Roberto Ripollino
Elementi e tecniche di intervista
Con particolare riferimento a casi di Violenza e Stalking
Titolo | Elementi e tecniche di intervista Autore | Roberto Ripollino ISBN | 9788891137319 Prima edizione digitale: 2014
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Immagine di copertina tratta dalla serie di quadri sulla violenza sulle donne su gentile concessine dell’autore Maestro Gaetano Porcasi
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Paura
Giaceva nella semioscurità di quella stanza, aggrappata disperatamente a quello che una volta era il suo cuscino, ormai con la federa annerita, arrotolato, piegato e contorto su se stesso quasi come un foglio accartocciato.
Lo sguardo era fisso alla finestra, da cui filtravano alcuni fili di luce dovuti alla serranda non chiusa perfettamente, la guardava come se si aspettasse che da un momento all’altro qualcosa penetrasse all’interno della stanza e tale era il suo stato che anche guardandola bene era difficile vederla battere gli occhi.
Da quanto era lì? quando l'aveva chiusa? - si domandava.
Non lo ricordava più.
Erano giorni che si trascinava dal letto sino alla cucina o al bagno, stando lontana dalle finestre, attenta a non provocare il minimo rumore.
Inghiottiva più che mangiare senza cucinare, l’uso del microonde era impossibile per i rumori che produceva. Un pacchetto di cracker e mezzo bicchiere d’acqua, era quello che aveva mangiato prima. Quanto tempo prima, pensava, mentre con terrore si stava rendendo conto che aveva terminato le cibarie e che in casa non vi era più nulla da mangiare.
“Lui” era la causa di tutto, ma poi Lui chi?
Non sapeva chi fosse. Inizialmente una voce ignota al telefono, gentile, suadente ed educata, una telefonata finita così e che avrebbe di sicuro dimenticato se da quel momento l’ignoto non avesse continuato a chiamarla, in casa, in ufficio, al cellulare mentre era in strada o in macchina, solo che telefonata dopo telefonata era diventato insistente. Voleva uscire con lei, voleva un appuntamento. Alle telefonate erano seguite le mail, sempre da un indirizzo inesistente come il numero di telefono, ma tutte sullo stesso tenore.
Non aveva dato eccessivo peso alla cosa, non era la prima volta che uno scocciatore aveva provato con una corte insistente, ma questo non si era fatto riconoscere, non sapeva chi era, non aveva nessuna possibilità di sapere chi fosse. L’aveva spaventata un poco, ma il terrore l’aveva colpita come una mazzata. quando in una telefonata, mentre lei cercava in ogni modo di troncare, l’ignoto aveva profferito quella frase, ad un tratto fredda, gelida come una minaccia, come una sentenza: “Sarai mia o di nessun altro.”
Rientrata nel suo appartamento aveva trovato un biglietto sotto la porta, era Lui, “Sono in strada e sto guardando le tue finestre”, aveva cercato dietro le serrande di vedere se riconosceva la persona, ma non era semplice. Ed ancora telefonate ed email, sinché rientrando in casa, aveva trovato il letto disfatto e i cassetti accostati.
Lui era entrato e aveva rovistato nelle sue cose. La sua immediata telefonata le confermo quanto già sapeva.
Si sentiva violata, violentata nell’intimo, era stata vista nel suo profondo, aveva messo le mani nella sua anima attraverso le sue cose, i suoi oggetti più intimi toccati, forse annusati, comunque oggetto di chissà quale pensiero e quale concupiscente atto.
Cosa aveva fatto di male per meritare quel trattamento, per essere sottoposta a quel martirio.
Buttò tutto in lavatrice e rifece il lavaggio tre volte, voleva essere certa che fossero di nuovo puliti, senza la minima traccia del suo tocco.
Non sapeva più cosa fare.
Provò a parlarne con una amica, ma questa la prese in giro come se fosse una facezia o una sua paranoia.
Il terrore si tramutava sempre più in panico, se andava al bar lo sentiva alle sue spalle, poteva essere quell’uomo con l’impermeabile e il cappello, se andava in banca era quello appoggiato alla colonna che guardava con fare distratto la fila, come fosse indeciso ad andarsene.
Lo sentiva al supermercato, ne avvertiva il respiro, ne immaginava l’odore e lo percepiva dovunque andasse.
Puntualmente nella telefonata seguente Lui le elencava cosa avesse comprato, come era vestita o altri particolari.
Non sapeva più cosa fare o dove andare, anche a casa dai suoi fuori città aveva avvertito la sua presenza, confermata poi in una mail.
La paura che potesse fare qualcosa anche ai suoi cari l'aveva riportata in città di volata.
Il fabbro aveva messo una nuova serratura e un chiavistello e le sembrava che il suo appartamento fosse divenuto maggiormente sicuro.
Almeno finché non trovò il biglietto sul tavolo: “Ti ho detto che sarai mia e niente potrà far cambiare questo destino che è stato scritto nella notte dei tempi.”
Si era chiusa in casa, serrata la porta, bloccata anche da una sedia sotto la maniglia, aveva sigillate le serrande sino in fondo, unica eccezione quella della stanza da letto che si era bloccata, chiuso il cellulare, strappati i fili del telefono e spento il computer, si era rannicchiata sul letto, sobbalzando ad ogni rumore, ad ogni sia pur minimo scricchiolio.
Era certa che Lui fosse in strada, che guardava le finestre, che meditava se salire e tentare di entrare, sentiva le porte dell’ascensore, il cuore per un attimo faceva silenzio, ma era il vicino che rientrava.
Ed erano ati i giorni, con gli occhi fissi alla finestra, appisolandosi a tratti e svegliandosi di sobbalzo.
Immaginava quell’individuo appostato lì fuori mentre provava a chiamare, a telefonare e ad ogni telefonata non riuscita era certa che la sua rabbia montasse.
Sperava in cuor suo che magari essendo ati alcuni giorni si stancasse e desistesse di tentare, che si allontanasse, che si desse per vinto.
Un rumore.
Ecco l’ascensore che sale, si ferma al suo piano, i felpati sul pianerottolo, il suo respiro si ferma, il suo mondo si ferma.
Un rumore di carta che gratta, si alza e sulla punta dei suoi piedi scalzi si avvicina alla porta, nella penombra vede il foglietto che spunta tra la porta e il pavimento, la gola è ormai chiusa in un groppo, la luce non basta a leggere la scritta che si vede sul foglio, accende una piccola pila e si china, non lo tocca, non lo vuole toccare e legge: “Io sono qui”.
L’urlo le prorompe dalle profondità del suo essere, primitivo, catartico, roco e pieno del suo terrore e delle sue paure, dei suoi sogni e della sua disperazione e si prolunga per attimi che sembrano secoli, finché la lascia stremata e svuotata, distrutta da questa continua battaglia.
E’ senza più forze, abbattuta e vinta dalla stanchezza e dalle tensioni, si gira e si avvia verso il letto, cercando un rifugio, qualcosa di caldo ed oscuro che le dia conforto.
Sul comodino il suo cellulare, spento da giorni, dimenticato vicino l’abat-jour.
Lo prende lo guarda quasi fosse un oggetto ignoto, un pensiero l'attraversa,
chiedere aiuto!
La mano ricade senza forza, stanca.
Domani, domani è un altro giorno.
Per ora la notte incombe con tutto il suo carico di paure e di terrore....................
INDICE
INTRODUZIONE 1. 2. 3. A. B. 4. A. B. 5. 6.
LA VITTIMA EVOLUZIONE DELLA SOCIETA’ E LA VIOLENZA RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI L’approccio Predisposizioni L'INTERVISTA Intervista investigativa Intervista cognitiva CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
La Convenzione di Lisbona, atto di fondazione della attuale Unione Europea, in più parti richiama e sollecita gli Stati sottoscrittori a una tutela a tutto campo delle vittime di violenza, numerosa è la produzione di dichiarazioni e di direttive sia per la tutela dei minori che per le violenze sulle donne e verso i cittadini europei in genere.
Tale orientamento trova rinnovato vigore nel successivo Piano d’azione per l’attuazione del programma di Stoccolma” che a pag. 13. COM(2010)0171 dichiara l'intenzione di:
“Creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei” (in questo caso si evidenzia in particolare la violenza contro le donne); sino a giungere alla Risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione del quadro politico dell'U.E. in materia di lotta alla violenza contro le donne (2010/2209(INI) con cui vengono dettate alcune norme fondamentali in materia.
In particolare, si porta l'attenzione sul punto 2, 4° alinea in cui:
“richieste agli Stati membri di garantire la formazione dei funzionari che possono trovarsi a trattare casi di violenza contro le donne, compreso il personale incaricato dell'applicazione della legge, dell’assistenza sociale, dell’assistenza ai minori, della sanità e dei centri di emergenza, onde individuare, identificare e gestire adeguatamente tali casi, incentrandosi particolarmente sulle necessità e sui diritti delle vittime”
ed inoltre al punto 2, 6°alinea propone:
“piani di sviluppo di procedure d'indagine specifiche per le forze di polizia e i professionisti del settore sanitario ai fini dell'acquisizione delle prove della violenza di genere”.
Al punto 2, 7° alinea, infine, propone:
“la creazione di un partenariato con gli istituti d'istruzione superiore al fine di fornire corsi di formazione sulla violenza di genere per i professionisti dei settori coinvolti, in particolare giudici, funzionari della polizia criminale, operatori del settore sanitario e dell'istruzione e il personale di sostegno alle vittime”.
In Italia questa direttiva è stata recepita dalla Legge 15 ottobre 2013, n. 119: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93”, che ha trasposto pedissequamente la direttiva europea, difatti, si veda articolo 5. Punto 2 lettera c), che prevede la formazione del personale della scuola, e alla lettera e) prevede la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza in genere e di stalking.
La vittima di violenza è quindi al centro delle preoccupazioni europee e nazionali, partendo dal presupposto che tale tipo di soggetto abbia subito un comportamento alienante e invasivo, tale che non può essere trattato alla stregua di un normale teste, ma vanno adottate delle cautele particolari nel contatto e nella gestione della attività di raccolta dei dati della vicenda di cui si è trovata ad essere oggetto.
La psicologia ci dice che la vittima di abusi e di violenza o di stalking, si trova
ad essere particolarmente colpita da quello che le è successo, anche perché spesso non ha la forza d’animo di uscire allo scoperto sin dalle prime manifestazioni e la sua richiesta di aiuto arriva solo quando ormai la vicenda si protrae da tempo.
Questo significa che ha vissuto in uno stato alterato della realtà, in cui il suo essere è confuso e carico di blocchi emotivi e psicologici che rendono quantomeno difficile instaurare un dialogo con questa persona senza adottare cautele e atteggiamenti specifici.
In questa pagine si cercherà di esporre quali siano le cautele e le particolari tecniche da adottare in presenza di una vittima di violenza o di stalking, con un occhio sulle raccomandazioni che ci pervengono dagli specialisti in materia verificate e utilizzate nella pratica esperienza lavorativa dello scrivente.
1. LA VITTIMA
La migliore definizione di VITTIMA la possiamo trovare nella definizione data, ormai più di dieci anni or sono, dalla Decisione Quadro n. 220 del 15 marzo 2001 del Consiglio dell’Unione Europea inerente la posizione delle vittime di reato durante il procedimento penale, secondo la quale, la vittima è:
“la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro”.
Questa l'odierna definizione, ma come era considerata la vittima nel lontano ato. partiamo quindi con un breve escursus su come venne vista la vittima nel ato, sino a giungere ai nostri giorni.
Nel profondo ato la vittima veniva considerata alla stregua di una testimone che doveva per legge fornire le notizie in suo possesso (era suo dovere), spesso sottoposta a veri e propri interrogatori portati avanti senza cautele e con veemenza dal Procuratore/Inquisitore che si ammantava della sublime veste di colui che cerca la verità, autorizzato, pertanto, ad utilizzare ogni e qualsivoglia mezzo (nei tribunali medievali e anche in quelli del Santo Uffizio i testimoni erano spesso sottoposti alla tortura, nella convinzione che le persone non dicano la verità se non costrette).
Non esisteva la cultura della difesa della vittima, per cui la stessa molte volte dopo aver rilasciato testimonianza, ritrattava ogni sua dichiarazione terrorizzata dalle possibili reazioni del violento o della sua famiglia.
Da non sottacere, inoltre, la scala dei valori di una testimonianza se resa da popolani, da persone di censo o da nobili (si riteneva che un nobile, per sua natura, non poteva mentire, al contrario era ritenuto che una persona del vulgo ben difficilmente avrebbe reso una sincera testimonianza).
Dall'Illuminismo, si cominciano a incontrare nuove valutazioni sulle vittime di reati, si inizia a cambiare questo modo di pensare e di agire, anche per la diversa considerazione della persona, cominciano a formarsi le teorie sulle varie tipologie di vittime e sulle loro varietà eziologiche.
Dobbiamo, però, giungere alla fine del 1800, con lo sviluppo degli studi psicologici, per incontrare i primi studi completi sulle vittime di comportamenti delittuosi, che affrontano in maniera razionale il problema e ne delineano, tracciando le condotte, le linee psicologiche dei vari tipi.
Il dott. Sigmund Freud, nel 1894, descrive in maniera particolareggiata le azioni che le vittime di reati violenti compiono nell’intento di difendersi da idee ed emozioni che provocano loro dolore e per la prima volta usa il termine “rimozione” per esplicitare il comportamento con cui la vittima tende a nascondere, a se e agli altri, seppellendoli nel profondo, i fatti di cui è stata destinataria.
Identificò alcune proprietà delle difese dell’Io :
– sono lo strumento principale con cui il soggetto gestisce gli istinti e gli affetti. – sono inconsce. – sono discrete l’una rispetto all’altra. – nonostante spesso costituiscano la caratteristica distintiva delle maggiori sindromi psichiatric
Anna Freud introdusse il concetto di “identificazione con l'aggressore”, ampiamente poi ripreso da Sandor Ferenezi (1873-1933), con la quale si tende a spiegare dei comportamenti normalmente osservati nei bambini.
Nel 1948 nasce ufficialmente la Vittimologia, anche se ancora non aveva questa denominazione, con lo studio di Hans von Hentig: “The criminal & his victim:studies in the sociobiology of crime” che elabora tre concetti fondamentali: – – –
criminale-vittima vittima latente relazione specifica tra il criminale e la vittima.
Lo stesso ritiene che specifiche condizioni come l’appartenenza al genere femminile, la giovane età o l’anzianità, la debolezza mentale, l’appartenenza a minoranze etniche o razziali e ancora la depressione e la solitudine, attirino a sé il criminale che individua nella loro vulnerabilità un facile bersaglio.
Nel 1956 Benjamin Mendelsohn, creò il termine Vittimologia, argomento da lui seguito sin dal 1937, e infine nel 1965 elabora il concetto di quanta responsabilità attribuire alla vittima all’interno dell’azione deviante.
Ulteriori studi classificano altre categorie di vittime, dalla collaborativa, alla ostile, spesso soffermandosi sul loro modo di reagire all'azione di indagine portata avanti dagli organi di polizia che, in quel periodo, non si differenziava da un tipico interrogatorio di un sospetto o di un reo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si registra un grande periodo di attività della ricerca psicologica, si moltiplicano gli studi e le analisi anche in questo campo, ed da questi rinnovati studi nasce la teoria della cosiddetta “sindrome di adattamento”, che fu riscontrata in particolare in molti casi di internati nei campi di concentramento e successivamente anche negli ex prigionieri americani reduci delle guerre di Corea o del Vietnam.
Questi casi vedevano la vittima giungere a considerare naturale e giusto l’uso della violenza nei suoi confronti, in molti casi addossandosi colpe inesistenti, o soffrendo, addirittura, se l'aguzzino non mette in atto i suoi maltrattamenti, spesso a sindromi di adattamento veniva registrato l’avvicinarsi delle vittime alle teorie politiche propugnate dai carcerieri.
A seguito di alcuni sequestri di persona viene registrata una forma diversa di
reazione della vittima all'azione criminosa, molto simile alla precedente richiamata sindrome di adattamento, ma che si discosta perché questa tende ad interessare l’area limbica ed onirica della vittima che oltre alla immedesimazione con l’aguzzino tende a sviluppare un sentimento di simpatia ed affetto nei suoi confronti.
Stiamo parlando della “sindrome di Stoccolma” (23 agosto 1973 – rapina con sequestro di persone in una banca di Stoccolma protrattosi per alcuni giorni) dove la vittima, in presenza di episodi estranianti e altamente stressanti, anche senza che vi siano azioni di violenza fisica, arriva a concepire e/o allacciare un rapporto di tipo amoroso con il sequestratore fino a giungere ad abbracciare attivamente l’ideologia su cui si basano gli organizzatori dell’azione criminosa.¹
Da alcune statistiche delle F.B.I. risulterebbe che circa l’8 % degli ostaggi ha manifestato i sintomi della sindrome stessa.
Sino a qualche tempo addietro la figura di una vittima, specie in ambito giudiziario, non si discostava di molto dal concetto che se aveva subito un comportamento violento o addirittura un abuso sessuale, poteva avere essa stessa una parte di responsabilità, come provocatrice del comportamento dell'attore.
Non era raro, quindi, assistere, in aula, a veri e propri interrogatori, oltre che dei difensori, da parte del Procuratore della Repubblica, in cui si investiva la vittima con domande sempre più pressanti e profonde nell’intento di farle confermare quanto già dichiarato e/o di farle aggiungere ulteriori dettagli, certamente cercando di scongiurare l’eventualità di far insorgere dubbi su una partecipazione della vittima o su un parziale consenso.
Tali atteggiamenti, di cui la stampa ha spesso aumentato la portata, hanno inciso profondamente nell'immaginario collettivo e ingenerato diffuse paure da parte
delle vittime di adire alla vie legali, amplificando il già presente timore di poter essere considerati, anche se solo in parte, colpevoli o causa di quanto accaduto.
Negli ultimi anni si è avuta una giusta evoluzione nella considerazione della figura della vittima, per cui, a meno non vi siano più che fondati motivi di ritenere che essa non sia collaborativa e che tenda a nascondere parti importanti della sua condotta, si tende a considerare la particolare situazione della stessa e ad evitare comportamenti che possano aggravare la situazione psicologica di sofferenza in cui si trova la vittima.
¹ Casi eclatanti, oltre alla richiamata rapina alla banca di Stoccolma, sono il rapimento di Patricia Hearst (1974) che l’anno successivo partecipò ad una rapina insieme ad alcuni dei suoi rapitori, o il rapimento della figlia dell’industriale cinematografico Giovanni Amati nel 1978, in cui si disse che la ragazza si fosse invaghita del suo rapitore.
2. EVOLUZIONE DELLA SOCIETA’ E LA VIOLENZA
L'avanzare della tecnologia e il differenziarsi delle forme di comunicazione che ci hanno transitato nell'era digitale, ha creato mondi virtuali paralleli e l’esplosione dei social network, di contro ha consentito anche a persone di non eccezionale capacità di poter utilizzare tecnologie che forzano la privacy delle persone o consentono comunicazioni non tracciabili, instaurando e consolidando il mito di poter agire restando impuniti e irriconoscibili.
Da questa situazione è scaturita una impennata di reati che in precedenza, stante le difficoltà dell'era analogica, non erano arrivati a livelli tanto elevati, basti pensare a una serie di missive anonime spedite via posta contro una serie di mail. sms e altra messaggistica digitale dallo stesso tenore che possono raggiungere la vittima in qualsiasi momento, a ciò aggiungiamo anche telefonate anonime effettuate attraverso sistemi VOIP anonimi, alle violazioni (hackeraggio) del Pc personale o dello smartphone/tablet, tutte azioni che avendo le basi hardware e software si possono compiere nella tranquillità della propria abitazione e che hanno un impatto altamente distruttivo sui destinatari.
Queste possibilità, di certo hanno solleticato molte menti suggerendo loro come poter arrivare al soddisfacimento dei propri sogni, bisogni o interessi; facendo, inoltre, emergere perversioni e insaziabili appetiti.
Per esemplificare basti pensare ad uno Stalker del tipo "bisognoso d'affetto", precedentemente si sarebbe limitato ad invio di mazzi di fiori, a far trovare bigliettini melensi, o mandare lettere non firmate dichiarando il suo amore, al massimo si sarebbe esposto con qualche telefonata, tanto che qualcuno avrebbe classificato questa condotta come una "corte serrata", o al limite come una serie di molestie.
Oggi lo stesso personaggio arriva a centuplicare le sue azioni, divenendo non solo molesto e irritante, ma ingenera ben presto un sentimento di pericolo nel destinatario.
Questo Stalker proprio fidando nella sua aura di intoccabilità può anche arrivare a un o evolutivo successivo aggiungendo la violenza come acceleratore per raggiungere i suoi obiettivi.
Nell’odierna società del benessere, inoltre, la violenza ha assunto una diversa e variegata configurazione, moltiplicandosi e accrescendosi sia in ambito privato, sociale e in quello lavorativo. In questo ultimo caso assistiamo a plurimi casi di Mobbing, di Bossing o di Strainig, per non parlare dell’aggressività senza morale che vige nel mondo della finanza e in altre realtà lavorative.
Diviene sempre più facile registrare atti di violenza nell’ambito sociale, qualsivoglia sia l’occasione o il motivo per cui ci si raduna: nelle manifestazioni di piazza, nei raduni per concerti o in discoteca, nelle manifestazioni sportive, in cui l’animosità funge da giustificazione alle violenze.
E’ facile e forse pleonastico affermare che una diminuita cognizione dei valori ha portato all’affermarsi del concetto che il più violento raccoglie il rispetto e la fedeltà degli altri.
Un concetto pericoloso, perché se è vero che queste persone ricercano attraverso la violenza affermazioni (violenza negli stadi, bande di giovani, violenze gratuite verso minoranze o verso i deboli) tale concetto sta estendendosi permeando l’intera società portando a reazioni violente in qualsivoglia caso: sia una discussione tra due automobilisti per un incidente stradale, sia in famiglia tra
coniugi, o con i figli, nelle discussioni tra condomini.
Un lungo prologo per affermare che attualmente si è di fronte ad una tipologia di vittime che si differenzia in molti casi dalla tipica vittima di un singolo atto di violenza o di un reato tipico, infatti, sia nei casi di Stalking (maschile o femminile) che nei casi di abusi sessuali o di violenza familiare o in quelli che adesso sono denominati come "femminicidio", si differenziano per lo stillicidio di azioni che si protraggono nel tempo, per l’elevato livello di violenza fisica o psicologica e per la difficoltà da parte della vittima ad uscire allo scoperto per i motivi più disparati.
Ben si capisce dunque come mai anche a livello europeo ci si preoccupa delle vittime di violenza, infatti queste differiscono in maniera sostanziale dalla classica vittima, inoltre, le norme negli Stati membri sono differenti e in qualche caso mancanti, rendendo necessaria una azione di parificazione delle norme in ambito comunitario.
Tale situazione ha portato al proliferare delle direttive europee che accolte poi nella normativa dei vari stati sta portando ad un diverso elevato grado della considerazione e della trattazione della vittima di violenza, nonché ad una uniforme normativa per la tutela delle stesse nell’ambito europeo.
3. RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI
La vittima di violenza, nel momento in cui decide di aver bisogno di aiuto, può rivolgersi ad una serie diversificata di persone o enti: medici, psicologi, associazioni anti-violenza, operatori sanitari, operatori sociali, insegnanti, Forze dell'Ordine.
Ognuna delle categorie sopra citate sono tenuti ad avere ben presente di trovarsi in una situazione che non è la solita “routine” bensì una circostanza particolare in cui debbono agire con oculatezza e seguendo delle linee guida di cui parleremo di seguito.
Nella maggior parte dei casi si registra che il primo contatto avviene con le Forze dell'Ordine, sia perché intervengono su episodi di flagranza di reato, a seguito di ospedalizzazione per lesioni, o in quanto proprio la loro figura particolare ispira nelle vittime maggiore fiducia e conforto.
Ultimamente si sta riscontrando che la diffusione dei fenomeni di violenza che prima si ritenevano quasi esclusiva prerogativa dei centri urbani metropolitani o a elevato indice di popolazione stanno dilagando nei centri più piccoli, che si ritenevano in molti casi meno permeabili a fenomeni di questo tipo.
Colui che viene in contatto con la vittima dovrà avere ben presenti alcune norme preliminari:
A. L’approccio
Ritengo necessario insistere sul fattore che il momento più importante è quello in cui si entra in contatto con una vittima di una violenza o di una serie di violenze.
Chi l’accoglie non deve in alcun modo adottare condotte non consone, controllando anche di non assumere atteggiamenti che possano far trasparire un giudizio, indifferenza o peggio insofferenza.
La sua azione dovrà essere improntata alla massima educazione e compostezza, assumendo un atteggiamento calmo al fine di tranquillizzare l’interlocutore e porlo nelle migliori condizioni di interagire.
Vengono spesso portati all’attenzione casi in cui gli operatori, assumono condotte non consone, facendo trasparire atteggiamenti che vanno dall’insofferenza all’ostilità, in particolare si registrano con maggiore frequenza reazioni di incredulità specie quando viene comunicato il nome della persona che sta portando avanti o che si ritiene stia portando avanti la violenza (questo avviene quando o la presunto autore è un affermato professionista o di elevato livello sociale o anche è conosciuta dall'operatore e, frequentemente, gode di buona reputazione), che porta la persona offesa a giungere alla convinzione di essere considerato un visionario o un diffamatore..
Non bisogna dimenticare che gli atteggiamenti violenti o la persecuzione non attengono alla sfera delle normali relazioni, ma riguardano quella parte dell’animo umano che si tende a non mostrare in pubblico, una specie di “dottor Jekill e Mr. Hyde.
Tali atteggiamenti tendono ad annichilire la già traballante volontà della vittima che può decidere di desistere dal completare la descrizione della sua vicenda, sentendosi abbandonata e bistrattata anche da quelli che lei riteneva le persone che più avrebbero dovuto aiutarla.
Partendo da queste considerazioni iniziali, ma di importanza estrema, in quanto l’atteggiamento aperto paziente ed empatico dovrà essere portato avanti per tutte le operazioni che descriverò di seguito e che ineriscono la raccolta preliminare delle informazioni relative alla violenza.
B. Predisposizioni
Cominciamo con una prima affermazione e cioè che non bisogna condurre un interrogatorio, bensì esplicare, in primis, una attività di conoscenza della persona e di raccolta di dati, al fine di poter tracciare le linee temporali e sequenziali della vicenda, che saranno le basi per tutte le attività successive, sia per le figure professionali (avvocati e psicologi, associazioni di sostegno) che interverranno successivamente nella vicenda, che per le attività tipiche della Polizia Giudiziaria.
Prima ancora di poter procedere con qualsiasi tipo di attività bisogna che la persona che si accinge ad operare metta in atto alcune precauzioni e attività che torneranno utili per raggiungere risultati positivi, ovvero:
–accogliere la vittima in un locale idoneo, che non sia spoglio e sostanzialmente “freddo”; –facendola sedere nella maniera più comoda, si ritiene che siano da evitare poltrone o divani, –predisporre un sistema di video-registrazione, se non possibile, provvedere comunque anche –porsi di fronte alla persona e non dietro una scrivania ad una appropriata distanza, senza per –avere materiale per appunti e annotazioni; –Isolare il telefono di quella stanza e spegnere il proprio cellulare; –procedere da soli facendosi seguire dall'esterno da altro operatore; –consentire la presenza di una persona di fiducia della vittima, se da questa espressamente ric –provvedere a che vi sia acqua e bicchieri, al fine di evitare interruzioni.
L'operatore dovrà, inoltre, curare una preliminare preparazione mentale affinché l’attenzione sia focalizzata sulla persona e su quanto sta per fare (se dovesse rendersi conto di non avere la necessaria serenità è conveniente far intervenire altro operatore).
Insisto sulla necessità che l’operatore cerchi di stabilire un dialogo sereno e scevro da sottolineature o da commenti, specie se negativi, l’optimus sarebbe se l’operatore riuscisse a interagire su un piano empatico estremamente aperto, almeno nella fase iniziale, al fine di stabilire con l’interlocutore una comunicazione basata sulla fiducia e comprensione.
Per quanto possano apparire scontate e ridondanti queste operazioni preliminari sono il prodromo di quello che l'operatore sta per accingersi a fare e servono a mettere la vittima nelle migliori condizioni iniziali per non sentirsi fuori luogo, dare la certezza di essere nel posto in cui possono prendersi cura di lei e aiutarla concretamente per il suo problema.
4. L’INTERVISTA
Affrontiamo ora tecnicamente come si debba agire nel caso di vittima di violenza, per recuperare tutte le informazioni necessarie a delineare l’intera vicenda.
Preliminarmente è necessario che analizziamo, con l’aiuto della psicologia forense, quali sono le caratteristiche principali dello stato mentale che si manifesta, di norma, in una vittima di violenza:
–paura, per sé o per i suoi cari; –senso di isolamento; –vergogna, intesa come difficoltà a parlare di particolari che attengono alla sua intimità; –sfiducia, specie dopo un periodo in cui la persona era convinta di essere in grado con le sue f –timore di essere ritenuta una mitomane, una visionaria o una diffamatrice; –rifiuto di esplicitare delle situazioni di cui è convinta che possano essere interpretate come d –disorientamento e spesso una incapacità di dare una temporalità ai suoi ricordi o di esplicitar –focalizzazione della memoria solo sulle parti ritenute importanti tralasciando i particolari.
Una serie di stati d'animo altamente instabili e sensibili a qualsiasi variazione si venga a formare vicino a lei.
Una azione non ponderata o frettolosa porterebbe a reazioni diversificate ed imprevedibili che comunque andrebbero a inficiare, o nel migliore dei casi solo a rallentare, l'azione di raccolta delle informazioni necessarie e l’individuazione degli interventi di sostegno psicologico e di tutela giuridica in suo favore.
Un errato modus operandi non solo è deleterio per la positiva conclusione dell’attività, ma può portare in alcuni casi a quello che viene indicato come “vittimizzazione secondaria”, ovvero si aggiunge violenza alla già subita violenza.
“”Un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime. Come tali, le vittime di reato dovrebbero essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta fondate su motivi quali razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età, genere, espressione di genere, identità di genere, orientamento sessuale, status in materia di soggiorno o salute. In tutti i contatti con un’autorità competente, operante nell’ambito di un procedimento penale e con qualsiasi servizio che entri in contatto con le vittime, quali i servizi di assistenza alle vittime o di giustizia riparativa, si dovrebbe tenere conto della situazione personale delle vittime e delle loro necessità immediate, dell’età, del genere, di eventuali disabilità e della maturità delle vittime di reato, rispettandone pienamente l’integrità fisica,psichica e morale. Le vittime di reato dovrebbero essere protette dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, dall’intimidazione e dalle ritorsioni, dovrebbero ricevere adeguata assistenza per facilitarne il recupero e dovrebbe essere garantito loro un adeguato accesso alla giustizia””²
Prendiamo ora in esame i diversi modi di cui ci possiamo avvalere per la raccolta delle informazioni anche attraverso lo stimolo del ricordo per giungere alla definizione dell'intera vicenda.
Essenzialmente esistono due condotte per raggiungere lo scopo, queste sono: – –
Intervista investigativa; Intervista cognitiva.
Le due forme di intervista hanno i loro pregi e le loro particolarità, pertanto chi si accinge a raccogliere i dati dalla vittima di violenza dovrà conoscere ambedue al fine di poter scegliere la linea di condotta più idonea da adottare in base alle oggettive condizioni psicologiche della vittima, alla conoscenza iniziale dei fatti e all'esperienza dell'operatore stesso..
Un fatto da tenere presente è che se la vittima dimostra apertura maggiore verso uno degli operatori presenti (che potrebbe essere chi per primo le ha parlato) si consiglia di far cadere la scelta dell'intervistatore su questa persona, in quanto si ritiene che maggiore sarebbe la risposta della vittima verso questo operatore.
Analizziamo ora le due forme di intervista:
A . Intervista investigativa
E’ uno degli strumenti maggiormente usati sia dalle Forze dell’Ordine, sia dagli specialisti per raggiungere con minor invasione e per i successivi la piena raccolta degli elementi necessari a configurare la vicenda.
Tecnicamente si riconoscono quattro forme di intervista: – – – –
intervista non strutturata; intervista semi-strutturata; intervista strutturata; intervista strutturata e standardizzata.
Non a caso sono state elencate in questo ordine, infatti si è partiti dalla intervista più semplice ed intuitiva, sino a quella che comporta un maggiore impegno e approfondimento.
Di norma l’operatore in base alla situazione, alla persona che si trova di fronte e alla conoscenza iniziale della vicenda può scegliere quale tipo di intervista adottare, fermo restando che può variare il tipo anche dialogo durante, ovvero intervenendo con una forma prevista da un tipo di intervista mentre ne sta portando avanti un’altra.
Per prima prenderemo in esame l’intervista non strutturata.
Questa è così denominata perché non prevede alcun tipo di preparazione da parte dell’operatore, che sceglie questo tipo di attività in quanto si trova in presenza di uno o di tutti questi elementi: – – –
non ha alcuna notizia della vicenda; non conosce la vittima; si presenta nelle condizioni di massima difficoltà psicologica.
Fondamentalmente si opera attraverso un colloquio aperto, portato avanti seguendo la rotta che la persona intervistata vuole dare al filo dei suoi ricordi.
Naturalmente prima di procedere bisognerebbe tenere conto ed adottare quegli accorgimenti che ho già esplicitato precedentemente (vedi punto 2, lettera B), al fine di avere il massimo controllo di quello che succede e poter registrare e storicizzare le dichiarazioni che vengono rilasciate nel corso dell’incontro.
Il minimo che si ritiene necessario indicare è quello di: – – –
ricevere la persona in un ufficio accogliente; provvedere almeno alla registrazione vocale del colloquio; prendere appunti e annotazioni di quello che colpisce l’operatore.
In questa fase sarà necessario per l’operatore mettere in atto tutte quelle cautele e quegli accorgimenti nel trattare con l’interlocutore per rasserenarne l’animo, dovrà essere sollecito, ma non pressante, limitandosi a interventi minimali e che non suggeriscano eventuali risposte, ciò al fine di evitare la modificazione del ricordo.
Almeno in questa fase non è necessario sollecitare la persona a fornire tutti i particolari della vicenda, né sollecitarla a dare una sequenza temprale.
In questo tipo di intervista, solitamente si assiste ad un continuo profluvio di ricordi che vengono esposti senza riferimenti temporali, che si accavallano tra di loro e si intersecano senza una logica preordinata, ma sull’onda emozionale della persona intervistata.
Sarà cura dell’operatore annotare le varie notizie nell’ordine con cui vengono esposte, senza, peraltro, interrompere l’interlocutore. Procederà invece con piccoli e delicati solleciti a far riprendere il racconto, se l’intervistato si dovesse interrompere, sino alla sua conclusione.
E' necessario adottare queste cautele al fine di ottenere il massimo delle informazioni nel momento in cui l’interlocutore si trova ancora in una situazione di alterazione o presunta tale.
Dall’insieme degli appunti e delle registrazioni l’operatore cercherà i “marker temporali” per poter dare almeno una iniziale sequenza al racconto e alle varie circostanze che lo compongono rilevandone, quindi, le eventuali discrasie e le manchevolezze.
Annoterà ogni parte da lui ritenuta di interesse e necessaria alla chiarificazione dell’evento per are ad una fase successiva.
Dopo aver condotto a termine la parte sopra indicata si può are ad una delle fasi successive, per ordine logico tratterò ora la intervista semi-strutturata,anche se l’operatore può decidere di are direttamente ad una dei tipi successivi in base alla sua diretta conoscenza dell’intervistato e di tutti gli elementi raccolti.
L’intervista semi-strutturata come dice il suo nome si differenzia dalla precedente, pur mantenendone alcuni connotati perché l’interlocutore, oltre a lasciare sempre libero l’intervistato di gestire il suo racconto, interverrà decidendo da dove iniziare e smpre attraverso domande brevi, ma specifiche, si tenderà a portare il ricordo della persona per:
– completare la descrizione di un fatto; – indicare un periodo di tempo o una data; – indicare la eventuale presenza di testimoni a fatti particolari; – dichiarare se ha fatto ricorso alle cure mediche e dove; – indicare a chi si è rivolta in casi di danneggiamenti alle cose, per riparazioni o sostituzioni; – nominare eventuali persone che erano a conoscenza dei fatti; – dare indicazioni più precise tendenti alla identificazione dell'attore, se non direttamente cono
L’operatore anche in questo caso si limiterà a porre le sole domande e annotarne le risposte, oltre naturalmente a registrarle, lasciando libertà all'intervistato di gestire il racconto e cercando nel contempo di non insistere nella ricerca di una risposta.
Terminato il colloquio, si valuterà quanto ulteriormente acquisito, confrontandolo con quanto raccolto nella prima fase; verrà, quindi, raffinata e arricchita la trama del racconto, individuando le possibili fasi temporali della vicenda e si individueranno le notizie su cui è necessario approfondire la conoscenza e su cui non si può prescindere.
Sarà redatto un ulteriore elenco di domande, in questo caso più precise e approfondite, ciò al fine di are ad una fase successiva dell'intervista investigativa, l'intervista strutturata.
Questa intervista si differenzia sostanzialmente dalle prime due che abbiamo appena trattato, che sono “open and fiendly” e in cui si ricerca più una conoscenza esplorativa, perché con l'intervista strutturata abbiamo una ricerca mirata di elementi.
Basandosi sulla disamina delle risposte ricevute sino a quel momento sono state individuate le criticità del racconto, le incongruenze, le parti solo accennate e non chiarite ed è stato redatto un vero e proprio questionario con una sequenza di domande specifiche e precise, che tenderanno a recuperare la notizia, stimolando il ricordo anche se non ancora in una forma decisa e cogente.
L'intervistatore riprenderà quindi l'attività, somministrando in sequenza le domande predisposte, limitandosi a seguire la linea decisa in fase di
preparazione senza fuoriuscirne.
E' la prima forma di intervista investigativa che utilizza un questionario, preferibilmente si adotterà la forma verbale per somministrarlo, ma si potrebbe anche prediligere la forma scritta se si ritiene più opportuna per l'intervistato o se si vuole dare maggiore tempo al fine di compilarlo lasciandogli la possibilità di soppesarlo e di rispondere senza avvertire la pressione dovuta alla figura dell’interrogante che attende una risposta.
Anche nel caso di somministrazione in forma scritta non si dovrà lasciare sola la persona intervistata e si dovrà continuare a registrare eventuali dichiarazioni che dovesse esprimere.
Finita l’attività l'intervistatore dovrebbe avere uno “story-board” ormai completo e particolareggiato, ordinato secondo la sequenza temporale, riportante tutti i riferimenti, compresi anche i nominativi delle persone informate o testimoni della vicenda.
Come già dianzi accennato, la vittima di comportamenti violenti o che ha subito una azione di Stalking si trova in una situazione psicologica alterata e in alcuni casi è preda di uno stato confusionario, a questo si affiancano anche numerosi altri stati d’animo contrastanti, per cui nell’ambito del racconto potrebbe non solo evidenziare delle rimozioni di fatti o particolari, ma potrebbe avere delle remore a riportarne altri.
L’intervistatore a questo punto della attività di raccolta dei dati ha ormai un quadro pressoché completo e particolareggiato, dovrà quindi ripercorrere tutto il materiale raccolto e ordinato cercando dove appaiono delle falle, dei “bug” nel racconto, oppure dove leggendo le dichiarazioni e risentendo il registrato gli appare chiaro che vi sia qualcosa che non sia stato detto, qualcosa che sia stato
omesso, ovvero, che alcuni punti ancorché già toccati non siano stati chiariti in maniera esaustiva.
L’intervistatore dovrà allora ricorrere all'intervista strutturata, questa può essere somministrata in forma verbale ovvero sotto forma di un questionario nel qual caso la cataloghiamo anche come “standardizzata”, la differenza dalle precedenti è la necessità di ottenere in questo caso delle risposte chiare e complete.
Le domande sono in questo caso sempre più precise, somministrando anche più domande sullo stesso argomento affrontandolo punto per punto affinché con una diversa formulazione spingano l’intervistato a fare chiarezza completa, superando le ritrosie o i blocchi mentali che precedentemente si erano frapposti.
Anche nel caso di intervista strutturata standardizzata somministrata tramite questionario l'intervistatore non dovrà lasciare sola la persona sottoposta ad intervista, anche se si asterrà da qualsiasi forma di commento sulle domande o di chiarimento sulle stesse.
Nel caso di somministrazione verbale si limiterà a leggere le domande predisposte, senza aggiungere alcuna cosa o commentarla. In ambedue i casi si provvederà alla registrazione, almeno verbale, del colloquio.
B. Intervista cognitiva
Una forma diversa di procedere per la raccolta delle informazioni è adottare il metodo dell'intervista cognitiva, questa fu messa a punto agli inizi degli anni '80 da Ed Geiselman (University of California) e Ron Fisher (Florida International University), per aiutare la polizia giudiziaria ad ottenere dai testimoni dei resoconti più attendibili e completi,
Per Intervista Cognitiva si intende un’intervista faccia a faccia, individuale, spesso condotta in laboratorio, solitamente audio-registrata, che ha lo scopo di individuare, nel modo più preciso possibile: – –
il modo di comprensione-assimilazione di una domanda; quali processi cognitivi ed affettivi vengono in fieri nel formulare la risposta.
Essa consiste in una strategia di recupero guidato e tiene conto delle scoperte sul funzionamento della memoria.
In particolare, essa si basa su due presupposti:
–la traccia di memoria è costituita da molti elementi e più sono gli elementi che concorrono al –esistono diversi percorsi per raggiungere una certa informazione codificata, se essa è inacces
L'idea di fondo è, quindi, che l'oblio non è causato dalla perdita dell'informazione ma piuttosto nella maggior parte dei casi dalla sua non accessibilità. Per cui bisogna adottare una differente tecnica che transitando attraverso diversificate vie raggiunga il risultato del recupero del ricordo che era stato sommerso o rimosso.
Gli scopi perseguiti dall'Intervista Cognitiva sono: –non danneggiare il ricordo dell'evento, che è già di per sé parziale e incompleto; –aiutare il testimone, per recuperare il maggior numero di informazioni.
Geiselman e Fisher hanno indicato le strategie cognitive per il recupero delle informazioni:
–1^ strategia: ricreare il vissuto ricostruendo o o il contesto e lo stato psicologico dell –2^ strategia: spingere il teste a non selezionare le informazioni, a riportare tutto ciò che riesc –3^ strategia: invitare il testimone a riportare i suoi ricordi non più in un ordine sequenziale d –4^ strategia: raccontare l'evento da prospettive e punti di vista diversi, ovvero si incoraggiano
Geiselman e Fisher hanno posto l'accento su due aspetti da tenere presenti nell'intervista cognitiva, l'aspetto mnestico (il recupero dei ricordi, che avviene attraverso le sunnominate quattro strategie) e l'interazione tra intervistato e intervistatore, concetto che abbiamo già indicato nella intervista investigativa, ovvero la ricerca dall'empatia tra i due, come abbiamo già indicato il testimone si trova già in condizioni di stress per la vicenda di cui è testimone o di cui è stato vittima, l'intervista è un altro fattore di stress non indifferente, quindi, lo stabilire un rapporto armonico, in un ambiente idoneo, induce ad una minore percezione dello stress e a un rilassamento che è fondamentale per la rievocazione dei fatti.
Quando la persona si sentirà accolta, sarà più disponibile a parlare.⁵
E' necessario agire con cautela, ma sempre tenendo alto il livello di concentrazione, evitando distrazioni o cali di interesse, reagendo a segnali di noia o di stanchezza.
Il teste dovrà essere rassicurato sul fatto che l'intervista non comporta una valutazione delle sue prestazioni e permettergli di interrompere se la rievocazione divenisse dolorosa o inquietante (Cavedon, Calzolari, 2001).
Successivamente alle quattro strategie sopra elencate si è aggiunta quella delle “immagini mentali”, con la quale il testimone viene invitato a focalizzare la sua attenzione su una immagine ben precisa (un volto, un particolare) e a ricrearla nella sua mente.
Di questa immagine verranno esaminati tutti i particolari, al fine di fissare il ricordo e successivamente si espanderà l'analisi sino a comprendere l'intera scena.
Raramente nella pratica trovano pratico utilizzo tutte le strategie sopra richiamate; in genere gli esaminatori adattano l'intervista alle proprie esigenze, alla natura dell'evento criminoso e utilizzano una strategia cognitiva piuttosto che un'altra anche in base alle caratteristiche del testimone che hanno di fronte, alle sue capacità e alla sua disponibilità.
Da ultimo Geiselman e Fisher hanno indicato che l'Intervista Cognitiva si articola in sei fasi:
1^ Fase: costruzione del rapporto Chi intervista deve dimostrare buone abilità comunicative, saper instaurare un rapporto di f 2^ Fase: racconto libero Il testimone viene invitato a descrivere tutto ciò che ricorda, anche particolari che possono 3^ Fase: domande Momento impegnativo e critico dell'intervista, vengono poste alcune domande aperte, altre 4^ Fase: secondo racconto A questo punto si chiede di effettuare un secondo racconto con modalità diverse, utilizzand 5^ Fase: riassunto Si rivede insieme al testimone quanto è stato raccolto nell'ambito dell'intervista. 6^ Fase: chiusura Numerose ricerche hanno confermato l'importanza che il commiato tra l'intervistato e l'inte
La memoria dei testimoni è quindi a volte trattiene molte più informazioni di quello che ci si aspetta o di quello che mostra ad una iniziale indagine.
Le persone ricordano più di quello che dicono; il tipo di domande utilizzate ed il modo di porle sono un fattore critico nella testimonianza e tanto un interrogatorio fatto male può distorcere il ricordo, tanto un interrogatorio ben gestito può aiutare il ricordo ad emergere.
² Direttiva 2012/29/UE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI
³ Tulving, E. (1974). Cue-dependent forgetting. American Scientist, 62, 74-82.
⁴ Tulving, E., & Thompson, D. M. (1973). Encoding specificity and retrieval processes in episodic memory. Psychological Review, 80, 352-373
⁵ CAVEDON A., CALZOLARI M.G. Come si esamina un testimone: l'intervista cognitiva e l'intervista strutturata - Giuffrè, 2001
5. CONCLUSIONI
La raccolta delle notizie rappresenta un atto fondamentale poiché permette di accertare lo svolgimento dei fatti.
La difficoltà maggiore al momento del reperimento delle notizie, per cui a volte si determina anche il fallimento, è dovuta alla presenza di volontà e stati psicologici diversi tra colui che svolge l’interrogatorio e colui che lo subisce.
Molte persone trovandosi di fronte un soggetto che loro presumono autoritario, in particolare se il loro stato d'animo è turbato e sottoposto a stress, assumono inconsapevolmente una posizione reattiva e tendenzialmente ostile che può ostacolare moltissimo l'attività da svolgere.
L’operatore deve allenarsi ed essere pronto a percepire, lo stato emotivo della persona per poter vagliare e scegliere il modus migliore per condurre l'intervista, anche sfruttando tale condizione reattiva.
Deve tener presente che l'attività va condotta con la massima calma, senza aver fretta.
Chi interroga deve essere sempre controllato, non perdere mai la pazienza anche se è convinto di trovarsi di fronte ad una persona che sta tergiversando la realtà.
Prendere nota di tutte le dichiarazioni che gli vengono prospettate è
fondamentale, così come la registrazione delle stesse su o magnetico, in quanto necessario per rinforzare la memoria dell'intervistatore e alfine di poter effettuare le valutazioni e la preparazione delle varie fasi dell'intervista stessa ed infine per la redazione finale del riassunto.
Ulteriore e indifferibile necessità è che l’intervistatore sia predisposto per raggiungere il massimo grado di empatia possibile con l'intervistato, che è poi la base per fondare un rapporto che induca l'intervistato ad allentare la tensione, a rilassarsi e a dare fiducia a chi si trova di fronte.
L'intervistatore deve stare attento a rimanere nei limiti, offrendo simpatia e comprensione, ma stando bene attento a non lasciarsi andare ad alcun comportamento men che corretto e a non cedere al tentativo di aiutare, perché si potrebbe arrivare a guidare il ricordo e a modificare in senso significativo l'intera vicenda.
Una persona sottoposta ad intervista, in risposta a domande sia pur minimamente suggestive, potrebbe avere l'impressione che l'intervistatore stia cercando alcuni particolari e per condiscendenza o per ingraziarselo arriverebbe a inventare o modificare il racconto aggiungendo i particolari che ritiene siano ricercati dall’altra parte..
Quindi correttezza e chiarezza nell'interagire.
Valutando tra le due forme di intervista di certo si ritiene di sostenere che la più adatta nei casi di violenza contro la persona, specie in casi di Stalking, violenza domestica, o altri casi in cui la condotta criminosa si è protratta per un periodo di tempo apprezzabile, tale da modificare gli schemi basilari del comportamento della vittima, sia l'Intervista Investigativa.
Tale tipo di attività permette di agire con gradualità, partendo sempre da quella non strutturata, che consente all'intervistato di non subire alcuna sollecitazione, lasciando libero di scegliere il modo e la direzione da intraprendere senza dover sottostare a schemi predefiniti e cogenti.
Sarà poi la decisione dell'intervistatore di adottare uno tipi di intervista investigativa successivi o di seguire l'ordine logico con cui sono stati precedentemente illustrati.
L'intervista cognitiva, pur avendo indubbie positività, è preferibile effettuarla in ambiente specifico: un laboratorio attrezzato.
E' evidente come la sua utilità si mostri nell'intervista di persona che abbia subito un reato diretto, per quanto violento possa essere, oppure nella raccolta di notizie da testimoni di fatti violenti in quanto permette di agire ed operare con sollecitudine, anche se con le consuete regole di accortezza al fine di non modificare il racconto.
L'intervista cognitiva di certo è preferita nella raccolta di informazioni effettuata dalla Magistratura, che predilige un sistema più schematico, anche nella considerazione che il teste o la vittima che il Magistrato sottopone ad una intervista ha già affrontato normalmente una indagine preliminare da parte della Polizia Giudiziaria, quindi sostanzialmente è meno sensibile sul piano psicologico.
Ultima considerazione è che nella trattazione non si è tenuto conto se la persona da sottoporre ad intervista fosse di sesso femminile o maschile, preferendo sottolineare tutte le emozioni che potrebbero affliggere una persona sottoposta a
violenza.
Nella accezione normale la violenza viene sicuramente vista come una piaga che opprime il “gentil sesso” ma alcune indagini statistiche dimostrano invece che anche un cospicuo numero di maschi è vittima di azioni di Stalking o di vere e proprie violenze di tipo familiare, anche se le stesse indagini hanno messo in luce che i maschi che subiscono violenze sono meno propensi alla denuncia e vi arrivano solo quando hanno tentato ogni altra via è sembrata loro possibile e non hanno ottenuto alcun risultato.
Fondamentalmente per quanto attiene la conduzione di una intervista non vi sono differenza tra il trovarsi di fronte ad una donna o un uomo, perché in fondo le emozioni e gli stress provati saranno simili, forse la sola particolarità individuabile è che l'uomo tenderà a dissimularli o a irriderli, dando loro una minima importanza.
6.. BIBLIOGRAFIA
SICURELLA S. Lo studio della vittimologia per capire il ruolo del LORIGA S. Le reazioni psicologiche della vittima - http://cepi AMORE A. Stalking. Forma/e di abuso sulle donne abituate a CAVEDON A. L’intervista cognitiva in età evolutiva. Milano: Gi CAVEDON A., CALZOLARI M.G. Come si esamina un testimone. L’intervista cognit CURCI P., GALEAZZI G.M. e SECCHI C. La sindrome delle molestie assillanti. Torino: Boll MUSATTI C.L. Elementi di psicologia della testimonianza, edizio CANNAVICCI M. Tecniche per interrogare ed assumere le informazi PEZZUTO G. Un punto di vista della Polizia Giudiziaria tratto d ZANASI F. M. L’odioso reato di stalking, Giufffrè Editore 2012 PANICO D. L'esame del testimone e della vittima di un reato CAVEDON A., CALZOLARI M.G. Come si esamina un testimone: l'intervista cogniti