a cura di Franco Forte
Morgengab
di Claudio Costa
1.0 aprile 2014 ISBN versione ePub: 9788867753024 © 2014 Claudio Costa Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano Versione: 1.0 aprile 2014
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Indice
Colophon
Claudio Costa
Morgengab
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
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Claudio Costa
Claudio Sergio Costa è nato nel 1969 a Milano, dove vive. Si occupa del software e dell’automazione d’impianti industriali. È presente su diverse raccolte e riviste letterarie. Ha partecipato a numerose antologie edite dalla Delos Books. Primo classificato alla XXIV edizione del premio Writers Magazine Italia nel 2011. Nel febbraio 2013, il racconto “Tempo zero” è stato pubblicato in appendice ai Classici del Giallo Mondadori. Finalista al premio Grado Giallo e al premio Teramo 2013. Il racconto “Sotto un cielo distorto” ha vinto l’edizione 2013 del premio Giallolatino, pubblicato a novembre dello stesso anno in appendice ai Classici del Giallo Mondadori.
1
Il mahrskalk Raginhart, capo della scorta di Paolo Diacono, sbirciò dalla porta socchiusa della cappella di San Giovanni a Monza. Nella luce pallida che allontanava la tenebra, vide il prete, l’uomo che doveva proteggere. L’abito talare di lana bianca brillava sotto la torcia, come illuminato da un’aura divina. Lo guardò sfiorare le pareti senza osare toccarle. Degli affreschi sui muri della cappella, dopo oltre un secolo, restava solo la pallida traccia di una bella fanciulla formosa, dai biondi capelli cinti dalla corona ferrea, accanto al suo ultimo sposo. Raginhart sapeva chi erano: Agilulfo e Teodolinda, la leggendaria regina dei longobardi. Ascoltò la lode intonata dal prete e per un istante, soffocò il fastidio interiore dell’attesa. Erano partiti dal monastero di Montecassino diretti alla corte di Aquisgrana e si erano fermati a Monza a rendere omaggio agli avi. – UT queant laxis. REsonare fibris. MIra gestorum. FAmuli tuorum. SOLve polluti. LAbii reatum. Sancte Iohannes… – salmodiava Paolo Diacono. – Che cosa sta cantando? – chiese Raginhart a Bruningo, il giovane monaco dell’ordine di San Colombano, che gli si era affiancato. – Compone un inno al Battista. A ogni strofa, i suoni salgono al cielo… Hai ragione, sembra che il mio maestro canti. – Dobbiamo andare, Milano non è lontana, ma il sole sta calando e non mi piace viaggiare col buio – replicò impaziente Raginhart. – Vado a chiedere al maestro quali sono le sue intenzioni. – Digli di sbrigarsi. Ormai è inutile piangere sulle glorie ate. La corona longobarda è ata sulla testa del re dei franchi. – Onora i nostri antenati – obiettò Bruningo. – Posso capire il rispetto per i morti – disse Raginhart, togliendosi l’elmo a cono
e pettinando le piume che l’ornavano. – C’ero anch’io sul Brenta quando quel pazzo incosciente di Rotgaudo, duca del Friuli, sfidò per l’ultima volta l’esercito di Carlo Magno. Ricordo il cozzare delle lance sugli scudi, e i cadaveri trascinati dal fiume rosso di sangue. – Rotgaudo ha tentato solo una disperata sortita. – Col coraggio dello stolto. – Sei un arimanno, un uomo libero che combatte per il suo sovrano. Non puoi offendere la memoria del tuo comandante. – Io ho fatto il mio dovere, per questo ero là a impugnare la spada insieme a pochi fidati compagni per difendere quel che restava del regno e sfidare tutti quei soldati franchi – affermò Raginhart. – È stata una follia. – Era la volontà di Nostro Signore. Il regno dei longobardi non c’è più, così sia. Carlo Magno ha trionfato, dove l’imperatore di Bisanzio ha fallito – asserì Bruningo. – Non è stata la volontà di Dio. Sono sopravvissuto per caso sul Brenta. Ero appiedato, circondato dai nemici nell’acqua bassa. Uno di loro mi ha infilato la punta della lancia tra il costato e il braccio. Io mi sono voltato e ho spezzato il bastone falciando con la spada. Ma un altro franco con cui duellavo, ne ha approfittato. Ha affondato la sua lama nella mia coscia. Il dolore mi ha rallentato. I soldati mi incalzavano, ero rimasto solo. Vedevo i miei uomini radunati sulla riva, catturati. Quelli vivi. Sono indietreggiato, e quando la gamba ferita ha ceduto alla corrente del fiume, sono stato trascinato via. – Potevi affogare… – Non è successo. So nuotare. – … Con una ferita e il peso della brunia e del corpo a spingerti sott’acqua? – gli domandò Bruningo, fissandolo negli occhi e annuendo. – Anche questo ricade nel disegno di Nostro Signore, tu sei scampato al massacro per servire il mio maestro. – E per questo favoloso piano divino, Paolo Diacono si sta recando ad Aquisgrana a riscattare i suoi parenti?
– Ignoto è il disegno. Ma esiste. Non possiamo non approfittare della clemenza del re. – Clemenza? – sbottò Raginhart e inarcò un sopracciglio. – Carlo Magno vorrà qualcosa in cambio – sentenziò. – Di certo non vuole sfidare a duello un prete. – Lo à come ostaggio per contrattare con la chiesa? – Credi che il re dei franchi abbia bisogno del mio maestro come scudo, se decide di imporsi sul Papa? – gli ribatté Bruningo. – Paolo Diacono non è così importante per il pontefice – ammise. – E allora cosa vuole Carlo Magno da lui? – Il mio maestro gli ha scritto un’epistola, Ad regem, chiedendogli di liberare suo fratello Arechi. E il re ha promesso di lasciare andare a casa tutti i prigionieri della battaglia sul Brenta, se Paolo Diacono rimarrà a corte come suo precettore. – E cosa potrà insegnare un prete al re? A guerreggiare? – Non basta essere svelto di spada. A volte, è utile esercitare l’intelletto e imparare l’arte della scrittura. Tu sai distinguere le lettere? – Conosco il mio nome.
Raginhart non entrò nell’oraculum con Bruningo, percorse la sala grande e uscì dal portale principale del palazzo. Scorse il profilo della lontana palizzata malmessa che dei carpentieri stavano riparando, guardò le case di legno di Monza e camminò fino al piazzale occupato dai suoi soldati. La scorta degli arimanni era smontata da cavallo in attesa di un suo ordine. – Dobbiamo ripartire? — gli chiese uno di loro. Scosse la testa e l’arimanno e i compagni imprecarono in maniera poco sommessa. Raginhart sollevò lo sguardo a rimirare l’edificio di pietre e l’alta torre che si stagliava solitaria nel cielo.
Sentì nitrire il suo cavallo. Si voltò e vide una ragazza dai capelli dorati come l’orzo pronto al raccolto, lunghi almeno quanto i propri a metà schiena, accarezzare l’animale. Era accompagnata dalla nutrice che si teneva in disparte. – Comandante? – proferì la fanciulla. – E tu chi sei, soave visione? – domandò. La giovane donna gli arrivava al petto. – La figlia di Sigfrido il gastaldo, signore di Monza. – Non sapevo che lui avesse un simile fiore di sole dentro casa. – Tu non sai molte cose, comandante. Forse dobbiamo aspettare che ti cresca la barba. Il tuo mento è ancora troppo liscio – gli disse lei, con un sorriso furbo. – Vuoi illuminare la mia ignoranza e dirmi il tuo nome? – le chiese, mentre si accarezzava la peluria dura che gli cresceva rada sulla guancia, nonostante si avviasse a compiere i trent’anni. – Ah! Come sei ardito. Chiamami Ermelinda. Raginhart guardò oltre la giovane. I soldati ridevano come pazzi e si davano pacche sulle spalle. – Mai sfrontato quanto te – rintuzzò lui. – Non mi permetterei mai, comandante. Ma desidero conoscere il tuo nome, così da riferirlo a chi mi chiederà di te. – Raginhart. – E perché i tuoi uomini si rivolgono a te come mahrskalk? – Mahrskalk! – gridarono in coro i soldati, sghignazzando senza freni. Raginhart li rimproverò con lo sguardo. – Sono una guardia senza un sovrano da difendere. Sono l’ultimo dei gasindi rimasti in vita, la guardia reale di Desiderio, sconfitto e fatto prigioniero a Pavia. E sono il nuovo mahrskalk, il loro comandante – affermò, distendendo il braccio a mostrarle i suoi guerrieri. – E tu, perché non sei stato catturato? Non eri vicino al re?
– Non è affatto facile fermarmi. Quel giorno, Desiderio, prima di arrendersi a Carlo Magno, mi ha ordinato di non morire e di fuggire per poter guidare la riscossa del mio popolo. – A volte, si può disobbedire al proprio signore, se lui si trova in pericolo di vita. – Ci sono volute troppe morti per capirlo. Sei saggia… Ermelinda – asserì Raginhart, e la vide voltarsi di scatto verso la truppa. – Allora, se questa notte sei senza lavoro, puoi proteggere me – disse lei a beneficio di Raginhart, per poi fare una linguaccia di sberleffo ai soldati ammutoliti da tanta sfacciataggine. – Paolo Diacono rimane a pernottare a palazzo? – gli chiese poi, mentre si toccava il fermaglio che allacciava sul collo la veste di lino grezzo. – Il maestro sta studiando nella cappella e io attendo il suo allievo con la risposta. – È quasi il vespro ed è tardi per andare in qualsiasi altro luogo – constatò lei. – Manda i tuoi guerrieri a montare le tende. Tu mangerai e dormirai al palazzo con i monaci. – Sono ventitré soldati, dieci cani e trenta cavalli da sfamare. Dove devono accamparsi? – Di’ loro di prendere la via a sinistra del palazzo e fermarsi poco prima del ponte d’Arena, senza are il fiume Lambro e uscire da Monza. Lì, potranno piantare le tende. E dalle nostre cucine, gli faremo servire maiale arrosto. – Perché non è venuto il gastaldo ad accoglierci? – Pare che sia arrivato un altro ospite di riguardo, poco prima di voi. – Anche se è diventato il nuovo signore di Monza, per il vecchio Sigfrido non ci possono essere visitatori più importanti di Paolo Diacono. – Hai già incontrato mio padre? – L’ho conosciuto a Mortara.
– Da quello che mi ha detto, non sono in molti a essere scampati a quella battaglia. E tu mi hai appena raccontato che i nemici faticano a trattenerti. Devi essere un uomo fortunato. – La fortuna è stata molto più generosa con Sigfrido. La ragazza arricciò le labbra. – Che vuoi dire? È stato il re dei franchi a elevarlo di rango, durante la sua ultima venuta nella penisola. – E tu, pur così giovane e con simili raccomandazioni, perché non sei andata subito in sposa a un principe? – E tu perché non vai a strappare la corona ferrea dalla testa di Carlo Magno? – Dammi centomila uomini e lo farò. – Io sono una donna, l’esercito che chiedi può regalartelo solo il diavolo. Le palpebre di Raginhart si abbassarono. – Così, sia! Per questa notte non comanderò nessuna ribellione. Ermelinda rise radiosa e con le dita, sfiorò le piccole squame di metallo della brunia che corazzava il mahrskalk. – Peccato. Mi sarebbe piaciuto diventar regina.
2
Il rumore di zoccoli di due cavalli lanciati al galoppo nel piazzale, interruppe l’amabile dialogo tra Raginhart ed Ermelinda. La giovane donna non sorrideva più e lui si voltò a vedere chi stesse sopraggiungendo con tanta foga. – Chi sono? – le chiese. – Lo skuldheis e suo figlio Rodolfo – rispose Ermelinda, – sono già di ritorno, dopo aver tagliato le mani a qualche ladro di polli qua vicino. Sono i migliori esattori nel riscuotere il dovuto ed eseguire le condanne comminate da mio padre – gli disse, raccogliendo la saliva in bocca e ricacciandola subito in gola, nell’accorgersi che lui aveva inarcato un sopracciglio. Raginhart si accorse che era agitata e la situazione peggiorò, quando lo skuldheis bloccò il proprio stallone di fronte a lei. – Ermelinda, dov’è Sigfrido? – le domandò l’uomo, senza cortesia. – Ave Ulfari! Il tuo signore è a palazzo – lo salutò lei, come una romana, calcando sull’ave. L’esattore fece girare il cavallo e partì brusco in direzione dell’edificio senza degnare i presenti della minima attenzione. Ermelinda fece segno a Rodolfo. – Come mai avete tutta questa fretta? – gli domandò e continuò senza attendere la risposta. – Lasciami indovinare. Ulfari vuole chiedere di nuovo a mio padre che io diventi la tua sposa? Il figlio dello skuldheis ghignò come un serpente che osserva la sua preda giocare col pericolo. Era un giovane alto e dinoccolato, dai capelli unti. Neri come la veste e la brunia che indossava. Smontò dallo stallone e accennò un mezzo inchino alla figlia del gastaldo. – Il tuo primo rifiuto è stato più che sufficiente. Ma un giorno, quando avrò ricchezze e proprietà, sarai mia – disse con gli occhi ridotti a una fessura.
– Sogna Rodolfo! Sogna una terra dove tutti possano strisciare ai tuoi piedi. Sogna, perché non accadrà mai – replicò lei. Raginhart s’impedì di ridere insieme alla truppa. Poi un arimanno gli fece segno che qualcuno era uscito dal palazzo. Lui strinse gli occhi. Sigfrido, il signore di Monza, confabulava con un uomo, vestito da romano con una corta tunica per cavalcare. Erano seguiti da Paolo Diacono e Bruningo che, evidentemente, aveva convinto il maestro ad abbandonare per qualche minuto le memorie longobarde di un fasto ato. E dietro di loro, lo skuldheis. – Ermelinda? – chiamò il gastaldo. Raginhart lo fissò, annuendogli, serrando i denti dietro la piega dura della bocca. Sigfrido lo ricambiò con uno sguardo rapido per poi abbassarlo immediatamente sulla figlia. La ragazza si era nascosta dietro la nutrice, ma rinunciò, dopo che tutti la cercarono in silenzio e trovatala, la fissarono. – Eccomi! – disse lei, sbucando da dietro la balia. – Ti presento Livio Esperio, ambasciatore del duca di Piacenza – le annunciò il gastaldo, facendo un gesto ampio a presentarle il romano dalla corta tunica. La figlia di Sigfrido ò col capo abbassato a fianco di Raginhart, abbozzando un inchino all’ospite di riguardo appena giunto. L’uomo s’inginocchiò a sua volta. – Madonna. Quale onore conoscerti. Ti porgo i saluti del mio signore. Ermelinda arrossì. – Ti prego, alzati. Livio Esperio si rimise dritto. La ragazza si voltò a guardare il sole che tramontava e l’imibile Raginhart. – Con permesso padre, è meglio che vada a controllare in cucina che sia tutto pronto per il vespro – disse con un altro inchino, e prese la mano della nutrice. – Andiamo, o questi uomini moriranno di fame. Livio Esperio si genuflesse anche a Paolo Diacono. – Illustrissimo maestro, ho sentito parlare di te e della tua Historia Romana. Un giorno mi piacerebbe leggerla, pare che sia un mirabile esempio di arte letteraria.
Il prete sospirò. – Così dicono – ammise. Raginhart li osservava, non proferì parola per presentarsi al romano, ma Livio esperio lo stupì, tributandogli un inchino. Poi l’attenzione di tutti cadde su Rodolfo, il figlio dello skuldheis che si approssimò al cavallo frisone di Raginhart, toccò l’umbone dello scudo tondo appeso ai finimenti, sollevò le dita sul filo dell’ascia per non tagliarsi e si soffermò sull’ultima arma. – Questo arco è di rara fattura, costruito con strati di legno e osso, incollati a disegnare una esse – commentò. – Ha una buona gittata? Raginarth lo incenerì. – Sembra che non ne hai mai visto uno. Eppure sei un longobardo – lo intimidì. E sentì Livio Esperio scoppiare in una risata. – Comandante! Lascia perdere il ragazzo. È troppo giovane perché sia un vero esperto. E anche i romani, finché non si sono scontrati con i pardi, formidabili tiratori, non consideravano l’arco un’arma degna della guerra – gli disse cercando di rabbonirlo. Rodolfo lanciò uno sguardo cattivo al romano e accarezzò le penne bianconere delle frecce, nella faretra sul frisone. Raginhart toccò l’elsa della sua spada alla cintura, ma non la sguainò. – Il sole cala. Miei ospiti, seguitemi – s’intromise Sigfrido. – Prima, porterò il mio cavallo alla stalla – disse Raginhart. – Ti accompagno, comandante – aggiunse Livio Esperio. Raginhart vide Bruningo che roteava gli occhi in una smorfia divertita, mentre Rodolfo prese le briglie del proprio stallone e gli si accodò in silenzio.
Dopo il tramonto, nel salone, Raginhart sorseggiava vino da una coppa e osservava rosolare un maiale enorme sullo spiedo nel camino. La bestia colava e sfrigolava grasso nelle fiamme, mentre una cuoca lo rigirava, lenta.
I servi entrarono con vassoi che sembravano galleggiare nell’aria e il profumo speziato del coriandolo inebriò gli invitati. Pani ancora caldi, fragranti alla vista, salsicce di suino insaccate nel budello e sotto sugna, salami stagionati, conigli in umido e polli ripieni, verdure di stagione e mele, e vino, tanto vino destinato a innaffiare la cena. Raginhart vide are per ultima la giovane Ermelinda e, rapito dal suo incedere, non riuscì a distogliere lo sguardo. Era bellissima, stretta in una tunica verde, indossava una collana ornata di pietre preziose senza averne bisogno, perché lei stessa era il monile più splendente nelle onde dorate che agitavano i suoi capelli, più rovente nelle labbra piene di un sorriso perenne, più irrinunciabile nelle iridi d’acqua trasparente, tanto che il mahrskalk si perse in esse, nonostante tutto fosse luce. Ripresosi, Raginhart si sedette accanto a Bruningo e Paolo Diacono. Nella tavolata, a destra del gastaldo Sigfrido, si accomodò Ermelinda. Proseguendo, alla sinistra c’era Livio Esperio, servitore e ambasciatore di Piacenza. Ai lati, lo skuldheis e il figlio Rodolfo dediti allo svuotamento anzitempo delle brocche del rosso insieme a un gruppetto di dignitari di Monza.
Dopo che Raginhart e i commensali ebbero terminato la prima portata, Sigfrido si erse sul brusio generale, reclamando silenzio. Staccò una sacchetta dalla cintola e la poggiò con un tintinnio sul tavolo davanti a sé. – Amici! Voglio rivelarvi la notizia giuntami oggi. Una richiesta del duca di Piacenza che ho deciso di accettare – annunciò. Prese un rotolo e ne slegò la cordicella. Raginhart notò che Ermelinda aspirava avidamente dalle narici. – Padre, vuoi che legga io? – la sentì chiedere all’improvviso, come un fiore che sboccia, bruciando l’attesa del suo tempo. Vide Sigfrido gelare la figlia con un’occhiata severa, e mostrare la pergamena agli ospiti, soffermandosi su Paolo Diacono. Il prete posò una mano su quella di Bruningo, il quale si alzò e si avvicinò al
gastaldo. Raginhart sorrise all’indirizzo del giovane monaco, che godeva della piena fiducia del prete. – Perdona il mio anziano maestro, è stato tutto il giorno ad ammirare le gloriose storie dei longobardi nella cappella di Teodolinda, alla pallida luce di una torcia, e la sua vista si è stancata. Permetti a me di onorarti? – domandò al gastaldo. – Così sia – concesse lui, consegnandogli il foglio. Bruningò si schiarì la voce. – Claro Sigfrido, Regio Modicia procuratori salutem dicimus – lesse in latino. – Nos Maurisio, Plancentiae Dux, filiam tuam quae ducis uxor constituatur in matrimonium nobis petimus. Nos obstringimus ut tibi Sigfrido – enunciò per poi tradurre direttamente: – Venti grandi cavalli da guerra, diecimila tremissi d’oro, cento spade di Toledo… e come prescrive l’editto di Rotari, langobardorum regis, a versare alla mia futura sposa, una cospicua dote, il morgengab, pari alla quarta parte dei miei averi…
3
Il giovane monaco terminò la lettura della proposta di matrimonio. Raginhart guardò Bruningo che roteò gli occhi per strappargli un sorriso, ma la piega della sua bocca era di nuovo una linea ferma e dura. Vacillò quando Ermelinda si alzò da tavola col calice in mano. – Cordiali amici, mi scuso. Non mi sento troppo bene. Scusami anche tu, padre. Ho bisogno di riposare. Ma prima di ritirarmi, voglio brindare alla vostra salute… – annunciò e tutti risposero all’augurio, sollevando le coppe colme di vino. – … E a un futuro di pace e prosperità, illuminato dal nuovo rex francorum et langobardorum, Carlo Magno, che sono certa, vorrà continuare nel solco delle leggi promulgate dal saggio sovrano Rotari, un secolo fa – aggiunse. – Padre concedimi una notte, per dare la mia risposta al duca di Piacenza – annunciò stizzita. Non bevve, fece un inchino e si allontanò accompagnata dalla nutrice, senza attendere il permesso di lasciare la sala. Raginhart si sciolse in un sorriso sofferto nel constatare il malumore di Sigfrido che scrutava gelido le donne, mentre uscivano. Livio Esperio bisbigliò all’orecchio del gastaldo per pochi attimi e uscì anch’egli a o spedito fuori dal salone, senza destare l’interesse dei commensali che continuarono nel loro divertimento chiassoso a ingozzarsi di carni dolci e a ubriacarsi. Tranne Rodolfo che sollevò la testa come una vipera fremente. Raginhart guardò Paolo Diacono. La faccia del prete era imibile, ma gli occhi guizzavano a studiare ogni movimento, le orecchie parevano annotare anche la battuta più stupida e le dita scrivevano sul legno parole invisibili. S’interruppe e si voltò verso di lui. – Il regno longobardo è seppellito, lode a Carlo Magno e pace in terra agli uomini che si sono arresi – gli mormorò il maestro. – Preferisco l’inferno che consegnarmi al nemico – controbatté Raginhart. Paolo Diacono si alzò, gli offrì il braccio e annuì per commiato al padrone di casa. Anche Bruningo spostò indietro la sedia e li seguì.
Raginhart domandò all’anziano prete se doveva condurlo al suo giaciglio. Diacono gli indicò l’uscita. – Vieni, facciamo una eggiata, la notte potrebbe essere lunga, senza un’adeguata digestione di questa cena. – Eterna! Come il viaggio ad Aquisgrana – sentenziò Raginhart.
Ai primi raggi del sole, un grido lacerò l’aria del mattino. Raginhart si svegliò di soprassalto, si toccò il petto come se il cuore avesse mancato un battito, prese il camicione, indossò le brache, infilò i piedi nei calzari e strinse i lacci. Nell’affacciarsi dalla finestra sul cortile, vide il gastaldo che correva fuori dal palazzo con un gruppo di soldati. Altri uomini si adunavano nello spiazzo, in assetto da combattimento. Lui uscì dalla stanza e si precipitò giù dalle scale con la spada in pugno. Da basso seguì gli armati che giravano all’angolo dell’edificio. – Che succede? – gli urlò Bruningo, nell’affiancarsi in corsa. – Guai.
Sulla riva del Lambro, tra pioppi, aceri e un nugolo di soldati, Raginhart scorse il gastaldo seduto sulle grosse radici sporgenti dalla terra, sotto i rami di una quercia. E si bloccò a pochi i di distanza, annichilito dall’ignominia del delitto. Sigfrido teneva tra le braccia la figlia. Entrambi erano sporchi di sangue e fango. Ermelinda nell’abito verde coperto da un mantello da serva, non rispondeva alle carezze del padre. Era morta. Bruningo si accovacciò accanto al gastaldo. Protese la mano per toccare la freccia nel collo di Ermelinda, ma notò il colore delle penne bianconere vicine alla cocca, e si ritrasse. – Tu? – si sentì apostrofare Raginhart da Sigfrido. Ma non possedeva alcuna parola di spiegazione.
Il gastaldo lasciò la figlia sul terreno, si alzò in piedi e sguainò la lama dello scramasax che portava alla cintura, puntandogliela alla gola. Raginhart non sollevò il mento. Continuava impietrito a tenere il capo chino sulla giovane donna che desiderava diventare la sua regina e strinse l’elsa della spada nella mano. – No, fermo! – disse Bruningo, frapponendosi tra lui e Sigfrido. Il giovane monaco tentò di spostare la lama con le dita. E vi rinunciò subito alla prima goccia di sangue colata dai polpastrelli sul filo tagliente. – L’ha uccisa lui – dichiarò il gastaldo. – Ieri, ho visto come questo bastardo spogliava Ermelinda con gli occhi – disse senza accennare a voler scostare lo scramasax da Raginhart. – Com’è possibile che tua figlia sia venuta quaggiù da sola, all’alba? – cercò di farlo ragionare Bruningo. – Chi le ha dato appuntamento? Il sangue è ancora fresco. L’hanno colpita con una freccia. Lo squarcio è lungo metà gola. Ermelinda ha tentato di fuggire, ma la vita non ha tardato ad abbandonarla – affermò in un fiato il giovane monaco, mostrando con la mano la pozza cremisi sotto di lei.
Raginhart indietreggiò, ma si sentì pungere alla schiena. Era circondato dai soldati. Lo skuldheis e il figlio Rodolfo lo minacciavano con le lame snudate, in attesa dell’ordine del gastaldo di tagliarlo a fette. Lui lasciò cadere a terra la spada che reggeva ancora nel pugno. La nutrice si era avvicinata, piangeva e si soffiava il naso. S’inginocchiò e abbracciò le gambe del signore di Monza. – Perdonatemi! Perdonatemi… Raginhart vide di nuovo il gastaldo avvicinarsi, graffiarlo con la lama dello scramasax sotto il mento e abbassarla pericolosamente a lacerargli il tessuto della camicia. Sigfrido sbuffava di collera. Spinse via la balia che si distese a toccare la ragazza dai capelli come l’orzo. – Perché hai lasciato andar fuori dal palazzo mia figlia e non l’hai seguita? – le chiese.
– Deve essere uscita quando ancora dormivo – rispose la donna. – Qualcuno, nella notte, ha messo questo sotto la porta – aggiunse, porgendo un foglio a Sigfrido. – L’ho trovato nella stanza. – Voglio giustizia! – sbraitò il gastaldo con espressione smarrita, affidando la carta al monaco. Bruningo lesse il messaggio: – Dulcissima mea, prima luce… ti aspetto alla grande quercia sul fiume – e sospirò, – firmato erre. Il monaco fece qualche o, si prese il mento con le dita e lo sfregò, piano. – Posso dimostrare l’innocenza di Raginhart e trovare il vero colpevole – annunciò, nel lanciare uno sguardo d’accusa ai presenti. Li scrutò uno alla volta, senza soffermarsi su di loro. Raginhart notò Livio Esperio che fino a quel momento si era tenuto in disparte e in silenzio, uscire avvolto in un mantello nero dall’ombra del gastaldo e dei soldati, e farsi largo a gracchiare il suo giudizio. – Poche storie, prete. Sappiamo chi ha ammazzato Ermelinda. E io dovrò tornare dal duca di Piacenza a riferirgli che non potrà sposarsi… Gastaldo, fai tagliare la testa a quell’uomo – disse, sprezzante. – Sigfrido permetti a Bruningo di parlare in favore di Raginhart – intervenne Paolo Diacono, giunto con calma, ma in tempo per ascoltare le accuse. – La freccia è senza dubbio del mahrskalk, il giovane monaco sta prendendo tempo per trovare una scappatoia e salvarlo – accusò Livio Esperio. – Guardate là, gli uomini di Raginhart fremono per venire a salvare il loro comandante. Raginhart e gli altri seguirono il dito teso del romano a indicare il ponte d’Arena, dove i soldati di Monza trattenevano gli arimanni. Le vene del gastaldo parvero scoppiare dalle tempie, rosso in volto per la rabbia e il desiderio di vendetta. Paolo Diacono si avvicinò. – Hai combattuto nella disfatta di Mortara con Raginhart, ne hai conosciuto il valore e la lealtà. Concedigli la difesa. Hai la mia parola che la scorta non interverrà, se riterrai il mahrskalk colpevole. Sigfrido acconsentì al prete. – Così sia. Che il giovane monaco parli per il suo
amico. Raginhart osservò Bruningo porsi sulle ginocchia, mettere una mano sulla mandibola di Ermelinda, e con l’altra estrarre la freccia dal collo della ragazza. Il sangue scintillava sulla punta metallica a coda di rondine. Il monaco indicò con il braccio teso oltre il fiume. – Mio signore, ordina di liberare un pollo sull’altra sponda del Lambro – disse al gastaldo – e dai a Raginhart il suo arco, ti dimostrerà che cosa può fare con una freccia. Lo skuldheis sbuffò. – Solo una freccia, per una gallina lontana almeno venti pertiche romane? – lo canzonò sarcastico. – Non c’è bisogno di provare che ne è capace. Ha colpito Ermelinda dalla stessa distanza. Sappiamo tutti, cosa può fare una freccia. – Dammi la pergamena del duca di Piacenza – chiese Bruningo a Sigfrido. – La stessa che ho letto alla cena, ieri sera. Il gastaldo cercò la nutrice. – Vai a prenderla. Sai dove – le ordinò. – Sì, mio signore – disse la balia, staccandosi dal corpo senza vita di Ermelinda. – Raginhart fai quel tiro, prima che mi penta – gli comandò il gastaldo. Lui inarcò il sopracciglio a cercare Bruningo che assentì.
4
Il sole saliva nel cielo terso e un debole refolo di vento soffiava dalle sette arcate del ponte a nord. Raginhart con la freccia e l’arco all’altezza dei fianchi, posò l’estremità inferiore della esse sul ginocchio. Allargò la posizione dei piedi, il busto e le spalle dritte. Infilò la freccia con una torsione del polso, tenendo con due dita la corda e scrutò fisso davanti a sé, oltre il fiume, il pollo tenuto per le zampe da un soldato del gastaldo. Attese che la traiettoria ideale diventasse visibile. – Se sbaglio? – domandò a Bruningo, lì vicino. – Chiederò un’altra freccia. – E se colpisco la gallina? – Non basta infilzarla, devi traarla. E in ogni caso, è vero che sto perdendo tempo. – Perché? – È ben poco credibile che chi ha pugnalato Ermelinda con la freccia non sappia che scagliandola con un arco si sarebbero ottenuti altri effetti, e quindi non abbia cercato quanto meno di manipolarli… devo capire perché non lo ha fatto o non ha potuto farlo. – E se fossi io il colpevole? Ci hai pensato? – domandò Raginhart a Bruningo. – Non sei stato tu – gli rispose il monaco che sorrise e roteò gli occhi. – Io l’ho amata dal momento in cui mi è apparsa. Bruningo gli fece sì con la testa. – L’ho visto. Fai il tuo tiro, e spera che riesca a convincere Sigfrido che sei innocente, oppure la tua testa sarà appesa sulla cavalcatura di Livio Esperio, quando lascerà Monza. – A Mortara, Sigfrido ha abbandonato il campo, ben prima che la sorte della
battaglia volgesse in favore dei franchi. – Lo sa che sei al corrente della sua fuga? – Amen – sentenziò Raginhart e alzò l’arma. Spinse l’arco, con la mano sinistra e la destra a reggere la corda. E col gomito piegato, allineato al torace, tese al massimo i muscoli sotto la camicia. Gocce di sudore incollarono i suoi lunghi capelli biondi. Inspirò forte ed espirò, e daccapo. Bruningo sollevò il braccio. E lo abbassò. Il soldato sull’altra sponda del Lambro, lasciò libero il volatile che zampettò sul terreno e si diede alla fuga. Raginhart scoccò. La freccia svanì violenta con un sibilo nell’aria e la gallina crollò d’improvviso sul terreno. Osservò l’uomo raccogliere il pennuto, camminare, prendere la freccia poco distante e correre sul ponte d’Arena, facendosi largo tra gli arimanni.
Raginhart in attesa del soldato col pollo, udì uno scalpiccio di zoccoli provenire da dietro il palazzo del gastaldo. La guardia sbucò sul cavallo al galoppo e poco prima del ponte, rallentò. Tra sé e il collo dell’animale reggeva il corpo piegato di un altro soldato. Tirò le briglie, fece voltare la cavalcatura e ripartì, costeggiando gli alberi sulla riva del Lambro, verso di loro. Raginhart abbassò l’arco. Cercò gli occhi di Bruningo che sollevò le spalle e aprì le braccia, comunicandogli la propria ignoranza sul nuovo venuto. La guardia frenò il cavallo di fronte al gastaldo e scaricò il cadavere brutalmente sul terreno. – Mio signore, ti vengo a riferire quanto accaduto. – Parla uomo. Chi è questo soldato morto? – Era con me nel turno di ronda a palazzo, questa notte. Alle prime luci del sole abbiamo sentito un grido di donna provenire dalla boscaglia vicino al fiume. Non abbiamo capito chi potesse essere, laggiù, a quell’ora. Abbiamo chiamato,
ma lei non ha risposto. E lui è sceso di corsa a vedere cosa le era capitato – disse la guardia nello smontare da cavallo. – Poi sono accorso anch’io, lui non l’ho visto lì. Ma ho trovato tua figlia tra gli alberi, gastaldo – ammise e poggiò un ginocchio a terra. – Ho avvisato le altre guardie. Ho preso il cavallo e sono andato a cercare il mio compagno. Ho seguito il Lambro verso valle. Sul greto della prima ansa, ho trovato Arioaldo con la gola squarciata – aggiunse la guardia, chinando il capo. Raginhart vide lo skuldheis avvicinarsi al gastaldo e sibilargli qualcosa nell’orecchio. – Il tuo è stato solo un abile trucco – sbraitò Sigfrido nel girarsi contro Raginhart. Bruningo si frappose di nuovo. – Permettimi di giudicare il taglio sulla gola del soldato. Sigfrido strinse l’impugnatura dello scramasax e cercò lo sguardo di Paolo Diacono che gli fece un cenno di assenso. – Fai il tuo lavoro, giovane monaco – assentì il gastaldo. Raginhart osservò Bruningo rivoltare il cadavere di Arioaldo sul terreno, mettendo il collo in posizione favorevole all’ispezione. Il sangue fuoriuscito dallo squarcio era stato quasi lavato via dall’acqua e assorbito dal greto del fiume, perché la faccia era sporca di fango, come il resto del corpo dove aveva poggiato. Bruningo con le dita allargò lo slabbro e le infilò dentro, delicato. – La lama ha raggiunto la carotide. È bastato un solo affondo per ucciderlo. Probabilmente stava correndo e non si è accorto dell’assassino dietro un tronco. Quando Arioaldo è ato, gli è stata recisa la vita e poi è stato gettato nel Lambro – affermò Bruningo, facendo scorrere la vista sui presenti. – Una spada larga e corta direi. E dall’inclinazione del taglio, chi ha ucciso è alto quanto il soldato caduto – sentenziò. – E il mahrskalk è più alto di Arioaldo di due teste. – Il mahrskalk s’è piegato sulle ginocchia per colpire la gola. E può essere stata la spada di Raginhart a farlo, guardala! – lo invitò lo skuldheis, andando a raccogliere la lama da terra e mostrandola a tutti. – Un giovane monaco non può essere un esperto di armi, a meno che non sia il figlio di un fabbro – asserì, cacciando uno sputo vicino ai piedi di Bruningo.
– Fin da bambino ho servito sui campi di battaglia per portare via gli uomini morti o feriti. So riconoscere l'effetto causato da una spada lunga o corta, rispetto a quello di una lancia – affermò Bruningo. – O di una freccia. Raginhart vide Paolo Diacono accostarsi al monaco. – E da quel campo di battaglia è venuto da me affinché gli insegnassi – aggiunse il maestro. – Gli hai insegnato male, lui dice solo falsità per salvare il suo amico – rincarò lo skuldheis. – Basta Ulfari! Così metti in dubbio la parola del maestro e lo offendi – lo redarguì Sigfrido. Paolo Diacono annuì. – Continua il tuo esame – disse al giovane monaco. Bruningo chiamò a sé il soldato col pennuto e si fece consegnare la bestia. – Raginhart ha sfondato il pollo – disse. – La larghezza del fiume è un tratto breve. Il mahrskalk con quell’arco potente avrebbe ato da parte a parte anche il collo di Ermelinda. Raginhart fissò Rodolfo. – Possono avermi rubato la freccia, dove ho lasciato l’arco e il cavallo per la notte. Il figlio dello skuldheis diventò rosso in viso. – Ieri, è stato il romano ad accompagnare il mahrskalk alla stalla. Raginhart scorse lo sguardo a cercare Livio Esperio rimasto in disparte a osservare fino a quel momento. Vide il romano, scuro in volto, avvicinarsi a Rodolfo e sollevare il lembo del mantello, e fermarsi a mezz’aria con la mano, dando l’impressione di volergli rifilare uno schiaffo. – Sigfrido! Questi zotici mi accusano, ma è risaputo che noi romani non sappiamo adoperare un arco. E l’illustrissimo Paolo Diacono può confermarlo – proruppe l’ambasciatore del duca di Piacenza. Raginhart si voltò verso il maestro che avvalorò con un cenno del capo in direzione di Livio Esperio. Bruningo era immobile con le dita intrecciate. – Come per il colpo di spada subito da Arioaldo, anche la ferita sul collo di Ermelinda, la profondità nella carne, l’inclinazione del taglio inferto, dimostrano che la ragazza è stata sorpresa
alle spalle e pugnalata con la freccia, dallo stesso uomo che le ha scritto il biglietto di appuntamento. – Raginhart! Vuole distrarre l’attenzione da se stesso. Lui è l’assassino, ha attirato Ermelinda quaggiù tra gli alberi, voleva violentarla, ma lei ha gridato aiuto e Raginhart l’ha pugnalata con la freccia, perché nessuno avrebbe potuto sospettare di un tiratore infallibile anche da distanze di oltre mille pertiche romane, capace di ammazzare una gallina come una ragazza. E poi nel fuggire, ha sistemato anche Arioaldo che lo avrebbe riconosciuto se fosse rimasto vivo – urlò Livio Esperio. – È stato Raginhart a scrivere il messaggio a Ermelinda. – Raginhart conosce solo il suo nome. L’unico insegnamento che ha ricevuto è l’arte della guerra – sostenne Bruningo. – Gastaldo dammi la carta che ti ho chiesto. – Perché vuoi leggere la proposta di matrimonio, di nuovo? – chiese Sigfrido, nel consegnargli la pergamena recuperata dalla nutrice a palazzo. Livio Esperio spostava il capo a destra e sinistra. – Allora è Rodolfo! La erre, alla fine del messaggio che chiede di andare sul fiume. La erre di Rodolfo – strillò come un pazzo, girandosi attorno a cercare un sostegno alla sua tesi. – Oppure l’hai scritto tu, giovane monaco, per salvare Raginhart – sbraitò. Bruningo scosse la testa in un cenno di diniego, accostò i due fogli, e li mostrò a tutti. – No! Chi ha scritto la proposta di nozze e chi ha scritto il falso biglietto per Ermelinda, sono la stessa persona. E il duca di Piacenza non è qui con noi. Solo il suo servitore. O forse chi si spaccia per tale – disse prima di concludere. – Stesse indecisioni nelle lettere. Stessa grafia.
Livio Esperio mosse piccoli i lenti, camminando indietro. Raginhart lo fissò con intensità. – Dove vai, romano? – Da nessuna parte – rispose, infilando una mano dietro la schiena coperta dal mantello. – Non ci provare – lo avvisò il mahrskalk.
– Sembra che hai paura – disse Bruningo a Livio Esperio. – Mater semper certa est, pater numquam – affermò Paolo Diacono. – Mia madre non è una meretrice. Io so chi è mio padre – replicò il romano. Slacciò il mantello che gli cadde dalle spalle e sfoderò fulmineo una daga corta con la quale disarmò il giovane Rodolfo per poi incalzarlo sotto il mento con la punta affilata. Una stilla di sangue gocciolò sul filo della lama. – Fermi tutti o lo ammazzo come un cane. – Lascia mio figlio! – gli ordinò lo skuldheis, senza osare attaccarlo. Raginhart sfilò lo scramasax con prepotenza dalle mani di Sigfrido e si lanciò con tutto il peso sul romano che, rapido, spostò la daga dalla gola di Rodolfo per difendersi. Il figlio dello skuldheis, libero dalla minaccia, si premurò di allontanarsi fuori dalla portata della daga di Livio Esperio.
5
Raginhart incrociò la lama con quella del romano, mulinandola in una prova di forza, scramasax contro daga. Notò un vigore minore nello scambio di colpi con l’avversario, quando lui spostava il peso sul piede destro. Fintò di penetrargli dal lato sinistro, s’interruppe e d’improvviso tentò un affondo al centro. Ma fendette solo lo spazio vuoto lasciato da Livio Esperio volatilizzatosi il battito di ciglia precedente. Raginhart non si fece cogliere impreparato, alzò lo scramasax e parò il controfendente di replica senza alcuna difficoltà. Rotazioni immediate del busto e movimenti veloci delle gambe, colpi violenti e rapidi, metallo contro metallo, scambiati nel tempo apparente di un respiro. Raginhart e Livio Esperio andarono in stallo. Con le lame ferme, distanti in aria, si studiarono, zuppi di sudore, ansimando rabbia. – Chi sei veramente, romano? – intervenne Bruningo, approfittando della breve tregua. Livio Esperio raccolse con la mano libera un lembo del mantello, si deterse rapido la tempia e gonfiò il petto. – Sono nato sulle coste dell’Asia. Ho combattuto a Ravenna e per il Papa. E mi sono fermato qui, per compiere il lavoro che so fare meglio. – Uccidere una fanciulla di quindici anni? – Sobillare i popoli. Seminare zizzania e malcontento, come abbiamo sempre fatto nel regno longobardo, ammazzando re e ingannando duchi, per metterli gli uni contro gli altri. – Qual era la tua missione a Monza? – Senza Raginhart a capo della scorta sarebbero diminuite le possibilità che Paolo Diacono giungesse ad Aquisgrana – rispose il finto romano. – Maestro non inginocchiarti a Carlo Magno, ripensaci. A quell’uomo non basterà aver
messo sulla testa la corona ferrea – disse, nell’ultimo tentativo di convincere l’anziano prete. Il maestro era visibilmente scosso. – Il nemico del mio nemico, non sarà mai mio amico. Io non sono né franco, né bizantino – sentenziò. – Sono Paolo di Varnefrido detto Diacono. E sono longobardo. – Perché non scegliere di servire Bisanzio? – chiese indomito Livio Esperio. – Perché è stato Carlo Magno a vincere la guerra e catturare mio fratello Arechi. Il bizantino sbuffò, e d’impulso si protese con la daga in un assalto sconsiderato verso Paolo Diacono. Raginhart guizzò e infilò lo scramasax nel fianco di Livio Esperio a strappargli la carne dal ventre. Il bizantino si piegò, con la mano libera a tamponare inutilmente il lungo squarcio che pisciava sangue e viscere. Rimase in ginocchio, colando liquidi fetidi addosso e sul terreno. Raginhart gli puntò la lama sul cuore e guardò di sbieco lo skuldheis allontanarsi con il figlio Rodolfo, serpenti dal mancato compenso. – Gastaldo! – chiamò – vieni a tenere la tua spada per il colpo di grazia – gli ordinò. Sigfrido, ancora inebetito, si avvicinò, stese un braccio e aprì le dita. Raginhart gli mise l’elsa dell’arma nella mano. Non sopportava l’indecisione del gastaldo. – L’oro nella saccoccia non ti ripagherà dell’unica figlia persa per la tua cupidigia. Fai ammenda con onore e uccidi la spia – gli comandò. Attraverso le lacrime che gli bruciavano gli occhi, vide Paolo Diacono e Bruningo tracciarsi il segno della croce. E sospirò. – Amen.
Al sole dell’ora sesta, sulla strada per le Alpi, Raginhart col suo frisone lanciato al galoppo, sorò la colonna di cavalieri, il carro di Paolo Diacono, e tirò le briglie dell’animale, facendolo rallentare all’andatura sobbalzante del cavallo di
Bruningo. – Ho un favore da chiederti – disse al monaco che ondeggiava dolce, assecondando il movimento della sua cavalcatura. – Dimmi – lo invitò Bruningo, voltandosi. – Puoi insegnarmi a leggere prima di arrivare ad Aquisgrana? – Non ti basta saper guerreggiare? Raginhart inarcò un sopracciglio. – Oggi, ho imparato un’importante lezione. Oltre ad addestrarmi alla spada, devo esercitare anche l’intelletto, o la mia testa, un giorno, potrebbe penzolare dai finimenti di un mulo bizantino. – Non è stata la pura fortuna a lasciarti in vita? – No, è stato il volere di Dio a salvarmi. Non può essere un caso che io sia sopravvissuto a Mortara, a Pavia, sul Brenta e qui a Monza. – Credi? – Sì. Lui ha un piano per me. – E quale? Farti comandare un esercito? – Non lo so, ma faccio parte del suo disegno – affermò Raginhart. Vide Bruningo inarcare la schiena all’indietro fino ad adagiarsi sul posteriore del cavallo. Seguì lo sguardo del giovane. Lente nuvole bianche cambiavano nella forma e nelle dimensioni, danzando nel cielo su linee immaginarie. E poi, tornò sul monaco che aveva chiuso le palpebre e sorrideva. – Sarò il tuo maestro – gli disse Bruningo.
FINE
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sco Perizzolo, Guerra fredda, sangue caldo - Sex Forcen. 20
Sadie Löve, Perversione di tendenza - Sex Forcen. 21
Steampunk
Roberto Guarnieri, Il Circolo dell'Arca - Il circolo dell'Arcan. 1
Roberto Guarnieri, La macchina delle vite perdute - Il circolo dell'Arcan. 2
Roberto Guarnieri, I misteri di Samotracia - Il circolo dell'Arcan. 3
Roberto Guarnieri, Fumo di Londra - Il circolo dell'Arcan. 4
Roberto Guarnieri, Il mistero della Divina Commedia - Il circolo dell'Arcan. 5
Storico
Salvo Figura, La terra, il cielo e il costato - History Crimen. 1
Marco P. Massai, La maschera di Pietrasanta - History Crimen. 2
Manuela Costantini, Il ritorno del se - History Crimen. 3
Claudio Costa, Morgengab - History Crimen. 4
Tecnologia
Carlo Mazzucchelli, Tablet: trasformazioni cognitive e socio-culturali TechnoVisionsn. 1
Carlo Mazzucchelli, Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra -
TechnoVisionsn. 2
Antonio Fiorella, Approdo della ricerca scientifica nella metafisica TechnoVisionsn. 3
Carlo Mazzucchelli, Tablet a scuola: come cambia la didattica TechnoVisionsn. 4
Carlo Mazzucchelli, La solitudine del social networker - TechnoVisionsn. 5
Luigi Pachì, Enterprise Mobility: l’interazione al centro - TechnoVisionsn. 6
Thriller
Franco Forte, Fuga d'azzardo - Delos Crimen. 1
Sergio Donato, Scorreva rabbia - Delos Crimen. 2
Annamaria Fassio, L'anno dello sbarco - Delos Crimen. 3
Carlo Parri, Si chiamava Nina - Delos Crimen. 4
Andrea Franco, Lo sguardo del diavolo: Jeffrey Dahmer - Serial Killern. 1
Fabio Oceano, La quarta vittima - Serial Killern. 2
Umberto Maggesi, Io, il mostro - Serial Killern. 3
Andrea Franco, Lungo la via del pensiero - Serial Killern. 4
Fabio Oceano, Freeway killer - Serial Killern. 5
Luca Di Gialleonardo, Big Ed - Serial Killern. 6
Manuela Costantini, Quasi sempre a ottobre - Serial Killern. 7
Zombie
Franco Forte, Stazione 27 - The Tuben. 1
Ilaria Tuti, Carlo Vicenzi, La fame e l'inferno - The Tuben. 2
Antonino Fazio, Alain Voudì, Giorno Zero - The Tuben. 3
Ilaria Tuti, Ceneri - The Tuben. 4
Scilla Bonfiglioli, Progetto Bokor - The Tuben. 5
Antonino Fazio, Alain Voudì, Il bacio della morte - The Tuben. 6
Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli, Legame di sangue - The Tuben. 7
Carlo Vicenzi, Roberto Zago, L'alveare - The Tuben. 8
Ilaria Tuti, Nido di carne - The Tuben. 9
Fabio Pasquale, Andrea Ferrando, Siamo legione - The Tuben. 10
Franco Forte, Stazione 28 - The Tuben. 11
Alain Voudì, Franco Forte, Rinascita - The Tube 2n. 1
Luigi Brasili, Il lupo - The Tube Exposedn. 1
Roberto Zago, L'antro di Jona - The Tube Exposedn. 2
Diego Lama, Il cacciatore - The Tube Exposedn. 3
Camilo Cienfuegos, I ripulitori - The Tube Exposedn. 4
Diego Matteucci, Il tempio della notte - The Tube Exposedn. 5
Luca Romanello, Via di fuga - The Tube Exposedn. 6
Luigi Brasili, Il ritorno del Lupo - The Tube Exposedn. 7
Andrea Montalbò, Paranoia Park - The Tube Exposedn. 8
Andrea Franco, Luca Di Gialleonardo, Di fame e d'amore - The Tube Exposedn. 9
Lia Tomasich, Family Reunion - The Tube Exposedn. 10
Luca Romanello, Veleno dentro - The Tube Exposedn. 11
Antonino Fazio, Survive - The Tube Exposedn. 12
Camilo Cienfuegos, I ripulitori e l'abisso - The Tube Exposedn. 13
Diego Matteucci, Il bianco e il nero - The Tube Exposedn. 14
Alan D. Altieri, Cold Zero - Parte prima - The Tube Nomadsn. 1
Alan D. Altieri, Cold Zero - Parte Seconda - The Tube Nomadsn. 2
Danilo Arona, Ghost in the machine - The Tube Nomadsn. 3
Massimo Rainer, Katakombs - The Tube Nomadsn. 4