Carlo Turani
L'oscuro piacere
Titolo dell’opera in lingua originale
L’Oscuro piacere
Copyright: Carlo Turani
Ideazione storia: Carlo Turani
Progetto grafico immagine di copertina: Emanuele Dri
Prima edizione: Marzo 2015
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’editore.
Edizione digitale Giugno 2015
ISBN 9786050384314
Autopubblicato con Narcissus.me
www.narcissus.me
Versione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
ISBN: 9786050384314
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Indice dei contenuti
PROLOGO CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 CAPITOLO 6 CAPITOLO 7 CAPITOLO 8 CAPITOLO 9 CAPITOLO 10 CAPITOLO 11 CAPITOLO 12 CAPITOLO 13 CAPITOLO 14 CAPITOLO 15 CAPITOLO 16 CAPITOLO 17
CAPITOLO 18 CAPITOLO 19 CAPITOLO 20 CAPITOLO 21 CAPITOLO 22 CAPITOLO 23 CAPITOLO 24 RINGRAZIAMENTI
Dedicato a me stesso, perché me lo merito.
PROLOGO
“DIM MAK”... Una tecnica antica attinente alle arti marziali, chiamata anche “il tocco del veleno” o “tocco della morte”. Ha origini millenarie e proviene dalla Cina. Si pensa dai monaci shaolin che studiando i punti dell’agopuntura, i meridiani e le cure che potevano essere applicate, constatarono poi che altri punti, non meglio identificati, anziché portare beneficio, non dovevano assolutamente essere “toccati” con aghi, moxa (carboncino con la punta accesa che si avvicinava per scaldare certi punti) o dita della mano. Infatti questa arte “proibita” permetteva di arrecare gravi danni, malori o addirittura la morte anche a distanza di mesi o anni per cause apparentemente naturali (es. toccando un determinato punto sulla spalla si poteva causare morte per polmonite o pleurite) e veniva tramandata solo a livelli altissimi in poche scuole di arti marziali. Per padroneggiare correttamente quest’arte non basta sapere il punto preciso da colpire, ma anche come colpirlo e, soprattutto cosa più difficile, come curare da eventuali colpi portati o subiti. I Giapponesi codificarono ulteriormente il Dim Mak durante la seconda guerra mondiale, vedendo che nel combattimento corpo a corpo contro i soldati americani avevano poche possibilità di vittoria quindi usando i prigionieri di guerra e chiamando a raccolta tutti i maggiori esperti di arti marziali, fecero esperimenti per verificare quali punti potevano essere toccati durante un combattimento a mani nude per avere una sicura vittoria ma non poterono sperimentarlo sul campo a causa delle bombe su Hiroshima e Nagasaki e conseguente resa Giapponese. Tuttavia il lavoro eseguito non fu vano e si pensa che tale attività fu ricodificata e migliorata ulteriormente per poi essere insegnata a operatori di corpi speciali altamente addestrati, agenti dei servizi segreti e così via mantenendo quel velo di mistero che avvolge tuttora questa mistica arte marziale.
CAPITOLO 1
Ai giorni nostri...Ancora una volta quel maledetto suono vibrava prepotentemente nell’aria con un eco minaccioso, quasi a ricordare l’importanza delle scelte che ognuno di noi si trova ad affrontare e a scegliere sul piatto della bilancia... La bilancia della giustizia. Una bilancia che dovrebbe dare un peso equo a entrambe le parti ma, ancora una volta, le divisioni non erano state eguali. Quel maledetto suono della sveglia puntata alle ore 07.00 scuoteva ancora una volta come una doccia fredda Carlos che, opponendo una timida resistenza, tentava di nascondersi sotto il cuscino e tappandosi i padiglioni auricolari riempiendosi in una frazione di secondo di mille pensieri che correvano così veloci da far si a momenti di non ricordare più nulla. Certo, con alcuni pensieri sarebbe stato sicuramente meglio non ricordare: avere di fronte agli occhi, seppur con l’immaginazione, tutte quelle persone che Carlos riteneva gli unici responsabili della propria vicenda e di tutte le situazioni deplorevoli in cui era dovuto suo malgrado cadere con una velocità inaspettata, cambiando così completamente il corso della sua vita, senza che alcuno chiedesse la sua modesta opinione, non era di certo il massimo delle ambizioni per camminare a o certo verso lo step successivo. Cavolo! Ma perché? Continuava a chiedersi Carlos... Sembrava così talmente assurdo trovarsi in quella situazione... Una circostanza che lui non aveva assolutamente chiesto... Consapevole di avere un carattere particolare e non molto facile da “domare”, tuttavia pensava di possedere nel contempo una capacità innata di ascoltare per trovare un accordo, una via comune, una soluzione pacifica che potesse essere di aiuto a tutti e quindi di soddisfazione per molti. Nonostante tutto, non era stato ascoltato. Le sue richieste e le sue parole si erano disperse come nebbia al sole, mentre le labbra dei suoi interlocutori avevano fatto uscire delle oscenità talmente marcate da fargli capire che fin dall’inizio sarebbe stato solo. Già... solo... Ma a fare che cosa? E dove? La testa di Carlos era tempestata di dubbi e domande, inizialmente senza risposte. Ma come???? Lui era un uomo e un militare speciale che aveva servito il suo Paese per ben trent’anni! In tutto questo tempo aveva continuato a digerire maldicenze e decisioni da parte di superiori che molte volte, troppe, lo avevano portato vicino alla morte, sacrificando perfino alcune volte qualche uomo della sua squadra speciale...
Come ogni mattina, Carlos teneva automaticamente gli stessi pensieri in testa... E, a fatica, iniziava ad alzarsi dal letto animato per lo più dalla voglia di spegnere quel maledetto suono della sveglia che continuava a gracchiare come un corvo ferito, le cui urla scivolavano nelle intercapedini dei muri, come a non voler mai abbandonare quel posto... Quel posto che Carlos teneva in vita con i suoi ricordi. Mentre preparava la sua solita colazione abbondante fatta con un bicchiere di caffè latte con miele, toast con fesa di tacchino, yogurt magro con muesli integrale e un pezzo di cioccolata fondente, non poteva fare a meno di non pensare a quanto avesse fatto insieme alla sua squadra, per il suo Paese. Lo pensava senza falsa modestia, perché, nonostante il suo carattere alquanto rigido non avesse mai sopportato granché la disciplina che implica la vita militare, si era sempre prodigato fino in fondo affinché il suo successo mirasse al raggiungimento dell’obbiettivo, sia per legittima soddisfazione personale che per terze persone. Sapere che il suo aiuto aveva contribuito a salvare delle vite umane o semplicemente regalato un sorriso a chi lo aveva perso o cambiato in meglio una condizione sociale di chi viveva nella miseria, non era da poco. Ma, in tutto questo, qualcosa non aveva funzionato semplicemente perché c’era stato qualcuno che non lo aveva permesso! Cazzo! Gridò Carlos... Si era troppo immedesimato nei suoi pensieri e si era scottato la mano con la moka bollente... Ma che cosa era quell’ustione rispetto a quello che gli bruciava dentro? D’altronde, oltre alle bruciature della vita, Carlos aveva “assaporato” il dolore del fuoco sulle braccia, o meglio all’interno degli avambracci nel periodo in cui si stava addestrando all’interno di un monastero shaolin in una zona dispersa nel Tibet... Aveva visto molti film al riguardo ma, in quella occasione, il protagonista principale era lui stesso e il premio, anziché in denaro, era semplicemente saper vivere sopportando il dolore e, se necessario, causarlo a chi lo avesse meritato. E ora, mangiando tranquillamente il toast farcito con fesa di tacchino, analizzava che effettivamente qualcuno c’era nella sua vita che lo avrebbe meritato... Quattro persone... Quattro individui carichi di boria e di stelle sull’uniforme che con la loro dialettica politicante e delirante, avevano fatto si di toglierlo di mezzo, soprattutto per fare spazio agli amici degli amici e per mal sopportare ed affrontare le sue idee e proposte finalizzate al bene di tutti. Avevano aspettato che Carlos rientrasse da un breve periodo di ferie per notificargli a sorpresa il trasferimento... Un movimento sempre all’interno del medesimo reparto ma che
rappresentava per lui una profonda retrocessione nella sua vita. A lui avevano sempre insegnato che nella vita bisognava sempre tentare di andare avanti e non procedere all’indietro come i gamberi! Quell’improvviso trasferimento lo aveva spiazzato e lo aveva profondamente ferito, dandogli la sensazione di essere caduto a terra pesantemente a seguito di un semplice sgambetto. Avevano preparato tutto nei minimi dettagli senza far trapelare alcun sospetto, fino ad arrivare per l’appunto alla sorpresa. Una sorpresa naturalmente “addolcita” dalle solite parole di circostanza, tentando di convincerlo che la sua grande professionalità era necessaria altrove, ma non più all’interno della sua squadra. Carlos si sentiva come se fosse ato da importante docente a semplice discente. Questo era una grande retrocessione per lui. Aveva guadagnato il posto combattendo, perché questo sapeva fare. Nessuno gli aveva mai regalato nulla nella vita. Aveva sempre dovuto arrangiarsi per poter ottenere quello che lui desiderava. E non erano mai stati desideri capricciosi da ragazzino adolescente; erano semplicemente desideri di migliorare la propria posizione di persona adulta. Miglioramenti che andavano automaticamente ad abbracciare anche la sfera privata. E non era poco. E in pochi attimi, quelle quattro persone avevano deciso che tutto questo Carlos non lo meritava. Ancora una volta, qualcuno aveva deciso per lui. E ancora una volta, come sempre, Carlos di conseguenza doveva tentare di aggiustare il cambio del suo percorso di vita perché terze persone lo avevano ingiustamente dirottato dove loro volevano. Ma avevano dimenticato di chiederlo al diretto interessato. Non si rendevano conto dell’enormità dello sbaglio che stavano commettendo. E presto lo avrebbero scoperto nei peggiori dei modi. Carlos, essendo un militare, aveva naturalmente eseguito gli ordini ricevuti e, a denti stretti e fortemente demotivato, prendeva posizione dopo una settimana presso il nuovo incarico; nuovo fino ad un certo punto perché comunque Carlos quell’incarico lo aveva già ricoperto anni addietro prima di guadagnarsi la sua meritata posizione all’interno della squadra speciale. Non c’erano altri termini: si trattava di una retrocessione. Nonostante avesse presentato per via gerarchica, come impone l’etica militare, un’istanza per poter rappresentare le proprie problematiche al Comandante, quest’ultimo sembrava non disposto ad ascoltarlo. Perché le carte erano state mosse come avevano voluto loro e non avevano nessuna intenzione di scendere a compromessi con qualcuno che avrebbe potuto rompere le uova nel paniere. Carlos resisteva e sopportava per circa due settimane il nuovo servizio, aspettando invano di essere ascoltato. Tutto taceva e nessuno trapelava novità al riguardo. Per tale motivo, Carlos, accorgendosi sempre più del buio che stava calando sempre più dentro di lui
spegnendo tutte le sue emozioni e trasformandolo come i quattro avevano voluto, decideva di andarsene. Aveva bisogno di staccare la spina. Doveva ritrovare il tempo ed il silenzio necessari per rinascere. Qualcuno lo voleva morto dentro e in lui iniziava a maturare l’idea di farli sparire invece per sempre. Ma, avvalendosi del suo enorme bagaglio professionale e di vita, sentiva di doverlo fare in maniera molto sottile. D’altronde, tutte le tecniche apprese nel corso della sua esistenza dovevano servire ancora una volta! La colazione era quasi terminata e ancora una volta Carlos doveva iniziare a organizzarsi. Da quando i “quattro dell’Ave Maria”, come lui stesso li chiamava oramai, gli avevano causato quel dolore, aveva obbligatoriamente variato alcuni aspetti della sua quotidianità, alcuni dei quali apparentemente noiosi ed inutili inizialmente ma, successivamente, rivelatisi degni di attenzione e di approfondimento. Perché aveva più tempo. Carlos non era più nella squadra speciale da quando i “quattro dell’Ave Maria” lo avevano tagliato fuori, costringendolo così nei primi tempi a giacere in una sorta di trance e di impotenza, in contrasto alla adrenalina pura ed alle innumerevoli esperienze vissute durante la sua attività lavorativa. Questo repentino cambiamento lo aveva per un certo qual modo messo sotto shock ma, fortunatamente, presto prevaleva il suo spirito combattente, fatto di profonde conoscenze di armi, esplosivi e di tecniche speciali e segrete di arti marziali, nonché di rilassamento e di autoguarigione. Carlos, mentre si stava lavando i denti, pensava a quanto era stato stupido a non accorgersi subito di queste capacità e conoscenze in proprio possesso: deteneva il epartout della sua salvezza e non se ne era accorto nell’immediatezza! Si era distratto... La sua vicenda inaspettata lo aveva effettivamente sconvolto, da fargli dimenticare per un breve tempo chi fosse lui veramente… Di grandi cambiamenti nella sua vita ce ne erano stati... Eccome se ce ne erano stati! Ne era ato del tempo da quando da piccolo e per tutto il periodo della sua infanzia aveva dovuto subire delle cattiverie sul suo aspetto fisico. Questo lo portava ad iniziare la strada delle arti marziali all’età di 10 anni, insieme all’attività con i pesi: la prima più che altro per rinforzare la mente e la seconda per il corpo che doveva crescere, svilupparsi per poter spegnere tutte quelle cattiverie che sentiva quotidianamente, turbandolo profondamente facendolo sentire estraneo a tutto quello che lo circondava. Questo lo rendeva abbastanza introverso proprio perché tutte quelle critiche gli avevano provocato una grande sfiducia in sè stesso e conseguentemente verso gli altri. Infatti, man mano che i
giorni, i mesi, gli anni avano, il corpo di Carlos cambiava in meglio ed anche la mente iniziava ad espandersi riuscendo così a vedere oltre quella linea invisibile oltre la quale non era mai riuscito a guardare a causa di altri. Consapevole del miglioramento del suo aspetto fisico e della capacità di metabolizzare molte cose, acquisiva sempre più fiducia in sè stesso, attirando l’attenzione e l’interesse di molti conoscenti e non. Ma, nonostante oramai il suo corpo era diventato armonioso ed atletico e la sua abilità nelle arti marziali era decisamente cresciuta grazie anche e soprattutto al suo grande spirito di sacrificio e forza di volontà, un lieve disagio interno lo accompagnava sempre nella sua quotidianità. Ciò dipendeva principalmente dalle forti pressioni avute durante l’infanzia, portandolo alla continua ricerca di un qualcosa in più. Cercare qualcos’altro poteva considerarsi una lama a doppio taglio perché da una parte si rivelava un’ottima prospettiva per andare avanti nella vita ma dall’altra generava contemporaneamente un senso costante di insoddisfazione perché alla fine non si raggiungeva in realtà alcun obiettivo vero e nulla di concreto. Scatenava il fenomeno del cane che continuava a mangiarsi la coda... Carlos, meditando su questo, si convinceva effettivamente sempre più quanto risultava importante l’educazione avuta durante l’infanzia: moltissime cose, ti rimanevano dentro e solo da persona adulta ti rendevi conto di quanto potesse essere pesante o leggera una determinata cosa o valore e dell’enorme difficoltà a tramutare le negatività in fattori positivi, metabolizzando episodi più o meno “pesanti”. Ma da adulto tutto diventava molto più difficile contrastare le avversità e da qui il destino aveva deciso di trasformare Carlos in un vero combattente. “Se voglio dominare me stesso, devo prima accettare me stesso; procedendo d’accordo e non contro la mia natura”.(Bruce Lee). Avendo l’anta dell’armadio aperto, cercando di scegliere che cosa indossare, gli veniva in mente un vecchio ricordo di quando per l’appunto si trovava in addestramento in Tibet. Un giorno, dopo aver terminato un’interessante lezione sui punti vitali del corpo umano, il suo Maestro Tazin Shao Liu, vedendolo particolarmente cupo e preoccupato, gli disse mentre si accingeva ad accendere un incenso da un profumo così intenso e delicato da sembrare di viaggiare all’interno del profumo stesso: “Se il problema si può risolvere non serve a nulla preoccuparsene. Se non può essere risolto, non ti porterà a nulla. Perciò smettila di preoccuparti”. Aveva
citato un grande aforisma dell’altrettanto grande Dhalai Lama. Queste parole, soprattutto ora, gli echeggiavano nella mente come un suono di un tamburo lontano e, come segnali di fumo, gli trasmettevano una grande sapienza immersa in una semplicità estrema. Con poche parole semplici quasi a pensare di credere che fossero state dettate da un bambino, il Maestro gli aveva aperto la mente e il cuore, fornendogli energia vitale... Energia che doveva togliere a coloro che avevano tentato di spezzarla a lui. Infatti, tutta la preoccupazione che Carlos aveva all’inizio, si era dissolta semplicemente perché si era reso conto che il suo problema si poteva benissimo risolvere. Certo, a modo suo, ma era perfettamente consapevole del fatto che quei quattro la dovevano pagare e, in lui, idee al riguardo non gli mancavano. Aveva avuto tutto il tempo di pensarci. All’inizio la confusione regnava, facendo mettere sul banco mille progetti che alla fine non portavano a nulla e che oltretutto facevano troppo rumore con il conseguente rischio di cadere nella trappola. Carlos questo non poteva più permetterselo!! Cavolo! L’uomo ed il combattente era prevalso! “Ogni azione perché possa condurci all’obiettivo finale, deve nascere dalla convinzione. Il completamento della convinzione perfeziona la volontà” (Antico proverbio cinese). Lo avevano decisamente molto aiutato anche le molteplici tecniche di rilassamento dettate dal Qi Gong (Qi=respiro; Gong=lavoro) e tramandate dai maestri tibetani. Il termine Qi Gong è stato adottato solo in epoca recente e raccoglie in sè una larga serie di discipline di rilassamento, di respirazione e di rafforzamento dei tendini praticate in tutta la Cina fin dai tempi più antichi. Il Qi di Qi Gong è l’aria che si respira, ma non solo; è anche e soprattutto la forza vitale, l’energia ancestrale che ci ha fornito la vita, che ci viene fornita dal cibo, che equilibra le forze della natura e il moto dei corpi celesti. Tutte queste manifestazioni energetiche hanno dei nomi distinti in cinese, così come in italiano abbiamo l’energia calorica, quella elettrica, quella atomica, etc... etc... Il Qi è anche il mediatore per eccellenza dei fenomeni di trasformazione che avvengono in natura. E’ il simbolo di uguaglianza della formula di Einstein E=mc elevata alla seconda. Quindi per QI Gong bisogna intendere: “esercitarsi per raggiungere il pieno controllo dell’energia vitale”. Tra tutte le posizioni statiche e dinamiche del Qi Gong, Carlos aveva le sue preferite: una tra quelle statiche, chiamata “Fu Hu Shi - cavalcare la tigre”, e l’altra tra quelle dinamiche “Fen Shui Shi - separare le acque”. Per quanto riguarda la statica, era una forma abbastanza impegnativa, rafforzava molto il Qi ed era utilizzata in modo
particolare dai praticanti di arti marziali. La seconda, quella dinamica, era apparentemente semplice ma, in realtà, racchiudeva in sè tutta l’essenza della pratica del Qi Gong dinamico. A differenza dei i degli animali, con questo movimento non si privilegiava una parte specifica delle funzionalità fisiologiche (polmoni, piuttosto che spalle od occhi etc...), ma tutto il sistema corporeo e spirituale veniva attivato nello stesso momento.Risultava incredibile a lui stesso come era diventato così risoluto davanti a questi progetti nei confronti dei “quattro” e così indeciso di fronte alla semplice decisione di come vestirsi... Si rendeva conto di trovarsi di fronte a quell’armadio da ben 20 minuti, senza avere ancora una minima idea di cosa indossare. Che stranezza... Gli risultava molto più facile progettare un crimine che scegliere un semplice vestito... Dovrebbe essere il contrario! “Un problema sorge solamente quando la vita è vista in modo frammentario. Vedetene la bellezza”( Jiddu Krishnamurti). Ma Carlos si riteneva un uomo fortunato al riguardo, perché il suo background gli aveva insegnato effettivamente ad affrontare situazioni di estrema pericolosità con una certa naturalezza, perché considerava più letale discutere con un suo superiore ottuso, ipocrita e malvagio. Qui si trovava decisamente più in difficoltà perché si vedeva innanzi alla scelta A o alla scelta B. Ovvero: scelta A, ucciderlo; scelta B: massacrarlo pubblicamente. Alla fine, per una decisione del destino, si optava automaticamente per la scelta C, ovvero allontanarsi facendo finta di aver accettato e compreso quello che era stato detto. Per Carlos sarebbe risultato di un’estrema facilità eliminare quei soggetti scomodi... Aveva acquisito un bagaglio di conoscenza che neanche lui se lo sarebbe potuto immaginare, soprattutto dopo la sua permanenza in Tibet. Si era reso conto che era impossibile colpire un uomo senza essere completamente a conoscenza dell’esatta mappa del corpo umano. Se si voleva un risultato ben definito, era indispensabile conoscere nei minimi dettagli la formazione interna ed esterna del corpo umano! Carlos oramai conosceva i punti vitali come le sue tasche... I centri sensibili, in cui l’energia sale a livello superficiale, costituiscono i punti vitali (Kyusho) distribuiti su tutto il corpo. Secondo la medicina tradizionale cinese, essi seguono i 14 meridiani che corrispondono ai canali nei quali scorre il Ki (energia o soffio vitale) in 365 punti del nostro corpo. Possono essere trattati con agopuntura, shiatsu o moxa, ma rappresentano anche i punti vulnerabili che un praticante di arti marziali deve conoscere per realizzare la massima efficacia nel combattimento. Lo stato di benessere, lo «scorrere armonioso dell’energia
lungo il sistema dei meridiani», dipende dalla capacità dell’individuo di regolare i suoi ritmi di vita, la sua dieta, il suo stato psichico: è il medesimo principio a suggerire una serie di esercizi fisici, per esempio anche a imitazione dei movimenti degli animali, che ha lo scopo di facilitare lo scorrere del Ki nel sistema dei meridiani. D’altro canto si può facilmente immaginare come la consuetudine al combattimento fisico, soprattutto senza armi, abbia permesso di fare importanti scoperte sulla circolazione energetica e quindi di aumentare le conoscenze sui punti efficaci nell’equilibrarla e nello squilibrarla: tant’è vero che ogni scuola di arti marziali ha custodito gelosamente per secoli e secoli le sue scoperte su quei punti che, colpiti con precisione e con la giusta pressione, possono provocare non solo dolore e paralisi temporanea, ma anche lesioni permanenti o addirittura morte. In più occasioni, la buonanima del padre di Carlos, anch’egli nell’ambiente militare e soldato tutto di un pezzo, gli diceva semplicemente e naturalmente quando lo vedeva irritato di fronte alle ingiustizie: “DI SEMPRE DI SI”... Niente di più. In realtà Carlos, durante la sua vita, non era molto riuscito ad applicare questo semplice detto, andando così in contrasto con molti superiori gerarchi, familiari e semplici conoscenti. Ma questo, a Carlos piaceva perché era consapevole che in qualche maniera, con il suo comportamento provocatorio ma giusto ed il suo carattere sanguigno, metteva loro il classico bastone tra le ruote, impedendogli così di attuare appieno i propri progetti sporchi e/o di natura sterile. Era arrivato il momento per Carlos di pulire tutto questo sporco. Come farlo? Certo di mezzi e sistemi ce ne erano a bizzeffe! Tanti anni nelle forze speciali e con l’apprendimento di tecniche militari e non, aveva l’imbarazzo della scelta. Per esempio, uno poteva essere eliminato con una bella Beretta 92FS; il secondo con una Glock 17 o con la nuova Beretta Px4 Storm; il terzo, data la sua ione per le immersioni, per l’occasione si rivelava adatta la pistola subacquea H&K P-11 capace di sparare fino a cinque dardi calibro 7,62 mm; il quarto con il diffusissimo fucile M4 della Colt in calibro 5,56 mm. Oppure, attaccare tutti e quattro contemporaneamente con un bel fucile d’assalto H&K 416, o con l’H&K G36 anch’essi in calibro 5,56 mm, nonché l’H&K 417 in calibro 7,62 mm che ha la doppia funzione di fucile d’assalto e di fucile di precisione se dotato di una buona ottica come pure il nuovo Beretta Cx4 Storm in vari calibri con corpo realizzato in tecnopolimeri. Finalmente Carlos aveva deciso che cosa indossare e questo lo alleggeriva. Cavolo! Rimanere di fronte ad un armadio indeciso 20 minuti a pensare come vestirsi non era ragionevole... Ma questa indecisione lo portava automaticamente alla riflessione di usare eventualmente un’arma più silenziosa rispetto a quelle già elencate, per esempio un coltello in uso alle forze
speciali cilene chiamato “El cuervo”, dotato di una lama di 20 cm. Questo coltello straordinario Carlos lo conosceva alla perfezione: una cicatrice sulla spalla sinistra lunga come la lama del “El cuervo” lo aveva trafitto durante un’operazione di salvataggio di un agente dei servizi segreti rapito anni addietro e trasportato per l’appunto in Cile. Fu una missione difficile dal punto di vista tattico e strategico... Era stato sottovalutato l’avversario e questo può procurarti una cicatrice se sei fortunato o, se sei sfortunato, una bella cassa di legno accompagnata da una sinfonia orchestrale struggente, contornata da mille discorsi idioti di circostanza. Ma proprio come il fuoco, anche la cicatrice sulla spalla non era niente in confronto a quella che Carlos portava dentro. Bruciava... eccome se bruciava... Era venuto proprio il momento di spegnere tutto questo bruciore. E c’era solo un modo per farlo. Carlos non si soffermava tanto sul fatto che questa potesse considerarsi una vendetta o semplicemente un atto di giustizia. Doveva essere fatto e basta. Questo l’istinto e la coscienza gli consigliava; lo avevano sempre fatto nella sua vita e difficilmente lo avevano ingannato. Fuori c’era l’ennesima giornata piovosa... Nonostante fosse primavera, le nuvole perennemente scure e cariche di pioggia sembravano prendersi gioco di tutti, muovendosi lentamente ma implacabilmente, trasportando tristezza e malinconia per tutti. Continuavano a cambiare forma e dimensione, ma non di colore. Quello era sempre nero. Lo stesso colore che Carlos si portava dentro; bisognava prendere in mano il pennello e come un abile artista, ridare vita ad un quadro riuscito male ed abbandonato su una parete ammuffita. Escludendo le armi da fuoco ed il coltello, rimaneva un unico mezzo a Carlos per adempiere al meglio la sua ultima missione, la più importante, perché solo questa gli poteva ridare la dignità persa e curare lo spirito ferito, preso violentemente a calci e sputi. Guardando fuori dalla finestra colma di gocce di pioggia e udendo il sibilo del vento che si insinuava prepotentemente tra le fessure quasi a volerlo sfidare, aveva scelto la via del “DIM MAK”! Per chiudere in bellezza, bisognava spegnere il male con una enorme abilità e con il maggior silenzio. Era troppo facile sparare o conficcare una lama di 20 cm nella carne e vederli urlare dal dolore, sporchi del loro sangue. Il loro sangue sporco non doveva uscire ed inquinare la terra, impedendole di abbracciare amorevolmente l’essere umano e regalarle il frutto della vita. La sporcizia doveva rimanere dentro il loro essere e spegnersi lentamente e apparentemente per cause naturali... E a proposito della terra, si ricordava uno dei tanti detti taoisti che recitava: “La via percorribile non è l’eterna Via, il nome definibile non è l’eterno nome.
“Nulla” si chiama il grembo del cielo e della terra, “Essere” è invece madre di tutte le creature”. La tecnica del “DIM MAK”, appresa anni addietro da Carlos mentre si trovava in Tibet, era perfetta!Carlos, continuando a guardare le nuvole scure e dispettose, chiedendosi se il sole esistesse ancora, guardava l’orologio. Aveva un appuntamento. Era chiaro... Altrimenti non si sarebbe preoccupato di caricare la sveglia e avrebbe continuato a dormire o pensare a come vincere la sfida con il vento. Un appuntamento importante. Gli mancava il quarto uomo: quello con il grado inferiore agli altri tre ma paradossalmente il più pericoloso e l’artefice di tutta la vicenda in cui era caduto Carlos. Per quello lo aveva riservato per ultimo; non perché era inferiore di grado ma proprio perché voleva gustare lentamente il piacere dell’attesa... Il gusto dell’eliminazione del soggetto principale che aveva causato la brusca direzione della propria strada, senza chiedergli permesso. Qualcuno oggi doveva morire. “Ikkyu, un maestro di Zen, era molto intelligente anche da bambino. Il suo insegnante aveva una preziosa tazza da tè, un oggetto antico e raro. Sfortunatamente Ikkyu ruppe questa tazza e ne fu molto imbarazzato. Sentendo i i dell’insegnante, nascose i cocci della tazza dietro la schiena. Quando comparve il maestro, Ikkyu gli domandò: “Perché la gente deve morire?” “Questo è naturale” spiegò il maestro. “Ogni cosa deve morire e deve vivere per il tempo che le è destinato”. Ikkyu, mostrando la tazza rotta, disse: “Per la tua tazza era venuto il tempo di morire”. Man mano che si affacciavano i pensieri nella mente di Carlos, gli venivano in testa spesso questi detti Zen che raccontavano a lui in Tibet ed anche grazie alle sue molteplici letture al riguardo. Per lui era diventato praticamente impossibile pensare senza accompagnare il suo viaggio con questi detti, aforismi e storie che tanto lo avevano arricchito interiormente affinando la propria esperienza professionale e di vita. Bene... era giunto il momento di andare. Con la scusa di parlargli di una vecchia situazione inerente al servizio, Carlos era riuscito a concordare un appuntamento con il quarto uomo, tranquillamente all’interno del proprio ufficio, davanti ai suoi collaboratori, in modo che tutti vedessero che, nonostante tutto, Carlos, stava già quasi dimenticando gli antichi rancori ed abbandonato ogni forma di rivalsa. Al quarto uomo, dotato di una cattiveria innata, tanto da intravedere il sangue della malvagità perennemente nei suoi occhi, aveva riservato una delle
tante tecniche del DIM MAK: stringendogli la mano, Carlos gli darà contemporaneamente una lieve pressione all’interno dell’avambraccio della stessa mano, facendo si che nel giro di un paio di mesi, quel sangue malvagio dipinto nei suoi occhi verrà sempre meno, fino ad arrivare al buio totale... Per lui arriveranno le tenebre e saranno più nere delle nuvole dispettose. D’altronde, aveva fatto la stessa cosa con gli altri tre. Li aveva attirati nella medesima trappola mortale. Uno se ne era andato a “miglior vita”, dopo una pressione all’interno della mano folgorato da un infarto dopo circa un mese; il secondo, mediante un pseudo abbraccio, dopo circa due mesi aveva lasciato la vita terrena per una terribile meningite; il terzo, toccandogli apparentemente per un gesto goliardico lo sterno, dopo aver sputato sangue per un certo periodo, decedeva dopo tre mesi per una polmonite. Uscendo di casa, Carlos non poteva fare a meno di gettare un rapido e distratto sguardo su alcune vecchie copie di quotidiani, messe disordinatamente sul tavolo in soggiorno: riportavano le notizie sulla scomparsa dei tre... Entro breve tempo, si sarebbe aggiunto un altro quotidiano e un’altra notizia, scatenando mille domande alle quali nessuno sarebbe riuscito a darne una spiegazione logica, se non quella che, prima o poi, nella vita, tutto torna. Niente di più. Fuori pioveva ancora e le nuvole scure e minacciose sembravano inseguire Carlos nel suo tragitto. Ma questa volta davano solo e semplicemente l’impressione di volerlo accompagnare nella sua ultima missione, abbandonando l’idea originaria della sfida con Carlos... Ma lui continuava ad accelerare. Quella missione era solo la sua. Era stato lasciato solo e tale voleva rimanere nel compimento della sua ultima missione. Quella più importante. In questa, non aveva bisogno di accompagnatori. Non avrebbero avuto quello stesso stimolo che ardeva in maniera così eclatante nel petto di Carlos. Arrivando nei pressi dell’ufficio del quarto uomo, scendendo dalla macchina e noncurante della pioggia battente che oramai lo aveva completamente inzuppato, pensava che, tornato a casa, avrebbe dovuto decidersi a cambiare il tipo di suoneria alla sveglia. Sarebbe stato meglio mettere una musica orientale anziché cercare di sopportare quel suono acuto e penetrante. Ma questa era un’altra storia.Ecco, si trovava di fronte all’ingresso; tra breve sarebbe accaduto quello che doveva essere compiuto. Niente e nessuno oramai poteva impedirlo. “Non varcare la soglia: conoscerai il mondo. Non ti affacciare alla finestra: vedrai la Via del cielo”.(Lao-tzu, filosofo e maestro cinese).
“Cercate di realizzare la forza che è in voi, cercate di farla uscire; in tal modo vedrete che tutto ciò che fate non viene da voi ma da quella verità che sta dentro di voi... perché non siete voi, ma qualcosa all’interno di voi”. (Sri Aurobindo).
CAPITOLO 2
Erano oramai trascorsi 5 anni dal giorno in cui Carlos aveva messo in pratica le sue idee di “pulizia”, mettendo a tacere per sempre i famosi 4 che gli avevano cambiato il percorso della sua esistenza. Ma questo, continuando a pensarci, non era poi stato proprio un punto negativo a suo svantaggio. Anzi. Innanzitutto l’episodio gli aveva per l’appunto concesso di eliminare per sempre dalla faccia della terra 4 persone che con il loro comportamento abbietto ed insignificante lo avevano buttato inizialmente in una frustrazione e in un senso di impotenza che mai avrebbero dovuto impadronirsi della sua anima, del suo spirito e soprattutto cancellare in un attimo tutte le sue sicurezze e tutta la sua professionalità. Questo era inaccettabile. Il tutto sommato alla natura grandemente subdola dei 4 che tanto li caratterizzava e che tanto male aveva procurato a lui stesso, ad altri e, quindi, con un potenziale alto pericolo che avrebbero continuato a danneggiare l’onestà di tanti. E quando veniva seriamente attaccata la credibilità della giustizia, del credo e del senso di ciò che contraddistingue il vero dal falso, Carlos perdeva la testa... Ma era meglio che qualcuno allora la perdesse concretamente al posto suo! Magari con la testa staccata dal collo di un corpo “malato”, tutto ciò che era marcio all’interno si sarebbe rigenerato e trasformato finalmente in una sfera perfetta di senso del dovere e di giustizia! In secondo luogo ma non di minore importanza, nel corso di tutti questi anni, Carlos era diventato un ricco imprenditore di successo. Era riuscito ad aprire, non senza difficoltà, varie “filiali” di agenzie di sicurezza operanti solo in territorio estero. Si trattava di agenzie che ufficialmente si occupavano per l’appunto di far accedere determinate persone, dopo aver frequentato con alto profitto un corso particolarmente duro tenuto da ex veterani della guerra provenienti da varie parti del mondo, nel mondo della sicurezza di singoli privati facoltosi che, per la loro posizione particolare di potere e di occupazione nel mondo del business, si sentivano seriamente minacciati di morte. E in effetti, alcuni di loro erano già scampati a qualche tentativo, abilmente però vanificato grazie all’alta professionalità degli uomini di sicurezza che agendo prontamente e freddamente, avevano per sempre messo a tacere gli autori del tentativo di
omicidio. Questo avveniva, a seconda dei casi e delle circostanze, sia a mani nude, sia con arma bianca, che con armi da fuoco. Erano abili in tutto. Carlos lo era e esigeva che gli uomini che lavoravano alle sue dipendenze lo fossero. Nonostante tutto, sempre però con uno “scalino” più in basso di lui, perché il migliore doveva essere sempre lui. Non accettava il detto secondo il quale l’allievo poteva superare il maestro. Neanche lui lo era stato con il suo Maestro. Non vedeva perché queste regole dovessero essere cambiate. Aveva aperto agenzie nelle maggiori città estere quali, Madrid, Barcellona, Praga, Sarajevo e Romania. La preferenza di aprirle all’estero e non in Italia era dipeso da diversi fattori: la subentrata sfiducia nel Governo del suo Paese, oramai minato dalla ingovernabilità da parte dei politici completamente inetti e manovrabili come burattini, ma allo stesso tempo pericolosi per sè e per gli altri. Soprattutto per i cittadini onesti ed incorruttibili. Questo provocava una reazione a catena inarrestabile che non faceva altro che alimentare la corruzione da parte dei potenti che, diventando ancora più forti economicamente, trascinavano nell’abisso dell’ignoto e della miseria la maggior parte del Paese, incapace di ribellarsi ma limitandosi ad innalzare proteste di piazza sterili ed inconcludenti. Questo faceva divertire ancor più i signori potenti del Governo che continuavano così a tessere la rete della vergogna alle spalle della povera gente o comunque di tutti coloro che portavano avanti la propria esistenza onestamente con il proprio sangue e con i pochi mezzi a loro disposizione. Questa era oramai praticamente la stessa situazione politica/ economica che invadeva la maggior parte del pianeta terra ma Carlos non poteva essere presente purtroppo in mille luoghi allo stesso tempo e non poteva occuparsi di tutte le problematiche del mondo. Il dono dell’ubiquità non gli era stato trasmesso. Nonostante tutto, aveva preferito per l’appunto lavorare all’estero per sentirsi ancora più libero di agire in determinati modi che solo lui poteva capire e perché questo gli trasmetteva un senso di distacco morale proprio dalle difficoltà del suo Paese, permettendogli così di poter agire più freddamente e razionalmente. Quando doveva pensare alle sue opere di “pulizia”, doveva essere come un’aquila... Volare in alto, inarrestabile, intoccabile e padrone dall’alto di ogni situazione. Quando lo riteneva opportuno, scendere in picchiata, colpire, lacerare le carni, far cadere la vittima a terra come un sacco vuoto e ritornare a volare, muovendo le ali facendo vibrare la musica della giustizia divina. Questo gli veniva perfetto! Infatti, alle spalle della sua attività imprenditoriale, si occultava sempre la sua di “giustiziere”... La sparizione dei famosi 4, tramite le sue tecniche di “DIM MAK”, gli avevano aperto la mente e la strada in tal senso... Ripulire quella faccia della terra che si era infangata a causa di certe persone che, come spiegato prima, avvalendosi della propria supremazia politica/economica, continuavano imperterriti a
danneggiare il sistema, facendo sembrare gli onesti come quelli con le mani sporche e viceversa. Come era accaduto a lui stesso 5 anni addietro. Il denaro guadagnato tramite le sue Agenzie di sicurezza, gli permettevano di muoversi in continuazione, in ogni parte del mondo, utilizzare ogni mezzo e, se necessario, pagare profumatamente persone fisiche o enti pubblici e/o privati per poter carpire maggiori informazioni e/o dettagli al riguardo. Non gli mancava niente quando si muoveva. Quando ciò avveniva, la persona presa di mira non aveva scampo. O in un modo o nell’altro, il designato avrebbe sputato sangue e maledetto il momento in cui era venuto al mondo. Ad ogni modo, lui non si esponeva mai in prima persona perché meno persone venivano a conoscenza della sua faccia e meglio era. Pagava altre persone che lo facevano al posto suo. Persone che lui stesso contattava mediante pseudo articoli di lavoro pubblicati su diversi quotidiani. Avuta la conferma della capacità di relazionare e dell’esigenza economica da parte di questi individui, gli affidava il compito del contatto o in busta chiusa fatta trovare in luoghi da concordare o, qualche volta, tramite uno degli agenti operanti di sicurezza. Ma, l’importante era che nessuno, assolutamente nessuno venisse a conoscenza della sua attività di “giustiziere”. Inoltre, preferiva sempre lavorare da solo. L’aquila vola sola in cielo. Alla facciata lui appariva solo come il titolare ed imprenditore delle agenzie di sicurezza. Aveva aperto comunque un’attività ufficiale che gli piaceva e che comprendevano attività che aveva imparato ed utilizzato per oltre 30 anni e, in aggiunta, officiosamente, conduceva in solitaria e con alta professionalità e segretezza, un’opera di pulizia che gli dava ancor più soddisfazione e senso liberatorio. Si... alla fine Carlos pensava proprio che quell’episodio accaduto 5 anni prima, era stato un dono prezioso. Paradossalmente, quelle 4 persone, con il loro gesto subdolo nei suoi confronti, lo avevano inconsapevolmente inserito in una sorta di crociata contro l’ingiustizia, punendo seriamente gli artefici utilizzando tutti i mezzi necessari ed a disposizione. E Carlos, ne aveva tantissimi, avendone l’imbarazzo della scelta. Neanche il rumore ferroso delle rotaie che correvano veloci sui binari come rasoi gli avevano impedito di fare tutte queste riflessioni... D’altronde era abituato a viaggiare, a muoversi, a spostarsi con ogni mezzo e rimanere assorto nei suoi pensieri e nei suoi progetti. Carlos, vestito in giacca e cravatta e in compagnia della sua inseparabile valigetta 24 ore, stava seduto in 1^ classe sul treno con destinazione Madrid, proveniente da Barcellona, dove aveva lasciato precise incombenze cartacee alla bella segretaria Mari e quelle della pulizia della casa alla Signora Mabel. Carlos aveva un elegante appartamento a Barcellona nel
Barrio Gotico, nei pressi della Rambla. Era partito alle 22.20 e sarebbe arrivato a destinazione dopo circa 9 ore. Aveva scelto di prendere l’unico treno chiamato “Costa Brava” che effettuava solo il tragitto notturno. Avrebbe potuto usare un mezzo alternativo più veloce ma non aveva fretta. Non aveva nessuno sopra la testa che gli avrebbe ordinato che cosa prendere e a che ora avrebbe dovuto arrivare. Voleva viaggiare comodo, con meno gente possibile vicino e, con la complicità della notte, cadere in una sorta di trance ove captare i pensieri più reconditi della sua anima e percepire ogni possibile segnale che essa poteva trasmettergli. Tanto quello che doveva fare, l’aveva fatto a Barcellona... In questa città aveva preso di mira una donna che occupava una posizione politica all’interno dell’Amministrazione Generale dello Stato. Questo ente governativo si occupa di questioni come la sicurezza esterna (Corpo Nazionale di Polizia ed Esercito), la Giustizia, la gestione dei porti, degli aeroporti di interesse nazionale, dei treni a lungo percorso e delle coste. Queste competenze sono coordinate dal Delegato del Governo in Catalogna e il subdelegato del governo di Barcellona, che sono designati dal Governo spagnolo, e hanno sede nella delegazione del Governo. Attualmente il Corpo Nazionale di Polizia ha solo alcune competenze come l’emissione delle carte d’identità o la lotta contro il terrorismo, visto che il resto delle competenze sono state trasferite ai Mossos d’Esquadra, polizia autonoma della Generalidat. A Barcellona sono presenti quattro diversi livelli di amministrazione politica con diverse responsabilità e competenze oltre a quella citata: Il Governo Autonomo della Catalogna e la sede dei suoi organi sono a Barcellona: il Parlamento della Catalogna è situato nel Parco della Cittadella e il Palazzo della Generalitat de Catalunya, sede della Presidenza della Generalitat, è situato nella Plaça de Sant Jaume. La Generalitat viene eletta a suffragio universale in elezioni che si svolgono ogni quattro anni in tutta la Catalogna, e ha grandi competenze sulla gestione della regione autonoma, dall’educazione, ai problemi sociali, ai trasporti, alla politica economica, il commercio, ecc. È anche responsabile della costruzione di infrastrutture come ospedali, scuole, università e residenze per la terza età. Il Consiglio di Barcellona è l’organismo con minori poteri in città. Attualmente presiede il patronato che si occupa del mantenimento del parco del monte di Collserola, e anche di altri parchi ed edifici pubblici in città. Gestisce anche alcuni musei e un’ampia rete di biblioteche pubbliche gestite assieme ai municipi. Il Comune di Barcellona è l’organismo con maggiori competenze e funzioni pubbliche in città, visto che regola la vita quotidiana dei cittadini tramite
importanti questioni come: la pianificazione urbanistica, i trasporti, la gestione della sicurezza cittadina tramite la Guardia Urbana, il mantenimento delle strade e dei giardini. È responsabile anche della costruzione di infrastrutture municipali come asili, polisportivi, biblioteche, ecc. Il governo del comune di Barcellona è scelto per suffragio universale ogni quattro anni. Il potere del municipio si struttura in due livelli, dato che la città è divisa amministrativamente in dieci distretti. Esiste un livello di competenze gestito direttamente dal sindaco di Barcellona e dal suo staff di governo, che si occupa delle questioni generali e importanti per tutta la città. D’altra parte esiste un altro livello di competenze delegate ai distretti. Ogni distretto ha il suo centro politico e amministrativo che funziona come un ente politico autonomo. La donna politica presa di mira da Carlos, si occupava prevalentemente di questioni sulla Giustizia all’interno per l’appunto dell’Amministrazione Generale dello Stato. Nonostante la giovane età e quindi non da tantissimi anni sulla “breccia”, aveva già danneggiato l’immagine della Giustizia, a discapito di numerosi Giudici onesti e lavoratori, buttando confusione nell’ambiente stesso, calpestando molti piedi puliti, lasciando impuniti altri suoi colleghi ed aprendo la porta alla disonestà ed alla facile vita avvalendosi del sistema che lei stessa avrebbe dovuto portare avanti in maniera retta e con i guanti bianchi. La storia continuava a ripetersi. La disonestà non aveva alcuna nazionalità. Carlos, con i suoi 49 anni, era ancora un uomo affascinante e riusciva a destare la simpatia e la curiosità di molte donne. Tra queste, la politica spagnola. Divorziata da circa tre anni da un noto avvocato originario di Salamanca e figlia di un alto Ufficiale della Guardia Civil, si chiamava Beatriz, anni 40, alta circa 1,70, capelli lisci, lunghi fino a metà schiena abilmente raccolti dietro la nuca, occhi neri come come il colore della sua moralità, vestita sempre elegantemente, occhiali da vista solo per leggere sui quotidiani le porcherie che lei stessa aveva condotto, lasciando intravedere un mezzo sorriso sarcastico che le storpiava completamente il viso. Tra un bicchiere di vino rosso e olive verdi, leggeva, sorrideva, beveva, mangiava e si rallegrava, brindando alla sua disonestà. Qualcuno doveva farla smettere. Tutti gli elementi raccolti, occupavano il dossier di circa 20 pagine che Carlos sapeva praticamente a memoria. Abilmente l’aveva seguita, studiando le sue abitudini, le sue frequentazioni, perfino il suo modo di respirare. Ma, soprattutto, aveva constatato che, nonostante la sua bella presenza e il suo potere, non era ancora fidanzata ufficialmente. Era venuto il momento di farla morire con il
piacere. Perché non unire l’utile al dilettevole? Perché limitarsi in questa circostanza ad una tecnica di DIM MAK e aspettare? Conosciuta personalmente a un ricevimento tenuto all’Ambasciata Italiana a Barcellona, era scattato subito un feeling tra loro che aveva portato ad una breve frequentazione per poi ultimare con un rapporto sessuale a casa di lei. L’abitazione, con un arredamento moderno, era composta da due piani e dotata di un ampio giardino verde e ben curato e sistemata in un quartiere “bene” a dieci minuti dall’elegante Avenida eig de Gracia. Nonostante la maestosità della casa, Carlos avvertiva che anche l’abitazione era “malata”... “Tutti noi sentiamo che certe case sono “felici” e che altre hanno “un’atmosfera sgradevole”. Solo i cinesi hanno proposto spiegazioni convincenti a questo stato di cose. Chiunque pensasse di beffarsi del feng shui come di un anacronismo superstizioso dovrebbe rammentare il contributo essenziale che esso ha fornito alla fisionomia del paesaggio cinese, nel quale le case, i templi e le città erano sempre collocati in armonia con gli alberi, le colline e l’acqua”. (Il geomante cinese, B. Chatwin). Dopo aver trascorso tutta la notte insieme e aver fatto colazione, si erano salutati senza alcuna promessa e senza alcun commento in particolare, ma limitandosi a dire “se capiti ancora da queste parti, se vuoi, fatti vivo”... Ma dietro questa pseudo indifferenza, in realtà si nascondeva già una sorta di curiosità e una gran voglia di scoprire il più possibile che cosa conteneva esattamente la personalità di Carlos e il perché egli era riuscito ad affascinarla dopo brevissimo tempo. Dopodiché era salita sulla sua BMW 535d di colore blu scuro, dirigendosi al lavoro. Era l’ultima volta che avrebbe guidato quella macchina e fatto quella strada. Soprattutto l’ultima volta che aveva cercato di alimentare il Paese con il nulla e con la bilancia della giustizia capovolta. Durante un suo comizio politico tenuto quella stessa mattinata all’interno dell’Amministrazione Generale dello Stato, improvvisamente iniziava a vomitare sangue, lasciando tutti ovviamente impietriti dal terrore e dallo stupore... Sia lei che tutti quelli che le stavano accanto avevano lo stesso colore addosso... Il colore del sangue. Era inarrestabile... Sembrava un’improvvisa perdita di acqua dal rubinetto. Ma in questa circostanza l’idraulico non avrebbe potuto fare assolutamente nulla. Niente e nessuno poteva fare qualcosa per impedire che quella bella donna si trasformasse in un quadro di sofferenza
umana tinta di rosso porpora. Alla fine, tra i tentativi di fare qualcosa da parte degli altri presenti e il continuo getto di sangue di Beatriz, la stessa cadeva stremata e dissanguata sulla sedia, in una posizione tale da ricordare a Carlos una delle innumerevoli opere d’arte del celebre pittore Pablo Picasso, ovvero quella dal titolo “IL SOGNO”, del 1935, durante il periodo dell’espressionismo. Il quadro ritraeva una donna seduta su una poltrona con la testa inclinata verso la propria spalla destra, tenendo gli occhi chiusi ed entrambe le mani poggiate sulle gambe intrecciando leggermente le dita. Il viso era diviso da una linea di colore nero, come a voler marcare la differenza dall’emisfero destro da quello sinistro del cervello. A Carlos era particolarmente piaciuta quell’opera... E la posizione finale di Beatriz le ricordava istintivamente questa. Anche lui, in certo qual modo, aveva compiuto la sua opera d’arte. La sua non poteva apparire nei principali musei ma era uscita il giorno seguente a pieni titoli su tutti i quotidiani... “MORTE INSPIEGABILE ALL’INTERNO DELL’AMMINISTRAZIONE GENERALE DELLO STATO DI UNO DEI MAGGIORI ESPONENTI DELLA GIUSTIZIA, BEATRIZ...” Durante la notte trascorsa insieme, Carlos aveva approfittato di una delle sue tecniche di DIM MAK per causarle ciò che era successo. Non era stato difficile vista la situazione.... La pressione era stata esercitata nella parte centrale della schiena e, precisamente tra il “grande muscolo circolare” e il “muscolare”, fatta a mano aperta. Come il grande Pablo Picasso, Carlos aveva creato un altra opera d’arte ma, a differenza del noto pittore, aveva usato la sua mano abilmente senza pennello ma avvalendosi di tutto quello che gli era stato insegnato e tramandato anni addietro in Tibet. In un certo qual modo entrambi erano degli artisti e c’era qualcosa che li accomunava... Il confine tra il genio e la follia è labile, e Picasso portava dentro di sé la partecipata consapevolezza del male, dell’orrore che avvelena il nostro mondo, e soprattutto questo esprimeva nei suoi dipinti, nelle sue sculture e nelle ceramiche. L’animo avvelenato di Picasso lo rendeva perfido, perfino sadico, soprattutto con chi lo amava; ma tale era il suo magnetismo che nessuno di coloro che lo amavano ha mai smesso di amarlo, neppure le sue innumerevoli e maltrattate donne, una sola delle quali ebbe la forza di lasciarlo. Si... qualche filo di collegamento c’era con il celebre artista... Per questo sentiva una profonda ammirazione per Picasso e la scena accaduta all’interno dell’Amministrazione Generale dello Stato di Barcellona, lo aveva portato in automatico a quell’opera in particolare.
Il giorno seguente all’episodio ai danni di Beatriz, Carlos aveva comprato il quotidiano per leggere la notizia. Si era recato ad uno dei tanti locali che stanno sulla Rambla, si era seduto a consumare la colazione e leggendo tranquillamente il giornale. Beatriz faceva la stessa cosa per seguire le conseguenze delle sue malefatte, Carlos faceva la stessa cosa dopo aver compiuto giustizia. Ma, a differenza di Beatriz, quando leggeva gli articoli che riportavano il fatto in questione, non traspariva quel sorriso sarcastico... Provava una certa soddisfazione interna ma non poteva considerarsi mai pienamente soddisfatto perché sapeva che purtroppo il lavoro era ancora molto lungo e difficile. E questo significava che il mondo era seriamente in pericolo proprio perché popolato generalmente da esseri umani creati appositamente per avvelenare l’esistenza... Non c’era tanto da stare allegri. Picasso esprimeva questo pensiero attraverso le sue opere. Carlos attraverso l’eliminazione materiale del soggetto considerato il cancro della società. D’altra parte, ognuno ha il suo destino. Ognuno è stato designato per trasmettere qualcosa in un certo modo, altrimenti non sarebbero esistite persone all’infuori della norma capaci di comunicare e contagiare del proprio pensiero il resto della comunità. E, in questo mondo, Carlos, addentando una “tostada” con olio, sale, pomodoro e prosciutto crudo, rifletteva che ben pochi vogliono e possono raccogliere ciò che vogliono dire i geni o presunti tali. Dove la pulizia non era possibile farla con l’arte della pittura, della ceramica, della scultura, della filosofia Zen, subentrava l’opera di Carlos che arrivava come l’aquila... L’aquila, grazie alle sue caratteristiche di grosso rapace, dalla vista acutissima, dal volo maestoso, dalla capacità di volare ad altezze irraggiungibili e piombare con velocità impressionante sulle prede, ha destato in tutti i popoli antichi il mito dell’invincibilità, paragonato ora al sole, ora al messaggero degli dei od allo stesso Dio. Se il leone è ritenuto il re degli animali terrestri, l’aquila è la regina dei volatili. Nell’antica arte sumerica si trovano reperti archeologici, che mostrano un animale con corpo d’aquila e testa di leone: emblema di sovranità sulla terra e sull’aria. Simbolo celeste e solare, l’aquila indica pure acutezza mentale e d’ingegno, tanto che ancor oggi, parlando di una persona d’intelligenza mediocre, se non scarsa, si ricorre alla litote: «Quella persona non è certo un’aquila». A “canonizzare” questa metafora ci pensa Dante Alighieri, allorché nella sua Divina Commedia parla di Omero, che ai tempi del sommo poeta era considerato una delle più grandi menti mai esistite: “Quel signor dell’altissimo canto, / che sovra gli altri com’aquila vola”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, IV, 95-96) D’altra parte anche l’antico proverbio latino... “Aquila non capit muscas”. (L’aquila non cattura mosche). Ciò sta ad indicare come i grandi non si curino delle piccole cose e attribuisce automaticamente all’aquila il simbolo di grandezza. Dopo aver eggiato per le strade di Barcellona e ricevuto nel frattempo numerose telefonate da parte di alcune segretarie dell’agenzia di Madrid e Sarajevo, aveva deciso di prendere il treno alle 22.20 da Barcellona per fare ritorno a Madrid, ove arrivava verso le 18.30. Arrivato a casa (una delle sue case, dato che ne aveva una per ogni sede delle agenzie di sicurezza... ndr.) e dopo una doccia rigeneratrice, posava gli occhi sulla corrispondenza pervenuta durante la sua assenza. Ma non aveva voglia per ora di guardarla. Lo avrebbe fatto il giorno seguente. Dopo essersi versato del buon vino rosso, sorseggiando e guardando la strada dal suo balcone, ancora brulicante di gente che si muoveva come un esercito di formiche, gli veniva in mente uno dei tanti aforismi di Epicuro e di Martin Luther King sull’ingiustizia: “L’ingiustizia non è di per sé un male, ma consiste nel timore che sorge dal sospetto di non poter sfuggire a coloro che sono stati preposti a punirlo”. (Epicuro). “L’ingiustizia in qualsiasi luogo è una minaccia alla giustizia ovunque”. (Martin Luther King). Era tempo di buttarsi nella marea di tutte quelle formiche e continuare a bere del buon vino rosso.
CAPITOLO 3
Un altro giorno stava per iniziare. Un altro era rimasto alle spalle e un altro ancora sarebbe arrivato il giorno successivo. Ma ciò dipendeva da molte cose... Il fato decideva se proseguire il viaggio o smettere... Se continuava, bisognava vedere in che modo lo avrebbe fatto e, nell’eventualità che non ci fosse stato un seguito, sarebbe stato in un certo qual senso curioso vedere le modalità secondo le quali un’esistenza aveva finito di battere il cuore per sempre. Spesso si parla del fato come quel qualcosa che per quei mille modi di prenderlo e/o interpretarlo, in finale si rivela come il principale giudice di vita. L’esistenza delle persone collegata al fato, di qualsiasi natura esse siano, era già da subito il pensiero di Carlos appena alzato dal letto della sua abitazione di Madrid. Quel giorno in particolare, magari in complicità con il fato, aveva deciso che questa tematica avrebbe dovuto occupare principalmente la sua mente durante tutte le sue attività quotidiane. Carlos non si opponeva mai a queste e ad altre innumerevoli riflessioni; lo aiutavano a capire e a sviluppare dei progetti a media e/o lunga distanza che in effetti alla fine lo portavano alla conclusione che in realtà, il fato non ci metteva il suo zampino al cento per cento. Perché una buona percentuale veniva messa in realtà da lui stesso. Determinati eventi, lo portavano a decidere se qualcuno doveva cessare per sempre questa esistenza o se al contrario si era guadagnato l’ancora della salvezza divina. Non per questo poteva sostituirsi al Padreterno ma, poiché totalmente avverso alle ingiustizie, si era autonominato come una sorta di giustiziere. A lui non interessavano tanti cavilli. A lui stava a cuore solo il giusto. E quando percorreva questa strada, non aveva e né vedeva altri obiettivi, anche se a volte in una certa maniera, era alquanto disorientato se pensava che una cosa semplice e naturale come la giustizia dovesse cercare di trionfare ed essere pulita mediante del sangue. Si trattava del sangue sporco, sangue malato fuoriuscito da persone senza alcun scrupolo ma, tuttavia, era sconcertante che per ottenere un po’ di piazza pulita, questa dovesse a sua volta sporcarsi di altro sangue. Lui cercava di farlo utilizzando le sue famose tecniche... Sia per non fare rumore, sia per non attirare sospetti su un presunto serial killer che avrebbe solo portato qualcuno ad indagare sul presunto omicida. Le conseguenze delle sue
mosse lasciavano intendere che il soggetto era mancato per cause naturali... Inspiegabili ma naturali... E il caso veniva praticamente chiuso ancora prima di aprirlo. Facendo colazione, Carlos si accorse che comunque questa ultima riflessione gli aveva dato un sorriso: l’idea di essere “braccato” da qualche investigatore, particolarmente ligio al proprio dovere e cocciuto a risolvere positivamente il caso, sacrificandosi in tutto e per tutto pur di identificare ed arrestare il responsabile di tutti quegli omicidi, lo divertiva ed allo stesso tempo l’istinto gli suggeriva di prestare un po’ più di attenzione in futuro... Gli avevano insegnato a non abbassare mai la guardia e doveva continuare a portare avanti ciò che gli era stato detto sia durante gli innumerevoli e duri addestramenti all’epoca in cui era nelle forze speciali che quando si trovava in Tibet con il suo Maestro Tazin Shao Liu. Sapeva che se lo avrebbe fatto anche per una sola volta, anche inconsapevolmente, quella famosa percentuale del fato gli avrebbe voltato le spalle. “Segui le tue inclinazioni ma facendo attenzione al poliziotto in fondo alla strada”. (William Somerset Maugham, Schiavo d’amore, 1915). Per un attimo veniva distratto dallo squillo del suo telefono cellulare. Era Liliane, una delle sue segretarie dell’Agenzia di sicurezza di Sarajevo, la quale gli chiedeva quando lui si sarebbe fatto vivo in quanto era prevista una riunione con alcuni dirigenti che si occupavano di una grande impresa di edilizia, chiamata “BRANKO & CO.”, la cui sede principale si trovava a due i dal cuore di Sarajevo. Avevano ricevuto numerose minacce per iscritto ed in alcune occasioni erano state ferite un paio di guardie del corpo e tre dirigenti del settore amministrativo. Avevano saputo dell’esistenza dell’Agenzia di Carlos e della sua altissima professionalità, decidendo così di avvalersi della sua collaborazione e naturalmente dei suoi agenti operanti in zona. Carlos, ascoltato attentamente la conversazione di Liliane, confermava la sua presenza per il giorno successivo, verso il primo pomeriggio, in modo da organizzare al meglio ancora qualche dettaglio per poi infine stabilire il meeting vero e proprio per il giorno ancora seguente. Come sempre, prima di ogni riunione, Carlos amava pianificare ogni dettaglio, soprattutto quelli insignificanti perché la sua grande esperienza gli aveva insegnato e dimostrato che erano proprio quelli a fare la differenza. Molti grandi personaggi e importanti società operanti a livello internazionale erano
decaduti proprio perché inciampati in un dettaglio che nessuno aveva preso in considerazione, concentrandosi esclusivamente su quelli più visibili. Molte volte, quando operava nelle forze speciali, si accorgeva che si distraeva dalle cose principali guardando altre che pensava che avessero la stessa importanza. E’ difficile distinguerle... Ci vuole esperienza e fiuto... Un istinto primordiale che non tutti sono in grado di far uscire. Un giorno, trovandosi in una galleria d’arte a Parigi, uno degli artisti dei tanti quadri esposti, disse a Carlos: “Ogni persona comune è in un certo qual modo affine e simile ad un artista... Solo che pochi sono in grado di riconoscerlo e svilupparlo”. Il titolare della ditta a Sarajevo, era riuscito con un invidiabile sacrificio e combattendo contro mille difficoltà burocratiche e azioni sovversive, ad aprire la sua attività che nel corso degli anni, iniziata subito dopo la fine del conflitto, si era ben avviata nel settore dell’edilizia, approfittando degli ingenti danni causati dalla guerra che aveva sconvolto questo Paese.Le guerre jugoslave sono state una serie di conflitti armati, inquadrabili tra una guerra civile e conflitti secessionisti, che hanno coinvolto diversi territori appartenenti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, causandone la dissoluzione. Diverse le motivazioni che erano alla base di questi conflitti. La più importante era il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche a cavallo fra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta (in particolare in Serbia, Croazia e Kosovo, ma in misura minore anche in Slovenia e nelle altre regioni della Federazione). Influenti anche le motivazioni economiche, gli interessi e le ambizioni personali dei leader politici coinvolti e la contrapposizione spesso frontale fra le popolazioni delle fasce urbane e le genti delle aree rurali e montane, oltre che gli interessi di alcune entità politiche e religiose (anche esterne) a porre fine all’esperienza della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Sarajevo rimase pesantemente danneggiata durante i quattro anni di assedio. La collezione di manoscritti dell’Istituto Orientale della città, una delle più ricche collezioni di manoscritti orientali al mondo, fu deliberatamente distrutta da nazionalisti serbi. L’assedio di Sarajevo fu il peggiore e il più catastrofico periodo della storia della città a partire dalla prima guerra mondiale. Prima
dell’assedio, la città si trovava in un periodo di grande crescita e sviluppo ed aveva ospitato anche le Olimpiadi Invernali del 1984. La città era stata un modello di integrazione multietnica, ma l’assedio spinse le popolazioni a drammatiche divisioni. A parte le migliaia di rifugiati che lasciarono la città, un grandissimo numero di serbi abitanti a Sarajevo partirono per la Republika Srpska. La percentuale di serbi a Sarajevo, da più del 30% nel 1991 diminuì a circa il 10% nel 2002. Le regioni di Novo Sarajevo, che sono oggi parte della Republika Srpska, hanno formato Sarajevo Est, dove attualmente vive gran parte della popolazione serba d’anteguerra. Alcuni serbi che rimasero a Sarajevo furono trattati rudemente dai rifugiati che fecero ritorno alle loro case. Nel corso degli anni Sarajevo aveva fatto enormi progressi, anche nei progetti per tornare ad essere una moderna capitale europea. Nel 2004, gran parte dei danni agli edifici erano stati riparati; i progetti per nuove costruzioni hanno fatto diventare Sarajevo la città con il maggiore tasso di espansione dell’ex Jugoslavia. Andrej Branko, il titolare dell’impresa in questione, come la maggior parte dei lavoratori onesti ed incorruttibili, si era attirato l’invidia e l’odio da parte di molti. Questo aveva inevitabilmente portato a molti episodi di violenza contro lui stesso, la sua impresa e qualche dirigente. Nel corso degli anni aveva subito incendi, danneggiamenti per poi are addirittura ai tentativi di omicidio, costringendolo ad assoldare delle guardie del corpo locali con un ato naturalmente come soldati nel famoso conflitto. Visto però il continuo evolversi della vicenda, Andrej aveva deciso di rivolgersi all’Agenzia di Carlos. E aveva fatto la scelta giusta. L’Agenzia di sicurezza a Sarajevo, che riceveva solo su appuntamento (come del resto tutte le altre della Spagna, della Romania e della Repubblica Ceca, ndr.), si trovava nel centro della città, nei pressi della biblioteca, sulla sponda del fiume Miljaka. La biblioteca era una costruzione particolare, poiché caratterizzata da uno stile ispano-moresco e che in principio era sede del Municipio di Sarajevo. Durante la guerra la biblioteca era divenuta un simbolo della città, dopo che il 25 agosto 1992 i serbi la bombardarono provocando un incendio che distrusse il primo piano dell’edificio, compresi ben 600.000 volumi. Recentemente è stata ristrutturata la facciata principale. L’Agenzia era invece costituita su due piani, arredata con molto gusto seguendo uno stile moderno fatto arrivare dall’Italia, con muro a vista su entrambi i piani. La vetrina esterna era praticamente a specchio e dotata di allarme antintrusione ed antisfondamento. Due telecamere piazzate all’esterno che giravano a 180° e la porta d’accesso veniva obbligatoriamente aperta automaticamente dall’interno dalla segretaria presente in quel momento. Sempre
all’esterno, sul lato destro della porta d’ingresso, una bella insegna recante il nome dell’Agenzia, i numeri di telefono da contattare, compreso quello del fax e la e-mail: “AGENZIA DI SICUREZZA EAGLE” TEL. .............. FAX .................... E-MAIL .............................................. SI RICEVE SOLO SU APPUNTAMENTO. L’abitazione privata di Carlos si trovava invece nella Via Ferhadija, nelle vicinanze del quartiere turco; una via pedonale moderna che fu il centro della città durante il dominio asburgico. Ovviamente Carlos aveva fatto in modo di non essere direttamente contattato dai clienti, deviando quindi le possibili chiamate alle segretarie che poi lo avrebbero subito contattato spiegandogli tutto nei minimi particolari ed attendendo istruzioni. Per quanto concerne il personale preposto alla sicurezza vera e propria, era composto da 10 uomini, tutti abilmente addestrati sia da Carlos, che da validissimi istruttori di arti marziali, nonché da esperti tiratori conosciuti da lui personalmente grazie al suo trascorso militare. In aggiunta, a proposito di background militare, tutti provenivano da corpi speciali sia italiani che stranieri. Due erano italiani, cinque bosniaci, due inglesi e un tedesco. Come automezzi a disposizione, il parco macchine era fornito con tre bmw 320 berline, tre Audi A3, un furgone Mercedes Vito, due moto Yamaha WR450F e una Yamaha MT-09. Naturalmente le autovetture erano dotate solo lateralmente di vetri blindati. Carlos non aveva voluto metterli su tutto il mezzo per non appesantirla troppo, preferendo la parte laterale perché aveva visto che statisticamente e personalmente la maggior parte dei conflitti portavano a fare fuoco su quei lati. Ma nessuno avrebbe dovuto avere il tempo di sparare sui mezzi e soprattutto verso i suoi uomini. Non poteva permetterlo. Carlos era sempre stata una persona coerente. Difficilmente aveva usato i suoi pensieri e le sue azioni liberi di sventolare come una bandiera. Le uniche ali che dovevano sempre muoversi in tutta tranquillità e sicurezza, erano quelle dell’aquila! Non a caso aveva deciso di chiamare le sue Agenzie “EAGLE”... Per quanto riguarda le armi, anche qui Carlos aveva voluto andare sul sicuro con pistole mitragliatrici H&K MP7, pistole Beretta 92FS, la Glock 17 e la nuova Beretta Px4 Storm; inoltre pistole TT-33 MAKAROV e mitragliatrici leggere
PKM e RPK. Tutta questa organizzazione rispecchiava praticamente quella delle sue rimanenti Agenzie, con qualche lieve differenza ed aggiunta che verrà meglio descritta in un altro momento. Inoltre, approfittando della sua ione particolare per la Spagna e delle arti marziali, proprio a Madrid aveva conosciuto un praticante di una nuova arte marziale emergente e molto vicina al KRAV MAGA, l’arte usata dalle forze speciali israeliane. Carlos si era così addentrato anche nel sistema della KFM, ovvero “Keysi Fighting Method”. “Keysi Fighting Method” è un sistema di autodifesa che si basa sul naturale istinto di combattimento e diverse tecniche di combattimento di strada, sviluppato da Justo Dieguez Serrano dalle sue esperienze ricavate da scontri per le strade della Spagna. Il sistema è stato fondato con l’aiuto di Andy Norman. Entrambi i fondatori, Justo Dieguez ed Andy Norman, sono certificati istruttori di Jeet Kune Do sotto Dan Inosanto. Il KFM è stato creato nel 1950 per le strade della Spagna ed è in un costante stato di evoluzione. La stessa fa uso di intervalli di attacco multipli, con o senza armi. Il marchio del KFM è l’uomo pensante (Pensador) e l’attacco dell’uomo pensante (pensataq), che si avvale di una forma di difesa per proteggere la parte più preziosa del corpo, la testa. Il Keysi Fighting Method mantiene protetta la testa utilizzando le braccia, che vengono anche impiegate per infierire colpi potenti e a corto raggio attraverso mani e gomiti. Piuttosto che diretti e montanti, il Keysi Fighting Method impiega principalmente pugni “a martello”, più potenti e meno pericolosi per le mani del praticante. A differenza di molte arti marziali, il KFM tende ad essere utilizzato a breve distanza. Dalla difesa Pensador sono spesso lanciati una serie di attacchi contro di obiettivi vitali (come il bicipite, i reni o plesso solare). Il Keysi Fighting Method contempla soprattutto colpi inferti con le braccia, limitando i calci a poche occasioni, ed impiegando gli arti inferiori soprattutto attraverso le ginocchia. Un altro aspetto della KFM è il suo approccio “a 360 gradi in caso di attacchi multi-aggressore in piedi, in ginocchio, seduti o sdraiati. Parte della filosofia KFM è la ridefinizione dei termini “predatore e preda”, ma anche, se l’aspirante vittima diventa il predatore e gli aspiranti attaccanti sua preda. Carlos si stava quindi interessando di aumentare la professionalità dei suoi agenti mandandoli anche su questa disciplina affinché la loro preparazione venisse colmata, rendendoli ancora più affidabili. Finita la conversazione telefonica con la segretaria di Sarajevo e dopo la solita
doccia, Carlos sentiva il bisogno e la necessità di fare le sue tecniche di rilassamento dettate dal Qi Gong prima di dare inizio alla sua giornata. “La mente non è un vaso da riempire ma un legno da far ardere, perché si infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità”. (Plutarco). Finita la breve pratica di Qi Gong, si metteva al computer prenotando subito il primo volo disponibile per Sarajevo che lo avrebbe portato nella Capitale bosniaca alle ore 15.30. Orario perfetto per avere tutto il tempo disponibile e necessario per rivedere tutti i dettagli del caso con Liliane. Mentre si trovava sul volo per Sarajevo, Carlos, come la sua natura richiedeva, guardava con apparente occhio distratto tutte le persone presenti. Lo faceva sempre. In qualsiasi situazione ed in qualsiasi mezzo di locomozione che si trovava in quel momento. Ma questo accadeva spesso anche semplicemente per le strade. Lo apionava cercare di immedesimarsi in tutta quella gente, tentando di immaginare quale stile di vita ognuno di loro conducesse, con tutti i loro problemi, le loro gioie, i loro dolori, le loro soddisfazioni e i loro pensieri del momento ed i loro ricordi più belli e quelli da cancellare per sempre. Sul volo per Sarajevo si era focalizzato su una coppia di giovani intenti a discutere. Lui, dall’apparente età di 30 anni, capelli castano chiari, corti e tenuti con un po’ di gel, occhi verde-marrone, indossava una camicia jeans, un pantalone chiaro con tasconi laterali e scarpe ginniche marca “Nike”. Lei, circa 5 anni in meno, particolarmente appariscente e suscitava una sorta di ovvia curiosità. Carnagione molto chiara, capelli ricci, con le mesches chiare, lasciati cadere fino alle spalle, occhi azzurri, due orecchini vistosi su entrambe le orecchie raffiguranti una mezza luna; indossava una camicetta bianca semi trasparente che lasciava intravedere il reggiseno dello stesso colore e lasciando immaginare il tipo di slip che stava indossando, un bel seno taglia “3”, pantaloni jeans e scarpe tipo “ballerine” di colore blu. Sulla guancia sinistra aveva un neo che non le si addiceva ma allo stesso tempo le dava un qualcosa in più alla sua personalità, suscitando ancor più curiosità ed interesse. “Per essere perfetta, le mancava solo un difetto”. (Karl Kraus).
I due stavano discutendo e, stando alle parole che Carlos riusciva a sentire, stavano cercando di progettare la loro vita insieme, tentando di stabilire un contatto in comune. Per questo, continuava a pensare Carlos, non riuscivano a smettere di discutere animatamente; le maggiori difficoltà si creano in una coppia quando entrambi cercano di trovare un punto in comune quando magari tra loro due non esistono, continuando ad accanirsi a scovarlo da qualche parte, scatenando così una sorta di reazione a catena. Le discussioni si fanno sempre più frequenti e più colorite, subentra la stanchezza mentale, la pigrizia di continuare a parlare, di buttarsi nei tentativi ed alla fine si getta la spugna. Proprio quando a volte succede in un incontro di boxe, nella circostanza in cui il coach decide di buttarla vedendo che la situazione è oramai precipitata ed irreparabile ai danni del proprio atleta. Si getta la spugna per salvare il salvabile. Carlos, seppur solo per la breve durata del volo durato circa due ore e mezza, si era fatto l’idea che tra i due giovani non ci sarebbe stata alcuna intesa e, probabilmente, scesi da quel volo, avrebbero preso la decisione di lasciar perdere e dividere la loro vita per sempre, magari il tutto condito da frasi di circostanza per non lasciarsi eccessivamente male. Ognuno si sarebbe diretto a casa propria, pensando ai momenti trascorsi insieme, raggruppando sia quelli buoni che quelli meno piacevoli, raccogliendo gli oggetti che ricordavano l’ex, sedendosi sul divano malinconici e confusi, sorseggiando una bevanda alcoolica, compiendo sforzi disumani per convincersi che la vita comunque andava avanti e bisognava viverla al meglio delle proprie possibilità, senza alcun rimpianto. Magari cercando già di organizzarsi di vedersi con qualcuno per farsi compagnia e riempire l’interlocutore di cascate di parole deliranti, costringendo l’altra persona a confermare di aver ben compreso la situazione ma in realtà perdendosi dopo circa 5 minuti di conversazione. Carlos era riuscito ad immaginare tutto questo durante il volo e, anche quando stava scendendo le scale dell’aereo, aveva ancora in mente il pensiero della continuazione della vita di entrambi. Chissà come sarebbe cambiata la loro esistenza dopo questo viaggio. Ogni mezzo di locomozione aveva il suo bel carico di responsabilità... Trasportare molti bagagli di vita, cercando di risolvere le problematiche o agevolare ancora di più il benessere dell’anima... Non era facile. Ma era più o meno anche il lavoro di Carlos. Lui dava le ali della felicità a chi lo meritava e un badile per spalare carbone all’inferno per chi aveva sgarrato. Uscito dall’aeroporto, prendeva un taxi per dirigersi all’agenzia. Avrebbe potuto farsi aspettare da un ragazzo dell’agenzia con una delle autovetture di servizio ma lui aveva preferito così perché gli piaceva continuare a studiare ancora le personalità della gente comune e, in questo caso, del taxista.
Carlos non si stancava mai di guardare dentro le persone, anche perché non gli costava alcun sforzo in quanto era in lui una cosa innata, naturale, istintiva e non poteva farci niente. Dopo aver dato l’indirizzo all’autista, Carlos iniziava a guardarsi un po’ in giro e allo stesso tempo notando il taxista. All’esterno poteva vedere i continui sforzi da parte della popolazione per alleviare i dolori e le atroci sofferenze che aveva causato la guerra. Dimenticare non si poteva. Era impossibile. Quando succede qualsiasi guerra, è pura utopia dimenticare. Nel corso degli anni, la città era riuscita abbastanza a sollevarsi, a cercare di mettersi nella scia del benessere economico e soprattutto della pacificazione tra insensate diatribe etnico-religiose. Ma questo era molto difficile. Sarajevo è da sempre città multi-etnica e multi-religiosa, al suo interno convivono tre diverse religioni: l’ islam, il cristianesimo (con due confessioni: cattolica, legata ai croati, ed ortodossa, praticata dai serbi) e l’ebraismo. Il grande clima di tolleranza e rispetto tra queste confessioni ha portato a soprannominare Sarajevo la Gerusalemme d’Europa. I rapporti tra queste fedi si sono incrinati in seguito alle guerre jugoslave. Tutte le guerre dividono qualsiasi cosa. Per quanto riguarda il taxista, era un uomo di circa 60 anni, baffi folti e brizzolati come i capelli corti fino alla nuca e spettinati, corporatura robusta e un paio di occhi che lasciavano intravedere la sua immensa esperienza di vita. Questo gli veniva confermato dalle numerose rughe che gli solcavano il viso come un aratro sul terreno impervio ed ostile; ogni ruga emanava ogni sofferenza subita e tutte le angherie causate dalla guerra. La sofferenza, anche per lui, gli aveva dato una luce di fierezza nello sguardo... Era indubbiamente un uomo che stava cercando di dare dignità il più possibile alla sua famiglia lavorando onestamente e senza alcun risparmio di energia. Doveva scavare quell’asfalto con la sua autovettura proprio come l’aratro sul terreno difficile. Al termine della corsa, Carlos lo pagava oltre al dovuto, ricevendo un ringraziamento sincero e un po’ imbarazzato, come potrebbe fare soltanto uno che non è abituato a ricevere mai nulla di più. Il meeting era stato fissato per il giorno seguente alle ore 17.00. E infatti, per il giorno stabilito, tutto era già stato preparato come al solito con la cura di Liliane e come soltanto una donna potrebbe fare. La sala riunioni era posta al piano rialzato dell’Agenzia e la scrivania era pronta ad ospitare tutti con le classiche bottigliette di acqua naturale e relativi bicchieri, qualche snack, il profumo dell’incenso che invadeva dolcemente la stanza finemente decorata da alcune piante verdi, tra le quali un paio di bonsai. Ovviamente non poteva mancare un televisore 48 pollici al plasma schermo ultrapiatto appesa sul muro ed un pannello al centro della parete per proiettare eventuali video tramite un computer sistemato all’angolo. I posti dove dovevano sedersi i clienti erano
dotati della necessaria documentazione per parlare dell’affare, compresi eleganti biglietti da visita dell’Agenzia “EAGLE”, con tutte le indicazioni utili e indispensabili. Carlos, ogni tanto pensava, facendolo divertire, in relazione a questi biglietti da visita, se nella parte posteriore di essi si sarebbe potuto mettere anche la pubblicità della sua seconda attività di giustiziere, elencando tutte le sue tecniche e mezzi a disposizione per eliminare per sempre fastidiosi personaggi. Si... decisamente era una cosa che lo faceva sorridere e, mentre teneva in mano per l’appunto uno di questi biglietti, veniva chiamato dalla segretaria, avvisandolo che erano arrivati i clienti che stavano parcheggiando nelle adiacenze dell’Agenzia. Il Sig. Andrej Branko, si presentava puntuale in compagnia di due uomini che in realtà avevano l’aspetto di un armadio incrociato con un cane bulldog incazzato nero e desideroso di azzannarti il collo fino a decapitarti. Nonostante tutto, apparivano allo stesso tempo un po’ sprovveduti e desiderosi anch’essi di chiedere ulteriore aiuto perché si erano resi conto che la loro imponenza fisica e il loro background militare era arrivato ad un certo limite. Era ora di fare entrare in azione anche l’Agenzia “EAGLE”. E, dopo aver ascoltato attentamente la storia da parte di Andrej, si stava avvicinando nuovamente anche il momento di Carlos nei panni del giustiziere. Andrej confermava la dura ascesa della sua impresa scontrandosi in mezzo a mille difficoltà, tra le quali si trovava ancora dato che aveva preso la decisione di rivolgersi all’Agenzia. Ma, la cosa in realtà che faceva rimanere particolarmente colpito Carlos era ben altro. Non che tutto quello accaduto fino ad ora ad Andrej e alla sua impresa fosse stato uno scherzo... No davvero. Andrej, cercando di mantenere una voce ferma e tentando di fare meno interruzioni possibili, nascondendo una forte commozione mista a una certa durezza, spiegava le atrocità di violenze sessuali ai danni delle sue due figlie di 14 e 16 anni, da parte di uno dei presunti autori degli attentati ai suoi danni e concorrente nella corsa commerciale, occupandosi anch’egli di edilizia. A Fabjan Milkovic, 60 anni, titolare di un’altra impresa di edilizia nella stessa città di Sarajevo, non andava proprio giù che l’attività di Andrej potesse ogni giorno che ava decollare negli affari riscuotendo stima da parte delle persone che rappresentavano il lavoro onesto. Dopo aver tentato di incendiare un paio di volte l’impresa di Andrej causando fortunatamente solo danni ingenti a cose ma nessuna lesione alle persone, e addirittura cercato di sparargli con l’ausilio di alcuni sicari provenienti da chissà dove, una sera di circa 6 mesi addietro, Fabian, con la complicità di un’altra persona, aveva aspettato che le figlie di Andrej uscissero dall’abitazione di un’amica e, approfittando del buio, le avevano caricate in macchina, portate in una zona isolata di campagna, picchiate
selvaggiamente e ripetutamente violentate. L’orrore purtroppo non finiva qui: Andrej oltre alle due figlie femmine, aveva un maschio di 8 anni, simbolo della purezza, dell’innocenza e della sincerità come quell’età impone. Questa anima candida veniva macchiata un’altra volta da gesta obbrobriose, orripilanti, inenarrabili... Avevano osato profanare quel corpicino completamente estraneo alle cattiverie umane usandogli la stessa violenza rivolta alle sorelle. Lo avevano rapito mentre stava innocentemente giocando nel cortile di casa, portandolo in una cascina abbandonata poco fuori da Sarajevo, tenuto come una bestia rabbiosa incatenato per il collo per tre lunghi giorni, picchiato senza alcuna vergogna e abusando sessualmente di lui... Dopo averlo usato in questa maniera disumana, lo scaricavano come un sacco vuoto davanti casa. Il suo corpo riportava i segni di tutte le barbarie ricevute, cancellandogli per sempre quella semplicioneria che tutti i fanciulli hanno innata dentro la loro anima. Questo nuovo episodio, unito a quello accaduto prima alle sorelle, avevano gettato nel più profondo sconforto tutta la famiglia, costringendo Andrej a fare seguire quotidianamente sia le figlie che il maschietto dal centro psichiatrico affinché si prendessero cura di loro nel miglior modo possibile e dare quindi un sostegno alla famiglia, il cui amore per i figli purtroppo non bastava per tamponare tutte le ferite riportate e le spietatezze compiute da figure astratte travestite da esseri umani. Carlos si era accorto di avere i pugni serrati ed il battito cardiaco accelerato dopo aver ascoltato tutto il racconto di Andrej. Nella sua mente addestrata si era già fatto strada tutto l’occorrente per rendere giustizia a questa famiglia di lavoratori onesti anche se, niente e nessuno, poteva oramai cancellare definitivamente tutti gli orrori subiti e restituire la purezza persa. Ma qualcosa doveva essere fatto! Nonostante la polizia fosse stata interessata da Andrej, non era stato fatto niente al riguardo, sia per disinteresse che per una certa complicità di qualche dirigente della polizia stessa, amico e conoscente stretto di Fabjan e quindi sicuro di continuare nelle sue porcherie perché protetto. Se nessuno voleva rendere giustizia a tutto questo scempio, era venuto un altro momento di Carlos! Fabjan non si rendeva conto di quello che da lì a breve gli sarebbe capitato! “Con l’avanzare dell’età, ci rendiamo conto che la vendetta è ancora la più sicura forma di giustizia”. Henry Becque, Note d’album, 1926 (postumo). Dopo essersi messi d’accordo sul servizio di protezione da parte dell’Agenzia
“EAGLE”, Carlos si incamminava verso la sua abitazione di Sarajevo. Era una piacevole giornata di sole che con il suo tepore cercava disperatamente di scaldare gli animi in quella terra colma di cicatrici, facendo apparire per qualche attimo i luoghi con una diversa angolazione. Le condizioni meteorologiche erano sempre state importanti per Carlos che adorava il sole ma anche per il resto dell’umanità. Aveva una esatta spiegazione scientifica il fatto che tutti i paesi nel mondo, graziati da un clima caldo e temperato tutto l’anno, si contraddistinguevano per il sorriso perenne sulle labbra ed il modo differente di affrontare le difficoltà quotidiane. In alcuni paesi, come per esempio la Giamaica, Cuba, Santo Domingo ed altri, sdrammatizzano ogni cosa mettendosi a ballare e a cantare. Il sole è luce, calore, energia e vita ed è sempre stato venerato in tutte le mitologie. Gli Egizi consigliavano di esporsi alle sue carezze e Greci e Romani lo utilizzavano nella cura delle malattie cutanee. D’altra parte se si spegnesse il Sole la vita sul nostro pianeta si estinguerebbe. Il sole è luce e la luce, secondo la definizione di alcuni studiosi, è un “super nutriente”. Chi vive nelle città non fa fatica ad apprezzare il piacere di allontanarsi dal rumore ma anche da un cielo spesso offuscato dai gas di scarico per ritrovare il piacere del contatto con la natura. Prendere il sole, in effetti, non soltanto ci fa sentire meglio fisicamente, ma favorisce il rilassamento dandoci nel contempo una nuova carica emotiva: non a caso il sole è da considerare un antidepressivo naturale a cui potremmo e dovremmo far spesso ricorso quando ci capita, soprattutto nella stagione calda, di sentirci sottotono o sovraffaticati. Nonostante tutto, Carlos non riusciva a cancellare quanto appena detto da Andrej. La crudeltà di certi uomini o presunti tali, non aveva limiti e tale efferatezza doveva essere contrastata con ancor più truculenza. Di idee al riguardo ne aveva tante Carlos. Questa volta, immerso nelle sue introspezioni, si era accorto che, a differenza degli altri episodi in cui si era reso protagonista, non aveva per niente considerato il “DIM MAK”. Fabjan, meritava qualcosa di diverso. Proprio perché si era macchiato di delitti orripilanti sporcando l’anima candida di due ragazze e di un bambino di soli 8 anni, Fabjan doveva morire in maniera speciale. Arrivato a casa, accendeva un incenso il cui profumo non tardava a riempire il soggiorno e si versava della birra “Sarajevsko ” con gradazione di 4,9 gradi alcolici, con un gusto unico dato dagli speciali luppoli utilizzati. Il prodotto si avvale di una termo-etichetta che, quando diventa di color rosso, indica che la birra è alla temperatura ideale (7°) di degustazione. Sedendosi sulla poltrona e guardando la libreria, iniziava a pensare istintivamente a tutte le forme di torture esistenti e ate. Per esempio, all’epoca in cui si trovava in Vietnam, era venuto a conoscenza della
“waterboarding”, ossia la “tortura dell’acqua”. E’ una forma di tortura, consistente nell’immobilizzare un individuo in modo che i piedi si trovino più in alto della testa, e versargli acqua sulla faccia. Si tratta di una forma di annegamento controllato, in quanto l’acqua invade le vie respiratorie, inducendo il riflesso faringeo. Il soggetto sottoposto a tortura dell’acqua non può controllare il flusso dell’acqua né interromperlo o sottrarvisi, e quindi ritiene che la propria morte sia imminente. La morte per soffocamento può sopravvenire se la tortura dell’acqua non è interrotta. A seconda delle tecniche di esecuzione, la tortura dell’acqua può non condurre a danni fisici permanenti, anche se in ogni caso causa dolore estremo. Sono possibili danni polmonari, danni cerebrali derivanti dalla riduzione dell’apporto di ossigeno, oltre che danni fisici quali fratture derivanti dal tentativo di liberarsi. In ogni caso la pratica induce danni psicologici. Se i danni fisici possono durare per mesi, i danni psicologici permangono per anni. John McCain, Senatore repubblicano degli Stati Uniti che fu torturato come prigioniero di guerra nel Nord Vietnam, ha ammesso che la tortura dell’acqua è una “tortura molto intensa” e una “esecuzione simulata”, che danneggia la psiche del soggetto “in maniere che non si possono più cancellare”. La pratica ha ricevuto nuova attenzione e notorietà nel settembre 2006 quando altri servizi sostennero che l’amministrazione Bush avesse autorizzato il suo uso negli interrogatori di detenuti afghani nella guerra al terrorismo statunitense. Il vicepresidente Dick Cheney disse a un intervistatore che lui non riteneva una forma di tortura “un tuffo in acqua”, ma piuttosto “uno strumento molto importante” per gli interrogatori. In un’intervista all’ ABC nell’ Aprile 2008, il presidente George W. Bush aveva ammesso esplicitamente la pratica della tortura (tortura dell’acqua, privazione di sonno, schiaffeggiamenti a mano aperta ecc.): “Sapevo che il mio team per la sicurezza discuteva di questo e ho approvato”. Anche Condoleezza Rice ha avuto un ruolo decisivo nel dare il via libera alla CIA; questa una sua dichiarazione: “Questa è la vostra creatura: andate avanti”. Pensando a queste forme di tortura, automaticamente gli venivano in mente tantissime altre tristemente note nel corso della storia... “Il tratto di corda”, era un sistema di tortura ed una pena corporale in uso fino all’Ottocento. Di uso diffuso, data la semplicità della procedura. Consisteva nel legare con una lunga corda i polsi del reo dietro la schiena e poi nell’issare il corpo per mezzo di una carrucola. Il peso del corpo veniva così a gravare tutto sulle giunture delle spalle, e per aggravarne gli effetti la corda veniva ripetutamente allentata di colpo per un certo tratto e bloccata; la gravità sul peso del corpo provocava uno strappo ai muscoli e la slogatura delle braccia all’altezza dell’articolazione delle spalle. Per
aumentarne gli effetti, ai piedi della vittima potevano essere legati dei pesi; generalmente la conseguenza del trattamento comportava storpiatura a vita. “L’impalamento” era un antico metodo di messa a morte di una persona tramite tortura, consistente nell’infilzare il condannato con un palo di legno, per poi sollevarlo in posizione verticale fissando il palo nel terreno. Affinché entrasse con facilità nel corpo del condannato, la punta veniva spalmata di olio o miele, il punto di entrata poteva essere l’ano, la vagina oppure una parte bassa dell’addome, il punto di uscita poteva essere la bocca o una scapola. Se non venivano lesi organi vitali, il supplizio poteva protrarsi per molti giorni, prima della morte. “La crocifissione” era, al tempo dei romani, una modalità di esecuzione della pena di morte e una tortura terribile. La pena della crocifissione era tanto atroce e umiliante che non poteva essere comminata a un cittadino romano. Era applicata agli schiavi, ai sovversivi e agli stranieri e normalmente veniva preceduta dalla flagellazione, che rendeva questo rito ancora più straziante per il condannato. Cicerone definiva la crocifissione “il supplizio più crudele e più tetro”. Il supplizio della crocifissione è tuttavia molto più antico dei romani e non sempre è legato a una struttura a croce. A volte il condannato era legato a un singolo palo, a volte a una struttura a V rovesciata. Lo scopo era tuttavia sempre lo stesso: provocare la morte, dopo una lenta agonia, che interveniva per soffocamento determinato dalla compressione del costato (a tale scopo spesso le gambe del condannato venivano spezzate con una mazza o un martello), oppure a causa di collasso cardiocircolatorio. Si presume talvolta la morte intervenisse in seguito alla combinazione di entrambi gli aspetti. Alcuni documenti antichi parlano di crocifissione già all’epoca dei babilonesi. “La sega”. Le seghe erano strumenti di tortura più comuni perché erano facilmente rinvenibili nella maggior parte delle case e non erano necessari dispositivi complessi. Si trattava di un modo economico per torturare e uccidere una vittima accusata di stregoneria, adulterio, omicidio, bestemmia o addirittura di furto. La vittima era legata a testa in giù, permettendo al sangue di essere deviato al cervello. Ciò garantiva che la vittima fosse cosciente il più a lungo possibile, rallentando la perdita di sangue e causando la massima umiliazione. La tortura poteva durare diverse ore. Mentre alcune vittime venivano tagliate completamente a metà in una sorta di gesto simbolico, la maggior parte di esse venivano tagliate fino a loro addome per prolungare il tempo necessario per morire.
“Lo spacca-ginocchio”. Un altro strumento favorito da parte dell’Inquisizione spagnola per la sua versatilità, era stato lo spacca- ginocchio. Era uno strumento con punte affilate attrezzate su entrambi i lati dell’impugnatura. Quando il torturatore girava la maniglia, gli artigli lentamente schiacciavano e penetravano la pelle e le ossa del ginocchio. Anche se il suo uso aveva determinato in rari casi la morte, l’effetto era stato quello di rendere le ginocchia completamente inutili. A volte, veniva utilizzato anche su altre parti del corpo compresi i gomiti, le braccia e anche le caviglie. Il numero di punte dello spacca-ginocchio variava da tre a più di venti. Alcuni artigli venivano riscaldati in anticipo per massimizzare il dolore e altri avevano decine di artigli più piccoli che penetravano la carne lentamente e dolorosamente. L’elenco delle torture poteva continuare ancora ma, nonostante la ricchezza di possibilità di procurare le più atroci sofferenze ed umiliazioni ad una persona ritenuta responsabile di qualche delitto (molte volte si trattavano di vittime innocenti, ndr.), Carlos era convinto che per una sottospecie di essere vivente quale era Fabjan, doveva escogitare altro. Un qualcosa che poteva fare la differenza, un atto che doveva andare oltre l’immaginazione e causare una morte lenta, in mezzo a terribili dolori e soprattutto rimanendo cosciente per capire meglio quello che gli stava accadendo. Così sarebbe stato perfetto per quell’energumeno. E oltretutto Carlos era sicuro che alla fine di tutto non poteva assolutamente correre nessun rischio di essere individuato perché chiaramente un tipo come Fabjan aveva numerosi nemici e mai nessuno si sarebbe sognato di pensare che proprio Carlos, ricco imprenditore di successo nell’ambito della sicurezza, potesse addirittura essere l’ideatore e l’autore del delitto perfetto, geniale che tra breve tempo sarebbe successo. Era solo questione in realtà di perfezionare quei famosi dettagli che tutti trascuravano, lasciando andare così a rotoli tantissime cose. Perché Carlos aveva un’idea e più ci pensava, più si convinceva che era l’unico sistema semplicemente “artistico” e completo per un verme come Fabjan. Neanche lo stesso Andrej avrebbe potuto sospettare che dietro la macchina della vendetta ci sarebbe stato il titolare dell’Agenzia al quale si era rivolto per essere maggiormente protetto. Il Sig. BRANKO, in realtà, non lo sapeva ma, era doppiamente salvaguardato: nelle sue attività quotidiane dal personale operativo dell’Agenzia e, nell’ombra, dal giustiziere che in breve tempo gli avrebbe tolto di mezzo il più pericoloso concorrente e il più miserabile individuo a lui più vicino. Giorno dopo giorno, la vita trascorreva apparentemente normale ma, in realtà, Carlos, aveva già pronto il suo solito dossier che raccoglieva tutte le solite informazioni sul soggetto da colpire. In questo caso, la vittima predestinata era
ovviamente il “caro” Fabjan. Anche in questa circostanza dopo breve tempo sapeva tutto di quello schifoso. Perfino anche il modo in cui pisciava. Si trattava solo di decidere il giorno in cui are all’azione. Ben presto veniva anche quella. Era stato deciso per il 14 febbraio. Non certo per ricordare la festa degli innamorati ma Carlos lo aveva pensato in relazione alla altrettanto nota “Strage di San Valentino”, accaduta il 14 febbraio 1929 a Chicago, con il quale gli uomini di Al Capone sterminavano la banda di Bugs Moran. In totale furono 7 le persone assassinate, ciascuna delle quali aveva in corpo almeno 50 colpi di mitragliatore. Nel caso di Carlos, il morto sarebbe stato uno ma, nel modo in cui crepava, tutti i colpi ricevuti dagli uomini di Bugs Moran, sarebbero apparsi come una morte tradizionale e apparentemente priva di originalità. I tempi si erano evoluti e con essi, anche la tecnica criminalistica. E Carlos in questo era il dominatore incontrastato. Tutto era stato organizzato in maniera capillare come Carlos era solito fare. Ma, in questa circostanza, lo era stato ancora di più perché la particolare gravità dei fatti che lo avevano portato a mettere in moto un’altra macchina della giustizia, lo avevano gravemente colpito emotivamente... Il simbolo dell’innocenza quale era rappresentato da giovani adolescenti ed addirittura da un bambino che si stava ancora affacciando al mondo irrequieto e spietato, era stato gravemente profanato e questo meritava un atto di giustizia come non lo era mai stato. La sera prima del giorno decisivo, Carlos si trovava in casa comodamente seduto sulla poltrona intento a leggere un libro dal titolo “Azione senz’azione” di Henri Borel, il quale aveva dedicato la sua vita allo studio e alla diffusione del pensiero orientale in Occidente. “Azione senz’azione”, era un testo che si ispirava all’antica saggezza cinese e, in particolare, il concetto di “Wu Wei” era uno dei più importanti precetti Taoisti che riguardava la consapevolezza del quando agire e del quando non agire. Anche questo Carlos lo aveva appreso magnificamente! Era certo di agire quel 14 febbraio come lo era sull’esistenza della vita e della morte. Quando aveva deciso di chiudere quel libro per andare a dormire, volgeva per un attimo lo sguardo verso un quadro appeso ad una parete di casa: raffigurava un fiore, un cranio e una clessidra, che simboleggiavano rispettivamente la Vita, la Morte e il Tempo. Era un dipinto del 1671 di Philippe de Champaigne, pittore se scomparso nel 1674. L’autore aveva dato al quadro il titolo “Natura morta con teschio”. Si trattava di una natura morta legata al tema della caducità della vita umana, più precisamente detta Vanitas. La fragilità dell’uomo era rappresentata dai tre elementi disposti sul tavolo, il quale si presentava disadorno di decorazioni; il tutto era immerso in uno scenario
semplice e tinto di colori scuri, accentuato dalla piccola dimensione dell’opera. Era stato un dono fatto a Carlos da parte di un amico critico d’arte di Le Mans, in Francia, ove inizialmente l’opera d’arte era custodita nel museo di Tessè. Il capolavoro di Philippe de Champaigne gli ricordava in automatico, un altro celebre quadro, “Trionfo della morte”, di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1562 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. Nel dipinto si poteva percepire la morte che sopraggiungeva uccidendo gli uomini in vari modi, evocando un’atmosfera arida e infernale, in cui essi affrontavano il trao con i più vari stati d’animo: sorpresa, sgomento, rassegnazione, inutile ribellione. E tutto questo stava capitando a Fabjan. Erano le 22.00 del 14 febbraio. Fabjan si era ancora attardato sul lavoro e tra breve sarebbe uscito per fare ritorno a casa, non sapendo che quella sarebbe stata la sua ultima sera e i suoi familiari lo avrebbero aspettato invano. Carlos attendeva pazientemente all’esterno, nelle adiacenze dell’ufficio, semi nascosto con la complicità del buio, a bordo di un furgone. La strada era deserta e silenziosa, interrotta a volte dal miagolio di qualche gatto randagio in cerca di cibo. Nel cielo scuro della notte, anche la luna era sparita, come se avesse saputo quello che stava per succedere, nascondendosi dietro un sipario tenebroso. Carlos aveva previsto tutto. Era impossibile che la grande genialità del suo programma avesse potuto fallire. Dopo qualche minuto Fabjan usciva, lasciando dietro di sé la porta chiusa e un odore di cadavere ambulante. Una volta vicino alla propria autovettura parcheggiata accanto al furgone di Carlos, questi scendeva tranquillamente avvicinandosi a Fabjan che nel frattempo si era già seduto sul mezzo. In una frazione di secondo, prima che Fabjan potesse chiudere la porta e rendersi conto di quello che stava accadendo, Carlos gli piantava sul collo, con forza, una siringa, iniettando una sostanza che causava l’immediata immobilizzazione del soggetto. Facilmente, lo stesso veniva caricato sul furgone e, partendo in maniera assolutamente tranquilla, si dirigeva verso la periferia di Sarajevo. Qui, raggiunto un casolare abbandonato, trascinava Fabjan all’esterno del furgone, come un sacco di patate; ma, seppur paralizzato per tutto il corpo, era perfettamente cosciente! Era proprio questo che voleva Carlos. Il vigliacco doveva guardare ogni minima cosa che gli veniva inferta, tra i più atroci dolori e patimenti, senza riuscire a muovere un solo muscolo! Gli aveva iniettato una dose di “TETRADOTOSSINA”, cioè una potente neurotossina, un veleno 100 volte più potente del cianuro. La tetrodotossina prende il suo nome dalla famiglia dei Tetraodontidae o pesci palla, dotati di quattro denti fusi in un becco,
adatto a rompere conchiglie, crostacei e persino rametti di corallo. La stessa caratteristica e lo stesso veleno sono presenti nei Diodontidae (pesci istrice) muniti per di più anche di aculei su tutto il corpo. Un milligrammo di “tetradotossina” è sufficiente ad uccidere una persona (quantità che può essere contenuta nella capocchia di uno spillo). La tossina blocca la conduzione nervosa provocando paralisi, vomito, diarrea, convulsioni, blocco cardiorespiratorio. Fabjan veniva minuziosamente sdraiato completamente nudo su una specie di piastra di ferro battuto e legato saldamente mani e piedi, anche se in realtà non ci sarebbe stato bisogno... Sul soffitto, proprio sopra il viso di Fabjan, era stato sistemato uno specchio, in modo che avesse anche la possibilità di vedere direttamente quello che gli stesse capitando. Era uno spettacolo teatrale assistere a questo corpo perfettamente e totalmente immobilizzato, mentre gli occhi del malcapitato riflettevano il terrore puro, la disperazione più accesa e lo stupore più assurdo. Sembrava quasi che fosse venuto fuori da quel famoso quadro, “Trionfo della morte”, di Pieter Bruegel il Vecchio. Ma si trattava ora, di un’altra opera d’arte alla quale Carlos avrebbe dato sicuramente un nome... Ci doveva pensare un po’ ma era certo che l’ispirazione gli sarebbe venuta molto presto. Dopo essersi messo un camice bianco da medico e dei guanti in lattice, Carlos apriva la sua valigetta 24 ore, dalla quale estraeva un bisturi a lama. Con questo bisturi, il taglio dipende principalmente dall’abilità del chirurgo: il taglio è netto e senza apparente distruzione dei tessuti circostanti. L’operazione era piuttosto lenta e bisognava esercitare una pressione adeguata sullo strumento per avanzare col taglio. In tutto il periodo di esame del soggetto da colpire e pensare quindi il modo in cui compiere giustizia, Carlos era arrivato anche alla conclusione che, dato che il bastardo aveva tranquillamente messo la faccia davanti a quelle cose terribili ai danni dei figli di Andrej, appariva doveroso togliergliela. In aggiunta, bisognava asportare anche il mezzo con il quale Fabjan aveva macchiato l’anima candida dei fanciulli, ovvero il pene. Non gli sarebbe più servito neanche quello! Non si poteva descrivere l’orrore manifestato da Fabjan attraverso l’unico modo possibile, ossia attraverso gli occhi che non facevano altro che muoversi in tutte le direzioni come per cercare aiuto. Carlos iniziava a tagliare meglio di un chirurgo il viso, iniziando dalla fronte e, continuando in maniera circolare, andava verso la tempia, l’orecchio, il mento, fino ad arrivare al punto di partenza arrivando quindi dall’altro lato! E il tutto mentre Fabjan non muoveva un dito e guardandosi allo specchio! La faccia si staccava sembrando un lenzuolo sporco di sangue, lasciando il resto del viso come il classico manichino che si studiava
in anatomia, facendo vedere l’esatta mappa di tutti i muscoli facciali! Quanto asportato abilmente veniva adagiato sul ventre di Fabjan che subito dopo doveva subire anche il taglio netto del suo pene. Fabjan aveva assistito in diretta la sua fine arrivata dopo atroci sofferenze. Moriva dopo circa 30 minuti, durante i quali Carlos approfittava per buttare in un sacco il camice, i guanti ed il bisturi, pienamente soddisfatto della sua opera, anche se cosciente che, non avendo usato il DIM MAK, questa volta avrebbe avuto alle calcagna qualche investigatore particolarmente addentrato nei casi di morte violenta causate da serial killer. Ma ne era valsa la pena. E poi, in fondo questo non gli dispiaceva del tutto; ci aveva già pensato al riguardo e sapeva che questo momento sarebbe arrivato prima o poi... Una sfida tra il giustiziere privato e l’investigatore ligio al dovere e prossimo alla pensione. Come in uno dei tanti film polizieschi che amava vedere. In fondo la sua vita era diventata una sorta di film, in cui lui stesso era decisamente il protagonista e il cui finale terminava sempre con un morto e il responsabile rimasto ignoto, come il movente. Stava diventando sempre più curioso di sapere come sarebbero state avviate le indagini al riguardo e soprattutto, sapere chi le avrebbe condotte. Un professionista della giustizia come lui meritava di essere braccato da un altrettanto luminare delle tecniche criminalistiche. Doveva vincere il più forte ma, con questa riflessione, Carlos si divertiva molto. Nessuno poteva superarlo. Il giorno seguente, veniva rinvenuto nel capannone il corpo gran parte divorato dai coleotteri “Dermestid”, noti anche come coleotteri della pelle. sono insetti di 2-4 pollici (5.1 cm) e conosciuti per mangiare carne umana “post mortem”. Carlos aveva pensato anche a questo: si era procurato questi esemplari per l’occasione lasciandoli appositamente sul posto per ultimare il suo tocco d’arte. Per quanto riguarda quel pezzo di lenzuolo intriso di sangue che costituiva il viso di Fabjan ed il suo pene, venivano recapitati mediante un piccolo pacco, al Comando di Polizia, all’attenzione di un dirigente che tanto aveva coperto le sue porcherie. Chissà... forse c’era già un altro predestinato... Il tutto era accompagnato da un semplice biglietto con parole ritagliate da un quotidiano: “Il modo più veloce di finire una guerra, è perderla”. (George Orwell).
CAPITOLO 4
Erano trascorse alcune settimane ma tutti i quotidiani parlavano ancora a livello internazionale di quello che era successo a Sarajevo. D’altronde, non si poteva pensare l’effetto contrario! Quando mai era accaduto una cosa del genere o comunque similare a Sarajevo? La polizia brancolava nel buio più totale. La notizia si era diffusa in maniera esponenziale, come del resto lo stesso Carlos aveva messo in conto. E questo gli provoca una sorta di adrenalina che tanto aveva contraddistinto la sua vita e il suo metodo di affrontare la sua quotidianità. Il modus operandi del capolavoro da lui compiuto, stava facendo impazzire tutte le Autorità Investigative e non solo quelle di Sarajevo! Il delitto (per l’opinione pubblica, ndr.) e il doveroso atto di giustizia (per Carlos, ndr), si era infiltrato nelle menti dei principali inquirenti in campo internazionale, chiamati in causa dalla Polizia di Sarajevo. Il problema da risolvere era veramente troppo grande per i suoi investigatori, abituati a ben altri casi apparentemente di più facile interpretazione e a scolarsi quotidianamente bottiglie di liquore per cercare di annebbiarsi la mente dai ricordi delle atrocità della guerra e per cercare un angolo in cui sognare. In quella terra, era diventato difficile anche fare questo. Carlos si trovava ancora nella sua casa di Sarajevo. Si era fermato un po’ più del previsto ma si era ulteriormente trattenuto perché voleva vedere e sentire da “vicino” il clamore suscitato e tutto quello che poteva roteare intorno ad esso. Soprattutto era curioso di ascoltare le parole e i commenti della gente comune. La maggior parte di essa, ovviamente, era inorridita di fronte a questo efferato delitto, gridando al rintracciamento e conseguente punizione esemplare del colpevole; la minoranza, seppur in maniera più guardinga, si dichiarava favorevole alla sparizione di Fabjan e oltretutto in quella maniera tanto originale quanto brutale. Stando ancor più vicino al popolo, Carlos aveva saputo che chiaramente questa categoria di persone era ben al corrente di quanto aveva fatto ai danni del povero Andrej e della sua famiglia. Fabjan aveva avuto quello che si meritava! Carlos era perfettamente cosciente del fatto che questo suo recente atto di giustizia, ora avrebbe attirato su di lui l’attenzione di qualche esperto di crimini violenti dell’Interpol. Non era turbato da questa eventualità che ben presto si
sarebbe mutata in concretezza. Era stato tutto previsto. Carlos non aveva mai trascurato nulla e soprattutto in questa circostanza. Aveva usato una tecnica completamente differente dal suo DIM MAK e proprio per questo era pienamente consapevole di tutte le conseguenze. Era trascorso quasi un mese dall’omicidio di Fabjan e Carlos si stava accingendo a partire alla volta di Madrid. Aveva bisogno di sole e di caldo; si era stancato di tutto quel freddo e di continuare a respirare aria contaminata dalle porcherie che Fabjan aveva commesso. La mattinata stessa in cui Carlos stava uscendo di casa, Liliane l’aveva chiamato per telefono, avvisandolo che era ato in Agenzia Andrej per pagare quanto dovuto per la protezione avuta, in quanto con la strana morte del grande nemico oramai non aveva più bisogno di aiuto ulteriore, non mancando di lasciare un biglietto indirizzato a Carlos, con la scritta tutta in maiuscolo: “HVALA” (grazie in bosniaco, ndr). Lo aveva scritto riferendosi all’attività dell’Agenzia o per altro? Era un interrogativo che doveva rimanere tale. Salito a bordo dell’ aereo per Madrid, poteva ancora sentire a tratti qualche commento riguardo a quanto era accaduto a Sarajevo. Aveva proprio scatenato un vero putiferio. A questo punto, era ancora più curioso di sapere da chi sarebbero state condotte le indagini e iniziare così una sorta di sfida che non avrebbe fatto altro che metterlo a confronto con altri professionisti e mantenere al contempo viva quella adrenalina che tanto amava. Era ato dal silenzio al clamore più totale. Nonostante tutto, non escludeva l’utilizzo delle sue tecniche di DIM MAK per i futuri delitti. Non aveva capi sopra la testa che gli avrebbero ordinato che fare e come farlo... Era il padrone di lui stesso e, a seconda delle circostanze, si sarebbe regolato di conseguenza. Durante le ore di volo, Carlos pensava a come aveva iniziato la sua attività di giustiziere. Chissà se non avesse compiuto 5 anni addietro l’eliminazione dei famosi quattro, probabilmente non sarebbe arrivato a questo punto... O forse lo avrebbe fatto comunque... Gli interrogativi potevano essere tantissimi ma alla fine, il dato di fatto era che sia con la complicità del destino che con quella della sua precisa volontà, era diventato quello che era. E questo gli piaceva. Dove la legge doveva fermarsi, continuava Carlos. Arrivato a Madrid verso le 17.00, Carlos aveva la sensazione di rigenerarsi... Tutta quella gente per la strada, parlando tra loro, gesticolando, bevendo, stuzzicando un po’ di tutto all’esterno degli innumerevoli locali... Ma anche all’interno non erano da meno... Era una città che non moriva mai. Ogni giorno
nuovo, diventava più forte e interessante, assimilando il fascino di una città da scoprire continuamente. A Madrid vi erano numerosi quartieri (barrios in spagnolo, ndr.): Gran Via, Opera, Atocha, Chueca, Lavapies, La Latina, AZCA Nuevos Ministerios, Malasana, Retiro e Las Huertas. Tutti degni di nota e uno più attraente dell’altro. Carlos aveva deciso di prendere un appartamento a Las Huertas che era una delle zone più antiche del centro storico di Madrid e si estendeva per una larga area pedonale in corrispondenza di Plaza Santa Ana, Paseo del Prado e Calle de Huertas. Era conosciuto anche come Barrio de las letras, cioè quartiere delle lettere, perché in questo quartiere avevano vissuto e lavorato letterati come Cervantes, Lope de Vega e Quevedo. Una targa in Calle Atocha, opera dello scultore Juan de la Cuesta, ricordava il grande scrittore Cervantes. La vocazione artistica dei secoli sedicesimo e diciassettesimo sopravvive tuttora: questo quartiere ricco di cultura ospita l’Università, il Circolo delle Belle Arti, il Teatro Español e il Teatro de la Comedia. Gran parte degli edifici del quartiere Huertas erano stati costruiti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ma vi sono ancora molte testimonianze architettoniche di edifici del cosiddetto “Siglo de Oro”, il Secolo d’Oro. Fra questi la Casa-Museo di Lope de Vega, dove aveva vissuto lo scrittore, il Convento di San Ildefonso, dove invece veniva sepolto Cervantes, e la chiesa di San Sebastiano. Per quanto riguardava invece l’Agenzia di Sicurezza, era stato deciso di metterla nel “barrio” Azca Nuevos Ministerios. Azca era un quartiere d’affari situato a Nord e poco distante dal centro di Madrid. AZCA era l’acronimo di Asociación Mixta de Compensación de la Manzana A de la Zona Comercial de la Avenida del Generalísimo e faceva parte di un progetto che risale al 1946. L’intento originario del progetto era affiancato alla realizzazione della linea metropolitana che avrebbe separato la circolazione viaria, sotterranea, da quella pedonale, in superficie. Oltre alla realizzazione degli edifici commerciali e finanziari erano previste anche sedi per istituzioni culturali, mai realizzate. Il progetto veniva avviato con molte modifiche, tra gli anni ‘60 e ‘70, procedendo sulla linea guida indicata dall’architetto Antonio Pepiña, ispiratosi al Rockfeller Centre di New York. Non a caso l’AZCA è conosciuto popolarmente come la Manhattan di Madrid per la presenza di molti grattacieli di stile statunitense. Il più alto di questi è la Torre Picasso, con i suoi 157 metri. Costruita nel 1989 era stata progettata dall’architetto Minoru Yamasaki, lo stesso autore delle Torri Gemelle di New York distrutte dagli attentati dell’11 settembre 2001. Il nome dell’Agenzia rimaneva ovviamente sempre lo stesso, ovvero “EAGLE” ed era praticamente strutturata come quella di Sarajevo e delle rimanenti di Barcellona, di Praga e Bucarest. Il numerico del personale operativo di Madrid
era di 10 unità, anch’esse provenienti da diversi Paesi... Due dalla Spagna, due dal Portogallo, tre dal Brasile, due dall’Italia e uno dalla Turchia. Il “parco macchine” era dotato di 5 BMW M135I 5 porte; 2 Audi S3 Sportback; 1 Ducato Panorama Plancia Elegant e infine due moto Kawasaki: una “Ninja 250R” e una “KX85”. Dotazione armi: 5 pistole “KEVIN”, 5 pistole “GLOCK 17”; 5 pistole “Beretta Px4 Compact” calibro 9; 1 fucile mitragliatore “Barrett M107A1”. Quest’ultima era il fiore all’occhiello di tutta l’Agenzia: si trattava di un fucile di quasi 15 Kg in grado di sparare proiettili fino a 2 km di distanza con una precisione di 3 minuti d’angolo. Non esistevano armature leggere in grado di resistergli. Arrivato finalmente a casa, Carlos si rilassava con il suo solito vino rosso e ascoltando musica orientale, non mancando di accendere un incenso “Hechizo Pagano”, per allontanare le cattive energie. Lui aveva bisogno di quelle positive, forti e convincenti. Ogni minimo di malessere e dubbio era stato bandito dalla personalità di Carlos. Lui aveva la necessità di essere un uomo a parte, che si potesse discostare dalle cose e luoghi comuni, proprio per essere in grado di fare tutto quello che stava ancora facendo. E, in previsione che da ora in avanti sarebbe stato “braccato” da qualche cocciuto investigatore in campo internazionale, più che mai sentiva il bisogno di diventare ancora più forte e fuggevole allo stesso tempo. Il minimo sbaglio lo avrebbe portato in fondo a un tunnel senza ritorno. E lui questo lo aveva già provato in ato, seppur parzialmente, che cosa questo avesse potuto significare e non aveva nessuna intenzione di rischiare di mettere anche un solo piede all’interno del cerchio maledetto del dolore e della insicurezza... Doveva continuare nelle sue “opere di pulizia”... “I crimini, come le virtù, sono le ricompense a sé stessi”. (George Farquhar). All’infuori delle innumerevoli attività con l’Agenzia di sicurezza e protezione e della seconda professione ufficiosa di giustiziere, Carlos cercava comunque di trascorrere le sue giornate nella maniera più “normale” possibile, frequentando le palestre ed alcuni amici con i quali are alcune serate in allegria a parlare di qualsiasi cosa, davanti a un buon bicchiere e piatti di ogni genere di cibo che avevano il compito di dilettare il palato ed assaporare il fatto che ogni tanto, anche questa vita poteva presentare alcuni lati buoni ed appetitosi. Sapeva quando era il momento di stare solo e quando poteva stare in mezzo alla gente,
comportandosi come un qualunque imprenditore di successo che si prendeva il suo momento libero come meglio poteva. Aveva varie avventure amorose, molte delle quali molto ionali ed avvincenti, perché lui aveva sempre la necessità di un qualcosa che lo fe sentire continuamente ed aperto a nuove esperienze. La routine e la banalità lo annientavano peggio delle armi da fuoco e/o da taglio. Era curioso pensare a questo: un uomo che pareva quasi praticamente invincibile di fronte ai più grandi pericoli ma allo stesso tempo facilmente domabile ed annullabile dalla prosaicità e dalle ovvietà. Non era mai stato sposato e in realtà non sentiva mai questo grande desiderio. Forse per non abbandonarsi all’abitudine o forse perché non voleva mischiare il suo compito di giustizia con il calore della famiglia... Gli sembrava un imeneo (connubio, ndr.) non adatto tra loro. I suoi continui spostamenti e tutto quello che roteava intorno ad essi avrebbero destato sempre più la curiosità di consorte e eventuali figli, scatenando le ovvie e dovute incomprensioni. Era impossibile dare le vere spiegazioni e neanche qualche bugia bianca per mascherare il tutto: in entrambi i casi non sarebbe stato creduto. Aveva deciso di intraprendere la strada del giustiziere assumendosi tutte le responsabilità e difficoltà del caso e, fino a quando questo lo faceva sentire bene, avrebbe continuato a farlo; senza spiegazioni e/o menzogne da dover dire a qualcuno. Ascoltando i numerosi messaggi nella segreteria telefonica, vi era un invito da parte di tale Marcelo Cerrano, uno degli istruttori della palestra “EL CENTRO DE LA ATENCION”, (il centro dell’attenzione, ndr.), che stava praticamente nel quartiere “Atocha”, dove insegnavano le tecniche del “Keysi Fighting Method”. L’invito era per uno stage che si sarebbe tenuto tra due giorni; guardando sull’agenda, aveva intravisto di non aver particolari impegni e probabilmente avrebbe accettato. La fine dello stage sarebbe stato suggellato, come la maggior parte delle volte da una bella bicchierata circondata da risate e pacche sulle spalle assolutamente leali e sincere. Era una cosa che lo faceva stare bene e decideva di estendere l’invito ai componenti operativi della sua Agenzia di Madrid che naturalmente non sarebbero stati impegnati in qualche attività di protezione. L’indomani, nel momento in cui sarebbe arrivato in ufficio, affidando il compito alla segretaria Vanessa, sarebbero stati contattati quelli liberi ed invitati all’allenamento. Carlos amava dividere il suo tempo professionale e non, ove possibile, con loro, perché era un modo di rafforzare l’affiatamento tra loro e per scambiare qualsiasi esperienza professionale che poteva servire a tutti. A Carlos compreso. Per quanto riguarda Il quartiere di Atocha, è delimitato dai distretti di Huertas e Lavapiés e comprende una vasta area dove si trovano la stazione ferroviaria principale di Madrid, il Museo Etnologico, l’Osservatorio
Astronomico, la Basilica di Nostra Signora di Atocha e il Museo Reina Sofia. Nel quartiere si possono trovare naturalmente ristoranti tipici e le sue vie ospitano diverse gallerie d’arte.Tutti gli uomini alle dipendenze delle agenzie di protezione e sicurezza di Carlos, erano stati addestrati in una sorta di scuola creata appositamente da lui con sede in una zona impervia dell’entroterra della Andalusia, in Spagna. Oltre a lui stesso, quando naturalmente le situazioni e le circostanze gli permettevano di esserci, i discenti ricevevano una istruzione importante ed altamente professionale da alcuni ex dipendenti delle forze speciali a cui Carlos apparteneva; alcuni di loro erano ancora in servizio. Costoro, venivano contattati da lui stesso e, se non vi erano categorici impedimenti, aderivano più che volentieri offrendosi a dare una mano nella formazione di questi uomini. Questi istruttori avevano la completa fiducia e stima nei confronti di Carlos e lui in loro. In caso contrario, non si sarebbe minimamente sognato di chiamarli. Andava sempre a colpo sicuro. Il corso durava circa due mesi e prevedeva sia lezioni teoriche che pratiche: armi e tiro, difesa personale con armi e a mani nude, tecniche di scorta, guida veloce, nozioni su bombe ed ordigni esplosivi, rudimenti di primo soccorso, psicologia di base e ovviamente molta attività fisica a corpo libero. Carlos aveva voluto introdurre qualcosa anche sulla psicologia, perché questa aiutava spesso a entrare nella mente del cliente da proteggere in anticipo e ciò era un grande vantaggio per tutti gli uomini della scorta, compreso naturalmente il protetto. Non da meno, il tutto dava loro la possibilità di poter anticipare eventualmente anche le mosse di probabili aggressori. Il maestro di Carlos amava dirgli spesso: “Conosci te stesso e conoscerai il tuo nemico”. Purtroppo non tutti riuscivano a superare il corso e non c’era la possibilità di chiudere un occhio... Non erano permessi favoritismi e premi di consolazione... Chi era in grado ava, chi cedeva lasciava il o ad altri. Proprio come l’essere umano conduce la sua esistenza. È la legge della sopravvivenza... È un po’ come vivere in una giungla ricoperta di asfalto invece di ricca vegetazione, ma l’uomo non possiede lo stesso codice dettato dalla natura come invece lo detiene l’animale... Esso uccide per sopravvivere, l’uomo lo fa o semplicemente per crudeltà gratuita o, come nel caso di Carlos, per tenere alto il senso della giustizia. Ad ogni modo, per accedere al corso, era richiesto categoricamente una
seppur minima esperienza nelle forze dell’ordine o nell’esercito, in modo che potessero già avere una minima idea di cosa potesse essere un’arma e tutte le loro funzioni. Partire da zero avrebbe richiesto un tempo più lungo e maggior disponibilità da parte di tutti. Carlos non amava sprecare tempo; voleva creare qualcosa di serio ed importante da una scultura già iniziata abilmente e non essere costretto a comprare il materiale per iniziarla. Tutte le attrezzature, mezzi e quanto altro era all’interno della scuola, era stata acquistata da Carlos attraverso fornitori sparsi in Europa e all’infuori di essa, mediante i suoi canali di informazione con cui era stato in collegamento durante la sua permanenza nelle forze speciali. Le conoscenze ed i contatti non gli mancavano, soprattutto in materia di armi e di difesa personale. Infatti, alcune armi erano state acquistate in Sudafrica avvalendosi della preziosa collaborazione di un suo grande amico proveniente dal Togo, in Africa, e grande esperto di arti marziali e tecniche militari di combattimento, avendo alle spalle una vastissima esperienza nelle forze speciali dell’esercito togolese con il grado di Sergente. Alto circa 1,86, corporatura robusta, di colore, testa rasata a zero, era dotato di un carisma molto forte, riuscendo ad attirarsi l’attenzione, la stima ed il rispetto da parte di molti, tra i quali lo stesso Carlos. Il sorriso lo accompagnava sempre e dovunque, donandogli una luce di serenità ed apparente calma che faceva trasparire dai suoi grandi occhi neri. Ma, quando capitava la situazione, reagiva in maniera rapida ed inaspettata, sprigionando velocità, precisione e potenza, lasciando l’avversario a terra, incapace di muoversi e di comprendere quello che gli era successo. Era semplicemente meraviglioso; un corpo maestoso in grado di muoversi come una libellula. Carlos aveva appreso molte cose da lui, sia dal punto di vista tecnico che da quello filosofico. Quando riuscivano a trovarsi e a stare un po’ insieme, Carlos rimaneva incantato sentendo i suoi racconti legati ai momenti nelle forze speciali togolesi e a quelli in cui era rimasto isolato in Africa per sei anni con un maestro giapponese che si era rifugiato in Togo per ripercussioni politiche in Giappone. Nadou, il nome dell’amico di colore, portava sul corpo molte cicatrici legate a queste esperienze... Nell’esercito era stato arrestato due volte, colpevole di insubordinazione, per non aver obbedito ad alcuni ordini che lo avrebbero condotto all’uccisione di persone innocenti... Tra le quali molte donne e bambini. La detenzione non era stata una eggiata come può accadere alla maggior parte dei reclusi italiani. Nadou portava ancora sul suo corpo numerose cicatrici che gli ricordavano ogni giorno quello che aveva dovuto subire. Per esempio, una tra le tante, Carlos si ricordava quando il suo grande amico nero era stato rinchiuso per tre giorni in una cabina in lamiera, stretta quanto bastava per
permettergli di stare solo in piedi, senza mangiare e bere ed obbligato a fare i propri bisogni fisiologici all’interno di essa. In aggiunta, veniva privato degli indumenti e ogni volta che si stava per addormentare, veniva bruscamente destato dalle lamiere incandescenti a causa del sole cocente. Al termine dei giorni stabiliti, se il detenuto riusciva a sopravvivere, veniva poi portato in una cella sudicia divisa con altri carcerati, continuando a subire maltrattamenti di ogni genere, fino a quando il suo Comandante lo riteneva opportuno. Ogni volta che Nadou si rifiutava di obbedire ad ordini spietati ritenendoli barbarie inutili che mai un vero militare avrebbe compiuto, subiva questo ed altro... Questo era Nadou. Un altro sistema punitivo consisteva nel buttarsi su uno scivolo, alla fine del quale vi era un palo acuminato; il malcapitato doveva essere abile nel posizionare i piedi in una certa maniera: se era bravo, poteva cavarsela con qualche tremenda botta o rottura. Se non lo era stato, il palo andava a conficcare l’uomo come uno spiedino. Quando Carlos pensava a lui, sentiva salire una certa commozione ed allo stesso tempo una serenità come Nadou era in grado di trasmettere. Poteva benissimo prendere le redini di Carlos se per cause varie non avrebbe più potuto continuare l’attività di giustiziere... Erano quasi due anni che non lo vedeva... Le ultime notizie lo davano in Guinea occupato ad addestrare le forze armate di quel Paese e tentare altri business non meglio precisati. Carlos si augurava di poter avere al più presto sue notizie. Gli sarebbe proprio piaciuto averlo in una delle sue agenzie e, chissà, magari anche per un’altra cosa molto speciale... Molto curiosi e profondi erano anche i racconti riguardanti l’esperienza con il Maestro giapponese. avano ore senza neanche accorgersene. Nadou era particolarmente orgoglioso di due cicatrici che aveva sul dorso di entrambi i piedi. Un giorno, il suo maestro gli chiedeva se sapesse ballare. Nadou, molto sorpreso, rispose di si. Improvvisamente il bagliore della lama della katana illuminava il cielo cercando i piedi di Nadou che per evitare i colpi del Maestro, iniziava a saltellare improvvisando una sorta di danza... A volte andava bene e altre un po’ meno. Quelle cicatrici gli ricordavano quanto un uomo debba essere abile ad evitare i colpi e tutta la devozione per quella persona tanto piccola di statura e dalla corporatura esile ma forte e combattivo come un drago. E la sua forza interiore lo era ancora di più. L’uomo dagli occhi a mandorla aveva forgiato un uomo nero grande e grosso, togliendogli la spavalderia di un giovane adolescente ribelle e donandogli una ricchezza interiore che non si può
descrivere ma che lo avrebbe aiutato in ogni situazione per il resto della sua vita. Queste fortune capitano raramente e a pochissime persone. Nadou e Carlos possedevano indubbiamente lo stesso tesoro. E questo veniva scambiato tra loro soprattutto quando si raccontavano le rispettive esperienze con i propri maestri... Nadou in Togo e Carlos in Tibet. Era semplicemente meraviglioso. Questi ricordi gli avevano piacevolmente fatto dimenticare per un momento il ticchettio del tempo e le lancette dell’orologio gli dicevano che poteva essere una buona ora per andare nelle braccia di Morfeo. Si sentiva piacevolmente stanco e non gli sarebbe dispiaciuto addormentarsi sognando vecchi amici per allietare l’anima e lo spirito. Questo gli dava molta energia... Era la sua benzina per andare avanti e entro brevissimo tempo, ne avrebbe avuto ancora più bisogno. La sfida era vicina. Il giorno successivo Carlos veniva svegliato dal gracchiare della sveglia; accanto ad essa era posto un libro semiaperto la cui storia era incentrata su un racconto orientale in cui si parlava di un drago furioso che arrivato ad un certo punto della sua esistenza, improvvisamente sentiva il bisogno impellente di ribellarsi a quella natura che gli aveva dato quella forma e quella aggressività, sputando fuoco e fiamme contro ogni cosa ed ogni persona. La natura gli dava presto ascolto; quando la comprendi e la rispetti, essa fa altrettanto... Sempre. Un giorno il drago scopriva di non poter più emettere alcuna fiamma dalla sua potente bocca e, soprattutto, si accorgeva che il suo cuore stava battendo come non mai. Stava ricevendo i primi segnali d’amore che l’avrebbero cambiato per tutto il resto della sua esistenza. Infatti, poco dopo conosceva una sua simile con la quale aveva una apionante storia d’amore... Cose completamente sconosciute ad entrambi fino ad ora... Ma un giorno, la cattiveria umana riusciva nuovamente a lasciare il proprio segno... Scovato il luogo dove i draghi si erano rifugiati per continuare la loro storia senza interferire con alcuno, gli uomini massacravano la femmina e ferendo gravemente il maschio. Da allora, la rabbia e la sete di giustizia facevano da padrona e il drago buono ritornò ad essere quello cattivo e spietato delle fiabe, uccidendo senza alcuna limitazione, perdendo ogni controllo. Ma, quando non riesci più a dominare la situazione, tutto va a rotoli. Infatti il libro si conclude tristemente... Il drago, trascurando alcuni segnali, finiva in un’imboscata, cadendo a morte. Questa storia ricordava a Carlos che anche in un solo attimo di distrazione, causata da molteplici motivi, una situazione poteva essere fatale. La storia della sua vita doveva concludersi diversamente. La sua fiaba doveva ultimare con un lieto fine. Dopo essersi vestito e poco prima di recarsi in ufficio, accendeva il televisore per ascoltare un po’ quanto stava accadendo per il mondo. Tra le tante
notizie che possono renderti la giornata veramente angosciante, ne spiccava una. Ciò che Carlos attendeva, aveva bussato alla sua porta... La cronaca parlava del delitto di Sarajevo... Il fatto era ancora fuoco vivo e, tra i numerosi dettagli dell’episodio, veniva spiegato che, data la estrema particolarità ed efferatezza dell’omicidio, le indagini venivano condotte dalla Sezione che si occupava di crimini violenti del Interpol, in collaborazione con reparti speciali italiani non meglio specificati. Carlos riteneva che avrebbero potuto essere i ROS dell’arma dei Carabinieri. ROS stava per Raggruppamento Operativo Speciale. La sfida stava iniziando. La sezione Analisi Criminale si stava muovendo. Il Servizio Analisi Criminale, a composizione Interforze, costituisce il polo istituzionale per il coordinamento informatico anticrimine e per l’analisi strategica interforze sui fenomeni criminali. Si pone quale indispensabile o per l’Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza e quale utile riferimento per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza e per le forze di Polizia. Il Servizio, suddiviso in tre Divisioni, articolate in Sezioni funzionali, opera in costante rapporto con le competenti strutture del Dipartimento della P.S., del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e del Comando Generale della Guardia di Finanza. I DIVISIONE: Analisi di livello strategico dei fenomeni criminali e della correlata azione di contrasto sul territorio nazionale e nei singoli contesti territoriali. Approfondimento di livello strategico di fenomeni criminali specifici con particolare riferimento ai contesti di criminalità organizzata nazionale ed internazionale. Studi ricerche e collaborazioni di settore con strutture pubbliche e organismi di studio. Partecipazione ad iniziative internazionali in materia di analisi criminale. Studi e ricerche sulle tecniche di analisi. II DIVISIONE: Progetti integrati interforze. Aggiornamento dei relativi archivi elettronici e correlazione con altri archivi elettronici di polizia criminale. Sviluppo di specifiche iniziative di approfondimento a carattere interforze, anche su base informatica. III DIVISIONE: Analisi dei dati statistici in materia di polizia criminale. Il Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, ha sede in Roma ed è posto alle dipendenze del Comando Unità Mobili e Specializzate Carabinieri “Palidoro” e si articola su una struttura centrale, composta da 6 Reparti, di cui 1 Indagini Tecniche, 1 Anti Eversione ed 1 Crimini Violenti, ed un’organizzazione periferica composta da 26 Sezioni A/C e 2 Nuclei A/C. Carlos, terminato di ascoltare le notizie, prendeva la metropolitana per andare in
ufficio. Ma i suoi pensieri non erano certamente incentrati sulle pratiche burocratiche che lo aspettavano sulla scrivania. La sua mente navigava come una nave in balia di una tempesta ma, al contrario di questa, lui riusciva comunque a mantenere il controllo. La sua nave non doveva scagliarsi contro le rocce, lasciando i resti come danzatori impazziti intrappolati tra la furia del mare. Ora più che mai, doveva continuare ad essere un condottiero. Era ben cosciente che le indagini erano state affidate ad organi competenti e che non avrebbero mollato facilmente l’osso. Ma avevano trovato pane per i loro denti. Ora gli era rimasta la curiosità di sapere il nome del referente dell’attività investigativa. Sicuramente tra breve tempo ne sarebbe venuto a conoscenza e non era da escludere che avrebbe potuto essere qualcuno di vecchia conoscenza. Un brivido gli saliva lungo la schiena... Ma non era dettato dalla paura o da un pentimento, bensì dalla consapevolezza di essere pronto. “La fiducia nel successo è la premessa per poterlo raggiungere”. (Anonimo). Vedendo un militare della Guardia Civil, a Carlos veniva in mente anche l’immagine di suo padre. Un uomo tutto di un pezzo, anche lui aveva fatto parte delle Forze Speciali e partecipato a numerose e rischiose missioni nazionali ed internazionali. Era stato lui ad inserirlo nella vita militare e nel mondo delle arti marziali, portandolo parecchie volte in Giappone, Cina, Vietnam e Tibet. Affacciarsi a questo mondo misterioso ed affascinante, era stato fatto in modo naturale e senza alcune costrizioni. Sapeva che se l’avesse fatto, avrebbe ottenuto l’effetto opposto. Quando viene imposta qualsiasi cosa, la maggior parte delle volte si arriva ad un esito barcollante e diverso da quello sperato. E questo il padre di Carlos lo sapeva perfettamente... Suo padre aveva tentato parecchie volte di imporgli cose che non lo interessavano minimamente, scatenando continue incomprensioni e discussioni. Ma alla fine, il padre di Carlos otteneva sempre quello che si era prefissato. Grazie a lui, Carlos aveva ben presto amato ed apprezzato l’arte e la filosofia orientale... Le diverse arti marziali... Molti maestri che a loro volta gli avevano trasmesso il sapere di ciò che noi siamo e tutto quello che lo potevano aiutare ad andare avanti senza timore di abbassare gli occhi, ma senza trascurare ciò che avviene alle proprie spalle.
Proprio durante tutta questa esplorazione, Carlos aveva la fortuna di conoscere il suo maestro in Tibet, con il quale si incontrava spesso, approfittando dei periodi di vacanza quando ancora frequentava la scuola e durante la licenza quando era già militare. Entrava nell’Esercito all’età di 18 anni e, grazie alle sue molteplici capacità, i suoi superiori lo notavano presto, riuscendo così ad entrare nelle Forze Speciali, frequentando molti corsi di specializzazione, ottenendo conseguentemente diverse qualifiche. Questo lo indirizzava naturalmente a condurre svariate missioni ad alto rischio e soprattutto in campo internazionale. Tutto questo gli ricordava nuovamente le sue vicissitudini avute sul lavoro e che lo avevano “obbligato” ad eliminare i famosi 4 che tanto lo avevano umiliato ingiustamente, facendogli aprire la strada da giustiziere. Certo era una “professione” che sicuramente né suo padre e né il suo maestro avrebbero approvato. Carlos si era concesso la licenza di uccidere la gente che riusciva a sottrarsi alla giustizia, senza chiedere il permesso ad alcuno e senza mettere marche da bollo su fogli formato A4. Nonostante fossero ati quasi 6 anni da quell’evento, Carlos sognava durante il sonno notturno parecchie volte episodi collegati al suo ex ambiente lavorativo e a quello che gli era successo. Non era facile cancellarlo dall’inconscio. E il silenzio della notte, a volte arrivava rompendo la quiete, aprendo le ferite come un coltello inserito nella carne. “Si può chiudere un occhio sulla realtà, ma non sui ricordi”. (Stanislaw Jerzy Lec). Era una bella giornata di sole a Madrid... Ma non era una novità. La città era praticamente sempre baciata dal suo tepore e contribuiva ad allontanare i brutti pensieri. Quando arrivavano, Carlos cercava di elaborarli in maniera differente guardandoli in una prospettiva completamente diversa in maniera tale da sfruttarne un vantaggio positivo. E così accadeva con i sogni. Non poteva certo permettere che certi ricordi potessero influenzare negativamente il suo percorso di vita. Questo gli era stato abilmente insegnato e questo doveva sfruttare. Questa meravigliosa giornata di sole, gli portava automaticamente in testa un episodio accadutogli anni addietro, dell’epoca in cui stava con il suo maestro in Tibet. Una soleggiata domenica mattina, il maestro svegliava Carlos, dicendogli
che avrebbero fatto una bella eggiata in bicicletta. Carlos, entusiasta all’ennesima potenza, si precipitava fuori, abbagliato dai raggi del sole e dalla allettante proposta. Giunto davanti al garage, a Carlos veniva un sospetto... All’interno, c’era solo una bicicletta! Il maestro, saliva su di essa abilmente nonostante la veneranda età e, iniziando a pedalare, lo esortava a seguirlo di corsa, sotto il sole cocente. Mai come quel giorno aveva fatto così caldo. Percorrevano circa 10 km... Il maestro pedalando e Carlos correndo. Quella domenica era stata per il maestro una splendida giornata di riposo; per Carlos un altro giorno di allenamento diverso dal solito. Se si vuole stare in uno step più elevato rispetto alla norma, non bisogna allentare il ritmo neanche nei momenti di apparente riposo. Il corpo e la mente devono stare in un certo qual modo sempre in sinergia e in continuo movimento. Anche negli attimi di relax. Questo è il prezzo da pagare per essere un qualcosa e qualcuno in più. Tutto ha un prezzo nella vita e difficilmente si hanno sconti. Con questo background, Carlos aveva appreso anche una buona padronanza della lingua orientale e della lingua spagnola, dato che la buonanima di suo padre si era sposato con una guatemalteca, con la quale intratteneva ancora contatti, seppur non frequenti semplicemente per i differenti stili di vita. La donna, dopo la morte del marito, ritornava in Guatemala, dove Veronica, il suo nome, conduceva una attività di esportazione di canna da zucchero, banane, caffè e cardamomo. Con una popolazione di 14.362 milioni di abitanti residenti (da aggiungere al milione e mezzo di emigrati negli Stati Uniti), il Guatemala detiene il 36% del totale dell’economia della regione. Dal punto di vista commerciale il Guatemala costituisce uno dei principali battenti di apertura a tutto il mercato nordamericano, essendo Stati Uniti e Messico tra i primi partners commerciali del Paese. Quando era ragazzo, Carlos, figlio unico, viveva con la famiglia a Roma. Sua madre naturale, Caterina, moriva quando aveva 17 anni, a causa di un arresto cardiaco. Dopo alcuni anni, il padre di Carlos, durante una sua permanenza presso l’Ambasciata italiana a Città di Guatemala dove si trovava per motivi di lavoro, conosceva per l’appunto Veronica. Rientrato in Italia, Franco, il padre di Carlos, continuava a mantenere i contatti con la donna, recandosi spesso nella capitale guatemalteca, riuscendo dopo alcuni anni a portarla in Italia e sposarla, vivendo anni felici. Carlos nutriva una buonissima considerazione su Veronica e
la stessa contraccambiava manifestando sempre un grande affetto per Carlos, trasmettendo un gran senso di protezione. Dopo la morte del marito, scomparso all’età di 66 anni a causa di un bruttissimo carcinoma al pancreas, la donna, come già detto, preferiva rientrare nel suo Paese. Le poche volte che Carlos aveva la possibilità di parlare con lei, gli procurava sempre una bella emozione e prima o poi, aveva deciso di andare finalmente a trovarla e parlare dei vecchi tempi felici. Carlos nel frattempo era arrivato in ufficio. La segretaria gli riferiva messaggi in arrivo, consegnando a lui anche la corrispondenza da guardare ed altre scartoffie. Ma quello che destava la maggior attenzione era ciò che stavano trasmettendo in televisione al notiziario, ovvero le indagini che stavano conducendo in merito al delitto di Sarajevo... La stessa segretaria, commentava stupita aggiungendo la grande sorpresa per il fatto che all’epoca Carlos si trovava proprio là, augurandosi che le Autorità si muovessero presto per risolvere il caso, assicurando il responsabile della vicenda alla Giustizia, cercando ovviamente una approvazione da parte di Carlos. Lui, dopo aver espresso la propria solidarietà per arrivare in tempi rapidi all’arresto del carnefice, andava nel proprio ufficio, ove continuava a seguire la cronaca mediante il suo televisore 52 pollici. In effetti, quanto detto dai giornalisti, si presentava subito interessante per la ricchezza di particolari. Le indagini venivano condotte da una donna facente parte dell’Interpol della sezione analisi criminale, in collaborazione con un ispettore del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri. Anche questa volta Carlos aveva perfettamente anticipato le loro mosse, azzeccando in piena le sue previsioni. La donna si chiamava Brigitte Ferligani, cittadina se di origini italiane da padre toscano. Anni 40, attraente, single, 1,70 circa, capelli corti, castano chiari, lunghi fino alla nuca abilmente tagliati con una frangia che scendendo sulla sua parte destra del volto, la rendeva ancora più sexy. Occhi piccoli ma penetranti, di colore marrone-verde, classico naso alla se con la punta lievemente alzata. Lievemente abbronzata con lampade solari, vestita elegante-sportiva e con una camminata sinuosa ed intrigante. Faceva parte della sezione analisi criminale da circa 6 anni, proveniente dalla Gendarmeria se a Parigi, ove si era particolarmente distinta per il suo efficace fiuto investigativo e particolarmente abile nelle attività informatiche, risolvendo numerosi episodi ritenuti di difficile soluzione. Per questo, dopo alcuni anni, le era stato proposto il nuovo incarico all’Interpol; dopo una dovuta selezione, era riuscita a farne parte, continuando a
collezionare successi dietro successi, facendosi conoscere sia dai superiori gerarchici che dalla opinione pubblica. Era sicuramente una donna che sapeva il fatto suo. Dietro quella maschera di attrazione fatale, si celava una mente calcolatrice, arrivista e macchiavellica. Si era offerta volontaria per seguire il delitto atroce di Sarajevo, perché, nonostante avesse seguito e risolto molteplici casi di efferata violenza, quello di Carlos li batteva tutti. E lei voleva battere il responsabile del delitto, collezionando l’ennesima attestazione di merito da appendere alla parete del suo elegante ufficio. Ma non si immaginava neanche lontanamente che cosa le aveva riservato il destino. O meglio, Carlos... Parte di queste notizie particolareggiate su Brigitte, erano state dette dai mass media ed altre ancora attraverso le informazioni accurate fatte da Carlos, con la sua solita pignoleria professionale. Come tutte le persone degne di interesse da parte sua, anche Brigitte adesso aveva il suo ricco dossier. E mano a mano che veniva a conoscenza di ulteriori particolari, le pagine aumentavano. La stessa documentazione era stata fatta a carico dell’ispettore della Sezione dei ROS dei Carabinieri. Aldo Ginepri, questo il nome dell’uomo, 45 anni, divorziato per ben due volte, era entrato a fare parte dei Carabinieri all’ età di 18 anni. Durante la sua carriera militare, aveva praticamente ricoperto tutti gli incarichi e servizi, costruendosi così una vasta esperienza professionale. Anche lui aveva partecipato ad alcune missioni estere... Iraq, Afghanistan, Kosovo, Pakistan. Paracadutista, aveva trascorso svariati anni nel reparto dei baschi amaranto prima di entrare per l’appunto nella Sezione dei ROS a Roma. Alto circa 1,85, corporatura atletica, testa rasata a zero, occhi scuri e una evidente cicatrice che partiva dalla tempia sinistra per terminare sullo zigomo che gli ricordava un incidente avvenuto anni addietro mentre si trovava in missione a Nassirya, in Iraq; era appena uscito dalla base con un convoglio composto da 5 mezzi, compreso il suo, per fare un servizio di scorta ad alcuni giornalisti italiani e inglesi. L’ispettore si trovava con mezzo busto fuori dal veicolo, uscendo da una botola posta sul tetto, armato con un M204 carico di granate anticarro per maggior protezione alla squadra, come era previsto fare. Improvvisamente, uscendo da una semicurva, venivano attaccati da un gruppo di ragazzi armati di pietre. Una di queste, andava a colpire in pieno viso l’ispettore Ginepri. A seguito di quell’episodio, Aldo trascorreva tre giorni in ospedale militare allestito all’interno della base e successivamente rimpatriato in Italia. Se l’era cavata con una mascella rotta, mangiando con una cannuccia per circa 40 giorni ed una cicatrice lunga 10 cm sul viso. La sua vita burrascosa, sia dal punto di vista professionale che personale, lo avevano portato per l’appunto a sposarsi due volte ed avendo due figli maschi. Uno dalla prima moglie e l’altro con la
seconda. Nel poco tempo libero che aveva, frequentava una palestra di pesi dove due volte a settimana praticava anche il karate. Brigitte viveva e lavorava a Bruxelles; Aldo a Roma. Indubbiamente avevano scelto le persone adatte a Carlos per seguire il delitto da lui commesso... Apparivano degni avversari e Carlos era certo che sarebbe stata una bella ed interessante sfida. D’altronde, era quello che cercava...Mano a mano che i giorni avano, le indagini andavano avanti e, ovviamente, i due investigatori si incontravano sempre più spesso, per scambiarsi le informazioni assunte e incrociare i dati emersi. Si vedevano sia a Bruxelles che a Roma. E in aggiunta, anche in tutti quei luoghi che loro ritenevano interessanti per il proseguimento delle indagini.Le investigazioni erano chiaramente partite andando a “spulciare” tra le frequentazioni e conoscenze di Fabjan per scoprire da subito se qualcuno tra esse avesse fondati motivi per commettere un tale crimine. Effettivamente aveva parecchi nemici visto il suo modo subdolo di vivere ma, comunque nessuna avrebbe avuto il coraggio di eliminarlo in quella maniera. Nell’ambito di queste verifiche, ben presto i due investigatori entravano chiaramente anche nella vita di Andrej. Muovendosi abilmente come Brigitte e Aldo sapevano fare, scoprivano il pesante conflitto che esisteva tra le due famiglie, intuendo che i figli di Andrej avevano subito delle violenze da parte di un componente estraneo alla stessa famiglia di Andrej, semplicemente scambiando poche parole con loro e studiando l’oscurità che i loro piccoli occhi emettevano. Quando un bambino è sempre spento come un mare d’inverno, significa che è successo qualcosa di veramente significativo. Tale sospetto veniva maggiormente ato da quanto riferiva il medico psichiatra, ignaro della verità poiché neanche a lui Andrej lo aveva riferito, confidandosi solo con Carlos, quel giorno del loro incontro in ufficio, dopo che tutti erano usciti. Al medico psichiatra era stato detto che sia la figlia che il piccolo, in momenti lontani e differenti, avevano avuto la sfortuna di vedere nei pressi della scuola un uomo intento a masturbarsi, sconvolgendo così fortemente la loro psiche. Il medico psichiatra aveva sempre nutrito forti sospetti su questa versione ascoltando i ragazzi ma, non emergendo null’altro al riguardo, si era fermato a delle semplici intuizioni e congetture. E, non era da escludere che, anche se fosse emersa la verità, il medico avrebbe continuato a girare il problema per non entrare in questioni che si sarebbero rivelate troppo gravi e grandi per lui, considerando soprattutto quanto fosse importante ed influente la famiglia del fu Fabjan. D’altronde, quella era rimasta gente che non aveva interesse a entrare nel merito delle faccende altrui e la guerra aveva insegnato a tutti loro che, anche se lo avessero fatto, avrebbero risolto la questione in maniera completamente differente, senza interpellare le
Autorità. Andrej veniva più volte interrogato senza mai comunque riuscire a dimostrare un suo eventuale coinvolgimento, sia come principale autore che come mandante di qualche killer. Soprattutto quando gli investigatori constatavano che, al momento del delitto, Andrej si trovava fuori città, esattamente a Mostar, per affari. Questo veniva confermato da molte persone che si trovavano con lui... Tutto verbalizzato, nero su bianco. E né erano stati in grado di dimostrare un suo intrigo come mandante per commettere l’omicidio di Fabjan. Avevano moltissimi tasselli ma mancava l’incastro perfetto per arrivare ad una soluzione concreta e definitiva. Per loro Andrej rimaneva il principale indiziato ma, senza una prova concreta, Brigitte e Aldo continuavano nella ricerca di elementi come un branco di lupi affamati. Al contrario di loro, Carlos aveva messo i tasselli del puzzle perfettamente insieme prima di commettere la sua “opera d’arte”... aveva previsto ogni cosa. Quel giorno dell’omicidio, era stato deciso, oltre che per ricordare il famoso e tragico atto di sangue di Al Capone, appositamente perché quello era l’unico giorno della settimana che Andrej era solito andare a Mostar (città di circa 120.000 abitanti della Bosnia ed Erzegovina, il centro del cantone dell’Erzegovina-Narenta della federazione bosniaco-croata), per affari, come del resto stava facendo da circa 5 anni. Nessuno avrebbe mai potuto incolparlo della morte del suo più grande rivale e nemico. Carlos sapeva perfettamente che le indagini avrebbero presto portato a Andrej, perché non era difficile in realtà venire a sapere l’eterno e significativo contrasto esistente tra i due. E non a caso Carlos aveva lasciato divorare Fabjan da quel genere di coleotteri, conosciuti per mangiare carne umana “post mortem”; infatti, grazie a loro, il medico legale era in grado di risalire all’ora esatta della morte. Appurato questa e combaciando il giorno dell’esecuzione con la data in cui Andrej si trovava a Mostar, lo escludeva automaticamente da ogni ombra di sospetto come esecutore materiale del delitto. Era stata anche prevista una visita dei detective all’Agenzia di sicurezza e protezione di Sarajevo. Indagando nella vita dell’amico Andrej, Brigitte e Aldo avevano saputo che per un certo periodo si era avvalso della collaborazione degli uomini di Carlos; per questo, non tardavano a farsi vivi presso gli uffici per fare innumerevoli domande sia alla segretaria che a tutto il personale operativo, lasciando per ultimo lo stesso Carlos, sperando di ricavare qualche elemento più produttivo rispetto a quanto avevano riferito i suoi collaboratori.
Una mattina, verso le ore 8.00, proprio mentre Carlos si stava preparando per la solita tecnica di Qi Gong, riceveva una telefonata da parte di Vanessa, che lo avvertiva che gli investigatori volevano ascoltarlo per le 9.00 negli uffici del Commissariato di Polizia che si trovava nei pressi della bellissima P.zza di Spagna, per fatti collegati alla morte di Fabjan. Accoglieva la notizia con una falsa sorpresa e timore ma in realtà aspettava questo momento... Era giunta anche l’occasione di conoscere personalmente i due cani da fiuto che si erano messi sulle sue tracce senza saperlo. Era quello che voleva. L’unica cosa che non aveva previsto e voluto, era che aveva dovuto interrompere le sue preziose tecniche di Qi Gong... E questo gli dava più fastidio e molestia. Ma non si poteva certo pretendere che tutto andasse a mille... In tutti i momenti prima di uscire di casa, aveva proiettato nella sua mente la scena che si sarebbe presentata tra breve presso la Polizia. L’arrivo, la presentazione, le finte scuse per il disturbo, gli occhi di Brigitte e Aldo che già cercavano in quelli di Carlos una verità nascosta, le domande alternate tra i due sempre più particolareggiate, i tentativi di ottenere qualche contraddizione per arrivare a sciogliere il nodo cruciale del caso, e via dicendo. Il tutto contornato da maschere di cordialità, perché con la faccia da ispettore Callaghan non si otteneva niente... Le scene di interrogatorio con la luce della lampada sugli occhi del sospettato era una cosa che non si usava più da tempo ma solo nei film di azione. Soprattutto da gente qualificata come lo erano Brigitte e Aldo che non si sarebbero mai abbassati a scenari simili. Prendendo la metropolitana in direzione di P.zza di Spagna, gli venivano in mente un paio delle innumerevoli e famosissime frasi dettate da Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes... “Il modo migliore per recitare una parte è quello di viverla”. (da -L’avventura del detective morente-, ne L’ultimo saluto); “Quella dell’investigazione è, o dovrebbe essere, una scienza esatta e andrebbe quindi trattata in maniera fredda e distaccata”. (da -Il segno dei quattro-). D’altronde, Carlos aveva frequentato numerosissimi corsi sulle innumerevoli tecniche di interrogatorio durante la sua permanenza nei corpi speciali e aveva avuto modo durante tutta la sua carriera, sia di condurre interrogatori che di subirne. E molte volte di queste, quando era lui stesso a trovarsi costretto a parlare, era stato messo in condizioni tali che tutto quello che gli era stato
insegnato sui diritti del prigioniero di guerra basandosi sulla Convenzione di Ginevra, diventava pura utopia. Ai vietnamiti incazzati per esempio, non interessava proprio nulla di tutto questo. Era come pretendere di insegnare a un elefante di sedersi a mangiare a tavola con tanto di forchetta e coltello. Varie cicatrici sul suo corpo glielo ricordavano continuamente. Molte volte, lo stesso maestro tibetano di Carlos, parlando dei vari modi di torture nel mondo, gli ricordava che i peggiori erano i coreani e i vietnamiti. Carlos era caduto solo una volta loro prigioniero (dei vietnamiti...) e aveva dovuto sopportare grandi dolori prima che i suoi stessi compagni venissero a liberarlo prima che morisse sotto le più atroci sofferenze. Dopo essere stato selvaggiamente picchiato con calci e pugni, lo avevano appeso per i piedi e ogni tanto lo calavano verso l’acqua putrefatta immergendogli la testa, dove le numerose sanguisughe si divertivano. Fortunatamente, un attimo prima che i vietnamiti potessero infilargli schegge di bambù sotto le unghie, arrivavano per l’appunto i suoi uomini che sputando fuoco violento con armi pesanti, facevano una autentica strage, salvandolo da sicura morte violenta. Carlos fino a quel momento, era riuscito straordinariamente a non parlare ma era sul punto di farlo con la nuova tortura adottata. Le uniche cose che parlavano erano rimaste tutte le sue ferite. Al giorno d’oggi, le sue cicatrici. Ma un Fabjan, non avrebbe più parlato di nulla e tantomeno fatto del male violentando giovani adolescenti. Le domande fatte da Brigitte e Aldo non lo avrebbe quindi certamente spaventato o messo in imbarazzo. Anzi, era una cosa che lo stava facendo sempre più divertire e, non di minore importanza, tra breve avrebbe conosciuto personalmente l’affascinante investigatrice... Non si presentava poi tanto malvagia l’idea di farla innamorare proprio dell’uomo a cui stavano dando la caccia! Si... decisamente si stava proprio divertendo e di questo li doveva proprio ringraziare. Arrivato davanti all’ingresso del Commissariato di Polizia, suonava il camlo. Gli apriva la porta un agente che, con fare molto cordiale, lo salutava invitandolo ad entrare. Negli uffici si sentiva il suono delle dita che scorrevano sulle tastiere dei computer, alternato da quello delle stampanti e delle fotocopiatrici che vomitavano carta stampata. Ogni tanto dal fondo del corridoio si udiva qualche imprecazione interrotta da qualche commento divertente e da qualche risata. All’esterno, un paio di autovetture di servizio uscivano con sirene e lampeggianti in funzione. Chissà quale crimine era stato commesso e chissà se avrebbero preso il responsabile. E chissà come avrebbero tutti reagito là dentro, sapendo che avevano praticamente nelle mani il principale responsabile ed
esecutore del delitto di Sarajevo! E nessuno lo stava minimamente immaginando! Anche questo era pura adrenalina per Carlos! Lo facevano accomodare in sala d’aspetto, in attesa di essere chiamato dai due. Sulle pareti, le solite locandine pubblicitarie per arruolarsi con la promessa di un grande avvenire e con ampie scelte di carriera; ma non mancavano neanche le pubblicità di bar e ristoranti dove poter deliziare il palato senza spendere cifre astronomiche. Ma, trovandosi in quella particolare circostanza, a Carlos veniva in mente un interessante articolo sul Law Enforcement Bullettin dell’FBI, fatto da James R. Ryals, Capitano del Dipartimento di Polizia di Long Beach, in California, nel 1991, dedicato proprio alla tecnica dell’interrogatorio e al perché, nella maggior parte dei casi, un sospettato arrivava a confessare. E’ fondamentale, per la buona riuscita dell’interrogatorio, che il tutto sia condotto nel miglior modo possibile, seguendo alcuni punti saldi. Nessun interrogatorio, sostiene Ryals, dovrebbe essere affrontato in maniera superficiale, si dovrebbe seguire una traccia ed attenersi ad essa il più possibile, soprattutto perché un interrogatorio condotto in modo sbagliato può avere conseguenze negative per tutte le persone coinvolte e non solo. E’ importante, quindi, stabilire un piano di azione. Chi conduce il colloquio dovrebbe formulare delle domande che permettano di ottenere l’informazione richiesta. Altro requisito che potrebbe portare risultati positivi è la presenza del minor numero di persone possibile nel corso dell’interrogatorio: l’interpellato dovrebbe sentirsi a suo agio, così facendo potrebbe proprio essere lui a condurre l’interrogatorio, che potrebbe quindi trasformarsi in un racconto con tanto di confessione. L’inquirente, sostiene Ryals, non dovrebbe parlare troppo e limitarsi a condurre il colloquio senza dominarlo. Le domande, va da sé, devono essere semplici e chiare, niente parole difficili o ragionamenti troppo complessi. E’ consigliabile evitare, se non strettamente necessario, domande che richiedano una risposta breve come “sì” o “no”, il cui effetto è quello di bloccare la conversazione. Se si pongono domande a risposta aperta, l’interrogato sarà portato a raccontare e ad aggiungere dettagli che potrebbero essere utilizzati per le domande successive. L’intervistatore, può sembrare banale ma va sottolineato, deve essere un buon ascoltatore: quando l’intervistato risponde ad una domanda, non bisogna pensare alle domande successive o iniziare ad analizzare una risposta prima che la persona abbia finito di parlare. Uno degli errori più commessi in sede di interrogatorio è quello di contestare le risposte date dal sospettato: il momento di considerare i problemi è dopo il colloquio. L’importante è far parlare l’interrogato. Per concludere, è responsabilità dell’inquirente segnalare la fine
del colloquio. Questo si può fare semplicemente chiudendo il blocco degli appunti, alzandosi oppure annunciando che il colloquio è finito. Ma perché il sospettato confessa? E’ interessante leggere a questo punto il ragionamento dello stesso Ryals: “L’autocondanna e l’autodistruzione non sono caratteristiche normali del comportamento umano. Gli esseri umani di solito non rilasciano confessioni spontanee, non sollecitate. È conclusione logica, quindi, che quando i sospettati sono portati ai posti di polizia perché siano rivolte loro delle domande riguardanti il loro coinvolgimento in un particolare crimine, la loro reazione immediata sia un rifiuto di rispondere a qualsiasi domanda. Col bombardamento dei programmi televisivi che danno una chiara rappresentazione del “Miranda warning” (la lettura dei diritti: “hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te” ecc., ndt) e della sua applicazione ai sospettati, si potrebbe pensare che nessuna persona interrogata riguardo a un crimine concederebbe informazioni incriminanti, e tanto meno rilascerebbe agli investigatori una piena confessione firmata. Potrebbe anche sembrare che una volta che i sospettati capiscano la direzione verso cui gli investigatori stanno portando la conversazione, questa finirebbe immediatamente. Invece, per varie motivazioni psicologiche, i sospettati continuano a parlare con gli investigatori”. I sospettati, afferma il capitano, non sono mai del tutto sicuri di quali informazioni gli inquirenti siano effettivamente in possesso. Molto spesso sanno che le autorità stanno investigando sul crimine ed è del tutto probabile che abbiano seguito gli sviluppi sui mezzi di comunicazione per determinare quali indizi abbiano gli investigatori. Quando si trovano a dover affrontare un interrogatorio, la loro mente è concentrata su due mete principali: come evitare l’arresto e come ottenere informazioni sull’indagine e sulla sua direzione. Parliamo, ovviamente, di sospettati colpevoli: questa paranoia di cui parla Ryals spinge i sospettati ad accettare di buon grado l’interrogatorio, a volte addirittura li porta a presentarsi nei commissariati nelle vesti di “cittadini preoccupati” che hanno informazioni pertinenti al caso. Spesso, chi procede seguendo quest’ultima strada, lo fa con lo scopo di fornire false informazioni che, secondo loro, dovrebbero portare gli investigatori fuori strada. Dove condurre un interrogatorio? Uno dei requisiti fondamentali è che il sospettato venga portato in un posto sicuro, che abbia però un’atmosfera
conciliante verso la cooperazione e la sincerità. Lontano da familiari e conoscenti e, come detto, in presenza del minor numero di persone possibile. Questo perché la privacy è il principale fattore che spinge il sospettato a desiderare la liberazione dal fardello della colpa. “Le stanze degli interrogatori che sono grigie e squallide aumentano la paura dei sospettati, mentre un luogo che abbia caratteristiche aperte del genere “non hai niente da temere” può fare molto per rompere l’atteggiamento difensivo dell’interrogato, in quanto elimina una grossa barriera. Gli inquirenti tendono a disarmare psicologicamente i sospettati se li mettono in un luogo privo di distrazioni che inducono paura”. La violenza non serve, gli insulti nemmeno: gli inquirenti dovrebbero trattare i sospettati in modo civile, indipendentemente da quanto efferato o grave il crimine in questione sia stato. Anche se provano disgusto per i sospettati, l’obiettivo è quello di ottenere una confessione, ed è importante che non trapelino le emozioni personali. Il sospettato dovrebbe venir convinto a guardare oltre il distintivo dell’inquirente e a vedere, invece, un agente che ascolta senza giudicare. Se l’inquirente è capace di convincere il sospettato che l’argomento chiave non è il crimine in sé, ma le motivazioni che hanno spinto a commetterlo, è molto probabile che il sospettato inizi a ragionare e a spiegare i suoi fattori di motivazione. Il punto di svolta è dietro l’angolo e si registra quando il sospettato fa una prima ammissione. Questo è il segnale... il suo meccanismo di difesa è calato ed è a questo punto che è necessario fare pressione per ottenere così una confessione in piena regola, ricca di dettagli. Per arrivare a questo punto di svolta, però, è importante conoscere il ato del sospettato, come il suo rapporto con la famiglia e con gli affetti in generale. Su questo punto, infatti, può emergere il senso di colpa del sospettato, la sua vergogna, l’imbarazzo che lo spinge a confessare e togliersi un peso. Studi hanno rivelato che, come afferma Ryals: “In molti casi i sospettati hanno amplificato, nella propria mente, la gravità del crimine e le possibili ripercussioni. Gli inquirenti dovrebbero calmare l’ansia del sospettato facendogli vedere queste paure nella giusta prospettiva. I sospettati inoltre fanno delle ammissioni o confessano quando pensano che la cooperazione sia la migliore linea di azione. Se si convincono che gli agenti sono disponibili ad ascoltare tutte le circostanze riguardanti il crimine, cominceranno a parlare”. Tutto questo era decisamente degno di ogni osservazione ed interesse ma, all’infuori di questi consigli ed insegnamenti, nessuno, compreso il buon Capitano Ryals, aveva considerato l’esistenza di Carlos; il testo aveva destato
una grande curiosità per lui, come ogni cosa che lo aiutava a crescere apprendendo continuamente cose ed esperienze nuove. Tuttavia, Carlos si discostava completamente dalla gente comune perché in possesso di molte marce in più per l’enorme bagaglio professionale e di vita che portava egregiamente dentro di lui, riuscendo così ad elevarsi rispetto alla massa e anche nei confronti di menti criminali esistenti. Ma lui non era un criminale: giustiziava i criminali che riuscivano ad eludere la giustizia in svariati modi e lui era diventato quello che era grazie a loro. Lo avevano provocato e ora era inarrestabile. Solo la morte poteva farlo ma anche la grande signora con la falce doveva aspettare ancora parecchio tempo. Doveva rispettare prima altri appuntamenti e consegnare al diavolo uomini e donne che meritavano solo di bruciare in mezzo alle fiamme dell’inferno. Carlos non aveva alcun motivo di preoccuparsi dell’interrogatorio anche analizzando altri fattori, collegandosi anche a quanto dettato dal Capitano dell’FBI. Ovvero, innanzitutto lui veniva sentito semplicemente come persona informata sui fatti e non come indiziato di reato; in secondo luogo, i due investigatori non avevano preso in considerazione uno dei tanti parametri del Capitano Ryers, cioè il fatto della scelta della sede dell’atto di polizia giudiziaria. Se avessero pensato di mettere a proprio agio la persona da sentire, indipendentemente che si trattasse di indagato o testimone, la scelta sarebbe dovuta semmai ricadere sull’ufficio del soggetto. In questo caso la sede dell’agenzia di sicurezza di Carlos, in Madrid e non in quello di un Commissariato di Polizia. Terzo punto, un piccolo particolare che fa la differenza... Carlos veniva accolto da un agente completamente estraneo alla vicenda, facendolo aspettare in attesa di essere sentito, quando in realtà almeno uno dei due investigatori avrebbe dovuto aspettarlo e farlo subito accomodare in ufficio. Quarto punto, Carlos doveva aspettare circa dieci minuti prima di essere chiamato; un indice di scarsa professionalità oltre che a una certa maleducazione. L’attesa era dovuta sicuramente al fatto che i due non erano ancora in realtà pronti per fare le domande a Carlos e stavano frettolosamente definendo gli ultimi dettagli. Un grave errore commesso da due professionisti come Brigitte e Aldo. Si stavano preparando per sentire un uomo come Carlos che era abituato, come gli era stato insegnato dal suo maestro e dalle varie esperienze di vita, a studiare ogni minimo dettaglio nei suoi minimi particolari. Quei famosi dettagli che segnavano la differenza e che potevano notevolmente cambiare l’esito delle cose! Infine, Carlos veniva finalmente chiamato ma ancora dallo stesso agente che lo aveva accolto all’entrata, portandolo nell’ufficio dove lo attendevano i due inquirenti. Uno sbaglio dietro l’altro... Anche in questo
caso, o Aldo o Brigitte doveva andare in sala d’aspetto e, dopo le dovute presentazioni, accompagnarlo in ufficio. Infine, l’atteggiamento assunto da entrambi alla sua entrata. Inizialmente seduti, si alzavano quasi a fatica all’entrata di Carlos, dando la mano e presentandosi in maniera alquanto distaccata, creando già una sorta di barriera tra loro e Carlos, cercando quindi di marcare già la loro posizione ed il loro ruolo. Questo sicuramente rappresentava un inizio sbagliato. Il Capitano Ryers avrebbe tirato le orecchie a tutte e due. Senza trascurare la particolarità dello sguardo... Gli occhi di Brigitte e Aldo non avevano certo l’aspetto della cordialità e della tranquillità. Anzi, l’occhiata era già di per sè una domanda cercando di capire che cosa Carlos stava pensando. Sembrava strano che due detective del loro calibro potessero commettere sbagli simili... Carlos aveva invece in realtà capito che i due erano già nervosi ed inquieti per non aver risolto il caso in tempi brevi come tutti i loro precedenti delitti e questo li portava inconsciamente sulla strada della confusione e della perdita del controllo. Tutte queste loro trascuratezze gli davano continue conferme di tale analisi. E Carlos stava diventando ancora più forte. Brigitte e Aldo lo stavano già percependo... E Brigitte qualcosa in più... Non si immaginava neanche lontanamente di quanto la sua vita in breve tempo potesse essere sconvolta proprio dall’uomo su cui stavano indagando. Brigitte e Aldo avevano già praticamente verbalizzato le dichiarazioni di circa un centinaio di persone... Familiari, conoscenti, amici (pochi...), nemici e colleghi di lavoro della vittima; lo stesso dicasi per Andrej. Avevano dato anche un’occhiata su tutto quello che gravitava intorno alle Agenzie di sicurezza di Carlos, tentando quindi di scoprire qualcosa in più di Carlos stesso ma non arrivando in conclusione a nulla di concreto che potesse essere a loro utile per risolvere la già difficile situazione. Le domande rivolte a Carlos si incentravano soprattutto sulle motivazioni che avevano spinto Andrej a chiedere il o da parte del personale operativo alle sue dipendenze, cercando quindi la conferma che effettivamente Fabjan rappresentava un pericolo così grande per Andrej da richiedere questo ulteriore aiuto di protezione; e da qui, concludere magari che, l’odio tra i due era arrivato a livelli tali da spingere Andrej ad assoldare qualche killer. Non sarebbero mai arrivati ad una conclusione del genere... Carlos, come detto, aveva pianificato tutto alla perfezione e non avrebbe mai commesso quel delitto geniale sapendo di poter incolpare il povero Andrej. Erano in una botte di acciaio impenetrabile. Carlos si trovava seduto di fronte al computer dove Aldo scorreva le mani sulla tastiera come un pianista alle prime armi... Si vedeva e si capiva che era un uomo più abituato all’uso delle armi e ad altri lavori manuali piuttosto che stare con la testa su un monitor. Lei era principalmente in piedi,
alternando le domande a quelle di Aldo, a volte a fianco del collega e a volte muovendosi alle spalle dello stesso. Lo sguardo non riusciva a mantenersi in contatto costante con quello di Carlos... Brigitte cercava di nascondere il suo personale interesse verso quell’uomo sforzandosi in maniera non indifferente di imprimere al suo tono di voce un timbro alquanto professionale, tralasciando così un rapporto più lieve con l’interessato e andando così fuori pista dai dettami del Capitano Ryers. Carlos era sicuro che i due stavano pensando di non essersi mai imbattuti prima in una persona come lui che era in grado di trasmettere una sicurezza ed una calma tale da annebbiare ogni tentativo di assemblare le cose nel modo giusto. E questo si vedeva continuamente. Quando Brigitte a volte si metteva sulla sedia accanto a Carlos, i suoi sensi olfattivi impazzivano... Riconosceva chiaramente l’aroma di Chanel n. 5... Quel fondo di vetiver, limone e sandalo, non dava spazi a dubbi... Una donna così non avrebbe potuto usare un profumo diverso... Quando accavallava le gambe sottili e sinuose, seminascoste da un’elegante gonna tailleur grigia con uno spacco leggero su entrambi i lati inferiori, i sensi di Carlos si allertavano come un radar scatenando la sua fantasia, maggiormente esaltata dal resto dell’abbigliamento: scarpe tacco 12 di colore scuro, una camicetta bianca con una scollatura moderata facendo intravedere la divisione del seno taglia 3^, una giacca nera gessata e un rossetto rosso scarlatto su labbra carnose e semplicemente fantastiche. Le mani erano lunghe e sottili, arricchite da uno smalto sulle unghie dello stesso colore del rossetto ed alcuni anelli d’oro sugli anulari, medi ed i pollici di entrambe le mani. Qualcosa stava dicendo a Carlos che sicuramente anche Brigitte in quel momento stava pensando e immaginando qualcosa di straordinariamente ionale che avrebbe potuto scatenarsi tra loro due e, talvolta, in maniera alquanto sensuale e provocante, accavallava le gambe lasciando intravedere un lembo di coscia e mordicchiando nervosamente le stanghette degli occhiali da vista che metteva solo per leggere da vicino... Si... Carlos stava avvertendo una sensazione curiosa che meritava proprio tentare di svilupparla e viverla fino in fondo... Ad ogni costo! L’interrogatorio durava circa un paio di ore. Dopo aver regolarmente letto e firmato tutte le copie del verbale, i tre si salutavano. Mentre Carlos si stava accingendo ad uscire dall’ufficio, Brigitte lo richiamava dicendogli che se fosse venuto a sapere nel frattempo qualsiasi novità in merito alla faccenda, di farglielo sapere immediatamente, tramite il suo numero di telefono, scritto su un biglietto da visita che l’investigatrice consegnava nelle mani di Carlos che, ringraziando e mettendolo subito con cura nella tasca interna della giacca, si allontanava. Ma, ancora una volta, nel mentre stava proprio uscendo dal Commissariato di Polizia, veniva richiamato nuovamente da Brigitte che, scusandosi per intrattenerlo nuovamente e con un mezzo sorriso stampato su
quel viso provocante, chiedeva a Carlos se si ricordasse della curiosa morte di Beatriz, la politica di Barcellona... Carlos, facendo per un attimo finta di concentrarsi per ricordare, confermava di aver letto all’epoca lo strano episodio, al quale ancora nessuno si capacitava e che soprattutto non era in grado di dare alcuna spiegazione razionale al suo improvviso ed angosciante decesso. Anche Brigitte confermava la propria sorpresa ed incredulità di fronte al fatto specifico e, trasformando il suo sorriso in una composta risata, faceva presente ironicamente a Carlos che sia la morte di Beatriz che quella di Fabjan erano avvenuti in due città ove erano presenti le sue Agenzie di sicurezza... Dicendo questo, Brigitte, mantenendo un aspetto divertito, chiedeva a Carlos se anche lui non trovasse curiosa questa coincidenza, aggiungendo che molto probabilmente, se Fabjan si fosse rivolto al suo staff, il bosniaco sarebbe ancora in vita, avendo sentito parlare della grande fama di professionalità che accompagnavano i suoi uomini... Per la scomparsa di Beatriz, trattandosi di morte naturale, seppur inspiegabile, purtroppo il lavoro dell’Agenzia non avrebbe potuto opporsi alla forza ed al volere del destino che aveva deciso per la politica di Barcellona che quel giorno doveva arrivare il suo momento, così inspiegabile e con tratti che ricordavano qualche sequenza degli innumerevoli film ispirati ai racconti del celebre scrittore Stephen King... Augurandosi infine, che le Agenzie di sicurezza e protezione di Carlos non avessero bisogno a loro volta di una sorta di benedizione per cacciare eventuali sfortune. Carlos ascoltava divertito e confermando la strana coincidenza ma escludendo allo stesso tempo l’esigenza di quest’ultima possibilità suggerita da Brigitte, semplicemente perché in sostanza, in entrambi i casi, l’Agenzia non era stata minimamente interpellata per un servizio di protezione, escludendo quindi totalmente una seppur minima responsabilità della morte di Beatriz e di Fabjan, basandosi quindi su una semplicissima e curiosa coincidenza che avrebbe potuto capitare a chiunque. Brigitte gli dava ragione e, scusandosi ancora per il disturbo, prendevano commiato, con l’accordo di risentirsi presto.Avviandosi verso la metropolitana per dirigersi in ufficio, Carlos analizzava attentamente le ultime parole di Brigitte. Lo avevano divertito ma, allo stesso tempo, qualcosa gli stava suggerendo di porre ancora più attenzione a quello che stava facendo e soprattutto di non sottovalutare l’avversario, come gli era stato sempre insegnato. Da ora, commettere effettivamente un delitto o tramite le tecniche del DIM MAK o utilizzando strategie e metodi vari in una città ove era presente una sua agenzia di sicurezza, non faceva altro che alimentare ancor più la curiosità da abile investigatrice qual era Brigitte, con tutte le dovute conseguenze... Però, al contempo, il fatto che non ci sarebbero stati più efferati crimini nei luoghi dove era presente Carlos e i suoi uffici, avrebbe scatenato ugualmente una certa
attenzione della affascinante donna della sezione analisi criminale, in considerazione dei discorsi appena fatti a lui poco prima di uscire dal Commissariato di Polizia. Questo lo portava ad una attenta analisi della situazione promettendosi quindi di ponderare dettagliatamente ogni suo o successivo. Bisognava continuare innanzitutto a fare in modo di far escludere da ogni responsabilità il buon Andrej e, muoversi in maniera tale da confondere ancor più le acque destando a questo punto una maggiore attenzione da parte della donna su lui stesso, sia dal punto di vista investigativo ma senza alcun pericolo di essere smascherato, sia dal punto di vista di attrazione fisica. Poteva puntare benissimo su un eventuale sconvolgimento sensuale a una condizione tale che, anche ammesso e concesso che la donna in futuro avrebbe potuto sospettare un coinvolgimento da parte di Carlos, Brigitte non avrebbe avuto più quella necessaria concentrazione e volontà di perseguire il vero colpevole. Il sentimento avrebbe prevalso sulla mente razionale, l’avrebbe condotta perfino alla conclusione che se fosse stato in effetti Carlos a commettere i delitti, si sarebbe convinta che tutte quelle persone meritavano di morire perché considerate un cancro per tutta la società. Ovviamente tutti questi percorsi mentali dovevano trovare un bel campo di applicazione e bisognava lavorarci sodo. Ma questo non rappresentava un grande problema per lui. Probabilmente una certa difficoltà l’avrebbe riscontrata Aldo che, da buon investigatore maschio, si sarebbe accorto prima o poi che arrivati ad un certo punto delle indagini, di condurle praticamente da solo. Si sarebbe presto accorto che tutta quella sicurezza manifestata dalla sua collega, in realtà non sarebbe più esistita, compromettendo così il buon esito delle indagini. Non si dovrebbe mai mischiare i problemi sentimentali con il lavoro, soprattutto quando in casi come questi, la concentrazione era tutto. Questo poteva essere una buona mossa per destabilizzare il sistema investigativo... Spezzare un anello importante in una catena solida. Beatriz doveva essere spezzata e Aldo avrebbe avuto notevoli difficoltà a ricongiungerla. Mano a mano che Carlos andava avanti con questi ragionamenti, si stava autoconvincendo di poter realizzare il suo diabolico piano... Certo non senza difficoltà ma, del resto, cosa era stato facile fino ora nella vita? In questa vita terrena, nessuno regala niente a nessuno e per arrivare fino a qui, aveva dovuto lottare duramente, sia fisicamente che mentalmente, riuscendo in finale ad essere qualcuno occupando sicuramente un livello decisamente superiore a gran parte della massa. E questo, lo aveva saputo dimostrare in svariate occasioni e lo stava ancora facendo. Come uomo, Carlos aveva anche la piena consapevolezza che, combattere contro una mente femminile, era paragonabile a dieci corsi di sopravvivenza messi
insieme. Lo diceva sempre anche il suo grande amico Nadou: “Piuttosto che cercare di capire che cosa si nasconde dentro la mente di una donna, preferisco combattere a mani nude contro dieci uomini armati fino ai denti”. Poco prima di entrare in ufficio, pensando al pianeta donna, non poteva fare a mano di pensare ad un suo amico. Era stato sposato cinque anni, dopo altrettanti anni di convivenza. Dopo due anni che stava insieme alla moglie, aveva avuto una bambina e dopo quattro anni un’altra figlia. L’anno successivo arrivava una forte crisi matrimoniale che portava alla separazione per ultimare dopo tre anni con il divorzio. L’amico, rispetto alla moglie, si era staccato definitivamente dalla coppia ma mai dalle figlie, con le quali aveva cercato sempre di mantenere un rapporto e stando presente in tutte le loro attività ed esigenze, nonostante una abile manovra di alienazione genitoriale, infangando continuamente l’immagine del padre, facendolo sembrare come un padre assente e totalmente disinteressato alle figlie. Questa era un’altra triste realtà di gran parte delle donne separate con figli... Non c’è niente di più machiavellica della mente di una donna divorziata, ansiosa di vendicarsi contro l’ex marito, accantonando la vera necessità ed urgenza di continuare a dividere la responsabilità di educare i figli imponendo il rispetto per l’altro genitore, che si trova invece, per la maggior parte dei casi, completamente isolato ed impotente, sperando che in un futuro, quando le figlie raggiungeranno un’età in cui potranno pensare ed agire in maniera libera ed indipendente, potranno comprendere la realtà delle cose e distribuire il giusto peso delle responsabilità. Sapere che una donna, possedendo per istinto primordiale un amore indefinibile per un figlio, riesca a perdere di vista questo dono così prezioso e divino focalizzandosi sulla vendetta nei confronti dell’ex coniuge, era ancora una cosa che dava molto dolore a Carlos che difficilmente riusciva a sopire, avvertendo una sensazione di tristezza senza uguali che arrivava dritta al cuore attraverso l’anima. Gli dispiaceva veramente tanto per quell’amico che non si meritava nulla del genere e avrebbe fatto qualsiasi cosa per alleviargli quel patimento o addirittura toglierglielo per sempre, dandogli la giusta serenità che meritava. Decisamente c’erano troppe cose ingiuste e bisognava continuare a dare il proprio contributo affinché qualcosa e qualcuno venisse eliminato, migliorando, seppur per poco, la qualità di vita. Con Brigitte però sotto questo aspetto, Carlos partiva con più vantaggi, tra i quali, il fatto che la investigatrice non si era mai sposata e quindi mai divorziata. Ciò eliminava automaticamente una grande complicazione perché appunto non
conosceva ancora questa strada e priva quindi di quella cattiveria particolare che possedevano e caratterizzavano le sue simili. Era dotata di una grande furbizia ma era sicuro che Brigitte non la avrebbe usata con quella malignità tipica di una donna divorziata con prole, ansiosa di punire l’ex marito a tutti i costi ed in qualsiasi modo. Approfittando della pausa pranzo in compagnia della sua segretaria Vanessa e di due uomini del suo staff, tra un assaggio di alcune pietanze e una degustazione di qualche bicchiere di vino rosso, accennando anche al delitto di Sarajevo, a Carlos veniva in mente che in realtà, aveva lasciato una incombenza importante in quella città; c’era qualcuno che doveva arricchire il suo dossier di morte e, doveva iniziare a raccogliere le solite informazioni per arrivare, come al solito, al punto finale, lasciando la sua solita impronta di giustizia. La sua giustizia. Era solo questione di tempo... Qualcuno aveva già il proprio nome su una fredda lapide senza minimamente saperlo ed immaginarlo. Bisognava solo valutare se utilizzare la tecnica DIM MAK o altro di particolare; inoltre, memore delle ultime osservazioni di Brigitte, se commettere il delitto ancora in una città in cui si trovava una sua agenzia o altrove. Sicuramente la soluzione migliore gli sarebbe venuta in testa molto presto e, come accaduto in ato, sarebbe risultata perfetta e semplicemente geniale, sottraendosi dalle grinfie di quella giustizia in cui oramai non riponeva più molta fiducia. In realtà, Carlos non agiva completamente da solo. Lui era l’esecutore materiale dei delitti e in parte, l’autore delle informazioni che venivano raccolte a carico delle vittime. Non avendo tutto il tempo necessario per attivarsi anche in pieno in questa attività informativa, la gran parte di questo lavoro veniva fatto da un suo prezioso amico e collaboratore, rimasto da sempre nell’ombra ma sempre presente nel momento del bisogno. All’esigenza, si mantenevano in contatto ogni volta tramite semplici sms con schede ricaricabili che di volta in volta venivano distrutte. L’amico in ombra veniva chiamato “BLACK”; ovviamente solo Carlos ne conosceva la vera identità. Quando Carlos aveva il bisogno di sapere praticamente tutto sulla vita della presunta vittima, dovevano essere rispettati dei codici, attraverso i quali i due uomini sapevano perfettamente il vero significato e cosa bisognava compiere. Il primo contatto avveniva per l’appunto mediante qualche sms, avvisando il momento di attivarsi per assumere informazioni sulla persona da eliminare. La scheda a questo punto veniva gettata, in quanto il resto delle informazioni necessarie venivano fatte trovare presso una casella postale aperta sotto il nome di Alessandro Profeti, già titolare
di una ditta che si occupava di attività di catering con l’estero, ove erano presenti contingenti militari per missioni di pace. Profeti, dopo il fallimento della sua impresa commerciale, emigrava in Sudamerica, in luogo non ben precisato, con la chiara intenzione di fare perdere le proprie tracce per sempre, poiché se avesse rimesso piede in Italia, sarebbe stato arrestato dalla Guardia di Finanza per una sfilza di reati fiscali, per i quali doveva trascorrere ben dieci anni in carcere. E Profeti non aveva proprio alcuna intenzione di vedere il sole a strisce neanche per un giorno. Carlos lo aveva conosciuto durante una missione in Iraq, a Nassirya, dove il fuggiasco aveva aperto un bar/pizzeria all’interno della base. Subito Carlos aveva intuito qualcosa di losco dietro il personaggio ed infatti dopo qualche anno, era venuto a sapere che, dopo aver seminato per mezzo mondo casini fiscali, aveva dovuto dichiarare bancarotta, fuggendo per l’appunto all’estero, dileguandosi. Proprio perché era certo di una sua irreperibilità, Carlos aveva fatto in modo da far presentare da “BLACK”, un documento falsificato a nome di Alessandro Profeti, presso gli uffici delle poste, collocati comunque in città differenti da quelle in cui stavano le agenzie di sicurezza. Nella lontana ed assurda ipotesi che ci fosse stato qualsiasi problema e che le autorità investigative sarebbero risalite alle varie caselle postali, sarebbero rimaste in un vicolo cieco, dato che il titolare delle stesse risultava una persona già ricercata ed irreperibile. Non era stato neanche particolarmente difficile falsificare la carta di identità con la relativa fotografia: il documento veniva abilmente contraffatto tramite cittadini ungheresi nelle zone adiacenti la zona di Quarto Oggiaru di Milano; per quanto riguarda la foto, veniva messa una foto regolare dello stesso Profeti in modo altrettanto geniale: avendo per l’appunto conosciuto il soggetto in Iraq, non era mancata occasione di fare alcune foto ricordo con lo stesso. Ebbene, Carlos, estrapolando una di queste immagini e consegnandola sempre tramite il buon BLACK, ai loschi ungheresi, esperti tra l’altro in clonazioni tessere bancomat e carte di credito, era riuscito effettivamente ad apporre sul documento in questione l’immagine vera del commerciante italiano. Praticamente, quella foto era l’unica cosa vera. Ovviamente, tutti questi contatti diretti con la banda degli ungheresi, venivano fatti sempre da BLACK, il quale si presentava agli appuntamenti camuffato con tanto di parrucca e barba posticcia, per non rivelare le sue vere fattezze fisiche. Inoltre, proprio perché continuamente esposto a situazioni altamente rischiose, non mancava di portare sempre con sé una pistola GLOCK, inserita nella cinta dei pantaloni. In caso di necessità, non avrebbe esitato nell’usarla. In aggiunta, se per varie cause ed eventualità qualche indagine avrebbe condotto alla banda degli ungheresi e BLACK avrebbe potuto essere chiamato in causa, nessuno sarebbe stato in grado di fornire utili e concrete indicazioni per risalire alla sua identità. Tutto era stato
pianificato e le fondamenta erano troppo forti e sicure per fare crollare l’intero palazzo genialmente costruito. All’inizio della sua attività di giustiziere, Carlos contattava, come già detto all’inizio della storia, tramite pseudo annunci di lavoro, determinate persone per cercare di ottenere informazioni necessarie sulla persona designata eventualmente a morire, non esponendosi mai in prima persona e sfruttando alcune volte un uomo delle sue agenzie. Ma si era reso effettivamente conto che il sistema non garantiva quella grande sicurezza e riservatezza, costringendolo presto ad abbandonare questa modalità. Fortunatamente, il misterioso BLACK gli cadeva dal nulla come un bel regalo di Natale. Un giorno, di circa 6 anni addietro, mentre Carlos stava facendo footing all’interno di un parco presente nel cuore della città di Bucarest, in Romania, veniva avvicinato da un uomo in tuta ginnica ed in sella ad una mountain bike. Ma lo sconosciuto, faceva questo in un modo così rassicurante che in effetti Carlos non aveva scatenato il sua istinto di difesa... Il ciclista altro non era che BLACK... Conoscendo di che pasta fosse fatto Carlos, BLACK aveva messo in atto tutte le dovute precauzioni per lo meno per non rimetterci il setto nasale con un pugno ben assestato o con un calcio tirato a regola d’arte... Non ci metteva assolutamente nulla per riconoscere il grande amico ed ex compagno di lavoro... I due si abbracciavano in maniera molto fraterna e, dopo essersi scambiati i primi interrogativi sulle reciproche presenze in quella città dell’est, si salutavano per ritrovarsi la sera stessa a cena nella casa di Carlos, che si trovava proprio alla Piata Presei Libere, costruita nel 1956, tipica struttura dell’architettura staliniana e ora sede di numerosi giornali. L’agenzia di sicurezza si trovava invece in Piata Unirii che, trafficatissima, con le sue fontane era il centro nevralgico nella città e conduceva al palazzo del Popolo dove c’era anche un grandissimo centro commerciale. Quella cena si era rivelata proficua sotto tutti i profili. Soprattutto dal punto di vista dell’amicizia e in secondo luogo ma non di minore importanza, da quello professionale. L’inizio della serata era caratterizzata dai numerosi racconti legati ai vecchi tempi in cui avevano avuto l’occasione di conoscersi. Ce ne erano di cose da raccontare! In particolare modo quando si ricordavano le meravigliose esperienze militari accadute in giro per il mondo. Già, perché BLACK altro non era che un ex componente del suo team all’epoca in cui facevano parte delle forze speciali dell’esercito, ed esattamente nel 9° Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. Questo Reggimento, è il reparto di Forze speciali dell’Esercito Italiano. È inquadrato nella Brigata paracadutisti “Folgore” e tiene in custodia la bandiera del 10° Reggimento arditi, del quale ha ereditato l’anno di costituzione (1918) e le mostrine (fiamme nere), riadottate nel 2006. Dal 1995, nel quadro di ristrutturazione dell’Esercito Italiano, è ato da battaglione a reggimento.
La base centrale del Reggimento è a Livorno presso la caserma “Vannucci”. Esiste anche un centro di addestramento, denominato Base addestramento incursori (BAI) a Pisa, situato nel parco regionale di San Rossore (ex tenuta presidenziale) vicino alla foce del fiume Arno, che viene utilizzato per le attività anfibie e subacquee del reggimento. L’addestramento si svolge anche attraverso varie esercitazioni in diverse parti del mondo, dall’Antartide all’America, rendendo così questi combattenti scelti capaci di operare in qualsiasi scenario. Il 9° Col Moschin, facendo parte delle unità Forze speciali italiane, è sotto il comando del CO.F.S. (Comando interforze per le operazioni delle forze speciali). BLACK se ne era andato da questo glorioso Reparto un paio di anni prima che Carlos subisse l’ingiusto trattamento da parte dei suoi superiori e uscire a sua volta dalla squadra. BLACK era molto simile caratterialmente a Carlos e non a caso era il suo braccio destro e la maggior parte delle operazioni venivano intraprese dopo che loro due si trovavano d’accordo su tutti i punti fondamentali da analizzare e sviluppare. Purtroppo, Black, durante un’operazione di salvataggio di ostaggi in una zona impervia dell’Afghanistan, facendo irruzione in un casolare abbandonato e dove in effetti si trovavano i sequestratori talebani con alcuni giornalisti inglesi e si, unitamente ad un agente dei servizi segreti italiani, tutti tenuti prigionieri da circa un mese, si trovava coinvolto in un conflitto a fuoco, a seguito del quale venivano eliminati tutti i terroristi talebani e lo 007 italiano. I rimanenti ostaggi riuscivano a cavarsela con qualche graffio e tanto spavento. I primi accertamenti del caso stabilivano che lo 007 veniva ucciso da fuoco amico e in particolare dal fucile mitragliatore in possesso ed utilizzato da BLACK. L’amico ne soffriva molto di quanto era accaduto ma, allo stesso tempo, era fermamente convinto della sua estraneità al delitto in argomento. Carlos aveva sempre posto la sua fiducia nelle parole dell’amico, cercando di tranquillizzarlo aggiungendo che si sarebbe fatta luce molto presto sulla vicenda, dando la giusta responsabilità a chi in effetti aveva potuto causare il gesto sicuramente involontario. Seguivano periodi veramente durissimi dal punto di vista psicologico per BLACK. Oltre a sopportare la tensione dell’inchiesta, doveva sopportare le cattiverie inutili e gratuite da parte dei superiori che si stavano accanendo senza validi motivi e dimenticando in poco tempo la grande professionalità del militare, il cui back ground era costellato da successi, soddisfazioni, encomi, note di merito e rispetto da parte di tutti. Il destino stava preparando più o meno la stessa cosa per Carlos, costringendolo, come sappiamo, ad uscire definitivamente dal Corpo. I superiori ufficiali, sono specialisti nel dimenticare in un attimo, tutto quello che hai fatto con grande professionalità e senza mai sbagliare una virgola, facendoti sembrare
improvvisamente una sorta di appestato incapace e altamente pericoloso. E, la grande linea gerarchica, quando avverte la sensazione che tu possa causare un problema per la loro ascesa al potere, ti buttano da parte come uno straccio vecchio. Anche questo avevano avuto in comune i due amici... Dalle stelle alle stalle. La fine dell’inchiesta a carico di BLACK, durata circa tre mesi logoranti, si concludeva positivamente per l’amico, in quanto gli esperti stabilivano che in realtà il colpo che colpiva mortalmente lo 007, era partito dall’arma in uso al Comandante dell’altra squadra che stava partecipando all’operazione ed entrata nella stanza dell’edificio da un’altra angolazione. Nonostante la buona notizia, oramai BLACK era entrato in un meccanismo psichico tale da abbandonarsi totalmente nella completa sfiducia nelle istituzioni e perdendo ogni motivazione, lasciando spazio alla rabbia ed alla delusione. La goccia che faceva traboccare il vaso, veniva concretizzata in una sonora lezione che BLACK dava una notte, all’ufficiale superiore che aveva cercato in tutti i modi di addossare la colpa a lui. Ma la lezione, consistente in una bella cazzottata dalla quale l’ufficiale riportava il setto nasale rotto e un paio di costole fratturate, avveniva pubblicamente davanti a molti testimoni, tra i quali, alcuni colleghi dell’ufficiale pestato. Le conseguenze erano ovvie: deferito al Tribunale Militare e condannato, dopo breve tempo usciva definitivamente dall’esercito, facendo perdere le proprie tracce, fino al momento dell’incontro al parco in Romania. Durante la cena le ore avano velocissime e stupendamente nonostante venissero rinvangati episodi non molto piacevoli. Erano entrambi ossi duri e avevano preso quelle esperienze come un qualcosa di costruttivo per rilanciare alla grande le loro vite. E infatti, sia Carlos che BLACK erano ripartiti alla grande. I due amici ritrovati, avevano conservato una particolare avversione verso le ingiustizie impunite, rimanendo continuamente assetati di compiere opere di pulizia laddove il normale sistema giuridico aveva fallito clamorosamente, o per inettitudine o per mancanza di mezzi concreti per provare la colpevolezza del presunto reo. BLACK raccontava che quando si era allontanato dal Reggimento, era venuto in contatto casualmente con un dirigente dell’Eni, il quale, reso edotto da BLACK del suo ammirevole excursus militare, gli aveva proposto di fare servizi di protezione sulle numerose basi petrolifere sparse per tutto il mondo, essendo prese spessissimo di mira da pirati armati fino ai denti e disposti a tutto per arrivare ai loro scopi criminosi. Le cronache erano piene di notizie del genere. Le prime attività di perforazione in mare aperto ebbero luogo nel Golfo del Messico verso la fine degli anni ‘30 del secolo scorso. I primi impianti offshore di concezione moderna furono installati a partire dall’inizio degli anni
Cinquanta, ma è stato con l’inizio degli anni Settanta che si è assistito a un vero e proprio boom dell’industria offshore. Negli anni Ottanta si sono sviluppate le tecnologie per l’estrazione in acque moderatamente profonde, mentre negli anni Novanta l’attenzione si è spostata sui giacimenti di piccole dimensioni (però di scarso interesse economico) e sulla ricerca di idrocarburi nei mari profondi. Una piattaforma è dotata dei seguenti componenti: impianto di perforazione e manutenzione dei pozzi; impianti di estrazione degli idrocarburi; sistemi per la separazione dei gas dall’acqua e dal greggio; sistemi di sicurezza e di emergenza; sistemi per il trasporto degli idrocarburi fino alla costa; laboratori, alloggi del personale e sale comuni; torce e fiaccole per bruciare i gas in caso di emergenza o durante la messa in funzione dell’impianto. Questi diversi componenti possono trovarsi su un’unica piattaforma oppure su strutture indipendenti, collegate fra loro. L’impianto di perforazione solitamente costituisce un’unità a parte che può essere rimossa al termine delle operazioni e riutilizzata per lo sviluppo di un altro campo di estrazione. Essendo l’attività di perforazione ed estrazione in mare aperto molto delicata, gli impianti offshore sono dotati di sistemi di sicurezza all’avanguardia, necessari per ridurre l’impatto ambientale di questa attività. I sistemi di sicurezza presenti su una piattaforma petrolifera sono i seguenti: sistema di generazione di emergenza: entra in funzione in caso di malfunzionamento dei sistemi principali; sistema UPS (Ininterrutible Power Supply): sistema di sicurezza che entra in funzione in caso di non funzionamento dei sistemi di generazione di emergenza; sistemi di blocco dell’impianto: interviene a bloccare la produzione in caso di incidente; sistemi di rilevazione: si tratta di sensori posizionati su tutta la piattaforma in grado di rivelare la presenza di incendi, fumi o fughe di gas; sistemi di protezione antincendio: l’impianto è dotato di sistemi antincendio ad acqua, che viene pompata direttamente dal mare, a schiuma, ad anidride carbonica e a gas inerte, posizionati in tutta la piattaforma. Inoltre, l’impianto stesso è costruito con materiali resistenti alle alte temperature, per evitare il collasso della struttura in caso di incendio. In particolare la zona pozzi è isolata dalle altre aree della piattaforma con pareti antideflagranti; sistemi di sicurezza e di evacuazione del personale sono dislocati in posizione strategica su tutta la piattaforma; sistemi di allarme e telecomunicazione: permettono di segnalare una situazione di emergenza sia internamente sia all’esterno, per chiedere aiuto in caso di incidenti.
BLACK non ci doveva pensare tanto a quell’offerta... Significava stare su una di quelle piattaforme galleggianti sul mare in qualche località del mondo, armato, insieme a una squadra di 6 uomini, a difesa contro eventuali attacchi di pirati in cerca di soldi facili, sequestrando uomini con la richiesta di un ricco riscatto alla potente Società petrolifera ed al Governo italiano. Tutto questo, rimanendo 30 giorni ininterrotti sul mare ed altrettanti a casa, per una modica cifra di 6.000,00 Euro al mese, esentasse. Non era proprio male! Ogni volta doveva andare su una piattaforma diversa da quella precedente... Faceva i suoi canonici 30 giorni di lavoro ed altri 30 a casa. E via così ogni volta. Inutile dire che si era trovato costretto in alcune occasioni a respingere qualche attacco usando l’arma, ferendo a volte anche qualche pirata. E mai nessun uomo della squadra riportava alcuna lesione o altro di più grave. Anche in quelle circostanze, era riuscito a riscuotere l’ammirazione sia da parte dei suoi compagni che dai propri dirigenti. Questo gli faceva piacere ma automaticamente gli riportava alla mente la completa mancanza di stima e riconoscenza che aveva dovuto subire da parte dei propri superiori. Proprio come Carlos. Era ancora per entrambi una ferita che bruciava, il cui dolore poteva qualche volta essere lenito compiendo opere di giustizia. Una giustizia dettata da un piacere oscuro. Anche dentro lo stesso BLACK si erano spente parecchie luci ed effettivamente si era fatto un po’ più tenebroso ma questo non impediva a Carlos di riporre tutta la sua completa stima, affetto e rispetto. Era uno di cui fidarsi. Proseguendo il proprio racconto, BLACK, dopo un periodo trascorso sulle piattaforme petrolifere, aveva stretto una certa conoscenza con un cittadino irlandese di origini si, il quale lavorava con lui nel servizio di protezione. Trovandosi a parlare con Pierre, questo il nome dello straniero, si erano entrambi accorti che avevano raggiunto l’apice di quel tipo di esperienza e, paradossalmente, la ricca paga non bastava per appagare la loro anima combattiva ed alla continua ricerca delle emozioni all’ennesima potenza. Nell’occasione, lo stesso Pierre diceva a BLACK di aver sentito tramite un suo connazionale trapiantato a Marsiglia, in Francia, che, per chi avesse avuto bisogno di evadere dalla realtà cancellando anche il proprio nome, anche solo momentaneamente, buttandosi nell’addestramento duro e rischiare il tutto per tutto noncuranti del ato e del futuro, c’era la possibilità di poter tentare di entrare nella Legione Straniera. Quante volte si era sentito parlare di questo Corpo... Così misterioso e
leggendario? Che cosa aveva da perdere BLACK per non tentare? A casa non aveva nessuno che lo aspettava, accumulare denaro non era lo scopo della sua vita movimentata e a lui serviva sempre stare continuamente in movimento ed all’ombra per placare quella rabbia e quel dolore che altri gli avevano causato. Voleva rimanere anonimo ma allo stesso tempo agire. E queste frasi, in realtà, entravano in modo particolare nella testa di Carlos... Era certo di aver trovato la soluzione al suo problema. Si stava presentando l’occasione propizia per proporre all’amico BLACK una differente proposta di lavoro. Tuttavia, lasciava tranquillamente che l’amico finisse di raccontare le proprie avventure. Facendo una doverosa breve parentesi sulla Legione Straniera, nel 2008 un terzo circa dei volontari proveniva dall’Europa Occidentale, tra cui la Francia, un terzo dai paesi dell’Europa Orientale e un terzo dal resto del mondo, che si divide tra il 10% in America latina il 10% in Asia e il 10% dal Maghreb, l’Africa, il Medio Oriente. La particolarità dell’ingaggio offre all’aspirante legionario la possibilità di potersi arruolare con un’identità fittizia, anche se non vengono più accettati i candidati condannati per reati gravi. Ciò garantisce a chiunque voglia vestire i panni del legionario la possibilità di tagliare ogni ponte col suo ato e diventare un soldato al servizio della Francia, trovando nella Legione una nuova casa ed una nuova famiglia (da qui, il motto: «LEGIO PATRIA NOSTRA», «La Legione è la nostra Patria»). Dopo una rigorosa selezione di carattere fisico e psicoattitudinale (viene accettato in media un candidato su sei), che si svolge presso le strutture del 1o Reggimento Stranieri (1° RE) ad Aubagne, l’aspirante legionario viene inviato presso il centro di addestramento basico della Legione di Castelnaudary del 4o Reggimento Stranieri (4° RE), dove dovrà sottoporsi ad un durissimo corso di addestramento di base dalla durata di quattro mesi. Al termine del primo mese di addestramento, l’arruolato ottiene la qualifica di “Legionario”, con la consegna del tradizionale “Kepi blanc”, il tipico copricapo della Legione. Successivamente al completamento del corso basico, il personale viene inviato ai Reggimenti operativi. La durata della ferma è di cinque anni, ulteriormente prorogabili di sei mesi in sei mesi, o di anno in anno. L’età considerata per l’arruolamento oscilla tra i 17 ed i 40 anni. Dopo la ferma obbligatoria un legionario ha la possibilità di diventare cittadino se privilegiato senza pagare spese accessorie, di riappropriarsi della propria vera identità (“regolarizzazione della posizione militare”) e di essere collocato al lavoro. Per quanto riguarda il fattore della diserzione, ogni anno è stimata una media di circa 250 giovani legionari che fuggono dalla vita militare.
Questa una giornata tipo del legionario: 04.55 - Sveglia 5:30 - Riordino della camerata 5:30 - 7:00 - Igiene personale 7:00 - 7:30 - Adunata nell’area della compagnia e colazione 7:30 - Riunione della compagnia e alzabandiera 7:30 9:00 - Attività sportiva 9:00 - 9:30 - Riordino 9:30 - 12:00 - Addestramento o lavoro 12:00 - 13:30 - Pranzo e igiene personale 13:30 - 14:00 - Adunata nell’area della compagnia 14:00 - Adunata generale 14:00 - 17:30 Addestramento o lavoro 17:30 - Termine delle attività 17:30 - 21:30 - Tempo libero, igiene personale, cena e libera uscita per tutta la notte - Igiene personale 22:30 – Spegnere la luce nelle camerate. Detto, fatto... Dopo aver abbondantemente parlato di questo, i due si licenziavano dall’Eni, lasciando sbigottiti tutti e senza dover dare tante spiegazioni. Entrambi riuscivano a superare le selezioni ed entrare così nella Legione Straniera e stanziati nella base in Corsica. Dopo circa un anno dalla loro entrata, durante una rissa all’interno di un locale, Pierre veniva accoltellato da un autoctono ubriaco e morto poco dopo in Ospedale. Uno strano destino si era ancora accanito in un certo qual modo contro BLACK che doveva attraversare ancora alcune inchieste a seguito di quell’episodio, rimediando una inchiesta interna ed alcune punizioni, trasferendolo ad un altro distaccamento, transitando così dal 2° Reggimento straniero paracadutisti (2° Rep ) a Calvi, in Corsica, al 3° Reggimento straniero di fanteria (3° REI) a Kourou, nella Guiana se. Trascorreva ancora circa un anno in quel reparto, arrivando infine alla decisione di disertare, insieme ad un cittadino rumeno, con il quale, dopo aver compiuto tragitti di non facile percorrenza, riusciva ad entrare in territorio rumeno, stabilendosi a Bucarest, dove, sempre con l’aiuto di Rubje, il rumeno, riusciva ad entrare nel servizio di protezione e sicurezza di un ricco e potente industriale ceceno trasferitosi nella capitale rumena da circa 10 anni. Rubje veniva tratto in arresto dalla polizia locale dopo 9 mesi dal suo arrivo a Bucarest per omicidio di un rivale in amore. Ma, fortunatamente, in questa circostanza BLACK non si trovava insieme al rumeno. Nel corso della serata, BLACK aveva ascoltato attentamente anche tutte le avventure di Carlos; alla fine della serata, si erano convinti che uno aveva bisogno dell’altro, aprendosi liberamente e tranquillamente. Carlos spiegava che aveva assolutamente bisogno di qualcuno di veramente fidato per muoversi in tutta scioltezza e sicurezza per svolgere le sue gesta di “pulizia”, che BLACK condivideva naturalmente pienamente... Qualcuno che doveva procurargli le notizie di cui lui aveva bisogno e proteggergli sempre la schiena. BLACK in questo era perfetto. Proprio per il suo apparire un po’ tenebroso e rimanendo
sempre nell’ombra ma risultando indispensabile, insieme convenivano che il nickname appropriato doveva essere BLACK. Da quella meravigliosa serata, dopo essersi licenziato come guardia del corpo del ricco ceceno, partiva la loro grande e preziosa collaborazione. Insieme erano come un fiume in piena... Non era stato difficile per Carlos parlare di quello che stava facendo alle spalle della sua attività professionale di imprenditore di successo; BLACK aveva subito capito tutte le situazioni ed aveva espresso la sua piena solidarietà ed ogni tipo di collaborazione in ciò che Carlos stava compiendo come giustiziere. Da quella serata particolare, ogni volta che Carlos doveva togliere di mezzo qualche feccia, contattava il buon BLACK tramite sms in codice e con scheda Sim che subito dopo veniva gettata, trovando di volta in volta nuovi numeri presso le varie caselle postali aperte per l’occasione. All’interno di esse, oltre ad altre schede telefoniche, BLACK trovava tutto quello di cui Carlos aveva bisogno di sapere su un determinato soggetto. Da quel momento in poi, BLACK si attivava energicamente e in modo molto abile, riuscendo a raccogliere preziose informazioni che faceva avere mano a mano che le raccoglieva, all’amico Carlos tramite il solito sistema. La macchina avviata era semplicemente perfetta. BLACK si spostava in continuazione e, seppur agendo completamente nell’ombra, il suo lavoro risultava da subito impeccabile e di estrema importanza; proprio perché fatto da un grande professionista e da un uomo dotato di forti principi morali trasmettendo una solida sicurezza ed affidabilità. Si... erano fatti decisamente l’uno per l’altro. BLACK era il più giovane dei suoi fratelli; infatti aveva un fratello ed una sorella più grandi. Aveva perso entrambi i genitori all’età di 15 anni, morti durante un’escursione in montagna, scivolando su un tratto di strada che si era fatto particolarmente friabile a causa di una forte pioggia che era caduta un paio di giorni prima. Di conseguenza, veniva praticamente allevato dai fratelli maggiori e dai nonni. Il padre lavorava all’interno di una fabbrica di tessuti mentre la madre era titolare di un centro estetico. Attualmente il fratello Marco faceva il rappresentante di materiali informatici e la sorella Gabriella come assistente sociale occupandosi prevalentemente di maltrattamenti ed abbandono di minori. BLACK ora aveva 40 anni, ben portati. Tutta una vita anche lui a scolpire il fisico e la mente e dall’età di 20 anni nei corpi militari. Prima di entrare nel Col Moschin, aveva trascorso gli anni precedenti nei paracadutisti dell’esercito, partecipando anch’egli ad alcune missioni estere... Iraq, Afghanistan, Colombia e Egitto... La sua professionalità era stata riconosciuta,
riuscendo per l’appunto ad entrare a far parte del corpo speciale del Col Moschin, dove conosceva Carlos che era già in quel reparto speciale da circa due anni. L’affiatamento tra i due si instaurava subito da spingere Carlos a chiedere superiormente di accogliere BLACK nel proprio team operativo. La richiesta veniva subito soddisfatta e i due iniziavano a lavorare gomito a gomito, collezionando un successo dietro l’altro, fino ad arrivare allo spiacevole episodio dell’Afghanistan. Ora, dopo molteplici avventure, disavventure ed esperienze in molte parti del mondo, era ripartita la loro collaborazione e mai più nessuno li avrebbe costretti ad interromperla o a dividersi se non di loro spontanea volontà. Ma c’era ancora tanto da fare e la loro speciale macchina della giustizia doveva stare sempre perfettamente in movimento e ben lubrificata. Era necessario soffocare quell’amarezza e rabbia che si portavano dentro, cercando di pulire l’ambiente a modo loro ad ogni costo senza dispendio inutile di energia e sfruttando i molteplici mezzi a disposizione che aveva messo prevalentemente Carlos. Oltre per le motivazioni già dette, BLACK doveva agire nell’ombra perché non bisognava dimenticare che lui era comunque ricercato per aver disertato dalla Legione Straniera. Se fosse stato rintracciato, avrebbe dovuto subire un fastidioso processo ed espulso ovviamente e per sempre da quel Corpo... Non poteva permettersi di perdere tempo nell’essere costretto a ritornare in Corsica e aspettare gli eventi. Ora c’era altro da fare.Brigitte veniva scossa dalle vibrazioni della sveglia puntata sulle ore 07.00. Per le 08.30 doveva incontrarsi con il suo collega Aldo per fare un punto della situazione sull’indagine in corso. Bisognava mettere apposto parecchi puzzle tentando di riordinarli il più possibile per arrivare a qualcosa di più concreto. Dopo aver consumato una frugale colazione a base di spremuta d’arancia, due fette biscottate integrali con un po’ di burro light e marmellata senza zuccheri aggiunti, ultimando con una tazzina di caffè nero, forte e bollente, si metteva sotto la doccia calda, si vestiva sempre in maniera elegante ed estremamente sexy con una camicetta azzurra con delle sottili linee bianche ed aperta fino alla divisione del seno, gonna nera attillata corta fino a 5 centimetri circa dal ginocchio, scarpe nere fini ed eleganti con tacco 12. Sopra la camicetta infine poneva un giubbino leggero di colore nero con una cintura che, una volta stretta, faceva evidenziare ancor più la sua vita sottile e sinuosa. La camicetta leggermente scollata, faceva intravedere un lembo del reggiseno a balconcino in pizzo di colore viola che era poi abbinato ad un perizoma dello stesso colore leggermente trasparente sulla parte del pube che tra l’altro Brigitte era solita depilare completamente. Sul collo, una leggerissima spruzzata del suo immancabile Chanel n. 5. Faceva venire la pelle d’oca anche
ad un morto. Per il temporaneo soggiorno investigativo in Madrid, l’Interpol le aveva messo a disposizione una stanza nell’albergo “Suite 33”, che si trovava proprio a due i dalla Puerta del Sol e dalla Piazza Spagna, dove peraltro c’era il Commissariato di Polizia dove aveva interrogato Carlos insieme al collega Aldo. Anche questo Comando di Polizia aveva messo a disposizione dei due investigatori dell’Interpol un ufficio come punto di riferimento per le loro attività. Aldo alloggiava nello stesso albergo ma al piano inferiore. Alle 08.30 i due si trovavano in ufficio del comando di polizia; Aldo si era presentato con una camicia bianca tenuta all’esterno dei pantaloni, con le maniche lunghe e leggermente rimboccate. Pantaloni jeans scuri a sigaretta che evidenziavano i muscoli dei quadricipiti femorali ed un paio di scarpe ginnico/sportive di colore beige con strisce marroni. Per mano portava un giubbino primaverile marrone chiaro marca “Marina Militare”, ed una barba lunga di due giorni con un tocco di bianco che gli dava un aspetto misterioso ed affascinante. Dopo aver scambiato due parole di circostanza con il Comandante del Commissariato, si chiudevano in ufficio e, sedendosi alle rispettive scrivanie semisepolte da scartoffie che riguardavano tutte le indagini fino ad ora condotte, iniziavano ad esaminare tutti i dettagli in loro possesso, facendo un incrocio dei dati e di notizie recenti acquisite. Avevano sentito le dichiarazioni di più di 100 persone, ispezionato altrettanti luoghi, sia in Bosnia che a Madrid. Loro erano autorizzati a spostarsi in qualsiasi luogo per esigenze investigative. Avevano posto sotto sequestro vari oggetti, indumenti e luoghi; al momento avevano incentrato i loro principali sospetti su Andrej ma dopo che avevano sentito tutti i testimoni di Mostar che avevano regolarmente dichiarato di trovarsi insieme al sospettato proprio il giorno e nell’arco di tempo in cui veniva ammazzato Fabjan, erano tornati praticamente ad un punto morto. Approfittando di trovarsi a Madrid, avevano anche seguito un paio di giorni lo stesso Carlos (che tra l’altro si era accorto... come pedinamenti dovevano decisamente migliorare...). In pratica, non avevano alcun elemento concreto in mano e oramai, in realtà, la maggior parte dei loro accertamenti e movimenti venivano fatti per giustificare la loro missione che stava sempre più precipitando. Aldo ad un certo punto, evidenziava come il fatto di tagliare la faccia a Fabjan fosse stata una operazione così precisa e meticolosa che, in teoria, solo una persona veramente abile poteva farlo e sicuramente non uno qualsiasi. Non escludeva quindi che dietro quel gesto potesse nascondersi un
grande chirurgo o comunque una persona abilissima nel maneggiare un coltello o un bisturi. Sul luogo del delitto non era stata rinvenuta alcuna arma e quindi si era solo ipotizzato l’uso di questi oggetti da taglio. Iniziando a ragionare dall’inizio e partendo da queste ultime analisi, incominciavano a scremare i fatti e ad escludere molte persone, togliendole definitivamente dai loro elenchi, circoscrivendo il cerchio. La forma geometrica, mano a mano che i due investigatori proseguivano con i loro ragionamenti, si faceva sempre più piccolo, arrivando a concludere in questo modo: Andrej a questo punto non poteva più essere considerato come il principale sospettato... Avrebbe avuto validi motivi per ucciderlo ma i testimoni lo scagionavano e inoltre non lo ritenevano così abile nel compiere un delitto del genere. Una persona come lui lo avrebbe semplicemente aspettato fuori casa o dai suoi uffici e fatto fuori tranquillamente con un’arma da fuoco davanti a mille testimoni. Però si era rivolto all’Agenzia di Carlos per ulteriore protezione e dopo circa un mese, Fabjan moriva atrocemente. Sentendo a verbale tutto il personale di quell’agenzia di Sarajevo, la segretaria Liliane, dichiarava che, dopo il colloquio di lavoro tenuto presso quegli uffici con Andrej accompagnato dal suo staff per accordarsi sulle modalità di protezione e sicurezza e discutere sull’onere dovuto, erano usciti tutti. Erano rimasti dentro ancora per circa mezz’ora, solo lo stesso Carlos ed Andrej e che quando quest’ultimo usciva, le aveva dato la sensazione che avesse pianto. All’inizio delle indagini, sia Brigitte che Aldo non avevano dato molta importanza a questo ma, ora, trovandosi a questi estremi, lo stavano prendendo in considerazione. Effettivamente, perché i due si erano ancora trattenuti da soli in ufficio? E perché Andrej avrebbe pianto? Se effettivamente lo aveva fatto, era stato sicuramente per un fatto molto grave e per il quale l’uomo stava soffrendo tantissimo... E se i suoi figli fossero stati veramente violentati da Fabjan? Questa sarebbe stata sicuramente una gravissima circostanza che avrebbe giustificato il grande dolore di Andrej e condiviso con Carlos. Non avendo altri appigli, improvvisamente l’attenzione si spostava su Carlos che tra l’altro, con il suo ato di militare nelle forze speciali e praticante di arti marziali, lo consideravano potenzialmente abile nell’uso di qualsiasi arma bianca. A questo punto, occorreva sentire nuovamente Carlos per sapere dove e con chi si trovasse al momento del delitto e tornare a Sarajevo per approfondire la storia della eventuale violenza subita dai figli di Andrej, presumibilmente da Fabjan. Se Carlos non avesse fornito valide giustificazioni e se fosse stata confermata la violenza da parte della vittima, sarebbero risaliti sulla vetta delle loro indagini arrivando alla conclusione ovvia e chiara che, il responsabile dell’omicidio avrebbe potuto identificarsi nello stesso Carlos che, preso dalla rabbia e dalla sete di farsi giustizia a nome di Andrej, avrebbe compiuto l’efferato delitto,
servendosi oltretutto della sua particolare abilità nell’uso di coltelli. Continuando nell’analisi, in realtà si erano accorti di un altro particolare sul quale tentare, ovvero: quella lastra fredda in ferro battuto sulla quale giaceva il corpo nudo e privo di vita, oltre che della faccia e del pene, proveniva da un furto avvenuto circa due settimane prima dell’omicidio all’interno dell’obitorio dall’ospedale centrale di Sarajevo. Un furto apparentemente inspiegabile all’inizio e, quando era emerso che si trattava proprio dello stesso corpo di reato, si era pensato ad una semplice casualità completamente estranea all’omicidio, in quanto in ato quel luogo veniva a volte usato per compiere riti satanici, durante i quali gli adepti solevano usare lastre del genere per adagiare corpi umani e di animali. Di conseguenza, avevano tratto la conclusione che quella lastra in ferro battuto fosse stata asportata da qualcuno e portata in quel capannone per queste sette. L’assassino aveva scelto quel luogo completamente isolato e difficilmente accessibile per compiere lo scempio in tutta tranquillità e trovando per caso quella lastra, ne aveva approfittato. Sul terreno circostante al capannone, erano state rilevate impronte di pneumatici sul quale il laboratorio scientifico dell’Interpol stava ancora lavorando. Brigitte e Aldo venivano alla conclusione che dovevano dividersi momentaneamente per seguire le piste diverse ed incrociare così i dati che sarebbero emersi. Brigitte rimaneva a Madrid e si sarebbe preoccupata di Carlos, mentre Aldo sarebbe partito già il giorno successivo per Sarajevo, dopo aver verificato la disponibilità del volo. Tutto stava procedendo alla perfezione... Ma per Carlos. Li stava portando dove voleva lui. Sapeva comunque che erano due investigatori capaci ed era sicuro che avrebbero ragionato fino a questo punto. Li stava portando per mano e non avevano la minima idea di essere stati messi appositamente su quelle piste proprio dall’omicida. Tuttavia portava rispetto per loro e avrebbe tentato di non ridicolizzarli... Del resto, stavano facendo il proprio lavoro... Ma questa volta, erano stati sfortunati... Si erano imbattuti in Carlos. E dietro di lui, il fidato BLACK. La sfida era partita alla grande.
CAPITOLO 5
Erano trascorsi due giorni da quel briefing operativo negli uffici del Commissariato di Polizia e Aldo non era ancora riuscito a partire per Sarajevo, causa mancanza di voli immediatamente disponibili e per un ritardo burocratico da parte dei suoi superiori dell’Interpol che per prassi avrebbero dovuto trasmettergli subito il nulla osta per recarsi nella capitale bosniaca per proseguire le sue indagini. Era stato tutto approvato ma le complicanze cartacee impedivano sempre di muoversi con una libertà piena e le scartoffie a volte effettivamente rallentavano le loro mosse. Carlos e BLACK non avevano più bisogno come una volta di muoversi previa autorizzazione da parte della linea gerarchica... Loro oramai erano liberi di agire come meglio credevano senza aspettare l’autorizzazione di nessuno e soprattutto, potevano lasciare vivere o morire. E non era poco. Finalmente dopo qualche giorno, Aldo riusciva a partire dall’aeroporto di Madrid alla volta di Sarajevo. La stanza in albergo era già stata prenotata e il Comando di Polizia competente per il o alle indagini già preventivamente avvertito del suo arrivo, mettendogli a disposizione uomini e un ufficio all’interno dello stesso, come a Madrid. La polizia bosniaca ci teneva a fare una bella figura con l’Interpol... Non capitava tutti i giorni di poter coadiuvare delle indagini su un omicidio così strano ed efferato con un comando investigativo di quel livello e sicuramente, risolto il caso positivamente, ne avrebbero giovato tutti e la carriera di alcuni ufficiali superiori sarebbe salita vertiginosamente alle stelle. Per questo, cercavano di mettersi a disposizione in qualsiasi maniera, sognando l’evento epico che avrebbe cambiato la vita di molte persone. Aldo, durante la sua permanenza in Sarajevo, doveva faticare molto nell’impedire inutili intromissioni. A volte, due urla erano sufficienti a placare gli animi.Nel frattempo, Brigitte a Madrid si stava organizzando per interrogare Carlos, a questo punto come indiziato di reato, essendo emersi gli ultimi elementi che lo facevano mettere nella lista dei sospettati per i motivi discussi con Aldo. Aveva già fatto recapitare l’invito a presentarsi in compagnia di un legale presso i soliti uffici del Commissariato di Polizia e stava ultimando di pianificare i dettagli del
l’interrogatorio. Brigitte avvertiva per la prima volta nella sua carriera professionale un forte imbarazzo e disagio nel sapere che tra qualche giorno si sarebbe trovata di fronte quell’uomo così curioso ed affascinante, trovando anche difficoltà di concentrazione nel preparare le domande... Il suo inconscio era diviso dalla razionalità e dalla ione e, quando si accorgeva che qualche volta prevaleva questo ultimo sentimento, istintivamente e stizzita, tentava di allontanarlo ma il pensiero era sempre li... La mente stava lottando ma i capezzoli si facevano turgidi come non aveva mai provato e la vagina profumata e perfettamente depilata, si stava bagnando. Aveva vinto tante cose ma contro questo stava già perdendo e lei lo sapeva, anche se faceva finta di esserne indenne. Si... era certa che stava affrontando qualcosa e qualcuno che l’avrebbe sconvolta ma, a questo punto, voleva spingersi ancora di più per vedere fino a dove sarebbe arrivata in questa strana indagine che le stava compromettendo la sua abilità e concentrazione professionale e, oltretutto, anche quella sessuale e ionale! Una delle prime cose che le avevano insegnato nelle varie accademie, era stata proprio quella di non mischiare mai i doveri professionali con quelli sentimentali. E lei stava proprio contravvenendo alla grande perché stava addirittura rischiando fortemente di coinvolgersi con l’unico sospettato del delitto! Ci sarebbero stati milioni di motivi per destituirla dall’incarico ma non poteva permetterlo. Non ora. Quella sera stessa, tornata nella propria stanza dell’albergo, si spogliava frettolosamente lasciando cadere i vestiti sul pavimento e sul letto, mettendosi sotto la doccia, facendosi avvolgere dall’acqua calda e dai brividi di piacere... Aveva il bisogno di scaricare un po’ di tensione e, automaticamente, continuando ad essere investita piacevolmente dal calore dell’acqua scrosciante e dal vapore causato da essa, il suo dito medio della mano destra scivolava freneticamente all’interno del suo sesso, sempre più calda e vogliosa. Mentre con una mano si stava procurando il piacere, con l’altra iniziava a stringersi ed accarezzare i capezzoli che erano oramai diventati così lunghi e duri che poteva tranquillamente stare un anello appeso. Brigitte non tardava a raggiungere un potente orgasmo, facendole emettere un grido di piacere simile ad un gatto in calore... Era da tanto tempo che non si masturbava e che non provava un godimento così... E, quello che la faceva sconvolgere maggiormente, quando si era ripresa mentalmente, era il fatto che si era accorta che lo aveva fatto pensando a lui. Era accaduto come se Carlos fosse stato presente lì con lei in quel preciso momento e luogo! Era riuscito a farle vedere le stelle solo pensandolo! E pensare di averlo avuto con lei in carne ed ossa, sentendo il suo pene all’interno della sua vagina stretta ma profonda, era una cosa assolutamente straordinaria ed avvincente... Mentre si asciugava e ritornava Brigitte l’investigatrice dell’Interpol, si sforzava di concentrarsi sul suo ruolo e
sul motivo della sua presenza in quella città. Seduta alla scrivania in camera, dava ancora un’occhiata alle domande preparate per Carlos, sorseggiando una tazza di tè verde. Dopo circa un’ora, vinta dalla stanchezza, spegneva tutto e si metteva a dormire. Il pomeriggio del giorno successivo, si sarebbe trovata davanti Carlos con il suo legale e doveva riposare bene e scegliere che vestiti mettersi per l’occasione. Qualche giorno prima, Carlos aveva ricevuto presso la sua abitazione l’avviso a comparire con la presenza di un avvocato di fiducia per essere sentito in merito all’omicidio di Fabjan Milkovic, avvenuto in Sarajevo. Non si era stupito più di tanto perché l’aveva già considerata una forte possibilità come conseguenza delle sue mosse; si trattava forse di un qualcosa che poteva solo dare un po’ di fastidio come prendere una zecca dopo aver trascorso una splendida giornata di sole eggiando in montagna. Non aveva perso tempo nel contattare il suo legale presente in Madrid, raccontandogli quello che stava succedendo, destando ovviamente il suo più pieno stupore, presentando tutte le sue perplessità intorno alla conduzione delle indagini che addirittura avevano portato a sospettare del suo cliente come probabile omicida. Neanche l’avvocato Manuel Gutierrez, il nome del difensore di Carlos per quanto riguardava Madrid, non poteva neanche lontanamente immaginare di difendere gli interessi del giustiziere Carlos. Non poteva escludersi che, se lo avesse saputo, si sarebbe sentito fiero di rappresentarlo. Il giorno precedente all’interrogatorio entrambi si erano trovati presso lo studio legale per discutere i soliti ma fondamentali dettagli. Una cosa era certa... Non c’era assolutamente rischio che durante l’interrogatorio l’avvocato Gutierrez si potesse distrarre dalla bellezza e dal fascino di Brigitte... Il legale era un convinto e dichiarato omosessuale. Anche sul rischio distrazioni da parte del suo avvocato, Carlos era in una botte di ferro. Qualche giorno prima della data fissata per l’interrogatorio, Carlos, sedendosi tranquillamente e comodamente sulla poltrona di casa sua, si era dedicato ad una interessante lettura di uno dei tanti libri scritti dal medico psichiatra criminologo Marco Cannavicci, ovvero “L’interrogatorio intelligente”, nel quale venivano descritti come si applicano i principi della psicologia cognitiva ai tradizionali schemi utilizzati per avere informazioni. “Nell’ambito delle attività investigative la raccolta delle notizie rappresenta un atto fondamentale in quanto permette di riuscire ad accertare la verità sui fatti per cui si indaga. La difficoltà prevalente della raccolta delle informazioni, e qualche volta anche la causa del suo fallimento, deriva spesso dalla presenza di volontà e stati psicologici troppo diversi tra interrogante ed interrogato, talora anche opposte volontà. Molte
persone, nel momento in cui si trovano di fronte ad una figura autoritaria, soprattutto se non sono con la coscienza a posto, assumono inconsapevolmente uno stato emotivo reattivo che può facilitare, se di paura, oppure ostacolare moltissimo, se di indisponibilità, la ricerca della verità. L’investigatore deve allenarsi quindi a percepire con finezza psicologica lo stato emotivo del soggetto per poter vagliare e, se è il caso, sfruttare tale condizione reattiva. L’esperienza dei “navigati” investigatori evidenzia che la raccolta delle informazioni e l’interrogatorio, per risultare un efficace atto investigativo, deve seguire delle regole e delle tecniche specifiche. Fra queste regole empiriche, la prima che si evidenzia è quella di riuscire ad avere una conoscenza preliminare del soggetto da sentire. Solo sapendo con chi si ha a che fare si può scegliere un certo sistema di indagine o un metodo di interrogatorio. Per ottenere questa conoscenza è sufficiente iniziare la conversazione chiedendo notizie in generale sulla sua vita (sugli studi, sulla famiglia, sul lavoro, sulle amicizie...). Le notizie che si raccolgono in questa fase possono essere anche ovvie o poco utili, tuttavia sono importantissime perché stabiliscono una relazione interpersonale, creano una “atmosfera” emotiva e sulla base di questa potranno essere capite ed interpretate le notizie che successivamente si raccoglieranno. La seconda regola da tener presente è di non avere fretta. Chi interroga non deve mai perdere la pazienza, deve mantenere sempre un contegno sereno, anche di fronte alla menzogna più spudorata ed alla reticenza più ostinata, e deve mostrare di avere davanti a sé tutto il tempo che vuole o che sia necessario (per cui l’interrogato può fare a meno di puntare sul temporeggiare o sul prendere tempo, perché non c’è una scadenza). Quanto più l’investigatore riesce ad imprimere alla conversazione un clima di riflessione, tanto prima riuscirà ad arrivare alla verità. La serenità mentale schiarisce le idee, mentre la fretta, o peggio l’ira, annebbia la razionalità e la chiarezza mentale. Una terza regola che l’interrogante deve tener presente è che deve verbalizzare tutte le dichiarazioni che via via gli vengono rese. Se queste appaiono in un secondo tempo contraddittorie, possono offrire l’arma per mettere in difficoltà la persona sulla quale si investiga, in quanto non possono essere negate o ritrattate delle precedenti affermazioni scritte. In ogni caso, agli occhi dell’investigatore, provano la sua voglia di mentire, di alterare la verità, cioè di una sua responsabilità o della partecipazione dell’interrogato sui fatti oggetto dell’indagine, anche senza una sua aperta ammissione.
Quindi è meglio colloquiare con calma, con serenità, ragionando e riflettendo. E’ necessario ricordarsi che al contrario la “vessazione” del soggetto interrogato, l’agire con aggressività o violenza, tale da intimorirlo, deve essere bandita, sia perché è vietata dalla legge, sia perché è improduttiva e controproducente. Non è mettendogli paura che si arriverà ad una confessione e non è trattandolo con rabbia o con violenza che lo si indurrà a collaborare. Nelle fasi iniziali dell’interrogatorio è importante preparare psicologicamente l’interrogando, evidenziando la sua posizione come quella di un collaboratore che aiuta l’investigatore e la giustizia nell’accertamento della verità: non deve sentirsi considerato subito un colpevole, poiché questo attiverà tutte le sue difese, le chiusure, ed entrerà nel mutismo, bensì una persona utile per arrivare a capire cosa sia successo. La raccolta delle notizie, durante l’interrogatorio, deve essere eseguita da almeno due persone: uno che interroga ed uno che scrive (dandosi il cambio dopo alcune ore per non accusare troppo i segni mentali della stanchezza). Entrambi, prima di interrogare, devono prendere visione di tutti gli atti presenti nel fascicolo. Una piccola incertezza, o peggio un errore di chi conduce il colloquio, offre una potente arma psicologica all’interrogato che lo allontana sempre di più dalla confessione. Inoltre c’è da rilevare l’importanza dell’ambiente. L’interrogatorio deve avvenire in un locale con minimo mobilio, a finestre chiuse, senza arredamenti appariscenti o apparecchiature, senza telefoni che squillano o porte che improvvisamente si aprono e che possono intimorire o influenzare l’interrogato in momenti psicologicamente favorevoli. L’ambiente quindi non deve fornire stimoli, appigli, suggestioni, fantasie o distrazioni. Le domande poste, da trascrivere integralmente sui verbali, devono essere brevi, chiare, precise, facilmente comprensibili ed adeguate alle capacità intellettuali, culturali e sociali dell’interrogando. Fin dalle prime risposte dell’interrogato occorre formarsi rapidamente un’idea sul carattere psicologico del soggetto, per poi toccarlo con appropriate e mirate domande nei suoi punti deboli (come le sue vanità, le idee di persecuzione, i torti subiti, gli scatti nervosi...) in cui sicuramente ha delle difese psicologiche più labili e fragili (per indurlo a “crollare” o smascherarsi), oppure seguendo attentamente le manifestazioni esteriori non verbali (come la mimica, il pallore, il rossore, i tremori...) che seguono alle domande ed ai quesiti. Tanto più una domanda ottiene una risposta mimica e non verbale, tanto più ha colpito il bersaglio della sua emotività ed è un utile elemento per attaccare le sue difese. L’esperienza dimostra a questo proposito che è più facile far crollare il oggetto con la calma, il ragionamento e la ripetitività, che non con le minacce o l’esibizione della violenza verbale e
fisica. La persona sentita, a qualsiasi titolo, deve essere inizialmente invitata ad esporre spontaneamente quello che sa intorno al fatto, per ottenere da lei una deposizione genuina e non influenzata dalle domande e dalle suggestioni. Le domande per colmare le lacune, chiarire i punti oscuri o contraddittori e per precisare meglio i fatti descritti, devono essere rivolte successivamente in una fase di precisazione e chiarimento. Importante è ricordare che non devono essere effettuati apprezzamenti personali sul soggetto, la deposizione per essere valida deve avere una natura oggettiva. Ed ai fini dell’oggettività devono essere preferite le domande indeterminate, senza indicazioni dell’oggetto che si vuol conoscere (ad esempio, chiedere “cosa ha fatto ieri pomeriggio?”), rispetto alle domande determinate con indicazione dell’oggetto che si vuol sapere (come ad esempio, “è andato a trovare Caio?”), perché agevolano i ricordi spontanei e non attivano le suggestioni, le illusioni o i falsi ricordi. Devono essere preferite quindi le domande indirette (ad esempio, “chi ha visto?”) rispetto alle domande dirette (come ad esempio, “ha visto Tizio?”) perché possono suggestionare e non stimolare i ricordi in modo genuino. Devono essere quindi bandite tutte le domande a cui si può rispondere solo con un sì o con un no. Il legale dell’interrogato deve essere trattato con estrema correttezza, il suo ruolo rientra nei meccanismi della giustizia e serve ad assicurare che tutto avvenga nel modo consentito e che non si incorra in futuri annullamenti delle indagini svolte, per un qualche vizio di forma, sempre possibile quando si agisce con la fretta o l’ira. I rilievi del difensore poi devono essere formalizzati sempre nella enunciazione originale, così come sono stati detti. Acquisire le informazioni tramite l’interrogatorio quindi richiede una fondamentale dose d’intelligenza per adeguarsi via via a quello che emerge, la capacità di comprensione dei moti del proprio intuito e, naturalmente, serve una buona dose di esperienza personale. Durante l’interrogatorio è necessario osservare attentamente i comportamenti e gli atteggiamenti espressivi non verbali delle persone interrogate, come ad esempio le reazioni insolite in chi non è direttamente coinvolto oppure l’ostentata indifferenza e tranquillità (la difesa) in chi è direttamente coinvolto. Sono delle valutazioni soggettive di o a delle valutazioni oggettive da cercare successivamente e da confermare o meno nel corso delle indagini. Circa le dichiarazioni dell’interrogato possiamo affermare che sono attendibili quando: - sono state date spontaneamente;
- riguardano fatti o cose su cui l’interrogato non ha alcun interesse personale; - entrano in correlazione con fatti già noti; - concordano con altre deposizioni. L’interrogatorio è quindi definibile, a questo punto, come un globale processo di valutazione di un sospetto, di una vittima, o di un testimone, attraverso la formulazione di opportune (e mirate) domande, con lo scopo di trarre informazioni o correlare evidenze che possono essere utilizzate per l’identificazione dell’autore di un reato. L’interrogatorio è un atto investigativo che risponde alle necessità di: - ottenere ammissioni o confessioni; - ottenere informazioni su un crimine; - scoprire l’identità dell’autore; - scoprire i precedenti criminali del soggetto; - provare o avvalorare i dettagli sul reato commesso. Fra le tante tecniche proposte si può affermare che una delle modalità più oggettive per interrogare è nota come “intervista cognitiva”. L’intervista cognitiva nasce e si sviluppa in Inghilterra, prevede una sequenza prestabilita di attività che devono essere svolte in successione, e che sono descritte con l’acronimo “ peace”: p – preparation: è la fase di studio del fascicolo, dello sviluppo delle ipotesi preliminari e della scelta di una tecnica di indagine da seguire; e – engagé, explain: è la fase di “ingaggio” della conversazione, della raccolta delle informazioni personali e della spiegazione del suo ruolo come di un collaboratore della giustizia; a – : è la fase di raccolta delle informazioni; c – close: è la fase di chiusura del colloquio con il riassunto di
quanto emerso; e – evaluate: è la fase di valutazione investigativa di tutti gli elementi raccolti. L’approccio cognitivo è diverso da ogni altra forma di interrogatorio in quanto utilizza i principi e le teorie della psicologia cognitiva, in questo modo si cerca di ridurre al minimo la soggettività. L’intervista cognitiva si pone inizialmente l’obiettivo di ricreare nella mente dell’interrogato il contesto entro il quale è accaduto l’evento criminoso, per poi chiedere al soggetto di riferire ogni cosa che riaffiori nella mente. In seguito, come per una forma di controllo, si chiede al soggetto di riferire gli eventi in ordine diverso rispetto alla normale sequenza già detta, oppure di poter mutare la prospettiva della scena, come se la osservasse un’altra persona da un’altra angolazione. Per affrontare l’intervista cognitiva è molto importante, per l’investigatore, prepararsi raccogliendo tutti i dati possibili, valutando i dati raccolti, effettuando quindi un’analisi dei dati così emersi per costruire delle preliminari ipotesi teoriche di riferimento. In ogni fase dell’indagine è necessario acquisire le informazioni in modo formalmente ineccepibile. Ciò garantisce la loro piena utilizzabilità in fase processuale. L’ineccepibilità della raccolta richiede quindi il puntuale rispetto degli articoli del Codice di procedura penale (in modo particolare dell’art. 188 C.p.p.) che riguardano le modalità di assunzione delle informazioni. Mentre per l’investigatore l’obiettivo dell’interrogatorio è di ottenere una piena confessione, per l’art. 188 C.p.p. l’obiettivo è il rispetto della corretta modalità con cui questa confessione è stata raccolta e di come dovrà essere poi documentata in fase processuale. In base al Codice di procedura penale le dichiarazioni non possono essere forzate, né estorte con minacce o violenze. C’è da dire inoltre che l’investigatore incaricato delle indagini è la prima persona che prende contatto con l’indagato: non deve agire con aggressività o violenza poiché il prosieguo delle indagini dipenderà anche da come lui stabilirà questo contatto. Molto importante nella prima fase di un interrogatorio, è riuscire a stabilire un contatto psicologico con il sospettato. Questo eviterà il mutismo assoluto anche di fronte a domande semplici. L’investigatore deve mirare a conquistare la fiducia dell’indagato (pur ritenendolo autore del reato) spiegandogli i vantaggi di un atteggiamento collaborativo, come la riduzione delle conseguenze negative della sua condotta delittuosa. Nelle fasi preliminari all’interrogatorio è determinante l’acquisizione di tutte le informazioni disponibili sul soggetto, dai suoi precedenti penali, alla storia personale fino alla situazione familiare (sapere che
sono le persone più importanti per lui, in modo particolare i suoi riferimenti affettivi). Sapendo chi sono le persone importanti per lui, si otterrà che il riferimento ai legami affettivi forti, soprattutto in chi delinque per la prima volta, sia un decisivo ed insostituibile strumento di persuasione e di convincimento alla collaborazione. Con il pentimento e la collaborazione potrà ottenere il perdono dalle persone amate, che gli staranno vicino nei momenti più difficili. La valutazione e la consapevolezza dei benefici ottenibili con una piena confessione è lo stimolo più importante per indurre l’indagato ad ammettere le proprie responsabilità. Con l’esperienza ogni buon investigatore riesce a seguire il processo decisionale di un indagato, arrivando a capire quando la decisione a collaborare è prossima. L’empatia creata tra indagato ed investigatore deve essere mantenuta anche dopo la sua ammissione di colpevolezza, con successivi e continui rinforzi ed apprezzamenti. Lo stato emotivo dell’indagato è quello di una persona che improvvisamente si trova in un luogo sconosciuto ed ostile, di fronte ad uno sconosciuto che vuole dimostrare la sua responsabilità in ordine ad un reato che presuppone l’incubo del carcere, con la conseguente perdita della libertà personale, degli affetti, del lavoro e della stima delle persone che conosce. La crescente paura e la marcata disperazione lo induce a contrastare le accuse con tutte le proprie forze. Di fronte ad una netta contrapposizione di questo tipo l’investigatore deve cercare di ridurre il conflitto. Un buon argomento per questo è la già citata ricerca della verità, contrapposta alla ricerca di un colpevole. Mostrare quindi di cercare la verità e non la sua colpevolezza, rendendosi disponibile all’ascolto ed evitando giudizi morali sull’indagato. Mostrando “comprensione” è possibile far accettare piano piano all’indagato le proprie responsabilità e quindi ottenere collaborazione. Dopo la confessione è importante mantenere ugualmente la comprensione e l’empatia, in ogni caso vanno evitate le facili promesse. Ogni confessione può essere sempre successivamente ritrattata o modificata in maniera sostanziale. A questo punto possiamo affermare in via definitiva che per interrogare è necessario conoscere non solo i dettagli dell’indagine, ma anche quelli dell’indagato. Questo permette non solo di porre le giuste domande, di valutare la veridicità delle risposte e di evitare di fornire notizie utili per la sua difesa, ma anche di sapere su chi e come è possibile fare leva per ridurre il conflitto ed indurlo alla collaborazione. Gli investigatori che non conoscono il caso, non devono quindi parlare con l’indagato. L’esperienza dimostra che gli
strumenti di convincimento alla collaborazione sono molto utili nel caso di persone alla loro prima esperienza criminale. Mentre per coloro che sono già inseriti in un contesto criminale è inutile riferirsi ad una “normalità” che non c’è. Solo di fronte a prove evidenti è possibile un’ammissione di responsabilità da parte dei criminali abituali. Tuttavia questi ultimi sono molto sensibili a discorsi su benefici o garanzie in cambio della loro collaborazione. Ai sensi dell’art. 188 del C.p.p. (sulla “libertà morale della persona nell’assunzione della prova”) sono vietati i mezzi illeciti o scorretti, come ad esempio sono considerati i tranelli psicologici. I tranelli psicologici espongono il soggetto al pieno controllo di chi lo interroga e questo la legge non lo permette. Di questi tranelli psicologici, ripetiamo illeciti, ne ricordiamo alcuni: - esagerare o minimizzare la gravità (suggestionare il soggetto sulla presunta gravità di un reato di poco conto, intimorendolo, o al contrario banalizzare un grave reato, illudendolo sul fatto che non sarà punito, o rassicurandolo); - suggerire una motivazione positiva (come ad esempio che la vittima si è provocata da sola quanto le è successo); - solidarizzare con l’accusato (chiunque al posto suo avrebbe fatto quello che lui ha fatto); - richiamare la sua attenzione su inesistenti tremori, sospiri, fremiti, carenze di salivazione, pallori, rossori, come prova della sua colpevolezza. Sono inoltre da considerare confessioni non attendibili, o non sostenibili durante le fasi processuali, quelle ottenute dopo periodi di isolamento, di paura, con ansietà, sotto gli stimoli della fame, dopo insonnia protratta, in fase d’ira, di angoscia, di dolore... Sono tutte condizioni in cui vengono meno le funzioni razionali della mente e prevalgono le suggestioni emotive, per cui si ammetterebbe e confesserebbe qualsiasi cosa viene chiesta di ammettere o confessare. I tranelli psicologici che si insegnano alle scuole dell’Fbi: knowledge bluff – chi interroga comunica dettagli con il finto atteggiamento di saperne molto di più, facendo credere all’interrogato di avere delle notizie, da altre fonti, che in realtà non si hanno;
fixed line-up – indicazione del sospettato come colpevole da parte di finti testimoni; reverse line-up – l’interrogato viene falsamente accusato da parte di simulati testimoni di un reato molto più grave di quello di cui è sospettato; bluff on a split pair – mettere in mano all’indagato una finta confessione dattiloscritta del complice, che lo accusa della responsabilità del reato commesso; il dilemma del prigioniero – se gli imputati sono due, metterli uno contro l’altro, facendo credere a ciascuno che l’altroha confessato, accusandolo di correità, e sfruttando quindi la reciproca mancanza di fiducia”. Sicuramente Brigitte era stata perfettamente addestrata a tutte queste metodologie e sapeva il fatto suo. Nonostante tutto, all’infuori dei meccanismi psicologici e metodologie didattiche, Carlos partiva già da vincitore... Come sempre. Sapeva che l’enciclopedia del sapere e dell’abilità investigativa di Brigitte era stata in qualche modo alterata da quella sua grande ione per lui che le era esplosa dentro come un vulcano in eruzione rimasto inattivo per molti anni... E questo, sicuramente, oltre a trasgredire tutte le norme previste per una buona conduzione di un interrogatorio e di un’indagine, rappresentava un fatto estremamente anomalo ed inaspettato per l’investigatrice che, prima di allora, era sempre riuscita a mantenere una posizione altamente professionale e completamente distaccata dalle sfere personali degli indagati e/o sospettati. Ma, in effetti, non aveva mai incontrato prima una persona carismatica, misteriosa ed affascinante come Carlos. Nel frattempo, Aldo stava continuando le sue investigazioni in Sarajevo, mettendosi in contatto con la sua collega Brigitte ogni giorno, in modo tale da rimanere costantemente entrambi aggiornati sull’evolversi del caso. Aldo era riuscito ad estrapolare copia della denuncia di furto presso il Comando di Polizia ove si stava appoggiando, relativa alla misteriosa sparizione di quella lastra in ferro battuto sul quale era stato rinvenuto il cadavere mutilato di Fabjan e originariamente sistemata all’interno dell’obitorio dell’Ospedale Centrale di Sarajevo. La denuncia era stata sporta da uno dei responsabili della camera mortuaria 20 giorni prima del delitto. Nel corpo dell’atto di polizia giudiziaria, si leggeva che il furto poteva essere stato perpetrato durante la notte, presumibilmente tra le ore 20.00 e le successive ore 07.00, poiché l’ultimo
impiegato aveva terminato il proprio turno alle 8.00 di sera e un suo collega aveva iniziato il turno successivo al secondo orario indicato; la sera prima la lastra c’era e come per incanto, la mattina dopo era sparita senza lasciare traccia. Non vi era alcun segno di effrazione ed all’esterno, erano stati notati segni di pneumatici di un veicolo che, entrato dal cancello principale, si era fermato proprio davanti all’ingresso della camera mortuaria per poi ritornare verso l’uscita. Il manto stradale in questione era sterrato misto a qualche tratto erboso e si poteva facilmente intuire dalle tracce che dapprima il mezzo era vuoto mentre all’atto di allontanarsi, era stato chiaramente caricato con un peso. Sicuramente, in questo caso, della lastra in ferro battuto che tra l’altro era dotata di ruote e più facilmente manovrabile anche da una persona. Tuttavia, per caricarla successivamente sul veicolo, era necessario una seconda persona e questo veniva confermato dalla presenza di ulteriori impronte di scarpe. Avevano agito in due e sicuramente con una doppia chiave o addirittura con la complicità di una terza persona... magari uno stesso dipendente dell’obitorio. Ma un particolare curioso, veniva rappresentato dal fatto che, mentre le tracce dei pneumatici erano chiari da poter permettere il calco e risalire al tipo di veicolo, quelle di un solo paio delle scarpe erano assolutamente indecifrabili, poiché le rimanenti si vedevano chiaramente. Dava la netta impressione che fossero stati indossati dei calzari, così da coprire le caratteristiche delle suole e cercare quindi di risalire al tipo di calzatura. Ma perché nascondere solo un paio e non tutte? E a proposito di tracce, Aldo naturalmente era ritornato sul luogo del delitto. Il luogo era assolutamente isolato e nei dintorni non vi era alcuna abitazione e inoltre, non era stato possibile qui rilevare sia le tracce dei pneumatici che delle scarpe, le cui tracce confermavano comunque la presenza di due uomini; sembrava che avessero usato la stessa tecnica di quella utilizzata all’esterno dell’obitorio... Però con la differenza che sul luogo del furto della lastra, era stata resa visibile solo la traccia di un paio di scarpe e del veicolo, mentre all’esterno del capannone dove veniva rinvenuto il cadavere, era stato occultato tutto. Aldo, molto perplesso, non riuscendo a capire il senso di tutte queste manovre e pensando attentamente a queste accortezze, si stava veramente rendendo conto di trovarsi di fronte a dei veri professionisti del crimine e che non gli sarebbe stato per niente facile risolvere l’intricato caso. L’unica cosa di cui oramai era certo era che i ladri della lastra di ferro battuto erano gli stessi che avevano giustiziato Fabjan ma i particolari da chiarire erano ancora tanti. Venivano fatti tutti gli accertamenti del caso verso tutti i dipendenti della camera mortuaria ma, alla fine, tra tutti questi, ne emergeva uno... Il proprietario del veicolo le cui tracce coincidevano con quelle trovate all’esterno dell’obitorio.
Marko Tbilisy, 23 anni, bosniaco di origine polacca, tossicomane con numerosi precedenti contro il patrimonio e reati connessi alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Abitava da solo in un appartamento fatiscente alla periferia di Sarajevo, anche se ultimamente, stando ad alcune voci, qualcosa era cambiato economicamente per lui, notandolo con somme di denaro nettamente superiori alle sue possibilità. Entrambi i genitori erano morti da tre anni a seguito di un brutto incidente stradale in Germania, causato da un pazzo camionista olandese ubriaco fradicio. Il veicolo di Marko era un Fiat Ducato di colore grigio, immatricolato nel lontano 1998. Aldo aveva trovato regolarmente il mezzo in questione parcheggiato proprio sotto casa. Anche Marko si trovava in casa... All’ingresso dell’investigatore italiano nell’appartamento, accompagnato naturalmente da alcuni poliziotti locali, il ragazzo era in cucina, seduto e la testa riversa sul tavolo, guardando verso la finestra, come per vedere un raggio di speranza. Il braccio sinistro aveva ancora la siringa impiantata nella vena ed il laccio emostatico ancora serrato. L’altro braccio era scivolato e penzolava verso il pavimento. Indossava solo un pantalone del pigiama ma aveva appena fatto in tempo a bere l’ultima tazzina di caffè. Dopodiché, se ne era andato per sempre, stroncato a soli 23 anni per una overdose di eroina, probabilmente tagliata e comprata da chissà chi e chissà dove. Si era portato per sempre con lui tantissime cose che sarebbero state sicuramente utili per Aldo che, per la prima volta, stava avvertendo un inizio di sconforto con la sensazione di dover ricominciare tutto daccapo, dimenticandosi perfino del dolore e dalla tristezza di quel cadavere afflosciato come una marionetta senza fili. Tra gli oggetti personali in possesso di Marko, venivano in effetti trovate le chiavi di ingresso del cancello che dava accesso al cortile dell’obitorio e quelle della porta a vetri che permetteva l’ingresso ai corridoi che portavano nelle camere mortuarie. Il giovane era regolarmente autorizzato a detenerle ma Aldo era convinto del fatto che Marko non avesse partecipato direttamente al furto in questione e né tantomeno essere stato complice dell’efferato delitto. Era un tossicomane ed una pedina insignificante per poter ideare e concretizzare un delitto del genere nei confronti di una persona con la quale non aveva avuto mai alcun tipo di rapporto. Era stato sicuramente raggirato da qualcuno molto più abile e lucido che, in qualche modo, era riuscito a fare una copia delle chiavi ed ottenere in prestito il furgone con una banale scusa. E, trattandosi di un tossico, non era da escludere che, il suo compenso per i favori resi consisteva semplicemente in qualche dose e qualche spicciolo. A questo punto, Aldo doveva tentare di indagare tra le amicizie e conoscenze di Marko e tra i locali pubblici da lui frequentati maggiormente per scoprire eventualmente se in
quest’ultimo periodo si stava incontrando con qualcuno che era all’infuori della sua sfera di tossicomane e sbandato. Ad ogni modo, nel corso della perquisizione all’interno dell’appartamento, Aldo faceva sequestrare un paio di scarpe da ginnastica, le cui suole presentavano dei rilevi che si accostavano di molto a quelle trovate all’esterno dell’obitorio, oltre ad avere ancora attaccato alle stesse qualche filo d’erba. E infatti, sul terreno in questione, c’era anche qualche tratto erboso. Alle ore 10.00 Carlos ed il suo avvocato arrivavano puntuali come un orologio svizzero davanti al comando di polizia di P.zza di Spagna a Madrid, a bordo dell’autovettura condotta e di proprietà del legale. Carlos era vestito con un completo grigio chiaro, senza cravatta, con una elegante camicia bianca con gli ultimi due bottoni superiori aperti, lasciando intravedere la parte superiore del suo pettorale allenato e definito. La sua carnagione era perennemente abbronzata... Lui preferiva prendere il sole sulla spiaggia ma quando era impossibilitato, riusciva a fare qualche lampada in qualche centro benessere. Aveva sempre tenuto alla cura del corpo e della mente. Andavano di pari o... Per lui era assolutamente inconcepibile allenare una parte e trascurare l’altra. Dovevano lavorare in perfetta sinergia. Al polso sinistro portava un elegante orologio “Rolex”, costato circa 6000,00 Euro e comprato durante un suo soggiorno a Parigi, dopo aver guardato con immenso piacere una favolosa mostra di quadri del celebre pittore Pablo Picasso, riveduti abilmente da ragazzi autistici mediante minuscoli frammenti di mosaico e materiale elettrico, i cui fili erano stati utilizzati prevalentemente per fare fluenti chiome ad alcune donne ritratte. Erano semplicemente meravigliosi ed era stata veramente una forte emozione pensare al fatto che dei ragazzi con un problema serio come l’autismo, fossero stati in grado di compiere tali meraviglie. Encomiabili anche gli insegnanti la cui elevata professionalità e la buona dose di pazienza avevano permesso questo miracolo. Naturalmente in quell’occasione, Carlos acquistava un quadro che imitava la celebre opera “Les Demoiselles d’Avignon”, uno dei più celebri dipinti di Pablo Picasso. È un olio su tela, realizzato nel 1907, riferito al periodo del Cubismo, di misura cm 243,9x233,7. È conservato al MoMA di New York. Lo aveva pagato 750 Euro e lo aveva appeso alla parete dell’ingresso della sua abitazione di Praga. Dopo aver suonato al camlo, Carlos ed il suo avvocato facevano il loro ingresso, accolti direttamente dal Comandante del Commissariato di Polizia e dalla stessa Brigitte. Entrambi apparivano disponibili e abbastanza tranquilli, anche se l’investigatrice dell’Interpol celava dietro quel
suo leggero trucco, una emozione mischiata ad una certa concentrazione; l’emozione era dovuta al fatto di trovarsi di fronte quell’uomo che le aveva già procurato un orgasmo da sola sotto la doccia e la concentrazione legata chiaramente alla circostanza altamente professionale. Brigitte indossava un abito intero, aderente, facendo risaltare le sue sinuose ma non volgari forme; era di un tessuto molto leggero e fresco, con una fantasia di fiori dai colori tenui e caldi, con un sottofondo color rosa confetto. Le spalle erano completamente scoperte e solo due sottilissime spalline le sorreggevano l’abito, interrotto abilmente dalla protuberanza del suo seno assolutamente degno di attenzione e facendo evocare pensieri che andavano oltre l’immaginazione. Il vestito arrivava appena sopra il ginocchio e le gambe venivano ulteriormente slanciate da un paio di scarpe color marrone chiaro con tacco 12 e maggiormente evidenziate da una lucentezza data da una profumata crema idratante. Brigitte si sistemava alla scrivania facendo domande e scrivendo al computer, mentre l’ufficiale di polizia si limitava a sedersi accanto a lei in silenzio e guardando minaccioso Carlos. D: “Sign. Carlos Manzani, che professione svolge esattamente?” R: “Sono il titolare dell’Agenzia di protezione e sicurezza chiamata “Eagle”, con sedi in Madrid, Barcellona, Sarajevo, Praga e Bucarest.” D: “Quindi Lei di che cosa si occupa esattamente all’interno di questa attività?” R: “Mi occupo della parte amministrativa coadiuvato dalle mie segretarie e soprattutto della questione organizzativa, logistica ed addestrativa. In particolare, tratto direttamente con i clienti e, a seconda delle esigenze, organizzo i servizi con gli uomini, i mezzi e le armi”. D: “Come viene organizzato e selezionato il personale?”. R: “Mediante pubblicità e contatti personali nell’ambiente specifico, in quanto io stesso facevo parte delle forze speciali dell’esercito, nel reparto “Col Moschin”, praticamente fino a sette anni fa, individuati gli uomini, vengono addestrati in maniera specifica presso un centro di Addestramento nel nord della Spagna, da personale istruttore qualificato. Preciso che infatti sia gli istruttori che gli uomini da selezionare, sono comunque tutti ex appartenenti a forze
speciali di diverse forze armate, sia nazionali che internazionali. Il corso dura tre mesi sia a livello teorico che pratico. Naturalmente non tutti riescono sempre a superare l’addestramento. A volte, se la mia attività imprenditoriale me lo consente, partecipo anche io a l’addestramento ed all’istruzione del personale da selezionare. D: “Lei quindi è un perfetto conoscitore di tecniche da combattimento sia con armi che a mani nude?” R: “Certamente”. D: “Il giorno in cui il Sig. Andrej Branko era venuto presso la Sua Agenzia in Sarajevo per chiedere un servizio di protezione e sicurezza, chi era presente in quel momento nella sala riunioni oltre a Lei?” R: “La mia segretaria Liliane e due uomini personali della scorta del Sig. Andrej”. D: “Per quali motivi il Sig. Branko chiedeva un servizio da parte Sua se era già in possesso di una sua scorta?” R: “Negli ultimi due mesi, le minacce di morte mediante lettere anonime e telefonate, nonché atti veri e propri di vandalismo e tentativi di omicidio nei confronti del Sig. Branko, erano aumentati e quindi gli unici due suoi uomini della scorta non erano più sufficienti. Il motivo di tanto accanimento, a dire dello stesso Sig. Branko, era dovuto alla invidia generata dall’eccellente sviluppo della sua attività imprenditoriale connessa al settore dell’edilizia e facendo così diminuire l’attività di altri imprenditori che trattavano il medesimo settore”. D: “Nella circostanza, il Sig. Branko Le aveva fatto alcuni nomi in proposito?” R: “No, perché preferiva in caso parlare di questi particolari con le Autorità di Polizia”. D: “La Sua segretaria Liliane, sentita in merito alla vicenda, ha riferito che al termine del colloquio di lavoro, uscivano tutti tranne Lei stesso ed il Sig. Branko, intrattenendovi ancora all’interno della sala riunioni per circa mezz’ora. Mi sa dire di che altro avete parlato?”
R: “Abbiamo parlato esclusivamente delle condizioni economiche, vedendo di riuscire ad applicare un certo sconto al servizio richiesto, poiché il Sig. Branko, causa innumerevoli lavori di ristrutturazione presso la sua abitazione ed i suoi uffici danneggiati dagli atti vandalici, aveva dovuto affrontare pesanti spese economiche. Naturalmente io non manifestavo alcuna difficoltà al riguardo, applicandogli uno sconto del 15% sulla tariffa finale. Appare evidente che questo tipo di argomento doveva rimanere assolutamente riservato tra il sottoscritto ed il Sig. Branko”. D: “Dopo quell’incontro, vi siete visti e/o sentiti nuovamente?”. R: “Certamente. Dopo la firma del contratto, per me è assolutamente indispensabile rimanere in contatto personale, mediante email e telefono, sia per discutere eventuali problematiche economiche che organizzative. Ogni possibile problema viene immediatamente risolto. Affidabilità ed efficienza sono le parole d’ordine della mia Agenzia. Se così non fosse, mi sarebbe stato impossibile aprire e mantenere un’attività del genere. Indipendentemente dai soldi, la gente che si sente in pericolo per qualsiasi cosa, ha bisogno di sentirsi protetta e rassicurata. E io sono in grado di dare tutto questo”. Con questa ultima affermazione, Carlos aveva voluto dare appositamente un doppio senso... Nel contesto dell’interrogatorio, approfittando nel parlare del preciso obiettivo dell’Agenzia, le aveva dato anche un messaggio subliminale collegato a Carlos il giustiziere... Stava a lei saper interpretare ed individuare quelle verità e dimostrare che erano tali. Carlos stava continuando a giocare con Brigitte e iniziava a divertirsi come un adolescente neo patentato. Brigitte, da parte sua, cercava sempre più di nascondere una certa ansia. Era fortemente combattuta tra la voglia ed il dovere di risolvere il caso e quella di conoscere più a fondo quell’uomo misterioso ed affascinante. Si stava inconsapevolmente mordendo sempre più quelle fantastiche labbra. E Carlos avrebbe voluto molto volentieri partecipare a quell’attimo... Ma anche questo, era solo questione di tempo. D: “Lei non ha mai avuto la possibilità, tramite il suo lavoro, di conoscere la vittima, ovvero il fu Sig. Fabjan Milkovic?”. R: “No”. D: “Mi saprebbe dire dove Lei si trovava nella notte del 14 febbraio del corrente
anno?”. R: “Mi trovavo in uno dei locali più belli e famosi di Sarajevo, da solo, per bere una buona birra, prima di andarmene a dormire. Il posto si chiama “PIVNICA HS” ed è posto nella Franjevacka 15. Il titolare può confermarlo; lui stesso mi ha servito e a lui ho pagato la consumazione. Sono arrivato verso mezzanotte e sono andato via circa alle 02.00 del giorno seguente. Da lì sono andato direttamente a casa a dormire”. Brigitte, mentre scriveva al computer, stava analizzando che, le indagini svolte avevano stabilito che la morte risaliva proprio in quel medesimo arco di tempo. Se a questo punto il gestore del locale confermava la versione fornita da Carlos, le indagini retrocedevano un’altra volta. Brigitte stava proprio avvertendo la forte sensazione di essere stata catapultata in una sorta di centrifuga a seguito della quale ne usciva a pezzi; lei non era abituata a questo perché solitamente era sempre stata l’investigatrice dell’Interpol a scatenare questo fenomeno nei confronti delle persone sospette. Questo la stava facendo irritare e più sentiva la rabbia, più perdeva il controllo della situazione. Tutte le previsioni di Carlos erano state perfettamente azzeccate. Brigitte quindi doveva interrogare il gestore del locale, mentre a Sarajevo il collega Aldo, a seguito della morte per overdose di Marko, doveva appurare se tale evento poteva essere collegato al delitto per cui si stava indagando. Qualcuno poteva avergli dato appositamente una dose tagliata male per non farlo parlare? Inoltre, mancava ancora da verificare se le tracce delle scarpe rilevate sul terreno all’esterno dell’obitorio potevano corrispondere a quelle sequestrate in casa di Marko e chiarire invece il mistero dell’assenza di impronte precise sia del veicolo che delle calzature nelle adiacenze del luogo del delitto. Però, mentre all’obitorio risultavano dalle tracce la presenza di due uomini, sul luogo del delitto sembrava che ci fosse stata solo una persona. Sicuramente la stessa che aveva occultato in qualche maniera i rilievi delle proprie calzature sul posto del furto... Apparentemente non aveva alcun senso ed era in concreto una delle tante incognite che stavano facendo impazzire Aldo. “Il mistero non esiste che nelle cose precise”. (Jean Cocteau, 1951). A questo punto, Brigitte chiudeva il suo interrogatorio, visibilmente delusa, accompagnata dallo sconforto dell’Ufficiale di Polizia seduto al suo fianco. Si
era frantumato un sogno di gloria. Solo in quel momento, stranamente, Carlos faceva caso alla collana che portava l’investigatrice. Si trattava di una cosa semplice ma che destava per questo una certa attenzione, in particolar modo la pietra che era appesa ad essa e che andava a cadere dolcemente sull’inizio della divisione del seno. La pietra era un “quarzo citrino”, usata solitamente, per quanto riguarda i disturbi fisici, va ad agire nei tic nervosi, nei disturbi di stomaco e della vescica; lavora su milza e pancreas. Per quanto riguarda le disarmonie psico-emotive, sulla depressione e sull’attaccamento a pregiudizi. Come proprietà, amplifica il senso del dovere e può essere di aiuto a prendere le decisioni giuste nel lavoro e negli affari. Rafforza la fiducia in se stessi, rende più tolleranti nei confronti degli altri. E’ inoltre un antidepressivo. Si usa sul 3° chakra, ovvero il plesso solare. Carlos conosceva perfettamente il profilo terapeutico di 38 cristalli... Lo aveva studiato con grande interesse con il suo Maestro in Tibet, nell’ambito dei chakra. E, riconoscendo il tipo esatto di pietra, si era reso immediatamente conto che, nei giorni antecedenti, non lo aveva mai notato, semplicemente perché era la prima volta che lo vedeva indossato. Brigitte, nell’attività logorante dell’indagine, evidentemente aveva sentito il bisogno e la necessità di un aiuto straordinario... Aveva avuto la necessità di questa particolare pietra adagiata sul suo plesso solare per cercare di rafforzare il desiderio di imporre la propria volontà direttamente sul mondo, affermando la propria personalità. Doveva raggiungere il suo scopo e sentirsi sicura e soddisfatta. Voleva qualcosa o qualcuno che le potesse dare la giusta energia per prendere le sue scelte al momento opportuno e con il massimo risultato positivo possibile. Il fatto che avesse scelto l’ausilio di quella pietra, aveva ulteriormente spiegato a Carlos che tipo di donna fosse e la conferma che, dietro quella corazza da investigatrice, si nascondeva una persona dotata di certi valori spirituali... E questo, chiaramente, destava ancor più l’attenzione da parte di Carlos. Lui poteva darle tutto questo. E lei già lo sapeva. “Cercate di realizzare la forza che è in voi, cercate di farla uscire; in tal modo vedrete che tutto ciò che fate non viene da voi ma da quella verità che sta dentro di voi... perché non siete voi, ma qualcosa all’interno di voi”.
(Sri Aurobindo”). Dopo le sottoscrizioni delle copie dei verbali di interrogatorio, venivano scambiati i saluti. La stretta di mano tra Carlos e Brigitte era durata più del previsto. Ma quel contatto delle mani tra l’investigatrice dell’Interpol e quell’uomo così affascinante e sotto molteplici aspetti così misterioso e tenebroso, era bastato a Carlos nel percepire quell’ondata di calore che quella donna trasmetteva. I palmi dell’affascinante Brigitte erano leggermente sudati e questo faceva ricordare a Carlos per un brevissimo momento, quando lui stesso era alle prime esperienze come militare e, per l’appunto, in preda a forti emozioni e paure, provava la stessa cosa... Erano ati moltissimi anni da allora; oramai aveva imparato perfettamente a dominare le emozioni più forti, senza tuttavia risultare insensibile. Avere tutto sotto controllo, non significava agire come un freddo automa e non apprezzare le meraviglie che, a volte, anche questa vita è in grado di offrirti. Per esempio, la situazione che si stava creando con Brigitte, meritava di viverla fino in fondo ed estrapolare tutto ciò che poteva essere l’elisir di lunga vita ma, allo stesso tempo, cercare di controllare i propri movimenti e, almeno per ora, non fare trapelare troppo quella forte emozione. Del resto, non bisognava mai dimenticare che Brigitte era una investigatrice dell’Interpol mandata appositamente per indagare su quell’efferato delitto di cui lui era stato l’autore principale. La sua giustizia personale, aveva ancora parecchio da fare e doveva essere considerata ancora inarrestabile.
CAPITOLO 6
Mentre stava accadendo questo a Madrid, a Sarajevo Aldo si stava ancora prodigando per dissipare la matassa su questo caso intrigatissimo, senza sapere che tutte le sue mosse erano costantemente monitorate. Dietro di lui, l’immancabile ed invisibile BLACK, come sempre, spiava tutte le mosse dell’Ispettore al fine di riferire ogni possibile ed utile notizia a Carlos, il quale invece, momentaneamente, non era ancora sufficientemente libero di girare tranquillamente come avrebbe voluto, causa la presenza di un paio di detective che la stessa Brigitte aveva voluto mettergli alle costole da quando aveva concretizzato nella sua mente che quell’imprenditore di successo, poteva rappresentare la chiave di riuscita per risolvere questa indagine. Tuttavia, sia BLACK che Carlos, erano certi che, entro poco tempo, dopo l’apparente insuccesso dell’interrogatorio a carico di quest’ultimo, Brigitte avrebbe disposto l’annullamento del servizio di pedinamento e sorveglianza e fatto rientrare definitivamente i due “segugi”. Carlos li avrebbe mandati molto volentieri presso qualche importante centro di addestramento per affinare le proprie tecniche di pedinamento... Avevano ancora molto da imparare. Aldo si trovava nella stanza del proprio albergo in centro a Sarajevo, intento ad esaminare quelle scartoffie sparpagliate sulla scrivania ma messe secondo una sua logica, per cercare di carpire più informazioni possibili... Era già da un paio di ore con gli occhi fissati su scritte, foto, rapporti, relazioni, appunti, come ipnotizzato... Ma tra tutta questa documentazione, si era accanito sul particolare delle impronte all’esterno dell’obitorio e del capannone luogo del delitto. Nella sua mente, a tal proposito, riassumeva... Sul luogo del furto, visibili le impronte del mezzo ed identificato facilmente; era stata constatata la presenza di due uomini, ma solo uno di essi non aveva usato alcuna precauzione per una eventuale identificazione ed anche qui quindi, rilievi visibili che alla fine avevano confermato che si trattavano delle scarpe ginniche trovate nell’abitazione di Marko, il ragazzo tossico rinvenuto morto per una presunta overdose, in attesa della conferma delle analisi. Mentre l’altro complice, aveva occultato in qualche maniera le suole impedendone i relativi esami tecnici. Si era soltanto risalito alla presunta altezza e peso dell’uomo misterioso, visionando la grandezza dell’impronta e il grado di profondità impressa nel terreno... Poteva
trattarsi di un uomo di circa mt. 1,80, calzatura n. 43/44, per un peso approssimativo di circa 85 Kg. Ma perché era stato fatto in modo da poter risalire abbastanza facilmente al furgone e a Marko, mentre il complice doveva stare il più anonimo possibile? Per quanto riguardava invece sul luogo del delitto... Vi erano sempre due uomini ma questa volta entrambi con le calzature camuffate e così anche le ruote del mezzo usato! Si poteva solo ipotizzare che uno dei due uomini era lo stesso che si trovava in compagnia di Marko all’obitorio... Infatti la lunghezza delle scarpe coincideva con quelle rinvenute all’obitorio e anche quella del complice riportava più o meno la medesima misura e doveva avere verosimilmente le stesse caratteristiche fisiche del complice. In mezzo a tutto questo mondo di incognite, non era da meno il fatto che l’autopsia sul corpo martoriato di Fabjan, aveva appurato la presenza nel sangue della potente “Tetradotossina”. L’utilizzo di questo potentissimo veleno, dava l’ennesima dimostrazione di trovarsi davanti ad una autentica mente criminale ma nel contempo molto lucida e ben addentrata anche nell’ambiente medico o comunque una persona di un certo livello culturale. Infatti, l’autore del delitto era stato abile nel somministrare a Fabjan la quantità di dose perfetta in maniera tale da non farlo morire all’istante ed assistere involontariamente mediante uno specchio collocato proprio sopra di lui sul soffitto, tutto ciò che gli stava accadendo... E dove si era procurato questo micidiale veleno? In nessuna struttura sanitaria vi era stato ufficialmente un furto di questa sostanza e né fino ad ora era stata presentata alcuna denuncia al riguardo da parte di altri organi o medici. Le vene temporali di Aldo erano sempre più gonfie e iniziava a farsi sentire la stanchezza ed una forte emicrania... Aveva bisogno di aria e di svagarsi un attimo, sperando che quel breve momento di stacco lo avrebbe aiutato a ragionare meglio e individuare così dove doveva fare e come utilizzare le prossime mosse. Dopo aver spento la luce della lampada presente sulla scrivania ma lasciando le carte così come si trovavano, prendeva il giubbetto ed usciva, desideroso di camminare per la strada e bersi una buona birra. Magari facendo qualche conoscenza interessante. D’altra parte, era un uomo e come tale, sentiva la necessità di uno sfogo sessuale che lo avrebbe sicuramente aiutato a distendere i nervi. Sapeva dove andare più o meno... Anni addietro aveva partecipato ad una missione di pace in quella città e, anche se molte cose erano cambiate, sapeva come muoversi. Più tardi, avrebbe chiamato telefonicamente la collega Brigitte per l’aggiornamento della situazione.
Mentre Carlos si stava allontanando a bordo dell’autovettura di proprietà e condotta dal suo legale, si avvedeva della presenza di Brigitte ferma sulla soglia della porta d’ingresso del Comando di Polizia, ferma immobile, con le braccia conserte e con un apparente sguardo smarrito ma che in realtà stava fissando i due uomini che stavano dirigendosi verso la vicina P.zza di Spagna. Gli sguardi di Brigitte e Carlos avevano così per una frazione di secondo la possibilità di incrociarsi, fino a scomparire subito dopo, fino a che la donna rappresentava solo una figura molto lontana. Nonostante tutto, a Carlos sembrava di portare ancora il suo profumo addosso, invadendo tutta la macchina dell’avvocato che stava ancora commentando lo svolgimento dell’interrogatorio, intervallato da qualche suo racconto inerente un presunto incontro galante che avrebbe dovuto avere nella serata stessa, con un uomo molto interessante di origine argentine e di famiglia facoltosa, conosciuto durante un concerto a teatro avvenuto un paio di mesi addietro, in Madrid. Carlos in realtà in quell’occasione si limitava più che altro ad annuire e a proferire qualche parola molto stringata... Non aveva voglia di dialogare su questi argomenti e né poteva stare completamente zitto per educazione. Era sempre il suo avvocato. Inutile dire che la maggior parte dei suoi pensieri, anzi, tutti, erano focalizzati su Brigitte. Quella donna era stata in un certo qual modo manovrata e pilotata dallo stesso Carlos ma ora lui stesso iniziava a percepire una forte attrazione che andava oltre alla semplice curiosità. Erano a circa 1 km da casa, quando Carlos chiedeva all’avvocato Gutierrez di accostare e fermare il veicolo perché aveva intenzione di proseguire a piedi. Dopo essersi messi d’accordo di stare in contatto ed essersi salutati, Carlos si incamminava con o lento e tranquillo verso la sua abitazione. Era il mese di maggio, l’aria era alquanto gradevole e già si sentiva l’incanto dell’arrivo dell’estate che stava scalpitando dietro le nuvole bianche come lo zucchero, desiderosa di abbracciare la terra e scaldare i cuori. Quello di Carlos era già particolarmente caldo e eggiando in mezzo alla gente festosa e chiassosa, si accorgeva, forse per la prima volta, che era un uomo in mezzo ad altra gente e non un individuo nell’ampiezza della solitudine. Entrava in un uno dei tanti bar presenti nella “calle”/strada, ndr.), e ordinando un calice di vino rosso, si sedeva al bancone, mangiando alcune olive verdi snocciolate. Aveva già sorseggiato quasi la metà del suo bicchiere, quando giungeva una chiamata sul suo secondo telefono cellulare, il cui numero praticamente cambiava spesso mettendo di volta in volta una scheda diversa... Sul display appariva il nome di “Doc. FACE-OFF”. Era lo pseudonimo di un medico chirurgo di 60 anni, specialista nel settore del
maxillo facciale e grandissimo esperto in materia tecnologica/informatica originario della repubblica ceca, abitante a Bucarest, in Romania, nel quartiere vicino alla Piata Universitati. Il suo vero nome era Bolek Vladislavi, era stato radiato dall’albo dei medici anni addietro, perché sospettato di svolgere arbitrariamente strani esperimenti su cadaveri, sottratti da terzi dai cimiteri, nell’ambito di un’indagine condotta dalla Polizia della capitale ceca, relativa ad una serie di delitti di alcuni uomini e donne facenti parte della buona società. L’inchiesta, durata circa 6 mesi, appurava che, per quanto riguardava i delitti in questione, l’assoluta estraneità di Bolek che invece era colpevole del trafugamento dei cadaveri dai cimieri ed obitori (in realtà vi erano altre persone che facevano questo al suo posto), sui quali compiva delle asportazioni totali delle facce, scambiandole le une con le altre. Voleva dire che il fu Sig. X, si vedeva addosso la faccia del fu Sig. Y e viceversa... Alcune operazioni erano state risultate molto grossolane, soprattutto quelle iniziali, mentre quelle finali presentavano già qualche segnale di riuscita... Questi esperimenti venivano svolti in un sotterraneo adibito a sala operatoria presente nella sua abitazione, dove tra l’altro veniva rinvenuto un ingente materiale elettronico/informatico degno del laboratorio della NASA. Nessuno aveva mai saputo in realtà che cosa fe con tutto questo e per quale fine... Nessuno tranne ovviamente Carlos che, quando aveva avuto la opportunità di conoscerlo personalmente, era rimasto stupefatto, aprendogli ancor più la mente per i propri progetti che, effettivamente, più avanti, si sarebbero concretizzati. Innanzitutto, perché il nickname di “FACE-OFF”? Carlos aveva tratto spunto ricordando il bellissimo film “Face/Off - Due facce di un assassino”, un film del 1997 diretto da John Woo e interpretato da John Travolta e Nicolas Cage. La trama del film era incentrata sui personaggi di Sean Archer (John Travolta) un agente dell’ FBI, e Castor Troy (Nicholas Cage), un terrorista, che a seguito di un intervento di chirurgia plastica all’avanguardia assumono rispettivamente l’uno le sembianze dell’altro. Quindi, non a caso era stato dato a Bolek questo soprannome... Tutto quello che faceva Carlos aveva una precisa spiegazione e niente veniva lasciato al caso. Si erano conosciuti molto tempo addietro, all’epoca in cui Carlos era in servizio nelle forze speciali dell’esercito e con una sua squadra si trovava per l’appunto nella capitale della Repubblica Ceca, per un servizio di protezione di alti personaggi dei Servizi Segreti italiani che dovevano partecipare ad un summit di una certa consistenza presso la sede principale dei Servizi Segreti locali. L’oggetto di questo grande meeting era incentrato ufficialmente su una rilevante eventuale cooperazione tra il nostro Paese e quello della Repubblica Ceca, in relazione al lavoro che veniva svolto da questi Uffici
particolari che avrebbero dovuto unire le proprie forze e mezzi per contrastare il terrorismo internazionale. In realtà, dietro si celava una delle tante e solite manovre governative italiane legate alla particolare posizione strategica della Repubblica Ceca nel cuore dell’Europa grazie ad alcuni temi economici ed energetici. L’industria, che oggi conta per il 37% del pil, è un settore chiave dell’economia e del commercio. La tradizione industriale ceca si è infatti consolidata già a partire dal 19° secolo, quando le regioni della Boemia e della Moravia, nel cuore dell’Impero austro-ungarico, furono un centro vitale della rivoluzione industriale europea. Principali industrie sono quelle di autoveicoli, macchinari, ferro e acciaio, prodotti chimici ed elettronica. Il paese esporta soprattutto macchinari (53% del totale delle esportazioni) e il maggiore partner commerciale è la Germania, che da sola conta per il 32% del totale delle importazioni e delle esportazioni, seguita da Slovacchia e Polonia. Avendo una forza lavoro qualificata e infrastrutture sviluppate, la Repubblica Ceca ha inoltre attratto ingenti flussi di investimenti diretti esteri, che hanno contribuito alla crescita economica nel primo decennio del 21° secolo. Ha inoltre notevoli riserve di carbone, principale fonte energetica che conta per il 40,4% dell’energia totale consumata, ed è il terzo esportatore di elettricità nell’Unione Europea, dopo Francia e Germania – elettricità prodotta per il 60% proprio dal carbone. Il governo ceco mira a rafforzare la sicurezza energetica e a mantenere il ruolo di esportatore netto di elettricità attraverso un mix energetico diversificato e la massimizzazione dell’uso delle proprie risorse, tra le quali carbone, uranio ed energie rinnovabili. Praga importa un quarto del proprio fabbisogno energetico e, avendo limitate riserve di petrolio e gas, il paese è fortemente dipendente dalle importazioni di idrocarburi. La Russia ha continuato a essere l’unica fonte di petrolio fino al completamento, nel 1995, dell’oleodotto che a dalla Germania e fornisce petrolio proveniente dal porto italiano di Trieste. L’Italia, aveva visto nella Repubblica Ceca un probabile alleato con il quale discutere facilmente per sopperire a delle risorse energetiche ed economiche che qualcuno, all’epoca, stava iniziando a considerare a rischio per il futuro dell’Italia, dando via così a questa coalizione e approfittando così ad unire le forze nell’ambito dei servizi militari e segreti. L’ufficio del Ministero dell’Interno che si occupava di analisi sul terrorismo aveva concluso che nella Repubblica Ceca non vi era grave rischio di attentati, ma la situazione complessiva era imprevedibile e l’appartenenza del paese alla Nato, così come la sua presenza militare in Afghanistan, erano fattori che incrementavano potenzialmente le minacce di attacchi terroristici.
Nel 2007 il paese aveva avviato il negoziato con gli Stati Uniti circa il progetto di una base di difesa missilistica statunitense sul territorio ceco, ma il presidente Barack Obama aveva deciso di non implementare questo progetto e di elaborare al suo posto un sistema finalizzato a intercettare i missili iraniani a corta gittata attraverso delle postazioni navali mobili. Il dott. Bolek Vladislavi, oltre ad esercitare la sua professione di medico chirurgo, all’epoca collaborava segretamente con il “Servizio di Sicurezza e Informazioni” (Bezpečnostní informační služba BIS) e con l’Ufficio che si occupava di “Informazioni Militari e Polizia Segreta” (Vojenské zpravodajství). Venivano molto apprezzate le sue informazioni e soprattutto il suo operato nell’ambito dell’informatica e chirurgia avanzata, che rappresentava veramente livelli impensabili. In realtà neanche Carlos era mai riuscito a sapere fino in fondo tutta la verità che si nascondeva dietro le molteplici attività del dott. Bolek e tantomeno quali erano state le modalità attraverso le quali questi misteriosi Uffici avevano richiesto proprio la sua collaborazione. Ma, più avanti, lo stesso Carlos, avvalendosi del suo prezioso lavoro proprio qualche mese prima dell’omicidio di Fabjan aveva iniziato ad intuire il perché dell’importanza di quest’uomo. E infatti, come tutti quelli che agiscono in questi ambienti, si era creato immancabilmente più di un nemico, proprio all’interno della Polizia Segreta, dove qualcuno stava praticamente facendo il doppio gioco con un’altra potenza straniera... Forse la Russia... La corruzione del resto era un fenomeno dilagante. Attraverso queste spie, presumibilmente quindi i Servizi Segreti Russi ( Federalnaya Sluzhba Besopasnosti FSB) (ex KGB) - Servizio Sicurezza Federale -, erano venuti a conoscenza della sua identità e di quello che era in grado di fare questo medico, ritenuto troppo pericoloso per una miriade di motivi politici/ militari. Una sera, uscendo di casa con la famiglia composta dalla moglie e dal figlio di 20 anni, si metteva al posto di guida dell’autovettura; la moglie si era sistemata a fianco e il figlio sul sedile posteriore, proprio dietro la donna. Il dott. Bolek girava la chiave d’accensione ma, avviandosi il motore, la famiglia poteva udire la chiusura automatica ed immediata delle serrature, impedendo così l’uscita dal mezzo. In contemporanea, nell’abitacolo iniziava ad uscire monossido di carbonio. Il monossido di carbonio è un gas velenoso particolarmente insidioso in quanto inodore, incolore e insapore. La sua molecola è costituita da un atomo di ossigeno e un atomo di carbonio legati con
un triplo legame (costituito da due legami covalenti e un legame dativo). Questo gas velenoso è particolarmente tossico perché legandosi saldamente allo ione del ferro nell’emoglobina del sangue forma un complesso molto più stabile di quello formato dall’ossigeno. La formazione di questo complesso fa sì che l’emoglobina sia stabilizzata nella forma di carbossiemoglobina che, per le sue proprietà allosteriche, rilascia più difficilmente ossigeno ai tessuti. L’intossicazione da monossido di carbonio conduce ad uno stato di incoscienza (il cervello riceve via via meno ossigeno) e quindi alla morte per anossia, ovvero una diminuzione o totale mancanza di ossigeno. Tutta la Famiglia Vladislavi si dimenava all’interno dell’auto, con la mano alla gola e cercando di aprire le portiere, con la bocca aperta alla ricerca inutile di ossigeno. Da subito senza forze, non riuscivano neanche a rompere i vetri. La situazione stava precipitando sempre più. L’umanità stava perdendo una delle menti più geniali che era stata mai creata; e con lui, tutta la sua famiglia. Fortunatamente, i Servizi Segreti italiani avevano lavorato abbastanza bene a seguito di alcune informazioni assunte e, seppur in ritardo, arrivavano in massa, unitamente ad alcuni componenti dei Servizi locali, per salvarli... Insieme a tutti loro, Carlos con la sua squadra ed altri paritetici componenti di quelle della capitale ceca. Mentre veniva organizzata una cornice di sicurezza nelle immediate adiacenze del luogo, membri dei Servizi Segreti italiani e non spaccavano i vetri, riuscendo così ad estrarre dall’auto tutti e tre che, nonostante la mancanza di fiato, tutto sommato stavano bene... Semplicemente perché erano vivi! Venivano fatte le prime operazioni di primo soccorso; erano tutti comprensibilmente agitati ma il dott. Bolek sembrava apparentemente tranquillo... Dava l’impressione che se lo sarebbe aspettato prima o poi e ora quel momento era arrivato. Rischi del mestiere. Veniva dato ordine a Carlos ed alla sua squadra di scortare la famiglia all’interno della propria abitazione; improvvisamente, da una macchina parcheggiata a circa 100 metri dall’ingresso dell’abitazione, spuntavano due individui armati di fucile d’assalto AK-47 (kalashnikov, ndr.) ed incappucciati con un mefisto nero. Quelli più esposti alla loro linea di tiro era proprio Carlos e la moglie del medico. Istintivamente, l’apertura del fuoco dei due malviventi era stata quasi simultanea a quella di Carlos e della sua squadra. Carlos si buttava a terra coprendo con il proprio corpo quello della donna, rimanendo leggermente ferito di striscio alla spalla destra ma uccidendo uno dei due all’istante, mentre il complice veniva crivellato di colpi e ridotto come una groviera svizzera da tutto il rimanente
personale. Alla fine, non si potevano neanche contare i bossoli lasciati a terra, come del resto i buchi che avevano i corpi dei due sconosciuti che venivano immediatamente identificati in due agenti facenti parte proprio della Polizia Segreta della Repubblica Ceca. Avevano lasciato che si sporcassero direttamente loro le mani e messi lì proprio nell’eventualità che qualcosa fosse andato storto. E infatti così avveniva. Ma per loro. Questo era stato in pratica l’episodio che aveva fatto conoscere direttamente Carlos ed il medico il quale, visibilmente commosso, non aveva mai finito di ringraziarlo abbastanza per aver messo in gioco la sua vita per salvare quella della cara moglie, alla quale era affezionatissimo e legatissimo. Il dott. Bolek, da quel giorno, aveva instaurato un particolare ed inossidabile legame con Carlos, al quale ripeteva che gli era debitore a vita e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per ringraziarlo per l’atto che aveva compiuto. Grazie alla sua tempestiva reazione oltre l’immaginabile, sua moglie era ancora accanto a lui. E con loro, anche il figlio. Quando era venuto il momento di rientrare in Italia, il dott. Bolek dava i propri contatti telefonici a Carlos, pregandolo di non sparire... Grazie a lui, era nato un fortissimo sodalizio che si con il tempo si sarebbe rivelato di un’utilità inquantificabile. Carlos veniva a sapere dopo un paio di anni che il dottore aveva lasciato la propria collaborazione con la Polizia Segreta, ufficialmente a seguito per l’appunto dell’inchiesta che portava alla sua radiazione dall’albo dei medici nel contesto di un’indagine per una serie di delitti, costringendolo anche ad andare via definitivamente da Praga, trasferendosi in Romania ed esattamente a Bucarest, dove tra l’altro Carlos aveva un’altra sua Agenzia di Sicurezza e Protezione. Quando infatti lui doveva recarsi in quella città per il suo lavoro di imprenditore e seguire le attività del suo ufficio, non mancava occasione di contattarlo e trascorrere dei piacevolissimi momenti insieme a lui ed alla sua famiglia. Altrimenti, si sentivano molte volte, dimostrando continuamente che l’importanza della nuova amicizia era ancora sempre più ben radicata e la grande abilità nel campo della medicina da parte del dott. Bolek, si sarebbe rivelata per Carlos una fonte preziosissima di lavoro e soddisfazione. Era nato un concreto ed importante sodalizio. “La medicina è l’arte che insegna ad ammazzare” (Francisco G. de Quevedo y Villegas). Carlos, lasciando mezza oliva sul tovagliolo, rispondeva immediatamente al telefono, salutando con il massimo entusiasmo il dott. “Face off”, il quale
contraccambiava la sua gioia. Dopo i discorsi di circostanza, il medico chiedeva se ci fosse qualche comunicazione per lui nella casella postale a lui conosciuta nella città di Bucarest. Avuta risposta affermativa, i due si salutavano nuovamente, promettendosi di risentirsi presto. Non a caso, Carlos anni addietro aveva aperto una delle sue Agenzie di Sicurezza e Protezione nella città di Praga. All’epoca vi abitava ancora il dott. Vladislavi e, come detto, ogni qualvolta che l’ex appartenente alle forze speciali del IX Reggimento “Col Moschin” si recava nella capitale ceca, non mancava di incontrarsi con il medico. E proprio durante una cena avvenuta presso l’abitazione del dott. Bolek, approfittando della momentanea assenza della moglie e del figlio che erano andati ad una cena da alcuni parenti, Carlos, proprio come era avvenuto con l’amico “BLACK” mangiando qualcosa a casa sua in Romania, i discorsi erano tranquillamente entrati nella più completa confidenza, a seguito dei quali, il medico veniva a sapere della seconda attività di Carlos e i suoi propositi. Il dott. Bolek, da sempre stato un uomo ragionevolissimo, pratico e soprattutto intollerante ai tradimenti ed alle ingiustizie, sotto ogni forma di grado e livello, aveva dato il suo pieno appoggio a tutto ciò che il suo interlocutore avrebbe proposto. Insieme a “BLACK”, il dott. Vladislavi rappresentava per Carlos un cardine indistruttibile ed efficientissimo. E così in effetti avveniva... Il giorno stesso della brevissima conversazione telefonica tra il dottore e Carlos, il primo andava a ritirare il messaggio presente presso la casella postale dell’ufficio postale accordato. Si trattava di un corto resoconto di quanto fatto a Fabjan, facendo particolare attenzione alle operazioni chirurgiche svolte. Il dott. Bolek, finito di leggere le poche righe, si lasciava scappare un lieve sorriso con l’angolo destro della bocca e uscendo dai locali della Posta, si alzava il bavero dell’impermeabile dirigendosi verso un’edicola per comprare il quotidiano e leggerlo in tutta tranquillità su una delle tante panchine che si trovavano all’interno di un parco immerso nel verde poco distante.
CAPITOLO 7
Dietro il delitto di Fabjan, vi era stata una meticolosa preparazione... sotto tutti i profili. Del resto, un omicidio di quello stile, non poteva compiersi senza fare precedentemente degli accorgimenti che dovevano fare la differenza. Carlos aveva bisogno di quella specie di barella/lastra rubata all’obitorio, proprio per improvvisare una sorta di lettino da sala operatoria. Siccome risultava troppo difficile ed impegnativo andare in un ospedale per sottrarre una cosa del genere, data la sempre numerosa presenza di personale infermieristico e non, era caduta l’idea per l’appunto su un obitorio. Aveva certi orari di apertura e chiusura e, molto importante, quelle persone che seppur involontariamente stavano dentro, non avrebbero mai parlato... Conservavano un silenzio... tombale. Spostato a questo punto l’interesse sull’obitorio tra l’altro poco distante dall’ospedale, “BLACK” iniziava a fare quotidiani servizi di osservazione nei pressi e cercando di assumere più informazioni possibili in merito al personale che vi lavorava all’interno. Proprio in questa circostanza, aveva adocchiato Marko Tbilisy, sul quale intraprendeva una vera e propria indagine. Questa lo portava a conoscere tutti i suoi orari, le sue abitudini, le persone e luoghi frequentati e, qualcosa di molto interessante nel suo giovane ato. Il ragazzo, consumatore abituale di eroina, nonostante avesse solo 23 anni, celava nell’oscurità della sua triste esistenza, una pesante macchia. Circa due anni prima, durante uno dei suoi soliti incontri in casa propria unitamente ad alcuni suoi amici drogati, pronti ad iniettarsi la solita dose, vi era anche un ragazzino di soli 9 anni, fratellastro di uno dei giovani presenti che purtroppo, se lo era portato dietro. All’atto della consumazione della sostanza stupefacente, Mark riusciva a convincere il povero giovane a fare la sua prima esperienza nel giro. Era stata la sua prima e l’ultima volta... Dopo circa 2 minuti che lo stesso Marko aveva iniettato la “neve” nelle vene di Lukas (questo era il suo nome ndr.), quest’ultimo cadeva a terra, morendo per overdose. Inutile dire che tutti i presenti caricavano il corpicino senza vita di Lukas su una macchina di proprietà di uno di loro, buttandolo in un campo, facendo subito dopo una telefonata anonima alla polizia, avvisandola della presenza di un corpo nei pressi di un terreno abbandonato alle spalle di una fabbrica dismessa di tessuti. Così miseramente era finita la breve vita di Lukas. Il fratellastro Victor, naturalmente, riferiva alla propria famiglia che ne aveva
perdute le tracce nel momento in cui si era recato per un momento in un supermercato, lasciando Lukas fuori in strada ad aspettarlo. Uscendo, non lo aveva più trovato, non sapendo più nulla, fino all’avviso da parte della polizia. La sua storia appariva da subito non credibile ma, per una serie di motivi, il caso venne inserito come omicidio ad opera di ignoti. Non era escluso per BLACK, in futuro, di fare una sorpresa a tutti i ragazzi che si trovavano in casa di Marko in quella circostanza. Per tutto questo, Marko rappresentava un ragazzo utile allo scopo, in relazione alla barella e una persona da eliminare per quello che aveva fatto al povero Lukas. BLACK aveva visto che numerose volte, soprattutto dopo il lavoro, Marko andava a bere qualche birra al Pub di Envera Sehovica n. 15. Indossando sempre una barba posticcia ma fatta ad opera d’arte (materiale di questo genere ed altro ancora ne avevano in abbondanza Carlos e Black... ndr.), ed un cappello per non rivelare ad alcuno le sue reali caratteristiche fisiche, era riuscito ad entrare in contatto con il tossico e entrando sempre più in confidenza. Per questo, i due si trovavano spesso nello stesso locale, consumando molte birre (Marko... ndr.) pagate “generosamente” dallo stesso BLACK, il quale si era fatto are per una persona potente e piena di denaro, facendo intuire di avere molti contatti nel mondo della droga.Quando oramai questa pseudo amicizia si era consolidata ed essendo Marko convinto di aver trovato un vero contatto utile per procurarsi la droga migliore a prezzo scontatissimo, di ottenere qualche manciata di denaro in contanti ogni qualvolta ne avesse fatto richiesta e innumerevoli bevute di buona birra, BLACK ava subito al sodo. Una sera, quest’ultimo proponeva a Marko che, dietro compenso di alcune dosi giornaliere di eroina gratuite, un compenso iniziale di 500,00 Euro e una serie innumerevole di bevute, il prestito del proprio furgone per breve tempo e delle chiavi d’accesso all’obitorio per un furto di una barella. Dopo un’iniziale perplessità durata una frazione di secondo, il tossico accettava, ascoltando il piano di BLACK. Si davano appuntamento nei pressi del Ponte Latino il giorno seguente all’accordo, alle 02.00 del mattino; Marko arrivava con circa 15 minuti di ritardo... Per ulteriore sicurezza, BLACK aveva aspettato nascosto in un posto vicinissimo e dal quale poteva vedere chiaramente la situazione; voleva essere sicuro che il ragazzo non avesse portato qualcuno con sé. Vista l’assenza di pericoli, BLACK si avvicinava al mezzo e, una volta salito, ordinava al tossico di partire e dirigersi quindi verso l’obitorio. Arrivati all’ingresso, Marko scendeva ed apriva regolarmente la cancellata con la chiave in suo possesso e così anche con la porta interna dopo aver attraversato tutto il cortile. Solo in
quella circostanza, Marko si avvedeva che BLACK indossava dei calzari tipo chirurgo alle scarpe e, divertito, chiedeva il motivo di tale accorgimento. BLACK, rispondeva tranquillamente e distrattamente che non avrebbe mai voluto sporcarsi le scarpe nuove e, con il sorriso e stupore del ragazzo, entravano nell’obitorio. Grazie alla presenza di Marko, i due uomini andavano avanti rapidamente e, dopo aver percorso tre corridoi, scendevano in una sorta di scantinato, dove erano accatastate alcune lastre in ferro battuto usate per l’appunto per distendere i cadaveri. Dopo averla presa e portata all’esterno, la caricavano sul furgone; richiudevano la porta ed il cancello e, dietro indicazione di BLACK, i due si dirigevano nei pressi del vicolo Kazandziluk. Qui, veniva detto a Marko di scendere, aggiungendo che, a fine esigenza, avrebbe riavuto il furgone sotto casa e le chiavi nella cassetta della posta. Dopo aver consegnato a Marko per intanto la metà della somma pattuita, un paio di buste di eroina e la promessa di rivedersi molto presto, BLACK si allontanava. Arrivato nella strada chiamata Saraci, accostava sulla destra, dietro ad un altro furgone Ford Transit Van di colore grigio metallizzato. A bordo vi era Carlos. I due scendevano dai rispettivi mezzi e caricavano la barella/lastra al’interno del mezzo di Carlos. Subito dopo, i due si allontanavano per direzioni diverse. Carlos lasciava il proprio mezzo all’interno di un garage di sua proprietà nei pressi della sua abitazione (lo stesso veicolo con il quale quella sera caricava Fabjan, portandolo nel capannone, ndr.), mentre BLACK lasciava subito il Fiat Ducato di Marko sotto casa sua, lasciando le relative chiavi nella cassetta della posta, come d’accordo. Dopodiché, fatto pochi i, raggiungeva una via adiacente, dove aveva lasciato la propria autovettura, con la quale raggiungeva il proprio alloggio. Dopo un paio di giorni, BLACK tornava a fare visita a Marko direttamente a casa di quest’ultimo. Aveva con sé una busta di eroina, di qualità pessima e tagliata con pezzi di calcinaccio. Una dose mortale. Come promesso, Marko doveva morire e tacere per sempre, ponendo termine ad una squallida ed insensata esistenza. Il tossico, contento di rivederlo e soprattutto per avere di nuovo la disponibilità del furgone e soprattutto dello stupefacente gratuito, lo accoglieva come un fratello. Dopo essersi intrattenuto per soli dieci minuti, BLACK se ne andava, facendo cigolare la porta d’ingresso, emettendo un suono stridulo che ricordava una melodia di morte. Quella che sopravveniva a Marko subito dopo essersi iniettato la dose letale. Si afflosciava come una marionetta senza fili sul tavolo in cucina, nella stessa posizione in cui dopo tre giorni veniva rinvenuto da Aldo e da alcuni poliziotti bosniaci che lo accompagnavano. Si era
portato con lui per sempre quelle poche cose che avrebbero potuto essere d’aiuto agli investigatori. Il Ford Transit Van di Carlos, era stato adattato. L’ampiezza del mezzo gli aveva permesso di ricavare un doppio fondo in tutta la parte posteriore, riuscendo così ad occultare sia la barella/ piastra che il corpo di Fabjan. Se quindi per malaugurate ipotesi sarebbe stato fermato per un casuale controllo da parte della Polizia, ispezionando il veicolo non avrebbero trovato nulla, se non poche masserizie accatastate in maniera disordinata e senza alcuna importanza. E se gli avessero fatte domande sul motivo della sua presenza in quella zona brulla ed isolata, avrebbe detto che aveva voluto fare quella strada come scorciatoia per raggiungere il locale “Pivnica Hs”, di Franjevacka n. 15, per bersi qualche birra ed evitare quindi di fare l’altra strada principale effettivamente molto più praticabile ma che lo avrebbe fatto allungare il tragitto di ben 5 Km... Carlos avrebbe potuto usare direttamente il Fiat Ducato di Marko ma questo avrebbe innalzato il rischio di fare traballare qualsiasi spiegazione qualora venisse fermato da qualche pattuglia... Non sarebbe stato facile spiegare ai poliziotti che cosa avrebbe fatto a quell’ora tarda, in quella zona deserta, con un mezzo di proprietà di un noto tossico della zona e peraltro con un carico pericoloso, quale una barella/lastra oggetto di furto, il corpo addormentato di Fabjan e tutta l’attrezzatura che sarebbe stata utile ad un chirurgo. Ecco perché aveva optato per usare il proprio Ford Transit Van modificato che invece, sarebbe stato completamente fuori luogo se scoperto all’obitorio... Se infatti quella sera Marko sarebbe stato visto all’interno della camera mortuaria con il Fiat Ducato, naturalmente BLACK si sarebbe celermente nascosto o dato alla fuga e, allo stesso tempo, per il tossico era abbastanza normale che qualche volta dovesse portarsi all’obitorio a ore serali per sistemare qualche materiale. E, naturalmente, scoperto l’ammanco della barella, non sarebbe certo stato difficile così addossare il furto della stessa a Marko. Per quanto riguarda l’assenza di rilievi dei pneumatici del mezzo di Carlos, aveva semplicemente utilizzato quattro gomme completamente usurate, lisce come l’olio e oltretutto appartenenti ad un Fiat Ducato 18 cassone. Avrebbe rischiato solo in caso una contravvenzione per queste irregolarità. Nulla di più. Quelle buone e regolari, le aveva lasciate presso il garage dove aveva parcheggiato il Ford Transit. Era stato un banale accorgimento in mezzo a tutti i progetti perfetti ed altamente elaborati ma, a modo suo, efficace. Ma, quella notte, fortunatamente, Carlos non incontrava anima viva e poteva così agire indisturbato. Erano circa le 22.30 quando Fabjan usciva dai suoi uffici. Carlos, stava aspettando nei pressi con il suo furgone (questa era l’unica circostanza che se fosse stato visto o controllato dalla polizia, lo avrebbe fatto
desistere dal suo intento, ndr.). Dopo averlo sorpreso alle spalle ed avergli iniettato la dose di TETRADOTOSSINA, lo caricava sul mezzo, nascondendolo nel doppio fondo, insieme alla barella e la borsa da chirurgo. Dopo essersi rapidamente assicurato che non vi era nessuno in zona che avrebbe potuto vederli, si avviava verso il capannone. Percorso tutta la strada sterrata scarsamente illuminata, imboccava la stradina sulla sinistra rispetto al proprio senso di marcia, arrivando davanti all’ingresso posteriore. Dopo aver indossato dei calzari da chirurgo alle scarpe e dei guanti in lattice, scendeva e spingeva la porta in laminato tranquillamente aperta ma che provvedeva a richiudere alle sue spalle una volta entrato, con un grosso lucchetto, parcheggiando il veicolo dentro. Rimosso il doppio fondo, tirava fuori dapprima la barella alla quale aveva rimesso delle cinture in cuoio nuove, poiché le precedenti erano alquanto malmesse; posizionata al punto desiderato, prendeva una scala che teneva sul furgone, con la quale attaccava al soffitto mediante alcune catene, uno specchio, posto proprio sopra la barella. Sistemava la valigetta con tutti gli strumenti da chirurgo accanto alla stessa, indossava un camice verde come un autentico medico pronto ad affrontare una delicata operazione, comprensiva di cuffia e mascherina. Per ultimo, tirava fuori il corpo paralizzato di Fabjan che, avendo gli occhi sbarrati ed il corpo incapace di muoversi, si stava chiedendo in quale incubo fosse finito. Completamente denudato, lo distendeva sulla piastra in ferro battuto, lo legava, curando soprattutto che gli occhi rimanessero ben fermi immobili a fissare la propria immagine sullo specchio. La paura che Fabjan emetteva, veniva amplificata in quello specchio, rendendolo ancor più impotente e fragile. Dopo aver fatto scempio del suo corpo, puliva velocemente tutta l’apparecchiatura usata, si toglieva il camice, la cuffia e la mascherina, lasciandosi i calzari ed i guanti in lattice, sostituiti con un paio puliti. Tutto quanto veniva rimesso in un sacco e messo nuovamente nel doppio fondo del furgone; il giorno dopo sarebbero stati bruciati ed eliminati in questo modo altri possibili indizi. Per ultimo, estraeva da un contenitore in vetro i famosi coleotteri post mortem “Dermestid” e cosparsi sul cadavere di Fabjan. Riapriva il portone, riprendendosi il lucchetto, allontanandosi verso casa. Se fosse stato fermato in questo caso da una pattuglia, la versione sarebbe stata la stessa: stava ritornando dal “Pivnica Hs”, dopo aver bevuto qualche birra. Ma in questo caso, il gestore del suddetto pub, come aveva fatto a vedere Carlos se in quell’arco di tempo si trovava all’interno del capannone intento a mutilare il corpo di Fabjan? Ma, tutto aveva una logica ed un senso portato all’ennesima
potenza... Diceva Albert Einstein: “La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto”.
CAPITOLO 8
Brigitte, da Madrid, informava Aldo sulle recenti novità emerse a seguito dell’interrogatorio a carico di Carlos ed entrambi erano convenuti che a questo punto la donna doveva raggiungere il suo collega a Sarajevo per assemblare i pochi pezzi in possesso, ovvero interrogare il gestore del pub “Pivnica Hs”, cioè il luogo in cui avrebbe dovuto trovarsi Carlos nell’arco di tempo della consumazione del delitto, nonché qualsiasi persona che aveva a che fare con il locale di Envera Sehovica n.15 che era invece la birreria dove solitamente si incontrava Marko con BLACK, proprio per cercare di scoprire con chi maggiormente si stesse frequentando il tossicomane negli ultimi tempi. In realtà Brigitte non avrebbe voluto per ora muoversi da Madrid... Voleva stare in qualche modo ancora in contatto con Carlos ma sapeva allo stesso tempo che le sarebbe risultato difficile convincere il suo collega che la sua presenza era ancora necessaria nella capitale spagnola, lasciandolo solo a condurre le investigazioni in una città dove era iniziato tutto e il tutto si stava ancora svolgendo. In aggiunta, di concerto con i propri superiori in Bruxelles, aveva anche fatto interrompere il pedinamento nei confronti di Carlos, facendo rientrare nelle rispettive sedi dell’Interpol i tre uomini che erano stati messi alle sue calcagna. Tutto questo era stato perfettamente previsto. Ogni cosa stava andando secondo i piani. Brigitte componeva un numero di cellulare... Dall’altra parte rispondeva Carlos... Lo aveva chiamato un pomeriggio, dicendogli che lei sarebbe dovuta momentaneamente ripartire, non specificando la destinazione, e che quindi se lui avesse avuto bisogno di lei per qualsiasi motivo, avrebbe potuto tranquillamente chiamarla, magari approfittando di qualche novità o notizia in suo possesso che la avrebbe aiutata nella conduzione delle indagini. Carlos, molto compiaciuto di sentire la sua voce sottile e sensuale, si dichiarava assolutamente disponibile al riguardo, aggiungendo che, se era ancora in tempo, era disposto ad offrirle una cena in qualche locale nel centro di Madrid, allo scopo di farsi scusare per i disturbi e disagi arrecati, causandole una mole di lavoro non indifferente. Gli sarebbe dispiaciuto non avere questa possibilità prima che lei potesse partire; Brigitte, dopo un breve silenzio utilizzato per pensare, in un modo molto
insicuro, rispondeva che sarebbe stato per un’altra volta, in occasioni molto più favorevoli. I suoi superiori non sarebbero stati felici se lei fosse subito uscita a cena con un uomo che fino a poco prima era sospettato di avere un qualsivoglia legame con un efferato delitto. E lei pur sempre doveva conservare una certa figura professionale che l’aveva fatta arrivare fino ad ora in quella posizione così privilegiata e ricercata. Ad ogni modo, la freccia era stata lanciata bene e, dopo essersi salutati, Carlos chiudeva la comunicazione sorridendo e accendendo un paio di incensi per iniziare la meditazione. Dall’altra parte, una Brigitte nostalgica, dispiaciuta, impaziente e confusa. L’unica cosa che non riusciva ad appannarsi in lei era quella bellezza e quel fascino che tanto ricordava l’arrivo dell’estate con tutti i suoi giochi spensierati e i profumi più liberi ed intensi. Due giorni dopo la telefonata, Brigitte prendeva l’aereo che l’avrebbe portata nuovamente a Sarajevo. A Sarajevo, il particolare che l’ignoto omicida avesse fatto recapitare quel sinistro pacco contenente la faccia e i genitali di Fabjan direttamente al Comandante della Polizia, era stato da tutti interpretato semplicemente come un messaggio di sfida alle autorità investigative. In realtà, Carlos lo aveva mandato direttamente all’attenzione del Capitano Djurd Navid, perché sapeva che l’Ufficiale era sempre stato a conoscenza delle sporche faccende gestite da Fabjan, comprese le violenze fatte ai danni dei figli di Andrej. Tuttavia, lo aveva sempre coperto, in un modo o nell’altro. Il Capitano Navid lo faceva solo per avere un rendiconto economico da parte di Fabjan che, tutto sommato, aveva una buona disponibilità economica oltre che una buona cerchia di nemici. E infatti, quando vi era la possibilità, lo difendeva anche da questi, avvalendosi della propria investitura. Da quel giorno il denaro extra non entrava più nelle tasche del Comandante della Polizia, il quale in realtà non viveva molto più tranquillo, cercando di mascherare il più possibile questa paura ed insicurezza di fronte a tutti e, soprattutto in questo ultimo periodo, agli investigatori dell’Interpol con i quali era costretto a convivere praticamente quotidianamente. Se Brigitte e Aldo avessero saputo anche questa realtà, sicuramente Djurd avrebbe dovuto sconvolgere la propria vita e addirittura espatriare in qualche altro Paese disposto ad accettarlo con tutte le sue colpe e le sue ombre. Nonostante tutto, il suo destino era già stato deciso nel momento in cui gli veniva recapitato quel pacco di resti umani. Che umani poi, in realtà, non lo erano mai stati. Aldo,
durante una mattinata, all’interno dell’ufficio messogli a disposizione all’interno del Comando di Polizia, stava curando i punti su cui ancora investigare e, sapere che stava arrivando anche la sua collega Brigitte, in un certo qual modo lo confortava, lo faceva sentire meno solo nelle sue illusioni e nei suoi percorsi mentali che, ultimamente, sembravano non avere un inizio e né una fine. Le prime cose da fare, erano sentire i gestori e qualche avventore dei locali dove spesso si recava Marko per sapere chi negli ultimi tempi frequentasse e ogni altro utile particolare, nonché quelli del pub dove pare fosse stato visto Carlos proprio nell’arco di tempo in cui veniva consumato il delitto. Mentre scriveva appunti disordinati sul foglio di fronte a lui, Aldo si rendeva conto allo stesso tempo che, se non fossero venuti fuori elementi indiziari neanche da questi ultimi appigli, si sarebbero ritrovati in un baratro dal quale non poter più uscire. Ma, in qualità di investigatore, doveva tentare il tutto per tutto. D’altronde, la storia dell’umanità è costellata di delitti irrisolti, storie di crimini e misteri, assassini che si celano tra i volti di persone insospettabili. Nel mondo ogni giorno vengono commesse azioni che risaltano sotto gli occhi di tutti grazie ai mezzi d’informazione, ma nonostante le nuove tecnologie in alcuni casi le istituzioni brancolano nel buio. Per esempio, uno dei casi eclatanti di delitto rimasto irrisolto nella storia, era stato quello di Bela Kiss, detto il “Mostro di Czinkota”, nato il: 1877, le cui vittime accertate erano state 30, mediante strangolamento. Il serial killer ungherese Bela Kiss è una vera leggenda per i criminologi, non certo per la sua spietatezza ma per il modo in cui è riuscito a eludere le forze di polizia di ben due continenti, fino alla sua completa scomparsa avvenuta nel 1936. Partito con un duplice omicidio d’onore, Bela Kiss ha iniziato a prenderci gusto, ando da due a ventiquattro vittime in quasi quattro anni, dal 1912 al 1914. L’impunità di quello che è stato ribattezzato il mostro di Czinkota è stata soprattutto avvantaggiata dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e da tutto ciò che ne è derivato. La Grande Guerra ha infatti distolto l’attenzione da ogni problema interno, spostando il focus delle attività poliziesche solamente sul conflitto. Venivano chiusi entrambi gli occhi non soltanto sui crimini minori, come il contrabbando e la borsa nera, ma anche su omicidi e altri fatti di sangue. La Grande Guerra ha fornito a Kiss la possibilità di imbastire una latitanza che s’è risolta con una clamorosa scomparsa nel nulla. Se è vero che esiste il crimine perfetto, Bela Kiss c’è arrivato molto vicino. Della
vita privata di Bela Kiss si conosce molto poco. Nato nel 1877 in un paese poco distante da Budapest, Bela Kiss iniziò a industriarsi sin da subito svolgendo i lavori più svariati. Egli si dilettava anche nella lettura della mano, cosa abbastanza consueta in un paese dove la magia, specialmente fra gli zingari, era largamente diffusa. Nel 1900, a ventitré anni, Kiss si trasferì nel paese di Czinkota e qui subito iniziò a farsi ben volere da tutti, compreso il capo della polizia Charles Nagy, per la sua gentilezza e affabilità.Qui conobbe Marie, una bella ragazza molto più giovane di lui, con la quale si sposò dopo poco tempo. Approfittando delle frequenti assenze da casa del marito sia per motivi lavorativi che per semplice svago, Marie iniziò a intrecciare una relazione extraconiugale con un giovane del posto, un certo Paul Bikari. Scoperta la tresca, Kiss ordinò alla moglie di lasciare subito la sua casa. La sera stessa, mentre Marie era intenta a preparare i bagagli, il marito prima la stordì colpendola in testa e poi la strangolò con una garrota. La presa risultò così forte che il collo della donna venne letteralmente scarnificato.Per occultare tutto Kiss gettò il cadavere in un fusto pieno d’alcol. Paul Bikari riceverà lo stesso trattamento. In seguito i due bidoni vennero portati nelle campagne e lì abbandonati. Per stornare l’attenzione dell’opinione pubblica, che era già al corrente da molto tempo della relazione adulterina di Marie con Paul, Bela mise in giro la falsa voce della fuga della moglie. Per non rimanere solo Bela Kiss pubblicò un annuncio matrimoniale su una rivista, firmandosi sotto lo pseudonimo di Herr Hoffmann. All’annuncio risposero molte donne, desiderose di trovare una sistemazione stabile. La prima a presentarsi all’appuntamento fu Katherine Varga, una giovane vedova. Subito Kiss cominciò a parlare molto seriamente e a avanzare proposte di matrimonio. La sera stessa la donna venne percossa con brutale violenza, strangolata e infine messa in un bidone pieno di spirito, che poi venne abbandonato in cantina. Prevedendo di commettere altri omicidi, Kiss pensò bene di acquistare parecchi fusti, facendo insospettire il suo amico Charles Nagy, che gli fece domande in merito. Kiss si giustificò con Nagy adducendo come scusa la paura della guerra. Chiunque, infatti, in previsione di un conflitto avrebbe fatto subito scorta dei generi di prima necessità, compresa la benzina per un’eventuale fuga. La quarta vittima del mostro fu una certa Schmeidak, una vedova che si trattenne a casa di Kiss per ben due giorni. Fatta sbattere di testa contro una parete, venne successivamente strangolata con una garrota. Nel 1906 all’ennesimo annuncio matrimoniale di Kiss, rispose Margaret Toth, la quale rimase subito colpita dalla distinta figura di quell’uomo così affascinante. Stabilitasi nella casa dell’assassino, una sera Margaret fu obbligata da Bela Kiss a redigere una strana lettera, indirizzata alla madre nella quale venne annotato
che, essendo stata rifiutata dall’inserzionista, per la delusione se ne sarebbe andata in America. In questo modo Kiss si sarebbe assicurato un alibi di ferro, nel caso i sospetti fossero ricaduti su di lui. Margaret fu strangolata e messa in un bidone pieno d’alcol e subito dopo fu inviata la lettera alla famiglia. Oltre al capo della polizia, molti dubbi cominciarono a insinuarsi nella governante di casa Kiss, la signora Jakubec, la quale non riusciva a capacitarsi del gran numero di donne che entravano in quella casa, e che dopo due giorni ripartivano. Dopo Margaret, fu la volta di Julianne Paschak e Elizabeth Komeromi, le cui scomparse questa volta furono però regolarmente segnalate dai parenti. La polizia di Budapest si mise subito sulle tracce dell’ultima persona che aveva avuto contatti con le due donne scomparse e quindi non sarebbe stato difficile arrivare sino a Bela Kiss, che intanto verso la fine del 1914 era stato chiamato al fronte, per combattere nella Prima Guerra Mondiale. Data l’assenza dell’affittuario, il proprietario della casa vi si recò per ristrutturare le stanze, avendo intenzione di affittarle ad altre persone. Accortosi della presenza dei fusti per curiosità decise di aprirne uno. Fu sopraggiunto da un’acre fetore di materiale decomposto. Avendo compreso cos’era contenuto nei bidoni, decise di chiamare subito la polizia. Furono in tutto trenta i cadaveri rinvenuti nella casa degli orrori, compresi la moglie di Kiss e il suo amante. Oltre ai morti, il capo della polizia Nagy rinvenne nella casa tutte le lettere inviate all’assassino dalle sue ignare spasimanti. La notizia fece il giro di tutta l’Ungheria e ebbe l’onore della prima pagina su tutti i quotidiani nazionali. Il capo della polizia Charles Nagy disse a proposito di Bela Kiss: “Mi ricordo quando arrivò a Cinkota, era un bravo ragazzo di ventitré anni di bell’aspetto, gentile con tutti. Non sembrava in grado di far male neanche ad un animale. Una volta un cane si ruppe la zampa e lui lo curò e se lo portò a casa per nutrirlo. Non posso credere che abbia ucciso tutte quelle donne”. Avendo appreso la notizia, Bela Kiss con un colpo di grande astuzia si fece credere morto per poter sparire comodamente dalla circolazione. Il 4 ottobre del 1916 alle autorità di polizia di Budapest giunse la notizia che Kiss era morto in seguito ad una grave malattia, ma quando il corpo fu esaminato, gli inquirenti
scoprirono che quel cadavere non apparteneva al serial killer. Il vero Bela Kiss aveva dunque scambiato i documenti. Del mostro non si seppe più nulla per quattro anni, sino alla primavera del 1920, quando giunse una comunicazione dalla Sùrete di Parigi. Un legionario aveva riferito alla polizia di essere entrato in contatto con un soldato, rispondente al nome di Herr Hoffmann (lo pseudonimo già usato da Kiss per gli annunci), il quale si era vantato in più di una occasione, della sua abilità nello strangolare con la garrota. Ma era ormai troppo tardi per muoversi. Bela Kiss era già scomparso nel nulla. Dodici anni dopo, nel 1932, Henry Oswald, un agente della squadra omicidi di New York, riconobbe nella metropolitana un individuo rispondente alla descrizione di Kiss, il quale, accortosi di essere pedinato si dileguò in mezzo alla calca. In seguito le notizie sul “mostro di Cinkota” si fecero sempre più rare e imprecise. Nel 1936 una soffiata rivelò che Kiss lavorava come portiere in uno stabile, ma quando gli inquirenti si recarono sul suo posto di lavoro, stranamente il portiere se n’era andato da qualche giorno. Da allora Bela Kiss è letteralmente scomparso nel nulla. Ad Aldo era venuta in mente questa storia che gli avevano raccontato durante uno dei tanti corsi di criminologia. Non escludeva per niente che questo caso per cui stava indagando avesse il medesimo epilogo di Bela Kiss. E poi, sotto certi aspetti, trovava veramente buffo che, un serial killer di quella portata, avesse un cognome che in italiano si traduceva “bacio”... Nonostante questa parola conosciuta da tutte le persone con un minimo di sentimento, l’uomo dapprima seminava pseudo- amore per poi subito cancellarlo con la morte. Apparentemente senza motivo. La maggior parte dei delitti appaiono senza movente; l’efferato omicidio di Fabjan all’inizio era assolutamente inspiegabile ma, Aldo era sicuro a questo punto che si trovava di fronte ad una sorta di giustiziere. Ma, per eseguire una sentenza come questa, Fabjan aveva dovuto fare veramente qualcosa di impronunciabile secondo la mentalità dell’assassino, meritando così... una morte speciale. Non doveva sparire per sempre in silenzio e né in un modo classico. L’autore aveva intenzionalmente fatto quelle orribili mutilazioni per dare un segnale forte. E ci era riuscito. Durante le indagini, Aldo e la sua collega Brigitte avevano già interrogato tutti i presunti rivali/nemici della vittima, constatando la loro estraneità. Compreso quella di Andrej. Tuttavia, era certo che, tra tutti questi, vi era stato qualcuno che aveva assoldato un’altra persona per poter fare una cosa del genere. Ma chi? Da quale inferno proveniva l’omicida? Era una persona reale o una proiezione di ciò che tutti avrebbero voluto che accadesse? Perché asportare il viso ed i testicoli con una maestria tale da non farlo morire subito, addirittura iniettandogli la “Tetradotossina” e costringendo la vittima così ad essere l’involontario spettatore
della sua tragica fine? In aggiunta, discutendo con Brigitte sulla presenza dei coleotteri “Dermestid”, dava addirittura l’impressione che erano stati messi appositamente per fornire un ausilio maggiore per stabilire l’arco di tempo della consumazione del delitto e della conseguente morte, dato che la presenza di questi insetti su un defunto, consentono per l’appunto di risalire a questi dati. Per quale ragione allora l’assassino aveva voluto che l’ora del decesso fosse ben chiara? Era come se lo avesse effettivamente voluto... Un’altra incognita sospesa nell’aria... Tutto questo portava a pensare effettivamente che ci si trovava di fronte ad una persona completamente fuori dal comune e che avrebbe continuato a dare filo da torcere; si stava sempre più rivelando un caso destinato a rimanere irrisolto, scritto come racconto giallo/thriller e illustrato nei più grandi atenei di criminologia, andando ad arricchire i profili dei serial killer. I due investigatori, da quando avevano avviato le indagini sul delitto di Sarajevo, erano rimasti permanentemente in contatto con l’Uacv, in Italia (Unità per l’analisi del crimine violento), istituita nel 1995, e composta da ispettori, fisici, chimici, biologi, psicologi, periti balistici, grafici, disegnatori, informatici. Essa agisce ogni qualvolta avvenga un delitto considerato violento e a propria disposizione ha strumenti a dir poco fantascientifici, come computer in grado di ricostruire tridimensionalmente le dinamiche o di ricreare virtualmente e a dimensione umana gli eventi e i luoghi del misfatto. Fiore all’occhiello dell’Uacv è il Sacs, un sofisticato sistema di memorizzazione, inventato a Roma e poi adottato in tutto il mondo, che consiste in una vastissima banca dati contenente foto di migliaia di scene del crimine e informazioni su migliaia di crimini diversi, dall’omicidio alla rapina, il tutto memorizzato in un sistema informatico neuronale, ovvero che riproduce le attività di elaborazione utilizzate dal cervello umano. Nonostante tutto, non si era ancora approdato a nulla di concreto... A volte, una mente umana fuori dal comune per determinati e svariati fattori, , può rivelarsi nettamente superiore a tutte le tecnologie più sofisticate ed attrezzate. E Carlos lo era. “Guardatemi dall’alto in basso e vedrete un pazzo. Guardatemi dal basso in alto e vedrete il vostro Signore. Guardatemi dritto negli occhi e vedrete voi stessi”. Charles Manson (criminale, cantautore e musicista statunitense, famoso per essere stato il mandante di uno dei più efferati omicidi della storia degli Stati Uniti d’America, ndr.).
CAPITOLO 9
Il dott. BOLEK, seduto comodamente sulla poltrona di casa sua in Romania, ammirava con soddisfazione il contenuto del messaggio ritirato dagli Uffici Postali e scritto da Carlos “Operazione riuscita perfettamente. Operazione sotto tutti i profili... La mia mano si muoveva ma in realtà era la Sua caro dott. BOLEK... I suoi preziosi insegnamenti e consigli hanno fatto si che un’altra persona resasi responsabile di uno dei più atroci delitti che un essere umano possa compiere, sia stato giustiziato come meritava. Grazie ancora dott. BOLEK e teniamoci sempre in contatto. Insieme alla vita, ritengo altrettanto preziosa la nostra conoscenza ed amicizia”. F.to Carlos. Tenendo il foglio nella mano e rimanendo seduto, il dott. Bolek, alias “Face-off”, guardava fuori dalla finestra; si stava facendo sera e una impercettibile linea di colori vivi di un arcobaleno timido, faceva da palcoscenico al cielo che, in quel momento, sembrava prendere finalmente un po’ di pace dopo un violento acquazzone. Attraverso la finestra socchiusa, si insinuava una brezza fresca e leggera che entrava nel profondo delle narici, arrivando fino all’anima, simulando una sorta di lievitazione del corpo e un sovrastare ai problemi del mondo. Era una bellissima sensazione di libertà, data dalle nubi che stavano sparendo dando spazio ad un momentaneo palco multicolore nel cielo. Un uomo, o presunto tale, non c’era più in questa vita terrena, inquinando il suolo con le sue nefandezze. Nella mente del dott. Bolek, iniziavano ad insinuarsi delicatamente una serie di innumerevoli pensieri che andavano dall’entrata nei Servizi Segreti della Repubblica Ceca per i quali aveva prestato la sua collaborazione per tantissimi anni, alla sua enorme esperienza di medico chirurgo, alla conoscenza con Carlos che aveva salvato la vita di sua moglie e su come si erano accordati durante una normale cena, su come fare “giustizia”. Tutto aveva un senso nella vita e aver avuto un’occasione, seppur cruenta, di approcciarsi all’amicizia e collaborazione
professionale con un vero uomo come Carlos, gli aveva dato in un certo qual modo una ulteriore motivazione per andare avanti e non lasciarsi andare in un angolo in attesa del giorno fatidico, vivendo di ricordi e rimpianti. La brezza aveva nel frattempo lasciato posto ad un vento più freddo, convincendo il dott. Bolek ad alzarsi e chiudere la finestra. Il giorno si stava preparando per andare a riposare e la notte stava iniziando a mostrare il suo volto, portando il suo carico di incognite e di sogni. Lentamente, si dirigeva verso la biblioteca ricchissima di testi che spaziavano da un argomento all’altro, oltre che di medicina. Era a casa da solo perché la moglie si trovava momentaneamente a casa di una parente, mentre il figlio era partito oramai da tempo per frequentare l’università di medicina in Italia ed esattamente a Roma, su consiglio dello stesso Carlos. Avvicinandosi ad uno dei tanti scaffali, si inginocchiava e, toccando con una certa pressione un finto libro posto nell’estremo angolo inferiore destro, due ante del medesimo scaffale, come per magia, si aprivano automaticamente verso l’interno, dando accesso quindi ad altre stanze. Una volta entrato, premeva un bottone posto sulla parete accanto ad una delle due ante, facendole subito chiudere alle sue spalle. L’ambiente era un po’ più umido, costringendolo ad indossare un pile appoggiato su una sedia. La prima stanza era infatti composta da un tavolo con quattro sedie ed una libreria molto più piccola, contenente volumi di chirurgia estetica ed altro attinente a quella plastica. Attraversata questa piccola sala, accedeva ad un piccolo corridoio stretto ed illuminato regolarmente da alcune lampade presenti sulle pareti. Terminato il corridoio, scendeva alcune scale, entrambe illuminate, al termine delle quali, dopo un paio di corti corridoi fatti ad angolo retto, finalmente arrivava di fronte ad una porta blindata. Sulla parte sinistra della stessa, era presente un pannello con uno sportello metallico; una volta aperto, compariva un pannello in vetro con fibre ottiche che richiedeva di identificarsi, mettendo entrambe le mani... “Salve dott. Bolek! Benvenuto nella sala delle meraviglie”... recitava la voce registrata dopo aver poggiato entrambi i palmi. La pesante porta si apriva per richiudersi immediatamente dopo il suo accesso. La stanza dove era appena entrato, era una vera e propria sala operatoria, dotata di tutto quello che serviva per svolgere sofisticate operazioni. Ferri ed arnesi vari del mestiere, facevano da cornice ad elaborati computer e stampanti. Ma, tra tutto questo ricchissimo materiale, spiccava su un intero piano metallico posto nell’angolo estremo destro della sala, una serie infinita di sostanze plastiche, colle, polistirolo e microchip tanto piccoli quanto misteriosi. Indubbiamente, sulla parete sovrastante, faceva mancare il fiato vedere che cosa era appeso... Il
dott. BOLEK, si soffermava davanti ad essa, contemplandola con devozione e profonda ammirazione. Era stata una delle sue più grandi creazioni, fatte oltretutto anche con un tempo relativamente breve... Appesa ad un paio di viti ed afflosciata, dato che non conteneva nulla, faceva da guardiano il viso di ... Carlos! Una maschera costruita con uno speciale materiale plastico e collagene, raffigurante perfettamente la faccia del nostro giustiziere... Ma che cosa era successo? Perché quella maschera di Carlos? Il viso era stato fedelmente ricostruito tramite plastica e collagene, sapientemente combinate e selezionate dal medico che, dopo approfonditi studi ed esperimenti, era riuscito a dosare la quantità adeguata e intersecandole tra di loro, dando vita così per l’appunto ad una vera opera d’arte, per niente inferiore a quelle viste in tanti film americani di azione e spionaggio. Dunque, il dott. BOLEK, aveva combinato la plastica ed il collagene per creare una perfetta imitazione del giustiziere italiano. Per quanto riguarda la plastica usata, si era servito del “polivinildenfluoruro” (PVDF). Si tratta di un polimero ad elevate prestazioni, caratterizzato da buone caratteristiche di resistenza chimica (in particolare nei confronti di aggressione da parte di acido solforico o cloridrico), con campo di applicabilità termico: -40°C/150°C. La densità di circa 1,78 g/cm3, e contiene il 57% di fluoro. Temperatura di fusione: 165°C circa (in realtà si dovrebbe parlare di intervallo di fusione, comunque collocato in prossimità di 165/170°C). È impiegato in guarnizioni, tubi in pressione, componenti per pompe e valvole. Idoneo all’utilizzo per componenti di apparecchiature medicali, termosanitarie ed in campo alimentare. Le caratteristiche di resistenza elettrica e all’accendibilità contribuiscono a renderlo un materiale di ampio impiego (anche come isolante), nonostante il costo piuttosto elevato; è inoltre resistente ai raggi ultravioletti. Per quanto interessa il collagene (o collageno, ndr) invece, bisogna sapere che esso è la principale proteina del tessuto connettivo negli animali. È la proteina più abbondante nei mammiferi (circa il 25% della massa proteica totale), rappresentando nell’uomo circa il 6% del peso corporeo. Il collagene è una struttura rigida, rigidità conferita dalla presenza di prolina o idrossiprolina. La più stabile disposizione e riarrangiamento del collagene è quella della tripla elica proprio per la presenza della prolina. L’unità strutturale del collagene è rappresentata dal tropocollagene (o tropocollageno), proteina con una massa molecolare di circa 285 kiloDalton formata da tre catene polipeptidiche con andamento sinistrorso che si associano a formare una tripla elica destrorsa (trans di tipo - 2). Solitamente, per il collagene di tipo I, sono presenti due catene alfa 1
ed una catena alfa 2. Tutte le unità di tropocollagene hanno la stessa lunghezza, la stessa ripetitività di amminoacidi. Sono presenti infatti motivi amminoacidici ripetuti del tipo glicina-prolina-X e glicina-X-idrossiprolina, dove X è un qualsiasi altro amminoacido . I filamenti di tropocollagene sono tenuti insieme da legami idrogeno. questi legami sono possibili grazie alla presenza di glicine e dalle modifiche post-traduzionali di lisina e prolina. Entrambi questi amminoacidi subiscono una ossidazione per aggiunta di un gruppo ossidrile. La prolina è modificata a idrossiprolina dall’enzima Prolil Idrossilasi, che inserisce il gruppo -OH in corrispondenza del secondo carbonio dell’anello; mentre la lisina è modificata a idrossilisina dall’enzima Lisil Idrossilasi, che inserisce il gruppo -OH nel Cδ della catena laterale della lisina. Entrambi gli enzimi agiscono in presenza del co-fattore acido ascorbico e del co-substrato alfachetoglutarato. Queste modifiche sono necessarie per aumentare la possibilità di formazione dei legami H e per diminuire l’ingombro sterico. Le tre unità strutturali assumono una forma simile ad una treccia. Le varie fibre sono legate da legami crociati tra due allisine o tra una lisina e un’allisina. La lisina è convertita in allisina dall’enzima Lisina Ossidasi, che inserisce al posto del gruppo amminico della catena laterale della lisina in corrispondenza dell’ultimo carbonio (carbonio epsilon) un gruppo aldeidico. Quando avviene il legame crociato si verificherà una condensazione aldolica (sia la lisina che l’allisina sono due aldeidi). Ancora una volta, il genio del dott. BOLEK aveva prevalso. Quando Carlos aveva deciso di eliminare Fabjan dalla faccia di questa terra, e soprattutto in che modo, aveva pensato bene di rivolgersi anche alla grande professionalità e discretezza del Dott. Bolek. Nello schema mentale di Carlos tutti gli elementi erano al loro posto ed ognuno doveva avere un compito ben preciso e perfetto. Il terzetto Carlos - Black - dott. Bolek, formava una squadra perfetta ed immune da qualsiasi rischio ed errore. Nella situazione del furto della lastra/barella all’obitorio di Sarajevo, la pseudo amicizia/appoggio di BLACK con Marko, la successiva morte di quest’ultimo per overdose, il protagonista era stato indubbiamente BLACK; come lo era stato all’interno dell’esercizio pubblico dove era stato visto Carlos, nell’arco di tempo in cui veniva consumato il delitto.Quella sera, tutti credevano di vedere Carlos. In realtà, si era trattato del fidato amico BLACK! Grazie per l’appunto alle grandi mani del dott. Bolek, era stata “costruita” una perfetta maschera ritraente in tutto per tutto il viso di Carlos. Ma, sotto quell’ammasso di plastica e collagene, si nascondeva magicamente il volto del suo collaboratore! Fortunatamente, la costituzione fisica era praticamente simile e, per quanto riguarda la voce... La presenza
massiccia di sofisticati apparati elettronici all’interno della sala operatoria segreta dentro l’abitazione del dott. Bolek, aveva un perché. Creare la maschera a somiglianza di Carlos, aveva richiesto giustamente un certo tempo, costringendo sia Carlos che BLACK a sottoporsi a varie sedute, in cui di volta in volta il medico doveva provare ogni momento la sua creazione su entrambi i volti. Come per la voce, si erano rese necessarie numerose registrazioni sulla voce di Carlos e, con un non facile intreccio di “giochi” elettronici tramite elaboratissimi computer e provando svariati microchip applicati all’interno della laringe di BLACK, si era arrivati ad una certa somiglianza alla voce di Carlos. Il dott. Bolek aveva praticamente utlizzato una sorta di sintesi vocale (in inglese speech synthesis), ovvero una tecnica per la riproduzione artificiale della voce umana. Un sistema usato per questo scopo è detto sintetizzatore vocale e può essere realizzato tramite software o via hardware. I sistemi di sintesi vocale sono noti anche come sistemi text-to-speech (TTS) (in italiano: da testo a voce) per la loro possibilità di convertire il testo in parlato. Esistono inoltre sistemi in grado di convertire simboli fonetici in parlato. La sintesi vocale si può realizzare concatenando registrazioni di parti vocali memorizzate in un database. I vari sistemi di sintesi vocale si differenziano a seconda delle dimensioni dei campioni vocali memorizzati: un sistema che memorizza singoli fonemi o fonemi doppi consente di ottenere il numero massimo di combinazioni a discapito della chiarezza complessiva mentre in altri sistemi concepiti per un impiego specifico si ricorre alla registrazione di parole intere o di intere frasi per ottenere un risultato di qualità elevata. In alternativa, un sintetizzatore può incorporare un modello dei tratti vocali e di altre caratteristiche umane per creare una voce completamente di sintesi. La qualità di un sintetizzatore vocale si valuta sulla base sia della somiglianza con la voce umana che con il suo livello di comprensibilità. Quella famosa sera, mentre il vero Carlos si stava occupando di Fabjan, il finto stava comodamente seduto nel bar “Pivnica HS Franjevacka 15”, consumando un paio di birre, parlando comunque il meno possibile adducendo una lieve infiammazione alla gola, calzando un berretto in testa e facendosi vedere da tutti gli avventori. Era stato stimato un tempo di permanenza all’interno del locale e, comunque, entrambi gli uomini erano in stretto contatto con un paio di auricolari. Quando il finto Carlos aveva ricevuto l’ok, si alzava ed usciva, facendo ritorno a casa. Per questo motivo, quando Aldo aveva interrogato il gestore ed alcuni avventori
del Pub dove solitamente si incontravano BLACK e Marko, si era sentito dire che la maggior parte delle volte avevano notato la presenza accanto al tossico 23enne, di un uomo con una folta barba nera e capelli lunghi ricci e neri. Come già detto, si trattava nuovamente di BLACK camuffato, in modo che nessuno sarebbe risalito alle sue vere fattezze. E Brigitte, a seguito dell’interrogatorio a carico del titolare e di alcuni clienti frequentanti il bar dove era stato visto “Carlos”, otteneva la conferma della sua presenza, scagionandolo completamente da qualsiasi sospetto di esecutore materiale dell’efferato delitto. Preziosi insegnamenti di chirurgia ed interessanti lezioni sulla “TETRODOTOSSINA” erano stati impartiti dal dott. Bolek a Carlos per poter svolgere quell’operazione ai danni di Fabjan. Solo in effetti in questo argomento gli investigatori avevano avuto ragione di credere che dietro la mano dell’assassino si nascondeva quasi sicuramente un abile chirurgo. Avevano attentamente valutato anche il fatto di facilitare il lavoro del medico legale per poter risalire nella maniera più esatta possibile alla morte di Fabjan. E quale sistema era migliore se non quella di mettere i coleotteri “Dermestid”? La maggior parte di questi insetti, vivono a terra perché sono cattivi volatori e si nutrono anche del legno marcio degli alberi caduti. E guarda caso, nei dintorni del capannone in disuso utilizzato per l’improvvisata operazione chirurgica, ce ne erano a sufficienza. L’unico grosso rischio che poteva accadere, era quello che entrambi i “Carlos” venissero fermati casualmente nello stesso momento da un normale controllo di polizia stradale. A questo possibile inconveniente avevano pensato bene di fare andare innanzitutto a piedi il finto “Carlos” fino a casa di quello vero. Una volta giunto, BLACK avvertiva Carlos che poteva sganciarsi e, in effetti, così faceva, ritrovandosi poco dopo senza alcuna difficoltà e/o imprevisto nell’appartamento, dove non perdevano tempo a sorseggiare un buon calice di vino rosso per la ottima realizzazione del piano. In questa esemplare esecuzione, tutti e tre avevano avuto importanti ruoli ed erano certi a questo punto che il delitto di Sarajevo sarebbe ato in breve tempo tra gli omicidi irrisolti. “Dove non c’è immaginazione non c’è orrore”. (Arthur Conan Doyle, “Uno studio in rosso”).
Il dossier investigativo si era palesemente ingrandito ma, nella sostanza, si trattava di parecchia carta che alla fine non faceva concludere granché. Nell’ufficio della polizia, Brigitte ed Aldo erano letteralmente sepolti dalle carte, rigirandole un’infinità di volte, insieme ai loro occhi che si muovevano vorticosamente alla ricerca dell’elemento fondamentale. Erano giunti ad un punto morto. Non sarebbe stato per niente facile per loro trasmettere l’ennesimo rapporto negativo, con la fortissima probabilità di vedersi costretti a rientrare nelle rispettive sedi letteralmente a mani vuote. Non erano abituati. Tuttavia, in realtà, a Brigitte, non quadrava completamente il fatto che le figlie di Andrej non fossero state vittime di una violenza sessuale e neanche il discorso che aveva fatto Carlos durante il suo interrogatorio, in cui diceva di essersi intrattenuto in sala riunioni con lo stesso Andrej, approfittando di definire un discorso prettamente commerciale, per poi notare, a dire della segretaria di Carlos, il cliente bosniaco uscire con una certa commozione che gli aveva lievemente velato di lacrime gli occhi. Quel pomeriggio tardo, i due investigatori concentravano le loro domande e riflessioni proprio su questo particolare... Avevano capito ed accertato che Fabjan era stato un acerrimo nemico di Andrej. E se proprio quest’ultimo si fosse reso responsabile delle violenze presunte a carico dei figli di Andrej? O lui direttamente o tramite un sicario che, a questo punto, avrebbe potuto essere Marko, deceduto in maniera improvvisa e nel bel mezzo dell’indagine... Ma non risultava alcun collegamento tra i due deceduti. E non vedevano il modo per poterlo dimostrare. Come in effetti non avevano le prove che Andrej si era confidato con Carlos di questa tragedia, portando qualcuno che, improvvisato giustiziere, aveva posto fine ai giorni del commerciante. Per gli elementi emersi, si doveva escludere Carlos come esecutore materiale ma, non quello di mandante. Visto il consistente ato del titolare dell’Agenzia di protezione e sicurezza, non poteva escludersi che, nella cerchia delle sue numerose amicizie militari e para militari, non avesse contattato qualcuno disposto a sporcarsi le mani, compiendo quindi una sorta di vendetta a nome di Andrej. Nella disperazione, Brigitte stava pensando parzialmente bene... Nella sua mente, a parte gli elementi raccolti che lo scagionavano completamente, non voleva accettare che una persona come Carlos avesse potuto macchiarsi di un delitto e, soprattutto, di questa portata. E poi, chi glielo avrebbe fatto fare? Del resto, aveva conosciuto Andrej solo in una circostanza di lavoro e francamente riusciva molto difficile pensare ad una improvvisa confidenza tra i due, tanto per l’appunto da arrivare ad una giustizia personale per lavare l’onta subita. Carlos era un uomo d’affari, senza problemi
economici e ben conosciuto nell’ambiente delle Forze Armate e di quello riguardante la protezione e sicurezza. Seppur proveniente dalle Forze Speciali dell’Esercito, non si poteva proprio capacitare di un suo eventuale coinvolgimento nella vicenda. Quale sarebbe stato il suo guadagno in questa faccenda? Andrej, seppur titolare di una impresa ben avviata nel suo Paese, non risultava eccessivamente ricco, data anche la situazione particolare della Bosnia... E, se avesse avuto effettivamente interesse di vendicare i figli, quantomeno avrebbe provveduto o direttamente lui stesso o assoldando uno dei tanti mercenari che vagano per il territorio alla ricerca del denaro facile, anche in quantità non eccessiva. O, se avesse incaricato un professionista, come in effetti si era dimostrato l’assassino, sicuramente avrebbe chiesto una ingente somma di denaro che di certo Andrej non avrebbe avuto. E Carlos, era in una buona posizione economica e completamente estraneo alla vita personale di Andrej. Per tutto il tempo in cui Carlos era stato pedinato, non era stato visto con alcuno di sospetto, se non semplici clienti dell’Agenzia e naturalmente con i suoi collaboratori ed amici di varie palestre. Le idee dei due investigatori, pur non sapendolo, erano parzialmente sulla strada giusta. Ma tutti questi dubbi che i due si erano posti, significava allo stesso tempo che, ignari, erano stati stretti come in una perfetta morsa di un ragno, dalla cui tela, risultava praticamente impossibile uscirne, considerando oltretutto, oltre alla pressione messa dai superiori atta a concludere l’indagine nella maniera più favorevole possibile, quella dei massmedia. Un misterioso e brutale assassino stava ancora in circolazione, chiedendosi se presto avrebbe colpito ancora e le Autorità brancolavano nel buio. Dava molto più fastidio questo che sapere che l’assassino era ancora latitante, con tutte le possibili conseguenze. In questo ambiente è sempre stato così e purtroppo, lo sarà sempre fino a quando oltre alle lamentele, non verrà applicata una chiara e decisa volontà di poter cambiare lo stato delle cose. Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove il cittadino viene bombardato attraverso i vari mass- media in una maniera molto sottile che porta la maggior parte della popolazione in una confusione tale da provocare uno stordimento ed una incapacità di agire. Esiste per esempio una tattica per stordire la popolazione con un telegiornale: 1° o: divulgare una notizia tragica 2° o: divulgare una notizia felice e spensierata
3° o: divulgare una notizia che possa far arrabbiare la popolazione 4° o: divulgare una notizia che parli di come tutto va bene o di come i ricchi se la sano facendo sognare gli italiani. Una scaletta simile porta l’individuo in uno stato di confusione mentale, perché stordito dal repentino cambio di tema. Fortunatamente, da questa massa di persone pilotate, un uomo come Carlos, BLACK ed il dott. Bolek, rappresentavano una valida eccezione, non solo dimostrando di essere mentalmente diversi e per niente raggiungibili con qualsiasi pressione venisse esercitata, ma anche con la pratica diretta ed implacabile. Come lo era la loro giustizia personale. E così, allo stesso modo, quell’oscuro piacere che li aveva avvolti come una calda coperta in un rigido inverno.
CAPITOLO 10
Brigitte stava sistemando freneticamente alcune sue cose che si trovavano all’interno della valigia, pensando simultaneamente al corso delle indagini. La testa era sommersa di dati e di presunti collegamenti, la maggior parte dei quali inspiegabili e misteriosi. Durante uno dei suoi innumerevoli corsi, la avevano avvertita che prima o poi si sarebbe imbattuta in un’indagine più difficile di quelle precedenti e di prendere naturalmente in considerazione la possibilità di un’archiviazione del caso specifico per una certa impossibilità a risalire alla identità dell’autore del delitto e quindi alla risoluzione dello stesso. La bella investigatrice ed il suo collega Aldo si stavano già sentendo sulla pelle questa sensazione. Rovistando tra i suoi capo di vestiario, si ritrovava tra le dita un biglietto da visita dell’Agenzia di sicurezza e protezione di Carlos, della sede di Madrid, comprensivo quindi dei recapiti telefonici dell’ufficio e del cellulare dell’uomo. Istintivamente non poteva fare a meno di pensare a che cosa esattamente stesse facendo in quel preciso momento Carlos e quando avrebbe avuto occasione di risentirlo e di rivederlo. Le avrebbe fatto piacere. Il suo lato investigativo stava sempre più cedendo per farsi sostituire in tutto o in parte da quello dell’emozione sensuale di una vera donna, attratta per svariati motivi da un uomo sul quale aveva nutrito sospetti; e, forse, in realtà, non li aveva del tutto abbandonati. Stava facendo affiorare sempre più la sensibilità di una donna e, come tale, nonostante le continue prove a favore di Carlos, qualcosa nel suo più profondo dell’animo le bisbigliava che all’interno di tutto questo sistema apparentemente giustificato, in concretezza non lo era tanto. Era decisamente la prima esperienza di Brigitte su questo tipo di percezione che stava fortemente sentendo, seppur anche inconsapevolmente, per cercare di spiegare inquietanti interrogativi ed ai quali nessuno appariva in grado di dare un briciolo di raziocinio. E come dimenticare quell’incredibile ed inspiegabile orgasmo avuto sotto la doccia pensando a Carlos? Non le era mai successo e tanto meno pensando ad una persona che tra l’altro rientrava tra i sospettati! Era un segreto e come tale doveva rimanere... Si era già ripromessa che, nell’eventualità che in futuro avesse conosciuto un uomo con cui intrattenere una seria relazione, anche lui non avrebbe mai saputo questo particolare intimo. Il sogno proibito era nato con
lei e doveva morire con lei. Avvolta da una miriade di pensieri ed elaborazioni mentali ed assalita da un terribile mal di testa, Brigitte ingoiava un analgesico e si metteva sotto le coperte. L’indomani doveva andare in ufficio della Polizia e trovarsi con Aldo per stilare l’ennesimo rapporto sulla situazione al proprio Comando. Dopo essersi massaggiata lievemente le tempie come voler schiarire una macchia, spegneva la luce della lampada posta sul comodino e quasi subito cedeva alle braccia di Morfeo. La mattina seguente, il Comandante della Polizia Cap. Navid, mentre stava aspettando trepidamente gli investigatori dell’Interpol e sorseggiando una tazza di caffè bollente nel suo ufficio in Sarajevo, stava ancora pensando all’orribile pacco fattogli recapitare quel terribile giorno, trovando gli orripilanti resti del suo amico Fabjan. Da quell’episodio, non era più lo stesso ma, non tanto per quello che l’assassino gli aveva fatto trovare, bensì per una strana preoccupazione che l’omicidio potesse in qualche modo collegarsi a lui stesso. Il Cap. Navid aveva la coscienza sporca ma, fino a prima che succedesse il delitto, gli sembrava importargli poco. Ma ora era diverso. Sapeva pienamente di aver appoggiato le sporche attività di Fabjan... Sia quelle commerciali che quelle sessuali nei confronti dei figli di Andrej. E ora iniziava a sentire una presenza sul collo, costringendolo ad allertare i sensi e ad allontanare per sicurezza la propria famiglia presso alcuni parenti a Banja Luka, distante circa 150 Km da Sarajevo e che rappresenta la seconda città più grande della Bosnia Herzegovina. Come scusante, il Comandante aveva riferito alla moglie che, essendo molto impegnato nelle indagini relative al brutale omicidio di Fabjan, era meglio per l’appunto che, fino a quando tutto non fosse finito, si trasferissero in quella città. Senza ulteriori spiegazioni e domande, tutta la famiglia composta da moglie e quattro figli maschi, di cui due minorenni, facevano i bagagli e partivano. Sulla scrivania aveva ancora in evidenza i titoli dei giornali che parlavano del delitto; li aveva letti talmente tante di quelle volte che oramai si ricordava i testi a memoria. Per scacciare pensieri pessimistici e catastrofici, a volte si auto convinceva che era veramente assurdo preoccuparsi di una morte per la quale lui non c’entrava assolutamente niente, anche se era sempre stato a conoscenza delle sue malefatte. Cercava mentalmente di attribuire l’omicidio a uno dei tanti rivali di lavoro e lui sapeva che ne aveva tanti. Anzi, quando era accaduto il fatto, istintivamente aveva pensato ad un paio di persone che avrebbero potuto commettere benissimo il delitto. Ma, nella cerchia degli interrogati,
effettivamente erano rientrati anche loro ma nulla era emerso nei loro confronti. Bevendo nervosamente l’ultima goccia di caffè e buttando la tazza sul tavolo, per cacciare ulteriormente i diavoli dalla sua mente, pensava di essere sicuro che comunque l’assassino era un rivale commerciale e che di conseguenza lui poteva dormire tranquillo. Voleva convincersi di questo. Nel frattempo, un agente bussava alla sua porta distogliendolo dalle sue riflessioni; fatto entrare, lo avvertiva che erano arrivati Brigitte ed Aldo e che si trovavano già nell’ufficio messo a loro disposizione. Raggiunti gli investigatori, insieme a loro si metteva al tavolo soffocato da faldoni contenenti tutti gli atti di polizia giudiziaria fino ad allora raccolti e che sembravano dominare tutti loro. E forse era proprio così... Ma si era nel contempo accorto già da tempo che, la sua presenza era relativa, intuendo che lui si trovava lì solo a titolo di cortesia ma non per necessità. Brigitte ed Aldo preferivano coinvolgerlo poco e comunque, gli riferivano solo cose che loro volevano, omettendo molti particolari ritenuti magari più importanti. Questo dava molto fastidio al Cap. Navid che invece voleva sapere molto di più e, in ragione proprio delle riflessioni che faceva poc’anzi nel suo ufficio, spingeva a che ciò accadesse. Ma era dura. Gli inquirenti dell’Interpol sapevano il fatto loro e sapevano come e dove muoversi con lui, forti anche dell’importante appoggio ed influenza dell’Interpol. Il Comandante doveva essere già pienamente soddisfatto che in ogni caso il suo nome rientrava più o meno nella collaborazione alla conduzione dell’indagine intrapresa da un Organo così importante. Episodi così non accadevano a Sarajevo e con questo filone di pensiero, Brigitte e Aldo avevano ritenuto giusto che il Capitano dovesse ritenersi una sorta di privilegiato solo a comparire qualche volta al loro fianco. Infatti, la maggior parte delle volte, vedendo che il fulcro delle discussioni era da loro rappresentato lasciandogli per l’appunto un margine di ruolo, il Capitano si allontanava dicendo che, in qualità del proprio incarico, doveva occuparsi anche di altre cose, promettendo di tornare qualche volta per continuare a seguire lo sviluppo dell’inchiesta. E comunque, nonostante tutto, l’ufficiale bosniaco aveva arricchito una sua conoscenza professionale, grazie alla loro presenza. Aveva approfittato molte volte nel leggere i numerosi testi giuridici che Brigitte ed Aldo avevano con sé, venendo così a conoscenza di cose che non aveva mai affrontato, sia per ignoranza che per inesperienza. Tra i tanti documenti investigativi che aveva portato nel suo ufficio, ne spiccava uno di tecniche di investigazione relativamente a casi di omicidio seriale:
“In molti casi, per ottenere la confessione, è indispensabile che gli investigatori mostrino una particolare abilità nella conduzione dell’interrogatorio. Stabilire un buon rapporto con il soggetto che si ha di fronte, è la chiave per raggiungere il successo, considerarlo non un “mostro”, ma un essere umano con enormi difficoltà, cercando di capire il suo mondo interno. Nell’interrogare un assassino seriale, a volte può essere utile cercare di stimolare la vanità e l’egocentrismo del soggetto, facendogli notare l’importanza della sua confessione per dare una certezza ai familiari delle vittime scomparse. In casi estremi, può risultare efficace un approccio obliquo condotto in terza persona, che permetta all’assassino di descrivere gli omicidi in maniera impersonale, come se fossero commessi da un’altra persona, evitando così di accettare una responsabilità personale. Quando un serial killer si decide di confessare, l’Autorità si trovano a dover affrontare un altro problema, in quanto molti di loro sostengono di aver ucciso un numero maggiore di vittime, senza prove concrete a are le loro dichiarazioni. Chiaramente può succedere anche il contrario: un assassino seriale può aver commesso molti più omicidi di quelli confessati. Comunque, il comportamento di un assassino seriale dopo la cattura spesso può rivelare il suo livello di coscienza. Gli autentici sociopatici non confessano quasi mai quando vengono arrestati, continuando a professare la loro innocenza, sperando di farla franca. Mentre i veri sociopatici sono incapaci di provare rimorso, gli assassini seriali psicotici spesso confessano quando vengono arrestati, in quanto, dopo l’arresto, sono costretti ad affrontare la disturbante realtà che hanno ucciso degli esseri umani; a quel punto, le vittime riacquistano tutte le prerogative umane ai loro occhi ed i serial killer possono essere sopraffatti dalle colpe e confessare spontaneamente”. Per gli investigatori che stavano seguendo il delitto di Sarajevo, in realtà non consideravano un serial killer, in quanto per ora si trattava di un caso isolato, mentre per l’appunto si parla di delitto seriale quando accade più volte, anche in luoghi lontani e differenti, ad opera di una stessa persona. E nella realtà, questo era il caso di Carlos, considerati i suoi precedenti delitti. Ma Brigitte e Aldo, questo non potevano saperlo. Almeno per ora.
CAPITOLO 11
Carlos ora era libero di muoversi, dato che gli investigatori mandati da Brigitte ed Aldo erano stato fatti rientrare nelle loro rispettive sedi. Se ci fosse stato qualcun altro, Carlos se ne sarebbe subito accorto; nonostante tutto, il suo istinto gli suggeriva allo stesso tempo di prestare maggiore attenzione, anche se fino ad ora era andato tutto secondo i piani prestabiliti e Brigitte ed Aldo erano tornati a Sarajevo con le orecchie basse, lo spirito del combattente non gli faceva mai abbassare del tutto la guardia. Analizzando questo, mentre si trovava in palestra a Madrid per allenarsi nel karate, gli veniva improvvisamente in mente che gli stava tanto mancando il “DIM MAK”... Quella tanto particolare tecnica che aveva aperto la porta alla SUA giustizia. Conveniva tra se e se che, dopo che si sarebbero un po’ calmate le acque per l’omicidio di Fabjan, avrebbe dovuto quanto prima giustiziare qualcun altro utilizzandola... Analogamente ai precedenti casi, tutti si sarebbero semplicemente chiesti come sarebbe potuto accadere una morte così improvvisa e soprattutto inspiegabile, senza oltretutto il rischio e pericolo dell’avvio di un’indagine, proprio come era avvenuto per il delitto di Sarajevo. Certo era stato da sempre consapevole di tutto quello che ne sarebbe derivato da una situazione così speciale e brutale... Ma si sentiva soddisfatto e per niente pentito di averlo compiuto. Era quello che voleva; e quando Carlos ambiva a qualcosa e/o a qualcuno, lo otteneva. Per esempio, la preziosa conoscenza e il valido aiuto da parte del Dott. Bolek. Con la grande voglia di riprendere le fantastiche tecniche di morte con il “DIM MAK”, sapeva già con chi aprire un nuovo dossier... La fine di questo pensiero, coincideva con un perfetto calcio ad “uncino”, “URA MAWASHI GERI”, che faceva letteralmente volare a terra l’avversario. Ben presto un altro uomo sarebbe per sempre caduto a terra, lasciando tutti sgomenti e facendo mettere sul dossier di Carlos, la parola “TERMINATO”. BLACK era disteso sul letto, nell’appartamento trovatogli da Carlos, in Sarajevo. Braccia alzate, mani intrecciate dietro la nuca, gambe distese e piedi accavallati. Non stava dormendo... guardando la parete bianca del soffitto, si era abbandonato ai suoi pensieri. Data la ultima situazione di Sarajevo, negli ultimi
tempi non era effettivamente riuscito a trovare molti ritagli di spazio per sé e riflettere con calma su certe cose prettamente personali ed intime. I meandri più profondi del suo cervello lo avevano trasportato in un lungo viaggio fatto da episodi che partivano dalla sua infanzia e che portavano mano a mano che andavano avanti, ad altri collegamenti, fino ad arrivare ai giorni attuali. La sua immagine di bambino appariva chiara ed attuale; si era da subito apionato alle armi ed ai combattimenti, aiutato sicuramente da suo padre che gestiva un negozio di armi, dopo un soddisfacente ato militare, seppur breve e non in una forza speciale. Vedeva tutte quelle volte in cui da bambino, giocava con lui che impersonava la figura del cattivo che voleva eliminare i buoni. Si rincorrevano, nascondendosi, strisciando, respirando appena per non rivelare all’avversario il nascondiglio improvvisato, fino ad arrivare al momento fatidico dell’attacco finale, con l’eliminazione di uno o a volte di entrambi. D’altronde, come spesso amava ricordare suo padre, spesso in una battaglia e in una guerra, qualcuno deve soccombere. Era e rimane una regola. E questo rispecchiava in un certo qual modo il principio della nostra vita... Per avere la pace, devi fare spesso una guerra ma, alla fine, anche se si riesce ad ottenere quello che si vuole, c’è e ci sarà sempre qualcosa da sacrificare o qualcuno da allontanare e dimenticare. In certi casi, entrambe le situazioni. Questa corrente di pensiero lo aveva immancabilmente fatto arrivare ad una constatazione al momento un po’ angosciante. BLACK era una persona con una sua identità, quindi con un suo ato, con un suo presente e con un suo futuro. Senza dimenticare le sue vere generalità. Da quando aveva disertato dalla Legione straniera e iniziato il suo rapporto di lavoro con Carlos assumendo il nickname di “BLACK”, si sentiva come smarrito. Si stava accorgendo che il vero “lui”, gli stava mancando e il fatto di non gridare ai quattro venti chi fosse veramente e che cosa stesse facendo, era come tenere dentro di sé un lupo affamato e desideroso di vivere la sua vita selvaggia correndo nei boschi a perdifiato, vivendo semplicemente e naturalmente seguendo il suo istinto. Non era facile... era oramai talmente calato nella parte che, guardandosi allo specchio, non si riconosceva... pareva di avere un’altra persona davanti con cui non poter dividere niente. E questo cominciava a pesargli. Per la storia della
diserzione e dei continui accertamenti nelle attività di Carlos, quando usciva era praticamente sempre camuffato e, in particolar modo, quando aveva preso le sue sembianze, si era sentito “privato della sua personalità”. Quello che stava facendo per Carlos, lo stava eseguendo ancora alla perfezione ed era attaccatissimo e fedelissimo a lui, ammirandolo per i suoi principi, i suoi progetti, le sue idee ed obiettivi. Che poi, non si discostavano per niente dai suoi. Per tutto questo non aveva ancora abbassato completamente le braccia. Aveva ancora da fare e voleva andare avanti fino a dove la sua anima gli consigliava di arrivare. Allorquando sarebbe prevalsa la sua voglia di ritrovare se stesso, non avrebbe esitato a farlo presente al suo grande amico e collaboratore. E sicuramente, seppur a denti stretti, avrebbe certamente ben compreso. Per la strada c’era ancora molta “spazzatura umana” da togliere anche BLACK percepiva sempre più l’esigenza di rinascere un’altra volta. Se lo meritava. Seduto sul letto e guardando malinconicamente il suolo, lo sguardo cadeva su due dei vari tatuaggi che aveva sul suo corpo; in particolare uno sulla parte interna dell’avambraccio destro e l’altro sulla stessa parte ma nell’avambraccio sinistro: erano due nomi femminili. A destra “Michela” e sulla sinistra “Caterina”, con caratteri gotici abilmente disegnati, con il solo inchiostro nero. Quei due nomi erano stati impressi molto tempo addietro da un conoscente in Olanda, mentre si trovava nella terra dei mulini a vento per qualche giorno di svago. Si trovava insieme alla sua compagna di allora che aveva messo incinta. La radiografia aveva evidenziato la presenza di due bambine e per questo avevano già deciso insieme che le creature si sarebbero chiamate “Michela” e “Caterina”. Erano entusiasti. La sua compagna si chiamava Chantalle; una donna di colore della Guinea se ma trapiantata a Roma da diversi anni. Si erano conosciuti in Somalia durante una missione di BLACK e Chantalle si trovava in quella zona come dottoressa volontaria in aiuto ai bambini orfani. Era scoppiata quasi subito la classica scintilla e, dopo non pochi discorsi, la aveva convinta a trasferirsi in Italia, considerando anche il curriculum di lei, conoscendo e parlando perfettamente ben 5 lingue. Non per niente era riuscita a trovare un impiego part time di traduttrice all’interno della FAO di Roma. Dopo la nascita delle bambine e aver vissuto un periodo alquanto spensierato, come ogni bel sogno, veniva infranto da una crisi da parte di lei. Sentiva la nostalgia della sua terra, adducendo ad altre tante motivazioni, che era spesso sola con le figlie, in un Paese straniero, perché BLACK era spessissimo assente per il suo lavoro che lo portava a compiere delicate missioni in territorio estero e qualche volta in ambito nazionale.
Un giorno, tornando a casa, BLACK trovava un biglietto sul tavolo in cucina, in cui Chantalle scriveva che non ce la faceva più a sopportare quella situazione, decidendo di ritornare in Guinea con le figlie. Concludeva chiedendo di perdonarla e che comunque, quando avrebbe voluto sentire e vedere le figlie, non ci sarebbero stati problemi. Per questo, gli aveva lasciato tranquillamente un contatto telefonico. E così faceva BLACK da allora. Quando poteva, chiamava Michela e Caterina che ora avevano 11 anni. Talvolta riusciva a vederle attraverso “Skype”... Un paio di volte era riuscito anche ad andare in Guinea... BLACK oramai nutriva un senso di indifferenza nei confronti di Chantalle ma invece, nei riguardi delle figlie, manteneva sempre un grandissimo amore come del resto un padre può e deve dimostrare. Si smette di essere mariti, compagni, fidanzati, amanti... Ma mai PADRI! Chiaramente, le figlie, avendo vissuto da sempre con la mamma, erano attaccatissime a lei, come era giusto che fosse ma, molte volte, BLACK percepiva anche da parte delle figlie come un senso di rassegnazione per una mancanza permanente del padre e questo faceva scaturire in loro un sentimento di indifferenza nei suoi confronti, lasciandogli un grande amaro in bocca ed una ferita nel cuore. Questo aspetto importante della sua vita, era andato così. Non poteva più farci niente. Così aveva voluto il destino e forse, anche lui stesso. I nostri i nella vita, non sono mai decisi solo dal fato ma anche da noi stessi. E il sentiero degli affetti importanti, aveva deciso questo per BLACK. Di quella parte della sua vita, gli erano rimasti quei tatuaggi impressi sugli avambracci. Ma mai si era pentito di averli fatti. Celavano una radice importante della sua esistenza e trovava giusto che quei nomi, oltre ad essere radicati nel suo cuore, potevano essere anche esibiti esternamente. Quando qualcuno chiedeva chi fossero “Michela” e “Caterina”, BLACK, cercando di trattenere le lacrime, ma rispondendo con un sorriso nell’anima, diceva semplicemente: “sono le due donne più importanti della mia vita”. “Figlio mio, vivi in modo da non doverti vergognare di te stesso, dì la tua parola in modo che ciascuno debba dire di te che ci si può fidare; e non dimenticare che dare gioia ci dà anche gioia. Impara a tempo che la fame dà sapore ai cibi, e rifuggi la comodità perché rende insipida la vita. Un giorno dovrai fare qualcosa di grande: a tale scopo devi diventare tu stesso qualcosa di grande”. (F. Nietzsche, Frammenti postumi).
CAPITOLO 12
Dopo un’estenuante giornata lavorativa trascorsa tra miriadi di domande, dubbi e scartoffie, Brigitte e Aldo prendevano commiato dal Capitano della Polizia, con l’accordo comunque che si sarebbero rivisti il giorno seguente. Erano oramai le otto di sera ed erano più di dodici ore che erano stati tutti rinchiusi in quegli uffici occupati a consumarsi la vista e l’intelletto su quei fiumi di parole, apparentemente senza senso. Eppure, Brigitte custodiva dentro di se ancora un sesto senso che le suggeriva che poteva essere in qualche modo vicino al responsabile della vicenda. Sempre di più. Tuttavia le mancavano seppur pochissimi tasselli, quelli più importanti e delicati che potevano dimostrarlo. Ma in realtà, lei stessa lo voleva questo? Lo stava cercando o lo aveva già volutamente abbandonato? Dubbi, pensieri e perplessità, non la abbandonavano neanche quando si trovava in macchina con Aldo con il quale stava andando in un ristorante a mangiare qualcosa. Subito dopo sarebbero andati in albergo per una sana doccia ristoratrice ed un buon sonno. Anche Aldo, per tutta la serata aveva manifestato molti capi oscuri del caso, intervallati da brevi racconti sulla sua vita personale. A volte andando a toccare alcuni argomenti un po’ troppo intimi ma, in certo qual modo poteva anche capirlo... Era un suo collega con il quale stava lavorando oramai da circa un anno praticamente gomito a gomito, per cercare di dare un volto alla giustizia... Mettere luce su una persona che si era macchiata di un orrendo delitto le cui modalità andavano fuori dai soliti schemi universitari e da ogni ipotesi investigativa. Brigitte si era accorta che anche per questo motivo, si era manifestata nella sua intimità cerebrale, una sorta di ammirazione nei confronti dell’omicida. Questo la portava automaticamente a farle ricordare la cosiddetta “Sindrome di Stoccolma”. Con l’espressione “Sindrome di Stoccolma” ci si riferisce ad uno stato psicologico particolare che si manifesta in seguito ad un episodio estremamente violento o traumatico, ad esempio un sequestro di persona o un abuso ripetuto. Il soggetto affetto da sindrome di Stoccolma durante l’abuso o la prigionia, prova un sentimento positivo, fino all’amore, nei confronti del proprio aguzzino. Si crea una sorta di alleanza e solidarietà tra la vittima e il carnefice. Non escludeva di conseguenza che, se
fosse stata lei stessa per qualche ragione prigioniera dell’assassino di Sarajevo, non avesse subito tale patologia... Ovviamente se poi fosse sopravvissuta. Immersa in tutti questi pensieri che in qualche maniera la terrorizzavano, si perdeva a tratti certi discorsi di Aldo che comunque sembrava accorgersene ma, per delicatezza e comprensione, faceva finta di niente, interrompendosi e a volte cambiando argomenti. Verso le 23.00, entrambi erano nelle rispettive stanze. Aldo, dopo una doccia e aver controllato le e-mail, si coricava e leggendo un libro di Mark Mazzetti, “Killing Machine. Come gli USA combattono le loro guerre segrete”, alla pagina 251, si addormentava lasciandolo cadere a terra. Il libro racconta la storia mai raccontata di una metamorfosi silenziosa. Una metamorfosi che ha cambiato il modo in cui gli Stati Uniti d’America fanno la guerra, uccidono i loro nemici ai quattro angoli del pianeta, influenzano gli equilibri dello scacchiere mondiale, intervengono nelle aree grigie e nelle regioni più instabili del globo. Mark Mazzetti racconta da dentro questa nuova guerra invisibile. Incontra i suoi oscuri protagonisti. Descrive i loro volti, ricostruisce le loro storie. Li segue in Pakistan, Somalia, Yemen, Lahore. Setaccia documenti e informazioni riservati. Studia gli scenari elaborati dagli analisti più accreditati. Spiega che da tempo le guerre americane non si svolgono allo scoperto, nei teatri di guerra più visibili, con l’intervento degli eserciti tradizionali. Le guerre americane sono diventate guerre ombra. A combatterle sono droni pilotati a distanza, spie inviate a creare guerre e sommosse, agenti assoldati sul posto, pronti a uccidere nemici politici, costruire e disfare governi e milizie locali. Infine Mazzetti riporta il lettore, dalla periferia del mondo, all’altro grande scontro in corso, quello che dilania il cuore degli Stati Uniti. Lo scontro tra il Pentagono, simbolo della guerra tradizionale, e la Cia, nata come agenzia di spionaggio, trasformatasi negli ultimi due decenni in un’organizzazione sempre più apertamente militarizzata. Uno scontro da cui dipendono la guerra e la pace americana, dentro e fuori dagli Usa. Questi erano prevalentemente i libri su cui si addentrava Aldo. Ma anche lui quella sera era troppo stanco per continuare a leggere. E chissà, forse lo era anche di combattere contro il mistero dell’omicidio di Sarajevo. Brigitte invece, dopo la doccia, aveva preferito coricarsi. Ma non si addormentava subito. Guardando il soffitto semi illuminato dalla piccola luce della lampada sul tavolino presente accanto al letto, pensava immancabilmente alla figura di Carlos. Si ricordava di aver posto un suo biglietto da visita all’interno di uno dei cassetti del comodino all’altro lato del letto. Istintivamente lo prendeva, coricandosi nuovamente supina e fissandosi su quello che vi era
scritto: “Carlos Manzani. Agenzia di protezione e sicurezza”. Tel...................... cell………….. Tel...................... sede di Madrid Tel...................... sede di Barcellona Tel...................... sede di Sarajevo Tel...................... sede di Praga Tel...................... sede di Bucarest Per essere riuscito ad aprire tutte quelle Agenzie, oltre ad avere un certo patrimonio, era dotato sicuramente di una grande abilità e professionalità. Era uscito dalle Forze Speciali dell’Esercito cinque anni addietro. Significava che aveva aperto più o meno un’Agenzia all’anno. E iniziare delle attività del genere con tutta la dovuta organizzazione che stava alle spalle di questa professione, dava l’ennesima dimostrazione di quanto Carlos fosse veramente esperto in materia. Aveva dovuto essere altamente impegnativo cercare gli uomini giusti, addestrarli, acquistare mezzi ed armi. Ma che cosa aveva spinto un uomo del genere ad uscire dall’elite di quelle Forze Speciali per mettersi in questa attività interessante ma per certi versi rischiosa dal punto di vista professionale? Facendosi queste domande, si stava accorgendo che, nel marasma investigativo, effettivamente avevano tralasciato questo particolare; non sapeva quanto potesse avere importanza ma, dall’altro lato, si stava incuriosendo sempre più ad indagare su questa parte del suo ato. Avevano toccato numerosissimi punti del caso, analizzando molteplici aspetti a prima vista inutili ed insignificanti. Che cosa oramai poteva cambiare se avessero dato un’occhiata anche a questo? Ripromettendosi di parlarne il giorno seguente con il suo collega Aldo per informare il loro Comando di questo eventuale accertamento, spegneva la luce dopo aver riposto il biglietto da visita di Carlos all’interno del cassetto del tavolino stesso.
CAPITOLO 13
Erano circa le dieci di sera quando improvvisamente arrivava una telefonata sul cellulare di Carlos, occupato in una cena tra amici all’interno del suo appartamento in Madrid. La chiamata arrivava da Bucarest. Dall’altra parte, l’interlocutore appariva da subito provato da una situazione molto spiacevole, facendo fatica a parlare e cercando di trovare le parole giuste per introdurre il problema. Carlos, dopo essersi scusato con gli invitati, si appartava in un’altra stanza, dove poteva continuare la conversazione. L’uomo con cui parlava si chiamava Jan, ed era il figlio del dott. Vladislavi. Jan era da poco rientrato dall’Italia e avrebbe dovuto ripartire tra circa dieci giorni. Rincasando da una cena con amici a Bucarest, si era imbattuto in una folla di gente, di polizia e Vigili del fuoco davanti alla loro abitazione in fiamme... Il motivo era stato a dir poco agghiacciante... Qualcuno aveva intenzionalmente dato fuoco alla loro casa, mentre all’interno si trovavano entrambi i genitori che stavano tranquillamente dormendo. Entrambi erano orribilmente deceduti letteralmente carbonizzati. E con essi anche la loro abitazione e tutto quello che vi conteneva. La notizia faceva tremare le gambe a Carlos, costringendolo a sedersi e a riprendere fiato. L’episodio era da poco accaduto e Jan, come da istruzione avuta da suo padre stesso, “...se mi accadesse qualcosa, la prima persona che devi avvertire, è Carlos!”, lo aveva subito chiamato. La conversazione durava pochi minuti... Jan doveva parlare con la Polizia e Carlos prometteva che sarebbe andato là il più presto possibile. Tornato dagli amici e facendo uno sforzo immane per non fare trapelare la sua preoccupazione ed il suo dolore (non doveva dare spiegazioni a nessuno di questo fatto...), proseguiva la serata, conclusa comunque dopo circa un paio di ore. Quando tutti gli invitati se ne erano andati, la prima cosa che Carlos si preoccupava di fare, era quella chiaramente di sedersi davanti al computer e vedere di prenotare il primo volo disponibile per Bucarest. Dopo aver danzato freneticamente sulla tastiera ed assalito da un vortice di pensieri e ricordi, riusciva a prenotarlo: l’indomani, alle ore 07.20, con la Compagnia “Blue Air Transport”, partiva da Madrid e dopo 3 ore e 45 minuti di volo, arrivava a Bucarest. Non aveva pensato ancora al volo di ritorno. Il primo pensiero era quello di stare là, in quella città, sperare di vedere qualcosa ancora
del suo preziosissimo e caro amico, anche se era pienamente consapevole che i resti erano ben pochi. Scoprire quello che era successo, anche se in realtà immaginava quello che era successo. Durante la vita vissuta a Praga, il dott. Vladislavi collaborava come detto con alcuni settori dei Servizi Segreti e per una certa manipolazione militare/politica si era creato numerosissimi nemici tanto da costringerlo per l’appunto ad abbandonare per sempre quella città e trasferirsi in quella di Bucarest. Per la scia pericolosa che si era creato alle spalle, neanche se si fosse trasferito nel Polo Nord avrebbe potuto evitare di essere dimenticato da certe persone ma, una certa speranza che ciò accadesse, era nutrita sia dallo stesso dott. Vladislavi che da Carlos. Si sbagliavano. Il giorno dopo, di buon’ora, mentre si recava all’aeroporto, telefonava alla segretaria dell’Agenzia di Madrid, avvisandola della sua improvvisa partenza per Bucarest, dicendo che le avrebbe fatto sapere quando sarebbe tornato. Seduto sull’aereo, Carlos veniva letteralmente catapultato in un marasma di pensieri e riflessioni... Gli veniva in mente la circostanza particolare e pericolosa in cui conosceva il dott. Vladislavi e la sua famiglia; il modo in cui si era creata la loro amicizia e rapporto professionale; quindi tutto quello che avevano realizzato per l’omicidio di Fabjan; la creazione della sala operatoria e segreta all’interno dell’abitazione di Bucarest; le interessanti chiacchierate davanti ad un buon bicchiere di vino ed il camino e tante altre cose. Carlos sapeva perfettamente che nella sua uccisione c’era stato sicuramente l’impronta dei Servizi Segreti della Repubblica Ceca... Magari in collaborazione con quelli di Bucarest. Per un pezzo da 100 qual era il suo prezioso amico ed alleato, era quasi certo che la mossa era partita da tutti i settori dei Servizi di Praga, ovvero il Bezpečnostní informační služba (BIS) - Servizio Sicurezza e Informazioni; il Úřad pro zahraniční styky a informace (UZSI) - Ufficio Relazioni Estere e Informazioni ed infine il Vojenské zpravodajství - Informazioni Militari e Polizia Segreta. Per quanto concerne i Comandi paritetici rumeni, erano più numerosi. Il Serviciul Român de Informaţii (SRI) - Servizio Informazioni Rumeno; Serviciul de Informaţii Externe (SIE) - Servizio Informazioni Estere; Serviciul de Protecţie şi Pază (SPP) - Servizio Protezione e Sicurezza; Serviciul de Telecomunicaţii Speciale (STS) - Servizio Telecomunicazioni Speciali; Direcţia Generală de Informaţii a Apărării (DGIA) - Direzione Generale d’Informazioni della Difesa; Directia Generală de Informaţii şi Protecţie Internă - (DGIPI) Direzione Generale delle Informazioni e della Protezione Interna. Ma per ora era secondario chi fosse stato direttamente; ora era prioritario per Carlos vedere quello che rimaneva del suo amico e rendergli il dovuto omaggio ed abbracciare il figlio Jan che era rimasto improvvisamente solo, stretto nel suo grande dolore
per aver perso entrambi i genitori in quel modo brutale e improvviso. Ovviamente del fatto aveva tempestivamente avvisato anche BLACK che aveva preso lo stesso volo ma per chiari motivi viaggiava separato da Carlos ed abilmente camuffato. Anche lui non poteva assolutamente mancare in quel momento così triste e tragico e non vedere per l’ultima volta un uomo di tale importanza. Era il minimo che, ora come ora, potevano fare. “Chi vive nella libertà, ha un buon motivo per vivere, combattere e morire”. (Winston Churchill)
CAPITOLO 14
Alle ore 11.05 l’aereo atterrava regolarmente all’aeroporto di Bucarest-Otopeni. Come per ricordargli nuovamente il motivo per cui Carlos si trovava in quel posto, il tempo lo accoglieva con un cielo grigio, spento, privo di vita... Una pioggia finissima ma che penetrava anche nell’animo, dava ulteriormente fastidio e sembrava portare con sé i peccati del mondo. Carlos si copriva maggiormente il collo alzando il bavero dell’impermeabile ma quell’acqua trovava la forza di penetrare dappertutto... Come il male spesso soleva fare. Ritirata la valigia al rullo, si avviava pensieroso verso l’uscita, dove già lo attendeva Jan. I due, inizialmente senza dirsi una parola, si abbracciavano, tenendosi così per alcuni minuti. Ad una certa distanza, BLACK guardava per l’ennesima volta quella scena nascosto... E questo un po’ lo faceva stare male. Gli sarebbe piaciuto fare la stessa cosa... Dare un certo conforto con le sue parole e le sue gesta a quel ragazzo che non aveva mai saputo in realtà tutto quello che suo padre aveva fatto con loro. Avevano ritenuto per chiari motivi di tenerlo fuori dalla loro vicenda; in quel tipo di cose, meno persone ne erano a conoscenza e più erano le probabilità di sopravvivere e di continuare a fare vivere gli onesti. E Jan meritava di vivere sereno ed onestamente. Anche nel suo dolore. Dopo quell’affettuoso abbraccio, i due si scambiavano due parole di circostanza, più che altro per cercare di sdrammatizzare la situazione, sforzandosi, così facendo, di ritornare nella normalità quotidiana e cancellare per un breve attimo la triste realtà. Entrambi salivano sull’autovettura condotta da Jan e si avviavano verso l’abitazione di Carlos; BLACK sotto falso nome e documento fasullo, come al solito, alloggiava in un albergo poco distante. Jan invece stava momentaneamente a casa di parenti nella periferia di Bucarest. Il tragitto dall’aeroporto a casa di Carlos richiedeva circa mezz’ora di strada, durante la quale molte volte il silenzio aveva preferito fare da padrone. In quelle circostanze non si hanno molte cose da dire... Anzi, in quella specifica circostanza, vi erano più che altro molte cose da fare. A volte, le poche parole di Jan venivano interrotte da singhiozzi di pianto. Carlos cercando di confortarlo, poggiava la sua mano sulla spalla, stringendola leggermente. Voleva in un certo modo trasmettergli quella forza necessaria per continuare ad andare avanti e sopportare quel tipo di dolore. Era più o meno quel tipo di forza mentale e
spirituale che lui aveva percepito moltissimi anni addietro quando la sua matrigna lo stringeva a sé alla morte del padre. Una protezione, una specie di palizzata in difesa delle negatività di questo mondo che, quando vuole, sa essere veramente spietato. La polizia lo aveva interrogato a lungo per cercare di capire le solite cose... Eventuali minacce avute, nemici possibili, situazioni particolari, sospetti...etc...etc... Ma Jan, ignaro di tutto, non aveva in effetti saputo dire granché. Sapeva solo che in ato il padre aveva collaborato con i Servizi Segreti di Praga ma questo lo sapeva anche la Polizia rumena. E su questo, nessuno faceva domande. Dopo aver riposto la valigia in appartamento, Carlos rimontava subito in macchina con il ragazzo, dirigendosi a casa di questi parenti per la cena e parlare di quanto era accaduto. La serata era caratterizzata da sguardi bassi e preoccupati, da strette di mano ed abbracci, mezzi sorrisi di conforto e racconti che ricordavano molte gesta e comportamenti dei coniugi Vladislavi. Erano state due grandi persone e come tali dovevano essere ricordate. Al termine della serata, Jan riaccompagnava Carlos a casa. Il giorno dopo sarebbe ritornato a prenderlo per andare nella camera ardente allestita per rendere omaggio ad entrambi i poveri corpi, o meglio, quello che ne era rimasto. Dopo essersi salutati con un abbraccio, Carlos scendeva dall’auto, dirigendosi dentro casa. La prima cosa che faceva, sedendosi stancamente sulla poltrona, era quella di prendere uno dei tanti telefoni cellulari in suo possesso riposto all’interno di uno dei cassetti di un comodino in soggiorno. “Vieni domani mattina alle ore 11.00 nella sala ardente allestita appositamente all’interno della camera mortuaria dell’Ospedale Centrale”. Con questo testo, aveva avvertito BLACK. Non si fidavano, soprattutto in questi luoghi, a farsi vedere insieme. Qui, anche le mura sembravano parlare ed ascoltare. E non erano arrivati a questo punto per farsi compromettere neanche eventualmente da tutti i servizi segreti che potevano esistere sulla faccia di questa terra. L’indomani, all’ora prefissata, Jan e Carlos arrivavano sul luogo. Nella stanza assalita da un silenzio agghiacciante e da un’aria fredda, oltre ad una stretta cerchia di persone che Carlos non conosceva, c’erano due bare chiuse. Erano state messe così, per non fare vedere i pochi resti mortali rimasti dei poveri coniugi Vladislavi. Ognuno salutava e ricordava a modo suo i cari scomparsi...
Qualcuno si soffermava a testa bassa accanto alle bare; altri avano toccandole e mormorando qualcosa; altri ancora non trovavano il coraggio di entrare, soffermandosi sulla porta e stringendosi nel dolore e nelle lacrime. Jan veniva spesso disturbato nel suo silenzio da tutti coloro che volevano stringergli la mano ed esprimere le loro condoglianze, cercando di lenire il dolore con frasi di circostanza. BLACK, con il suo viso camuffato da una folta barba, aveva preferito rimanere sull’ingresso della stanza, immobile, fissando entrambe le bare e tenendo le braccia conserte. Carlos, si alternava ... A volte stava accanto a Jan, e in altre si era trovata una posizione tra le due bare, cercando così di dividere il dolore per entrambe le parti. Ma il suo cuore era pieno di angoscia. Come lo era quello di BLACK. Stavano provando la stessa strana sensazione dentro di loro... Con l’improvvisa morte del dott. “Face-off”, era come se tutto quello che stavano facendo da lì a poco doveva o poteva essere in qualche modo interrotto per sempre. Era una maledettissima percezione che tormentava ancora di più quasi del lutto a cui si trovavano davanti... Un presentimento che si stava insinuando come quella fottutissima sabbia che entrambi avevano dovuto respirare fino in fondo quando si trovavano in missione in Iraq. In quel territorio le tempeste di sabbia arrivavano improvvisamente, cambiando il colore di tutto quello che ti circondava. Potevano durare 10 minuti ma anche una giornata intera. Quando tutto finiva, quel poco colore naturale che esisteva, era scomparso, cedendo il posto a quell’arena che aveva voluto insinuarsi senza chiedere il permesso e dettando così legge. Oltretutto, pochi giorni prima, lo stesso BLACK aveva effettivamente sentito una sorta di crisi personale... Sentiva sottratta la sua identità che sentiva sempre più “fuggevole”. Tra una stretta di mano e l’altra, Jan riferiva a Carlos che, dopo che la Polizia aveva ultimato alcuni dovuti accertamenti, poteva essere celebrato il funerale. Potevano trascorrere alcuni giorni o qualche settimana... Ad ogni modo, pareva che, attraverso la dentatura di entrambi, gli organi investigativi dovevano avere la conferma delle loro identità. Dovevano sapere con assoluta certezza che quei poveri corpi carbonizzati appartenessero al dott. Vladislavi ed a sua moglie. Se ora Carlos doveva “giustiziare” anche il/i responsabile/i della loro morte, avrebbe dovuto fare una miriade di sforzi e impiegare risorse, mezzi e uomini in numero significativo. Qui era diverso. Non si poteva eliminare tutto il Servizio Segreto di Praga e Bucarest. Era troppo anche per loro. E poi, c’era ora anche quella stradannata sensazione in loro che interferiva parecchio con il loro modo di agire e pensare. Ad ogni modo, adesso si trovavano lì per dare un doveroso saluto ad una grande persona. D’altronde, avevano sempre pensato ad una cosa
alla volta... Cercare di risolvere più cose allo stesso tempo, portava guai. E non potevano di certo permettere che eventi negativi si potessero infiltrare nelle loro menti come minuscoli granelli di sabbia, come quella catapultata dal cielo iracheno. “Sabbia, sabbia, polvere e nient’altro che sabbia e polvere... E’ incredibile pensare a quanta sabbia e polvere un posto del genere possa contenere. Dovunque tu ti muova, trovi sabbia e polvere. Fottuta sabbia! Cagna di polvere! Il tuo sguardo è a 360 gradi, ma in ogni angolo trovi sabbia e polvere. E quando il proiettile nemico ti penetra nelle carni buttandoti a terra costringendoti anche a mangiarla, ti accorgi veramente di che cosa siamo fatti... Stramaledetta sabbia e polvere!”. Mentre Carlos usciva dalla stanza buttando un’ultima occhiata sulle bare e facendo un lieve cenno di saluto con la testa, gli erano venute in mente queste parole. Le aveva dette un suo uomo in Iraq, a Baghdad, stringendo i denti per la ferita riportata alla coscia destra perforata da un proiettile calibro 7,62x39 mm. Carlos era presente in quel momento di fuoco ed era riuscito a sottrarlo in tempo dalla linea di tiro di alcuni cecchini, puntualmente subito dopo eliminati dal resto del suo team. Maresciallo Capo Davide Molinari, classe 1965, originario di Padova. Questo era il nome del militare ferito. In seguito, d’accordo con lo stesso Carlos, avrebbe assunto un nickname: “BLACK”.
CAPITOLO 15
Conoscendo la “particolarità” nel condurre le indagini di Polizia Giudiziaria da parte della Polizia Rumena, e soprattutto in caso di un “eccellente” duplice omicidio come si trattava, quale la morte di un personaggio di spicco come il povero dott. Vladislavi, Carlos si era già preparato psicologicamente a permanere in quel Paese più del previsto. Ne avrebbe comunque approfittato nel seguire le proprie attività dell’Agenzia presente in quel territorio e nulla veniva lasciato in balia del nulla. Sapeva il tempo che comportava un accertamento mediante la dentatura. Potevano are dei mesi prima che potessero confermare l’identità dei due coniugi. Ma poteva darsi anche che dietro le quinte più di qualcuno avesse interesse nel fare prolungare le cose e/o modificare alcuni aspetti dell’esito degli esami. Carlos sapeva benissimo che dietro questa morte si nascondeva un enorme complotto, al quale lui stesso, almeno per ora, non poteva fare nulla. Conseguentemente a tutte le ultimissime considerazioni che si era fatta nella mente, Brigitte aveva scritto scrupolosamente nei suoi appunti una sorta di scaletta che le ricordava che cosa fare ancora e come procedere. Aveva deciso che forse meritava dare una occhiata nel ato di Carlos. Il presente non aveva dato grandi frutti; forse scavando nel tempo, poteva emergere qualcosa o qualcuno che avrebbe fatto la differenza. La cosa sorprendente anche per lei stessa, era che si era palesemente accorta che, nonostante tutte le indagini svolte fino ad ora non avessero dato un solo briciolo di risultato concreto, tutti i suoi sospetti si stavano ancora focalizzando su Carlos. Su quell’uomo affascinante e misterioso, ex militare professionista delle Forze Speciali dell’Esercito ed ora avviato manager di successo, gestendo ben 5 agenzie di sicurezza e protezione in varie parti del mondo. Quell’uomo suscitava in lei uno sconvolgimento totale, fatto di senso del dovere portato all’ennesima potenza, mischiato alla voglia di conoscerlo nella sua intimità. Ma che cosa realmente le stava accadendo e, soprattutto, che cosa voleva veramente fare? Non si poteva certo dimenticare quel meraviglioso, potente ed inatteso orgasmo che aveva avuto sotto la doccia pensando a lui! Le sembrava che la sua personalità fosse stata divisa in due parti: da un lato si vedeva Brigitte, la poliziotta dell’Interpol, concentrata e correre a spron battuto su molteplici strade per incastrare l’assassino di Sarajevo, e dall’altro una donna eccitata da morire,
ansiosa di conoscere più a fondo quell’uomo per assaporare il piacere della carne fino all’ultimo respiro. Uscendo dall’albergo per dirigersi verso il Comando di Polizia per i soliti accertamenti incrociati con il collega Aldo e parlare con lui dei suoi ultimi intenti, si stava accorgendo di avere le mani sudate. Dall’emozione per poter unire il suo corpo a quello di Carlos? Per poterlo finalmente indicare come il principale responsabile del delitto? O per entrambe le cose? Ma le mani, non erano le uniche che davano quella sensazione... Brigitte era terrorizzata! Quella mattina Brigitte aveva preferito andare al lavoro camminando; il Comando di Polizia era distante dall’albergo circa 1,5 Km. Il sole splendeva timidamente, come se non avesse ancora completamente il coraggio di scaldare quella terra martoriata dalla feroce guerra per paura di essere ancora un intruso. Ad ogni modo, qualche raggio iniziava ad arrivare sul corpo di Brigitte, facendola sentire un po’ più protetta e meritevole di quel beneficio. Aveva bisogno di calore. E, ora come ora, solamente il sole poteva darglielo. Arrivata in ufficio, trovava già Aldo, seduto alla scrivania, intento ad affogare nelle carte e sorseggiando una tazza di caffè. Aveva la barba sfatta di un paio di giorni e un’espressione di uno che non dormiva molto bene da un po’... Quello strano caso stava coinvolgendo emotivamente e fisicamente entrambi, seppur magari per motivazioni diverse, ma la stanchezza stava proprio bussando alla loro porta cercando di entrare e oramai esisteva solo un filo sottilissimo per poterlo permettere. Ad ogni modo, Brigitte, dopo essersi tolta la giacca e appesa la borsetta alla sedia, iniziava a discutere con lui sugli ultimissimi pensieri operativi avuti su Carlos. Bisognava tentare di investigare su quello che era successo tempo addietro nella vita militare di quest’uomo. Forse non voleva dire niente e sarebbe stato l’ennesimo buco nell’acqua e un altro inutile dispendio di forze ma non aveva niente da perdere. All’inizio Aldo era scettico, influenzato sicuramente dalla spossatezza mentale ma, dopo circa mezz’ora di discussione, per incanto o forse più che altro per disperazione, decideva di appoggiare le idee della collega. Una volta stabilito l’accordo, Brigitte, componendo un numero telefonico di uno dei responsabili e superiori del caso per il quale stavano procedendo, dopo aver squillato 5 volte, dall’altro capo del filo finalmente rispondeva un Dirigente della I° Divisione della Sezione Analisi Criminale dell’Interpol di Bruxelles, il quale, dopo aver ascoltato le ultime intenzioni da parte di Brigitte, rimaneva alquanto
perplesso e poco convinto di intraprendere ulteriori ricerche su un uomo che fino ad allora, era uscito praticamente indenne dalle indagini condotte. E così lo era stato per Andrej e tutti i personaggi che erano emersi. Pur encomiando la mole di lavoro fatto e la delicatezza con la quale era stato condotto, il Dirigente, per non squalificare nell’immediatezza gli investigatori, concludeva la conversazione avvisandola che si sarebbe fatto sentire entro un’ora per confermarle l’autorizzazione di quanto presentato o negare ogni proseguimento. L’indagine andava avanti oramai da un anno e i contribuenti stavano pagando parecchi soldi. Nessuno voleva ulteriori sprechi. E c’erano altri lavori da seguire. Brigitte e Aldo, si guardavano in faccia per un breve attimo, mantenendo il silenzio. La donna si sedeva stancamente, quasi buttando il telefono cellulare sulla scrivania, spostando alcune carte. Era la prima volta che, nonostante portasse una gonna lunga fino a poco prima delle ginocchia, si era messa a gambe larghe e quasi sdraiata, assumendo una postura come un uomo rozzo e noncurante della presenza altrui. Il viso era ora rivolto verso il soffitto e le braccia fatte cadere a penzoloni ai lati della sedia. Questa era anche la prima volta che Aldo la vedeva così; e solo grazie alla scrivania che li divideva, non gli permetteva di intravedere uno scorcio di quelle gambe meravigliosamente belle e sensuali. Doveva quasi fingere di mettere in ordine alcune scartoffie per distrarsi da certi pensieri che gli facevano automaticamente assumere uno sguardo diverso. E Brigitte, percependo nell’aria questo desiderio e curiosità, improvvisamente si ricomponeva. “Non ci rimane che attendere... caro collega... L’attesa è la unica nostra compagnia... E probabilmente, rimarrà l’unica ad accompagnare i nostri i...”. Queste le parole di Brigitte, mentre con o elegante si avviava verso la porta dell’ufficio per andare a prendere una boccata d’aria.
CAPITOLO 16
Carlos si trovava nel suo ufficio dell’Agenzia di Bucarest occupato a sistemare alcune scartoffie amministrative che la segretaria gli aveva fatto trovare sulla scrivania, insieme ad altra documentazione da visionare ed approvare. La questione finanziaria era sempre brillante: c’erano molti clienti che si fidavano della sua vasta esperienza nel settore e, conseguentemente, della sua professionalità nello specifico settore. I suoi clienti si sentivano veramente protetti. La luce della lampada da tavolo illuminava quanto era scritto sui fogli sui quali Carlos leggeva e apponeva le sue firme. Erano le 21.00... Si era attardato perché voleva portarsi un po’ avanti nel lavoro, senza perdere ancora di vista la situazione appena accaduta, relativa alla morte del suo caro amico e collaboratore Dott. Vladislavi. E, naturalmente, la questione del lavoro condotto dai due agenti investigativi dell’Interpol. Ma, adesso come adesso, la scomparsa violenta ed improvvisa del Dott. “Face-off” lo stava preoccupando di più. Sentiva di poter tranquillamente ancora dominare Brigitte e Aldo ma non sentiva la stessa cosa per l’altra questione. Era stata una cosa che non aveva minimamente previsto e questo un po’ lo irritava e lo impensieriva; non era più abituato ad avere sotto le mani situazioni non previste e quindi di difficile gestione e controllo. Ma non doveva perderlo. Gli era stato insegnato dal suo grande Maestro come non perdere il controllo. Gli era sempre riuscito bene ma, ora, dopo tanto tempo, stava provando una sensazione pericolosa e fastidiosa. Doveva affrontare un grande combattimento con questa paura. Sapeva dentro di sè che ad ogni modo sarebbe riuscito a dominare anche questa vicenda. D’altronde, soprattutto dopo quello che aveva creato con il delitto di Sarajevo, aveva sempre dimostrato di essere un uomo fuori dalla norma, capace di progettare e realizzare grandi cose ogni qualvolta lo avesse veramente voluto. Il suo Maestro in Tibet, Tazin Shao Liu, glielo ricordava spessissimo, citando una delle innumerevoli frasi dettate da Paramahansa Yogananda, (Gorakhpur, 5 gennaio 1893 – Los Angeles, 7 marzo 1952), filosofo e mistico indiano:
“La mente è l’artefice di tutte le cose. Voi dovete indurla a creare soltanto il bene. Se, con tutta la forza della volontà dinamica, vi concentrerete su un determinato pensiero, alla fine lo vedrete prendere una tangibile forma esteriore. Quando riuscirete a servirvi della volontà esclusivamente per scopi costruttivi diverrete padroni del vostro destino”. Certo che, se il suo Maestro e tutti questi filosofi e mistici orientali ed indiani di cui Carlos era un grandissimo estimatore, avessero saputo come applicava la legge per punire i delinquenti che erano sfuggiti alla giustizia ordinaria, non sarebbero certamente stati d’accordo con lui... Anzi! Ma del resto, lui era così. Era un occidentale cresciuto con i principi che l’universo gli trasmetteva per comprendere gli innumerevoli misteri del pianeta e, nello stesso tempo, gestire a modo suo la quiete dell’anima. Solo il suo oscuro piacere gli dava questo, quando lo riteneva necessario. E ora, mentre stava apponendo l’ultima firma di approvazione su l’ennesimo documento amministrativo, stava pensando che sarebbe stato ben felice di concretizzarlo nei confronti di chi si era macchiato della tragica scomparsa del Dott. Vladislavi. Ma, se effettivamente dietro a questo palcoscenico c’erano state le impronte dei Servizi Segreti della Repubblica Ceca in collaborazione con quella rumena, era veramente un casino! Non avrebbe cessato, se fosse riuscito a continuare, di eliminare gente fino all’età di 100 anni!!!! Troppe persone all’interno da eliminare. Quando accade un evento del genere manovrato da questo tipo di organizzazione, l’unica forma di estirpare il male alle sue radici, è la bomba atomica...Si era fatta quasi mezzanotte mentre Carlos riponeva la penna sulla scrivania, ricomponeva le carte firmate e spegneva la luce. Era ora di andare a casa a dormire, in attesa che, nel frattempo, qualche novità fosse emersa e capire quindi qualcosa in più. Uscito in strada, si avviava a piedi verso casa. Svoltato l’angolo, questo pensiero si spostava, lasciando spazio a Brigitte. Chissà che cosa stava facendo ora? Starà ancora cercando qualche prova contro di lui o avrà definitivamente abbandonato la presa? Che cosa stavano esaminando ora? Per quanto tempo staranno decidendo di proseguire queste indagini? Ma, soprattutto, Brigitte lo stava pensando intensamente all’infuori della figura professionale come fino ad ora aveva chiaramente intuito? Gli sarebbe piaciuto rivederla. Sentiva la mancanza del suo sguardo indagatore e allo stesso tempo desideroso di lui... Del suo profumo... delle sue gambe lunghe e lisce... La voleva e questo desiderio cresceva ad ogni o. Doveva trovare il modo di contattarla con una scusa ed organizzare un incontro. Ma, forse, tutto questo non era necessario.
“Visto il tempo trascorso e la consistente mole cartacea svolta fino ad ora senza che comunque essa abbia portato ad una concreta fase risolutiva e positiva, assicurando il colpevole o i colpevoli alla Giustizia, di concerto con il Reparto Crimini Violenti del Raggruppamento Operativo Speciale (“ROS”) dei Carabinieri di Roma, questa Sezione Analisi Criminale dell’Interpol di Bruxelles, ha deciso di chiudere la pratica in oggetto e catalogarla come delitto irrisolto, con la speranza che, in un futuro non molto lontano, possano nuovamente emergere, grazie naturalmente alla grande ed ammirevole professionalità esercitata dagli investigatori Brigitte Ferligani ed Aldo Ginepri, nuovi elementi che possano giustificare il prosieguo delle indagini in parola. Considerato quanto sopra, si autorizzano gli investigatori suddetti a rientrare nelle rispettive sedi, ove dovranno compilare un format riassuntivo degli elementi, indizi, perizie, atti di P.G. e quant’altro emerso nel corso della complessa e laboriosa indagine di omicidio violento”. Bruxelles, il.................Fto Il Dirigente Sezione Analisi Criminale Questa volta, l’attesa per Brigitte ed Aldo era stata veramente molto poca. Il giorno successivo alla telefonata avuta con uno dei responsabili del caso a Bruxelles, era arrivata questa email in ufficio. Entrambi si trovavano impietriti davanti al monitor del pc, seduti, fissando come automi quelle parolone che, letteralmente, per loro significavano: “Ci avete fatto perdere solo tempo e spendere una montagna di soldi, facendoci deridere dall’opinione pubblica. Rientrate e compilate altre scartoffie. Questa volta, attestazioni e meriti non abbelliranno i vostri uffici e le vostre pareti...”. “Prendiamo atto di quanto letto e, non appena avremo prenotato l’aereo per il ritorno, faremo seguito alla presente. Nel frattempo, in attesa di personale ed istruzioni per il raccoglimento di tutto il materiale investigativo, lo stesso sarà custodito in camera blindata chiusa con chiavi in solo nostro possesso e posta all’interno del Comando di Polizia a cui gli scriventi si appoggiavano per ausilio logistico e operativo”. Sarajevo, il............. Fto Brigitte Ferligani Aldo Ginepri Avevano trovato la forza di scrivere queste poche righe di risposta. Dietro a
queste scarne parole, si nascondeva una grande stanchezza mentale, fisica, una rabbia e una forte delusione. Questa volta non erano stati abili e/o fortunati nell’assicurare un omicida alla giustizia. C’era ancora un assassino libero che si stava facendo beffe di loro e che, probabilmente, avrebbe ancora colpito. Avevano fallito. Era un boccone amaro per loro... Avevano risolto sempre i casi a loro assegnati; questo era stato per loro il primo flop. Si sentivano più o meno come scolaretti bravi e diligenti che, andati sempre bene con ottimi risultati, avevano avuto una grave insufficienza che rovinava loro la media. Il dito indice di Brigitte con il quale premeva il tasto di invio sul computer, pesava tantissimo e con quella parola fine, in lei si stava accendendo una voglia di incidere la parola antagonista... Inizio! Un inizio però prettamente suo che niente e nessuno le avrebbe impedito di intraprendere e che solo lei aveva deciso di fare. Lei sola era la responsabile di quello che sarebbe andata a fare, alla ricerca della verità. Quella verità che sicuramente l’avrebbe portata in un baratro di confusione ma liberatorio. E, soprattutto, era certa che era una cosa che doveva assolutamente fare. Era stanca di interrogativi senza risposta, di vuoti che non si riuscivano a colmare e di pezzi mancanti che ti facevano scivolare ancora di più come essere intrappolato nelle sabbie mobili. Ora, custodiva gelosamente in lei tutti questi pensieri e non vedeva l’ora a questo punto di rientrare a Bruxelles per assolvere alle ultime adempienze per poter finalmente fare quello che si era preposta. Non poteva farlo come investigatrice perché non era più autorizzata a seguire il caso. Lo faceva a questo punto semplicemente come privata cittadina. E di questo, ne era sicurissima.
CAPITOLO 17
Il rientro alle proprie sedi operative, avveniva una mattina fredda ed imbiancata di false speranze, bagnate da sguardi malinconici e persi nel vuoto, come tentare disperatamente per l’ultima volta di scovare qualcosa nascosto nel buio più profondo la verità. Gli sguardi dei due investigatori si incrociavano ma in realtà l’attenzione era rivolta al proprio inconscio, ai loro interrogativi ed alla loro convinzione che tutto quello che doveva essere fatto, era stato compiuto, come per tacitare la coscienza. Non erano riusciti ad assicurare alla giustizia il colpevole di quel tremendo delitto e dare una risposta concreta alla famiglia di Fabjan Milkovic. E probabilmente, questo avrebbe segnato non solo la loro esistenza professionale ma anche quella personale. Ma, Brigitte, a differenza di Aldo, essendosi impostata mentalmente di continuare ad investigare come “privata cittadina” in Italia sul ato militare di Carlos e, nutrendo allo stesso tempo per lui una sorta di attrazione fatale, conservava dentro di sè ancora qualche speranza. Chissà, si chiedeva lei stessa, se non era riuscita nei suoi intenti come investigatrice mandata ufficialmente dall’Interpol, avrebbe fatto qualcosa di concreto come una semplice Brigitte Ferligani in un breve periodo di ferie... Dopo avere salutato il Comandante della Polizia di Sarajevo Cap. Djurd Navid e tutto il suo staff, i due, a bordo di un taxi, si recavano all’aeroporto, dove Aldo poco dopo prendeva l’aereo per Roma e Brigitte per Bruxelles. Perfino in volo, ad entrambi pareva che, vedendo Sarajevo dall’alto, una cortina di mistero ricoprisse la città, quasi come a proteggere l’assassino e tutta la verità che stava dietro il palcoscenico. Erano stati in un teatro e per un lungo periodo avevano diviso la parte di protagonista insieme all’omicida, con la sola differenza che quest’ultimo era rimasto nascosto dietro la tenda. Nei giorni successivi al rientro, le giornate di Brigitte erano scandite da colloqui con i propri superiori e per compilare ulteriori scartoffie, come se non fossero bastate già quelle abbondantemente fatte durante l’indagine. Ad ogni modo, finalmente, dopo aver assolto a tutto questo, a Brigitte veniva concesso un mese di ferie. Era quello che aspettava. Era da tanto che desiderava un lungo periodo
di vacanza e... perché non andare in Italia? E perché non visitare bene la capitale? La valigia era già pronta e le idee lo erano anche. Nel frattempo, era trascorso circa un mese e mezzo da quando Carlos si era precipitato a Bucarest per il presunto omicidio del Dott. Vladislavi e di sua moglie, senza tuttavia avere ulteriori informazioni interessanti al riguardo. Le indagini erano ovviamente sotto il più stretto riserbo ed era molto difficile sentire qualche cosa che avrebbe potuto dare adito a sospetti o altro. In aggiunta, se effettivamente c’erano in mezzo i Servizi Segreti, si poteva ben comprendere la pericolosa macchinazione che giaceva dietro ogni angolo. Anche il figlio del Dott. “Face-Off”, Jan, con il quale era costantemente in contatto, non era stato in grado di aggiornare nessuna situazione, sebbene venisse chiamato abbastanza spesso dal Comando di Polizia per essere sentito. Comunque, Carlos aveva già avvertito che, purtroppo, causa impegni professionali, lui sarebbe dovuto rientrare a Sarajevo nel giro di due settimane. E così avveniva: Jan si era offerto di accompagnarlo in aeroporto e si erano salutati, con l’impegno di risentirsi, soprattutto nel caso in cui sarebbe emersa qualche novità per la morte del padre. Mentre Carlos percorreva il breve tratto di asfalto che lo portava verso l’aereo, sul quale era già seduto anche il buon “BLACK”, si voltava per un attimo, scorgendo Jan, fermo, immobile, salutando con la mano e accennando ad un sorriso che in realtà si era trasformata in una sorta di smorfia. Carlos contraccambiava e, salendo sull’aereo, gli pareva di “vedere” una striscia di lacrima che solcava una guancia di Jan. Per ora, Carlos non poteva fare nulla. Ma una cosa importante doveva fare a Sarajevo. Aveva detto una mezza verità a Jan; doveva organizzare importanti servizi per un cliente nuovo in quella città e i suoi uomini gli avevano chiesto appoggio. L’altra parte della verità non poteva certo dirla... Nei suoi nascondigli, aveva già pronto un altro “dossier” di morte... Aveva inserito qualcuno di importante in quella città che meritava di sparire per sempre... Lo aveva idealizzato da più di un anno, ovvero ancora prima della morte di Fabjan. Per ovvi motivi, non aveva ancora potuto muoversi in tal senso... Quello spettacolare delitto aveva proprio sollevato un enorme polverone e lui stesso era stato indagato e seguito per un certo periodo di tempo. Dovevano calmarsi le acque e, ora, nel giro di pochissimo tempo, il “DIM MAK”, sarebbe finalmente ritornato in azione!
Rientrato a Sarajevo, chiaramente la prima cosa su cui veniva informato dalla sua segretaria Liliane, era quella della chiusura dell’indagine sul “mostro” del delitto di Fabjan e del conseguente rientro dei due investigatori. Da una parte si sentiva sollevato e dall’altra, un po’ amareggiato per la partenza di Brigitte ma... Non escludeva a priori un loro prossimo incontro chissà dove e chissà in che modo... Questo era molto intrigante... Nei giorni seguenti, Carlos era molto impegnato nell’attività burocratica ed organizzativa del suo lavoro, abilmente coadiuvato da Liliane e da tutto il suo personale di sicurezza e protezione. Gli affari, paradossalmente al fatto che il nome di Carlos era ribaltato nella cronaca come uno dei principali indagati per l’assassinio di Fabjan, erano addirittura migliorati. Sembrava che alla maggior parte della gente non importasse nulla di quanto fosse accaduto. Senza saperlo, i clienti si erano concretamente messi nelle mani dell’autore di quel fatto; bastava solo il sospetto o il pensiero che Carlos fosse stato l’artefice di tutto questo e per le persone questo poteva bastare. Era incredibile! Ma lo era stato ancora di più quello che Carlos aveva trovato una mattina, alla casella postale... Non poteva essere uno scherzo! L’esistenza di quella casella postale era conosciuta da lui stesso e dall’amico BLACK... E di certo lui non avrebbe mai fatto una cosa così “goliardica” di pessimo gusto... Ma, no, in realtà c’era un’altra persona che utilizzava quell’indirizzo per le solite comunicazioni riservatissime. E, a meno che non esistevano i fantasmi, la comunicazione arrivava dal Dott. Vladislavi! Il dott. “Face-Off”, ERA VIVO!
CAPITOLO 18
Brigitte era arrivata a Livorno. La giornata era incorniciata da una bella giornata di sole e nell’aria si assaporava una gran voglia di ricominciare. Ognuno dei numerosi anti, o perlomeno la maggior parte, sicuramente pensava che sarebbe stato bello riiniziare il proprio percorso di vita e cancellare con un colpo di spugna tutte quelle cose che avevano portato solo male e tanta sfortuna. Quell’aria particolarmente tiepida dava oggi loro la possibilità di farlo. O quantomeno di pensarci. La bella investigatrice dell’Interpol era giunta in quella città in vacanza ma, si era prefissata di gustare il posto come turista e di indagare sul ato di Carlos. A Livorno c’era la sede del 9o Reggimento d’assalto paracadutisti incursori “Col Moschin”, il reparto di Forze speciali dell’ Esercito Italiano. L’ex Reparto di Carlos. Là dentro era successo qualcosa che aveva costretto quel militare professionista a cambiare radicalmente la sua vita. Era certa che avrebbe scoperto qualcosa che le poteva fare capire il perché della decisione di quell’uomo di intraprendere quel bivio. Una volta, un saggio diceva: “Tutti noi percorriamo la stessa strada ma, non tutti arrivano ad un bivio e non tutti scelgono quale prendere”. Brigitte voleva sapere perché aveva preso la strada dell’imprenditore di successo dopo una gloriosa storia militare. Aveva trovato mediante internet un alloggio in un bell’albergo nei pressi della P.zza Attias. Vi arrivava nel pomeriggio tardo. Appena si era sistemata nella stanza e dopo una doccia, apriva uno scomparto interno della valigia dalla quale estraeva un block-notes, sul quale vi erano già minuziosamente scritti i luoghi dove sarebbe andata per cercare di fare qualche domanda e altri posti invece dove meritava fare la turista. C’erano un po’ di cose da fare e vedere; per questo aveva prenotato per 2 settimane. Ma, si era ripromessa che, se non le sarebbero bastate, avrebbe cercato di prolungare il suo soggiorno a Livorno o nello stesso Hotel o in un’altra struttura. Doveva andare via questa volta con un animo diverso rispetto a Sarajevo. Qualcosa in più doveva mettere ad incastro nel suo puzzle mentale. Un qualcosa che faceva la
differenza. Dopo aver riordinato i propri appunti e vestita, usciva per dirigersi in qualche ristorante per cenare. Si accorgeva subito della presenza di numerosi militari per le strade di Livorno; anche se erano in abiti civili, si riconoscevano da molto lontano: il capello con il taglio tattico, corporatura atletica, visi squadrati come la loro postura, sguardo fiero, orgoglioso e desideroso di “combattere”. Quella caratteristica gli ricordava tantissimo Carlos che, alla data attuale, si discostava da tutti loro solo per i capelli che invece nel frattempo erano cresciuti e lunghi fino alle spalle. Si domandava che cosa lui stesse facendo in quel preciso momento e dove si trovasse... Chissà se provava ancora nostalgia di questo glorioso Reparto, portandolo qui qualche volta magari solo a vedere la struttura dall’esterno, così... per ricordare i bei tempi ati e gli abbracci con i veri compagni/amici. Concentrata su questi pensieri, veniva destata da un commento da uno dei tanti militari che gli era ato accanto... Un apprezzamento alla sua femminilità, alla sua eleganza, al suo essere donna. Con un mezzo sorriso nascosto, buttava la sigaretta ed entrava in un Ristorante Pizzeria. Dall’esterno si poteva sentire un buon profumo di pesce. Dopo essersi buttata nelle grazie culinarie del titolare del locale, il quale giustamente le aveva consigliato di assaggiare la sua specialità di pesce ed un buon vino bianco, su informazioni avute dallo stesso, si avviava verso la caserma “Vannucci”, sede del “Col Moschin”, dove arrivava dopo circa mezz’ora. Si respirava nell’aria ancora più l’ambiente militare... La presenza di soldati era aumentata per la strada e, messa di fronte alla caserma, rimaneva immobile, come guardare una scultura e scoprirne l’essenza. Dietro quelle mura era ancora imprigionato il grande segreto di Carlos e, in un modo o nell’altro, doveva tirarlo fuori. Ma, Brigitte, da professionista qual era, sapeva già da dove iniziare; e lo avrebbe iniziato dal giorno successivo. Rimasta ancora un po’ a guardare la caserma e dopo aver risposto ad alcuni militari che stava già aspettando una persona per farli allontanare (per ora...), riprendeva la via per ritornare in albergo. Prima di andare a letto, aveva preferito fumare un’ultima sigaretta sul terrazzo da dove poteva ammirare la strada e i vari vicoli circostanti oramai deserti.. Livorno non aveva mai avuto una vita particolarmente notturna. Ma questo non era un problema per lei. Aveva altre priorità. Spento il mozzicone nel portacenere, rientrava in stanza socchiudendo la portafinestra. Lavati i denti e tolti gli anelli e gli orecchini, andava a letto. Era l’una
del mattino quando spegneva la luce della lampada sul comodino e il silenzio, con le sue ombre, faceva da padrone.
CAPITOLO 19
Le mani di Carlos tremavano talmente tanto che, istintivamente, lui stesso pensava che se avesse avuto questa reazione ogni volta che doveva premere il grilletto, era un uomo morto. Ma era maledettamente difficile non farlo... era un’impresa impossibile. Ma come era possibile una cosa del genere? Perché il dott. Vladislavi aveva inscenato la sua tragica morte insieme alla moglie, lasciando oltretutto il figlio in preda alla disperazione ed al dolore indicibile, affrontando in aggiunta tutti gli interrogatori da parte della polizia con tutte le difficoltà ed imbarazzi del caso? Doveva per forza esserci una ragione veramente forte conoscendo l’amico “Face-off”. A Carlos sarebbe proprio piaciuto saperlo... Ma, ora come ora, non gli rimaneva che leggere il suo messaggio, privatamente, tra le quattro mura domestiche e custodi da sempre di segreti inossidabili. “Cari amici Carlos e BLACK... Comprendo pienamente la vostra confusione, il vostro smarrimento, la vostra sorpresa e, la vostra giusta rabbia. Mi rattrista aver architettato tutto questo, soprattutto per mio figlio che è rimasto e, confidando in voi, lo rimarrà a lungo. Voi siete ben a conoscenza dei miei rapporti con i Servizi Segreti... Ho collaborato per tantissimi anni con loro e sono perfettamente a conoscenza delle mie capacità e potenzialità. Mi riferisco soprattutto alle mie tecniche innovative sulla chirurgia plastica. I Servizi Segreti di Praga, hanno recentemente stipulato una sorta di accordo con la Corea del Sud, in base al quale, in sintesi, mediante il mio operato, avrebbero voluto creare un esercito di sosia da utilizzare principalmente per minare seriamente la sicurezza di altre potenze straniere, quali per esempio gli Stati Uniti d’America... Fortunatamente, in tutto questo processo, sono riusciti ad inserirsi gli uomini della CIA, che non senza difficoltà durate anni, sono arrivati a costruire tutto questo, naturalmente all’insaputa anche dei Servizi di Bucarest. Ho preferito mantenere il silenzio ed il segreto anche con voi e mio figlio fino ad ora, perché c’era un pericolo significativo per la vita di voi tutti. Sono riuscito per miracolo a farti avere questo messaggio tenendo all’oscuro le Forze che mi hanno preso in “consegna”, proprio perché ho ritenuto che comunque tu e BLACK avevate il diritto di saperlo, seppur in ritardo. Voi ve la sapete cavare...
Altrimenti non fareste quello che state facendo... Ma mio figlio, sotto questi profili, si trova assolutamente indifeso e privo di qualsiasi risorsa. Per finire, ritengo tuttavia, per il vostro bene, che questo sia l’ultimo messaggio da parte mia conservando il segreto di dove ora io mi trovi. Voi avete ancora da fare e la vostra missione di giustizia deve proseguire senza più intoppi possibili. E mio figlio di continuare la sua strada, seppur con un grande dolore. Ma è questo che fa crescere ed andare avanti. Voi questo lo sapete benissimo. Un abbraccio e buona fortuna”. Questo era stato l’ultimo messaggio da parte del dottor Vladislavi. Carlos, molto stancamente, con le gambe pesantissime, si era alzato dalla poltrona e si era avvicinato al trita carte, dandogli in pasto la lettera con tutto il suo contenuto che si era tramutato in tanti microscopici pezzi. Per Carlos, guardando smarrito quelle sottilissime strisce di carta che sembravano uscite dalla bocca di un animale feroce, era come se si fosse smaterializzata una parte di storia. La sera stessa, informava anche l’amico BLACK che si lasciava cadere sul divano, rimanendo in silenzio, imitato da Carlos. Quel mutismo sembrava a volte disturbato dal rumore delle domande che entrambi si stavano facendo all’interno della loro mente che, a sua volta, contribuiva nel frastuono irreale nel tentativo di rimettere ogni cosa al giusto posto. Già... ma secondo la loro volontà, o seguendo i criteri dell’amico dottore? E poi, cosa significava esattamente rimettere ogni cosa al proprio e giusto posto? Nella vita reale questo non sembrava esistere e quindi perché porsi tante domande in tal senso? Volenti o nolenti, avevano avuto una spiegazione. A loro doveva bastare. E soprattutto sapere che l’amico era comunque vivo insieme alla moglie, era già una cosa meravigliosa. Carlos e Black dovevano ora concentrarsi in un altro “caso”. Nel dossier dell’oscuro piacere c’era ancora il nome di una persona eccellente destinata a morire, resasi responsabile in qualche modo di atrocità e costrizioni nei confronti di brava e povera gente. E Carlos era proprio impaziente nel riutilizzare il “suo” “DIM MAK”. BLACK aveva già praticamente finito tutti gli accertamenti soliti che precedevano l’atto di giustizia. Tic tac... tic tac... le lancette della morte si stavano muovendo lente ma implacabili. Il meccanismo stava partendo. Gli sarebbe quasi piaciuto che anche quel delitto fosse stato seguito da Brigitte... Dove si trovava ora quella donna? Quando usciva dall’appartamento di BLACK, si stava ancora ponendo la stessa domanda. BLACK invece si stava guardando allo specchio... riconosceva sempre meno quell’uomo riflesso.
CAPITOLO 20
Nel frattempo, a Livorno, Brigitte nelle sue indagini personali, era andata avanti. Fumando una sigaretta sorseggiando un aperitivo prima di cena, stava percependo di aver scoperto una chiave mancante nella vita di Carlos. Iniziava a sentire di nuovo una certa soddisfazione. Mediante ex colleghi dell’uomo con cui era riuscita a instaurare un rapporto di semplice conoscenza, approfittando di essere una “turista”, era riuscita a sapere che il suo eccellente lavoro nell’ambito militare era stato ingiustamente e pesantemente contrastato da quattro suoi superiori che, poco dopo più di un anno, a distanza di circa 4 mesi l’uno dall’altro, erano inspiegabilmente morti per cause naturali! Quella assurda coincidenza la stava elettrizzando come la classica ape sul miele. Proprio quei quattro scomparivano per sempre, apparentemente per cause naturali, dopo le dolorose dimissioni dal Corpo Speciale di Carlos!! Era maledettamente strano! In aggiunta, era venuta a conoscenza che lui aveva trascorso molto della sua esistenza presso un monastero in Tibet, a stretto contatto con un grande Maestro locale che gli aveva tramandato numerose tecniche di arti marziali delle quali aveva parlato vagamente con gli stessi colleghi. Certo, questo non voleva dire che Carlos era un possibile omicida ma, nella testa di Brigitte, qualcosa stava prendendo forma. In aggiunta, spulciando negli archivi della biblioteca comunale e facendo dei controlli incrociati, aveva letto una strana notizia su un quotidiano spagnolo che aveva dato ampia risonanza alla improvvisa e bizzarra morte di tale Beatriz, personaggio di spicco nell’ambito politico spagnolo ed avvenuta proprio all’interno del Parlamento a Barcellona... Dopo aver “magicamente” sputato sangue, si accasciava sulla sedia come un fantoccio dipinto di rosso. Anche la politica non era stata una donna benevola con il prossimo, macchiandosi spesso di atti altamente criticabili sia dal suo stesso ambiente che dalla gente popolare. Molte persone erano state ridotte sul lastrico a causa sua e per questo non era per niente amata e rispettata. I suoi giochi di potere erano stati vergognosi e sicuramente molti desideravano la sua morte. Forse qualcuno li aveva accontentati.
Sia i quattro superiori, sia Beatriz che Fabjan, avevano lo stesso filo conduttore: erano state delle persone che avevano fatto tanto male senza alcun scrupolo pur di ottenere un ingiusto profitto economico e di carriera, attirando l’odio da parte di tutti. La gente onesta, colpita da queste persone, era rimasta talmente priva di energia e speranza da non provare neanche più questo sentimento... Ma una specie di cavaliere mascherato aveva realizzato i loro pensieri più reconditi... A Brigitte non dispiaceva più di tanto che persone del genere sparissero per sempre ma, se la loro morte era stata effettivamente causata in qualsiasi maniera, si trattava pur sempre di omicidio. Certo, quale Tribunale avrebbe condannato un uomo per omicidio solo perché profondo conoscitore di antiche tecniche di arti marziali? E poi c’erano regolari referti medici attestanti la morte come avvenuta per cause naturali? Inutile dire che, continuando le ricerche, Brigitte aveva letto di questa tecnica della morte... il “DIM MAK”... Era rimasta stupefatta ma allo stesso tempo affascinata da quello che poteva fare... Colui che la eseguiva, a seconda della zona del corpo colpita, il malcapitato decedeva dopo un po’ di tempo per... CAUSE NATURALI SENZA LASCIARE ALCUNA TRACCIA SUL CORPO!! Era veramente stupefacente... Oltretutto, tutte le persone che erano scomparse prematuramente e apparentemente per cause naturali, erano state in qualche modo collegate a Carlos... Sia in maniera diretta che indiretta: i quattro erano stati militari superiori all’interno dello stesso reparto, Beatriz era stata vista in un paio di occasioni in ricevimenti vari in compagnia di un uomo affascinante e misterioso, le cui caratteristiche fisiche potevano benissimo corrispondere a Carlos e, infine, Fabjan era un imprenditore acerrimo nemico e rivale di Andrej che, a sua volta, si era rivolto proprio a Carlos per un servizio di protezione... Senza dimenticare quel particolare in cui Andrej usciva dal suo ufficio con le lacrime agli occhi e la cui spiegazione data da Carlos durante l’interrogatorio non l’ aveva per niente in realtà convinta... Eppure nell’arco di tempo dell’omicidio di Fabjan, Carlos era stato visto in un locale pubblico. Ma, con il senno del poi, si ricordava del particolare del berretto calato sugli occhi e il fatto di essersi seduto in disparte in un angolo della birreria, evitando di dialogare... Eppure sia il titolare del locale e molti altri avventori interrogati, avevano dichiarato che si trattava proprio di Carlos... Non poteva di certo essere un sosia! Oppure in questa occasione, aveva avuto un
complice che, mentre lui stava comodamente seduto al bar, torturava e uccideva Fabjan? Voleva dire qualcosa questo? Neanche lei poteva spiegarselo ma, tutto appariva veramente troppo strano. E che dire poi di un certo Davide, ex collega dello stesso team, che, sempre a dire di alcuni militari con cui Brigitte era venuta a contatto, era l’unico con cui Carlos aveva stretto una particolare amicizia che andava oltre il normale rapporto di cameratismo e con il quale era solito confidarsi di più? E guarda caso, anche questo Davide, a seguito di ingiustizie subite a seguito di una certa operazione di servizio finita tragicamente con il morto, dopo poco tempo dall’episodio, si congedava facendo perdere le proprie tracce. Mai più nessuno era riuscito a sapere che fine avesse fatto.
CAPITOLO 21
Mentre stava profondamente analizzando mentalmente tutti questi nuovi particolari sul ato di Carlos, stava contemporaneamente pensando alla possibile reazione da parte dei suoi superiori nel caso in cui lei si sarebbe spinta a raccontare gli ultimissimi avvenimenti che, secondo lei, potrebbero ottenere validi elementi per rivedere attentamente tutto il caso dell’efferato delitto di Sarajevo. L’avrebbero sicuramente internata in una clinica psichiatrica!! Chi mai avrebbe creduto all’esistenza di una specie di giustiziere che si prodigherebbe ad eliminare gente malvagia mediante tecniche segrete di arti marziali ed altro ancora, perché stato a sua volta vittima involontaria di angherie ed ingiustizie gratuite senza alcun scrupolo? Assolutamente nessuno! Anche se più avanti fosse riuscita a dare conferma a tutti i suoi sospetti, avrebbe dovuto conservare la verità solo dentro di lei... Le sembrava di vivere in un racconto estremamente surreale... Ma, in effetti, lo era. Chi sarebbe stata la prossima vittima? Escludeva assolutamente lei stessa ed il suo collega Aldo; se le sue teorie erano giuste, chi moriva era stata una persona particolarmente malvagia... una che, avvalendosi magari della propria supremazia economica/politica, non aveva avuto alcuna remora nel mandare in rovina gente onesta di validi principi... Uno che, nonostante tutto quello che aveva fatto, era riuscito a fuggire sempre dalla rete della giustizia... E per questo, meritava di morire! Lei ed Aldo tutto sommato avevano fatto il loro dovere di investigatori, chiamati a condurre indagini allo scopo di assicurare ad una giustizia fallita il responsabile di quell’omicidio. E questo Carlos lo comprendeva benissimo. Si, Brigitte questo lo aveva chiaro in mente... Come teneva sempre dentro di lei il ricordo di quell’uomo che, seppur all’epoca indagato, le aveva dato perfino l’ispirazione di masturbarsi sotto la doccia! Anzi, proprio pensandoci, si stava accorgendo di percepire la sensazione di essere leggermente bagnata... Come era possibile una cosa del genere? Eppure la stava vivendo da
protagonista. E questo, sinceramente, non le dispiaceva affatto. Carlos e BLACK si erano trovati a casa del primo, in Sarajevo, per finalmente discutere e definire tutti i dettagli per giustiziare una certa persona rimasta tranquillamente ancora in vita. Rispetto al delitto di Fabjan, qui in realtà non c’erano state moltissime cose da analizzare e valutare. Una cosa era certissima: il “DIM MAK” avrebbe fatto ritorno; tra breve tempo ci sarebbe stata un’altra vittima, la cui morte rimaneva inspiegabile davanti agli occhi di tutti. Ma quell’incontro tra i due quella sera, era stato anche caratterizzato dalle esternazioni di BLACK, il quale finalmente si era deciso a rivelare all’amico la sua grande crisi di identità e valutando molto seriamente di finire con questo tipo di attività, essere di nuovo se stesso e magari stabilirsi nella Guinea se per avvicinarsi alle figlie Michela e Caterina che vivevano in quel Paese insieme alla madre Chantalle. Carlos inizialmente si dispiaceva moltissimo cercando di farlo desistere dalle proprie intenzioni sapendo di perdere di nuovo un validissimo collaboratore; aveva perso il dott. Vladislavi che, seppur fortunatamente ancora in vita, si era ritirato per motivazioni diverse. Ma, subito dopo, aveva preso coscienza della serietà della volontà da parte di BLACK... Di fronte a quegli affetti familiari, non era necessario discutere. Meritava il massimo rispetto. E anche Carlos, da una certa parte, sentiva che questo delitto probabilmente sarebbe stato l’ultimo oscuro piacere... Forse era giusto così e lasciare spazio nuovamente alla giustizia dei tribunali e soprattutto a quella divina.Ogni cosa ed ogni individuo ha il suo tempo. Ma con questo, entrambi non erano pentiti di tutto quello che fino ad ora avevano fatto. Tutto era stato eseguito con la piena volontà e determinazione. Proprio anche per questo erano uomini forti, soprattutto mentalmente... un uomo è tale quando è in grado di avere la piena consapevolezza di riconoscere quando iniziare e finire. E loro ora stavano facendo questo. Una tarda mattinata, mentre Carlos stava parlando di un servizio di protezione e sicurezza per un cliente al proprio personale operativo, riceveva una telefonata sul suo telefono cellulare. Il numero era a lui sconosciuto; tuttavia, non si sa per quale esatta ragione, rispondeva. Dall’altro capo del filo, la voce di un uomo che, con tono molto cordiale e pacato, lo salutava chiedendogli come stava. Era un altro ex collega di Carlos; era riuscito a contattarlo facilmente rintracciando i vari recapiti telefonici dell’Agenzia attraverso internet. Al contrario di BLACK, per tutti era risaputo che Carlos avesse avviato con grande successo la sua nuova attività. Carlos rimaneva comunque molto stupito di questa telefonata; da quando era andato via, era tutto sommato la prima chiamata che riceveva da un ex componente del suo
Reparto. Dopo essersi brevemente scusato con i suoi uomini, si metteva in disparte, venendo subito a sapere la natura della conversazione. L’ex collega, dopo i convenevoli saluti e le solite domande sull’andamento generale della vita professionale/personale/affettiva, riferiva che da circa due settimane, una bellissima ed affascinante donna se di nome Brigitte, si stava dando da fare a Livorno per fare domande su di lui. La donna asseriva di averlo conosciuto tempo addietro in occasione di una festa di ricevimento presso un’abitazione privata a Parigi e di essere rimasta molto colpita dal forte carisma che le aveva in qualche modo trasmessa. Matteo, il nome dell’ex collega, ridendo, ironizzava sul fascino che da sempre contraddistingueva Carlos, facendo così molti successi con le donne. Gli faceva dei particolari complimenti, in relazione al fatto che, una donna così particolarmente bella, si stesse ancora interessando a lui anche in vacanza a Livorno. Anzi, aggiungeva che, secondo lui, avrebbe scelto come meta turistica proprio quella città sperando di incontrarlo... Precisava che, per sentito dire, la donna si sarebbe intrattenuta ancora per circa una settimana, dandogli oltretutto anche il nome dell’albergo dove alloggiava. Così, non si sa mai... Se vuoi farle una bella sorpresa... Aggiungeva maliziosamente Matteo. La conversazione finiva dopo circa mezz’ora, caratterizza da conversazioni sulle donne e apprezzamenti sulla nuova attività di Carlos che, ovviamente, era rimasto molto vago sul rapporto di conoscenza con la donna. Dopo aver terminato il briefing con i suoi uomini, chiaramente la mente di Carlos era un vulcano di domande e sorprese... Se Brigitte era andata perfino a Livorno a fare domande su di lui, poteva solo significare che, oltre ad essere attratta personalmente, stava continuando le indagini per conto suo, dato che si trovava da sola e presentandosi come turista. A questo punto, era certo che, dopo la chiusura delle attività investigative, Brigitte non si era rassegnata del tutto sulla sua totale estraneità e aveva deciso così di scoprirlo privatamente, approfittando di un certo periodo di ferie. Doveva a questo punto raggiungerla a Livorno. Non sapeva ancora esattamente perché e che cosa le avrebbe detto se l’avesse trovata. Ma questa era l’unica occasione per poterla incontrare... Non poteva fare finta di niente. Non con lei. Una ricerca rapidissima su internet e in mezz’ora Carlos aveva già prenotato il viaggio per Livorno. Correva il grande rischio magari di non trovarla già più quando arrivava; tuttavia l’istinto lo costringeva a farlo comunque. Si fidava ciecamente del suo istinto... Gli aveva salvato la pelle tante volte e forse anche questa volta, seppur per ragioni diverse, lo avrebbe risparmiato da qualcosa o da
qualcuno. Quando il dito indice della sua mano aveva premuto il tasto sul computer per confermare la sua prenotazione, lo sguardo era caduto per un attimo su uno dei tanti tatuaggi che aveva... Uno presente sulla parte superiore dell’avambraccio destro, con caratteri gotici, recitava delle semplici parole: “carpe diem”. E questa frase, gli aveva addirittura suggerito di trovare una stanza nello stesso albergo... E l’aveva trovata. Ancora il tutto non avveniva per caso. Arrivava a Livorno verso le 18.00. Dopo circa mezz’ora, raggiungeva l’albergo. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentiva il cuore battere da una certa emozione... Non sapeva esattamente perché ma che importava? Dopo le formalità di rito, Carlos chiedeva in reception, con la scusa dell’amico che voleva fare la sorpresa, se fosse stata ancora presente la Signora Brigitte Ferligani. La conferma positiva, rasserenava Carlos che, ancora, chiedeva se fosse presente in stanza: era fuori e solitamente rientrava verso mezzanotte... A questo punto, Carlos consegnava al receptionist il numero del cellulare, pregando di avvisarlo allorquando la donna fosse rientrata, chiedendo naturalmente di non parlarle del suo arrivo... Dopo una doccia e cambiatosi d’abito, usciva per le strade di Livorno... Che strana sensazione fare di nuovo quelle strade dopo tanti anni... Gli sembrava ieri quando insieme ai colleghi o alla fidanzata del momento, eggiava per quelle vie, frequentando locali e parlando del futuro... Quelle strade però gli sembravano stranamente più piccole... Ma probabilmente, era lui che era cresciuto dentro. Stava vedendo molti militari che in effetti stavano camminando. Non conosceva nessuno di loro; erano tutti nuovi e molto giovani. Per lui era ata molta acqua sotto i ponti... E augurava dentro di sé, tutta la fortuna di questo mondo a loro... Ne avevano bisogno. Improvvisamente, veniva folgorato da un’immagine... Brigitte stava seduta, fumando una sigaretta, all’esterno di un locale. Senza esitazione, incurante delle possibili reazioni, attraversava la strada. Quando gli si presentava davanti, Brigitte, facendo una tirata di sigaretta e buttando fuori il fumo elegantemente, non dava segni particolari di sorpresa.
“Ti stavo aspettando... Sei in ritardo... Mi immaginavo che saresti venuto prima”. Queste erano state platealmente le prime parole di quella donna. “Sapevo che saresti venuto... Ero certissima che, facendo domande su di te, ne saresti venuto a conoscenza. Sinceramente, come ho detto, ero sicura che saresti venuto prima ma sarai stato trattenuto dai tuoi innumerevoli impegni. Ma di quale tipo? Quelli ufficiali o quelli ufficiosi?”. Brigitte era partita subito in quarta; non c’era più voglia da parte di entrambi di perdere tempo... Sul tavolo le carte sembravano scoperte. “Hai ragione ma, non è colpa mia se, fortunatamente, un ex collega è riuscito a rintracciarmi e ad informarmi solo ieri. Ma, come vedi, non ho perso altro tempo e ora siamo di fronte l’uno all’altro”. Ribatteva Carlos. Non vi era inizialmente tanto dialogo... Non c’era bisogno di tante parole... Entrambi avevano capito le reciproche verità. I messaggi venivano scambiati con gli sguardi. “Hai commesso cose perseguibili dalla Legge... Eludendo sempre tutto e tutti... Sei diventato il Robin Hood della situazione ma, a differenza di lui, tu le persone scomode le elimini per sempre. Da una parte ti comprendo, perché ho saputo che cosa ti ha fatto scattare nella mente questo meccanismo... Dall’altra, non potrei, perché sono una esecutrice di questa Legge e dovrei assicurarti alla Giustizia. Ma ti sei mosso molto bene... Sai bene che sono comunque in possesso di cose che un Tribunale non accetterà mai. Paradossalmente, anche tu sei una sorta di criminale che riesce sempre ad eludere la maglia della Legge. Forse un giorno, qualche altro giustiziere verrà a cercarti”. Carlos, nonostante le rivelazioni aperte, non ammetteva in maniera esplicita le proprie esecuzioni, con il timore che potesse essere registrato. La conferma che Brigitte non avesse addosso nulla del genere, Carlos la otteneva a letto. Sfruttavano tutta la notte nella stanza di lei per stravolgere i sensi in più rapporti, scambiandosi emozioni e ioni represse e nascoste. Quella pelle chiara e profumata era ancora più dolce di quanto Carlos avesse mai immaginato. I seni, modellati ad arte, erano portatori di capezzoli duri come il marmo. Ogni volta che la lingua e le mani di Carlos li percorrevano, erano sempre più duri e si
ergevano sempre più in alto. Solo verso le sette del mattino si addormentavano esausti e sudati, avvolti dalle lenzuola. Tutti quei desideri, sogni e fantasie che entrambi si erano tenuti dentro per tutto questo tempo, si erano liberati. La parola libertà, era stata scritta anche sulla lettera lasciata sul tavolino accanto al letto, dove stava sdraiato Carlos. Si era svegliato verso mezzogiorno, da solo, in compagnia di poche righe: “Come hai visto, non ho potuto e soprattutto non ho voluto ritentare di fregarti per mille motivi che sarebbe inutile dirti. Fin da subito i nostri corpi erano stati uniti... era solo questione di tempo. È stata una esperienza indimenticabile che mi porterò sempre dentro di me. La nostra unione finisce però qua. Tu hai le tue idee di giustizia e io, seppur in certe parti posso condividerle con te, devo proseguire con le mie. Le cose meravigliose e uniche, durano un attimo ma le porti per sempre nel cuore. Spero solo che un giorno, potrai riavvicinarti alla fede ed alla giustizia. Non ho ancora ben compreso le esatte modalità dei tuoi delitti, soprattutto quello di Sarajevo ma, a questo punto, non mi serve saperlo. Mi hai dato comunque fortissime emozioni e, anche se può sembrare strano, mi hai ridato fiducia in me stessa e verso gli altri. Stai attento. Conserva la tua libertà. Grazie. Un bacio. Brigitte”. La lettera custodiva ancora il suo profumo... E questo gli faceva ancora da compagnia quando lasciava l’albergo, facendogli immaginare che Brigitte fosse ancora al suo fianco. Fortunatamente, riusciva a trovare un volo di ritorno quello stesso giorno; non se la sentiva proprio di rimanere lì... Gli sarebbe servito un po’ di tempo per offuscare quella notte a Livorno in quella stanza d’albergo. Ancora una volta, quella città lo aveva scosso.
CAPITOLO 22
Tornato a Sarajevo, Carlos spiegava all’amico BLACK quello che era successo a Livorno. Quest’ultimo, rimasto in silenzio ad ascoltare ed aspettato che l’altro finisse di parlare, sentenziò: “questo è un altro segnale... siamo sulla dirittura di arrivo... è ora di calare il sipario”. Carlos era sempre più d’accordo su questo argomento e, confermata la sua approvazione, mettevano gli ultimissimi piccoli dettagli su l’ultima persona da eliminare. Tra pochissimi giorni, sul dossier di morte, ci sarebbe stata ancora, seppur per l’ultima volta, la parola “TERMINATO”. Intanto il predestinato al aggio per l’aldilà stava vivendo abbastanza tranquillamente la propria vita. Abbastanza perché, dopo un particolare episodio, in effetti aveva avuto sentore che qualcosa sarebbe potuto accadere. Questo intanto non gli impediva di frequentare saltuariamente la sua amante, dato che era regolarmente sposato. Infatti, un mercoledì sera, finito il lavoro e lontano da occhi indiscreti, si presentava a casa di questa donna che lo stava attendendo, preavvertita telefonicamente due giorni prima. L’uomo, approfittando dell’assenza temporanea della propria famiglia da Sarajevo, aveva ultimamente aumentato la frequenza delle sue serate mondane. Sceso dalla macchina parcheggiata in una stradina adiacente all’abitazione, dopo essersi brevemente guardato attorno con fare circospetto, suonava il camlo. Subito la donna lo accoglieva, facendo scomparire velocemente oltre la porta il suo visitatore. Dopo un paio di ore, usciva, tornando alla propria autovettura, infilandosi come un bambino sorpreso a rubare dal vasetto di marmellata. Questa volta però non riusciva neanche ad avviare il motore; come un tornado a ciel sereno, sbucato dall’oscurità Carlos apriva la portiera lato guida. Solo per una frazione di secondo l’amante in fuga poteva vederlo in viso, facendogli dipingere negli occhi una sensazione di paura mista ad una enorme sorpresa... Si erano conosciuti in tutt’altre situazioni e mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti quell’uomo vestito di nero come la notte che, con un colpo preciso e potente con il palmo della mano sinistra sullo sterno, gli faceva chiudere gli occhi per
sempre. Tutto avveniva, come al solito con le tecniche di “DIM MAK”, in un nano secondo. Carlos si dileguava misteriosamente così come era venuto, mentre l’altro si accasciava come un panno strizzato sul volante. Con quel colpo, Carlos questa volta non aveva voluto concedere proroghe; gli aveva causato immediatamente un blocco cardiaco, inscenando così un infarto. Deceduto per cause naturali subito dopo aver scambiato rapporti sessuali con la sua amante. Ancora nessun segno sarebbe risultato sul corpo che avrebbe potuto ipotizzare ad un omicidio. Pratica aperta ed immediatamente archiviata: “TERMINATO”. Conseguentemente a questo episodio, ovviamente fu informata la famiglia che rientrava immediatamente a Sarajevo , dove alla moglie veniva spiegato la situazione, facendola are dalle lacrime alla indifferenza ed indignazione: il corpo veniva ritrovato la mattinata seguente proprio dall’amante che, inorridita, avvisava subito la polizia. La donna, una ex prostituta, inizialmente reticente, messa alle strette, dichiarava che erano stati insieme un paio di ore la sera prima e che non era la prima volta. La storia durava da poco più di un anno. Per questo alla moglie non risultava molto difficile accantonare il dolore per lasciare spazio alla rabbia e delusione. Anche perché ora si stava sempre più convincendo che, in realtà, era stata fatta momentaneamente allontanare da Sarajevo proprio per gestire appieno la storia illegale d’amore e non per questioni di sicurezza connesse al proprio lavoro, come le aveva fatto intendere. Senza saperlo, questa in effetti era stata invece la vera motivazione per la quale aveva preferito che la propria famiglia andasse provvisoriamente da parenti, in un paesino della Bosnia Herzegovina. Carlos e BLACK, ancora una volta avevano pianificato tutto alla perfezione. In questa maniera, avevano fatto apparire alla luce del sole gli incontri clandestini tra i due, rovinando la reputazione di lui sia di fronte all’opinione pubblica che agli occhi della famiglia. Anche questa notizia appariva sul giornale ricca di dettagli, lasciando alle spalle di chi aveva avuto fiducia in lui, l’amarezza di essersi sbagliato ancora una volta per non aver capito. Il Capitano Djurd Navid, Comandante della Polizia di
Sarajevo, la vittima, aveva fatto delle cose ben peggiori, appoggiando spesso il suo amico fu Fabjan, resosi complice di stupri, violenze ed intimidazioni, dietro compenso economico. Ma risultando complicato per Carlos e BLACK eliminare Djurd facendogli addossare queste responsabilità, avevano deciso la via più semplice, approfittando di queste sue frequenze clandestine. L’importante adesso era quello di aver eliminato per sempre anche il Capitano Djurd Navid e averlo screditato davanti a tutti. Ovviamente l’autopsia confermava un blocco cardiaco dovuto a cause naturali mentre la ex amante e prostituta si vedeva costretta dopo breve tempo a trasferirsi in Russia. A Bruxelles, Brigitte leggeva la notizia su internet nel suo ufficio. Nervosamente si toccava la collana scorrendo le righe che narravano l’episodio... Era stata anche avvisata telefonicamente di quanto era successo il giorno stesso da Aldo che aveva commentato: “Pure il Comandante della Polizia se ne è andato... Eppure mi sembrava in buona salute... Quella donna doveva proprio essere un vulcano di sesso per fargli venire un infarto... Ma che sta succedendo a Sarajevo?”. “Non ne ho la più la pallida idea Aldo”. Aveva commentato Brigitte. Mentre stava ancora immobile a guardare il monitor del computer, la bella investigatrice veniva richiamata da un suo superiore... La attendevano in sala briefing per discutere le modalità info/investigative su un nuovo caso di morte violenta avvenuta a Parigi. Alla base del computer, un biglietto da visita parzialmente coperto da alcuni documenti “Carlos Manzani, Agenzia di Protezione e Sicurezza - Tel............” Chissà, Parigi era pur sempre un’affascinante città dove si potevano fare inattesi incontri....
CAPITOLO 23
Da quando erano accaduti i rispettivi inconvenienti a Carlos ed a BLACK, che li avevano portati inevitabilmente a percorrere due strade completamente diverse per poi fatalmente incrociarsi addirittura in Romania, vi era stato un turbinio di fatti e situazioni. Di certo la loro esistenza non era stata costellata dalla noia e dalla routine. Anzi... Mettendo insieme quello che era riuscito a realizzare Carlos, sia come imprenditore di successo che come giustiziere, alle cose che aveva dovuto affrontare Davide, alias BLACK, si poteva allestire un museo degno di quello di Louvre. Era come se tutta la loro esistenza fosse stata caratterizzata da tutti i tipi di colore... Da quello vivace a quello meno intenso ma non per questo meno espressivo; da sfumature a forme ben marcate; da tutto quello rappresentativo della vita ai messaggi di morte. In effetti, ognuno di noi simboleggia un determinato colore ma non è da tutti saperlo individuare ed interpretare. Più o meno come i sogni. Solo che con le persone risulta più difficile stabilire quale colore abbinare esattamente senza margine di errore, perché la maggior parte della gente si maschera di un qualcosa di non suo al punto tale da alterarne il proprio colore con il quale si contraddistingue. Con gli animali è differente... Loro sono il simbolo di ciò che si è veramente; non conoscono finti profili. Sono semplicemente quello che noi vediamo. Dopo l’esecuzione del Comandante della Polizia di Sarajevo, sia a Carlos che a BLACK, era apparso davanti agli occhi un carosello di tutto quello che avevano fatto da quando le loro strade si erano magicamente incontrate. Avevano compiuto grandi cose. Probabilmente questi pensieri profondi alla radice, era l’ennesima conferma che tutto questo ora doveva finire. Era nell’aria... E non si poteva fare finta di niente. Non era nella loro natura. È un po’ come quando si sta per morire... Dicono che qualche istante prima che tu te ne stia andando per sempre, ti a davanti tutta la tua vita o, quantomeno, quelle parti che hanno
significato qualcosa per te. Questa era più o meno quella sensazione... Solo che qui, in questa circostanza, fortunatamente Carlos e BLACK non stavano morendo... Stava morendo il loro oscuro piacere. Ma sentivano che era giusto così... Prima o poi sarebbe arrivato questo momento e, senza aspettare che finisse in un’altra maniera drastica non voluta, entrambi potevano ritenersi soddisfatti di aver preso di comune accordo e spontaneamente questa significativa decisione. La morte dei quattro... di Beatriz... di Fabjan... del Capitano Djurd Navid... l’intervento degli investigatori dell’Interpol... la conoscenza apionante di Brigitte... le Agenzie di Sicurezza e Protezione... i lavori di guardia del corpo in Romania... quelli sulle chiatte petrolifere in mezzo all’oceano... la Legione Straniera e la diserzione da essa... la fuga in Corsica con l’accoltellamento dell’ex legionario Pierre durante una rissa... un’altra fuga in Romania con l’arresto dell’ex legionario Rubje per aver accoltellato un rivale in amore... l’incontro casuale con Carlos in un parco a Bucarest... Ognuno si prendeva i propri bagagli di ricordi ed esperienze mettendoli ad incastro, formando un enorme puzzle, attribuendogli il significato più consono alla propria personalità, già di per sé ricca di toni e colori indelebili. Come la loro memoria. Circa un mese dopo il delitto dell’ufficiale di Polizia, Carlos e Davide si salutavano con un calorosissimo abbraccio, con la promessa però di risentirsi e rivedersi. Carlos proseguiva la sua attività di imprenditore con le sue Agenzie, mentre l’amico aveva deciso, come aveva anticipato, di andare in Guinea... Gli mancavano enormemente le figlie ed era molto tempo che non le vedeva. Aveva capito che, se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto... Non le aveva avvertite del suo arrivo. Voleva fare una sorpresa. Quando ne parlava, gli occhi venivano lievemente offuscati da una fortissima emozione. Non c’è d’altronde emozione più grande di poter baciare e riabbracciare le proprie figlie. E se è trascorso molto tempo dall’ultima volta che è successo, si può ben comprendere quanto possa essere toccante il momento. Non c’è uomo duro che tenga di fronte al sorriso, allo sguardo ed all’abbraccio di un figlio. Quando i due si stavano scambiando l’ultimo saluto, una sottile lacrima era riuscita a scendere sulla guancia di Davide che, nonostante lo sforzo, non era riuscito a trattenerla.
Poco dopo Carlos, tornava in ufficio per definire una pratica senza successo. Non era nelle condizioni di poterlo fare. In quel momento erano presenti la segretaria Liliane e tre uomini del team operativo. Non vi erano pendenze particolarmente importanti... Faceva chiudere l’ufficio e, in loro compagnia, andava a bere qualcosa. Era decisamente meglio. Nel locale ordinavano delle birre e, innalzandole, facevano un brindisi generico. Ma non quello di Carlos che, mentalmente, lo dedicava ai suoi amici Davide, alias BLACK ed al dott. Vladislavi, alias Face-Off. Fuori la gente continuava a camminare per le strade, frequentate anche da turisti che, con le loro macchine fotografiche e cartine turistiche, cercavano di impossessarsi il più possibile di pezzi di storia di guerre e di uomini. A Sarajevo, stava calando la sera e straordinariamente, uno strano ed affascinante tramonto sovrastava la città, gettandole da più direzioni fasci di luce multicolori, dipingendola come una cartolina. Uno dei tanti turisti, soffermatosi a guardare la vetrina di un negozio di abbigliamento che si trovava accanto alla loro birreria, indossava una t-shirt verde, sulla quale vi era impressa la scritta a caratteri bianchi: “the end is near”. Carlos, sorridendo, ordinava un secondo “giro” di birra.
CAPITOLO 24
La sveglia improvvisamente faceva prepotentemente da padrona nella stanza, gridando a squarciagola che erano le sette del mattino. A Carlos sembrava addirittura che, preso alla sprovvista, anche il letto era riuscito ad alzarsi di qualche centimetro dal pavimento, risuonando anch’esso duramente sbattendo a sua volta sul suolo. Non era facile raggiungere la sveglia... durante la notte, muovendosi spesso, si era imprigionato nelle stesse lenzuola che sembravano non volerlo lasciare. Gli occhi erano ancora semichiusi quando, per miracolo, riusciva a schiacciare il pulsante e finalmente bloccare quel terribile suono acuto, tanto simile in quel momento ad un allarme aereo. Gradatamente, ad uno ad uno, si aprivano gli occhi che subito avevano il loro buongiorno dall’assalto della luce del giorno; nonostante le saracinesche abbassate e le tende tirate, una lingua dorata si era insinuata, non si sa come, tra qualche fessura, centrandolo come un cecchino. “Maledizione... maledizione... maledizione...”, mormorava Carlos. Nella testa sembrava che ci fossero così tante api che ronzavano che avrebbe scommesso che premendo il naso, sarebbe uscito il miele come aprire un rubinetto d’acqua. Acqua... si... un bicchiere d’acqua fresca era proprio quello che ci voleva; la lingua impastata ed i pochi movimenti disarticolati, iniziavano a fargli ricordare lentamente quello che era successo la notte prima... o quella ancora prima? O quando? “Al diavolo! Mi verrà in mente... Ora bisogna bere un bel bicchiere d’acqua ghiacciata per sciogliere un po’ questa carta vetrata in gola...”. Cercando di alzarsi dal letto che sembrava un campo di battaglia, una mano toccava un reggiseno, e subito accanto, seminascosto da un cuscino, un perizoma. Chiunque l’avesse indossato, sicuramente si era trattato di una donna con un buon gusto marca “Armani”, colore rosa pastello, reggiseno a balconcino presumibilmente una 3 di taglia e con un piccolissimo fiore bianco raffigurato proprio davanti al pube che contribuiva in una certa maniera a nascondere un po’ la totale
trasparenza. Mentre barcollando si dirigeva in cucina, stava pensando che comunque, l’unica cosa certa era che se l’era sata! Al terzo bicchiere d’acqua ingurgitato come essere stato disperso in un deserto da svariati giorni, incominciava piano piano a smaterializzarsi un po’ di nebbia... Un ricordo di una festa... molte persone... striscioni di auguri... i numerosi bicchieri alzati per i brindisi e per gli auguri... Probabilmente era stata la festa di compleanno di qualcuno? Da quante ore o addirittura da quanti giorni si trovava a letto? E quanto aveva bevuto per fare fatica a ricordare in maniera nitida? Perfino l’urina emanava un odore forte e pungente, quasi stordendolo nuovamente. Aveva l’impressione di aver proprio esagerato. Mettendo qualcosa nello stomaco e dopo una buona doccia, era certo che si sarebbe ripreso. ando accanto alla segreteria telefonica, si avvedeva della presenza di alcuni messaggi. Ma non aveva ancora la forza per comprenderne il significato e decideva di dare priorità ad una colazione ricca di fibre e una tazza di caffè nero e bollente, seguita da una doccia rigeneratrice. Dopo questi ritocchi, a Carlos stava apparendo sempre più chiaro la situazione ed alcuni avvenimenti ma non riusciva ancora perfettamente a scindere la realtà dai sogni. Fuori, nel frattempo, anche la città si stava risvegliando, e ognuno cercava di cacciare i propri incubi, presenti e ati. Stava sorgendo il sole che lentamente dava timidamente ma in maniera determinata una pennellata di vigore, buttando qua e là piccoli segnali luminosi facendoli sembrare come tante lampadine accese tutte insieme. Era ora di ascoltare i messaggi... Magari tutti i suoi amici e conoscenti lo avevano scambiato per morto! Nella segreteria erano presenti 15 messaggi. Anche qui, mano a mano che li ascoltava, stava capendo la sua realtà. La maggior parte delle brevissime comunicazioni, parlavano di appuntamenti di lavoro... Dettagli sulla sua galleria d’arte... su altre... di quadri... di tele... ordinazioni di cornici, pennelli, matite a carboncino e via dicendo... Ma l’ultimo messaggio, gli provocava uno scossone come l’acqua fredda della doccia, svegliandolo completamente, facendogli capire! “Sig. Carlos buongiorno. Spero che abbia ato delle buone vacanze. Come accordato un mese fa, la contattiamo per l’organizzazione della sua mostra d’arte che si terrà il venerdì prossimo venturo a Parigi, di concerto con il Sig. Gabriel Dufois che ha parlato a sua volta qualche giorno fa con la sua segretaria. Se
gentilmente quindi, appena le sarà possibile, potrà contattarci al n.................. Grazie ed a risentirci. Sabelle dell’Agenzia “Studio arte e Immagine”. Carlos si buttava sulla poltrona che era accanto al tavolino dove era poggiato il telefono. Un cono di luce lo investiva come aver messo la testa attaccata ad una cassa acustica enorme sparando musica heavy metal, spazzandogli tutte le incognite e rimettendolo nella sua realtà! Le Agenzie di sicurezza a Sarajevo, Madrid, Barcellona, Praga e Bucarest; i delitti con le tecniche di “DIM MAK”; l’esecuzione di Fabjan a Sarajevo; la presenza degli investigatori dell’Interpol Brigitte ed Aldo; la conoscenza di Davide, alias “BLACK” e del dottor. Vladislavi, alias “Face-Off”; tutti gli avvenimenti successi intorno alle loro vite ed alla sua; la ione scambiata con Brigitte... Era stato tutto un SOGNO!! Mentre dormiva pesantemente, la sua mente aveva programmato questo film in maniera talmente stupefacente da farglielo sembrare ASSOLUTAMENTE REALE!! Gli unici fatti che avevano fatto veramente parte della sua vita, riguardava quello di aver prestato servizio nelle forze speciali del “Col Moschin” ma di esserne effettivamente uscito dopo 30 anni a causa del comportamento scorretto tenuto da alcuni suoi superiori. Dopo essersi congedato, era riuscito ad esprimere il suo talento di artista di quadri su tela con pennelli e matite a carboncino e, dopo solo un paio di anni di gavetta, si era abilmente inserito nello specifico ambiente, diventando un rinomato autore di opere, per le quali aveva organizzato con successo molte mostre. Aveva una segretaria di nome Maria, con la quale aveva in ato avuto una importante relazione ma poi interrotta per il desiderio da parte di entrambi di essere comunque liberi. Si vedevano spesso, tra loro vi era ancora un profondo sentimento vicino all’amore ma, per reciproci avvenimenti accaduti, questo livello si era leggermente abbassato, rimanendo quindi in una situazione da una parte confusa ma dall’altra paradossalmente, appariva chiara ad entrambi. Lo studio era in Valencia, Spagna, dove Carlos si era quasi subito trasferito dopo le sue dimissioni. Ora si ricordava che il capo intimo apparteneva a lei... Le cose stavano chiare: la mega festa di compleanno era stata proprio per Carlos... Aveva compiuto mezzo secolo! Un traguardo particolare ed importante, doveva essere festeggiato in altrettanta maniera. Era stata proprio Maria ad organizzarla, facendo intervenire parecchi amici. È risaputo che gli spagnoli siano nati per festeggiare e così, erano stati abili e carini nel coinvolgere pesantemente ma felicemente Carlos che, non opponendo alcuna resistenza, aveva fatto un grande
mixer di sostanze alcooliche, approfittando oltretutto di essere in ferie. Dopo quella festa e la sbronza, riusciva ad ogni modo a are la notte con Maria. Ma Carlos rimaneva a letto due giorni, dormendo e sognando intensamente. Maria se ne era andata la mattina successiva, lasciando comunque la biancheria sul letto e prendendone altra di riserva che teneva ancora in uno dei cassetti dell’armadio nella stanza da letto, lasciandolo dormire. Evidentemente anche lei si sentiva un po’ stordita e, non vedendo la sua biancheria semisepolta dalle lenzuola e dal corpo nudo di Carlos, ne aveva presa altra. In parte quindi era vero anche il fatto di essere un imprenditore di successo ma non nel campo della protezione e sicurezza, bensì in uno completamente diverso. Quello dell’arte. Stava capendo quindi sempre più perché comunque nel suo sogno, in mezzo a tutti i fatti accaduti, vi erano stati molti riferimenti all’arte... Il Carlos del sogno, era un estimatore di quel settore, tanto da avere nelle sue case svariati quadri preziosi e preferendo come artista il grande Pablo Picasso. Anche i suoi delitti venivano spesso paragonati ad importanti opere d’arte. E, il Carlos attuale, sapendo di avere un prossimo appuntamento significativo proprio in una delle patrie più importanti per la sua nuova professione, ovvero Parigi, si spiegava anche perché alla fine la bella Brigitte era stata mandata in quella città per un’altra indagine. Anche l’immagine di BLACK poteva rispecchiare quella del grandissimo amico da sempre Giorgio, che viveva comunque in Italia. Era una persona veramente eccezionale con la quale aveva condiviso momenti di grande gioia e dolore e, seppur in maniera minore data la lontananza e i rispettivi impegni, non appena era possibile, approfittavano per incontrarsi; a volte Giorgio veniva in Spagna ed altre invece Carlos andava in Italia. E quando i loro momenti coincidevano, erano veramente e semplicemente fantastici ed unici. Il gioco di complicità ed intendimento, nonché moltissimi punti in comune, faceva di loro una coppia di amici inossidabile. Molti nel corso del tempo, morsi da una immotivata gelosia, hanno tentato di frapporre qualsiasi ostacolo fra di loro, senza riuscirvi. Questa quindi era stata un’altra immagine della profonda amicizia che il subconscio di Carlos gli aveva fantasticamente lanciato. Tutto ora tornava... L’inconscio si era proprio divertito con lui per due giorni e due notti, riflettendogli molto probabilmente quello che la sua parte “cattiva” avrebbe voluto fare, dopo aver subito quel bruttissimo ed immeritato ultimo periodo trascorso sul lavoro, prima di congedarsi. Ognuno di noi, come sostengono la maggior parte dei medici psichiatrici, tiene dentro di sé una parte
più “malvagia”; l’importante è non cedere a questa, come spesso invece accade a molte persone vittime di ingiustizie ed abusi. È molto importante sapersi limitare al solo pensiero, perché è altrettanto vero che appare normale, soprattutto quando si è particolarmente arrabbiati con qualcuno, vedere “rosso” davanti agli occhi e pensare veramente qualcosa che, messo in pratica, risulterebbe devastante. Per tutti. La vera cattiveria e malvagità, presentano il loro volto quando deliberatamente, è stato procurato un male agli altri, sapendo quindi di fare intenzionalmente del danno fisico e/o morale. Nel caso del vero Carlos, a fronte di quello che gli era accaduto e dovuto subire per colpa dei “famosi 4”, si può benissimo comprendere come possa essersi sentito. Conseguentemente, conservando dentro di sé, giorno dopo giorno, un desiderio recondito di vendetta, il suo più profondo inconscio ha elaborato e trasformato il tutto come è stato raccontato. Ma questo perché lo ha desiderato ardentemente e, sicuramente, se non fosse stato in grado, seppur inconsapevolmente di controllare questo volere, lo avrebbe realizzato concretamente. Magari non utilizzando le tecniche descritte ma comunque prima o poi, avrebbe trovato il modo. Anche a rischio di farsi facilmente individuare. Quei “quattro”, dovevano pagare. Da qui, naturalmente, viene elevato all’ennesima potenza il senso morale della giustizia: ci si rende conto che la Legge spesso, per svariati fattori, lascia impuniti molti delinquenti, o comunque infligge pene non sufficienti in base a quello che il reo ha commesso. La parte “cattiva”, in sinergia con uno spiccato senso del dovere ed una forte intolleranza alle ingiustizie, a volte, come detto, può essere scatenante in questa maniera. Ma non ci si può sostituire alla giustizia, anche se purtroppo, accade di imbattersi, per l’appunto, ad una o più ingiustizie. Quando succede che una persona si sia macchiata di un grave delitto e riesce a farla franca grazie a determinati cavilli, quasi certamente è stata predestinata a pagare di fronte a quella divina. E con questa, non hai possibilità di fuga. Quella mattinata fu molto dura per Carlos riprendersi dal suo cinematografico sogno. Aveva sentito per caso finalmente la sveglia dopo due giorni... Fortunatamente, il suono era programmato per spegnersi e riaccendersi ogni dieci minuti. Pareva che nessun vicino avesse protestato, anche perché le pareti della casa erano spesse e risultava difficile udire rumori particolarmente forti. Accadeva spesso che, nonostante fero feste sia nel suo appartamento che in quelli degli altri inquilini, il frastuono era veramente soffocato, attutendo così la parte molesta.
Ad ogni modo, se la sveglia era programmata per le ore 07.00, significava avere un appuntamento o comunque un impegno. Guardava quindi sul calendario: osservando a ritroso nel tempo, effettivamente il mercoledì, ovvero due giorni prima, appariva scritto: “ore 08.30 psichiatra”. Si ricordava quindi che, ascoltando i messaggi in segreteria, vi era stata anche la voce del suo psichiatra che lasciava detto per l’appunto che lo stava aspettando per il previsto appuntamento. Terminava avvisandolo di richiamarlo per fissare un’altra data. Dopo le dimissioni dalle Forze Speciali, il morale di Carlos era andato veramente a terra, portandolo quindi a fare delle sedute saltuarie da un medico psichiatra consigliatogli da un’amica. Il medico era veramente una persona in gamba; preparato professionalmente e dotato di una elevata comprensione. Era veramente piacevole e di sfogo e ti faceva sentire a tuo agio. Per quello Carlos, a distanza di anni, ogni tanto, quando iniziava a sentire un qualcosa di strano ed indefinibile dentro di lui, proprio per non cedere anche a quella parte “cattiva”, andava volentieri a parlare con lui. Il medico, basso di statura e sovrappeso, sapeva esattamente cosa fare con Carlos che, seduto di fronte a lui, si sfogava e confidava. Fortunatamente, non aveva mai ritenuto opportuno somministrargli farmaci particolari ma voleva vederlo almeno una volta al mese. Carlos si batteva la mano sulla fronte per aver dato “buca” al medico e: “Accidenti, nel sogno, manco a farlo apposta, c’era stata anche la preziosa collaborazione del dott. Vladislavi!”. Si diceva mentalmente, abbozzando un sorriso. Un altro medico. Apriva la porta per uscire e, dopo averla rinchiusa con quattro mandate, entrava in ascensore; aveva deciso di andare intanto in ufficio a parlare con Maria per i dettagli sulla mostra di Parigi. In strada, trafficatissima come al solito di gente che affollava i marciapiedi e i locali nonostante l’ora, il sole iniziava a bussare alla porta. Preso il cellulare, iniziava a comporre il numero dello psichiatra. Voleva parlare con lui, nella prossima seduta, di quello che aveva sognato, desideroso di condividere questa pellicola il cui regista aveva eccellentemente saputo interpretare ciò che la sua parte “cattiva”, o meglio, il suo oscuro piacere gli aveva scritto sul copione. Fissato l’appuntamento, Carlos si fermava a guardare per un istante la scritta che appariva sulla parte superiore frontale del Palazzo di Giustizia: “La ley es igual para todos”, La Legge è uguale per tutti.
Il sole stava avvolgendo sempre più anche tutta la facciata del Tribunale che era rimasta fino a poco fa in penombra. Carlos, dando un’altra occhiata a quell’immagine, si toglieva gli occhiali da sole “Ray-Ban” riponendoli all’interno della tasca della giacca beige in lino. “Dopotutto, il Carlos del sogno non gli dispiaceva affatto...”, parlando tra sè e sè a voce bassa. Si voltava e scendeva a prendere la metropolitana. Era un bel giorno per vivere... Lo era altrettanto per morire. L’OSCURO PIACERE... “Verso la fine si avverte che alla vita umana manca quello che nella scrittura è il Post Scriptum. È questa imperfezione della vita che la rende insoddisfacente e inaffidabile”. sco Burdin, Un milione di giorni, 2001
RINGRAZIAMENTI
Questo romanzo, è stato da me ispirato in base ad alcuni fatti realmente accaduti, naturalmente abilmente mischiati e alterati da una buona dose di fantasia che, fortunatamente, insieme ai sogni, nessuno ti può rubare. Ogni riferimento a persone e/o cose è da considerarsi puramente casuale. Tutti i nomi citati nel romanzo sono di fantasia. Un particolare ringraziamento a Paolo De Angelis, amico ed ex collega di lavoro che, mentre eggiavamo durante il mese di maggio 2013, per le strade di San Benedetto del Tronto, parlando di idee e progetti futuri, mi ha dato un input per finalmente mettere su carta tutto quello che custodivo nel cassetto personale di vita, dandomi la chiave per aprirlo. Se il lettore ritenesse quindi che tra tutte queste righe ci possa essere una mente umana flagellata completamente da paturnie psichiatriche tendenti al raggiungimento del livello di serial killer, anche se è tutto mio frutto personale, lo pregherei di prendersela con l’amico Paolo. D’altronde, se non mi avesse dato il suggerimento di esternare le mie rivoluzioni cerebrali sulla carta stampata, anche voi sicuramente stareste meglio. O quantomeno sareste nelle condizioni di poterlo credere! (risatina molto ironica...). “Grazie Esther per aver sempre creduto in me”. Un ringraziamento veramente speciale va all’amico Giorgio, con il quale sto condividendo da più di trenta anni gioie e dolori. Ma è rimasto l’unico a farmi piangere dal ridere. Infine, non posso esimermi nel dedicare spiritosamente questo mio primo (e forse anche l’ultimo...) romanzo, a tutti coloro che invece non hanno mai voluto avere fiducia in me, paragonandomi solo ad un pazzo incosciente ed irresponsabile. Grazie di cuore, perché, senza volerlo, mi avete creato anche voi.
Monfalcone (GO), 21/07/2014.