I GIOIELLI testi esoterici del Sufismo
collana diretta da Paolo Urizzi
2
Al-Qâshânî
La domanda essenziale
Dialogo sulla Verità suprema
(Ar-Risâla al-Kumayliyya)
a cura di Alberto Grigio
In copertina: Coppa in ceramica invetriata (Nishapur, X secolo)
ISBN: 978-88-96720-41-7 © Copyright 2001 Edizioni Il leone verde Via della Consolata 7, Torino Tel/fax 011 52.11.790 e-mail:
[email protected] http://www.leoneverde.it
Indice
Introduzione
Qâshânî e le sue opere
Una testimonianza delle origini
La trasmissione esoterica
La Domanda Essenziale
L’universo come Teofania
I Gradi dell’Esistenza
Il ritorno al Principio
La Stazione Suprema
La domanda essenziale
Glossario dei termini arabi
Indice dei personaggi e dei luoghi
Indice dei versetti coranici
Bibliografia essenziale
Alberto Grigio (Bergamo, 1962), arabista e Dottore di Ricerca in Storia dell’Africa, collabora a pubblicazioni accademiche e a varie riviste. È specializzato nello studio del Sufismo.
INTRODUZIONE
Qâshânî e le sue opere
‘Abd ar-Razzâq Kamâl ad-Dîn Ibn Abî al-Ghanâ’im al-Qâshânî¹, uno dei principali commentatori dell’opera di Ibn ‘Arabî nonché strenuo difensore della sua dottrina, visse a Kâshân, nella regione iraniana del Jibâl, all’epoca della dominazione degli Ilkhânidi; morì probabilmente intorno al 730 dell’Egira, corrispondente al 1329 d.C.², nel periodo del regno di Abû Sa‘îd (716-736 /1316-1335). I dati biografici che possediamo sono estremamente esigui e ci provengono quasi esclusivamente dal Nafahât al-uns, una raccolta di biografie concernenti personaggi del Sufismo ad opera di ‘Abd ar-Rahmân Jâmî (m. 898/1492)³, esponente della scuola di Ibn ‘Arabî (560-638/1165-1240) e noto poeta persiano; egli riporta per intero una lettera di Qâshânî ad un contemporaneo, ‘Alâ’ ad-Dawla as-Simnânî (m. 736/1336), appartenente all’ordine Kubrâwiyya. Il testo⁴, di grande valore storico e dottrinale, è una articolata difesa dell’ortodossia delle formulazioni dottrinali di Ibn ‘Arabî, che rappresentavano il fondamento del pensiero di Qâshânî e furono invece aspramente contestate da Simnânî, forse per una mala interpretazione della terminologia connessa all’esposizione stessa delle tesi di Ibn ‘Arabî.
Dalla fonte autobiografica del nostro autore apprendiamo che egli ebbe una formazione intellettuale classica basata sullo studio della teologia e delle scienze giuridiche, sebbene non si sappia a quale scuola appartenesse, al punto che si è sostenuto fosse sciita o perlomeno di forti tendenze alidi⁵, ma nessun dato può confermare con certezza tale ipotesi; studiò anche la filosofia, come emerge dal fatto che talvolta riferisce alcune opinioni ascrivendole ai filosofi ma, non pago delle scienze esteriori, si indirizzò a quella che chiamò la vera Scienza approdando infine al Sufismo. Ricevette la prima iniziazione da Nûr ad-Dîn ‘Abd as-Samad Natanzî al-Isfahânî (m. 691/1292), la cui filazione risaliva tramite il proprio maestro, Najîb ad-Dîn Shirâzî, al ben noto Shihâb ad-Dîn ‘Umar as-Suhrawardî (m. 632/1234), autore degli ‘Awârif al-ma‘ârif . Natanzî lo istruì sui fondamenti della dottrina di Ibn ‘Arabî, in particolare attraverso i Fusûs al-hikam quindi, affinché Qâshânî proseguisse il cammino iniziatico, lo mandò a Shirâz dove incontrò Shams ad-Dîn Muhammad Kîshî (m. 678/1279-90), col quale ebbe modo di approfondire ulteriormente la dottrina metafisica. Secondo
Natanzî, Kîshî fu uno dei più grandi gnostici dell’epoca e proprio grazie ai Fusûs al-hikam giunse a comprendere la profonda realtà contenuta nelle affermazioni di Ibn ‘Arabî sulla wahdat al-wujûd (Unità dell’Essere o Unità dell’Esistenza), come egli stesso afferma in un brano riportato da Qâshânî nella lettera a Simnânî. Qâshânî cita inoltre alcuni maestri che frequentò, come Nûr ad-Dîn Abarqûhî, Sadr ad-Dîn Ruzbihân Baqlî (m. 685/1286), nipote del più celebre omonimo⁷, Zâhir ad-Dîn Buzghush (m. 714/1314), Asî ad-Dîn, Nâsir ad-Dîn e Qutb ad-Dîn, figli di Diyâ’ ad-Dîn Abû al-Hasan (m. 655/1257-58), discepolo di Najm ad-Dîn Kubrâ, ed altri⁸.
Alla morte del suo primo maestro, Qâshânî attraversò un periodo di sconforto e decise di ritirarsi in isolamento e meditazione nel deserto per setti mesi, finché non trovò pace e si convinse della necessità di dedicarsi all’esposizione della dottrina di Ibn ‘Arabî. Successivamente si recò a Baghdad, dove fece visita al maestro di Simnânî, Nur ad-Dîn Isfaraynî (m. 717/1317), cogliendo l’occasione per esporgli le tesi implicite nella dottrina della wahdat al-wujûd. Costui lo accolse benevolmente ma, limitandosi a dichiarare di non possederne la scienza, non commentò la dottrina di Ibn ‘Arabî né, di fatto, la avversò. Tale episodio fu riportato nella lettera che Qâshânî inviò a Simnânî il quale, sentendosi chiamato in causa poiché era estremamente legato a Isfaraynî ed altrattanto contrario alla dottrina che Qâshânî andava esponendo, non poté fare a meno di rispondergli sul retro della stessa lettera ; lo scambio epistolare tra i due non costituisce quindi soltanto una delle poche fonti per un abbozzo della biografia di Qâshânî, ma anche la dimostrazione della vivacità dell’ambiente in cui egli visse, influenzato dalla presenza di grandi confraternite istituzionali, permeato da una spiritualità su cui l’elemento alide aveva un certo influsso ed infine bacino di diffusione e ricezione dell’opera di Ibn ‘Arabî, colui che per Qâshânî e molti altri fu il Sommo Maestro (ash-shaykh al-akbar).
La caratteristica delle opere di Qâshânî¹ è costituita da una spiccata preferenza per commentari a testi di largo respiro o di pregnante rilevanza dottrinale piuttosto che per le esposizioni indipendenti; difatti pare che in questa categoria rientrino solo alcuni trattati, dei quali il più celebre è quello nel quale il nostro autore affronta il tema del libero arbitrio e della predestinazione, la Risâla fî alqadâ’ wa al-qadar, la cui prima pubblicazione risale al 1879¹¹. Quanto alle altre
opere, le principali sono:
- un dizionario dei termini tecnici del Sufismo, Kitâb istilâhât as-sûfiyya, pubblicato parzialmente nel 1845 da A. Sprenger a Calcutta, quindi integralmente con traduzione a cura di N. Safwat¹²;
- un commentario esoterico del Corano, Ta’wilât al-Qur’ân, conosciuto sotto il titolo di Tafsîr Ibn ‘Arabî ed erroneamente attribuito a quest’ultimo, di cui esistono molteplici edizioni ed uno studio di P. Lory del 1980 che comprende la traduzione di alcuni estratti¹³;
- un commento ai Manâzil as-sâ’irîn di ‘Abdallâh Ansârî Harâwî (m. 481/1089) edito al Cairo nel 1903 e, successivamente, nel 1937;
- l’opera più celebre, il Sharh ‘alâ Fusûs al-hikam, un commento ai Fusûs alhikam di Ibn ‘Arabî, di cui vi sono più edizioni¹⁴.
Gli si attribuisce anche un commento alla Tâ’iyya al-kubrâ di Ibn al-Fârid (m. 632/1234-5), che però pare fosse stato scritto da un omonimo contemporaneo, ‘Izz ad-Dîn Mahmûd Qâshânî (m. 735/1334-5), anch’egli discepolo di Natanzî¹⁵.
Una testimonianza delle origini
Lo scritto di Qâshânî che andiamo a presentare rientra nella tipologia principale delle sue opere la quale, come abbiamo detto, comprende essenzialmente commentari a testi specifici; in questo caso egli commenta un celebre dialogo tra il Califfo ‘Alî (m. 40/661) e il suo discepolo Kumayl (m. 83/702) e quindi l’oggetto della nostra traduzione, pur nella sua sinteticità, è in realtà duplice: sebbene il trattato di Qâshânî occupi la maggior parte del testo, esso inizia con il vero e proprio Dialogo¹ che, pur essendo indipendente dal resto dell’opera, viene da questa inglobato come necessaria premessa ad ogni successiva considerazione interpretativa; il Dialogo tra ‘Alî e Kumayl nella versione accompagnata dal commento di Qâshânî, di cui presentiamo a nostra conoscenza la prima traduzione in una lingua occidentale, costituisce da molteplici punti di vista un documento eccezionale nel panorama della spiritualità islamica.
L’importanza del Dialogo deriva in primis dalla sua antichità, desumibile dal linguaggio impiegato e sicuramente risalente ad un’epoca in cui la dottrina del Sufismo era ancora in nuce e si esprimeva servendosi di concezioni ed espressioni allegoriche, vicine alla lingua del Corano e del Profeta; non si può manicheisticamente affermare che il dialogo tra ‘Alî e Kumayl sia in assoluto il testo sufi più antico perché, per propria natura, dovette essere di certo tramandato oralmente prima di subire una o più stesure definitive¹⁷, tuttavia esso rappresenta in ogni caso una delle testimonianze più antiche del rapporto tra maestro e discepolo nella mistica dell’Islam. Per le medesime ragioni è pressoché impossibile fissare una datazione alla sua prima redazione; possiamo unicamente limitarci a notare che la tradizione che ne è all’origine non può essere posteriore alla morte di ‘Alî ibn Abî Tâlib né, molto presumibilmente, anteriore alla sua nomina come Califfo (35/656)¹⁸.
In secondo luogo, e da questo punto di vista il Dialogo e il commento si rivelano parti complementari di un insieme inscindibile, quest’opera è fondamentale perché Qâshânî dimostra in maniera evidente che l’intera dottrina del Sufismo è
già presente sin dai primordi dell’Islam, espressa in maniera allegorica da ‘Alî al suo stretto discepolo; il Commentatore si limita a tradurre il linguaggio sintetico ed ellittico del Dialogo nelle formulazioni dottrinali più elevate della speculazione sufi, ma senza aggiungere alcun nuovo significato alla fecondità degli enunciati originali. Questi potrebbero risultare ostici anche ad un lettore avvezzo alle impervietà del linguaggio simbolico, ma soprattutto gli celerebbero ciò che del Dialogo Qâshânî coglie tra le righe: si tratta del motivo finale per cui il trattato ci appare fondamentale, dovuto al fatto che il Commentatore sembra sostenere che non si trattò di un semplice insegnamento orale, ma anche di una precisa direzione spirituale in fieri, tramite la quale Kumayl fu condotto operativamente a varcare la soglia del proprio ego ed a contemplare la Divinit๠.
Risulta difficile valutare esattamente la portata di questa interpretazione del Dialogo, che riteniamo comunque plausibile sia per l’autorità di Qâshânî sia per il fatto che ‘Alî, in un’altra occasione, fu il primo a parlare in modo esplicito delle tappe del percorso spirituale definendole Stazioni (maqâmât) e Stati (ahwâl)² , dottrina conseguentemente ripresa ed esplicitata dalle autorità del Sufismo. Potremmo riassumere quanto precede dicendo che l’importanza del testo risiede nel fatto che a tutt’oggi esso risulta essere una delle più antiche testimonianze, sia dal punto di vista metafisico che da quello iniziatico, della dottrina immutabile del Sufismo, la qual cosa ci autorizza a sottolinearne il valore.
I protagonisti del Dialogo, pur con l’inevitabile differenza di livello che separa il Maestro dal discepolo, sono due figure spirituali di prima grandezza nell’ambito del patrimonio sapienziale dell’Islam: ‘Alî, cugino e poi genero del Profeta, è venerato dai sufi come loro progenitore e idealizzato dalla pietas sciita sino all’iperdulia²¹; la sua caratteristica precipua è la gnosi, derivante dalla Scienza divina di cui è depositario, mentre Kumayl è il suo discepolo fidato, il ricettacolo della sua scienza ma anche l’uomo di fiducia al quale il Califfo affida l’adempimento di incarichi amministrativi²². La dimensione più evidente delle relazioni tra i due è contenuta in una serie di discorsi e sentenze registrati ancora una volta all’interno delle fonti sciite, che richiedono come è noto un certo genere di cautela interpretativa²³, senza per questo essere considerate totalmente apocrife; secondo uno di questi discorsi ‘Alî condusse il suo discepolo nei pressi
del cimitero e, prendendolo per mano, disse: “O Kumayl, questi cuori sono degli involucri; il migliore tra loro è quello che preserva il proprio contenuto, per cui preserva ciò che ti dico. Gli uomini sono di tre tipi: il primo è il Conoscitore che è giunto sino a Dio; poi v’è il cercatore di conoscenza che è sulla Via della liberazione; infine l’uomo comune, che segue il vento che tira. Questi non cerca la luce dell’effusione della Conoscenza [...]”²⁴.
Simili dichiarazioni non sono uniche ed affermazioni che concernono una conoscenza esoterica, la cui divulgazione sarebbe stata quantomeno problematica, vengono enunciate anche da altri Compagni del Profeta; tra queste spicca una celebre dichiarazione di Abû Hurayra, che disse: “Ho portato due sacchi da parte del Profeta, che Dio lo benedica e gli dia la pace; ne ho affidato uno a voi tutti ma, se fi lo stesso con l’altro, mi tagliereste la gola”²⁵, evidenziando l’inopportunità della comunicazione indiscriminata della verità esoterica. Ma per stabilire come si verificò la trasmissione di tale verità, e quale apporto derivò al Sufismo dalla corrente rappresentata da ‘Alî e dai suoi eredi spirituali, tra cui Kumayl, dobbiamo rivolgerci alle origini dell’Islam.
La trasmissione esoterica
Tra le varie etimologie proposte per spiegare il vocabolo “sufi”, da cui il termine Sufismo, ve n’è una che lo riconduce ad una veranda (suffa) presso la dimora del Profeta, punto di riferimento per alcuni Compagni che si dedicavano all’ascesi sotto la direzione dello stesso Muhammad, e che risulta quindi conforme alla realtà di una dimensione spirituale che rappresentava il cuore della vita tradizionale dell’epoca² . Sebbene il termine Sufismo non fosse ancora in uso in questa prima fase e ci si riferisse in genere a coloro che si dedicavano interiormente alla vita spirituale definendoli asceti²⁷, il aggio della conoscenza da maestro a discepolo costituiva una trasmissione operativa sin dai primordi della nuova Rivelazione, pur configurandosi come una realtà fluida e non ancora ammantata da alcuna istituzionalità.
Legami spirituali molto forti iniziarono a svilupparsi non soltanto, come è logico supporre, nei confronti del Profeta, ma anche, in modo particolare dopo la sua morte, nei confronti di coloro che ne erano stati gli intimi; la trasmissione esoterica ebbe come veicoli privilegiati i primi quattro Califfi, detti Califfi Ben Guidati, e a partire da questi si riversò nelle linee di trasmissione che confluirono successivamente nelle differenti confraternite. A questo proposito sono peculiari il ruolo di Abû Bakr (m. 13/634), il primo successore di Muhammad alla guida della comunità, e dello stesso ‘Alî, ai quali si ispirano la maggior parte dei lignaggi iniziatici che si sono conservati nel Sufismo al giorno d’oggi²⁸. Oltre a questo ruolo di primo piano nell’ambito del Sufismo, ‘Alî ha inoltre la caratteristica di situarsi all’origine di un’altra tipologia della spiritualità islamica: la Shî‘a. Prescindendo dagli aspetti politici che oggi comporta la contrapposizione tra Sunna e Shî‘a, possiamo affermare che quest’ultima, nella sua cristallizzazione come dimensione religiosa autonoma rispetto all’Islam maggioritario, deriva da due correnti che apparvero già durante la vita di ‘Alî giacché, così come il Sufismo non era ancora tale alle origini, anche la Shî‘a diventerà il fenomeno noto oggigiorno attraverso un’evoluzione spirituale e storica. La prima di queste due correnti, alla quale la Shî‘a moderna è grandemente tributaria, sostenne il primato secolare di ‘Alî fomentando numerose ribellioni, condannate dallo stesso ‘Alî che rimase al contrario sempre
legittimista nei confronti dei Califfi che lo precedettero² ; la seconda fu invece una corrente essenzialmente esoterica, rappresentata dai discepoli di ‘Alî dei quali Kumayl, insieme a Salmân al-Fârisî (m. 656 h.) ed altri, fu uno dei più eminenti³ . Quest’ultima corrente fu fautrice di una supremazia di ‘Alî soprattutto dal punto di vista spirituale, visto che egli era noto per la propria scienza al punto da divenire per molti il supremo riferimento dottrinale: “[...] la sua peculiarità tra i Compagni era di fornire delle spiegazioni sull’Unicità divina e sulla conoscenza, illustrandone i significati più elevati [...]; è noto che i Compagni del Profeta, quando incontravano un problema inerente alla sfera religiosa, si rivolgevano ad ‘Alî che spiegava loro come risolverlo”³¹.
Ci preme distinguere questa corrente dalle sue successive stratificazioni che, con la propria enfatizzazione del ruolo di ‘Alî e dei suoi discendenti, causarono la frattura tra mondo sunnita e mondo sciita; al contrario, nel periodo iniziale del Sufismo gli insegnamenti alidi ne costituivano una delle modalità più rappresentative, anche se non esclusiva di altre tipologie di trasmissione esoterica: il caso di Salmân è esemplare a questo riguardo perché, sebbene gli sciiti lo considerino uno dei loro rappresentanti più carismatici, è annoverato come discepolo di Abû Bakr nel lignaggio della confraternita (tarîqa) Naqshbandiyya³², la qual cosa non avrebbe certo potuto essere se ‘Alî ed Abû Bakr fossero stati irriducibili avversari, come pretende una certa vulgata.
Un Sufismo necessariamente alide, ma non per questo sciita, pervase successivamente la discendenza di ‘Alî, ando di padre in figlio tramite una successione carnale e spirituale; i vari rappresentanti delle Genti della Casa (ahl al-bayt), cioè i discendenti di ‘Alî, trasmisero a loro volta la scienza esoterica anche al di fuori di tale genealogia, permettendo un certo allargamento della propria influenza; ma la modalità di trasmissione precipua delle Genti della Casa consistette comunque “nell’insegnamento che ogni imâm riceve dal suo predecessore; tale insegnamento risale ad ‘Alî, iniziato dallo stesso Profeta”³³. Nessuna guida (imâm), tra di loro, muore senza prima avere iniziato alla Scienza il proprio successore³⁴, ma non per questo gli ahl al-bayt detengono in toto l’esclusività del potere iniziatico; sussistono difatti differenti lignaggi, ciascuno dei quali ha un particolar modo di incorporare l’elemento alide. Significativa al riguardo, per giungere all’epoca del Commentatore del Dialogo, risulta la
posizione di Simnânî, il grande contemporaneo di Qâshânî, che sostiene: “Continuo a provar stupore per due gruppi di persone: coloro che dopo il Profeta pensano che possa esserci, in assoluto, qualcuno più nobile di ‘Alî, e coloro che pretendono di essere i suoi seguaci [gli Sciiti]”³⁵; deprecando in un brano successivo gli eccessi degli Sciiti, nondimeno Simnânî si inserisce pienamente nella corrente alide e rimane, pur con un approccio particolare, nel novero delle Genti della Sunna (ahl as-sunna). Un altro celebre commentatore del Dialogo, H. Âmolî (n. 720/1320), sostiene al contrario che la scuola degli imâm è diversa dal Sufismo; egli avrebbe realizzato interiormente gli insegnamenti di entrambe le Vie, ma nella propria esposizione tende a considerarle come due correnti distinte optando personalmente per la prospettiva sciita³ .
Si potrebbe affermare, in un tentativo di armonizzare e contestualizzare i dati precedenti, che all’interno del Sufismo la dinastia delle Genti della Casa giocò un ruolo di rilievo nella trasmissione degli insegnamenti esoterici, costituendo un canale privilegiato per la comunicazione dell’influenza spirituale; la presenza di altre catene di trasmissione che prescindono completamente dalla figura di ‘Alî oppure che, da un certo momento in poi, si discostano dalla successione genealogica dei suoi discendenti, ci impedisce di vedere nel Sufismo una sorta di Sciismo decontestualizzato³⁷; al contrario riteniamo che la successione spirituale e genealogica degli imâm sia assimilabile alla catena di trasmissione iniziatica (silsila) di una tarîqa ante-litteram, e che quindi la corrente alide fe pienamente parte del Sufismo, di cui rappresentava una particolare coloritura. Fu nell’ambito di questa corrente che Kumayl ricevette l’insegnamento di ‘Alî e lo trasmise attraverso la silsila Kumayliyya e ci permettiamo di supporre, in mancanza di indizi conclusivi, che anche il nostro Dialogo giunse ai posteri in questo modo.
La Domanda Essenziale
Il dialogo tra ‘Alî e Kumayl nasce da ciò che abbiamo chiamato La domanda essenziale, interrogazione che rappresenta l’origine ultima di ogni altra domanda ed alla quale sono fatalmente ricondotti tutti i quesiti che da sempre si pongono gli esseri umani; Kumayl chiede al suo maestro: “Cos’è la Verità (haqîqa)?” e ‘Alî gli risponde suscitando ulteriori domande, le quali esigono altrettante risposte e permettono alla dialettica maestro-discepolo di articolarsi in uno sforzo maieutico, che conduce infine Kumayl all’agognata Verità. Una parziale versione di H. Corbin, il quale traduce solo parte del Dialogo e trascura invece il commento di Qâshânî, offre comunque un’anteprima del gusto spirituale (dhawq) del nostro testo, anche se definire la Verità come “gnosi” ne evidenzia la realizzazione metafisica piuttosto che la natura essenziale:
“Kumayl: “Cos’è la gnosi?”
‘Alî: “Cos’hai a che fare tu con la gnosi?”; egli sembra all’inizio restio a comunicare la propria scienza a Kumayl, il quale risponde:
“Qualcuno come te può deludere l’attesa di colui che l’interroga?”
E ‘Alî: “La gnosi è lo svelamento degli oratòri della Maestà divina senza che si possa mostrarne alcunché.”
Kumayl: “Spiegami ancora.”
‘Alî: “È la cancellazione di ogni congettura, la serenità del conosciuto con tutta la certezza”
Kumayl: “Spiegami ancora.”
‘Alî: “Il velo è lacerato, il segreto ha trionfato.”
Kumayl: “Spiegami ancora.”
‘Alî: “Una luce si leva dall’alba della pre-eternità, essa brilla nei templi del tawhîd.”
Kumayl: “Spiegami ancora.”
‘Alî: “Spegni la lampada, il mattino è sorto”. Dopo di ciò l’imâm rimase in silenzio”³⁸.
Il silenzio finale di ‘Alî è il più degno commento al dialogo che precede e la sinteticità delle affermazioni che costituiscono la sua risposta a Kumayl rende questo dialogo simile ad un koan buddista; meno paradossali ed in un certo senso più graduali di un koan, nondimeno le affermazioni di ‘Alî hanno il medesimo scopo di questo: condurre il discepolo alla Verità. La Verità, inizio e meta finale del dialogo, è anche l’argomento che costituisce la maggior preoccupazione del Commentatore; Qâshânî non solo padroneggia il linguaggio metafisico del Sufismo in modo tale da fornire un’adeguata perifrasi dottrinale del discorso di ‘Alî ma, quasi parola per parola, intuisce l’esperienza spirituale di
Kumayl nell’udire l’insegnamento del proprio maestro. Ciò non potrebbe essere se lo stesso Commentatore non avesse avuto, in qualche modo, un’esperienza intuitiva della Verità, come sembra egli stesso affermare riferendosi in questo caso alla propria comprensione della Verità intima del Corano: “Non pretendo di aver raggiunto il limite massimo della conoscenza esoterica in quello che espongo, anzi ne sono lontano! Gli aspetti possibili della comprensione non si riducono a ciò che io ho compreso e la Scienza di Dio non si limita a ciò che di essa mi è noto. Tuttavia la mia personale comprensione non si limita a ciò che menziono in questo libro; mi si sono manifestati, nelle cose che ho trattato, dei sensi interiori nelle profondità dei quali mi perdevo”³ .
La modestia di Qâshânî nel valutare il proprio caso spirituale è altrettanto significativa. Così come nel caso della comprensione dottrinale, egli afferma di aver raggiunto solo un certo grado nel proprio percorso spirituale, perlomeno al momento in cui parla, senza che ci si possa esprimere sui suoi successivi svelamenti; grado che, per esplicita ammissione dell’Autore, non si identifica col grado supremo, dato che egli afferma: “Gli esseri umani appartengono ad uno di questi tre gradi: 1. Lo stadio dell’istinto (Nafs). Questo è il gruppo degli uomini del mondo, asserviti ai sensi [...]. 2. Lo stadio del cuore (Qalb). Le persone che si trovano in questo luogo vi sono pervenute superando l’altro stadio [...]; se dunque la loro ragione viene illuminata dalla luce santa e dall’approdare alla sacra presenza dell’Unità [...], allora essi si trovano nella condizione di vedere ciò che “la gente della ragione” si limita a sapere [...]; nutriamo la speranza di annoverarci tra loro [...]. 3. Lo stadio dello spirito (Rûh). La gente di questo luogo è pervenuta alla sede della contemplazione diretta, oltreando lo stadio della teofania delle qualità [...]”⁴ .
Queste citazioni, veri e propri brani di un’autobiografia spirituale del Commentatore, non sono però frequentemente reperibili nelle sua opera; la funzione di Qâshânî fu senza dubbio quella di esporre una particolare prospettiva dottrinale, inscindibile però dalla realizzazione delle verità da essa contemplate; nonostante Qâshânî fosse più che reticente nel mettere in mostra la propria realizzazione spirituale, è molto facile ritenere che parlasse per esperienza diretta quando affermava: “Quando tramite la guida divina l’intelletto è condotto alla conclusione dell’Esistenza di un Essere necessario, autosussistente ed
indipendente dal resto, esso può intuire che non vi è altro che questo Essere necessario, il quale si manifesta sotto forma di Essenza dello stesso mondo manifestato”⁴¹.
Il nostro Commentatore, come Kumayl, fu quindi un cercatore della Verità; ma se ‘Alî nell’alludere alla Verità Suprema resta infine in silenzio, Qâshânî si incarica invece non di parlare, perché è impossibile, ma di mostrare il perché del silenzio: “La Verità Principiale chiamata Essenza Assoluta non è altro che l’Essere puro e semplice in quanto tale, che non è né determinato né indeterminato e per propria natura trascende ogni qualità e nome: non è qualificabile da nessuna qualità, proprietà e nome e non ha in alcun modo una qualsivoglia relazione con la molteplicità”⁴².
L’universo come Teofania
La concezione portante dell’opera di Qâshânî è senz’altro rintracciabile nella sua stretta aderenza alla formulazione della wahdat al-wujûd (Unità dell’Essere o dell’Esistenza), così come tale dottrina fu intesa da Ibn ‘Arabî e dai suoi immediati discepoli e commentatori; l’Autore stesso afferma: “[...] se non avessi fatto esperienza con i miei stessi occhi e non avessi scoperto che le affermazioni di così numerosi grandi maestri concordano su questa concezione fondamentale, non avrei potuto spiegarla nuovamente e darne prove così numerose”⁴³.
Prima di esporre le tesi di fondo di tale dottrina, sovente attribuita ad Ibn ‘Arabî, è bene puntualizzare che, benché egli sia stato il primo ad esprimerla con organicità e chiarezza, essa era in realtà già presente in maniera implicita all’interno della speculazione metafisica del Sufismo dell’epoca precedente⁴⁴; inoltre la definizione stessa di wahdat al-wujûd non è direttamente utilizzata da Ibn ‘Arabî, ma sembra sia stata coniata per la prima volta dal suo diretto discepolo Sadr ad-Dîn Qûnawî (m. 673/1274), che fu il primo ad esporre il pensiero del propio Maestro⁴⁵ fornendo l’impulso iniziale ad una vera e propria scuola dottrinale cui attinse anche Qâshânî; l’irradiazione dell’influenza di Ibn ‘Arabî fu infatti particolarmente pervadente all’interno dell’area turco-persiana sino al XVI sec., ed è qui che troviamo i primi commentatori dell’opera del Maestro, tra cui Qâshânî, allievo di Mu‘ayyid ad-Dîn Jandî (m. 690/1291) che lo fu a sua volta di Qûnawî, discepolo diretto di Ibn ‘Arabî⁴ .
La non sistematicità di quest’ultimo nella propria esposizione, non-sistematicità indubbiamente connessa all’ispirazione tramite la quale scriveva⁴⁷, fece sì che solo con i suoi successori l’enunciato di fondo della propria opera giungesse ad essere definito in maniera stabile come wahdat al-wujûd (Unità dell’Essere o dell’Esistenza); Ibn ‘Arabî usa però un’espressione molto simile, “wâhida fî alwujûd” (Una nell’Esistenza), la quale non implica in ogni caso alcuna differenza concettuale con la formulazione che, da Qûnawî in poi, definirà la dottrina della sua scuola. Quanto precede non denota soltanto il rapido sviluppo di una
terminologia sempre più appropriata alla scienza del Sommo Maestro, ma anche la relativa sistematizzazione che la corrente spirituale che a lui faceva riferimento iniziò ad operare nei confronti della dottrina del fondatore; tale sistematizzazione non significava assolutamente riduttività, tutt’altro, perché mirava a costituire una cornice in cui contestualizzare le molteplici prospettive dell’opera del Maestro, eventualmente esplicitate in conformità al gusto spirituale dei commentatori, tra i quali annoveriamo appunto Qâshânî.
Che cosa intendeva Ibn ‘Arabî con l’espressione che abbiamo citato? Egli la riferiva all’Essenza Assoluta, Principio di tutta la manifestazione, affermando: “L’Entità è una nel wujûd (wâhida fî al-wujûd) [ovvero: l’Essenza è una nell’esistenza]”⁴⁸ e sostenendo quindi la concezione di un’unità, o unicità di fondo, che pervade l’intera molteplicità. L’espressione wahdat al-wujûd è la formulazione sintetica di questo concetto ed è stata tradotta in vari modi data la natura polisemica dei termini che la compongono; essa significa, letteralmente, l’unità di “ciò che esiste” (wujûd). “Ciò che esiste” designa l’Essere, in quanto realtà principiale riferita all’Essenza, oppure l’Esistenza, cioè la presenza di alcuni ordini di realtà nel cosmo⁴ . In realtà i due termini sono strettamente contigui e il significato dell’uno sfocia a volte nel significato dell’altro: l’Esistenza universale è un unicum perché riflette l’Unità Assoluta e incondizionata dell’Essenza, la quale ne è l’origine e il punto di ritorno. Il quesito implicito nell’affermazione della wahdat al-wujûd è: che cosa esiste? O meglio: che cosa è l’Esistente e come presta l’esistenza, che Gli appartiene in proprio, a ciò che non esiste, in modo che divenga Esistenza?
La questione tocca in verità molti punti importanti: il più evidente per chi osserva le cose a partire da esse stesse, cioè colui che è circondato dal creato e ne è a sua volta parte integrante, è il mistero costituito dal aggio dall’Unità alla molteplicità; il cuore di questo mistero è un segreto nascosto, il quale è la fonte stessa della relazione tra l’Unità e la Molteplicità: si tratta della trasformazione del Nulla in Unità, vale a dire del aggio dall’assoluta indifferenziazione o ineffabilità dell’Essenza alla sua automanifestazione come origine della pluralità dei gradi dell’esistenza. Premettendo che, va da sé in una religione radicalmente monoteista come l’Islam, non si tratta affatto di una concezione panteista che sottintenda in qualche modo l’identità o la
compenetrazione tra Dio e l’universo⁵ , vedremo ora maggiormente in dettaglio gli aspetti più propriamente dottrinali della questione.
I Gradi dell’Esistenza
Il aggio dall’Unità Assoluta dell’Essenza alla molteplicità non implica alcuna fusione tra l’assoluto ed il contingente: è il Principio stesso che si determina con delle auto-manifestazioni, (ta‘ayyunât) le quali conducono dall’Essenza ineffabile alla molteplicità del mondo manifestato. Il grado principiale dell’Essenza (dhât) è l’Unità Assoluta (ahadiyya), in cui l’Essenza è completamente trascendente ed al di là di ogni dualità; essa si determina come Unicità (wâhidiyya) quando invece è considerata come il Principio della manifestazione, tramite l’azione dei Nomi divini; questo è anche il grado della Divinità (ulûhiyya) e quì l’Essenza si manifesta in quanto Dio personale che può essere adorato e conosciuto⁵¹.
L’autoconoscenza dell’Essenza tramite se stessa è il fattore che le permette di are dallo stato di assoluta indifferenziazione della ahadiyya allo stato di Unicità in relazione col molteplice rappresentato dalla wâhidiyya; questo è il grado dell’Unità (wahda), intermedio tra i due precedenti, ma senza il quale l’Essenza non si determinerebbe come preposta alla molteplicità⁵². Nel momento in cui l’Essenza si determina come Unicità, allora compaiono le operazioni divine che presiedono alla manifestazione della molteplicità, e Qâshânî afferma: “Sappi che l’Opera (ash-shâ’n) Divina e l’Ordinamento cosmico (al-amr attadbîrî) procedono per gradi (dawrî): la Presenza dell’Unità Assoluta (al-hadrat al-ahadiyya) si determina con una prima automanifestazione come l’Essenza Unica che le Genti del gusto spirituale chiamano la Realtà intermedia tra il Necessario ed il Contingente, la quale comprende entrambi gli aspetti; quindi l’Essenza Assoluta (adh-dhât al-ahadiyya) si manifesta, in relazione alle operazioni dei Nomi Divini (ash-shu’ûn al-asmâ’iyya), come Presenza della Divinità e dell’Unicità (al-hadrat al-ilâhiyya wa al-wâhidiyya)”⁵³. Ritenendo sufficientemente sottolineata la trascendenza e la non-dualità dell’Essenza, conoscibile solamente da se stessa, ci soffermiamo sulle operazioni essenziali che preludono al processo cosmogonico, e che avvengono quando l’Essenza si determina come Presenza degli Attributi e dei Nomi e come Presenza degli Atti: nella prima l’Essenza manifesta a se stessa le possibilità indefinite come
Archetipi Immutabili, i quali rappresentano i prototipi celesti della manifestazione; nella seconda Presenza l’Essenza proietta nel mondo formale le possibilità principiali contenute negli archetipi.
La terminologia che precede fa parte del ricco vocabolario tecnico del nostro Commentatore e comparirà con una certa frequenza nella sua interpretazione del Dialogo; importanti nel nostro contesto soprattutto perché presenti nel commento di Qâshânî, tali definizioni costituiscono in un certo senso il framework entro il quale contestualizzare la sua visione metafisica ed ontologica, la quale non contempla solo i gradi supremi dell’Essenza ma tutta la sua discesa verso la manifestazione. Infatti l’insegnamento più famoso della scuola di Ibn ‘Arabî, dopo l’Unità dell’Essere, è quello delle Presenze Divine, che possiamo definire sia “mondi” che livelli ontologici⁵⁴, i quali sono al contempo totalizzati e trascesi dall’Essenza, loro ultima origine: “In altri termini la presenza inglobante dell’Essenza divina è la realtà primordiale dell’intera esistenza; tutto ciò che esiste è in essa e lei stessa si trova, tramite la propria effusione, nell’intimo di ogni essere.”⁵⁵.
Qual è la dottrina particolare di Qâshânî a questo proposito? Così come la riassume, attribuendola generalmente ai sufi, egli sostiene l’esistenza di cinque Presenze: “I Mondi, secondo le Genti della Realizzazione (tahqîq) sono cinque, ciascuno dei quali rappresenta una Presenza del Principio (kullu-hâ hadarât li-lHaqq) nella propria auto-determinazione: la Presenza dell’Essenza (hadrat adhdhât); la Presenza degli Attributi e dei Nomi Divini (as-sifât wa al-asmâ’) cioè la Presenza della Divinità (ulûhiyya); la Presenza degli Atti (af‘âl), cioè la Presenza della Signoria (rubûbiyya); quindi la Presenza [del Mondo] della Similitudine e dell’Immaginazione (al-mithâl wa al-khayâl), ed infine la Presenza [del Mondo] Sensoriale e della Manifestazione (al-hiss wa ashshahâda)”⁵ . Le tappe della discesa dell’Essenza possono quindi riferirsi sia alla sue auto-determinazioni in quanto tali che ai vari mondi o livelli dell’Essere, che per Qâshânî sono: il Mondo della Potenza (jabarût), cioè il mondo delle Idee Universali; il Mondo della Regalità (malakût), cioè il mondo dell’Anima Universale; il Mondo Immaginale (khayâl); il Mondo del Regno (mulk), cioè il Mondo sensibile⁵⁷. In questo caso, pur con delle differenze nell’ordinamento gerarchico e nella terminologia utilizzata, la dottrina del nostro Commentatore si riferisce ai vari
Mondi che troviamo anche nel patrimonio del sufismo classico⁵⁸; Qâshânî riesce inoltre ad armonizzare in un’unica visione d’insieme la definizione dei Mondi e il processo di auto-manifestazione dell’Essenza, salvaguardando la trascendenza di quest’ultima in quanto fonte dei Gradi dell’Esistenza Universale: “I Gradi (marâtib) sono sei: il Grado dell’Essenza Assoluta (martaba adh-dhât alahadiyya); il Grado della Presenza della Divinità (hadrat al-ulûhiyya), che è la Presenza dell’Unicità (hadrat al-wâhidiyya); il Grado degli Spiriti Informali (alarwâh al-mujarrada) […], che è il Mondo della Similitudine e il Mondo della Regalità (‘alam al-mithâl wa ‘alam al-malakût); il Grado del Mondo del Regno (‘alam al-mulk), che è il Mondo della Manifestazione; il grado dell’Essere Totalizzante (al-kawn al-jâmi‘), che è l’Uomo Universale (al-insân al-kâmil) [...]. Se affermiamo che le Determinazioni Universali (majâlî) sono cinque ed i Gradi sono sei, ciò dipende dal fatto che le Determinazioni sono i luoghi epifanici dei Gradi, ma l’Essenza Assoluta [che in sé è il primo Grado] non è la manifestazione di alcunché, dato che non implica assolutamente alcuna idea di molteplicità”⁵ .
Sebbene Qâshânî operi costantemente una certa sistematizzazione dottrinale del patrimonio che gli proviene dalla scuola di Ibn ‘Arabî, come abbiamo precedentemente affermato, anch’egli espone la metafisica secondo prospettive che, pur con un’estrema coerenza interna, possono risultare reciprocamente differenti, benché complementari ; la migliore dimostrazione di questa varietà di punti di vista l’abbiamo nella precedente affermazione del Commentatore, secondo la quale l’inclusione o meno dell’Essenza all’interno della successione dei vari Mondi o Gradi determina un computo differente a seconda della prospettiva adottata. Ciò è determinato, una volta ancora, dal mistero del aggio dall’Unità alla molteplicità a cui abbiamo già fatto cenno, dato che: “la Prima Presenza può essere considerata come costituita in realtà da due Presenze: l’Unità [dell’Essenza], un’Unità che esclude tutti gli altri attributi e nomi, e la Conoscenza [da parte del Principio] che ha come oggetto le infinite entità e cose. Questi due livelli sono noti a chi ha familiarità con gli insegnamenti della scuola di Ibn ‘Arabî come Unità Esclusiva [Unità Assoluta (ahadiyya)] e Unità Inclusiva [Unicità (wâhidiyya)]” ¹.
Quanto precede non vuole, né quindi potrebbe, essere l’ultima parola sulla
dottrina di Qâshânî, oppure sullo stesso ordinamento del cosmo, dato che è impossibile sistematizzare ciò che è indefinito; la migliore interpretazione di tale conclusione è rappresentata dalle seguenti parole di ‘Abd al-Karîm al-Jilî (m. 832/1428), esponente tardivo della stessa scuola cui appartenne il nostro Commentatore: “Questo Essere comprende realtà principiali e creaturali (umûr haqqiyya wa umûr khalqiyya) tra le quali menzioneremo alcune realtà totalizzanti ed altre realtà parziali, alcune formali ed altre intellegibili. Queste tipologie si ripartiscono ulteriormente in differenti suddivisioni al punto tale da risultare impossibili da comprendere ed enumerare, ma sono tutte comprese in quaranta gradi dell’esistenza (marâtib al-wujûd), che rappresentano le matrici di ogni ulteriore suddivisione. I gradi dell’esistenza sono molteplici ed innumerevoli, ma questi quaranta che menzioneremo li comprendono e inglobano tutti. Tra ciascuno dei gradi che menzioneremo e il successivo ve ne sono infatti molti altri che però rientrano sotto la loro giurisdizione e per questo motivo ci siamo limitati a menzionarne i quaranta fondamentali” ².
Il ritorno al Principio
La dottrina esposta da Qâshânî non si occupa soltanto di definire la natura dell’Essenza Assoluta la quale, tramite le proprie auto-manifestazioni, determina la molteplicità dei Gradi dell’Esistenza; non potrebbe trattarsi di una dottrina completa se non comprendesse parimenti l’aspetto speculare di questa prospettiva, vale a dire un’analisi delle tappe del ritorno al Principio. Le autodeterminazioni del Principio hanno infatti un loro riflesso microcosmico nelle varie fasi dell’ascesa dell’essere verso l’Assoluto, che sono considerate come altrettanti gradi di svelamento dell’Essenza nel suo foro interiore ³. Il percorso spirituale è inteso come il aggio da una Stazione ad un’altra, in una progressione che conduce alla presenza della stessa Divinità: nel Sufismo classico le Stazioni sono definite come acquisizioni permanenti ottenute tramite lo sforzo di chi si dedica a conseguirle ⁴, e soltanto dopo aver ottenuto la pienezza in una certa Stazione il Viaggiatore può are alla successiva.
Sebbene molti maestri del ato abbiano fornito delle definizioni piuttosto dettagliate delle varie Stazioni dell’iter spirituale ⁵, la ricchezza dottrinale di Qâshânî, unita alla molteplice prospettiva del suo patrimonio lessicale, rende difficile riassumere la tipologia del Viaggio così come egli lo descrive : il Commentatore del Dialogo tende infatti a definire le Stazioni a seconda della predominanza di una certa tendenza del composto individuale; parla quindi di Stazione dell’Anima, del Cuore, dello Spirito, ma non usa il termine Stazione come sinonimo di livello spirituale acquisito e permanente, contrapposto ad uno stato transitorio, semmai piuttosto come definizione di un determinato grado di coscienza che l’essere acquisisce nelle varie fasi del proprio percorso ⁷. La base di partenza dell’itinerario verso il Principio è l’Anima (nafs), che rappresenta il grado di coscienza della gente comune, ed “è chiamata in cinque modi diversi nel linguaggio spirituale [...]; tutte queste sono in realtà definizioni dello Spirito (rûh), perché la Verità Essenziale che risiede nell’Anima è lo Spirito, la cui Realtà Ultima è lo stesso Principio” ⁸. La stazione intermedia tra l’Anima e lo Spirito è quella del Cuore (qalb), che per Qâshânî “risulta dalla mescolanza della luce dello Spirito e dell’oscurità dell’Anima, come se fosse composta dai due e fosse la risultante della loro unione” . Se la realtà intima dell’Anima deriva
dallo Spirito, e se il Cuore è il risultato del loro incontro, sorge spontanea questa domanda: si tratta di facoltà distinte, oppure di un’unica Realtà che, a seconda del proprio grado di manifestazione, assume varie denominazioni? La risposta è duplice: dal punto di vista microcosmico si tratta di realtà specifiche che, in quanto centri sottili dell’essere, hanno una loro precisa economia nel cammino iniziatico, e non è escluso che Qâshânî, confermando la valenza operativa che le suddette realtà rivestivano nella disciplina iniziatica propugnata dai suoi contemporanei Isfaraynî e Simnânî, impieghi tali termini anche in questa accezione⁷ ; da un punto di vista principiale, invece, “queste molteplici definizioni si riferiscono ad un’unica Realtà, vale a dire lo Spirito, che in quanto tale rappresenta una Realtà immutabile; le diverse definizioni di tale Realtà sono relative ai differenti gradi [in cui Essa si manifesta]”⁷¹.
La ripartizione delle facoltà a cui abbiamo ora fatto cenno rientra pienamente nella prospettiva di Qâshânî, non solo perché la troviamo ripetutamente affermata all’interno delle sue opere, ma anche perché egli stesso aveva parlato del proprio caso spirituale riferendosi alla Stazione del Cuore; ci rimane ora da vedere come il nostro Autore esponga il aggio dall’una all’altra di queste Stazioni. Lasciando per il momento impregiudicata l’effettiva operatività dell’impegno spirituale volto al conseguimento delle varie Stazioni, possiamo sinora intendere che il ritorno al Principio si effettua secondo un percorso progressivo che segue l’ordinamento gerarchico delle facoltà, o centri, dell’essere. Qâshânî introduce però un elemento di discontinuità quando afferma che il aggio di grado avviene essenzialmente tramite un’Apertura (fath) o, ancorché non si tratti di un grado propriamente spirituale, di una Illuminazione che dia accesso al grado successivo⁷².
La prima Illuminazione consiste nell’Apertura Immediata (alfath al-qarîb), che rappresenta il aggio dalla Stazione dell’Anima alla Stazione del Cuore, cioè l’elevazione al di là della coscienza psicologica tramite lo svelamento delle realtà nascoste. Qâshânî dice: “L’Apertura Immediata è quella che il credente ottiene nella Stazione del Cuore (maqâm al-qalb), del quale gli si manifestano le qualità e le perfezioni una volta che egli ha abbandonato la dimora dell’Anima”⁷³. La seconda Illuminazione è l’Apertura Evidente (al-fath almubîn), che comporta l’apparizione delle luci dello Spirito e l’elevazione del
Cuore al livello di questo⁷⁴, come afferma il Commentatore: “L’Apertura Evidente è quella che il credente ottiene nella Stazione della Santità (maqâm alwilâya), che consiste nelle Teofanie delle luci dei Nomi Divini, le quali subentrano alle qualità e alle perfezioni del Cuore”⁷⁵. L’Illuminazione finale, e a questo proposito il termine è decisamente appropriato, è l’Apertura Assoluta (alfath al-mutlaq), che è rappresentata dall’apertura della porta dell’Unità (wahda) tramite l’Estinzione Assoluta nelle visione essenziale, ovvero “la Teofania dell’Essenza Assoluta e l’immersione nella Visione Unitiva, tramite l’estinzione di ogni caratteristica creaturale”⁷ .
Il linguaggio impiegato da Qâshânî lascia aperto un interrogativo che non è soltanto linguistico: l’esperienza a cui egli allude, culminante nell’estinzione dell’ego, viene ottenuta tramite il cammino attraverso le Stazioni o in altro modo? Nel Sufismo si afferma infatti che è possibile avanzare di Stazione in Stazione, non unicamente grazie allo sforzo e alla dedizione spirituale, ma per pura grazia e dono divini⁷⁷; in che modo quindi, conformemente a questa prospettiva, si potrebbe compiere il cammino senza percorrerne le tappe, il che potrebbe sembrare apparentemente un paradosso? La risposta è che ciò può avvenire tramite una “vocazione” dell’essere, il quale viene attirato alla Presenza del Principio senza preavviso e senza preventivamente avere oltreato determinate Stazioni, come accadde a Qûnawî che racconta in modo sconcertante come gli si manifestò il potere d’attrazione dell’Essenza: “La notte prima di Martedì 17 Shawwâl 665/19 luglio 1267 [...] sono stato attratto al mio Signore. Tramite tale attrazione Dio mi ha posto dinanzi a Sé e tutt’a un tratto, senza un graduale cambiamento, mi ha reso possibile di volgermi a Lui con il mio volto interiore. Mi ha mostrato la Presenza della Conoscenza Universale della Sua Essenza, da cui dipende ogni altra conoscenza e secondo la quale ogni caratteristica, proprietà e stato divengono manifesti nei vari Gradi dell’Esistenza”⁷⁸.
Riteniamo che tale modalità, sebbene egli non la enfatizzi in maniera esplicita, possa essere molto pertinente alla prospettiva di Qâshânî, per il quale la sovranità assoluta dell’Essenza è una costante non solo dal punto di vista metafisico, ma anche dal punto di vista “della presenza del Creatore nei confronti delle creature, vale a dire dell’effusione dell’Uno nelle altre”⁷ ; inoltre
la realtà dell’Attrazione Divina (jadhba) ci sembra essere compatibile con il punto di vista del Commentatore soprattutto poiché egli stesso ne parla⁸ pur se, a motivo di quanto abbiamo precedentemente affermato riguardo ad una sua ipotetica concezione delle realtà sottili dell’essere, non riteniamo che la sostituisca completamente alla prospettiva del Viaggio iniziatico (sulûk)⁸¹.
In una visuale metafisica come quella di Qâshânî abbiamo infatti ragione di credere che le due modalità del percorso siano considerate come le due facce di un’unica medaglia; se nella prima prospettiva l’unico Agente è il Principio stesso, nella seconda si pone solitamente l’accento sulla perseveranza nell’acquisizione spirituale da parte dell’essere; ma questi, in ultima analisi, diviene secondo entrambe le prospettive un esclusivo ricettacolo della sollecitudine del Principio, nel primo caso con la manifestazione di doni graduali sotto forma di Stazioni progressive, nel secondo col conseguimento di un’estasi sovrastante che gli deriva dall’Attrazione Divina.
La Stazione Suprema
Il carattere distintivo dell’Estinzione (fanâ’), a cui il Viaggiatore giunge dopo Aperture e Illuminazioni, è che l’Essere Divino da quel momento in poi assume la direzione degli atti di chi è pervenuto ad essa; colui che è ritornato al Principio si identifica con la propria essenza, così come questa era implicitamente compresa nella Scienza divina prima che lui stesso fosse creato. Inoltre, nonostante si tratti effettivamente di una Stazione della Via, l’Estinzione non può essere ottenuta tramite alcun tipo di sforzo, ma è una grazia ed un privilegio esclusivo da parte di Dio⁸², fattore adeguatamente evidenziato da Qâshânî secondo la prospettiva di un’apertura finale implicante una discontinuità con quanto precede. Egli aggiunge che chi ha ottenuto questa Stazione, essendo estinto e quindi etimologicamente morto a se stesso, riceve una seconda volta il dono dell’esistenza da parte del Principio; Qâshânî chiama questa nuova vita “dono principiale dell’esistenza (al-wujûd al-mawhûb al-haqqânî)”⁸³ espressione che ritroveremo nel Dialogo e che in realtà designa la Stazione della Permanenza (baqâ’) dopo l’Estinzione.
La Stazione della Permanenza è la stazione in cui l’essere ritorna verso le creature dopo la contemplazione dell’Essenza, e costituisce secondo l’Autore lo svelamento conclusivo dell’itinerario spirituale: “Il primo svelamento consiste nell’Estinzione nell’Assoluto; in questo stato la persona che osserva e gli oggetti osservati non sono altro che lo stesso Assoluto. Il secondo svelamento è rappresentato dalla Permanenza dopo l’Estinzione; in questo stato compaiono le forme del mondo creato [...] e l’Essere Unico si diversifica nella molteplicità formale delle cose esistenti”⁸⁴.
Il termine ultimo e lo scopo supremo del viaggio sono rappresentati dalla Sussistenza nel Principio e tramite il Principio, e dalla perfetta Servitù (‘ubûdiyya) dell’essere il quale, lungi dall’essere abbagliato da un processo di unificazione con la Realtà Assoluta, è conscio della propria distintività rispetto al Principio. Divergono però i gradi di coloro che hanno raggiunto tale stazione e
Qâshânî si trova infine a commentare un’affermazione molto lapidaria di ‘Alî, la quale allude al grado più elevato dello svelamento dell’Essenza: in una massima straordinariamente simile ad una sentenza presente nel Dialogo, al punto che potrebbe esserne considerata come una parziale variante, ‘Alî infatti dice: “La conoscenza è lo svelamento delle Glorie del Volto e il suo apice è lo stupore di fronte all’Infinità Divina (kibriyâ’)”⁸⁵. Ibn ‘Arabî afferma che ‘Alî deteneva la Funzione di Polo della sua epoca, rappresentando quindi il vertice della gerarchia esoterica⁸ , ed abbiamo ragione di credere, in conclusione, che il segreto a cui egli allude nel Dialogo si riferisse quindi alla propria percezione di tale Stazione suprema: “Al più perfetto, cioè il Polo Perfetto, (qutb kâmil), non si rivela l’essenza dell’Infinità Divina (haqîqat al-kibriyâ’) se non dopo che ha raggiunto un grado elevato nella Funzione di Polo (qutbâniyya); tale Stazione è chiamata Sigillo delle Stazioni (khatm al-maqâmât) e non vi ascende, per l’estrema lontananza di questa meta, se non un numero esiguo di coloro che hanno raggiunto la Funzione di Polo. Quando il Polo si eleva ad essa e la raggiunge, ecco che allora gli si manifesta il Principio con l’Infinità dell’Essenza (al-kibriyâ’ adh-dhâtî); egli continua ad innalzarsi in essa per tutta l’Eternità, e se tale Infinità si rivelasse in maniera infinitesimale a tutti i Conoscitori e i Veridici, essi sarebbero polverizzati in meno di un battitito di ciglia. Non è in grado di sopportarla nessun’altro al di fuori del Polo Totalizzante (al-qutb al-jâmi‘), ma soltanto dopo aver raggiunto la Stazione del Sigillo (maqâm al-khatm), perché prima di averla raggiunta non ne sarebbe in grado”⁸⁷. E alla fine ‘Alî, come viene menzionato nel Dialogo, rimase in silenzio. Il silenzio dell’inesprimibile.
Il libro è dedicato ai miei genitori.
Alberto Grigio
¹ Chiamato anche Kâshânî, come pure Kâshî e Kâsânî, sebbene il nome Qâshânî sia la forma più usata nella letteratura araba: vedi D. B. MacDonald, “Abd alRazzâk al-Kâshânî”, in Enciclopédie de l’Islam, s. v.; C. Brockelmann, Geschichte der Arabischen Literatur, Suppl. II, pp. 280-281.
² La maggior parte delle fonti concordano su questa data come la più probabile; cfr. D. B. MacDonald, op. cit., C. Brockelmann, op. cit. e P. Lory, Les commentaires ésotériques du Coran d’après ‘Abd al-Razzâq al-Qâshânî, Paris, 1980, p. 25. H. Landolt, in un importante studio sulla corrispondenza tra Qâshânî e Simnânî, ritiene invece che la data più attendibile corrisponda al 3 Muharram 736/23 agosto 1335; si veda H. Landolt, “Der Briefwechsel Zwischen Kâshânî und Simnânî über Wahdat al-wujûd”, in Der Islam, L, 1, 1973.
³ L’opera è stata parzialmente tradotta da S. de Sacy; cfr. ’Abd-ar Rahmân al Jâmî (sic), Vie des soufis ou: les haleines de la familiarité, Paris, 1977.
⁴ Una traduzione integrale della lettera a Simnânî compare in P. Lory, op. cit., pp. 177-187.
⁵ H. Corbin in Storia della filosofia islamica, Milano, 1989, p. 295, lo definisce “celebre pensatore sciita”, mentre P. Lory in op. cit., p. 25, si mantiene più neutrale limitandosi a riferire come veniva considerato in ambienti sciiti per le sue affermazioni sull’eccellenza di ‘Alî e della sua famiglia che, comunque, nessun sunnita potrebbe contestare.
H. Landolt, op. cit., traduzione inedita a cura di A. Furlanetto, pp. 33 e ss.
⁷ Per una presentazione della vita e delle opere di Ruzbihân Baqlî cfr. C. W. Ernst, Ruzbihan Baqli. Mysticism and the Rhetoric of Sainthood in Persian Sufism, Richmond, 1996.
⁸ Non tutti sono stati identificati; vedi H. Landolt, op. cit., note 120-124.
La traduzione della risposta di Simnânî compare in H. Landolt, op. cit., pp. 3741.
¹ Per una lista completa delle opere di Qâshânî si veda C. Brockelmann, op. cit. e D. B. MacDonald, op. cit..
¹¹ Cfr. ‘Abd ar-Razzâq al-Qâshânî, Traité sur la Prédestination et le libre arbitre, Paris, 1978.
¹² Il titolo completo è ‘Abd al-Razzâq al-Qâshânî, A Glossary of Sufi Technical . Kitâb istilâhât as-sûfiyya, London, 1991.
¹³ Cfr. P. Lory, op. cit.; sulla questione dell’attribuzione a Ibn ‘Arabî si veda ibidem, pp. 23-24. Tra le varie edizioni del tafsîr cfr. Muhyî adDîn Ibn ‘Arabî, Tafsîr al-Qur’ân al-Karîm, Beirut, s. d.. Alcuni estratti dell’opera sono stati tradotti da M. Vâlsan e pubblicati in Études Traditionnelles, 376, 380, 384/385, 414, 416, 434, 437/438, 449 (1963-1975).
¹⁴ Tra queste ci siamo avvalsi della seguente: ‘Abd ar-Razzâq al-Qâshânî, Sharh ‘alâ Fusûs al-hikam li-sh-shaykh Muhyî ad-Dîn Ibn ‘Arabî, Cairo, 1987.
¹⁵ D. B. MacDonald in op. cit. non si pone alcun dubbio sulla attribuzione e lo considera come un’opera del nostro Commentatore; altrettanto dicasi per M. M. Moreno in Antologia della mistica arabo persiana, Bari, 1980, pp. 239-245, che ne traduce addirittura un brano. Al contrario H. Landolt concorda con C. Brockelmann a proposito di un’errata attribuzione: vedi rispettivamente H.
Landolt, op. cit., nota 35 e C. Brockelmann, op. cit., Suppl., I, p. 483.
¹ Il dialogo occupa i ff. 1-2 del manoscritto da noi utilizzato, il cui prosieguo esordisce con l’intervento del Commentatore.
¹⁷ Questo è il probabile motivo per cui non viene evidenziata una precisa ricezione e trasmissione del Dialogo, ma ci si limita ad affermare che esso fu commentato all’interno degli ambienti alidi e sciiti; vedi H. Corbin, En Islam Iranien. Aspects spirituels et philosophiques, I. Le shî’isme duodécimain, Paris, 1971, p. 11; in ambito propriamente sufi citiamo la presenza di un altro dialogo che evidenza la scienza esoterica di ‘Alî, successivamente riportato in opere fondamentali quali il Qût al-qulûb di Makkî e il Kitâb al-luma‘ di Sarrâj; vedi K. M. Shaibi, Sufism and Shi‘ism, London, 1991, p. 38, 50, note 37, 38, 39. Constatiamo quindi, anche tramite le fonti sciite, la trasmissione di un corpus Kumayliano che permeò vari ambienti della spiritualità delle origini, del quale il Dialogo è senza dubbio parte integrante.
¹⁸ H. Laoust, Gli scismi nell’Islam, Genova, 1990, p. 24.
¹ Come lasciano ad intendere le parole finali di ‘Alî, ff. 21-22 del manoscritto.
² Abû Nasr as-Sarrâj, The Kitâb al-luma‘fî al-tasawwuf of Abû Nasr ‘Abdallâh b. ‘Alî al-Sarrâj al-Tûsî, ed. Nicholson, Leyden-London, 1914, p. 130.
²¹ Una delle più celebri fonti sciite sulla vita, le virtù e i miracoli di ‘Alî è il Kitâb al-irshâd; si veda Shaykh al-Mufîd, Kitâb al-irshâd. The Book of Guidance, Elmhurst, 1981, pp. 1-277.
²² Vedi Imam Ali, Nahjul Balagha. Sermons, Letters and Sayings, Rome, 1984, lettera 61, pp. 553-554, indirizzata a Kumayl quando era il Governatore di Hit.
²³ L. Veccia Vaglieri in “Sul Nahj al-balâghah e sul suo compilatore ash-Sharîf ar-Radî”, in Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, 8, 1958, pp. 146, ha avanzato delle serie riserve sulla attendibilità del Nahj al-balâgha.
²⁴ Imam Ali, op. cit., pp. 600-601.
²⁵ Ibn Arabi (sic), Le livre de l’extinction dans la contemplation, trad. a cura di M. Vâlsan, Paris, 1984, p. 31. Il detto si trova in Bukhârî, Sahîh, ‘ilm, 42, I, 39.
² Hujwirî, Somme spirituelle. Soufisme et connaissance. Les Compagnons: premiers Califes et Imâms. Les Soufis fondateurs et les confréries. Les onze dévoilements, trad. a cura di D. Mortazavi, Paris, 1988, p. 56; Kalâbâdhî, Traité de soufisme. Les Maîtres et les Etapes, trad. a cura di R. Deladrière, Paris, 1981, p. 25. Sempre in Hujwirî, op. cit., pp. 110-111 compare una lista dei nomi delle Genti della Veranda (ahl as-suffa).
²⁷ A.A.V.V., Les voies d’Allah. Les ordres mystiques dans le monde musulman des origines à aujourd’hui, a cura di A. Popovic e G. Veinstein, Paris, 1996, pp. 31-32; ‘A. Haqqî, As-Sûfiyya wa at-tasawwuf, s.l., s.d., p. 24.
²⁸ Si veda il grafico che rappresenta le diverse confraternite sufi, denominato bayân at-turuq, in A. Sirâj ed- Dîn, The Book of Certainty. The Sufi Doctrines of Faith, Vision and Gnosis, Lahore, 1998, p. 5; esso evidenzia che all’origine della
trasmissione si situano i primi quattro Califfi, ma che i lignaggi che si sono conservati sino ad oggi risalgono ad ‘Alî e ad Abû Bakr. Ciononostante in alcune catene iniziatiche compare anche la figura del secondo Califfo, ‘Umar (m. 23/644); vedi C. W. Ernst, op. cit., p. XXIV e C. Addas, Ibn ‘Arabî ou la quête du Soufre Rouge, Paris, 1989, p. 372-373.
² Per questa interpretazione si veda M. A. Khan, The Truthful Caliphs, Delhi, s. d., pp. 176-177; nemmeno H. Djait in La Grande Discorde, Paris, 1989, p. 78, accetta che ‘Alî venga presentato come un riformista, mentre W. Madelung in The succession to Muhammad. A study of the early Caliphate, Cambridge, 1997, cap. 4, esprime il parere opposto.
³ Sul ruolo di Salmân nella Shî‘a vedi H. Massignon, Parola data, Milano, 1995, pp. 103-137.
³¹ A. N. al-Sarrâj, op. cit., p. 131.
³² ‘A. Haqqî, op. cit., p. 212.
³³ M. A. Amir Moezzi, La guide divin dans le Shî’isme originel, Lagrasse, 1992, p. 189.
³⁴ M. A. Amir Moezzi, op. cit., p. 191.
³⁵ M. Molé, “Une traité de ‘Alâ’ al-Dawla Simnânî sur ‘Alî b. Abî Tâlib”, in Bullettin d’Études Orientales, XVI, 1958-1960, p. 92.
³ H. Corbin, En Islam Iranien. Aspects spirituels et philosophiques, III. Les fidèles d’amour, shî’isme et soufisme, Paris, 1971, pp. 179-181.
³⁷ Possiamo così riassumere le pungenti affermazioni di H. Corbin in Storia della filosofia islamica, cit., pp. 192-194. In alcuni casi è accaduto invece l’esatto contrario, vale a dire alcune correnti del Sufismo sono state progressivamente influenzate da una prospettiva alide, se non addirittura sciita; cfr. M. Molé “Les Kubrawiyya entre Sunnisme et Shiisme aux huitiéme et neuvième siècles de l’Hégire”, in Revue d’Études Islamiques, XXIX, 1961.
³⁸ H. Corbin, En Islam Iranien, III, cit, p. 111.
³ P. Lory, op. cit., 1980, p. 28.
⁴ H. Landolt, op. cit., pp. 31-32.
⁴¹ T. Izutsu, Sufism and Taoism. A Comparative Study of Key Philosophical Concepts, Los Angeles, 1984, p. 42.
⁴² ‘A. R. al-Qâshânî, Sharh ‘alâ Fusûs al-hikam, Cairo, 1987, p. 4.
⁴³ H. Landolt, op. cit., p. 36.
⁴⁴ Vedi Ghazâlî, La Tabernacle des Lumieres, Paris, 1981, pp. 55-61, a proposito della concezione della luce detenuta in divinis e delle sue gradazioni nell’universo; le gradazioni della luce sono assimilabili alle gradazioni dell’Essere, perché l’Essere è luce.
⁴⁵ C. Addas, op. cit., p. 275; W. Chittick, “Sadr al-Dîn al-Qûnawî on the Oneness of Being”, in International Philosophical Quarterly, 1981, vol. II, pp. 171-184.
⁴ Come ripetutamente affermato in W. Chittick, Ibn al-‘Arabi’s Metaphysics of Imagination. The Sufi Path of Knowledge, Albany, 1989, introd., p. XVIII; W. Chittick, “Ibn ‘Arabî and His School”, in S. H. Nasr, Islamic Spirituality. Manifestations, New York, 1991, p. 53; W. Chittick, “Spectrums of Islamic Thought: Sa‘îd al-Dîn Farghânî on the Implications of Oneness and ManinessThe School of Qûnawî”, in The Heritage of Sufism. Vol. 2. The Legacy of Medieval Persian Sufism (1150-1500), Oxford, 1991, p. 206; W. Chittick, “The Five Divine Presences from al Qûnawî to al-Qaysarî”, in Muslim Word, 72, 2, 1982, p. 107. Non risulta comunque chiarita la relazione tra Qâshânî e Jandî, nel senso che non è stato sufficientemente esplicitato se si trattasse di un rapporto tra maestro e discepolo in senso tradizionale oppure di un insegnamento più propriamente dottrinale.
⁴⁷ Come egli stesso riporta in Ibn ‘Arabî, Les Illuminations de la Mecque. The Meccan Illuminations. Textes choisis/Selected Textes, Paris, 1988, p. 24.
⁴⁸ W. Chittick, The Self-Disclosure of God. Principles of Ibn al-‘Arabî’s Cosmology, Albany, 1998, p. 72.
⁴ W. Chittick, Ibn al-‘Arabi’s Metaphysics of Imagination, cit., p. 80; per un’analisi concettuale e linguistica delle implicazioni del termine wujûd vedi inoltre Ibn ‘Arabî, La production des cercles. Kitâb inshâ’ ad-dawâ’ir al-ihâtiyya,
a cura di P. Fenton e M. Gloton, Paris, 1996, pp. XIV-XVI e M. Molé, I mistici musulmani, Milano, 1992, pp. 69-72.
⁵ Come brillantemente spiega A. Ventura, fornendo anche citazioni di Ibn ‘Arabî a sostegno dell’incompatibilità tra il panteismo e la wahdat al-wujûd; vedi A. Ventura, L’esoterismo islamico, Roma, 1981, p. 11.
⁵¹ Ibn ‘Arabî, La production des cercles, cit., intr., pp. XXVI-XXX.
⁵² G. De Luca, “Non sono Io il vostro Signore?”, in I Quaderni di Avallon, 31, I Gesti del Sacro. Rito e rituali, Rimini, 1993, p. 64; vedi anche ibidem p. 82 nota 13, dove vengono evidenziate alcune differenze terminologiche tra i vari autori della scuola di Ibn ‘Arabî; inoltre tutti gli aspetti che vengono considerati in modo sistematico negli autori posteriori si trovano fusi, nella sua opera, in un’esposizione che tende ad unificarli secondo una logica più rispettosa della non-sistematicità della metafisica.
⁵³ ‘A. R. al-Qâshânî, Sharh ‘alâ Fusûs al-hikam, cit, p. 5; G. De Luca, op. cit., pp. 64-66.
⁵⁴ W. Chittick, “The Five Divine Presences”, cit., pp. 107-109.
⁵⁵ Così afferma J.-Y. L’Hopital, “L’Homme en face de Dieu selon ‘Abd alRazzâq al-Qâshânî”, in Studia Islamica, LIII, 1981, p. 63.
⁵ W. Chittick, “The Five Divine Presences”, cit., p. 122; ‘A. R. al-Qâshânî,
Sharh ‘alâ Fusûs al-hikam, cit., p. 134.
⁵⁷ P. Lory, op. cit., p. 53-55.
58 Vedi per delle definizioni d’insieme A. al-Jurjânî, At-Ta‘rifât, Cairo, 1938, pp. 65, 204.
59 ‘A. R. al-Qâshânî, Kitâb istilâhât as-sûfiyya, cit., pp. 57-58.
60 Rimandiamo per un’analisi approfondita della dottrina metafisica e cosmogonica secondo la scuola di Ibn ‘Arabî, che tenga conto delle sue diverse prospettive, ai già menzionati W. Chittick, Ibn al-‘Arabi’s Metaphysics of Imagination, cit. e G. De Luca, op. cit., pp. 61-68; esaurienti, anche se focalizzati su tematiche più specifiche, W. Chittick, “The Five Divine Presences”, cit. e M. Chodkiewicz, “L’“offrande au Prophéte” de Muhammad al-Burhânpûrî”, in Connaissance des Religions, IV, 1/2, 1988, pp. 30-40.
61 W. Chittick, “The Five Divine Presences”, cit., p. 116.
62 ‘A. K. al-Jilî, Marâtib al-wujûd wa haqîqat kulli mawjûd, Cairo, s.d., p. 12.
63 J.-Y. L’Hopital, op. cit., pp. 65-70.
64 ‘A. K. al-Qushayrî, Ar-risâla al-Qushayriyya fî ‘ilm at-tasawwuf, Beirut,
1990, p. 57. Solitamente il maqâm è contrapposto allo Stato (hâl) perché quest’ultimo non è permanente ma transitorio; vedi anche i seguenti testi di Ibn ‘Arabî tradotti da M. Vâlsan: “Sur la notion de “hal””, in Études Traditionelles, 372-373, 1962, pp. 173-177 e “Sur la notion de “maqam””, ibidem, pp. 178-180.
65 In A. T. al-Makkî, Qût al-qulûb fî mu‘âmalat al-mahbûb, s.l., s.d., vol. 1, p. 178 e ss., sono menzionate nove stazioni, mentre Ansârî nei Manâzil as-sâ’irîn ne elenca cento; vedi Ansârî, Chemin de Dieu. Trois traités spirituels, trad. a cura di S. de Laugier de Beaurecueil, Paris, 1985, pp. 151-229.
66 P. Lory, op. cit., p. 73, afferma: “È al contrario più difficile farsi un’idea precisa dell’itinerario sufi così come lo concepisce Qâshânî […]; Qâshânî farà certo allusione alle Stazioni, agli Stati e alle Dimore, ma in maniera troppo ellittica perché sia possibile, se non in modo molto rudimentale, descrivere la topografia dell’itinerario spirituale che egli propone”.
67 R. Deladrière, “Les niveaux de conscience selon l’exégèse d’al-Qâshânî”, in Bulletin d’Études Orientales, XXIX, 1977, p. 117; il aggio da un livello all’altro sarà quindi costituito dai successivi spostamenti della coscienza o, se si vuole, da un progressivo trasferimento del centro dell’essere in questione.
68 ‘A. K. al-Jilî, Al-Insân al-kâmil fî ma‘rifat al-awâkhir wa al-awâ’il, Cairo, 1963, vol. 2, p. 43.
69 R. Deladrière, “Les niveaux de conscience”, cit., pp. 117-118.
70 Vedi H. Corbin, L’uomo di luce nel sufismo iraniano, Roma, 1988, pp. 140142 e Nuruddin Isfarayini, Le revelateur des mysteres. Traité de soufisme, trad.
di H. Landolt, Lagrasse, 1986, pp. 54-70. Cfr. inoltre, per tutte le dinamiche implicite nella trasformazione del Cuore, S. Murata, The Tao of Islam. A Sourcebook on Gender Relationships in Islamic Thought, Albany, 1992, cap. 6.
71 Così afferma Ahmad at-Tijânî, rispondendo alla domanda del suo discepolo ‘Alî Harâzim, in Jawâhir al-ma‘ânî wa bulûgh al-amânî, Beirut, 1995, p. 149.
72 Se con illuminazione si intende il trascendimento dell’ego, tale definizione non risulterebbe applicabile, a rigore, in un ambito nel quale l’Anima, pur sublimata, non sia diventata un effettivo specchio dell’Essenza. Il termine fath indica letteralmente un’apertura, ma anche una conquista o una vittoria, ed è secondo queste accezioni che compare in vari i coranici, il cui senso esoterico è riferito da Qâshânî alle esperienze spirituali del Profeta, modello delle Aperture dei Santi; vedi R. Deladrière, “Les niveaux de conscience”, cit., p. 119.
73 F. Abî Khuzâm, Mu‘jam al-mustalahât as-sûfiyya, Beirut, 1993, p. 134; ‘A. R. al-Qâshânî, Istilâhât, cit., p. 129.
74 R. Deladrière, “Les niveaux de conscience”, cit., pp. 118-119.
75 F. Abî Khuzâm, op. cit., p. 134; ‘A. R. al-Qâshânî, Istilâhât, cit., p. 129.
76 F. Abî Khuzâm, op. cit., p. 134; ‘A. R. al-Qâshânî, Istilâhât, cit., p. 129; R. Deladrière, “Les niveaux de conscience”, cit., p. 119.
77 Sheikh Shahabuddin Suhrawardi, A Dervish Textbook from the ‘Awarifu-lMa’arif, trad. a cura di Lieut.-Col. H. Wilberforce-Clarke, London, 1990, pp. 5960. Suhrawardî afferma inoltre che anche il maqâm inteso in senso usuale comporta dei doni divini e che, specularmente anche il hâl comporta delle acquisizioni.
78 W. Chittick, “The Circle of Spiritual Ascent According to Al-Qûnawî”, in P. Morewedge, Neoplatonism and Islamic Thought, Albany, 1992, p. 182.
79 J.-Y. L’Hopital., op. cit., p. 63.
80 Vedi i ff. 18-21 del manoscritto.
81 Le due prospettive non sono difatti antitetiche, come rappresenta il celebre caso dell’Emiro ‘Abd al-Qâdir, su cui vedi Abd el-Qader, Il libro delle soste, a cura di M. Chodkiewicz, Milano, 1984, pp. 18-21. Nel Sufismo si annovera infatti la tipologia dell’Attratto che diviene Viaggiatore (majdhûb sâlik), come fu il caso dell’Emiro, e del Viaggiatore che sperimenta l’Attrazione Divina (sâlik majdhûb); è difficile comunque pronunciarsi su come le due prospettive possano armonizzarsi all’interno dell’opera di Qâshânî.
82 Kalâbâdhî, op. cit., pp. 138, 142, 145; vedi anche Junayd, Enseignement spirituel. Traités, lettres, oraisons et sentences, trad. a cura di R. Deladrière, Parigi, 1983, p. 162.
83 Si veda R. Deladrière, “Les niveaux de conscience”, cit., pp. 116, 119. Ci permettiamo però di rendere diversamente l’espressione di Qâshânî, che egli traduce come: “il dono dell’esistenza a livello di al-Haqq” o “l’esistenza del
dono divino a livello dell’Essere”.
84 T. Izutsu, Sufism and Taoism, cit., p. 44.
85 M. al-‘Arabî Ibn Sâ’ih, Bughyat al-mustafid fî sharh munyat al-murîd, s.l., 1973, p. 191.
86 M. Chodckiewicz, Le Sceau des Saints, Paris, 1988, p. 121.
87 M. al-‘Arabî Ibn Sâ’ih, op. cit., p. 191. Non possiamo in questa sede entrare in merito alle differenti modalità della Visione ed al grado iniziatico che queste comportano, per cui rimandiamo all’eccellente studio di P. Urizzi, “La visione teofanica secondo Ibn ‘Arabî”, in Perennia Verba. Il deposito sacro della Tradizione. Annuario di Studi, 1, 1997, pp. 37-72, 2, 1998, pp. 3-35; per un’esposizione dettagliata ed esauriente della dottrina del Polo, altrettanto articolata e multiforme, cfr. inoltre, in questa stessa collana, Ibn ‘Arabî, Il segreto dei Custodi del mondo, a cura di C. Casseler, Torino, 2001.
LA DOMANDA ESSENZIALE
Invocazione con il Nome dell’Essenza Yâ Huwa : “Oh Lui!” Calligrafia speculare – moschea Ulu Cami, Bursa (1399)
[1]¹ Nel nome di Dio Misericordioso e Clemente.
Secondo un racconto tramandato da Kumayl Ibn Ziyâd an-Nakha’î, egli pose questa domanda al Principe dei Credenti, ‘Alî Ibn Abî Tâlib, che Dio sia soddisfatto di lui:
“O Principe dei Credenti, qual è la Verità Suprema (haqîqa)²?”.
Questi replicò: “Che cos’hai a che fare tu con la Verità Suprema?”.
Egli domandò: “Non sono forse il depositario (sâhib) del tuo segreto, o Principe dei Credenti?”.
‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, ribattè: “Certamente, ma per te è adeguato ciò di cui io trabocco!”.
Kumayl insistette: “Uno come te delude forse colui che lo interroga?”.
E ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, rispose allora: “La Verità Suprema è lo
svelamento delle Glorie della Maestà Divina (kashf subuhât al-jalâl)³, senza alcun segno (ishâra)”.
Kumayl disse: “Dammi un’ulteriore spiegazione”.
‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, aggiunse [2]: “L’annullamento dell’illusione (al-mawhûm) con la limpidezza della conoscenza (ma‘lûm)”.
Kumayl ripetè: “Dammi un’ulteriore spiegazione”.
‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, affermò: “La lacerazione del velo per il prevalere del segreto (ghalabat as-sirr)⁴”.
Kumayl continuò: “Dammi un’ulteriore spiegazione”.
‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, dichiarò: “L’attrazione dell’Unità Assoluta (jadhbat al-ahadiyya)⁵ come prerogativa dell’Unione (tawhîd) ”.
Kumayl reiterò: “Dammi un’ulteriore spiegazione”.
‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, proclamò: “Una luce che si leva dall’alba della pre-eternità (al-azal) e con le sue tracce risplende sui Templi dell’Unione (hayâkil at-tawhîd)⁷”.
Kumayl proseguì: “Dammi un’ulteriore spiegazione”.
E Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, concluse dicendo: “Spegni la lampada perché l’alba è ormai sorta”, oppure, secondo un’altra versione: “Spegni il lume perché il mattino è già sorto”.
[3] Il Commentatore, ‘Abd ar-Razzâq al-Qâshânî, afferma che con Verità Suprema si intende qualcosa di permanente, necessario di per se stesso, immutabile in qualsivoglia aspetto. Dato che Kumayl era tra le Genti del Cuore (ashâb al-qulûb)⁸, ricercava la Stazione della Santità (maqâm alwilâya) , cioè la Stazione dell’Estinzione (maqâm al-fanâ’) nell’Essenza Assoluta (adh-dhât al-ahadiyya), e poneva una domanda sulla Verità Suprema, ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, gli rispose in un modo che alludeva al fatto che quella stazione era elevata, lontana dalla Stazione delle Genti del Cuore; inoltre era accessibile solamente ai Perfetti tra le Genti della Predisposizione (isti‘dâd)¹ , tramite la luce dell’aiuto (tawfîq) [4] e della guida divina e grazie all’impulso dell’amore e della provvidenza (‘inâya), secondo una Via a loro propria ed un cammino adeguato al loro stato, e con una particolare disciplina spirituale incentrata sul cuore (qalbiyya) e non sull’anima (nafsiyya).
Ciò emerge dalle seguenti parole di ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui: “Che cos’hai a che fare tu con la Verità Suprema?”, che significano: “Dove ti troveresti in questa Stazione, tu che sei nella Stazione del Cuore (maqâm alqalb) e vi sosti con tutto il tuo essere?”; esse rappresentano sia un’incitazione (tashwîq) che un’esortazione a procedere sulla via. La risposta di Kumayl, “Non sono forse il depositario del tuo segreto, o Principe dei Credenti?”, significa: “Non sono forse predestinato (musta‘idd) a questa Stazione per il fatto che sono a conoscenza del tuo segreto?”. Il segreto (sirr)¹¹ consiste in una realtà spirituale (ma‘nâ) che è impossibile venga percepita [5] dalle facoltà dell’anima e persino dalla facoltà speculativa; non giunge a conoscerla che colui che si eleva oltre la Stazione dell’Anima (maqâm an-nafs)¹² oppure, in altri termini, colui il cui cuore è giunto sino alla Stazione dello Spirito (maqâm ar-rûh)¹³, il quale procede verso
la Stazione dell’Unità (maqâm al-wahda) grazie alla sua natura estremamente sottile e luminosa e per il suo estremo distacco (tajarrud) e lontananza dalla Stazione dell’Anima e delle sue facoltà. Ciò avviene tramite un’ispirazione (wahy) per cui egli non giunge a conoscere tale realtà spirituale se non in questo modo e non può assaporare il segreto se non con il proprio aspetto luminoso, rivolto verso lo Spirito, non con il proprio lato animico; per questo il segreto viene [6] definito come gratuito (majân).
In questo caso il segreto è inteso secondo il significato iniziale, dato che ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, aveva confermato la predisposizione di Kumayl ad elevarsi oltre la Stazione dell’Anima, indicando che egli sarebbe giunto a conoscere il suo segreto, con queste parole: “Certamente, ma per te è adeguato ciò di cui io trabocco!”; il suo intento era di dire che egli era predestinato a quella stazione, ma non vi era ancora giunto perché l’effluvio di luce da parte di chi ha raggiunto la perfezione (kamâl) può riversarsi solamente su di un ricettacolo (qâbil) in grado di accoglierlo. Queste parole indicano che ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, si trovava allora nella Stazione del Perfezionamento (maqâm at-takmîl), della Rettitudine (istiqâma)¹⁴ e della Stabilità (tamkîn) e che Kumayl, nella Stazione del Cuore, era un ricettacolo che nella propria ascesa [7] non era ancora giunto alla Stazione dell’Estinzione (maqâm alfanâ’), in modo da comprendere la Verità Suprema; infatti se ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, non si fosse trovato nella Stazione della Rettitudine e della Stabilità nella Santità, cioè la Stazione della Permanenza (maqâm al-baqâ’) dopo l’Estinzione nella Visione Unitiva (‘ayn al-jam‘)¹⁵, ma fosse stato immerso nell’Essenza Assoluta (adh-dhât al-ahâdiyya), non avrebbe posseduto alcuna esistenza contingente e niente sarebbe potuto traboccare da lui; così pure, se Kumayl si fosse trovato nella Stazione della Santità, immerso nella Visione Unitiva, niente sarebbe stato appropriato alla sua condizione.
‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, parlava della Stazione della Permanenza dopo l’Estinzione, ove viene conferita la vera esistenza¹ , colma della luce dell’Unità Assoluta, così come l’aveva descritta il Profeta, che Dio lo benedica e gli dia la Pace, [8] contigua all’Essenza Divina (dhât Allâh), da cui traboccava quella luce in quanto egli assolveva allo statuto richiesto dalla Servitù (‘ubûdiyya), per poi riversarsi sul predestinato; considera dunque la differenza tra il suo segreto,
rappresentato dalla luce dell’Essenza Assoluta, che è la luce del Volto Divino (al-wajh), cioè dell’Essenza Imperitura (adh-dhât al-bâqî), ed il segreto di Kumayl, che consiste nella luce delle Teofanie degli Attributi Divini (tajalliyât as-sifât)¹⁷ nella Stazione del Cuore e del Segreto, cioè la luce dello svelamento (mukâshafa) e della conoscenza (mutâla‘a), non della Visione (mushâhada)¹⁸.
Il segreto di Kumayl è uno dei segreti iniziali di ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, ed uno dei segni precursori dei suoi segreti, ma non fa parte delle loro verità essenziali e profondità; l’affermazione di Kumayl, “Uno come te delude forse colui che lo interroga?”, significa che colui che chiede ha un proprio statuto, perché [9] se non rendesse nota in qualche modo la propria affermazione, non potrebbe avanzare alcuna richiesta e domanda, e non lo farebbe se non fosse predestinato a raggiungere il proprio scopo. Per questo si dice: “La richiesta e l’estasi sono gemelle (at-talab wa al-wijdân taw’amân)”, ed un Conoscitore (‘arîf) ha affermato che, a meno che Dio non gli avesse dato [una risposta], non Gli avrebbe fatto la sua richiesta¹ ; ciò è confermato dalle parole dell’Altissimo “ChiamateMi ed io vi risponderò” (Cor. 40:60) e “E v’ha dato di tutto quel che Gli avete chiesto” (Cor. 14:34). È infatti necessario che il Perfetto (kâmil), giunto alla perfezione e consapevole dei requisiti della predisposizione, completi il perfezionamento in conformità a quanto questa richiede, ed allora non deluderà più colui che l’interroga.
[10] Per questo ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, all’inizio rispose: “La Verità Suprema è lo svelamento delle Glorie della Maestà Divina, senza alcun segno”, dando una risposta adeguata al livello del richiedente, dato che questi si trovava al grado del Cuore, cioè nella Stazione delle Teofanie degli Attributi; la Maestà divina consiste nel fatto che il Volto dell’Eterno (al-wajh al-bâqî) è nascosto dai veli degli Attributi, così come la Bellezza Divina (jamâl)² si identifica con la luce del Volto, senza alcun velo. Il Volto è infine l’Essenza, presente insieme a tutti i suoi attributi, mentre le Glorie (subuhât) sono luci: le luci delle teofanie degli Attributi Divini rappresentano i veli del Volto e vengono chiamati Glorie della Maestà Divina, mentre le luci delle Teofanie [11] dell’Essenza (tajalluyât adh-dhât) sono chiamate Glorie della Bellezza Divina.
L’affermazione “senza alcun segno” significa senza qualsivoglia traccia, sia spirituale che razionale, dato che questa denoterebbe una dualità (ithnayniya), ed è espressione di una pura estinzione; la Verità Suprema è il sorgere del Volto Eterno che rimuove da sé i veli degli Attributi, perché si estinguano le Glorie (subuhât) di ciò che è altro da Sé in modo che non rimanga traccia di niente, come ha detto l’Altissimo: “E tutto quel che vaga sulla terra perisce e solo resta il Volto del Signore, pieno di Potenza e di Gloria” (Cor. 55:26-27) e: “Tutte le cose periscono salvo il Suo Volto” (Cor. 28:88), e come conferma questo detto del Profeta, che Dio lo benedica e gli dia la Pace: “Invero Dio ha [12] settantamila veli di luce e di tenebra e se li scostasse le Glorie del Suo Volto brucerebbero ciò che viene percepito dallo sguardo delle Sue creature”²¹. ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, guidò quindi Kumayl verso la Stazione dell’Estinzione, facendolo procedere oltre i veli degli Attributi Divini sino alla corte dello Svelamento dell’Essenza (kashf adh-dhât); in questa maniera Kumayl non rimosse tali veli per la sovrabbondanza della sua predisposizione e della sua scienza, dato che anche colui che si trova nella Stazione della Colorazione (maqâm at-talwîn)²² può avere l’esperienza di tale svelamento, senza che questo si riferisca alla Stazione dell’Unità (wahda) se non in modo intrinseco, perché l’Essenza Assoluta è inseparabile dagli attributi che la qualificano eternamente.
Kumayl chiese un’ulteriore spiegazione ed ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, rispose: [13] “L’annullamento dell’illusione con la limpidezza della conoscenza”; indicò dunque come prima cosa che con Colorazione si intende solamente che chi la ottiene riceve l’esistenza di qualcosa che è altro da se stesso tramite la facoltà immaginativa (tawahhum): l’esistenza di qualcos’altro non è in realtà se non una figura immaginaria (naqsh mawhûm) che si fissa e si stabilizza impadronendosi della facoltà immaginativa e dell’influenza demoniaca sull’anima. A chi, fra le Proprie creature, l’Altissimo ha reso puro, Egli cancella quella esistenza illusoria (wujûd mawhûm) che è solo una figura immaginale (naqsh khayâlî), e non una vera esistenza (wujûd haqîqî) che necessita di estinguersi; perciò un Conoscitore ha affermato: “L’Eterno (al-Bâqî) è eterno per l’Eternità, ed il contingente (al-fânî) è contingente per sempre”. In secondo luogo l’illusione [14] implicita nella sua perentoria indicazione si riferisce in questo caso solamente all’ambito della facoltà intellettuale, il cui punto di vista riflette la molteplicità degli attributi e la propria impossibilità di elevarsi dalla
Presenza dell’Unicità (hadrat al-wâhidiyya)²³ sino alla Presenza dell’Unità Assoluta (hadrat alahadiyya); la Verità Suprema non si svela che a colui che rimuove il proprio intelletto tramite la luce del desiderio ardente (‘ishq) dovuto ad un’estasi divina (junûn ilâhî), la cui conoscenza è quindi resa limpida poiché scompaiono le nubi degli Attributi Principiali (sifât al-haqq) e viene rapita dall’estasi divina, come ha detto l’ imâm Ja‘far as-Sâdiq, che Dio sia soddisfatto di lui.
Quindi viene mondato dalle impurità delle qualità e la molteplicità del suo intelletto viene rimossa tramite la luce del vero desiderio e dell’amore essenziale (al-hubb adh-dhâtî), sino a che chi lo prova perviene [15] alla Stazione della Sincerità, (maqâm al-ikhlâs) alla quale ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, ha alluso con le sue parole. La perfetta sincerità consiste nella rimozione (nafi) da sé degli attributi, per cui la scienza (‘ilm) diviene visione, la visione ha per oggetto la Verità, e l’Unione avviene per testimonianza e visione diretta (shuhûd wa ‘ayân), non grazie alla conoscenza ed all’esposizione dottrinale; quando verrà meno il potere dell’illusione e dell’intelletto, ed essi verranno rimossi dalla Via verso la Verità, l’interrogante saprà che ciò accade soltanto per il manifestarsi della potenza del suo ardente desiderio, senza scelta nè responsabilità da parte di chi percorre la Via (sâlik)²⁴ e della sua volontà.
Gli diede quindi questa spiegazione e quando Kumayl chiese un ulteriore chiarimento ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, rispose: “La lacerazione del velo per il prevalere [16] del segreto”, come a dirgli: “Pretendi di essere depositario di un segreto sul cui conseguimento non v’è dubbio, ma sino a che tale segreto è [da te realizzato in modo] debole e virtuale, al punto che l’intelletto lo tiene nascosto²⁵ ed il cuore lo cela, non diverrai un detentore della Verità Suprema, ma sarai un sapiente e un conoscitore, non un amante (‘âlim ‘ârif ghayr muhibb). Quando invece esso si imporrà e avrà il sopravvento, e il suo potere si manifesterà sull’intelletto, la luce dell’intelletto sarà estinta dalla sua luce, così come la luce della luna scompare a causa della luce del sole e diviene sottomessa ed assoggettata, imprigionata nelle sua morsa; ciò avverrà per mezzo di una attrazione soverchiante (al-jadhba al-maghlûbiyya)² , come nel caso dei Folli d’Amore (majânîn) e il velo dell’intelletto e della Legge (shar‘) sarà lacerato dalla forza dell’amore: allora [17] diverrai detentore della Verità Suprema.”
L’interrogante suppose dunque che quella fosse la Stazione dell’Ebbrezza (maqâm as-sukr), ottenuta in conformità allo stato di coloro che percorrono la Via; alcuni di essi possono provare un’ebbrezza che altri non incontrano nel proprio percorso, perché qualcuno beve la bevanda dell’amore molto più di quanto ne bevano quelli e tuttavia non ne è ebbro, grazie alla potenzialità della propria predisposione ed alla perfezione del proprio stato; gli altri invece si inebriano con molto meno, e ciò è simile allo stato di Mosè, su di lui la Pace, nel versetto che dice: “Mòstrati a me che io possa rimirarti” (Cor. 7:143) paragonato allo stato di Muhammad, che Dio lo benedica e gli dia la Pace, a cui si riferisce il versetto: “E non deviò il suo sguardo, non vagò” (Cor. 53:17)²⁷.
Ma il prevalere del segreto non implica necessariamente [18] il conseguimento della Verità Suprema, ed a questo proposito qualcuno ha affermato: “Ho bevuto dell’amore divino coppa dopo coppa, ma la bevanda non ha avuto effetto e non mi sono dissetato²⁸”. Perciò Kumayl chiese un’ulteriore spiegazione ad ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, il quale conosceva la potenzialità della sua predisposizione e rispose: “L’attrazione dell’Unicità Assoluta come prerogativa dell’Unione”; ciò significa che il massimo grado di supremazia del segreto è rappresentato dall’Attrazione dell’Essenza (jadhb adh-dhât) nella Presenza dell’Unità Assoluta (al-hadrat al-ahadiyya) nella quale non vi è assolutamente alcuna considerazione per la molteplicità, dato che non si tratta dell’Unione che notifica la molteplicità relativa nella Presenza dell’Unicità (hadrat al-wâhidiyya), la quale è l’origine dei Nomi e degli Attributi Divini; quella luce [19] è la Fonte di Canfora (‘ayn al-kâfûr), che è in particolare la bevanda dei Ravvicinati (muqarrabîn)² , e dopo aver provato quest’attrazione ed aver bevuto questa bevanda di verità, non rimane alcuna individualità né traccia di altro.
Kumayl sapeva che la Stazione dell’Unità e dell’Estinzione nell’Essenza, nonostante sia la Stazione della Santità, non rappresenta la perfezione totale, perché chi vi si trova non è adatto ad essere diretto e perfezionato sino a che non ritorna dall’Unione alla separazione (min al-jam‘ilâ at-tafsîl)³ e dall’Unità alla molteplicità, non giunge alla Stazione della Sobrietà dopo l’Ebbrezza (maqâm as-sahw ba‘da as-sukr) e non ottiene la Stazione della Rettitudine prescritta al
Profeta, che Dio lo benedica e gli dia la Pace, con queste parole [20] dell’Altissimo: “E cammina diritto, come t’è stato ordinato” (Cor. 42:15); chiese quindi un ulteriore chiarimento e spiegazione ed ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, rispose: “Una luce che si leva dall’alba della pre-eternità e con le sue tracce risplende sui Templi dell’Unione”, intendendo che la manifestazione della luce dell’Essenza Assoluta (an-nûr adh-dhâtî al-ahadî), detta Luce del Volto Splendente, risplende da tutta l’eternità (min azal al-azâl) sui luoghi epifanici (mazâhir) degli Attributi del Principio e della Sua Essenza, che sono rappresentati dalle essenze delle cose esistenziate (mawjudât); ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, le ha chiamate “i Templi dell’Unione”, vale a dire le forme esteriori dei nomi dell’Altissimo nella Stazione dell’Unione (maqâm at-tawhîd): l’illusione dell’alterità (al-ghayriyya) viene scacciata dalle tracce di questa Luce, cioè dalle sue caratteristiche [21] e dai suoi effetti, che consistono nella manifestazione dell’Essenza nei luoghi epifanici degli Attributi Divini, nella Visione (shuhûd) dell’Unità dietro l’apparenza della molteplicità, nella presenza dell’Unione (jam‘) nella Visione Distintiva (‘ayn at-tafsîl) e nell’esistenza delle realtà contingenti nella Visione Unitiva (‘ayn al-jam‘).
In quel momento uno stato spirituale (hâl)³¹ si impadronì di Kumayl che fu pervaso dall’ebbrezza, un ardente desiderio sopraffece il suo autocontrollo e chiese un’ulteriore spiegazione; ‘Alî, che Dio sia soddisfatto di lui, disse allora: “Spegni la lampada perché l’alba è ormai sorta” cioè: “lascia perdere la spiegazione dottrinale ed abbandona la dialettica razionale, spegni la luce del tuo intelletto che, paragonato alla luce della Verità, è come la lampada rispetto al sole. Su di te sono già sorti i segni precursori ed i prodromi della luce [22] della Verità, che rispetto ad essa sono come come la luce dell’alba rispetto alla luce del sole al momento in cui non proietta ombra (waqt al-istiwâ)³², perché quando splende (waqt al-ibtilâj) non v’è più bisogno della lampada”.
¹ I numeri in grassetto presenti nel testo si riferiscono ai fogli del manoscritto originale, C. Brockelmann in op. cit. , II, 204-205; Suppl., II, 280-281 elenca i seguenti manoscritti: Br. Mus. 980/13, 981/17; Kairo VII.383; AS 4875/5; Welieddin 1826/8; A.S. Beng 1239/1; Râmpûr I.347. Il manoscritto da noi utilizzato è AS (Aya Sofya) 4875/5.
² Le note che seguiranno si basano in gran parte sulle definizioni dei termini tecnici del Sufismo fornite dallo stesso Qâshânî, che le elenca in Kitâb Istilâhât as-sûfiyyah. A Glossary of Sufi Technical , cit., d’ora in poi abbreviato in Istilâhât; da questa fonte citeremo sotto forma di discorso diretto le definizioni del Commentatore, riferendoci esclusivamente alla parte araba del testo. La Realtà Suprema (haqîqat al-haqâ’iq): “È l’Essenza Assoluta che comprende tutte le Realtà e viene chiamata Presenza Totalizzante (hadrat al-jam‘)”; Istilâhât, p. 37.
³ “La maestà è il velarsi del Principio nei nostri confronti, tramite la Sua inaccessibilità ad essere conosciuto nella Propria essenza ed ipseità (huwiyya), così come Egli conosce Se stesso, perché nessuno può vedere la Sua essenza per ciò che essa è (‘alâ mâ hiya ‘alay-hi), tranne Lui”; Istilâhât, p. 18.
⁴ La ghalaba, che si può tradurre anche con preminenza o supremazia, è la manifestazione impetuosa di uno stato spirituale che si impadronisce totalmente dell’essere; vedi Kalâbâdhî, op. cit., pp. 126-128. Si veda infra ciò che Qâshânî afferma sulla realtà del segreto e del suo prevalere.
⁵ “L’Unità Assoluta può essere considerata come la cessazione di ogni relazione (isqât al-jamî‘)”; Istilâhât, p. 5; il termine “relazione”, sottinteso nel testo arabo, si riferisce alle determinazioni e alle operazioni dell’Essenza, alle quali l’Autore accenna nel corso della sua spiegazione.
Il termine tawhîd ha un duplice senso, attivo e ivo, che implica l’azione di unificare; sarà allora tradotto come Unità, Unicità, oppure come Realizzazione dell’Unità; vedi Ibn Arabi, Le livre d’enseignement par les formules indicatives des gens inspirés, trad. a cura di M. Vâlsan, Paris, 1984, p. 35, nota 1. Pur facendo tesoro di queste indicazioni, optiamo per una traduzione differente per motivi intrinseci al linguaggio e al significato del testo.
⁷ I Templi dell’Unione, come spiegherà lo stesso Commentatore, non sono altro che le creature in quanto ricettacoli dei Nomi Divini.
⁸ “Il cuore è un elemento incorporeo (mujarrad) luminoso, che si trova tra lo Spirito e l’Anima; è l’elemento costitutivo della personalità umana, e i filosofi lo chiamano “anima raziocinante” (an-nafs an-nâtiqa). Il suo interiore è lo Spirito e il suo involucro esteriore è l’anima animale, la quale si situa tra il Cuore e il corpo”; Istilâhât, p. 141. Vale la pena riportare il necessario distinguo di W. Chittick sull’accezione del termine nafs: “Negli insegnamenti del Sufismo, che si concentrano sulla necessità di oltreare le limitazioni dell’anima umana, il termine nafs è solitamente impiegato in senso negativo per cui, per tradurre nafs in alcuni testi, è il termine “ego” che potrebbe alludere a questo aspetto negativo dell’anima. I fiolosofi islamici, contraddistinguendosi dalla maggior parte dei sufi, si dedicavano allo sviluppo di una prospettiva maggiormente scientifica riguardo all’anima; tesero quindi ad usare il termine nafs come una designazione appropriata per l’oggetto delle loro discussione, senza alcuna connotazione negativa. Per loro la caratteristica specifica degli esseri umani, che li differenzia dagli altri esseri, è “l’anima raziocinante”, e di conseguenza analizzano l’anima secondo le relazioni che essa ha con le proprie facoltà, i sensi, il corpo e i vari aspetti del mondo esteriore”; vedi Self Disclosure of God, cit., p. 270.
“La Santità è la realizzazione della Verità (qiyyâm bi-al-Haqq) da parte delle creature, nel momento in cui subentra l’estinzione dell’ego (fanâ’ an-nafs) tramite l’intervento del Principio, che le fa pervenire alla più elevata Stazione di Prossimità e Stabilità (maqâm al-qurb wa attamqîn)”; Istilâhât, p. 33.
¹ La predisposizione è una nozione di una certa importanza nella dottrina di Qâshânî e, in generale, all’interno della scuola di Ibn ‘Arabî. Il Commentatore del Dialogo sostiene la necessità di una diversità delle predisposizioni individuali, già pre-determinate nella Scienza divina, diversità senza la quale cesserebbe l’ordinamento del cosmo ed ogni armonia verrebbe meno. Si veda al
riguardo ‘A.R. Qâshânî, Traité sur la Prédestination, cit., pp. 101-106; vedi inoltre R. Deladrière, “La notion de “prédisposition” (isti‘dâd) selon Ibn ‘Arabî et ses disciples”, in Cahiers d’Études Arabes, 1, pp. 69-85.
¹¹ “Il Segreto è la realtà principiale che caratterizza ogni cosa nel momento dell’Atto Esistenziatore (at-tawajjuh al-ijâdî) [...], perciò si dice che il Principio non è conosciuto, non è cercato, non è amato se non da Se stesso, perché è il Segreto che cerca, ama e conosce il Principio, così come affermato da queste parole del Profeta: “Ho conosciuto il mio Signore tramite il mio Signore””; Istilâhât, p. 83.
¹² “L’Anima è un elemento sottile ed evanescente, veicolo della facoltà vitale e sensoriale e del movimento volontario (al-haraka al-irâdiyya); i filosofi lo chiamano “spirito vitale” (ar-rûh al-hayawâniyya), ed è l’intermediario tra il Cuore, che chiamano “anima raziocinante”, ed il corpo”; Istilâhât, p. 76.
¹³ “Lo Spirito, nel linguaggio dei sufi (qawm) è la facoltà trascendente dell’essere umano (al-latîfa al-insâniyya al-mujarrada); nel linguaggio dei medici è un vapore sottile prodotto nel Cuore, ricettacolo della facoltà vitale, sensoriale e di movimento, che viene da essi chiamato “anima” […]”; Istilâhât, p. 149.
¹⁴ Con Stazione della Rettitudine non è quì da intendere ciò a cui si riferiscono normalmente gli autori che espongono le proprietà delle varie Stazioni; nella prospettiva del Viaggio iniziatico (sulûk) essa, pur importante, ne è una tra le varie tappe, mentre in questo caso Qâshânî la intende come Stazione Suprema.
¹⁵‘Ayn al-jam‘ è un’espressione, tra le altre, che contraddistingue la conoscenza dell’Unità; vedi Junayd, op. cit., p. 198, nota 56. Il termine ‘ayn designa molte cose, tra le quali occhio, essenza, fonte; esso può riferirsi sia all’occhio di chi contempla che alla Visione contemplativa o alla Stazione metafisica che viene
realizzata; vedi Ibn ‘Arabi, Le livre de l’extinction dans la contemplation, trad. a cura di M. Vâlsan, Paris, 1984, p. 10. Come a sottolineare quanto precede, Qâshânî afferma in modo lapidario: “L’‘ayn di una cosa è il Principio”; Istilâhât, p. 127, confermando così le varie interpretazioni, come fonte, essenza e altre, che abbiamo citato in precedenza.
¹ Siamo in presenza della concezione, cui abbiamo accennato nell’introduzione, denominata al-wujûd al-mawhûb al-haqqânî; essa è caratteristica della Stazione della Permanenza, nella quale la creatura riceve una nuova esistenza da parte del Principio.
¹⁷ La Teofania è, genericamente, lo svelamento a cui Qâshânî allude dicendo che “si tratta di ciò che si manifesta al Cuore delle luci delle realtà nascoste (alghuyûb)”, intendendolo come il riflesso della Teofania dell’Essenza, origine di ogni Teofania: Qâshânî distingue una prima teofania (at-tajallî al-awwal) che è una pura manifestazione ab intra del principio tramite la Teofania dell’Essenza (at-tajallî adh-dhâtî), da una seconda teofania (at-tajallî ath-thânî), in cui compaiono le Possibilità Universali e tramite la quale il Principio discende dalla Presenza dell’Unità alla Presenza dell’Unicità; vedi Istilâhât, p. 154.
¹⁸ La mukâshafa e la mushâhada sono due tappe dell’itinerario spirituale; nella prima vi è uno svelamento intuitivo del mondo sovrasensibile, mentre nella seconda si giunge alla Visione del Principio; vedi i vari significati in M. Perego, Le parole del Sufismo. Dizionario della spiritualità islamica, Milano, 1998, pp. 168, 174. Il Commentatore usa inoltre il termine mutâla‘a, che noi traduciamo con conoscenza, indicando che essa consiste in doni divini che possono essere conferiti sia all’inizio della Via, sia in base a una particolare richiesta; egli afferma anche che il termine può riferirsi alla progressiva ascesa dell’essere verso la contemplazione, come sembra implicare il testo del Dialogo; vedi Istilâhât, p. 63.
¹ È difficile rendere adeguatamente la sintetica lapidarietà dell’espressione
araba, il cui significato sembra essere che, a meno che Dio non lo avesse esaudito, tale personaggio avrebbe proseguito nella sua richiesta.
² “La Bellezza Divina è la Teofania del Suo Volto a Se stesso; nell’irradiazione teofanica la Bellezza Divina, in senso assoluto, è una maestà soggiogatrice di ogni cosa [...]. Per questo la Bellezza Divina diviene Maestà, che è il Suo velarsi tramite le Proprie auto-determinazioni universali (ta’ayyunât al-akwânî). Ogni bellezza ha una maestà e dietro ad ogni maestà vi è una bellezza; dato che la Maestà Divina implica il velarsi e l’inaccessibilità, ciò comporta elevatezza e costrizione da parte della Presenza Divina (al-hadra al-ilâhiyya) così come soggezione e timore da parte nostra; dato invece che la Bellezza Divina implica la vicinanza e lo svelamento, ciò comporta gentilezza e misericordia da parte della Presenza Divina e intimità da parte nostra”; Istilâhât, pp. 18-19.
²¹ Tale detto è riportato con varie versioni da Ibn Mâja e Tabarânî; vedi P. Urizzi, La Visione, cit., p. 54. Potrebbe anche essere tradotto in modo lievemente diverso, come afferma M. Vâlsan in “Le livre du nom de Majesté: “Allâh””, in Études Traditionnelles, 272, p. 334.; si veda inoltre ibidem, pp. 333-335. Per una trattazione dottrinale del simbolismo dei veli di luce e di tenebra integrata e completa vedi P. Urizzi., op. cit., pp. 53-72; a dimostrazione della traduzione del detto da noi ripresa, egli cita le affermazioni di Ibn ‘Arabî e dell’Emiro ‘Abd alQâdir confermanti questa interpretazione; vedi ibidem, p. 68-69.
²² “La Colorazione consiste nel fatto che gli statuti (ahkâm) di un certo Stato o di una Stazione elevata sono velati dalle caratteristiche di uno Stato o di una Stazione inferiore [...]”; Istilâhât, p. 156; l’Autore prosegue affermando che secondo Ibn ‘Arabî questa è la Stazione più elevata, dato che egli la interpreta come Stazione della Permanenza, in cui l’essere riceve la coloritura dell’esistenza dopo l’Unione. Nel nostro testo sembra però che l’Autore impieghi il termine secondo l’accezione di modificazione dell’essere, come conferma R. Deladrière in “Le niveaux de conscience”, cit., p. 118.
²³ “L’Unicità è la determinazione dell’Essenza in quanto origine dei Nomi Divini; l’Unicità rimane tale nonostante le molteplicità degli Attributi”; Istilâhât, p. 25.
²⁴ “Chi percorre la Via [o il Viaggiatore] è colui che si è incamminato verso Dio, e dato che è ancora in viaggio si trova in una posizione inter-media tra chi è agli inizi e chi ha raggiunto il termine del viaggio (mutawassit bayna al-murîd wa almuntahî)”; Istilâhât, p. 72.
²⁵ Correggiamo “yasurra-hu” del manoscritto con “yusirra-hu”, cioè “tener nascosto”.
² “L’Attrazione è il riavvicinamento della creatura [al Principio], in conformità alla Provvidenza Divina, che le ha predisposto tutto ciò di cui ha bisogno affinché oltrei le Dimore spirituali (manâzil), sino al Principio, senza alcuna difficoltà né sforzo da parte propria”; Istilâhât, p. 17. Parallelamente il Commentatore afferma che: “L’Attratto è colui che il Principio ha preteso per Se stesso, ed ha eletto alla presenza della Propria Intimità (unsi-hi), purificandolo con l’acqua della Propria Sacertà (qudsihi); egli ottiene così i favori e i doni compresi in tutte le Stazioni e i Gradi (marâtib), senza alcun costo né sforzo da parte sua”; Istilâhât, p. 51.
²⁷ I due versetti citati sono inerenti a due diverse tipologie di visione dell’Assoluto: la Contemplazione (mushâhada) e la Visione vera e propria; il aggio dalla Contemplazione alla Visione è implicito nelle parole di Mosè, che già contemplava Dio ma Gli chiede di vederLo; il secondo versetto si riferisce all’ascensione di Muhammad, nel corso della quale egli, secondo l’opinione comune, vide Dio, anche se vi è divergenza tra chi sostiene che Lo abbia visto con gli occhi fisici e chi con la vista interiore. Per una dettagliata analisi di questi aspetti della Visione vedi P. Urizzi, op. cit., parte prima, in particolare pp. 40-41, 56-57.
²⁸ Nel Sharh ‘alâ Fusûs al-hikam, cit., p. 330, il Commentatore identifica questo personaggio con Abû Yazîd al-Bistâmî.
² I Ravvicinati sono menzionati nel Corano come gli eletti che hanno trasceso la distinzione tra le Genti della Destra e le Genti della Sinistra e sono i più prossimi a Dio; nel Sufismo rappresentano la categoria più elevata della Santità; vedi M. Chodkiewitcz, Le Sceau des Saints, cit., pp. 41, 142-143.
³ “L’Unione è la Visione del Principio senza quella del creato”, mentre “l’Unione dell’Unione è la Visione del creato come esistente tramite il Principio; viene anche chiamata la Separazione dopo l’Unione”; Istilâhât, p. 19. Qâshânî definisce il aggio dall’Unione alla separazione come meta finale del viaggio spirituale: “Il viaggio in Dio e tramite Dio, per raggiungere la perfezione: la Stazione della Permanenza dopo l’Estinzione, e della Separazione dopo l’Unione (al-farq ba‘da al-jam‘)”; Istilâhât, p. 87.
³¹ “Gli Stati spirituali (ahwâl) sono doni da parte di Dio; rappresentano il frutto delle buone azioni che purificano l’anima e il cuore, oppure scendono come puro favore da parte del Principio [...]”; Istilâhât, p. 6.
³² Letteralmente ed astronomicamente il termine istiwâ’, che tra l’altro serve anche a designare l’Equatore, in arabo “linea dell’istiwâ’”, definisce la posizione del sole quando è perfettamente perpendicolare alla terra.
Glossario dei termini arabi
adh-dhât al-ahadiyya: l’Essenza Assoluta, 1, 2, 3
adh-dhât al-bâqî: l’Essenza Imperitura, 1
af‘âl: Atti, 1
ahadiyya: Unità Assoluta, 1, 2
ahkâm: statuti, 1
ahl al-bayt: le Genti della Casa, 1
ahl as-sunna: le Genti della Tradizione, 1
ahwâl: Stati spirituali, 1, 2
al-jadhba al-maghlûbiyya: l’attrazione soverchiante, 1
‘alâ mâ hiya ‘alay-hi: per ciò che essa è, 1
‘alam al-mithâl wa ‘alam al-malakût: Mondo della Similitudine e Mondo della Regalità, 1
‘alam al-mulk: Mondo del Regno, 1
al-amr at-tadbîrî: l’Ordinamento cosmico, 1
al-arwâh al-mujarrada: gli Spiriti Informali, 1
al-azal: la pre-eternità, 1
al-Bâqî: L’Eterno, 1
al-fânî: il contingente, 1
al-farq ba‘da al-jam‘: la Separazione dopo l’Unione, 1
al-fath al-mubîn: l’Apertura Evidente, 1
al-fath al-mutlaq: l’Apertura Assoluta, 1
al-fath al-qarîb: l’Apertura Immediata, 1
al-ghayriyya: l’alterità, 1
al-ghuyûb: le realtà nascoste, 1
al-hadrat al-ahadiyya: la Presenza dell’Unità Assoluta, 1, 2
al-hadra al-ilâhiyya: la Presenza Divina, 1
al-hadrat al-ilâhiyya wa al-wâhidiyya: la Presenza della Divinità e dell’Unicità, 1
al-haraka al-irâdiyya: il movimento volontario, 1
al-hiss wa ash-shahâda: [Mondo] sensoriale e della Manifestazione, 1
al-hubb adh-dhâtî: l’amore essenziale, 1
‘âlim ‘ârif ghayr muhibb: un sapiente e un conoscitore, non un amante, 1
al-insân al-kâmil: l’Uomo perfetto, Universale, 1
al-kawm al-jâmi‘: l’Essere Totalizzante, 1
al-latîfa al-insâniyya al-mujarrada: la facoltà trascendente dell’essere umano, 1
al-mawhûm: l’illusione, 1
al-mithâl wa al-khayâl: [Mondo] della Similitudine e dell’Immaginazione, 1
al-qutb al-jâmi‘: il Polo Totalizzante, 1
al-wajh: il Volto Divino, 1
al-wajh al-bâqî: il Volto dell’Eterno, 1
al-wujûd al-mawhûb al-haqqânî: il dono principiale dell’esistenza, 1, 2
an-nafs an-nâtiqa: l’anima raziocinante, 1
an-nûr adh-dhâtî al-ahadî: la luce dell’Essenza Assoluta, 1
‘arîf: Conoscitore, 1
ar-rûh al-hayawâniyya: lo spirito vitale, 1
ashâb al-qulûb: le Genti del Cuore, 1
ash-shâ’n: l’Opera Divina, 1
ash-shaykh al-akbar: il Sommo Maestro, 1
ash-shu’ûn al-asmâ’iyya: le Operazioni dei Nomi Divini, 1
as-sifât wa al-asmâ’: gli Attributi e i Nomi Divini, 1
at-tajallî adh-dhâtî: la Teofania dell’Essenza, 1
at-tajallî al-awwal: la prima teofania, 1
at-tajallî ath-thânî: la seconda teofania, 1
at-talab wa al-wijdân taw’amân: la richiesta e l’estasi sono gemelle, 1
at-tawajjuh al-ijâdî: l’Atto Esistenziatore, 1
‘ayn: occhio, essenza, fonte e Principio, 1
‘ayn al-jam‘: Visione Unitiva, conoscenza dell’Unità, 1 ,2
‘ayn al-kâfûr: la Fonte di Canfora, 1
‘ayn at-tafsîl: la Visione Distintiva, 1
baqâ’: Permanenza, 1
dhât Allâh: Essenza Divina, 1
dhawq: gusto, 1
dawrî: per gradi 1
fanâ’: Estinzione, 1
fanâ’ an-nafs: l’estinzione dell’ego, 1
fath: Apertura, 1
ghalabat as-sirr: il prevalere del segreto, 1
hadrat adh-dhât: Presenza dell’Essenza, 1
hadrat al-ahadiyya: Presenza dell’Unità Assoluta, 1
hadrat al-jam‘: Presenza Totalizzante, 1
hadrat al-ulûhiyya: Presenza della Divinità, 1
hadrat al-wâhidiyya: Presenza dell’Unicità, 1, 2, 3
hâl: stato spirituale, 1, 2, 3
haqîra: la verità, Verità Suprema, 1, 2
haqîqat al-haqâ’iq: la Realtà Suprema, 1
haqîqat al-kibriyâ’: l’essenza dell’Infinità Divina, 1
hayâkil at-tawhîd: i Templi dell’Unione, 1
huwiyya: ipseità, 1
‘ilm: scienza, 1
imâm: guida, 1, 2, 3, 4
‘inâya: provvidenza, 1
ishâra: segno, 1
‘ishq: desiderio ardente, 1
isqât al-jamî‘: la cessazione di ogni relazione, 1
isti‘dâd: Predisposizione, 1
istiqâma: Rettitudine, 1
istiwâ’: posizione del sole perpendicolare alla terra, 1
ithnayniyya: dualità, 1
jabarût: [Mondo della] Potenza, 1
jadhb adh-dhât: l’Attrazione dell’Essenza, 1
jadhba: Attrazione divina, 1
jadhbat al-ahadiyya: l’attrazione dell’Unità Assoluta, 1
jam‘: Unione, 1
jamâl: Bellezza Divina, 1
junûn ilâhî: estasi divina, 1
kamâl: perfezione, 1
kâmil: perfetto, 1
kashf adh-dhât: lo svelamento dell’Essenza, 1
kashf subuhât al-jalâl: lo svelamento delle Glorie della Maestà Divina, 1
khatm al-maqâmât: Sigillo delle Stazioni, 1
khayâl: Immaginale, 1
kibriyâ’: Infinità Divina, 1
kibriyâ’ adh-dhâtî: Infinità dell’Essenza, 1
kullu-hâ hadarât li-l-Haqq: ciascuno di essi rappresenta una Presenza del Principio, 1
majâlî: Determinazioni Universali, 1
majân: gratuito, 1
majânîn: Folli d’Amore, 1
malakût: [Mondo della] Regalità, 1
ma‘lûm: la conoscenza, 1
ma‘nâ: realtà spirituale, 1
manâzil: Dimore spirituali, 1
maqâmât: Stazioni, 1
maqâm al-baqâ’: Stazione della Permanenza, 1
maqâm al-fanâ’: Stazione dell’Estinzione, 1, 2
maqâm al-ikhlâs: Stazione della Sincerità, 1
maqâm al-khatm: Stazione del Sigillo, 1
maqâm al-qalb: Stazione del Cuore, 1, 2
maqâm al-qurb wa at-tamqîn: Stazione di Prossimità e Stabilità, 1
maqâm al-wahda: Stazione dell’Unità, 1
maqâm al-wilâya: Stazione della Santità, 1, 2
maqâm an-nafs: Stazione dell’Anima, 1
maqâm ar-rûh: Stazione dello Spirito, 1
maqâm as-sahw ba‘da as-sukr: Stazione della Sobrietà dopo l’Ebbrezza, 1
maqâm as-sukr: Stazione dell’Ebbrezza, 1
maqâm at-takmîl: Stazione del Perfezionamento, 1
maqâm at-talwîn: Stazione della Colorazione, 1
maqâm at-tawhîd: Stazione dell’Unione, 1
marâtib: Gradi, 1, 2
marâtib al-wujûd: gradi dell’esistenza, 1
martaba adh-dhât al-ahadiyya: Grado dell’Essenza Assoluta, 1
mazâhir: luoghi epifanici, 1
mawjûdât: le cose esistenziate, 1
min azal al-azâl: da tutta l’eternità, 1
min al-jam‘ilâ at-tafsîl: dall’Unione alla separazione, 1
mujarrad: [elemento] incorporeo, 1
mukâshafa: svelamento, 1
mulk: [Mondo del] Regno, 1
muqarrabîn: i Ravvicinati, 1
mushâhada: Visione, Contemplazione, 1, 2
musta‘idd: colui che è predestinato, 1
mutâla‘a: conoscenza, 1
mutawassit bayna al-murîd wa al-muntahî: posizione intermedia tra chi è agli inizi e chi ha raggiunto il termine del viaggio, 1
nafî: rimozione, 1
nafs: anima, 1, 2, 3
nafsiyya: relativa all’anima, 1
naqsh khayâlî: figura immaginale, 1
naqsh mawhûm: figura immaginaria, 1
qâbil: ricettacolo, 1
qalb: cuore, 1, 2
qalbiyya: relativa al cuore, 1
qawm: i sufi, 1
qiyyâm bi-al-Haqq: realizzazione della Verità, 1
qutb kâmil: Polo Perfetto, 1
qutbâniyya: la Funzione di Polo, 1
qudsi-hi: la Propria Sacertà [del Principio], 1
rubûbiyya: Signoria Divina, 1
rûh: Spirito, 1, 2
sâhib: depositario, 45
sâlik: chi percorre la Via, 1
shar‘: la Legge, 1
Shî‘a: Scia, 1, 2
shuhûd: Visione, 1
shuhûd wa ‘ayân: testimonianza e visione diretta, 1
sifât al-Haqq: Attributi Principiali, 1
silsila: catena di trasmissione iniziatica, 1
silsila Kumayliyya: catena di trasmissione iniziatica risalente a Kumayl, 1
sirr: segreto, 1
subuhât: Glorie, 1
suffa: veranda, 1
sulûk: Viaggio iniziatico, 1, 2
Sunna: la Tradizione, 1
ta‘ayyunât: auto-determinazioni, auto-manifestazioni, 1
ta’aiyyunât al-akwânî: auto-determinazioni universali, 1
tahqîq: Realizzazione, 1
tajalliyât adh-dhât: Teofanie dell’Essenza, 1
tajalliyât as-sifât: Teofanie degli Attributi Divini, 1
tajarrud: distacco, 1
tamkîn: Stabilità, 1
tarîqa: confraternita, ordine sufi, 1, 2
tashwîq: incitazione, 1
tawahhum: facoltà immaginativa, 1
tawhîd: Unità, Unicità, l’attestazione dell’Unità, Unione, 1, 2
tawfîq: aiuto divino, 1
‘ubûdiyya: Servitù, 1, 2
ulûhiyya: Divinità, 1, 2
umûr haqqiyya wa umûr khalqiyya: realtà principiali e creaturali, 1
unsi-hi: la Propria Intimità [del Principio], 1
wahda: Unità, 1, 2, 3
wahdat al-wujûd: Unità dell’Essere o dell’Esistenza, 1, 2, 3, 4, 5
wâhida fî al-wujûd : Una nell’Esistenza, 1
wâhidiyya; Unicità, 1, 2
wahy: ispirazione, 1
waqt al-ibtilâj: quando splende la luce del sole, 1
waqt al-istiwâ: la luce del sole al momento in cui non proietta ombra, 1
wujûd: ciò che esiste, Essere, Esistenza, 1
wujûd haqîqî: vera esistenza, 1
wujûd mawhûm: esistenza illusoria, 1
Indice dei personaggi e dei luoghi
Abarqûhî, Nûr ad-Dîn, 1
‘Abd al-Qâdir, [l’Emiro], 1, 2
Abî Khuzâm, F., 1
Abû Bakr as-Siddîq, 1, 2
Abû Hurayra, 1
Abû Sa‘îd, 1
Addas, C., 1, 2
Al-Arabî Ibn Sâ’ih, M., 1, 2
‘Alî Ibn Abî Tâlib, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 ,13, 14 ,15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27
Amir Moezzi, M. A., 1
Âmolî, H., 1,
Ansârî Harâwî, ‘Abdallâh, 1, 2
Asî ad-Dîn, 1
Baghdad, 1
al-Bistâmî, Abû Yazîd, 1
Brockelmann, C., 1, 2, 3
Buzghush, Zâhir ad-Dîn, 1
Casseler, C., 1
Chittick, W., 1, 2, 3, 4, 5, 6
Chodkiewicz, M., 1, 2, 3, 4
Corbin, H., 1, 2, 3, 4, 5, 6
De Laugier de Beaurecueil, S., 1
De Luca, G., 1, 2, 3
Deladrière, R., 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8
De Sacy, S., 1
Diyâ’ ad-Dîn, Abû al-Hasan, 1
Djait, H., 1
Ernst, C. W., 1, 2
Fenton, P., 1
Furlanetto, A., 1
Ghazâlî, Abû Hâmid, 1
Genti della Casa (ahl al-bayt), 1
Gloton, M., 1
Harâzim, ‘Alî, 1
Haqqî,‘A., 1, 2
Hujwirî, 1
Ibn ‘Arabî, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21
Ibn al-Fârid, 1
Ibn Mâja, 1
Ilkhânidi , 1
Isfaraynî, Nur ad-Dîn, 1, 2, 3
Izutsu T., 1, 2
Ja‘far as-Sâdiq, 1
Jâmî, ‘Abd ar-Rahmân, 1
Jandî, Mu‘ayyid ad-Dîn, 1
Jibâl, regione del, 1
Jilî, ‘Abd al-Karîm, 1, 2, 3
Junayd, 1, 2
al-Jurjânî, ‘Alî ibn Muhammad, 1
Kalâbâdhî, 1, 2, 3
Kâsânî, 1
Kâshân, 1
Kâshânî, 1
Kâshî, 1
Khan, M. A., 1
Kîshî, Shams ad-Dîn Muhammad, 1
Kubrâ, Najm ad-Dîn, 1
Kubrâwiyya, 1
Kumayl ibn Ziyâd an-Nakha’î, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21
Landolt, H., 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7
Laoust, H., 1
L’Hopital, J. Y., 1, 2, 3
Lory, P., 1, 2, 3, 4, 5, 6
MacDonald, D. B., 1, 2
Madelung, W., 1
al-Makkî, Abû Tâlib, 1, 2
Massignon, H., 1
Molé, M., 1, 2, 3
Moreno, M.M., 1
Morewedge, P., 1
Mortazavi, D., 1
Mosè, 1, 2
Muhammad, Profeta, 1, 2, 3, 4
Murata, S., 1
Nasr, S. H., 1
Nâsir ad-Dîn, 1
Natanzî, Nûr ad-Dîn ‘Abd as-Samad, 1, 2, 3
Naqshbandiyya, 1
Perego, M., 1
Popovic, A., 1
al-Qûnawî, Sadr ad-Dîn, 1, 2, 3
al-Qushayrî, ‘Abd al-Karîm, 1
al-Qâshânî, ‘Abd ar-Razzâq, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33
al-Qâshânî, ‘Izz ad-Dîn Mahmûd, 1
Qutb ad-Dîn, 1
Ruzbihân Baqlî, Sadr ad-Dîn, 1
Safwat, N., 1
Salmân al-Fârisî, 1
as-Sarrâj, Abû Nasr, 1, 2, 3
Shaibi, K. M., 1
Shaykh al-Mufîd, 1
Shirâz, 1
Shirâzî, Najîb ad-Dîn, 1
as-Simnânî, ‘Alâ’ ad-Dawla, 1, 2, 3, 4
Sirâj ed-Dîn, A., 1
Sprenger, A., 1
as-Suhrawardî, Shihâb ad-Dîn ‘Umar, 1, 2
Tabarânî, 1
al-Tijânî, Ahmad, 1
Urizzi, P., 1, 2, 3
‘Umar, 1
Vâlsan, M., 1, 2 , 3, 4, 5, 6
Veccia Vaglieri, L., 1
Veinstein, G., 1
Ventura, A., 1
Wilberforce-Clarke, H., 1
Indice dei versetti coranici
7 :143, 1
14:34, 1
28:88, 1
40:60, 1
42:15, 1
53:17, 1
55:26, 1
Bibliografia essenziale
‘Abd al-Qâdir al-Jîlânî, Il segreto dei segreti, a cura di P. Urizzi, Giarre, 1994.
‘Abd al-Razzâq al-Qâshânî, Traité. sur la Prédestination et le libre arbitre, Paris, 1978.
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Hujwirî, Somme spirituelle. Soufisme et connaissance. Les compagnons: premiers Califes et Imâms. Les Soufis fondateurs et les confréries. Les onze dévoilements, a cura di D. Mortazavi, Paris, 1988.
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