IL PICCOLO GRUPPO PSICOLOGICO La maggior fioritura degli studi sul piccolo gruppo si verifica negli Stati Uniti tra l’inizio degli anni 30 e la metà degli anni 50. Sul piano internazionale assume notevole importanza il panorama politico di quegli anni caratterizzato dal confronto tra ideologie autoritarie dominanti nel vecchio continente e la nuova frontiera di Roosvelt negli
USA.
Sul piano della dinamica sociale e dello sviluppo economico gli
USA
presentano un complesso di
condizioni che costituiscono per le scienze sociali motivo di particolare attenzione: l’imponente flusso immigratorio, il progressivo svuotamento delle periferie delle città (corneer street society), le esigenze dell’industria in crescente sviluppo che ha stretti rapporti con le nascenti scienze del comportamento (1880, Taylor - scientific management) e l’opposizione al modello taylorista stesso. Relativamente all’interesse per i fenomeni del piccolo gruppo, già nei primi decenni vengono individuate le potenzialità dello stesso come strumento per intervenire utilmente sui disturbi concernenti la salute ed il disagio psichico: -
il tisiologo Pratt rileva che i pazienti che discutono in gruppo guariscono più facilmente di quelli che affrontano la malattia da soli.
-
Moreno avvia a Vienna le prime esperienze di animazione spontanea con bambini, profughi e prostitute
-
Rogers inizia negli stessi anni un’attività di studio e ricerca che sfocerà nella fondazione di “gruppi d’incontro”
-
Bion durante la seconda guerra mondiale avvia la sua esperienza di cura comunitaria della nevrosi gettando la basi per l’uso dei gruppo a fini terapeutici.
In riferimento all’applicazione sociale degli studi sui gruppi notevole importanza riveste il ruolo di Mayo che svolge ricerche sui piccoli gruppi nell’industria tessile ed i particolare si contrappone a Taylor costituendo le basi per la cosiddetta “scuola delle relazioni umane”. Tali studi risultano importanti specie per il cosiddetto effetto “Hawthorne” e per la scoperta che il gruppo tende ad elaborare norme implicite che per tutti i membri del gruppo risultano essere più forti di quelle stabilite dall’azienda. A Kurt Lewin si deve inoltre l’invenzione di due strumenti fondamentali: - il T-group, metodo di formazione attiva del gruppo, non direttiva dove ognuno può acquisire conoscenze sulle relazioni interpersonali, gruppali e intergruppali L’action-research, metodologia di ricerca che consente, mediante il coinvolgimento diretto dei soggetti-oggetto della medesima, di intervenire sulla realtà trasformandola, nel mentre si acquisiscono notizie utili per affinare i metodi di intervento.
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Sul piano metodologico l’apporto di Lewin risulta di basilare importanza per la fondazione di una psicologia di tipo sociale, nella quale assumono rilievo il richiamo alla logica circolare galileana, nella quale assume importanza il contesto nel quale ha luogo un comportamento; e l’introduzione del concetto di “ambiente psicologico”, inteso come la situazione complessiva del momento in cui si manifesta un evento psicologico. L’ambiente deve essere definito psicobiologicamente cioè in base alla sua struttura quasi-fisica, quasi-sociale e quasi-mentale. Il termine gruppo è connotato da un’ampia gamma di significati con il conseguente rischio di equivoci relativi sia alle dimensioni semantico-speculative che a quelle applicative. Un ruolo confusivo può derivare dal tipo di interpretazione del pensiero di alcuni dei padri fondatori come Lewin e Sherif. Relativamente al primo, un aspetto importante concerne la difficoltà di distinguere teoricamente tra piccoli e grandi gruppi e tra dimensioni soggettive e oggettive. La questione sottolineata da Sherif concerne, invece, la teorizzazione della “similarità” tra piccoli e grandi gruppi con riguardo agli studi che analizzano le relazioni dei medesimi con gli ambienti socioculturali di riferimento. Cooley aveva suggerito una prima forma di categorizzazione distinguendo i gruppi primari, caratterizzati da un rapporto di cooperazione faccia a faccia, da vincoli personali tra i suoi membri e da un clima di calore ed intimità; da quelli secondari i quali non avevano queste caratteristiche. La natura del gruppo primario è tale da renderlo la culla delle relazioni sociali sperimentate dall’individuo e la sorgente per quelle che seguiranno; essi infatti offrono all’individuo la prima e più completa esperienza di unità sociale. Per Durkheim il gruppo sociale costituisce per l’individuo una fonte importante di reciproco sostegno morale e psicologico. Notevole rilevanza assumono le definizioni che Lewin fa di macro e micro gruppi come estremi peraltro di un continuum. Il gruppo macro sociale appare rilevante per il suo ruolo nella dinamica delle appartenenze e delle relazioni tra le stesse e le dimensioni identitarie degli individui. Il gruppo micro sociale si caratterizza per le particolari componenti psicologico/relazionali e per l’interdipendenza degli appartenenti che lo costituiscono come totalità dinamica. “il gruppo è qualcosa di più o, per meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: ha una struttura propria, fini peculiari, e relazioni particolari con gli altri gruppi.” Ciò che lo caratterizza è l’interdipendenza tra i suoi membri, ciò che riguarda l’uno riguarda tutti sia come singoli che come insieme.
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Di notevole importanza risulta essere il sentimento di appartenenza che da solo però è insufficiente come criterio per definire un gruppo. In definitiva secondo Lewin a determinare la caratteristica del gruppo sono, insieme alla sua struttura, il tipo ed il grado di interdipendenza. Nell’accezione “macro” il termine gruppo viene riferito ai gruppi sociali estesi, entità di ampiezza indefinita sottesa all’agire sociale ed all’appartenenza dei singoli, condizione per la vita sociale degli stessi. (appartenenze etniche, ideologiche, culturali, generazionali, ecc.) In tale accezione il gruppo può servire a leggere le dinamiche e le tipologie delle relazioni che lo caratterizzano in riferimento alle appartenenze psicologico-culturali, ed alla struttura dell’identità sociale. Lo studio dei fenomeni che riguardano i gruppi macro potrebbe concorrere ad una migliore comprensione della trama relazionale che intesse il quotidiano vivere sociale ed i processi da cui si originano i significati che gli stessi possono assumere nei vissuti individuali e collettivi. Il “piccolo gruppo” sociologico può essere considerato tale soprattutto per una questione numerica e per la condivisione di uno spazio fisico e/o temporale, nonché per l’esistenza di un obiettivo “comune” istituzionalmente ascritto (classe scolastica, apprendimento) o funzionalmente evidente (eggeri di un pullman, stessa destinazione). Si tratta però di una condivisione formale in quanto non è detto che l’obiettivo sia vissuto allo stesso modo da tutti i componenti del gruppo. Il gruppo sperimentale è un particolare tipo di gruppo micro-sociologico utilizzato per le ricerche ed è quindi artificiale. Di rilievo sono le ricerche che riguardano la facilitazione sociale, quelle delle risposte dominanti e quelle sulla laboriosità sociale.
Il piccolo gruppo psicologico secondo la definizione lewiniana si caratterizza come entità psicosociale, come campo unitario. In tale accezione risultano essere indispensabili sia le componenti psicologico relazionali per il comune sentire e cioè interdipendenza e totalità dinamica sia le condizioni in relazione alle quali le stesse si possono realizzare e cioè organizzazione, ampiezza e coesione. Si tratta di condizioni che concorrono a configurare il gruppo psicologico come particolarmente caratterizzato da relazioni dinamiche di tipo vitale tra i suoi componenti, da una storia che li accomuna, da rapporti personali che risentono di tale storia e che sulla medesima si riverberano con effetti immediati, da un sentire profondo che riguarda contemporaneamente, le soggettività individuali e le intersoggettività che articolano la gruppalità. Proprio per il fatto di aver tali caratteristiche il piccolo gruppo psicologico è un insieme numericamente ridotto di persone, 8/12. in linea di massima, la questione della consistenza risulta
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strettamente connessa alla soddisfazione dei bisogni psico-socio-relazionali sottesi alle dinamiche dell’Identità, con riguardo ai processi negoziali espliciti/impliciti mediante i quali (la stessa) torva continuamente conferme o, viceversa, può correre il rischio della squalifica se non della disconferma. Un’altra condizione fondamentale è costituita dal setting face to face, situazione, cioè, tutti i partecipanti interagiscono direttamente di presenza, influenzandosi vicendevolmente. Lo spirito di appartenenza al gruppo può essere indicato dalla “Noità” nel senso di interpretazione condivisa del comune sentire, espressione di un clima psicologico/relazionale che testimonia il aggio dal sentire individuale a quello gruppale. Secondo Lewin ciò che caratterizza il piccolo gruppo psicologico è la sua unitarietà dinamica, il fatto che tutto ciò che riguarda il gruppo nel uno insieme o in una delle sue parti riguarda ciascuno dei componenti. Ed inoltre esso è tale non per il fatto di essere dato a priori ma per il suo divenire. La “nascita” di un gruppo si verifica per la spinta di motivazioni ed esigenze che accomunano più persone, la sua esistenza si snoda lungo un periodo di durata variabile, la sua storia si caratterizza per la qualità delle dinamiche che lo attraversano, per il livello di soddisfazione dei membri e per i risultati raggiunti. È facilmente ipotizzabile che i gruppi attraversino delle fasi. Tuckman ha elaborato un modello relativo al divenire del gruppo fondato sui processi di sviluppo dell’individuo, dalla nascita all’età adulta. Tale modello prevedeva inizialmente quattro stadi: forming, storming, norming, performing, poi diventati cinque con l’aggiunta dell’adjourning, che caratterizzano il percorso evolutivo mediante il quale i membri di un gruppo possono diventare un gruppo maturo che si è dotato degli strumenti adeguati per affrontare con successo il proprio compito. 1) Stadio di FORMING (formazione) È lo stadio in cui i membri fanno la reciproca conoscenza ed iniziano a prendere confidenza con il compito che il gruppo dovrà affrontare. Un gruppo nella fase iniziale della sua storia produrrà poco perché tutti i membri saranno intenti a fare conoscenza. 2) Stadio di STORMING (di conflitto) È lo stadio in cui emergono i conflitti e le differenze individuali e si manifesta la competizione per lo status e per l’assunzione dei ruoli. 3) Stadio di NORMING (normativo) È lo stadio in cui i conflitti vengono risolti mediante la creazione e l’accettazione di norme di gruppo, atteggiamenti e definizioni di ruolo condivise. Durante questa fase si sviluppa e consolida una “cultura di gruppo”, precondizione indispensabile affinché si sviluppino regole condivise e un metodo di lavoro comune. 4) Stadio di PERFORMING (di prestazione)
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È lo stadio in cui si individua un modello stabile di relazioni interpersonali e di funzioni legate al compito che consentono al gruppo di affrontare le sue normali attività e di sviluppare operatività, decisionalità e produttività. 5) Stadio di ADJOURNING (di sospensione) È lo stadio in cui ciascuno comincia gradualmente a ritirarsi sia dalle attività socio-emozionali sia da quelle centrate sul compito. In questa fase di disimpegno progressivo i membri cercano di fronteggiare l’approssimarsi della fine del gruppo. Un altro modello è quello proposto da Forsyth adattato poi da Smith e Mackie. Le fasi individuate dal modello sono 5: -
Formativo: che ha come processo principale l’orientamento (scambio di informazioni, esplorazione del compito, ecc.)
-
Conflittuale: ha come processo principale il conflitto, mancando gli strumenti per risolvere i problemi di interdipendenza, soprattutto relativamente alle decisioni da assumere
-
Normativo: il cui processo principale è la coesione
(formazione consenso, crescita unità,
determinazione di ruoli e compiti ) -
Esecutivo: ha come processo principale la prestazione (energie concentrate sull’obiettivo e orientamento del compito)
-
Conclusivo: che ha come processo lo scioglimento;
riguarda la “morte” del gruppo, lo
scioglimento dello stesso, una volta raggiunto l’obiettivo per il quale si era costituito. Il modello di Forsyth sottolinea che il gruppo è una realtà psicologica in divenire e ha rilevanza per l’identità sociale di ogni suo componente; che le minoranze possono avere un ruolo nella decisione e che il conflitto può essere considerato come risorsa del gruppo. Riguardo lo studio delle minoranze attive ci sono due approcci citati da Serge Moscovici: quello funzionalista, che considera predeterminate le condizioni alle quali devono adattarsi l’individuo ed il gruppo (quindi dipendenza degli individui dal gruppo) e quello genetico, secondo cui il sistema sociale e l’ambiente sono definiti da coloro che vi partecipano e i ruoli e gli stati sociali acquistano significato nell’interazione (quindi interdipendenza dell’individuo e del gruppo e interazione in seno al gruppo). Un altro aspetto importante che viene fuori dal modello di Forsyth è quello della “morte” del gruppo che costituisce un lutto per chi si è identificato con il gruppo. Quaglino ha individuo un modello a tre livelli per il quale il “gruppo” psicologico rappresenta il punto di partenza di un processo evolutivo che ha la sua tappa successiva nel “gruppo di lavoro” e quello finale nel “lavoro di gruppo”. Il “gruppo” secondo tale modello è caratterizzato dall’interazione e la sua esistenza può darsi anche all’interno di un sociale indifferenziato. Si identifica cioè come una pluralità, in interazione, con un valore di legame, che ne determina l’emergenza psicologica e sistemica.
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Il “gruppo di lavoro” si costituisce dentro uno scenario di riferimento, del quale concorre a definire e precisare i confini, ed è caratterizzato dall’integrazione alla quale si perviene mediante interdipendenza. Si tratta di un processo complesso mediante il quale cambia la qualità delle relazioni “del” e “nel” gruppo, caratterizzato dalla maturazione di alcuni schemi psicologici di base: la groupship, la leadership, l’interdipendenza, la collaborazione, la relazione di fiducia, la negoziazione. Il “lavoro di gruppo” costituisce l’evoluzione del gruppo di lavoro la sua maturazione nella definizione della scena dell’organizzazione, come campo d’azione che assicura la persistenza della dimensione gruppo, soddisfacendo la potenziale reciprocità dello scambio e producendo risultati qualitativamente superiori rispetto a quelli individuali. Il modello proposto da Quaglino focalizza l’attenzione sulle esigenze che il gruppo psicologico tende a soddisfare per sopravvivere come entità sociale e sui cambiamenti che il gruppo attraversa. Quelli visti finora sono dei modelli che hanno come sfondo il contesto aziendale; un’altra tipologia di gruppo è quella di “apprendimento” di Devoto e Romanelli che viene utilizzata nei processi formativi. Tale gruppo (GdA) permette di riflettere sul tipo di conoscenze che si hanno, sulla capacità di mettersi in discussione, sul modo di affrontare la realtà professionale, ecc. Ci si riferisce a quelle categorie cioè, che come gli insegnanti, gli operatori sociali, ecc, possono trovarsi in una sorta di “deficit funzionale dell’aspetto informativo”, situazione fortemente caratterizzata dal rischio di una precoce sclerotizzazione del compito e delle proprie istanze operative ed emotive. Relativamente alla metodica, un numero limitato di persone, omogenee dal punto di vista professionale, si riunisce 10 volte per una durata di 2/3 ore ciascuna, insieme ad un conduttore che assegna un tema di discussione, più o meno connesso alla realtà professionale dei partecipanti. Il setting è caratterizzato da una conduzione inizialmente direttiva, che tende però, nel prosieguo, a divenire sempre meno tale, sino a diventare non direttiva. La collocazione nello spazio/tempo è il “là ed allora” cioè ognuno parla di avvenimenti, episodi ed esperienze che riguardano persone e situazioni diverse da quelle relativa al gruppo. Il divenire del gruppo si realizza in sei fasi che ne caratterizzano il processo di locomozione: -
sèvrage – fase iniziale del aggio da situazioni conosciute e prevedibili al altre completamente da sperimentare. Sul piano fenomenologico emerge una forte ambivalenza nei confronti dell’autorità, un rifiuto verbale che esorcizza i fantasmi dell’insicurezza e insieme la richiesta di protezione.
-
Tensione – stati d’animo caratterizzati da emozioni negative, derivanti dall’incertezza e dal disorientamento. Emergono quindi sentimenti di frustrazione e di inadeguatezza.
-
Acting-out – cioè il aggio all’azione che consente di canalizzare la tensione accumulata su un’azione, senza altro motivo che la scarica dell’energia negativa.
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-
Adattamento – aggio dalla centratura sul disagio individuale alla disponibilità per la relazione sociale.
-
Recupero – implementazione delle individuali capacità riorganizzativo/esperienziali, come effetto della progressiva rivisitazione dei modelli precedenti, superamento dei sentimenti di frustrazione,
comune
tensione
verso
la
costruzione
e
condivisione
delle
modalità
interattivo/comunicative, del sistema di regole e valori. -
Inserimento secondario – progressiva maturazione soggettiva e rivisitazione delle abitudini e conoscenze pregresse alla luce delle esperienze realizzate nel gruppo, riqualificazione delle capacità possedute e delle personali modalità di porsi rispetto alle questioni che investono la propria professione nella concreta problematicità del quotidiano.
Il GdA è un modello interessante per l’analisi dei processi di formazione e cambiamento, che prevedono il confronto con gli altri e quindi un cambiamento non solo cognitivo ma anche relazionale. Ne risulta mutata l’identità personale e sociale e il modo di rapportarsi all’autorità; l’esperienza del GdA diventa così l’occasione per mettere in discussione il proprio modo di relazionarsi e per accrescere la propria professionalità. Essenziale per lo studio del gruppo risulta essere la tipologia della leadership che lo caratterizza. Gli stili di leadership sono stati studiati inizialmente dal Lewin che sosteneva che il tipo di leadership influiva sul clima psicologico, sul funzionamento e sugli obiettivi del gruppo. Vediamo ora i vari tipi di leadership: -
Leadership autoritaria: prevede una conduzione autocratica del leader, non dà indicazioni sulla progettualità dell’attività ma comunica i compiti uno alla volta a ciascuno, non partecipa alla vita del gruppo, loda e critica le attività dei singoli e del gruppo senza dare spiegazioni. I componenti del gruppo mostrano dipendenza e sottomissione nei confronti del leader; c’è un clima di tensione, scarsa cooperazione, ostilità, manca la consapevolezza di fare parte di un gruppo (l’Io prevale sul Noi)
-
Leadership democratica: dove il leader incoraggia il gruppo a decidere, indica più possibilità alternative tra le quali scegliere, cerca di insegnare al gruppo la cooperazione, vigila affinché nelle discussioni si sviluppino chiaramente delle prospettive future e le tappe nelle quali l’attività andrà articolandosi. Il leader viene considerato un membro del gruppo e non c’è dipendenza nei suoi confronti (il Noi prevale sull’Io); il gruppo lavora anche in assenza del leader
-
Leadership laissez-faire: dove il leader ha un ruolo prevalentemente ivo, lascia al gruppo l’organizzazione, si pone come un amico. La dipendenza nei sui confronti è bassa e il gruppo risulta scontento e c’è aggressività tra i membri. Il gruppo è poco produttivo, sono scoraggiati
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dalle difficoltà che non riescono a superare; in tale caso si può verificare l’emergere di un nuovo leader che organizzi il gruppo in modo più funzionale. Il gruppo centrato sul leader. Tra le possibili letture del fenomeno leadership, particolare rilevanza assume il setting caratterizzato dalla centratura sul leader delle relazioni e della vita del gruppo, ovvero da una cultura di coppia e dalle attività “in” gruppo. Si tratta di un setting di tipo autoritario, La leadership si deve considerare autoritaria e graficamente può essere assimilata ad una ruota, dove al centro sta il leader. Tale gruppo avrà difficoltà decisionali e relazionali, il leader non accetterà il punto di vista dei subordinati e le conseguenze saranno spesso tragiche. Il gruppo centrato sul leader è caratterizzato dalla cultura della coppia e dall’attività in gruppo dato che il leader è l’unico destinatario delle comunicazioni e dei messaggi inviati dai componenti del gruppo. Bavelas ha distinto tra struttura a stella (o ruota) del gruppo, nel quale una persona sta al centro e comunica con tutti gli altri e struttura a cerchio nel quale tutti comunicano con tutti, quindi quest’ultima è più democratica ed efficace per risolvere compiti complessi. Flament sosteneva che la preferenza per l’una o l’altra di tali strutture dipendeva dal tipo di attività del gruppo. Dalle ricerche viene fuori che il livello di soddisfazione è correlato alle possibilità di partecipazione e nel caso del gruppo centrato sul leader c’è poca soddisfazione poiché la partecipazione/relazione dipende solo dal leader. Inoltre nella situazioni “in” gruppo non viene mai messo in discussione l’autorità del leader e le decisioni non sono prese in gruppo, ma dal capo. La cultura di coppia secondo Spaltro è somma costante, da verità oggettive, dalla coerenza e fedeltà ecc. la dipendenza/controdipendenza è legata alla cultura di coppia ed è tipica dei rapporti emozionali che non tendono a raggiungere dei risultati o a migliorare la qualità del lavoro; la dipendenza porta ad una mancata attivazione di risorse, di idee, di analisi ecc, la controdipendenza porta ad una conflittualità che arresta il cambiamento e le innovazioni. Il fenomeno del capro espiatorio è tipico del gruppo centrato sul leader ed è stato analizzato a diversi livelli: quello antropologico, che lo vedo legato alla cultura cristiano/occidentale; quello sociale, che lo vede legato al pregiudizio, frustrazione/aggressività; quello psicopatologico che lo considera legato alla malattia mentale, come il paziente che si sacrifica per mantenere unito il gruppo famiglia, comportamento ricorrente nei casi di anoressia, schizofrenia e nei fenomeni di devianza. Infine quello psicologico che considera il capro espiatorio tipico di tutti i piccoli gruppi e realtà organizzative e istituzionali con una rilevanza maggiore nei casi di leadership autoritaria. Esso prevede di fissare la propria aggressività sull’oggetto o individuo più idoneo a riceverla, serve per sperimentare l’aggressività, ai membri del gruppo, senza il timore di essere puniti (Spaltro).
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L’oggetto o l’individuo designato come capro espiatorio difficilmente potrà cambiare tale ruolo, essenziale alla dinamica del gruppo, così se scompare il capro espiatorio se ne forma un altro. Il fenomeno del mobbing derivante da to mob “assalire con violenza” riscontrato nel posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti (avviene che la persona attaccata, posta in situazione di debolezza, viene aggredita per lungo tempo) presenta le stesse dinamiche del capro espiatorio. La leadership centrata sul gruppo prevede che ciascuno dei membri del gruppo può essere considerato come leader, tale tipologia è ideale in molti contesti organizzativi (aziende, scuola, sindacati). Tale tipo di leadership prevede una cultura “di” gruppo, cioè relazioni tra soggettività diverse e attività “di” gruppo, centrata sulla gestione funzionale delle relazioni sociali. Per utilizzare l’apporto di tutti è indispensabile l’interdipendenza che focalizza l’attenzione sugli obiettivi da raggiungere e le esigenze connesse. Il clima che si istaura è di cooperazione, dove anche il dissenso è considerato utile al raggiungimento degli obiettivi. L’interdipendenza si caratterizza con una leadership fluttuante per la quale non esistono ruoli prestabiliti, tutti possono essere leader. La creatività è strettamente correlata al lavoro di gruppo e trova grande potenziale nell’eterogeneità dei membri del gruppo; in certi casi però l’eterogeneità può portare a conflitti socio-cognitivi. Se il gruppo riesce a gestire tali conflitti può gestire meglio i problemi e pervenire alla scoperta di idee nuove e originali. Il brainstorming è un metodo elaborato negli USA nel 1938 secondo il quale una persona produce il doppio delle idee se lavora in gruppo. Il setting è quello di un piccolo gruppo di 10/12 persone, con l’assistenza di due animatori, che discutono l’argomento proposto per un tempo compreso tra mezzora ed un’ora, seguendo 4 regole fondamentali:
atteggiamento
avalutativo,
libera
immaginazione,
tendenza
alla
quantità,
e
utilizzazione delle idee altrui. Con tale metodo si liberano tutte le idee che i membri del gruppo hanno circa la soluzione di un problema; esso serve ad aumentare la quantità e la qualità della comunicazione. Per mettere in atto il brainstorming deve esserci un forte sentimento di appartenenza, un clima psicologico aiutante e la sospensione di atteggiamenti critici, altrimenti non si ha produttività del gruppo, ma, come hanno verificato alcuni autori, una maggiore produttività individuale. Spiegel e Torres hanno indicato le linee guida per applicare il brainstorming come ad esempio: far capire l’obiettivo a tutti, incoraggiare la partecipazione, sviluppare un clima d’entusiasmo, evitare di discutere e criticare le idee mentre sono espresse, ampliare le idee altrui, scrivere le idee sulla lavagna.
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La tipologia della leadership e il modo d’essere leader influiscono sulla produttività, sulla dinamica di funzionamento, sulle relazioni e sul clima complessivo del gruppo. Il concetto di autorità e la sua dinamica è ormai considerato come istituito nella realtà sociale e culturale, oggetto di contestazione è stato invece l’autoritarismo inteso come manifestazione di potere sull’individuo. L’autorità risulta comunque indispensabile soprattutto in ambito scolastico, naturalmente il rapporto interpersonale tra studente e insegnante determina un’autorità razionale: più lo studente impara più si accorcia la distanza tra lui e l’insegnante e si dissolve il rapporto di autorità. Mc Clelland sostiene che all’interno del gruppo il leader deve soddisfare dei bisogni sociali: -
bisogno di potere che si traduce in comportamenti aggressivi, critici, autoritari
-
bisogno di affiliazione che si traduce in comportamenti benevoli
-
bisogno di successo che si traduce nella valorizzazione della razionalità, dell’indipendenza, dell’attenzione per i risultati.
La dinamica relativa all’autorità risulta un aspetto fondamentale della conduzione del gruppo, del clima relazionale, dei risultati conseguiti e degli obiettivi strumentali. La qualità della leadership influisce sulla produttività e sulla vita relazionale del gruppo; il leader per risultare efficace deve avere la capacità di analizzare i dati e risolvere i problemi con soluzioni alternative; la disponibilità a cogliere i bisogni e ottimizzare le risorse, la capacità di non subire le sue emozioni ed agire in un clima di reciprocità evitando l’aggressività. I leader orientati alle relazioni producono maggiore soddisfazione e la leadership partecipativa produce risultati migliori di quella autorevole. Il piccolo gruppo nella prospettiva psicologica riguarda il divenire e non l’essere, il cambiamento e non la stasi, la complessità e non la semplificazione. Tale riflessione appare importate in funzione di un uso del piccolo gruppo come strumento sia di conoscenza che di intervento. La conoscenza dei processi che attraversano il piccolo gruppo permette di comprendere importanti fenomeni come i conflitti di coppia, il capro espiatorio, ecc. seguendo una prospettiva epistemologica nuova; laddove, infatti, tali fenomeni venivano spiegati come espressione di particolari caratteristiche personologiche dei soggetti implicati, nella prospettiva gruppale diventano, ad esempio, resistenze al cambiamento funzionali al blocco dell’evoluzione del gruppo e sintomo di un clima eccessivamente attraversato da tensioni a causa di una leadership autoritaria. La conoscenza dei fenomeni che caratterizzano il divenire del gruppo costituisce una sorta di griglia che ci permette di comprendere ciò che concretamente avviene nei gruppi di cui facciamo parte. È un pensare in termini di complessità. Promuovere il cambiamento, superare le situazioni caratterizzate da blocco o da conflitto, pensare creativo e in assenza di minacce per l’identità personale, attivare rivisitazione dei ruoli agiti, specie
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quando questi risultino incidere negativamente sulle personali storie di vite; costituiscono obbiettivi importanti delle discipline psico-sociali e delle professionalità che alle stesse rimandano. Nell’ambito poi delle conoscenze e competenze hanno particolare importanza la capacità di ascolto, fondamentale per la comunicazione, e la problematicità delle dinamiche riconducibili all’identità. Per la capacità di ascolto è importante l’empatia definita come la capacità di proiettare con l’immaginazione se stessi nella posizione di un altro individuo, cioè capire o svolgere il ruolo di un’altra persona, che diventa consapevolezza dei pensieri e dei sentimenti di un’altra persona, la capacità, cioè, di vedere il mondo come questa lo vede. Si parla di saper fare come la capacità di interpretare il ruolo professionale in relazione alle conoscenze specifiche (al sapere) e saper essere come consapevolezza delle modalità di affrontare i problemi. Inoltre a determinare la qualità del rapporto con gli altri contribuisce ciò che traspare dal nostro comportamento e rispetto al quale gli altri reagiscono in un processo di senza fine. Per spiegare il comportamento interpersonale e gruppale Luft e Ingham hanno sviluppato un modello noto come finestra di Johary che rappresenta graficamente la personalità come divisa in 4 quadranti che descrivono il modo di “essere in relazione” del soggetto. Un quadrante rappresenta l’area aperta o pubblica, il secondo l’area cieca, modi di essere non accessibili alla persona ma visibili agli altri, il terzo rappresenta l’area nascosta relativa al privato, quello cioè che vogliamo che gli altri sappiano; il quarto rappresenta l’area ignota o inconscio freudiano. L’area 1 rappresenta la crescita sociale e psicologica, l’accettazione pubblica del proprio modo di essere, la disponibilità a scommettersi, e come scrive Luft, quanto maggiore è l’apertura sul mondo tanto risulta la consapevolezza di sé e l’accesso alle risorse profonde. Tanto più la leadership è centrata sul gruppo tanto maggiori risultano l’ampiezza di tale area e le condizioni funzionali alla crescita personale. L’area 2 rappresenta invece qui comportamenti, sentimenti non accessibili alla persona ma visibili agli altri. Ai fini della qualità della relazione ciò che conta è la percezione che gli altri hanno del nostro comportamento, poiché è in riferimento alla stessa che si comportano nei nostri confronti in un determinato modo piuttosto che in un altro. L’area 3 rappresenta l’area nascosta relativa al privato, a tutto ciò noi sappiamo e che preferiamo gli altri non sappiano. Quando però accade che alcuni dei contenuti di quest’area siano per noi particolarmente sensibili, poiché temiamo che gli stessi possano recarci danno, se conosciuti da altri, allora la situazione può diventare problematica e creare un clima di sospettosità. La formazione è considerata come l’insieme di pratiche rivolte allo sviluppo della società ed è importante formare i cosiddetti formatori, ma anche insegnanti ed educatori. Bisogna formare al cambiamento nella realtà attuale, ma le istituzioni educative sono poco aperte al mutamento perché dovrebbero: dare possibilità ai giovani di partecipare agli ambienti di studio e lavoro, adottare
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modalità di insegnamento fondate su competenze relazionali e comunicative. Bisogna distinguere poi la formazione dall’informazione, quest’ultima si limita infatti a trasmettere un sapere finalizzato ad acquisire una buona forma mentre insegnare punta a mettere qualcosa nell’altro aggiungendolo a quello che già possiede. Il piccolo gruppo diviene tale se i suoi componenti hanno una specifica formazione al cambiamento ed esso stesso costituisce l’occasione per sperimentare il cambiamento.
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