“Adesso applaudite me!”
Storia di Roberta. E di quando incontrò Serena.
di Raimondo Lovati
Titolo | Adesso applaudite me! Storia di Roberta. E di quando incontrò Serena.
Autore | Raimondo Lovati
ISBN | 9788893212465
Prima edizione digitale: 2015
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Prologo
Davanti ai ventimila spettatori dell'Arthur
Ashe Stadium di New York, e a milioni di
telespettatori in tutto il mondo, venerdì 11
settembre 2015 va in scena la seconda
semifinale del torneo singolare
femminile agli US Open.
A sfidarsi sono Serena Williams,
americana, 34 anni, numero uno della
classifica mondiale lanciata verso la
conquista del Grande Slam, il primo da
parte di una tennista dal 1988; e Roberta
Vinci, italiana, 32 anni, numero
quarantatré del ranking mondiale alla sua
prima semifinale della carriera in un
torneo del circuito Open in singolo.
I bookmakers danno la vittoria di Roberta
300 a 1, quotazione che nel vocabolario
delle scommesse sportive si traduce con la
parola "impossibile".
Serena
Ed eccola lì la Dea ferita che conta i suoi
i stanchi verso rete, ogni o un
dolore nuovo, chiedendosi dove troverà la
forza di alzare il braccio per tendere la
mano a quella giocatrice italiana emersa
dai fondali del tabellone, che incredula
guarda il cielo umido di New York.
La sua parte era un'altra, oggi.
Avrebbe dovuto essere un'altra.
Avrebbe dovuto giocare un'onesta partita
da comparsa, godersi la sua prima
semifinale di un torneo del circuito Open,
gli US Open!, contro la numero uno al
mondo.
Avrebbe potuto concedersi qualche bel
colpo, ricevere qualche applauso,
raccogliere la simpatia di rito riservata
agli outsider.
E poi avrebbe dovuto perdere.
Con onore, con grinta, con cuore. Ma
avrebbe dovuto perdere.
Era così che doveva andare.
In fondo era una "aging player out of top
20", come l'avrebbe definita il New York
Times il giorno dopo.
Il finale vero, quello per cui erano
schierati cameraman e fotografi da tutto il
mondo, era un altro.
E allora perché quella che esultava a
braccia alzate al di là della rete era
l'italiana, mentre lei, la numero uno
indiscussa del tennis mondiale, sentiva il
cemento bollente di Flushing Meadows
liquefarsi sotto il peso prepotente del suo
fisico?
Se almeno quel cemento blu l'avesse
risucchiata prima di giungere a rete -
pensava Serena -, purché attorno quella
foresta di occhi sparisse.
Ventimila persone a scrutare il suo volto
come ventimila vampiri in attesa della
prima goccia di sangue.
Mentre il sorriso smagliante dell'italiana
le veniva incontro e la sua figura si faceva
a ogni o più nitida.
Non riusciva a ricordarne il nome.
Forse era Roberta. Si, Roberta Vinci.
Serena non immaginava che Vinci in
inglese si traducesse con Win!,imperativo
del verbo vincere.
Per le meravigliose coincidenze del
destino la tennista che l'aveva fermata a
due i dalla leggenda si chiamava
come il comandamento che aveva scolpito
tutta la sua esistenza:
"Vinci!"
"Vinci, Serena!
“Anche tua sorella è forte, ma...vedi
Serena, tu sei una predestinata" - le
dicevano -, "diventerai la numero uno e un
giorno potresti fare il Grande Slam".
Eccolo, l'altro comandamento: "Grande
Slam".
Un giorno forse, ma non oggi venerdì 11
settembre.
E non qui, a New York.
Quattordici anni fa lei stava
probabilmente giocando a tennis, quella
mattina in cui la storia cambiò. Forse
interruppe per qualche ora gli allenamenti
ma poi, come tutti i campioni, archiviò
quel file troppo ingombrante e tornò a
fissare la stella del suo destino. La stessa
che la guida anche adesso in quei pochi
ma pesantissimi i verso rete.
La mano tesa e il sorriso forzato di chi
pensa già al dopo, a cosa dire in
conferenza stampa.
"Complimenti Roberta, hai giocato un
tennis fantastico".
E poi via veloce nel tunnel
dell'Ashe Stadium.
L'oscurità, finalmente, ma solo pochi
minuti di ristoro. Poi subito di fronte ai
giornalisti, vampiri fra i vampiri, che non
si accontenteranno delle risposte di rito,
vorranno distillati di sofferenza in diretta.
E lei deve essere pronta.
Come sempre.
Proverà inutilmente a spiegare ad una
platea di sordi che Roberta ha vinto
perché oggi, semplicemente, è stata la più
forte.
Chissà se i ventimila spettatori dell'Arthur
Ashe Stadium si erano dati appuntamento
per assistere proprio a quello spettacolo.
Perchè il pubblico esalta i grandi
campioni, ma ama vederli cadere.
Perchè il pubblico è popolo, e il popolo
invidia gli Dei.
Roberta
Roberta ha il cuore che le scoppia nel
petto. Non ci crede ancora. Alza le mani
al cielo. Lo fissa, quel cielo, per non
dimenticarselo più.
É entrata in campo da sparring partner e
ne esce da Regina.
Niente per lei sarà più come prima.
Si è presa New York con un due ore esatte
di tennis capolavoro. Dipingendo una
partita bella quanto un quadro
rinascimentale.
Una delle giocatrici più forti dell’epoca
moderna le sta venendo incontro a testa
bassa, al di là della rete, sconfitta.
Oggi ha vinto lei.
Gli applausi sono per lei.
Devono essere per lei.
L'aveva già capito quando aveva vinto
uno di quei punti che sono come una
profezia.
'Applaudite me! Applaudite me!' aveva
gridato dopo l'ennesima prodezza ai
ventimila dell'Ashe Stadium, per lo più
americani, autoconvocatisi per celebrare il
penultimo atto sulla via del trionfo della
loro Dea del Tennis, amata temuta
invidiata.
Non si contemplavano cambi di
programma.
Era tutto già scritto, tutto previsto. Come
in quei party dell'alta società in cui nessun
dettaglio è lasciato al caso.
Quell'urlo di Roberta non era in scaletta.
Li ha risvegliati dal torpore quando ormai
era tutto chiaro: nessuno aveva informato
quella "semi-sconosciuta" tennista italiana
che rubare la scena alla padrona di casa
non era conforme all'etichetta.
Ma i ventimila dell'Ashe Stadium
avrebbero capito solo alla fine che davanti
ai loro occhi l'unica celebrazione cui
stavano assistendo era quella dello Sport.
Lo Sport in cui nomi e cognomi restano
negli spogliatoi e in campo vanno tendini
muscoli testa talento.
E cuore.
Il cuore di Roberta aveva finalmente
trovato il suo palcoscenico, il teatro ideale
in cui vestirsi d'eleganza e mostrarsi al
mondo.
Il cuore di Roberta, che dopo aver subito
il 6-2 iniziale come da copione, punto
dopo punto l’aveva presa per mano,
cominciando a inventare Tennis.
Con Serena a non capire più nulla, a non
rendersi conto di come fosse possibile che
quelle palle cadessero in zone sconosciute
del campo, irraggiungibili anche per lei
abituata a raggiungerle tutte.
Quella mattina, svegliandosi, Roberta non
immaginava che il suo cuore avesse scelto
il suo cielo.
Quel cuore abituato a battere all'unisono
con un altro cuore di tennista nel doppio,
la disciplina prediletta, quella che le aveva
regalato le soddisfazioni più grandi.
Quel cuore che, nel singolo, aveva spesso
giudicato la propria metà del campo
troppo grande. C'era troppo spazio e troppa
solitudine per chi è abituato a lottare in
squadra.
Osare da soli, fidarsi incondizionatamente
di se stessi, credere nel proprio talento:
una delle sfide più grandi.
Ma Roberta ora è lì, davanti allo speaker
del torneo che le porge il microfono dei
vincitori davanti a quarantamila occhi
increduli, chiedendole cosa prova.
Roberta esita, ha bisogno di tempo e di
stare da sola per un attimo, si rifugia in
trenta secondi di commozione che tolgono
il fiato.
Prima di rientrare in scena ha un dialogo
con se stessa da concludere, deve
congedarsi da quella conversazione
interiore con il suo cuore e il suo talento.
Sussurra qualcosa fra sé, forse è un
"Grazie", forse qualcosa di più, ma quello
è solo per lei.
Per il pubblico ci sarà invece un grande
"Amazing" e un "Sorry Guys" a squarcia
gola, scusate ragazzi se vi ho mostrato che
l'impossibile è possibile.
I bookmakers davano la vittoria di
Roberta su Serena 300 a 1. Puntavi un
dollaro ne vincevi trecento. Puntavi cento
dollari ne vincevi trentamila. C'è gente
che avrebbe potuto cambiare vita se
avesse osato credere all'impossibile.
Qualcuno forse l'avrà fatto, segnando sulla
scheda della giocata quel nome italiano:
"Vinci Roberta".
E Roberta ha vinto.
Ringraziamenti
Grazie innanzitutto a Roberta Vinci e a Serena
Williams che con conosco di persona ma che con le
loro gesta e la loro generosità sportiva hanno ispirato
queste pagine.
E a Paola, che ispira la mia vita.
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Roberta
Ringraziamenti