Stefania Sabadini
Escape
Youcanprint Self – Publishing
Titolo | Escape Autrice | Stefania Sabadini Immagine di copertina | © lassedesignen - Fotolia.com ISBN | 9788891128140 Prima edizione digitale 2013
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Questa è un’opera di pura fantasia. Riferimenti a cose o persone è del tutto casuale.
Le due leggende sulle fate sono tratte dal libro “Il mondo dei Celti” di Bob Curran (titolo originale: “Celtic Lore & Legend”): “La leggenda di Ystrad” e “Come Joan perse la vista da un occhio” ( quest’ultimo tratto a sua volta da Drolls, Traditions and Superstitions of Old Cornwall di Robert Hunt)
Sito Saga: http://CaptureSaga.bookmatch.it/ http://capturesaga.blogspot.it/
Dedicato a mia nonna Angela, mia zia Giovanna, e i miei zii Umberto e Carmela, che ora non sono più qui tra noi. Vi sento accanto a me, in ogni istante della mia vita, come quattro angeli che mi sono stati donati dal Signore per vegliare sul mio cammino. Sarete per sempre nel mio cuore.
Capitolo uno
Il veleno senza ritorno
Una volta oltreato lo specchio, quando lo spazio prese una forma differente, Sarah si guardò attorno confusa. Davanti a lei c’era una lunga distesa erbosa, alle spalle un piccolo sottobosco e, al di là della distesa erbosa, vide un imponente castello… Respirò velocemente non capendo dove potesse trovarsi. Possibile che Morgana avesse commesso qualche errore? O che lo specchio avesse sbagliato destinazione? Ma in che luogo si trovava? Niente di quello che vedeva le era familiare e, in preda all’angoscia, si voltò verso lo specchio che fungeva da portale, per accorgersi che quest’ultimo era sparito. Si guardò attorno spaventata. Decise che avrebbe atteso che Mark, Morgana e Chris fossero arrivati… Perché sarebbero arrivati, vero? Insomma, quando si erano lasciati, Mark e Morgana si trovavano proprio a pochi i da lei, con il povero Chris ferito… E, allora, quanto ci voleva perché la raggiungessero? E se gli uomini di Argantel li avessero nel frattempo raggiunti e… Lenny era vivo: la sua morte, o meglio, la sua scomparsa era stata tutta una farsa. In realtà tutti li osservavano e li controllavano con gli specchi, e aspettavano solo il momento giusto per ucciderli, un po’ come il gatto con il topo. Che cosa sarebbe successo se Renea non le avesse fatto bere quella pozione per poter avere le visione di quello che sarebbe accaduto? Poi si voltò verso il portale: per quale ragione era sparito? Una strana sensazione si impossessò di lei. I minuti avano e di loro nessuna traccia. Si incamminò per qualche metro, poi si voltò di nuovo nella speranza che lo specchio fosse ricomparso, ma non fu così. Si guardò attorno, in cerca di una spiegazione. Forse Morgana li aveva condotti in un altro punto di Dervel… ma non poteva essere, perché a Dervel c’erano solo due portali, glielo aveva detto Morgana. «Ti sei persa?» Sarah sussultò udendo una voce alle sue spalle. Si voltò e vide due uomini che indossavano una divisa che probabilmente doveva appartenere a un esercito, ma
che non riuscì a inquadrare. Gli uomini di Argantel non avevano quella divisa, e gli abitanti di Dervel non avevano tenute militari. Il panico si impadronì di lei. «Come ti chiami?» A parlare era sempre la stessa persona, un ragazzo alto, snello, con la capigliatura dorata. Il compagno, invece, era della stessa statura, di corporatura un po’ più massiccia e i capelli castani legati in una coda non troppo lunga. La fissavano in attesa di una sua risposta. «Dove mi trovo?» chiese Sarah con voce tremante. Il soldato dai capelli biondi rise in modo cinico e disse: «Non sei tu a fare le domande. Allora, come ti chiami? E come mai ti trovi qui?» Sarah si voltò verso la foresta, ma degli altri nessuna traccia. «Che non ti i per la testa di tentare di fuggire!…» disse in tono minaccioso sempre la stessa persona. «Non riusciresti a fare nemmeno un o,» aggiunse. Sarah li guardò con le lacrime agli occhi e disse con voce tremante: «Mi chiamo Sarah e… credo di essermi persa…» «È già un inizio,» commentò l’uomo che aveva i capelli legati in una coda. «E da dove provieni, Sarah, se ti sei persa?» Sarah fissò a terra terrorizzata, non sapendo cosa rispondere. Come avrebbero reagito, quegli uomini, se lei avesse pronunciato il nome di Argantel o quello di Renea? Dove si trovava? Perché era finita lì? E, Mark, dov’era? «Allora?» chiese l’uomo più snello in modo spazientito. «Non abbiamo tempo da perdere con te!» «Io…» cominciò Sarah, ma la voce le si spezzò. «Portiamola dentro, Marcus. In una cella sono certo che le tornerà la memoria!» Sarah li guardò spaventata, indietreggiando di qualche o, ma gli uomini l’avevano già afferrata, ciascuno per un braccio.
«No! Vi prego, lasciatemi!» urlò Sarah in lacrime cercando di divincolarsi. E poi, qualcosa cadde a terra, il rumore attutito dall’erba, ma che non ò inosservato ai soldati. Uno di loro la lasciò e si abbassò a raccogliere l’oggetto. «Ehi, Marcus, guarda un po’?» Alzò l’oggetto per mostrarlo al compagno e Sarah lo vide: era la lucertola, simbolo di Argantel, che era caduta dalla sua tasca. Sarah osservò sgomenta prima l’oggetto, poi l’espressione dei due uomini. L’uomo dalla corporatura più massiccia scosse la testa sconcertato poi, rivolgendosi all’amico, disse: «Portiamola dentro Laorans, poi il sovrano deciderà sul da farsi». L’uomo mise via l’oggetto che aveva in mano e, senza aggiungere una parola, la condussero verso il castello. «Lasciatemi vi prego, non c’entro nulla con Argantel!» gridò in lacrime Sarah cercando di divincolarsi. L’uomo dai capelli biondi l’afferrò e la gettò a terra e, stringendole con una mano il collo fino quasi a farla soffocare, la minacciò: «Un’altra parola e ti ammazzo, mi hai capito?» Sarah non riusciva a respirare, smise di dimenarsi, si limitò ad annuire per quanto le costasse fatica e, il peggiore dei suoi incubi, riprese vita. Quegli uomini la credevano una persona malvagia e la stavano per rinchiudere in una cella in attesa di una sentenza o altro. La mancanza d’aria le causò confusione nella testa, sentì la testa annebbiarsi e, poco prima di perdere i sensi, udì la voce di quello che si chiamava Marcus dire: «Lasciala! Così la stai uccidendo!» e poi, su di lei, cadde il buio più totale.
Morgana dovette trascinare Mark con tutte le sue forze attraverso lo specchio perché, il ragazzo, non ne voleva sapere di varcare il portale. Chris era morto tra le sue braccia e lui non riusciva a farsene una ragione. «Mark, muoviti, Sarah si starà chiedendo che fine abbiamo fatto!»
Sarah… A udire quel nome Mark si decise e ò oltre lo specchio. Avrebbe conosciuto per la prima volta Dervel, Sarah gliene aveva parlato un migliaio di volte e se ne era fatto un’idea. Quando giunsero oltre lo specchio, il paesaggio non combaciava per nulla, eppure gli era familiare, gli era dannatamente familiare… «Stai cominciando a ricordare?», le chiese Morgana con una certa esitazione nella voce. Mark si voltò verso Morgana confuso, poi, nella sua mente, comparvero una serie di immagini e suoni, tutto nel giro di pochi secondi prese forma… Si voltò nuovamente verso Morgana, stordito e incredulo al tempo stesso. «Morgana, questo…» «Ben tornato a casa, Mark…» Quando la donna pronunciò quella frase, un pensiero si materializzò nella sua testa. «Tu… Lo sapevi?» Morgana lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi gli rispose: «Ho capito chi eri da quando è arrivata Sarah, ma non ho potuto fare niente prima… tu eri legato ad Argantel, eri nel suo esercito, eri nell’Ordine… Solo dopo che hai salvato la vita a Sarah, grazie al tuo anello, ho scoperto le tue origini. Avevo bisogno di ottenere la tua totale fiducia per riuscire a portarti via da lì. Poi la situazione è degenerata e…» Morgana scosse la testa. «Devo andare da mio padre!» esclamò il ragazzo. «Che cosa avrà pensato in tutto questo tempo?» Mark fece per avviarsi verso l’imponente castello. «Aspetta, Mark!» Lui si voltò verso Morgana e la guardò in modo interrogativo. «Prima dobbiamo trovare Sarah… Sarà spaventata, non conosce questo luogo». Sarah. Quel nome lo fece fermare. Ora, c’era Sarah… Si sentiva confuso, disorientato. Aveva trascorso quasi quattro anni della sua vita agli ordini di uno dei sovrani più malvagi che potessero esistere, lontano dalla sua famiglia, dai suoi amici, da tutto… Ma là aveva rivisto Sarah, e si ritrovò a pensare che ne era valsa la pena. Ma dove si trovava ora? Perché non era lì ad attenderli? «Sì, hai
ragione, andiamo a cercarla, sicuramente qualcuno l’avrà trovata.» «Bene, altre due visite, dal regno oscuro immagino!» Mark si voltò di scatto verso la voce che gli era familiare. «Attento, Reunan, una simile affermazione potrebbe costarti la vita! Non riconosci il figlio del tuo sovrano, nonché il tuo migliore amico?» Il ragazzo a cui Mark aveva parlato si fece pallido in volto e, sicuro di aver visto un fantasma, si accasciò a terra svenuto. Mark scosse la testa e fece una smorfia. «Il solito imbecille,» esclamò rivolto a Morgana. «Svelta, andiamo a cercare Sarah, qualcuno si occuperà di lui.» Morgana non riuscì a trattenere una risata e si avviò con Mark verso il castello.
Sarah sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a tenere gli occhi completamente aperti. Si sentiva dolorante, era sdraiata su qualcosa di duro con uno strano odore di stantio. Si guardò attorno non capendo dove si trovava e cosa fosse successo: vide un ambiente piccolo, con muri in pietra e, di fronte a sé, delle sbarre: tutto le tornò alla luce. La visione avuta alla Sorgente, la ricerca di Mark al castello di Argantel, Chris ferito e… quel luogo sconosciuto dove però i soldati l’avevano riconosciuta. Mark era scomparso e lei era nuovamente sola nelle mani di soldati che avevano minacciato di ucciderla. E ora cosa sarebbe successo? La storia si sarebbe ripetuta? Si stava già ripetendo… «Mark… dove sei?» Delle lacrime presero a scenderle lungo il viso. «Perché mi hai abbandonata di nuovo?» Perché Morgana aveva voluto che lei li precedesse attraverso il portale? I dubbi l’assalirono. E se Morgana le avesse mentito? Se quella fosse stata tutta una messa in scena? Quale altra spiegazione poteva esserci? Nessuna. Fissò il pavimento sporco e qualcosa attirò la sua attenzione: a metà distanza tra la sua brandina e le sbarre c’era una scatola di velluto rosso che lei riconobbe all’istante. Oh, mio Dio… ma come poteva essere finita lì? E poi ricordò le parole della donna di quel negozio, che quel veleno sarebbe appartenuto per sempre al suo
possessore, o qualcosa del genere. Si alzò dalla brandina e, una volta seduta, si portò le mani alla gola, che le doleva in modo assurdo. Ricordò la mano del soldato che la stringeva e altre lacrime presero a scenderle sul viso. Non poteva accadere di nuovo, non poteva… Si alzò singhiozzando, raggiunse il punto in cui si trovava la scatola in velluto e si inginocchiò a terra. La sollevò con una mano e con l’altra l’aprì. Dentro vide la fiala del veleno. In che modo era giunta lì? Un incantesimo potente? O un’arma per impedirle di rivivere il ato? La posò a terra incerta su cosa fare. Deglutì e sentì un dolore lacerante alla gola. Si portò la mano al collo e, istintivamente, si prese tra le dita la Stella di Alys. Perché quella Stella non l’aveva difesa? Perché il suo potere si era scatenato solo contro Lenny e non contro Arabelle o Argantel, o quei soldati? Forse, il suo potere si attivava solo se qualcuno cercava di impossessarsene con cattive intenzioni e null’altro. Ma che senso aveva? Morgana le aveva detto di portarla sempre, che l’avrebbe difesa e, invece, non era servita a nulla… Altre lacrime le scesero lungo il viso. Si alzò da terra, con la scatolina in mano e raggiunse la brandina. «Bene, vedo che ti sei svegliata» udì dalla voce che apparteneva al soldato che quasi l’aveva uccisa. Sarah fece appena in tempo a nascondere il cofanetto. Quello che si chiamava Laorans aprì la cella, mentre l’altro, Marcus, aveva con sé un vassoio che posò poco dopo a terra. C’era una strana zuppa e dell’acqua e a Sarah venne la nausea solo a vederla. «Siamo in vena di parlare, o cosa?» A parlare era sempre Laorans, il sorriso beffardo, le mani ora poste dietro la schiena. Sarah non alzò lo sguardo, non disse una parola, non si mosse da dove si trovava. «No, vedo che non collabori! Tra un po’ verremo a prenderti e ti porteremo dal sovrano… Chi lo sa, se scopriamo che sei una strega al servizio di Argantel, ti bruciamo al rogo, in onore dei tempi ati! Oppure…» continuò creando una piccola pausa voluta, «ci potremmo divertire insieme, cosa ne pensi? Hai l’aspetto di una che ama divertirsi!» concluse scoppiando in una risata sgradevole. Sarah, seduta sulla brandina, si rannicchiò su se stessa, le braccia attorno alle ginocchia e le lacrime che le rigavano il volto. La storia non poteva ripetersi, non poteva…
«Falla finita, Laorans!» lo azzittì Marcus che era stato in silenzio fino a quel momento. I soldati se ne andarono poco dopo e, quando fu certa che furono lontani, Sarah prese il cofanetto in velluto e ne estrasse la fiala di veleno. Le scesero altre lacrime ma ora era certa di quello che avrebbe fatto. La storia non si sarebbe ripetuta, non poteva ripetersi. Lei lo avrebbe impedito. Ora capì che tutto aveva un senso, era destino che lei morisse. Quando era da Argantel, era andata in fin di vita diverse volte a causa di Lenny, Arabelle e dello stesso sovrano. Mark era riuscito a salvarla tutte le volte, ma questa volta non sarebbe andata così. Questa volta era lei che avrebbe deciso di porre fine alla sua vita, per impedire che la storia si ripetesse. Era incerta se tenere o meno la collanina: l’avrebbe salvata questa volta? Per impedire che ciò accadesse, se la tolse e la posò a terra. Era seduta sul letto confusa, i pensieri che si rincorrevano in modo ritmico e dilaniante. Strinse tra le mani quella fiala dal vetro trasparente e il liquido che sembrava assurdamente innocuo, eppure… Con mani tremanti l’aprì, se la portò alla bocca e ne ingerì il contenuto. Si sdraiò sulla brandina e attese che il veleno fe effetto. Il fuoco prese a divorarla dall’interno, i polmoni non riuscirono più a espandersi e, tutto il corpo, lentamente, si paralizzò, fino a quando non riuscì più a immettere aria. Così segnò la fine della sua vita. Poco prima di chiudere gli occhi e di lasciarsi trasportare dal sonno eterno, rivolse un ultimo pensiero a Mark.
Mark abbracciò il padre ancora frastornato e incredulo per tutto quello che stava accadendo. Il sovrano non riusciva a credere che quello fosse suo figlio, vivo. Gli avevano detto che era morto nella battaglia, contro alcuni uomini di Argantel; questi ultimi avevano appiccato il fuoco all’accampamento dove stavano Mark e i suoi compagni. Nessuno era sopravissuto e si credeva che anche lui fosse morto. Quando si sciolse dall’abbraccio del figlio, Mikael guardò Morgana con occhi di fuoco. «Tu lo sapevi e non mi hai detto nulla!» Morgana era pronta al confronto da mesi ormai. «Se non l’ho fatto è stato per una buona ragione, mi devi credere!» Il sovrano la guardò incredulo. «Sul serio? Mi piacerebbe sentire allora che cosa
ti avrebbe portato a tenermi segreto il fatto che mio figlio fosse ancora vivo!» Nonostante fosse preparata a quella conversazione, Morgana non si era però aspettata che il sovrano si sarebbe arrabbiato così tanto. «Ti spiegherò ogni cosa, ma ora ci devi aiutare a trovare…» «C’era una ragazza con noi, papà» la interruppe Mark. «Una ragazza a cui tengo tantissimo… è giunta qui prima di noi, ma…» «Si tratta di Sarah, Mikael…» Mark guardò confuso Morgana. «Ha attraversato il portale prima di noi ma, quando siamo giunti qui, lei non c’era» gli spiegò Morgana. Lo sguardo di Mark ò da Morgana al padre. «Tu conosci Sarah?» chiese non capendo. «Mark, ora non è il momento!» Lo rimproverò Morgana. «Devi mandare i tuoi uomini a cercarla!» Il sovrano fece per aprir bocca ma dalla finestra si sentì un frastuono insolito. Fecero per andare a vedere di che cosa si trattasse, ma alcune persone irruppero nella sala dove loro stavano. Erano degli uomini al servizio del Re, capeggiati da Laorans e Marcus, che sostenevano Reunan, il ragazzo svenuto alla vista di Mark. «Signore, Reunan sostiene che…» cominciò Marcus, ma si bloccò all’istante, non appena vide Mark. «Oh, mio Dio…» mormorò in preda allo shock. «Mio figlio è vivo, Marcus. È proprio lui, ed è vivo.» Il fatto che dalla voce del sovrano non trasparisse nessuna emozione, non fu dovuto al fatto che il sovrano non fosse rimasto sorpreso nel vedere che il figlio fosse ancora vivo. Tutt’altro. Era solo seccato dall’intrusione non annunciata dei suoi uomini. Marcus era il figlio del sovrano Nikolaz, suo alleato e amico, ma ciò non gli consentiva di contravvenire all’etichetta. «Ma come…» Marcus fece per parlare ma le parole gli morirono sulla bocca.
«Mikael…» lo chiamò Morgana. Il sovrano si voltò verso la donna. «Devi mandare i tuoi uomini a cercare Sarah…» nella voce della donna si percepiva preoccupazione. «Sentitemi bene,» cominciò il sovrano con voce autorevole, «non molto tempo fa è giunta qui una ragazza con i capelli biondi. È importante che voi la troviate. Non conosce questo luogo e potrebbe essere disorientata. Dovete trovarla e trattarla col massimo rispetto.» Marcus e Laorans si scambiarono degli sguardi perplessi. «Abbiamo trovato una ragazza che corrisponde alla descrizione, Signore», esordì Marcus, «ma è pericolosa, proviene dal regno di Argantel, portava con sé un suo simbolo, ha detto di chiamarsi Sarah, ma null’altro, e l’abbiamo portata in cella. Stavamo per venire a comunicarvelo ma abbiamo trovato Reunan a terra svenuto…» «Razza di idioti!» esclamò Mark furioso. «Ma che cosa avete fatto?! Meritereste la morte per questo! Portatemi immediatamente da lei!» Mikael guardò Morgana con un mezzo sorriso, poi disse: «Vedo che non ha perso tempo a rivestire il suo ruolo!» Mark lanciò un’occhiataccia al padre, dopodiché seguì i compagni, con Morgana e il padre dietro di loro. Quando raggiunsero i sotterranei, Mark era livido in volto. Se pur Marcus fosse come un fratello per lui e Laorans uno tra i migliori uomini al loro servizio, ciò che avevano fatto era decisamente imperdonabile e, se solo le avessero torto un capello, avrebbero pagato. Non avrebbero mai dovuto trattare la sua Sarah in quel modo. «Spero per voi che Sarah stia bene, o giuro!…» disse con voce colma di rabbia. «Ma Signore, la ragazza…» «Taci, Laorans» gli ordinò Mark. «Non peggiorare la tua situazione!» «Gli ho detto di andarci piano, Mark, ma tu lo conosci…» Marcus lanciò
un’occhiata a Mark e quest’ultimo lo guardò accigliato. «Che cosa le hai fatto, Laorans?» gli chiese mentre stavano percorrendo i corridoi sotterranei poco illuminati. «Niente Signore, lo giuro, sta bene! Siamo ati poco fa a portarle da mangiare…» Mark fece una smorfia disgustata e replicò: «Se scopro che hai spergiurato sei morto! Sarah diventerà mia moglie, e se le hai fatto del male…» Mark non continuò la frase ma ciò che voleva dire era chiaro a tutti. Marcus, alla parola moglie, guardò Mark incredulo, mentre Mikael prese Morgana per un bracciò e le bisbigliò: «Mio figlio che pensa al matrimonio? Ma che gli hai fatto, Morgana? Il lavaggio del cervello? Ci sarà mica di mezzo la magia nera, vero?» Morgana abbozzò un sorriso nonostante fosse in apprensione per Sarah e mormorò in risposta: «Non ne sei felice? Ti ho tolto da un onere gravoso!» Mikael guardò compiaciuto Morgana. Quest’ultima contraccambiò lo sguardo e fu certa di essersi risparmiata la sfuriata che aveva in mente di farle per avergli tenuto nascosto che il figlio era ancora vivo. «Eccola, si trova qui» disse Laorans bianco in volto. Dopodiché aprì la porta della cella e lasciò are Mark. Quest’ultimo fece per entrare ma si fermò pietrificato da ciò che vide innanzi a sé: Sarah giaceva sdraiata sulla brandina, bianca in volto, il braccio a penzoloni. A terra, un cofanetto in velluto rosso e una fiala vuota. Deglutì a fatica e la raggiunse con un’orribile sensazione allo stomaco. Le prese il volto tra le mani e sentì che era freddo… Poi le sentì il battito cardiaco: non c’era più. Riprovò di nuovo, la scosse, la chiamò, urlò il suo nome, la prese tra le braccia con le lacrime agli occhi. Morgana lo raggiunse spaventata. «Che cosa succede?» gli chiese con le lacrime agli occhi presagendo che fosse successo un fatto orribile. «Che cosa le avete fatto?!» urlò Mark con la voce straziata dal dolore.
«Signore, poco fa…» tentò di parlare Laorans. «Che cosa le avete fatto?» ripeté, la voce ancora alta, ma leggermente incrinata. Morgana si rese conto della situazione e urlò: «No! Sarah…» poi raccolse da terra la fiala e disse con voce debole: «È veleno…» Mark la guardò sconvolto e scosse la testa, continuando a scuotere il corpo di Sarah privo di vita e chiamandola ripetutamente. «Manda i tuoi uomini fuori di qui, Mikael» ordinò Morgana con le lacrime che le rigavano il volto. Quando vide il sovrano guardarla confuso, disse: «Fa’ quello che ti ho detto!» Il sovrano, che non era abituato a ricevere ordini, evitò di sollevare questioni con Morgana. Quello non era il momento. Ordinò ai suoi uomini di uscire e li seguì poco dopo. Morgana e Mark rimasero da soli col corpo di Sarah privo di vita. «Dimmi cosa devo fare, Morgana! Tu che conosci gli incantesimi…» guardò la donna che aveva il volto scosso dalle lacrime. «La mia bambina…» disse Morgana singhiozzando. «No!» obiettò urlando Mark. «Tu sei una strega potente e puoi fare qualcosa, devi fare qualcosa!» Morgana scosse la testa. «È morta, Mark… e di fronte alla morte non c’è niente che si possa fare, nemmeno la magia nera potrebbe riportarla in vita…» «Non è vero… non può essere vero…» Mark strinse Sarah a sé, il corpo freddo, privo di vita… non poteva credere che fosse finita così, non poteva finire così… Che cosa era successo? Che cosa le avevano fatto? Morgana vide solo in quel momento la collanina a terra, la Stella a Dieci punte, e la raccolse, non comprendendo in che modo fosse finita lì. Nessuno avrebbe potuto sottrargliela, nessuno eccetto lei… Guardò la collanina pietrificata, scacciando i dubbi che le si erano insinuati nella testa. E, poi, fece una cosa priva di senso: la mise al collo a Sarah. Mark la guardò come se fosse impazzita.
E tutto accadde in un attimo: una forte esplosione, una luce accecante scaturì contemporaneamente dalla Stella di Alys e dall’anello di Mark e tutti si ritrovarono scaraventati a terra. Mark finì contro le sbarre della cella e poi a terra e, dopo qualche istante di stordimento, fu il primo a riprendersi. Si sollevò e guardò Morgana che giaceva ancora sul pavimento della cella. Aveva aperto gli occhi e stava cercando di rimettersi in piedi. Lui la raggiunse e le allungò una mano per aiutarla ad alzarsi. Una voce debole e familiare giunse alle loro spalle: «Non riesco a muovermi…» Mark, credendo di essere preda di un’allucinazione, si voltò di scatto e, incredulo da ciò che vide, batté le palpebre un paio di volte: Sarah aveva gli occhi aperti. Mark guardò Morgana stranito e vide che la donna stava fissando Sarah con gli occhi spalancati dallo stupore. Lasciò andare Morgana e raggiunse la ragazza, molto lentamente, convinto che la voce sentita fosse frutto della sua immaginazione. Poi, però, vide Sarah aprire e chiudere gli occhi e subito dopo ripetere: «Non riesco a muovermi…» Mark corse da lei, si inginocchiò a terra e, incapace di dire una parola, le accarezzò il viso: non era più freddo. «Sei viva… Dio mio, tu sei viva…» Morgana li raggiunse osservando Sarah stupefatta. Sarah guardò Mark e delle lacrime presero a rigarle il viso: «Tu non c’eri… Perché non c’eri?» disse con voce strascicata, come una bambina. Mark guardò Morgana, poi tornò a guardare di nuovo Sarah. «Mi dispiace, amore mio… Ma ora sono qui.» Le prese la mano ma vide che per portarla a sé doveva alzarla come se fosse un peso morto. «Non riesco a muovere le braccia e le gambe… non ho la forza… arriveranno i soldati… portatemi via di qui…» non riusciva a piangere, anche se delle lacrime le scendevano lungo il viso. Mark guardò Morgana preoccupato e quest’ultima si avvicinò a loro. «Sarah, ascoltami, è l’effetto del veleno che hai ingerito… erà poco a poco. Cerca di chiudere gli occhi e di dormire.»
Mark si chiese come Morgana potesse essere così lucida e pragmatica in un momento del genere. Di solito era un atteggiamento che era abituato ad avere anche lui, con i suoi uomini, durante le battaglie o i semplici addestramenti, ma quella era una situazione totalmente diversa; Sarah era morta e, ora, era di nuovo viva. Come si poteva essere lucidi e razionali di fronte alla morte della persona che si ama? «Portatemi via da qui, vi prego… torneranno i soldati…» «Non torneranno i soldati, amore…» la rassicurò Mark. «Ora ti porterò via da qui, ma tu devi cercare di fare come ha detto Morgana… Devi stare tranquilla.» Poi si rivolse a Morgana: «Credi che possiamo spostarla?» La donna annuì. «Vado a dire a tuo padre di far preparare una stanza.» Poi, guardando Sarah, le strinse la mano e le disse: «Non hai nulla di cui temere, sei al sicuro ora, e starai presto bene». Sarah guardò la donna qualche istante, poi chiuse gli occhi. Morgana percorse i corridoi sotterranei precedendo Mark che portava Sarah sulle braccia. Gli occhi chiusi, il viso pallido, sembrava fosse una bambola di porcellana. Risalite le scale, trovarono il sovrano che stava parlando con Marcus e Laorans. Quest’ultimo continuava a dire che non era stata colpa sua. «Marcus, porta Laorans lontano da qui, portalo in una cella, discuteremo del suo destino più avanti, ora lo voglio lontano da qui o giuro quant’è vero Iddio che lo uccido con le mie stesse mani!» tuonò Mark. Il padre lo guardò con espressione comprensiva e gli occhi leggermente arrossati: pur non avendo avuto modo di conoscere quella ragazza, veder morire una giovane donna non era comunque scena di tutti i giorni. Marcus fece quello che gli venne detto. «Facciamo preparare la stanza per…» cominciò il sovrano con voce esitante «… la veglia funebre e tutto quanto» concluse poi. «Quale veglia funebre?!» sbottò furioso Mark. Sarah, al tono della sua voce, mosse le palpebre in modo impercettibile. «Sarah è viva» continuò con lo stesso tono.
Il sovrano di Livingston guardò Mark attonito, chiedendosi se il figlio fosse in preda al delirio. Morgana non sapeva se ridere o se piangere. Poco più distanti, Marcus e Laorans, che avevano udito tutto quanto, si voltarono di scatto nella loro direzione e guardarono perplessi: con molta probabilità credevano che Mark fosse impazzito. «Mark…» cominciò il sovrano con voce incerta, «Sarah… è morta… È dura da accettare, ma è morta.» Mark sembrava sul punto di perdere la pazienza. Guardò Morgana e quest’ultima disse a sua volta: «Mikael, Sarah è viva». Il sovrano li guardò sbigottiti. «Non c’è tempo per le spiegazioni» continuò Morgana, «fa’ preparare una stanza per lei.» Il sovrano annuì e si avviò di tutta fretta con espressione sconcertata. Morgana si voltò verso Mark e chiese: «Dove sono le stanze?» «Di sopra» rispose Mark che aveva riacquistato un po’ di colorito. «Ti indico io, tu fammi solo strada, nel caso ci sia gente…»
Sarah continuava a dormire. Mark insisté perché la ragazza venisse visitata da un medico, ma Morgana glielo proibì: avrebbe fatto troppe domande a cui non c’erano risposte da dare. Si trovavano nel salotto attiguo alla camera dove dormiva Sarah. La porta leggermente aperta, nel caso lei si fosse svegliata e lo avesse chiamato. Morgana era seduta su un divano antico, dalle morbide imbottiture rivestite in velluto con sfumature di verde chiaro e rosa. Mark era in piedi, troppo nervoso per stare seduto. Agnes, una delle due domestiche che erano state adibite a Sarah, aveva portato loro da mangiare e bere. Morgana aveva assaggiato qualcosa, mentre Mark non era riuscito a toccare il cibo. «Hai idea di cosa sia successo, Morgana?» La donna lo guardò a lungo, scosse la testa, poi rispose: «Proprio non lo so… devo presumere che avesse ingerito quel veleno da non molto… che non fosse… morta da molto… La Stella di Alys e il tuo anello hanno fatto tutto il resto». Mark non riusciva ancora a capacitarsene. «Chiunque le abbia fatto prendere quel veleno è morto!»
Morgana si accigliò. Non riusciva a formulare ad alta voce i propri pensieri, ovvero la possibilità che fosse stata lei ad averlo ingerito, di sua iniziativa, spaventata della situazione. «Non sapevo conoscessi mio padre» disse lui di punto in bianco. Morgana si riscosse dai propri pensieri. «Sì, lo conosco da molti anni, non dovrebbe sorprenderti, i nostri popoli si sono riappacificati» buttò lì con tono incolore. Mark fece un debole sorriso. «È solo che non ti ho mai vista qui,» replicò con semplicità. Morgana abbassò lo sguardo, sopraffatta dai ricordi. «Già» rispose sovrappensiero. «E come fa mio padre a conoscere Sarah?» chiese scrutando la donna con attenzione. Morgana alzò lo sguardo verso di lui. «Questa faccenda è meglio che sia lui a spiegartela. Ne avrete tutto il tempo». «Lei starà di nuovo bene, vero?» la preoccupazione traspariva dalla voce di Mark. «Sì, si rimetterà completamente, appena gli effetti del veleno eranno. Tempo un giorno o due. Le farò una pozione che la farà riprendere più in fretta. Perché non ti siedi, Mark? Sarai a pezzi». «Non sono io a essere morto,» replicò con voce spenta. Morgana lo studiò a lungo, poi chiese: «Perché gli uomini di Argantel vi stavano inseguendo?» Mark la guardò, inizialmente non capendo, poi si ò una mano sul viso, ricordando tutto quanto. «C’erano telecamere ovunque, Morgana…» La donna lo guardò sbigottita, non capendo. «Cosa?» «Dopo che si è vista con te e le hai detto che eravamo in pericolo, Sarah è venuta
a cercarmi al castello». Mark si mosse di qualche o e andò a sedersi accanto a Morgana. «Osman, uno dei due uomini che c’erano la sera della prova del pugnale, le ha detto che mi trovavo in sala riunioni, il che era vero, ma… Le ha dato delle indicazioni non corrette per raggiungerla». Morgana divenne accigliata. Mark lo notò e proseguì: «Il tutto si presume di proposito perché l’ha condotta nei sotterranei del castello dove ci sono vecchie celle in cui anni addietro venivano tenuti i prigionieri». «E per quale ragione l’avrebbe fatto?» domandò confusa Morgana. «Per quale ragione non lo so, Morgana… Fatto sta che, lì, Sarah, ha visto un locale, le cui pareti erano piene di monitor. Si vedevano diversi punti della casa, dove stavamo noi, e altri luoghi, in diversi momenti della giornata… filmati in diretta e non…» «Vi hanno tenuti controllati per tutto questo tempo?» Morgana era sconvolta. «Già… Sarah mi aveva detto più volte che trovava strani gli specchi della casa, che le sembrava di percepire strani movimenti, giochi di luci e ombre… e io la prendevo in giro, le dicevo che era paranoica…» «Usavano gli specchi… Non riesco a crederci! Praticamente, hanno sentito tutto quello che dicevate.» «E hanno visto tutto quello che facevamo, sì.» Morgana gli lanciò un’occhiata e Mark abbassò lo sguardo. «Ma non è tutto,» riprese Mark. «Sarah ha visto che Lenny è ancora vivo». All’udire ciò, Morgana sgranò gli occhi. «Com’è possibile…» Mark scosse la testa. Fece per dire qualcosa ma un rumore nella stanza a fianco lo fece tacere e voltare di scatto. Poi sentì la voce di Sarah e corse da lei. Si avvicinò al suo letto, ma aveva gli occhi chiusi, forse aveva parlato nel sonno. Le accarezzò il viso e, sentendone il calore, Mark sorrise, Sarah era viva. Poi vide la mano di lei muoversi per posarsi sulla sua e stringergliela. Le labbra della ragazza si distesero in un lieve sorriso. «Ti amo, amore mio… Presto starai di nuovo bene,» le sussurrò. Il sorriso di lei, si fece ancora più disteso.
Sarah aprì gli occhi: si sentiva stanca e dolorante come se le fosse ato sopra un camion. La mente era completamente annebbiata. Si guardò attorno e vide un’enorme stanza, una grande portafinestra con delle tende drappeggiate in velluto dalle sfumature rosa da dove filtrava la luce, e ne dedusse che fosse giorno. Era sdraiata in un letto incredibilmente morbido, fatto a baldacchino con delle tende stirate, tutto nella tonalità del rosa. Le lenzuola erano di seta, come la splendida camicia da notte che indossava. Mark non era lì, forse era andato a riposarsi… Si guardò attorno e vide un’enorme stanza, con una grande portafinestra con delle tende drappeggiate in velluto dalle sfumature rosa, tutte le volte che si era svegliata e lo aveva cercato lui era sempre stato lì con lei, non l’aveva mai abbandonata. Nonostante la mente confusa e la stanchezza, ora riusciva a muoversi e a girarsi, si era persino messa a sedere, aiutata da Mark, per bere un intruglio fatto da Morgana, come sempre orrendamente amaro. Ma perché le sue pozioni dovevano sempre avere un gusto così cattivo? Quando aveva chiesto a Mark dove si trovavano, lui le aveva detto che finalmente erano a casa. Lei non aveva compreso pienamente la frase, gli chiese cosa volesse dire, ma lui le rispose che non doveva affaticarsi, che le avrebbe raccontato tutto appena fosse stata meglio. E ora stava meglio. Non comprendeva come avesse fatto a portarla via dalla cella in cui era stata portata dai soldati… Gli chiese dei soldati e lui le rispose che non le avrebbero più fatto del male, che non avevano mai avuto intenzione di farle del male. Ma poi si era bloccato, lo sguardo sconcertato da qualche pensiero che si era insinuato nella sua mente e Sarah sospettava che si trattasse del veleno. Prima o poi lui glielo avrebbe chiesto, era inevitabile… «Sei sveglia…» Sarah guardò nella direzione da dove proveniva la voce e vide Mark… Era in piedi alla porta che le stava sorridendo e indossava degli abiti eleganti, una camicia bianca di un tessuto probabilmente costoso e dei pantaloni neri. Era bellissimo anche se, dal viso, poteva vedere un’enorme stanchezza; probabilmente non era andato a dormire nemmeno un minuto per stare con lei… «Perché non mi hai chiamato?» le chiese raggiungendola. Poi si sedette sul letto accanto a lei e si chinò per darle un bacio.
Sarah non poté fare a meno di notare che aveva un buonissimo profumo. «Speravo che fossi andato a riposare un po’… non hai un bell’aspetto…» «Tu invece sembri stare decisamente meglio,» la canzonò lui. Lei gli fece una smorfia, poi guardandosi attorno gli disse: «Questa stanza è enorme… e così bella… Dove siamo finiti, nel paese delle meraviglie?» Mark le accarezzò il volto, non riusciva a smettere di guardarla e di ascoltarla… se solo ripensava che il giorno prima era… «Ora mi dici dove siamo? Non a Dervel, giusto?» Mark non sapeva come dirle il tutto, da dove cominciare. «No, qui non siamo a Dervel, non siamo nel regno di Renea…» Sarah lo guardò accigliata. «Qui è dove vivo io, Sarah…» Mark la osservò mentre pronunciava quelle parole. Lei lo guardò confusa. «Vuoi dire che…» «Che ora ricordo tutto della mia vita,» concluse lui per lei. Sarah si mise a sedere sul letto e lui si premurò subito di sistemarle i cuscini. «Vuoi dire che… tu vivi in questo posto… Proprio qui?» chiese indicando la stanza. «Diciamo di sì…» Mark stette in silenzio qualche secondo poi le disse: «Te la senti di alzarti? Facciamo solo quattro i verso la finestra…» Sarah annuì. Quando mise i piedi fuori dal letto, Mark le ò una vestaglia color lilla, in tinta con la camicia da notte e anch’essa di seta. Si alzò lentamente, con Mark che la sosteneva, mosse i primi i incerta e con fatica, come se il suo corpo fosse diventato improvvisamente più pesante. Demoralizzata da quella sensazione esitò a continuare. «Non te la senti?» Notando che lei non rispondeva, continuò: «È l’effetto del veleno… Non ti devi preoccupare». La voce di Mark si era fatta improvvisamente seria. Poi la sollevò sulle braccia e la portò verso la finestra. Una vista spettacolare, un immenso giardino, composto da un’infinità di fiori e circondato da siepi che creavano un percorso simile a un labirinto, e al centro una bellissima fontana dove c’erano delle statue che rappresentavano delle ninfe
da cui usciva un forte getto d’acqua. «Santo cielo…» esclamò lei estasiata. Mark la rimise a terra e, sostenuta dalle sue braccia, non riuscì a staccare gli occhi da quella vista. Guardando al di là del parco immenso, vide una collinetta e la riconobbe. «Là è da dove sono arrivata…» disse indicandola. «E questo posto allora deve essere…» «Un castello,» la precedette lui. Sarah lo guardò e notò sul suo volto un’espressione indecifrabile. «E tu vivi qui? In questo castello?» gli chiese confusa. «Sì…» rispose lui. «Perché?» il tono incredulo di Sarah lo fece sorridere. Mark fece per rispondere ma lei prese la parola. «È più o meno come quando vivevi da Argantel?» Mark rise, poi tornò subito serio. «No, vivo qui perché questo castello appartiene alla mia famiglia, a mio padre…» Un’espressione sconcertata apparve sul volto di Sarah. «Non capisco… vuoi dire che…» non riuscì a continuare la frase. Mark posò il mento delicatamente sulla testa di lei e disse tutto d’un fiato: «Mio padre è il sovrano di questo posto, più esattamente di questo Regno che porta il nome di Livingston, come la città Reale dove ci troviamo noi ora». Sarah si sentì mancare. Le mancava l’aria. Si staccò da lui quanto le bastò per vedere il suo volto. Era serissimo, non stava scherzando. Mark era il figlio di un Re? Mark era… «Stai dicendo sul serio?» «Sì, ma…» «Tuo padre è un sovrano? Questo è il suo… il tuo… oh, mio Dio…» Mark poteva aspettarsi un po’ di meraviglia da parte sua, di sicuro non che Sarah ne rimanesse sconvolta. Lei deglutì a fatica, ancora non riusciva a metabolizzare quanto lui le avesse appena detto. «Vuoi dire che… quei soldati…» «Sono degli idioti,» disse decisamente turbato. «Mi dispiace, loro non avrebbero dovuto trattarti in quel modo e Laorans sta pagando per quello che ti ha fatto.
Forse è meglio che torni a letto, sei stata in piedi anche troppo». Lei annuì, sorpresa che avesse cambiato discorso. Gli dispiaceva che l’avessero trattata in quel modo? Tutto qui? Era così che liquidava la cosa? Una volta che fu di nuovo a letto, semisdraiata, lui le disse: «Ho bisogno che mi racconti come sono andate le cose ieri, Sarah… quello che è successo… È un fatto molto grave, e ho bisogno che tu mi dica chi ti ha fatto ingerire quel veleno». Non aveva cambiato argomento, era solo preoccupato per lei perché era stata male. Non aveva lasciato cadere il discorso. Sarah si ritrovò a pensare che forse sarebbe stato meglio che lui avesse cambiato argomento. Lo guardò ma, incapace di sostenere il suo sguardo, incapace di rispondere a quella domanda, si ritrovò a fissare un punto indefinito del letto. «Cominciamo dall’inizio… Ti va?» Lei lo guardò. Vedeva preoccupazione e dolcezza nei suoi occhi. Ma cosa vi avrebbe visto quando avrebbe saputo la verità? «Vi ho aspettato per molto…» esordì con voce tremante. «Voi non arrivavate e… Non sapevo dove mi trovavo. Perché avete tardato così tanto?» Mark non rispose subito. Abbassò dapprima lo sguardo, lo fece poi correre velocemente verso la stanza e, infine, guardandola negli occhi, si decise a rispondere. «Chris non ce l’ha fatta… È morto poco dopo che tu hai attraversato il portale.» A Sarah si gelò il sangue. Scosse la testa e si portò una mano alla bocca: «Non può essere, lui non può essere…» Mark le strinse la mano. «La ferita era troppo profonda. Aveva perso troppo sangue.» «E l’avete lasciato là?» chiese lei scioccata. «Era inutile che…» «L’avete lasciato là!?» urlò lei in lacrime.
«Sarah, non c’era nulla da fare, Morgana ha detto che…» «Non mi interessa cosa abbia detto Morgana, non dovevate lasciarlo là con…» Mark l’attirò a sé e l’abbracciò. «Era morto, Sarah. E gli uomini di Argantel erano a due i da noi… senza contare che tu eri da sola in un posto che non conoscevi…» Sarah singhiozzava. Il povero Chris, il caro Chris, lasciato nelle mani degli uomini di Argantel, in quel luogo… «Povero Chris…» «Lo so… Argantel pagherà anche per questo. Ma ora, Sarah… Ho bisogno che tu mi dica come sono andate le cose qui». E lei invece desiderava solo dimenticare. «Quei due soldati mi hanno trovata e… chiesto cosa ci fi qui e chi ero. Ho detto loro il mio nome ma… Temevo che se avessi nominato Argantel o Renea avrebbero avuto una brutta reazione, com’è stato quando dalla mia tasca è caduta quella lucertola maledetta». Sarah si era staccata leggermente da lui. «Come facevi ad averla?» Lei si sdraiò nuovamente sui cuscini, parlare l’affaticava. «Prima che mi vedessi con Morgana sono stata al villaggio». «Per quale ragione?» chiese lui sconcertato. «Perché odiavo quella casa, con quegli specchi…» rispose lei risentita. Poi fece un lungo respiro e il tono di voce riprese a essere più calmo. «Mancava più di un’ora e non sapevo cosa fare. Così sono stata al villaggio e ho percorso la via che noi non avevamo fatto il giorno prima». Mark l’ascoltava in silenzio. «La donna di quello strano negozio, le fate della notte, mi ha detto di entrare…» «Non mi dire…» disse lui non riuscendo a evitare una punta di sarcasmo. «E lì dentro c’erano tutti quegli oggetti strani, fate dagli occhi spaventosi, troll malevoli… è stato lì che ho visto quel cofanetto in velluto rosso…» L’espressione di Mark si fece cupa. «Vuoi dire che il veleno proviene da lì?» chiese incredulo.
«Più o meno… l’ho trovato lì… quando ho aperto il cofanetto e ho visto che dentro c’era quella fiala, la donna del negozio mi ha detto che, se ero stata attratta da quell’oggetto, significava che mi apparteneva, una cosa così… Mi ha spaventata e me ne sono andata. Ho lasciato il cofanetto in quel negozio, ma prima che arrivassi alla porta, lei mi ha fermata e mi ha dato quella odiosa lucertola dicendomi che era un suo regalo. Ho pensato che, una volta tornata a casa, me ne sarei sbarazzata». «E non l’hai fatto?» «No, perché era tardi e sono andata direttamente da Morgana…» rispose Sarah sulla difensiva. «Poi è successo tutto il resto e mi sono completamente dimenticata di averla ancora con me». Sarah si sentiva nervosa, sotto pressione da quelle domande, e non capiva l’atteggiamento inquisitorio di Mark. Non riprese subito a parlare e, cogliendo il suo silenzio, Mark le disse: «Okay, Marcus e Laorans hanno visto il simbolo di Argantel, e poi?» «Hanno emesso la loro sentenza. Mi hanno portata in quella cella, in attesa del giudizio finale» disse sarcastica. «Perché non hai detto loro…» «Cosa, Mark?!» chiese lei esasperata. «Hanno dato tutto per scontato, ho detto che non c’entravo niente con Argantel ma non mi hanno voluto sentire. Ho tentato di liberarmi dalla loro presa e Laorans mi ha gettata a terra e premuto così forte la gola che ho perso i sensi… Questo te lo hanno detto?!» Sarah era arrabbiata nei confronti di Mark. Lui le aveva parlato come se la colpa fosse stata sua, come se fosse stata lei a non aver spiegato come stavano realmente le cose, come se cercasse un alibi da attribuire a quei due soldati. In fondo, probabilmente, li conosceva da molto più di quanto si conoscessero loro. Non si rese conto che delle lacrime le erano scese furtive sul viso e se ne accorse solo quando Mark posò delicatamente una mano sul suo viso per asciugargliele. «Mi dispiace, Sarah… non volevo farti stare male…» Lei lo guardò, sembrava realmente dispiaciuto, e l’espressione si era ammorbidita. La invitò a continuare il racconto, e lei gli disse di come il cofanetto in velluto fosse ricomparso nella cella, probabilmente per opera di un incantesimo.
«E Laorans l’ha trovato e te l’ha fatto ingerire?» A Sarah mancò il respiro. Era, questo, quello che Mark credeva? Era sconvolto perché uno dei suoi uomini aveva cercato di ucciderla? Desiderava il suo racconto per infliggergli la punizione che meritava? Si sentì morire: come poteva dirgli che si era sentita terrorizzata dalla situazione, che temeva che accadesse quello che era già accaduto in ato, di cui lui non era a conoscenza? «Laorans insisteva perché parlassi» cominciò lei con un filo di voce. «Quando ha visto che tacevo, ha cominciato a dire che avrei fatto la fine delle streghe del ato, bruciata al rogo…» Mark scosse la testa con disapprovazione senza interromperla. «…e, allora, dopo che loro se ne sono andati… ho preso quella fiala e… L’ho ingerita.» Mark non riuscì a pronunciare una parola, l’espressione sconvolta. «Avevo paura» si giustificò lei, «tu non c’eri, e nemmeno Morgana, e io temevo che…» «L’hai ingerito di tua spontanea volontà, il veleno?» la voce era fredda, glaciale, e gli occhi di Sarah si riempirono di nuovo di lacrime, ma lui questa volta rimase imibile. «Come hai potuto fare una cosa del genere, Sarah!?» disse con un moto di rabbia. «Avevo paura! E Laorans diceva…» «Laorans ti ha provocata, ma questa non è una buona ragione per cercare di uccidersi!» esclamò lui alterato. «Pensavi davvero che ti avrebbero bruciata al rogo?» chiese con una punta di sarcasmo. Sarah stentava a riconoscerlo e ne fu turbata. Per quanto il suo gesto fosse stato folle e ingiustificato agli occhi di lui, quella persona che stava di fronte a lei le sembrava un estraneo. «Adesso basta Mark!» la voce di Morgana tuonò nella stanza. Sarah si voltò a guardarla e vide che era scura in volto. «Sarah mi ha appena detto che…» «Ho sentito,» lo interruppe la donna con voce controllata. «Ma non mi sembra il caso e, soprattutto, il momento di continuare questa conversazione. Hai saputo quello che dovevi sapere per decidere la giusta punizione per Laorans, ora però
Sarah deve risposare». «Morgana, ha ingerito il veleno di sua spontanea volontà…» «Ho capito perfettamente». Morgana scandì parola per parola, come se stesse parlando ad un bambino che avesse difficoltà di apprendimento. «Ora, però, Sarah ha bisogno di riposare. Ma non vedi che è stravolta?» Mark non replicò, ma era decisamente livido in volto. Si alzò di scatto dal letto e lasciò la stanza senza dire una parola. Sarah guardò Morgana in modo interrogativo e quest’ultima le sorrise scrollando le spalle. Sarah rimase esterrefatta dalle reazioni di Mark e Morgana. Se le aspettava opposte, come era sempre stato: maggiore comprensione da parte di lui, che le era stato sempre vicino in ogni momento da quando si erano ritrovati, e un’esplosione di rimproveri da parte di lei. Se le era presa tanto con lei per aver sbagliato l’incantesimo su come occultare i libri, e ora, che aveva ingerito un veleno con l’intenzione di uccidersi, era comprensiva? In realtà le disse che aveva sbagliato a fare una cosa del genere, ma che comprendeva lo stato d’animo che l’aveva portata a farlo. E poi l’abbracciò. «Perché non mi hai detto che saremmo venuti qui, Morgana? Mi hai lasciata credere che saremmo andati a Dervel…» La donna rifletté qualche istante prima di risponderle. «Non l’ho fatto perché temevo che tu non saresti riuscita a comprenderne le ragioni, e non potevo spiegarti ogni cosa…» «Mi hai lasciata varcare il portale facendomi finire in un luogo sconosciuto… Credi che ora io comprenda il motivo per cui l’hai fatto?» disse Sarah con un nodo in gola. «No, e mi rendo conto di aver sbagliato… Soprattutto dopo quello che è successo. È stata colpa mia, me ne rendo conto.» «Ma ora…» cominciò Sarah. Morgana la guardò in modo interrogativo. «Non posso restare qui» disse in un sussurrò Sarah. «Sarah… credevo che la cosa che tu desiderassi di più al mondo fosse quella di stare con Mark…»
«Sì, ma non qui, questo posto…» Sarah scosse la testa incapace di continuare. «Ti ci devi solo abituare, e Mark ti aiuterà a farlo» la rassicurò la donna. Sarah nutriva forti dubbi: sul fatto che lei lì si sarebbe ambientata, e che Mark fosse ancora il Mark che aveva conosciuto secoli prima e incontrato di nuovo da Argantel. Lì sembrava essere una persona totalmente diversa. Forse aveva avuto poco tempo per poter affermare una cosa del genere, ma il suo cuore era certo di non sbagliarsi. Non espresse i propri pensieri a Morgana, probabilmente non avrebbe capito e, comunque, se aveva pianificato tutto dall’inizio, dubitava che con quelle semplici parole, avrebbe fatto qualcosa di concreto per cambiare la realtà dei fatti. Solo il tempo avrebbe potuto confermare o meno i suoi timori.
Nei giorni che seguirono, l’atteggiamento di Mark nei confronti di Sarah cambiò in parte. Non riparlò più della faccenda del veleno, era dolce e premuroso nei suoi confronti, ma il tempo che trascorreva con lei era sempre meno. Pranzavano e cenavano non sempre insieme e, comunque, mai soli ma con suo padre, che Sarah aveva avuto modo di scoprire essere una persona squisita. L’atteggiamento autorevole e regale che aveva abitualmente con i sudditi, quando erano solo loro tre, svaniva e, lui, diventava gentile e cordiale. Sarah scoprì che conversare con lui era molto piacevole, se pur intimidita dalla carica che rivestiva: lui era un sovrano, lei una ragazza semplice e di umili origini, a quanto ne sapeva. La madre di Mark era morta quando lui aveva dieci anni per problemi legati al cuore. Mark era molto legato a lei ed era molto restio a parlarne; Sarah aveva visto l’enorme difficoltà con cui lui ne parlava: il suo volto si contraeva in una smorfia di dolore e il suo sguardo diventava turbato e assente, travolto dai fantasmi del ato. Era probabile che, anche se fossero ati diversi anni, ne soffriva ancora molto. Sarah vide il volto della madre di Mark in più dipinti e fotografie: era una donna bellissima, di corporatura minuta, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri come lo zaffiro. Ne poteva cogliere la regalità e l’eleganza. Notò che, mentre nelle fotografie in cui Mark era piccolissimo si poteva cogliere la felicità e la gioia della donna, negli ultimi anni di vita lo sguardo era spento e non sorrideva mai. Poco prima di morire, la madre di Mark, di nome Eilan, gli donò una collanina con un ciondolo di cristallo a forma di cuore. Mark le disse di essere legatissimo a quella collanina, poiché sua madre la portava sempre quando era viva e per lui rappresentava un oggetto di
incommensurabile valore affettivo. Le disse inoltre che non se ne separava mai, e che era stata una fortuna che gli uomini di Argantel non gliel’avessero trovata addosso il giorno della cattura; se l’era infatti casualmente dimenticata nell’accampamento dove risiedeva con le Guardie Reali. A quanto pareva, era stato il sovrano di Livingston a donarla alla moglie, in occasione delle loro nozze. Sarah scoprì che le due governanti, Brigitta e Agnes, erano state adibite a lei a titolo definitivo e non solo per il periodo che lei era stata male. Rimase perplessa quando Mark glielo comunicò: a cosa potevano servirle due governanti? Tentò di fargli cambiare idea ma si ritrovò di fronte a un Mark irremovibile. Questo fu uno dei suoi nuovi aspetti: se lui diceva qualcosa, tale doveva essere e, Sarah, si ritrovò a pensare che presto, tra loro due, ci sarebbero state parecchie discussioni. Come figlio di un sovrano quale era, Mark si ritrovava a rivestire ruoli che lo portavano spesso ad assentarsi per tutto il giorno e, a volte, anche per più giorni. Non cessava di essere affettuoso e di dirle quanto l’amasse, ma il troppo tempo che ava senza di lui la faceva sentire sola e la innervosiva. Aveva imparato a orientarsi nel castello, aveva scoperto che l’ala ovest era adibita esclusivamente a Mark e a suo padre, e le altre persone non vi potevano accedere – eccetto lei, aveva aggiunto Mark – mentre l’ala est era quella in cui risiedevano gli uomini della Guardia Reale (in realtà per uomini erano intesi uomini e donne perché aveva scoperto, con estremo stupore, che nella Guardia Reale c’erano anche delle donne, che avevano ben poco di femminile, se pur si atteggiavano a prime donne.) E, nell’ala est, risiedeva anche lei e questo fondamentalmente doveva significare che era considerata come quelle persone. A quel pensiero, provò una fitta di dolore. Avrebbe voluto leggere nel cuore di Mark, per sapere quello che provava, per essere certa che nulla fosse cambiato, ma si accorse che Mark non era più disinvolto con lei, come prima di giungere lì; controllava di più le sue emozioni, si lasciava trasportare solo se non c’erano altre persone e, a volte, lo sentiva distante, perso nei suoi pensieri, e avrebbe tanto voluto sapere che cosa gli asse per la testa. Forse aveva preoccupazioni legate al ruolo che rivestiva, ma lei ci stava male lo stesso. Lo sentiva distante anche quando erano insieme la sera e si fermava da lei la notte, e questo la portò a chiedersi se lei non fosse fuori luogo o di troppo. Lui non diceva nulla che lasciasse trasparire il contrario o che però confermasse i suoi dubbi.
Capitolo due
La dimora di Alys
«Mi dispiace lasciarti sola ogni giorno…» disse Mark una mattina con voce rammaricata. Aveva trascorso la notte con lei, e si stavano avviando insieme verso l’uscita del castello. Quella frase era divenuta una consuetudine, e Sarah era quasi stanca di sentirgliela dire. «Non preoccuparti…» replicò lei con voce assorta. Mark la guardò per qualche istante. «Che cosa farai di bello?» le chiese con tono incerto. E che ne so? Avrebbe voluto rispondere. «Pensavo di fare quattro i.» Non aveva voglia di litigare con lui, perciò pensò che chiudere lì la conversazione fosse meglio. «Ti chiamo subito Aoustin, così può accompagnarti lui». Aoustin era l’autista, che andava ad aggiungersi alle governanti che già Sarah aveva. A Sarah, tutto ciò, sembrava ridicolo. Inoltre, se decideva di restare nella città di Livingston aveva la possibilità di andarsene in giro da sola, se invece desiderava oltreare i confini della città Reale, allora doveva essere accompagnata da due Guardie Reali, cosa che l’aveva portata a non desiderare di muoversi oltre Livingston. Avere la scorta non era il massimo, ma Mark le aveva spiegato che era per la sua sicurezza… «Non è necessario, Mark» disse lei cercando di reprimere l’irritazione. Ma troppo tardi, Mark lo aveva già chiamato e Aoustin era già lì. «Aoustin, accompagna Sarah ovunque lei voglia» gli disse Mark con tono autorevole. Sarah si ritrovò a pensare che Mark in quel ruolo si trovava bene. «Sì, signore» rispose l’uomo in divisa. Aoustin era un uomo sulla cinquantina, di carnagione leggermente scura e calvo di capelli. Sembrava una brava persona e
pronta a esaudire ogni desiderio del proprio sovrano. «Sarah…» disse poi rivolto a lei. «Sì?» vide sul suo volto un po’ di apprensione ed esitava a parlare. Le prese le mani e infine disse: «C’è una cosa di cui ti vorrei parlare». Il tono era così serio che Sarah si preoccupò. «Cosa?» Lui la condusse in disparte, dove nessuno poteva udirli. «Vedi», cominciò lui, «il fatto è che la gente di questo luogo ha determinati modi di pensare e vedere le cose.» Sarah non riusciva a capire dove volesse andare a parare. «Ha delle convinzioni che, non sono necessariamente intransigenti, ma ci sono certi aspetti della vita che non riuscirebbero a comprendere.» «Ovvero?» chiese lei spazientita. «Arriva al punto». «Sarebbe meglio che certe cose, come il fatto che noi due ci siamo conosciuti secoli fa, piuttosto che la magia, gli incantesimi e cose così, non venissero fuori e che, insomma, rimanessero tra noi, perché loro non capirebbero.» Sarah si sentì gelare il sangue. Ecco di nuovo la caccia alle streghe, pensò con una punta di sarcasmo. Sentì che le bruciavano gli occhi, ma impedì alle lacrime di uscire. Mark le stava chiedendo di mantenere gli unici ricordi che possedeva, sepolti nei recessi della sua mente. Temeva il giudizio di quelle persone perché, per lui, loro contavano più di quanto contasse lei. «Tutto qui?» chiese lei con tono incolore. «Non mi fraintendere, ti prego…» le disse accarezzandole il viso. Lei si staccò da lui con una calma che era ben lungi dal provare. «Nessun fraintendimento, non ti preoccupare. Se è quello che desideri, per me va benissimo… Anche perché sarebbe molto difficile che ne parli, considerato che io qui non conosco praticamente nessuno». Mark la osservò qualche istante, poi aggiunse: «Il fatto è che questo è un regno cattolico, Sarah, una religione che…»
«So cos’è il cattolicesimo, Mark, se ricordi la Santa Inquisizione era di origine cattolica.» A Sarah dispiacque fare riferimenti del genere, perché non era proprio sua intenzione puntare il dito contro la Chiesa, in quanto, in cuor suo, sapeva di avere origini che traevano le fondamenta da quella religione. Ma come spiegarlo a Mark? E, soprattutto, perché spiegarglielo, considerato l’atteggiamento che aveva ora? Il volto di Mark si adombrò e disse: «Le cose sono parecchio cambiate da allora e la Chiesa non perseguita più le persone, anzi…» Ma stava dando lezioni di morale a lei? «Guarda che lo so perfettamente, intendevo solo spiegarti che conosco il cattolicesimo, punto.» Mark la guardò qualche istante e Sarah non riuscì a coglierne i pensieri dall’espressione che aveva in volto. Con fare distaccato, si congedò da lei, la baciò in modo da sfiorarle appena le labbra e se ne andò. Sarah sentì un groppo alla gola. Aveva creduto che la notte ata con lui avesse un significato che andasse al di là del gesto fisico, ma ora non ne era più così sicura. Da quando era giunta a Livingston non era più sicura di nulla, soprattutto dell’amore di Mark. Salì sull’enorme auto scura e lasciò che, vista da nessuno, le lacrime le scendessero sul viso. «Dove la porto, miss Sarah?» Sarah si asciugò le lacrime e dando tono alla voce schiacciò il pulsante dell’interfono che permetteva di comunicare con l’autista. «In centro, per favore. Dove ci sono negozi o cose del genere…» almeno poteva distrarsi e non pensare al casino in cui si trovava. Improvvisamente si ritrovò a pensare che, da Argantel, in fondo, era più felice: là, almeno, aveva Mark. Quando l’autista la portò in centro, non molto distante dal castello, e comunque in un territorio in cui potevano accedere solo i membri della famiglia Reale, le Guardie Reali e le loro famiglie, oltre che a un ristretto numero di nobili che vivevano nei pressi di quella zona, la prima cosa che vide fu un’imponente struttura composta principalmente da vetrate. «Che cos’è questo?» chiese all’autista. «Qui può trovare i negozi della sartoria più esclusiva, ma anche di altro genere, miss Sarah» le spiegò sorridendo.
«Oh…» sorrise a sua volta. «La ringrazio». «Ma le pare. Sarò qui ad attenderla.» Sarah lo ringraziò di nuovo e lo salutò entrando nell’enorme edificio. L’interno era estremamente spazioso, con scalinate e scale mobili ovunque; era posto su due piani, fatto completamente di vetrate anche nell’interno, se si escludevano i muri divisori dei negozi. Fu attirata da un negozio al primo piano in cui c’erano manichini che sfoggiavano eleganti abiti da sera. Si sentì malissimo al pensiero di trovarsi in un luogo che non conosceva, senza soldi e che per qualunque cosa doveva dipendere da Mark. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi, ma le ricacciò indietro e si diresse verso il negozio. Quando entrò nel lussuoso negozio, si aspettò un atteggiamento da parte del titolare e delle commesse, come quello delle persone del villaggio nel regno di Argantel. Ma dovette ricredersi. La commessa che la vide per prima, la salutò e le sorrise con deferenza e lei contraccambiò. Si diresse a una fila di abiti da sera dai colori sgargianti e tessuti pregiatissimi. Guardò il cartellino e comprese che non aveva la più pallida idea di che moneta girasse lì. Poté intuirne il valore quando vide che, oltre al prezzo locale, c’era un altro prezzo, indicato secondo la moneta usata a Dervel e nel Regno di Renea in generale, e quasi si sentì male rendendosi conto di quanto costasse l’abito. Non aveva la più pallida idea di chi se li potesse permettere. Anzi, un’idea l’aveva: Mark. Girò un po’ per tutto il negozio e si soffermò a guardare dei maglioncini dai prezzi esorbitanti. Si trovava nei pressi dei camerini che somigliavano a graziosi salottini dove c’erano pure tè e biscotti, quando sentì delle ragazze parlare tra loro; erano quattro e, a parlare, era una ragazza alta con lunghi capelli castani che si stava provando un bellissimo abito da sera di seta rosso. «… non riesco a farmene una ragione, non riesco a credere che sia bastato così poco per fargli dimenticare di noi. Stavamo insieme da tre anni», stava dicendo alle altre ragazze mentre si sistemava il decolté. «Ma tu l’hai vista, Lynn?» a parlare ora era una ragazza dai capelli rossi. «No, Anjela, non l’ho ancora vista. È stata tutti questi giorni nella sua stanza perché ha tentato di uccidersi, ricordi?» A Sarah mancò il respiro. Con quella frase comprese che stessero parlando di lei
e di… oh, mio Dio… Mark stava con quella? Poco mancò all’infarto. Voleva andarsene da lì ma, se solo avesse fatto un altro o, l’avrebbero vista. Ma perché capitava sempre in luoghi in cui gli altri stavano parlando di lei?! «Secondo me, è stata tutta una sceneggiata. Ascoltatemi bene,» disse una ragazza con i capelli neri e ricci. «Mark riesce a fuggire da Argantel, gli ritorna la memoria, ricorda tutto di voi e capisce di amare solo te, Lynn. E lei cosa fa per tenerselo legato a sé? Inscena un suicidio. Stupido, ma ha funzionato». Sarah si portò una mano alla bocca per soffocare un gemito. «L’ho pensato anch’io, Katarin, ma Laorans ha detto che prima è arrivata lei, poi è arrivato Mark con quella strega di Morgana». E anche qui è confermata la moda della caccia alle streghe. Ecco perché Mark non desidera che si parli di certe cose, pensò Sarah con sarcasmo unito a dolore. «Sì, ma la memoria può averla recuperata prima» disse la quarta ragazza che non aveva ancora parlato. Lynn stava scrutando la propria immagine riflessa allo specchio. «Su questo hai ragione, Jan. Non ci avevo pensato, anche perché Mark mi ha detto che stanno insieme da soli due mesi… Che rapporto vuoi che sia, uno che dura da due mesi?» «Beh…» cominciò la ragazza dai capelli rossi, «Laorans dice che Mark entra ed esce dalla sua stanza nel cuore della notte, quindi si presume che…» «Che lei sia una sgualdrina?» continuò per lei Lynn con una punta di acidità. Tutti sapevano che lei e Mark stavano insieme da due mesi. Doveva essere stato per forza lui a dirlo, chi altri? E tutti sapevano che lei e Mark avano la notte insieme e le conclusioni erano tratte. Lei era una sgualdrina che aveva strappato Mark a una ragazza con cui aveva una relazione che durava da tre anni, mentre loro due quanto si erano frequentati in tutto? Se si calcola entrambe le vite? Nemmeno un anno? Era assurdo… «Tu, Lynn, non sei andata a letto con lui dopo solo un mese?» disse la ragazza che portava il nome di Katarin. Tutte scoppiarono a ridere.
Sarah sentì le lacrime agli occhi. «Che lui vada a letto con lei, non mi importa», sentenziò Lynn con fermezza. «Quando è giunto da me, l’altra sera, per parlarmi, era addolorato, come se fosse costretto a lasciarmi e a stare con lei per via di quello stupido accordo tra suo padre e quella strega di Renea. E, prima di andarsene, mi ha baciata, e a me è sembrato tutto tranne che un bacio di addio». Sarah aveva sentito abbastanza, aveva la nausea, stava per sentirsi male. Si girò e fece per andarsene quando vide una commessa dietro di lei. «Se desidera acquistare qualcosa me lo dica senza esitare» le disse la donna molto gentilmente. «Glielo metto in conto, naturalmente» aggiunse. Sarah la guardò accigliata e poi aggiunse: «No, grazie, per la verità…» «Il sovrano mi ha detto che sarebbe ata,» la interruppe la donna. Mark aveva avvisato i titolari dei negozi. «No, la ringrazio…» fece qualche o indietro per andarsene e, quando si voltò, si ritrovò lo sguardo delle quattro ragazze addosso, che probabilmente avevano udito le parole della commessa e ora sapevano chi era. Contraccambiò lo sguardo a testa alta, lo sguardo imibile, poi lasciò il negozio, prima con i lenti e controllati, poi, una volta che fu fuori e certa che non la vedessero, raggiunse l’automobile di corsa. «È già di ritorno, miss Sarah?» le chiese Aoustin accigliato. «Sì. Mi può riaccompagnare al castello, per favore?» «Ai suoi ordini, miss Sarah». Salita sull’auto si appoggiò allo schienale con un senso di vuoto e di angoscia e ripensò a tutta la conversazione, dettaglio dopo dettaglio. Il padre di Mark e Renea avevano fatto un accordo. Ma che accordo? L’unione tra lei e il figlio di un sovrano, ma perché? Perché Renea, tra tutte le sacerdotesse, avrebbe scelto lei? Era decisamente assurdo… Eppure, ora che ci pensava, perché Morgana desiderava sin dall’inizio che lei e Mark stessero insieme? Era ovvio, per l’accordo. Ma di che cosa si trattava? E Mark, dunque, ne era al corrente? Ora
che ricordava tutto, l’amava ancora o stava con lei solo per quella ragione? Per senso del dovere? Sentì che le bruciavano gli occhi, ma non doveva piangere, non poteva. Avrebbe scoperto la verità, di qualunque cosa si trattasse. Mark era andato da quella ragazza, Lynn, aveva parlato di loro, e poi? Era triste di lasciarla e… oh, mio Dio! L’aveva baciata! Sarah si sentì soffocare. Premette il pulsante dell’interfono e disse: «Aoustin, per favore, fermi la macchina.» L’autista obbedì nell’immediato. Si trovarono nel punto in cui cominciava la collinetta da dove era arrivata. Senza pensarci scese dalla macchina. Sapeva quel che doveva fare. «La devo attendere, miss Sarah?» le chiese Aoustin perplesso. «No, la ringrazio. Torno a piedi.» Aoustin la guardò accigliato ma non osò replicare, poi si allontanò con la macchina. Sarah si guardò attorno e si avviò verso la collina. Quando fu abbastanza lontana, e certa che nessuno la potesse udire, cominciò a chiamare Morgana. Doveva sentirla. Doveva ascoltarla e rispondere alle sue domande, questa volta senza dire che non poteva. E, soprattutto, doveva portarla via da lì. La chiamò più e più volte, urlò il suo nome sino quasi a farle male la gola e ad andarle giù la voce, ma Morgana non venne. Possibile che non la sentisse? Aveva da fare e non riusciva a sentirla? Si mise le mani nei capelli, non poteva tornare al castello. Non voleva rivedere Mark. In quel momento voleva che quel dannato veleno avesse fatto effetto come avrebbe dovuto. Voleva essere morta perché, una parte di lei, già lo era. Era viva solo la parte che provava un atroce dolore, con quella sensazione orribile di angoscia e smarrimento. Aveva perso tutto, aveva perso il suo Mark.
Mark stava controllando dei documenti con attenzione, alcune cose non gli tornavano. Era stato via da Livingston per quasi quattro anni e aveva dovuto fare i conti con molti cambiamenti, alcuni dei quali riguardavano la vita del castello e le dinamiche di corte, altri alcune ribellioni a nord e poi c’era stata la cosa più difficile da fare: lasciare Lynn, la ragazza con cui stava da tre anni, prima che Argantel lo fe prigioniero nel suo regno, anche se, prigioniero, non era il
termine esatto. Se pur, lasciare Lynn, non era stato facile, quell’avvenimento era stato compensato dall’atteggiamento positivo che il padre aveva avuto nei confronti di Sarah. Era rimasto esterrefatto. Suo padre, il grande sovrano Mikael, che approvava una sua relazione. Possibile che fosse per quello stupido accordo? Comunque, era meglio così, ma come avrebbe reagito quando gli avrebbe detto che… «Posso entrare?» La porta del suo studio si aprì, e vide che era il padre. «Certo. Sto cercando di recuperare i quattro anni in cui sono mancato,» commentò con lo sguardo rivolto a un mucchio confuso di documenti. Il padre lo guardò accigliato. «Beh, non è il caso di fare tutto insieme… Un po’ per volta.» Il sovrano si sedette su una poltrona di velluto verde smeraldo, di fronte a lui. «Proprio tu mi dici questo? Prima che venissi catturato da Argantel mi davi dell’irresponsabile» esclamò Mark, incredulo delle parole del padre. «Ed eri irresponsabile, figliolo, ma…» il sovrano esitò a continuare. «Ma, cosa?» chiese non capendo. «Penso che dovresti dedicarti di più a Sarah. Non conosce questo luogo, ricordi?» Mark si fece pensieroso. «Hai ragione, ma… Non posso fare diversamente, papà. Sono mancato da troppo tempo e lei lo comprende. Poi non la lascio sola, Aoustin la può accompagnare ovunque, Brigitta e Agnes…» «Due domestiche e un autista, Mark?» chiese il sovrano inarcando un sopracciglio. Mark rise. «Che c’è da ridere? Lo trovi divertente?» «Certo che lo trovo divertente. Prima di lei eri irritato di ogni mia relazione, eri tu che cercavi di tenermi lontano dalle ragazze che frequentavo, e ora… Davvero Sarah ti piace, o è perché così puoi adempiere al tuo accordo con Renea?» Mark scrutò a lungo il padre per coglierne ogni sua minima reazione. Il sovrano fece un lungo respiro. «Innanzitutto, desidero ricordarti che non sono
io quello che ha adempiuto a un accordo, ma è Renea che lo ha fatto. E poi, sì, Sarah mi piace molto, è una ragazza brillante, timida, ma che si sa rapportare con le persone in modo stupefacente, sa quando deve parlare e quando è meglio evitarlo, e ha un portamento regale. Il perfetto opposto di Lynn, ecco perché mi piace. Sarah è la ragazza che avrei sempre voluto per te, anche se, in tutta onestà, non credo che tu la meriti». «Che cattiveria!» esclamò Mark ridendo. «Quello che non riesco a capire è: come mai la scelta è ricaduta su Sarah? Voglio dire, non è nemmeno una sacerdotessa, giusto?» «Non ancora, ma lo sarà. Dov’è il problema, Mark? Sarah non ti va bene?» Ora era il sovrano a scrutare a lungo il figlio. Mark scosse la testa ridendo. «Lo sai quanto amo Sarah… D’accordo, non me lo vuoi dire, ma non mi importa. Quello che conta è che, entrambi, una volta tanto, siamo d’accordo su qualcosa. A tal proposito, papà, c’è una cosa di cui ti dovrei parlare». Lo sguardo di Mark si fece improvvisamente serio. «Ti ascolto». «Voglio chiedere a Sarah di sposarmi». Il sovrano lo guardò senza proferire verbo. «Lo so che stiamo insieme da poco tempo, ma io l’amo così tanto e tu… Tu approvi, giusto?» «Quando glielo chiederai?» Mark lo guardò incapace di proseguire. Si aspettava una reazione opposta, lui e Sarah stavano insieme da soli due mesi e, d’accordo che il padre era a conoscenza che si erano già conosciuti in una vita precedente, ma era comunque poco tempo… eppure non aveva nulla da ribattere, anzi… gli aveva pure domandato quando glielo avrebbe chiesto… «Allora? Quando hai intenzione di chiederglielo?» gli domandò nuovamente il sovrano di Livingston. Mark si riscosse. «Domani sera…» disse studiando l’espressione del padre. Ancora niente da ribattere. «Oggi le ho preso l’anello…» «Faremo una festa di fidanzamento la prossima settimana, dirò a Karel di
organizzare il tutto per tempo». «Okay, adesso sono decisamente preoccupato… Che ti prende?» Mark non sapeva se il padre stesse facendo sul serio o se si stesse prendendo gioco di lui ma, dalla sua espressione seria, capì che non stava scherzando. «Perdonami, avevo capito che fi sul serio con lei, che l’amassi». «Ed è così,» disse alzando le mani con convinzione, «certo non mi aspettavo…» «Te l’ho già detto, hai la mia approvazione e prima suggelliamo questo accordo, meglio è. Secondo me, il maggio dell’anno prossimo come mese per sposarvi mi sembra l’ideale, o giugno. Io e tua madre ci siamo sposati a giugno.» Mark scosse la testa. Suo padre stava pianificando la sua vita minuto per minuto. Appoggiò la testa sulla scrivania sconfortato, mentre il padre continuava nella pianificazione del matrimonio.
Morgana non aveva risposto alle sue chiamate. L’aveva abbandonata al suo destino, Sarah ne era certa. Si sentiva tradita e amareggiata. Era seduta nell’erba in attesa che arrivasse da un’ora ormai, ma lei non si era fatta vedere. Le interessava solo dell’accordo e, ora che tutto era sistemato, non aveva più ragioni per farsi vedere. Sarah si alzò da terra, gli occhi rossi e la testa svuotata. Non voleva tornare al castello, non ci poteva tornare, non dopo ciò che aveva sentito dire da quelle ragazze. Perché Mark non le aveva parlato di Lynn? Perché non le aveva detto nulla? Le tornarono alla mente le parole udite: non era stato un bacio di addio. Avrebbero continuato a vedersi, per questo non le aveva detto nulla? Solo il fatto che l’avesse baciata… E se la ragazza avesse mentito? Provò a riflettere sugli ultimi giorni e sull’atteggiamento di Mark: distante, come se la sua testa fosse altrove, come se, la sua testa, fosse da Lynn. Sarah si ò una mano tra i capelli, guardò verso il castello, dopodiché si voltò e si incamminò verso la collina. Una volta, Kirsten, le aveva detto che l’ingresso della foresta era uguale in ogni regno. C’era anche in quel luogo? Camminò un po’, la strada era in salita, e aveva quasi raggiunto la cima, ma della quercia con l’edera arrampicante nessuna traccia. Ma quella era poi Maviron? Cominciava a dubitarne. Poteva essere che, Morgana, previo assenso del sovrano, avesse messo un portale in quel punto, a prescindere che fosse la foresta di Maviron oppure no, anche perché sembrava tutto fuorché una foresta. Era una semplice
collina. Cosa c’era dall’altra parte? Sarah ne fu incuriosita. Quando fu in cima ebbe un lieve affanno. Non era più abituata a camminare, il cuore sembrava scoppiarle nel petto ma, soprattutto, lo sentiva battere in modo aritmico. Guardò dall’altra parte della collina e, ciò che vide, la sorprese: una lunga distesa verde e, più in giù sulla destra, un sottobosco, mentre sulla sinistra una moltitudine di eleganti abitazioni e un palazzo circondato da un muro di cinta con, all’ingresso, un imponente cancello. Apparteneva anche quello a Mark? Perché non aveva mai visto nessuno dirigersi in cima la collina? Qualcosa non la convinceva, c’era qualcosa di decisamente strano e arcano, ma nulla che le destasse preoccupazione. Si incamminò lungo la distesa verde, in qualche modo rasserenata e incuriosita, sperando di non imbattersi in un’altra caccia alle streghe e, quando si avvicinò al sottobosco, vide che all’interno c’erano una moltitudine di persone, perlopiù ragazze dai lunghi capelli, corpi da dee, sguardi divertiti, che ballavano in cerchio ridendo e scherzando. Ma notò che avevano qualcosa di strano. Lunghe orecchie appuntite avanzavano fuori dai capelli e, questa cosa, invece che dar loro un’aria sgraziata, le rendeva ancora più accattivanti. I loro corpi sinuosi erano avvolti da abiti di tessuti leggeri che svolazzavano a ogni giravolta. Un sorriso comparve sulle sue labbra e crebbe in lei il desiderio di prender parte a quei balli. «Ma tu le vedi…» Sarah si voltò di scatto all’udire quelle parole e vide una ragazza dai lunghi capelli biondi, un volto familiare, che la osservava sbalordita. «Cosa?» chiese impaurita. Vide la ragazza osservarle la Stella di Alys e accigliarsi. «Non ci credo, tu sei… ma come hai fatto a…» A quel punto Sarah la riconobbe e dello stupore comparve a sua volta sul suo viso. «Tu sei quella ragazza che ho visto a Beltane… Sei Cheryl, giusto?» lei la guardò sorpresa. Le ragazze del bosco smisero di ballare, rimasero prima sorprese, poi presero a parlare tra loro e a darsi gomitate. Sarah riuscì a udire il nome Alys pronunciato dalle ragazze più volte. «Già… e tu sei…» «Sarah». Come faceva Cheryl a trovarsi lì? Si ritrovò a pensare.
«È vero, il tuo nome è Sarah, ora», disse Cheryl con tono perplesso. «Ora?» Cheryl non rispose, così Sarah continuò: «Come mai ti trovi a Livingston?» Lo sguardo di Cheryl divenne confuso. «Veramente…» cominciò con tono esitante, lanciando un’occhiata verso la collina, «questa non è Livingston, ma Maviron». Sarah inarcò un sopracciglio. «È… una parte della foresta che non conosco… e quelle case…» si interruppe vedendo l’espressione di Cheryl. «Questa è Maviron. La città». Sarah emise un gemito di stupore. «E come ci sono finita qui?» chiese allarmata. «Ho solo proseguito per la collina e…» «… oltreato il velo che separa Livingston da Maviron. Ben tornata a casa mia cara!» Cheryl l’abbracciò così all’improvviso che Sarah ne fu totalmente sorpresa. Non se l’aspettava. «Fammi capire,» cominciò Sarah una volta sciolta dall’abbraccio. «Come avrei fatto a oltreare il velo?» «Ottima domanda… E chi lo sa? Forse la Stella, o forse tu… Lo sapevo che prima o poi saresti tornata!» Cheryl era tutta entusiasta, gli occhi azzurri come il cielo che le brillavano. «Tornata?» chiese Sarah smarrita. «Già, tornata. Capirai ben presto a cosa mi riferisco. Guarda…» Cheryl la fece girare verso il sottobosco. «Quella è Greenshadow». «E… Cosa sarebbe?» «Il luogo dove vive il popolo fatato. Quelle che stai vedendo tu sono fate». Sarah si voltò verso Cheryl poco convinta. «Come? Fate? Fate vere?» chiese scettica.
«Sono fate vere e solo tu e poche altre persone le possono vedere». Sarah guardò pensierosa verso il sottobosco, poi guardò di nuovo Cheryl. «Aspetta… Una volta Kirsten mi ha detto che a Maviron c’erano anche delle fate, ma che lei non le ha mai viste,» disse ricordando improvvisamente. «Dubito fortemente che Kirsten potrà mai vedere Faye e il suo popolo». Sarah notò una punta di sarcasmo nella voce di Cheryl. «Perché? E chi è Faye?» chiese incuriosita. «La Regina di Greenshadow, colei che regna da che il mondo esiste. Ma ora vieni con me, devo assolutamente mostrarti una cosa, credo che sia arrivato finalmente il momento che tu sappia». «Sappia… Cosa?» Sarah era un po’ preoccupata, ma Cheryl la stava già conducendo verso il cancello che permetteva l’ingresso all’imponente palazzo, con un braccio che le cingeva le spalle. Giunta al cancello, Cheryl premette un pulsante, pronunciò il suo nome e il cancello si aprì. Una volta dentro, lo richiuse e si avviarono verso il vialetto fatto di ghiaia. «Chi vive in questo palazzo?» Sarah fu sorpresa dalla bellezza di quell’edificio. Era ben curato, le facciate bianche sembravano fossero appena state tinteggiate e le colonne poste vicino all’ingresso erano di una lavorazione molto dettagliata, tutto era affascinante, incluso il giardino ben tenuto dove c’erano bellissime rose fiorite di ogni tonalità. «Nessuno. Ma ti posso dire chi ci viveva: Alys». Il sorriso si spense sul volto di Sarah: quella rivelazione l’aveva scioccata. «Vuoi dire che… Alys viveva qui? Qui, in questo palazzo? Qui, a Maviron?» Le sembrava che le mancasse l’aria. Senza volerlo, senza saperlo, era giunta alla dimora di Alys. Era riuscita a oltreare il velo. Fortuna che Morgana diceva che come strega non valeva niente! Cheryl la guardava divertita. «Già. E ora te la farò vedere da dentro e scoprirai molte cose che credo troverai interessanti. Cose che Morgana avrebbe dovuto dirti da tempo». Mentre diceva ciò, Cheryl aveva preso a salire i gradini che portavano all’imponente ingresso.
La porta, fatta di pregiatissimo legno intagliato, era aperta e una ragazza le stava attendendo con un sorriso sulle labbra. Sorriso che svanì appena vide Sarah. «Santi numi,» esclamò la ragazza che sembrava essere preda di uno shock. «Sarah, lei è Beatrix, una delle ancelle di mia madre. È suo dovere assicurarsi che la casa sia sempre ben curata. Beatrix, riprenditi per favore, o Sarah penserà di non essere la benvenuta». Cheryl fece una smorfia divertita. «Sarah?» chiese la ragazza confusa. «Come… Sarah?» «In questa vita si chiama Sarah,» spiegò con tono spazientito Cheryl. Sarah, dal canto suo, non capiva. Anche prima, quando le aveva detto come si chiamava, Cheryl aveva detto una frase simile. «Perché vi stupite che in questa vita mi chiamo Sarah?» La ragazza di nome Beatrix ora aveva preso a sorridere e aveva persino fatto un inchino. Ma dove era capitata? Era ata dall’ostilità assoluta degli abitanti di Livingston a quella strana forma di cortesia che rasentava l’assurdo. Cheryl si morsicchiò un labbro e poi disse: «Forse è il caso che tu veda questo…» dicendo ciò, la fece voltare verso la parete della casa e vide esposto un enorme dipinto con rappresentata una figura femminile… che riconobbe all’istante… «Oh, mio Dio!» esclamò sconvolta. «Ma quella sono io!» con la mano afferrò il braccio di Cheryl per paura di cadere. «Come fa a esserci un mio ritratto lì?» «Per la verità quella è Alys… Tu sei Alys». Sarah si voltò verso Cheryl, gli occhi sgranati, le labbra socchiuse, incapace di dire una sola parola. «Non stai per svenire, vero?» le chiese Cheryl preoccupata. Quello non era l’unico ritratto della casa. In quasi ogni stanza che Cheryl le fece visitare e sulle pareti dei corridoi c’erano diversi ritratti di Alys. Se per il viso Sarah notò l’assoluta somiglianza con se stessa, non poté comunque fare a meno di scorgere le differenze nel portamento e negli sguardi che, in alcuni dipinti
erano languidi, in altri maliziosi e, in altri ancora, imperiosi. Alys emanava sicurezza. Cosa che a lei era del tutto estranea. Portava per lo più lunghe vesti bianche, in quelli che dovevano essere tessuti leggeri, visto come le ricadevano lungo il corpo, e le infinità di pieghe evidenziate nei movimenti. I capelli erano molto più lunghi dei suoi e di una tonalità leggermente più chiara e in alcuni aveva bellissimi boccoli che ricadevano sulle spalle in modo naturale. Un ritratto in particolar modo la colpì. Era situato in quella che Cheryl disse essere la stanza di Alys. Lì, indossava un abito che sembrava uscito da una fiaba: Alys sembrava una regina, o una Dea, aveva un diadema posto sopra i capelli e in mano teneva uno scettro di cristallo. Guardando il dipinto, Sarah rimase senza parole. «Mio Dio… è bellissima… sembra una regina…» Cheryl la guardò divertita e disse: «Parli di lei come se si trattasse di un’altra persona». Sarah si voltò verso di lei e commentò: «Pur notando l’incredibile somiglianza, non riesco a pensare ad Alys come a me. In tutta onestà non riesco ancora a crederci…» Sarah notò solo in quel momento quanto la stanza fosse incredibilmente ampia, ben arredata e sfarzosa. Il letto a baldacchino, l’ampia portafinestra che dava sul balcone, i mobili raffinati in legno bianco, lo scrittoio, la specchiera col tavolino… Era tutto elegante e ben intonato. «Sei certa che lei… che io…» Sarah non sapeva come formulare la domanda. «Alys e tu siete la stessa persona… Ascoltami, se ciò non fosse vero, tu non avresti quella Stella che apparteneva, e sarebbe potuta appartenere, solo a lei» le spiegò con veemenza. «E questo lo sanno tutti, Morgana inclusa.» «Ho bisogno che tu mi racconti tutto, che mi racconti di lei, della Stella e della Profezia…» azzardò scrutando l’espressione di Cheryl e cogliendo una certa perplessità quando pronunciò l’ultima parola. «Vieni, sediamoci». Cheryl la fece accomodare su una bellissima poltroncina rivestita in velluto rosa pallido. Quindi, cominciò dicendo: «Riguardo la Profezia, ti posso dire ben poco. La conoscono solo mia madre, Nedeleg, che è il Custode della Profezia stessa nonché sovrano del regno di Erwan, Morgana e…» Cheryl parve esitare, «Renea». Concluse infine: «Considera che, quando loro quattro saranno…» evitò di pronunciare la parola morti, ma lo sguardo fu eloquente «… nessun altro ne verrà a conoscenza».
«E per quale ragione?» chiese Sarah sconcertata. «Beh, pare che i loro successori siano parte integrante della profezia stessa e se ne venissero a conoscenza…» Sarah la guardò confusa e infine disse: «Non riesco a capire… tu succederai a tua madre, quel tale di cui non ricordo il nome sarà sovrano di Erwan e?...» Sarah notò che Cheryl era arrossita e poi aveva abbassato lo sguardo. Si sentiva a disagio e Sarah ricordò solo in quel momento che aveva trascorso Beltane, la festività in cui la Dea e il Dio si uniscono nell’amore, con il futuro sovrano di Erwan. «Ti posso chiedere una cosa?» la curiosità prese il sopravvento. Cheryl alzò lo sguardo verso di lei e disse con voce flebile: «Certo…» «Tu e… lui, avete trascorso Beltane…» Sarah vide Cheryl avvampare. «Come hai fatto a sottostare a una decisione del genere? Io non potrei mai…» Cheryl fece un lungo respiro. Sembrava sollevata? Aveva interpretato male l’espressione della ragazza? «Beh, era il mio destino… voglio dire, sono stata cresciuta per succedere a mia madre e divenire futura sovrana e Somma Sacerdotessa di Maviron e poi…» s’interruppe esitando un po’ imbarazzata «io ed Ethan ci conoscevamo già da tempo e non è che fossimo estranei, lui…» Cheryl si ò la lingua sulle labbra in cerca di parole ma a Sarah fu tutto chiaro. «Tu ne sei innamorata!» esclamò tutto d’un fiato. «Certo, tu ne sei innamorata, per questo… Com’è romantico!» Sarah fu sopraffatta dall’entusiasmo per quella scoperta. Per un attimo si ritrovò a immaginare lei, al posto di Cheryl, innamorata di Mark che… Si accorse che Cheryl sorrideva guardandola e tornò alla realtà. In quel momento si udì bussare alla porta ed entrò poco dopo Beatrix con in mano un vassoio con delle tazzine, bicchieri, caraffe, teiere e tant’altro. «Scusatemi se vi interrompo,» disse la ragazza in tono sommesso. «Ho pensato che avreste voluto bere qualcosa…»
«Grazie, Beatrix» intervenne Cheryl con un sorriso. «Non sapendo cosa desideravate bere ho portato caffè, tè e altro…» dicendo ciò, Sarah vide che aveva posato lo sguardo su di lei in cerca di approvazione. «Ti ringrazio…» a quelle parole, vide il volto teso di Beatrix rilassarsi e, dopo che ebbe versato del caffè per lei e un bicchiere d’acqua per Cheryl, lasciò la stanza in silenzio ma con un sorriso sulle labbra. «Bene,» cominciò Cheryl una volta che Beatrix ebbe chiuso la porta, «ora sai riguardo a Beltane, torniamo a parlare di Alys». Sarah vide che per un attimo Cheryl si adombrò, solo per un attimo, ma fu evidente. «Tu l’hai conosciuta Alys?» Le chiese Sarah per cambiare argomento. «No… Non l’ho conosciuta» disse scuotendo la testa. Il caldo sole di mezzogiorno entrava dalla portafinestra e illuminava il volto di Cheryl. «Quanti secoli fa è vissuta?» Sarah si rese conto che finalmente avrebbe scoperto la verità, avrebbe potuto fare tutte le domande che desiderava a Cheryl, che sembrava molto propensa a raccontarle ogni cosa. «È vissuta nel tredicesimo secolo…» «Parlami di lei, raccontami tutto, anche della Stella…» Sarah si accomodò meglio sulla poltroncina, era tutta in tensione, in attesa di sapere. Mark le aveva detto che lei non era Alys, ma ciò a detta di Argantel, che non desiderava probabilmente che la cosa trapelasse. Morgana lo sapeva e non gliel’aveva mai detto. Per quale ragione? Cheryl iniziò il racconto con voce musicale e un sorriso sul volto. «Alys aveva all’incirca diciotto anni quando divenne sovrana e Somma Sacerdotessa di Maviron. Era giovanissima ma preparata da sempre per rivestire quel ruolo. Era abile nelle arti magiche e soprattutto nelle visioni. Aveva enormi capacità di predire il futuro, non sempre, è chiaro, a seconda del volere della Dea». Cheryl bevve un sorso d’acqua poi, dopo aver posato il bicchiere sul tavolino, riprese a parlare: «Poco tempo dopo che divenne Somma Sacerdotessa, vennero fatti forgiare dei gioielli per lei. Ne aveva molti, ma questi le servivano come fonte di
potere in aggiunta a quello che già possedeva, poiché il male era in agguato e lei era scomoda ad alcune persone. A molte persone». Sarah si fece pensierosa poi, dopo aver terminato il caffè che Beatrix le aveva portato, chiese: «Per via della barriera tra i due mondi? Per Maoris?» Cheryl annuì. «Sì, esatto». Sarah le raccontò quanto aveva saputo da Mark, quando loro erano stati prigionieri di Argantel. Cheryl l’ascoltò in silenzio, annuendo e confermando di tanto in tanto, poi, quando Sarah ebbe finito, continuò: «Alys temeva quello che sta accadendo ora: la guerra per possederla. Così, decise di renderla invisibile, in modo tale che nessuno l’avrebbe più utilizzata». «Quando sono giunta qui,» la interruppe Sarah prendendo involontariamente la collanina tra le mani, «ho visto i resti di una città in rovina», concluse. Cheryl sorrise e disse: «Alys ha fatto scomparire la vera città con un incantesimo. Quella che hai visto tu, è un’illusione». «E gli uomini di Argantel e non so chi altri, si fanno guerra per un’illusione?» sul suo viso comparve un’espressione di incredulità. Cheryl alzò una mano per fermarla e quindi precisò: «Gli uomini di Argantel e di Nedeleg combattono per averla perché, Argantel spera, con un incantesimo o altro, di riavere la vera città. Nedeleg, dal canto suo, vuole fermare Argantel, per impedire una follia. Il motivo per cui Argantel ha voluto te e Mark… Presumo fosse questo». «Che vuoi dire?» Domandò perplessa Sarah andosi una mano tra i capelli. Cheryl indicò la Stella e disse: «Credo sperassero che, avendo te, avrebbero avuto la Stella e, ottenendola… avrebbero sciolto l’incantesimo… Ma hanno fatto male i loro conti». «Cosa vuoi dire?» la curiosità crebbe dentro di lei. Cheryl bevve un altro sorso d’acqua poi, tenendo sempre il bicchiere in mano, precisò: «Alys aveva tre strumenti di potere: la Stella, per proteggerla, il diadema, per controllare gli elementi, e lo scettro, per l’accesso a Maoris».
Ora tutto è più chiaro, si ritrovò a pensare Sarah. Volevano lei, per avere il potere. «Dove sono il diadema e lo scettro?» «Sono entrambi scomparsi. Ci sono delle teorie ma nulla di preciso. C’è chi dice che sia stata Alys a occultarli, un po’ come ha fatto con Maoris, prima che morisse. Ma c’è anche la possibilità che qualcuno li abbia presi». «Chi è stato a ucciderla?» ponendo quella domanda, Sarah scrutò Cheryl e vide comparire sul volto della ragazza una serie di emozioni che interpretò come: apprensione, paura e reticenza a parlarne. Deglutì quasi a fatica e, infine, disse: «Si crede sia stato un uomo, un certo Leodogran, un suo acerrimo nemico che da tempo…» Cheryl si interruppe a metà frase e Sarah si chiese perché avesse difficoltà a parlarne, ormai erano ati secoli… Ma non se la sentì di formulare troppe domande a riguardo. Forse l’omicidio era stato così orribile che temeva che, raccontandoglielo, l’avrebbe spaventata. Chiese invece: «La Stella com’è giunta a me?» All’udire quella domanda, Cheryl si rilassò. «Opera di Faye. Lei e Alys erano ottime amiche e, quando Alys venne uccisa, Faye prese la Stella e fece un incantesimo: la Stella sarebbe dovuta tornare a chi le apparteneva, convinta che Alys si sarebbe reincarnata. Ci ha messo un bel po’, però… E vedo che c’è riuscita!» concluse ridendo. Sarah rifletté su quelle parole. «Hai detto che la Stella è stata creata per proteggere Alys… come mai con me non sempre… Funziona? Sembra che riesca solo a proteggere se stessa da chi se ne vuole impossessare». Cheryl si alzò, raggiunse la portafinestra e, appoggiando contro la schiena, disse con voce incerta: «Forse è perché tu non hai i pieni poteri, il controllo… Sei comunque uscita viva da Argantel, no?» Sarah non sapeva se parlarle di ciò che era accaduto col pugnale. Morgana si era tanto raccomandata che ciò che era successo al tempio non trapelasse, Renea era all’oscuro di tutto e… A Cheryl? Cos’avrebbe potuto dire?
«Beh… quando sono venuta a Livingston e i soldati mi hanno catturata, la Stella non ha reagito. Nemmeno da Argantel, quando si è verificato un episodio…» Sarah era del tutto restia a parlarne. «Credo che dipenda da te e dal fatto che magari i cristalli della Stella debbano essere potenziati. Da quanto ho sentito, tu e le arti magiche non andate proprio d’accordo, giusto?» Cheryl rise per sdrammatizzare la frase. «Se tu riuscissi ad aumentare i tuoi poteri e il legame che c’è tra te e la Stella… Allora le cose cambierebbero, diverrebbe per te uno strumento potente» concluse. «Morgana mi aveva dato dei libri… Molto teorici per la verità. E non parlavano dei cristalli…» «Vieni con me». Cheryl si avviò verso la porta e Sarah si alzò da dove era seduta e la seguì nel locale accanto. Vide una grandissima libreria, con un’infinità di scaffali pieni di libri. «Da questa parte,» disse Cheryl indicando il lato sinistro del locale, «ci sono i libri appartenuti ad Alys. Se vuoi te ne posso indicare alcuni che…» Cheryl si diresse verso uno scaffale e prese due libri di uguale colore che sembravano essere molto antichi. Poi si diresse a un altro scaffale e ne prese un altro. «Questi dovrebbero fare al caso tuo, trattano di cristalli, rune, della religione antica con tutti i rituali». Detto ciò, raggiunse Sarah e glieli porse. «Puoi tenerli tutto il tempo che vuoi, anche per sempre, erano di Alys, quindi sono tuoi». Sarah li prese dalle mani di Cheryl e la guardò con gratitudine, poi vide comparire sul suo volto una smorfia di dolore. La ragazza raggiunse una sedia, si sedette e, chiudendo gli occhi, fece un respiro profondo. Era piegata su se stessa. «Stai male?» le chiese preoccupata. «No… ho solo preso un brutto virus e… Non mi sento proprio bene» e dicendo ciò accennò a un sorriso. «Posso fare qualcosa per te? Devo chiamare qualcuno?» Chiese allarmata Sarah. «No, ho solo bisogno di sdraiarmi…» Cheryl si alzò dalla sedia un po’ barcollante e Sarah la raggiunse. «Scusami se non posso rimanere a parlare ancora con te ma… non mi sento per nulla bene…»
Cheryl era pallida in volto e Sarah la guardò preoccupata. «No figurati… mi dispiace che tu stia male….» Cheryl accennò a un sorriso, poi disse: «Ci vedremo ancora, vieni a trovarmi tutte le volte che vuoi, mi farà un enorme piacere stare in tua compagnia. Io abito in quell’edificio lì in fondo». Cheryl glielo indicò dalla finestra. «Oppure puoi venire qui e chiedere di me a Beatrix o Laurel. Saranno felicissime di accoglierti, credimi». Cheryl le regalò un enorme sorriso che Sarah contraccambiò. Si avviarono entrambe verso le scale e Sarah le chiese un po’ titubante: «Senti… Non è che posso rimanere qui da te, vero? Qui a Maviron?» Cheryl impallidì all’udire quelle parole. «Ma… Mark?…» Gli occhi di Sarah si riempirono di lacrime e, con la voce ridotta a un sussurro, le raccontò quello che aveva udito la mattina e i cambiamenti di Mark, quindi aggiunse: «Lui qui aveva una sua vita… una vita che non comprendeva me, una relazione solida… sento di non farne parte… so che non stai bene e… mi sento in colpa a parlarti dei miei problemi ma…» Sarah si sedette sul primo gradino della scala e appoggiò i libri accanto a sé. Cheryl la raggiunse e le si sedette a fianco. «Non ti preoccupare, ora sto un pochino meglio… ascoltami, quella Lynn può aver tranquillamente deformato la realtà a suo piacimento, per un suo proprio tornaconto…» «Penserei che fosse così,» la interruppe Sarah, «se non fosse che ho sentito che c’era un accordo tra il padre di Mark e Renea…» «Oh…» «Oh, mio Dio, ma allora è vero!» Sarah si portò le mani sul volto. «No, ascolta, è vero dell’accordo, ma tu e Mark vi siete ritrovati e amati quando ancora non ne sapevate nulla…» disse con veemenza Cheryl, posandole una mano sul braccio per rassicurarla. «Perché hanno fatto questo accordo?» Cheryl non rispose subito. Rifletté qualche istante prima di parlare, dopodiché,
con voce pacata e rassicurante, disse: «Beh, c’è stata una guerra tremenda tre anni fa, tra il popolo di Renea e gli uomini di Argantel… Il popolo di Renea stava avendo la peggio, Argantel li aveva fatti prigionieri e aveva invaso le terre del suo Regno. Mikael, il padre di Mark, è intervenuto con il suo esercito e ha scacciato i soldati di Argantel e liberato il Regno di Renea dagli invasori. Come conseguenza di ciò, nacque l’accordo». Sarah fece un lungo respiro, dopodiché chiese: «Ma io cosa c’entro in tutto questo? Perché io, che in fondo non sono nemmeno una sacerdotessa?» «Non lo so, ma lo diverrai…» Sarah sbuffò. «È come se ci fosse qualcosa che mi sfugge…» cominciò, «e che nessuno mi vuole dire» aggiunse guardando negli occhi Cheryl. «Non so perché proprio tu, Sarah, forse perché col fatto che eri Alys, rivesti una posizione importante. Se poi tu sia o meno una sacerdotessa, questo ha poca importanza, in fondo è solo questione di tempo». Sarah rifletté sulle parole di Cheryl. Era vero. Lei, in quanto sovrana e Somma Sacerdotessa in tempi lontani con un ruolo chiave nella scomparsa della città di Maoris, di sicuro, agli occhi delle persone che conoscevano la verità, rivestiva una posizione importante. Ecco perché era stata scelta. Il resto lo si era dato per scontato. «Il padre di Mark lo sa che io e Alys siamo la stessa persona?» chiese a una Cheryl perplessa. «Non ne ho idea» rispose evasiva abbassando lo sguardo. Era chiaro che non stesse dicendo la verità. «È una domanda che dovresti fare a lui…» Sarah si accorse che la ragazza era molto provata, pallida in volto, si vedeva che stava molto male. Così si congedò da lei, dandole la possibilità di tornarsene a casa e mettersi a letto per quell’influenza che aveva. Quando lasciò Maviron, era ata da poco l’ora di pranzo. Lei e Cheryl si salutarono fuori dalla dimora di Alys, dopodiché Sarah si avviò verso la collina ma, proprio mentre stava percorrendo il tratto verdeggiante, qualcuno la chiamò e, voltandosi, vide una ragazza dai lunghi capelli castani in piedi all’ingresso del sottobosco. Sembrava una dea. Indossava un abito verde smeraldo dal tessuto leggerissimo, addobbato con fiori che sembravano essere stati appena colti e, sopra i capelli, una ghirlanda di campanule. Sarah capì che quella doveva essere
una fata e fu incapace di pronunciare una sola parola. Era spaventata ma allo stesso tempo attratta da quella strana creatura che sembrava essere avvolta da un fascio di luce. «La mia regina ti porta i suoi saluti» disse la ragazza raggiungendola e porgendole un bouquet di rose bianche. Sarah le prese, leggermente attonita per diverse ragioni. Prima di tutto, quella era una situazione assurda: le fate non potevano esistere davvero, ma era pur vero che non potevano esistere anche tante altre cose. E poi, quel bouquet di rose: oltre a essere bellissime, le rose bianche erano in assoluto le sue preferite. «La tua… Regina?» sapeva di aver capito bene e Cheryl le aveva anche raccontato di Faye, ma non poté fare a meno di porre comunque quella domanda. «Chiede di poterti vedere la prossima volta che verrai». La ragazza prese una campanula da dietro le orecchie, che sembrava essere spuntata così, per magia. «D’accordo» disse accompagnando la parola con un cenno del capo. «E come farò a… Trovarla?» chiese con non poca perplessità. «Basta che tu venga qui. Se vuoi puoi venire anche ora». Sarah la guardò allarmata. Ma in che situazione si era cacciata? Guardò l’orologio e vide che era fermo. «Oh, accidenti!» esclamò sbuffando. «Nel mondo fairy il tempo è ingannevole e i vostri strumenti per misurarlo… Impazziscono». Sarah guardò la ragazza fata e vide che stava facendo un cenno attorno a lei. Involontariamente, senza essersene resa conto, aveva oltreato la soglia che conduceva nel sottobosco. «Che cosa significa?» Domandò spaventata. «Non ti preoccupare, non c’è nulla di cui tu debba avere paura. Semplicemente, qui il tempo non corrisponde a quello dei mortali, tutto qui. È per questo che l’orologio si è fermato». Sarah sentì la testa farsi improvvisamente leggera e confusa. Non aveva la più
pallida idea di dove era capitata, di cosa stesse succedendo, ma allo stesso tempo non riusciva ad andarsene da lì. Poco dopo, con sua enorme sorpresa, fu raggiunta da uno stuolo di ragazze fate che presero a volteggiarle attorno in una danza a spirale e, coinvolgendola, le fecero cadere i libri a terra. «No… ferme… io…» ma non riuscì a continuare oltre, le ragazze non la lasciarono e, lei, cominciò a danzare con loro, accompagnata da una musica allegra che, da quasi impercettibile, divenne poi di un volume quasi assordante, ma piacevole a sentirsi. Non solo non riuscì a continuare la frase, a dire loro di fermarsi, ma si sentì inebriata da tutto ciò, si sentiva leggerissima, come se una brezza l’avesse fatta alzare da terra e l’avesse trasportata in quella danza, da cui non riusciva e non voleva fermarsi. La ragazza con la ghirlanda di campanule, che le aveva portato i saluti della regina, si unì a loro. Non seppe per quanto tempo durò la danza, seppe solo che le sensazioni che aveva provato erano indescrivibili, tali da toglierle il respiro e da farle desiderare che non avessero mai fine. Quando uscì dal sottobosco con i libri in una borsa, datale da Aourell – la ragazza fata con la ghirlanda di campanule - vide che era già buio. Istintivamente guardò l’orologio e si accorse che aveva ripreso a funzionare ma che, il tempo, era partito dall’ora in cui lei era entrata nel sottobosco e quindi era fittizio. Si accorse anche di avere le scarpe e parte del vestito bagnati e le venne improvvisamente in mente che, ballando, erano finite anche in un torrente che attraversava il sottobosco. Si sentì la testa svuotata da tutto, ma questa volta in modo piacevole. Mentre varcò il confine e si ritrovò nel territorio di Livingston, ripensò a tutta quella giornata, cominciata davvero nel peggiore dei modi e finita in un modo alquanto bizzarro. Si fermò a metà della discesa vedendo il castello completamente illuminato, con le luci fuori accese e parecchia gente che gironzolava. Fu colta dal panico. Che scusa avrebbe inventato a Mark per la lunga assenza? Fortuna che quel giorno non avrebbero dovuto mangiare insieme perché in tarda mattinata lui avrebbe dovuto raggiungere un villaggio lontano, ma la sera sarebbe ato da lei… Imprecò a bassa voce e si diresse verso l’ingresso del castello. Tenne la testa alta e lo sguardo fisso rivolto al nulla, privo di emozioni – come la gente di quel luogo. Ma che ore erano? Si chiese allarmata. Oh, santo cielo! Ma perché diavolo doveva esserci questo inconveniente del tempo? Si ritrovò a pensare. A pochi metri dall’ingresso, vide con la coda dell’occhio il gruppo che aveva visto la mattina, composto da Lynn e dalle sue amiche vipere. Sentì il loro
sguardo posarsi su di lei e le sue labbra si incresparono in un sorriso chiedendosi se loro sapessero la verità. Sapevano che lei era Alys? La risposta le venne poco dopo. Chiaro che no. Altrimenti lo avrebbe sentito quella stessa mattina. Salì i gradini che la portarono dentro il castello e le guardie la salutarono con fredda riverenza. Lei accennò a un sorriso ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Una volta dentro, salì la scalinata che la portò al piano superiore, cercò disperatamente di capire che ore fossero, se quella gente si trovasse in giro per riunirsi per cena. Se era già buio, per la stagione in cui erano, l’ora di cena era ata già da un bel pezzo. E pensare che lei non aveva nemmeno pranzato, e sentiva i crampi allo stomaco. Giunta al piano superiore, si accorse che il corridoio era deserto: tanto meglio. Si sentì sollevata. Entrata nella porta che conduceva al suo alloggio, trovò la domestica Brigitta che la salutò con uno sguardo cupo. Era arrabbiata per qualcosa. Sarah si fece pensierosa per un attimo, sbatté le palpebre un paio di volte poi decise di non pensarci ed entrò quindi nella propria camera. Appena mise il piede dentro sussultò, e i libri le caddero a terra. Vide, di fronte a lei, Mark, con uno sguardo indecifrabile. «Dio… mi hai fatto spaventare…» esclamò col cuore che le batteva all’impazzata. Dal suo sguardo non riusciva a capire se lui fosse arrabbiato o preoccupato. O entrambe le cose. «Ma dove sei stata? È più di un’ora che sono qui ad aspettarti, ero preoccupato, ho mandato persino due dei ragazzi a cercarti!» Bene, era solo preoccupato e non arrabbiato. Sarah fece per parlare, era sul punto di raccontargli ogni cosa ma non ne ebbe il tempo. «Aoustin dice che stamattina ti ha accompagnata in centro ma che sei tornata indietro subito e che sei voluta scendere dalla macchina prima ancora di arrivare al castello…» Sarah, se in un primo momento si era sentita in colpa, dopo quel rimprovero immotivato ebbe un attimo di stizza. D’accordo, era stata via tutto il giorno, ma non era prigioniera di quel luogo, giusto? «E… Aoustin,» esordì lei col sopracciglio inarcato, «oltre a essere un autista, deve anche riferirti tutto quello che faccio?» Il tono che usò fu tagliente, ne era consapevole, ma non ne poté
fare a meno. Mark la guardò, il viso contratto in una smorfia di collera: era chiaro che non si aspettava una reazione del genere. «Sei stata in giro tutto il giorno, in un luogo che non conosci, senza dire niente a nessuno: permetti che sono preoccupato?» Il tono di Mark fu persino più duro di quanto si sarebbe aspettata e la stava fulminando con lo sguardo. Sarah abbassò per qualche istante gli occhi, che caddero sulla borsa ancora a terra, poi con tono più controllato disse: «Non mi sono accorta che…» «Che cosa c’è in quella borsa?» Le chiese lui interrompendola di nuovo. Sarah fece un profondo respiro per evitare frasi pungenti del tipo non sottopormi a un terzo grado, e si limitò soltanto a dire: «Sono libri, mi annoio a stare senza fare nulla…» guardò Mark e si accorse che lo sguardo di lui si era addolcito. Stava persino comparendo un sorriso sul suo volto... E perché mai? «Non dirmi che sei stata tutto il giorno nella biblioteca del castello e nessuno se ne è accorto…» non proseguì oltre, le andò incontro e la strinse in un abbraccio. Sarah rifletté molto a lungo: non sapeva se dire la verità o lasciargli credere quello che voleva e, siccome non era in cerca di discussioni, decise che, in fondo, per questa volta, una piccola bugia era meglio di una verità che avrebbe creato inutili litigi. «Spero non ti dispiaccia…» gli disse con tono mansueto e un tantino mieloso. Poi però si ricordò di Lynn e si irrigidì. Lui non lo percepì e quando si staccò da lei si limitò a chiedere: «Come mai sei bagnata?» Sarah non ne poteva più di tutte quelle domande, Mark la stava sfinendo. Era lei che doveva chiedergli delle spiegazioni, non viceversa! «Credo di essermi avvicinata troppo alla fontana che c’è fuori…» altra bugia, sempre per evitare discussioni sgradevoli. In fondo, anche lui le aveva mentito non raccontandole nulla di Lynn, giusto? Poi ripensò alle parole della ragazza, al bacio che si erano dati e… non poteva non sapere… Gliel’avrebbe chiesto, quello doveva saperlo. Se era così bravo lui a fare le domande, allora lo sarebbe stata anche lei. Le doveva delle spiegazioni. Ma lui la batté ancora sul tempo, fu il primo a parlare
e, questa volta, sfoggiando un sorriso davvero irresistibile. «Senti, pensavo… Ti va se domani sera ceniamo noi due soli?» Sarah lo guardò senza parole. Era la prima volta che cenavano da soli da quando erano giunti a Livingston, nel mondo dorato di Mark. E, il tono che usò, il sorriso travolgente che era tutto per lei, le impedì di fare domande a proposito di Lynn. Le avrebbe fatte la sera seguente. Quella sera erano stati già sul piede di guerra sufficientemente. Meglio lasciar perdere. In fondo, era lei che stava invitando a una cena romantica, giusto? Non Lynn. Lynn era fuori con le sue amichette, Mark, invece, era lì tutto per lei. «La trovo una bellissima idea» gli disse ricambiando il sorriso e abbracciandolo. Lui le diede un bacio sui capelli, poi le sussurrò: «Mi piacerebbe restare, ma… Domani mi devo alzare molto presto». «Te ne vai di già?» chiese lei facendo un sospiro che gli comunicava quanto le sarebbe mancato. «È mezzanotte ata» le disse lui ridendo. Sarah si staccò di colpo da lui, gli occhi spalancati per lo stupore. «È già così tardi?» guardò l’orologio e aggiunse mostrandoglielo: «Mi si era fermato, per questo non mi sono resa conto del tempo…» «Adesso però va…» commentò lui perplesso guardando l’orologio. «Già, è ripartito, e così mi ha ingannata,» gli spiegò con tono un po’ sciocco. «C’è giù un orologio a muro in biblioteca» affermò lui scrutandola. Chissà dove si trovava la biblioteca… Deglutendo a fatica mormorò: «Sì, ma… poi sono uscita nel parco a leggere ed è stato lì che mi si è fermato…» si stava arrampicando sugli specchi, lo sapeva, ma Mark sembrò bere la storia. «Domani fatti accompagnare da Aoustin a comprarne un altro» le disse con un tono tipico da uomo d’affari. Poi le prese il viso tra le mani, le diede un bacio sulle labbra e le sussurrò: «Buona notte».
«Buona notte anche a te». Gli sorrise, ma lui era già alla porta. Mark aprì la maniglia, dopodiché si voltò e disse: «Ah, dimenticavo, domani in mattinata non uscire, perché arriva la sarta a prenderti le misure». «Scusa?» chiese, Sarah, credendo di non aver capito. «Arriva la sarta a prenderti le misure per i vestiti,» ripeté lui divertito per l’espressione sgomenta di lei. «Quali vestiti?» domandò colta da un moto di panico. Lui la guardò ancor più divertito. «Beh, hai un armadio molto ampio e dentro ci sono ben pochi abiti. Spero tu non abbia creduto che ti avrei lasciata solo con quelli…» «Ma non sono pochi» lo interruppe lei incredula. «Saranno persino più di dieci…» Mark le diede un altro bacio sulle labbra, le fece l’occhiolino e mormorò: «Dormi bene, amore». Sarah si sentì sciogliere. L’aveva chiamata amore. Lynn era spacciata.
Quella giornata tutto sommato non era finita male. Lynn, sicuramente, quella mattina aveva mentito riguardo a Mark. Okay, lui era stato da lei per lasciarla, d’altro canto, cos’altro poteva fare, poverino? E se non gliel’aveva detto… Beh, l’aveva fatto sicuramente per non ferirla. Però… C’erano altre cose che non quadravano. Lei sapeva che stavano insieme da soli due mesi… Chi altri gliel’avrebbe potuto dire se non Mark? E… Il bacio? Supponendo che non fosse vero, perché però non le aveva parlato dell’accordo tra Renea e suo padre? Glielo doveva chiedere. Voleva una spiegazione. Insomma, tutti lo sapevano lì, tranne lei? Davvero Mark credeva che lei non sarebbe mai venuta a saperlo? Si arrovellò il cervello in cerca di spiegazioni ma fu del tutto inutile. Non aveva sonno, così decise di prendere i libri che le aveva dato Cheryl. I libri sui cristalli. E cominciò a sfogliarne uno. Lesse qua e là: Monumenti di pietra per comunicare con il cielo, Le pietre e la Bibbia, Per scoprire furti e malefici, Il teschio di quarzo, Il quarzo ialino: un elemento per predire… Lesse punto per
punto e fu davvero affascinata dal potere insito nelle pietre che mai avrebbe creduto potessero avere. Poi giunse al punto cruciale, a ciò per cui aveva preso quel libro: come potenziare la Stella. L’articolo che vi lesse si intitolava Il rituale della purificazione. Era proprio quello che stava cercando. Diceva così: Si pensava che le proprietà delle pietre potessero indebolirsi – e addirittura svanire – con il are del tempo, e si rendeva necessario ricaricare le pietre mediante una cerimonia di restituzione dei poteri, denominata la benedizione delle pietre preziose… A notte fonda, Sarah, stava ancora leggendo il libro. Trovò una parte che la incupì: Un peccato punito dall’Inquisizione. Sapeva che leggendolo avrebbe provato dolore, avrebbe ripercorso quel capitolo della sua vita che aveva deciso di allontanare e dimenticare, ma non ne poté fare a meno. Si chiese dove lei e Mark si fossero conosciuti. Se in quello o nel mondo da dove proveniva. Dove si era verificata la persecuzione alle streghe? Non riusciva a capire e voleva sapere. Un’altra di quelle cose che, la sera seguente, avrebbe chiesto a Mark. Era ancora agli inizi della lettura del libro quando vide spuntare dalla finestra le prime luci del mattino. Possibile che fosse già l’alba? Sarah chiuse il libro e guardò l’orologio. Merda, non si era ricordata di rimettere le lancette a posto! Scostò di poco la tenda del baldacchino, quel tanto che le sarebbe bastato per vedere la sveglia e… Cadde. Cadde giù dal letto. Una botta tremenda accompagnata da un rumore pazzesco. Le doleva tutto il braccio sinistro e il fianco su cui era caduta. Si rialzò a fatica, stanca e assonnata, e vide che erano già le otto del mattino. Non era l’alba. Sarebbe riuscita a dormire almeno un po’? Bussarono alla porta. Andò ad aprire e vide che era Brigitta, la cameriera, che la stava osservando in tralice. La domestica posò lo sguardo sui vestiti, che erano della sera prima quando era rientrata, e sul suo volto. Doveva avere un aspetto orribile. «Sì?» chiese a disagio. Gli occhi freddi della donna la stavano osservando con disapprovazione. Poco dopo disse: «Se miss Sarah vuole fare colazione, è pronta. Spero abbia dormito bene». E, mentre pronunciò quelle ultime parole, le guardò di nuovo i vestiti. «Le voglio ricordare che tra meno di un’ora la sarta sarà qui» aggiunse in tono poco amichevole. «La ringrazio. Faccio prima una doccia» rispose laconica.
«Se miss Sarah farà una doccia, la colazione diventerà fredda. Desidera che gliela tenga in caldo?» domanda scontata. «Se non è troppo disturbo» replicò caustica. Brigitta si voltò e se ne andò di tutto punto. Che persona orrenda! Sarah richiuse la porta e si diresse al bagno per farsi la doccia. Che cosa doveva aver pensato nel vederla con i vestiti del giorno prima? Che aveva dormito così? Non ci impiegò molto a scoprirlo. Quando ebbe fatto la doccia e indossò dei vestiti puliti, uscì silenziosamente dalla camera e sentì le due donne parlare tra loro. Era Brigitta ad avere la parola. «È una vergogna. Come può una donna del genere divenire la futura Regina di questo Regno? Come può il Re Mikael approvare una relazione del genere?» L’altra cameriera borbottò qualcosa che Sarah non riuscì a udire. Aveva il tono di voce troppo basso. «Ti dico che indossava i vestiti della notte precedente» continuò Brigitta imperterrita. «È molto probabile che fosse appena rientrata da uno di quei loro strani rituali, non dimenticare che lei è una strega! E stanotte, guarda caso, c’era la luna piena!» C’era la luna piena? Sul serio? Si chiese Sarah. Fece un colpo di tosse e la donna si zittì. «La colazione è servita» le comunicò con tono pungente, come se le fosse del tutto indifferente se lei avesse sentito o meno. Agnes, invece, le fece un sorriso e abbassò lo sguardo palesemente imbarazzata. Sarah sentì le lacrime pungerle gli occhi e non poté impedire a una lacrima di scenderle furtiva sul viso. Si premurò però di asciugarla all’istante, senza che loro potessero scorgerla. Bevve in fretta un bicchiere di latte con del caffè, sperando che Brigitta non ci avesse messo del veleno, dopodiché se ne tornò in camera sua. La sarta, di nome Lydia, giunse con due sue assistenti alle nove in punto. Per Sarah fu una vera tortura soccombere a quello strazio. Le presero le misure di fianchi, vita e seno e non solo, anche della lunghezza delle braccia e delle gambe e dell’ampiezza delle spalle. Era semplicemente assurdo, tanto più che nemmeno
la consultarono per la scelta dei tessuti e dei colori. O per i modelli o altro. Si sentiva una marionetta in balia di quelle persone. Represse delle lacrime sentendosi improvvisamente esausta. Tre ore dopo, rinunciò al pranzo per sdraiarsi sul letto, dove si addormentò poco dopo.
Il sogno che fece fu davvero strano. Era notte e il cielo era limpido. Vedeva una luna splendida ma che, stranamente, era circondata da un fascio di luce. Si soffermò a contemplarla e si chiese il perché di quel fascio di luce. Poco dopo, vide poco distante da lei Mark, che la stava osservando serio, lo sguardo indecifrabile. Non sorrideva e non diceva nulla. Vide poi giungere Lynn. La ragazza lo guardava con occhi avidi, un sorriso languido sulle labbra. Lo raggiunse e gli mise le braccia attorno al collo. Lui si voltò verso di Lynn e le sorrise, dopodiché, i due si baciarono.
Sarah si svegliò di soprassalto. «Era solo un sogno, era solo un sogno…» ripeté tra sé per auto convincersi. Guardò l’ora e scattò giù dal letto. Mark sarebbe arrivato di lì a poco. Sebbene era stato solo un sogno, non poté fare a meno di pensarci mentre si stava preparando. Indossò un vestito di tessuto leggero rosa pallido. Le ricordava in qualche modo quello che aveva da Argantel, il giorno in cui lei e Mark erano tornati dal villaggio, il giorno in cui si erano amati per la prima volta… chissà se lui, vedendolo, se ne sarebbe ricordato? Pettinò con cura i capelli e mise un trucco leggero. Mentre stava stendendo con cura il gloss sulle labbra, bussarono alla porta e vide Mark entrare. Era bellissimo. Indossava un completo chiaro con sotto una camicia nera, un contrasto meraviglioso. I capelli curati… le stava sorridendo. «Ciao», le disse lui sfoggiando uno splendido sorriso. «Posso entrare?», domandò guardandola con occhi adoranti. «Certo…» rispose lei contraccambiando il sorriso. Mark la raggiunse, le cinse la vita con le braccia e, dopo averle stampato un
bacio sulle labbra, mormorò: «Sei bellissima…» Sarah, sorridendogli ancor di più, rispose: «Anche tu.» E lanciò uno sguardo egli splendidi abiti che indossava. «Sei pronta per la nostra cena romantica?» Le chiese lui con una dolcezza indescrivibile. Sarah riuscì a dimenticare per un attimo le parole di Brigitta. Era indecisa se raccontare della cosa a Mark, ma poi decise di non farlo. Non voleva creare problemi alla donna, anche se se li sarebbe meritati. «Prontissima» rispose lei con tono suadente. «Cos’hai fatto di bello oggi?» «Beh, stamattina è venuta la sarta,» disse con tono placido ma un pelino insofferente. «Poi, nel pomeriggio, mi sono addormentata, perché stanotte,» continuò senza riuscire a trattenere una risata, «ero talmente presa dalla lettura di un libro e non mi sono accorta di essere stata su a leggere sino all’alba, anzi, di più» concluse sempre ridendo con gli occhi che le brillavano. Mark scosse la testa e rise a sua volta: «E che libro era per coinvolgerti in questo modo assurdo?» «Dunque, era…» cominciò incespicando «… era un libro che trattava la storia di questo posto, sai desideravo farmi una certa cultura e…» Sarah si soffermò a riflettere. Era il momento esatto per porgli la domanda che le premeva. «Santo cielo, non era meglio una lettura più leggera?» la interruppe lui sbalordito ma sempre divertito. «Beh, desideravo conoscere questi luoghi…» le fu impossibile continuare perché Mark le aveva preso il viso tra le mani e l’aveva presa a baciare in modo ionale e travolgente. Quando si scostò un po’, lei gli sussurrò: «C’è una cosa che desideravo chiederti… a proposito di ciò che ho letto…» Mark la scrutò a lungo, sospirò, e disse: «Veramente, questa dovrebbe essere una
serata romantica…» nella voce trapelava chiaro il sarcasmo. «È una cosa seria…» spiegò col sorriso in parte smorzato. Mark si fece serio a sua volta. «Cosa c’è?» chiese prendendole una mano tra le sue. «È che… leggevo che c’è stata…» quanto le pesava pronunciare la frase senza fermarsi, «l’Inquisizione anche qui…» Sarah vide il sorriso svanire del tutto sul viso di Mark. «Sono confusa… voglio dire, mi chiedevo se noi ci fossimo conosciuti qui o… sapevo dell’Inquisizione nel mio… nel mondo da dove sono venuta, e così…» Mark la condusse verso il letto e la fece sedere accanto a lui. Tenendole sempre la mano, cominciò: «A dire il vero non lo so. Mi ricordo di te, di noi, di quello che è successo, ma non ho ricordi riguardo a nomi di luoghi o altro. L’Inquisizione c’è stata qui come nel mondo da cui sei venuta, poiché è un mondo parallelo a questo. È un po’ come la presenza del sole e della luna. Così, la persecuzione di quelle che vennero definite streghe, avvenne in entrambi i luoghi,» concluse guardandola a lungo. «Oh… Per cui, non lo sai?» domandò con voce incerta. «No, Sarah…» rispose scuotendo la testa. «Ma non rivanghiamo il ato,» riprese con voce più concitata. «Ci aspetta una bellissima serata e ho una sorpresa per te,» concluse con un sorriso da mozzare il fiato. «Sorpresa? Che genere di sorpresa?» Chiese colta alla sprovvista. «Mi spiace, ma non ti anticipo nulla». Si alzò dal letto senza lasciarle la mano, invitandola ad alzarsi a sua volta. «Ora è meglio che andiamo, Aoustin ci sta già aspettando». Sarah lo guardò accigliata. «Aoustin? Non ceneremo qui al castello?» Mark le sorrise e si limitò a dire: «No, mia cara».
Quando uscirono dalla camera, erano presenti entrambe le cameriere. Brigitta
salutò con affabilità ed eccessiva adulazione Mark, mentre ignorò lei. Agnes sorrise a entrambi e Sarah vide che la guardava con molta preoccupazione. Temeva che avesse raccontato tutto a Mark? Percorsero il corridoio che era affollato di persone e tutti salutavano Mark, mentre accennavano un sorriso o un saluto ostentato a lei, e Mark salutava in modo cordiale e scambiava battute con quelli che dovevano essere i suoi compagni o amici. Sarah pensò al fatto che lui l’aveva presentata a ben poche persone. Perché quel comportamento? Usciti dal castello, stavano scendendo i gradini quando incontrarono Lynn, accompagnata dalle sue inseparabili amiche, che li stava osservando con uno sguardo di fuoco. La ragazza cambiò in modo repentino l’espressione e, improvvisando un sorriso, totalmente finto, disse con voce suadente: «Mark…» Mark sembrò diventare pietrificato tutto in un colpo. «Lynn…» non riuscì a dire altro, la voce era quasi impercettibile. «Ma come, non mi presenti la tua nuova ragazza?» chiese con tono lezioso. Mark esitò qualche istante, poi disse: «Sarah… lei è Lynn, è tra le nostre Guardie Reali…» il modo freddo con cui pronunciò quelle parole, la fece raggelare, ma ancora di più, il ricordo del sogno che aveva fatto. «Solo? Mi presenti solo come membro della Guardia Reale?» Gli occhi spalancati per la sorpresa, la mano sul petto per marcare il dispiacere e la troppa enfasi con cui pronunciò quelle parole, la fecero sembrare un’attricetta da quattro soldi. Mark fece una smorfia e, con un’espressione indecifrabile, disse: «Siamo anche amici da anni». Lynn fece una smorfia a sua volta e si fece sfuggire un risolino. Aveva avuto lo sguardo tutto il tempo posato su Mark ma, poi, si voltò verso Sarah e disse con tono teatrale: «È un piacere conoscerti, Sarah, anche se mi sembra di averti già vista». Sembrava stesse interpretando una parte e si rivolgesse a lei con sufficienza, come se avesse difficoltà a comprendere. «È possibile che tu ieri fossi in centro a fare acquisti?»
Sarah, che non si degnò di salutarla, rispose laconica: «È probabile». L’espressione era imibile, come se avesse davanti una roccia e non una persona. «Ora che ci penso, ti ho vista in quella bellissima boutique… ma, se non sbaglio, sei uscita senza comprare nulla, come se avessi fretta… Non ti piace fare shopping?» le mancava solo un palcoscenico, per l’interpretazione che stava facendo. Il pubblico c’era già, infatti: tutte le persone li stavano osservando e mormoravano tra di loro. Non le fu difficile immaginare i commenti. «Non mi dispiace,» fu tutto ciò che riuscì a dire. «È meglio che ci avviamo…» disse Mark rivolgendosi a Sarah. Quest’ultima lo guardò ma poi rivolse il suo sguardo altrove. «Allora vi auguro una buona serata,» s’intromise con tono accattivante Lynn. A Sarah non fu difficile comprendere come fosse riuscita a soggiogare Mark facendo la gatta morta. Mark la ringraziò e si avviarono verso l’auto. Aoustin li stava aspettando fuori dalla macchina. Sarah non poté fare a meno di notare che l’uomo, prima guardò Lynn, poi guardò lei. Pensò che, molto probabilmente, era sempre stato abituato ad accompagnare Mark e Lynn in giro. Pensava di riuscire a chiedergli qualcosa riguardo a lui e a Lynn, ma ora che ne aveva anche il pretesto, non ci riuscì. Mark, dal canto suo, non disse nulla a riguardo. Tutto quello che Sarah riuscì a commentare, una volta che la macchina partì, fu: «Nelle guardie reali ci sono anche donne?» Sarah studiò a lungo l’espressione di Mark mentre gli poneva la domanda. Lui non ne mostrò nessuna in particolare e, con tono noncurante, rispose: «Sì. Sorpresa?» la guardò e Sarah si chiese a cosa stesse pensando. «Beh, un po’». Il tragitto fu breve, Aoustin li portò fuori città dove Sarah vide in lontananza una costruzione illuminata, le cui pareti erano in vetro. Non riuscì a vedere l’interno
perché c’erano dei tendaggi di colore rosa che ne impedivano la visuale. «Siamo arrivati…» furono le uniche parole che Mark pronunciò. Dopo che Aoustin ebbe fermato il motore della macchina, aprì la portiera a Sarah. «Le auguro di trascorrere una piacevole serata, miss Sarah» le disse accennando a un sorriso che Sarah contraccambiò. «La ringrazio», rispose lei con tono un po’ spento dovuto all’entrata in scena di Lynn. Mark la prese per mano e si avviarono all’ingresso in silenzio. Salirono i gradini e, una volta che furono vicini all’ingresso, qualcuno aprì loro la porta. Accostati alla loro destra e alla loro sinistra, c’erano file di camerieri, uomini e donne, in una graziosa divisa bordeaux e nero. Diedero loro un accogliente benvenuto. L’interno era luminoso e sorprendentemente elegante, con lampadari in cristalli che creavano giochi di luce da togliere il fiato. Sarah fu incapace di parlare. «Ti piace?» le chiese lui guardandola divertito. «È… Semplicemente meraviglioso,» commentò estasiata. Mark le regalò uno dei suoi meravigliosi sorrisi, che tanto le scaldavano il cuore. «Non hai ancora visto niente». Un cameriere li accompagnò in un’altra sala dove c’era al centro un solo tavolo, rotondo, rivestito di un’elegante tovaglia rosa e tutt’attorno, vasi contenenti rose decoravano il locale. Mark la condusse al lato nord, dove c’era un’incredibile vista su un laghetto e si separò da lei solo qualche istante, il tempo che andò a prenderle un bouquet di rose rosse e gliele porse dicendo: «Queste sono per te». Sarah prese i fiori e lo guardò con occhi adoranti. «Tutto questo è… Semplicemente meraviglioso. Grazie, Mark…» si protese verso di lui e lo baciò sulle labbra.
La cena fu accompagnata dalla costante e dolce melodia di un violino; l’atmosfera era resa magica dalla luce di centinaia di candele sparse ovunque. A Sarah sembrava di vivere un sogno. Durante la cena parlarono a lungo. Mark le raccontò della sua vita, di come trascorse in solitudine gli anni dopo la morte della madre. Il padre lo mandò in un college esclusivo, dal quale tornava a casa solo per le vacanze estive. La figura del padre non fu per nulla presente nella sua vita, poiché era troppo preso dal suo ruolo di sovrano. Sarah a quel punto si chiese se ora stesse cercando di somigliargli, considerando quanto fosse perennemente preso dagli impegni pure lui. «Marcus si trovava nel mio stesso college,» le spiegò lui, «e siamo cresciuti come fratelli. Suo padre è il Re Nikolaz, sovrano di Kentigern». «Oh… E come mai si trova qui a Livingston e non a Kentingern?» gli chiese lei incuriosita. «Perché si è fidanzato con una ragazza che si trova nelle nostre Guardie Reali». Dopo aver detto ciò, Mark abbassò lo sguardo qualche istante facendosi pensieroso. Notando che Sarah lo stava osservando, continuò: «Lui e Anjela si sposeranno a ottobre e dopo il matrimonio si trasferiranno definitivamente a Kentingern». Sarah aveva smesso di ascoltare già da un pezzo. All’udire il nome Anjela, il suo pensiero corse alla ragazza dai capelli rossi, amica di Lynn. Possibile che si trattasse della stessa persona? Possibile? Mark doveva aver finito di raccontare poiché, nel locale, si sentiva solo la melodia del violino. Stavano mangiando l’aragosta quando, Sarah, gli chiese riguardo all’anello. Pochi giorni prima, infatti, aveva avuto modo di appurare che il simbolo inciso sull’anello, identico al tatuaggio che aveva sulla scapola sinistra, richiamava lo Stemma Reale. «Apparteneva alla mia famiglia,» le spiegò Mark riflettendo qualche istante. «Come mai Andy ne ha uno identico?» gli domandò, incuriosita, tagliando con
difficoltà l’aragosta. Mark trattenne una risata e rispose: «Non ne ho idea, Morgana non me l’ha voluto dire. Quando l’avevo detto a Chris…» la voce si incrinò leggermente al ricordo dell’amico, « lui mi disse che era probabile che li avessero fatti in serie», concluse divertito. «E… Comunque, già aveva poteri prima che noi due ci ritrovassimo, giusto?» Mark, che si stava portando il bicchiere alle labbra, lo bloccò a mezz’aria. Posò il bicchiere sul tavolo, la guardò a lungo e rispose: «No». Sarah lo guardò impensierita. «Vuoi dire che… prima…» scosse la testa incapace di continuare. «Mio padre me lo diede pochi mesi prima. Era un cimelio di famiglia ma… Non ha mai prodotto nessun effetto del genere». Dicendo ciò si incupì. «Ma lui sa che…» Mark scosse la testa. «Non ho ancora avuto modo di parlargliene, per la verità. Tornato qui, sono stato totalmente sommerso dai cambiamenti che sono avvenuti durante la mia assenza,» spiegò molto sbrigativo, «che mi è ato totalmente dalla testa». Sarah lo guardò sbigottita. Com’era possibile che gli fosse ato totalmente dalla testa? Insomma, un anello ha dei poteri simili, e lui se ne dimentica di parlarne al padre che glielo ha donato? Si sarebbe dimenticato anche di lei in quel modo? Le portate che vennero servite erano deliziose. Dopo che ebbero mangiato il dolce, Mark le disse: «Mi concedi l’onore di un ballo?» Sarah gli sorrise e annuì. Quello che successe poi, fu memorabile. Loro due ballarono sulle note di una melodia molto dolce e romantica, estranea a Sarah, ma che trovò essere travolgente. Non conosceva i i ma Mark la conduceva in modo impeccabile, era un ballerino strepitoso e non smetteva di sorriderle. Quando la musica cessò, lui si scostò un poco da lei e la invitò a raggiungere la vetrata che dava sul laghetto. Quando furono lì, dei fuochi
d’artificio presero a scoppiettare nel cielo creando una miriade di luci e colori. Sarah si voltò senza parole verso Mark e lo vide in ginocchio, davanti a lei, con una scatolina in mano di velluto blu, aperta, su cui era posato un anello con quelli che dovevano essere diamanti. «Mi vuoi sposare?» le chiese lui con un tono che lasciava trapelare una grande emozione. Sarah lo guardò dapprima confusa, poi guardò l’anello, poi i fuochi d’artificio incapace di parlare. Riuscì solo a pronunciare il suo nome con tono perplesso. Mark le sorrise, le prese la mano e ripeté: «Ti amo più della mia vita, Sarah. Mi vuoi sposare?» Lei si lasciò cadere a terra di fronte a lui, gli cinse il collo con le braccia e lo baciò in modo così ionale sulle labbra, da lasciarli entrambi senza respiro. Mark contraccambiò al bacio sorridendo e, quando lei si separò un po’ da lui, a fior di labbra, le chiese: «Era un sì?» Sarah rise nervosamente, le lacrime agli occhi, lo baciò di nuovo, poi rispose: «Era un sì, certo che era un sì. Ti amo da morire, Mark!» poi scosse la testa, confusa, nervosa, commossa, incredula di ciò che stava accadendo. «Non riesco a crederci che stia succedendo davvero… è tutto così… perfetto…» delle lacrime di gioia le scesero sul viso. Mark le posò le mani per asciugargliele e poi esclamò: «La tradizione vuole che, a questo punto, io ti metta l’anello al dito». Sarah rise nervosamente e gli porse la mano sinistra, tremante per la grande emozione. Lui le infilò dolcemente l’anello e annunciò: «Ora siamo ufficialmente fidanzati». Dopodiché l’aiutò ad alzarsi da terra. Sarah mormorò con le lacrime agli occhi: «È bellissimo Mark… è stupendo…» non riusciva a staccare gli occhi dall’anello, mentre i fuochi d’artificio continuavano il loro spettacolo nel cielo. «E tutto quello che hai fatto… la cena, i fuochi d’artificio… è tutto così perfetto…»
«È il minimo per te, amore mio». La guardò con intensità, poi si fece pensieroso e disse: «Ora dobbiamo fissare la data… Cosa ne dici di maggio o giugno dell’anno prossimo?» Sarah lo guardò perplessa: «E… Tuo padre?» Mark le accarezzò il viso e sorridendole le sussurrò: «Mio padre non potrebbe essere più felice». Per strano che potesse essere, in una serata così incredibilmente perfetta, Sarah non poté fare a meno di pensare, udendo quelle ultime parole, all’accordo tra il padre di Mark e Renea. Quanto aveva inciso sulla decisione di Mark di chiederle di sposarla? Mark la stava osservando accigliato. Lei si riscosse da quei pensieri e gli sorrise. «Comunque abbiamo tutto il tempo per decidere il giorno esatto, considerati gli impegni e tutto il resto». Sarah si incupì a quelle parole. Aveva detto: considerati gli impegni e tutto il resto. Cosa significava? Quali impegni? «Settimana prossima daremo un grande ricevimento dove verrà annunciato il nostro fidanzamento,» le annunciò, «che coinciderà con il giorno dopo in cui rientrerò da Kentingern». Mentre pronunciò quelle parole la guardò. «Ma… Perché tutta questa fretta?» gli chiese con un moto di panico. «Voglio dire, già tra una settimana…» Mark le prese le mani e gliele strinse per rassicurarla. «È solo una formalità che comunque va rispettata, Sarah» le spiegò pragmatico. «Se ci sposeremo tra un anno, aspettare di più sarebbe azzardato, oltretutto, considerato che poi avrò poco tempo per questo». Sarah lo guardò accigliata. «Avrai poco tempo, per cosa?» «Mi aspettano dei mesi difficili, in cui dovrò fare dei viaggi…» «E, io…?» chiese con un filo di voce. Sarah sentì il mondo crollarle addosso. Mark aveva organizzato una serata fantastica, le aveva chiesto di sposarlo, in
ginocchio, con le luci delle candele e i fuochi d’artificio e, ora, le stava dicendo che presto l’avrebbe lasciata da sola? «Tu starai benissimo, te lo assicuro» disse convinto. «Starò via il meno possibile, te lo prometto, ma la mia partenza è inevitabile. Domani sera partirò per Kentingern, nella terra dove vive Marcus per incontrare suo padre, Nikolaz. Lui e Regasian, sovrano di Fearghas, stanno concordando un’alleanza con mio padre. Hanno già prestato giuramento di fedeltà e ora ci troviamo in una fase molto delicata, in una specie di periodo di transizione, dopo il quale c’è la possibilità che i tre regni si fondano in un unico regno, pur mantenendo la loro indipendenza come Stati federali, ma con un unico Sovrano. Anche se questa cosa è ancora tutta da vedere e comunque i tempi perché ciò accada saranno molto lunghi. Mio padre ha incaricato me dell’incombenza…» Mark le lasciò le mani per prenderle il viso: «Credimi, vorrei non dover partire e stare qui con te… Ma non posso. Essere figlio di un Sovrano comporta dei privilegi ma…» rise amaramente «anche dei doveri,» concluse socchiudendo gli occhi. Sembrava realmente dispiaciuto ma, Sarah, si sentiva messa da parte dai suoi impegni. «Per cui… già domani parti?...» disse lei con un filo di voce. Lui annuì. «E tornerai…» «La prossima settimana ma… tu avrai un sacco da fare,» disse improvvisamente colto da un grande entusiasmo. «Dovrai organizzare la nostra festa di fidanzamento e io conto sul tuo buon gusto,» concluse sorridendole. Sarah sorrise a sua volta ma in modo forzato. Mark le lasciò il viso per prenderle la mano e le disse, accompagnandola al tavolo: «Ora dobbiamo brindare con lo champagne». Detto ciò, un cameriere fu subito da loro con dei bicchieri di champagne e Mark alzò il calice, proponendo un brindisi per il futuro che li attendeva. Il resto della serata, Sarah mostrò una felicità che era ben lungi dal provare.
Quando fecero ritorno al castello, Mark l’accompagnò al suo alloggio e Sarah fu piuttosto taciturna. Non era suo desiderio creare polemiche o discussioni, ma possibile che lui dovesse partire proprio il giorno dopo che le aveva chiesto di sposarla? Aveva avuto un tempismo perfetto. Entrati nel lussuoso appartamento di Sarah, quest’ultima notò che non c’era traccia delle cameriere, probabilmente erano andate a dormire. «Vorrei tanto restare» cominciò Mark, «ma domani ho un gran da fare con i preparativi per il viaggio e non posso trattenermi oltre,» concluse amareggiato. Sarah lo guardò imbronciata. «Ma poi partirai e starai via tanti giorni…» disse cingendogli la nuca con le braccia. «Lo so… e, credimi, non sai quanto vorrei fermarmi da te ma… Si è fatto tardi. Devo vedere delle persone domattina presto». Sarah lo baciò sulle labbra. «Non c’è nulla che posso fare per convincerti?» «Lo sai quanto mi tenti ma… pensa che avremo tutta la vita davanti a noi,» le disse sorridendo. «Lo so, ma io ti voglio adesso». Mark scosse la testa ridendo. «Porta pazienza, amore mio. Vedrai che questi giorni eranno velocemente». Le posò un bacio sulle labbra, e poi un altro più intenso, dopodiché si congedò da lei. Sarah non riusciva a credere che quella serata potesse finire così. Era stato tutto perfetto, le aveva chiesto di sposarlo con un’atmosfera magica e romantica, e ora se ne andava in quel modo? No. Non poteva permetterlo. Al diavolo la partenza, al diavolo tutto. Voleva che rimanesse con lei, che asse la notte con lei, solo così, quella serata, o meglio, quella notte, poteva dirsi davvero perfetta. Si guardò l’anello al dito e decise che lo avrebbe raggiunto e, così, con o deciso, si diresse verso l’uscita. Mark era in fondo al corridoio, stava per chiamarlo ma in quel modo l’avrebbero sentita tutti. Così si avviò verso di lui, ma si bloccò quando lo vide fermarsi e accostarsi a una porta. Bussò e, dopo essere rimasto in attesa qualche istante,
qualcuno andò ad aprire. Riconobbe subito la ragazza in piedi alla porta: era Lynn. Sarah smise di respirare per qualche istante. Perché Mark aveva bussato alla porta di Lynn nel cuore della notte? Fu solo una frazione di secondo, ma Sarah vide gli occhi di Lynn che guardavano verso di lei, con aria trionfante. Mark entrò nella sua stanza poco dopo, seguito dalla ragazza che chiuse la porta alle spalle, lasciando Sarah in preda a un tumulto di emozioni. Non seppe quanto tempo rimase lì, in piedi, a osservare quella porta, come pietrificata. Le parvero ore. Sperava di veder uscire Mark, prima o poi, ma Mark non si fece vedere per tutto il tempo che lei rimase lì. Con un peso enorme sullo stomaco, la gola serrata in una morsa che le impediva di respirare, rientrò nel suo alloggio come un automa e, una volta che fu sola nella sua stanza, si lasciò cadere a terra e si prese la testa tra le mani. Che cosa significava tutto ciò? Perché Mark era andato da Lynn? Proprio quella sera in cui aveva chiesto a lei di sposarlo? Poi, una serie di idee presero forma nella sua testa: l’accordo tra il padre di Mark e Renea, la fretta del fidanzamento… Tutto era successo troppo presto, troppo in fretta, senza che lei si fosse ambientata in quel luogo, senza che lui l’avesse fatta realmente sentire a casa… Quella non era la sua casa!... Cosa stava facendo da Lynn? Non poteva credere che loro stessero… No, Mark non le avrebbe mai fatto una cosa del genere. Ma, poi, quello era davvero il suo Mark? Si alzò da terra, raggiunse il letto e vi si sdraiò sopra, con le lacrime che presero a rigarle il volto.
Quando la mattina dopo si alzò e si guardò allo specchio, vide che il suo aspetto era orribile. Gli occhi gonfi e rossi in un volto pallido. Era molto presto, ma quella notte non era riuscita a chiudere occhio e desiderava parlare con Mark, chiedergli cosa fosse successo, cosa c’era tra lui e Lynn. Glielo doveva. Dopo essersi fatta una doccia veloce e aver indossato un paio di pantaloni neri e una maglietta anch’essa nera, cercò di coprire col trucco l’orrore che vedeva sul
suo volto causato da una notte insonne e da un pianto ininterrotto. Uscita dalla camera, vide Brigitta e Agnes affaccendate nel preparare la colazione e nel pulire l’enorme locale che fungeva da soggiorno e cucina. «La colazione non è ancora pronta», le disse Brigitta col consueto tono scortese. Agnes la guardò con espressione dispiaciuta. Era evidente che le due donne non la pensassero allo stesso modo su di lei. Ma non le importava cosa loro potessero pensare, in quel momento. «Non importa», sentenziò Sarah con tono duro. «Non ho comunque intenzione di farla.» Notò che Brigitta la guardò sorpresa. Indovina chi non ha più intenzione di fare la vittima?, pensò tra sé Sarah. Lasciò l’appartamento, percorse velocemente il corridoio ignorando le persone che c’erano in piedi a conversare, e si diresse nel lato ovest del castello, dove risiedevano Mark e suo padre. Fece per raggiungere la porta dove c’era la dimora di Mark, quando sentì il padre che la stava chiamando e Sarah si voltò verso di lui e con un sorriso di circostanza lo salutò. «Se stai cercando Mark, non lo troverai», la informò l’uomo scrutandola pensieroso. «E… sa dove posso trovarlo?» chiese nervosamente. «Avevo urgenza di parlargli», aggiunse. Il sovrano dalla figura imponente, la osservò perplesso. «Per la verità, è fuori città, doveva vedersi con alcune persone per la partenza di stasera.» «Oh… e sa quando rientrerà?» domandò con voce tremante. «Non prima di questo pomeriggio, temo.» Il sovrano la guardò pensieroso e preoccupato. «C’è qualcosa che posso fare per te, Sarah? È successo qualcosa?» Trattenere le lacrime per l’enorme delusione provata, fu molto difficile. Fu assai probabile che, il sovrano, avesse notato che lei aveva gli occhi lucidi. «No, non importa, grazie», rispose sorridendogli sforzatamente.
«La vostra serata è andata bene?» le chiese guardandola in modo allusivo. «Sì… molto bene», disse abbozzando un sorriso. Poi si accomiatò da lui e se ne andò.
Raggiunte le scalinate che portavano al piano inferiore, si soffermò a riflettere. Non aveva idea di come fare a rintracciare Mark. Non disponeva di un telefono con cui chiamarlo – lui l’aveva, lei no. E lui sarebbe rientrato solo nel pomeriggio. Si sentì soffocare. Aveva bisogno di prendere aria. Scese così la scalinata e raggiunse l’uscita. Le guardie la salutarono con un cenno del capo e lei accennò a un sorriso. Poi, percorrendo i gradini in marmo esterni, incontrò Marcus, l’uomo che aveva incontrato il giorno in cui era giunta a Livingston. Da allora non l’aveva più visto. «Ciao, Sarah» la salutò lui calorosamente. «Come stai?» «Bene,» rispose con un cenno di sorriso. «Ti trovi bene qui, a Livingston?» chiese con tono di cortesia. Sarah fu felice di quel gesto cordiale, ma quella era una pessima giornata e non sapeva cosa rispondere. Mentire non era mai stato il suo forte. «Sì… è un posto…», non riuscì a trovare nell’immediato il termine per definirlo. «… molto bello» concluse incespicando. «Volevo porgerti le mie scuse per ciò che è accaduto il giorno del tuo arrivo,» disse con tono dispiaciuto. «Se avessi saputo che eri tu…» «Tu non hai fatto o detto nulla per cui tu ti debba scusare,» disse lei gentilmente. «Laorans è un perfetto idiota e ho detto a Mark come sono andate le cose e come ti ha trattata». Sarah abbassò lo sguardo non sapendo cosa dire a riguardo. «Scusami, ma ora devo andare,» mormorò infine. Si sentiva un nodo alla gola e non riusciva a stare lì con quelle persone un
minuto di più.
Si allontanò dal castello e decise che sarebbe andata a Maviron, dove almeno non doveva confrontarsi con persone che la detestavano. Decise di non salire la collinetta percorrendo il tratto vicino al castello perché temeva che qualcuno potesse vederla e non voleva far suscitare chiacchiere, tanto più che non sapeva cosa gli altri credevano ci fosse dall’altro lato della collina. Così aggirò il castello e intraprese un sentiero poco distante ma vide che portava a una diversa parte dell’altura. Non le importava, in fondo camminare le avrebbe fatto solo bene. Dopo essere risalita per un po’, si accorse che la direzione che stava prendendo era sbagliata. Si fermò un istante e si guardò attorno: c’era solo una vasta pianura e un edificio che si intravedeva oltre le piante. Si chiese se fosse parte di Livingston o di Maviron. L’altura non l’aveva oltreata, perciò non poteva essere Maviron. Mosse qualche o in direzione dell’edificio e vide che aveva un campanile: una chiesa? Era piccola ma lo era certamente. Sapeva che quello era un paese che poggiava le fondamenta su una religione cristiana, di tipo cattolico, ma non aveva ancora visto una chiesa da quelle parti, se pur era da poco che aveva iniziato a conoscere quella zona e non aveva visto molto. Con o deciso e sicuro si incamminò verso quella costruzione. Lì, il suo cuore, avrebbe trovato la pace che cercava. Più si avvicinava alla chiesetta, più ne riusciva a coglierne i particolari. Era di ridotte dimensioni ed era probabile che non fosse quella principale in quel luogo. Tutt’attorno era deserto, non c’era il benché minimo movimento. Sembrava essere isolata dal resto del mondo e per quella ragione vi regnava una quiete surreale. La chiesetta sembrava di costruzione molto antica ed era un po’ trasandata; l’intonaco era malconcio ma il verde circostante ben curato. Vicina all’ingresso, Sarah poté notare una scritta: Nostra Signora della Fiducia.
Era strano come quelle parole le fecero venire la pelle d’oca. Cosa volevano dire esattamente? Della fiducia… Era proprio quello di cui lei aveva bisogno ora. Di fiducia. Di credere che Mark non le mentisse, di aver fiducia in lui. Indubbiamente la scritta voleva significare di aver fiducia in Dio, o meglio, in quel caso nella Vergine, questo lei lo sapeva perfettamente. Ma era strano come quella chiesa e quella scritta fossero comparse proprio quel giorno. Quando varcò la soglia ed entrò nella chiesetta notò che dentro c’era un fresco più accentuato rispetto a fuori. C’era un gradevole profumo di incenso e di candele e notò che non c’era nessuno; due sole candele erano accese, a dimostrazione del fatto che, molto probabilmente, lì la gente era credente ma non praticante. Avrebbe tanto voluto accendere una candela, ma non aveva soldi con sé. BÈ, in realtà non aveva proprio soldi in generale. Le pareti all’interno erano con vetrate in cui c’erano raffigurate scene molto toccanti della vita del Signore. Non rispecchiavano la Via Crucis o i Misteri del Rosario – per quanto non ricordasse la sua vita nell’altro mondo, aveva concetti di fede o di cultura generale impressi nella sua mente – ma piuttosto episodi della vita di Gesù come la guarigione degli ammalati, la resurrezione di Lazzaro, l’episodio in cui Maria, sorella di Marta, aveva asciugato i piedi del figlio di Dio con i propri capelli e altri ancora. La quiete che regnava era confortante, in contrasto con il tumulto di emozioni e il senso di oppressione che giacevano nel suo cuore. Si sedette su una panca, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa nelle mani. Non riusciva più nemmeno a piangere, si sentiva totalmente svuotata, come se la sua mente fosse avvolta da una nebbia che le impediva di pensare lucidamente. L’unica scena impressa nella sua testa, era quella di Mark che le chiedeva di sposarla, seguita da quella in cui Mark, entrava nella stanza di Lynn, dove doveva essere rimasto per chissà quanto tempo. A lei aveva detto che non poteva trattenersi, perché era troppo tardi, ma era solo una scusa, considerato che poi era andato da Lynn. Molto probabilmente si erano accordati per… «Va tutto bene?»
Sarah alzò la testa di scatto e vide un prete che si era accostato a lei; era di mezza età, i capelli brizzolati, l’aspetto giovanile e un sorriso che mostrava comprensione e purezza d’animo. Era così assorta nei propri pensieri che non l’aveva sentito arrivare. «Non ti ho mai vista qui» aggiunse il Sacerdote vedendo che lei non aveva risposto. «Io…» cominciò Sarah, la voce ridotta a un sussurro. «È da poco che vivo in questo luogo». «Mi sembravi un volto non conosciuto». Il Sacerdote si sedette sulla panca accanto a lei. «Cos’è che ti sta tormentando l’animo? Magari posso fare qualcosa per te,» disse donandole un sorriso. Sarah lo guardò incerta, poi cominciò: «Guardavo la scritta posta sul muro della chiesa, che riporta la dicitura Nostra Signora della Fiducia e… mi chiedevo… Avere fiducia, significa credere a prescindere da tutto?» Il Sacerdote la osservò sorpreso da quella riflessione. «Beh, mia cara, se ti riferisci a credere in nostro Signore, la risposta è sì. Come dicono le scritture, Beati quelli che pur non avendo visto, avranno creduto. Se invece ti riferisci agli uomini… Non è così semplice. L’essere umano, in quanto imperfetto, commette errori. Perché io possa risponderti nel giusto modo, perché non mi racconti i tuoi dubbi?» Sarah fece un lungo respiro e pensò che se non ne avesse parlato con un sacerdote, con chi ne avrebbe potuto parlare? Considerato che Morgana, dopo aver ottenuto ciò che voleva, era scomparsa… Quindi, con un certo timore, cominciò a parlare. «Il fatto è… che sono innamorata di una persona, un ragazzo che… si può dire conosco da sempre e… anche lui ha sempre provato questo sentimento per me». Sarah fece un lungo respiro e vide che il prete l’ascoltava con attenzione. «Poi, purtroppo, per ragioni non dipendenti da noi, non ci siamo visti per un lungo periodo e… Lui, ha iniziato una relazione con un’altra persona, per tre anni. Io non lo sapevo», precisò guardando il Sacerdote. «Quando ci siamo ritrovati… lui era lontano da lei e… Sono stati separati l’uno dall’altra tre anni… Noi, siamo ritornati insieme ma poi… è ricomparsa lei, se ricomparsa si può definire e, la loro storia non era nemmeno conclusa…»
«Lui non mi sembra una persona corretta, mia cara» la interruppe il prete. «No, il fatto è che lui, per un certo periodo, per quei tre anni che è stato separato da lei, ha sofferto di amnesia…» Sarah vide che il Sacerdote la osservava perplesso. «Ma poi ha ritrovato la memoria e… si è ritrovato coinvolto in due relazioni… con due persone…» Sarah si ritrovò a pensare che forse, il sacerdote, credesse che lei fosse impazzita. Come storia, non aveva proprio nulla di sensato. «Oh, Santo Cielo!» esclamò l’uomo facendosi il segno della Croce. «Ma… il punto è che lui, non mi ha mai parlato di lei, lo sono venuta a sapere per caso e… a quanto pare, lui ha chiuso la sua storia subito con lei, ma non lo so se l’ha fatto per amore nei miei confronti o perché… Suo padre credo gli abbia fatto pressioni perché sposasse me e non lei». «Non ti trovi in una bella situazione, mia cara» disse il Sacerdote stirandosi il saio. Sarah lo guardò demoralizzata. Che scoperta! «Lo so… Ma non è tutto. Ieri sera mi ha chiesto di sposarlo ma, dopo che la serata tra noi si è conclusa, mi ha riaccompagnata a casa ed è andato da lei». Okay, se il fatto che fosse pazza non gli era balenato ancora nella testa, ora non c’erano più dubbi. Il sacerdote la guardò sbalordito. «E tu questo come lo sai? L’hai seguito?» «Non proprio», rispose lei con voce incerta. «Lei abita vicino a me. Molto vicino. È stato inevitabile che li vedessi». «Il suo è stato un comportamento del tutto immorale, se frequentasse la mia parrocchia non avrebbe la mia assoluzione». Sarah si ritrovò a pensare che cosa avrebbe fatto se avesse saputo che si trattava del figlio del sovrano di quel regno. Oh cielo, e se l’avesse scoperto?! Deglutì a fatica. «Ad ogni modo, ti consiglio di chiarire la questione. Parlagli,» affermò con tono deciso. «Il punto è che non è così semplice», gli spiegò. «Lui è molto preso dal suo…
Lavoro e di conseguenza ha poco tempo per me,» concluse. «E che genere di rapporto credi che si possa costruire in questo modo? Se si tratta di uno di quei matrimoni di convenienza, lascialo senza indugi. Se invece riesci a chiarire la situazione con lui e a trovare un compromesso allora… Senza dubbio devi far uscire dalla sua vita quella donnaccia!» Disse il sacerdote risoluto.
Più tardi, quando Sarah fu sola nella sua camera, ripensò alle parole del sacerdote. Doveva parlargli. Questo era poco ma sicuro. Doveva chiedergli di Lynn e lui gli doveva una spiegazione. Era tardo pomeriggio quando Sarah raggiunse l’ala ovest del castello per parlare con Mark. Mancava poco alla partenza e loro dovevano chiarirsi prima. Quando chiese di Mark a una cameriera, la donna le disse che si trovava nel suo studio lungo il corridoio sulla sinistra. Sarah lo raggiunse senza indugi. Bussò la porta e, quando Mark la invitò a entrare, vide che dentro non era solo. Mark la guardò sorpreso. «Sarah…» Le altre persone che erano con lui, si voltarono a guardarla. Sarah rimase paralizzata e non riuscì a parlare. Mark non si mosse da dove si trovava. «Hai un minuto?» gli chiese con voce incerta. Mark la raggiunse e le disse: «Mi hai preso in un brutto momento… È successo qualcosa?» Sarah lo guardò rassegnata e delusa. Tutta la sicurezza era vacillata: Mark era impegnato e, tanto per cambiare, non aveva tempo per lei. E tutte quelle persone con gli sguardi puntati su di loro, non aiutavano. Quello che appena giunta non aveva notato, ma che riuscì a notare solo in quel momento, era che, tra quelle persone, c’era anche Lynn. L’onnipresente Lynn. A Sarah, le si gelò il sangue. «Più tardi hai un minuto per me? Ho bisogno di parlarti…»
Mark la guardò a lungo e disse: «Tra un’ora partiamo e siamo già in ritardo… Me lo puoi dire ora? Se non è una cosa lunga…» Okaaay, aveva detto un minuto, ma era chiaro che le ci sarebbe voluto molto più tempo. Sarah abbassò lo sguardo. Quando lo rialzò, e gli occhi le caddero su Lynn, vide che la ragazza stava sorridendo soddisfatta. Chissà che gioia doveva aver provato avendo udito che Mark non aveva tempo per lei! Non aveva di certo voglia di parlare di fronti a tutti, con il tempo contato. Si sentì sopraffatta dal dolore. Abbozzando un sorriso, disse: «No, non importa. Non era niente di che. Ti lascio ai tuoi impegni». «Mi dispiace, credimi,» aggiunse lui affranto. Sarah fu incapace di replicare. Fece per voltarsi e andarsene ma lui la fermò e le posò un bacio sulle labbra. Fatto ciò le sorrise, ma lei si voltò e se ne andò. Era difficile dire quello che provava. Si sentiva in preda agli avvenimenti, come se si fosse avviato un meccanismo e lei fosse incapace di fermarlo. Morgana aveva ottenuto quello che voleva ed era sparita. Il padre di Mark, che era una persona gentile, mirava a ottenere ciò che voleva. E Mark… già… Chi era Mark? Quella sera, quando partì, non ebbe il tempo di rimanere sola con lui. Tutti i suoi bagagli vennero preparati dalle domestiche e loro si accomiatarono in mezzo alla folla. Mark le disse che le avrebbe telefonato spesso e che gli sarebbe mancata. Ma lei non ci credé nemmeno per un solo istante. Alla partenza, c’erano una moltitudine di persone che salivano con valige sui fuoristrada e jeep. Pareva che, oltre alla visita da Nikolaz a Kentingern, gli uomini di Mark, avrebbero partecipato anche ad una spedizione più a nord, per verificare se alcune voci, in base alle quali c’era stata un’insurrezione, fossero del tutto fondate. Ma tutto si sarebbe dovuto svolgere in una settimana. A fianco a Sarah, c’era il padre di Mark, che scambiava le ultime parole con il figlio.
Non sapeva cosa si stessero dicendo i due, non riusciva a seguire la conversazione, si sentiva un’estranea circondata da persone che non conosceva. Guardò i volti dei soldati e vide tra di essi quello di Marcus, adombrato forse dalla tensione, più a sinistra c’era Laorans che scimmiottava con il gruppo da cui era circondato e… Impallidì quando vide chi faceva parte di quel gruppo: Lynn e le sue amiche. Non ci aveva pensato, non si era posta la domanda, che sarebbe dovuta sorgere del tutto spontanea. Non si era chiesta se Lynn fosse partita con lui e la risposta, come una doccia gelata, era lì, di fronte a lei. Mark avrebbe trascorso una settimana con lei? Ecco cosa ci faceva Lynn nel suo studio quel pomeriggio… Sentì Mark che la chiamava. Sarah si voltò di scatto e vide che lui aveva seguito con lo sguardo dove era diretto quello di lei. «Cosa?» gli chiese ben sapendo che non aveva sentito nulla di quello che poteva averle detto. Vide che il sovrano di Livingston la stava studiando con lo sguardo e si sentì in preda a un’ansia terribile. «Devo andare…» disse Mark con tono smorzato. Lui l’abbracciò poco dopo e lei lo strinse a sé per imprimere quel momento nella sua mente, per poter credere che lui l’amava e che con Lynn era finita. Sentì Mark contraccambiare quella stretta fino quasi a farle mancare il respiro, ma a lei, in quel momento, non le importava nulla di respirare. Quando si sciolse dall’abbraccio, si accorse di avere le lacrime agli occhi solo quando Mark gliene asciugò una con la mano destra e lasciò quella mano posata per qualche istante sul suo volto. «Ehi, una settimana erà velocemente…» le disse sorridendole. Sarah annuì, incapace di parlare e morsicandosi il labbro inferiore, per evitare che altre lacrime scendessero. Lui le diede un ultimo bacio, salutò il padre e poi si congedò da loro. Attese che Mark salì sulla jeep e vide quello che il suo cuore sapeva già: in macchina con lui, oltre a Marcus e a Laorans, era salita anche Lynn. A quel punto si sentì morire. Si voltò e vide che il sovrano la stava osservando con occhi pieni di comprensione, e lei non riuscì a coglierne il significato. Si accomiatò da lui poco dopo e se ne andò nel suo alloggio, dove lo sguardo ostile di Brigitta le fece
venir voglia di rinchiudersi nella sua camera e non uscire più.
Capitolo tre
L’annuncio ufficiale
I giorni che seguirono furono vuoti e privi di significato. Più Sarah trascorreva il tempo in quel luogo, più desiderava andarsene da lì. Mark lo sentì i primi due giorni, mentre si trovava a Kentingern. Le disse che il padre di Marcus, il sovrano Nikolaz, era una persona meravigliosa e ospitale. Marcus era l’unico figlio del sovrano e quindi unico erede al trono, come Mark. L’unica ragione che avrebbe impedito a Marcus di ottenere il trono, stava nel fatto che tra i tre sovrani, Mikael, Nikolaz e Regasian c’era un’alleanza e una futura probabilità di unirsi in un unico regno, a capo del quale, avrebbe regnato un unico sovrano e, quindi, il trono sarebbe stato conteso tra Mark e Marcus, in quanto Regasian aveva tre figlie femmine e le donne, in quei luoghi, non potevano governare, l’opposto di ciò che accadeva a Dervel e a Maviron. Il terzo giorno in cui Mark si trovava via, le annunciò per telefono che la sua squadra sarebbe partita per la spedizione nelle regioni del nord e che, con molta probabilità, in quelle zone, il telefono avrebbe preso meno, di scusarlo quindi del suo silenzio. Per sua squadra era scontato che intendesse anche Lynn. Quali altre persone ci sarebbero state oltre a loro?
Quello stesso giorno, Brigitta bussò alla porta della sua camera in modo energico. Era mattina e il sole brillava in un cielo privo di nubi. Sarah andò ad aprire la porta e vide Brigitta col suo solito sguardo astioso. «Il sovrano mi ha detto di riferirle che l’attende per pranzo,» pronunciò quelle parole in un modo del tutto provocatorio. «Gli dica che va bene,» replicò Sarah non mostrando la benché minima emozione. «Io non dirò nulla al sovrano. Non aspetta una sua risposta, il suo era un ordine,» detto ciò, la donna se ne andò. Sarah vide più in fondo Agnes che stava osservando la scena e, appena si
accorse del suo sguardo, abbassò gli occhi.
Sapere di dover pranzare da sola con il sovrano, la fece sentire a disagio. Era la prima volta che sarebbe rimasta sola con lui. Aveva già pranzato diverse volte in sua presenza, ma con loro c’era sempre stato Mark, per cui la conversazione era sempre stata tra i due e lei aveva detto ben poche parole. Ma, ora? Ci sarebbero state altre persone? L’avrebbe messa alla prova? Le avrebbe fatto delle domande? Che cosa gli aveva detto Mark di loro? Non aveva mai pensato di chiederglielo. Sapeva perfettamente ciò che la gente di quel luogo pensava di lei e questo era sufficiente. Si mise un abito elegante ma semplice, in tessuto leggero di colore bianco, le maniche scendevano morbide a tre quarti, la gonna ampia arrivava sino a metà gamba. Al collo non mise nulla, nemmeno la Stella di Alys. Considerato quello che sostenevano dell’antica religione, era inutile creare pretesti per far sorgere inutili sguardi scrutatori. Quando raggiunse l’ala ovest, trovò Karel, la domestica personale del sovrano, ad attenderla; la donna l’accolse con un caloroso saluto e la fece accomodare nella grandissima sala da pranzo. Il tavolo era grandissimo, alle pareti vi erano grandi portafinestre che davano sul giardino e i lampadari erano maestosi con componenti di cristallo. La tavola era già apparecchiata e il sovrano giunse poco dopo. «Sarah, sono felice che tu abbia accettato il mio invito a pranzare con me,» le disse con un sorriso sulle labbra. Sarah lo salutò e contraccambiò il sorriso andandogli incontro. Era nervosa e, nonostante la temperatura fosse mite, aveva le mani ghiacciate. «La ringrazio per questo invito,» la voce le uscì fievole e incerta. Dopo che entrambi si accomodarono a tavola, una cameriera giunse da loro versando da bere. Il sovrano si fece servire del vino mentre Sarah volle l’acqua. «Dimmi, Sarah,» cominciò il sovrano per spezzare il silenzio, «come ti trovi qui
al castello?» Sarah indugiò sulla risposta e sperò tanto che, il sovrano, non ci avesse fatto caso. «Bene» rispose con voce fievole. «È… Tutto molto bello,» aggiunse guardandosi attorno. Il sovrano la osservò per qualche istante, poi abbassò lo sguardo per posarlo sul piatto che gli era stato appena servito. Dopo aver scelto la forchetta tra le numerose che c’erano sul tavolo, portò lo sguardo di nuovo su di lei. «Sono dispiaciuto che Mark ti abbia dovuta lasciare qui da sola, considerato che è da poco che sei qui. Onestamente l’ho invitato a non farlo, ma è stato irremovibile,» affermò con sincerità. Per Sarah fu la conferma ai suoi dubbi e timori. Dunque, non era stato suo padre a ordinargli di partire e, se non era stato il padre, era stata la possibilità di trascorrere quei giorni con Lynn. Riflettuto su ciò, le ò completamente l’appetito. «Non è un problema,» si limitò a rispondere con poca convinzione. «Ritengo invece che lo sia,» replicò il sovrano, «se si considera che la prossima settimana ci sarà la vostra festa di fidanzamento,» concluse con disapprovazione. «Mi ha parlato di come ti avrebbe fatto la proposta di matrimonio. Avete trascorso una bella serata?» Quel pranzo era un esame. Doveva riconoscere che il padre di Mark era una persona squisita, soprattutto con lei, ma tutte quelle domande, in un momento come quello, avevano il potere di soffocarla. «È stata una splendida serata e… tutto quello che ha organizzato è stato meraviglioso,» rispose in tutta onestà. Peccato come si è conclusa, avrebbe voluto aggiungere. Il sovrano sembrò studiarla e lei si sentì terribilmente a disagio. «Mark mi ha detto dello straordinario legame che c’è tra voi,» cominciò dopo aver posato il bicchiere sul tavolo. Notando che Sarah lo stava guardando in modo interrogativo, aggiunse: «Mi riferivo al fatto che, vi siete ritrovati dopo secoli». A Sarah non andò il boccone di traverso per poco.
«Perché mi guardi sorpresa?» chiese in tono affabile accompagnando la domanda con un sorriso. «Io…» cominciò titubante. «Per la verità, Mark, mi aveva detto che era meglio non parlarne di quello… di come…» non riuscì a portare a termine la frase. «Perché mai ti avrebbe chiesto una cosa del genere?» domandò il sovrano accigliato. «Per quello che la gente di qui pensa… Degli abitanti di Dervel e, suppongo, della reincarnazione», spiegò questa volta senza tentennamenti. Dopo aver ringraziato la domestica che gli aveva portato un piatto con dell’arrosto e contorno di patate novelle, il sovrano di Livingston guardò Sarah dicendo: «Mi stupisco ti un tale comportamento da parte di mio figlio, considerato che, sua madre, mia moglie Eilan, era una sacerdotessa. Te lo ha detto, vero?» Sarah apprese la notizia con stupore. «Per la verità no, mi ha parlato di sua madre, che l’ha persa quando era molto piccolo, ma non sapevo che fosse una sacerdotessa». «Ebbene sì, la conobbi in un viaggio a Dervel. Renea era diventata da poco sovrana e Somma Sacerdotessa di quel luogo, e quella che divenne poi mia moglie Eilan era una sacerdotessa molto vicina a Renea. Negli ultimi anni lei abbandonò la religione antica per…» il sovrano esitò a continuare «…diverse ragioni, però proveniva da Dervel. La gente di qui è ignorante e prevenuta, te ne sarai accorta tu stessa o te ne accorgerai, ma personalmente ritengo che ognuno sia libero di professare la fede in cui crede senza permettersi di giudicare il prossimo. Un vero cattolico non lo fa, se non altro,» concluse per poi addentare un boccone di arrosto. Sarah fu sorpresa da quella confessione. Non riusciva a capire perché Mark le avesse chiesto di non parlare di loro, a prescindere dal fatto che lì non aveva nessuno con cui parlare, quando sua madre era una sacerdotessa. «Hai avuto modo di conoscere Renea?» Sarah, che si stava portando il bicchiere alle labbra, lo ripose. «Sì, ho avuto modo di parlare con lei una volta», rispose non riuscendo a evitare una smorfia.
«E come ti è sembrata?» le chiese il sovrano di Livingston con uno sguardo incuriosito. «Glaciale», affermò, per poi pentirsene. Notò una nota di divertimento sul volto del sovrano. «Scusi, intendevo semplicemente…» «La tua risposta mi ha colto di sorpresa ma non potrei essere più d’accordo,» la interruppe lui togliendola dall’imbarazzo per ciò che aveva detto. «Non è malvagia,» riprese con una sfumatura più seria. «Ma glaciale, la descrive perfettamente». Sarah gli sorrise, prendendo nuovamente il bicchiere. «Mark mi ha detto che non hai ricordi sul tuo ato» le disse con voce sommessa. «No, infatti». «Di sicuro non deve essere stato semplice per te ritrovarti in un altro mondo, se pur dicano non sia molto differente da quello da cui provieni tu. Mi auguro solo che qui tu possa ambientarti e trovarti bene. Quello che ti posso dire è che sono realmente felice che mio figlio si sia innamorato di una ragazza come te. Le sue precedenti… come posso definirle…» l’uomo si guardò attorno pensoso, «superficiali esperienze in campo sentimentale, erano alquanto discutibili». Detto ciò le scoccò uno sguardo complice. Possibile che lui sapesse che lei sapesse? «Magari per lui erano importanti,» azzardò Sarah. «Dubito fortemente. Erano solo ragazze arriviste, poco intelligenti e arroganti. Ma comunque questo non ha più importanza, perché è storia ata», concluse con tono deciso. «C’è una cosa che ti devo confessare», riprese il sovrano. «Ti avevo già vista mesi fa a Dervel, fuori dal palazzo di Renea». «Davvero?» chiese Sarah sorpresa. «Sì, mi trovavo lì per affari, e tu non mi hai visto perché stavo uscendo dal palazzo mentre te ne stavi andando. Se non ricordo male era in compagnia di una ragazza, con i capelli lunghi corvini,» spiegò amabilmente.
«Kirsten, sì». Sarah ripensò alla prima volta che aveva conosciuto Renea. Di sicuro doveva trattarsi di quell’episodio, poiché non era più stata nei pressi del palazzo da quella volta. Quel pranzo non fu poi tanto male. Le domande erano state molte e, indubbiamente, il pranzo era stato ideato per avere modo di sapere come lei fosse e cosa pensava, ma, quello di cui Sarah era certa era che, il Sovrano di Livingston, aveva agito con le migliori intenzioni, non certo per farla sentire una sempliciotta o per umiliarla come avevano fatto tutti gli altri.
Quando più tardi Sarah ripensò a quella discussione, riuscì a comprendere il senso del pranzo. Il sovrano aveva mostrato di provare un certo affetto per lei e voleva rassicurarla che non c’erano altre. Ma lui non poteva sapere la realtà dei fatti. Non poteva sapere che Mark era ato da Lynn, come non poteva sapere del bacio che c’era stato tra i due dopo che lui aveva lasciato la ragazza. E ora Mark era con Lynn. Come poteva essere così cieco il sovrano? O desiderava rassicurarla solo per raggiungere il suo obiettivo?
Il giorno successivo, Sarah fu informata che nel luogo dove si trovavano Mark e i suoi compagni, erano sorti dei problemi. Avevano preso contatti con la colonia di ribelli che volevano scatenare una rivoluzione ma, il loro capo, un tale di nome Armanz, si rifiutava di scendere a compromessi e che, per quella ragione, Mark e i suoi uomini, avrebbero rimandato la partenza di qualche giorno. Sarah apprese con sgomento la notizia. Era implicito che la festa di fidanzamento era rimandata in data da definirsi. Con una fitta di delusione, Sarah si sdraiò sul letto a pancia sotto e iniziò a sfogliare i libri che le aveva dato Cheryl. Nei giorni precedenti, Sarah aveva avuto modo di sperimentare il rituale sulla Stella di Alys. Non poteva dire se avesse funzionato, poiché per affermare una cosa del genere avrebbe dovuto trovarsi di fronte a una persona che desiderava farle del male, ma si assicurò che ogni o venisse fatto a regola d’arte.
Sfogliando le pagine di uno dei libri, ebbe modo di imbattersi nella sezione dedicata ai Chakra e ne fu attratta. Cominciò a leggere interessata il paragrafo: I chakra sarebbero vortici energetici attraverso cui si produce lo scambio di materia sottile fra il corpo fisico e quello energetico. Per alcuni autori sono punti nodali dell’aura, che permettono di ricevere e di trasmettere l’energia cosmica e un’altra infinità di energie minori, positive e negative, che emanano da molteplici fonti attorno a noi… Da quella lettura, Sarah apprese quali erano i sette chakra maggiori, situati verticalmente lungo l’asse cerebrospinale: il chakra della radice, il chakra del sacro, il chakra del plesso solare, il chakra del cuore, il chakra della gola, il chakra del terzo occhio e il chakra della corona. Il libro, oltre a spiegare ogni chakra, aveva illustrazioni che li raffiguravano. Fu in quel modo che Sarah trascorse le sue giornate in assenza di Mark, oltre ad andare alla chiesetta che era divenuta la sua oasi di tranquillità. Lì non c’era mai nessuno. L’unica persona che di tanto in tanto vedeva era padre Donald, con cui riusciva a parlare e ad aprire il suo cuore anche se non aveva avuto ancora il coraggio di dirgli che, la persona che amava e di cui nutriva dubbi sul reciproco amore, era il figlio del sovrano di quel luogo. Di sicuro, se lo avesse fatto, il parroco non sarebbe stato più obiettivo nell’esprimere la sua opinione. Dalla partenza di Mark, trascorsero venti giorni e Sarah si chiese quanti altri ne sarebbero ati prima che Mark tornasse. La trattativa con il capo dei ribelli, Armanz, non stava andando per il verso giusto, ogni tentativo di Mark e dei suoi compagni per giungere a un compromesso era clamorosamente fallito e Sarah si chiese che senso avesse rimanere lì. Lo aveva sentito raramente: a quanto pareva, in quella zona, posta su montagne rocciose e lande deserte, non c’era campo e, Mark, doveva fare chilometri per riuscire a fare una chiamata. In quelle brevi conversazioni, Sarah sentiva il brusio delle voci dei compagni in sottofondo e il tono di Mark risultava poco affettuoso, quasi impersonale. Si scusava con lei per la prolungata assenza e le ripeteva che gli mancava, ma Sarah sentiva ben poca convinzione nella voce.
Quando Sarah varcò il velo tra Livingston e Maviron, era di umore pessimo. Aveva deciso di non prendere la strada diretta per evitare che qualcuno la vedesse. Aveva scoperto, poco distante dalla chiesetta, un sentiero che portava in
cima alla collina e così decise che sarebbe stato meglio are da lì. Percorso il tratto di discesa dalla parte opposta della collina, il cui territorio apparteneva a Maviron, le si presentò la scena dell’ultima volta: il sottobosco era abitato da fanciulle dai lunghi capelli che indossavano vesti leggere e che danzavano in cerchio al suono di una melodia dolce e penetrante. Sarah non poté fare a meno di fermarsi a osservarle. Un sorriso le si dipinse sulle labbra e non si accorse che, una ragazza dalla folta chioma rossa, proveniente sempre da quel luogo, la stava raggiungendo. «Ho aspettato che tornassi, ma mi hai fatta attendere parecchio,» commentò quella ragazza richiamando la sua attenzione. Sarah sussultò e il sorriso le si spense sulle labbra. «Aourell non ti ha portato il mio messaggio?» Sulle labbra della ragazza dai lunghi capelli di un rosso che si avvicinava al ramato, comparve un sorriso, Sarah soppesò quelle parole e disse accigliata: «Tu devi essere…» «Faye» la precedette. «Ho saputo che tu invece ti fai chiamare Sarah… Che ti è successo, si può sapere?» Sarah la guardò perplessa. «Ah, già» riprese la dama faêran. «Hai perso la memoria, proprio non ci voleva!» Faye scosse la testa con indolenza. «Non ho perso la memoria, semplicemente non ho ricordi di quando ero Alys,» ci tenne a precisare Sarah offesa. Faye la studiò a lungo, dopodiché disse: «Fa lo stesso. Comunque, vedo che il mio incantesimo ha funzionato, la Stella è giunta a te,» proseguì con un moto di soddisfazione. «Anche se, ci sono voluti secoli!» Il tono con cui Faye le parlò, la stupì non poco: le parlava come se fosse una vecchia amica tornata da un lungo viaggio e, guardando in quegli occhi verdi come lo smeraldo, poté capire che era realmente sincera. Notò anche la grazia nel portamento, il corpo sinuoso avvolto in un vestito del colore degli occhi che faceva risaltare in modo sorprendente la capigliatura.
«Beh, questa collanina mi ha procurato non pochi problemi,» replicò Sarah un po’ sulla difensiva. «Ah, sì, me l’hanno detto che sei morta parecchie volte». Sarah le lanciò uno sguardo di fuoco. «Avrei piacere se tu accettassi il mio invito di venire con me al mio palazzo per una chiacchierata tra vecchie amiche. Cosa ne dici?» le propose Faye. Sarah fu scossa da un brivido, ma poi si disse: che cosa potrebbe succedermi, in fondo? Poi però ricordò il motivo per cui era venuta: Cheryl e i libri che desiderava vedere, che l’aiutassero a creare un portale con gli specchi. «Veramente… sono venuta per vedere una persona…» annunciò alla dama faêran. «Fammi indovinare… Cheryl? La nostra futura Somma Sacerdotessa di Maviron?» Dicendo ciò, Faye fece una smorfia. «Ho capito, Cheryl non ti piace,» commentò Sarah scrutando la ragazza. «È un sentimento reciproco, comunque, ho le mie buone ragioni». Il volto di Faye si adombrò dicendo ciò. «Nelle vostre problematiche preferirei non entrarci, se non ti dispiace» e detto ciò Sarah si allontanò. «Ehi, aspetta!» La chiamò Faye raggiungendola. «Non la troverai». Sarah si voltò verso di lei: «Che cosa vuoi dire?» «Gira voce che sia partita per un lungo viaggio». Faye assunse un tono divertito. «Un lungo viaggio? Come mai?» volle sapere. Cheryl partita per un lungo viaggio? Faye fece spallucce e Sarah si voltò e si diresse con o deciso al palazzo di Alys, con la ragazza che la seguiva. «Che fai, vieni con me?» domandò Sarah irritata.
«Tanto loro non mi vedono,» commentò Faye sempre con tono divertito. Sarah fu colta da un dubbio: «Nemmeno Cheryl?» «Perché Cheryl dovrebbe vedermi? Solo tu e poche altre persone riescono a vedermi.» «Io, Morgana, Renea… e chi altri?» «Nedeleg e…» «E…?» Sarah si fermò e guardò in volto Faye. Guardandola dritta negli occhi, Faye rispose: «Ethan.» «Perché esitavi a dirmelo?» «La tua è proprio amnesia totale!» Esclamò ridendo la regina delle fate. «Dovrei conoscerlo?» domandò Sarah confusa. Faye esplose in una fragorosa risata. «Avanti, Faye, dimmelo!» «Sì, dovresti, ma è meglio lasciar stare, credimi. Avrai modo…» si bloccò pensierosa. «Credimi è meglio se ora andiamo ad accertarci che Cheryl non c’è, così poi possiamo farci una bella chiacchierata». Sarah la scrutò per qualche secondo, poi disse: «Ammesso che non ci sia, volevo dare un’occhiata ai libri… Credi mi faranno entrare, comunque?» «Ne dubiti? Su, muoviti, andiamo!» E, così, si avviarono verso il palazzo di Alys. Raggiunto l’imperioso cancello, che figurava da ingresso per accedere al viale che avrebbe portato al maestoso palazzo, Sarah suonò il citofono. «Per cui, a parte le persone che mi hai detto, il resto degli umani non può vederti, giusto? Né tu né le altre ragazze,» concluse Sarah.
«In questo modo no. Ma possiamo renderci visibili, anche se ci fa diventare vulnerabili». Sarah si voltò verso di lei accigliata. Faye le toccò dentro e le fece segno che una ragazza era comparsa sulla soglia. Girandosi verso quest’ultima, Sarah vide che non si trattava di Beatrix e, quindi, intuì che doveva trattarsi di Laurel. «Sono Sarah…» non fece in tempo a proseguire, che il cancello si aprì. La ragazza scese in modo fluido i gradini e la raggiunse. «Tu sei Laurel, vero?» «È davvero un piacere conoscerti. Maviron non fa altro che parlare di te e io ero davvero curiosa di vederti» disse la ragazza con entusiasmo. Sarah abbozzò un sorriso sentendosi a disagio. «Cheryl mi ha detto di chiedere a te per poterla incontrare». Il sorriso svanì dal volto di Laurel. «Ebbene sì, ma Cheryl è fuori città con la madre». «E quando tornerà?» Chiese Sarah perplessa. «Non lo sappiamo, è andata a trovare sua zia Muriel, e c’è chi sostiene che ci starà per tutto l’inverno» «Evviva la discrezione!» Esclamò con sarcasmo Faye ben sapendo che solo Sarah poteva udirla. Sarah si voltò di riflesso verso Faye ma poi tornò subito a guardare Laurel. «Come mai?» chiese Sarah un tantino scettica. «Pare che zia Muriel stia male,» bisbigliò per timore che qualcuno potesse udirla. «Oh, mi dispiace… senti, Laurel, mi chiedevo se potrei andare a dare un’occhiata alla libreria di Alys… L’ultima volta, Cheryl, mi ha detto che avrei potuto prendere i libri che desideravo…» Laurel divenne seria ed esclamò con tono deferente: «Indubbiamente, certo che puoi prendere tutti i libri che vuoi, sono tuoi».
Detto ciò, le tre ragazze si avviarono all’ingresso del palazzo. Una volta dentro, Laurel disse: «Vengo con te, così posso esserti di aiuto». Sarah lanciò un’occhiata a Faye. «No, grazie, faccio da me. Se avrò bisogno ti chiamerò». Sorrise affabilmente a Laurel, dopodiché si avviò su per le scale con Faye al suo seguito. «Ma che brava che sei stata a liberarti della scorta!» esclamò divertita Faye. «Anche perché, la scorta, l’ho comunque» replicò Sarah caustica. «Ora mi sento un tantino offesa!» Entrambe scoppiarono a ridere. «Per tutte le stelle del firmamento, quanto mi sei mancata!» Esclamò Faye con tono teatrale. Raggiunta la libreria, le ragazze si misero a far are i libri. Sarah aveva tra le mani uno sulle erbe. «Considerato che io ho l’amnesia e tu eri un’ottima amica di Alys… Puoi rispondere a qualche mia domanda?» «Potrei» rispose Faye con noncuranza. «Ma prima, rispondi tu...» Si voltò verso Sarah e chiese a quest’ultima: «Ami davvero Mark?» Sarah si voltò verso di lei, col respiro che le mancava, il libro a mezz’aria e le lacrime agli occhi. «Allora lo ami sul serio…» Faye la guardò con stupore. «Che succede?» Era incredibile, conosceva Faye da così poco tempo, eppure riuscì a raccontarle tutto quello che non era riuscita a dire a nessun altro, anche se, di recente, si era ritrovata sola e, quindi, non aveva avuto nessuno a cui dirlo nemmeno se avesse voluto. Alla fine del racconto, Faye sospirò, poi disse: «Senti, io non lo conosco, ma posso dire di conoscere suo padre ed è una brava persona, come sovrano e per tutto il resto. Conosco gli umani da che esiste il mondo, anzi, l’universo, e quello che ti posso dire è che, entrambi, avete bisogno di fare chiarezza dentro voi stessi e, soprattutto, di chiarirvi l’un l’altra. Quando torna, parlagli, metti le carte
in tavola, alla fine, cos’hai da perdere? Non puoi farti travolgere dagli eventi con questi dubbi che ti porti dentro. E, soprattutto, tieni lontana quell’arpia di Lynn da voi, quando… Vi sarete chiariti». Le parole di Faye furono scontate e semplici, ma vere; Sarah ora sapeva cosa doveva fare, chiarirsi con Mark e non avrebbe rimandato un minuto di più. Ora toccava a lei fare le domande e, Faye, promise che le avrebbe risposto, per tutto ciò che poteva dirle. Aggiunse che, per molte cose, era il caso di aspettare. Un po’ come Morgana, ma più disponibile. «Raccontami di Alys…» prima però di dare spazio a Faye per il racconto, Sarah le riferì ciò che Cheryl le aveva detto il giorno in cui si erano conosciute. «Sì, quello che Cheryl ti ha detto è vero, per quanto mi costi dirlo». «Come mai tu e Cheryl non andate d’accordo?» chiese incuriosita. «Non è che non andiamo d’accordo, anche perché non abbiamo mai avuto modo di avere una vera e propria conversazione. La ragione che mi spinge a nutrire questa antipatia nei suoi confronti, è che lei è una persona opportunista. Tutto quello che fa, è per un proprio tornaconto» spiegò Faye, con un’espressione di disgusto sul volto. «Con me è stata molto gentile,» ribatté Sarah con onestà. «Solo perché ti teme». «Che vuoi dire?» Faye si sedette su una poltroncina posta vicino alla finestra, accavallò le gambe, fece un lungo respiro e, con il libro ancora tra le mani, disse: «Vediamo un po’: tu sei Alys e sei tornata. Lei desidera il trono di Maviron e Maviron è la tua città. Anzi, il tuo Regno. Se tu ricordassi tutto, se riavessi i poteri di Alys, se ritornassi a essere la potente sacerdotessa che eri un tempo… Il suo castello di sabbia crollerebbe perché lei non è nulla, paragonata a te». Faye concluse il discorso con una nota di trionfo sul volto. «Beh, allora può pur star tranquilla perché, a me, tutto questo, non interessa».
«Per ora no, ma tra un po’ di tempo, chi lo può dire? Io spero tu possa ricordare tutto, non solo perché Cheryl non è all’altezza di rivestire quel ruolo, ma perché almeno avremmo una chance di sconfiggere Argantel, di ritrovare i tuoi strumenti di potere, di riavere Maoris. Solo tu puoi farlo mia cara, tu e le nostre forze unite alle tue». Era più di quanto avrebbe voluto sentire. Udire quelle cose la spaventò a morte. Eppure, dentro di lei, una vocina le diceva che tutto poteva avere un senso. «Quindi, Cheryl, mi teme… E perché mi avrebbe condotta qui, se quello che dici è vero?» volle sapere Sarah. «Davvero non ci arrivi?» chiese divertita, Faye. «Per lei ha rappresentato una prova. Doveva mettersi il cuore in pace. Doveva sapere se avresti ricordato vedendo tutto questo. E, prima lo avrebbe fatto, prima si sarebbe tolta questo atroce dubbio. Chissà che sollievo deve avere provato, povera piccola!» Poi, con infinita grazia, Faye si alzò dalla poltroncina dove era seduta, raggiunse Sarah, e le porse il libro che aveva in mano. «Ecco il libro che cercavi,» esclamò con un sorriso sulle labbra. Sarah lo prese con un’espressione cupa sul volto e una domanda nel cuore: ma esisteva qualcuno di realmente sincero nella sua esistenza?
Quando fece ritorno al castello, era ormai ora di pranzo. Faye l’aveva invitata al suo palazzo, ma lei aveva rifiutato rimandando alla prossima volta che si sarebbero viste. Strada facendo, incontrò qualche persona che salutò per pura cortesia, ma che in realtà non aveva la più pallida idea di chi fosse. Aveva frequentato così poco il castello da aver conosciuto ben poche persone e, una persona che avrebbe preferito non conoscere, di sicuro era Lynn, che ora se la stava sando con Mark senza lei tra i piedi. Ripensò a ciò che Faye le disse riguardo ad Alys. Le raccontò diversi aneddoti che erano successi tra loro che l’avevano fatta ridere parecchio. Aveva detto che, una volta, si erano ritrovate a sconfiggere un troll in una cittadina poco distante. A quanto pareva, la creatura era riuscita a valicare il suo mondo e a giungere nel
mondo degli umani. Le spiegò anche riguardo agli strumenti di potere di Alys, a quanto era stata attenta perché nessuno vi potesse mettere le mani e al fatto che, chiunque fosse riuscito a impossessarsene, doveva essere o molto potente, o aver tradito la fiducia di Alys stessa. Dopo che Alys venne trovata morta, Faye andò a prendere gli strumenti di potere, su promessa fatta ad Alys, ma trovò solo la collanina, ed era strano. La collanina era l’unica cosa che non avrebbe dovuto trovare, in quanto doveva portarla con sé come faceva sempre. E siccome non la portava con sé come protezione, erano riusciti a ucciderla. Il diadema e lo scettro erano scomparsi. Faye riteneva che Alys non li avrebbe mai occultati, perché piuttosto li avrebbe dati a lei. L’unica teoria possibile era che, a prenderli, fosse stata la stessa persona che l’aveva uccisa. Sarah chiese a Faye di Leodogran, chi fosse e, la dama faêran, le disse che era un nemico di Alys che non le dava tregua da tempo. Quando Sarah, ore più tardi, stava leggendo il libro su come creare il portale con l’ausilio dello specchio, continuava a porsi quella domanda. Non poteva e non riusciva a smettere di pensarci e, una parte di lei, la parte forse più inconsapevole, non voleva. Quello che Faye le aveva detto, era molto simile a quello che le aveva raccontato Cheryl se pur, Faye, era stata molto più dettagliata e meno reticente nel parlarne. Circa la profezia, Faye non ne volle parlare, era scontato che lei ne fe parte, come ne doveva far parte Mark, aggiunse Faye. Indubbiamente erano coinvolte anche altre persone, tra cui, Cheryl, in quanto, non a caso, era stata designata come Somma Sacerdotessa di Maviron, quando avrebbe successo alla madre. Sarah chiese riguardo ad Ethan, se anche lui ne fe parte, e il volto di Faye si dipinse di diverse espressioni: stupore, curiosità, attenzione e altre che non seppe interpretare. Ma chi era infondo Ethan? E perché tutta quella reticenza a parlarne? Perché non voleva dirle che ruolo aveva avuto nella vita di Alys? In fondo, era acqua ata, si trattava di un’altra vita, erano trascorsi secoli. La risposta alla domanda di Sarah, ovvero, se anche lui ne fe parte fu al quanto bizzarra e difficile da interpretare. Dopo aver fatto una smorfia, Faye esclamò: ottima domanda! Ma che voleva dire? Sarah si arrovellò il cervello parecchio e si sorprese a pensare che, forse, avrebbe dovuto rimanere ancora con Faye.
Trascorsero altre due settimane e Sarah divenne amareggiata, oltre che delusa. Le sembrava di essere stata trascinata in un mondo in cui avrebbe preferito non trovarcisi. Mark si era fatto sentire poche volte e non aveva detto quando sarebbe tornato. Continuava a dirle quanto gli mancava, ma in ogni conversazione sentiva in sottofondo la voce di Lynn. Perse la cognizione del tempo, non avendo a disposizione un calendario, non sapeva con precisione che giorno fosse. Era luglio inoltrato e fuori faceva parecchio caldo, c’era un’afa insopportabile e usciva sempre meno. Aveva cominciato ad uscire la sera, considerato che, a quelle ore, le temperature erano più sopportabili, ma le persone le lanciavano strane occhiatacce e aveva sentito Brigitta bisbigliare a Agnes, con voce perfettamente udibile, che con tutta probabilità, stava andando a qualche rituale in cui venivano evocate le forze demoniache. A quel punto, decise che avrebbe smesso di uscire, così, sarebbero cessate le chiacchiere. Se ne stava sul balcone fino a tarda notte a leggere i libri che aveva preso a Maviron, alla dimora di Alys. Ora aveva una buona conoscenza delle rune, anche se non ne era in possesso e si chiese come fare a reperirle. Apprese che l’antico alfabeto runico, meglio noto come Futhark, nome composto dalle iniziali delle prime sei rune, aveva 24 caratteri, che possedevano una grande ricchezza simbolica e semantica, oltre alla runa bianca. Erano spesso utilizzate grazie ai loro poteri divinatori, in quanto la loro conoscenza e la corretta interpretazione dei simboli permetteva di poter contare su alleati formidabili a cui chiedere consiglio. Anche quella sera, era seduta a terra sul balcone, con il libro appoggiato sulle ginocchia e si stava addentrando nella sezione riservata ai cristalli. Le bastò scorrere velocemente le pagine per vedere che, il quantitativo dei cristalli presenti nel mondo, era stratosferico. Pur non facendo caldo come di giorno, non c’era un filo d’aria. Il cielo era terso e si potevano vedere una miriade di stelle e la luna che era crescente e somigliava a una falce. Improvvisamente sentì uno strano vociare da sotto il castello. Colta da un moto di irritazione – nemmeno lì poteva stare tranquilla – si alzò e se ne tornò dentro la camera. Quando il rumore si fece più forte e le voci più insistenti, ebbe l’impulso di chiudere le imposte, ma non lo fece perché sarebbe morta per il caldo. Si sedette sul letto e si mise le cuffie alle orecchie, ascoltando uno dei cd che Mark le aveva procurato appena giunta lì. La musica non era granché, ma
era sempre meglio dello schiamazzo che proveniva da sotto. Era concentrata nella lettura, sul ritrovamento di un antico teschio di quarzo, quando un’ombra apparve dinnanzi a lei. Sussultò assalita dal panico, ma la paura si tramutò in stupore quando vide di fronte a lei Mark che le stava sorridendo. Non riuscì a dire una parola, credeva di essere in preda a un’allucinazione. Ogni suo dubbio fu dissolto quando lui la strinse tra le braccia così forte da farle mancare il respiro. Dopo essersi tolta le cuffie e aver tolto di mezzo ogni cosa, riuscì a dire: «Mark…» «Mi sei mancata da morire! Non sai quanto!» le sussurrò lui tenendola sempre tra le braccia. Quando la presa si fece meno stretta e infine si scostò da lei, le posò un bacio sulle labbra. «Non mi hai detto che saresti tornato…» gli sussurrò Sarah. Mark si sedette sul letto accanto a lei. «Volevo farti una sorpresa. Ho pregato mio padre di non dirti nulla. Sono stato via molto, e mi dispiace amore mio». Mark l’abbracciò di nuovo e Sarah fu incapace di dire una parola. Tutto il discorso preparato, tutto quello che si era promessa di dirgli, i dubbi, i chiarimenti, le domande, erano lì sulle labbra che non ne volevano sapere di uscire. Quando si scostò leggermente da lei, Mark la guardò pensieroso e poi, accarezzandole il viso, le chiese: «Stai bene? Sei strana… Silenziosa. Credevo che ti avrei fatto una bella sorpresa…» Sarah lo guardò qualche istante. «Sto bene,» esordì con voce tesa. «Solo, non mi aspettavo che saresti tornato». Abbozzò un sorriso che sperò essere convincente. «Siete riusciti a concludere qualcosa di positivo?» cercò di mostrarsi interessata ma era consapevole di non esserlo. Mark lasciò cadere la mano incupito. «No, non è servito a niente. Armanz, il
capo dei ribelli, è una testa calda. Ha avanzato pretese assurde e pretende che noi le accettiamo, ma non se ne parla nemmeno» e fece una smorfia di disapprovazione. «Ha lasciato la famiglia in un paese qui vicino per mettersi a capo del suo ridicolo esercito». «Se non è così pericoloso come dici, che problema c’è?» chiese Sarah incuriosita, mettendo da parte per un attimo la questione tra loro e poter scoprire la ragione per cui si era protratto per così tanto tempo lontano da lei. «Beh, per quanto ora non sia pericoloso, il suo esercito aumenta di numero giorno dopo giorno. Coinvolge tutte quelle persone che hanno avversione nei confronti della monarchia, nei confronti dei ricchi. Sa essere molto persuasivo,» concluse stancamente. «Per cui… vi siete fermati tutto quel tempo per… Cercare di convincerlo? Voglio dire, servivano tutte quelle persone per convincerlo?» domandò un tantino scettica. «No…» cominciò Mark restio. «Molti dei ragazzi sono tornati qui già da tempo, eravamo solo in cinque a patteggiare con Armanz». Sarah si sentì mancare. Molti erano già tornati, praticamente tutti, tranne lui, Lynn e chi altri? Ed era vera la storia dei ribelli? Era giunto il momento dei chiarimenti. «Senti…» cominciò Sarah esitante. «Ti prego, no» le mormorò lui, posandole con delicatezza un dito sulle labbra. «Basta parlare del viaggio, dei ribelli… Ora siamo solo noi due e non voglio che si parli di nessun altro,» concluse con un sorriso sulle labbra. «Infatti, io…» Sarah dovette interrompersi perché qualcuno bussò alla porta. Entrò poco dopo Brigitta con un sorriso radioso sulle labbra, un sorriso che a Sarah non aveva mai mostrato. Ma era per Mark, ovvio. «Signore, ha già cenato, o desidera che le faccia preparare qualcosa?» Mai udì un tono così mellifluo. Inoltre, quella domanda era rivolta solo a Mark e non a lei, se lei avesse avuto bisogno di qualcosa, se avesse avuto fame o sete,
che importanza aveva? Era solo una strega a contatto con il demonio, giusto? «No, ti ringrazio. Mi sono fermato a mangiare con i ragazzi poco prima di giungere qui» rispose Mark con una gentilezza altrettanto marcata. «Tu hai mangiato?» chiese poi a Sarah. Lei annuì senza proferire verbo. «Ha bisogno che le porti qualcosa?» domandò la donna, imperterrita. «No, grazie, ho bisogno di stare solo con la mia fidanzata». Udendo la parola fidanzata Sarah deglutì con fatica. Brigitta fece un sorriso, un inchino, e poi di nuovo un sorriso, e lasciò la stanza. Se avesse potuto, Sarah l’avrebbe uccisa, era poco ma sicuro! Brutta ipocrita! «Tornando a noi,» cominciò Mark con un mezzo sorriso. «Visto che la festa per l’annuncio ufficiale del nostro fidanzamento è stata rimandata per il viaggio, pensavo potremmo farla dopodomani. Ho già sentito Karel, la governante, e tutti gli addetti ai preparativi e loro hanno confermato di riuscire con i tempi. Domani no, perché abbiamo la famosa fiera al castello, ti hanno informata, vero?» Mark aveva parlato a raffica e Sarah si sentì improvvisamente avvilita. Avere due giorni di tempo per chiarirsi era davvero poco. Ma come doveva fare? Rifletté che, l’unica soluzione, era parlarne in quel momento. «A proposito del fidanzamento e di tutto il resto…» dovette interrompersi, Mark le stava accarezzando il viso e non la stava ascoltando per nulla. Dava tutto per scontato, che lei avrebbe accettato, che le sarebbe andato bene tutto… Ora aveva preso a baciarla. «Mark, io…» «Lo so…» la interruppe lui. Ma sapeva cosa?! Lei cercò di parlare, ma lui prese a baciarla in modo ionale e, non solo, la fece sdraiare dolcemente sul letto e le insinuò una mano sotto la maglietta. Era chiaro cosa avesse in mente e, lei, come una perfetta idiota, non seppe dirgli di
no, e si ritrovò a fare l’amore con lui, lasciando la questione Lynn nuovamente in sospeso.
La mattina dopo, quando Sarah si svegliò, memore dell’accaduto, si portò una mano sul volto. Si era ripetuta un milione di volte che, appena fosse tornato, avrebbe chiarito tutto e, invece, aveva finito col fare l’amore con lui. L’aveva sentito così dolce, ionale… le aveva ripetutamente detto di amarla… E, dunque, tra lui e Lynn, cosa c’era in realtà? Si rigirò nel letto e vide che lui non c’era, se ne era andato. Magnifico! Vide che dalla finestra entrava molta luce, per cui doveva essere già mattina. Si mise a sedere, recuperò dei vestiti, poi li posò subito. Se Brigitta l’avesse vista con i vestiti della sera prima, avrebbe malignato. Però sapeva che Mark era stato da lei… Meglio comunque evitare. Prese una vestaglia da indossare sopra la lingerie e sperò di trovare Mark in cucina ma, aperta la porta, vide solo Brigitta. Meraviglioso! Come cominciare bene la giornata! La donna, appena udì la porta schiudersi, si voltò e la guardò in tralice. «Sa per caso…» «Il signore mi ha pregata di dirle che erà a prenderla alle nove, di farsi trovare pronta per quell’ora». «La ringrazio. Sa che ora è?» La donna fece una smorfia di disapprovazione. «Le nove meno un quarto». Pronunciato ciò, un sorriso malefico le comparve sulle labbra. «Le consiglierei di darsi una sistemata nel tempo che le rimane, ha un aspetto orrendo». Detto ciò si voltò e proseguì nelle sue faccende domestiche. Sarah, impietrita da quelle parole, tornò nella sua camera, raggiunse lo specchio e guardò la sua immagine riflessa. Aveva davvero un aspetto orribile… I capelli completamenti arruffati, l’eyeliner che le era colato dagli occhi e… Sul collo? Cos’erano quei segni? Oh, Dio… Era stato Mark quella notte! Quei segni proprio d’estate, non ci volevano! Che avrebbe detto la gente se avesse indossato
un foulard per mascherarli? Certo non poteva andare in giro in quello stato pietoso! Chissà cosa doveva aver pensato Brigitta… Non che le importasse, ma aveva fatto proprio la figura di una sgualdrina che si era già fatta riare da un uomo la sera stessa in cui lui era tornato. Beh, non era un uomo qualunque. Era il figlio di un Re. E quindi un Principe. E lei stava davvero con un Principe? Forse era per quello che lei non gli bastava. E, così, oltre ai capelli arruffati, all’eyeliner e ai segni rossastri sul collo, ora aveva anche gli occhi arrossati per le lacrime. E come avrebbe fatto a sistemarsi in meno di quindici minuti?
Mark giunse con una puntualità impeccabile. Lei era ancora chiusa in bagno a prepararsi. Chiaramente non esisteva nessun incantesimo per riuscire a essere pronti in quindici minuti, o di cui lei ne fosse a conoscenza. Mark guardò per la milionesima volta l’orologio e poi domandò: «Sei pronta?» Sarah sbucò fuori dalla porta e disse in tono fintamente minaccioso: «È tutta colpa tua!» Lo sentì ridere di tutto gusto. «E perché mai?» le chiese con finta ingenuità. Era in perfetto ritardo, ma ce l’aveva fatta. Ora era presentabile. Per l’occasione aveva deciso di mettere un abito verde smeraldo, molto simile a quello che Faye indossava il giorno in cui l’aveva conosciuta e una sciarpa in seta al collo del colore del vestito. Ai piedi un paio di sandali con tacchi da capogiro che le creavano non poca difficoltà nel camminare. Quando si decise a uscire dal bagno, Mark la guardò in modo decisamente strano. Lo vide dilungarsi a osservare, non con ammirazione, il vestito. «Che cosa c’è? Ha qualcosa che non va?» Chiese lei preoccupata. Mark abbozzò un sorriso. «No… è solo che… Sei molto elegante». Solo in quel momento, Sarah si accorse dell’abbigliamento di Mark: quello che indossava sembrava un completo per cavalcare, ma non aveva nulla di regale. Tutto qui? Un Principe si veste così in un giorno di festa? «Okay. Uno dei due chiaramente ha sbagliato a vestirsi e immagino che quello non sia tu».
«È una fiera… il che vuol dire che ci saranno mercanti, pastori…» «Chiaramente non lo sapevo, altrimenti mi sarei vestita diversamente» disse con disappunto. «Brigitta non te l’ha detto?» le chiese lui accigliato. Sarah lo guardò scura in volto, ma mascherò subito l’espressione. Brigitta avrebbe dovuto dirglielo e aveva fatto apposta a non farlo. Come poteva spiegare la situazione a Mark? Meglio lasciar perdere. «Vado a cambiarmi». Mark la fermò. «No, Sarah, è terribilmente tardi, vai benissimo così, sul serio». Lei lo guardò poco convinta. «Ecco, magari il foulard è un po’ eccessivo, soprattutto con questo caldo». «Che genio!» Esclamò lei con rabbia. Si tolse la sciarpa così in fretta che quasi si strangolò e gli fece vedere i segni sul collo. «Ah…» «È l’unica cosa che sai dire?» Esordì lei con veemenza. «Mark, sei stato tu, stanotte!» Mark le fece cenno di abbassare la voce. «Vuoi far sapere i fatti nostri a Brigitta?» Chiese indicando la porta. «Tanto li sa già i fatti nostri!» Ribatté lei con voce ancora sostenuta. «Me li ha visti quando sono uscita prima per cercarti» continuò poi abbassando il tono. «Ti sta bene quel foulard… Soprattutto con quel vestito,» cercò di rimediare lui con un sorriso da togliere il respiro. «Piantala, so che non è vero. Forse è meglio che mi cambi, sembrerò ridicola…» Mark le stampò un bacio sulle labbra. «Dobbiamo andare, davvero. C’è mio padre che ci aspetta».
Quando uscirono fuori dalla camera, mano nella mano, Brigitta la guardò con un ghigno pieno di soddisfazione. «È molto elegante, miss Sarah,» la prese in giro la donna. Mark non riuscì a trattenere una sorriso divertito e Sarah, che lo notò all’istante, gli diede una gomitata al fianco. Il sorriso gli si spense sulle labbra.
Il castello di Livingston aveva un ampio cortile interno dove, ogni anno, solitamente nel mese di luglio, ospitava mercanti, pastori, agricoltori, provenienti da ogni parte del regno, che possedevano le migliori qualità di prodotti, animali e altro e che potevano vendere alla famiglia Reale e ai nobili che venivano invitati per quell’occasione. Quando Sarah raggiunse il cortile all’interno del castello, vide che c’erano tantissimi stand, bancarelle e anche recinti che contenevano animali. Il luogo era gremito di gente che, appena vide il sovrano, Mark e lei fare ingresso, abbassò notevolmente il tono di voce e si fece da parte per lasciarli are. C’era chi faceva inchini, salutava calorosamente, sorrideva da lontano e infine esultava. Sarah non poté fare a meno di notare l’abbigliamento delle persone presenti. Solo le donne di età avanzata indossavano abiti eleganti e comunque non sfarzosi, a dispetto del suo che era più adatto a un galà, considerato il tessuto pregiato. Le ragazze giovani erano invece vestite in modo casual e c’era persino chi era vestita da cavallerizza. «Perché sono vestite così?» si informò Sarah, non capendone la motivazione. «Beh, perché, più tardi, proveranno a cavalcare. È una tradizione,» le spiegò Mark con fare noncurante. Sarah si sentì sprofondare vedendo che c’era chi l’additava e faceva risolini, appena Mark e il sovrano non guardavano nelle loro direzioni. Sembrava ci provassero gusto a umiliarla pubblicamente. Il sovrano, quel giorno, indossava l’abito di rappresentanza, un completo molto elegante con lo stemma regale. In un certo senso, la fece sentire meno fuori luogo.
Erano scortati dalle Guardie Reali più per formalità che per necessità, in quanto non c’erano persone che potessero in qualche modo minare alla loro incolumità. Cominciarono così a girare tra i vari stand e bancarelle. C’erano gioielli preziosi di qualità pregiata provenienti da zone remote e sperdute. Mark colse subito l’occasione per acquistarle una bellissima parure con cristalli incastonati, composta da girocollo, orecchini e bracciale. Vide che la pagò un prezzo esorbitante. Quando le posò il girocollo al collo e chiuse con cura i gancini da sotto i suoi capelli, ci fu un coro accalorato di persone che sembrò, o forse finse, di esultare. Mark le stampò un bacio sulle labbra, quasi volesse suggellare quel momento e subito emerse un’altra acclamazione accompagnata anche da fischi che sembravano voler essere del tutto bonari. Il viso di Mark si illuminò in uno dei suoi sorrisi fantastici e Sarah provò una gioia immensa. Girarono per i vari stand, assaggiando prodotti tipici e leccornie. Mark le teneva sempre posato un braccio attorno alla vita, la riempiva di attenzioni e, più volte, con una complicità che le ricordò i momenti felici ati, le fece assaggiare alcune pietanze imboccandola di fronte a tutti, come se quel gesto non lo mettesse per nulla a disagio. Arrivarono alla zona adibita agli animali e in particolare a un recinto di cavalli. C’erano cavalli splendidi di ogni razza e colore e due tenerissimi puledri molto mansueti. «Immagino tu non te la senta di cavalcare con quel vestito, vero?» Le chiese Mark, scostandole il braccio dalla vita. «Decisamente, no» rispose lei con voce soffocata. «Ti spiace se io…» «Vai pure». Mark le posò un bacio sulle labbra e poi scavalcò il recinto con un’agilità assurda. Lo vide dirigersi verso un cavallo bianco bellissimo, con la criniera bianca e degli occhi che sembravano sprigionare fierezza. Parlò qualche istante con il proprietario, poi vide quest’ultimo argli le redini e quindi, Mark, dopo averle afferrate, vi salì sopra. Trotterellò col cavallo per il percorso del recinto e si vedeva chiaramente che era abile e abituato a cavalcare, al contrario di lei che ne era un po’ spaventata.
Il padre di Mark si era allontanato qualche minuto prima, per parlare con dei proprietari terrieri, e lei si trovò lì sola con i piedi che cominciavano a dolerle. Mettere quei tacchi vertiginosi non era stata una buona idea. Era appoggiata con le braccia alla staccionata, quando vide un gruppo di ragazze oltreare il recinto e, in testa a tutte, c’era Lynn, con i fluidi capelli castani legati in una coda di cavallo in completo da cavallerizza, naturalmente, come tutte le sue amiche. La ragazza si fece are le redini di un cavallo marrone con chiazze bianche, la criniera e la coda marroni. Vi montò sopra con la stessa agilità di Mark, e fu proprio verso quest’ultimo che la vide dirigersi, una volta portato il cavallo al trotto. Quando Mark la vide arrivare e lei gli bisbigliò qualcosa, Sarah notò che lui fermò di colpo il cavallo e si affiancò a lei, rivolgendole un caldo sorriso. Sarah si sentì raggelare da quella familiarità. Le tre amiche di Lynn erano su altrettanti cavalli e si trovavano dietro alla ragazza. Ovunque andava si portava la scorta. Vide Lynn portarsi una mano sul petto e scoppiare in una fragorosa risata e Mark fare altrettanto poco dopo. La conversazione si dilungò per qualche minuto, dopodiché presero a cavalcare per il recinto. Mark e Lynn rimasero affiancati per tutto il tempo. «Non ho mai visto una ragazza essere tanto sfrontata!» Sarah si voltò di scatto e vide il sovrano di Livingston accanto a lei. A quella affermazione non ribatté, sebbene le cose da dire fossero molte. Ma come poteva anche solo menzionare ai propri dubbi, quando lo stesso sovrano aveva stipulato un accordo con Renea, lasciandola ignara dalla questione? E come poteva, quella banale conversazione tra Mark e Lynn, far sorgere in lei altrettanti dubbi nonostante la notte ata con lui e le attenzioni che le aveva riservato in quella giornata? Eppure, la risposta era così chiara e semplice… Mark era dolce e romantico con lei solo quando Lynn non c’era. Quando invece quest’ultima faceva la sua comparsa, lei svaniva agli occhi di Mark. Era come se diventasse invisibile. E, dunque, qual era la verità? Si era detta che gli avrebbe parlato, ma ogni volta non sembrava essere il momento giusto e ora ecco di nuovo i dubbi e le paure insinuarsi nella sua
mente. «Non serve cavalcarlo in eterno quel cavallo, Mark,» gli disse il sovrano con tono grave. Sarah vide Mark guardare verso di loro scuro in volto. Non fu felice dell’intrusione del padre. Andava bene se stava lontano da lei più di un mese, non andava bene se il sovrano lo separava da Lynn. Ma allora perché aveva fatto l’amore con lei? Era tutta finzione? Stava rispettando l’accordo recitando la sua parte fino in fondo? E, una volta sposati, cosa sarebbe accaduto? Si sarebbe sentito libero di essere se stesso? Sarah si accorse di respirare in modo veloce, con il cuore che le martellava nel petto. Mark giunse da loro poco dopo. «Che problema c’è? Stavo solo provando il cavallo,» disse con tono risentito al padre, ignorandola totalmente. Il sovrano lo fulminò con lo sguardo poi, con voce molto controllata, ma che non ammetteva repliche, esclamò: «Sarebbe bene che tu non lo fi con gente di basso rango, Mark!» Quindi proseguì: «Sei il figlio di un sovrano, ma oggi ti confondo con uno di questi mercanti. Dov’è la tua divisa di rappresentanza?» Mark fece una smorfia di insofferenza. «Non ho mai indossato la divisa di rappresentanza a queste fiere, lo sai bene». «Forse perché anni fa eri stupido e irresponsabile. Sei tornato quello di allora?» Con un bagliore iroso negli occhi Mark fece per replicare, ma si interruppe perché dalla bocca di Sarah uscì un grido strozzato. Da un recinto poco distante erano fuggiti alcuni polli dalle piume rossastre e, neanche avessero avvertito la sua paura, si stavano dirigendo verso di lei. D’istinto indietreggiò fino a trovarsi vicina a Mark e gli strinse il braccio. Mark guardò confuso la scena, mentre il sovrano comprese all’istante il perché del grido della ragazza, e ordinò ad alcuni uomini lì vicini: «Prendeteli immediatamente!»
Nel tentativo di afferrarli, i cinque polli corsero ancora più velocemente verso di lei che, colta da un’estrema paura, si rifugiò dietro Mark emettendo gemiti di terrore. Dietro di lei, Sarah udì chiaramente le risate incontrollate di Lynn e delle sue amiche e quindi Lynn esclamare: «Santo cielo, mai visto niente di più divertente!» e giù un’altra fragorosa risata. Sarah si sentì umiliata per la seconda volta in quella giornata. L’intera folla la stava osservando tra lo sconcerto, il biasimo e il divertimento generale. Mark si voltò verso di lei, le posò le mani sulle braccia e le chiese con tono preoccupato: «Stai bene?» Sarah annuì osservando due uomini leggermente calvi che stavano riportando i polli nel recinto, porgendo le scuse al sovrano. Da dietro proveniva ancora il parlottare incessante di Lynn e delle sue amiche. Una di loro stava mormorando a voce perfettamente udibile: «Avete visto come urlava? Mio Dio, che vergogna! Se fosse accaduto a me…» e non riuscì a udire il seguito. «Non sapevo che ne avessi paura, mi dispiace,» le stava dicendo Mark. «Mark, porta Sarah dentro e falla sedere al nostro tavolo, tanto è ora di pranzo» disse a sua volta il sovrano. «No, sto bene, sul serio». Sarah aveva le lacrime agli occhi. «Mi dispiace per lo spettacolo…» aggiunse con voce flebile. «Non dire assurdità!» Replicò il sovrano con convinzione. Lo vide poi lanciare uno sguardo di disapprovazione verso Lynn e le sue amiche. Evidentemente le aveva udite. L’unico a non averle sentite, o ad aver fatto finta di non averle sentite, era Mark. La gente riprese a svolgere la propria attività e quello che stava facendo prima dell’accaduto. Un uomo con la divisa da cameriere giunse da loro: «Signore, dentro chiedono se è ora di servire il pranzo». «Dieci minuti e saremo a tavola,» rispose il Sovrano di Livingston con tono autorevole. Poi, ammorbidendo l’inclinazione, si rivolse a Sarah. «Te la senti di
pranzare ora, Sarah?» Sarah ebbe difficoltà ad alzare lo sguardo, ancora imbarazzata. «Certo».
Ridestata dalla paura di cui fu assalita, Sarah, si diresse con Mark e il sovrano verso una porta che li avrebbe condotti in un immenso salone con molti tavoli rotondi, abbelliti da splendide tovaglie e bouquet di fiori nel centro tavola. Erano tutti apparecchiati con piatti di finissima porcellana e con bicchieri in cristallo dal bordo dorato. Le stoviglie erano in argento massiccio. Loro si diressero al tavolo che risultava essere il più elegante e raffinato e che era posto più distanziato rispetto agli altri, vicino alla vetrata che dava sull’incantevole giardino posto all’ingresso del castello. L’unica ragione che spingeva Sarah a stare lontana da quell’immenso giardino ben curato, era quella di evitare le persone sgradevoli, altrimenti vi avrebbe fatto interminabili eggiate. Era così persa a osservare quell’incantevole paesaggio che non si accorse che il sovrano la stava osservando. «Ami i fiori, Sarah?» Le domandò con tono affettuoso. Sarah sussultò all’udire quella domanda. Non si era accorta che il sovrano la stesse osservando. «Sì, naturalmente» rispose spostando lo sguardo verso l’uomo. «Quel giardino è bellissimo». Si accorse di aver detto una frase scontata. Ovvio che il giardino di un castello adibito a dimora di un sovrano fosse bellissimo. Inoltre il sovrano, di sicuro, non si aspettava un giudizio da parte sua, era ovvio che avesse detto una frase inopportuna. «È rimasto immutato come quando mia moglie era viva,» replicò il sovrano con semplicità. «La madre di Mark amava molto i fiori e aveva scelto personalmente la disposizione di questo giardino». «Davvero?» Chiese sorpresa. Ovvio che Mark non le avesse accennato a nulla che riguardasse la madre. Che la perdita della madre lo fe soffrire, lei lo comprendeva, ma il non volersi confidare in assoluto… «Ah, Marcus, eccoti…» sentì dire dal sovrano che ora aveva posato lo sguardo verso qualcuno dietro di lei. «Pranzi al nostro tavolo, vero?»
«Naturalmente,» rispose il ragazzo in modo affabile. «Buon giorno a tutti». Posando il suo sguardo su di Sarah, aggiunse: «Spero tu ti sia ripresa». Sarah stava per rispondergli, quando vide are dietro di lui Lynn e le sue amiche, con un sorriso derisorio sulle labbra. Così distolse lo sguardo da loro e si limitò a sorridere a Marcus. «La tua fidanzata pranzerà con noi?» Chiese con noncuranza il sovrano a Marcus. Poi rivolse l’attenzione a Sarah. «Marcus e Anjela si sposeranno a ottobre,» le spiegò. «Congratulazioni» si limitò a dire lei, anche se, un auguri, sarebbe stato di gran lunga più appropriato, se la ragazza in questione era davvero l’amica di Lynn. Insomma, Marcus era un bravo ragazzo, e lo si poteva vedere chiaramente, ma Anjela… Con molta probabilità, lui era stato attratto dai numeri che sapeva fare lei a letto, mentre lei era stata attratta dalla ricchezza di lui, non ci voleva un genio per capirlo. Oh, Dio… Si ritrovò poi a pensare, anche per Mark era stato lo stesso? Perché, insomma, non è che lei in questo potesse competere… Vide Marcus che le stava sorridendo, poi lo vide rivolgersi al padre di Mark. «Lo spero, se riesco ad allontanarla dalle sue amiche». «Per questo ti devo rimproverare figliolo,» esordì il sovrano di Livingston, «poiché, certe ragazze, potrebbero avere una cattiva influenza su di lei». Marcus colse l’allusione del sovrano e incassò il colpo senza ribattere. Sarah capì di cosa stesse parlando, a cosa si stesse riferendo, o meglio, a chi. Ne ebbe conferma quando, poco dopo, Marcus allungò una mano verso una ragazza dai capelli rossicci, mossi, non molto alta che si girò e gli stampò un bacio sulle labbra. Riconobbe in lei la ragazza che aveva visto alla boutique. Dunque, era proprio l’amica di Lynn, l’Anjela di cui Mark le aveva parlato. Ora non c’erano più dubbi a riguardo. Sarah vide la ragazza posare lo sguardo su di lei, e il volto adombrarsi. Si stava forse chiedendo quale parte del discorso avesse sentito? E se avesse accennato della cosa a Mark o al sovrano di Livingston? «Non credo vi conosciate,» esordì Marcus con tono affabile. «Sarah, ti presento Anjela, la mia fidanzata».
Anjela rivolse a Sarah un sorriso, che non capì se fosse vero o falso. Essendo amica di Lynn, era facile avere pregiudizi. Sarah, cercando di non lasciar trasparire alcuna emozione, contraccambiò un sorriso algido. «Pranzi con noi, Anjela?» intervenne Mark con un sorriso sulle labbra. «Con immenso piacere,» rispose la ragazza con tono mellifluo. «Vieni, siediti accanto a Sarah, così avrete modo di conoscervi. Sarah qui non conosce ancora nessuno, a troppo tempo in camera sua a leggere,» esclamò Mark con fare bonario. Ma per Sarah fu un brutto colpo, l’aveva fatta apparire un essere asociale. Che cosa aveva fatto in fondo lui per coinvolgerla? Niente. «Non hai caldo con quel foulard, Sarah?» Le chiese Anjela con voce stridula. «Un po’» rispose Sarah, caustica. Mark rise di tutto gusto, ma lei non riuscì a trovare la situazione divertente. «Sei un po’ troppo elegante per questo genere di eventi». Questa volta a parlare era stata Lynn, che sfoggiava il solito sguardo di superiorità, unito a un sorriso beffardo. Quella frase, fece scoppiare una bufera. Il sovrano scoccò un’occhiata irosa alla ragazza e tuonò: «E tu invece, Lynn, mi sembra che sia un po’ troppo invadente e sfrontata oggi. Non ti permettere mai più di rivolgerti alla famiglia Reale senza essere interpellata, perché è puro affronto e mancanza di rispetto. E, per famiglia Reale, intendo naturalmente anche Sarah, che diventerà presto la moglie di Mark». Lynn sbiancò in volto e poi avvampò. La sala si era riempita di persone che in quel momento stavano osservando tutte la scena. Colpita e umiliata dal sovrano, Lynn si allontanò con le lacrime agli occhi e le due amiche al seguito mentre, Anjela, intrappolata al tavolo della famiglia Reale, si limitò ad abbassare lo sguardo. «Ti sembrava il caso?»
Le parole di Mark furono per Sarah una conferma di quello che il ragazzo provava ancora per Lynn. Delusa e offesa, Sarah si scusò e disse che doveva andare in bagno. La cosa sgradevole fu che Anjela la seguì a sua volta. Il bagno per gli ospiti era, in realtà, un enorme locale con circa una decina di bagnetti all’interno. Raffinati tappeti erano posti ai piedi di lavelli che avevano rifiniture dorate, sopra i quali c’erano specchi con antiche cornici. Dopo essere andata in bagno, Sarah si ritrovò allo specchio con Anjela. Quest’ultima ostentò un sorriso. «Non sei di queste parti, vero?» disse per fare conversazione. «C’è davvero bisogno che io risponda?» replicò Sarah sulla difensiva. «Tu ami sul serio Mark?» Quella domanda la colse impreparata. «E tu, ami davvero Marcus?» ribatté Sarah a sua volta. «È un bravo ragazzo,» rispose la ragazza dai capelli rossi, con un tono che non lasciava trasparire alcuna emozione. «Tutto qui?» «Senti, Sarah, la verità è che tu non mi sembri una brutta persona,» esordì Anjela, con voce incolore. «E magari sei anche innamorata e non stai con lui solo per l’accordo tra il padre di Mark e quella strega odiosa di Renea... ma, Mark e Lynn… Ecco, loro si amano da sempre, questo lo avrai capito anche tu. Lo leggo nel tuo sguardo, si vede lo sai». Sarah deglutì per allentare la tensione alla gola. «Che cosa dovrei sapere?» chiese infine con voce inclinata. Anjela la guardò piena di stupore. «Che loro si sono lasciati per pura formalità per assecondare i desideri del padre, ma che, a tutti gli effetti, stanno ancora insieme». Sarah scosse la testa quasi volesse cancellare quelle parole. «Non è vero. È stata Lynn a chiederti di dirlo». La voce le tremava; era evidente che nutriva forti dubbi a riguardo.
«Oh, Sarah, quanto sei dolce e ingenua…» Anjela pronunciò quelle parole portandosi una mano sul petto per enfatizzare la commozione. «Non capisco se lo ami sul serio o se a te interessa solo la corona. Si dice che, voi sacerdotesse, diate molta importanza al dovere e che facciate sesso con sconosciuti, in assurdi rituali, durante la notte, per volere degli dei. Forse è per questo che per te non costa fatica fingere con Mark». Sarah impallidì. «E Mark, per quale ragione farebbe l’amore con me? Per le stesse ragioni?» Anjela inarcò un sopracciglio, l’espressione sbalordita. «Ma davvero ancora non l’hai capito? Ti facevo più furba. Accettando di sposarti, può vedere liberamente Lynn quando non sta con te, durante tutto il tempo che sono in missione! Ma davvero non c’eri arrivata? Lo sanno tutti!» Sarah, senza replicare, lasciò il bagno e raggiunse il tavolo, tenendo lo sguardo basso. Mark, Marcus e il Sovrano, stavano parlando animatamente della spedizione che avevano fatto. La conversazione continuò per quasi tutto il pranzo e, Sarah, stette in silenzio a ripensare alle parole di Anjela, consapevole che avrebbe dovuto chiarirsi una volta per tutte con Mark. Ma quel giorno non ci riuscì. Il pranzo si dilungò fino al tardo pomeriggio. Poi ripresero ad andare alla fiera, questa volta per visitare gli stand di piante e fiori e altri prodotti tipici dei luoghi di provenienza dei mercanti e poi Sarah cenò con Mark e il padre, ma le pietanze furono tutte molto leggere, poiché il pranzo era già stato molto ricco di portate. Terminata la cena, tutti si raccolsero nei giardini Reali a eggiare e chiacchierare, in una notte limpida e stellata, con la luna che rifletteva la sua luminosità nell’acqua della fontana. Quando il padre di Mark si congedò da loro per raccogliersi nelle sue stanze, Sarah si sentì sopraffatta dalla stanchezza e dal dolore che i sandali le causavano ai piedi. Inoltre era turbata dalla conversazione tenutasi con Anjela. Mark stava parlando con i suoi amici e compagni, escludendola nel modo più assoluto, a dimostrazione che, forse, le parole di Anjela erano vere. Quando a loro si aggiunse Laorans, che col suo solito sguardo beffardo la scrutò
da cima a fondo in modo derisorio, capì che per lei era giunto il momento di andarsene. Posò una mano sul braccio di Mark chiamandolo per nome e lui smise di parlare rivolgendole lo sguardo. Si ricordava che lei era ancora lì? «Io vado a dormire…» «Di già?» le chiese lui sorpreso. Poi guardò l’orologio ed esclamò stupito: «Non mi ero reso conto che fosse già così tardi. Hai ragione, domani sarà una giornata molto intensa». Detto ciò, le posò un bacio sulle labbra. Sarah si sentì confusa, messa da parte. Non riusciva a comprendere chi fosse il vero Mark. Quello che aveva fatto l’amore con lei e l’aveva riempita di attenzione o quello che aveva difeso Lynn e che per tutta la serata l’aveva ignorata? Stava cominciando a notare che solo in presenza del sovrano lui si dimostrava affettuoso e romantico. Con un nodo alla gola che le impediva di respirare, si allontanò dal gruppo e da tutte le persone che, a quanto pareva, erano abituate a stare in piedi tutta la notte senza risentire della benché minima stanchezza. Quando giunse nella sua camera e comprese che il giorno dopo ci sarebbe stata la festa di fidanzamento, scoppiò in un pianto liberatorio. Si rese conto di trovarsi in una trappola da cui era difficile liberarsi. Come aveva fatto a cacciarsi in quel pasticcio? Come poteva rimandare l’inevitabile? Come poteva annullare la festa di fidanzamento? E in che modo avrebbe parlato a Mark? Quei pensieri la tennero sveglia per le poche ore che la separavano dal mattino.
La festa del fidanzamento sarebbe cominciata in tarda mattinata e l’unica cosa che Sarah sapeva, era che sarebbe entrata a fianco di Mark nella sala da pranzo più grande del castello e che, a quella festa, avrebbero partecipato tutti i nobili di tutte le terre di quel regno e Nikolaz, padre di Marcus e sovrano di Kentingern, e
Regasian, sovrano di Fearghas, accompagnato dalle tre giovani figlie. Mark le aveva fatto preparare, per quell’occasione, un bellissimo abito di seta bianco che le arrivava a metà gamba e aveva rifiniture molto elaborate ed eleganti. La scollatura era a forma di cuore e, come gioielli, Sarah, indossò la parure che Mark le aveva regalato il giorno prima. Era tutta un fascio di nervi. Aveva ripensato mille volte a cosa dirgli e a come dirglielo, ma ora che era giunto il momento le sembrava di avere il vuoto più totale. Si stava ando il gloss sulle labbra quando sentì bussare alla porta. Mark entrò poco dopo. «Ciao» le disse lui. «Sei pronta?» Dopo averla raggiunta, le diede un bacio sulle labbra e le sussurrò: «Sei bellissima». Sarah si scostò leggermente da lui, incapace di sorridere. «Che cosa c’è?» le chiese lui adombrato. «Dobbiamo parlare» gli rispose con voce quasi impercettibile. Mark guardò l’orologio. «Non possiamo farlo dopo? È tardi, saranno già arrivati tutti». «No. Dobbiamo parlare ora, Mark. È da tanto che ti devo parlare, abbiamo rimandato perché dovevi partire, poi perché…» lo vide arsi una mano sul viso con un moto di impazienza. In ato non lo avrebbe mai fatto. Sarah si sedette sul letto in attesa che lui la degnasse di uno sguardo. «Cambia qualcosa se ne parliamo terminata la festa?» «Sì. Perché molto probabilmente faremo tardi come ieri sera, tu sarai preso dai tuoi amici e io non riuscirò a parlarti». Sarah si accorse che le tremava la voce, ma era già tanto che fosse riuscita a fare quel discorso. Mark, che non lesse tra le righe, si sedette accanto a lei spazientito. «Avanti, ti ascolto».
Sarah raccolse tutte le energie che aveva e disse tutto d’un fiato: «Che cosa c’è tra te e Lynn?» Vide Mark alzare di scatto la testa, una miriade di emozioni are sul suo volto e non rispondere subito. Esitò quel tanto che bastò per confermarle tutti i suoi dubbi. «Credo che la festa di fidanzamento sia da annullare» disse lei. Lui si alzò in piedi di scatto, scuotendo la testa, un lampo di incredulità negli occhi. «Ma che cosa stai dicendo, si può sapere?» Sembrava furioso. «So che voi due siete stati insieme per tre anni!» Alzandosi a sua volta continuò: «La mia domanda è: che cosa c’è tra di voi, ora?» «Siamo stati insieme tre anni, è vero, ma prima che noi due ci mettessimo insieme! Tu sei fuori di testa! Ma come puoi farmi una domanda del genere dopo che ti ho chiesto di sposarmi?» Sarah non lo aveva mai visto così adirato prima di allora, non con lei perlomeno. «Forse perché lei ti sta sempre addosso e tu non fai nulla per evitarlo!» Mark, che aveva preso a camminare avanti e indietro, si fermò di colpo fulminandola con lo sguardo. «Cosa? Io non ho fatto nulla per evitare cosa, esattamente? Spiegati meglio!» «Non fa altro che starti appiccicata addosso e a umiliarmi di fronte alla gente. Se ti importasse qualcosa di me, mi avresti difesa! Avresti difeso me, non lei!» «Avrei dovuto difendere te per cosa? Per quella battuta scherzosa sul vestito? Andiamo, Sarah, che fosse inappropriato lo sapevamo benissimo!» Sarah aveva le lacrime agli occhi. «E, per l’amor di Dio, ora non metterti a piangere, siamo già sufficientemente in ritardo grazie alle tue paranoie!» «In ritardo per cosa, Mark?» Chiese con la voce che le tremava. «Pensi davvero che io venga a quella fasulla festa di fidanzamento? Te lo puoi scordare!»
Sarah fece per raggiungere il bagno ma Mark la bloccò afferrandole il braccio e le intimò: «Non osare farmi una cosa del genere! Vieni per favore, e falla finita con questi piagnistei!» Sarah cercò di liberarsi dalla sua presa, ma non ci riuscì, era troppo forte. «Lasciami! Lo sanno tutti della vostra storia clandestina! Lo sanno tutti che tu sposi me solo per quello stupido accordo tra tuo padre e Renea!» Urlò senza riuscire a liberarsi. «Tu sei fuori di testa! Sei completamente fuori di testa!» La lasciò andare con così foga che lei quasi perse l’equilibrio. Con voce più controllata, riprese: «E toglimi una curiosità: se sei realmente assalita da questo dilemma, perché mai avresti fatto l’amore con me l’altra notte?» «Perché…» cominciò lei, ma poi le parole le morirono sulle labbra vedendo lo sguardo iroso e divertito di Mark. «Non lo sai nemmeno tu, il perché? Perfetto!» Commentò con sarcasmo. «Ora andiamo, per favore, questa ridicola conversazione mi sembra già sia durata fin troppo». Sarah lo guardò incredula. «Ti ho appena detto che so di te e Lynn e dell’accordo, e tu mi dici ora andiamo per favore? Sei tu ad essere fuori di testa! Non riesco più a capire chi tu sia davvero! Da quando siamo qui hai preso a comportarti in un modo assurdo… Sei solo preso da te stesso! Per te non conto più nulla!» «Beh, perdonami tanto se, essendo il figlio di un sovrano, ho delle responsabilità. Sai cosa sono delle responsabilità, Sarah? O questa è una parola nuova per te?» «Non parlarmi con sufficienza solo perché sei il figlio di un sovrano, a me delle tue responsabilità e del tuo potere non potrebbe fregare di meno!» «E adesso chi è preso da se stesso, Sarah? Se non ti importa della mia vita, se non ti importa dei miei doveri, dei miei obblighi… Chi è preso da se stesso?» Le disse con tono di sfida. «Che tu possa avere delle responsabilità io lo comprendo, ma mi hai lasciata qui da sola per più di un mese con della gente che non conosco!» Esclamò Sarah con
tono sostenuto. «E di questo, di chi è la colpa?» Le chiese lui provocatorio. «Che cosa vuoi dire?» «Sto semplicemente dicendo,» esordì Mark col tono di chi sta parlando a un bambino che ha difficoltà di comprensione, «che se hai difficoltà a socializzare con le persone, non è colpa mia. Te ne stai chiusa qui dentro, tutto il santo giorno, con quegli stupidi libri in piena estate. Converrai con me che non è un comportamento normale». Sarah scosse la testa incapace di credere a ciò che aveva appena udito. Tutto ciò che gli aveva detto, lui l’aveva rigirato in modo tale da attribuire la colpa di tutto a lei. Se qualcosa non andava, la colpa era solo sua. «E perché Anjela mi avrebbe detto che tu e Lynn state ancora insieme?» Replicò a sua volta. Mark fece una smorfia di insofferenza. «Ancora con questa storia, non ci posso credere!» «Me lo ha detto Anjela, ieri sera in bagno!» Ripeté con veemenza Sarah. «Di sicuro hai frainteso quello che lei ti ha detto». Sarah sbuffò spazientita. Stava per ribattere a sua volta, quando qualcuno bussò alla porta. Brigitta entrò poco dopo con un telefono in mano. «Signore, suo padre vuole sapere come mai non avete fatto ancora il vostro ingresso. La gente sta aspettando». Mark ò lo sguardo da Brigitta a Sarah e, sempre guardando quest’ultima, disse: «Faccia parlare direttamente mio padre con Sarah, così nel caso ci sarà un fidanzamento da annullare, sarà lei a dargli la notizia spiegandone il motivo». Fu un colpo basso. Mark aveva valicato ogni limite, ogni limite sopportabile. Era riuscito a distruggere la più piccola delle speranze che tra loro ci fosse qualcosa da salvare.
Con questa consapevolezza, e la decisione maturata dentro di lei, lanciò uno sguardo di sfida a Mark e raggiunse la porta ando davanti a una Brigitta non poco sorpresa. Mark non prese nemmeno in considerazione di parlare col padre al telefono, seguì Sarah non capendo che cosa le asse per la testa. Sorpreso e trionfante, la vide raggiungere l’immenso salone dove tutti li attendevano, facendo il loro ingresso insieme, come previsto. Il sovrano era scuro in volto, notò subito Sarah. Quale ne fosse il motivo, non lo sapeva, forse per il ritardo, o forse per ciò che doveva aver udito al telefono. Quella, per Sarah, fu una tra le peggiori serate della sua vita: dovette affiancare un Mark per lei totalmente estraneo, che non la degnò mai di uno sguardo, ne mai le rivolse la parola, se non per posare le labbra sulle sue al momento del brindisi, sfiorandogliele appena. Per il resto, si dedicò in amabili conversazioni per tutta la festa, con ogni persona fuorché lei. E la gente, naturalmente, non mancò di parlarne. Commovente fu invece il discorso che fece il sovrano e le parole che dedicò a lei. Le si riempirono gli occhi di lacrime essendo consapevole che, presto, non lo avrebbe più rivisto. In fondo non le mancò mai di rispetto e di affetto. Ma, dopo ciò che era accaduto con Mark, Sarah era consapevole che non aveva più un futuro con lui e, rimanere lì, avrebbe rappresentato solo l’inferno. Nel momento in cui se ne fosse andata, Mark avrebbe potuto avere Lynn per sempre, senza bisogno di intrecciare con lei una relazione all’oscuro di tutti. Durante la festa di fidanzamento, le venne presentato, non da Mark, il sovrano Nikolaz, padre di Marcus. Notò che la somiglianza estetica che aveva con il figlio era pressoché inesistente, eccezion fatta per i capelli che, se pur di colore diverso, erano della stessa lunghezza e legati in una coda; forse era usanza del luogo di provenienza o una consuetudine di famiglia. I capelli del sovrano erano biondo chiaro mentre, quelli del figlio, castano scuro. Un ulteriore differenza tra padre e figlio, stava nella personalità che Sarah poté individuare da subito. A differenza del figlio, Nikolaz aveva una personalità ambigua: il tono eccessivamente mellifluo lasciava trasparire un velo di ipocrisia. La calma che aveva nel parlare, era in netto contrasto con lo strano luccichio che animava gli occhi. In un discorso sull’unione dei tre regni, Sarah lo vide impallidire e poi bramare per giungere al vertice. Ripeteva continuamente le sue abilità a regnare e
ribadiva che presto, il suo unico figlio, avrebbe dato al regno un erede frutto dell’unione con Anjela. La cosa che stupì Sarah fu che Nikolaz non rivolse mai la parola alla futura nuora e, quello che ne dedusse fu, che al sovrano, non importasse se Anjela fosse adatta o meno a divenire moglie di un futuro monarca, ma desiderava che tutto accadesse alla svelta. Quando invece ebbe modo di conoscere l’anziano sovrano Regasian, capì da una conversazione che, le tre figlie, erano nate da seconde nozze. A quanto pareva, Regasian, non era stato molto fortunato con le compagne. La prima moglie era morta di una brutta malattia due soli mesi dopo il matrimonio senza aver dato alla luce un erede. Mentre, la seconda moglie, morì di parto alla nascita della terza figlia. Come già le aveva spiegato Mark, non avendo figli maschi, gli era esclusa la possibilità di ottenere la guida dei tre regni una volta che questi si fossero uniti in uno solo. Il Re Regasian aveva presentato a Sarah le sue tre indomabili figlie. Si vedeva che alle ragazze era mancata una figura materna, erano allegre e spensierate ma un po’ troppo viziate da un padre che, per paura di far mancare loro qualcosa, aveva forse concesso troppo. La figlia più grande, Elaine, aveva lunghi capelli biondi, due occhi azzurrissimi e doveva avere all’incirca vent’anni. Sembrava la più timida e responsabile delle tre, forse perché era la maggiore, ma si vedeva benissimo che, ogni volta che guardava un ragazzo, gli occhi le si illuminavano e le guance avvampavano. Margaret, era la secondogenita, di due anni minore di Elaine. I capelli, lunghi quanto quelli della sorella più grande, erano di colore castano chiaro e gli occhi erano scuri come la notte e molto vivaci. Aveva il riso facile e non mancava di ribattere alle persone, facendo arrabbiare spesso il padre, anche se, Sarah, capiva perfettamente che Regasian fingeva solo di arrabbiarsi e leggeva nei suoi occhi l’amore incommensurabile per le tre figlie. Katrina, la più piccola delle tre, aveva circa quindici anni, capelli e occhi scuri e civettava già con i ragazzi più grandi di lei. Elaine, non mancava di rimproverarla, ma la ragazza inveiva contro la sorella e tornava a colloquiare con i ragazzi. Sembrava avere già le idee chiare, sembrava sapere come ottenere quello che voleva, con le armi femminili in suo possesso e, i ragazzi, non persero
tempo ad approfondire la sua conoscenza. «Morirò di crepacuore molto presto,» esclamò il re Regasian portandosi una mano sul petto in modo teatrale. Il sovrano Mikael rise di tutto gusto e replicò: «Mio caro amico, ad avere delle figlie femmine è così, cosa vuoi farci!» Sarah ebbe modo di approfondire la conoscenza di Elaine quando, abbandonata a se stessa, si rifugiò sul balcone, con lo sguardo verso Mark che era circondato dai suoi cari amici, tra cui Laorans e Marcus. Stranamente, il gruppetto di Lynn e delle sue amiche, stava più distante e, quella sera, non si era mai avvicinato a Mark. Forse lo avrebbe fatto Lynn da sola, più tardi, tra le braccia e nel letto di Mark. A Sarah salirono le lacrime agli occhi al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere tra i due, ma soprattutto all’idea che, tra lei e Mark, in quel modo non poteva continuare e che lei stessa avrebbe posto fine a tutto. Aveva ormai pensato a ogni particolare. Aveva già potenziato e trasformato in portale lo specchio della sua camera da letto e, quella stessa notte, sarebbe andata a far visita a Morgana e l’avrebbe messa con le spalle al muro. Morgana non avrebbe avuto scelta, l’avrebbe portata via da lì. Avrebbe lasciato per sempre quel luogo e soprattutto Mark anche se, il Mark di ora, era una persona del tutto estranea a quella che lei aveva conosciuto secoli addietro e nel regno di Argantel. «Va tutto bene?» Sarah si riscosse dai propri pensieri e vide Elaine accanto a lei. «Sì, certo». Improvvisò un sorriso ma le labbra si erano stirate appena e si accorse di avere le guance bagnate dalle lacrime. Le asciugò in fretta col palmo della mano, ma Elaine le aveva ormai viste. «Perché stai piangendo, allora?» Elaine le sorrise in modo confortante e Sarah voltò le spalle alla sala guardando il giardino sotto di lei, illuminato dai fari notturni. «Perché sono una sciocca,» rispose con voce singhiozzante. «C’è qualcosa che non va, vero? Tu e Mark avete litigato?» Sarah la guardò stupita. Era così evidente?
«Non ti ha mai rivolto la parola, ti ha lasciata sempre in disparte…» Elaine scosse la testa in segno di disapprovazione. «La sai una cosa? Io non mi sposerò mai. Gli uomini sono fatti solo per farci soffrire!» Poi si portò una mano sulla bocca e si corresse: «Perdonami, è la vostra festa di fidanzamento e non dovrei dire una cosa del genere». «No, quello che hai detto è vero. Ad ogni modo, tutto questo è fasullo, non ci sarà nessun matrimonio». Elaine la guardò allarmata. «Ti prego, non dire una cosa del genere!» Il tono che usò fu eccessivamente alto. Quasi tutti si voltarono, inclusi i tre sovrani e Mark, che la guardò accigliato. Sarah distolse subito lo sguardo da lui. Si sentiva troppo ferita e amareggiata e ormai aveva deciso. Tra loro era finita. Per sempre.
Quando, due ore più tardi, si ritrovò da sola in camera sua, Sarah ripensò allo sguardo di Mark, al modo in cui l’aveva guardata, quello sguardo indecifrabile e a lei sconosciuto. Ripensò alla brutta lite, a come l’aveva fatta sentire sola quella sera, al modo ipocrita e superficiale in cui si era congedato da lei una volta terminata la festa. Con una stretta terribile al cuore, ma le idee molto chiare sul da farsi, Sarah recitò la formula che ormai aveva imparato a memoria e varcò il portale, con un pizzico di paura perché era la prima volta che avrebbe utilizzato lo specchio come porta tra i luoghi e utilizzando la sua magia. E se fosse successo qualcosa? Se qualcosa non avesse funzionato? Nella camera di Morgana c’era uno specchio che fungeva da portale? Dove sarebbe finita, altrimenti? Era certa di aver fatto le cose per bene, di aver svolto tutti i aggi in modo corretto. Si era esercitata tante e tante volte, ma non ci aveva mai provato perché aveva avuto paura. Ora, francamente, non le importava più di nulla. Qualunque cosa fosse accaduta, non aveva niente da perdere. Dopo aver fatto un lungo respiro, si avvicinò allo specchio e lo oltreò. Pronta ad ogni cosa, a finire frantumata in mille pezzi – o a frantumare lo specchio stesso – non si aspettò quello che invece accadde. Si ritrovò distesa nel bel mezzo del torrente che scorreva a confine tra Dervel e Erwan, proprio nel punto in cui l’acqua veniva a creare una polla, in quella che le sacerdotesse
definivano la Sorgente Sacra. Immersa completamente nell’acqua, sentì qualcuno accanto a lei lanciare un urlo. «Sarah… Oh, dea del cielo, ma sei impazzita?» Il tempo di mettersi a sedere, Sarah vide Morgana che le allungava una mano, il volto pallido e preoccupato. «Come hai fatto a venire qui?» Le chiese la donna. Sarah allungò la mano e si fece aiutare da Morgana a rialzarsi. A parte l’imprevisto del torrente, il portale aveva clamorosamente funzionato. Cercò di scrollarsi di dosso per quanto poté l’acqua, cominciando dai capelli e finendo coi vestiti. «Mi vuoi rispondere? Come hai fatto a venire qui?» Sarah improvvisò una calma che era ben lungi dal provare. «Non ti ho vista alla festa di fidanzamento e così mi sono detta: andiamo a vedere che fine ha fatto Morgana». Sul viso si formò un sorriso sarcastico e il tono che utilizzò era degno di una commedia. «Sai, ero preoccupata,» continuò, «sono praticamente due mesi che non ti vedo, credevo ti fosse accaduto qualcosa». Sarah scrutò Morgana da cima a fondo e poi aggiunse: «Ma, invece, vedo che stai bene, mi fa piacere!» Poi cominciò a camminare per il sentiero. «Così, mi viene da pensare: non è che per caso, dopo che sei riuscita a raggiungere il tuo obiettivo, ovvero avermi scaricata come un pacco al castello di Livingston per suggellare l’accordo tra il padre di Mark e Renea, hai pensato bene di scomparire dalla circolazione, vero?» Ora il suo sguardo era glaciale. Quello di Morgana indecifrabile. «Che cosa è successo?» domandò Morgana con un filo di voce. «Sono io che lo chiedo a te, Morgana. Che cos’è successo? Tutte quelle belle parole sul fatto che tu tenessi a me, che volevi solo e soltanto il mio bene… Nella concretezza dei fatti, come me lo hai dimostrato? Perché sei scomparsa e non sei più venuta?» «È stato un periodo difficile, Sarah, mi dispiace, mi devi credere…» «Sul serio? Ti dispiace?» domandò con voce sprezzante ma inclinata dal dolore che provava.
«Ti prego non fare così… Dimmi perché sei sconvolta». Morgana allungò una mano verso il braccio di Sarah ma, quest’ultima, lo allontanò. «Come hai fatto a… Venire qui?» Sarah la guardò a lungo divertita. «Vediamo un po’… come ho fatto a venire qui… Ottima domanda sul serio! Tu che sai tutto, Morgana, dovresti conoscere la risposta, ti pare?» «Okay, sei arrabbiata con me e lo comprendo. Dimmi se c’è qualcosa che posso fare per te…» «Una cosa in effetti c’è, che non puoi fare, ma che devi fare. Tu hai tempo sette giorni, a partire da domani, per portarmi via da Livingston». Terminata la frase, Sarah studiò la reazione di Morgana. La sua espressione era un misto di incredulità e cosa, poi? Paura? Perplessità? Stupore? Non aveva importanza, a qualunque cosa stesse pensando la sacerdotessa, avrebbe dovuto risolvere il pasticcio in cui l’aveva cacciata. «Non lo posso fare,» rispose laconica. Sarah raggelò. Non poteva credere a quelle parole. Insomma, in un certo senso si era preparata anche a quello, ma aveva pensato che Morgana non le avesse detto di no. «Bene, allora non sentirai più parlare di me, né tu né Mark. O, se ne sentirete parlare, sarà in modo tragico. Scegli tu. Ho un’opzione su dove andare, una volta via di qui. Ma mi chiedo: che senso ha?» La voce le cominciò a tremare. «Che senso ha vivere dopo che Mark ha fatto a pezzi il mio cuore e tu…» le lacrime avevano preso a scenderle sul viso e parlava singhiozzando, «e tu… non ti sei mai chiesta come stessi… Mi hai lasciata sola al mio destino! Perché, Morgana!?» Pronunciò quelle ultime parole urlando. Morgana andò da lei, l’avvolse in un abbraccio e questa volta lei non la respinse. «Vieni, andiamo dentro e raccontami cos’è successo. Ma non dobbiamo fare rumore, nessuno deve sapere che sei qui, soprattutto Renea, che non capirebbe. Troveremo una soluzione, vedrai». Avviatosi verso il palazzo di Renea, dove Morgana risiedeva insieme alla Somma Sacerdotessa e ad altre sacerdotesse, Sarah venne condotta nella camera
della donna. Il locale era grande ma non in modo eccessivo e conteneva il minimo indispensabile. Morgana le diede dei vestiti asciutti, dopo di che, la fece sedere sul letto e le fece raccontare tutto. Dalle fessure della finestra, entravano le prime luci dell’alba. Morgana, aveva ascoltato in silenzio tutto il racconto, con un’espressione sconvolta sul viso, e un pallore che aumentava a mano a mano che Sarah proseguiva nel racconto. Quando Sarah scoppiò in un pianto a dirotto, Morgana la cullò tra le braccia, sino a quando, rincuorata dalla promessa che l’avrebbe condotta via da Livingston, in un modo o nell’altro, si addormentò sfinita. Al suo risveglio, si trovò avvolta in una morbida coperta e vide che Morgana era in piedi appoggiata alla portafinestra. Si girò all’istante e le sorrise senza dire una parola. Poi si avviò lentamente verso di lei, si sedette sul letto e disse in un sussurro: «Parlerò a Renea, ti farò venire qui per un po’ di tempo». «Per sempre, non per un po’ di tempo,» disse Sarah mettendosi a sedere. Morgana scosse la testa. «Ascoltami, Sarah. Renea è una donna a cui importa ben poco dei sentimenti delle persone. A lei dirò che devi venire qui per prepararti a divenire una sacerdotessa. Quando sarai qui, decideremo sul da farsi. Quello che conta è che ora io ti porti via da Livingston, con un pretesto. Non avrei mai pensato che potesse accadere una cosa del genere, quando ti ho lasciata con Mark, lui era…» Morgana lasciò in sospeso la frase. «Se tu lo vedessi, Morgana, lui non è più la stessa persona, lui…» si interruppe sentendo salire agli occhi altre lacrime. «Parlerò chiaramente a Mikael… Gli spiegherò come stanno esattamente le cose». «Morgana…»
«Sarah, Mikael è una persona comprensiva,» la rassicurò Morgana accarezzandole in modo materno il viso. «Questo lo so,» cominciò lei, «ma…» «Forse gli farà tornare la ragione». Sarah scosse la testa in modo deciso. «No. Non hai capito, io non ne voglio più sapere di lui!» Esclamò quasi urlando. Morgana le fece cenno di abbassare la voce. «D’accordo, come desideri.» Dicendo ciò distolse lo sguardo. Ora avrebbe dovuto convincere Renea a far venire a Dervel Sarah: la cosa non era così semplice.
Da quando Sarah era stata a far visita a Morgana, erano trascorsi dieci giorni, e la donna non si era fatta ancora vedere. Proprio mentre Sarah stava prendendo in considerazione l’idea di andarsene altrove, a Maviron o a Greenshadow, la porta della sua stanza si spalancò. Da fuori udì perfettamente Brigitta sentenziare «Non può entrare in quel modo senza essere autorizzata…» e poi non udì il seguito, ma dalla porta vide entrare Morgana che sembrava una furia. «Chi è quel mostro di donna?» Tuonò la sacerdotessa indicando con la mano un punto al di là della porta. «È una delle due domestiche che sono state adibite a me e che, guarda caso, odia le streghe. Se potesse ci metterebbe al rogo!» esclamò cinica. «Rivivere di nuovo l’esperienza?» recitò Morgana. «Sarebbe terribile,» continuò sempre in tono teatrale. «A proposito, se fossi arrivata domani non mi avresti trovata» disse caustica. «E dove saresti andata, di grazia?» «Non te lo dico,» esordì con un sorrisetto algido. «Nel caso mi tornasse utile in futuro». «Lo terrò a mente. Prepara le tue cose, ce ne andiamo ora».
Sebbene aspettava quel momento da giorni, le parole di Morgana le fecero uno strano effetto. Se ne sarebbe andata sul serio, avrebbe lasciato per sempre Mark. In fondo, che differenza avrebbe fatto? In quei dieci giorni era stato sempre freddo e distaccato e non erano stati mai soli. Lui non le aveva mai chiesto scusa per quella spiacevole conversazione, tantomeno aveva cercato di riappacificarsi con lei. «Ti vedo perplessa» notò Morgana. «No, non sono perplessa. Stavo solo riflettendo sul fatto che non ho niente di mio. Dammi solo dieci minuti, mi metto i vestiti di quando sono arrivata qui. Non voglio avere con me niente di suo». Morgana notò il dolore sul volto di Sarah, ma non disse nulla a riguardo. Mormorò solo: «Ti aspetto giù di sotto, Sarah. Devo parlare con Mikael». Sarah annuì senza dire una parola. Si sentiva lo stomaco chiuso in una morsa e un nodo alla gola che le impediva di parlare. Lo avrebbe visto ancora prima di partire? O era già andato via? Che cosa avrebbe detto o pensato? Gli sarebbe mancata? O sarebbe corso subito tra le braccia di Lynn? Con le lacrime che le pungevano gli occhi, posò sulla scrivania l’anello che le aveva regalato la sera che le aveva chiesto di sposarlo e si mise alla ricerca dei vestiti di quando era giunta lì a Livingston.
Quando uscì dalla propria camera, Sarah vide Brigitta lanciarle un’occhiata di traverso, borbottare qualcosa di incomprensibile e riprendere a fare le proprie faccende. Chissà che sollievo avrebbe provato una volta saputo che lei se ne era andata per non tornare più! Con lei aveva i libri presi alla biblioteca di Alys, stava quasi per dimenticarli, ma poi, per fortuna, prima di uscire se ne ricordò. Prima che il padre di Mark, o Mark stesso, potessero pensare che stava per portar via dei libri che appartenevano alla biblioteca del castello, si era preparata una frase da dire in loro presenza, sperando che Morgana le reggesse il gioco.
Si avviò a i decisi nel corridoio semivuoto, incrociando sguardi a lei poco conosciuti e, comunque, poco amichevoli, e quindi scese la scalinata che l’avrebbe condotta al pian terreno. Giunta a metà di essa, rallentò i i perché udì una voce a lei familiare che rispose alla domanda che aveva nel cuore. In piedi, sul pianerottolo davanti alla porta d’ingresso, c’erano Morgana, il sovrano di Livingston e Mark che, appena udì i suoi i, alzò lo sguardo verso di lei, il volto pallido e stravolto. Sarah ebbe difficoltà a respirare e fu incapace di proseguire. «Dimmi che non è vero che te ne vai…» le disse lui con un moto di disperazione nella voce. Sarah non riuscì a replicare. Sentendosi gli sguardi puntati addosso, scese gli ultimi gradini e stette in piedi vicino a Morgana. «Te l’ho già detto, Mark, la Somma Sacerdotessa ha deciso così, e così sarà». Fu Morgana a parlare per lei. «È semplicemente assurdo!» Esclamò il ragazzo con foga. «Lei è venuta per restare! C’è un accordo, Renea non può decidere questo, ora!» «Innanzitutto, Sarah non è un oggetto» esordì il sovrano di Livingston laconico. «E, comunque, Renea è libera di chiedere a Sarah di andare a Dervel in ogni momento, così come Sarah non è prigioniera di questo luogo» concluse alzando di un tono la voce. Mark si voltò a guardare Sarah, più bianco di prima, e le disse con voce quasi impercettibile: «Dimmi che non sei tu a volertene andare…» «Che differenza fa?» Gli chiese lei con voce tremante e gli occhi pieni di lacrime. Mark scosse la testa, gli occhi che gli brillavano, ma Sarah si rifiutò di credere, anche solo per un attimo, che potessero essere lacrime. «Ti prego, Sarah, parliamone. Quello che è successo l’altra sera…» «Non c’è niente di cui dobbiamo parlare, Mark. L’hai detto tu stesso: quella era una stupida conversazione. Per cui, che senso avrebbe parlarne, ora? Da allora
son ati dieci giorni, se non hai sentito la necessità di farlo in questi giorni, perché proprio ora? Perché me ne vado?» concluse il discorso con tono sarcastico, per mascherare il dolore che provava. «Ero arrabbiato, ma io ti amo, lo sai!» le disse lui con foga. «No, che non lo so!» Inveì lei. «Perdonami, ti prego, ma non te ne andare!» Sarah distolse lo sguardo da Mark, guardò il sovrano che li stava osservando con espressione grave, e disse: «Grazie per tutto quello che ha fatto per me…» Il sovrano le andò incontro e l’avvolse in un abbraccio che la colse impreparata e la commosse. «A quanto pare non ho fatto abbastanza. Stammi bene, Sarah. La mia speranza è di poterti rivedere». Sciolta dall’abbraccio, Sarah aveva le lacrime che le rigavano il volto. Si rivolse a Morgana dicendo: «Ti aspetto fuori». Non fece in tempo a muovere neanche un o che Mark fu da lei, e la fermò prendendola per un braccio. «Ti prego, Sarah, non può finire così!» «Non mi toccare!» Urlò lei liberandosi dalla presa. «Conservo già un livido di dieci giorni fa, non mettermi più le mani addosso!» Detto ciò lasciò il palazzo e si diresse verso l’auto nera che c’era ad attenderle, con Aoustin che, come sempre, le aprì la portiera appena la vide arrivare. Morgana non si fece attendere molto, fu sul sedile accanto a lei dieci minuti dopo. L’auto era già in moto, stava percorrendo il viale verso l’uscita, quando Sarah scorse il volto di Mark accanto al finestrino della macchina che urlava il suo nome e implorava il suo perdono. Fu quello l’ultimo ricordo che ebbe di lui, quando fu a Dervel. Fu l’espressione sconvolta e angosciata di un Mark che le ricordò quello conosciuto quasi un anno prima. Ma sapeva che era solo
un’illusione, un atteggiamento dovuto alla consapevolezza che l’avesse persa. Poi avrebbe ripreso a essere quella persona arrogante e superficiale che si era dimostrata da quando erano giunti a Livingston. Per cui, tanto valeva non credere che a lui fosse mai davvero importato qualcosa di lei.
Capitolo quattro
La figlia di Renea
Lasciare Mark non fu così semplice. Seduta sull’auto accanto a Morgana, i pensieri di Sarah furono tutti rivolti a lui e alla scena straziante che aveva appena visto: Mark che inseguiva l’auto guidata da Aoustin con lo sguardo stravolto che gridava a squarciagola il suo nome e che implorava il suo perdono. Per un istante Sarah fu colta da mille dubbi: aveva fatto la cosa giusta a lasciare Livingston? Potevano forse lei e Mark chiarirsi? Possibile che tutta la ione che avevano vissuto in quei mesi e nei secoli ati non esistesse più? Che fosse ora una finzione? Sarah scosse la testa e, guardando in direzione di Morgana, si accorse che la donna la stava osservando seria in volto. A volte temeva che sapesse leggerle nel pensiero… Dopo che ebbero lasciato il castello di Livingston, Morgana le aveva spiegato che avrebbero fatto solo un breve tratto in macchina, perché per giungere a Dervel in auto ci sarebbero volute troppe ore. Appena giunti fuori città, Morgana chiese ad Aoustin di fermare la macchina e, una volta scese, si incamminarono in un viale alberato dove non c’erano né costruzioni né persone e davanti a loro comparve uno specchio. «Perché siamo dovute venire fino a qui?» Chiese Sarah confusa. «Non potevamo farlo fuori dal castello?» «Oh, no. Mikael non ama queste cose. È, diciamo, allergico alla magia e a tutto il resto» spiegò Morgana evasiva. «Con me non l’ha mai dato a intendere… anzi, mi ha detto che la madre di…» Sarah esitò a continuare, poi correggendosi, riprese, «che sua moglie era una sacerdotessa». Morgana la guardò stupita. «Sul serio te ne ha parlato? Strano, non lo fa mai con nessuno. Comunque è vero, Eilan era una sacerdotessa. Poi si è successivamente convertita al cristianesimo».
«Sì, lo so, mi ha detto anche questo». Sarah vide Morgana divenire ancora più confusa. «Come mai si è convertita?» Chiese incuriosita. «È una lunga storia. Meglio che ora raggiungiamo Dervel. Renea ci sta aspettando». Consapevole che Morgana avesse volutamente cambiato discorso, Sarah fu colta dal panico. Udire il nome di Renea, per qualche assurda ragione, le recava apprensione. Ora che avrebbe vissuto a Dervel, che cosa sarebbe successo? Spinta dal desiderio di lasciare Livingston, non si era resa conto che, in quel modo, forse sarebbe andata in un posto dove non sarebbe stata comunque felice. Morgana e Renea volevano che lei diventasse una sacerdotessa, ma lei non lo desiderava. E se Eilan aveva compiuto quella scelta, di abbandonare l’antica religione per convertirsi al cristianesimo, senza suscitare l’ira di Renea, lo poteva fare anche lei. Prima o poi. Rasserenata da quel pensiero, anche se il suo cuore piangeva l’amore perduto, varcò il portale e si ritrovò alla sorgente sacra, questa volta non immersa nell’acqua, ma in piedi fuori da un altro specchio. «Perché, quando l’ho fatto io, mi sono ritrovata nel torrente?» Morgana la guardò divertita. «Beh, gli specchi sono quasi sempre sigillati, questo per impedire che gli abitanti di altri regni, come quelli del regno di Argantel, abbiano libero accesso a questo luogo. Come tu sia riuscita a giungere qui, tramite l’acqua che ha funzionato da portale… Credimi, è per me un mistero. Anzi, in tutta onestà speravo che me lo spiegassi tu. Dove lo hai imparato?» «Ho studiato molto, Morgana. Sei stata tu a dirmi di farlo, ricordi?» la canzonò Sarah. «Di chi sono quei libri?» Chiese prendendo Sarah in contropiede. Vedendo che Sarah non ne voleva sapere di rispondere, Morgana allungò una mano per farsi are la borsa, ma Sarah fece un o indietro. «Me li ha dati… Un’amica».
Morgana aveva ancora il braccio proteso. «Se non li dai a me, te li prenderà Renea comunque. E con me sono più al sicuro». Sarah le ò la borsa ma Morgana nemmeno li guardò. «Ora andiamo dentro, c’è una cosa di cui dobbiamo parlare prima che tu veda la Somma Sacerdotessa». Sarah notò il tono grave di Morgana e, senza fare domande, la seguì per il sentiero che avrebbe condotto al viale d’ingresso. Una volta giunte nei pressi dell’edificio, Sarah però vide, in piedi in cima agli scalini, la figura imponente di Renea. «Ben arrivata, Sarah». Pronunciò quelle parole con un sorriso ostile, che a Sarah ricordò la regina di ghiaccio. «Svelta, entra, dobbiamo parlare» le ordinò. Dopodiché proseguì verso l’interno. Sarah lanciò uno sguardo allarmato a Morgana e quest’ultima le fece cenno di andare. Così, con le gambe che all’improvviso le presero a tremare, seguì la Somma Sacerdotessa in un grande salone con dipinti posti alle pareti ed eleganti poltroncine con rivestimenti in velluto. Al centro, un tavolo in legno intagliato troneggiava e, accanto ad esso, c’era una giovane ragazza che indossava un semplice abito in cotone color verde chiaro che stava sistemando un bouquet di fiori in un vaso. «Mikaela, esci per favore!» Tuonò la Somma Sacerdotessa. La ragazza posò sia i fiori che il vaso sul tavolo e abbandonò la stanza chiudendo la porta. «Siediti, per favore. Mi dà fastidio vedere le persone in piedi mentre parlo. Prima, però, consegnami la stella». Sarah la guardò paralizzata. Perché avrebbe dovuto consegnarle la stella? «Fai come ti ho detto, non amo ripetermi» tuonò la Somma Sacerdotessa algida. «Ma io…»
«Punto primo: se desideri restare qui, non devi contraddirmi. Punto secondo: non amo le polemiche. Punto terzo: se ti dico di darmi la stella, tu lo fai. Punto quarto: Non hai il diritto di replica: chiunque lo fa, viene punito. Per questa volta lascio correre perché sei appena arrivata qui, ma non lo farò una seconda volta. E ora, dammi la stella, dopodiché siediti, perché quello che sto per dirti è importante. E tu mi lascerai parlare senza interrompermi. Siamo intesi?» Se a Livingston si sentiva prigioniera e ferita, questo luogo e questa donna erano un incubo. La fretta di andarsene non le avevano fatto porre nessun interrogativo, non le avevano dato il giusto tempo per riflettere, non aveva pensato al fatto che, una volta giunta lì, avrebbe avuto a che fare con un’autorità del genere. Aveva dato per scontato troppo cose. Come aveva fatto a non rifugiarsi da Faye? Si chiese improvvisamente. Lo sguardo torvo della Somma Sacerdotessa la stava scrutando. Sarah si tolse la collanina e gliela consegnò. Dopodiché, andò a sedersi su una poltroncina. «Bene, ce n’è voluto di tempo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Morgana mi ha fatto pressioni sul farti venire qui e non ho capito bene il perché». Sarah fece per parlare ma Renea le fece cenno di tacere. «Ad ogni modo, saresti dovuta venire comunque, per prepararti a divenire sacerdotessa. Di solito le ragazze cominciano molto prima, ma non importa, per ragioni molto importanti ho dovuto fare un’eccezione con te. La preparazione di anni, per te sarà di pochi mesi. Sta di fatto che, anche quando verrai data in sposa al figlio di Mikael, tu conserverai un legame con questo luogo e con la tua religione. A proposito: dov’è il tuo anello di fidanzamento?» Gli occhi della Somma Sacerdotessa erano fissi sulla mano sinistra di Sarah. «Me lo sono tolto perché non ho intenzione di sposare una persona che non mi ama,» rispose laconica. Un sorriso divertito apparve sul viso di Renea. «E io dovrei soccombere ai capricci di una ragazzina? Stai scherzando, vero? Non dirmi che è per questa ragione che il tuo arrivo è stato anticipato… bene, bene… Morgana ha fatto una cosa molto sciocca, ma non importa, ormai sei qui. A titolo di cronaca: durante il prossimo Beltane verranno celebrate qui, a Dervel, le vostre Nozze Sacre. Poi, come ben saprai, Mikael non è sceso a compromessi sulla celebrazione che avverrà secondo il loro rito cattolico».
«È un sacrilegio!» Esclamò senza esitare. «Come osi? Come ti sei permessa di dirmi una cosa del genere e di interrompermi?» La Somma Sacerdotessa era su tutte le furie, si vedeva chiaramente che stava cercando di controllare la sua ira stringendo fortemente i pugni. Placato di un poco l’animo, proseguì: «L’hai voluto tu, questa sera te ne andrai a letto a digiuno. Tornando al vostro matrimonio, i vostri problemi sono cose di poco conto, del tutto irrilevanti per il compimento dell’accordo stipulato con Mikael. La vostra unione è frutto di un patto stipulato tra me e il sovrano di Livingston, su volontà di quest’ultimo che ci ha salvati da una guerra in cui stavamo uscendo sconfitti contro gli uomini di Argantel, che mi risulta tu abbia già avuto modo di conoscere. Ti sarai chiesta perché proprio tu, non è così? Perché scegliere una ragazza giunta da un mondo parallelo a questo quando, qui, sono presenti sacerdotesse di gran lunga superiori a te…? Forse avrai pensato che è per via di questa…» disse alzando con la mano la stella. «Ebbene, non solo. Tu sei la discendente di Alys, ma non sarebbe abbastanza. O, forse, lo sarebbe, ma non è per questa ragione che sei stata scelta tu». La Somma Sacerdotessa fece una pausa e Sarah ora era confusa. Per quale ragione allora era stata scelta lei? «La ragione è molto semplice. Io e Mikael siamo giunti a un accordo. Unire le nostre forze nella battaglia contro gli uomini di Argantel e i suoi sostenitori, perché ci sono altri due sovrani, ma parlarne non servirebbe, mi dilungherei troppo. C’è anche la possibilità che un domani i nostri regni si fondano. Perché no? Mantenendo intatte religioni, tradizioni e tutto quanto e mantenendo una giusta dose di autonomia. Così ci siamo detti: quale modo migliore per unire le nostre forze, per creare un’alleanza, se non quello di far unire in matrimonio i nostri figli? Da questa unione si creerebbe una dinastia di stirpe reale che rappresenterebbe un punto di forza che Argantel nemmeno si può sognare. Il figlio del sovrano di Livingston e la figlia della Somma Sacerdotessa e sovrana di questo regno». Sarah sbiancò. Non era certa di aver ben compreso le parole di Renea. Lei era?... No, non poteva essere, non poteva essere la figlia di quella donna, lei proveniva da un altro mondo, lei era… «Mi aspettavo una reazione differente, sai? Sei molto controllata, ti facevo più emotiva».
«Io non posso essere…» «Sì, che lo sei» la interruppe Renea. «Compirai ventitré anni il dodici ottobre: data in cui è nata mia figlia. Sono stata io a creare l’incantesimo per farti varcare le soglie di Maoris, ma tutto è stato reso possibile dalla tua affinità con Maoris stessa. Saresti dovuta tornare qui quando avresti compiuto ventitré anni, ma Argantel, in un qualche modo a me oscuro, ci ha battuti sul tempo. Modo che, comunque, scopriremo prima o poi. Solo tu hai varcato le soglie di Maoris da che Alys è morta, per cui non vi è alcun dubbio a tal proposito. Tu, e solo tu, potresti essere mia figlia». Sarah non riusciva a incassare il colpo. Morgana non poteva averle taciuto una cosa del genere, era impensabile che di proposito non le avesse detto la verità, non dopo la fiducia che lei le aveva attribuito. «E perché… Sarei stata mandata nell’altro mondo?» Le costò un’enorme fatica formulare quella semplice domanda, sentiva le labbra intorpidite, come se avesse difficoltà a emettere suoni. Si sentiva stordita, non riusciva a capacitarsi che lei potesse essere la figlia di quella donna. Le sembrava di essere preda di un incubo assurdo. Lei la figlia della regina di ghiaccio? Impossibile… e Mark… Lo sapeva? «Quando rimasi incinta di te, ebbi una visione che confermò quello che la Profezia già diceva. Sarebbe nata la discendente di Alys, l’unica persona che avrebbe potuto possedere il suo potere, e con esso il mezzo per aprire o lasciar chiuse per sempre le soglie di Maoris». La Somma Sacerdotessa si accostò alla finestra soppesando le parole, lo sguardo altrove. Poi si voltò nuovamente verso Sarah, e continuò: «Qualcun altro, naturalmente, deve aver avuto la stessa visione, o deve esserne stato informato. Nella mia visione scorsi anche il pericolo a cui tu saresti andata incontro se fossi rimasta qui. Così, decisi che era tempo di pensare e di agire. Io, Morgana, Nedeleg e altre poche persone fidate, pianificammo alla tua nascita la simulazione della tua morte, cosicché tutti avrebbero creduto che tu non esistevi più. Il fato volle che, quando nascesti tu, un bimbo nato il tuo stesso giorno morì, un maschio. Così facemmo credere che quel bambino fosti tu, mentre tu venisti mandata nel mondo parallelo a questo, da dove sei giunta mesi fa. Nedeleg, il Custode della Profezia e Sovrano di Erwan, ci disse della possibilità che tu potessi varcare la barriera di Maoris. È una storia lunga e complicata ma… Solo tu avresti potuto varcarla e così è stato».
«Ma la famiglia che mi ha cresciuto… nell’altro mondo?…» volle sapere Sarah. «Scomparsa. Credono tu sia scomparsa» rispose laconica. Sarah stava per dire che era terribile, ma ci ripensò quando vide Renea che la fulminò con lo sguardo appena lei mosse le labbra per parlare. «Ma, anche in questo caso, qualcuno ha saputo, e così sono intervenuti per tempo. Non sappiamo bene in che modo, se tramite una visione, un incantesimo, o se c’è di mezzo un traditore, ma ciò che conta è che tu sia qui». «Come mai avete aspettato così tanti anni prima di farmi tornare?» Dapprima la Somma Sacerdotessa fece una smorfia infastidita per quella domanda, poi alzò le sopracciglia e tramutò il viso in un’espressione più rilassata. «Sono state le indicazioni della Profezia. L’incantesimo che è stato lanciato per farti varcare le soglie tra i due mondi prevedeva che tu tornassi qui al tuo ventitreesimo anno di età. La Profezia parlava molto chiaro a riguardo. Gli uomini di Argantel erano pronti a tutto pur di averti e di usarti o ucciderti. Così Nedeleg ritenne fosse meglio lasciar are qualche anno, anche se a me questa decisione destò non poche perplessità. Poi è scoppiata la guerra di cui ti dicevo. Argantel ci ha sferrato un attacco che ci ha colti impreparati e, senza l’intervento di Mikael, non so che cosa ne sarebbe stato di questo Regno. Senza contare che, inconsapevolmente, Mikael ha fatto né più né meno ciò che la Profezia prevedeva: l’unione tua con Mark. Molti lo definirebbero destino,» rise la Somma Sacerdotessa, «noi riteniamo sia la Profezia». «Da dove proviene la Profezia?» Renea fece un gesto per farla tacere. «Questa è una domanda a cui non ti posso rispondere. Non sei tenuta a saperlo». «Ma è la mia vita…» La Somma Sacerdotessa fece una smorfia di rimprovero. «Posso almeno sapere chi è mio padre?»
«Non credo proprio. Sei stata concepita in una notte di Beltane. Il discorso per oggi finisce qui, le domande mi infastidiscono». La Somma Sacerdotessa si soffermò a riflettere per qualche istante, poi continuò: «A proposito, che non ti i più per la testa di utilizzare uno specchio o l’acqua come portale senza il mio consenso, perché eresti un guaio serio! Non guardarmi così per favore! Credevi non l’avessi saputo? Non è stata Morgana a dirmelo, comunque. Quando uno specchio o qualunque altra fonte riflettente viene utilizzata come portale, io lo vengo a sapere. Non farlo mai più, sono stata chiara? E un’ultima cosa: sono tua madre, ma non chiamarmi come tale. Ti è concesso di rivolgerti a me dandomi del tu, ma con deferenza, come a una Somma Sacerdotessa quale sono, come tutte le altre ragazze che vivono qui. La mia figura, il mio ruolo, la mia autorità, mi impongono un certo comportamento e, inoltre, non ho comunque un gran senso materno. Odio a tutti gli effetti le smancerie, le persone che fanno sceneggiate e che piangono. Desidero contegno. Puoi chiamarmi per nome o Signora, come fan tutte, lascio a te la scelta. Al momento nessuno sa che sei mia figlia, eccezion fatta per alcune persone che hanno la mia completa fiducia. Ti pregherei di non divulgare per il momento la notizia, lo faremo a tempo debito con un ricevimento. Questo è tutto, te ne puoi andare. Fuori c’è Morgana che ti accompagnerà nella tua nuova stanza». Sarah mosse qualche o pietrificata. Stava raggiungendo la porta quando la Somma Sacerdotessa la bloccò dicendo: «Dopo di me. Non osare mai più armi avanti, esigo deferenza. Le ragazze ti insegneranno come devi comportarti».
E come aveva detto Renea, fuori dalla porta, c’era Morgana ad attenderla. Sarah non riuscì nemmeno a guardarla in faccia. Era troppo sconvolta da quello che aveva appena saputo. Morgana era a conoscenza di tutte quelle cose e non gliele aveva mai dette. Come aveva potuto mostrarsi amica e tacerle tutto quanto? «Sarah, mi dispiace…» le disse Morgana una volta che Renea si fu allontanata. Sarah scosse la testa. «Non dire niente, per favore. Non voglio sentire nessuna parola da te! Sapevi tutto e non mi hai mai detto nulla! Ma come hai potuto, Morgana?!» «Semplicemente non potevo… io ti avrei detto ogni cosa sin dall’inizio se mi
fosse stato concesso, ma… Nemmeno se avessi potuto sarebbe stata la cosa migliore per te». Sarah si voltò di scatto verso di lei, con una collera così feroce da riuscire a controllare a stento la propria voce: «Fai sembrare ogni cosa come se fosse quella più giusta per me!» Esclamò con un sorriso cinico sulle labbra. «E lo dici con tale convinzione da farlo sembrare vero. All’inizio ci credevo, lo ammetto, ma col tempo, credimi, pur essendo sciocca e ingenua, ho capito perfettamente il tuo gioco!» «Sarah, non è così, e tu lo sai…» «No, che non lo so!» Urlò scaricandosi di tutta la frustrazione e del dolore accumulati nei mesi precedenti. «Siete tutti una massa di ipocriti, tutto quello che fate e che dite ha come unico scopo quello di ottenere ciò che volete! Mi fate tutti quanti schifo, non avrei mai dovuto venire qui!» Morgana pensò che fosse una fortuna che Renea, ovunque si trovasse, non avesse udito quelle parole. Difficilmente ci sarebbe ata sopra. Sapeva di essersi giocata la fiducia di Sarah, omettendo troppe cose, ma ora che la verità era stata svelata, anche se non tutta, almeno quella parte che la riguardava, poteva riconquistare la sua fiducia e questa volta non l’avrebbe più persa. Sarah non capiva. Dirle tutto sarebbe stato sbagliato, l’avrebbe solamente confusa, c’era un tempo per tutto, o così credeva Morgana. Inoltre, se le avesse rivelato ogni cosa, Renea se la sarebbe presa a morte. Aveva taciuto molte cose anche a quest’ultima, come la presenza di Mark da Argantel, e l’aveva poi convinta della necessità dell’arrivo di Sarah con anticipo per una giusta preparazione, ma aveva fatto ogni cosa per il bene della ragazza e ora, Sarah, ce l’aveva a morte con lei. Ma non aveva importanza. Col tempo le sarebbe ata, il tempo di metabolizzare e razionalizzare ogni cosa, e tutto si sarebbe risolto. Ma come avrebbe potuto sistemare le cose tra lei e Mark? La situazione prometteva proprio male…
Quando Sarah decise che voleva lasciare Livingston per trasferirsi a Dervel aveva creduto, forse ingenuamente, che avrebbe vissuto al palazzo di Renea dove risiedevano anche Morgana e Kirsten. Invece non fu così. Apprese suo malgrado che le giovani ragazze, che dovevano prepararsi per diventare
sacerdotesse, risiedevano in un caseggiato un po’ più distante. In un certo senso si sentì sollevata dal non dover vedere la Somma Sacerdotessa che le aveva rivelato essere sua madre, e Morgana che l’aveva ripetutamente tradita. Era solo dispiaciuta di non poter essere a contatto con Kirsten, erano mesi che non la vedeva, praticamente da Beltane, e tutta la rabbia per quello stupido scherzo che le aveva fatto, era ormai svanita. In un certo senso, l’amica, le era mancata. Il tragitto tra il palazzo di Renea e il caseggiato in cui Morgana la stava portando, fu accompagnato dal silenzio, interrotto di tanto in tanto da qualche riflessione a voce alta di Morgana. «Col tempo capirai perché l’ho fatto,» le disse mentre stavano scendendo i gradini dell’imponente palazzo. L’atmosfera tutt’intorno era alquanto silenziosa. C’erano in giro alcune ragazze che parlavano tra loro mormorando. Probabilmente, alla Somma Sacerdotessa, non era gradito che si parlasse ad alta voce. Chissà se lo sapevano che lei era la figlia di Renea… Era curiosa di chiederlo a Morgana, ma si disse che, al momento, non desiderava rompere quel silenzio. Morgana doveva comprendere il male che le aveva fatto. «È inutile che tieni il broncio, Sarah. Puoi essere arrabbiata quanto vuoi, ma dovresti cercare di vedere le cose anche dal mio punto di vista,» insisté Morgana. Stavano girando attorno al palazzo e ora si erano incamminate per una stradicciola composta da terriccio spianato. Tutto intorno era verde assoluto, alberi, per lo più querce, e tanta pace. «In fondo ti ho portata via da Livingston appena tu me lo hai chiesto, non lo puoi negare». Già, su quello Morgana aveva ragione, ma non gliel’avrebbe detto. Il sentiero, ora, ava in mezzo a un infittirsi di alberi e, più si inoltravano, più essi divenivano numerosi. Ma dov’era l’abitazione? All’interno della foresta? Con suo enorme stupore, posto sulla destra, si ergeva un caseggiato che non aveva nulla a che vedere con la dimora delle sacerdotesse. Non era ben tenuto, le mura esterne erano tinteggiate di bianco e c’erano persiane malandate color verde scuro. Due aperture ad arco creavano un piccolo portico, dove si poteva vedere l’ingresso.
«È qui che risiedono le novizie,» le spiegò Morgana. «Prima di entrare ti mostro dove avvengono gli incontri di apprendimento dell’antica religione.» Morgana aggirò il caseggiato e vide che dietro c’erano due edifici attaccati l’uno all’altro, entrambi fatiscenti, uno di dimensioni più piccole, l’altro un po’ più grande. Erano persino peggio della residenza delle ragazze iniziate all’antica religione. «L’edificio lì a sinistra è dove si tengono le lezioni teoriche. Quello lì a destra, invece, è dove viene praticata la magia. C’è anche un ampio spazio all’aperto. Visto il tuo silenzio, immagino tu non abbia domande da fare. Andiamo, ti accompagno al tuo alloggio, così conoscerai le tue compagne di stanza». «Dividerò la stanza con qualcuno?» Sarah fu colta dal panico e interruppe così il silenzio che si era proposta di tenere. Morgana inarcò un sopracciglio, l’espressione leggermente sorpresa. «Beh, sì. Credevi che avresti avuto una camera tutta tua?» Lo sguardo assunse una sfumatura divertita. Sarah ne fu infastidita, non ci trovava niente da ridere. Era assurdo che dovesse dividere la propria camera con altre persone. E in che modo avrebbe avuto la sua privacy? E se le sue compagne di stanza non le erano simpatiche? Se fossero state smorfiose, egocentriche come le ragazze di Livingston? Ma dove era capitata? Si chiese varcando la soglia d’ingresso. L’interno era povero di mobilia. Quello che aveva di fronte a sé era, con tutta probabilità, la sala da pranzo. «Questa è la sala comune dove dividerete i pasti. Comunque, poi, le tue compagne ti spiegheranno ogni cosa. Le camere sono invece di sopra». Detto ciò, Morgana si avviò verso una scala di marmo che aveva visto sicuramente tempi migliori. «Con quante persone dividerò la mia camera?» Chiese mentre stavano salendo al piano superiore. «Due: Cassandra e Anjelika. Vivono qui da due o tre anni, sono prossime a diventare sacerdotesse, probabilmente lo diverrete insieme». Sarah ne dubitava fortemente, ma non espresse ad alta voce i propri pensieri. Raggiunta una porta in legno, Morgana bussò e una voce, quasi musicale, disse
loro di entrare. Aperta la porta, Sarah vide all’interno una ragazza dalla folta chioma biondo scuro, due occhi azzurri come il cielo in una delle giornate più serene, che sorrideva. Indossava un abito molto semplice di cotone, di colore giallo pallido. «Cassandra, lei è Sarah, verrà a stare con noi da oggi e dividerà questa camera con te e Anjelika. Sarah, lei è Cassandra. Cassandra, ti prego di spiegare ogni cosa a Sarah, è nuova e non sa proprio nulla, sugli usi, le abitudini… ora vi devo lasciare…» Morgana guardò Sarah per incontrare il suo sguardo ma, notando che quest’ultima la stava ignorando di proposito, lasciò la stanza senza aggiungere altro. Appena Morgana se ne fu andata, Sarah vide Cassandra raggiungerla e porgerle la mano. «Ciao, Sarah. Benvenuta. Ti vedo un po’ smarrita…» Sarah contraccambiò il sorriso di Cassandra, le strinse la mano e disse: «Smarrita è un eufemismo. Piacere di conoscerti». «Morgana ci ha annunciato il tuo arrivo proprio oggi. Da dove vieni?» Le domandò la ragazza con fare amichevole. Sarah la guardò perplessa, non sicura di quello che doveva dire. «Vengo da Livingston…» «Oh…» mormorò la ragazza fissandola sconvolta. «Ma da Livingston… Livingston? La città Reale?» Sarah annuì e si sedette sul primo letto che vide all’ingresso. Si guardò attorno e vide che il locale era proprio piccolo. Ci stavano tre letti affiancati l’uno all’altro con tre scrivanie e un mobile a tre ante. Nient’altro. L’opposto della camera che aveva al castello. «E tu sei figlia di un nobile di quella città?» Cassandra era rimasta in piedi immobile, quasi pietrificata dalla rivelazione. «No, non proprio…» rispose Sarah a disagio. «Ma non riesco a capire… Com’è possibile che un popolo di religione
prettamente cattolica abbia deciso di mandarti qui? Voglio dire… è assurdo, non era mai successo prima d’ora… quelle persone addirittura ci disprezzano…» Sarah era incerta su cosa rispondere, ma non ce ne fu il tempo: una ragazza fece il suo ingresso, parlando al posto suo. «Perché Sarah è la promessa sposa del figlio del sovrano di Livingston, il Principe Mark». Il volto di Cassandra assunse un’espressione sbalordita e, quando Sarah si voltò in direzione della ragazza che aveva parlato, vide una brunetta non tanto alta, gli occhi a mandorla e un’espressione tronfia sul volto. Era strano sentir definire Mark come un Principe ma, d’altro canto, se era figlio di un sovrano, non poteva essere altrimenti. «Tu sei…» Cassandra pronunciò quelle parole senza riuscire a completare la frase. «La discendente di Alys, in persona,» concluse per lei la nuova arrivata con tono sarcastico. «Oh…» disse Cassandra lasciandosi cadere sul letto. «Io sono Anjelika, l’altra tua compagna di stanza. Immagino che il salto Livingston-Dervel non sia stato il massimo per te. Come si dice, dalle stelle alle stalle. Ti fermerai molto da noi, Sarah?» Sarah conosceva appena quella ragazza e già non la sopportava. «Non ne ho idea,» rispose laconica. Si guardò attorno, infine chiese: «Dov’è il bagno?» «Vieni, ti accompagno» si offrì Anjelika. «Vuoi dire che qui… in camera…» Sarah indicò con gesto circolare la stanza. «Non siamo a Livingston, mia cara, questo non è il castello di sua maestà. Ci sono in tutto tre bagni su questo piano e calcola che siamo in venti ragazze. Poi ce ne sono due al piano inferiore. La mattina c’è una fila incredibile e vige la regola: chi prima si alza… Il letto su cui sei seduta è il tuo e la prima anta a partire da sinistra è la tua. Naturalmente non abbiamo molti vestiti, i tuoi sono
già dentro l’armadio e li puoi contare sulle dita di una mano. La tua scrivania è proprio quella di fronte al tuo letto e la mattina abbiamo la sveglia alle cinque…» Sarah aveva smesso di ascoltare. Non riuscì a udire più nessun’altra parola, si sentì stanca, confusa, e provava un senso di esclusione. Ovunque andasse, ovunque si trovasse, lei sentiva di non appartenere a quel luogo. Si sentì sopraffatta da tutto. Un’ora più tardi, quando Anjelika ebbe finito di dettare regole, di ravvisarla su come le neofite trascorrevano le loro giornate, si trovò chiusa nel bagno con un asciugamano e un vestito di cotone color rosa pallido preso dall’armadio. Non poté nemmeno dare sfogo a quel senso di solitudine e di abbandono che sentiva dentro di lei perché non le era concesso occupare il bagno per più del dovuto. I bagni erano molto spaziosi perché contenevano cinque docce che rendevano la privacy di una ragazza pressoché inesistente, una parete adibita a specchi con cinque lavelli e due cabine dove c’era il wc. Si sentì sconfortata. Se desiderava stare sola, che cosa avrebbe dovuto fare esattamente? Dove poteva andare? Indubbiamente, il suo tempo libero lo avrebbe trascorso lontano da lì. Per assurdo, sia gli abitanti di Livingston erano prevenuti nei confronti di quelli di Dervel sia quelli di Dervel lo erano nei confronti di quelli di Livingston. In poche parole, erano tutti prevenuti nei suoi confronti, perché lei in teoria apparteneva a entrambi i luoghi, anche se, in realtà, si sentiva di non appartenere a nessuno dei due. Dopo essersi cambiata di abiti – Anjelika le aveva detto che doveva consegnare i suoi perché la Somma Sacerdotessa non ammetteva che le novizie indossassero pantaloni e comunque vestiti di loro scelta – guardò la propria immagine riflessa nello specchio: si vide pallida, gli occhi gonfi e spenti, e notò solo un accenno di rossore al collo che le ricordò in modo immediato Mark. Delle lacrime le spuntarono agli occhi. Quanto le mancava Mark… Aveva fatto la scelta giusta andandosene? Sarebbero forse potute cambiare le cose tra di loro? Lo ricordò quella mattina, quando la implorava di non andarsene, e le diceva che l’amava… E se sul serio l’amava e aveva fatto una sciocchezza andandosene? No, non era stata una sciocchezza e lui non l’amava. Se suo padre non si fosse trovato in loro presenza, lui non avrebbe nemmeno saputo che lei esisteva. A parte la sera in cui era tornato dal viaggio e avevano fatto l’amore… non avrebbe
mai potuto fingere… ma Anjela le aveva detto che lui e Lynn stavano ancora insieme e avrebbero continuato ad amarsi, che tutto era una finzione, frutto dell’accordo tra il padre di Mark e Renea. E se avesse mentito? In fondo, Anjela era amica di Lynn… Sarah si prese la testa tra le mani, le sembrava le stesse per scoppiare. Sentì un crampo allo stomaco: quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato? Che ore erano? L’orologio lo aveva lasciato a Livingston, insieme a tutte le cose che Mark le aveva regalato… Mark… il suo Mark… Dio, quanto le mancava! Che cosa stava facendo in quel momento? La stava pensando? Aveva continuato ad amarla lì a Livingston? Quante domande, quanti dubbi, a cui forse non avrebbe mai dato una risposta. E poi si pose una domanda che la fece mancare: l’avrebbe più rivisto? Un doloroso senso di angoscia le serrò il petto, impedendole di respirare, e sentì il cuore balzarle in gola.
Quando raggiunse la sala comune per cenare, vide la tavola abbondantemente imbandita e le ragazze sedute che, appena la sentirono giungere, si voltarono a fissarla. Fece un mezzo sorriso, rimanendo dove si trovava. Poi pronunciò un saluto generale e, individuato l’unico posto libero, si mosse verso quella direzione. «Non cenerai con noi stasera». A parlare era stata Anjelika. «La Somma Sacerdotessa ha detto che sei in punizione. Non hai cominciato bene». Era chiaro che volesse punzecchiarla e che ce l’avesse con lei. Sarah non si degnò di risponderle, non ne valeva la pena. Cambiò direzione e puntò verso l’uscita. «È vietato uscire se si è in punizione,» disse sempre Anjelika. «A me è stato detto che avrei saltato solo il pasto» replicò Sarah caustica, quindi raggiunse la porta. Prima però, che potesse uscire, Anjelika le si piazzò davanti. «Ho detto che è severamente proibito uscire quando si è in punizione!» Ripeté con voce per nulla amichevole. «E io ti ho risposto che a me è stato detto che avrei saltato solo il pranzo, per cui togliti di mezzo e lasciami are!» Sarah sfogò tutta la rabbia repressa, ma
Anjelika non voleva saperne di spostarsi. «Togliti di mezzo! Ora!» Urlò fino quasi a mancarle il respiro. «Non ci penso proprio, se tu trasgredisci un ordine della Somma Sacerdotessa e noi siamo presenti, eremo tutti dei guai e io, di subire una punizione a causa tua, non ci penso proprio!» «Non me ne potrebbe fregare di meno, vattene, così non assisterai alla trasgressione e non ne subirai le conseguenze!» «Chi sei tu per darmi ordini? A Livingston sarai pure la Principessa Sarah, ma qui non sei nessuno!» Sarah la guardò con espressione derisoria. «Ne sei certa?» Inarcò un sopracciglio chiedendosi cos’avrebbero provato quelle persone nel sapere che lei era la figlia della Somma Sacerdotessa, nonché Alys reincarnata. Se anche disprezzava la madre per essere la regina di ghiaccio, quantomeno era figlia di un’autorità e quelle future sacerdotesse non potevano ignorarlo. «Ti dai tante arie solo perché sei la discendente di Alys?» La provocò Anjelika inarcando un sopracciglio. «No, non solo per quello». «E per cosa, allora?» Chiese la ragazza imperterrita. «Non è affar tuo e ora levati di mezzo». «Dovrai are sul mio cadavere». «Credi che ci impiegherei molto a ridurti tale? Mi stai dando proprio sui nervi!» «L’avete sentita tutte? Mi ha chiaramente minacciata!» Esclamò la brunetta con enfasi. «E domani verrete tutte con me a rendere testimonianza alla Somma Sacerdotessa!» Concluse in tono teatrale. Sarah sentì una mano posarsi sul suo braccio e si voltò di scatto: era Cassandra. «Vieni Sarah, saliamo di sopra, o erai dei guai sul serio».
Stanca di lottare con quella smorfiosa linguaccia malefica, Sarah si lasciò condurre da Cassandra al piano superiore. Giunta a metà scala, udì Anjelika esclamare: «Abbiamo una questione in sospeso!» «Ci puoi giurare!» Replicò Sarah senza neppure voltarsi. Una volta in camera, si sdraiò sul letto incapace di aggiungere altre parole. «Hai esagerato sul serio. Se continuerai così ti caccerai in guai seri». Cassandra si sedette a terra al lato del letto dove Sarah era voltata. «Non mi importa. Non mi importa di nulla» disse con le lacrime che le rigavano il volto. «Che ti succede, Sarah?» Le chiese con la voce ridotta a un sussurro. «Di me ti puoi fidare, non sono come Anjelika. Ma reagendo con lei in quel modo… Domani andrà dritta dalla Somma Sacerdotessa e erai un guaio, è una persona che non lascia correre». Sarah chiuse gli occhi sentendosi sfinita. Sentì la mano di Cassandra accarezzarle il braccio per rassicurarla. «Ti tengo via del cibo. Te lo porto su più tardi e te lo metto nel cassetto della tua scrivania, così, mentre Anjelika dorme, lo potrai mangiare». Sarah accennò a un sorriso. «Grazie, Cassandra». «Cassie. Chiamami Cassie. Di niente. Ti lascio riposare ora». Detto ciò, Sarah sentì la porta aprirsi e poi richiudersi. Approfittò di quel breve momento di solitudine per lasciarsi andare in un pianto a dirotto.
Credeva che lo sconforto e la forte malinconia che le sembrava le opprimessero il petto sino quasi a non farla respirare, le avessero impedito di prendere sonno e, invece, si addormentò non molto tempo dopo. Poco prima di addormentarsi, il suo pensiero corse a Mark e quella notte lo sognò. Si trovavano in un’immensa distesa verde, dove c’erano fiori di ogni tipo e
genere, tulipani, margherite, ranuncoli, primule, camli e tanti altri, e lui indossava dei pantaloni neri e una maglietta nera, la teneva per mano e le stava sorridendo. «Mi sei mancata, lo sai?» Le disse con un tono dolce e tenero. Lei gli regalò un sorriso, gli lasciò la mano e gli cinse la nuca, per poi dirgli a fior di labbra: «Anche tu». Poi, come per magia, il prato scomparve, si fece buio, e il terreno diventò più solido, probabilmente doveva essere un pavimento. Improvvisamente si accesero dei riflettori che puntarono su di loro. Erano sempre abbracciati, gli sguardi persi l’uno nell’altro e tutto intorno a loro prese a girare, o forse erano loro che giravano, quasi come se fossero su una giostra. «Perché te ne sei andata?» Le chiese con un’espressione triste, leggermente adombrata. «È finita tra te e Lynn?» Gli chiese di rimando. Lo sguardo di Mark si fece cupo, e lei non lo seppe interpretare. Che cosa significava? Era triste? Deluso? Perplesso? O non poteva rispondere a quella domanda? Non udì mai la sua risposta perché una voce, che proveniva da lontano, prima più piano, poi più forte, la stava chiamando. E, il suo Mark, la lasciò e si allontanò da lei, ma non fu lui ad andarsene, fu come trasportato da una forza che lo spingeva lontano da lei. Lei allungò le braccia verso di lui e Mark fece altrettanto, ma quella voce che chiamava il suo nome persisteva. Sarah si svegliò e vide accanto a sé Cassandra che la stava chiamando, ecco a chi apparteneva quella voce. «Svegliati, è tardi, tra poco si fa la colazione!» Le disse la ragazza. Ma che ore potevano essere? Sarah si girò verso la portafinestra e vide che fuori c’era ancora buio.
«Che ore sono?» Chiese alla ragazza che era nei pressi della porta. «Le cinque e un quarto. È tardissimo!» Sarah si portò una mano alle tempie che le pulsavano. Ma che bisogno c’era di alzarsi così presto? Perché torturare in quel modo coloro che amavano dormire la mattina? Aveva difficoltà a capire questa cosa e mai l’avrebbe compresa.
Quando raggiunse la sala comune mezz’ora dopo – per lei era un record prepararsi in così poco tempo ma, d’altronde, non aveva gli accessori per truccarsi e sistemarsi i capelli – le compagne erano già tutte pronte per uscire e sulla tavola c’erano soltanto i resti della colazione, che comunque servirono per placarle la fame. C’era frutta in abbondanza, fette biscottate con marmellata e miele, latte e caffè a volontà. Perlomeno non avrebbe patito la fame come i primi tempi da Argantel… Ripensare a quel periodo, le causò un tuffo al cuore, perché fu inevitabile ripensare a Mark. Cosa stava facendo in quel momento? Un pensiero cupo le sconvolse la mente: si trovava a letto con Lynn? Scacciò quei pensieri. Se anche fosse stato così, ormai aveva preso la sua decisione. Il nuovo Mark aveva tempo solo per i suoi impegni, i suoi amici e Lynn, lei non esisteva nemmeno. Il vecchio Mark, quello conosciuto secoli prima e poi incontrato di nuovo… Beh, quello era cessato di esistere. Per cui, a cosa serviva struggersi tanto? «Sarah ti muovi? Cosa stai facendo con quella fetta di pane? La mangi o no?» Non si era accorta di essere rimasta con la fetta di pane e marmellata a mezz’aria, persa nei suoi pensieri e Cassie la stava osservando perplessa. Dopo un’abbondante colazione, si sentì decisamente meglio. Raggiunse Cassie e le altre ragazze e chiese alla sua nuova amica: «Che si fa ora?» «Beh, si va a lezione. Ci vengono insegnati i principi di magia e poi ci fanno provare con la pratica. Tu naturalmente starai a guardare perché sei appena giunta qui, così come alcune delle ultime arrivate. Avrai modo di vedere in che modo viene incanalata l’energia e utilizzata per fare gli incantesimi. Ti verrà spiegato come si fa un rituale magico, la consacrazione dello spazio sacro, l’evocazione del cerchio e degli angoli o guardiani, a seconda di come uno desideri chiamarli, l’evocazione della Dea e il momento in cui viene lanciato
l’incantesimo. Poi tutto quello che viene dopo…» Cassie si bloccò e guardò Sarah con espressione dispiaciuta. «Scusami, tu probabilmente non sai nemmeno di che cosa sto parlando e ti sto creando solo una terribile confusione. Ma vedrai che, col tempo, non sarà così complicato come ti può sembrare ora». Sarah non accennò al fatto che quelle argomentazioni già le conosceva e non solo, che anche le praticava, ma si limitò invece a chiedere: «Si tengono lezioni anche sui cristalli e le rune?» Cassie la guardò con un misto di perplessità e sorpresa: «Certo… Nel pomeriggio le lezioni vengono così suddivise: sull’apprendimento dell’uso dei cristalli, delle rune e delle erbe». «Per cui ci insegneranno anche a fare pozioni?» Chiese Sarah improvvisamente colta dall’eccitazione. «Esatto… ma prima devi imparare a conoscere bene le erbe…» Raggiunte le ragazze nell’edificio diroccato, adibito all’apprendimento della magia, Sarah fu sorpresa di vedere in piedi, davanti a loro, Morgana, Kirsten e un’altra donna. «E loro cosa…» bisbigliò a Cassie. «Loro sono le nostre insegnanti. Quella a sinistra la conosci già, è Morgana, ed è una potente sacerdotessa. Nel centro c’è Kirsten, è molto giovane ma è capace di fare potenti incantesimi, molti dicono che faccia uso della magia nera. Quella sulla destra invece è Muirne, lei come strega non è gran che, ma è abilissima nelle pozioni, nell’uso delle erbe come medicamenti e così via». Sarah notò che Muirne era una donna di media statura, un po’ grassoccia, dal viso severo ma allo stesso tempo bonario. Aveva i capelli ingrigiti raccolti in una cuffietta. Somigliava di più a una cuoca o a una cameriera piuttosto che a una strega, pensò Sarah. «Muirne si occupa anche dei nostri pasti. È stata incaricata dalla Somma Sacerdotessa affinché potessimo cibarci in modo appropriato,» le sussurrò Cassie. Ecco spiegato l’aspetto da cuoca, rifletté Sarah. Lo era sul serio. Guardò in
direzione di Kirsten e vide che quest’ultima le stava facendo l’occhiolino e le lanciava un sorriso accattivante. Come sempre era avvolta in uno splendido abito in tessuto leggero nero, che doveva essere seta, e aveva le unghie dello stesso colore. Sarah sorrise a sua volta. Con l’indice della mano sinistra che ruotava in senso orario, Kirsten le stava comunicando, accompagnato dal movimento delle labbra, che si sarebbero viste dopo. Il sorriso di Sarah si fece più ampio e col movimento del viso le rispose di sì. Cassandra la guardò accigliata e le chiese: «Vi conoscete già?» Sarah si voltò verso Cassie e, quando vide l’espressione stupita e allo stesso tempo sconvolta, rispose: «In un certo senso». Ma non aggiunse altro. Non voleva entrare nei dettagli. Probabilmente, in quanto novizie, non l’avevano vista né a Beltane, né alla celebrazione della festività di Oestara e non potevano sapere che non era completamente ignara delle pratiche magiche. Sarebbe stata una bella soddisfazione, soprattutto qualora Anjelika l’avesse vista all’opera. A quel pensiero, sulle sue labbra, le si dipinse un sorriso. «Buongiorno a tutte,» esordì Morgana. «Fate silenzio per cortesia. Oggi abbiamo una nuova ragazza tra noi, Sarah, che credo abbiate già avuto modo di conoscere». Nel locale si profo mormorii e bisbigli. Sarah lanciò un’occhiata a Morgana che aveva un mezzo sorriso sulle labbra. Poi scosse la testa in senso di disapprovazione. Per cosa? Si chiese Sarah. Per il rumore causato dalle ragazze o perché aveva già saputo della discussione che lei e Anjelika avevano avuto la sera precedente? In entrambi i casi, la cosa la lasciava indifferente. Si ritrovò invece a riflettere sul fatto che, forse, Morgana non si era comportata in modo del tutto sbagliato con lei. Le era quasi sempre stata vicina, le aveva salvato la vita in più circostanze e l’aveva portata via da Livingston. Tutte queste cose le aveva fatte infrangendo molti degli ordini di Renea, e questo non lo poteva ignorare. Così, per la prima volta, sorrise a Morgana e gli occhi della donna si illuminarono di quella che sembrava essere gioia. «Bene. Utilizzeremo questa mattinata per esercitarci su quello che vi ho spiegato l’ultima volta. Come incanalare l’energia e utilizzare il nostro potere. Qui vedrete diverse candele spente». Morgana si mosse in direzione di un enorme
tavolo su cui erano poste centinaia di candele. «L’ultima volta che ci siamo viste,» cominciò guardando in direzione di Sarah, «ho spiegato loro che, grazie al potere di ogni strega, alla capacità di controllo e all’energia che riusciamo a trarre dall’universo, possiamo fare molte cose, molte magie. La più elementare, è l’utilizzo dell’energia per l’accensione di una candela, ovvero come dar fuoco allo stoppino. La scorsa volta vi ho mostrato come fare. Spero che, da allora, vi siate esercitate, così avrete modo di far vedere a Sarah quello che avete appreso… Non pretendo nulla del genere dalle ultime arrivate, ma da quelle che sono qui da tempo, sì. Dunque, vediamo un po’ chi può mostrare alla nostra Sarah come funziona un incantesimo di questo tipo…» Morgana si guardò attorno, facendo scorrere il suo sguardo sulle ragazze, osservandole una a una, fino a giungere a un gruppetto posto sulla destra, lo schieramento opposto a Sarah. «Anjelika,» chiamò infine, «credo che tu sia la più indicata. Sei qui da molto tempo, da quanti? Tre anni? Sicuramente per te questo tipo di incantesimo sarà cosa di poco conto. Inoltre, tu sei un’ottima studiosa e… Osservatrice delle regole. Non è forse così?» Morgana, che aveva gli occhi fissi sulla ragazza, pronunciando le ultime parole, guardò Sarah e, quest’ultima, rimase del tutto sorpresa. Era ovvio che, Anjelika, fosse già andata a lagnarsi dalla Somma Sacerdotessa e Morgana, che le era accanto, fosse venuta a saperlo. Questo era un chiaro atto di vendetta e Sarah ne fu compiaciuta. Fece un enorme sorriso di gratitudine a Morgana, poi guardò la reazione di Anjelika: le guance erano avvampate e sembrava stesse tremando dalla rabbia. La mattinata non era cominciata poi così male! «Anjelika,» la richiamò Morgana, «mi vuoi raggiungere per la dimostrazione?» La voce di Morgana era calma e controllata, ma a Sarah parve evidente una nota di soddisfazione. Evidentemente sapeva che Anjelika non era sufficientemente preparata e ne sarebbe uscita umiliata. Come diceva il detto: la vendetta è un piatto che va gustato freddo, quando si è accumulata la giusta dose di vetriolo e di furia. E Sarah ne prese atto. Era certa che Morgana le stesse insegnando qualcosa. Non valeva la pena di arrabbiarsi o inveire. Era molto più soddisfacente vendicarsi con un’azione che, agli occhi della gente, poteva apparire come innocua. Ed era quello che, d’ora in poi, avrebbe fatto. Anjelika si mosse con i incerti, anche se teneva alto il mento in un moto di fierezza. Raggiunse il tavolo delle candele, alzò le braccia verso l’alto mentre inspirava profondamente con gli occhi chiusi quindi, dopo aver riabbassato le braccia in modo molto lento e misurato, espirò e riaprì gli occhi. Impose le mani sopra la candela, gli occhi fissi su di essa. Sarah guardò impressionata quel
gesto. Forse Anjelika avrebbe saputo sorprendere sia lei che Morgana riuscendo a far scaturire una fiamma. Trascorse qualche secondo e dallo stoppino apparve qualcosa. C’era riuscita. Sarah socchiuse le labbra per lo stupore, ma subito dopo successe qualcos’altro. Si alzò un forte vento che impedì alla candela di accendersi e lei non riuscì a capire se si fosse accesa oppure no. «Si era accesa!» Urlò Anjelika amareggiata. «Si era accesa, Morgana!» Si udì una risata. Sarah si voltò e vide che era stata Kirsten. Guardò quest’ultima in modo interrogativo ma Kirsten si limitò ad alzare le mani con finta innocenza. «Okay, riprova Anjelika». Acconsentì Morgana. La ragazza ripeté l’intero gesto: le braccia verso l’alto, le braccia che si abbassavano lentamente e l’imposizione delle mani. Non successe nulla. La candela non si accese. Ripeté nuovamente l’intera operazione e Sarah vide Kirsten incrociare le braccia al petto annoiata – sbadigliò infatti subito dopo e prese a guardarsi le unghie lunghe e nere – e Morgana sbuffare spazientita. «D’accordo, hai provato in modo sufficiente ma con un risultato deludente. Evidentemente non ti sei esercitata come mi ero raccomandata. Ora lascio spazio alle tue compagne». «Ma, Morgana, la prima volta si era accesa!» Replicò la ragazza risentita. «Nessuno di noi lo ha visto, evidentemente vedi cose che noi non riusciamo a notare. Ora togliti da lì e torna al tuo posto. Qualcun’altra vuole provare?» A quel punto Sarah avanzò di qualche o, spinta da una forza e da una determinazione che lei stessa non seppe spiegare, e disse: «Io… Vorrei provare io…» Tutti gli occhi puntarono su di lei. Vide Morgana e Kirsten guardarla come se fosse impazzita. «Sarah, richiede molto allenamento e una preparazione…» cominciò a dire Morgana, ma si interruppe quando vide che lei era già davanti alle candele. «Posso fare comunque un tentativo?» Quando pose quella domanda a Morgana, la donna la guardò come per dirle: dopo quello che ho fatto per te poco fa, arrivi
tu e rovini tutto. Ma a lei non importava di quello sguardo e di cosa potessero pensare. Qualcosa dentro di lei le diceva che doveva provare. In fondo, sarebbe stato davvero più difficile rispetto al creare un portale e attraversarlo? «Sì, certo» le rispose Morgana con poca convinzione. Sarah distolse lo sguardo da Morgana, lo rivolse a una candela, inspirò qualche volta per calmare i battiti del proprio cuore, che sembravano battere all’impazzata, quindi si radicò e centrò. Cercò cioè di trarre tutta l’energia possibile dal terreno, dall’ambiente circostante. Come aveva letto una volta in un libro, immaginò di essere una pianta, con ai piedi delle radici che entravano in profondità. Poteva trarre energia dal suolo e dall’universo, se avesse voluto sarebbe riuscita a diventare più forte e qualunque cosa le sarebbe stata possibile. Alzò le mani verso l’alto, inspirando e cercando la forza. Immaginò lo spirito che la benediceva e discendeva su di lei. Abbassò le braccia, espirando, e poi guardò la candela e vi pose le mani sopra. Sentì un calore diffondersi sempre più, un calore che usciva dalle sue mani, per quanto incomprensibile potesse sembrare. E poi successe. All’inizio, dallo stoppino si vide una piccola fiammella, quasi impercettibile, poi prese fuoco in modo evidente e la fiamma divenne alta quasi dieci centimetri. Sarah ritrasse le mani con un sorriso di trionfo ma sapeva che non era abbastanza. Senza guardarsi attorno per vedere che genere di sguardi avrebbe incontrato, riportò le mani sulla candela e poi le allargò sopra le altre e, mentre compiva quel gesto, le candele presero ad accendersi una a una, finché furono tutte accese. A quel punto, si udirono esclamazioni di stupore di ogni genere. Soddisfatta, si voltò per incontrare lo sguardo di Morgana che la stava osservando sconcertata. Kirsten era addirittura pietrificata: gli occhi spalancati ancora fissi sulle candele e un’espressione di evidente stupore. I bisbigli e i mormorii cessarono solo quando Morgana, ripresasi da quello che Sarah era appena riuscita a fare, invitò le ragazze a tacere. La mattinata proseguì con lezioni di grounding e centering. Morgana disse che erano già state fatte in precedenza, ma lo scarso risultato di Anjelika l’aveva portata a rivederle. Per quella lezione, Morgana portò le ragazze all’aperto, dove c’erano molte piante di pini. «Ognuna di voi vada in prossimità di una pianta. Anzi, facciamo quattro o
cinque ragazze per pianta perché altrimenti vi dovreste allontanare troppo e finiremmo col doverci sgolare. Okay? Come vi ho detto la scorsa volta, questa è una delle tecniche fondamentali e una delle più potenti. È il mezzo tramite il quale sperimentiamo direttamente la nostra connessione con la forza vitale divina che dimora nella terra. È anche un metodo notevole per energizzare e guarire voi stessi e gli altri. Kirsten, per favore, ora prendi il mio posto e prosegui la lezione. Tu, Sarah, vieni con me». Sarah si sentì presa alla sprovvista. Lasciò l’albero vicino al quale si trovava con Cassandra e altre due ragazze, e raggiunse Morgana che la condusse nell’edificio dove si trovavano prima. Quando furono dentro, Morgana chiuse la porta e la guardò di sottecchi. Poi si ò una mano sulla fronte e quindi disse: «Come hai fatto a diventare così abile in così poco tempo? Soprattutto considerato che a Livingston non c’era nessuno che ti potesse preparare… sai creare portali e oltrearli, e sei riuscita ad accendere tutte quelle candele…» disse indicandole con un gesto. «Era la prima volta che lo facevo… Non credevo nemmeno mi sarebbe riuscita una cosa del genere» ammise un po’ sulla difensiva. «Sì, ma dove le hai apprese queste cose?» «Libri e pratica, come mi hai insegnato tu. Ho riconsiderato ciò che tu mi avevi detto, e a Livingston ho avuto molto tempo per stare sola con me stessa, considerato che...» si bloccò di colpo. Non riusciva a dire il nome di Mark ad alta voce. «Da dove provengono quei libri? Ieri sera ho dato loro un’occhiata e avranno secoli di vita. Chi te li ha dati?» Volle sapere Morgana. Sarah cercò un modo per non rispondere alla domanda. «Sono un prestito… Me li puoi ridare?» Morgana la scrutò a lungo. «Chi te li ha dati, Sarah? So per certo che sono innocui e non provengono da nessuna persona malvagia. Ma sono molto… Potenti. Chi te li ha dati?» Sarah abbassò lo sguardo. Non voleva mentire a Morgana, ma non se la sentiva nemmeno di raccontarle ogni cosa. E se, dicendole di Maviron e di Greenshadow, Morgana le avesse impedito di tornarci?
«Non ti fidi di me?» Così dicendo, Morgana proruppe nei suoi pensieri. «Non è questo, ma…» «Lascia stare, me lo dirai quando vorrai. Mi sento tranquilla perché so che non sono malvagi. Non ho idea a chi appartengano ma ti hanno trasmesso molta conoscenza e potere. Te li ridarei anche subito ma… Temo che Renea o qualcuno come Anjelika te li possa trovare e trattenere. Sono più al sicuro con me, ma te li posso ridare in qualunque momento». «Grazie…» Sarah guardò a lungo Morgana, poi disse: «Mi dispiace per le mie parole di ieri, so che tu vuoi aiutarmi, lo hai sempre fatto». «Credimi, mi è costato molto non dirti ogni cosa. Tu per me sei come una figlia». Sarah le sorrise, camminò lungo il pavimento di quel locale, dopodiché andò a sedersi su una panca. «È vero che lei è mia madre?» Morgana andò a sedersi sulla panca accanto a lei e le strinse la mano inducendola a guardarla. «Sì». «È vero che mi ha mandata nell’altro mondo per salvarmi?» «Sì, tutto quello che ti ha detto è vero. Renea è una persona fredda, calcolatrice e tremendamente vendicativa, ma ha la peculiarità di non mentire, come tutte le sacerdotesse. Non ama che vengano trasgredite le regole, Sarah… E per questa ragione non le ha fatto per nulla piacere sentire ciò che Anjelika le ha raccontato,» la rimproverò. Sarah si alzò di scatto dalla panca in legno. «È stata lei a provocarmi, Morgana! Non ha fatto altro da che sono arrivata qui e francamente non capisco il perché, non le ho fatto nulla!» Disse con veemenza. «Ti credo. Il fatto è che lei ti vede come una minaccia» le spiegò alzandosi a sua volta. «Tanto per cambiare!» Commentò con una punta di sarcasmo. Detto ciò, Sarah si
diresse verso le candele e cominciò il suo giochetto. Questa volta non compì nessun rituale, si limitò a fissare con lo sguardo una candela. Desiderava che lo stoppino prendesse fuoco. Incanalò con la mente l’energia, la sentì penetrare dentro di sé, sempre più forte e prorompente, poi la scagliò sempre con la forza del pensiero sulla candela e… questa si accese… Sarah la guardò soddisfatta. «Piantala, mi fai innervosire!» Si lamentò Morgana. Sarah si voltò verso di lei ridendo. «Dov’è il problema? Non era forse quello che volevi anche tu?» «Sì, ma non è normale che una persona con una preparazione pari allo zero acquisti questo genere di potere in così poco tempo. Tu mi nascondi qualcosa». «Mmm… Adesso sai cosa si prova!» Scherzò Sarah. Morgana scosse il capo. «Tanto prima o poi lo scoprirò». «Mi deluderesti se non lo fi!» «Senti, Renea è sul serio arrabbiata per ciò che è successo ieri sera» le spiegò facendosi pensierosa. «Questo cosa significa?» «Che far alterare Renea non è buona cosa. Cercherò di farla ragionare e la convincerò a ponderare quello che è successo con i risultati che hai ottenuto oggi, dando la giusta lezione anche ad Anjelika. Non mi piace quella ragazza». Colta da un impulso improvviso, Sarah andò da Morgana e l’abbracciò. «Ti ringrazio, Morgana». Sul volto di Morgana comparve un sorriso.
Capitolo cinque
La festa di mezza estate
Il primo agosto, a Dervel, si festeggiava la festività di Lughnassadh o Lammas, dedicata al primo raccolto. In questa occasione, coloro che avevano l’onore di celebrare il rituale con la Somma Sacerdotessa al Cerchio di potere, avevano l’usanza di vestire con i colori del verde e del giallo, i colori del grano maturo. La festa ricordava il sacrificio del Dio (sotto forma di grano): nel suo ciclo di morte (per dare nutrimento alla popolazione) e rinascita. Il grano veniva identificato come uno degli aspetti del dio Sole. A Sarah, differentemente dalle altre neofite, venne concesso di parteciparvi e raggiunse il luogo sacro con Kirsten, con la quale aveva trascorso molto del suo tempo da che era giunta nel regno di Renea. Per quell’occasione, Kirsten le aveva prestato un suo vestito: era di seta color verde smeraldo e le ricordava il giorno in cui aveva indossato un abito molto simile per andare alla fiera del castello di Livingston con Mark. Quel vestito era stato oggetto di discussioni e bisbigli tra molte delle persone che erano presenti alla fiera. Lo stesso Mark lo definì inappropriato. Sarah sentì una stretta al cuore al pensiero. Le persone erano tutte attorno al Cerchio Sacro e, come sempre, al centro presenziavano Renea e Morgana. La Somma Sacerdotessa si differenziava dagli altri. Indossava un abito cremisi e la sua figura sovrastava ogni persona che la circondava. «Tu ne sei al corrente, vero, Kirsten?» Domandò Sarah di punto in bianco. «Di cosa?» chiese con voce indolente la ragazza. «Di me… di Renea…» spiegò stancamente. «Che sei sua figlia? Certo,» rispose con molta semplicità e Sarah ne fu infastidita. «Grazie per la fiducia che hai riposto in me! Perché non me lo hai detto?»
«Oh, per la miseria, calmati!» Sbottò Kirsten che, per l’occasione, indossava un abito nero contraddicendo come sempre le tradizioni. «Se te l’avessi detto tua madre mi avrebbe come minimo uccisa! Ti sembra una ragione sufficiente, o la mia vita è cosa di poco conto?» Sul viso della ragazza comparve un sorriso insolente. «No, non mi sembra sufficiente, la tua vita non vale tanto» replicò caustica. Kirsten si mise a ridere. «E comunque non chiamarla mia madre» aggiunse. «Ciao, Sarah». Una voce alle spalle delle due ragazze le interruppe. Entrambe si voltarono e Sarah vide davanti a lei il ragazzo biondo col viso d’angelo, che ricordava chiamarsi Joel, che aveva conosciuto tempo addietro in occasione di Beltane. Sarah lanciò uno sguardo iroso a Kirsten e quest’ultima alzò le mani con un’espressione che voleva comunicarle la sua estraneità al fatto. Sarah si voltò di nuovo verso di lui, improvvisò un sorriso e lo salutò a sua volta. «Io…» cominciò lui impacciato, «volevo scusarmi con te per quello che è successo l’ultima volta». Sarah notò che la sua espressione era sincera. «No, sei tu che devi scusare me… In fondo non hai fatto nulla di male». «No, tu non hai nulla di cui scusarti, davvero. Volevo solo stare in tua compagnia, non farti avance forzate… Mi dispiace che tu abbia pensato il contrario». Joel le allungò una mano in gesto di pace e Sarah gliela strinse. Kirsten li guardava con una strana espressione sul viso, le sopracciglia inarcate. «Posso stare qui con voi?» Chiese all’improvviso Joel. Sarah guardò Kirsten e quest’ultima le fece un cenno molto chiaro. Se avesse urlato digli di sì sarebbe stata meno sfacciata. Sarah ritornò a guardare Joel che aveva uno sguardo divertito. Si perse per qualche istante nei suoi bellissimi occhi blu, che le ricordavano il cielo in una giornata assolutamente priva di nubi, o forse il mare, in una giornata serena e infine disse: «Certo». Con enorme difficoltà, tornò a concentrarsi sul rituale che Renea stava per compiere. I tamburi presero a suonare, accompagnati dalla melodia dell’arpa e le parole
della Somma Sacerdotessa risuonarono nello spazio circostante. «Come stai?» le chiese il ragazzo. Sarah distolse lo sguardo dal rituale. «Bene, grazie» rispose sentendosi un attimino a disagio. «La voce del tuo ritorno si è sparsa per i villaggi qui attorno, ecco perché sono venuto a cercarti». Sarah lo guardò stupita. Possibile che la gente non avesse di meglio da fare che parlare di lei? Non sapendo cosa rispondere sorrise. Renea stava invocando il potere della Grande Madre Terra e di Lugh, il re del grano. «Stasera ci sarà la cavalcata delle fate, o così dicono» annunciò Joel. «Andrete a vederla?» Sarah si voltò di scatto verso di lui. «La cosa?» Aveva sentito la cavalcata delle fate ma doveva aver capito male, non poteva aver detto sul serio una cosa del genere. Joel la guardò divertito. «La cavalcata delle fate. Non ne hai mai sentito parlare?» «Sono tutte sciocchezze!» S’intromise Kirsten. Sarah la guardò e le fece cenno di tacere, dopodiché si voltò verso Joel. «No, non ne ho mai sentito parlare. Di che cosa si tratta, esattamente?» Volle sapere con un moto di curiosità. «Per chi crede nelle fate, o generalmente nei faêran, pare che, in alcune notti di determinati giorni dell’anno, come i sabbat, o nei giorni di luna piena, in luoghi molto particolari, si può assistere al loro aggio, alle loro traversate, poiché in questi giorni speciali, oltreano le porte dei faêrie e vengono nel nostro mondo» le spiegò il ragazzo. «Per quale ragione lo farebbero?» Volle sapere Sarah incuriosita. Anche Faye sarebbe ata di lì? Oh, cielo… «Beh, i faêran amano da sempre i nostri luoghi e gli umani in generale. Tuttavia,
mentre molti secoli fa li si poteva vedere più spesso tra di noi, oggigiorno, per via della crudeltà e di alcuni atteggiamenti degli umani, hanno preso a rendersi invisibili quando sono tra noi e comunque varcano sempre meno le porte che conducono nei faêrie. Ma ci sono determinati giorni dell’anno, i sabbat e i giorni di luna piena, come ti dicevo, in cui per gli umani è ancora possibile vederli mentre cavalcano i loro destrieri». Sarah fu affascinata da quel racconto. «Stai attenta Sarah, Joel è un bardo! E i bardi ammaliano con le loro storie!» L’ammonì Kirsten con il solito tono indolente. «Sei un bardo? Cosa significa?» «I bardi sono gli storici, i custodi di documenti, scrittori di canzoni…» le spiegò il giovane ammiccando. «E tu… sei tutto questo?» Chiese confusa Sarah. Pensandoci bene, nei suoi occhi aveva letto una luce che lo rendeva diverso dalle altre persone. Joel arrossì e deviò per qualche istante lo sguardo. Poi, tornando a guardarla, rispose: «Ebbene, sì». «Raccontami della cavalcata delle fate, ti prego!» Lo implorò con un enorme sorriso. «D’accordo. Devi sapere che la gerarchia che regna nel mondo dei faêran è molto simile ai nostri sistemi monarchici. I faêran dell’alta aristocrazia, altrimenti noti come sfilata dei faêran eroici, fanno parte delle corti». «Vuoi dire che c’è più di una regina?» A quella domanda Kirsten le lanciò una strana occhiata. «Certo» le rispose Joel. Quindi spiegò: «Esistono più re e regine e, al di sopra di loro, c’è il Gran Re o Re Supremo, che dir si voglia». Sarah si fece pensierosa. Joel aveva parlato del Gran Re, questo stava a significare che, al di sopra di Faye che era la Regina delle fate, c’era una figura ancora più imponente. Mentre pensava a ciò, la voce di Joel irruppe nei suoi
pensieri. «Tornando alla cavalcata delle fate, le corti di cui ti dicevo, si dice che ino le loro giornate in nobili occupazioni, tra le quali la più comune, e sicuramente la più impressionante, è cavalcare in solenni processioni, chiamate appunto cavalcate delle fate». «E stanotte è possibile vederli?» Domandò di nuovo non riuscendo a crederci. «Esatto. Questa è una di quelle notti» le confermò Joel, felice che finalmente qualcuno lo stesse ad ascoltare interessato. «E dove bisogna andare per vederli?» Joel le sorrise. «Allora non sei come Kirsten che non mi crede!» Scherzò lui. «Mi prende sempre in giro dicendo che uso queste storie per conquistare le belle ragazze.» Sarah rimase imbarazzata: involontariamente, Joel le aveva fatto un complimento. Kirsten si godeva la scena con un sorriso accattivante sulle labbra. Fu Joel a spezzare la tensione: «Si possono vedere risalendo la collina, proprio nel punto in cui scaturisce l’acqua della Sorgente Sacra,» spiegò indicando un punto in cima alla collina. «Ti va di venire con me ad assistere?» Sarah si sentì presa in contropiede. Non si aspettava che la invitasse e non sapeva cosa rispondere. Una parte di lei desiderava davvero andare a vedere are i faêran sui loro destrieri, ci sarebbe stata la possibilità di vedere Faye. L’altra parte di lei si sentiva a disagio ad accettare l’invito perché, di sicuro, si sarebbe sentita in imbarazzo a rimanere sola con lui. «Non ci sono secondi fini, se è a questo che stai pensando» la rassicurò Joel divertito. «Cielo come siete sdolcinati! Quasi quasi mi date il voltastomaco,» esclamò Kirsten accompagnando l’ultima frase da un gesto eloquente. «D’accordo, accetto con enorme piacere il tuo invito». Joel era riuscito a convincerla, sapeva che desiderava realmente assistere con lei alla cavalcata dei faêran e nulla di più. Si fidava di lui. All’udire ciò, Joel le regalò uno stupendo
sorriso. «Ne sono felice!» Esclamò lui entusiasta. «Ma dobbiamo avviarci, è quasi ora». «E il rituale?» Sarah guardò Joel e vide il sorriso di quest’ultimo smorzarsi. «Oh, e chi se ne importa!» Joel tornò a sorridere. «Tu, Kirsten, sei dei nostri?» Si era quasi dimenticata dell’amica, non era un buon segno… Kirsten la stava osservando divertita, poi il sorriso fu a malapena celato da una smorfia che comparve sul volto della ragazza. Quindi, scuotendo il capo, si degnò di rispondere: «Non ci penso proprio. Comunque state attenti… Potreste venire rapiti dai faêran!» Detto ciò scoppiò in una fragorosa risata. Sarah scosse la testa rassegnata. Kirsten era così, e non sarebbe mai cambiata, nel bene e nel male. Beh, soprattutto nel male. «Andiamo? È quasi mezzanotte, il momento magico» la incitò Joel. «Okay, andiamo. Buona serata, Kirsten!» «Ehi, questa volta sei tu a piantarmi in asso, non pensare che me lo dimentichi!» Quelle parole le giunsero quando lei e Joel stavano già risalendo il sentiero che fiancheggiava il torrente. «Raccontami ancora di loro, di quello che succederà stanotte» lo esortò Sarah per rompere il silenzio. «Vediamo… C’è così tanto da dire su di loro! Per cominciare, l’arte di cavalcare e i cavalli faêran godono di fama mondiale». «Per quale ragione?» Chiese Sarah col fiato corto. Joel, che la precedeva nel camminare, si fermò per allontanare un ramoscello che attraversava il loro cammino e impedire che, nel buio della notte, lei non lo riuscisse a vedere. Sarah gli sorrise andogli a fianco. Quando ripresero il cammino, Joel rispose alla sua domanda: «I cavalli elfici sono leggendari» spiegò. «La razza che loro allevano non ha uguali al mondo: i cavalli sono veloci come il vento. Le loro stalle pare siano costruite nelle grandi
caverne delle colline e i faêran li ferrano con argento e usano briglie dorate. Non permettono a nessuno schiavo o uomo di cavalcarli. La loro cavalcata dicono sia uno spettacolo meraviglioso: sette volte venti destrieri e sette volte venti cavalieri, tutti di nobili natali. Questi cavalli possono vivere per più di cento anni». «Perché ad alcuni è concesso di vederli e ad altri no? Come funziona?» Nonostante Joel non stesse procedendo con il o veloce, Sarah aveva difficoltà a stargli dietro. Quando lui se ne accorse, rallentò il o. «Perché alcuni possiedono la vista, un dono concesso a pochi fortunati per opera degli dei». «Tu li hai mai visti? Sei già stato qui altre volte?» Erano quasi giunti in cima alla collinetta e davanti a loro si presentò un masso che intralciava il cammino e andava scavalcato. Sarah guardò Joel in modo interrogativo. Lui le sorrise, salì con un balzo veloce e allungò una mano verso di lei. Sarah non poté riflettere molto su cosa fare, così accettò di buon grado la mano che le porgeva e, aiutata dalla sua presa, riuscì anche lei ad arrampicarcisi, anche se con non poca fatica. Joel ridiscese dalla parte opposta con agilità e allungò le braccia verso di lei. Sembrava che accoglierla tra le sue braccia fosse la cosa più naturale del mondo. Per Sarah non fu così, ma non aveva scelta. Si lasciò cadere tra le sue braccia: Joel sembrò essere perfettamente a suo agio, lei aveva difficoltà a guardarlo negli occhi, e sentì le guance leggermente arrossite. Proseguendo il cammino, Joel rispose alla sua domanda. «Sì, sono già stato qui altre volte ma… Non sono mai riuscito a vederli. Però credo che tu possieda questo dono». «Come?» Sarah non riuscì a controllare il disagio che provava ancora e non riuscì a spiegarsi il perché, in fondo Joel si era comportato come un perfetto gentiluomo. «Sono convinto che tu riuscirai a vedere i faêran» ripeté lui. «E per quale ragione?» Il disagio lasciò il posto alla curiosità. «Perché nelle tue vene scorre il sangue dei faêran».
Sarah per poco non cadde: inciampò nella radice di un albero ma si fermò per tempo. Erano giunti in cima alla collinetta e, da dove si trovavano, si poteva vedere una distesa immensa illuminata dal chiarore lunare. Quella notte c’era la luna piena. «In che senso nelle mie vene scorre il sangue dei faêran?» Chiese con voce tremante per lo stupore. «Non te l’hanno detto?» chiese Joel sorpreso. «Alys era la figlia di una mortale e di un faêran. E tu ne sei la discendente». «Spiegati meglio. Alys era figlia di un faêran?» Sarah era scioccata e la voce le uscì flebile. «Mi stupisce che non te l’abbiano detto, ad ogni modo sì. A quanto si dice, e non sono favole,» ci tenne a precisare, «il padre di Alys era un Re faêran, di quale corte non te lo so dire ma, come tutti i faêran, era bellissimo e si innamorò perdutamente di una giovane mortale, che un giorno incontrò per caso nei pressi di un torrente. Lei era giunta lì per riempire una brocca d’acqua e lui aveva dimora lì vicino, così andò da lei e, come prevedibile, anche lei si innamorò di lui. Le chiese in seguito di seguirlo, di andare a vivere presso la sua corte e lei accettò, ma dovette giurare di non dire nulla alla sua famiglia. Da quell’unione nacque una bambina, bellissima, con i capelli del colore dell’oro e tutti sapevano che quella bambina sarebbe divenuta ben presto potente. E così fu, come del resto Alys dimostrò di essere». Sarah ascoltò in silenzio quel racconto, sbalordita da ciò che aveva appena appreso. Dopo qualche secondo di silenzio, parlò per chiedere: «Che ne è stato dei genitori di Alys? Voglio dire, se sono dei faêran, vivono ancora, giusto?» Joel scosse la testa. «Come tutte le storie d’amore tra un faêran e una mortale, finì in tragedia. La giovane moglie morì pochi anni dopo la nascita della bambina. Venne assalita da una creatura soprannaturale, trascinata nel mare che circondava l’isola dove vivevano e annegò. Il Re faêran cercò in tutti i modi di salvarla, ma giunse da lei che era troppo tardi». «È terribile…» commentò Sarah con una nota di terrore nella voce. «E Alys… Visse in quel regno?» Joel si fece pensieroso, il suo sguardo si dilungò sulla distesa verde, anche se,
alla luce della luna, il colore del prato aveva tonalità molto più scure, e rispose: «No. Per assurdo che possa sembrarti, lasciò quel regno perché si innamorò di un mortale. Quando il padre venne a sapere di quel legame, non lo accettò. Sapeva come andavano a finire le storie d’amore tra mortali e faêran, lui stesso ne aveva pagato il prezzo. Così minacciò la figlia di lasciarlo, perché non lo avrebbe mai fatto entrare nel suo regno. Fu lei ad andarsene, consapevole del fatto che, una volta che se ne fosse andata, non sarebbe più potuta tornare. Così facendo però il padre le inflisse una terribile punizione perché lei, in quanto metà mortale e metà faêran, una volta lasciato il regno, sarebbe invecchiata come tutti i mortali». Sarah rifletté su quanto aveva appena udito. «Per cui, chi ha sangue faêran puro non invecchia, chi invece ha sangue per metà faêran e per metà mortale non invecchia solo se resta nel regno dei faêran… È corretto?» «Sì, è proprio così. Inoltre,» continuò Joel, «lasciando il regno faêran lei divenne vulnerabile. Diventò una sacerdotessa potente, temibile, ma venne comunque uccisa dai suoi nemici». Pronunciando quelle ultime parole, l’espressione di Joel divenne cupa. «Sì, me l’hanno detto che venne uccisa. E il mortale di cui si innamorò? Chi era?» Sarah non udì mai ciò che Joel le rispose perché, davanti ai suoi occhi, si presentò una scena del tutto incredibile: decine di destrieri, cavalcati da figure di straordinaria bellezza che risplendevano di una luce incredibile nel cuore della notte, stavano ando di fronte a lei e capì, senza ombra di dubbio, che quelli dovevano essere i faêran di cui Joel le aveva parlato. Si voltò verso il ragazzo per vedere la sua espressione ma sembrava che non stesse vedendo nulla. Aveva smesso di parlare ma stava fissando un punto da tutt’altra parte. Sarah non osò dire nulla. Che cosa sarebbe successo se gli avesse detto che lei riusciva a vederli? Di sicuro la voce si sarebbe sparsa in giro, in fondo lui era abituato a tramandare le storie, era un bardo. Forse sapeva anche mantenere dei segreti, ma chi poteva dirlo? Lei lo conosceva appena… Che conseguenze avrebbe pagato se le altre persone del villaggio fossero venute a saperlo? Come avrebbe reagito Renea? Onde evitare problematiche inutili, scartò l’idea di dirgli cosa riusciva a vedere e si concentrò sui faêran che, notò, si stavano avvicinando a loro. I cavalli erano bellissimi, veloci, con il collo arcuato, il petto largo e le narici frementi e grandi occhi che rivelavano la loro essenza di fuoco e fiamme e non di terra opaca e pesante. Come aveva detto Joel, le loro briglie erano dorate e ciascuno aveva sulla fronte un gioiello, come una stella. I cavalieri portavano un mantello
verde frangiato d’oro, un elmo dorato sul capo e gambali dorati e avevano tutti una lancia d’oro in mano. Sarah sussultò quando tra loro riconobbe Faye… «Cosa succede?» Le chiese Joel turbato. «Niente, mi era sembrato di vedere qualcosa, ma mi sbagliavo,» cercò di dire nel modo più naturale possibile. Dopo che ebbe pronunciato quelle parole, vide Faye voltarsi verso di lei e, appena la riconobbe, le sorrise. L’amica faêran si staccò dal gruppo e la raggiunse. «Quando ho sentito la tua voce non riuscivo a crederci!» A cavalcioni sul destriero, Faye sembrava una dea. La sua figura emanava una luce così intensa che risultava essere persino più luminosa della luna. Sarah guardò in direzione di Joel e vide che il ragazzo era in piedi, immobile come una statua, lo sguardo vacuo, la bocca leggermente socchiusa, ma sembrava non vedere e non udire. «Che gli hai fatto?» Chiese Sarah con un moto di terrore nella voce. «Oh, non ti preoccupare!» Le disse la dama faêran con tono leggero. «Solo un incantesimo per poterti parlare. Non ti ho più vista ed ero preoccupata, ma ora ti trovo a Dervel a festeggiare il Lammas… Ti sei trasferita qui o sei qui solo per il rituale?» «Mi sono trasferita qui… tra me e Mark…» Sarah non riuscì a continuare oltre. Faye la stava scrutando con intensità. Poi, cambiando improvvisamente espressione, disse: «Ma se siete qui… vi perderete il meglio del Lammas… Di solito a quest’ora Renea esordisce con la sua invocazione al Dio e alla Dea…» «Joel mi ha detto della cavalcata dei faêran… e desideravo tanto vederla, ma non mi aspettavo di riuscirci e non mi aspettavo nulla di tutto questo…» «Vuoi venire con noi?» Sarah la guardò stupita per quell’invito inaspettato. «Non sai quanto mi piacerebbe, ma si accorgerebbero che me ne sono andata». Faye si fece pensierosa per qualche istante, poi propose: «Allora vieni qui la
notte di mezza estate… Rieremo e tu verrai con noi senza destare nessun sospetto!» Sarah fece un sorriso che le illuminò il viso. «Dici sul serio? E quand’è la notte di mezza estate?» «Il quindici di agosto. A quest’ora, non lo dimenticare. Ora devo andare, amica mia, ci vediamo!» Faye non diede il tempo a Sarah di dire altro, speronò il cavallo e raggiunse gli altri cavalieri faêran a una velocità incredibile. Stava osservando la scena estasiata quando udì una voce mormorare: «Forse hanno cambiato tragitto, oppure non abbiamo la vista». Sarah si voltò e vide Joel, tornato del tutto normale, con l’espressione rattristata. «E come si fa ad avere la vista? C’è un modo per ottenerla?» Dicendo ciò, tornò a guardare in direzione dei faêran, ma erano spariti. «Dicono che un modo ci sia» rispose il ragazzo con voce più allegra. «Allora raccontami, ma intanto incamminiamoci, credo che il rituale debba essere ormai giunto al termine e io devo far ritorno al mio alloggio, o erò un guaio». «Stai all’alloggio delle novizie?» Chiese confuso il ragazzo. «Credevo fossi già una sacerdotessa». «No, non lo sono ancora» rispose Sarah riprendendo a percorrere il sentiero. «E come mai ti è concesso di partecipare ai rituali? Non è vietato alle giovani iniziate?» «Sì, è vietato, però… diciamo che per me è stata fatta un’eccezione» spiegò in modo vago. «Allora, mi racconti come si può acquistare la vista?» Joel capì al volo il desiderio di lei di cambiare argomento e non insistette a riguardo. «Certo, più che volentieri. Si narra di questa Joan, una donna che era governante presso un Cavaliere ed era piuttosto nota per i suoi lavori a maglia. Un sabato pomeriggio volle recarsi ad acquistare un paio di scarpe per sé e degli oggetti per il cavaliere. Ed essendo una giornata di tempo particolarmente bello, decise di andarci a piedi.
Joan amava moltissimo spettegolare un po’, ed era sempre in cerca di compagnia. Sapeva che una certa Betty Trenance era sempre pronta a farsi una bella eggiata; a dire il, tutti sostenevano che Betty fosse una strega ma, si disse Joan, “strega o non strega, verrà con me: una cattiva compagnia è sempre meglio di nessuna compagnia”. Quindi Joan si recò a casa di questa Betty e, giunta là, sbirciò attraverso il buco della serratura e la vide mentre spalmava un unguento verde sugli occhi dei suoi figli. Rimase a osservare finché Betty Trenance ebbe finito e notò che la donna metteva l’unguento sull’estremità interna del sedile di pietra del focolare, coprendolo poi con un panno. Joan entrò e Betty disse che però non sarebbe andata con lei a far compere perché non stava bene ed era l’ora della medicina. Mandò i bambini nell’altra stanza e si allontanò anche lei per prendere appunto la medicina. Joan approfittò dell’occasione, prese l’unguento e se lo mise sul dito e con questo si toccò l’occhio destro. Quando si guardò attorno, fu sorpresa nel vedere la casa brulicare di omini piccolissimi. Stavano facendo ogni sorta di scherzi appollaiati sulle travi del soffitto. Alcuni si dondolavano appesi alle ragnatele, altri cavalcavano i topi, altri ancora li inseguivano dentro e fuori i buchi del tetto. Joan fu sorpresa a quella vista e pensò di avere addosso un quadrifoglio a propria insaputa». «Perché un quadrifoglio?» Chiese Sarah interrompendo il racconto. «Il quadrifoglio ha il potere di spezzare un incantesimo e rivela la presenza di esseri fatati» spiegò il narratore. «Oh». «Tuttavia,» riprese il racconto Joel, «senza fermarsi ulteriormente, si mise in viaggio da sola e raggiunse il mercato che era ormai buio. Dopo aver fatto i suoi acquisti, mentre stava per lasciare il mercato, chi vide se non il marito di Betty, Tom Trenance? Era lì, che si muoveva furtivo nell’ombra e rubava dalle bancarelle. Riempiva le sue tasche degli oggetti rubati e nessuno sembrava accorgersene. Joan si diresse subito da lui: “Non ti vergogni a stare nascosto nel buio a fare
questi giochetti?” Gli disse. “Sei tu, Joan?” domandò Tom. “Con quale occhio riesci a vedermi?” Dopo aver chiuso prima un occhio poi l’altro, Joan disse che riusciva a vederlo con l’occhio destro. Tom puntò un dito contro l’occhio di Joan e da quel momento in avanti questo divenne cieco. Il giorno dopo, il Cavaliere e i suoi domestici trovarono la donna presso l’ovile dove tenevano le pecore, assopita. Trasportarono la sventurata donna a casa, reggendola tra loro a forza di braccia. Il Cavaliere l’accusò di essersi ubriacata e disse che la ferita all’occhio era stata causata da un ramo di ginestra spinosa; ma Joan non modificò mai la sua versione degli eventi, e fino al giorno della sua morte raccontò ciò che le era successo a tutte le giovani donne che incontrava, avvertendole di stare alla larga dagli unguenti fatati». «Ma cosa successe a Joan dopo che ebbe incontrato Tom, il marito di Betty?» Erano giunti in prossimità del cerchio di potere, la Somma Sacerdotessa e Morgana avevano già lasciato il luogo e a Sarah non era consentito rimanere. Di Kirsten, nessuna traccia. «Pare che cadde in una serie di peripezie, cavalcò un cavallo fatato che per poco non la fece cadere in una polla e tutto quello che aveva comprato andò perso. A stento riuscì a rifugiarsi in quell’ovile» le spiegò Joel felice che la sua ascoltatrice fosse così interessata. «E questa storia ci insegna che i faêran sono esseri malvagi?» Chiese stupita Sarah. «No, tutt’altro. Se mai l’uomo lo è. I faêran non sopportano gli uomini curiosi, essere osservati di nascosto, che venga infranta una promessa fatta». «Ma non è giusto che Joan abbia pagato a così caro prezzo la sua curiosità, insomma, perdere un occhio…» osservò Sarah perplessa. «I faêran hanno le loro leggi, come gli uomini del resto,» la corresse lui. Sarah rise. «Ho capito, stai dalla parte dei faêran». Poi guardò oltre il ragazzo, qualche istante, quindi, tornando con lo sguardo verso di lui, sussurrò: «Ho
trascorso una serata davvero piacevole, grazie». «Mi fa piacere. Spero di poterti rivedere ancora…» le disse regalandole un caloroso sorriso. «Ci conto… Così mi racconterai altre storie sulle fate, se vorrai». «Con immenso piacere. Mi spiace solo che non siamo riusciti ad assistere alla cavalcata dei faêran. Ero convinto che tu saresti riuscita a vederli». «Magari hanno cambiato strada,» replicò lei scherzosamente. «Già». «Allora, ciao Joel». Pronunciare il suo nome le fece uno strano effetto. Per la prima volta, in quella serata, si rese conto di essersi trovata sola con un uomo che non era Mark, e quasi provò qualche strano senso di colpa, come se lo avesse tradito. Ma non era così. Per prima cosa, lei e Mark non stavano più insieme e poi, con Joel, non aveva fatto nulla di male. Per la prima volta, dopo tanto tempo, era riuscita a sentirsi serena.
I giorni che seguirono quella straordinaria serata, furono una routine di lezioni su incantesimi, preparazione di pozioni, nozioni sulla religione antica e del tempo ato con Kirsten o Cassie, che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare. Kirsten e Cassandra erano due persone totalmente opposte. Kirsten era trasgressiva, anche se non aveva mai preso in considerazione la possibilità di andare contro a un ordine di Renea, indolente, a tratti divertente e per altri versi insopportabile. Quando le chiese se era riuscita a vedere i faêran, Sarah mentì. Non se la sentì di raccontare quello che era successo e, soprattutto, tacque riguardo l’appuntamento con Faye per la notte di mezza estate. Contrariamente a Kirsten, Cassie era molto dolce, tranquilla e razionale. Divenire sacerdotessa era la sua vocazione, ma Sarah avvertiva in lei una ione e un romanticismo quando era in presenza di qualche ragazzo carino, che fosse druido o persona comune. Si chiese se avesse mai avuto una relazione con un uomo, e non riuscì a saperlo. Cassie era troppo timida e riservata per confidarle una cosa del genere.
A quanto pareva, invece, Kirsten stava con Kenan dalla notte di Beltane, soddisfatta che l’incantesimo avesse funzionato. Sarah disapprovava il ricorso alla magia per far innamorare un ragazzo, ma Kirsten non accettava prediche di quel tipo e non rinunciava a raccontarle particolari succulenti riguardanti la loro relazione, non tralasciando aneddoti piccanti e un tantino disgustosi per i gusti di Sarah. Kirsten la prendeva in giro perché diceva che era troppo pudica e la incitava ad accettare le avances di Joel. Dalla notte di Lammas lo aveva rivisto qualche volta e lui le aveva dimostrato chiaramente di piacergli, ma lei era restia e non gli aveva mai lasciato intendere che desiderasse qualcosa di più di un’amicizia, sperando di essere stata sufficientemente esplicita.
Quando giunse la notte di mezza estate, ovvero il quindici di agosto, Sarah attese che le compagne si fossero addormentate per sgattaiolare fuori dalla stanza. Fortunatamente, la porta d’ingresso era semplicemente chiusa a chiave. Era possibile però aprirla dall’interno e ciò le ricordò di lasciarla rigorosamente socchiusa per evitare di rimanere chiusa fuori ed essere così scoperta: alle novizie era severamente proibito lasciare il dormitorio nel cuore della notte e comunque oltre l’orario prestabilito dalla Somma Sacerdotessa. Arrivata all’esterno della palazzina, fece un lungo respiro e assaporò l’estasi di sentirsi libera, pregustando la notte che l’attendeva, consapevole che, se Renea l’avesse sorpresa, avrebbe ato un bel guaio ma, per una volta, era felice di non rispettare le regole. In fondo, per una notte da trascorrere coi faêran, ne sarebbe valsa la pena, anche se era convinta che sarebbe tornata in tempo perché nessuno si accorgesse della sua assenza. Un moto di ansia e di apprensione si insinuò dentro di lei quando ò davanti al palazzo di Renea. Diede una sbirciatina alle finestre: tutte le luci erano spente e non si sentiva nessun rumore. Bene, era riuscita a scampare il pericolo peggiore. Percorse il sentiero che l’avrebbe condotta al Cerchio di Potere cercando si sfruttare i giochi di luci e ombre che le numerose querce creavano. In questo modo, se anche ci fosse stato in giro qualcuno, non l’avrebbero notata. Quando raggiunse la Sorgente Sacra, una strana sensazione si insinuò dentro di lei. Si rese del tutto consapevole del fatto che, in quel luogo così desolato, era sola, completamente sola. E se ci fosse stato qualcuno? Qualcuno che non avesse
avuto buone intenzioni? Si fermò in preda a un terrore improvviso. Si sentiva i muscoli paralizzati dalla paura. Si voltò indietro, in direzione del palazzo di Renea, ma da lì non riusciva a scorgere l’edificio. Poi guardò verso la collina: lì l’aspettavano Faye e gli altri faêran. Doveva davvero permettere alla sua paura di impedirle di vivere un’esperienza così insolita e meravigliosa dove c’erano tutte quelle dame e cavalieri e di unirsi a loro in una notte fatta di danze e tant’altro? No, non poteva permetterlo, si disse e così, animata da un coraggio che solo l’entusiasmo per ciò che l’attendeva poteva trasmetterle, si incamminò. Riflettendoci bene, le sacerdotesse erano abituate a frequentare quei luoghi di notte e la foresta era coperta da potenti incantesimi. Ma quella non era la foresta e, in ogni modo, persino la foresta non era del tutto immune da Argantel e dai suoi uomini. Un ricordo improvviso le folgorò la mente, inconsapevole del motivo per cui si era insinuato nella sua testa: Lenny. Lenny era ancora vivo. E gli uomini di Argantel erano riusciti a penetrare gli incantesimi della foresta e ad uccidere Chris. Indubbiamente, pensare a Chris, le ricordò Mark e il cuore le si strinse in una morsa di dolore. Ricacciò indietro una lacrima e aumentò la velocità dei suoi i. Almeno la fatica le impediva di pensare, o sperò che così fosse. Ma cosa stava facendo Mark? Perché non l’aveva mai cercata? L’aveva realmente dimenticata? Era tornato con Lynn? Era ato all’incirca un mese da quando lei se ne era andata da Livingston e di lui non aveva più saputo nulla. A Morgana non aveva mai chiesto niente, non voleva farle capire che il suo cuore lo piangeva ancora. Se pur ci avesse provato, dimenticare Mark, era come dimenticare di respirare o di vivere. Poteva impegnarsi in mille attività, in mille conversazioni, ma poi, come la sete, tornava a farsi sentire e per lei, Mark, era come l’acqua, una necessità ineguagliabile. Quello di cui era certa, però, era che, se davvero lei gli mancava, lui sarebbe venuto a cercarla e, invece, non l’aveva fatto. Forse, andandosene da Livingston, gli aveva dato l’opportunità di tornare alla vita di sempre e di rivedere il suo amore per Lynn. Suo padre che cosa avrebbe potuto fare? Lui, in sua presenza, si era sempre comportato in modo impeccabile. Lei aveva fatto la parte della nevrotica che vuole avere Mark ventiquattro ore su ventiquattro. E non poté fare a meno di ripensare alla loro lite prima della festa di fidanzamento, le sembrava ancora di udire le sue parole, la sua furia, la sua crudeltà. Il Mark che lei aveva conosciuto non le avrebbe mai detto quelle parole. Si fermò dove c’era il grosso masso insormontabile e quei cupi pensieri furono subito cancellati da un problema che non si era posta: come avrebbe fatto a oltreare quel masso? Ci
provò più e più volte senza nessun risultato positivo. Improvvisarsi scalatrice non era nel suo dna. Se lì ci fossero stati Mark e Lynn, si sarebbero fatti delle risate nel vedere i suoi tentativi falliti e quel pensiero riuscì a distrarla quel tanto che le bastò per mettere un piede non appoggiato correttamente a terra e cadere a rotoloni giù per il sentiero, finendo nel bel mezzo nel torrente. Ora era completamente bagnata e con una brutta escoriazione sul braccio causata dallo sfregamento dello stesso contro dei sassi che stavano a terra. Sarah imprecò. Solo a lei una fuga poteva riuscire tanto apocalittica. Rialzatosi da terra, si guardò attorno con le mani sui fianchi e il respiro veloce per lo spavento dovuto alla caduta. Si rassettò i vestiti alla bell’e meglio e improvvisamente le apparve di fronte a sé un sentiero che le permetteva di arginare il masso. Inarcò un sopracciglio stupita. Ma c’era sempre stato? Si chiese con un moto di sconcerto. E se sì, come mai Joel non l’aveva condotta per un tragitto più semplice? Quelle domande non ebbero risposta, o quanto meno in quel momento. Si incamminò verso quella nuova via e fu decisamente sollevata dall’esistenza di quel percorso. Anche se in effetti fuorviava e non era così diretto come l’altro, comunque era praticabile. Il sentiero serpeggiava all’interno del bosco, la direzione che aveva preso era verso est, ma comunque proseguiva verso la cima di quella collinetta, per cui avrebbe visto are Faye e il resto dei faêran. Dopo qualche minuto di cammino, giunta quasi alla meta, si dovette fermare perché di fronte a sé vide qualcosa che la fece sobbalzare. Immerso in un verde dal colore irreale per effetto dell’oscurità e della luna, che si trovava nella sua fase calante, si ergeva un edificio di particolare fascino, benché di struttura architettonica alquanto semplice, che le fece capire all’istante di cosa si dovesse trattare. Era il Tempio di cui Mark le aveva parlato, dove era stata portata per ben due volte quando era stata travolta dai ricordi della sua vita ata e quando le era stata inferta la ferita del pugnale e stava morendo. Fu la curiosità innanzitutto a prendere il sopravvento, ma anche il fatto che, quel luogo così arcano, l’attirasse come il ferro verso la calamita. Le era stato detto in più circostanze che il villaggio di Dervel era separato da quell’edificio da un velo, un velo composto da potenti incantesimi, e che solo pochissime persone potevano renderlo accessibile da quel punto, persone come Morgana e Renea, non certo lei. E allora sorgeva spontanea una domanda: come poteva vederlo in quel momento? Cercò una spiegazione logica ma non riuscì a trovarla e così prese a fluttuarle nella testa un’idea: avvicinarsi e verificare se fosse davvero il
tempio di cui Mark le aveva parlato. In fondo, c’era anche la possibilità che si trattasse di un altro edificio. Guardò l’orologio per vedere se avesse fatto troppo tardi per l’incontro con Faye, ma fortunatamente constatò di essere in largo anticipo e, così, si avvicinò a i lenti e misurati. Lo guardò bene: non vi erano porte da aprire, l’ingresso consisteva in un’apertura ad arco, chiunque avrebbe potuto metterci piede, ma non tutti potevano abbattere gli incantesimi che si presumevano fossero potenti. Perché lei allora sì? Era riuscita anche a raggiungere Maviron, pensò. Forse c’era qualcosa in lei che in qualche modo riusciva ad abbattere i veli tra due luoghi e, per dirla tutta, anche tra i mondi; non a caso era giunta lì attraverso l’invalicabile Maoris. Più si avvicinava, più lo trovava familiare: c’erano in lei forse piccoli frammenti di ricordi che glielo facevano riportare alla luce. Da dove si trovava, ovvero a un paio di metri dall’ingresso, non riuscì a vedere nulla al suo interno poiché c’era buio pesto. Possibile che non ci fosse nessuna guardia, niente di niente, che lo proteggesse? Che senso aveva lasciare un luogo così, incustodito? Un pensiero improvvisamente le balenò nella testa: lì dentro si trovava la Profezia. La tanto nominata Profezia di cui nessuno ne conosceva il contenuto, eccezion fatta per ben poche persone, ma di cui tanto si parlava. Sarebbe riuscita ad avvicinarsi? Quali incantesimi c’erano a proteggerla? Qualcosa tipo un fulmine che l’avrebbe colpita o cose così? Era tutto troppo strano, tutto troppo arcano, eppure lei era lì, a pochi metri di distanza dal tempio. E se non fosse stato quel tempio? Certo! Come aveva fatto a non pensarci prima? Doveva trattarsi sicuramente di un altro tempio. Però il senso di familiarità e il modo in cui si sentiva attrarre… non poteva essere pura suggestione… Mosse qualche o, e poi ancora, sino a quando non si trovò ai piedi dei tre gradini che l’avrebbero condotta all’interno. Si accorse in quel momento che aveva smesso di respirare. Guardò dentro: buio totale e comunque davanti a lei non c’era assolutamente nulla, il vuoto. Nessun incantesimo l’aveva colpita. Ora le rimanevano solo i tre gradini da salire e il panico la colse all’improvviso. Sarebbe entrata sul serio? Avrebbe davvero curiosato all’interno? E perché no?
Non c’era un cartello con la dicitura divieto d’accesso, per cui, in fin dei conti, non stava infrangendo nessuna regola, non stava facendo niente di sbagliato. Beh, per dirla tutta, qualcosa di sbagliato l’aveva fatto e qualche regola l’aveva infranta, tanto per cominciare era lì, nel cuore della notte, contrariamente a ciò che le era stato imposto dalla Somma Sacerdotessa. Sì, ma nessuno l’avrebbe mai saputo. E ora cosa doveva fare? C’erano solo tre gradini, solo tre gradini la separavano dalla Profezia. Cos’erano in fondo tre gradini? A quel punto, si decise e salì. Uno, due e… Stava appoggiando il piede sul terzo gradino quando, una voce maschile a lei sconosciuta, fredda e gelida come un iceberg, la fermò. «Che cosa pensi di fare esattamente? Scendi da lì e voltati. Lentamente». Sarah provò un moto di panico. Era stata scoperta. Era troppo strano che non ci fosse nessuno a fare la guardia. Eppure Mark aveva detto… «Muoviti!» Le ordinò la stessa voce. Sarah riposò il piede sul secondo gradino, ridiscese gli altri due e, lentamente, molto lentamente si voltò verso l’ignoto. Vide una figura davanti a lei, un uomo, vestito in abiti scuri, ma non riuscì ad attribuirgli né un’età né un volto. Era troppo buio. Di sicuro era giovane perché altrimenti i capelli grigi glieli avrebbe visti. Quando guardò nella sua direzione, in quel preciso istante, gli sfuggì un’esclamazione che parve essere di stupore. «Ma bene, bene, guarda un po’ chi c’è!» Il tono che usò era sarcastico e quasi sprezzante. Sembrava la conoscesse, ma com’era possibile? «Mi dispiace, io… mi sono persa…» Sarah vide l’uomo avvicinarsi a lei e di riflesso indietreggiò di qualche o andando a sbattere contro i gradini e per un pelo non finì a terra. «Ti sei persa? Sul serio? Non mi dire!» Più si avvicinava, più Sarah riusciva a scorgergli i lineamenti: fisico atletico di uno che è abituato a fare esercizio fisico giornalmente, andatura felina che indicava sicurezza e padronanza della situazione, e il volto… Il volto sembrava scolpito nella pietra, i lineamenti sembravano appartenere a una scultura, perfetti, gli zigomi alti, due occhi scuri e penetranti che sembravano volessero trafiggerla. Quello che non capiva era il perché di tanta ostilità nel suo sguardo. Solo perché si trovava lì?
«Stavo eggiando…» «Uh, eggiando!» Pronunciò la frase accompagnandola da una risata sprezzante. «E come mai eggi di notte?» Sarah era spaventata da quello sguardo. Sembrava volesse ucciderla e, se pur sempre più lentamente, continuava ad avvicinarsi in modo pericoloso. «Perché, non mi è consentito?» Questa volta rispose con voce ferma, improvvisando una sorta di arrabbiatura nel tono, ma dentro era divorata da una paura folle. «E come sei arrivata qui? Sentiamo». Era strano come quel tipo miscelasse nel tono finta tranquillità a durezza come il granito. La musicalità della sua voce era una costante variante. «Dal sentiero» rispose lei laconica. La risata che uscì dalla bocca di lui non era per nulla rassicurante. Si avvicinò di nuovo, pericolosamente, ed era solo a tre piedi da lei. Sarah, se pur la luce fosse davvero poca, riuscì a vederlo perfettamente in volto, per la prima volta. Nonostante quello che lui sosteneva però, lei non lo aveva mai visto prima di allora. «Finiamola con i giochi, Alys. Lo sai che non mi piacciono!» La intimò con voce grave. Sarah trasalì quando udì come la chiamò. «Non sono Alys, io non…» «Hai valicato un velo di incantesimi,» la interruppe lui, «tra i più potenti, creati per proteggere questo tempio e giochi con me dicendomi che eggiavi e che non eri qui per la Profezia? Ma mi hai preso per uno stupido?!» «Non so come ho fatto a oltreare il velo, forse…» si portò la mano al collo per prendere tra le dita la Stella e ricordò, solo in quel preciso istante, che Renea gliel’aveva fatta consegnare il giorno del suo arrivo a Dervel. Per cui non aveva nemmeno quella da esibire e, ora che ci rifletteva, se non era stata la Stella a farle valicare il famoso velo, come aveva fatto lei da sola a riuscirci?
«Continua, ti ascolto». Il tono ora era accondiscendente, lo stesso tono che si usa con i bambini che hanno difficoltà a recepire i messaggi, ovvero maledettamente fastidioso. «Non ho idea di come io abbia fatto, okay? Mi dispiace, ora me ne vado!» Sarah si mosse di qualche o ma, quando gli fu accanto – non aveva altre vie di uscita se voleva andarsene – lui la prese per un braccio. «Ma dove credi di andare?» Le chiese con voce minacciosa. Sarah cercò di divincolarsi ma non ci riuscì. Lui era troppo forte per lei, le sue mani sembravano essere una presa d’acciaio. «Per favore, lasciami andare, giuro che qui non ci metterò più piede!» Urlò con le lacrime agli occhi. «E giuri anche di non conoscermi? Perché so che stai recitando!» I loro volti erano vicinissimi, Sarah riuscì a sentire il suo respiro, la sua rabbia e il suo profumo, e lei era spaventata di averlo così vicino a sé. Qualcosa le diceva che non le avrebbe mai fatto del male, ma era chiaro che comunque fosse molto adirato nei suoi confronti. «Io non ricordo nulla di quando ero…» «L’amnesia di cui tutti parlano? Ma per favore! Hai ingannato Morgana, hai ingannato Faye, ma non ingannerai me!» Faye? Questo tizio conosceva Morgana e… Faye? «Tu credi a ciò che vuoi credere, ma forse sei tu che stai ingannando te stesso in questo modo!» Lui la lasciò andare di scatto, con un gesto pieno di furore e rabbia e Sarah, che non se l’aspettava, barcollò sulle proprie gambe rischiando quasi di cadere. «Vattene da qui, o ne pagherai le conseguenze!» Le ingiunse col tono minaccioso di chi non ammetteva repliche. Sarah lo guardò solo per qualche secondo, poi si voltò e ripercorse il sentiero da dove era venuta su gambe malferme che sembravano dovessero cedere da un momento all’altro. Quando fu sufficientemente lontana, si fermò, riprese il fiato
che sembrava mancarle e si voltò verso il tempio. L’uomo non c’era più e nemmeno il tempio… Colta da una paura indefinibile, pensò velocemente a dove andare. Dopo ciò che era successo, era meglio tornare all’alloggio o andare da Faye? Era tentata di tornare alla sua dimora, ma il desiderio di sapere chi fosse quell’uomo prese il sopravvento, e sapeva che solo a Faye avrebbe potuto chiederlo. Morgana avrebbe fatto troppe domande e, potendo scegliere, preferiva evitarle. Decise così di raggiungere la cima della collina e attendere Faye, sperando non fosse troppo tardi. Anche se le gambe non erano perfettamente stabili dopo lo spavento che aveva preso, si incamminò verso la cima della collina e, di lì a pochi minuti, arrivò alla meta. Non dovette attendere molto per vedere quella magnifica e surreale luce luminosa che rappresentava la cavalcata dei cavalieri e delle dame faêran. E, tra loro, circondata da un fascio di luce, avvolta da uno splendido vestito di quella che doveva essere seta, di color verde smeraldo, c’era Faye: bellissima come una dea, così bella quasi da non essere reale. Notò che i destrieri sembravano quasi cavalcare a qualche centimetro da terra. Ma forse, tutto era possibile per i faêran. Di lì a poco, il volto di Faye si voltò nella sua direzione e, sul suo bellissimo viso, comparve un sorriso che di lì a poco si adombrò un po’ e Sarah si chiese il motivo. Fu da lei nel giro di pochissimi secondi. «Svelta sali, e raccontami che cosa ti è successo. Sei così pallida da far paura!» Sarah accettò volentieri la mano che Faye le porgeva e dopo aver messo un piede sulla staffa, si diede una spinta e riuscì a salire dietro a Faye: il cavallo era stato amabilissimo. Avrebbe quasi giurato che, per facilitarle la salita, si fosse ridotto di dimensioni, ma si disse che quella visione era solo frutto dello spavento che aveva preso. Avviatosi verso gli altri faêran, Sarah prese a parlare. «Ho avuto un incontro alquanto singolare, al Tempio, con un tizio che dice di conoscermi, o meglio, di conoscere Alys, e di conoscere te, ma io non so chi sia!» «E così, alla fine, tu e Ethan vi siete incontrati!» Dettò ciò, Faye scoppiò in una risata, ma Sarah non lo trovò per nulla divertente. «Intendi l’Ethan di Cheryl? E che c’entro io in tutto questo?» Il cavallo sembrava volare, talmente era forte la velocità a cui andava; Sarah si tenne ben salda a Faye, sperando di non cadere a terra, non era mai salita su un cavallo e non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire cavalcare.
«Rilassati Sarah, Aleksandr non ti lascerà cadere!» Sarah provò ad allentare un pelino la presa e notò che in effetti era come calamitata al cavallo, come se non potesse muoversi nemmeno a volerlo. «Che succede, Faye? Sono incollata al cavallo!» Il rumore degli zoccoli quasi impediva di riuscire a udire le voci. Ma, come seppe in seguito Sarah, i faêran avevano grandi capacità di udito, così come di vista e di qualunque altro senso. «È opera di un incantesimo, non ti preoccupare. Se così non fosse, tu saresti già finita a terra da un bel pezzo!» Dal momento stesso in cui il cavallo aveva cominciato la sua corsa, Sarah aveva tenuto gli occhi chiusi, proprio non le riusciva di tenerli aperti. Eppure, ci fu una frazione di secondo in cui fu tentata di aprirli e così fece. Quello che vide fu indescrivibile: tutto attorno, l’ambiente circostante, ava davanti ai suoi occhi alla velocità della luce, in modo quasi surreale. Erano come le sequenze di un film all’acceleratore, non riusciva quasi a vedere nulla. La paura la portò a richiudere gli occhi. Non seppe quanto durò quel viaggio, forse pochi istanti, o forse molte ore, tutto lì era incalcolabile. Sentiva solo il vento sferzarle i capelli in modo così forte da percepire quasi delle piccole frustate ogni qualvolta questi le ricadevano sulla schiena. Il senso di libertà che provò durante quella folle corsa, fu qualcosa di indescrivibile, una sensazione di gioia e di risveglio dei sensi, mai provata prima di allora. Era come se, nella vita, non avesse mai sentito niente di così inebriante. Tranne forse che con Mark… Per tutta la corsa, Sarah e Faye non si dissero nulla, parlare era quasi impossibile e comunque sapevano perfettamente che, una volta giunte alla meta, ne avrebbero avuto tutto il tempo. Quando il tragitto giunse alla fine e i cavalli allentarono la loro corsa, Sarah riuscì a rilassarsi e ad aprire gli occhi. Prima di mettere a fuoco quello che le stava attorno, si accorse di avere tutti i muscoli irrigiditi dalla tensione nervosa. Poi, quando prese a guardarsi attorno, i suoi occhi osservarono stupiti e increduli. I cavalieri e le dame faêran stavano scendendo da cavallo con una grazia ed eleganza che potevano appartenere solo alla loro razza, e il paesaggio tutt’attorno era talmente incredibile da mozzare il fiato. «Ehi, scendi o resti su?»
Sarah guardò in direzione di Faye e la vide con il braccio allungato nella sua direzione e lo sguardo divertito. Aiutata dall’amica scese dal destriero e, come quando vi fu salita, trovò talmente semplice quel gesto da apparirle quasi surreale. Ma, ancora più surreale, era il paesaggio che la circondava. Si rese conto che quella era un’isola, assurdo ma vero, e loro erano proprio sulla riva. «Ma da dove…» non riuscì nemmeno a formulare la domanda tanto era scioccata dall’eventualità che i suoi pensieri potessero rispecchiare la realtà dei fatti. «Abbiamo volato, Sarah. Non dirmi che hai tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo? Ti sei persa la parte migliore!» Faye rise di gusto e così anche alcuni faêran che avevano udito la conversazione, tra i quali riconobbe Aourell. «Abbiamo… Sul serio?» Sarah scosse la testa incredula. Erano cavalli volanti? Ma come era possibile? Ecco perché la strana sensazione che non toccassero terra. «Vieni con noi ora, ti conduco al mio castello. Chissà se risveglierà in te qualche ricordo!» L’espressione di Faye era decisamente scettica. L’isola dove si trovavano era ricca di una vegetazione rigogliosa, con piante piene di frutti, benché si trovassero fuori stagione. I fiori erano incantevoli, di ogni qualità e dalle sfumature più ricercate. «Mio Dio…» esordì Sarah estasiata. «Tutto, qui, è così… È così meraviglioso!» «I faêran hanno il potere di far crescere piante con frutti sublimi, ricchi di sapore e sostanza, e i fiori più belli, in tutto l’arco dell’anno». A dimostrazione di ciò, Faye si abbassò a terra, sfiorò delicatamente un fiore ancora in bocciolo e questo germogliò in tutto il suo splendore. «Ma è incredibile…» «Non solo». Detto ciò, Faye si avvicinò a una pianta non molto alta, prese una pesca e gliela porse. «Assaggia». Sarah fece per portarsela alla bocca ma si fermò bruscamente. «È vero che chi
assaggia cibo o bevande faêran si trasforma o cose del genere?» Faye la guardò accigliata, le mani sui fianchi, dapprima pensierosa, poi disse: «Hai parlato per caso con quel giovane, affascinante, bardo? Com’è che si chiama?» «Joel». Sarah colse l’allusione e fece una smorfia di dissenso. «Mi sembra quasi di vedervi insieme, a eggiare e raccontarvi storielle!» Detto ciò scoppiò in una fragorosa risata. «Stai per caso cercando di far ingelosire il tuo Mark?» «Ma è vero o no? La posso mangiare senza pagarne le conseguenze?» Faye, che colse il desiderio di Sarah di cambiare argomento, cominciò a incamminarsi e rispose: «No che non ne pagherai le conseguenze, hai sangue faêran, come potresti?» «Già che ci sei spiegami anche questa cosa,» le disse cercando di starle dietro. Tutti i faêran si stavano incamminando su un bellissimo prato che sembrava essere velluto. La luce che la luna irradiava era di gran lunga più intensa che in tutti gli altri luoghi che Sarah avesse mai visitato, sembrava che dei fari invisibili illuminassero il territorio circostante. «Quando saremo dentro, mia cara, avrai tutte le risposte che vorrai, poiché la mia l’ho già avuta». «Cosa intendi?» Sarah notò che il modo di parlare di Faye era alquanto enigmatico, di difficile interpretazione e, come sospettò, la risposta a quell’ultima domanda non le giunse. Sarah e i faêran percorsero una strada lastricata in pietra che giungeva sino alla costa, serpeggiava intorno alla baia e poi risaliva sulla dorsale del promontorio, per terminare al castello. In origine, il palazzo era stato costruito per essere un castello inespugnabile e manteneva tuttora le sue difese esterne, benché non ce ne fosse un reale bisogno, attraverso torri di guardia merlate. Il viale d’ingresso, che si snodava attraverso un appezzamento di terreno tenuto a parco, conteneva una maestosa fontana dove c’erano gioiose ragazze all’interno che si spruzzavano d’acqua. Dalla loro bellezza, Sarah ne dedusse che dovessero esser ragazze faêran.
Avvicinatasi al castello, illuminato da intense luci, Sarah notò che sembrava essere costruito in materiale di cristallo. «Ma…» «Stupita? Tutto quello che vedrai qui rispecchia quanto più c’è di naturale, non come i mortali che hanno fatto uso di materiali per nulla salutari distruggendo oltretutto la natura in modo irreversibile. L’intero palazzo è costituito da cristallo. Eccezion fatta per i portoni e la mobilia che si alternano al legno di quercia. Il portone di ingresso invece è di ossidiana, mentre i gradini di ametista… Te ne intendi di cristalli?» «Abbastanza… Ho approfondito le mie conoscenze di recente, con dei libri che mi ha prestato Cheryl e che appartenevano a Alys». «Ovvero a te. Nemmeno il castello ti ha riportato alla luce nulla, tu sei un caso disperato! Dai, ora entriamo, ti farò indossare un abito degno di un faêran e voglio sperare che tu, nel frattempo, darai un morso alla pesca, cosicché si possa avviare la tua trasformazione! Da che tu l’avrai assaggiata, bramerai dal desiderio e dal tormento di vivere qui, desiderio che col tempo ti porterà alla morte!» Sarah la guardò, gli occhi sbarrati dall’orrore, la pesca a mezz’aria. Faye scoppiò in una risata argentina. «Ma ci credi sul serio?» Per dimostrare il contrario, diede un morso alla pesca, e il sapore che le giunse dal frutto fu di una squisitezza mai provata prima. Con gli occhi increduli, lanciò uno sguardo a Faye che le sorrise soddisfatta. Entrata all’interno del castello, di per sé magnificente con la sua imponente struttura cristallina, le torri di avorio e la luce che lo rendeva imponente e maestoso, Sarah si fermò esterrefatta per la sorpresa di quel che vide: situato poco dopo l’ingresso, c’era il salone principale dedicato, si supponeva, ai banchetti, dove crescevano indisturbati un enorme quantitativo di piante e fiori di ogni genere; il pavimento era composto da erba sottile, quasi impercettibile e, nello spazio sovrastante, volavano tranquilli e allegri deliziosi uccellini e farfalle di ogni genere e colore. Sarah fece per parlare ma la voce le morì in gola.
«Non te l’aspettavi, vero? Sei sorpresa o scioccata? Percepisco entrambe le emozioni! Vieni Sarah, muoviti, siamo già in ritardo, dobbiamo ancora parlare e vestirci, tra un po’ cominceranno le danze e i faêran non possono iniziare senza la loro regina!» Sarah seguì Faye ancora avvolta nel totale silenzio e, mentre avanzavano, si accorse che i faêran si inchinavano al aggio della loro regina, gli uccellini cinguettavano e le farfalle le seguivano rendendo l’atmosfera ancora più surreale. Faye la condusse a un’enorme scalinata composta da quello che Sarah notò essere quarzo rosa. Era stupenda: ai lati, dove c’era il corrimano, cresceva una pianta rampicante a lei già nota ma di cui non conosceva l’esatto nome. Salite al piano di sopra, lo scenario non cambiava: c’erano altre piante e altri fiori, oltre che gli uccellini. Sarah notò un graziosissimo tavolino che, più che essere fatto di legno, era una pianta ancora vivente. Nel mezzo sembrava essere stata intagliata per prendere appunto la forma del tavolo; crescevano, nel suo interno, primule, lillà, violette, nontiscordardimé e altri fiorellini tipicamente primaverili e, considerato che era metà agosto, ciò era piuttosto inconsueto. Lungo il corridoio c’erano i biancospini. Quando Faye notò che Sarah si era fermata ad osservarli, le spiego: «I faêran amano tutte le qualità dei fiori bianchi e il biancospino è il più amato tra questi. Qualunque mortale ne spezzi i rami per portarli al chiuso nelle case viene maledetto». Sarah deglutì spaventata. «Maledetto? E come possono gli umani saperlo?» «Mentre spezzi un fiore, decidi di porre fine alla vita del fiore stesso,» le rispose. «Non è vero, i fiori vivono per molti giorni nell’acqua, se pur recisi» obiettò Sarah. «Certo, anche gli umani vivono anche senza braccia e gambe, non per questo se li amputano, giusto?» «Non è la stessa cosa, i fiori non soffrono…» «Tu non li senti soffrire perché non hanno la voce per urlare. Noi amiamo e difendiamo la natura».
Il tono che usò Faye era di quelli che non ammetteva repliche e Sarah non se la sentì di prorogare la sua causa, avrebbe finito per rovinare la serata e una bella amicizia, così si limitò a dire: «Mi ricorderò di non portare in casa biancospini recisi». Dopodiché fece un mezzo sorriso e Faye scosse la testa. «In questo non sei cambiata,» commentò la regina dei faêran. «Che vuoi dire?» volle sapere lei. «Anche quando tu eri Alys, le nostre conversazioni finivano sempre in questo modo, con tu che facevi battute accondiscendenti per non farmi infervorare, quando invece, sul tuo sguardo, leggevo la chiara espressione che quello che pensavi era tutto il contrario. Sei davvero complicata e difficile da gestire. Noi faêran non mentiamo mai». «Anch’io non amo mentire, che vuol dire? Ho capito semplicemente che questa era una battaglia persa, tutto qui». Faye la osservò per qualche istante, lo sguardo divertito, dopodiché si voltò e riprese a camminare. Giunta davanti a una enorme porta di ossidiana, l’aprì e la varcò facendo entrare Sarah dopo di lei: quella doveva essere la camera da letto di Faye ed era semplicemente splendida. Era di una tonalità che rispecchiava il colore verde quasi in tutto, a partire dal letto a baldacchino, con lenzuola in seta color smeraldo e la specchiera che doveva essere composta proprio da smeraldo, con naturalmente lo specchio che rifletteva luci simili all’arcobaleno. Sulle pareti c’era dell’edera rampicante e ovunque piante e fiori. Sul soffitto, Sarah notò che c’erano mille piccole luci che davano l’idea che fosse trapuntato di stelle. Quando Faye si accorse di dove era rivolto il suo sguardo, spense ogni possibile luce e lo spettacolo divenne ancora più incredibile: sembrava di osservare il firmamento. «Che cosa sono quelle luci?» Chiese incapace di staccare lo sguardo dal soffitto. «Tu che cosa credi che siano?» Ma Faye non diede il tempo a Sarah di rispondere che aggiunse: «Quello che stai guardando è proprio il cielo, con tutte le costellazioni». Il modo in cui lo disse sembrava il più naturale possibile. «Non capisco… Vuoi dire che non c’è il soffitto?» Chiese stupita. «Eppure dall’esterno si vedevano le torri di guardia e…»
«No, non c’è il soffitto e le torri di guardia sono frutto di un incantesimo. Beh, le torri di per sé ci sono, ma intendevo dire che sono prive di copertura, come tutto il castello del resto. Noi amiamo stare in stretto contatto con la natura, avere sopra di noi le stelle con la luna, oppure il sole di giorno…» «E se piove?» la interruppe Sarah incuriosita. Faye si sedette su una graziosa poltroncina con morbidi cuscini rivestiti di tessuto di colore verde. I braccioli erano di giada. «Se piove vediamo scendere l’acqua, ma l’acqua qui non entra. Abbiamo il potere di controllare il tempo, gli elementi, come lo aveva Alys, anche se lei poteva farlo solo se indossava il diadema…» «E qui siamo giunte al discorso Alys… sono tante le cose che ti devo chiedere, che ho sentito e non comprendo…» «Da Joel il bardo, immagino». «Anche» rispose Sarah sincera. «D’accordo, ti dirò ogni cosa. Prima però rispondi tu a una mia domanda: perché te ne sei andata da Livingston?» Sarah abbassò lo sguardo, il pensiero andò automaticamente a Mark e l’umore declinò. Sollevando di nuovo gli occhi verso Faye, rispose: «Tra me e Mark è finita». «Questo me lo avevi già detto. Ma che cos’è successo?» Faye fece cenno a Sarah di sedersi accanto a lei e così fece. «Beh… Non è così semplice da spiegare. Quando io e Mark vivevamo nel regno di Argantel…» «Come ne siate usciti vivi non me lo spiego proprio,» la interruppe Faye ridendo e Sarah fece un mezzo sorriso. «Continua, ti prego». «Quando noi vivevamo là, lui non ricordava nulla della sua vita a Livingston e tutto sembrava essere perfetto tra noi». Sarah fece una pausa. «Quando poi siamo andati a Livingston, è cambiato tutto. Lui ha ricordato e…»
«Se gli è tornata la memoria è stato un bene» asserì confusa Faye. «Lui lì stava con una ragazza da tre anni ed era una storia decisamente più salda della nostra, perché lui non ha mai smesso di amarla». Faye la guardò in silenzio, lo sguardo fisso su di lei che sembrava quasi essere implacabile, la fronte leggermente corrucciata. «E questo te l’ha detto lui… Prima o dopo che ti chiedesse di sposarlo?» Sarah capì dove voleva arrivare Faye. La giudicava paranoica. Okay, Mark le aveva chiesto di sposarlo, ma non voleva dire niente, insomma, lo aveva fatto per accontentare suo padre, per uno stupido accordo, così da poter vedere Lynn ogni qualvolta lo desiderasse senza che il padre avesse nulla su cui obiettare. Era così semplice! Ma quando raccontò a Faye tutto quanto, senza tralasciare nessun dettaglio, senza omettere nulla, riferendole ogni singola parola della loro lite poco prima della loro festa di fidanzamento, Faye scoppiò in una fragorosa risata e sembrava non riuscire a smettere! Sarah la guardò irritata, lanciandole occhiatacce di fuoco che non intimorirono Faye che sembrava sarsela di brutto. Per smettere di ridere, si portò le mani sul viso, sembrava quasi che le scendessero delle lacrime, talmente si era sforzata. «I faêran piangono, per caso?» Le chiese acida Sarah, così che la smettesse. «A volte, ma noi siamo gente allegra, non ci deprimiamo facilmente, soprattutto non ci creiamo tutti i problemi che ti fai tu. Ora ti dirò cosa penso di tutto quello che mi hai raccontato. Dunque,» esordì, «tu e Mark vi amate alla follia e avete la sfortuna di conoscervi, o meglio, di ritrovarvi proprio da Argantel. Poi tornate a Livingston e Mark riacquista la memoria e con essa riscopre la sua vita di prima, tra cui i doveri, gli amici e quella fasulla storiella con quella Lynn. Lui lascia Lynn anche se, per la mansione che svolge la ragazza, molto discutibile tra l’altro, ciò lo porta a vederla frequentemente. Lynn è sicura di sé e sa cosa vuole e come ottenerlo. Tu sei ritornata in questa con mille insicurezze e cominciano a sorgerti le paranoie». Faye vide Sarah che stava per alzarsi e andarsene ma la fulminò con lo sguardo e protese una mano nella sua direzione per ordinarle di tornare a sedersi, cosa che Sarah fece. Quindi, continuò: «Non metto in dubbio che Mark si sia comportato da idiota, per carità, sto solo cercando di dirti che, invece di lottare, tu hai dato campo libero a Lynn, le hai servito Mark su un
vassoio d’argento. È in questo momento che devi temere di perderlo, non dovevi temerlo allora che stavate per sposarvi e, comunque, nulla è ancora perduto». «Non ne voglio più sapere di lui!» Sbottò Sarah arrabbiata. «E ti chiedi perché lui non si sia fatto ancora vivo? Evidentemente ti conosce bene e ti sta dando del tempo per rinsavire». «Ti avviso che se non cambiamo argomento me ne vado sul serio». «D’accordo, ma solo una cosa: lui non ti avrebbe mai sposata per uno stupido accordo tra tua madre e suo padre!» «Non chiamare quella donna mia madre, per favore!» Esclamò seccata Sarah. «E comunque,» proseguì con tono sostenuto, «perché la sera che mi ha chiesto di sposarlo, invece che rimanere con me, è andato da lei? Sono stata nel corridoio ad attenderlo per un’infinità di tempo e lui è rimasto da lei!» «Magari era sul serio stanco, come ti aveva detto…» «Stanco per me ma non per lei?» La interruppe piena di rabbia mista a dolore. «E allora che cosa credi? Che prima ti chiede di sposarlo e poi finisce a letto con quella? Non ha senso Sarah!» Il motivo per cui Faye prorogava la causa di Mark le era oscuro. «Per me invece ne ha. Non mi ha mai difesa, ha saputo solo accusarmi e null’altro. È questo quello che fa una persona che dice di amarti? E se aveva la coscienza tanto pulita, perché non mi ha mai parlato di lei?» «Non lo so, non so che cosa lo abbia portato a comportarsi in questo modo, ma… Io credo realmente che lui non ti abbia mai tradita». Faye fissò il vuoto qualche istante e nella stanza calò il silenzio, fino a quando fu di nuovo lei a riprendere a parlare. «Che cosa mi volevi chiedere?» Detto ciò si alzò, si mosse in direzione di un graziosissimo tavolino che aveva gambe dorate e prese due bicchieri, nei quali versò un liquido di colore simile al vino bianco. Forse era proprio vino. Prese i bicchieri e ne porse uno a Sarah. «Che cos’è?» Afferrò il bicchiere e ne sentì il profumo. Non era vino.
«Idromele, il nettare degli dei». Faye le stava sorridendo. «Provalo, è buono». «Che cos’è l’idromele?» Sarah portò il bicchiere alle labbra e ne bevve un po’, il sapore era qualcosa di sublime. «L’idromele è miele fermentato unito a acqua. In questo però c’è anche della frutta, il che lo rende ancora più gradevole, soprattutto perché è composto dai miei ingredienti preferiti e segreti!» Detto ciò, Faye si sedette di nuovo sulla poltroncina, si appoggiò allo schienale accavallando le gambe e ne bevve un lungo sorso. Sarah, che ne aveva sorseggiato un po’, posò il bicchiere sul piccolo tavolino che c’era tra lei e Faye, e quindi si decise a porle la domanda che più le premeva: «Chi è Ethan?» Faye fece un lungo respiro, bevve tutto il liquido del suo bicchiere, quindi rispose: «D’accordo, ti racconto tutto. Arrivati a questo punto, non posso fare altro. Considerato che vivi a Dervel, c’è la possibilità che vi rivediate di nuovo ed è meglio che tu sappia». «Sappia cosa?» «Se starai zitta e mi lascerai parlare per qualche minuto, saprai tutto. Partiamo dall’inizio. Alys e Ethan erano amanti». Lo stato d’animo con cui Sarah apprese la notizia fu simile allo shock: non riuscì a parlare subito, doveva metabolizzare e razionalizzare. Lei e Ethan, o meglio, Alys e Ethan erano stati amanti. Erano stati amanti nel senso comune della parola? Cioè, loro erano stati… Come lei e Mark? «Ti senti bene?» Le chiese Faye in parte preoccupata e in parte divertita. «Sei leggermente… pallida». «Io e… cioè, Alys e… erano… nel senso che…» Faye scoppiò in una fragorosa risata. «Tu e lui, o meglio, Alys e lui erano amanti nel senso che si frequentavano, stavano insieme e… Si comportavano come amanti. Ti devo descrivere il tutto o ci arrivi da sola?» Sarah si irrigidì sulla poltroncina, non si mosse di un millimetro, le braccia stese
sui bracciali, con le mani che li stringevano inconsciamente. «Per cui, lui, stando a quanto mi è dato capire, mi ha riconosciuta e crede che io stia mentendo sul fatto che non ricordi nulla di me e di lui… beh di Alys e di lui, hai capito cosa intendo… per questo mi ha detto che ho ingannato te e Morgana ma non lui…» Sarah stava parlando più a se stessa che a Faye. Santo cielo, che casino vivere più vite! Già era stato allucinante con Mark… E al ricordo di lui provò una fitta al cuore. «Tutto è cominciato con un sogno». «Cosa?» Faye era confusa, non capiva a che cosa si stesse riferendo. «I problemi tra me e Mark… Sono cominciati con un sogno che ho fatto. Sognai che mi trovavo con lui, era notte e c’era una bellissima luna piena che però era come circondata da uno strano fascio di luce. Poi è comparsa Lynn, lui è andato da lei e si sono baciati. E poi si è presentata una scena molto simile… E tutto ha preso la piega di quel sogno.» «Beh, le visioni, a quanto pare, ti sono rimaste, ma… Non è detto che corrispondano esattamente alla realtà. Alcune le rispecchiano, altri sogni rispecchiano invece le paure. Di sicuro, quel sogno era un avvertimento di quello che sarebbe successo tra te e Mark. Soprattutto…» Faye si soffermò a soppesare le parole, «soprattutto l’aver sognato la luna circondata dalla luce, fin dall’antichità, ha un significato molto particolare». «E cioè?» Le chiese incuriosita. «Problemi d’amore» rispose con voce pacata. «Sai la novità! Comunque, chiusa questa breve parentesi, torna a parlarmi di Alys e Ethan, raccontami la loro storia». Sarah riuscì a rilassarsi un pochino e bevve un altro sorso di idromele, quando all’improvviso le venne in mente ciò che Joel le aveva raccontato a proposito di Alys. Alys aveva rinunciato alla sua vita nel regno dei faêran per un mortale e… «Era lui, vero?» Faye che stava per aprir bocca, si bloccò e poi chiese: «Cosa?» «Il mortale di cui Alys si innamorò e per il quale abbandonò il regno dei faêran… Era Ethan, vero?» «Lo sai perché stai ricordando, oppure?…»
«Me lo ha detto Joel. Mi ha detto che Alys era figlia di un re faêran…» «Del Supremo Re, ed è diverso,» la interruppe Faye. «Sul serio? Del Supremo Re? Comunque, era figlia del Supremo Re dei faêran e di una mortale. La madre a quanto pare morì poco dopo perché tutte le storie tra faêran e mortali finiscono in tragedia…» Sarah guardò con attenzione Faye in cerca di conferma a quell’affermazione. Faye si accigliò, scosse la testa, poi disse: «Sono stupide credenze dei mortali queste». «Ma il padre la cacciò per questo, giusto? Perché Alys si innamorò di un mortale e non approvava». Faye rifletté qualche istante, poi cominciò a parlare. «Il Supremo Re non la cacciò, tant’è che gli strumenti di potere di Alys furono forgiati dai faêran su ordine del padre di Alys, del Supremo Re in persona. Non approvò la relazione tra Alys e Ethan perché lui voleva di più per sua figlia. Voleva che sposasse un faêran, figlio di un sovrano di una corte e suo grande amico. Aveva grandi progetti per lei, ma Alys si innamorò di Ethan, incontrandolo per caso, come successe per i suoi genitori. Il Supremo Re non accettò mai questa storia, lui era molto semplice, Ethan intendo, e così fece pressioni alla figlia. Alys, che era ribelle nel vero senso della parola, abbandonò il mondo dei faêran e ti lascio immaginare l’enorme dispiacere del Supremo Re». «Ma perché se ne andò? Voglio dire, era così impossibile ragionare col Supremo Re faêran?» Sarah non riusciva a comprendere una scelta così drastica. «Il Supremo Re le pose una condizione: le disse che avrebbe accettato il mortale come compagno della sua vita se Alys avesse accettato di incontrare il figlio del re faêran al quale lui voleva dare in sposa». Sarah scosse la testa confusa. «E perché non accettò? Non sarebbe stato più semplice?» Faye le sorrise in modo tenero. «Vedi, il Supremo Re è molto potente e sapeva quel che stava facendo. Alys comprese che, nella sua richiesta, c’era qualcosa di poco chiaro. Temeva che, incontrando il giovane Principe faêran, se ne sarebbe innamorata, proprio come amava Ethan. E allora, che cosa avrebbe fatto?»
«Perché avrebbe dovuto innamorarsene?» «Secondo te, il Supremo Re, avrebbe posto questa condizione se non fosse stato certo di come fossero andate le cose? Di cosa avrebbe ottenuto?» Faye studiò l’espressione di Sarah, molto probabilmente stava pensando a quella possibilità. «Come si possono amare due persone contemporaneamente?» Chiese più a se stessa che a Faye. «Credimi, può succedere, per varie ragioni». «Allora Alys ha fatto la scelta giusta». Faye scoppiò in una fragorosa risata. «Sapevo che lo avresti detto!» Esclamò. Poi, tornando seria, riprese a parlare. «Continuando a raccontarti di Alys, come ti dicevo, scelse di andarsene, litigò col padre, una lite furiosa, tant’è vero che tutti i luoghi vicini a quella terra subirono terremoti e ci furono catastrofi naturali inspiegabili». «Addirittura?» Sarah era sconcertata da quella rivelazione. Erano così potenti i faêran? «Mai far arrabbiare un faêran! Comunque sì, accadde sul serio. Alys e Ethan vissero una bellissima storia d’amore e, Alys, dopo alcuni anni si riconciliò col padre. Fu il Supremo Re a cercarla e le fece forgiare i tre strumenti di potere come dono alla figlia». «Tra cui la stella,» commentò Sarah, portandosi la mano al collo e non trovandosela. «Fammi indovinare, te l’ha sequestrata Renea?» Chiese Faye con un lampo di divertimento negli occhi. «Già. Ma nonostante Alys avesse gli strumenti di poteri, venne uccisa? Perché? E chi fu l’assassino?» «Al momento dell’uccisione, Alys non portava al collo la sua collanina e questa cosa non se la riesce a spiegare nessuno. Aveva dei nemici, molti la temevano e altri la odiavano, come tutti del resto. Ma ne aveva due in particolare, un uomo e una donna. Che erano due amanti. Volevano i suoi strumenti di potere ma non
solo. Lui…» «Leodogran?» Intervenne Sarah colta dalla folgorazione di ciò che Cheryl le disse tempo fa. «Come lo sai? Chi te lo ha detto?» «Cheryl, quella volta che ebbi occasione di parlare con lei». «Oh… la nostra Cheryl si è presa questo disturbo,» commentò sarcastica Faye alzando uno sguardo al soffitto composto dal manto di cielo stellato. «Ma se ora Ethan e Cheryl stanno insieme…» «Cosa, cosa, cosa?» Si mise quasi a urlare Faye alzandosi in piedi. Camminò nervosamente per la stanza e poi si voltò furibonda, sembrava persino più imperiosa e alta di come lo era in realtà. Aveva detto mai fare arrabbiare un faêran, e ora che cosa sarebbe successo? «È questo che ti ha raccontato? Quella brutta stupida!» «No, senti, lei…» «Lascia solo che lo dica a Ethan e…» «Faye, ascoltami ti prego!» Sarah si alzò a sua volta, ma cercare di catturare la sua attenzione divenne un’impresa estenuante. «Lei mi ha detto solo di aver fatto l’amore con lui e…» «L’amore con lui, ma sentila!» Sbottò irosa Faye. «Si è trattato di Beltane, una notte di sesso e stop! Sai quanto gliene frega a Ethan di Cheryl!» «Ma sono cresciuti insieme, giusto?» «Ah, è questo che ti ha detto?» Faye era fuori di sé, e continuava a camminare a grandi i nella stanza. «Si saranno visti sì e no un paio di volte! E, specifico, per puro caso!» «Senti, Faye, calmati per favore… Oh, Dio, chissà cosa starà succedendo là fuori!»
Faye si fermò di botto e guardò Sarah in volto: la ragazza era spaventata. «Che vuoi dire?» Chiese con una calma surreale, considerata la furia di poco prima. «Beh, tu hai detto che quando un faêran si arrabbia succedono tutte quelle cose e…» Faye continuò a osservarla prima confusa, poi con un’espressione divertita, quindi, con tono più rilassato disse: «Sì, ma… Non è che tutte le volte succedono catastrofi!» Sarah sembrò rilassarsi un attimo. «Bene, temevo in qualche terremoto o… uragano, o altro… quindi,» proseguì riacquistata la calma, «c’erano queste due persone che la odiavano, questo Leodogran e…?» Sarah guardò Faye facendole cenno di proseguire. «Lei si chiamava Medelinn». «Simpatico come finisce il nome. Mi suona familiare!» La interruppe Sarah sarcastica. Faye colse l’allusione sorridendo, poi continuò il suo racconto con tono grave. «Alys raccontò, sia a me che a Ethan, che Leodogran si era invaghito di lei e aveva cominciato a perseguitarla, minacciandola. Medelinn suppongo se ne fosse accorta perché lui non dava tregua ad Alys». Faye stette in silenzio qualche istante, sopraffatta dai ricordi. Poi, continuò: «Alys più che spaventata era irritata da tutto ciò, e ogni volta che trovava Leodogran tra i piedi lo derideva e lo mandava a quel paese, minacciandolo a sua volta di starle alla larga. Poi, tutto diventò fuori controllo: Alys divenne irrequieta ma si confidò ben poco con noi. Io e Ethan ritenemmo che stesse cercando di risolvere la faccenda da sola. Fatto sta che, in qualche modo, nonostante fosse davvero potente, lui o Medelinn, o entrambi, questo nessuno lo sa, la uccisero». «Perché si era tolta la Stella se ciò poteva proteggerla? È stato un gesto stupido, ti pare?» «Alys non era stupida, se l’ha fatto… Io non lo so, c’è qualcosa che a noi sfugge». «E sono stati loro a prendere gli strumenti di potere?» Volle sapere. Sarah, nel porre la domanda, notò un certo fermento di persone nei giardini del palazzo.
«Probabile. Ma chi lo puoi dire? Speravamo tu ci potessi svelare i misteri ma… Amnesia!» Faye rise, guardando oltre la finestra. «Perché Ethan pensa che io stia mentendo?» «Perché non è mai successo che una persona avesse questo genere di amnesia. Tu sei un caso un po’ particolare! Hai altre domande? La festa di mezza estate sta per cominciare». «Solo una. È vero che c’è sangue faêran nelle mie vene?» Quella domanda se l’era posta nel momento stesso in cui Joel gliel’aveva detto. Ma com’era possibile? «Sicuro. Altrimenti come faresti a vedermi?» Chiese stupita da quella domanda. «Ma com’è possibile? Voglio dire, si dice che io sia la discendente di Alys… È per parentela? O perché nell’altra vita ero lei? O per che cosa?» «Ferma, ferma, che confusione!» Faye pose le mani in avanti per zittirla. «Che assurdità dici mai? Tutti sono partiti con la storia della discendente, ed è vero, ma non nel senso che intendi tu o che intendono gli altri, voglio dire, sarebbe impossibile discendere da Alys, lei morì che era giovane, senza dare alla luce figli e, poi, francamente, con tutti i secoli che sono ati, te ne sarebbe rimasto ben poco di sangue faêran». «E quindi? Non capisco…» in effetti aveva dato per scontato troppe cose. Come poteva essere discendente di Alys se la sacerdotessa era morta giovane senza aver avuto figli? E allora, in che modo poteva esserlo? Che Renea avesse sangue faêran? Che fosse lei stessa faêran? Oppure… «Tuo padre, e vedo che molte persone ti hanno taciuto troppe cose, è un faêran. Il Re Supremo, per l’esattezza. Ebbene, la storia si ripete!» Sarah rimase con la bocca spalancata per lo stupore. Suo padre cosa? Lei era cosa? Troppo scioccata per parlare, per porre domande o per emettere un qualunque suono, si incamminò verso la poltroncina e si sedette, le braccia appoggiate sulle ginocchia, in preda a riflessioni che mai avrebbe creduto di fare. Lei era davvero per metà faêran? Figlia del Re Supremo? E perché nessuno le aveva detto niente?
«Ma…» cominciò senza sapere nemmeno lei cosa dire. «Renea dice che sono nata da una notte di… Beltane. Quindi non è vero?» «Tu le hai chiesto chi era tuo padre?» Le chiese Faye inarcando un sopracciglio. «Sì, esatto». «Beh, lei ti ha voluto liquidare in questo modo. Non era nel suo interesse dirtelo e poi, francamente, è una cosa che poche persone sanno. Io l’ho saputo… per caso». «E perché lei e… Il Supremo Re non stanno insieme?» Sarah si accorse di avere la gola improvvisamente secca e allungò la mano in direzione del bicchiere, lo prese, dopo di che bevve tutto l’idromele che c’era dentro. Forse non avrebbe avuto gli effetti del vino, ma aveva assolutamente bisogno di bere, qualunque cosa. «Perché altrimenti lei non sarebbe potuta restare la Somma Sacerdotessa di quel luogo, avrebbe dovuto rinunciare per sempre a quel ruolo e avrebbe dovuto lasciare Dervel per andare a vivere per sempre nel regno dei faêran e non era nel suo interesse, credimi». Sarah si fece pensierosa. Cos’aveva detto Morgana a proposito della Somma Sacerdotessa? Che la menzogna non era una sua prerogativa? Come no! «Lui lo sa? Mio padre lo sa che io… Esisto?» Perché c’era anche questa questione in sospeso. Lei aveva un padre. Lui sapeva della sua esistenza? «Sì, lo sa» rispose laconica l’amica. Sarah rifletté qualche istante, il volto incupito. «Per cui… Se lo sa, e non mi ha mai cercata, questo sta a significare solo una cosa…» «Ehi, ferma, non è affatto così. Lui vorrebbe vederti, credimi, ma non può farlo,» le spiegò l’amica cercando di rassicurarla. Sarah fece una smorfia di disapprovazione. «E perché non lo può fare?» «Questa è una piccola parte della storia che non posso raccontarti, Sarah. Non ancora, se non altro». Faye si era fatta improvvisamente seria. Aveva assunto
un’espressione grave. Cosa c’era di così grave in tutta quella storia? Quali altri segreti si celavano? «Per cui sono condannata,» si ritrovò improvvisamente a dire Sarah. «Cosa?» Faye la guardò assorta mentre pose quella domanda. «Sono condannata a vivere un’esistenza infelice!» Sbottò alzandosi improvvisamente. Vide che Faye la stava guardando in modo interrogativo. «Ma che stai dicendo, si può sapere?» Le domandò l’amica. «Sto semplicemente dicendo,» esordì gesticolando, «che la mia esistenza è condannata all’infelicità, perché se è vero che nelle mie vene scorre sangue faêran e se appartengo però a questo mondo, non potrò mai amare nessuno! Ecco perché tra me e…» non riuscì a terminare la frase. Disse invece: «Se mai avrò una storia d’amore, sarà destinata a finire in tragedia!» «Se ti può tranquillizzare,» cominciò Faye con un tono così calmo che per Sarah fu quasi fastidioso, «anche Mark ha nelle vene sangue faêran». Sarah si appoggiò alla prima cosa vicina a lei: un mobiletto intarsiato con rifiniture in madre perla. «Come?» Sul viso di Faye si stese un grande sorriso che le illuminò gli occhi. «Anche il tuo Mark ha sangue faêran. Ma non ti posso spiegare la ragione,» concluse la frase con un sorrisetto enigmatico sulle labbra. Tipico di Faye. Sarah ci impiegò un po’ a metabolizzare quanto aveva appena sentito, dopodiché lanciò uno sguardo di fuoco a Faye. Quest’ultima contraccambiò con uno sguardo divertito. Sarah si fece nuovamente pensierosa. Nella sua mente scorse un’immagine: l’anello di Mark. Ora capiva. Ora era tutto chiaro. Ecco da dove derivavano i suoi poteri: era un oggetto faêran! E lo stesso valeva per Andy! «Mark porta un anello che ha il potere di guarire dagli incantesimi. E anche Andy, il figlio di Morgana, ne ha uno simile. Sono oggetti faêran, non è vero?» Il motivo per cui il viso di Faye mutò improvvisamente d’espressione, Sarah lo seppe solo dopo molto tempo. In quel momento sorsero in lei molti interrogativi a cui però non diede voce. Per esempio: che significato aveva dato Faye a quella
frase? Faye riacquistò il controllo nel giro di pochi istanti, il viso perse il turbamento alla velocità della luce e rispose alla domanda di Sarah con una calma apparente. «Sì, sono oggetti faêran. Ma ora dobbiamo proprio andare. Tu, inoltre, ti devi ancora cambiare». Se anche Faye non mostrava più apprensione e sgomento, il suo viso era serio come Sarah non lo aveva mai visto. Vide la regina dei faêran dirigersi alla finestra e guardare oltre il vetro. Di lì a poco si udirono voci accorate provenire da fuori e una musica così intensa ed emozionante che a Sarah fece venir voglia di ridere e piangere allo stesso tempo. Sarah vide l’amica dirigersi verso un armadio cabina, aprirlo, entrarvi dentro e uscire poco dopo con un abito di seta bianco, bellissimo, su cui vi erano cucite gemme preziose. «Questo è per te. Dovrebbe piacerti». Faye glielo porse e Sarah lo prese sentendo sulla pelle la morbidezza del tessuto. «È magnifico, Faye… E se te lo rovino?» Chiese preoccupata. «Come potresti? E poi non m’importa. Ho centinaia di abiti come questo e tu non puoi venire a una festa faêran con quel vestito…» Faye arricciò il naso, poi concluse la frase: «…in cotone? Renea dovrebbe farti indossare abiti come si addice alla figlia di una Somma Sacerdotessa, non trattarti come una novizia qualunque! Tu sei Alys, per la miseria! Sei di gran lunga superiore a lei!» Sarah rimase piacevolmente colpita da quel commento, ma allo stesso tempo spaventata. È così che la gente la vedeva? Si chiese. Come Alys? Considerato che ora era consapevole di chi fosse realmente Alys, la cosa la turbava non poco. Se all’epoca aveva parecchi nemici, cosa le avrebbe impedito di non averli ora? «Senti, mentre ti cambi, raggiungo gli altri,» le comunicò Faye senza troppi preamboli. «Purtroppo si è fatto davvero tardi, e non posso raggiungere i miei sudditi a festa già cominciata. Tu non esitare ad usare tutto ciò che trovi, inclusi i gioielli che sono in quello scrigno,» aggiunse indicandolo sulla specchiera, «e a tutto insomma. Te la ricordi la strada per tornare giù, vero?» Sarah annuì senza manifestare il dispiacere che provava nell’essere abbandonata dall’amica, soprattutto ora che la conversazione aveva preso una piega
interessante. Ma Faye doveva realmente raggiungere gli altri, o stava scappando da qualcosa? Perché la domanda sugli anelli di Mark e Andy l’aveva così sconvolta? Da che aveva posto quel quesito, la regina dei faêran non aveva più mostrato un sorriso. Era arrabbiata per qualcosa, oppure semplicemente irritata o… cos’altro? E, lei, avrebbe mai scoperto di cosa si trattava? Quando Faye la lasciò, Sarah non perse tempo e si cambiò. Faye era più alta di lei e il vestito quasi toccava il pavimento, ma era stupendo e riusciva a sentirsi una regina. Si sentiva elegante, aggraziata e, quando si guardò allo specchio, un’espressione di stupore comparve sul suo volto. L’immagine che vide riflessa sembrava appartenere a un’altra persona. Per fortuna l’abito era lungo, così le scarpe ordinarie che portava non si vedevano. I capelli le scendevano come una cascata dorata sulle spalle. Si vedeva più bella di quanto lo fosse in realtà. Che fosse quello specchio a ingannarla? Non osò toccare nulla di ciò che apparteneva a Faye, ma fu incuriosita dallo scrigno e la tentazione fu così grande che lo aprì. Ogni sorta di gemme preziose, oro e platino, impreziosivano bracciali, collane e orecchini, oltre che spille e fermagli per capelli. Era quanto di più stupendo avesse mai visto nella sua vita e che mai avrebbe visto, ne era certa. Non si dilungò troppo, lo richiuse e si diresse alla porta. Percorse il corridoio e scese la scalinata: la sala dei banchetti era gremita di faêran e non solo. C’erano ninfe dei boschi, driadi, piccole creature che con ogni probabilità dovevano essere folletti, o così credette. Meravigliata, si fermò ad ammirare quelle persone, quel mondo che, sino a poco tempo prima, le era estraneo, il più bel mondo che avesse mai visto e per cui provò uno strano senso di appartenenza. Le grandi vetrate erano aperte e altri faêran, uniti alle più svariate e bizzarre creature, affollavano gli spazi aperti. Una musica soave, dalla melodia più incantevole che avesse mai udito, riecheggiava nell’aria, inebriandola di estasi e gioia. Sarebbe voluta rimanere lì per sempre. Mentre percorreva gli ultimi scalini, con i incerti, le gambe che tremavano, notò che i volti dei presenti si voltavano lentamente verso di lei; chi con sguardo di puro stupore, chi con curiosità, chi ammiccando e chi, dopo averla osservata a lungo, mormorava qualcosa ai vicini. Tutti si fecero da parte quando lei ò, nessuno la salutò, o si degnò di parlarle; ci fu solo un uomo, non mortale naturalmente, ma faêran probabilmente, che la guardò, le sorrise, dopodiché le fece un inchino. Sarah, per tutta risposta, gli fece un sorriso timido. Spiegare o definire la bellezza di un faêran sarebbe come riuscire a calcolare il numero delle stelle in una notte di agosto, o esprimere cosa si prova quando il cielo è
attraversato da una stella cadente. È impossibile, e quel faêran era circondato da un alone di luce, quasi che ne fosse rivestito. Il viso dagli zigomi alti, gli occhi travolgenti, scuri, e i capelli corvini. Ogni suo movimento rispecchiava una grazia che nessun essere umano aveva. Beh, nessun essere umano eccetto… Mark. Ma Faye le aveva detto che Mark aveva nelle vene sangue faêran. Che anche sua madre fosse faêran? Tutto spiegava un’altra storia finita in tragedia. Ma non sarebbe stato così per lei e per Mark, perché loro… Sarah scacciò quel pensiero. Non esisteva nessun loro. Tra lei e Mark era finita e ciò spiegava perché Mark, in tutto quel tempo, non era venuto a cercarla. Se davvero gli fosse importato qualcosa di lei, come diceva, sarebbe venuto per chiarire e tentare una riappacificazione, ma non l’aveva fatto. Voleva pur dire qualcosa, giusto? Faye si sbagliava, lui non era venuto perché non gli importava più nulla di lei. Con questa consapevolezza, si diresse verso l’uscita. Faye era splendida come sempre, nel suo bellissimo abito color smeraldo che faceva risaltare i lunghi capelli rossi. Era circondata da cavalieri e dame faêran, tutti bellissimi, tanto da sembrare dei e, lei, si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Notò tutt’attorno banchetti con ogni sorta di cibo e di bevande, e a Sarah venne l’acquolina. Notò, con estrema amarezza, che nemmeno lì c’era carne. Probabilmente avevano qualcosa in comune con l’antica religione e a Sarah mancava fortemente. Da quanto tempo non ne mangiava? Non se lo ricordava nemmeno più… Anzi, lo sapeva perfettamente: da quando se ne era andata da Livingston. La Somma Sacerdotessa riteneva che la carne e l’alcool privavano le novizie e le sacerdotesse in generale del dono della vista. Sarah aveva delle perplessità a riguardo. Non ci credeva affatto. E comunque, a lei, della vista, non importava nulla. Ne avrebbe fatto volentieri a meno. «Ti unisci a noi o te ne stai tutta sola per il resto della serata?» La voce di Faye la ridestò dai suoi pensieri. Tutto il gruppetto che circondava Faye si era voltato verso di lei e ciò la fece sentire impacciata nei movimenti e insicura più che mai. Raggiungendo Faye, quasi cadde. Niente di più umiliante. «Vi ricordate di lei, vero?» disse Faye ai presenti. «Beh, ho una brutta notizia per voi: in questa vita soffre di amnesia e si fa chiamare Sarah». Sarah lanciò uno sguardo torvo all’amica. Come presentazione era alquanto discutibile.
Il tempo trascorse in modo davvero piacevole, ballò e rise per tutta la notte, che sembrò durare in eterno. Il faêran che le fece l’inchino al suo ingresso le chiese di danzare con lui e lei accettò senza esitazione, e poté così appurare che quella danza era la più sensazionale che mai provò nella sua vita, con la musica che era in un crescendo fino quasi allo stordimento, e dei movimenti che lei stessa si stupì di riuscire a fare. Sembrava che i suoi piedi si muovessero nell’aria invece che sul manto erboso. Il cibo era tra il più delizioso che lei avesse mai assaggiato. Nemmeno al castello di Livingston ne aveva mangiato di così buono. Si abbuffò fino quasi a stare male. «Sai, credevo che i faêran non mangiassero,» disse Sarah a Faye, quando le due si trovarono sole. Faye la guardò divertita, come suo solito. «Infatti è così. I faêran non hanno bisogno di nutrirsi per vivere. Il cibo non è fonte di vita ma parte del divertimento. I faêran mangiano solo per il piacere di farlo,» concluse con un gesto che abbracciava i luoghi in cui erano situati i banchetti. Terminata da poco quella frase, a Sarah le si gelò il sangue. Il cielo aveva una sfumatura strana, si stava schiarendo, aveva una colorazione rosata e ciò poteva indicare solo una cosa… «Oh, mio Dio… Si è fatto giorno!» Esclamò quasi urlando. I anti si voltarono a guardarla. «Faye, devo assolutamente rientrare, o erò un guaio… Hai un modo veloce per farmi giungere a Dervel in poco tempo?» Faye la guardò dapprima accigliata, poi con disinvoltura le disse: «Ehi, ma cosa vuoi che ti possa succedere se anche tardi un po’?» «Evidentemente tu non conosci Renea. Lei non è molto morbida, punisce chi trasgredisce le regole,» le spiegò Sarah con una smorfia. «Comunque non ti preoccupare, in un attimo ti farò trovare direttamente alla Sorgente Sacra, ma che resti tra noi, mi raccomando!» Disse conducendola lontano dal palazzo. «Nemmeno se lo volessi lo potrei dire a qualcuno!» Esclamò di malumore.
Avrebbe fatto ancora in tempo a rientrare senza che nessuno se ne accorgesse? Avevano già notato la sua assenza? Ma che ore erano a Dervel? «Faye, aspetta!» Esclamò bloccandosi improvvisamente. «Il mio vestito, devo recuperare il mio vestito. Non possono vedermi con questo!» «Ma così farai tardi sul serio!» Sarah non volle sentire ragioni, non poteva tornare con il vestito di Faye. Se qualcuno l’avesse vista, avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni. Se invece l’avessero trovata con i suoi vestiti, se la sarebbe cavata con un semplice rimprovero e un pasto in meno, il che non era un grosso problema, considerato che, quella notte, aveva mangiato davvero parecchio. Una volta che si fu cambiata, Faye la condusse al suo cavallo e vi salirono insieme, rivivendo l’avventura di poche ore prima, con la differenza che il tragitto fu più breve. L’unico dettaglio che Sarah riuscì a scorgere in quella cavalcata, in cui era davvero difficile identificare spazi e luoghi, fu il tempio. Faye aveva scelto una strada che le condusse proprio davanti e, difatti, poco dopo furono alla Sorgente. «Qui ti lascio amica mia,» disse la Regina dei faêran aiutandola a scendere dal destriero. «È stato un piacere averti con noi stanotte. Spero di rivederti presto». «Lo stesso vale per me, Faye. È stata una notte fantastica!» Sarah non riuscì a pronunciare quelle frasi con completo entusiasmo, poiché era consapevole che lì, a Dervel, non era l’alba ma pieno giorno e così fu travolta da un terribile pensiero: il tempo faêran non era come quello di quel mondo. L’aveva già notato quella volta che aveva conosciuto Faye. La domanda era: quanto tempo era ato esattamente? Che ore erano lì a Dervel? Una volta che Faye se ne fu andata, guardò l’orologio, ma fu del tutto inutile. Segnava le ore della notte precedente quando aveva fatto il suo ingresso nel mondo faêran. Fu colta dal terrore e, con i incerti e tremanti, si avviò verso la dimora delle novizie, assalita da un brutto presagio.
Capitolo sei
La punizione
Lì a Dervel doveva essere giorno inoltrato. In giro c’era troppa gente che, alla sua vista, borbottava e mormorava frasi di cui non riusciva a comprendere le parole ma dal significato eloquente: con ogni probabilità, già si era sparsa la voce che quella notte lei non aveva dormito lì, era l’unica spiegazione. Il timore di incontrare la Somma Sacerdotessa non trovò fondamenta, ma tutte le persone che incrociava, con dipinti sul volto sguardi torvi e di disapprovazione, non facevano che acuire le sue paure e dare dimora ai suoi dubbi. Come poteva essere stata così stupida da non calcolare il fattore tempo? E sì che le era già successo una volta, ma per fortuna, all’epoca non dovette dare spiegazioni a Mark perché… Mark, si soffermò a pensare. Era spaventato per lei ma poi il tutto si era risolto in un dolce fraintendimento tanto che arrivò a chiederle anche scusa. O forse l’aveva fatto… Ma quella era una situazione completamente diversa. Rifletti, si impose. Se all’epoca avevo trascorso solo un po’ di tempo con loro ed era volata una giornata, in questo mondo… Adesso che ho trascorso l’intera notte con i faêran… Quanto tempo poteva essere ato? Di sicuro, molto, molto di più, il che voleva dire… «Ma guarda chi si rivede!» Esclamò una vocetta fastidiosa dal tono cantilenante. «La futura Principessa di Livingston si è degnata di tornare tra noi, comuni mortali!» Sarah fulminò Anjelika con lo sguardo, dopodiché si ritrovò a pensare che, in effetti, qualcosa di vero c’era in tutto quello che aveva appena detto: era tornata tra i comuni mortali, dal Regno dei faêran. Piena di soddisfazione a quel pensiero, Sarah fece un sorrisetto, dopodiché replicò: «Non è un problema tuo!» Quando fece per arle a fianco e andarsene, Anjelika la trattenne, afferrandola per un braccio. «Giù le mani!» Urlò, dandole uno strattone per liberarsi della ragazza. «La Somma Sacerdotessa ha dato ordini precisi: chiunque ti avesse vista, avrebbe dovuto portarti da lei. Perciò, seguimi senza fare storie, sei già sufficientemente nei guai». Il tono calmo, sicuro di sé, con una certa superiorità
nei suoi confronti, riuscì a infastidire Sarah ancora di più. Sarah la guardò con fare indolente, dopodiché ribatté: «Non osare darmi ordini, tu non sei nessuno per me!» Attorno a loro si era creata una folla di persone che assistevano alla scena. Tra di loro, si fece strada Cassandra, il volto pallido e preoccupato. «Sarah, ma dov’eri finita?» Le chiese l’amica con voce tremante. «Ho perso la cognizione del tempo e…» «Ma sei stata via tre giorni!» La rimproverò la ragazza sconvolta. Sarah respirò a fatica. Tre giorni? Erano ati davvero tre giorni? «Per favore, fa come ti dice Anjelika, vieni con noi dalla Somma Sacerdotessa, sei in guai seri, è furiosa con te…» «Ma bene, bene, sei tornata!» Tuonò una voce alle sue spalle. Sarah si voltò e vide comparire davanti a lei Renea, più imperiosa che mai, e più furiosa di come l’avesse mai vista. Vedendo lo sguardo iroso della donna, capì che le premesse di una punizione esemplare c’erano tutte. «Voi tutte andatevene. Tornate a fare qualcosa di più utile piuttosto che star qui a perdere tempo!» «Signora,» cominciò Anjelika con voce piagnucolosa, «ho cercato in tutti i modi di condurla da Voi, ma Sarah si è rifiutata in malo modo. Mi ha anche dato uno strattone!» Concluse con le lacrime che le rigavano il volto. «Falsa!» Esclamò Sarah furiosa. «Sei stata tu a…» «Taci!» la interruppe la Somma Sacerdotessa. «Non sei nella posizione di poter replicare. E ora seguimi». La donna si avviò verso il palazzo dove dimorava e condusse Sarah nel salone adibito alle udienze, che già aveva avuto modo di vedere. Anche questa volta, ordinò alle ragazze che occupavano il luogo e che in quel momento stavano
ricamando su tessuti, di lasciare la stanza. Dopo che se ne furono andate, spaventate dal malumore della donna, la Somma Sacerdotessa raggiunse la grande vetrata con in un silenzio che spaventò ancora di più Sarah. Si voltò e, trafiggendola con lo sguardo, le chiese con una voce di una calma surreale: «Ebbene, dove sei stata? Hai deciso di prenderti una vacanza?» Nella voce traspariva sarcasmo e, Sarah, capì che non era niente di buono. «Mi dispiace, mi sono allontanata da qui e… Mi sono persa.» Fu la prima cosa che le venne in mente. «E dove ti sei persa, esattamente? Perché vedo che, poi, la strada per ritornare qui l’hai trovata!» Era chiaro che Renea stesse giocando come il gatto con il topo, ma Sara non era intenzionata a dirle la verità. Se avesse menzionato a Faye e ai faêran, era certa che Renea le avrebbe impedito di rivederli. «Io… non lo so…» rispose abbassando lo sguardo. «Ti ricordi cosa ti dissi l’ultima volta che abbiamo avuto occasione di parlare? E guardami mentre ti parlo!» Ordinò ora con voce alterata. «Sì, lo ricordo,» rispose Sarah guardando la Somma Sacerdotessa dritto negli occhi. «Allora rispondi alla mia domanda». Sarah capì di trovarsi nei guai, guai seri. Ma, alla fine, che cosa avrebbe potuto farle, se anche non le avesse detto quello che desiderava sapere? «Io mi sono persa, avevo bisogno di allontanarmi da qui e… non conosco il luogo, io…» era consapevole che stesse annaspando, che stesse brancolando nel buio e che non l’avrebbe ata liscia, ma per quella stupenda notte con i faêran, ne sarebbe valsa la pena. «Tu pensi che io sia una stupida? Credi forse che io non sappia quando una persona mi sta mentendo? Come osi propinarmi questa favoletta e sperare di cavartela come se nulla fosse? Che sei in punizione lo sai già, ma puoi fare in modo di non aggravare la tua situazione. Sta a te decidere».
Sarah non rispose, abbassò lo sguardo e incrociò le braccia al petto. «Bene, avrai modo di pensarci nei prossimi tre giorni. Seguimi». «Dove?» Sarah cominciò a spaventarsi, Renea si era già avviata alla porta e non era certa di aver fatto la cosa giusta omettendo la verità. «Non sei tu a fare le domande. Seguimi e non fartelo ripetere o ti trascinerò con la forza!» La minacciò con un tono cupo. «E non credere che non ne sia capace. Per la tua insolenza pagherai il giusto prezzo,» concluse uscendo dalla stanza. Sarah la seguì con la paura nel cuore, le gambe che tremavano. Dove aveva intenzione di portarla Renea? Che cosa aveva in mente? E se fosse stata disposta a dire la verità… La Somma Sacerdotessa aveva già lasciato il palazzo ed era diretta verso il dormitorio delle novizie quando, improvvisamente, Sarah capì le intenzioni della donna. Una volta, Cassandra le disse che le punizioni per le novizie potevano anche essere terribili se meritate a causa di un fatto grave. A quanto pareva, il dormitorio conteneva, nel piano sotterraneo, delle celle da cui si accedeva da dietro, attraverso una botola che un giorno, Sarah, aveva visto per puro caso ed era rabbrividendo al pensiero che qualcuno potesse finire là dentro. Si era anche chiesta quale fatto grave doveva commettere una persona per meritarsi una punizione così orribile. «Aspetta, per favore!» Gridò Sarah che aveva difficoltà a tenere il o. Renea si muoveva in modo fluido e veloce. «Non merito una punizione così terribile, io…» Renea si voltò di scatto, furiosa. Sarah capì di aver gridato, contraddicendo gli ordini della donna, per giunta di fronte a tante persone. Se anche avesse detto la verità, la punizione non gliel’avrebbe più tolta. «Come osi,» inveì con uno sguardo di fuoco, «mancarmi di rispetto in questo modo?! Tre giorni in una cella non te li toglierà nessuno, in fondo non sono molti, è il tempo che sei stata via. Ti aiuteranno a comprendere quando è il momento di parlare e quando non lo è e, soprattutto, ti faranno capire che non devi permetterti mai più di mentirmi.»
«Ti dirò dove sono stata, ti supplico…» Sarah aveva le lacrime agli occhi, non riusciva ad accettare la punizione a cui voleva sottoporla Renea. «Credi che possa farmi cambiare idea, se anche me lo dicessi?» Le chiese con una tranquillità che era ben lungi dal provare. «Avresti dovuto dirmelo a suo tempo, ora non servirà a nulla». Dopodiché, la Somma Sacerdotessa si voltò riprendendo a camminare e Sarah dovette seguirla con un senso di panico e di impotenza. Avrebbe voluto fuggire, raggiungere Faye e stare nel Regno dei faêran per sempre. Ma come poteva? In che modo sarebbe riuscita a contattare l’amica? Se solo avesse preso quella decisione quella notte stessa, oppure quando si trovava a Livingston ed era vicinissima a Greenshadow… Ma, ormai, era troppo tardi, e avrebbe dovuto sottostare agli ordini della Somma Sacerdotessa. Dov’era Morgana? Poteva fare qualcosa per lei? Avrebbe potuto intercedere per lei con Renea? Quando si trovarono dietro l’edificio delle novizie e Renea ebbe sollevato la botola in legno, con un sorriso di soddisfazione sul volto, fece cenno a Sarah di entrare e, la ragazza, con i incerti, si mosse verso di lei.
Lo sguardo gelido della Somma Sacerdotessa fu l’ultima cosa che Sarah vide quando si voltò a guardarla con occhi supplichevoli, prima di scendere la stretta scala che portava a una squallida e umida cella sotterranea, priva della benché minima luce e di qualunque arredamento. Non c’era un letto, una sedia o un tavolo. C’era solo un piccolo locale attiguo che fungeva da bagno. Per Sarah, quella situazione, fu l’inizio della fine. I più cupi pensieri sovraffollarono la sua mente, mentre il buio pesto incombeva incessante su di lei, privandola della ragione. Gli occhi ebbero molta difficoltà ad adattarsi, e riuscì a vedere l’infausta cella solo mentre stava scendendo i pochi gradini e la botola era ancora aperta, permettendo ai raggi solari di illuminare quel piccolo scantinato. Dopo aver camminato a tentoni nel breve perimetro, riuscì a trovare a terra delle candele che inizialmente non aveva visto. Accanto, c’era un accendino. Non perse tempo, diede fuoco allo stoppino, e la piccola fiammella riuscì per qualche istante a calmare i tremiti che le erano venuti alla vista di quel luogo. Appoggiò la candela a terra, facendo bene attenzione a non farla cadere, trovandole un
equilibrio su quel pavimento in pietra sporco di polvere e terriccio. Rassicurata, in un primo momento, da quella piccola luce, cercò di fare il punto della situazione. Tre giorni in quel luogo erano impensabili. Quella punizione era inconcepibile. La Somma Sacerdotessa, quella donna che diceva di essere sua madre, era un mostro! Se solo fosse riuscita ad uscire… se solo fosse riuscita ad aprire quella botola… Quando era giunta lì, era così frastornata da non aver prestato attenzione al modo con cui Renea l’aveva aperta. Poi, però, quando era entrata e la botola si era richiusa, di lì a poco, aveva sentito il rumore di un catenaccio e di un lucchetto chiudersi. Per cui, tentare di uscire da lì era pressoché impossibile. A meno che… La sua mente cominciò ad arrovellarsi alla disperata ricerca di un modo per evadere da quel luogo, e la soluzione le giunse in un attimo. Le sarebbe bastato attendere che qualcuno le portasse da mangiare e, lei, mentre quel qualcuno entrava… Non le sarebbe importato delle conseguenze. Di una cosa era certa: da lì doveva andarsene. Un posto dove stare, poi, lo avrebbe trovato. Non le avrebbero dato la caccia, giusto? Considerato l’affetto che Renea nutriva nei suoi confronti, tanto disturbo non se lo sarebbe preso. Anzi, sarebbe stata felice di liberarsi di lei. Ma c’erano sempre i suoi piani, o accordi, che la donna aveva preso con il padre di… Mark. Pensare a lui le fece uno strano effetto. Come un fulmine a ciel sereno, i ricordi più cupi della sua vita le tornarono alla luce. Quando lo aveva conosciuto, secoli prima, e i soldati li avevano scoperti, l’avevano portata in una cella molto simile. E cos’era successo poi? Una lacrima prese a scorrerle lungo il viso. Si lasciò cadere a terra e, raggomitolata su se stessa, strinse le braccia attorno alle ginocchia. Doveva scacciare quei ricordi. Li doveva dimenticare, cancellare, seppellire nei recessi della sua mente. Non ci doveva pensare, non doveva farlo o l’avrebbero fatta impazzire. Poi ripensò a una situazione molto analoga. Quando giunse a Livingston e Marcus e Laorans la portarono nuovamente in una cella. E lei, temendo che le parole che Laorans aveva detto potessero tramutarsi in realtà, aveva scelto di morire, con quella fiala di veleno apparso dal nulla, per un incantesimo arcano che avevano fatto. Mark non le aveva più chiesto il motivo di quel gesto. Non riusciva a credere che lei avesse potuto realmente commettere un gesto così folle. Aveva sbagliato a tacergli la verità? E lui, quante cose le aveva taciuto? Il tempo ava. Portava l’orologio al polso, non aveva idea di che ora fosse realmente, siccome il tempo era stato ingannato dal Regno dei faêran e da lì non filtrava nessun tipo di luce o di buio. Ricordò comunque l’ora che era entrata. La
lancetta era sull’una. E ora era sul quattro. Tre ore erano ate e nessuno era ancora giunto da lei con del cibo o dell’acqua. L’avrebbero lasciata tre giorni senza bere né mangiare? Poteva essere, la Somma Sacerdotessa, così orribile? E poi, colta dalla stanchezza, contro ogni minima volontà, si addormentò. Quando si svegliò, sentì i muscoli irrigiditi e indolenziti, poiché aveva dormito sul pavimento in pietra. Attorno a lei c’era il buio più fitto. La candela, con ogni probabilità, si era spenta, per cui dovevano essere trascorse ore. Allungò il braccio alla ricerca di un’altra candela e quando la trovò l’accese. Rifletté sul fatto che, quando era arrivata, c’erano esattamente cinque candele e nemmeno intere. Se doveva stare lì tre giorni, doveva fare attenzione a non lasciarle sempre accese e, comunque, doveva ricordarsi di spegnerle prima di addormentarsi. Si guardò attorno per vedere se qualcuno fosse entrato e le avesse portato qualcosa, ma non vide nulla. Bene, oltre all’isolamento anche il digiuno! Per fortuna il cibo faêran, oltre che ad essere squisito, era anche stranamente sostanzioso. Non avvertì la benché minima fame. Guardò invece l’ora: le lancette segnavano le undici e trequarti. Erano ate… quasi otto ore? Non male, se avesse dormito tutti e tre i giorni, il tempo sarebbe ato più velocemente ma, l’ultima cosa che desiderava, era stare lì tre giorni chiusa in quell’isolamento assurdo. Provò a pensare se fosse giorno o notte: aveva talmente tanta confusione in testa che non riusciva a ragionare. Poi, però, giunse alla conclusione che, senza ombra di dubbio, doveva sicuramente essere sera o notte. Si alzò da terra, aveva bisogno di sgranchirsi le gambe e di andare in bagno. Quando lo raggiunse e vide in che condizioni versava, fece un’espressione di disgusto. Molto strano che la Somma Sacerdotessa non si curasse dell’igiene, considerati i suoi pregiudizi sull’alimentazione e i potenziali danni di un apporto di cibo erroneo. In poche parole, quella donna, che purtroppo era sua madre, era la chiara dimostrazione della contraddizione fatta persona. Rispecchiava tutto ciò che detestava in una persona. Ma sorrise al pensiero che ora, almeno, sapeva di avere un padre. Ovvio che avesse un padre. Poteva pur essere una strega potente, Renea, ma non poteva aver fatto tutto da sola. Assurdo. Ora sapeva chi era suo padre: il Re Supremo dei faêran. Niente di meno. Sarah accentuò il sorriso. Oh, se solo suo padre avesse saputo dove si trovava in quel momento e cosa le aveva fatto Renea! Ma… Gli sarebbe importato? Se gli importava qualcosa, perché non si era fatto
vivo? Faye aveva detto che lui avrebbe tanto desiderato vederla ma che non poteva farlo: che cosa significava quella frase? Che cosa glielo impediva, esattamente? La conclusione di quelle riflessioni fu amara: che cosa poteva importare a un Supremo Re della figlia avuta da una Somma Sacerdotessa? Renea non aveva sangue faêran, glielo aveva detto Faye. Era per questo che Renea la odiava, forse? Perché avrebbe desiderato avere sangue faêran anche lei? Scartò quell’ipotesi. Poi si chiese: ma Renea e il Supremo Re, si amavano quando l’avevano concepita? Forse era questo il punto: Renea odiava il Supremo Re e rivedeva in lei quell’uomo. Infine, giunse a una chiara conclusione: l’isolamento, la stava facendo uscire di testa! Il tempo non ava. O forse ava, ma in modo troppo lento perché una persona potesse sopportarlo. Si era sdraiata di nuovo a terra, quando le lancette avevano segnato le cinque, ma il sonno non venne, neanche a supplicarlo. Che mondo crudele! Aveva il braccio sotto la testa perché la pietra era troppo dura e così ora le stava venendo il formicolio nel braccio. Si mise a sedere e se lo massaggiò: la circolazione del sangue riprese la sua normale attività. Quanti pensieri strani possono attraversare la mente di una persona quando si ritrova senza far nulla. Beh, pensieri strani e cupa disperazione. Si trovò a riflettere sul fatto che, da quando era giunta lì, aveva visto Andy poche volte. Forse due o forse tre. In tutti i casi lei si trovava con Kirsten e, lui, aveva fatto finta di non vederla oppure aveva cambiato strada. Strano comportamento, decisamente uno strano comportamento. Come la tradizione vuole, i figli risultano essere il perfetto opposto dei genitori, o comunque, di uno dei genitori, come anche nel caso di Andy. Ma chi era poi suo padre? Perché tanta reticenza da parte di Morgana nel parlarne? Un altro segreto? Le sacerdotesse sono capaci di questo: di mantenere i segreti. Forse, semplicemente, Andy era stato concepito in una notte di Beltane, lì è usanza comune concepire i figli in quel modo. Pensò a Morgana. Dov’era? Dove si trovava? Perché non era giunta da lei? Perché non l’aveva fatta uscire da quel posto orrendo?
Erano le dieci. Era giorno o era ancora notte? Doveva riflettere bene, non poteva permettersi di perdere la cognizione del tempo, o sarebbe impazzita. Le sovvenne che doveva essere giorno a Dervel. Qualcuno sarebbe dovuto venire prima o poi. Almeno per sincerarsi che era ancora viva. Oppure, la punizione
precludeva che, se anche una persona fosse morta, in fondo se l’era meritato? Quel tipo di ragionamento, se fatto da Renea, non faceva una piega. Cominciò a sentire l’animo turbato, non ce la faceva più. Qualche ora era riuscita a resistere, ma ora basta. Decise di alzarsi da terra. Allungò un braccio a terra e… Toccò qualcosa di caldo e peloso. Sarah urlò, tolse il braccio di scatto, si alzò da terra, tutto nel giro di pochi secondi, e vide un piccolo essere peloso che scappava via e si infilava in un piccolo buco nel muro non lontano dal bagno. In quel luogo c’erano i ratti! Rivoltata da quel pensiero, salì i gradini verso la botola e cominciò a urlare picchiando i pugni affinché qualcuno sentisse e accorresse. Continuò a urlare sino a quando la sua voce glielo permise e a picchiare pugni sino a quando le mani non le dolsero in modo quasi insopportabile. Urlò per quelle che dovevano essere state ore, pianse tutte le lacrime che aveva, poi, si lasciò cadere a terra, sfinita, con la disperazione nel cuore. Impossibile che nessuno l’avesse sentita, tutte le ragazze dimoravano proprio sopra quello schifo di posto. Semplicemente, a nessuno, importava di lei.
Fu svegliata dal rumore di un metallo al di sopra di lei. Stanca e sfinita, cercò di capire dove si trovava poi, improvvisamente, dopo un cigolio, della luce così forte da accecarla, le giunse dritta negli occhi. Si trovava ancora sull’ultimo dei gradini, il più vicino alla botola e una figura la stava sovrastando. «Sarah…» Anche se gli occhi, così abituati al buio, non le permisero di riconoscerne il volto, ne colse il suono della voce. Era Cassandra e vide che aveva con sé un vassoio. «Cassie, ti prego, aiutami, fammi uscire da qui!» La supplicò Sarah. «Non posso, lo sai, se lo faccio Renea punirà anche me. Ti prego, spostati, ti devo lasciare questo». Sarah notò l’inflessibilità nella voce dell’amica.
«Le dirai che è stata colpa mia, che ti ho costretta. A me basta uscire da qui, andarmene altrove, non mi vedrai mai più, te lo giuro!» «Avresti potuto pensarci prima, non credi?» Da quando tanta crudeltà da parte sua? «Ti supplico, Cassie, qui ci sono persino i ratti, mi uccido piuttosto che rimanere qui!» Sarah le si aggrappò alle caviglie, ma la ragazza non ebbe difficoltà a scostarsi da lei. «E tu, vorresti mettermi nei guai? Non ti basta quello che hai fatto?» Cassie aveva un tono di voce alterato che Sarah non le aveva mai udito da che era lì. «Nessuno di noi ama le regole della Somma Sacerdotessa, ma ci limitiamo a sopportarle senza opporre resistenza o ribellarci come hai fatto tu. Nessuno ti ha obbligata, in fin dei conti, a intraprendere il percorso per divenire una sacerdotessa! Hai così tante qualità, pratichi così bene la magia, perché non ti concentri su quello? Noi fatichiamo molto più di te e otteniamo risultati che non sono nemmeno la centesima parte di quello che ottieni tu». Detto ciò, Cassandra posò il vassoio a terra e fece per chiudere la botola. «Aspetta, Cassie, ti prego!» La ragazza si bloccò. «Ti prego, dimmi almeno che ore sono!» «Le tre del pomeriggio» e dicendo ciò, chiuse l’ingresso e se ne andò. Almeno ora era a conoscenza del tempo reale, ma a cosa sarebbe servito? Si sistemò l’orologio, impostandolo con l’orario corretto. Era ato un giorno, ne rimanevano due, sempre che Renea non avesse deciso di prolungare la punizione. Guardò il vassoio per vedere cosa Cassandra le aveva portato: del pane, della frutta e dell’acqua. Sarah appoggiò la testa contro il muro sconfortata. Non c’era persona al mondo che capisse le sue ragioni, tutti credevano che era lei quella che sbagliava e vedevano la sua scomparsa come il capriccio di una ragazzina viziata. In fondo lei aveva una vita invidiabile, giusto? Promessa sposa al Principe di Livingston, giovane strega dagli incredibili poteri, discendente di una
sacerdotessa molto potente… E lei si ribellava a un destino che tutti avrebbero desiderato… Ebbene, avrebbe fatto volentieri a cambio per essere una ragazza comune che faceva cose comuni, in una città comune. E tutti i pregiudizi… già c’erano, nonostante le persone non sapessero che lei era figlia di Renea e del Re Supremo dei faêran… «Odio questo posto, odio queste persone e odio questo cibo!» Detto ciò scaraventò il vassoio lungo il perimetro della cella, dalla parte opposta del locale. Ma se ne pentì non molto tempo dopo: quando la fame e la sete cominciarono a farsi sentire.
Dopo che Cassandra le ebbe detto l’ora precisa, Sarah sistemò l’orologio in modo da conoscere il tempo esatto. Guardando l’orologio, Sarah vide che era l’alba di un nuovo giorno, il secondo in quella orribile cella di isolamento. Aveva sperato che qualcuno venisse ancora da lei, ma nessuno aveva messo più piede in quel posto, e la notte appena trascorsa era stata tormentata da brutti sogni, più simili a incubi. Era sempre più decisa ad andarsene da Dervel. Come e quando non lo sapeva, indubbiamente aveva visto che da lì era impossibile. Cassandra, che da quando era lì si era sempre dimostrata una cara amica, aveva preferito non aiutarla per non are dei guai con Renea, eppure le aveva detto che si sarebbe presa lei la responsabilità della sua fuga. Ma perché le persone non riuscivano a cogliere la sua infelicità? Perché davano tutto per scontato? Non aveva desiderato lei intraprendere il cammino per divenire sacerdotessa, nemmeno rispecchiava il suo credo. Eppure, nessuno si era posto il quesito. Tutti davano tutto per scontato. Era stanca, di tutto e di tutti. Verso mezzogiorno, Sarah sentì nuovamente che qualcuno stava impugnando il catenaccio per aprirlo. Aveva un’altra chance, o almeno ci sperava. Quanto avrebbe desiderato che fosse Morgana a are per quell’apertura! Ogni sua speranza svanì quando, non con poca difficoltà, vide chi stava mettendo piede in quel posto: Anjelika. Nessuno poteva essere peggiore. «Buongiorno, Principessa di Livingston. Come stai trascorrendo le tue giornate?»
Il tono canzonatorio era davvero fastidioso e Sarah si ritrovò a pensare che, se fosse riuscita a metterla nei guai, ne sarebbe stata felice. «Mi sto riposando, grazie» rispose caustica. Dopodiché, Sarah accorciò le distanze tra lei e Anjelika. La novizia se ne stava ancora in cima ai gradini, indecisa su dove posare il vassoio. Con molta naturalezza e o noncurante, Sarah le si avvicinò sempre di più e cominciò a salire il primo gradino consapevole che Anjelika non si sarebbe mai aspettata una mossa di quel tipo. «Stammi lontana, Cassandra ha detto a tutti quello che hai cercato di fare!» Sarah s’immobilizzò a quelle parole. Non si aspettava di certo che Cassandra la tradisse. In fondo, non aveva fatto nulla di male. Colta da rabbia e disperazione, appena Anjelika fece per posare il vassoio, Sarah colse quel frangente per salire i restanti gradini e cercare di spingerla da parte, ma non si aspettò quello che accadde poi. Molto probabilmente, Anjelika era preparata a una mossa di quel tipo e, appena Sarah le fu accanto, impugnò il coltello che stava sul vassoio e la colpì con tutta la forza che aveva. Sarah, dal canto suo, appena vide la lama dirigersi verso il suo petto, cercò di proteggersi portando prontamente entrambe le mani laddove la lama la stava per trafiggere. Il dolore che sentì fu così forte che non riuscì a trattenere un grido. Fortunatamente fu pronta di riflessi perché, se non altro e la lama le trafisse la mano destra invece che il petto o altro. «Tu sei pazza!» Urlò con le lacrime agli occhi. «Te la sei cercata!» Sarah fece per toglierle dalle mani il coltello, ma Anjelika, che ancora un volta riuscì a prevenire le sue mosse, la colpì facendole perdere l’equilibrio e Sarah cadde giù dai gradini finendo col picchiare la schiena e la testa sulla pietra. Forse per il colpo, forse per il dolore, Sarah perse i sensi. Sentì un dolore acuto alla mano, non riusciva a muoverla; la sentiva bagnata e intorpidita e anche la testa le faceva male. Avvertiva il freddo della pietra, non riusciva ad aprire gli occhi, ci provò più volte ma fu del tutto inutile. Cercò di riflettere sul perché di quel dolore e di quel malessere, e poi tutto le tornò alla
luce: Anjelika. Era stata Anjelika a colpirla e a farle perdere l’equilibrio e non si era nemmeno premurata di avvisare qualcuno di quello che era successo. Il dolore alla testa era sopportabile, ma quello alla mano la faceva impazzire. Provò di nuovo ad aprire gli occhi e, questa volta, con enorme fatica, ci riuscì. A nulla servì, poiché, lì dentro, tutto era buio. Si girò di fianco e istintivamente premette la mano sinistra su quella destra e urlò dal dolore. Capì che la sensazione di bagnato era probabilmente dovuta al sangue che fuoriusciva dalla ferita. Da quanto tempo si trovava lì a terra? Aveva perso molto sangue? Prese parte del vestito e l’avvolse attorno alla mano. Cercò di strappare parte del tessuto, ma non ci riuscì. Poi, con tutto il fiato che aveva in gola si mise a chiedere aiuto e, quindi, a gridare il nome di Morgana. Nessuno intervenne, nessuno accorse: a nessuno importava di quello che le era successo o, forse, nessuno ne era a conoscenza.
Quando udì nuovamente il rumore del catenaccio, Sarah aveva esaurito la voce e le lacrime. Teneva ancora stretta una mano nell’altra, sempre avvolta nel tessuto. Ormai non sperava più in nessun tipo di aiuto. «Sarah… Che cosa ti è successo?» La voce le era terribilmente familiare, ma non aveva né la forza, né la voglia di rispondere. Morgana giunse da lei lasciando spalancata l’apertura e la luce l’accecò, obbligandola a chiudere gli occhi. «Quanto sangue hai perso… dimmi che cos’è successo…» Quella domanda non trovò risposta, non subito perlomeno. Sarah scoppiò in lacrime e sussurrò: «Ti prego, portami via di qui». «Ce la fai a camminare?» Morgana non le diede il tempo di rispondere. «Aspettami, torno subito, vado a cercare aiuto». Sarah aprì gli occhi molto lentamente per riabituarli alla luce e vide che Morgana era uscita da lì senza richiudere la botola. Anche se avesse voluto, questa volta non sarebbe riuscita a fuggire. La vide tornare poco dopo con Kirsten che, appena la vide, lanciò un urlo, cosa che non era da lei. Di solito Kirsten era fredda e controllata, e prendeva tutto alla leggera. Evidentemente, pensò, la scena che le si era presentata, doveva essere raccapricciante.
Morgana e Kirsten aiutarono Sarah a uscire da quella inquietante prigione e, per qualche arcana ragione, non la portarono alla dimora delle novizie, ma alla residenza della Somma Sacerdotessa. In un primo momento, quando vide che avevano oltreato il caseggiato, pensò che il motivo fosse che dovevano portarla dalla Somma Sacerdotessa perché desiderava parlarle e porle domande sull’accaduto, ma non fu così. Entrate nel palazzo, Morgana e Kirsten l’aiutarono a salire le scalinate che avrebbero condotto al piano superiore. I gradini erano di marmo pregiato e tutte le pareti del primo piano avevano raffigurate immagini che, nel momento del aggio, Sarah non riuscì a vedere con chiarezza, poiché aveva la vista annebbiata dal dolore alla mano. Prima di lasciare la cella, Morgana gliel’aveva disinfettata e fasciata ma in modo affrettato. Una volta che le due donne l’ebbero fatta entrare in una grande stanza che conteneva un unico letto e fatta adagiare, Morgana, dopo aver invitato Kirsten ad abbandonare la stanza, si procurò diverso materiale tra disinfettante, garze e bende. Dopo aver notato l’inizio di un’infezione, che però non ritenne pericolosa, le rifece la medicazione, ma questa volta con più delicatezza e accuratezza, chiedendole di raccontarle in che modo si era procurata quella brutta ferita che aveva una consistente profondità nel palmo destro della mano. Sarah non esitò a raccontarle con accurati dettagli tutto quello che era accaduto. Si assunse la sua responsabilità di colpa, in quanto fautrice dell’accaduto, ma si proclamò estranea a ogni tentativo di lotta con Anjelika. «Anjelika ha dato una spiegazione totalmente differente a Renea,» le spiegò Morgana, «ma non ho creduto per un attimo al suo racconto e ti posso assicurare che non la erà liscia. Quello che ha fatto è deplorevole. Ma tu, Sarah, perché te ne sei andata per tutti quei giorni? Hai idea di quanto fossi preoccupata per te? Credevo che ti fosse successo qualcosa! In un primo momento, credevo fossi andata da…» Morgana guardò Sarah negli occhi, esitando a continuare «… Mark. Ma poi ho sentito Mikael e lui mi ha detto che non eri a Livingston». «Davvero credevi fossi da lui?» Nonostante il dolore, nonostante si sentisse febbricitante, Sarah pose quella domanda a Morgana con una punta di sarcasmo. «Perché mai sarei dovuta tornare da lui, dopo quello che è successo? Lui non mi ha mai cercata, Morgana» disse con le lacrime agli occhi, «evidentemente non mi ama più, mi ha dimenticata ed è tornato con Lynn!»
Morgana interruppe la fasciatura della mano e, dopo averle accarezzato il viso, le disse dolcemente: «Lui ti ama ancora, Sarah. Non so se questo può avere importanza per te, ma lui non ha mai smesso di amarti, non è tornato con quella Lynn, e se non è venuto qui, da te, è perché sono stata io a dirgli di non farlo, gli ho detto io di lasciarti un po’ di tempo, per pensare». Sarah guardò Morgana incredula, mentre quest’ultima stava riprendendo a fasciarle la mano e affrancò quindi la fasciatura con un cerotto. «Perché non me l’hai detto?» Chiese con le lacrime agli occhi. «Perché non mi hai detto che lui mi ha cercata?» Morgana fece un lungo respiro. «Tu non mi hai mai chiesto nulla, ti aveva fatto soffrire e ho creduto che fosse meglio lasciar are un po’ di tempo, ho creduto che tu avessi bisogno di un po’ di tempo per far chiarezza dentro di te». «Come fai a sapere che lui…» Sarah era chiaramente stanca, Morgana questo lo percepì dal tono della voce, perché sembrava non avere le forze nemmeno per formulare la frase. «Me l’ha detto Mikael. Mi ha chiesto cosa fosse meglio per te e io gli ho detto che era meglio che lui non venisse qui». Sarah chiuse qualche istante gli occhi. Poi li riaprì ma non del tutto, sentiva le palpebre troppo pesanti. «Lui mi ama ancora, Morgana?» Sorridendole, la donna rispose: «Certo che ti ama ancora, sciocchina». «E tu, dov’eri in questi giorni?» Chiese improvvisamente. «Perché mi hai lasciata da sola in quell’orrenda cella?» «Renea mi ha mandata a un villaggio lontano per una commissione, vera o falsa che fosse. Forse lo ha fatto per allontanarmi da te, non lo so. Quando tu hai fatto ritorno qui, io ero già partita. Non so se sarei riuscita a farti evitare la punizione, ma di sicuro avrei potuto fare qualcosa per te». Tipico di Renea, si ritrovò a pensare Sarah. Poi, poco dopo, sopraffatta dalla stanchezza, chiuse gli occhi e si addormentò, felice che quella tortura fosse
finita, anche se, la fitta alla mano le procurò un sonno agitato.
Anjelika non venne mai punita per quello che fece a Sarah, mentre quest’ultima si trovava rinchiusa nella cella di isolamento, poiché, la ragazza, diede una versione totalmente differente a Renea. Raccontò che fu Sarah a colpirla per prima, nel tentativo di fuggire dalla cella, impugnando il coltello e che, per pura difesa, lei lottò contro Sarah, e il coltello finì accidentalmente per colpirla, facendole perdere l’equilibrio e quindi cadere dai gradini. Tutta la colpa, in definitiva, fu riversata su Sarah, e il primo tentativo di fuga, quando fu Cassandra a portarle il vassoio col cibo, servì solo a confermare la tesi di Anjelika. Sarah non ebbe mai un colloquio con la Somma Sacerdotessa. La donna non si premurò di sentire la sua versione dei fatti, tantomeno di sincerarsi come stesse la ragazza che, in fin dei conti, era sua figlia. Dal canto suo, Sarah, non cercò mai di parlare con Renea, tantomeno chiese di avere un colloquio con lei, poiché capì che a nulla sarebbe servito cercare di fare chiarezza con quella donna. Aveva ormai capito da tempo che, la Somma Sacerdotessa, era disposta a credere a tutti tranne che a lei, e questo era tutto dire. Inoltre, non voleva aggravare la sua situazione. Temeva che i suoi tentativi di fuga, la Somma Sacerdotessa, non glieli avrebbe lasciati are lisci e invece, sino a quel giorno, era calato il silenzio sull’accaduto. Forse, la donna, credé che la ferita alla mano fosse una punizione sufficiente. Quando Kirsten e Morgana ebbero portato Sarah alla dimora della Somma Sacerdotessa, dallo sconfinamento della cella, Sarah pensò che si trattasse di una situazione temporanea, dovuta alla necessità di cure che la ferita alla mano comportava; invece, appurò col tempo, e poi su conferma di Morgana, che era stata trasferita lì in modo definitivo, ma per quale ragione non glielo disse. Sarah presunse che, quell’improvvisa decisione, era da imputare alla sfiducia che Renea aveva nei suoi confronti. Era plausibile la teoria che, con tutta probabilità, stando lì, Sarah poteva essere maggiormente controllata e che quindi avesse meno possibilità di fuggire nuovamente. Morgana e Kirsten le chiesero più volte dove fosse stata in quei tre giorni in cui era scomparsa, ma Sarah non rispose a nessuna delle due.
Era un giorno di metà settembre, quando Sarah incontrò la Somma Sacerdotessa per le scale. La donna stava salendo, mentre lei stava scendendo. La donna la fissò per qualche istante senza volgerle la parola mentre, Sarah, le fece un cenno di saluto com’era usanza fare tra le novizie e si fece da parte per farla are. Sarah notò che la donna aveva indugiato con lo sguardo sulla fasciatura della mano, ma non si sprecò di chiederle come stava. Con tutta probabilità credeva che quello che le era capitato, se lo meritasse. Quell’incontro le lasciò un senso di amarezza e vuoto per tutta la giornata, poiché era la chiara dimostrazione che, a sua madre, non le importava nulla di lei. Era di pessimo umore anche quando si incontrò con Joel al villaggio di Dervel, sulla riva del fiume. Negli ultimi giorni si erano visti sempre più spesso, questo soprattutto con l’aiuto di Kirsten che aveva reso possibile gli incontri. Sarah aveva notato che Kirsten la lasciava raramente da sola e nutriva motivati sospetti che fosse su richiesta di Renea. Sarah era consapevole che l’unica che esercitava influenza, sull’amica dai capelli corvini e dallo sguardo indolente, era proprio lei. «Come va la mano?» Lei e Joel erano appoggiati alla ringhiera di ferro battuto che era posta su tutta la lunghezza del fiume sino al congiungimento col ponte che ne consentiva l’attraversamento. «Va meglio. Va decisamente meglio,» gli disse con un tono un po’ smorzato. «Se non altro, il dolore ora è sopportabile». «Non riesco a credere a quello che Anjelika ti ha fatto. Soprattutto mi lascia sgomento il comportamento della Somma Sacerdotessa». Joel guardò Sarah in modo cupo e malinconico. Sarah aveva provato tante volte a rivelargli che Renea in realtà era sua madre ma, poi, alla fine, aveva taciuto. Se la voce si fosse diffusa e Renea avesse scoperto che era lei la fautrice, era certa che non gliel’avrebbe fatta are liscia e, altri giorni di sconfinamento in quella desolante cella, era l’ultima cosa che desiderava. «Senti, quand’è che ci dovrebbe essere la prossima cavalcata dei faêran?» Chiese in parte per cambiare discorso e in parte perché desiderava rivedere Faye senza
compromettersi troppo. Joel la guardò in modo strano, con una luce strana negli occhi. «Ehi, aspetta» cominciò colpito da una folgorazione, «è lì che sei stata quando sei sparita per tre giorni?» Sarah rimase di sasso, incapace di reagire e soprattutto di parlare. Poi, con una lentezza assurda, si riprese e disse incespicando: «Cosa?» Improvvisò una risata e continuò: «È semplicemente assurdo quello che hai appena detto!» Si accorse di essere un po’ troppo sulla difensiva, così, riacquistata la calma e il controllo, riprese: «Quando ci siamo stati non li abbiamo visti, o sbaglio?» Joel continuò a guardarla in modo strano, poi cambiò totalmente sguardo. «All’equinozio d’autunno, quando, anche qui, la Somma Sacerdotessa procederà con i festeggiamenti e il rituale». «Oh!» Esclamò delusa. Se capitava in quella sera, dubitava fortemente che sarebbe riuscita a raggiungere la cima della collina senza che nessuno la vedesse. Oltretutto era certa che Kirsten l’avrebbe pedinata come un segugio. Fece per aggiungere qualcosa, quando fu interrotta dall’arrivo inaspettato di Cassandra. «Sarah, ho bisogno di parlarti». La ragazza guardò dapprima lei, poi Joel, con muta richiesta di lasciarle da sole. Joel fece per allontanarsi ma Sarah lo fermò. «Come vedi non sono sola,» esclamò risentita per quello che le aveva fatto. «Per favore… Non tutto quello che ti è stato detto è vero, Anjelika ha mentito su molte cose». «Invece tu no, sei stata completamente sincera, hai detto tutto quello che dovevi dire, anche se non ti sei comportata come una vera amica! Io non ti avrei mai fatto una cosa del genere!» Sarah rincarò la dose ma vide, con suo stupore, che Cassie si era messa a piangere. «Non sono stata io a dirlo alla Somma Sacerdotessa e, se mi darai modo di spiegare, ti racconterò tutto». Il tono supplichevole che Cassandra usò e la sincerità del suo sguardo, misero Sarah a disagio. «D’accordo,» le concesse. Poi, rivolgendosi al ragazzo, disse:
«Joel, ti dispiace se…» «Figurati, vi lascio sole. Mi trovi giù al ponte». Detto ciò le sorrise e Sarah contraccambiò imbarazzata. Lasciò che il ragazzo si fu allontanato e poi disse a Cassandra: «Okay, ti ascolto». Cassie si sfregava nervosamente le mani, lo sguardo in un punto indefinito a terra ed esitava a parlare. «La Somma Sacerdotessa ci ha sempre mandate in due da te, a portarti il cibo, io e Anjelika». Nel momento stesso in cui aveva preso a parlare, guardò Sarah dritto negli occhi, ma continuò a tormentarsi nervosamente le mani. Sarah aveva già capito quello che Cassandra le stava per dire, ma lasciò comunque che la ragazza continuasse a parlare. «La prima volta entrai io e Anjelika stette fuori, ma sentì tutto e raccontò ogni cosa alla Somma Sacerdotessa. Quest’ultima ordinò ad Anjelika di entrare lei al mio posto, mentre io sarei rimasta fuori. Mi giudicava troppo coinvolta nei tuoi confronti e temeva che mi sarei lasciata impietosire. Così, la seconda volta, venne Anjelika e io ho sentito e visto tutto quello che è successo». Sarah guardò Cassandra con incredulità mista a rabbia e quindi, interrompendola, urlò: «E allora perché non le hai raccontato tutto? Perché non le hai detto come sono andate veramente le cose?!» Cassandra mise le mani avanti, inconsciamente, sulla difensiva. «L’ho fatto! Quando Anjelika mi ha raccontato ciò che aveva detto alla Somma Sacerdotessa e mi ha minacciata di non tradirla, io mi sono rifiutata di sottostare ai suoi voleri, e sono corsa subito a palazzo, a dirle come erano andate in realtà le cose!» Sarah vide che Cassie aveva le lacrime agli occhi e che non stava mentendo. «Non capisco,» cominciò scuotendo il capo, «se le hai raccontato la verità, e ora sa come sono andate le cose… Perché Anjelika è rimasta impunita?» «Perché…» Cassie si bloccò incapace di continuare. «Perché, cosa? Avanti, Cassie, devi dirmi tutto,» la implorò.
«Non posso… o la Somma Sacerdotessa mi punirà! È stata chiara a riguardo». Sarah non capiva, tutto quanto non aveva senso. «Ti giuro che non racconterò nulla a nessuno di quello che mi dirai,» promise per convincerla, e diceva la verità. Non l’avrebbe mai tradita. «D’accordo, te lo dirò». Cassie fece un lungo respiro, poi continuò: «Quando raccontai alla Somma Sacerdotessa come erano andate realmente le cose, lei mi ordinò di non dire a nessuno di questa cosa, ma che, anzi, mi sarei dovuta attenere alla versione di Anjelika, altrimenti mi avrebbe punita». «Cosa?» Sarah era allibita, non poteva credere a ciò che Cassandra le aveva appena detto. Nonostante Renea avesse saputo come erano andati realmente i fatti, aveva protetto Anjelika chiedendo a Cassandra di mentire? Ma non aveva senso… perché mai aveva desiderato una cosa del genere? Perché mai… Sarah sentì gli occhi bruciarle, le lacrime pronte a uscire come un fiume in piena, aveva quasi difficoltà a respirare. «Ti prego, Cassie, lasciami sola…» disse con la voce ridotta a un sussurro. «Sarah, mi dispiace, davvero… non capisco perché…» Cassie tentò di avvicinarsi a Sarah, ma quest’ultima si allontanò da lei e corse via, diretta alla residenza di Renea. «Ti prego, non tradirmi!» Urlò Cassandra. Sarah non aveva intenzione di tradirla, non lo avrebbe mai fatto. Conosceva fin troppo bene la sensazione sgradevole di vuoto e l’amarezza che si provava quando si subiva la delusione di chi aveva infranto le proprie aspettative; aveva avuto modo di assaporarla con la persona che amava di più della sua stessa vita: Mark. Ma ora aveva bisogno di porre le distanze tra lei e Cassandra, ma non solo, tra lei e il resto del mondo. Si diresse in prossimità del ponte, dove incontrò Joel che l’aspettava. Si congedò da lui senza dargli nessuna spiegazione, non ce n’era bisogno. Lui aveva visto chiaramente che aveva il volto rigato dalle lacrime e, dotato di buonsenso, aveva compreso e accettato la sua decisione senza alcuna insistenza. Quando giunse in prossimità del palazzo di Renea, si era un po’ calmata, anche se non era comunque riuscita a farsene una ragione.
Era disgustata da Renea, più ava il tempo e più si rendeva conto che poteva essere capace di odiare una persona, quella stessa persona che l’aveva messa al mondo e che poi riusciva a trattarla in quel modo. Perché allora l’aveva fatta trasferire a palazzo? Ah, giusto, per poterla controllare. Per controllare ogni attimo della sua vita. «Sarah!» Sarah si voltò e vide che Morgana la stava raggiungendo. «Non è il momento» le disse allontanandosi dalla donna, ma Morgana la raggiunse e le mise una mano sul braccio obbligandola a fermarsi. Si ritrovò così a pensare che forse, a Morgana, poteva dirlo. «Che succede?» Le chiese la donna preoccupata. Sarah si guardò attorno per vedere se ci fosse qualcuno che potesse sentirla e, quando vide che non c’era nessuno nei paraggi, disse: «Cassandra ha raccontato a Renea come sono andate realmente le cose quand’ero in cella e Anjelika mi ha colpita e ferita, e Renea ha ordinato a Cassie di tacere!» «Mi dispiace,» mormorò Morgana con l’espressione di chi non sta apprendendo nulla di nuovo. Sarah la fissò indignata. «Tu lo sapevi? Lo sapevi e non hai fatto nulla per far andare le cose diversamente?» Sarah fece per andarsene sentendosi profondamente ferita, ma Morgana la fermò e ora si trovava col volto a pochi centimetri da lei. «Anjelika potrebbe essere pericolosa,» disse la donna in un sussurro. Sarah la guardò in modo interrogativo. «Non capisco…» «Rifletti, Sarah. È molto grave quello che ha fatto, avrebbe potuto ucciderti». Sarah pensò alle parole di Morgana ma proprio non riuscì a leggere tra le righe. «E quindi, per questa ragione la lascia impunita?» Morgana scosse la testa. «Potrebbe non agire da sola, e dobbiamo scoprire chi è l’altra persona, o chi sono le altre persone».
Sarah fissò con sgomento Morgana, incapace di parlare. Quando riuscì a superare lo shock, disse: «Vogliono…» Morgana le mise una mano sulla bocca per impedirle di proseguire e dire la parola uccidermi, ma era chiaro che era quello che intendeva. Per questo allora Renea aveva predisposto che lei venisse trasferita. «Non corri alcun pericolo, al momento». Morgana doveva aver letto il terrore sul suo viso. «Ad ogni modo, non ti cercavo per questo,» continuò la donna. «Dovevo parlarti di un fatto che sta per accadere, ed è imminente». Sarah era troppo frastornata per riuscire a seguirla e, Morgana, dovette accorgersene, ma non smise lo stesso di parlare. «Mark e suo padre stanno per giungere qui, a Dervel». A questo punto, l’attenzione di Sarah divenne palese, e il suo cuore perse un battito. «Cos’hai detto?» Credeva di aver capito male, anzi no, sperava di aver capito male. «La prossima settimana, Mark e suo padre saranno qui a Dervel, e staranno qui qualche giorno,» ripeté Morgana. Sarah aveva difficoltà a respirare, sentiva la propria testa travolta da un vortice e il cuore era in preda a sovrastanti emozioni. «Perché vengono qui?» Morgana la guardò a lungo prima di rispondere. «A ottobre ci sarà il matrimonio tra Marcus e la sua fidanzata, di cui non ricordo il nome». «Anjela» intervenne Sarah. «Sì, Anjela. E io e Mikael siamo d’accordo da mesi che avremmo fatto il viaggio insieme. Per la verità, Nikolaz, il padre di Marcus, aveva invitato Renea al matrimonio, in quanto è lei la sovrana, ma Renea, che non vede di buon occhio Nikolaz, ha delegato me, e così…» «Arriva al punto, Morgana. Perché, Mark e suo padre, vengono qui?» La
interruppe Sarah. «Ci stavo arrivando, volevo fornirti qualche dettaglio, ma visto che non ti interessa arriverò al punto». Morgana fece uno strano sorrisetto che a Sarah non piacque, era alquanto enigmatico. «Tua madre…» «Non chiamarla così, per favore» la interruppe nuovamente. «Santo cielo, Sarah, sai essere così seccante delle volte!» Commentò la donna leggermente infastidita. «Comunque, Renea ha proposto a Mikael che fosse Dervel il luogo di incontro per l’imminente partenza…» «Guarda caso,» commentò Sarah sarcastica. Morgana la fulminò con lo sguardo prima di concludere il discorso ripetutamente interrotto. «… invitandoli a trascorrere qualche giorno qui». Vedendo il malcontento di Sarah, che era certa non volesse essere realmente tale, le disse: «Sapevi che Mark non è mai stato qui a Dervel e non conosce questo luogo?» «Beh, non gli farò di certo io da guida turistica!» Esclamò laconica. Poi aggiunse: «Ha atteso più di due mesi prima di venire qui, ne poteva aspettare altrettanti!» Detto ciò, si allontanò da Morgana fingendo di essere furiosa. In realtà, si sentiva eccitata e spaventata al tempo stesso. Mark stava per arrivare a Dervel e sarebbe rimasto qualche giorno. Aveva avuto così fretta di concludere la conversazione, poiché attanagliata da una moltitudine di sentimenti, che le era sfuggito qualche aggio di ciò che Morgana le aveva detto. Ovvero: se Morgana doveva affrontare il viaggio con il padre di Mark, quest’ultimo che cosa c’entrava? Perché… Che stupida! Si ritrovò a pensare. Ovvio, Marcus era uno dei più cari amici di Mark! L’aveva definito come un fratello e, guarda caso, Anjela era una delle più care amiche di Lynn. Formavano una doppia coppia… Morgana le aveva assicurato che Mark l’amava ancora e che non stava con Lynn. E se le cose fossero cambiate nell’ultimo mese?
Nella settimana a seguire, le fu impossibile non pensare a Mark giorno e notte. Di giorno non riusciva a concentrarsi nelle lezioni, durante una banale dimostrazione di come evocare il fuoco, si incendiò l’aula. Quando cercò di invocare gli elementi, per poco non giunse un uragano a Dervel. Così, Morgana, dopo averne ammirato le doti innate e il potere che aumentava sempre di più, la
esonerò dalla pratica, per evitare incombenti catastrofi naturali. Era chiaro che si prendesse gioco di lei e che scherzasse, ma Sarah si ritenne comunque offesa ed esclusa, soprattutto perché il fuoco, del tutto involontariamente, bruciò parte dei capelli di Anjelika, e Kirsten scoppiò in una fragorosa risata quando accadde. La notte era una tortura: lo sognava incessantemente, sognava tutti i bei momenti trascorsi con lui. Sognò quando, nel regno di Argantel, raggiunsero la grotta al di là della cascata, e lei desiderava che quel momento durasse in eterno. Sognò il primo bacio e come non riusciva a stargli lontana. E sognò quando fece l’amore con lui, ogni attimo era fatto di ione travolgente e tenerezza instancabile e lui non smetteva di dirle quanto l’amasse. Ma a Livingston tutto era cambiato: Mark era cambiato. Si era dimostrato essere una persona totalmente diversa, era come se avesse una doppia personalità. Un tempo, lei era il suo mondo. Ora, il suo mondo erano i suoi amici e Lynn. E adesso, come sarebbe stato rivederlo?
La Somma Sacerdotessa di Dervel aveva pianificato ogni cosa. Non solo aveva invitato Mark e suo padre a trascorrere qualche giorno a Dervel, ma comunicò l’ordine a Sarah – tramite una sacerdotessa, non personalmente – che nei giorni in cui i due ospiti si sarebbero trattenuti a Dervel, lei avrebbe presenziato ai pasti. Tale comunicazione le pervenne lo stesso giorno in cui Mark e suo padre dovevano arrivare e, Sarah, fu colta dal panico, perché proprio non si sarebbe aspettata una cosa del genere. Per quanto fosse riconoscente e nutriva un dolce ricordo del Re di Livingston, aveva pianificato di vedere Mark il meno possibile. Ciò che sentiva era controverso, poiché le era mancato, ma provava ancora molto dolore per ciò che le aveva fatto e temeva di affrontarlo. Ora, con la trovata di Renea, ogni piano era saltato. Se avesse dovuto partecipare a tutti i pasti con loro, sarebbe stato pressoché impossibile stargli lontana e, conoscendo Renea, forse aveva programmato anche altre occasioni. Il loro arrivo era previsto per la tarda mattinata, e Sarah era decisa a non trattenersi a palazzo più del dovuto, per evitare almeno l’imbarazzo che avrebbe provato stando ad accoglierli al loro arrivo. Per questo motivo, accettò con enorme piacere e gioia, l’invito di Joel di trascorrere la mattinata con lui. Per qualche strana ragione, quella mattina, era
stata sospesa ogni lezione. Dervel era in fermento per l’arrivo del Re di Livingston e di suo figlio e, Sarah, non ne capì a pieno la ragione, poiché era risaputo che tra gli abitanti del Regno di Renea e i sudditi del Re Mikael non scorreva buon sangue. Forse il motivo era da attribuire al fatto che, anni prima, il sovrano di Livingston era intervenuto con i suoi uomini a salvare il crudele destino che spettava a quella gente: soccombere al dominio di Argantel, in quanto il villaggio di Dervel era stato attaccato e il palazzo di Renea preso d’assedio. Quale altra ragione poteva altrimenti esserci? L’unione tra il Principe Mark e la figlia della Somma Sacerdotessa? Poco probabile, perché nessuno lì sapeva che lei, Sarah, era in realtà la figlia di Renea. E che cosa aspettava a comunicarlo agli altri? Sarah sorrise al pensiero di Mark che veniva a conoscenza di una cosa del genere. «Quello che ho detto ti fa sorridere?» A parlare era Joel e Sarah dovette fare un notevole sforzo per riscuotersi dai propri pensieri. «Perdonami, in realtà non ho sentito… oggi sono di umore… pessimo…» si giustificò. Joel faceva di tutto per risultarle carino e simpatico e lei lo ripagava in quel modo. Si sentì uno schifo. «Sei di umore pessimo e sorridi?» Le chiese lui scettico. Sarah si ò una mano tra i capelli nervosamente. «Sorrido per sdrammatizzare… oggi arriveranno Mark e suo padre e…» «Sei ancora innamorata di lui?» Le chiese guardandola dritto negli occhi. Sarah abbassò lo sguardo. «Beh… Non è così semplice smettere di amare qualcuno». «Ne so qualcosa». Sarah lo guardò stupita. «Anche tu stai soffrendo pene d’amore e, mentre io te ne ho parlato, tu non hai detto nulla?» Joel esitò qualche istante a rispondere. «Non è proprio così… Nessuna ragazza mi ha fatto soffrire o mi ha spezzato il cuore. Ma so che non è semplice smettere di amare qualcuno, soprattutto se quel qualcuno è innamorato di un altro». Sarah sperò disperatamente di aver frainteso quello che lui le aveva appena
detto. «Joel, io…» «Ehi, tranquilla,» la interruppe lui, «lo so che per te sono solo un amico, lo so che il tuo cuore batte solo per lui. Mi sta bene così, non ti devi preoccupare». Sarah abbassò lo sguardo. Proprio quel giorno doveva farle una rivelazione di quel tipo? Okay, magari avrebbe dovuto capirlo, è risaputo che l’amicizia tra un uomo e una donna è pressoché impossibile, o quanto meno improbabile, però… «Ho rovinato tutto, non è vero?» Sarah guardò qualche istante Joel. In effetti, sì, aveva rovinato tutto, però non era il caso di dirglielo apertamente. Indubbiamente, d’ora innanzi, sarebbe stata più attenta a ciò che avrebbe detto, a come si sarebbe comportata, onde evitare fraintendimenti. «No, non hai rovinato proprio niente,» mentì abbozzando un sorriso. «Senti, perché piuttosto non mi racconti qualche storia sui faêran? È da un po’ che non lo fai…» «Come mai ti senti così attratta dai faêran?» Joel e Sarah si stavano incamminando lungo il sentiero che conduceva alla residenza della Somma Sacerdotessa. «Perché, c’è qualcuno che non lo è?» Gli chiese Sarah di rimando, raccogliendo da terra un quadrifoglio. «Oh, oggigiorno le persone non credono più ai faêran. Pensano siano favole per bambini». «Io, no» gli disse giocherellando col quadrifoglio. «Sapevi per esempio che il quadrifoglio serve per spezzare gli incantesimi?» Sarah lo guardò incuriosita. «Cosa? Che incantesimi?» «Incantesimi faêran, o comunque quelli fatti dagli esseri soprannaturali che circondano il popolo fatato. Ci sono così tante creature che nemmeno ti immagini!» Joel era estasiato ogni volta che poteva narrare le storie dei faêran, soprattutto quando era Sarah a desiderarlo, poiché era un’ottima ascoltatrice.
«Raccontami un’altra storia tra i faêran e i mortali finita in tragedia». «Come mai? Ami le storie tragiche?» Volle sapere lui. Sarah scosse la testa. «Nient’affatto». Mentre rispondeva, era consapevole che il suo pensiero fosse diretto a Mark. La loro storia, se mai ci fosse stata, non era destinata a finire in tragedia. Joel la guardò di sottecchi, dopodiché prese a narrare: «In un prato, delimitato da un fiume e appartenente alla tenuta di un ricco proprietario terriero, si afferma che le fate si riunissero e danzassero nelle notti serene di luna piena o in quelle in cui venivano celebrate le loro festività. Una sera, il giovane erede tenutario del podere, si nascose in un cespuglio nei pressi del luogo in cui esse erano solite divertirsi; di lì a poco le creature comparvero e, mentre erano allegramente intente nei loro giochi, egli balzò fuori dal suo nascondiglio e afferrò una delle fanciulle del gruppo; il resto della compagnia si disperse e svanì in un istante». «Ma è ignobile quello che ha fatto!» Lo interruppe Sarah con veemenza. «Che diritto aveva di prenderla con la forza?» Joel la guardò divertito. «Calmati, il giovane si fa perdonare, non ti preoccupare. Non ha saputo resistere alla sua bellezza». «È ignobile lo stesso» bofonchiò a voce più bassa. «Comunque… Il giovane, incurante delle urla e della resistenza della fanciulla, la trascinò a casa, dove si mise a trattarla in modo così gentile che la ragazza fu infine soddisfatta di vivere con lui come sua domestica». «Come domestica?» Lo interruppe di nuovo Sarah. «Ma che storia mi stai raccontando? È triste! Come può un mortale trattare un faêran come domestica?» «Parli come una di loro!» La punzecchiò Joel. Sarah fece una smorfia fingendosi offesa, poi disse: «Avanti, continua». «Sperando che mi lasci arrivare alla fine senza che mi interrompi di nuovo. Dicevo: la ragazza ora era soddisfatta, ma non volle dire il suo nome. Qualche tempo dopo, avvenne che egli rivide le fate nel medesimo luogo e udì una di loro dire “L’ultima volta che ci siamo trovate qui, nostra sorella Penelope fu rapita da
un mortale”. Lieto di conoscere infine il nome della sua Incognita, fece ritorno a casa; e, dal momento che la fanciulla era molto bella ed estremamente laboriosa, le chiese di sposarlo, la qual cosa ella, per molto tempo, si rifiutò di fare». «Mi piace Penelope. Continua, la storia comincia a piacermi,» commentò Sarah. «Non ne avevo dubbi,» disse ridendo. Quindi proseguì col racconto: «Alla fine, però, Penelope acconsentì a una condizione: che se mai l’avesse colpita con un pezzo di ferro, lo avrebbe lasciato e non sarebbe mai più tornata da lui». «È il minimo» non riuscì a evitare di dire. «Non è quello a cui stai pensando, Sarah. Lei non intendeva che lui non doveva picchiarla, ma anche solo toccarla col ferro». «Perché?» Volle sapere accigliata. «Il ferro indebolisce i faêran» le spiegò Joel. «Sul serio?» Sarah ripensò a Faye. Le volte in cui l’aveva vista, non aveva toccato il ferro? Ne era stata lontana? Strano, il palazzo di Alys non poteva esserne privo… «Ad ogni modo vale solo per i faêran comuni. I re e le regine ne sono immuni». Joel le aveva letto per caso nel pensiero? Ecco spiegato. Faye ne era immune. Sarah gli fece cenno di continuare la storia. «Penelope e il giovane mortale vissero insieme felicemente per molti anni, ed ebbero un bambino e una bambina; e grazie alla prudente gestione della casa e alla solerzia della moglie, egli divenne uno degli uomini più ricchi del paese. Coltivava, oltre al terreno intorno alla casa, tutte le sue proprietà, e calcola che ne aveva per un’intera regione. Sfortunatamente, un giorno, Penelope seguì il marito nei campi per aiutarlo a catturare un cavallo ed essendo egli furibondo con l’animale che continuava a sfuggirgli, gli lanciò contro le briglie che teneva in mano, ma queste purtroppo colpirono la povera Penelope. In un istante ella sparì ed egli non la rivide mai più; la notte successiva, però, udì la sua voce, alla finestra della sua camera, che gli chiedeva di prendersi cura dei bambini».
«Che storia triste…» commentò Sarah. «Te l’avevo detto». Sarah e Joel, che si erano fermati, ripresero a camminare e si trovarono in prossimità del palazzo di Renea. «Io comunque, rimango dell’idea che lui non avrebbe dovuto rapirla,» interloquì Sarah. «Non ne avevo dubbi. E che mi dici allora di lei che abbandona i bambini?» Sarah scrollò le spalle. «Non ne ho idea, forse non poteva portarli con sé, non le era consentito». «Giusto. Ma lei sarebbe potuta restare per i suoi figli, ti pare?» Sarah fece per rispondere, quando udì la voce della Somma Sacerdotessa chiamarla. Si voltò di scatto e vide, in piedi all’entrata del palazzo, Renea con… Mark e suo padre. Sarah rimase paralizzata a osservare Mark: la stava guardando con un’espressione indecifrabile. Rifletté qualche istante sul perché di quell’espressione… Perché la stava guardando in quel modo? E poi capì. L’aveva vista con Joel. Che cosa doveva aver pensato? Fu turbata a quel pensiero. Quando Renea le ordinò di raggiungerli, sentì il respiro mancarle e, soprattutto, si dimenticò totalmente di Joel. Si stava già avviando quando lo udì dire: «Immagino che lui sia Mark». Sarah si bloccò all’istante, si voltò verso Joel e disse: «Sì. Mi dispiace ma… Devo andare». «Non ti preoccupare. Credi che potremmo vederci nel pomeriggio? Mi fermerò qui al villaggio oggi». «Certo. Però vediamoci direttamente giù in centro, sulla sponda del fiume». Dopo aver detto ciò, Sarah lesse un’espressione di turbamento sul volto di Joel. Che enorme casino! Che casino gigantesco! E ora? Come ne sarebbe uscita? «D’accordo. Ci vediamo nel primo pomeriggio». La voce di Joel era spenta. Lo vide allontanarsi poco dopo. Sarah rimpianse la grande trovata di essersi vista
quel giorno con lui. Ma poi perché? Che cos’aveva fatto di male? E, in fin dei conti, che cosa le importava di quello che poteva pensare Mark? Che pensasse pure quello che voleva, lui con Lynn si era sentito libero di fare quello che gli pareva, giusto? E stavano ancora insieme all’epoca. Mentre ora… «Sarah!» La voce della Somma Sacerdotessa tuonò quasi irosa e, non poco irritata, Sarah si voltò di scatto e si avviò verso loro tre, col cuore che le batteva all’impazzata e il o malfermo. Controllo delle emozioni. Controllo delle emozioni. Oh, al diavolo! Come poteva sperare di controllare le emozioni dopo due lunghi mesi che non rivedeva Mark?
Capitolo sette
L’arrivo di Mark
Sarah si avvicinò con i lenti e calcolati all’ingresso del palazzo. Il volto era imibile, o così sperò che risultasse tale ma, dentro di lei, provava una miriade di emozioni contrastanti. Sentiva un macigno sopra il petto, che la costringeva a fare respiri brevi e irregolari e il cuore sembrava impazzito. A pochi i dai gradini in marmo, lanciò uno sguardo veloce a Mark e il suo volto la raggelò. Aveva sempre creduto, o forse era più corretto dire sperato, che il momento in cui si fossero incontrati e rivisti lei avrebbe notato la sua gioia sul suo volto, aveva sperato che Mark le avrebbe regalato un ampio sorriso che si estendeva fino agli occhi, com’era suo solito fare, o che le sarebbe corso incontro per stringerla in un forte abbraccio e farla volteggiare sino a quando sarebbero rimasti senza respiro per le risa. Ma non stava accadendo niente di tutto ciò: Mark era gelido ed era consapevole che Morgana le avesse mentito. Non era vero che lui non aveva smesso di amarla e aveva desiderato rivederla. Ricacciando indietro le lacrime, volse lo sguardo, per il restante tempo che impiegò a fare i gradini, al padre di Mark. Differentemente dal figlio, il sovrano di Livingston le stava regalando un caloroso sorriso che, per un attimo, riuscì a farle dimenticare il gelo del ragazzo di poco prima. «Sarah, non puoi immaginare che immensa gioia sia per me rivederti,» le disse lui stringendola in un forte abbraccio. «È lo stesso per me,» disse rispondendo al saluto. Poi, lo sguardo ricadde nuovamente ed inevitabilmente su Mark. «Ciao» la salutò lui con uno sorriso sforzato. Era chiaro che non fosse felice di rivederla. A Sarah, le si spezzò il cuore. Tutte le speranze e aspettative erano state infrante nel giro di pochissimi secondi e lei si sentì morire. «Ti credevo qui a palazzo,» esordì la Somma Sacerdotessa irrompendo nei suoi pensieri, «e ti ho fatta cercare per parecchio tempo. Non ero stata sufficientemente chiara quando ti ho detto che Mark e suo padre sarebbero arrivati in mattinata?»
«Tu non mi avevi detto nulla a riguardo,» replicò Sarah senza preoccuparsi delle conseguenze, «e, evidentemente, la persona che mi ha riferito il tuo messaggio, ha tralasciato qualche dettaglio». La Somma Sacerdotessa scosse il capo con disapprovazione poi, rivolta a Mikael, disse: «Immagino che l’impertinenza di Sarah tu abbia già avuto modo di conoscerla. Sono comunque dispiaciuta per questo!» Il sovrano di Livingston guardò dapprima Sarah divertito poi, sempre col sorriso sulle labbra, si rivolse a Renea replicando: «In tutta onestà, in Sarah, ho sempre ammirato l’onestà e la grazia, Renea. L’impertinenza di cui tu parli mi è sconosciuta, e nemmeno ora l’ho potuta constatare. Credo tu debba essere un po’ più tollerante, soprattutto con tua figlia». Sarah si voltò di scatto verso la figura imperiosa del padre di Mark. Che cos’aveva detto? Tua figlia? Aveva capito bene? Mikael, che aveva riconosciuto lo stupore e lo sbigottimento sul volto di Sarah, quasi le avesse letto nel pensiero, precisò: «Renea ci ha appena informati della notizia, mia cara. O meglio, ne ha informato Mark, poiché io ne ero già a conoscenza da parecchio tempo, e credo che mio figlio, per questa omissione di informazioni, non mi perdonerà tanto facilmente. Ti porgo le mie scuse se non ho lasciato trasparire la verità quando se ne è presentata l’occasione, ma era giusto che fosse lei a rivelartelo». Sarah gli sorrise, poi abbassò lo sguardo, riflettendo sulle sue parole. Lui lo sapeva, certo che lo sapeva, avrebbe dovuto dedurlo dalle parole di Renea, quando le parlò la prima volta e le rivelò di essere sua madre, quando le spiegò l’importanza del matrimonio tra il figlio del sovrano di Livingston e la figlia della Somma Sacerdotessa. Le aveva messo la verità a portata di mano eppure lei non aveva dato peso alle sue parole. Che stupida era stata! E non aveva mai pensato di chiederlo a Morgana… Almeno questo gliel’avrebbe potuto dire! «Vogliamo entrare? Inutile stare qui all’ingresso,» sentenziò la Somma Sacerdotessa. Renea fu la prima a entrare, poi la seguì Mikael, quindi, quando fu il turno di Mark, quest’ultimo cedette il posto a lei. Le fece cenno di are senza dire una parola e, andogli accanto, Sarah fu percorsa e scossa da un brivido che non provava da tempo, e si chiese, con l’ingenuità di sempre, se per caso, quello che
aveva letto sul viso di Mark, non fosse semplice stupore per la notizia appena appresa, invece del gelo che traspariva. Di sicuro per Mark doveva essere stato uno shock sentire una simile rivelazione. «Mikael, sarai felice di sapere che Alienor pranzerà con noi oggi,» lo informò Renea. «Più che felice, sono sorpreso, Renea,» rispose con un tono che lasciava trasparire disappunto. «Credevo che saremmo stati noi gli ospiti d’onore, e invece mi dai questa notizia». Il sovrano di Livingston si finse dispiaciuto, ma Sarah sapeva bene che non lo era realmente. Quando si trovarono nel grande salone, Sarah vide che sul tavolo erano già state precedentemente preparate diverse bevande. «Ma è chiaro che tu e tuo figlio siate gli ospiti d’onore. Alienor si trova qui di aggio, oggi, e mi ha comunicato che sarebbe venuta. Non ho potuto rifiutare. Spero tu potrai perdonare questa mia grave mancanza». Renea si sedette su una poltroncina rivestita di velluto e fece cenno agli ospiti di accomodarsi con un gesto plateale. «Gradite qualcosa da bere dopo il lungo viaggio che avete affrontato? Sarah, cosa stai aspettando? Chiedi ai nostri ospiti cosa desiderano bere!» Non c’era cosa peggiore che essere umiliata di fronte a Mark. Sentì un nodo alla gola e trattenne a stento le lacrime. «Perdonerò la tua grave mancanza se comincerai a trattare meglio tua figlia». Il sovrano di Livingston quasi fulminò con lo sguardo Renea. Era bello vedere qualcuno che non era intimorito da quella donna. «Ti pregherei di non insegnarmi come devo comportarmi con lei. Il mio atteggiamento è pura conseguenza del suo. Avete fatto buon viaggio?» Sarah s’informò su cosa desiderassero bere con la voce che le tremava leggermente. Dopo che il padre di Mark le comunicò che avrebbe gradito un caffè, si rivolse al figlio che era ancora in piedi: «Aiuta Sarah con quel vassoio, per cortesia. Non è
educazione far lavorare le signore». Mark raggiunse Sarah al tavolo dove si trovavano la vasta gamma di bevande e, dopo averle sorriso, le chiese: «Come stai?» Sarah abbassò lo sguardo. Aveva ancora le lacrime che le pungevano gli occhi e lasciò che i capelli cadessero sul viso per timore che lui potesse notarle. «Bene,» rispose con voce spezzata. «Tu… Cosa desideri bere?» Era in procinto di piangere e doveva evitarlo. Mark l’aveva già fatta sentire sufficientemente patetica durante la loro ultima discussione. Ricordava perfettamente il tono sprezzante con cui le disse: “E per l’amor di Dio, ora non metterti a piangere, siamo già sufficientemente in ritardo grazie alle tue paranoie!” Persa in quel ricordo, non si accorse che Mark le aveva risposto. Si riscosse dai pensieri e lo guardò confusa. Ora era lì con lei e sembrava che la stesse guardando preoccupato. Il cuore le perse un colpo, era come se improvvisamente i battiti avessero perso il loro ritmo regolare. Gesticolando gli ripeté la domanda, questa volta con voce più sicura. Lui la guardò accigliato. «Sei certa di stare bene?» Sentì ancora il cuore batterle in modo strano, era come se i battiti accelerassero e poi rallentassero in modo improvviso. «Ti ho già detto che sto bene,» rispose quasi seccata, ma in realtà non era così. Non stava bene. Vicino a lui non stava per niente bene. Perché, quando l’amore diventa così grande ed essenziale da rappresentare l’unica ragione di vita, quando diventa qualcosa di unico e ineguagliabile come l’aria che si respira e poi lo si perde tutt’a un tratto, è come perdere l’essenza della vita stessa. «Il caffè va bene anche per me,» rispose lui omettendo di averglielo già detto. Sarah si voltò verso Renea per chiederle cosa volesse ma, quando vide che lei e Mikael erano impegnati in una conversazione piuttosto seria, evitò di interromperla per porle la domanda. Sapeva perfettamente che, se l’avesse interrotta mentre stava conversando, l’avrebbe fatta infuriare. Così si limitò a versarle dell’acqua consapevole del fatto che, in ogni caso, fuori dai pasti non prendeva altro. Fece per sollevare il vassoio in argento massiccio con la bordatura intarsiata da piccole gemme, quando si accorse che le tremavano le mani e, naturalmente, Mark era lì che la osservava.
«Lascia, lo porto io,» si offrì lui con un sorriso. «No» replicò secca e decisa. Forse non fu una buona cosa. Sentiva che la situazione le sarebbe sfuggita di mano, che non sarebbe riuscita a sopportare un minuto di più Mark che non le toglieva gli occhi di dosso e Renea che non perdeva tempo a umiliarla. «Oh, eccovi, siete arrivati» esclamò Morgana entrando dalla porta con un ampio sorriso. «Scusatemi il ritardo, ma ho avuto da fare tutta mattina». L’arrivo di Morgana cambiò lo stato d’animo di Sarah. La donna le ò accanto per raggiungere il padre di Mark e le sorrise incoraggiante. Il sovrano di Livingston si alzò da dove era seduto e raggiunse Morgana per stringerla in un abbraccio più formale che affettuoso. «Avete fatto buon viaggio?» Chiese la donna rivolgendosi esclusivamente a Mikael. «Sì, un buon viaggio. In aereo non ci abbiamo impiegato molto, Morgana. Sei sempre in tempo a cambiare idea». Sarah si chiese a cosa si stesse riferendo e, quando comprese che stavano parlando del viaggio che avrebbero dovuto affrontare per raggiungere il castello di Kentingern, per il matrimonio tra Marcus e Anjela, non si soffermò oltre ad ascoltare la conversazione. Non era un argomento che la interessava. Posò nuovamente il vassoio, consapevole che erano troppo coinvolti a parlare perché lei potesse portare loro da bere. Quando Morgana raggiunse Mark e lo salutò calorosamente, il tono della Somma Sacerdotessa riprese a essere ostile, perché naturalmente si stava rivolgendo a lei. «Sarah, ce la fai a portarci da bere prima del pranzo?» Sarah lanciò uno sguardo disperato a Morgana e, quest’ultima, si voltò inferocita in direzione di Renea, ma non disse nulla. Sul volto del padre di Mark si poteva leggere disapprovazione e disprezzo per la Somma Sacerdotessa. Riguardo a Mark… Non seppe cosa stesse provando, quali fossero i suoi pensieri a riguardo, poiché evitò accuratamente di guardare l’espressione del suo viso.
Il resto della conversazione fu noioso e pedante, perlopiù era un continuo ragguaglio delle politiche di Livingston e di Dervel, ed era una continua battaglia tra il sovrano di Livingston, che non esitava a dire a Renea quello che pensava, e quest’ultima, che replicava a ogni sua battuta. Morgana fece ben pochi interventi, si limitò ad ascoltare e ad assumere espressioni divertite quando era il sovrano di Livingston ad attaccare. Sarah, dal canto suo, sedette il più lontano possibile da Mark, per evitare una qualsiasi conversazione, fosse anche solo per parlare del tempo, e fece molta attenzione a non incontrare il suo sguardo. Anche se avesse voluto, le sarebbe riuscito ben difficile vederlo in faccia poiché si era seduta strategicamente all’ombra di Morgana. Riuscì a cogliere solo alcuni spezzoni della conversazione. Aveva per lo più lo sguardo perso, che vagava oltre le finestre, da cui riusciva a vedere la sommità della collina e si ritrovò a riflettere che, il giorno seguente, sarebbe stato l’equinozio d’autunno ed era una grande opportunità di rivedere Faye… Ma, ci sarebbe riuscita? Sarebbe riuscita ad allontanarsi da tutti e a raggiungere la sommità della collina senza destare sospetti? Quando raggiunse la sala da pranzo riservata alla Somma Sacerdotessa, i posti erano già quasi tutti occupati. Il tavolo, rettangolare e molto spazioso, era presieduto a capotavola dalla Somma Sacerdotessa che era in piedi come tutti gli altri. Da un lato erano seduti rispettivamente il padre di Mark, che aveva ai suoi lati Renea e Mark. Di fronte al sovrano di Livingston, c’era un posto libero, che Sarah presunse essere riservato alla Somma Sacerdotessa di Maviron che doveva fare ancora il suo ingresso. Vicino ad esso c’era Morgana, e Sarah capì che il suo posto era a fianco di quest’ultima. Mark e suo padre avevano le sedie così allargate che il posto di Sarah si ritrovò, non a caso, posizionato in modo strategico, proprio di fronte all’unica persona che non avrebbe voluto guardare durante il pranzo, certa che qualche boccone le sarebbe andato di traverso. Appena raggiunse il suo posto, consapevole che quello fosse tale, prova ne fu il sorriso rassicurante di Morgana, riuscì a sentire, dopo che l’ebbe salutata, la battuta tagliente del sovrano di Livingston. «Alienor ci farà attendere ancora molto, Renea? Sto morendo dalla fame». Le guance della Somma Sacerdotessa si infiammarono e si colorarono di rosso. «Dovrebbe essere qui a momenti», replicò con una calma che era ben lungi dal provare.
«Voglio sperare,» commentò sempre il sovrano, «non è educato che una persona, oltre ad autoinvitarsi, giunga anche in ritardo». Morgana si voltò verso Sarah e quest’ultima ne colse lo sguardo divertito che non osò contraccambiare per timore che Renea la vedesse. In quanto alla Somma Sacerdotessa, non ribatté nulla, ma era chiara la sua rabbia. «Ci possiamo almeno accomodare?» Domandò con finta educazione il padre di Mark. A Sarah era chiaro un concetto: lui non vedeva di buon occhio Renea; era chiaro che, i due, si detestassero cordialmente e lei non riuscì a capire molte cose. Perché il padre di Mark aveva salvato il regno di Renea dall’invasione degli uomini di Argantel se la detestava? Perché combinare un unione tra i propri figli? E perché con lei, lui era così gentile, ben sapendo che fosse figlia di Renea? Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto bruscamente dall’arrivo della Somma Sacerdotessa di Maviron. Si era chiesta più volte come la donna potesse essere e, per chissà quale arcana ragione, lei si era immaginata una donna carina e dolce, con i capelli corti acconciati in morbidi ricci. Quella che si presentò a lei, invece, fu la fotocopia di Renea, versione bionda. Per fotocopia di Renea, si intendeva proprio un duplicato non solo nell’aspetto fisico, alta, slanciata e imponente, ma con lo stesso viso arrogante, gelido e prevaricatore. Avrebbe dovuto aspettarselo: non a caso, il sovrano di Livingston non aveva mascherato il suo disappunto nei confronti di quella donna. Dopo che tutti si salutarono con finta cortesia, Mikael presentò alla donna il figlio, che evidentemente non conosceva. Quindi, fu il turno di Renea di presentare Sarah, e il tono fu volutamente inappropriato, la presentò come si presenta una sguattera che lavora nelle cucine e lo sguardo di Alienor, nei suoi confronti, fu di sufficienza. Sarah non vedeva in lei la dolcezza e la timidezza di Cheryl, anche se, Faye, l’aveva avvertita dell’ambiguità della ragazza. «E così, tu sei Sarah…» mormorò la nuova arrivata accigliata. Poi rivolgendosi a Renea chiese: «Si sta preparando a divenire sacerdotessa? Anche se, con l’età, dovrai ammetterlo, non rispetta i canoni». «Ebbene sì, ma non mi è stato possibile fare altrimenti, tu conosci la situazione,» rispose con tono di finto rammarico.
«C’è di buono che,» si intromise Morgana, «al di là di ogni aspettativa, Sarah abbia raggiunto traguardi che le ragazze della sua età, con anni di preparazione, possono solo sognare». Sarah rimase colpita dall’intervento di Morgana e ne vide la disapprovazione sul volto delle altre due donne, mentre comparve un sorriso di soddisfazione sul viso del padre di Mark e quest’ultimo disse, con tono volutamente baldanzoso, per dar merito alle parole di Morgana: «Ci vogliamo accomodare, signore? Perdonami, Alienor, ma è da un po’ che attendiamo il tuo arrivo». «Ne sono dispiaciuta,» commentò con arroganza la donna, per l’offesa subita. «Non è il caso,» replicò con sarcasmo il sovrano di Livingston. Quello sarebbe stato un pranzo alquanto bizzarro, si ritrovò a pensare Sarah. Ammise anche a se stessa che, senza la presenza di Mark e di suo padre, non avrebbe avuto lo stesso gusto saporito. La Somma Sacerdotessa di Maviron volse il suo sguardo a Mark. «Come ti senti dopo la terrificante esperienza di essere stato prigioniero degli uomini di Argantel?» «Di sicuro non è stato piacevole, almeno i primi tempi,» esordì Mark guardando Sarah, «ma nemmeno terrificante. Ha avuto i suoi lati positivi, e non sono pochi». Mentre parlava continuava a guardarla e Sarah non riuscì a staccare gli occhi da lui. Non si aspettava un commento di quel tipo, soprattutto di fronte a tutti. «È molto bello quello che stai dicendo,» replicò Alienor, «ma mi sfugge qualcosa: credevo che foste fidanzati e invece ho notato che Sarah non porta l’anello di fidanzamento. Eppure, ero certa che fosse una vostra usanza». Le due Somme Sacerdotesse si erano coalizzate contro di lei, questo a Sarah fu ben chiaro, e non ne capì il motivo. Nessuno parlò per qualche istante, una fanciulla che si occupava di servire Renea duranti i pasti, non definita cameriera, aveva portato loro degli antipasti: verdure grigliate con un filo d’olio e del pesce sempre grigliato che oltre ad avere in aggiunta un po’ d’olio aveva anche del prezzemolo e aglio. Naturalmente, per Sarah, fu diverso. Solo verdure grigliate senza il pesce, poiché era ancora in punizione.
Morgana lasciò che la ragazza si fu allontanata, poi rispose: «Sarah è dimagrita, di recente, e abbiamo dovuto provvedere a far stringere l’anello. Da noi non ci sono dei bravi orafi e, oltretutto, considerata la preziosità e l’unicità di quel pezzo, Mikael ha insistito tanto perché ci pensasse il suo orafo personale». La nonchalance che Morgana aveva usato, e la totale mancanza di esitazione, fecero rimanere Sarah con la forchetta a mezz’aria, mentre ad Alienor andò l’acqua di traverso. Morgana e Mikael si scambiarono uno sguardo più che eloquente. «Prezioso e unico, sì, ma non quanto la nostra Sarah. È lei ad esserlo a tutti gli effetti.» commentò il padre di Mark per dare maggior risalto alle parole di Morgana. «Dico bene, Mark?» Aggiunse quindi. Mark, che stava per portarsi il pesce alla bocca – Sarah notò che l’aveva già mangiato quasi tutto nel giro di pochi secondi e non poté fare a meno di sorridere – interruppe l’azione dicendo: «A dire il vero, preziosa e unica sono termini molto riduttivi per descriverla. Sarah è molto di più». Mentre parlava, Mark la guardò con quella che a lei sembrò essere adorazione, ma poteva tranquillamente sbagliarsi. Sarah corrispose a quello sguardo con un ampio e involontario sorriso. A tavola, ci fu il silenzio più assoluto o, perlomeno, fino a quando fu Alienor a interromperlo. «Per cui, immagino che verrà ufficializzato anche qui a Dervel il fidanzamento, è corretto, Renea?» A Sarah, il sorriso morì sulle labbra. Che cos’avrebbe risposto ora, Renea, ben sapendo che non ci sarebbe stato nessun matrimonio? Tutto quello che Morgana e gli altri avevano detto, ora saltava platealmente, era inevitabile che si rivelasse fasullo, perché a Dervel non era previsto nessun annuncio ufficiale. Giusto? «Indubbiamente,» rispose Renea con fermezza. «Mikael e suo figlio si trovano qui anche per questa ragione. Purtroppo è stata una decisione un po’ improvvisa, poiché si era deciso di farlo un po’ più in là, ma tra due giorni ci sarà l’annuncio ufficiale e, naturalmente, l’invito è esteso anche a te». Sarah non riuscì a credere a quelle parole. Un pezzo di verdura le rimase bloccato in gola e dovette bere un sorso d’acqua per riuscire a mandarlo giù. Renea stava bluffando, giusto? Non stava dicendo sul serio… Insomma, era chiaro a tutti che non c’era nessun matrimonio e, se non c’era nessun
matrimonio, come poteva esserci un annuncio di fidanzamento? «Con così poco preavviso non so se potrò esserci… domani oltretutto è l’equinozio e…» Alienor si fece pensierosa, poi domandò con soddisfazione: «Come farete a organizzare tutto in così poco tempo?» Sarah fu esasperata dalla piega che stava prendendo quella conversazione, che non avrebbe dovuto nemmeno esserci, tra l’altro. Fu il padre di Mark a rispondere con un finto sorriso. In realtà era palese che Alienor lo stesse irritando. «Santo cielo, Alienor, come puoi porre questa sciocca domanda? Credi davvero che ci sia qualcosa a questo mondo che io non possa fare? Potrei far preparare il miglior ricevimento della storia con molto meno tempo a mia disposizione. Sono offeso che tu mi sottovaluti fino a questo punto». Il sovrano sembrava alterato. «Eppure,» continuò con più calma, «dovresti conoscermi bene!» Concluse quindi, fulminando la donna con lo sguardo. A quel punto, Sarah si chiese che cosa sarebbe realmente successo. Soprattutto per quanto riguardava l’annuncio del fidanzamento. La ragazza che serviva Renea, giunse per portar via i piatti vuoti. «E comunque,» aggiunse Renea, «per dopodomani sera è anche previsto l’annuncio agli abitanti di Dervel che Sarah è mia figlia, anche se non getterà ombra sulla comunicazione ufficiale del fidanzamento». Sarah fu presa dal panico. Che cosa stava combinando Renea? Aveva organizzato tutto e non le aveva detto nulla? Non poteva credere a una cosa del genere! E non poteva credere che Morgana non si fosse premurata di prepararla a un evento di portata apocalittica. Guardò di fronte a sé e vide che Mark stava studiando la sua espressione. Lui di questo ne era a conoscenza? «Ci sono tutte le premesse perché sia una serata senza precedenti,» commentò con enfasi la Somma Sacerdotessa di Maviron. «Tant’è che disdirò tutti i miei impegni per quella serata e sarò ben lieta di parteciparvi». Alienor sembrava soddisfatta. Era come se fosse al corrente di come le cose stessero tra lei e Mark e fe di tutto per assistere all’imminente catastrofe. Fino a quanto era disposta a esporsi Renea? Avrebbe davvero annunciato il fidanzamento pur essendo ben consapevole di come stessero in realtà le cose? Pretendeva davvero di avere il diritto ed il potere di giostrare la vita delle persone a suo piacimento?
E, Mark e suo padre, cosa pensavano a riguardo? «E dimmi un po’, Alienor» esordì il sovrano di Livingston con una voce così tanto melliflua da apparire chiaramente teatrale, «parteciperà a questo grande evento anche tua figlia Cheryl?» Sarah alzò lo sguardo dal piatto di melanzane per guardare il sovrano di Livingston. Dal tono di voce e dalla strana luce che brillava nei suoi occhi, era chiaro che avesse in mente qualcosa. La domanda appena formulata non era fatta a caso. Inoltre, Sarah ricordò perfettamente lo sguardo di Faye quando le aveva annunciato che Cheryl era partita per un lungo viaggio, e di quando seppe poi da Laurel che era andata da una zia. Era decisamente simile a quello del sovrano. La risposta della Somma Sacerdotessa di Maviron si fece attendere. «No» rispose col volto scarlatto. «Cheryl non si trova a Maviron in questo momento». Sul volto della donna non c’era più soddisfazione o divertimento. Il padre di Mark doveva aver toccato un tasto dolente. Ma che cosa era successo realmente a Cheryl? «Lo supponevo,» commentò Mikael. «Gira voce, infatti, che è da molti mesi che sia da sua zia Muriel… È vero?» Formulò il tutto come una domanda, ma era chiaro, dalla sua espressione divertita, che fosse già la risposta. «Sì, è così. Vedo che la gente non ha di meglio da fare che spettegolare!» Esclamò con tono risentito e derisorio. «Ma tu mi stai dicendo che non sono pettegolezzi, giusto?» Incalzò il sovrano. Non ottenendo una risposta da Alienor, continuò: «E, esattamente, quand’è che è partita per andare dalla sua cara zia? Un mese dopo Beltane? Vedo che quella festa ha dato i frutti sperati!» A Sarah, questa volta, andò sul serio la melanzana di traverso e le rimase bloccata in gola, per due secondi buoni. Due secondi in cui le mancò totalmente l’aria. Poi cominciò a tossire e a respirare con fatica, quindi dovette bere un grande sorso d’acqua per sbloccare totalmente l’occlusione in gola e far are il fastidioso solletico che le venne come conseguenza. Tutti la stavano osservando, Mark con un’espressione seria e preoccupata.
Quando il respiro si fece regolare, Sarah sentì le proprie guance avvampare per la vergogna. «Scusate» mormorò con un filo di voce. «No, scusami tu,» intervenne il padre di Mark. «Avrei dovuto aspettare che finissi di mangiare prima di fare quel discorso. Ma, almeno, qualcuno di noi ha dimostrato di comprenderlo, anche se a caro prezzo,» concluse con un ampio sorriso sulle labbra. Eccome se aveva capito, più chiaro di così non poteva essere! Cheryl se ne era andata esattamente un mese dopo Beltane, o forse poco più, festività in cui si era concessa a un estraneo, il successore di Nedeleg, che si era poi scoperto essere Ethan. E da quella notte, ionale e infuocata, lei era rimasta incinta. A questo punto, la domanda era: Ethan, invece di avercela con lei e di insinuare che lei stesse mentendo a proposito dei suoi ricordi, non poteva pensare al figlio in arrivo? A meno che… lui non lo sapesse… Lui non ne era stato informato? Era questa la tradizione di Beltane? E il bambino? Che fine avrebbe fatto? Sarah non si accorse che, mentre stava facendo quelle riflessioni, il suo sguardo si era posato involontariamente su Mark. Forse perché le ricordò la sera in cui era tornata da Beltane e Mark l’aveva raggiunta poco dopo… Si riscosse da quei pensieri e vide che Mark la stava osservando e… Sorridendo. Lei abbassò all’istante lo sguardo. Quando giunse il dolce tradizionale di Dervel, guarnito di noci e mele, a Sarah non fu concesso naturalmente di mangiarlo. Era ancora in punizione per quello che riguardava il cibo. Non che amasse particolarmente i dolci, però quella dieta forzata a base di frutta, verdura, pane e poco altro la stava sfinendo. «Non ho potuto fare a meno di notare,» cominciò il sovrano di Livingston, «che Sarah non condivide le nostre stesse pietanze… Sei a dieta, mia cara?» Sarah lo guardò senza riuscire a parlare, le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa. Non si sarebbe aspettata una domanda del genere. «È in punizione,» rispose Renea al suo posto, «il che comporta, tra le altre cose, una sana dieta». Il padre di Mark lanciò uno sguardo di fuoco alla Somma Sacerdotessa di Dervel. «Sana dieta? A base di verdure? Ma starai scherzando, Renea!» Inveì con un tono di voce che fece sussultare Sarah. «È una ragazza giovane e ha
bisogno di mangiare! Che cosa assurda! E dimmi, che cosa avrebbe fatto, di così grave, per meritarsi una punizione del genere?» La situazione non era delle migliori. La conversazione stava prendendo una brutta piega. Sarah notò che il volto di Renea non era mai stato così iroso. «È scappata da questo posto ed è stata via per tre giorni. Ti sembra un motivo sufficiente?» Lo sguardo bellicoso della donna rivelava più di quanto mostrasse l’innaturale calma con cui rispose. «No» disse a sua volta il padre di Mark, adagiandosi comodamente allo schienale della sedia. «Non mi sembra una motivazione sufficiente per punire così una ragazza giudiziosa e controllata come Sarah. Non conosco le ragioni per cui se ne sia andata, ma sono certo che l’ha fatto con responsabilità, senza esporsi a rischi o pericoli inutili». «Tuo figlio se ne è mai andato di casa senza darti spiegazioni?» Chiese di rimando la Somma Sacerdotessa. «No, non l’ha mai fatto, ma non perché sia meno ribelle, al contrario. Se non l’ha mai fatto è perché non l’ho sottoposto a stupide costrizioni. Cosa che tu invece avrai fatto, o sbaglio?» La conversazione tra il padre di Mark e Renea non poteva essere più infuocata. Sarah non aveva mai assistito a nulla del genere. L’unica che sembrava trovare piacevole la cosa, e divertirsi, era Morgana. Guardava soddisfatta il sovrano di Livingston. Sarah immaginò che forse, quello che lui stava dicendo, era quello che avrebbe desiderato dire anche lei, ma che il timore per la Somma Sacerdotessa le aveva impedito di fare. «Quelle che tu definisci essere costrizioni, Mikael,» replicò Renea alzando di un tono la voce, «sono in realtà regole! Credo che tu sopravvaluti un po’ troppo Sarah e le attribuisci virtù e meriti che in realtà non possiede!» Per Sarah quelle parole furono come uno schiaffo in pieno viso. Impallidì e sentì gli occhi bruciarle. Ma che cosa aveva fatto per meritarle? Perché Renea era così sgradevole nei suoi confronti? «O forse, sei tu che la sottovaluti e la denigri continuamente e nemmeno te ne rendi conto!» Esclamò il sovrano di Livingston alzando anch’egli la voce. «E, dì
un po’, anche quella mano fasciata rientra nella punizione che dici essersi meritata?» Sarah, involontariamente, portò la mano sulle proprie gambe, per impedire che la vedessero. «Ti rendi almeno conto dell’accusa che mi hai appena formulato?» Disse Renea sul piede di guerra. Il sovrano di Livingston sembrò non sentire nemmeno quelle parole. Molto probabilmente attendeva una risposta da Renea, cosa che ebbe poco dopo. «Si è fatta male da sola se proprio lo vuoi sapere. Purtroppo, come avrai notato, è un tantino maldestra!» Sarah guardò scioccata la donna. Cosa? Si era fatta male da sola perché era maldestra? Ma quando mai? Beh, insomma, un po’ maldestra lo era, ma non lo fu di certo in quella circostanza. Il danno alla mano era nulla a confronto di quello che Anjelika avrebbe potuto farle realmente. Anjelika, infatti, stava colpendo direttamente… «E come ti saresti fatta male, Sarah?» Il sovrano di Livingston non demordeva, non aveva creduto alle parole della Somma Sacerdotessa di Dervel e desiderava andare in fondo alla questione. Sarah non seppe cosa rispondere. Guardò il padre di Mark esitando. «È caduta,» parlò ancora una volta Renea. «A tua figlia non è concesso nemmeno di parlare, Renea? Rientra anche questo nella punizione?» Domandò con sarcasmo Mikael. «Voglio sperare che non sia una prerogativa anche per il futuro», concluse sardonico. «Non ti preoccupare,» ribatté pungente la donna, «non priverei mai tuo figlio dall’udire la voce di Sarah, se è questo quello che intendi». Sarah non capì la risposta di Renea ma, guardandole il viso, era chiaro che avesse in mente qualcosa. La vide rivolgersi a Mark e dire: «Tu, Mark, non hai ancora avuto modo di visitare il villaggio di Dervel, vero?»
Mark guardò dapprima Sarah accigliato, poi volse lo sguardo a Renea. «No, è la prima volta che vengo qui». «Bene, allora sono certa che Sarah sarà ben felice di mostrarti il villaggio, questo pomeriggio. Dico bene, Sarah?» Sarah si sentì sprofondare. Anzi, no, sprofondare non descriveva lontanamente quello che stava provando. Ecco dove voleva arrivare. Qualcuno diceva o faceva qualcosa e lei ne pagava le conseguenze. E questa era la chiara conseguenza del fatto che il sovrano di Livingston avesse preso le sue difese. «Sarah, mi hai sentito?» «Sì, certo,» rispose senza riuscire ad alzare lo sguardo. E ora? Che cosa avrebbe fatto? Tanto più che, nel pomeriggio, aveva previsto di vedersi con Joel e, se quest’ultimo non l’avesse vista al villaggio, sarebbe stato capace di venirla a cercare lì, al palazzo, e lei non poteva permettere che lui e Mark s’incontrassero. Non poteva e non voleva. Doveva fare qualcosa. Avrebbe dovuto pensare a qualcosa.
Di una cosa, Sarah era certa: non poteva, di punto in bianco, trascorrere il pomeriggio con Mark come se nulla fosse successo. Aveva già trascorso un lungo ed estenuante pranzo con lui di fronte, era già stata pesantemente umiliata da Renea con lui che sentiva ogni singola parola e, ora, come avrebbe fatto a guardarlo negli occhi? Non ci sarebbe riuscita. Si sarebbe sentita doppiamente umiliata. Oltretutto, se non faceva in modo che Joel si allontanasse da Dervel, avrebbe corso il rischio che lui e Mark si incontrassero, e la scena sarebbe stata troppo imbarazzante. Non doveva nulla a Mark, ma era lei che si sentiva a disagio. Inoltre, doveva molto al padre di Mark, aveva fatto tanto per lei, era sempre stato gentile e l’aveva accolta quasi come una della famiglia, e durante il pranzo aveva fatto la guerra a Renea per prendere le sue difese. Per questa ragione, trovava di cattivo gusto che la trovasse in compagnia di un altro; lui l’aveva difesa di fronte alle umiliazioni di Renea e lei non poteva creare situazioni che recassero disagi o umiliazioni a lui o a Mark. Ma, giusto per suo padre, a lei di Mark non importava nulla. Anzi, per come si era comportato con lei, e l’atteggiamento avuto con Lynn, se lo sarebbe meritato. Così, pianificò il tutto. Avrebbe raggiunto Dervel prima che Mark le potesse
chiedere spiegazioni e avrebbe liquidato Joel con una scusa. Avrebbe attribuito a Renea la colpa, in fondo era così. E poi chiese a Kirsten di avvisare nel frattempo Mark, dicendogli che, a causa di un imprevisto, non avrebbe potuto accompagnarlo a Dervel. Sarebbe saltato l’appuntamento con Joel, avrebbe evitato circostanze ambigue, ma avrebbe anche evitato di trascorrere l’intero pomeriggio con Mark. Sarebbe stato troppo per chiunque. Per quel giorno ne aveva già avuto abbastanza di lui. In fondo, Renea non lo sarebbe mai venuto a sapere. Mark non sarebbe stato così ignobile. Quando raggiunse Joel e gli spiegò che non poteva fermarsi perché Renea l’avrebbe tenuta impegnata per l’intero pomeriggio, lui non la prese molto bene e, per dirla tutta, con ogni probabilità non credette a una sola parola di quello che lei gli disse. «Non è che non vuoi farti vedere dal tuo ex in mia compagnia?» Le chiese senza troppi preamboli. «No, non è questo… è solo che Renea…» «Ti tiene impegnata con lui,» concluse cinico. Sarah sperava che l’avesse compresa, invece non fu così. Non fece altre storie, ma era chiaro che la sua storia non l’aveva bevuta. Sapeva di non essere un’abile mentitrice, differentemente dal resto del genere femminile, ma non poteva cercare di comprenderla almeno? In fondo sapeva come stavano le cose tra loro, lei provava solo amicizia per lui, dunque, perché mettere il muso in quel modo? Poteva capire e comprendere, ma non fu così. La salutò con un mezzo sorriso, ma Sarah sapeva perfettamente che si era sentito offeso. Inoltre, quando le chiese quando si sarebbero potuti rivedere, lei gli rispose che non lo sapeva, che non poteva fare programmi. E questo fu un altro punto critico. La goccia che fece traboccare il vaso. Si sarebbe fatta perdonare, ma non ora, non adesso che Mark e suo padre erano lì.
Fu di ritorno al palazzo nel tardo pomeriggio. Stava percorrendo il viale d’ingresso, e ripensò a quella giornata pietosa: prima Joel che dice di provare dei sentimenti per lei, poi l’arrivo di Mark e di suo padre – cosa già di per sé traumatica - il pranzo umiliante e infine Joel che ora era risentito nei suoi confronti. Cos’altro poteva accadere ancora?
«Ti faccio i miei complimenti, davvero divertente!» Una voce alle sue spalle la fece sussultare. Sarah si voltò e vide Mark che aveva uno sguardo sferzante. Ecco, ci mancava solo questa! Lui le si avvicinò lentamente e sul suo viso vi poté leggere così tante emozioni nel giro di pochi secondi che non riuscì a comprendere realmente che cosa gli stesse ando per la testa. «Mi dispiace,» si affrettò a dire Sarah, «purtroppo mi sono ricordata di…» poi ripensò alle sue parole. Davvero divertente, cosa? Ti faccio i miei complimenti? Perché? «Non bastava allora dirmi semplicemente che non ti andava di are la giornata con me, senza fare quella sceneggiata? È stato il tuo modo di farmela pagare?» Continuò imperterrito Mark. «Ma si può sapere di che cosa stai parlando?» Chiese confusa Sarah. Mark fece una smorfia, scosse la testa, poi esclamò: «Evita pure di fare questi giochetti con me, per favore!» Sarah si sentì come se le avesse dato un pugno nello stomaco e per una ragione che nemmeno riusciva a spiegare. Sentì come se qualcuno le stesse premendo forte la gola, impedendole di respirare. Quando gli aveva già sentito dire una frase del genere? Quando era accaduto? E poi ricordò: il giorno dopo che era giunta nel regno di Argantel e Lenny l’aveva portata nel seminterrato traendola in inganno e facendo credere invece a Mark che era stata lei a tendere una trappola a loro, prendendo Arabelle e Chris in ostaggio. Ricordò le sue parole, come se si fosse trattato del giorno precedente. “Non fare giochetti con me, non fare i tuoi stupidi giochi con me,” le aveva detto. Sarah si riscosse dai propri pensieri con un fremito. «Ho solo chiesto a Kirsten di riferirti che ho avuto un contrattempo, dov’è il problema?» Gli chiese cercando di non lasciar trapelare il dolore per quelle parole. «Davvero? Con quel giochetto?» Mark sembrava più alterato di quanto avrebbe dovuto essere per un
appuntamento saltato. Quante volte lui aveva rimandato i loro appuntamenti per i suoi impegni? Solo lei era quella che doveva sempre capire e comprendere? Ma poi, un pensiero si fece strada nella sua mente, un presentimento di quello che poteva essere successo. Che cosa aveva combinato Kirsten? «Dimmi cos’è successo, per favore, invece di accusarmi!» Questa volta era lei a essere arrabbiata, e non sapeva se doveva esserlo di più con lui o con Kirsten. Sapeva però quello di cui la ragazza era capace. «Non mi dirai che non ne sapevi niente? Non mi dirai che non sei stata tu a dirle di venire da me con le tue sembianze, di civettare un po’, e poi di godersi il fatto che io ci avessi creduto come un idiota!» Mark sembrava disgustato e ferito. Sarah sentì cedere la terra sotto i suoi piedi e sbiancò. «Con le mie…» fu incapace di continuare. Kirsten non poteva aver fatto sul serio una cosa del genere… Era semplicemente immorale, ingiusto. Andava ben aldilà dello scherzo più crudele che si potesse fare. Soprattutto perché, secoli prima, Mark, prima di essere giustiziato dall’Inquisizione, aveva visto una donna che credeva fosse lei. Lei che lo aveva tradito. A Sarah si accavallarono i ricordi, se ne sentì sopraffatta e per un po’ non riuscì a dire nulla. Non si accorse di avere le lacrime agli occhi, si sentì solo dire: «Io non c’entro nulla… Non ti avrei mai fatto una cosa del genere, mi dispiace». Ma Mark sembrava non crederle, aveva lo sguardo freddo e distaccato, proprio come quando si erano ritrovati e la credeva una strega malvagia che lo aveva tradito. «Ma bene, bene,» disse una voce poco più lontana da loro. «Non dirmi che è già venuto a prendersela con te!» Sarah non ebbe nemmeno bisogno di chiedersi chi fosse. La voce strascicata, indolente, divertita… Poteva appartenere solo a Kirsten. Staccò gli occhi da Mark e si voltò in direzione della ragazza. Poi sopraffatta da tutte quelle emozioni e dalla giornata estenuante, si precipitò da lei urlando: «Ma come ti sei permessa! Come hai potuto fare una cosa del genere?!» La rabbia prese il sopravvento e Sarah le diede uno scossone così forte che quasi Kirsten perse l’equilibrio. «Ma sei impazzita?!» Gridò la ragazza come una furia.
«Ti avevo chiesto solo di dirgli che non avrei potuto accompagnarlo, ma non di prendere le mie sembianze e di comportarti in un modo così orrendo!» Sarah resistette alla tentazione di colpirla, ma era quello che voleva fare. Colpirla in pieno viso e farle male sul serio. Sfogare tutta la sua rabbia e il dolore repressi. «Non fare la tragica!» inveì Kirsten ora arrabbiata quanto lei. «Meritava quello che gli ho fatto, dopo il modo in cui lui ha fatto soffrire te!» «E chi sei tu per giudicare?» Replicò Sarah con voce più smorzata.» Chi ti ha chiesto niente? Come ti sei permessa?» Non riusciva nemmeno a fare un discorso concreto, a dirle quello che si meritava. «Sei patetica,» affermò con tono beffardo Kirsten. «Solo una persona patetica come te non vorrebbe vendicarsi di uno che l’ha fatta soffrire come lui ha fatto con te!» Fece una pausa, quindi aggiunse: «Sai che ti dico? Perché non ti rimetti con lui? Comincio a pensare che sareste davvero una bella coppia». Ultimata la frase, con uno sguardo sprezzante, Kirsten se ne andò. Sarah si rese conto che le lacrime le rigavano il volto. Si ò una mano sul viso, poi si voltò verso Mark. Ora la stava guardando con un’espressione indecifrabile. Sembrava persino dispiaciuto. «Non era il caso che…» fece per dire lui, ma Sarah lo interruppe. Il pensiero correva all’immagine di Mark mentre la vedeva nel momento che veniva giustiziato e a quello che doveva aver provato: dolore per il tradimento di una persona che amava. «Mi dispiace…» la voce le morì in gola. Inspirò per qualche secondo, anche se l’aria sembrava non giungerle ai polmoni, quindi aggiunse: «Non ti avrei mai fatto una cosa del genere». «Sarah, non è successo nulla…» mormorò lui dolcemente. «È stato solo uno stupido scherzo». Sarah scosse il capo, voleva parlare ma non ci riuscì. Quando si accorse che altre lacrime le stavano rigando il viso, si voltò e si diresse di corsa verso il palazzo. Mark non la seguì, non tentò di fermarla. Non che ce ne fosse stato motivo, anzi, gliene fu grata, non sarebbe riuscita a dire nulla. Una volta che fu dentro la sua camera, chiuse la porta, si sdraiò sul letto e lasciò libero sfogo a quel pianto che aveva tanto trattenuto. Kirsten aveva ragione: era davvero patetica.
All’ora di cena, Sarah era ancora sdraiata sul letto e lì ci sarebbe voluta rimanere, ma sapeva che non poteva o Renea l’avrebbe punita. Si alzò di malavoglia, si sentiva gli occhi gonfi per il pianto e vide, specchiandosi, che il viso era pallido come quello di un fantasma. Quando raggiunse la sala da pranzo, Sarah vide che erano già tutti a tavola, inclusa la Somma Sacerdotessa che la fulminò con lo sguardo. Per fortuna, la madre di Cheryl non c’era: quella sera non avrebbe presenziato. Seppe solo in seguito che aveva già fatto ritorno a Maviron. «Ti ringraziamo per averci degnato della tua presenza!» Esclamò con tono tagliente Renea. Non ottenendo risposta da parte di Sarah, che nel frattempo si era già seduta a tavola, aggiunse: «Ti sembra l’orario di arrivare?» «Chiedo scusa,» mormorò Sarah senza alzare lo sguardo, ben sapendo che avrebbe incontrato quello di Mark. L’ultima cosa che desiderava, era leggere la sua espressione. «A dire il vero,» s’intromise il Sovrano di Livingston, «siamo appena arrivati anche noi». Normalmente, Sarah gli avrebbe sorriso per riconoscimento. In quella circostanza, fu incapace di dire o fare qualunque cosa. Per quasi tutta la cena, la conversazione si svolse tra il Sovrano di Livingston, Renea e Morgana, e si parlò della malattia che aveva colpito il Sovrano e Custode di Erwan e dell’imminente ascesa al trono del figlio. Sarah ripensò a quando aveva conosciuto Ethan. Che persona orribile! Come aveva fatto Alys a innamorarsi perdutamente di lui? Era così arrogante ed egocentrico! Fece per tagliuzzare una patatina cotta al forno che aveva un aspetto invitante – a Mark e a suo padre le patate furono accompagnate anche dall’arrosto e ciò rappresentava un caso eccezionale considerato che la carne era vietata alle sacerdotesse – ma, dovendolo fare con la mano sinistra, poiché la destra le faceva ancora male, le scivolò dal piatto più volte causando un fastidioso rumore con la forchetta. Renea non poteva non aver sentito. «Stai cercando di suscitare la comione dei nostri ospiti, mangiando solo con la mano sinistra?» Le chiese con tono tagliente la Somma Sacerdotessa.
Sarah né rispose né alzò lo sguardo, cercò solo di riacquistare il controllo perduto sulla patatina e di concentrarsi solo su quello, cercando di dimenticare tutte le persone da cui era circondata. «Evidentemente la mano destra le fa ancora male,» intervenne il padre di Mark. «È ato più di un mese da quando si è fatta male, non capisco perché porti ancora quella ridicola fasciatura». Renea scoppiò in una fragorosa risata. «L’hai fatta visitare da un medico? Perché sai, Renea, per guarire più in fretta sarebbe proprio il caso». Il Sovrano di Livingston parlò alla donna con voce chiaramente sprezzante. Il tono si addolcì quando, dopo una breve pausa, si rivolse a Sarah. «Che cosa ti sei fatta esattamente? Una slogatura, visto come è fasciata la mano, la escludo». Renea, che stava per rispondere al suo posto, fu azzittita da un cenno dell’uomo. Sarah non alzò immediatamente lo sguardo, non sapendo cosa dovesse rispondere. Più che altro, Renea cosa si aspettava che lei dicesse? Scossa da una giornata che aveva preso la forma di un incubo, lasciò cadere la forchetta sul piatto causando un forte rumore. Non sapeva cosa rispondere, si accorse che il tempo stava ando e che il Sovrano di Livingston attendeva una risposta. Nel salone scese il silenzio più totale che sembrò essere quasi terrificante. Nemmeno il suono di una posata appoggiata sul piatto: tutti attendevano la sua risposta. Molto lentamente, alzò lo sguardo, e i suoi occhi incontrarono in modo sfuggevole quelli di Mark: la stava osservando perplesso e preoccupato. Poi guardò suo padre, che aveva uno sguardo persino più preoccupato, e rispose con voce quasi impercettibile: «È solo un taglio…» Non riuscì a sostenere oltre lo sguardo di una delle poche persone che mai avessero nutrito dell’affetto per lei. Il motivo le era del tutto inspiegabile ma, appena sentì che gli occhi le bruciavano, tornò a guardare il piatto, sperando che il Sovrano non le chiedesse null’altro. Nella sala tornò il silenzio più assoluto, dopodiché fu Renea a parlare e, questa volta, si rivolse a Mark. «Allora Mark, Sarah ti ha fatto visitare Dervel?» A Sarah per poco non andò il boccone di traverso. Non se l’aspettava quella domanda, decisamente non se l’aspettava. Insomma, credeva che, una volta che Mark avesse taciuto la cosa, tutto sarebbe finito lì. E invece no, Renea stava indagando e per lei era la fine. Ora, avrebbe scoperto ogni cosa. Il primo istinto
sarebbe stato quello di alzare lo sguardo e incrociare quello di Mark per supplicarlo di non dire la verità, ma poi si impose di non farlo. Non dopo quello che Kirsten gli aveva fatto. Non poteva chiedergli di mentire per lei… Non poteva chiederglielo di nuovo, come secoli prima, quando lo implorò di non consegnarla alla Santa Inquisizione. Ogni azione, costruita sulla menzogna, era destinata a finire male, di questo ne era certa. «Sì, naturalmente,» sentì Mark rispondere. Sarah ne fu scioccata, tant’è che alzò di scatto la testa e lo guardò. Lo sguardo di lui era posato su di lei e le stava regalando un sorriso meraviglioso. Perché l’aveva fatto? Perché aveva mentito dopo quello che Kirsten gli aveva fatto? E dopo quello che lei gli aveva fatto? Si ritrovò a guardare Mark quasi stregata, affascinata da quel volto su cui non aveva posato i suoi occhi per tanto, troppo tempo o, comunque, se lo aveva fatto, era stato in modo sfuggevole, e si ritrovò a pensare che Mark gli era mancato in modo assurdo. «E quale parte di Dervel avete visitato?» Chiese con voce neutrale la Somma Sacerdotessa. E, ora, che cosa le avrebbe risposto? Si ritrovò a pensare Sarah. Mark la guardò ancora qualche istante, per nulla turbato da quella domanda, poi, con una disinvoltura invidiabile, si appoggiò allo schienale della sedia, quasi volesse assaporare l’attesa che stesse provando Renea, quindi rivolse lo sguardo a quest’ultima e con fare incurante disse: «Praticamente tutto, e devo ammettere che Dervel mi ha proprio ammaliato, o forse è stato merito della guida!» Quindi rise e tornò a guardare Sarah, sorridendole ancor di più. Lei non riuscì a non contraccambiare quel sorriso che, per qualche istante, le sciolse il cuore. Dio, se solo non ci fosse stata di mezzo Lynn a Livingston, si ritrovò a pensare. «Beh, non essere così generico, raccontaci». Renea rincarò la dose, non ne voleva sapere di demordere. Mark si fece un attimo pensieroso poi, distogliendo lo sguardo da Sarah, tornò a rivolgersi alla Somma Sacerdotessa, e Sarah assistette a una curiosa e alquanto bizzarra conversazione. Mark prese a raccontare nei dettagli più particolareggiati il villaggio di Dervel, con i negozi e tutto quanto; raccontò del luogo di Potere,
della suggestività della Sorgente che era attraversata da un misterioso e ineguagliabile arcobaleno, ma non solo, rispose a tutte le domande che Renea gli fece con le risposte più esaurienti. Sarah pensò che, con molta probabilità, aveva ascoltato con molta attenzione quando lei gli aveva raccontato dei suoi giri a Dervel, mentre si trovavano ancora nel regno di Argantel. Quando la conversazione si poté definire conclusa, Mark lanciò uno sguardo a Sarah e le fece l’occhiolino. Sarah, che non aveva distolto lo sguardo da lui nemmeno per un secondo, gli regalò, per la prima volta dopo tanto tempo, un sorriso. Il resto della cena si svolse in una strana tranquillità, niente più frecciate da parte di Renea, niente più rivendicazioni da parte del padre di Mark. Sarah si sentì decisamente più sollevata e, quando la Somma Sacerdotessa si alzò da tavola, imitata dagli altri, stava già proiettando la propria mente sulla bella dormita che avrebbe fatto, felice che quella giornata fosse finalmente terminata. Renea stava per accomiatarsi dagli altri, o così pensò Sarah, quando gli occhi della Somma Sacerdotessa incontrarono i suoi e le disse con voce fin troppo calma: «Sarah, mi vuoi seguire, per favore?» Sarah si arrestò di colpo e la tranquillità cedette il posto al panico. Istintivamente lanciò uno sguardo a Mark, che contraccambiò guardandola in modo interrogativo, poi, però, distolse subito lo sguardo. Una volta che si congedarono dagli altri, Sarah seguì Renea nel grande salone – luogo che aveva iniziato a detestare in quanto la portava lì ogni volta che doveva o rimproverarla o comunque collocarla in situazioni poco piacevoli – e, una volta che richiuse la porta alle sue spalle e guardò la Somma Sacerdotessa, vide nei suoi occhi gelo e disapprovazione. «Hai niente da dirmi?» Le chiese quasi sarcastica. Sarah la guardò senza rispondere. E, questa volta, cosa c’era che non andava? «Mi hai presa forse per una stupida?» Le chiese inarcando le sopracciglia visto che lei non aveva risposto. «Perché è questo che credi io sia se, oltre ad aver trasgredito nuovamente a un mio ordine, hai obbligato anche Mark a mentire! Non potevi fare niente di più abominevole!» Sarah sbiancò in volto e rimase paralizzata da quelle parole. Come aveva fatto a
scoprirlo? E tutte quelle domande fatte a Mark, tutto quello che gli aveva chiesto… Era stata solo una farsa? Lo stava mettendo alla prova? Si stava divertendo a vedere cosa le avrebbe raccontato e fino a che punto sarebbe stato in grado di sostenere quella conversazione? Tutto ciò era terrificante, ma lo era ancora di più il fatto che, ora, sarebbe stata lei a pagarne le conseguenze. «Mi dispiace,» cominciò Sarah con voce tremante, «io non volevo mentire, avevo un impegno e…» «Se avevi un impegno dovevi disdirlo!» Urlò Renea facendola sobbalzare. «Ti sei presa gioco di me e hai usato Mark affinché tutto potesse andare alla perfezione! Se tre giorni in cella ti sono apparsi molti, non è nulla a confronto di quello che ti aspetta ora!» «No, ti prego!...» la implorò Sarah con le lacrime agli occhi. «È vero, ho trasgredito a un tuo ordine, ma non gli ho chiesto di mentire, te lo giuro! Non puoi rinchiudermi ancora là, io…» «Certo che posso, te la sei cercata! Credi che io sia desiderosa di farlo, Sarah? Credi forse che io nutra piacere in questo? Il punto è che, a te, mancano ordine e disciplina e questo è l’unico modo perché tu li acquisisca!» La Somma Sacerdotessa si stava già dirigendo verso la porta. «Ti prego, no!» Gridò Sarah a voce ancora più alta. «Farò tutto quello che vorrai, ma non rinchiudermi ancora là dentro!» Renea si fermò di colpo, si voltò, e la scrutò con espressione truce. Sarah la stava guardando con le lacrime che le rigavano il volto. «D’accordo, ti darò la possibilità di scegliere». «Qualunque cosa…» Renea la zittì con un gesto della mano. «Fossi in te aspetterei a parlare. Ti do la possibilità di evitare la cella se accetterai di accompagnare Morgana al matrimonio del figlio di Nikolaz che si terrà a Kentingern». La donna fece una lunga pausa, dopodiché chiese: «Dunque, cosa scegli?» Sarah rimase pietrificata da quella proposta: dei giorni non definiti in cella o un viaggio con Mark? Perché era quello alla fine. Non si trattava semplicemente di
accompagnare Morgana, ma di trascorrere dei giorni con Mark. Renea notò la sua esitazione. «Bene, mi sembra di capire che tu preferisca la cella, quindi, se vuoi seguirmi…» «No, aspetta, non ho detto questo!» La interruppe spaventata Sarah. «Sì, ma non ho nemmeno ricevuto una tua risposta e non sono disposta ad attendere in eterno!» Esclamò alquanto seccata. Renea non era di certo abituata ad aspettare troppo tempo prima di ottenere risposte. «D’accordo, accompagnerò Morgana» disse tutto d’un fiato, costandole un’enorme fatica. «Non credere di rendermi felice prendendo questa decisione,» commentò sprezzante la donna. «Personalmente avrei preferito che avessi scelto la cella. In ogni modo, non ritenerti esonerata dall’ordine che ti ho dato. Domani, accompagnerai Mark per il villaggio di Dervel, come ti avevo detto di fare». Sarah sentì la testa dolerle tremendamente. Quando la Somma Sacerdotessa la guardò in attesa di una risposta, si limitò ad annuire. «Bene, puoi andare». Sarah fece un inchino come erano solite fare le sacerdotesse, quando, Renea, la fermò nuovamente. «Aspetta,» disse. Lasciò il tempo a Sarah di voltarsi, quindi continuò: «Fino a che Mark e suo padre si tratterranno qui, ti proibisco di vedere quel giovane bardo che hai preso a frequentare di recente. È davvero disdicevole il tuo comportamento!» «È tutto?» Domandò Sarah che non voleva rimanere un attimo di più con quella donna che diceva di essere sua madre. «No, in effetti non è tutto» replicò pensierosa. «Come hai sentito oggi, a pranzo, dopodomani sera ci sarà l’annuncio ufficiale del tuo fidanzamento con il figlio del Sovrano di Livingston, qui a Dervel. Mi aspetto che tu non faccia sceneggiate e che non crei problemi. Niente spiacevoli sorprese».
«Io non sposerò Mark, noi…» Renea le fece cenno di tacere. «Quello che vuoi tu, in questo momento, non conta niente!» esclamò, alzando di tono la voce. «Tu farai quello che è giusto fare!» «E perché? Per senso del dovere? Proprio come hai fatto tu? Io non sono come te!» Renea la guardò gelida. «Non osare mancarmi di rispetto!» La redarguì. «Non asseconderò mai i capricci di una ragazzina viziata! Sei così insolente!» «Che tristezza che l’unica a pensarlo sia proprio mia madre!» Sussurrò Sarah scuotendo il capo disgustata. «Non fai altro che umiliarmi… Si può sapere, almeno, cosa ho fatto per meritarlo?» Renea fece una smorfia di indolenza. «Tu ti senti in diritto di essere così arrogante perché a tavola hai assistito alla piacevole sceneggiata di Mikael che prendeva le tue parti, non è vero? Beh, ti informerò di una cosa, mia cara: l’unica ragione per cui l’ha fatto, è perché in quel modo desiderava colpire me, non certo perché ha un debole per te. Se non vantasse del rancore e delle pretese nei miei confronti, nemmeno vorrebbe avere una nuora come te, perché sei una persona qualunque, non sei nobile, non hai prestigio… Per cui, non illuderti di essere speciale, perché non lo sei. Rappresenti una sorta di trofeo e, allo stesso tempo, come ti dissi, un compromesso. L’unione tra te e Mark rappresenta l’unione tra questo Regno e quello di Mikael, null’altro. Per cui, scendi dal piedistallo perché, lì, ti ci sei messa da sola. Dopodomani, la gente saprà che tu sei mia figlia, ma non credere che verrà fatto un brindisi o che io esulti di gioia all’idea, perché non è così. È un fatto che erà del tutto inosservato, i riflettori verranno puntati sul fidanzamento tra te e Mark, il resto è di ben poca importanza. E ora, te ne puoi anche andare». Incredula, amareggiata e stordita, Sarah aveva ascoltato in silenzio quelle parole piene di disprezzo e odio ingiustificati nei suoi confronti. Ripresosi quel tanto che le bastò per incamminarsi verso l’uscita, aveva la testa così confusa e il cuore così a pezzi da risultarle difficile parlare. Salì le scale come un automa e come tale percorse il corridoio, fermandosi davanti a una porta che non era quella della sua camera. Bussò, e la porta si aprì poco dopo. Morgana la studiò con espressione preoccupata. «Che cos’è successo?» Le chiese alla fine.
Senza dire una parola, senza rispondere a quella domanda, Sarah andò a sdraiarsi sul letto con le lacrime che presero a rigarle il volto. «Dimmi che cos’è successo, Sarah» ripeté Morgana. «Quella donna è un mostro,» disse in un sussurro. «Verrò con voi a Kentingern». Dopodiché prese a raccontarle quanto era successo per giungere a quella decisione.
Morgana ascoltò silenziosa quanto le stava raccontando e, Sarah, notò come sul suo volto assero una serie infinita di emozioni: sorpresa per la decisione presa, rabbia per come Renea l’aveva trattata e un sorriso le comparve quando le disse che tutto quello che Mark aveva raccontato erano menzogne, dette per evitare che Renea la punisse o che anche solo se la prendesse con lei. «E così, mi ha messo con le spalle al muro quella strega… O la cella, o il viaggio a Kentingern» stava dicendo Sarah tra i singhiozzi. «Le hai permesso di incastrarti, non ci posso credere» esclamò incredula Morgana. «Che stai dicendo?» Chiese Sarah confusa. «Che Renea non lascia nulla al caso. Quando ti ha ordinato di accompagnare Mark per un giro al villaggio, con ogni probabilità, aveva già previsto che tu avresti trasgredito all’ordine, così che lei avesse un motivo per punirti. Ti ha detto della cella ma, in realtà, voleva che tu venissi con noi. Non ci sei arrivata da sola?» Sarah guardò Morgana scioccata. Ebbene, no, non ci era arrivata da sola. Pianificazioni, calcoli e trabocchetti, non facevano parte del suo modo di essere. Ma ora che Morgana aveva fatto quel ragionamento, tutto tornava: Renea le aveva teso una trappola e lei ci era cascata come un’idiota. Così, oltre a dover accompagnare sul serio Mark per Dervel, doveva pure fare un viaggio con lui. Sentì lo stomaco sottosopra. «Domani mattina dovrò andare da lui per dirgli che lo accompagno per un giro a Dervel,» piagnucolò Sarah. «Credo che stanotte non dormirò al pensiero».
«Mark ne sarà felice,» commentò Morgana non riuscendo a trattenere una risata. Quando poi Sarah le lanciò un’occhiataccia di ammonimento, smise di ridere e aggiunse: «Tu desideravi vederlo, Sarah… e lui ti ama ancora…» «Lo so, ma… Non è così semplice Morgana, non riesco a dimenticare quello che è successo a Livingston». «Magari il viaggio sarà utile per questo, no?» La pungolò Morgana. Sarah sembrò riflettere su quello che Morgana aveva appena detto. «Quand’è che partiremo esattamente?» Morgana la guardò titubante e un po’ sconcertata. Sembrava che lei le avesse appena fatto una domanda aliena. Esitò a rispondere. «Tra tre giorni,» disse studiando la reazione della ragazza. «Il giorno dopo che verrà annunciato…» non ebbe il coraggio di finire la frase. Sarah si fece pensierosa: qualcosa decisamente non le tornava. Guardò Morgana accigliata e infine le chiese: «Ma il matrimonio tra Marcus e Anjela, non sarà a ottobre? Mi era sembrato di capire…» si fermò quando vide l’espressione di Morgana. «È a ottobre. Il quindici di ottobre per l’esattezza». Morgana disse le parole così a bassa voce che Sarah ebbe difficoltà a udirle. «Non capisco. Hai appena detto che partiremo tra tre giorni, cioè il ventiquattro settembre… ma il matrimonio è il quindici…» Sarah scosse la testa confusa. «Beh, se tu mi avesse ascoltato, il giorno che ti parlai del viaggio che stavo per compiere con Mark e suo padre, a quest’ora ti saresti fatta un’idea». Sarah lanciò un’occhiataccia a Morgana. «Spiegati meglio, per favore». «Siccome viaggeremo in auto, abbiamo programmato di…» «In auto? Cosa?» La interruppe, Sarah. «Perché in auto? Non possiamo usare gli specchi?» Morgana scosse la testa. «Mikael è contrario all’uso degli specchi, lo sai».
«E quanto dista Kentingern da qui?» Chiese allarmata. «In auto un giorno di viaggio». Sarah la guardò scioccata. «Okay,» disse infine. «Perché non prendiamo l’aereo? Insomma, stiamo parlando del Sovrano di Livingston, chissà quanti mezzi…» Morgana le fece cenno di tacere. «Io detesto volare,» mormorò. «Tu, cosa? Ma è assurdo! E noi dobbiamo fare un giorno di macchina quando esistono gli specchi come portali o gli aerei?» Sarah si ò una mano tra i capelli esasperata. «E, comunque,» continuò, «niente portali e niente aerei, okay, ma è un giorno di viaggio, per cui, perché partiamo venti giorni prima? Non ho mica capito!» «Quel famoso giorno,» esordì Morgana, «io ti stavo raccontando ogni cosa, ma tu non mi hai lasciata parlare. Se ora me ne darai la possibilità, te lo spiegherò!» Morgana era palesemente seccata. Lei glielo stava raccontando quel giorno, il viaggio organizzato con Mikael, ma Sarah non l’aveva nemmeno lasciata parlare. Tacque qualche istante poi disse: «Avevamo programmato questo viaggio insieme da tempo. Siccome viaggiare in auto un giorno intero è alquanto pesante e abbiamo ricevuto un invito da parte del sovrano di Fearghas, abbiamo deciso che avremmo trasformato questo viaggio per assistere al matrimonio del figlio di Nikolaz come itinerario per più tappe. Mikael ha insistito perché ci fermassimo qualche giorno nella sua villa a Greyworth, in occasione di una festività locale, dopodiché faremo tappa a Fearghas, ospiti del sovrano Regasian e quindi raggiungeremo con lui e le sue tre figlie Kentingern». Sarah ascoltò in silenzio ogni parola, sentendo il dolore alla testa divenire sempre più forte: dopo quella notizia non riuscì a proferire verbo. Quando riacquistò l’uso della parola, si limitò a dire: «Il sovrano Regasian è il padre di Elaine, giusto?» Che domanda stupida, si ritrovò a pensare. Doveva trascorrere più di venti giorni con Mark e, invece di inveire o piangere, il suo pensiero era corso a Elaine. Morgana si fece pensierosa. «Credo di sì… La conosci?» «Lei… loro… beh, c’erano quando a Livingston…» Sarah non riuscì a continuare. Le tornò alla mente quello che accadde quel giorno e il pensiero la fece star male. Come poteva aggiustare le cose con Mark dopo quella brutta
discussione? Era pressoché impossibile! Le dava la nausea solo il pensiero di parlare con lui. Eppure quella sera, quando lui l’aveva difesa, lei si era ritrovata a pensare che le era mancato, che era felice di rivederlo. Ma quello non era il Mark che aveva avuto modo di conoscere a Livingston. Quello di Livingston era un Mark differente, un Mark preso da se stesso e da Lynn.
Quando quella notte, dopo aver rimuginato all’infinito sul viaggio che stava per compiere con Mark, finalmente riuscì a prendere sonno, rivisse nei sogni la discussione con Mark avvenuta poco prima della loro festa di fidanzamento. Nel suo sogno, rivide frasi frammentate, ripercorse lo scambio di battute tra lei e Mark e provò lo stesso dolore struggente che aveva provato nell’udire le parole sprezzanti che lui aveva pronunciato. Fu un susseguirsi di immagini e parole, vedeva il volto di Mark, la sua espressione furente e tutto quello che non mancò di dirle. Difendeva Lynn a spada tratta, mentre trovava patetica e puerile lei. Quando poi, finalmente, gli incubi terminarono, si svegliò di soprassalto tirandosi su a sedere nel letto. «È stato solo un sogno, è stato solo un sogno» si disse in un primo momento. «E invece no. Me le ha dette davvero quelle parole…» E ora, Mark si trovava lì, a Dervel, spensierato e sorridente come quando lo aveva conosciuto i primi tempi. Era lì tutto per lei, aveva mentito per lei, l’aveva perdonata per quell’orrendo scherzo fatto da Kirsten e la guardava con adorazione, come se lei fosse tutto per lui… Ma chi era Mark in definitiva? Aveva il cuore in tumulto, mille pensieri le vorticavano nei meandri del cervello, mille emozioni la travolgevano: la paura, l’incertezza, il senso di smarrimento, ma soprattutto il desiderio e la voglia di Mark. Desiderio di essere stretta tra le sue braccia e voglia di lasciarsi travolgere dai suoi baci e da quella ione che solo lui era capace di farle provare. Cosa l’avrebbe aspettata quel giorno e nei giorni a seguire? Sarebbe riuscita a far chiarezza nel suo cuore e soprattutto con Mark? Con quei pensieri, quelle emozioni e quegli interrogativi, si preparò ad andare incontro agli eventi e quindi al suo destino.
Continua…
Ringraziamenti:
Prima di tutto desidero ringraziare tutta la mia famiglia per essermi sempre stata accanto in ogni istante della mia vita, compreso in questo straordinario percorso che ho deciso di intraprendere. Un grazie speciale a mia sorella Fiorangela, che dopo aver letto Capture, con le sue parole e commenti, mi ha trasmesso tanto entusiasmo e affetto. Ringrazio i miei cugini, Domenico, Ileana e Elena, e le loro famiglie, che mi hanno tanto sostenuta e condiviso questo mio momento speciale, in modo straordinario. Non lo dimenticherò mai! Ai miei carissimi amici, tutti quanti, in particolare a Emanuela Corsi, Alessandro Roveri, Ilaria Maggi e Emanuela Balsimelli, che mi hanno sempre appoggiato e detto bellissime parole sul mio romanzo. Mi avete toccato il cuore! Siete unici e insostituibili, vi voglio un mondo di bene! Al mio fisioterapista Stefano Piazza e a sua moglie Loredana, oltre che meravigliosi professionisti, persone insostituibili capaci di trasmettere tanta positività. Se non vi avessi incontrato nella mia vita, tutto sarebbe differente per me! Uno speciale ringraziamento va al Comune di Calco, luogo dove ho la fortuna di lavorare: ai componenti dell’Amministrazione: il Sindaco Gilberto Fumagalli e tutti gli Assessori e Consiglieri; al Segretario Dott. Luigi Durante, e a tutti i colleghi e colleghe che mi hanno fatto sentire il loro affetto e sostegno, e soprattutto a coloro che hanno letto il mio libro (davvero in molti!) e con i quali mi sono potuta confrontare. Siete come una famiglia per me! Un enorme grazie a tutto lo staff di Youcanprint. Lavorare con voi è meraviglioso, vi sapete distinguere per la qualità e la professionalità nell’ambito dell’editoria. E grazie a voi, miei cari lettori, che leggendo questa saga mi accompagnerete nel meraviglioso mondo di Capture. Non so cosa farei senza di voi!
INDICE
Sito Saga: http://CaptureSaga.bookmatch.it/ Capitolo uno Il veleno senza ritorno Capitolo due La dimora di Alys Capitolo tre L’annuncio ufficiale Capitolo quattro La figlia di Renea Capitolo cinque La festa di mezza estate Capitolo sei La punizione Capitolo sette L’arrivo di Mark Ringraziamenti: