atteggiamento di positività verso la vita, che ci restituisca quella corazza interiore che le sofferenze del ato hanno contribuito a scalfire. Il Reiki come processo di rigenerazione è volto a renderci immuni dal male e padroni delle più recondite potenzialità del nostro intelletto. Le forze oscure si nutrono della paura, della tristezza, della vergogna e del senso di colpa: più concediamo spazio a queste emozioni e più vulnerabili saremo nei
confronti delle entità malefiche. Con la depressione, permettiamo loro di entrare nella nostra aura e di rimanervi a lungo, forse per sempre. Per questo c’è bisogno di capire che l’atteggiamento giusto per affrontare la vita è un altro, così da metterlo subito in pratica e liberarsi dal male. Seguendo questa strada riusciremo a tutelarci, evitando di subire danni permanenti sul nostro corpo e sulla mente. Ormai sono ati quasi tre anni da quando ho intrapreso questo tipo di lavoro su me stessa e ogni volta che ne parlo provo le stesse emozioni della prima volta.
Capitolo 10
Il Reiki è legato a doppio filo con questa fase della mia vita, perché, come sostiene la mia Master, una volta che inizi a praticarlo ogni cosa viene allo scoperto, soprattutto ciò di cui in precedenza eri all’oscuro. Nel periodo trascorso a Roma ho dovuto affrontare altri ostacoli oltre alla malattia. L’essere superiore al mio fianco mi ha indicato la strada del Reiki per ricevere una maggiore protezione contro questi attacchi, ma non è stato facile rialzarsi. All’inizio ero abbastanza scettica in merito alla sua reale efficacia, perché non avevo mai sentito parlare di tutto ciò e non sapevo come interpretare quei simboli. Al tempo stesso, però, quel nuovo orizzonte mi affascinava molto, mi sentivo particolarmente attratta. Inoltre, visti i tempi in cui viviamo, una persona deve anche imparare a proteggersi, oppure peggio per lei… i rischi saranno elevati. Quindi ho vinto la mia iniziale ritrosia ed ho iniziato a fare questo percorso di progressiva rinascita. Durante il cammino, però, le cose accadono e non puoi farci nulla, devi indossare l’armatura e combattere. Accadde un giorno che, finito di lavorare, mi accinsi a portare la mia cagnolina al solito controllo periodico per monitorare il suo stato di salute. Quel giorno, tuttavia, mio marito si offrì di andarci al posto mio, facendo leva sul fatto che fossi stanca dopo un’intera giornata di lavoro. In effetti, quel pomeriggio mi sentivo particolarmente debole e quindi non mi sarebbe dispiaciuto tornare a casa e stendermi sul divano; generalmente però si andava insieme alle visite, così mi è sembrata strana quella sua “insistente” proposta. All’improvviso, il mio sesto senso è entrato in azione: ho percepito qualcosa, “un pericolo” e mi son detta: “No! Non devo lasciarlo andare da solo”. Iniziai a chiedermi come mai mi stesse imponendo questa cosa, in una simile circostanza. Stava facendo il furbo? Allora andai con lui dalla veterinaria, come al solito, e lì si inscenò la commedia dell’assurdo: per tutto il tempo la “signorina” non gli tolse gli occhi di dosso,
incurante della mia presenza, lui sembrava stare al gioco. Non faceva nulla per nascondere una certa accondiscendenza nei riguardi delle sue attenzioni… fu del tutto inopportuno! Seduta su una sedia li osservavo mentre continuavano a scambiarsi equivoche attenzioni, come se nulla fosse. La mia cagnolina era ancora sul lettino quando li vedo avvicinarsi un po’ troppo l’uno all’altra, in un modo che non mi è piaciuto affatto, per giunta, davanti ai miei occhi: è stata una grande mancanza di rispetto! Da signora, mi sono alzata, inserendomi fra i due, ed ho invitato freddamente mio marito ad andarsene: «Se permetti, il cane è mio e me lo gestisco io… grazie!». In quell’occasione, pensò anche di rispondermi in modo brusco, cosa che non aveva mai fatto prima… ma almeno avevo messo ognuno al suo posto. Così è giunta la prima delusione, da parte di mio marito. Il rapporto tra me e lui è sempre andato bene fino a quel momento. Se credeva che mi fossi rimbambita a seguito della malattia, si sbagliava di grosso! Dopo questa spiacevole esperienza, purtroppo il nostro rapporto è cambiato. Ci facciamo compagnia, sostenendoci a vicenda, ma non è più come prima. Il castello fiabesco che insieme a lui mi ero illusa di edificare è crollato in un istante. In quel contesto, mio marito divenne incapace di controllarsi, era evidente. Provava una grande attrazione nei confronti di questa persona e nel momento in cui l’ho preso in disparte, lui ha continuato a negare la verità dei fatti. Se la persona che amo mi fa una cosa del genere, io mi arrabbio ancora di più. È stata la prima volta nella mia vita in cui ho preso qualcuno a ceffoni. Gli ho anche detto che volevo il divorzio… mi sentivo ferita come non mai. Il suo comportamento infantile mi aveva procurato l’ennesimo trauma e, dopo tutto quello che avevo ato, non ne avevo proprio bisogno. La sua è stata un’autentica mancanza di rispetto, queste cose io non le ho mai fatte… perché allora trattarmi così? «Il tempo mi darà ragione», asseriva, ma ormai stava rasentando il ridicolo, seguitando a bluffare. «Le cose torneranno come prima», mi diceva, ma io mi conosco, so bene come sono fatta: indietro non torno! Quando la fiducia in qualcuno viene tradita è come un vaso che si rompe: puoi rincollare i pezzi, ma non lo vedrai mai più com’era prima. Così, attraverso
quell’ennesimo scacco matto dovetti capire che, in verità, non appartieni a nessuno, se non a te stessa… e che, al tempo stesso, nessuno ti appartiene. Comprendi di essere tu la sola persona di cui importa e quindi devi prendertene cura, perché nessuno lo farà al posto tuo. Nessuno ti completa veramente: devi imparare a bastarti, a perfezionarti autonomamente, solo così potrai essere felice. Non devi aspettare che qualcuno ti renda felice, devi riuscirci da sola. Bisogna completarsi autonomamente per stare davvero bene. A un certo punto, è necessario saper accettare che tutto cambi: le persone, le situazioni, i sentimenti. La favola del “vissero felici e contenti” non esiste. Dobbiamo rassegnarci a vivere questo perenne e continuo divenire, che ci trascina con sé nella bassa e nell’alta marea. È doloroso, ma questa è la vita: accettare il cambiamento, senza smettere di crescere. Ritengo di dover ringraziare prima di tutto il Reiki per essere riuscita a superare questa crisi: esso aumenta le nostre capacità sensoriali, grazie anche all’aiuto degli esseri di luce vicino a noi che non possiamo vedere, ma che sono sempre presenti, e quando trovano terreno fertile nei cuori della gente si manifestano in tutta la loro energia spirituale. È indescrivibile il loro amore per noi. Tutte le volte in cui ho avuto la fortuna di entrare in contatto con loro ho avvertito questa sensazione assoluta: un senso di benessere e di gioia che non è possibile sperimentare in altro modo, in nessuna esperienza terrena, perché il loro è amore divino. Sin dall’antichità sappiamo di essere composti da sostanze differenti. Spesso tendiamo a identificarci solo con il corpo fisico, ma in realtà il Reiki ci insegna che siamo esseri multidimensionali, con la possibilità di sperimentare altri livelli oltre a quello materiale. Sono nata così, con il dono di vedere ciò che altri non vedono e, non a caso, l’ho capito a duro prezzo. Ci sono cose che ho visto e vedo tutt’oggi, cose che devono ancora accadere, che stanno accadendo o sono già accadute. Nella storia tra me e il compagno di vita che l’Universo mi ha destinato, l’intervento di quelle che con pudore definisco “forze celesti” mi ha salvata ancora una volta, facendomi scoprire la verità dei fatti: quella giovane
veterinaria ha provato ad appropriarsi di ciò che non le apparteneva mediante l’uso della magia. La “dottoressa” ha utilizzato la magia per far cadere mio marito nella sua trappola meschina e rovinare il nostro rapporto. Purtroppo, nel mondo esiste anche gente di questo tipo. In virtù di ciò, ho potuto in parte giustificare mio marito, che evidentemente non era del tutto cosciente di quello che stesse facendo e per questo l’ho anche perdonato. Per fortuna, la mia facoltà di andare oltre il visibile mi ha permesso di capire e prevenire ulteriori squilibri: «Ho visto tutto e ti perdono perché so che stai soffrendo e ti auguro la guarigione». Il Reiki combatte gli oscuri e, con essi, qualsiasi tipo di magia nera. Quando si arriva a minare le fondamenta di un rapporto solido come il nostro, incrinando le sorti di un matrimonio celebrato di fronte a Dio, si supera un limite che non può essere valicato: «L’uomo non separi ciò che Dio ha unito». In effetti, la nostra unione ha sempre suscitato molta invidia negli altri, perché siamo stati una coppia felice e alle persone malvagie la gioia degli altri provoca invidia. Per questo, alcuni ricorrono a mezzi sleali, per illudersi che la loro vita non sia meno squallida di quella altrui. Arrivano addirittura a pagare dei maghi per agire in tal senso, ma non si rendono conto che nella vita tutto torna. Se una donna si spinge a tal punto nella sua malvagità da arrogarsi il diritto di utilizzare la magia per modificare la vita e il destino delle persone, è lecito pensare che anche lei abbia un prezzo da pagare: il suo karma verrà irrimediabilmente compromesso! Ogni cosa commessa nel bene o nel male tornerà al mittente, in forma triplicata, seguendo la Legge del Tre: se si fa del bene si riceverà tre volte il bene, così come, se fai del male si riceverà tre volte lo stesso. Se non in questa vita, in un’altra le tornerà tutto indietro. Ma non a causa mia, perché io sono incapace di fare del male a qualcuno, nemmeno al peggior nemico, verso il quale non riesco a provare alcun rancore. Sarà lei stessa a macchiare il suo karma con le nefandezze commesse su questa Terra. E allora, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Il Reiki agisce solo a fin di bene: è uno stile di vita, un servizio, un aiuto che
ognuno di noi può rendere all’intera umanità come operatore di luce. Non ha nulla a che fare con la magia, è per questo che va a scontrarsi con le sette e gli occultisti. Siamo su due lati opposti della barricata: noi combattiamo il male, il risentimento, il pregiudizio. Difendiamo la pace, l’amore, l’armonia del Cosmo. Il Reiki sostiene che tutto quello che ci circonda è energia e che noi possiamo controllarlo attraverso i nostri pensieri. La maggior parte degli esseri umani di questo pianeta, specie in Occidente, ignora l’energia delle forme pensiero e ne è totalmente succube. Penso sia bene sapere che ogni volta in cui ci capita di avere un pensiero, che si ripete dentro la nostra mente, ogni volta che pensiamo a qualcuno creiamo una “forma pensiero”, un’energia che indirizziamo verso la persona in oggetto. Un pensiero casuale di pochi secondi difficilmente raggiunge l’obiettivo, ma un pensiero ripetuto, insistente, crea una forma pensiero molto forte e potente, cioè un’entità capace di modificare la realtà verso cui si indirizza: si veda il classico malocchio, l’esempio più banale, per quanto concerne l’energia negativa, mentre la preghiera è l’esempio classico per quanto riguarda l’energia positiva. È importante essere consapevoli di ciò che inconsapevolmente creiamo, ma dobbiamo anche stare attenti a quello che, senza saperlo, inviamo al prossimo: forme di pensiero intrise di rabbia e vendetta sono enormemente potenti e rischiano di fare del male a qualcuno, ma soprattutto a noi stessi. Praticare il Reiki significa attingere all’energia cosmica del Creato e strutturare un ambiente in cui recuperare le proprie forze, riprendere coscienza di chi e cosa veramente siamo, svegliarci al mattino provando gratitudine, vivere la giornata in armonia, saper distinguere cosa ci fa bene da cosa ci provoca dolore. Attraverso un processo di riequilibrio energetico possiamo dare forza al nostro corpo e a quello degli altri, perché l’uomo è conduttore di energia divina: è un potente accumulatore di forze cosmiche. Il cervello, i polmoni, il cuore e lo stomaco sono i maggiori ricettori di potenza, attraverso i quali l’uomo assorbe queste energie dell’Universo. Allo stesso modo, anche le mani e le dita sono conduttori di frequenza: se mettiamo le nostre mani sulla testa, sul petto o sullo stomaco, siamo in grado di ricevere attraverso di loro le rispettive energie e trasmetterle a un’altra persona. Ognuno di noi può riuscire in un simile intento, perché ogni essere umano è
intrinsecamente portatore di luce. Al tempo stesso, l’uomo è una dinamo che, in momenti diversi, genera energie diverse, quindi non dobbiamo mai dimenticare che a nostra insaputa possiamo anche fare del male al prossimo, e ciò va evitato in tutti i modi. Dobbiamo ricordarci chi siamo, ricordare la nostra missione e perseguire l’evoluzione della nostra anima, mentre siamo incarnati sulla Terra. In questa vita non esiste nulla di stabile e così nessun amore rimane identico a se stesso: i sentimenti mutano, si cresce, si matura e se l’amore non va di pari o con noi, apisce e muore come un fiore senz’acqua. Anche il rapporto con l’anima gemella, prima o poi, è destinato a variare, l’importante è scegliere la persona migliore che sappia vivere al nostro fianco, condividendo principi e valori fondamentali. È probabile, inoltre, che nel lungo cammino di coppia arrivi un momento in cui uno dei due continua a maturare, mentre l’altro rallenta e rimane indietro. Non possiamo farci nulla, le cose vanno così e bisogna farsene una ragione! Quando ci siamo conosciuti, io e mio marito eravamo sullo stesso piano di maturazione. Poi, anche in virtù delle riflessioni e degli studi svolti durante la mia malattia, io ho fatto un ulteriore balzo in avanti nel processo di evoluzione spirituale, il mio percorso ha seguito una via tangente che mi ha permesso di progredire più di lui. Ad oggi, sono soprattutto io a dare stimoli, a fornire spunti di riflessione sul mondo e sulla vita. Dopo questa storia, è uscita allo scoperto un’altra cosa molto particolare. D’altro canto, il Reiki serve anche a questo, a scoprire tutti i nemici occulti, la cui azione grava sul nostro conto. Era Pasqua e avevamo prenotato un tavolo in un ristorante di Fregene, per uscire un po’ in vista delle feste. Personalmente avevo anche bisogno di prendermi una giornata di svago, dopo tutto quel tempo trascorso sempre chiusa in casa, triste e debilitata. Giunti a destinazione, ci sedemmo e iniziammo ad ordinare. Io ero bella tranquilla al mio tavolo, cercavo di rilassarmi e di godermi quella tanto agognata giornata al mare, quando alzando lo sguardo mi accorgo di lui… Al tavolo vicino, una presenza del mio ato ricomparve in maniera inaspettata: era il mio vecchio compagno di università… strana coincidenza! Come mai a Roma e proprio lì, in quel ristorante?
Si aprì una porta e il ricordo emerse: mia nonna se n’era andata, non avevo la serenità necessaria per intraprendere una relazione con lui… ero stata profondamente ferita, abbandonata da tutti, compresi i miei genitori. Evidentemente, egli interpretò questa mia posizione come un vero e proprio rifiuto, cosa che non mi avrebbe mai perdonato. Una settimana prima di trovarmi in quel ristorante a Fregene, mi era accaduto un altro episodio strano: mi svegliai di prima mattina ed ebbi la sensazione che lui fosse lì, di fronte a me. Era il suo “corpo astrale”, per usare la terminologia del Reiki, che mi chiedeva aiuto disperatamente. Con il pensiero sono riuscita a entrare nella sua vita ed ho visto che neanche lui stava ando un bel momento, gli stava succedendo qualcosa. Ora che lo avevo davanti a me, potevo realmente constatare che non stava bene… Ne parlai con la mia Master Reiki, con la quale mi confronto sempre… chi se non lei mi avrebbe potuto spiegare il vero significato di quell’esperienza così particolare? A quanto pare, era la sua anima a chiedermi di aiutarlo, perché il suo destino era in difficoltà. Praticando il Reiki, avrei potuto dargli una mano e la sua anima questo lo sapeva bene. Quel giorno anche lui, inconsapevolmente, mi avrebbe aiutata: dopo quello che era successo, ero sprofondata in una grande tristezza che mi rendeva difficile proseguire nel mio cammino. Mi sentivo confusa, mi domandavo che ci stessi a fare… non mi rassegnavo al fatto che mio marito mi avesse deluso così profondamente, proprio nel momento in cui avevo più bisogno di lui. Stavo scoprendo che nella vita non puoi dare nulla per scontato, che la forza di ricominciare la devi trovare solo in te stessa. Sono lezioni di vita, c’è poco da fare, e spesso fanno male. Quando rividi quell’uomo a Fregene, ancora distrutta per la delusione di mio marito, si accese una luce… mi diede la forza di continuare a vivere! Tuttavia, quello che poi compresi su di lui mi lasciò stupefatta: ebbi la conferma di quanto le nostre anime, in verità, stessero navigando in direzioni opposte. Egli è sempre stato un uomo freddo e calcolatore, già ai tempi dell’università era solo interessato al successo! Tra noi non c’è mai stato nulla, neanche un bacio. Si stabilì una grande simpatia a quei tempi, che poteva rappresentare il preludio per qualcos’altro, ma io decisi di troncare, perché compresi che non si trattava
dell’uomo giusto per me… così attaccato alla materia e al culto delle apparenze. Non avrei mai potuto avere una persona del genere al mio fianco, mi sarei fatta solo del male, aveva ragione mia nonna! Egli è sempre stato succube della madre, una donna legata a doppio filo al mondo della finzione. In certi casi, l’influenza negativa dei genitori può arrivare a distruggerci. Nel suo caso è stato proprio così! Io, fortunatamente, mi sono salvata: ho avuto la forza di staccarmi da loro, scoprendo la mia vera identità, a prescindere dal mio ambiente di provenienza. Dobbiamo riconoscere chi siamo indipendentemente dai nostri genitori. Se avessi seguito i dettami della mia famiglia, avrei potuto lavorare presso uno studio ben avviato, quello di mia zia, magari dopo aver fatto Economia e Commercio, una Facoltà che a me non piaceva affatto. Invece, ho deciso di seguire un’altra strada, certo non facile, ma più affine al mio carattere e alla natura dello spirito. La mia vita è stata dura, ma se non altro posso dire di essere serena, in pace con me stessa. Non credo siano in molti ad avere questa possibilità: guardarsi allo specchio a testa alta, tutti i giorni, sapendo di aver sempre agito secondo coscienza. A Fregene, quell’uomo mi ha dimostrato di possedere anche facoltà che vanno al di là dell’ordinario, che sviluppano solo alcune persone che gravitano in ambienti… come il suo. Dopo averlo riconosciuto, mi sono messa a pranzare, chiaramente con lo sguardo sul piatto. È stato in quel momento che ho percepito una forte energia, mi voleva imporre di alzare lo sguardo verso di lui e non solo… lì è iniziata la nostra vera battaglia: mentre mangiavo, mi sono sentita come paralizzata. Un’energia così forte e negativa stava prendendo il sopravvento, tanto da indurre la mia mente ad opporsi con altrettanta energia: ho resistito con tutta me stessa, sono riuscita a scuotermi di dosso ogni atomo della sua nefasta influenza. In seguito, la mia Master mi avrebbe detto che la cosa migliore sarebbe stata guardarlo negli occhi e sconfiggerlo con i simboli del Reiki, ma in quel momento non avrei potuto, ero ancora troppo debole. Riuscii ugualmente a tenergli testa, uscendone vincitrice. Così quel giorno scoprii il suo gioco: era stato lui la principale causa dei miei problemi di salute. Aveva agito così pesantemente contro di me da debilitarmi e
condurmi alla sofferenza più atroce. Con i suoi attacchi psichici, come li definisce il Reiki, era riuscito anche a bloccare il settimo chakra del mio corpo, quello che predispone al contatto col divino: una cosa gravissima, che mai gli sarà perdonata dall’Universo. Ecco che, allora, tutto aveva una spiegazione… ma ciò non risolveva il problema. A conti fatti, mi sforzo sempre di vedere il lato positivo delle cose, anche in merito a circostanze così controverse. Nonostante le sue cattive intenzioni, quell’uomo è riuscito, senza volerlo, a ridestare in me una certa forza vitale, che mi è stata utile per liberarmi da quelle forze surrettizie che proprio a causa sua continuavano ad agire sul mio spirito. Suo malgrado, dentro di me si è accesa una luce e per questo ho deciso di aiutarlo. D’altronde, fu la sua stessa anima a supplicarmi di farlo. Tramite le pratiche apprese in questi anni sono riuscita a inviargli energia positiva. Essa si scontrerà con le forze del male che attanagliano il suo spirito, motivo per cui non mi aspetto che un simile aggio lo lasci indifferente… ma questo è necessario affinché lui possa capire e, chissà, forse un giorno risvegliarsi. Le questioni in sospeso nella vita ritornano, per concludersi! Non incontriamo nessuno per caso: ogni persona attraversa la nostra vita per una precisa ragione. Sono sempre più convinta che le coincidenze, in realtà, siano segnali che l’Universo invia sulla nostra strada in vista di significati latenti che solo noi possiamo decifrare. Avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso tra noi. Ci sono persone che potrebbero amarsi tantissimo, però si incontrano nel momento sbagliato delle loro vite. Ricordo sempre quel giorno, seduti su una panchina, mentre mi consolava per la morte di mia nonna. Lui non sa di avermi fatto il regalo più grande: donarmi il suo tempo, in un momento così difficile, in cui io ero sola, senza più nessuno che si occue veramente di me. Anche in virtù della mia riconoscenza, l’ho aiutato, perché a suo modo mi è stato vicino… nello stesso luogo, nello stesso tempo. Vorrei dirgli, dopo tutto il male che mi ha fatto, che nella vita non ci si può far ingannare dalla nostalgia di quel che sarebbe potuto accadere. Tra noi non poteva esserci nient’altro, altrimenti ci sarebbe stato, punto e basta!
Perché la vita è così: se alcune cose “devono essere”, si realizzano, a prescindere dalle condizioni esterne. Oggi quel che possiede gli fa credere di essere una divinità scesa in Terra, ma invero non possiede la cosa più importante: la sua anima… non è padrone di se stesso. Quell’uomo ha tutto ciò che potrebbe renderlo felice, ma in realtà non lo sarà mai, perché la felicità non deriva affatto dal possesso materiale: la gioia autentica proviene dal senso interno, è un risveglio dell’anima, che non potrà mai realizzarsi se si rimane troppo attaccati alle frivolezze di questo mondo. Ripensando a quanto è accaduto in questi anni, a volte mi dico: “Non rovinare quello che hai, pensando a ciò che non hai avuto. Ricorda che quello che ora possiedi, un tempo era tra le cose che speravi di avere”. Il rapporto con mio marito rappresenta ciò che desideravo con tutta me stessa e che ho avuto, nonostante tutto. Se si ama sinceramente, bisogna andare avanti, superare le avversità, altrimenti qualcosa di importante andrà perso per sempre! È per questo che io e mio marito ancora stiamo insieme e camminiamo mano nella mano, superando le tempeste della vita. La felicità, a ben vedere, si raggiunge proprio in questo modo: lasciando che le cose accadano senza opporre attrito alla realtà dei fatti. Bisogna affrontare la vita accettando che il fiume continui a scorrere in direzioni spesso inattese, che ci fanno soffrire, ma sempre finalizzate a condurre le acque in un porto sicuro, per poi sfociare nell’immensità del mare. Anche gli ostacoli, in questo senso, sono funzionali al raggiungimento della meta finale. Nella mia vita ho scelto i sentimenti, non ho inseguito il successo a tutti i costi. Avrei potuto anche farlo, ma sarebbe stato un mondo troppo freddo, arido per il mio spirito di eterna fanciulla. Non ho rimpianti, non era per me quel tipo di vita, perciò non l’ho scelta al momento opportuno. Seguiamo la legge di attrazione: l’uomo è energia, quindi col pensiero non ottiene tutto ciò che vuole, ma solo ciò in cui crede. Quello in cui crediamo diverrà la nostra realtà! Entrambi sappiamo che il segreto per la felicità è vivere nel presente, che dimorare nel ato equivale a deprimersi, nulla tornerà indietro, così come un’esistenza trascorsa a preoccuparsi del futuro produce l’ansia di non essere mai all’altezza delle proprie aspettative. Ma soprattutto sappiamo che per trovare
la pace bisogna guardarsi negli occhi e praticare il non-attaccamento: essere consapevoli che nulla e nessuno ci appartiene totalmente, che dinanzi a tutti noi ci può essere un mondo inesplorato, che val la pena condividere con qualcuno in grado di recepirlo. Come ci insegna il grande Erich Fromm, “Vivi per essere, non per avere”. Ecco la scelta che fin da ragazzina ho fatto e che in questo momento trova la sua piena realizzazione, il suo compimento! Con il Reiki sto continuando a progredire nella comprensione del mio essere, inteso come sinolo, unione di materia e forma, corpo e anima. Il mio approccio alla vita è cambiato: ho smesso di rendermi vulnerabile alle forze del male, perché ho capito che siamo tutti parte del grande disegno infinito che l’Universo ha tracciato per noi; che ognuno è artefice del suo bene, come del suo male, e che quindi abbiamo il potere di riprendere in mano la nostra vita, grazie alla forza della fede e della speranza. Una nuova consapevolezza, che potrà condurre il mondo al suo fisiologico sviluppo, rispettando i tempi e modi di ciascuno, onorando il cammino della vita. Vivendo ora vicino al mare, sul litorale romano, lì dove il sole nasce e tramonta, peculiarità di questo luogo, ho la fortuna di poterlo vivere ogni giorno. Quando mi sveglio, ogni mattina, guardo il mare con attenzione, sento le sue onde vibrare, nel momento in cui si infrangono contro gli scogli, che il ato ha reso macigni, e allora mi guardo allo specchio, mi riconosco: gioisco della mia vita, di avercela fatta ancora una volta, e quando sento il mio cuore pulsare al ritmo delle onde, gli dico: “Vibra, vibra più in alto!”. Anche se qualcuno ti farà del male, tu comunque vibra, vibra più in alto!