Alessandro Montagna
Geni discorsi e un contrabbasso
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Table of contents
Introduzione Intervista Breve descrizione di un attimo Chiaro di luna Tre kiwi Era Mattino Contromanifesto della normale umanità Coerenza Ghiaccio Primavera Insonnia Pomeriggio Pomeriggio Ridondanze Just life Ringraziamenti Autoppubblicati
Introduzione
Per un certo periodo di tempo, mi sono ritrovato a causa o tre sere a settimana a bere maraschino e succo d'arancia con uno dei miei migliori amici. Durante queste degustazioni, si parlava di tutto e niente, politica, religione, ragazze, film, musica, storia e geografia; nascevano cosi Discorsi un volte seri, a volte bizzarri, ma comunque divertenti. Approfittavo di queste serate anche per ripetere alcune parti dell'esame di genetica che stavo preparando per l'università. -Oh, ma lo sai che i geni possono ... - solitamente con queste frasi indirizzavo la conversazione su quello che avevo studiato il pomeriggio, in questo modo capivo se ricordavo quanto letto poche ore prima. Inoltre, allora come oggi, non facevo che ripetere quanto mi sarebbe piaciuto comprare un contrabbasso. L'idea di provare a scrivere "qualcosa" nacque proprio durante quelle sere, dove argomenti reali e fantastici si sviluppavano e si incastravano l'uno nell'altro. Quelli presenti in queste pagine, sono proprio il tentativo di mischiare il surreale e il fantastico con la vita di tutti i giorni.
Intervista
Come sta? Mah, insomma, ma poi mica mi interessa.
Che lavoro fa? Bah … non so. Cose diverse, forse tre o quattro lavori a settimana, ma dicono che adesso va così. Si trova bene? Mi trovo a farli punto e basta. Si sente tutelato? Scusi? È protetto nei suoi lavori? Può chiedere a qualcuno se le cose vanno male? Ah, no beh, aspetti. Alcuni lavori sono in nero, no perché, i proprietari di alcune attività dove sono dipendente, dicono che se mi mettono in regola vengono vessati dalla burocrazia e io guadagno meno. Forse hanno anche ragione. Beh, per gli altri lavori … svolgo mansioni per le quali non sono qualificato, quindi i contratti sono un po’ così ... improvvisati e mica posso fare richieste più di tanto. Ma lei ha delle qualifiche? Si. E a cosa le servono?
A non farmi fare i lavori per i quali ho la qualifica. E non dice niente? A chi?
Quindi lei non si lamenta? Non protesta nemmeno? Mah, è che mi dicono che sono fortunato a fare tre lavori diversi e a portare a casa tre stipendi; che là fuori c’è la fila di persone che vorrebbe prendere il mio posto, anche per la metà di quello che prendo io. Che alla fine io, prendo un sacco! Porto a casa tre stipendi!!! Quanto prende, se posso chiedere? Beh al netto di tutto, non guardiamo il lordo, con le detrazioni … 400 euro.
E le bastano per vivere? Vivere? Non so, non mi pare nei contratti ci sia scritto che debba anche vivere. Dice? No, perché avevo capito che io dovevo solo lavorare, erano gli Altri che dovevano vivere. Infatti, una parte del mio stipendio al lordo va proprio agli Altri per farli vivere. Mi hanno spiegato che ci sono persone che se la godono e persone che lavorano. Io in questo turno sono fra quelli che lavorano, siccome il giro prima ero fra gli Altri quelli che se la godono. In realtà non me lo ricordo, ma mi hanno detto di fidarmi.
Ma lei con chi ha parlato?
Mah … spesso parlo al telefono con un’odiosa voce femminile sempre uguale. Deve essere una di quelle tipe fortunate che fa tanti lavori. Forse ha una “non qualifica” da call center. Alla fine però, la centralinista mi ripete sempre: “Gli operatori al momento non sono disponibili. Schiacciare il tasto uno per l’ufficio tasse; due per l’ufficio tributi; tre per parlare con la polizia locale; quattro con la biblioteca; cinque per avere informazioni sull’ultima bolletta”. Poi mi arrivano delle lettere, nell’intestazione mi scrivono sempre: “Caro A., le scriviamo per …”, ma a volte hanno le idee confuse anche loro. Quando guardo Internet invece, trovo sempre uno con la camicia bianca e la cravatta che dice: “State tranquilli”. Mentre in tv, un vecchietto racconta di essere arrabbiato perché non va più a mignotte come prima. Sa … Lui è uno di quelli che sto giro se la deve godere … perché lui ha fatto tanto per l’umanità intera … che poi non so, si dice tutto da solo.
In bocca al lupo per il futuro Ah perché, ho anche un futuro?
Beh, almeno un costume da bagno lo avrà! Vero? No, però ho un contrabbasso, vale lo stesso?
(L’intervistatore declina ogni responsabilità, quanto scritto è opera di una mente umanamente insostenibile).
Breve descrizione di un attimo
Faceva ancora piuttosto caldo per essere il 19 di ottobre. Non era tardi, ma il sole stava già tramontando e allo stesso tempo modificando, insieme alle luci dei semafori e delle auto che affollavano la strada, l’aspetto freddo e inespressivo della città. Forse una metropoli moderna dell’Asia, con i suoi grattacieli dalle mille vetrate o, forse, un rimasuglio della cultura edilizia degli anni 80 di una città americana. La gente comunque affollava i marciapiedi, camminando con i propri pensieri. Una ragazza, dalla pelle chiara, ritoccava il contorno dei suoi occhi con una matita scura davanti ad una vetrina. Il suo cappello nero ad ampia falda cadeva morbido sui capelli rossi, che scendendo svogliati sulle sue spalle mettevano in risalto una sottilissima catenina d’argento, con una stella come ciondolo. “Numero 293”, disse l’altoparlante della sala d’aspetto. Chiusi la rivista, mi alzai e mi diressi verso l’ambulatorio di chirurgia vascolare.
Chiaro di luna
Non dimenticherò mai il temporale che si abbatté su B. la notte del 13 ottobre 2014.
Tutto cominciò con un lampo che illuminò la mia camera a giorno, seguito da un tuono devastante per qualsiasi orecchio umano. Da quel momento, una serie di fulmini si susseguì in maniera strana ed innaturale, rischiarando, a tratti in modo spettrale, quadri e altri oggetti presenti nella mia stanza, impedendomi quasi di riconoscerli e di rintracciare la loro normale familiarità. Inquieto, cercai di trovare nel mio letto la migliore posizione per riposare, ma il latrare dei cani, proveniente dalla cascina vicino, unito al coro eccezionalmente forte, quasi disperato delle raganelle, non mi permetteva di dormire.
Il tutto parve durare un tempo infinito, ma la mia sveglia segnava le 04:54, esattamente un minuto dopo il mio risveglio provocato dal primo tuono.
Di colpo le bestie cessarono i loro lamenti e il ticchettio delle gocce d’acqua, che scendevano a terra a poco a poco, riuscì a tranquillizzarmi. Dopo alcuni istanti di assoluto silenzio, un soffio d’aria gelida mi fece tremare nuovamente e, spalancando gli occhi, mi accorsi, che dalle finestre non entrava più la luce dei lampioni presenti in strada. La notte aveva avvolto ogni angolo di vita.
I miei nervi, già provati dalle tensioni di una esistenza precaria senza certezze, rischiarono di saltare definitivamente, quando mi accorsi che non mi trovavo più
sul mio letto ma su un tavolo, in una stanza dalle dimensioni informi, circondato da un’atmosfera di vuoto orrore.
Una tenue luce sembrava avvicinarsi sempre più a me, ma nessun rumore di i accompagnava i suoi spostamenti. La mia mente cedette di schianto.
Non so cosa successe e come ci arrivai, ma quando riaprii gli occhi un raggio lunare rischiarava la stanza in cui ero, dove un gruppo di sinistre creature si muoveva attorno a me, senza preoccuparsi più di tanto della mia presenza. Nani dal volto bianco, privi di naso, occhi e bocca, vestiti con talari blu e oro, si muovevano in modo discordante, ma ognuno di essi sembrava sapesse al meglio cosa fare, come se seguissero antichi rituali di magia, imparati non so come, non so dove, di certo non sulla Terra, non al tempo degli uomini moderni.
Esausto, cercai di trascinarmi alla finestra, sperando in una via di fuga.
Ad un tratto un suono si levò dal buio. Le vibrazioni immonde che ne scaturirono provocarono una disgregazione delle pareti, mentre le insolite creature, continuavano sempre più velocemente nei loro movimenti irreali. Il pavimento crollò sotto i miei piedi. Con un balzo dettato dal terrore, sfondai l’infisso e finalmente mi ritrovai all’aperto, tra quelle strade che avevano accompagnato ogni mio giorno.
Ecco perché ogni volta che un temporale si avvicina, cerco di allontanarmi il più possibile da casa. È in momenti come questi che la paura entra nella mente, distruggendo ogni ricordo di gioia.
Tre kiwi
Tre kiwi, una banana, un’arancia, una mela e un armadietto con una gamba storta, che comunque regge ancora molto bene. Mezzanotte e sette minuti, un cd che mi piace, mi gira nelle orecchie. Tv spenta, il mio cane dorme, mio padre legge. Strano. Tum tu tuutum, il giro di basso si ripete per tre volte, poi entra la chitarra elettrica, pulita, senza effetti, leggera, forse in levare.
Sembra di essere in Francia nella seconda metà dell’Ottocento. Fuori c’è un po’ di nebbia ma questo non mi preoccupa, ho una carrozza che mi aspetta. I vestiti che indosso, sono i migliori in circolazione, in testa ho una tuba e, nella mano destra spicca un bastone da eggio intagliato dalle mani dei migliori artisti. I cavalli corrono veloci, sanno che non posso tardare, ogni minuto è di vitale importanza, il mio viso pulito, fresco e sereno fino a pochi istanti fa, sta già assumendo un’espressione tesa e i capelli un po’ trascurati, lasciano intravedere il crescere dell’eccitazione. Finalmente arriviamo a una splendida villa sulla riva sinistra della Senna: è qui che ogni notte inizia il mio dolce calvario, tra pareti che sembrano un caleidoscopio di colori, dove lo spazio non ha più dimensioni e il tempo segue ritmi a me sconosciuti, dove i secondi sono ore e i minuti prima mesi e poi anni, dove i suoni diventano immagini e il nulla è l’unica cosa che assuma un senso vero e reale: paura. Mi risveglio, sono a casa, come sempre non ho nessuna voglia di alzarmi dal letto, bestemmio, mi sciacquo la faccia con acqua fredda sperando di ricevere
una scossa, un brivido, qualcosa che mi faccia sentire il cuore battere e il sangue scorrere dentro. Esco di casa, arrivo in città, non c’è la Senna, della sera prima resta solo il viso teso e la stessa sensazione di vuoto.
Era
Era un amore sbagliato, partito come non fosse niente e divenuto un po’ troppo presente. Era un amore che non mi mancava, mi avvolgeva stringendomi stretto, togliendomi il fiato aggrappandosi al petto.
Era un amore di tante parole, locuzioni avverbiali e descrizioni di tramonti sui viali.
Era un amore che non pensava al caro benzina, trasportati in posti che non abbiamo cercato, ma che per sbaglio abbiamo trovato.
Era un amore tenuto un po’ male, tra abiti usati e capelli arruffati.
Era un amore di nuova generazione, stava sempre connesso, da rete fissa o mobile era lo stesso. Era un amore che andava veloce, nessuna meta o direzione, era tutta disperazione.
Era un amore da libreria, troppi autori ci siamo scambiati, fortuna che i libri eran tutti rubati.
Era un amore dalla linea irregolare, pane integrale e birre fino a star male. Era un amore da disoccupati, contando i soldi ogni volta fuori dai supermercati.
Era un amore fatto di alti e bassi, discussioni, pianti e riparazioni.
Era un amore con troppi soggetti: io, tu e cinquecento altri protagonisti dai volti mai visti. Era un amore con una gran confusione, non c’erano orari ma solo abbozzi di programmi sommari. Era un amore a volte un po’ snob, con teatri e format all’avanguardia, rimasti scolpiti nella noia del dopo sbornia.
Era un amore da raccontare, era un amore solo da dimenticare.
Era un amore che violentava il cervello, pesante sotto ogni punto di vista, sconsigliato a chi non ha un analista.
Era un amore frutto dell’immaginazione, scoppiato come una piccola bolla di sapone.
Mattino
Racconto alla maniera di Carver
Tutto grigio fuori. L’inverno in pianura non concede molto spazio ai colori. Nel giardino, un pettirosso cercava briciole o qualsiasi altro cibo, muovendosi a piccoli balzi. Lo guardai per un poco, pensando a come sarebbe dovuta andare, e a come invece andò. Poi mi annoiai anche del pennuto, tirai la tenda e accesi la televisione. La casa era fredda, c’era la caldaia rotta, avvicinai con un piede il termo elettrico al divano e poi mi lascia cadere anch’io su quei vecchi cuscini ormai sfondati, da 40 anni di onorato servizio a sorreggere culi. “I terroristi hanno conquistato anche le coste dello Stato, snodo fondamentale per i commerci e per spingersi verso il sud Europa. Ma iamo alla politica interna. Scontri tra i deputati nella seduta fiume della notte a Montecitorio, 7 ricoverati e 13 espulsi”. Sullo sfondo il televisore parlava da solo. Sbadigliai e mi diressi verso i fornelli, misi a bollire dell’acqua per il the, mangiai due biscotti con marmellata di fragole e poi attesi. Fissai la porta ma non si aprì, in compenso l’acqua evaporò completamente e il padellino per il the iniziò la fusione, lo lanciai subito nel lavandino. Squillò il cellulare, il numero della ditta lampeggiava sullo schermo. Mi dissero: “Oggi niente lavoro, puoi startene a casa”. Non era una novità, ormai lavoravo solo 3 giorni a settimana. Tornai a letto, ma prima di infilarmi sotto le lenzuola gelide, andai in bagno e feci scorrere dell’acqua bollente nella vasca. Ci misi dentro i piedi e li lasciai scaldare. Mi parve di sentire il sangue riprendere il suo flusso. Mi asciugai, infilai le calze e mi buttai a letto ad osservare il soffitto.
Non avevo sonno, ma che altro potevo fare. Non ero uno di quelli che andavano a bere al bar, bevevo a casa, più economico. Di pensieri non ne avevo più, li avevo esauriti tutti, forse qualche attimo prima giù in cucina, guardando quel maledetto pettirosso, pensando a come sarebbe dovuta andare e a come invece andò.
Contromanifesto della normale umanità
Coerenza
Vincent Mello stava fermo, immobile, davanti allo scaffale della narrativa straniera da circa un quarto d’ora. Fissando incredulo il prezzo, 35 euro, teneva in mano la raccolta di racconti di Charles Fante, uno dei suoi autori preferiti. Vincent Mello stava ripensando a qualche giorno prima, quando come cameriere aveva prestato servizio ad una grossa cena di gala. A metà del banchetto, aveva avuto un pesante scambio di opinioni con tre avventori, colpevoli, secondo lui, di avergli mancato di rispetto. Tre clienti su duecento non sono niente per una persona normale, ma non per Vincent Mello, il quale, al termine della serata, rifiutò le mance raccolte (40 euro a testa), affermando che di quei soldi non se ne faceva niente, non voleva la pietà di nessuno. Ecco, Vincent Mello con 5 euro in tasca, davanti allo scaffale della narrativa stava maledicendo la sua stupida coerenza.
Ghiaccio
Odio il ghiaccio. Non posso permettermi di vederne nemmeno un cubetto senza che il mio cuore rischi di esplodere. In questi attimi sento il sangue farsi pesante, lo sento scorrere lento, come se, sempre più denso, si muovesse creando solchi tra le pareti delle mie vene. Come se diventasse ghiaccio. Non mi piace nemmeno la neve, il silenzio che porta quando scende è una musica intrisa di lieve terrore, che grazie a dio solo poche persone sono in grado di percepire. Dei motivi che scatenarono questa mia paura ricordo poco, la memoria è confusa. Gennaio stava per finire, pochi giorni mi separavano dall’esame finale per ottenere il dottorato di ricerca in ‘Genetica delle Popolazioni’, e il mio livello di stanchezza era molto alto. Il timore di fallire e di farmi rubare il sogno di una vita mi causava attacchi di panico. Inoltre, forti dolori al petto provocati da tachicardia ventricolare non contribuivano a migliorare la situazione. Stanco e debilitato, due giorni prima del test decisi di allontanarmi dal laboratorio e di tornare a casa, per ritrovare maggior serenità. Presi il treno di metà pomeriggio, piccolo e con poca gente, l’ideale per rilassarsi. Poco più di trenta minuti di viaggio e poi sarei giunto a destinazione. Il freddo del mondo esterno creava un piacevole contrasto con il caldo del vagone, ci misi poco ad addormentarmi. Nonostante queste gradevoli premesse, caddi in un sonno molto agitato, non c’erano fantasmi o mostri a spaventarmi, solo un grigio orizzonte vuoto e leggeri fiocchi di neve che lenti cadevano al suolo, emettendo atroci lamenti una volta entrati in contatto con la terra. Mi svegliai di colpo ma tutto sembrava normale, persone, luci e colori. Ritrovai la calma, chiusi nuovamente gli occhi e finalmente immagini di gioia e divertimento si impadronirono della mia mente.
Un’improvvisa frenata del treno, unita ad una terribile fitta al petto, mi risvegliarono. Qui l’angoscia si impossessò di me. Guardai fuori dal finestrino, ma il normale paesaggio fatto di pioppi, terreni agricoli e arbusti si era completamente trasformato. Il treno, ora fermo, mi apparve vuoto, freddo e dei miei compagni di viaggio nessuna traccia. Eppure non eravamo partiti da molto. Inoltre, tra i pendolari presenti, alcuni scendevano alla mia stessa fermata e, seppur non conoscendoci personalmente, contavo sul fatto che mi avrebbero svegliato appena giunti a B., dato che tutte le mattine ci si scambiava un’occhiata d’intesa nella piccola sala d’attesa della stazione. Dopo aver inutilmente cercato aiuto tra i vagoni, scesi dal treno e, sotto la neve, iniziai ad esplorare l’ambiente che mi circondava silenziosamente. Mi accorsi che il paesaggio esterno era formato da un’immensa distesa di ghiaccio limpido. I tronchi delle piante erano come statue di vetro, così le erbe e i campi. I miei occhi ancora oggi ricordano quelle fiamme infernali che sotto il suolo trasparente si levavano dal centro della terra. Iniziai a correre per allontanarmi il più possibile da quel posto, da quella pace angosciante che poco a poco si avvinghiava al mio corpo. I movimenti diventarono sempre più lenti, e la neve che mi ricopriva si faceva pesante e solida, compatta. Tentai di scrollarla dai vestiti, ma ormai sembrava un’armatura perfettamente aderente alle mie forme. Caddi stremato. Rimasi immobile per alcuni secondi, osservando le mie dita e i miei polsi diventare ghiaccio trasparente.
Mi svegliai di colpo in preda ad una sorta di eccitazione mista al più profondo terrore. Mi accorsi che in realtà mi trovavo nel mio letto, il mio corpo immobile risultava completamente avvolto dalle coperte, ad eccezione delle braccia, lasciate esposte alla gelida corrente notturna che proveniva dalla finestra socchiusa. A prima vista tutto mi parve normale, ma quando cercai di muovere gli arti superiori, mi accorsi di quanto la pelle fosse rigida e fredda, proprio fino al punto in cui l’armatura di ghiaccio in precedenza li avvolgeva.
Ancora oggi, a distanza di anni, mi chiedo se quel freddo fosse solo frutto di una mente stanca, o di un reale orrore in attesa di compiersi.
Primavera
Siamo ai primi di marzo. Fuori c’è il sole e si sta bene. Fuori. In casa non c’è niente, c’è silenzio, proprio oggi che non mi serve, che non lo voglio.
In un giorno così, mio zio sarebbe venuto a potare le piante, io probabilmente non sarei stato a casa, ma a sera, appena rientrato mio padre mi avrebbe detto: ”Incô è gnüv al siu a pudà i rôs”.
Io avrei riso, immaginando i loro battibecchi sull’altezza in cui tagliare le rose, su quando lavoravano alla Polveriera, o pensando semplicemente ai loro vestiti da lavoro: vecchi jeans sgualciticon camicia e cravatta per mio zio; pantaloni in velluto beige con polo bordeaux, accompagnati da un cappellino bianco e arancione per mio padre. In tutto questo, il mio cane avrebbe continuato nonostante i loro insulti a chiedere carezze a quelle mani graffiate dalle spine. I loro amici, ando in bici o a piedi, li avrebbero osservati e consigliati nel lavoro, alimentando discussioni e polemiche. Poi mio zio sarebbe tornato a casa, ma prima si sarebbe una bella Marlboro rossa senza farsi vedere, se la sarebbe goduta in pace, senza che nessuno lo rimproverasse.
Oggi guardo dalla finestra, il mio cane cerca il sole, le rose aspettano e aspetteranno ancora, perché mio padre dice che è troppo presto. Sbaglia, sono questi i giorni per potare, ma, forse, lui non si riferiva ai fiori.
Insonnia
Appunti brevi su soffitti neri
È tardi ma non ho sonno. Ventidue ore che sono sveglio, ma gli occhi non ne vogliono sapere di chiudersi. Maledetto Morfeo! Tempo per pensare, riflettere ... Ricordare. Cosa non so, ma sento già che farà male, perché è sempre così che succede quando guardi indietro. Belli o brutti che siano stati i giorni vissuti, quando li rivivi, sono solo un opaco velo di pesante malinconia.
Se non riesco più a dormire, penso che la colpa possa essere parzialmente dovuta alla grande scomodità del mio letto, utilizzato ormai da 15 anni. Nonostante giri periodicamente il materasso, non ottengo miglioramenti. Un’altra motivazione della mia insonnia credo possa essere attribuita alla mancanza di sogni. Li ho finiti. Stop, punto, fine, basta. Mi ricordo che prima iniziavo a pensare a qualcosa che mi piaceva e poi … e poi chi si ricorda, mi svegliavo la mattina dopo.
Luci spente, nessuno in strada. Silenzio o quasi. La civetta canta. Conosco quel verso, so cosa vuol dire, perché lo fa. Ma ogni volta che lo ascolto una leggera inquietudine scende sul mio corpo.
Ho proprio un bel carattere, un bel carattere di merda, proprio quello che volevo.
La notte a Milano la odio, fortuna che ci sto poco, anzi quasi mai. I tram che continuano a are, gli operai che fanno i lavori per la metropolitana e poi le cazzo di sirene di qualche ambulanza. Dio! Se voglio stare sveglio voglio farlo per colpa mia, per mia insoddisfazione nei confronti della vita e della gente, non per colpa della gente.
Dovrei riprendere a studiare, quando lo facevo dormivo proprio bene. Il letto diventava superfluo.
Guardo il soffitto tirandomi le coperte fino alla base del mento. Poi appoggio la mano sinistra sopra il cuore e la destra sull’ombelico. Solo quando sono in questa posizione mi vengono in mente idee brillanti, che poi non uso. A letto non porto mai carta e penna, e poi una volta acclimatato chi ha voglia di alzarsi per andare a segnare l’appunto?
Quando spegnevo la luce e in casa non c’era nessuno, non mi sentivo mai solo, giù in cortile il mio cane dormiva profondamente e il suo respiro beato, rimbalzava fin su, tra le pareti della mia stanza, facendomi a poco a poco addormentare. Grazie.
Pomeriggio
Parte uno - Lungo fiume
Il lungofiume pedonale, situato a fianco, ma qualche metro sotto la sede stradale, era impraticabile in quei giorni a causa della pioggia e, solo i più fanatici amanti del footing si spingevano lungo i suoi sentieri melmosi
Era tardo pomeriggio, né io né lei sapevamo dove volevamo andare, dovevamo solo parlarci, “dirci delle cose”. Così, camminando senza meta, ci ritrovammo proprio su quelle stradine infangate e buie. Solo il rumore del traffico e la musica di alcuni locali ci ricordava dove fossimo. Arrivammo fino al vecchio bar dell’imbarcadero, chiuso ormai da diversi anni. Eravamo fermi, lei parlava, io ascoltavo appoggiato alla ringhiera, guardando la riva opposta del fiume. Io non avevo mai tanto da dire e se lo avevo, lo riassumevo in poche parole. Dissi solo: “Fa buon viaggio, siamo stati bene”. Ci abbracciammo, le sue guance calde ma segnate dalle lacrime si appoggiavano alle mie, dandomi fastidio. Il rumore delle nutrie che si tuffavano in acqua, a pochi i da noi, mi fece pensare a quando in quel posto, una sera d’estate con alcuni amici, seduti sui lettini prendisole bevemmo the freddo e mangiammo patatine fritte, circondati da quegli stessi roditori. Di colpo mi staccai e la osservai. Non piangeva per questo addio, altre cose, altre persone erano arrivate più a fondo di me e quel giorno, per caso, riaffiorarono.
Ci spostammo dal fiume, l’aria si faceva sempre più fredda, risalimmo verso il centro storico, alla ricerca di un luogo caldo dove sederci e bere.
Pomeriggio
Parte due - Congedo
Restammo seduti sulla panchina appena fuori dal bar per diversi minuti, senza dirci niente, senza nemmeno guardarci. Io osservavo la gente camminare lungo Corso G., tenendo la testa voltata verso sinistra. Lei fissava qualcosa dalla parte opposta, forse piangeva ancora, ma non ne ero sicuro, il suo viso era nascosto da una grossa sciarpa e da una cuffia bordeaux. Se mi avesse chiesto a cosa stavo pensando, avrei sicuramente risposto: “A niente”. “Non è vero, la gente pensa sempre a qualcosa” avrebbe detto lei. Pensavo che tutto ha una fine e questa era la nostra. Dissi che sarei entrato al bar. Lei mi seguì. Dopo un sorriso al barista ordinammo due bicchieri di vino e restammo in silenzio nuovamente. Bevvi con calma, mangiando crostini alle verdure, patatine e pizzette. Stanco della situazione chiesi se potevo baciarla, disse di no. Mi voltai e uscii, non provai nessun dispiacere, nessun sentimento. Camminai per la strada affollata. Presi il cellulare e feci un numero. “Ehi questa sera ci beviamo qualcosa?” domandai. “Chiaro. Tra 10 minuti al Mhaierlhings, gli altri stanno andando là” disse la voce uscendo dal telefono. Avevo proprio voglia di vedere i miei amici.
Ridondanze
Anche oggi tutto mi ha lasciato vuoto. Il cibo non mi riempie, la lettura non mi riempie, il tuo pensiero non mi riempie, che poi magari nemmeno esisti e allora provo con la musica ma scivola via come niente. Mi faccio schifo certi giorni, certi giorni nemmeno il bere può dare soddisfazioni. Anche oggi è uno di quei giorni, giorni grigi, come il cielo di fine ottobre. Quei giorni dove la nebbia si mischia con l’inquinamento, dove una pioggerellina fine cade lentamente e non la senti battere sui tetti o sui vestiti, te la ritrovi solo sui capelli, silenziosa e delicata, pronta a farti sentire ancora più inutile. Uno di quei giorni d’autunno che non dicono nulla, questo è oggi e forse sarà anche domani.
Just life
Fumava sigarette sdraiata sul letto. Lo smalto bloody red sulle sue unghie, le conferiva tutta la femminilità e l’eleganza che, un giubbino in pelle nero e una cintura borchiata impegnata a sostenere degli squallidi jeans, cercavano di nascondere. Il suo viso, diafano, portava sul labbro destro un piccolo foro, segno di un piercing ormai abbandonato. Sul collo, nascosti da lunghi capelli neri con riflessi viola, due puntini tatuati, le facevano credere di esser parte anche lei, di quel gruppo leggendario degli “Hollywood Vampires”. Pochi amici la cercavano e lei poche volte cercava loro. Si incontravano, solo quando, la musica portava in città quei gruppi alternativi che tanto le piacevano. Una notte al “Sunset Live Music”, tra la puzza di fumo, le chitarre distorte e la folla di gente che acclamava i propri beniamini, lei si accorse di due occhi, vivi, ma allo stesso tempo fragili e insicuri. Decise di avvicinarsi. Una volta raggiunto quello sguardo, la musica parve sparire. “È solo vita, non aver paura” disse lei guardandolo. Poi lo baciò e tornò nuovamente, a nascondersi fra la massa. Forse, oggi lei non esiste nemmeno più. Lui, invece, ogni giorno, dopo otto ore di lavoro, esce da un anonimo centro commerciale di provincia che un tempo si chiamava “Sunset Live Music”, con ancora sulle labbra il sapore splendido di un bacio vecchio di trent’anni.
Ringraziamenti
Ringrazio la sfortuna, da sempre attenta alla mia persona, ai miei bisogni. Ringrazio la mia famiglia, tutta, chi c’è e chi c’è stato. Ringrazio mia sorella, con cui discuto animatamente ogni volta che la vedo. Ma la ringrazio, perché, nonostante non abbia ancora capito niente né di lei né di me, non smette mai di aiutarmi e credere che io possa andare a lavorare alla BBC come documentarista. Ringrazio i miei amici, perché quando sto con loro, penso che allora al mondo c’è ancora qualcosa di bello. Un grazie a tutti i miei allenatori di calcio, i quali capendo il mio spirito di squadra e la mia voglia di partecipazione, mi hanno sempre messo in panchina. Ringrazio l’heavy metal, lo sleaze metal, il glam rock, il punk, il post punk e il post punk revival. Un grazie all’Università, per non avermi insegnato niente di utile e applicabile al mondo del lavoro. Ringrazio gli anni ottanta e la prima metà degli anni novanta. Un ringraziamento va anche alle forze dell’ordine italiane, per avermi detto: “Questa volta può andare”, dopo che, nella notte più buia, mi hanno “beccato”, perquisito e interrogato, perché colpevole di aver aperto con la chiave il cancello di una casa, la mia. A 200 metri di distanza, in quello stesso momento, i soliti ignoti stavano gentilmente “ripulendo” la cassa e la dispensa del bar Mikehys. Ringrazio tutti quei “writer” (che poi non sono veri writer) che, con le loro filastrocche a sfondo sessuale, imbrattano i muri delle sale d’attesa delle stazioni. Grazie, senza di voi il ritardo dei treni sarebbe insopportabile. Infine un immenso grazie va ai miei millecentotrentasette datori di lavoro, senza di loro tutto questo, non sarebbe stato possibile.
Autoppubblicati
Geni, discorsi e un contrabbasso Dall’inchiostro di Alessandro Montagna Finito di stampare Settembre 2015 Realizzazione progetto Autopubblicati www.autopubblicati.com
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