Michael Sommersby
La vera storia di Johnny McAllister
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Indice dei contenuti
Capitolo 1 - Johnny Capitolo 2 - Sara Capitolo 3 – Moore e Foster Capitolo 4 – In ospedale Capitolo 5 – Benny Mc Allister Capitolo 6 – Il Dott. Chamberlain Capitolo 7 – Sara in ospedale Capitolo 8 – In cella Capitolo 9 – L’ispettore Papadopulos Capitolo 10 – Nella base Capitolo 11 – Tony Romano Capitolo 12 – Il prof. Pettigrew Capitolo 13 – La stretta di mano Capitolo 14 – Alla ricerca di Johnny Capitolo 15 – Il Dott. Cameron Capitolo 16 – Un amico Capitolo 17 – L’ispettore Samuelson Capitolo 18 – La cosa giusta
Capitolo 19 – I dubbi di Johnny Capitolo 20 – Benny e Sara Capitolo 21 – La decisione Capitolo 22 – Ted Capitolo 23 – Il sergente Mc Allister Capitolo 24 – La stanza Capitolo 25 – Il colonnello Moore Capitolo 26 – L’addestramento Capitolo 27 – Pettigrew e Moore Capitolo 28 – I progressi di Johnny Capitolo 29 – Nel frattempo Capitolo 30 – Le indagini Capitolo 31 – Johnny e Foster Capitolo 32 – La verità Capitolo 33 – L’arrivo della polizia Capitolo 34 – Epilogo
La vera storia di Johnny McAllister
Johnny era un ragazzo normale... Poi non lo fu più per sempre...
Capitolo 1 - Johnny
Era ata da poco mezzanotte. Johnny uscì da casa per andare a lavorare al pub, aveva indossato i soliti pantaloni neri con la camicia bianca. Non amava lavorare al pub, ma era costretto a farlo per mantenersi all’Università. Tre anni prima aveva vinto una sostanziosa borsa di studio. Dopo due anni però, gli amministratori della fondazione che erogava la borsa erano scappati con le casse sociali. Johnny si era quindi dato da fare per pagarsi gli studi. Non lavorava sempre di notte e la paga era buona, tanto che lui era finanche riuscito a comprarsi una piccola utilitaria, usata ovviamente. Johnny entrò nel vicoletto dove era parcheggiata la sua auto. Tre ragazzi sui vent’anni stavano tentando di rubarla. Uno era in piedi vicino alla macchina, un altro era seduto al posto del eggero e si gingillava con un coltello, un terzo era seduto al posto del conducente ed armeggiava sotto il cruscotto. Johnny si avvicinò e disse “Okay ragazzi, devo andare al lavoro, che ne dite di uscire dalla mia macchina?” Quello col coltello uscì dall’auto. “Ehi stronzo, vai a farti fottere” Johhny non si scompose, fece ancora un paio di i e gli disse: “non pensi di poterti far male con quel coltello?”
Il ragazzo chiamò quello che stava in piedi fuori l’auto “Tom, viene qui, questo stronzo crede di poterci spaventare”. Tom si staccò dalla macchina e si avvicinò a Johnny “vatti a fare un giro” gli ringhiò. “Altrimenti?” disse Johnny. “Altrimenti ti stacchiamo la testa e poi ci giochiamo a football” disse l’altro ridendo. Johnny fece un altro o in avanti. L’altro tentò di sferrargli un pugno al viso. Johnny non si fece sorprendere, fece un o a sinistra e gli tirò un poderoso calcio circolare allo stomaco, colpendolo in pieno, l’altro si accasciò a terra, senza fiato. Johnny si girò repentinamente per guardarsi indietro. Quello con il coltello cercò di colpirlo all’addome. L’attacco era fuori misura, Johnny indietreggiò per evitarlo, poi gli tirò un calcio alla mano per disarmarlo, il coltello finì in fondo al vicolo. Johnny chiuse la partita con un pugno diretto al naso. Intanto il terzo ladro, che stava armeggiando nella macchina di Johnny, aveva assistito a tutta la scena nello specchietto retrovisore dell’auto. Appena il secondo andò a terra, uscì dalla macchina e scappò di corsa. Johhny non lo inseguì, era in ritardo al lavoro e lui odiava fare tardi. Si mise in macchina e andò via.
Capitolo 2 - Sara
Il telefono squillò. Sara si alzò dal letto “Chi diavolo può essere alle 7 del mattino di domenica?”. Sara alzò il telefono. Una voce femminile, con tono incerto, disse: “Pronto, con chi parlo?”. Sara, seccata, rispose: “E’ lei che ha chiamato, chi cerca?”. “Non saprei precisamente. Sono Edna Cusack del St. James’ Hospital. Stanotte ci hanno portato un ragazzo che ha avuto un incidente d’auto, è senza documenti e aveva con sè solo un cellulare con un solo numero, il suo”. <<Mio Dio!>> pensò Sara <<E’ Johnny>>. “Credo di sapere chi sia” disse Sara cercando di nascondere la sua paura “Me lo può descrivere?”. “Certamente” disse Edna “E’ bianco, età apparente 21-22 anni, alto 1,84 cm, peso sui 75 kg. Quando l’hanno portato indossava dei pantaloni neri e una camicia bianca”. A quel punto Sara non aveva più dubbi “Si chiama Johnny Mc Allister, ha 23 anni ed è uno studente della Fulton University” disse Sara. “Lei è una parente?”. “Non proprio, ma posso avvisare il padre”. Sara attaccò il telefono, si infilò una tuta da ginnastica e si fiondò in macchina, dirigendosi verso il St. James’ Hospital.
Capitolo 3 – Moore e Foster
Il giovane tenente era nella sala d’aspetto da alcuni minuti. Una giovane soldatessa entrò nella sala e disse “Signore, per favore mi segua”. Il giovane tenente balzò in piedi e si avviò dietro la soldatessa. Percorsero, senza parlare, un lungo corridoio con porte a destra e a sinistra, tutte uguali e senza scritte. Al giovane tenente vennero i brividi. “Ecco qui è l’ufficio del colonnello Moore. Si accomodi. Lui arriverà in pochi minuti” la soldatessa sorrise e andò via. Il giovane tenente non si sedette, incominciò a guardare le foto che erano appese alle pareti. Ritraevano il colonnello Moore in varie situazioni. Feste al circolo degli ufficiali, foto con alcuni governatori, ma soprattutto foto in guerra. Iraq, Afghanistan, Pakistan, Kosovo, Serbia. Il colonnello aveva una grossa esperienza. La porta si aprì, il giovane tenente si piazzò sull’attenti. “Riposo tenente, qui non badiamo a certe formalità”. “Grazie signore”. Il colonnello Moore si sedette alla sua scrivania, prese una scheda e incominciò a leggere “Allora tenente Foster, lei sa cosa facciamo qui?”. “Non proprio signore” rispose Foster.
“Bene adesso glielo spiego. Questa sezione è segreta. Ufficialmente noi conduciamo ricerche sulla possibilità di impiantare nel deserto delle stazioni che producono energia elettrica da celle fotovoltaiche”. “In realtà?”. “In realtà noi conduciamo delle ricerche su esseri umani”. “Di che genere signore?”. “Alcune persone, delle volte, sviluppano delle capacità particolari: telecinesi, teletrasporto, lettura del pensiero, preveggenza. Il nostro compito è di aiutarle ad utilizzare queste capacità”. “Credo di aver capito signore”. “Forse, ma la cosa fondamentale è che noi prima aiutiamo queste persone e dopo loro devono aiutare noi”. “Sono consenzienti signore?”. “Più o meno. Quando vuole iniziare?” disse il colonnello Moore. “Appena possibile. Signore”. Il telefono squillò, il colonnello rispose, annotò alcuni dati su un foglietto e poi riattaccò. “Foster, può iniziare subito” disse il colonnello Moore porgendo il foglietto al tenente “abbiamo un nuovo soggetto. Si chiama Johnny Mc Allister è bianco, 23 anni, ed è ricoverato al St. James’ Hospital. Prenda la squadra 3 e lo vada a prelevare”. “Signore, cosa intende per ‘prelevare’?” chiese il tenente. “Proprio quello che ho detto”.
Capitolo 4 – In ospedale
Johnny si svegliò e si ritrovò steso sul letto dell’ospedale. Con il viso verso l’alto fissava il soffitto. Era cosciente, ma come inebetito. Non ricordava cosa fosse successo. L’ultima cosa che ricordava era una grossa luce che gli veniva incontro sulla strada. La macchina si era schiantata contro un palo ma lui era rimasto praticamente illeso, anche se l’airbag non si era aperto. In ospedale avevano ritenuto opportuno trattenerlo per accertamenti. Ma cosa era successo? Un’altra auto in senso opposto? Un camion? Johnny non ricordava assolutamente niente. La porta della stanza si aprì ed entrò un dottore. “Ciao Johnny, sono James Cameron e sono il primario di neurochirurgia. Come ti senti?” Johnny non riusciva quasi a parlare “N-n-non c’è male dottore” “Per quello che ti è successo devi considerarti un miracolato. Ho parlato con la polizia e mi ha detto che la macchina è completamente distrutta e l’airbag non è scattato” disse il dottor Cameron “considerato che hai solo un paio di graffi in faccia devi ringraziare il tuo angelo custode” il dottore sorrise.
Johnny non rispose, non ne aveva la forza. Il dottore continuò “Abbiamo avvisato quella ragazza il cui numero è sul cellulare. Lei ci ha detto il tuo nome e cognome, non avevi documenti addosso. Credo che a momenti sarà qui”. Il dottore continuò “Intanto vorrei vedere come stai”. Il dottor Cameron afferrò la mano di Johnny. In quel momento Johnny sentì prima come una forte scossa elettrica, poi incominciò a sussultare come se avesse una crisi epilettica. Il dottore guardò l’elettrocardiogramma: era piatto. Si gettò nel corridoio ed urlò: “Presto, il defibrillatore, subito, il paziente sta avendo un arresto cardiaco”.
Capitolo 5 – Benny Mc Allister
Durante il tragitto in ospedale, Sara prese il cellulare per parlare con il padre di Johhny, Benjamin, con il quale si erano conosciuti l’ultima estate. Lei e Johhny avevano ato una decina di giorni alla fattoria del padre di Johnny. In quei giorni Sara aveva imparato a mungere le mucche, ad accudire le galline e curare l’orto; per lei era una novità, visto che era la figlia di uno dei più ricchi costruttori dello Stato. Sara aveva fatto amicizia con Benjamin McAllister, tanto che lui le aveva chiesto di dargli del tu e di chiamarlo Benny, come lo chiamavano i suoi amici d’infanzia. Johnny non poteva che essere contento di questa simpatia tra Sara ed il padre. Johhny aveva perso la madre a tre anni, ed il fratello Ted era morto nella guerra del Golfo due anni prima, in circostanze non del tutto chiare. Sara compose il numero “Pronto Benny, sono Sara”. “Sara carissima, come stai?” il papà di Johhny era contento, erano un paio di settimane che non si sentivano. Sara lo interruppe subito “Benny, c’è un problema” stava per piangere ma poi si fermò: “Johnny è ricoverato al St James’ Hospital”. “Mio Dio, cosa è successo?”. “Non so bene” disse Sara “Mi hanno chiamato alcuni minuti fa. Ieri mi sono vista con Johnny in serata. Poi mi ha riaccompagnata a casa verso le 11 perché doveva lavorare al pub, ma ha avuto un incidente d’auto”. “Prendo il treno” disse Benny “Sarò lì tra un paio d’ore”.
Capitolo 6 – Il Dott. Chamberlain
L’ambulanza entrò nel cortile del St. James Hospital. Scesero tre persone: un medico e due infermieri con una barella. Il medico aveva un camice bianco con sopra appuntata una targhetta con il nome: Dott. Chamberlain. Si incamminò nell’atrio dell’ospedale, seguito dai due infermieri con la barella. L’ospedale era praticamente deserto. Un paio di infermiere alla reception per smistare pazienti e visitatori. L’ingresso del pronto soccorso, il reparto più movimentato, era da tutt’altra parte. Le infermiere che incrociavano il Dott. Chamberlain gli gettavano delle occhiate di ammirazione. Alto ed atletico, biondo con capelli cortissimi e poi il camice, il fascino della divisa. Il Dottor Chamberlain ci era abituato, soprattutto quando vestiva la sua divisa da ufficiale ed usava il suo vero nome: Tenente Samuel Foster. Il <
> arrivò alla reception, e rivolgendosi all’infermiera disse: “Sono il Dottor Richard Chamberlain. Sono venuto per prelevare il Signor McAllister. Hanno mandato un fax dal Central Hospital per il trasferimento”. L’infermiera consultò il computer e disse: “Certo dottore, la stanza è la 214, però forse è meglio se parlate con il Dott. Cameron, perché poco fa il paziente ha avuto un problema. Glielo chiamo all’interfono”. “Non c’è n’è bisogno” disse il Dott. Chamberlain/Tenente Foster “conosco il Dott. Cameron, lo cercherò io”.
Capitolo 7 – Sara in ospedale
Sara arrivò in ospedale. Lasciò la macchina nel parcheggio e corse dentro, dirigendosi verso la reception. “Mi scusi” disse Sara alla prima persona in camice che vide, “cerco Johnny McAllister, lo hanno portato qui stanotte in seguito ad un incidente d’auto”. Alla reception c’era il Dott. Cameron. Era di spalle, si girò e disse: “Finalmente signorina, sono il Dott. Cameron, ho visitato io stesso Johnny, sia stanotte, sia poco fa”. “Come sta?” chiese Sara. “Ora è stabile. La polizia ha detto che la macchina era uscita fuori strada, era completamente distrutta e l’airbag non si era aperto. Lui aveva solo qualche graffio in faccia”. “Sta bene, allora”. “Non precisamente” disse il Dott. Cameron “mentre lo visitavo poco fa ha avuto un arresto cardiaco”. “Mio Dio”. “Ho dovuto usare il defibrillatore. Ora è meglio che riposi. Gli abbiamo fatto un prelievo di sangue e sto facendo fare alcuni esami”. “Posso vederlo?” chiede Sara. “Solo attraverso il finestrino della porta. E’ sotto sedativi” precisò il Dott. Cameron “comunque sono ottimista, è giovane, e direi che si rimetterà presto”. Un’infermiera si avvicinò al Dott. Cameron “Dottore, l’hanno trovata?”. “Chi mi doveva trovare?” chiese il dottore.
“Un certo Dott. Chamberlain, Richard Chamberlain” disse l’infermiera. Il Dott. Cameron aggrottò le ciglia. “E’ venuto per il trasferimento di Johnny McAllister” continuò l’infermiera. Il Dott. Cameron non capiva “Quale trasferimento? E perchè non ne so niente?”. Il Dott. Cameron si avviò con o svelto verso la stanza di Johnny, Sara era dietro di lui. La stanza era vuota, Johnny era stato portato via.
Capitolo 8 – In cella
Johnny si svegliò. Quando era stato portato via dall’ospedale era sotto sedativi, non si era accorto di nulla. Non riconobbe il luogo in cui si trovava. Era una cella angusta, tre metri per tre metri, senza finestre e con una porta senza maniglie. Le pareti, alte almeno quattro metri e completamente bianche, rimandavano la luce del riflettore puntato su Johnny. Una voce si udì: “Ben risvegliato Johnny”. Johnny era completamente frastornato, prima l’incidente d’auto, poi l’arresto cardiaco, poi il luogo sconosciuto in cui si trovava. Trovò però la forza di parlare : “Chi siete? E dove mi trovo?” La voce disse “Non preoccuparti Johnny, sei tra amici. Hai avuto una giornata pesante. Pensa a riposarti” Johnny urlò: “Dove mi trovooooooo?”. Non ebbe risposta, la luce si spense, e dopo poco Johnny, completamente esausto, si addormentò.
Capitolo 9 – L’ispettore Papadopulos
La polizia arrivò in ospedale in poco meno di mezz’ora. Non era ancora un rapimento, ma una “sparizione ingiustificata”. Sara era nell’atrio dell’ospedale, il Dott. Cameron tentava di tranquillizzarla. Una figura si materializzò nell’atrio. Era un uomo sul metro e sessanta, grassoccio, con un vestito di lana grigio, una camicia e righe bianche e blu ed una cravatta rossa col nodo malfatto. Appena il Dott. Cameron lo vide, trasecolò: “O mio Dio!!”. “Cosa succede” chiese Sara? “L’ispettore Papadopulos!!” “E chi è?” domandò Sara. “E’ della polizia cittadina, se è qui è evidente che gli hanno assegnato il caso”. “E allora?”. “Ebbene” continuò il Dott. Cameron “non vorrei agitarla, ma non è che sia molto competente, anzi, a dirla tutta, è un emerito imbecille. I superiori gli assegnano sempre qualche caso di poco conto per non fargli combinare guai”. “Senta” aggiunse il Dott. Cameron “è meglio comunque che parli con l’ispettore. Io voglio verificare se hanno completato quegli esami sul sangue di Johnny. Sarò di nuovo da lei fra circa mezz’ora”. “Va bene” disse Sara, anche se stava capendo ben poco di quello che stava succedendo.
“Sara Romano?” chiede l’ispettore. “Sì, sono io” rispose Sara. “Salve, sono l’ispettore Nikolas Papadopulos, volevo farle alcune domande sulla sparizione del suo amico”. “Fidanzato” precisò Sara. “Si certo, fidanzato” disse l’ispettore. Si sedettero su un divanetto. “Allora...” l’ispettore infilò le mani nella tasca destra della giacca alla ricerca di qualcosa, poi nella sinistra, poi nelle tasche interne. Finalmente tirò fuori un taccuino con la copertina di pelle marrone completamente consumata dalla tasca posteriore dei pantaloni. “Allora” l’ispettore incominciò leggendo sul taccuino “E’ da molto tempo che conosce Bob?” “Chi Bob? Il mio fidanzato si chiama Johnny, Johnny Mc Allister!” disse Sara. “Sì certo, Johnny McAffirter” “McAllister!!!” Sara alzò il tono di voce <
> pensò. “Allora è da molto tempo che conosce Johnny Mc Allister?” disse l’ispettore, sorridendo, come uno scolaretto che ha dato la risposta giusta. “Da quasi due anni”. “Bene” l’ispettore segnò la risposta sul taccuino. Poi domandò: “Johnny faceva uso di droghe o alcool?”. “Assolutamente no! Solo una birra ogni tanto!” rispose Sara “Lui è uno sportivo. Si allena tre o quattro volte la settimana. E’ cintura nera di karate di 2° grado”. “Ah” l’ispettore annotò “era coinvolto in qualche giro di combattimenti clandestini?”
“Noooo!” Sara non ne poteva più “Johhny era un ragazzo tranquillo, lavorava, studiava e si allenava. Stop, punto e basta”. “Un’altra donna?” chiese l’ispettore. “Basta così” disse Sara, che si alzò di scatto. “Mi scusi” disse l’ispettore tentando di rimediare “ma devo prendere in considerazione tutte le ipotesi” poi fece un’ulteriore annotazione sul taccuino. In quel momento entrò in ospedale il papà di Johnny. Corse verso Sara e l’abbracciò. “Cos’è il fatto del rapimento?” chiese Benjamin. L’ispettore, che aveva assistito alla scena senza intervenire disse: “Non è un rapimento, ma una ‘sparizione ingiustificata’. Lei sarebbe?”. “Sono Benjamin Mc Allister, il papà di Johnny” rispose Benny in maniera educata “E lei?”. “Sono l’ispettore Nikolas Papadopulos. Mi hanno affidato il caso di Johnny” disse l’ispettore, prendendo il taccuino “e vorrei farle qualche domanda. E’ da molto tempo che conosce Johnny?”
Capitolo 10 – Nella base
Il tenente Foster era nella sua stanza, steso sul letto, meditava sulla prima missione, che era stata svolta in modo egregio. Aveva “prelevato” Johnny senza fare confusione e senza quei modi rumorosi e plateali tipici dei militari. Il colonnello Moore gli aveva fatto i suoi complimenti, anche se aveva aggiunto che era una missione molto semplice. Il tenente Foster aveva provato a fare alcune domande al colonnello Moore: cosa significavano quelle porte uguali e senza scritte e se c’erano altri “ospiti” nella base. Il colonnello Moore gli aveva risposto dicendogli “Tenente, Lei è appena arrivato, dia tempo al tempo e capirà tutto”. Il tenente era appena arrivato, ma sapeva già tutto, la sua presenza nella base aveva uno scopo ben preciso. Ad un tratto il tenente Foster si ricordò del perché della sua presenza, si alzò dal letto e prese una valigetta dall’armadio, prendendo dalla stessa un telefono satellitare. Lo accese e compose un numero. Dall’altra parte una voce maschile rispose: “Sì?”. Il tenente disse “Sono io”. “Tutto ok?”, chiese la voce. “Sì”. “Hai preso contatto?”.
“Non mi è stato ancora possibile” rispose il tenente Foster. “Fai attenzione, non deve sospettare di nulla” disse la voce. “Vedrai che non ci sarà alcun problema”.
Capitolo 11 – Tony Romano
Sara tornò a casa, nella villetta poco fuori città dove abitava con il padre. Benjamin aveva deciso di are dall’appartamento di Johnny per vedere di trovare qualche indizio sulla sua sparizione. Certo lui era solo un agricoltore, ma ovviamente voleva fare tutto il possibile per ritrovare il figlio; aveva già perso la moglie molti anni prima ed il figlio Ted nella guerra del Golfo. Sara era nel salotto, al piano terra della villetta, seduta sul divano. C’era anche il padre Tony, che era uno dei più ricchi costruttori dello Stato. Tony Romano era un omone di oltre 1 metro e novanta, vestiva spesso con stivali, cappello da cowboy e camicie a quadroni. Aveva sempre un sigaro in bocca, che molto spesso era spento. Andava frequentemente fuori città per motivi di lavoro, ma voleva alla figlia Sara un bene dell’anima e lei voleva bene al padre nella stessa maniera. Tony Romano si era molto affezionato anche a Johnny, lo ammirava per la sua tenacia e la forza d’animo. Più volte si era offerto di aiutarlo economicamente, ma Johnny aveva sempre rifiutato. Tony Romano era anche molto benvoluto nella città, dava lavoro ad un mucchio di persone ed era sempre in prima fila per le iniziative benefiche. Aveva anche un grande fiuto per gli affari. In alcuni lotti di terreno altri costruttori avevano incominciato a costruire delle palazzine con appartamenti di superficie non inferiore a 150 metri quadri. Tony Romano nei suoi lotti aveva invece costruito numerosi appartamentini, adatti per single e coppie, di 70-80 metri quadrati, che andarono a ruba. Il risultato fu che lui vendette tutti gli appartamenti in tre mesi, gli altri costruttori in tre anni.
“Allora Sara” disse Tony Romano, eggiando su e giù per il salotto “cosa è successo?”. “Papà, non lo so” rispose Sara. “Come non lo sai?”. “Papà te lo ripeto, non lo so. Sono arrivata in ospedale. Ho incontrato un certo Dott. Cameron, che aveva curato Johnny, poi è arrivata un’infermiera che...” Sara si interruppe un attimo, poi continuò “un’infermiera che ha parlato di un certo Dott. Chamberlain, poi Johhny era sparito, poi è arrivato quel poliziotto imbecille!!!”. “Non ti devi preoccupare di Papadopulos” disse Romano “ho già parlato con il capo della polizia. Putroppo una cosa giusta l’ha detta. Non è un rapimento, ma una ‘sparizione ingiustificata’ prima di 48 ore non possono fare nulla”. “E noi cosa possiamo fare intanto?” disse Sara. “Ho chiamato un investigatore privato mio amico” disse Romano “Certo se fosse un rapimento...” continuò Roman.o “Cosa dici papà?” chiese Sara. “Se fosse un rapimento e ci chiedessero dei soldi? Lo sai quanto sono affezionato a Johnny, sarei anche disposto a pagare. Sappiamo bene che Benny non possiede un granché” rispose Romano. “E’ impossibile papà” disse Sara “non sarebbe stato più facile rapire me? Secondo me non ha alcun senso”. “Hai ragione Sara. Quando saranno scattate le 48 ore andrò dal capo della polizia per sollecitarlo” . “E intanto cosa facciamo?” chiese Sara. “Preghiamo”.
Capitolo 12 – Il prof. Pettigrew
Daniel Pettigrew era professore di matematica e statistica alla Fulton University. Vi era arrivato dopo essere stato ufficiale dell’Esercito dove aveva raggiunto il grado di maggiore. Il suo incarico nell’esercito consisteva nel coordinare gli esperti che formulavano le specifiche di lancio per i missili teleguidati, sia con testata nucleare che con testata convenzionale. A quarantadue anni, però, era stato dimesso dall’esercito “con onore”. Godeva di una sostanziosa pensione, ma a lui piaceva troppo la matematica ed il contatto con le persone. Aveva quindi intrapreso la carriera di professore presso la Fulton University da oltre un anno. Era un professore molto benvoluto dagli studenti: chiedeva molto, ma dava anche molto. Aveva preso sotto la sua ala protettrice Johnny, che si era subito rivelato uno studente molto dotato. Johnny ricambiava assistendolo in alcune ricerche. Il lunedì mattina il prof Pettigrew si recò all’Università per tenere un lezione. Peter Storm, uno dei suoi studenti del primo anno gli andò incontro. “Buongiorno Peter” disse il prof Pettigrew, sorridendo. “Buongiorno professore” rispose Peter, con aria contrita. “E’ successo qualcosa?”. “Non ha saputo professore?”. “Di cosa?” chiese preoccupato il prof. Pettigrew.
“Di Johhny McAllister. Ha avuto un incidente d’auto la notte tra sabato e domenica. Era stato ricoverato al St. James’ Hospital, ma la domenica mattina è sparito”. “Come sparito?”. “Sparito nel vero senso della parola” disse Peter “nessuno l’ha visto andare via. Si teme che sia stato rapito, perché era molto debole e sotto sedativi”. “Chi te lo ha detto?” chiese il prof Pettigrew. “Ho incontrato il padre di Sara, era preoccupatissimo” rispose Peter. “Peter fammi un favore, avverti i tuoi compagni che oggi non ci sarà il corso. Devo dare una mano a ritrovare Johnny”.
Capitolo 13 – La stretta di mano
Johnny dormiva. Purtroppo non dormiva bene. Dopo tutto quello che aveva ato, stava vivendo un incubo anche nei sogni. Dormiva e vedeva se stesso da piccolo, ma non era lui! Le persone attorno lo chiamavano James, e lui chiamava mamma e papà degli sconosciuti. Vide se stesso a scuola, in situazioni che non riconosceva. Vide se stesso alla facoltà di medicina, solo che lui studiava matematica. Vide il giorno della sua laurea, peccato che lui non si fosse ancora laureato. Vide se stesso che parlava con una donna sconosciuta che gli diceva “James, è finita, ho chiesto il divorzio, tu non ci sei mai, sei sempre in ospedale, ed io voglio un marito, non un fantasma !!”. Johnny si svegliò, fradicio di sudore. Dall’incubo nei sogni si ritrovò nell’incubo nella realtà. Era ancora in un luogo sconosciuto, in una cella tre metri per tre metri, con le maledette pareti altissime e completamente bianche. C’era ancora anche il dannato riflettore, che si accese subito, puntando la luce direttamente verso Johnny. La voce che lo aveva accolto la prima volta cominciò a parlare: era il colonnello Moore.
“Di nuovo ben risvegliato Johnny!!” disse il colonnello Moore, al suo fianco c’era il tenente Foster. “Chi siete? Cosa volete?” urlò Johnny. “Rilassati, Johnny, sei fra amici”. “Degli amici non mi rapirebbero e mi chiuderebbero in una cella” Johnny si mise una mano davanti alla faccia per coprirsi dalla luce del riflettore, guardò in alto e intravide un vetro. Dietro al vetro c’erano due figure umane, erano Moore e Foster, ma lui non lo sapeva, non ancora. “Johnny” continuò il colonnello Moore “devi sapere che noi ti osserviamo da parecchio tempo. Sappiamo che potevi acquisire alcuni poteri. Ci voleva un evento traumatico che risvegliasse le tue capacità più profonde. Siccome questo non era ancora capitato abbiamo, diciamo così, forzato il tuo destino”. “Non capisco, di cosa sta parlando?” disse Johnny. “Vedi Johnny, alcune volte delle persone acquisiscono delle capacità particolari, come la lettura del pensiero e la telecinesi”. “Sono tutte idiozie!!” urlò Johnny. “Benissimo, allora preparati perché tu stesso negherai quello che hai appena detto. Hai acquisito un potere particolare. Stringendo la mano alle persone acquisisci le loro conoscenze”. Johnny non credeva alle sue orecchie, ma rimase in silenzio e continuò ad ascoltare. “Il problema” continuò il colonnello Moore “è che tu acquisisci anche le loro esperienze, positive e negative. Da quando hai acquisito i tuoi poteri hai stretto la mano al Dottor Cameron del St James’ Hospital. Probabilmente hai fatto qualche strano sogno ed hai visto avvenimenti che non hai mai vissuto, bene, quelli erano episodi di vita del Dott. Cameron”. Johnny più ascoltava, più non credeva alle sue orecchie. “Il problema è che se sommi troppe esperienze potresti rimanerne schiacciato,
quindi devi buttarle via e conservare solo le conoscenze”. “Come fate a sapere queste cose?” chiese Johnny. “Bè abbiamo una certa esperienza” rispose il colonnello Moore “pensa che molti anni fa avevamo due fratelli con queste capacità. Uno era diventato addirittura presidente. Pensa a quante mani stringe un presidente. Capi di Stato, regnanti, alte cariche istituzionali. E pensa quanti segreti può carpire. Poi ce li hanno ammazzati, prima lui, poi suo fratello”. Johnny continuò ad ascoltare in silenzio. “Ebbene, come ti dicevo, il problema di questa capacità è che le esperienze bisogna buttarle e tenere solo le conoscenze. Solo che per fare questa ‘operazione’ ci vuole parecchio esercizio, e noi vogliamo insegnarti come si fa”. La luce si spense.
Capitolo 14 – Alla ricerca di Johnny
Johnny aveva avuto l’incidente d’auto la notte tra il sabato e la domenica. La domenica mattina era sparito. Era ormai il lunedì mattina e si ritrovarono tutti nella villetta di Tony Romano. Benjamin McAllister aveva cercato inutilmente qualche indizio a casa di Johnny. Daniel Pettigrew, il professore di matematica, era corso lì quella stessa mattina, subito dopo aver appreso della sparizione di Johnny. Tony Romano aveva disdetto tutti gli impegni di lavoro. Sara, dopo aver ato una notte insonne, capì che non poteva cedere alla disperazione: si fece una tazza di caffè forte e decise che avrebbe trovato Johnny. Sara fece accomodare tutti nel salotto al piano terra. Lei si sedette sul divano, con le spalle alla grande vetrata che dava sulla strada. Il prof. Pettigrew si accomodò sulla poltrona a fianco del divano. Benjamin McAllister rimase in piedi, appoggiato vicino al camino. Tony Romano eggiava nervosamente con un sigaro spento in bocca. “Benny, che cosa hai trovato a casa di Johnny?” esordì Sara. “Niente. Nulla di nulla. Del resto io sono solo un agricoltore, e non so nulla sul ritrovamento di persone scomparse, ma una cosa la so per certa: Johnny non ha segreti. Lui pensa a studiare, pensa ad allenarsi e pensa alla ragazza” disse Benny, guardando Sara. “Posso solo confermare” disse il prof. Pettigrew “certo conosco poco Johnny dal
punto di vista personale. Ma è sempre stato estremamente coscienzioso e corretto. Lui si impegnava in tutto quello che faceva. Mi aveva colpito anche la sua decisione di prendere alloggio fuori dal campus universitario, lui diceva che poteva concentrarsi di più sullo studio. Aveva comunque un mucchio di amici, ma lui cercava di utilizzare al meglio il suo tempo e..” Sara interruppe il prof. Pettigrew “Perché stiamo parlando di Johnny al ato? Lui è vivo e lo ritroveremo”. “Hai ragione Sara” disse Tony Romano togliendosi il sigaro spento dalla bocca “Ho parlato con il capo della polizia. Siccome sono ate 48 ore si può parlare di rapimento. Hanno tolto il caso a Papadopulos e l’hanno dato all’ispettore Samuelson”. “E’ in gamba, lo conosco” disse il prof. Pettigrew. “Sì speriamo che risolva qualcosa” soggiunse Tony Romano “dopo il bene che ho fatto questa città, spero che ne facciamo a me”. Il prof Pettigrew si alzò “Io ora dovrei andare. Mi farò sentire in serata per sapere se ci sono novità”. Sara si alzò dal divano “L’accompagno alla porta”. “Non c’è n’è bisogno Sara, grazie. Conosco la strada. Arrivederci a tutti”.
Capitolo 15 – Il Dott. Cameron
Il Dott. James Cameron era il primario di neurochirurgia del St James’ Hospital. Brillante medico, il Dott. Cameron si era laureato a Princeton con il massimo dei voti. Dopo la laurea aveva poi conseguito numerose specializzazioni: neochirurgia infantile, neurochirurgia spinale, chirurgia cerebrale. Aveva lavorato in numerosi ospedali, facendo moltissima esperienza. Era al St. James’ da oltre due anni; dopo un matrimonio finito male aveva scelto di cambiare città. Aveva poi scelto di lavorare nel St. James’, che era un piccolo ospedale. Lo aveva fatto perché in questo modo poteva scegliersi i suoi collaboratori, cosa che non aveva mai potuto fare quando aveva lavorato in strutture più grandi. In quei due anni il reparto di neurochirurgia del St. James’ era diventato un piccolo centro di eccellenza. Venivano da tutto lo stato per farsi curare nel St. James’ e talvolta anche dagli stati limitrofi. La mattina del lunedì il Dott. Cameron stava consultando gli esami di Johnny nel suo studio. Il telefono squillò. “Pronto?” rispose il Dott. Cameron. Una voce dall’altra parte disse: “Sono io”. “Come va?” chiese il Dott. Cameron. “E’ tutto sotto controllo” rispose la voce. “Bene. Stavo guardando la situazione. Il ragazzo ha tutti i valori normali. Non c’è assolutamente nulla di anomalo. Ha manifestato qualche reazione
particolare?”. “Sì” disse la voce “forse ha avuto un tuo incubo”.
Capitolo 16 – Un amico
Il lunedì mattina Johnny stava molto meglio. Aveva smaltito i sedativi e stava incominciando a riflettere. <
>. Johhny stava cercando una risposta a quello che stava accadendo, lui era solo il figlio di un agricoltore che lavorava in un pub per mantenersi agli studi. Cosa potevano mai volere da lui? Johnny si alzò dal letto. Incominciò a cercare una via d’uscita da quella cella. Ma non c’era modo. Pareti altissime e completamente bianche senza finestre nè condotti di aerazione. Solo una porta con un piccolo sportellino. Lo sportellino della porta si aprì. Due mani introdussero un vassoio dove c’era del cibo: due panini con hamburger ed una bibita. <
> pensò Johnny. Mangiò tutto in due minuti. Sotto il vassoio dei panini trovò un biglietto, dove c’era scritto: “Fai quello che ti dicono. Firmato: Un amico”.
Capitolo 17 – L’ispettore Samuelson
Il martedì mattina l’ispettore Matt Samuelson, a cui era stato affidato il caso, convocò Sara nell’appartamento di Johnny, dove nel frattempo Benny si era stabilito. L’appartamento non era un granché, ma non costava molto. Benny aiutava economicamente il figlio come poteva, ma Johnny non si lamentava, aveva trovato lavoro in un pub ed aveva preso l’appartamento fuori dal campus. L’appartamento era abbastanza vicino all’Università per arrivarci in pochi minuti, ma abbastanza lontano per non essere coinvolto nelle innumerevoli feste che venivano organizzate. L’ispettore Samuelson era arrivato in città come ispettore della polizia dopo aver lavorato nelle polizie locali di numerose altre città, sia a nord che a sud del paese. Era anche un esperto in criminologia e spesso teneva conferenze e scriveva articoli su riviste specializzate. L’appartamento di Johnny era molto spartano: un piccolo ingresso con un appendiabiti, una sala con un angolo cottura, una piccola stanza da letto con un armadio minuscolo ed un bagno. Nella sala Johnny aveva creato il suo angolo studio, mentre nella stanza da letto, aveva messo un letto ad una piazza a mezzo: glielo aveva regalato Sara. Si riunirono nella sala. Sara chiese se volevano un caffé. L’ispettore Samuelson e Benny accettarono entrambi. Benny si sedette su una piccola poltroncina, completamente sfondata, nella quale sembrava che sprofondasse. Malgrado ciò, diceva di starci molto comodo. L’ispettore Samuelson rimase in piedi ed incominciò a curiosare in giro.
Sara incominciò a fare il caffè. Mentre curiosava, l’ispettore Samuelson incominciò a parlare, rivolgendosi a Benny. “Signor Mc Allister, mi parli di suo figlio Johnny”. Benny incominciò a parlare “Niente di particolare, ispettore. Johnny è un ragazzo con la testa sulle spalle, non mi ha mai dato preoccupazioni di alcun genere. Ha incominciato a frequentare la facoltà di matematica tre anni fa. Aveva vinto un’ottima borsa di studio. Poi gli amministratori della fondazione hanno pensato bene di scappare con le casse sociali. Johnny non si è perso d’animo è si è rimboccato le maniche, trovandosi un lavoro. Io lo aiuto come posso, ho solo una piccola fattoria che assorbe tutte le mie energie e che non mi permette grossi guadagni”. “Ho capito signor Mc Allister” disse Samuelson “quindi in linea di massima escluderei il rapimento a scopo di estorsione. Del resto nel 98% dei casi i rapitori si fanno vivi entro le successive 12 ore”. “Cosa succede nel residuo 2% dei casi?” chiese Sara, la quale, anche se intenta a preparare il caffè, non si era persa una parola. “Bè, nel 2% dei casi non chiamano mai. Questo accade a seguito di problemi con il rapito che eventualmente reagisce o riconosce i suoi rapitori” rispose Samuelson. Sara rabbrividì. “Quindi” continuò Samuelson “mi interesserebbe sapere se Johnny aveva dei nemici. Se aveva fatto qualche sgarro a qualcuno, insomma, se qualcuno poteva volergli male”. “Io lo escludo totalmente” disse Benny “almeno per quanto riguarda la nostra città d’origine. Del resto Johnny viene un paio di volte l’anno e sta sempre con me alla fattoria. L’ultima volta è venuta anche Sara e non c’è stato nessun avvenimento particolare”. “E’ vero” disse Sara, portando il caffè a Benny e all’ispettore Samuelson “anche qui Johnny va d’accordo con tutti. La città alla fine è piccola e tutti si
conoscono. Johnny è molto benvoluto sia dai clienti del pub dove lavora, sia nel campus, sia dai docenti della facoltà di matematica. Il prof Pettigrew, in particolare, si fa aiutare da Johnny in alcune sue ricerche. Anche nella palestra di karate dove si allena è tutto ok. Talvolta dà una mano al suo maestro con le classi di karate dei bambini”. “Perfetto” disse Samuelson “per oggi abbiamo finito. Posso dare un’occhiata in giro? Voglio vedere se trovo qualche indizio utile”. “Faccia pure con comodo” disse Benny “la cosa più importante è che lei ritrovi mio figlio”.
Capitolo 18 – La cosa giusta
Il prof. Pettigrew era nel suo studio alla facoltà di matematica della Fulton University. Ormai era lì da oltre un anno, ma a lui sembrava di esserci arrivato due giorni prima. Aveva intrapreso la carriere di docente dopo essere stato dimesso “con onore” dall’esercito. In realtà il Prof. Pettigrew, che era maggiore dell’esercito, era stato coinvolto in una situazione poco chiara. Pettigrew era responsabile del lancio dei missili teleguidati durante la guerra del Golfo. Uno dei missili per i quali aveva stabilito le specifiche di lancio aveva colpito una squadra in ricognizione: erano morti 18 militari, tra cui un tenente e due sottufficiali. Come è abitudine dei militari, la vicenda era stata insabbiata, per cui l’inchiesta, che era ovviamente guidata, concluse che la squadra non doveva trovarsi in quel luogo e che quindi era stata vittima del “fuoco amico”. Malgrado come responsabile della vicenda fosse stato ritenuto il Maggiore Pettigrew, questi era stato dimesso “con onore” e gli era stata assegnata una sostanziosa pensione. Pettigrew sapeva cosa fosse successo in realtà, ma non riuscì a provarlo. Ora stava riflettendo se quello che stava facendo fosse la cosa giusta. Pettrigrew alzò il telefono, compose un numero ed incominciò a parlare. “Sono io” disse. Una voce dell’altra parte rispose “Bene, qui è tutto ok”. “Come sta andando?” chiese Pettigrew.
“Si è ripreso dai sedativi ed è abbastanza riposato. Ovviamente deve ancora capire cosa sta succedendo” rispose la voce. “Credi che collaborerà?”. “Ci sto lavorando”.
Capitolo 19 – I dubbi di Johnny
Johnny cominciò nuovamente a pensare <<Mi hanno rapito e mi hanno chiuso qui dentro. Dicono che io ho dei poteri particolari. Sarà vero?. Ma figuriamoci, queste cose succedono solo nei cartoni animati. Un ragno radioattivo punge Peter Parker e lui diventa Spider-Man. Ma figuriamoci!!>> Johnny trovò la forza di un piccolo sorriso. Poi continuò a pensare <
>. Poi il suo pensiero andò al bigliettino <
>. Mentre era preso in questi pensieri, Johnny udì una voce, era il colonnello Moore, accanto a lui c’era, come sempre, il tenente Foster. “Allora Johnny, come ti senti?”. Johnny non rispose. “Non vuoi parlare?” disse Moore. “Bene, allora ti dico come andranno le cose. Se decidi di collaborare con noi ti trasferiremo in una cella più grande. Lì avrai un bel letto comodo, un monitor con qualche film da guardare, un angolo palestra per fare un pò di ginnastica e potrai mangiare quello che vuoi”. Johnny pensò che non aveva nulla da perdere. Se per un qualunque motivo avessero voluto ucciderlo lo avrebbero già potuto fare. “Cosa vorreste che io faccia?” disse Johnny. “Come ti ho detto in precedenza, tu hai acquisito una capacità particolare. Stringendo la mano alle persone acquisisci le loro conoscenze. Il problema è che acquisisci anche le loro esperienze, e queste ti potrebbero schiacciare. Devi
quindi allenarti a conservare le conoscenze ed a buttare via le esperienze. All’inizio questo procedimento è difficile, ma dopo viene naturale”. “In cosa consiste quest’allenamento?” chiese Johnny. “Sono semplici esercizi mentali” rispose Foster “ti forniremo degli appositi manuali e dei video”. “A proposito” soggiunse Foster “il tuo potere ha dei limiti. Quando tu stringi la mano a delle persone acquisisci le sue conoscenze, ma non le sue capacità fisiche. Ad esempio, se stringi la mano ad un maestro di una qualsiasi arte marziale, non acquisisci le sue capacità. Comunque pensa alla mia proposta, tornerò fra un paio d’ore”.
Capitolo 20 – Benny e Sara
L’ispettore Samuelson era andato via, con la promessa di fare tutto il possibile per ritrovare Johnny e di farsi sentire al più presto. Sara rimase lì, voleva fare forza a Benny, anche se forse lei ne aveva più bisogno. “Credi che lo ritroveranno?” disse Benny che sprofondava nella poltrona. “Lo ritroveremo Benny, non ti devi preoccupare” rispose Sara senza convinzione. “Lo spero” disse Benny. Dopo un interminabile minuto di silenzio, Benny riprese a parlare “Mi dovete scusare, Sara”. “Di cosa?” chiese Sara. “Non riesco ad esservi d’aiuto. In fondo Johnny è mio figlio. Dovrei essere il primo a darmi da fare. Ma qui non conosco nessuno e voi invece avete un mucchio di amicizie. Tuo padre in città è amato da tutti” rispose Benny. “Non ti devi preoccupare di niente” disse Sara “mio padre adora Johnny e farebbe qualunque cosa per ritrovarlo. Del resto lui fa parte della famiglia. Io non ho fratelli nè sorelle, e mia madre si è separata da mio padre alcuni anni fa ed è andata in Europa, mentre io sono restata con mio padre”. Benny sospirò e disse “Sei una brava ragazza Sara. Solo che io ho sempre paura che succeda qualcosa. Mia moglie è morta molti anni fa e l’altro mio figlio Ted, è morto nella Guerra del Golfo due anni fa”. “Benny, se non vuoi parlarne...” disse Sara. “No, è che c’è sempre qualche mistero di mezzo. Ted era in ricognizione con la
sua squadra. Erano in diciotto, tutti fra i venti ed i trent’anni. C’era un tenente che comandava la squadra e Ted era uno dei due sottufficiali” Benny si interruppe un attimo, per l’emozione, poi continuò “mentre erano in ricognizione un missile del nostro esercito li colpisce. Tutti morti. L’esercito ha chiuso la faccenda concludendo che erano state vittime del ‘fuoco amico’” Benny si interruppe nuovamente “Ted in precedenza era stato anche decorato, ma è stato trattato come una nullità. I soliti funerali solenni con diciotto bare tutte allineate e nessuna spiegazione”. Sara abbracciò Benny e disse “Vedrai che stavolta andrà tutto bene”.
Capitolo 21 – La decisione
Johnny pensò per tutto il tempo. Non aveva molta scelta. Non sarebbe mai riuscito a scappare, non da quella cella. Forse qualcun altro ci sarebbe riuscito, ma non lui. Decise che avrebbe collaborato. Forse qualcosa di vero c’era. Aveva avuto degli strani incubi. Mai successo prima, almeno non incubi di quel genere. Era troppo strano per essere una coincidenza. Johnny sentì la solita voce “Allora Johnny?” era il colonnello Moore. “Ho deciso di collaborare” disse Johnny. “Benissimo Johnny, allora ascoltami bene. Quanto avrò finito di parlare la porta dietro si te si aprirà. Non pensare di scappare, non ci riusciresti, perchè il percorso che dovrai fare è studiato appositamente. Segui le frecce che ci sono a terra. Ti porteranno in una stanza più grande di questa, dove troverai quello che ti ho detto. Mangia qualcosa, troverai un frigo pieno di provviste. Riposati e dormi, domani incominceremo” La porta si aprì e Johnny uscì.
Capitolo 22 – Ted
Era ormai mercoledì mattina. Benny si svegliò con calma e si recò a casa Romano. Sara gli aprì la porta, stava preparando la colazione, il padre ancora dormiva, stranamente visto che lui si alzava di buon’ora. Era un gran lavoratore e non perdeva mai d’occhio i suoi affari. “L’occhio del padrone ingrassa il cavallo” diceva sempre Tony Romano alla figlia. Il giorno prima Tony Romano aveva contattato l’investigatore privato suo amico che aveva incaricato. L’investigatore non aveva cavato un ragno dal buco; anzi appena aveva saputo che del caso se ne stava occupando l’ispettore Samuelson aveva detto di non poter fare più nulla. Tony si era anche recato presso il comando della polizia, ed aveva parlato a lungo prima con l’ispettore Samuelson, poi con il capo della polizia, poi con entrambi. Tony non era un semplice benefattore della città, ma “il benefattore”. Aveva sempre dato tanto senza mai chiedere niente. Stavolta stava smuovendo tutte le sue amicizie ed i suoi contatti: dovevano ritrovare Johnny. Sara chiese a Benny se voleva fare colazione: lui accettò. Poco dopo Tony Romano si svegliò. Tutti e tre si sedettero attorno al tavolo di legno della cucina. Sara incominciò a sorseggiare caffè da una grossa tazza. Benny si limitò a prendere del pane tostato e del succo d’arancia. Tony Romano si servì con uova, pancetta fritta e caffè. “Ci sono novità?” chiese Tony Romano.
“No, nessuna” disse Sara “ho sentito il Dott. Cameron del St.James’ mi doveva far sapere il risultato di alcuni esami sul sangue di Johnny. Ma non c’è niente di particolare”. “Ieri sera, dopo che sei andata via” disse Benny “ho ricevuto una strana telefonata, sembrava un orientale che ha detto queste testuali parole ‘Io maestro karate Johnny se potere fare qualcosa chiamare’”Sara sorrise “Non ti preoccupare Benny, è il maestro di karate di Johnny, il maestro Enoeda. Lui parla perfettamente inglese solo che con il telefono non ha mai familiarizzato. E’ ato stamattina di buon’ora per sapere se c’erano novità e mi ha chiesto se poteva fare qualcosa. E’ un’ottima persona. Ho ricevuto anche un mucchio di telefonate di amici di Johnny, si sono tutti resi disponibili nel caso in cui potessero dare una mano”. Sara poi si rivolse al padre “Cosa hai concluso ieri alla polizia?”. “Niente di particolare” rispose Tony Romano “so solo che l’ispettore Samuelson è il migliore che hanno. Mi hanno detto che stanno facendo tutto il possibile”. Benny ascoltò, ma rimase in silenzio per tutto il tempo. Prese il portafogli e tirò fuori una foto, che ritraeva lui con Ted e Johnny in un momento di felicità. Era l’ultima foto scattata prima che Ted partisse per la guerra del Golfo. Erano su un prato verde, Benny in primo piano, Ted e Johnny da dietro che lo abbracciavano, tutti e tre ridevano. Benny incominciò a piangere.
Capitolo 23 – Il sergente Mc Allister
Il tenente Foster era nella sua stanza. Steso sul letto, fissava il soffitto. Dopo essere stato a lungo in questa posizione, si alzò, prese il telefono satellitare e compose un numero. Una voce rispose dall’altro lato “Sì”. “Sono io” disse il tenente Foster. “Ci sono novità?” disse la voce. “Sì, ha deciso di collaborare” rispose Foster. “Ottima cosa, per lui e per noi” disse la voce. “Allora siamo convinti?” chiese Foster. “Certamente, a questo punto possiamo solo andare avanti, tu devi ripagare un debito ed io voglio giustizia” rispose la voce, con tono leggermente alterato. Poi la voce continuò a parlare “Moore sospetta qualcosa?”. “Assolutamente no” rispose Foster sorpreso “per lui sono niente di più di una formica”. “Certo, quello è un bastardo figlio di puttana, ma avrà quello che si merita” rispose la voce soddisfatta. “Ci sentiamo” disse Foster. “Ok” la voce riattaccò. Il tenente Foster posò il telefono satellitare, poi prese il portafogli e tirò fuori una foto.
La foto ritraeva lui ed il giovane sergente Ted Mc Allister: tutti e due erano in divisa. Il tenente Foster la fissò a lungo poi mormorò: “Te lo devo Ted, se sono vivo è solo grazie a te”.
Capitolo 24 – La stanza
Johnny prese possesso della nuova stanza. Effettivamente non era male. Molto più ampia della cella in cui l’avevano rinchiuso. Le pareti erano di un colore tra lo scarlatto ed il marroncino, non troppo allegro ma abbastanza riposante. Anche le luci erano adeguate, non c’erano più riflettori accecanti, ma alcune piantane e dei faretti alogeni. Il letto era comodo ed il frigo abbastanza fornito. Johnny si concesse subito un panino con prosciutto italiano e formaggio. Anche l’angolo palestra non era male: c’era un sacco appeso al muro, una panca con un bilanciere ad alcuni pesi, nonché una cyclette abbastanza moderna. In compenso, i film avevano almeno trent’anni. Dopo aver mangiato il panino Johnny si stese sul letto. Gli avano per la testa un mucchio di cose <
>. Johnny ovviamente non trovava risposte alle sue domande. Si alzò dal letto e diede un’altra occhiata in giro. Anche da questa stanza era impossibile fuggire. Solo una massiccia porta che si era richiusa alle sue spalle subito dopo che lui era entrato. Non c’erano finestre e non erano visibili condotti di aerazione. Johnny mise un vecchio film: “Ritorno al futuro” e si stese sul letto. Dopo dieci minuti si addormentò.
Capitolo 25 – Il colonnello Moore
Il colonnello Moore era nel suo ufficio alla base, riflettendo su cosa fosse opportuno fare. Johnny aveva accettato di collaborare, ma lui era preoccupato. Fino ad alcuni anni prima c’erano molti “ospiti” nella base. Almeno un ventina tra uomini e donne con vari poteri, tra cui telecinesi, pirocinesi e lettura del pensiero. Lui però doveva rendere conto al governo, che finanziava quella base, per cui aveva dovuto rilasciare molti di questi soggetti. Ad alcuni veniva chiesto di partecipare a qualche “missione” a seconda dei poteri di cui disponevano. Alcuni erano andati dispersi o erano morti in queste missioni, non sempre perfettamente legali. Alcune di queste missioni, inoltre, non erano state richieste dal governo, ed erano iniziative personali del colonnello Moore. L’ultima “iniziativa personale” del colonnello Moore risaliva ad un anno prima. In questa occasione era morta una ragazza dotata di poteri di telecinesi, rimasta schiacciata sotto un container che lei stessa aveva sollevato con i suoi poteri. Il colonnello Moore aveva avuto un gran bel da fare per trovare una spiegazione ragionevole, ma ci era riuscito, se l’erano bevuta. Così almeno credeva lui. Moore alzò il telefono e compose un numero. Dall’altra parte rispose il Dott. Cameron, il primario di neurochirurgia del St. James’ Hospital “Si?”. “Sono io” disse Moore. “Ha accettato di collaborare?” chiese Cameron.
“Sì. Domani inizierà l’addestramento”. “Quanto tempo ci vorrà?”. “Dipende dalle sue capacità. Io gli ho detto che ci sarebbe voluto parecchio tempo. Altri soggetti con poteri simili ai suoi ci hanno messo tempi molto variabili, da un mese ad un anno. Qualcuno non c’è mai riuscito, e sai questi soggetti che fine hanno fatto. Ma io sono sicuro che non ci metterà più di una settimana” rispose Moore. “Ok. Tienimi aggiornato” disse Cameron. Entrambi riattaccarono. Moore aprì un cassetto e prese una foto di qualche anno prima. La foto ritraeva lui nel giorno del suo matrimonio con una splendida ragazza bionda. Moore fissò la foto a lungo e poi pensò <
>.
Capitolo 26 – L’addestramento
La mattina Johnny si risvegliò. Nella stanza trovò dei libri e dei DVD. Un DVD era stato inserito nel lettore, un biglietto invitava Johnny a premere “PLAY”. Johnny avviò il DVD e si sedette su una poltroncina piazzata davanti al monitor. Sullo schermo apparve il colonnello Moore, che incominciò a parlare. “Salve Johnny, tu non mi hai mai visto, conosci solo la mia voce. Sono il colonnello Moore, e sono il responsabile di questa base. La base si trova 50 miglia a nord della città, ed ufficialmente qui si conducono ricerche sull’utilizzo dell’energia solare fotovoltaica. In realtà qui conduciamo ricerche su essere umani speciali, come sei tu. La base è controllata dal governo, che è informato su quanto succede qui dentro. Gli 'ospiti' di questa base vengono aiutati a controllare e ad affinare le loro capacità, alcuni ci riescono bene, altri meno bene, altri ancora non ci riescono. La cosa importante, peraltro, è che dopo aver imparato a controllare e ad affinare le loro capacità, agli ospiti viene richiesto di collaborare in alcune missioni, alcune pericolose, altre molto tranquille. Il tuo potere è di grande utilità, perché tu puoi estorcere informazioni vitali semplicemente stringendo la mano alle persone. Hai trovato dei libri e dei DVD. Lì è spiegato cosa devi fare. Puoi cominciare anche subito”. Johnny si alzò dalla poltroncina e prese il primo di quei libri. Il DVD stava continuando la riproduzione con il colonnello Moore che parlava “Scegli tu i ritmi di addestramento, ma sono sicuro che ci metterai poco tempo. Una volta abbiamo avuto una ragazza che aveva il tuo stesso potere. Per lei non era necessario stringere la mano, le bastava toccare una persona per acquisire le sue conoscenze. Quella ragazza si chiamava Jenna Duncan. Sì Johnny, era tua madre”.
Capitolo 27 – Pettigrew e Moore
Il prof. Pettigrew era nel suo studio alla Fulton University. Seduto alla sua scrivania aprì un cassetto e prese una foto di alcuni anni prima. Nella foto era ritratto lui insieme al colonnello Moore ed altri ufficiali dell’esercito. <
> pensò. Pettigrew ripose la foto nel cassetto e si alzò, uscì dalla stanza, richiudendola a chiave dietro di lui. Andò al parcheggio dell’Università e si mise in macchina. Dopo aver percorso all’incirca venti miglia a nord fuori città, si fermò ad una stazione di servizio. Aspettò per circa 15 minuti, fino a quando arrivò un motociclista, che parcheggiò la moto vicino all’auto e si levò il casco: era il tenente Foster. Foster entrò nella macchina di Pettrigrew. “Ti hanno seguito?” chiese Pettigrew. “Impossibile, ho girato per due ore”. “Bene, quali sono le novità?”. “Ho i documenti che attestano tutte le responsabilità di Moore, sia per quello che riguarda la base, sia per la vostra questione” rispose Foster. “Bene. Hai fatto una copia per me?”. “Sì, qui c’è tutto” disse Foster dando un plico a Pettigrew. Poi aggiunse “se dovesse succedermi qualcosa hai tutte le carte che servono per mandare Moore in galera”.
“Perfetto. Ora cosa hai intenzione di fare?” chiese Pettigrew. “Quello che va fatto”.
Capitolo 28 – I progressi di Johnny
Johnny continuava a porsi molte domande, in particolare sulla madre, che era morta molti anni prima. Ma aveva comunque deciso di collaborare per cui si era dedicato all’addestramento. Erano ormai ati alcuni giorni e Johnny aveva seguito diligentemente tutte le istruzioni dei libri e dei DVD che gli erano stati forniti. Gli esercizi che Johnny doveva svolgere erano di vario genere. Stringendo la mano alle persone Johnny acquisiva le conoscenze, ma anche le loro esperienze. Un esercizio, in particolare, era teso a conservare le conoscenze ma a gettare via le esperienze. Quest’esercizio consisteva nel visualizzare alcune forme geometriche di vari colori: le forme simboleggiavano le conoscenze, mentre i colori le esperienze. Johnny doveva guardare alcuni fogli ed essere in grado di dire quanti triangoli, quadrati, rombi, od altre forme c’erano. Nello svolgimento dell’esercizio doveva assolutamente dimenticare i colori delle forme. Era partito con cinque forme; dopo alcuni giorni era in grado di visualizzare e ricordare 150 forme diverse. Nella stanza, così come nella precedente, c’era un interfono. Tramite questo il colonnello Moore aveva ordinato a Johnny di stringere alcune mani. In questo modo Johnny aveva imparato otto lingue, tra cui il cinese cantonese e lo swahili. Era inoltre diventato un esperto, oltre che in neurochirurgia, anche in geologia, storia medievale e metodi di raffinazione del petrolio. Tra tutte le mani che aveva stretto, nessuna che fosse di qualcuno della base né,
tantomeno, nessuna notizia che lo aiutasse ad uscire di lì. Durante una delle giornate di addestramento, il colonnello Moore chiamo Johnny tramite l’interfono “Allora come va?”. “Mi sono stufato” disse Johnny “fatemi uscire di qui”. “Dai tempo al tempo, Johnny” disse Moore “ormai hai quasi completato l’addestramento. Lo sapevo che saresti andato molto veloce. Tra qualche giorno potrai uscire per la prima missione”. “E se mi rifiutassi?” obiettò Johnny “E poi, cosa c’entra mia madre in tutta questa storia?”. “Non ti conviene rifiutare di svolgere la missione, e lo sai bene. Per quanto riguarda tua madre, un giorno, forse, ti potrò dire qualcosa”.
Capitolo 29 – Nel frattempo
Erano ati svariati giorni dal rapimento di Johnny e non vi era nessuna novità. Come ogni giorno Benny andò a casa Romano. Bussò al camlo e Sara gli andò ad aprire. “Ciao Benny” disse Sara “come va?”. “Sempre uguale” rispose Benny “ci sono novità?”. “Papà è andato per l’ennesima volta al comando di polizia. Sta muovendo mari e monti ed anche qualcosa di più. Per questa storia sta anche trascurando i suoi affari, per fortuna che ha dei collaboratori molto fidati”. “Mi dispiace” disse Benny. Sara capì di aver fatto una gaffe e tentò di rimediare “Non ti devi preoccupare Benny” disse Sara “papà è ben lieto di interessarsi a questa storia. Lui vuole un mondo di bene a Johnny e vuole fare di tutto per ritrovarlo. Gli affari possono anche aspettare e in fondo lui non è così indispensabile come crede”. “Sono andato al bar dove lavora Johnny” disse Benny. “Qualche indizio utile?” chiese Sara. “No, nulla di nulla. Sembra solo che la sera in cui ha avuto l’incidente, Johnny abbia fatto a pugni con tre delinquenti che volevano rubargli la macchina” rispose Benny. “Credi ci possa essere qualche nesso?”. “Assolutamente no, perchè quella stessa notte questi tre sono stati arrestati mentre tentavano una rapina in un appartamento. Pensa un pò, il proprietario dell’appartamento è un agente della polizia. Li ha ammanettati e li ha portati
direttamente al comando”. Benny e Sara risero. Era da troppi giorni che non lo facevano. Benny si fece scuro in volto, Sara lo notò subito e chiese “Stai pensando ancora a Ted?”. “Sì purtroppo anche mia moglie se ne è andata in strane circostanze e ora ho paura per Johnny” disse Benny “pensa che Jenna, così si chiamava, lavorava come segretaria per il Dipartimento della Guerra. Una volta che era in ufficio ci fu un attentato dinamitardo che fece crollare l’intero palazzo. Figurati, tredici piani sbriciolati in un attimo. Il suo corpo non è mai stato trovato, feci il funerale con la bara vuota”. Sara abbracciò Benny.
Capitolo 30 – Le indagini
Erano ormai ati dieci giorni da quando avevano rapito Johnny. L’ispettore Samuelson era nella sua stanza nella sede della polizia. Sul grande pannello alle spalle della sua scrivania aveva messo le foto di Johnny, di Benjamin Mc Allister, di Sara e di Tony Romano. L’ispettore Samuelson aveva parlato con un mucchio di gente. Compagni di università di Johnny, avventori del pub, compagni di allenamento di Johnny. Ma non era servito a niente. Johnny aveva una vita normalissima, nessun “lato oscuro”, nè doppie vite, né nemici. Mentre l’ispettore Samuelson fissava il tabellone alla ricerca di una risposta, bussarono alla sua porta. “Sì?”. Una poliziotta aprì la porta e fece capolino nella stanza dicendo: “Ispettore, c’è una ragazza, una certa Taira Polin che la cerca”. “Per che cosa?” chiese Samuelson. “Per il rapimento Mc Allister” disse la poliziotta. “Sì grazie, falla entrare”. Sulla porta si presentò una ragazza sui vent’anni. Poteva essere anche carina, ma aveva urgente bisogno di un sarto e di un’estetista. Indossava dei pantacollant neri sotto una gonna corta anch’essa nera, nonché scarpe a ballerina, ovviamente nere. Aveva poi una maglia di lycra nera con sopra una canottiera gialla fosforescente, dei guanti neri senza dita e le unghie dipinte di nero. I capelli avevano almeno quattro colori: nero, giallo, rosso e
verde. In compenso l’ombretto sugli occhi era di un colore unico, viola, ed in quantità industriali. A completare il quadro c’erano due piercing: uno sul naso ed uno sul labbro inferiore. Samuelson la fece accomodare su una sedia e disse “Mi dica tutto Taira. Sa qualcosa che può aiutarmi nelle ricerche di McAllister?”. “Bè non so” incominciò Taira. “Coraggio, non abbia paura” disse Samuelson. “Bè, sono venuta perché secondo me era mio dovere. Solo che il mio ragazzo non voleva. Lui dice sempre che non bisogna immischiarsi e se vai dai piedipiatti ne ricavi solo guai”. Samuelson sorrise. “Non abbia paura” disse nuovamente Samuelson “mi dica tutto”. “Bè...” incominciò Taira titubante “un paio di settimane fa ero con il mio ragazzo. Eravamo andati a fare una gita in moto fuori città. Siamo ati vicino a quella stazione dove studiano l’energia solare”. “Sì, ho capito, quella una cinquantina di miglia a nord della città” soggiunse Samuelson “quindi?”. “Bè, fuori la base ho visto un militare, credo fosse un ufficiale”. “E allora?”. “Bè, allora io l’ho notato subito. A me piacciono gli uomini in divisa, poi lui era alto e molto atletico, biondino con dei capelli cortissimi molto sexy. Però non lo dica al mio ragazzo, lui è gelosissimo e odia tutte le divise, a partire dai piedipiatti”. Samuelson sorrise nuovamente “Non dirò niente, Taira, la prego continui”. “Bè, la mattina in cui è stato rapito Johnny. Bè io un pò lo conosco, perchè il mio fratellino va a fare karate nella stessa palestra... Bè la mattina in cui è stato rapito Johnny, io ho visto di nuovo quel militare”.
“Davvero, dove?” chiese Samuelson. “In un’ambulanza, aveva un camice da medico” rispose Taira. Samuelson capì subito. La descrizione del sedicente Dott. Chamberlain coincideva perfettamente con il militare descritto da Taira, era lui che aveva rapito Johnny fingendosi un medico. “Hai visto dove andava l’ambulanza, in che direzione?” chiese Samuelson. “Bè l’ambulanza l’ho rivista dopo un paio di ore” disse Taira. Forse Samuelson aveva la soluzione a portata di mano. “Dove hai rivisto l’ambulanza Taira?” chiese Samuelson impaziente “Bé, vicino alla stazione dove fanno le ricerche sull’energia solare. Sa, ero andata a fare un’altra gita col mio ragazzo...”. Samuelson la interruppe: “Grazie Taira. Forse grazie a te ritroveremo Johnny”.
Capitolo 31 – Johnny e Foster
Era pomeriggio e Johnny dormiva. La porta della stanza si aprì e dentro scivolò una figura che si avvicinò a Johnny e lo chiamò “Johnny, svegliati”. Johnny si svegliò di soprassalto e balzò in piedi dal letto. Era il tenente Foster che gli disse “Rilassati Johnny, sono un amico”. “Io non ti conosco” disse Johnny “perchè sei venuto qui? Mi era stato detto che non avrei potuto avere contatti con nessuno”. ”Sono venuto per farti uscire” disse Foster. “Dici sul serio?”. “Certo. Ma prima devi sapere tutto” rispose Foster. “Io mi chiamo Foster. Samuel Foster. Sono tenente dell’esercito. Io ero in Iraq con Ted”. “Con mio fratello?” chiese Johnny sorpreso. “Sì Johnny, a tuo fratello devo la vita. Un giorno eravamo in ricognizione io, tuo fratello e tre soldati. Cadiamo in un’imboscata. I tre soldati vengono subito uccisi. Io vengo ferito alle gambe, ma Ted riesce a portarmi al riparo dentro una caverna e a lanciare una richiesta di soccorso. Per due giorni Ted non dorme, respingendo svariati attacchi dei guerriglieri che ci avevano teso l’imboscata. Dopo due giorni arrivano i soccorsi, ostacolati da alcuni problemi. Ted è stato decorato per questo”. “Sì certo” disse Johnny “ora ricordo anche il tuo nome. Ted ci raccontò tutto per telefono”.
Foster continuò a raccontare “Circa tre settimane dopo quell’avvenimento, Ted era in ricognizione con un’altra squadra. Erano in diciotto e li comandava il tenente John Parker”. Johnny continuò ad ascoltare. “Mentre erano in ricognizione furono colpiti da un nostro missile. Tutti e diciotto morti. L’inchiesta concluse che la squadra non doveva trovarsi in quel luogo e fu tutto archiviato” continuò Foster. “Sì, solo che non ci hanno mai spiegato niente” disse Johnny. “Ebbene, la verità è un’altra” continuò Foster. “Le specifiche di lancio del missile erano state alterate. Il responsabile delle specifiche era il maggiore Daniel Pettigrew” “Non ci posso credere. Il Prof Pettigrew...” disse sorpreso Johnny “Ascolta Johnny, c’è dell’altro” lo interruppe Foster “le specifiche di lancio erano state alterate dal colonnello Moore, che in quel periodo era stato destinato in Iraq”. Johnny non credeva alle sue orecchie. “Ebbene” continuò Foster “Moore fece questa cosa perché il tenente Parker, che comandava la squadra, se la faceva con sua moglie. Figurati, aveva sposato una più giovane di trent’anni e non si aspettava una cosa del genere”. “Allora” disse Johnny “vediamo se ho capito. Moore ha ucciso diciotto persone per sbarazzarsi del tenente Parker”. “Esattamente” disse Foster “Pettigrew mi ha aiutato in questa storia. Ho raccolto delle prove su Moore sia in relazione a questa storia in Iraq, sia in relazione a delle iniziative personali che Moore ha effettuato con gli ospiti di questa base”. Johnny guardò un attimo Foster poi riflettè e disse: “Dì la verità, mi stai prendendo in giro, sono tutte balle”. “No Johnny, non sono balle” disse Foster “prendi la mia mano e saprai tutto”.
Capitolo 32 – La verità
Era tutto vero. Ted era morto perché un giovane tenente se la faceva con la moglie di un altro ufficiale. Non aveva senso. Non per lui. Johnny doveva andare via dalla base, di lì a poco sarebbero arrivati i servizi segreti dell’esercito che avrebbero sgomberato tutto e poi sarebbero andati ad arrestare Moore. Il tenente Foster era stato mandato lì proprio per reperire delle prove su Moore: le prove c’erano e non aveva più senso fingere. Foster disse a Johnny di andare via: la sua presenza non era mai stata segnalata da Moore, perché questo voleva usare Johnny in una “iniziativa personale”. Johnny ringraziò Foster e andò via, ma non gli diede completamente ascolto. Prese una camionetta militare parcheggiata fuori la base, e si diresse verso la villa di Moore. Voleva sapere tutto su sua madre. Cosa c’entrava in tutta questa storia? A bordo della camionetta trovò un cellulare. Chiamò Sara dicendo che stava bene ma che non poteva spiegarle nulla; le chiese di avvertire il padre e tutti quelli che erano preoccupati per lui. Lui doveva stringere la mano al colonnello Moore.
Capitolo 33 – L’arrivo della polizia
Samuelson andò subito dal capo della polizia. Chiese ed ottenne tre auto per andare nella stazione dove si studiava l’energia solare. Caso volle che al comando di polizia ci fosse Tony Romano. Dopo molte insistenze, Samuelson accettò di portarlo con lui, anche se non era una procedura regolare, perché quella era un’azione di polizia. Le tre auto della polizia uscirono dalla città a sirene spiegate, ed in poco più di mezz’ora arrivarono alla stazione, dove tutti credevano che si studiasse l’energia solare e le celle fotovoltaiche. La stazione era deserta. Non c’era nessuno. Era come se non fosse utilizzata da decenni. Mentre davano un’occhiata in giro, squillò il cellulare di Tony Romano che rispose, poi riattaccò e disse: “Era Sara, Johnny ha telefonato: sta bene”.
Capitolo 34 – Epilogo
Johnny arrivò alla villa di Moore. Moore era ricco di famiglia ed aveva ereditato questa villa, dove si rifugiava di tanto in tanto. Non aveva figli e la giovane moglie l’aveva lasciato dopo la morte del tenente Parker. Lei non aveva alcuna prova, ma sapeva che lui c’entrava qualcosa. La villa aveva una grande terrazza a picco sul mare. Cinquanta metri più in basso, le onde dell’oceano si infrangevano contro la costa. Moore era sulla terrazza, cenando a lume di candela, da solo, Johnny apparve di fronte a lui. Moore non si scompose: prese una pistola sotto al tavolo e la puntò contro Johnny. “Benissimo Johnny, ora non ti muovere” disse Moore. “Non mi fai paura” rispose Johnny. “No? Ti voglio solo avvertire che sono un tiratore infallibile. Da questa distanza potrei fare in modo che una mosca non si possa più riprodurre. Ti potrei colpire ad occhi chiusi”. “Ma davvero? Perché non lo fai? In fondo hai ammazzato mio fratello” disse Johnny. “Ah! Tuo fratello” disse Moore con aria seccata “il sergente Ted Mc Allister..”. “Non pronunciare il suo nome!!” urlò Johnny. “Purtroppo lui era nella squadra con il tenente Parker” disse Moore “erano nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato”.
“Balle!!” urlò Johnny “hai cambiato le specifiche di lancio di un missile e hai fatto ricadere la colpa su Daniel Pettigrew”. “Bene!” disse Moore “così sai tutto!!”. “Certo, e sono venuto per sapere di mia madre” rispose Johnny. “Ah! Jenna”. “Sì dimmi qualcosa in più” disse Johnny. “Be, perchè no, tanto tra un pò sarai morto. Ufficialmente Jenna era una segretaria del Dipartimento della Guerra. In realtà lei era un agente molto abile, aveva il tuo stesso potere, anche se le bastava toccare le persone. Io non l’ho mai conosciuta, ma ha reso molti servigi alla nazione. Un giorno hanno dovuto farla sparire dalla circolazione, raccontando che era morta, mentre in realtà è ancora viva” raccontò Moore. “Dov’è?” urlò Johnny. “Io non lo so, anche se conosco qualcuno che lo sa, ma tu non potrai mai conoscere la verità”. Moore puntò la pistola verso Johnny, il quale incominciò a correre verso di lui. Moore esplose tre colpi di pistola, i primi due andarono a vuoto, il terzo colpì Johnny alla spalla. Moore indietreggiò, ed inciampò in un tavolinetto basso, andando a appendersi fuori dalla terrazza. La pistola cadde nell’oceano. Moore rimase appeso con una mano, Johnny gli afferrò l’altra, tentando di tirarlo su, ma era troppo debole a causa della ferita alla spalla. In quel momento vide i pensieri di Moore: era tutto vero. “Non mi lasciare” implorò Moore. Johnny non ce la fece. Moore cadde giù ed il suo urlò risuonò con tutta la sua disperazione.
Johnny si fermò un attimo. <
> pensò Johnny <<non meritava di morire così>>. Johnny si rimise sulla camionetta e andò via. Voleva trovare sua madre e per fare questo doveva stringere molte mani.
FINE