EUGENIO MUSARO'
DELINQUERE IONALE
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Questo romanzo è stato scritto da Eugenio Musarò ed è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed accadimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Eventuali somiglianze a fatti accaduti, organizzazioni, località, persone vive o defunte, sono puramente casuali.
Titolo | Delinquere ionale Autore | Eugenio Musarò ISBN | 9788891140494 Prima edizione digitale: 2014
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CAPITOLO I
ATTENTATO ALLA BANCA
In un caldo pomeriggio d’estate, sui viali deserti del centro, l’asfalto luccicava, una leggera brezza sembrava alleggerisse un po’ l’aria afosa ed irrespirabile, mentre, l’orologio di un campanile batteva le ore 15:00. Firenze dormiva, era immersa in un silenzio tombale, smorzato a tratti dal cinguettio degli uccelli. Nella penombra di una panchina, due adolescenti si scambiavano effusioni a pochi metri dalla guardia giurata che piantonava la banca Selenia in via Scimiotti. All’improvviso, un forte boato scosse la piazza ed un’immensa nuvola di polvere e detriti si levò nell’aria: l’edificio bancario fu ridotto in macerie. L’esplosione coinvolse anche i due ragazzi e la guardia giurata. I loro corpi caddero al suolo, privi di vita, sbalzati a pochi metri di distanza. Da una strada secondaria giunsero cinque uomini armati, incappucciati e protetti da una tuta di amianto. Un sesto uomo arrivò con un carro e lo dispose con il retro di fronte alla parete squarciata dell’edificio da cui s’intravedevano due casseforti. La sponda posteriore del veicolo si aprì ed un ponte di metallo si allungò sopra i resti anneriti delle strutture frantumate. I complici, con un po’ di fatica, trascinarono su quel ponte i due forzieri blindati fino all’interno del carro, con l’ausilio di una solida fune collegata ad un montacarichi. Al termine, fuggirono tutti. A tempo da record, in soli cinque minuti, i malviventi trafugarono il denaro, radendo al suolo l’intero edificio bancario. Tra urla di sgomento, panico e sangue, in breve, la piazza si affollò ed accorsero sul posto tutte le forze dell’ordine, alcune ambulanze e persino il carro funebre. Per domare le fiamme, fu necessario l’intervento dei vigili del fuoco. L’esplosione provocò un cratere all’interno della banca ed il crollo quasi totale della parte anteriore e posteriore dell’edificio. I palazzi attigui subirono danni minori. Identificare le vittime carbonizzate non fu facile ed il lavoro durò alcune ore. Si salvò solo il dott. Filippo Arnesi, direttore della banca, che in quel momento era al bar a prendere un caffè ed a rifocillarsi un po’, ma nessuno lo sapeva. Circa venti minuti dopo l’esplosione, costui giunse sul posto e, nel vedere la banca ridotta in quelle condizioni, un’espressione inorridita gli si dipinse sul volto. Ripresosi un po’ dall’emozione, con un leggero tremito della voce, esclamò:
«Mio Dio. Che tragedia!»
In seguito telefonò alla moglie, per informarla dell’accaduto e subito dopo, colto da un malore, si accasciò per terra. Soccorso dai sanitari, fu trasportato in ospedale per accertamenti e, dopo un’ora, fu dimesso. Accompagnato da due poliziotti che vegliavano su di lui, fu condotto al cospetto del commissario Pierluigi D’Ambrosio per un primo interrogatorio:
«Direttore… era sua consuetudine fare una pausa sempre a quell’ora?»
«Certo!»
«Per quanto tempo si è assentato dal posto di lavoro?»
«Credo per una mezz’ora, circa!»
«Un po’ troppo per un caffè, non le pare?» ribatté provocante D’Ambrosio.
«Non ho preso solo il caffè, ho mangiato prima un panino. Io abito ad 80 chilometri di distanza, faccio il pendolare e torno a casa la sera, quindi, ho anche bisogno di ristorarmi un po’» puntualizzò.
«Durante la pausa, le ha fatto compagnia qualcuno o è rimasto da solo?»
«Mi sono imbattuto per puro caso, in un cliente abituale della banca ed abbiamo
chiacchierato un po’.»
«È possibile conoscere il nome di questo cliente?» insistette.
«Commissario, mi scusi, ma non posso mica ricordare i nomi di tutti i clienti!»
«Non tutti, ma qualcuno sì. Ce lo può descrivere fisicamente?»
«Certo! È un tipo elegante, bene abbigliato, brizzolato, di media altezza, un po’ magro e sulla cinquantina.»
«Direttore, la sua auto in questo momento dov’è?»
«L’ho parcheggiata nei dintorni della banca come sempre, ma di sicuro non è stata interessata dall’esplosione. Si tratta di una Bmw ultimo modello» puntualizzò con garbo.
«Sono tre, le auto coinvolte ed erano parcheggiate tutte adiacenti al retro della banca. Tra queste, non risulta nessuna Bmw» ribatté D’Ambrosio.
I due si guardarono negli occhi in attesa che l’altro riprendesse il discorso, ma qualcuno bussò alla porta:
«Mi scusi commissario è arrivato il procuratore Stefano Orzini!» annunciò un agente.
«Lo faccia accomodare!»
L’uomo entrò. Dopo i convenevoli, diede uno sguardo al verbale redatto dal commissario fino a quel momento e con voce austera esclamò:
«Direttore, da questo momento lei è in stato di fermo. Per ora potrà usufruire degli arresti domiciliari, finché questa faccenda non sarà chiarita.»
Il banchiere scuro in volto rispose trepidante:
«Procuratore, non capisco! Con quali accuse mi state arrestando e con quali prove?»
«Abbiamo il motivo di credere che lei sia coinvolto nell’attentato alla banca.»
«È inaudito! Non è possibile. Sono vittima di un grottesco equivoco!» balbettò.
«Lei, poco fa, ha dichiarato di essersi assentato dal posto di lavoro per circa mezz’ora. Peccato però, che un testimone l’abbia vista uscire dalla banca prima delle ore 14:00, mentre l’esplosione è avvenuta alle ore 15:10» ribatté.
Il direttore sentendosi mancare il terreno sotto i piedi, chinò il capo e impaurito rispose:
«Procuratore, forse mi sono espresso male o il commissario ha frainteso. La mia assenza è durata per poco più di un’ora!»
«Non è possibile dare credito alla sua deposizione. Lei, ha dichiarato che era sua consuetudine prendere il caffè intorno alle ore 15:00» puntualizzò severo.
«Non lo nego! In linea di massima era quello l’orario, ma questa volta ho fatto un’eccezione.»
«Allora mi dica a che ora ha bevuto quel famoso caffè!» insistette il dott. Orzini.
L’uomo sembrava in difficoltà, era agitato e dopo aver riflettuto un po’, soggiunse:
«Non posso ricordarmelo con precisione, ma credo intorno alle 14:30.»
«Ecco vede? Siamo alle solite! Come faccio a crederle? Lo scontrino fiscale rilasciato dal barista, attesta che il caffè è stato pagato alle ore 14:02.»
«Quale scontrino? Quel pezzo di carta non porta mica scritto il mio nome? E chi glielo dice che io non abbia pagato il caffè alle 14:02 per poi berlo alle 14:30?»
Il direttore, nonostante la paura, si difendeva bene dalle accuse, ma il procuratore, dall’atteggiamento un po’ seccato, tacque per alcuni istanti, accese una sigaretta e poi replicò:
«Mentre lei era in ospedale, la polizia ha perlustrato e interrogato tutti i bar della zona, finché il proprietario del bar “La lupa”, sito a più di 100 metri dalla banca e cliente della stessa, ha dichiarato quanto le è stato prima riferito.»
«State cercando di affibbiarmi una colpa che non ho, basandovi solo su questi pochi elementi. Non risponderò più alle vostre domande, voglio consultarmi con il mio avvocato!»
«Certo, è un suo diritto! Ciò non toglie che, per i pochi elementi di cui disponiamo, lei è al momento il principale indagato» soggiunse freddamente.
«Sono mortificato per questa sciagura e le giuro che sono completamente estraneo ai fatti. Le sue congetture non reggono!»
«Questo è ancora da vedere. Direttore dov’è la sua auto in questo momento?»
«Glielo ho già detto! Si trova nelle vicinanze della banca, ma non ricordo il nome della strada.»
Il banchiere, visibilmente preoccupato e scuro in volto, biascicava parole che, alle orecchie degli inquirenti, suonavano strane. Fu sottoposto ad una forte
pressione psicologica ed ebbe paura di sbagliare le risposte. Il procuratore ò alla domanda successiva:
«Lei lavorava in questa succursale della banca da circa due anni e ha parcheggiato la sua auto sempre sulla medesima strada. Come mai oggi non è andata così?»
«Non è vero! Non trovando posti liberi, a volte, ero costretto a parcheggiare altrove. Non ho mai usufruito di uno spazio riservato.»
«Ci risulta che lei utilizzi un abbonamento mensile per la sosta a tariffa oraria, che paga direttamente alla società appaltatrice di questo servizio!»
«Sì è vero! Trattandosi di parcheggi a pagamento disciplinati dai parcometri, ho voluto usufruire di quest’agevolazione.»
«Quindi, conferma, che il più delle volte, lei lasciava l’auto nelle strisce blu a pagamento?»
«Sì, ma usufruire di un abbonamento non vuol dire avere un postoriservato. Ribadisco che, a volte, trovando i posti occupati, ero costretto a parcheggiare altrove» precisò.
«Qual era il suo orario di lavoro?»
Il direttore un po’ esausto, sospirò per prendere fiato, si ò la mano destra sulla fronte e rispose:
«Giungevo sul posto alle ore 9:00 e mi congedavo intorno alle ore 18:00.»
«Va bene! Per il momento consegni al commissario le chiavi della sua auto!» concluse.
Così, seccato e umiliato, eseguì l’ordine senza battere ciglio. Subito dopo, D’Ambrosio alzò la cornetta del telefono e impartì un ordine:
«Voglio gli agenti Barone e Rizzo qui!»
Trascorsi pochi minuti si ritrovarono tutti nello stesso ufficio e il commissario diede una seconda disposizione:
«L’auto del direttore si trova in via Roberto Zigoti. Si tratta di una Bmw targata BM771AJ. Queste sono le chiavi, andate a prenderla!»
I due agenti si allontanarono dall’ufficio per eseguire l’ordine e trascorsi venti minuti, il telefono dell’ufficio squillò:
«Commissario, abbiamo trovato l’auto. Non è parcheggiata in via Roberto Zigoti, ma in un punto ben più lontano» riferì l’agente Barone.
«Come volevasi dimostrare! Portatela qui, la macchina è sotto sequestro e deve essere perquisita.»
Il banchiere, inalberato e umiliato imprecò:
«Ora basta! Ho già espresso il mio diritto di essere assistito da un avvocato e prima di prendere qualsiasi decisione, dovete aspettare il suo arrivo.»
«Chiami pure il suo legale. Le ricordo che lei è in stato di fermo e al più presto, sarà accompagnato a casa da una volante.» puntualizzò il procuratore.
Finalmente il banchiere, che all’inizio aveva sottovalutato l’interrogatorio, telefonò all’avvocato Carlo Rossetti, suo amico e cliente dell’istituto di credito.
Il direttore si rifiutò categoricamente di rispondere a qualsiasi altra domanda fino all’arrivo del suo legale. Costui giunse sul posto nell’arco di mezz’ora e, dopo aver analizzato il quadro generale della situazione, esclamò:
«Scusatemi, avrei bisogno di conferire con il mio cliente in privato.»
La richiesta del legale fu esaudita. Un agente li accompagnò nell’ufficio attiguo, dove colloquiarono per circa quindici minuti.
«Non vedo prove concrete, si tratta solo di banali sospetti nati in circostanze particolari, come alcuni contrattempi e coincidenze di poco conto» puntualizzò l’avvocato cercando di tranquillizzare il suo cliente.
«Ti ringrazio, mi hai tolto un peso dal cuore. È stato un duro colpo per me. Sono morti tutti quanti!» mormorò il direttore con la testa tra le mani.
«Ti capisco! Sono appena tornato da Milano e ho appreso la notizia dalla radio pochi minuti prima che tu mi chiamassi. Infatti, stavo per telefonarti.»
«Sarei potuto morire anch’io...! Sono un miracolato, un sopravvissuto, non so neanche come definirmi!» si lagnò.
«Sì ma ora non pensarci più! Dovrai affrontare qualche cavillo legale di scarsa entità ma credo che si risolverà tutto nel migliore dei modi.» soggiunse dandogli una pacca sulle spalle.
«Hai ragione, non vedo l’ora di tornarmene a casa e di riposare un po’. Sono esausto!»
«Per il momento dobbiamo attenerci alle disposizioni del procuratore. Resterai agli arresti domiciliari fino a quando non saranno chiariti gli equivoci.»
«Tu, però, datti da fare» concluse amareggiato il direttore.
Terminato il colloquio, i due tornarono nell’ufficio del commissario, il quale impartì nuovi ordini:
«Gli agenti Barone e Rizzo accompagnino il direttore a casa!»
Il procuratore, intanto, adempiendo a tutte le pratiche burocratiche, ordinò una sorveglianza speciale vicino alla casa del banchiere. L’auto di costui fu perquisita, ma con esito negativo e, al termine, D’Ambrosio incaricò un altro agente di portarla dal legittimo proprietario e di tornarsene poi con i suoi colleghi, Barone e Rizzo.
CAPITOLO II
Il BRACCIALE MISTERIOSO
Nel frattempo, la notizia dell’attentato alla banca riempì le prime pagine di tutti i giornali nazionali e locali. Giornalisti e televisioni giunsero sul posto mentre si preparavano i funerali delle vittime, nella basilica di Santa Maria Novella. A causa di un colpo di scena, durante le ricerche dei corpi, le indagini presero una nuova direzione: da un cumulo di macerie affiorò una mano. Immediatamente il corpo fu recuperato ed identificato: si trattava della dott.ssa Elsa Chiarello, che era impiegata proprio alla Selenia. La donna era in coma, ma ancora viva. Fu trasportata urgentemente in ospedale e ricoverata nel reparto Rianimazione. La prognosi era riservata ma, essendo un donna ancora giovane, i medici lasciavano trapelare un vago ottimismo sulla sua ripresa. Durante l’estrazione del corpo era presente anche il fidanzato Lucio Ferri, di professione geometra e cliente della banca. Costui, amico del direttore, cercò più volte di rintracciarlo al cellulare ma senza riuscirci. Assicuratosi che la sua fidanzata fosse sotto osservazione in ospedale, sul calar della sera, salì a bordo della sua Opel Zafira e si recò a casa del banchiere. Giunto sul posto notò una volante dei carabinieri appostata di fronte all’abitazione e intuì che l’amico era agli arresti domiciliari. Suonò il citofono, appena entrato venne fatto accomodare in salotto. Il direttore non aveva figli e viveva insieme alla moglie Anna. Per qualche istante si guardarono tutti negli occhi senza esternare una sola parola, poi il banchiere ruppe il silenzio:
«Non so che dire! Non ho parole!» balbettò con aria malinconica.
«Lascia stare, non cercarle nemmeno!» rispose la moglie. «Pensa piuttosto che saresti potuto morire. Ora scusatemi, vado a fare una doccia.»
I due si accomodarono sul divano.
«È stata una tragedia Lucio. Maledetto denaro! Il mondo gira tutto intorno ai soldi!» soggiunse incupito il direttore.
L’amico chinò lo sguardo per alcuni istanti e poi rispose:
«Purtroppo è un’amara realtà. La mia fidanzata è in gravi condizioni e non si sa come andrà a finire.»
«Sono mortificato. È una brava ragazza, intelligente, volenterosa e preparata.»
«Avevamo progettato il nostro futuro ed ora…!» replicò commosso.
«Vi auguro che i vostri sogni si realizzino! Non perdere la speranza.»
«Hai saputo qualcosa riguardo agli altri dipendenti della banca?»
Il banchiere si azzittì per alcuni istanti, la domanda lo aveva colpito particolarmente e la voce gli mancò. Dopo un profondo respiro, si strofinò la faccia con le mani e con gli occhi umidi rispose:
«No. Uscito dall’ospedale, sono stato subito condotto al Commissariato da due poliziotti. Lì sono stato sottoposto ad un duro interrogatorio. Pertanto, non sono informato.»
«Da quel che ne so, il resoconto è drammatico. I vigili del fuoco hanno recuperato dalle macerie otto persone, cinque uomini e tre donne, tra cui la mia Elsa, grazie al cielo ancora viva.»
Il banchiere, vittima di tante alienazioni indotte dagli ultimi drammatici eventi, domandò:
«Chi può essere stato ad aver compiuto un’azione del genere?»
«Non ne ho la più pallida idea. Che rapporti avevi con i clienti?»
«Sei fuori strada. Non credo si sia trattato di un regolamento di conti. Non abbiamo mai truffato nessuno ed i rapporti con i clienti erano ottimi.»
«Non lo metto in dubbio ma, dopo quanto è accaduto, è facile ipotizzare una cosa del genere.»
«Tra i clienti della banca, nessuno ha mai lasciato trapelare l’intenzione anche remota di un gesto così crudele.»
«Organizzare un simile attentato è roba da professionisti del crimine.»
«Su questo non c’è alcun dubbio» commentò strofinandosi le guance.
«Per tua fortuna hai anticipato l’orario della pausa: una strana coincidenza che ha suscitato i sospetti della polizia e del procuratore.»
Il direttore scosse il capo, tacque per alcuni istanti, aveva un atteggiamento concentrato e riflessivo ma poi, lasciando trapelare una punta di speranza replicò:
«Hai detto bene, è solo una coincidenza. La polizia non ha prove e l’avvocato sostiene che molto presto il giudice sarà impossibilitato a procedere.»
«Te lo auguro, perché la giustizia, spesso, è molto strana.»
A questo punto il banchiere, dando una pacca sulla spalla destra dell’amico, sussultò:
«Oh scusami, sono un gran maleducato. Posso offrirti un caffè, un cognac, un amaro o qualcos’altro?»
«Lascia stare, non preoccuparti. Hai avuto una giornataccia.»
«È vero! Dopo una giornata come questa, però, serve qualcosa di forte per alleviare il dolore e lo stress. Va bene un cognac invecchiato?» insistette.
«Ok, hai ragione! È proprio quello che ci vuole!»
Il direttore si alzò, versò una buona dose di cognac in due bicchieri, servì l’amico e si accomodò di nuovo sul divano. Mentre sorseggiava il liquore, Lucio gli fece un’osservazione poco gradita:
«C’è qualcosa che non mi convince in questa storia!»
«Che cosa?»
«La tua auto, dove l’avevi parcheggiata?»
«Sono arrivato un po’ in ritardo a causa del traffico e, in via Zigoti, non ho trovato posti liberi. Pertanto, sono stato costretto a parcheggiare altrove» motivò.
«Non trovare posto è un conto, ma lasciare la macchina addirittura così lontano dalla banca è alquanto strano» ribatté.
«Che cosa vuoi insinuare?»
«Nulla! La mia è una semplice osservazione che lascia il tempo che trova.»
«Un’osservazione del cavolo! Il cognac ti ha dato alla testa? Anche tu stai
dubitando di me?» replicò infuriato.
«Calmati, non volevo insinuare assolutamente nulla! La mia era solo una critica.»
«Ed allora smettila con queste idiozie. Non vedo la rilevanza di questo fatto.»
«Tranquillo! Non ho mai dubitato di te, anzi, perdonami se mi sono espresso male!»
Gli sguardi dei due s’incrociarono, dopodiché, calmatosi un po’, il direttore concluse:
«Non importa! Ora scusami ma ho bisogno di riposare. Sono esausto e ho i nervi a pezzi.»
«Ne hai tutte le ragioni. Anche per me è stata una giornata da dimenticare. In caso di bisogno chiamami.»
«Grazie per la tua amicizia e tienimi informato sulle condizioni di Elsa.»
Lucio salutò l’amico e si avviò sulla strada del ritorno. I suoi dubbi, però, persistevano. Si chiedeva ancora perché l’amico banchiere avesse parcheggiato l’auto così distante dall’istituto finanziario e non si spiegava il motivo di tanta apprensione, soprattutto per le condizioni di salute di Elsa. La donna era una
dipendente della banca, aveva rapporti di lavoro con lui, ciò nonostante, a Lucio appariva tutto molto strano.
Il giorno dopo, la prima brezza del mattino trovò il direttore affacciato ad una finestra aperta, a contemplare l’alba, mentre la sua sigaretta si consumava lentamente lasciando voluttuosi cerchi di fumo. All’improvviso giunse la moglie in vestaglia:
«Caro, come ti senti?»
«Stanotte non ho dormito e, forse, a questa ne seguiranno altre» rispose senza voltarsi.
«Stai tranquillo, vedrai che tutto sarà chiarito!»
«Spero tu abbia ragione, ma io sono preoccupato lo stesso.»
La moglie si avvicinò affettuosamente e gli accarezzò il viso:
«Vieni! Andiamo a fare colazione!» soggiunse tirandolo per un braccio.
I due si sedettero a tavola: latte macchiato e cornetto alla crema per lui; una spremuta d’arancia con fette biscottate e marmellata all’albicocca per lei. Al termine, lui si sdraiò sul divano ed accese la televisione, mentre continuavano ad arrivare telefonate da parenti ed amici, che gli manifestavano solidarietà e
conforto. Intanto, i funerali delle vittime, furono programmati per la domenica successiva.
A parte ciò, le ricerche tra i cumuli delle macerie proseguivano, con la speranza che venisse fuori qualche nuovo indizio ed infatti non tardò ad arrivare. Due giorni dopo, un operatore della protezione civile reperì dalle macerie un bracciale d’oro, che portava inciso un nome ed un cognome: Andrea Bartolo. L’oggetto fu consegnato al commissario D’Ambrosio che avviò le procedure per l’identificazione del proprietario. Fu appurato che quel bracciale non apparteneva a nessuna delle vittime, pertanto, si pensò che l’avesse perduto uno dei criminali artefici dell’attentato, prima o dopo l’esplosione dell’ordigno. La polizia intensificò le ricerche. All’Ufficio anagrafe del Comune risultò che ben cinque uomini portavano lo stesso nome e cognome inciso sul bracciale. Furono tutti convocati per un interrogatorio alla presenza del procuratore. Ovviamente, ognuno di loro fu assistito dal proprio avvocato ma l’esito finale lasciò alquanto insoddisfatti gli uomini di legge. Gli indagati sembravano tutti in buona fede. Fu chiesto ad ognuno di loro, dove si trovasse al momento dell’attentato e le loro dichiarazioni furono messe a verbale. In seguito ne fu confermata la credibilità. Difatti, i cinque indagati, nell’ora dell’attentato, si trovavano sul posto di lavoro. Archiviata l’indagine, il mistero del bracciale restò, comunque, insoluto. In seguito, si ipotizzò che quell’oggetto era stato smarrito da uno degli addetti alle macerie o da altri intervenuti sul posto: i vigili del fuoco, i carabinieri, i poliziotti, i medici e gli infermieri. Furono identificati tutti ma nessuno di loro portava il nome inciso sul bracciale. A quel punto il commissario telefonò al procuratore:
«Le nostre inchieste conducono tutte ad un binario morto» si lagnò il poliziotto. «Tutti gli operatori, che sono intervenuti sul posto, sono stati identificati, ma nessuno di loro si chiama Andrea Bartolo.»
«Beh… procedendo per esclusione, probabilmente quel bracciale apparteneva a qualcuno dei malviventi fautori dell’attentato!»
«Può essere, ma io sarei curioso di sapere che cosa ne pensa il nostro banchiere di quel bracciale» soggiunse perfido.
«Mah… non credo che ne ricaveremo molto!»
«Procuratore, tentare non nuoce. Che cosa abbiamo da perdere?»
«Ok commissario, se proprio insiste... vediamo che effetto farà la vista di quel bracciale al nostro banchiere!» concluse.
Terminato il colloquio, D’Ambrosio accese una sigaretta e qualcuno bussò alla porta del suo ufficio:
«Mi scusi, c’è un signore che desidera parlare con lei» disse un agente.
«Lo faccia entrare!»
Era Lucio Ferri. Dopo i convenevoli, il commissario si mise a sua disposizione:
«Posso esserle utile?»
«Io sono il fidanzato di Elsa Chiarello, l’unica sopravvissuta all’attentato, almeno per ora!» esordì.
D’Ambrosio, incuriosito, lo fissò per alcuni istanti e poi rispose:
«Infatti, mi sembrava di averla già vista da qualche parte. Ho una buona memoria visiva!»
Lucio aveva il respiro ansimante e gli occhi lucidi. La sua ragazza era in bilico tra la vita e la morte ma non aveva ancora perso la speranza.
«Su coraggio!» esclamò il commissario. «Lei è stata più fortunata degli altri. Ci sono novità riguardo le sue condizioni di salute?»
«Purtroppo no!» rispose abbassando lo sguardo.
«Bisogna continuare a sperare.»
«Infatti, è l’unica cosa che possiamo fare. Io, però, sono venuto qua per un altro motivo» precisò.
«Mi dica, non abbia paura!»
Lucio, incupito, era assorto nei suoi pensieri, sembrava avesse paura di parlare ma, poco dopo:
«Volevo informarla che sono andato a trovare il direttore» balbettò.
«Siete amici?»
«Sì e di vecchia data!»
«Non capisco, però, dove vuole arrivare!»
«Posso chiederle per quale motivo è agli arresti domiciliari?»
Il commissario sembrava infastidito dalla domanda, accavallò le gambe e oscillando una penna tra l’indice e il medio rispose:
«Il procuratore, in via cautelare, ha disposto i domiciliari in attesa di chiarimenti. Non ci sono prove concrete per ora! Il comportamento del direttore ha suscitato molti sospetti!»
«Infatti, è questo il motivo per cui sono venuto qui. Anch’io ho qualche perplessità nei suoi confronti.»
D’Ambrosio appoggiò i gomiti sulla scrivania e dopo un profondo respiro si avvicinò di più a Lucio:
«Si spieghi meglio!» borbottò sospettoso.
«Gli ho rivolto alcune domande ovvie e si è inalberato rimproverandomi. Forse ha solo paura…»
«Che tipo di domande gli ha fatto?»
«Riguardavano l’orario della sua pausa che non coincide con quello dei giorni precedenti ed il punto in cui ha parcheggiato l’auto.»
«Difatti, sono proprio quelli i punti oscuri della faccenda ed è nostro dovere indagare» replicò.
«A quanto sembra, avete preso di mira solo il direttore. Non state seguendo nessun’altra pista?» domandò strabuzzando gli occhi.
D’Ambrosio, un po’ infastidito da quest’osservazione, scosse il capo e poi rispose:
«Lei ne conosce altre?»
«Mi scusi, non era mia intenzione mancarle di rispetto. Lei ha ragione. Per i pochi elementi che avete in mano, al momento pare, che l’unica pista da seguire,
sia quella!»
Il commissario studiava il comportamento di Lucio e, ben presto, decise di giocarsi un’altra carta. Aprì il cassetto della scrivania, prese in mano la busta contenente il bracciale e, facendola dondolare tra le dita, domandò:
«Lei ha mai visto quest’oggetto?»
Lucio, attonito, lo guardò per alcuni istanti e con piglio sicuro rispose:
«Credo proprio di no. Che cosa vuol significare quel bracciale?»
«È stato reperito dalle macerie durante le ricerche e porta inciso un nome ed un cognome.» ribatté guardando l’oggetto.
«Posso osservarlo più da vicino?» domandò incuriosito.
D’Ambrosio allungò il braccio destro per porgerlo e Lucio lo agganciò tra il pollice e l’indice. Dopo averlo osservato attentamente, replicò:
«Andrea Bartolo! E chi sarebbe quest’uomo?»
«È quello che vogliamo scoprire. Lei ha mai notato quest’oggetto nelle mani del
direttore? Cerchi di rammentare!»
«Al momento non ricordo ma non ne capisco la rilevanza!»
«Al contrario, invece, è molto importante! Lo capisce che questo bracciale potrebbe appartenere a qualcuno di quei criminali?» ipotizzò.
«Potrebbe anche appartenere a qualche cliente che si trovava all’interno della banca durante l’attentato!»
«Questo lo escludo! I clienti sono stati tutti identificati e nessuno di loro porta il nome inciso sul bracciale» specificò.
«Non sono d’accordo! Può essere che il braccialetto non appartenga all’ipotetico cliente ma a qualcun altro, magari ad un parente o ad un amico.»
«Anche questo è vero! E non bisogna neanche escludere l’ipotesi che costui l’abbia trovato da qualche parte e se ne sia impossessato!»
Il commissario accese una sigaretta e con piglio assorto si azzittì. Era preso da qualcosa o da qualcuno. Finse di manipolare il telefonino, per poi sbottare in un’esternazione:
«Senta, le posso chiedere un favore contando sulla sua discrezione?»
«Certo, mi dica pure!»
«Tra un paio di giorni, vada a casa del suo amico banchiere, con una scusa o semplicemente per una visita di cortesia. Se le dovesse dire qualcosa di strano, me lo faccia sapere.»
Lucio, dallo sguardo stupito, tacque per alcuni istanti ma poi acconsentì:
«D’accordo, lo farò! Adesso mi scusi, ma devo proprio andare!»
«Grazie per la sua collaborazione!»
«Non si preoccupi! Farò tutto quello che è nelle mie possibilità ed in caso di novità, le farò sapere» concluse.
Lucio se ne andò. Rimasto solo, il commissario si avvicinò alla finestra aperta, accese un’altra sigaretta e cominciò a rimuginare vaghi pensieri. Un agente bussò alla porta:
«Commissario, le ho portato il rapporto della scientifica!»
«Quello delle impronte digitali sul bracciale?»
«Sì!»
«Perfetto! Lo lasci pure sulla scrivania, tra un po’ gli darò un’occhiata.»
«A proposito, il nome “Andrea Bartolo” non compare neanche nell’elenco dei clienti della banca!»
«La ringrazio agente! Vada pure.»
Il poliziotto uscì e D’Ambrosio lesse attentamente la documentazione. Fra le varie impronte digitali, presenti sul bracciale, due non vennero identificate. Contento della notizia, telefonò subito al procuratore per aggiornarlo:
«Dottore, il rapporto della scientifica riguardante il bracciale è arrivato!»
«Bene, che cosa è emerso?»
«Ci sono due tipi di tracce non ancora accertate» puntualizzò speranzoso.
«Beh… è già qualcosa, ma dubito che quell’oggetto possa dare una svolta significativa alle indagini!»
«Di certo con il suo pessimismo, procuratore, non arriveremo da nessuna parte, non le pare?»
«Io sono realista caro commissario! Adesso cos’ha intenzione di fare? Vuole controllare tutte le impronte digitali della città o magari dell’intera regione?» ribatté infastidito.
«Mi scusi, non volevo mancarle di rispetto! A pensarci bene credo che lei abbia ragione.»
«Mi fa piacere che l’abbia capito. Inoltre, nella remota ipotesi, che riuscissimo a trovare le due persone cui appartengono le tracce non identificate sul bracciale, non sarebbe di certo una prova sufficiente per accusarle dell’attentato!»
«È vero ma in tal caso, potrebbero emergere altri dettagli utili per le indagini» insistette.
«Le ricordo che tra tutti i clienti della banca, identificati, nessuno porta il nome di Andrea Bartolo!»
«Questo è relativo, non credo che ciò significhi molto!»
«Inoltre, lei sa benissimo che non è stato possibile rilevare le impronte digitali alle vittime dell’attentato, date le condizioni in cui versavano i corpi.»
D’Ambrosio tacque per alcuni istanti, si strofinò il mento con la mano destra e, con deferenza, rispose:
«Lo so e c’è la possibilità che quel bracciale l’abbia perduto qualche altro cliente andato in banca durante la mattinata e magari non era neanche di sua proprietà!»
«Si ricordi che sono un procuratore dello stato in cerca di prove e non un poliziotto che torchia un sospettato!»
«Lei riesce sempre ad avere l’ultima parola con me! Va bene, ora la saluto, devo proprio andare. La terrò informata in caso di novità!»
«Ci conto commissario! Buon lavoro!»
La telefonata tra i due uomini terminò. Il giorno dopo, su richiesta del procuratore, il banchiere fu accompagnato da due agenti al Commissariato di polizia, per il rilevamento delle impronte digitali. D’Ambrosio ne approfittò per sottoporlo a qualche domanda:
«È un’amara ingiustizia quella che sto subendo! Quando tutto sarà chiarito, pretenderò il risarcimento dei danni morali» si lagnò il direttore.
«Mi dispiace, ma queste sono le disposizioni del procuratore. Se poi il fatto non dovesse sussistere, in seguito, sarà libero di chiedere un indennizzo.»
Dopo il rilevamento delle impronte, il commissario aprì il cassetto della sua scrivania e prese in mano la bustina contenente il famoso bracciale:
«Direttore, lei ha mai visto quest’oggetto?» domandò fissandolo strenuamente negli occhi.
L’uomo lo osservò attentamente e pochi istanti dopo, con piglio sicuro, rispose:
«No, mi dispiace commissario! Io sono innocente, la sua è una chimerica convinzione!»
«Ha letto il nome che porta inciso? Quel nome le dice nulla?» insistette.
«No, non l’ho mai sentito!»
Il direttore sembrava in buona fede, l’espressione del suo viso non lasciò trapelare nulla, cosicché il commissario, un po’ deluso, impartì un nuovo ordine agli agenti Barone e Rizzo:
«Riportate a casa il direttore e continuate con i piantoni!»
CAPITOLO III
LE INCHIESTE DEL COMMISSARIO
Intanto procedevano i preparativi per il funerale delle vittime ed arrivò il triste giorno. La piazza era gremita di gente, un lungo applauso accompagnò i feretri fino alla basilica di Santa Maria Novella. La commozione era tanta, le televisioni nazionali e locali immortalavano il rito funebre. La polizia, i carabinieri e la protezione civile erano impegnati a mantenere l’ordine. La Santa Messa fu presieduta dal cardinale Alfonso Giannotta che durante l’omelia, ammonì severamente i fautori dell’attentato invocando la giustizia di Dio e, allo stesso tempo, cercò di confortare i parenti delle vittime, invitandoli a trovare rifugio in Dio. La basilica era adornata di fiori, l’organo suonava una musica triste ed i familiari delle vittime erano affranti dal dolore. Dopo la funzione religiosa, una lunga fila di persone si apprestò ad esprimere il cordoglio ai parenti delle vittime. Un altro scrosciante applauso accolse le salme all’uscita della basilica. Il giallo dell’attentato, nei giorni a venire, riempì ancora le pagine di molti giornali ed anche le televisioni ne parlarono a lungo. Le indagini, intanto, proseguivano ed il commissario torchiava ogni minimo sospetto. Il giorno dopo Lucio si recò a casa del direttore per una visita di cortesia, come promesso a D’Ambrosio. Come sempre, fu accolto con molto entusiasmo:
«Ci sono novità?» chiese il direttore dall’aspetto preoccupato.
«Riguardo che cosa?»
«Lo sai di chi parlo!»
Lucio, con uno scatto fulmineo, si voltò verso la finestra e pochi istanti dopo, amareggiato rispose:
«Purtroppo no. Elsa è ancora in stato vegetativo!»
«Non perdere la speranza e non pensare sempre al peggio. Ho visto in tv alcune scene del funerale. Credimi, è stato terribile per me.»
«A chi lo dici? Io ero lì! La commozione era veramente tanta!»
Il direttore, adagiato sul divano, batteva ritmicamente il piede per terra, mentre i rintocchi di un orologio a pendolo scandivano il tempo. Come un felino, balzò in piedi e cominciò a eggiare avanti ed indietro lungo la stanza. I suoi pensieri ossessivi non gli davano tregua. Era molto agitato, non riusciva più a raccapezzarsi. Lucio lo guardò pietoso e poi, con tono pragmatico, esclamò:
«Calmati! Con l’agitazione non si risolve nulla.»
«Maledetti! Hanno gettato il discredito su di me! Mi domando perché la mia posizione desti tanto interesse ai fini delle indagini!»
«Sono sicuro che tutto si risolverà nel migliore dei modi. La petizione cautelare firmata dal procuratore sarà revocata molto presto.»
Il banchiere, scorgendo una vaga luminosità dalla feritoia aperta, si avvicinò. La sua vista si fermò su alcuni bimbi allegri e spensierati che giocavano nel parco. Affascinato dalla loro vitalità, con voce greve sussurrò:
«Da anni, vivo in questa casa con mia moglie Anna. Il fato, però, non ha voluto donarci un figlio.»
«Un bambino si può sempre adottare!»
«Non è la stessa cosa!»
Lucio, con un colpo d’occhio, notò alcuni giornali sparsi sul tavolo e cercò di fuorviare il discorso con un commento sarcastico:
«Sono pronto a scommettere che li hai letti tutti!» disse, indicandone la direzione con l’indice destro.
Il direttore si voltò e capì al volo l’allusione dell’amico:
«Se il tuo nome fosse su tutti i giornali, come il mio, non li leggeresti anche tu? Fosse solo per appurare le sciocchezze che scrivono i giornalisti!» borbottò.
«I giornalisti, se così vogliamo chiamarli, esagerano sempre.»
«Non solo, e poi hanno anche l’arroganza e la presunzione di chiamare il loro lavoro “informazione”.»
«Dammi retta, presto si dovranno ricredere tutti, giornali compresi!»
A quel punto l’amico Lucio, per sdrammatizzare il cupo contenuto della conversazione, esordì con una seconda esternazione ironica:
«A proposito, non mi hai ancora offerto nulla! Che ne diresti di un bel caffè? Gli ospiti bisogna trattarli bene, ancor di più se sono amici.»
«Stavo giusto per chiedertelo! Provvedo subito.»
«Dov’è Anna? Vorrei salutarla» soggiunse.
«È andata a fare shopping!»
Bevuto il caffè, la conversazione tra i due amici proseguì per altri cinque minuti, dopodiché, Lucio se ne andò. Due giorni dopo, sulla scrivania del commissario, arrivò una cartella contenente alcuni documenti. D’Ambrosio la aprì e, dopo averne letto il contenuto, sogghignò: le impronte digitali del banchiere erano diverse da quelle presenti sul bracciale. Voleva incastrare il direttore, ma non riusciva a trovare prove concrete contro di lui. Intanto Lucio, convocato dal commissario, giunse nel suo ufficio:
«Mi scusi se l’ho disturbata, ma sono impaziente di sapere se ha mantenuto la promessa fattami!» esclamò D’Ambrosio invitandolo a sedersi con un gesto della mano.
«Certo, ma con scarsi risultati, purtroppo. Si lamenta sempre, è stremato da questa situazione ma non ha lasciato trapelare nulla.»
«Ecco, questo è il rapporto della scientifica riguardo alle sue impronte digitali. Purtroppo, sono diverse da quelle presenti sul bracciale.»
«Un altro colpo mancato!» ribatté ironico.
«Non importa! Siamo in attesa di interrogare una persona chiave, che ci fornirà sicuramente altri indizi su cui poter lavorare» replicò speranzoso il commissario.
«E chi sarebbe questa persona, se mi è consentito saperlo?»
«Non lo immagina?»
«Sinceramente no!»
«Alludo alla sua fidanzata Elsa Chiarello che, purtroppo, per il momento non è ancora in grado di parlare.»
Lucio scosse il capo, accennò un sorrisetto malizioso e poi replicò:
«Non ne caverete nulla! È solo una dipendente bancaria.»
«Appunto! Potrebbe aver sentito o notato qualcosa di bizzarro. Non possiamo esimerci dall’interrogarla.»
«Mi auguro, allora, che arrivi presto quel giorno. Purtroppo, la sua situazione è ancora stazionaria.»
«Dobbiamo continuare a sperare! Probabilmente, quel bracciale non ci condurrà da nessuna parte, pertanto, bisogna trovare una pista più efficace.»
«E se quel gioiello l’avesse perduto davvero uno dei malviventi fautori dell’attentato?» incalzò Lucio.
«Tutto è possibile, ma la giustizia ha bisogno di prove. Quindi, la sua teoria è ancora difficile da dimostrare.»
Lucio ammutolì per alcuni istanti, sembrava che le parole del commissario l’avessero colpito, ma poi riprese il discorso:
«È vero! È difficile trovare i reali colpevoli! Potrebbero essere in chissà quale angolo del mondo in questo momento.»
«I punti interrogativi sono tanti e quel bracciale è un enigma difficile da risolvere.»
Il commissario incrociò le mani, appoggiò i gomiti sulla scrivania e, muovendo leggermente i pollici, fissò Lucio negli occhi: poi continuò.
«Se la Chiarello dovesse riprendersi, ci serviranno anche le sue impronte digitali. Non me ne voglia, ma questa è la prassi» chiarì.
«Si figuri, ma sappia che andrà incontro ad un’altra delusione!»
«Non importa, ci sono abituato!»
Poco dopo, il colloquio tra i due terminò. Lucio si congedò ed il commissario accese un’altra sigaretta. Vaghi pensieri affollavano la sua mente afflitta da tante domande senza risposte. Le perizie, effettuate sul luogo dell’attentato, non sembravano aver prodotto i risultati sperati. L’avvocato del banchiere, intanto, chiese al tribunale la revoca degli arresti domiciliari, sostenendo l’assurdità delle accuse rivolte al suo cliente, in totale assenza di prove. Il giudice accolse l’istanza di scarcerazione ma impose al banchiere il divieto di lasciare la città. Inoltre, i suoi recapiti telefonici dovevano restare ancora sotto controllo a sua insaputa. Il commissario, in disaccordo con la sentenza del giudice, decise di agire a modo suo: ordinò ad alcuni suoi agenti di pedinare a turno il banchiere, sempre in incognito. Con cadenza giornaliera, i poliziotti informavano D’Ambrosio di ogni novità. Un sospetto nacque quando, a distanza di pochi giorni, il direttore fu visto entrare in un residence di sei villette, delimitato da un recinto murato, dove ritornò anche il giorno seguente, sul far del mattino. Gli agenti che lo pedinavano non riuscivano a capirne il motivo. Il commissario volle identificare tutti gli abitanti di quel complesso residenziale. Dai controlli effettuati, emerse che nessuno aveva precedenti penali o qualcosa in sospeso con la giustizia. Eppure, trascorsi cinque giorni, il banchiere visitò ancora il complesso residenziale. Stavolta, uno degli agenti lo seguì anche all’interno della struttura per vedere in quale delle sei abitazioni si recasse, scoprendo che
andava a trovare un commercialista, un certo Gianni Cortina. D’Ambrosio approfondì le indagini sul professionista in questione ma, ancora una volta, fece un buco nell’acqua. I sospetti maggiori scattarono quando il banchiere, per ben due volte, fu sorpreso ad usare un telefono pubblico. Le domande del commissario furono: “Perché usare un telefono pubblico e non il cellulare?”, “E chi era l’interlocutore?”. Ovviamente, l’uomo, sospettando che il suo apparecchio telefonico fosse controllato dalla polizia, ne scelse un altro. Ma che cosa aveva da nascondere? Queste erano le domande che assillavano D’Ambrosio. Non riusciva a trovare nulla contro quell’uomo. Il giorno seguente, il commissario si sfogò, nel suo ufficio, con uno dei suoi agenti incaricati di pedinare il banchiere:
«Sono sempre più convinto che quell’uomo ci nasconda qualcosa!» esclamò, lasciando trapelare il tarlo del sospetto nei riguardi del direttore.
«Può darsi ma ne dubito! La sua condotta è alquanto strana eppure non credo che sia complice nell’attentato» mormorò il poliziotto dubbioso.
«Dobbiamo pazientare, alla fine commetterà qualche errore.»
«Commissario, le sue sono congetture campate in aria, mi dia retta. Sento che il banchiere è solo un povero Cristo!»
D’Ambrosio si alzò in piedi, era agitato, accese una sigaretta e dubbioso replicò:
«Io, invece, penso che sia vero il contrario. Avremo in mano le prove, è solo una questione di tempo. Voi badate solo che non lasci la città. Il resto verrà da sé!» rispose con ottimismo.
«Non lo farà! Un gesto del genere da parte sua, equivarrebbe ad un’ammissione di colpa!»
Il commissario chinò il capo preso da un improvviso, quanto vago pensiero, tacque per alcuni istanti e poi concluse:
«Ok, ora devo andare! Continuate con i piantoni di guardia ed in caso di novità, informatemi. Conto su di voi!»
Il colloquio tra i due poliziotti terminò.
CAPITOLO IV
IL RISVEGLIO DI ELSA
Due giorni dopo, un clamoroso colpo di scena sembrò gettare le basi per eventuali nuovi sviluppi delle indagini: Elsa Chiarello, sopravvissuta all’attentato, si svegliò dal coma. Saputa la notizia, il fidanzato Lucio si recò all’ospedale. Lì trovò i genitori di lei, la madre Giovanna e il padre Filippo, intenti a parlare con un medico. Al termine si avvicinò:
«Allora? Come sta?» domandò eccitato.
«Le notizie sono buone. Pensano che sia ormai fuori pericolo. Sia lodato il Signore, il peggio è ato» rispose la madre con un sospiro di sollievo.
Lucio, commosso, si avvicinò alla donna e la abbracciò.
Il padre intanto prese la parola:
«È fatta, oggi è un grande giorno! Ci vorrà del tempo affinché si riprenda discretamente, ma non importa.»
«Che ne direste di festeggiare questa sera? Vi porto io in un bel posticino, dove si mangia da Dio» soggiunse felice la madre.
Fu così che, quella sera, cenarono nel ristorante “Dei portici”. Tra battute ironiche, sorrisi e dell’ottimo vino, il divertimento non mancò. Lucio, però, non fu di compagnia quella sera. Solitario, si appartava spesso in un angolo della stanza e non ò inosservato agli occhi dei presenti, al punto che, la signora Giovanna gli domandò:
«Lucio, c’è qualcosa che non va? Non ti senti bene?»
«No, è tutto a posto. Ho solo un leggero mal di testa. Un caffè forte e bollente è quello che mi serve» borbottò.
La verità invece era un’altra. Negli ultimi mesi, prima del tragico evento, la storia tra Lucio ed Elsa non procedeva a gonfie vele. Lei si stava innamorando di un altro uomo e Lucio sperava che ciò non accadesse. Con il are del tempo anche lui si accorse che i suoi sentimenti non erano più quelli di una volta. I loro genitori ignoravano tutto ciò e Lucio, da parte sua, non rivelò nulla, ma volle attendere il momento in cui Elsa sarebbe stata in grado di parlare. Questo momento non tardò ad arrivare. Lo stato di salute della donna continuò a migliorare notevolmente e, a distanza di due settimane, incominciò a pronunciare qualche parola. Fu dimessa dal reparto di Rianimazione e trasferita in quello di Medicina. Incominciò a fare dei cicli di fisioterapia, per recuperare la mobilità del braccio destro e della gamba sinistra, gli arti più colpiti. Durante questo tempo, Lucio andò a trovarla spesso in ospedale e lei ne fu contenta. Per un po’ sembrò che la vecchia crisi si stesse risolvendo, ma non fu così. I due decisero di lasciarsi in maniera consensuale e giunsero ad un accordo: dovevano fingere di stare ancora insieme, almeno per qualche tempo. Pochi giorni dopo, il commissario giunse all’ospedale nella mattinata con un suo collaboratore, e chiese al medico di turno di poter interpellare la donna, poiché ormai versava in condizioni discrete.
«La interroghi pure ma non esageri. È ancora debole e si stanca facilmente» si raccomandò il medico.
«Grazie dottore! Sarà una semplice e breve chiacchierata.»
«Bene, vado ad avvisarla.»
Il medico ritornò dopo alcuni minuti:
«Prego commissario, si accomodi pure!» esclamò indicandogli la stanza con un dito.
I due entrarono e si sedettero.
«Dott.ssa Chiarello, la prego di scusarci, sono il commissario D’Ambrosio e lui è l’agente Marino, un mio collaboratore» esordì educatamente.
«Non preoccupatevi, anzi, scusatemi se non mi alzo dal letto! La fisioterapia mi sta riducendo a pezzi e sono molto stanca» balbettò.
La donna supina guardò il soffitto, appoggiò l’avambraccio destro sulla fronte e poi soggiunse:
«Non potevo certo evitare un colloquio con la polizia! Del resto anche voi dovete fare il vostro lavoro.»
«Dottoressa, so che non le farà piacere rammentare quei drammatici momenti ma qualche domanda devo fargliela.»
«Questo è ovvio ma non ricordo un granché.»
«Che cosa rammenta di quel giorno?»
«Lei conosce i fatti più di me. Ero sepolta viva sotto le macerie e mi hanno recuperata in stato di coma!» rispose concitata.
Elsa manifestò subito una certa intolleranza all’interrogatorio. Fissò il lampadario per alcuni istanti e poi replicò:
«Ero nel mio ufficio con un cliente e all’improvviso udimmo un frastuono assordante. Sentii il suolo vibrare e vidi le pareti sfaldarsi in pochi istanti, poi, non ricordo più nulla!»
«Ricorda il nome di quel cliente?»
«Al momento no, mi dispiace!»
D’Ambrosio sfilò un foglio da una cartelletta e lo diede alla donna:
«Legga questi nomi! È uno di questi?» insistette.
Lei scorse velocemente il contenuto di quel foglio e poi, riservandosi qualche dubbio, replicò:
«Non vorrei sbagliarmi, ma, forse, si tratta del sig. Fausto Smeraldo!»
«Infatti, lui è una delle vittime» confermò il commissario.
Di colpo lei si rabbuiò nel viso e poco dopo, rammaricata soggiunse:
«Sarei potuta morire anch’io! Sì, me lo ricordo questo signore. Era alto, magro, con i capelli corti. Voleva dei consigli su alcuni investimenti ed io lo stavo aiutando.»
«Il corpo di quell’uomo è stato quello più facilmente riconoscibile» puntualizzò.
La donna si strofinò gli occhi, sembrava che stesse per piangere ma riuscì a trattenere le lacrime:
«Il mio ufficio è crollato con un po’ di ritardo rispetto al resto della struttura. Se in quel momento mi fossi trovata nella stanza del direttore o agli sportelli addetti al pubblico, forse non mi sarei salvata» specificò.
«Il direttore è venuto a trovarla?»
«Sì, e mi ha raccontato anche dei suoi problemi con la giustizia. Perché ce l’avete tanto con lui?»
«I sospetti devono essere ancora chiariti!»
«D’accordo, ma non si può accusare una persona, senza una prova!» insistette.
«Nessuno gli sta rovinando la vita ma la legge ha il dovere di indagare. E poi, non è più ai domiciliari, ha solo l’obbligo di non lasciare la città.»
«Spero per lui che si risolva al più presto questa intricata situazione. Che cosa avete scoperto riguardo all’attentato?»
La domanda acuta spiazzò il commissario. La voce gli mancò per alcuni istanti, sembrava provasse vergogna a rispondere ma dopo un paio di sospiri, chiarì:
«Le varie perizie effettuate, purtroppo, non hanno dato esiti confortanti.»
In realtà, un nuovo sospetto si accese nella sua mente. Gli sembrò che la donna fosse a conoscenza di qualcosa, ma evitò di calcare troppo la mano e proseguì:
«Credo che l’ordigno esplosivo sia stato collocato quando la banca era chiusa al pubblico.»
«E come fate a dirlo? Questo è ciò che pensate voi!» borbottò la donna, stanca ma interessata al discorso.
«Si tratta di un lavoro che non si può improvvisare, anzi, richiede tempo e conoscenza del luogo.»
Il ragionamento del commissario filava ed Elsa, arrendendosi, replicò:
«Forse ha ragione lei! Se sono entrati è perché qualcuno li ha fatti entrare. A questo punto, è facile pensare che qualche dipendente della banca fosse complice.»
«Magari qualcuna delle vittime che, con un duplicato delle chiavi, in orari di chiusura al pubblico, ha permesso l’irruzione dei malviventi con la promessa di una parte del bottino» ipotizzò.
«Può essere ma, se le cose stanno così, vuol dire che il complice è stato tradito dai soci, altrimenti non sarebbe morto.»
«Non è detto! Qualcosa forse non è andata per il verso giusto.»
«Mi arrendo! Non so che dire!»
A questo punto, il commissario afferrò dalla tasca la busta contenente il bracciale e la diede in mano alla donna:
«Lei ha mai visto quest’oggetto?» domandò sospettoso.
Lei lo guardò attentamente e poi replicò:
«No, mi dispiace! Dove l’avete trovato?»
«L’abbiamo recuperato tra le macerie, durante i vari interventi effettuati» sogghignò.
«E voi sospettate che possa appartenere a qualcuno dei malviventi? Avete controllato il nome che porta inciso?»
«Certo! All’Anagrafe del Comune abbiamo identificato cinque persone che portano lo stesso nome e cognome, tutte incensurate. Le loro impronte digitali sono diverse da quelle trovate sul bracciale.»
«Non riuscirete mai a risolvere questo giallo, commissario!»
«Le assicuro che è solo questione di tempo, poi tutti i nodi verranno al pettine. Ora, la prego di scusarmi ma il mio collaboratore ha portato l’occorrente per rilevarle le impronte digitali. Non me ne voglia, la prassi è questa!»
La donna restò senza parole per alcuni istanti, strabuzzò gli occhi fissando i due poliziotti e poi mormorò:
«Addirittura! Non potete farlo in seguito, quando sarò dimessa dall’ospedale? Non vi pare di esagerare?»
«Non voglio crearle ulteriore disturbo. Il mio agente impiegherà solo pochi minuti e poi la lasceremo riposare» insistette lui.
Elsa rassegnata non si oppose e al termine borbottò:
«Prima avete puntato il dito contro il direttore, ora lo state puntando su di me? Scommetto che avete rilevato le impronte a tutte le vittime dell’attentato!»
«Questo non è stato possibile, perché i corpi erano quasi completamente carbonizzati. Dott.ssa Chiarello, perdoni il mio dissentire ma le indagini devono andare avanti» concluse lasciando trapelare un po’ di soddisfazione.
Il colloquio terminò. D’Ambrosio ringraziò la donna ed il medico per la disponibilità dimostratagli e tornò al Commissariato. Il mattino seguente, accompagnato da due agenti, fece un’ispezione sul luogo dell’attentato. Sperava ancora di trovare qualche nuovo indizio su cui poter lavorare. Il commissario
non sembrava il tipo da soprassedere, cercava sempre di andare oltre le apparenze. Nessuno riusciva a dissuaderlo dalla tentazione di approfondire ogni minimo sospetto. Era alto, aveva i capelli brizzolati e lisci con una frangetta che gli cascava sulla fronte, e occhi neri lucenti, dallo sguardo furbo ed intelligente. Scapolo per scelta, viveva ancora con gli anziani genitori. La sua ostinazione portò comunque a qualche risultato. Infatti, facendosi largo tra le macerie, trovò in corrispondenza dell’ufficio investimenti un cellulare mal ridotto, ma con la scheda ancora integra. Dopodiché tornò al Commissariato soddisfatto. Lungo il tragitto osservò scrupolosamente l’apparecchio:
«Farò esaminare la scheda di questo cellulare. Chissà che non contenga informazioni importanti!» mormorò fiducioso.
Nello stesso giorno, Lucio andò a trovare di nuovo Elsa in ospedale. Rimasero a discutere nella stanza per più di mezz’ora. La loro storia d’amore era ormai finita e decisero di restare amici. Lucio aveva scoperto un tradimento della donna poco prima dell’attentato ma, nonostante ciò, la perdonò. I genitori di Elsa, invece, erano convinti che il traditore fosse Lucio e lo invitarono a non farsi più vedere, né in ospedale, né a casa. Nonostante il divieto, Lucio nei giorni a venire, andò a trovare la sua ex fidanzata ugualmente, anche se in orari in cui i genitori della donna non erano presenti. Alcuni giorni dopo, giunse all’ospedale il commissario con l’intento di parlare ancora con Elsa. La donna, ormai, versava in condizioni di salute sufficientemente buone per poter sostenere incontri e dialoghi senza affaticarsi troppo. Arrivato lì, D’Ambrosio la trovò in compagnia di Lucio. I due erano intenti a discutere in maniera riservata:
«Buongiorno signori, spero di non disturbare! Mi trovavo da queste parti e ho pensato di are per un saluto» esordì il commissario.
«Prego, si accomodi!» rispose la donna fingendo di essere cortese.
«Come si sente la nostra ammalata?» domandò spiritoso ostentando un sorriso.
«I medici sostengono che resterò qui ancora per pochi giorni.»
A parte la gentilezza esternata dalla donna, il commissario notò una certa apprensione di Lucio che, scuro in volto, chinò il capo quasi infastidito dalla sua presenza.
«Forse sono stato invadente! Vi chiedo scusa! Tolgo subito il disturbo» borbottò D’Ambrosio.
«Non si preoccupi, stavo giusto per andare via. Si accomodi pure» ribatté Lucio, celando il suo disappunto.
«Ok, resterò un po’ a farle compagnia. Ho un appuntamento tra venti minuti, quindi, posso ancora trattenermi» concluse il commissario.
Lucio, con un convenevole sorriso, salutò e se ne andò. Il disagio di costui fu notato dal commissario che, subito dopo, chiese alla donna:
«Posso farle una domanda un po’ indiscreta?»
«Dipende! Lei intanto la faccia, potrò sempre avvalermi della facoltà di non rispondere!» rispose ironicamente.
«Ho avuto modo di colloquiare con il suo fidanzato altre volte, ma non l’avevo mai visto così teso ed impacciato! Mi chiedo se è stata la mia presenza a condizionarlo o se ci sono dei problemi tra di voi.»
«Commissario, se non le dispiace, questi sono affari personali» mormorò un po’ infastidita.
«Mi scusi, non volevo mancarle di rispetto.»
La donna sbatté le ciglia più volte, aveva un aspetto pensieroso. Si voltò verso il comodino e con l’indice sinistro indicò al commissario il bicchiere pieno d’acqua con dentro una cannuccia:
«Me lo i per cortesia, ho la gola secca!»
Bevette qualche sorso e poi soggiunse:
«Lucio ed io ci siamo lasciati. Il nostro rapporto aveva dei problemi già da qualche tempo» confessò senza manifestare il minimo dispiacere.
Il commissario non credette alle parole della donna. Infatti, quando bussò alla porta della stanza, entrò di soppiatto, sorprendendo i due ex fidanzati intenti a discutere di qualcosa che non aveva nulla a che fare con la loro storia. Udì anche qualche parola disconnessa del loro discorso, ma senza decifrarne l’argomento. Senza sbilanciarsi troppo, restò a chiacchierare con lei per altri cinque minuti e
poi se ne andò. Elsa, sdraiata sul letto, guardò il soffitto e sospirò come se si fosse liberata di un peso. Il giorno dopo giunse in ospedale il direttore, con l’intento di salutare la sua collega e scambiare due parole con lei. La trovò in compagnia di una sua amica che, proprio in quel momento, stava congedandosi:
«Direttore, è un piacere rivederla!» esordì Elsa.
«Il piacere è tutto mio. Sono contento per le sue migliorate condizioni di salute!»
«Sì, va molto meglio ora! Tra pochi giorni sarò dimessa. Ho fatto i da gigante nelle ultime settimane, grazie anche alla competenza di tutti i medici e i paramedici del reparto.»
«Senta, non sono venuto qua solo per salutarla, ma per rivolgerle qualche domanda in forma privata» disse un po’ imbarazzato.
«Si segga direttore e mi dica pure!»
Sedutosi accanto alla donna, il banchiere la fissò negli occhi senza parlare e pochi istanti dopo, soggiunse:
«Quello che è successo alla nostra banca è stata una vera tragedia. Noi siamo stati più fortunati degli altri e per questo non finirò mai di ringraziare il Signore…»
«La prego, non mi faccia ricordare quei momenti ed arrivi subito al punto!» replicò addolorata.
«Ok, mi scusi! Noi eravamo gli unici a possedere le chiavi per aprire il portone principale della banca» specificò.
«È vero e con questo? È stato lei ad affidarmi il compito di aprire la banca ogni mattina, mentre della chiusura pomeridiana si occupava lei.»
Il direttore afferrò il mazzo di chiavi dalla tasca e facendole oscillare tra le dita, borbottò:
«Eccole! Le mie sono ancora qui, posso sapere, dove sono le sue in questo momento?»
La donna dopo qualche attimo di riflessione rispose:
«Le avevo posate sulla scrivania del mio ufficio. Se nessuno le ha trovate, staranno ancora sepolte tra le macerie!»
«È molto strano che, sino ad ora, il commissario ed il procuratore non mi abbiano fatto domande attinenti alle chiavi!» esclamò andosi la mano tra i capelli.
«Neanche a me D’Ambrosio ha mai fatto domande del genere. Forse non ci ha
pensato, oppure l’ha considerato un fattore poco rilevante.»
«Non so che cosa pensare!»
«E delle sue chiavi che mi dice? Le ha sempre tenute sotto controllo? È possibile che, a sua insaputa, qualcuno se ne sia impossessato?»
«Lo escludo, le portavo sempre con me e al mio ritorno a casa le nascondevo in un luogo sicuro. Ed anche se fosse, nessuno avrebbe potuto irrompere nella banca.»
«Lo so! Dopo il portone principale, c’era la porta vetrata girevole ed automatica, provvista di vetri antiproiettili, che era programmata a funzionare solo negli orari di apertura al pubblico» precisò sbattendo le palpebre e muovendo nervosamente la gamba sinistra.
«Infatti! L’uscita di sicurezza, invece, si attivava solo dall’interno, mentre dall’esterno era impossibile entrare.»
«Inoltre, se qualcuno avesse aperto il portone principale, forzando poi la porta girevole, sarebbe scattato l’allarme.»
«Difatti, con tutti i sistemi di sicurezza attivati, era impossibile intrufolarsi clandestinamente nella banca.»
Il direttore, assorto nei suoi pensieri, abbassò il capo e si portò la mano destra sulla fronte. Poi, si alzò in piedi ed incominciò a camminare avanti ed indietro lungo la stanza. Era agitato, si fermò di fronte alla donna e replicò:
«Sono riusciti ad entrare nella banca senza aprire le due porte! Neanche il grande Harry Houdini ci sarebbe riuscito!»
«Di certo quei criminali, in qualche modo, sono riusciti ad entrare.»
«Sì e l’hanno fatto anche in orari in cui la banca era chiusa, altrimenti ce ne saremmo accorti. Probabilmente hanno agito di notte» ipotizzò.
I due si guardarono intensamente negli occhi, tacquero per alcuni istanti, finché la donna in tono concitato esclamò:
«Direttore, mi sbaglio o stiamo pensando entrambi la stessa cosa?»
«Credo proprio di sì e non riesco ad ipotizzare altro!» rispose rabbuiandosi.
«Lei sta pensando che qualche dipendente della banca era in combutta con quei criminali?»
«In verità questo pensiero mi è già ato per la mente altre volte! Forse qualcosa non è andata per il verso giusto, altrimenti non sarebbero morti.»
«Magari sono stati traditi per non dividere il bottino con più persone!» insistette.
«È un’ipotesi attendibile.»
«Possibile che siano caduti così in basso?»
«La sete di denaro gioca brutti scherzi!»
«Lei ha idea di chi può essere stato?»
«È difficile dirlo ed anche sospettarlo.»
«Forse i complici erano in due o tre!»
«Anche quest’ipotesi potrebbe essere fondata, ma personalmente ne dubito.»
Qualcuno bussò alla porta:
«Avanti!» rispose lei.
Era sua madre che, vedendola in compagnia del direttore, tolse il disturbo e li lasciò da soli. Una sottile brezza entrava dalla finestra semiaperta producendo un lieve fruscio. L’eco dei i proveniente dal corridoio attiguo spezzava il silenzio. I due erano ancora lì, sembrava che la precedente interruzione della donna, li avesse ammutoliti. Poco dopo fu lei a riaprire il discorso:
«Direttore, come mai prima ha sollevato quelle congetture sulle mie chiavi? Potrei fare altrettanto con lei!»
«Giusta osservazione. Comunque, non era mia intenzione accusarla di nulla. La conosco bene e mi riesce difficile vederla nei panni di un ladro o di un criminale» specificò.
«È sicuro che le sue chiavi non le abbia mai prese nessuno?» insistette ancora.
«Le portavo sempre addosso, non le ho mai posate da nessuna parte. Quando tornavo a casa, le nascondevo nel cassetto della mia scrivania e lo chiudevo a chiave.»
I due chiacchierarono per altri dieci minuti. Elsa gli parlò della storia chiusa con Lucio, dopodiché il direttore si congedò.
CAPITOLO V
OMICIDIO IN VIA CRISTINO
Pochi giorni dopo, Elsa fu dimessa dall’ospedale. Aveva ancora una gamba dolente, camminava a fatica, ma riusciva a cibarsi da sola e ad avere una certa autonomia. I medici sostenevano che aveva bisogno solo di fisioterapia per riattivare la muscolatura atrofizzata e le articolazioni. Il direttore, nel frattempo, sospeso dal servizio, in attesa di nuovi sviluppi giudiziari, attendeva con ansia il giorno della prima udienza in tribunale, per spiegare dinanzi al magistrato le sue ragioni. Da questo punto di vista, il suo avvocato si era impegnato molto, infatti, la prima udienza fu fissata per il venerdì della settimana successiva. Mancavano ancora cinque giorni. Il direttore si consultava spesso con il suo legale, il quale sosteneva che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. D’Ambrosio, intanto, continuava a far pedinare il direttore dai suoi agenti e Lucio sparì dalla circolazione per alcuni giorni. Costui decise di partire per Londra con un suo amico e godersi una vacanza, forse per dimenticare un po’ le ultime drammatiche vicende. Due giorni dopo, al crepuscolo, il banchiere, affacciatosi ad una finestra della sua abitazione, notò una macchina parcheggiata nelle vicinanze ed un ricordo fulmineo spuntò: l’aveva già vista in quei dintorni altre volte. Chiamò la moglie:
«Cara, vieni a vedere!»
«Sono in bagno, dammi qualche minuto!» rispose affrettandosi.
L’uomo continuò ad osservare. In quell’auto era seduto un giovane sui trentacinque anni, con la sigaretta tra le mani ed il finestrino semiaperto.
Giunse la moglie:
«Che cosa hai visto? C’è qualche problema?» esclamò preoccupata.
«Vieni a vedere ma non esporti troppo! Lo vedi quel tipo seduto in quella Bmw?»
«Maledetta miopia! Dammi il tempo di trovare gli occhiali» borbottò.
La donna ritornò dopo un minuto:
«È la vettura parcheggiata tra la piazzetta e via Liborio?» domandò lei incuriosita.
«A quanto pare il nostro commissario non vuole lasciarmi incustodito. Si è affezionato, ci tiene alla mia incolumità» soggiunse ironicamente.
«Bastardo! Non erano queste le disposizioni del procuratore. Quell’uomo non si fida neanche di sua madre.»
«Probabilmente sarà uno dei suoi agenti che mi sorveglia a distanza, ma faremo presto a scoprirlo.»
«Non farti venire strane idee!» disse afferrandolo per un braccio.
«Tu resta qui, continua ad osservarlo e non perderlo d’occhio. Lo metterò alla prova.»
Il banchiere uscì, accese una sigaretta ed incominciò a eggiare con aria spensierata. Si fermò a guardare la vetrina di un negozio e poi proseguì. Adottò l’atteggiamento di chi cammina per rilassarsi ed imboccò uno stretto vicolo parallelo alla strada in cui era parcheggiata la Bmw. A quel punto, la moglie del direttore notò il misterioso uomo scendere dall’auto e dirigersi nella stessa stradina imboccata dal marito.
“Aveva ragione lui” pensò la donna. “Il suo spirito di osservazione non lo tradisce mai.”
Il banchiere si fermò, guardò l’orologio, si voltò e vide l’uomo della Bmw. Con disinvoltura proseguì la eggiata, fece il giro dell’isolato e ritornò a casa dove, a distanza di pochi minuti, si ritrovò con la moglie:
«Avevi ragione!» gli disse Anna. «Quell’uomo ti ha seguito e non ti ha perso di vista un solo momento.»
«Me ne sono accorto! Eccolo là, sta rientrando di nuovo nella sua auto» fece notare.
«Questa mi è nuova! Non sapevo che i direttori di banca avessero pure la scorta!» soggiunse con ironia.
«Scherza pure, ma qui c’è qualcosa che non mi convince.»
«Di che si tratta?»
Il banchiere osservò ancora quell’auto ed il tipo che vi era seduto dentro.
«Che cosa c’è che non ti convince?» domandò lei curiosa.
«Quell’uomo non ha le sembianze di un poliziotto!» rispose con un profondo spirito di osservazione.
«Quali sembianze? Non ha la divisa perché agisce in incognito, tutto qui. Da dove lo deduci che non è un agente di polizia?»
«Smettila! Qualcosa mi dice che quell’uomo non è un agente di polizia» insistette.
«Forse è stata una coincidenza che ti abbia seguito e magari ora si trova lì appostato per altri motivi!»
Il direttore si strofinò gli occhi stanchi e riprese a guardare attraverso la finestra.
«È ancora lì!» osservò Anna.
«Certo! Forse si sta annoiando perché il tempo non gli a mai. Devo fare un altro tentativo.»
«Hai intenzione di uscire ancora?»
«Sì, ma stavolta farò un giro in macchina.»
«Verrò con te!»
«No! Tu devi tenere a bada il nostro uomo e vedere quello che fa. Non credo che sia un poliziotto. Ho notato il suo sguardo in quel vicolo ed era raggiante di odio.»
«Mi stai facendo preoccupare!»
«Tranquillizzati, farò solo un giretto per le strade del paese. Sarà una questione di pochi minuti.»
Il banchiere uscì, salì a bordo della sua auto e cominciò a peregrinare lungo le vie del centro. Prontamente, il misterioso uomo si mise a pedinarlo. Anna notò la placida mossa dell’uomo e, all’istante, decise di partecipare al gioco: prese la sua auto e si gettò all’inseguimento della Bmw. I tre avanzavano distanziati lungo le vie del centro. Il direttore non ci mise molto ad accorgersi della Bmw che lo
seguiva, ma non cercò di seminarla. Con disinvoltura proseguì per la sua strada e poco dopo si fermò in via Cristino nei pressi del bar “Zaccheo”. Con la scusa di un caffè, volle mettere ulteriormente alla prova il suo inseguitore. Scese dall’auto e, nell’attesa di attraversare la strada a causa del traffico, si udirono due spari e il banchiere cadde per terra in un lago di sangue. L’uomo con la Bmw, che si era accostato in divieto di sosta pochi metri prima, sporgendo la pistola fuori dal finestrino, gli sparò due colpi al petto e poi fuggì. L’eco degli spari impaurì la gente, che sull’istante sparì. La strada si sgombrò e nessun testimone si fece avanti. Da lì a poco, giunse la moglie, che sbigottita, si avvicinò e gli sollevò il capo. Mantenendo il controllo dei nervi, lo fissò strenuamente con il fiato sospeso. Nel frattempo, alcuni clienti del bar di fronte, avendo udito gli spari e notando la donna inginocchiata di fronte al corpo del marito riverso per terra, si avvicinarono esterrefatti e chiamarono un’ambulanza. La polizia fu avvisata dagli stessi sanitari. In breve lo spiazzo si affollò di curiosi ma, all’arrivo degli agenti, furono allontanati. Il direttore fu trasportato d’urgenza in ospedale e sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. In quel mentre, la donna ritornò a casa scortata dalla polizia. La notizia dell’attentato al banchiere si diffuse rapidamente e ben presto giunsero, presso la sua abitazione amici e parenti, per dare conforto e solidarietà ad Anna. Tutti rimasero sbalorditi nel notare la forza d’animo della moglie, che non versò neanche una lacrima. Aveva dei nervi d’acciaio e, nonostante avesse subito un brutto colpo, non sembrava poi tanto abbattuta. Ad un certo punto, espresse un desiderio:
«Penso che sia ora di andare in ospedale, mio marito è sotto i ferri e, se tutto andrà bene, voglio che al suo risveglio mi trovi accanto.»
«Come preferisci! Ti accompagno io» rispose la sorella Luciana.
Giunsero in ospedale ma l’intervento non era ancora terminato e si accomodarono in sala d’attesa. Il tempo trascorreva inesorabilmente, l’apprensione e la stanchezza si facevano sentire ed Anna era lì seduta, con la testa tra le mani, allorché un uomo in camice verde si fece avanti e in tono concitato mormorò:
«Abbiamo fatto il possibile! Mi dispiace! Le pallottole gli hanno bucato un polmone in maniera irreparabile, per non parlare della grave emorragia causata dalla rottura di un’arteria. Ha perso molto sangue durante il trasporto in ambulanza ed è giunto in condizioni drammatiche.»
Il medico si avvicinò ad Anna, le afferrò la mano sinistra intento a consolarla e poi soggiunse:
«Coraggio signora! Non meritava questa fine, ma la vita va avanti!»
La donna non rispose e chiese di essere condotta a casa. Fu di nuovo la sorella ad accompagnarla. Giunti lì, si adagiarono nel salotto e tra un andirivieni di poliziotti e carabinieri, disposero i preparativi per il funerale. Il commissario, informato della triste notizia, prese il cellulare e digitò il numero dell’agente che quella sera doveva essere di turno a controllare l’abitazione del direttore, ma lui non rispose. Costui aveva chiesto due ore di permesso per motivi familiari e D’Ambrosio gliele concesse. Il commissario, però, avrebbe dovuto sostituirlo con un altro agente ma qualcosa non andò per il verso giusto. La drammatica notizia, ben presto, giunse anche a Lucio, ad Elsa ed al procuratore. Il giallo diventava sempre più intricato. L’uccisione del banchiere ebbe un effetto devastante sulle indagini. Tutti si chiedevano il perché del suo omicidio ma la comune idea fu quella di credere che il direttore fosse coinvolto nell’attentato alla banca. Due giorni dopo, fu celebrato il rito funebre presso la parrocchia del suo paese. Una moltitudine di persone partecipò alle esequie per portare l’estremo saluto al banchiere, ormai noto a livello nazionale dopo le vicende annesse all’attentato. Giunsero sul posto televisioni di stato, giornalisti vari ed alcune autorità politiche. Dopo la celebrazione, Anna fu accompagnata a casa dal commissario D’Ambrosio e da alcuni parenti:
«È finito anche questo capitolo della mia vita!» balbettò la donna.
«Deve farsene una ragione, la vita continua!» rispose D’Ambrosio.
«Commissario, ora si dovrà guadagnare lo stipendio diversamente!»
«Che cosa intende dire?»
«Che non c’è più mio marito. Chi sarà il prossimo oggetto delle sue indagini?»
«Signora, lei non può giudicare il mio operato, tantomeno ora che il dolore per la morte di suo marito è ancora troppo forte» replicò difendendosi.
«E qui si sbaglia! Sono perfettamente lucida e so quello che dico. Mio marito era innocente e voi avete gettato il discredito su di lui» insistette con rabbia.
«La giustizia deve fare il suo corso. A volte un semplice sospetto o una coincidenza possono essere decisivi ai fini delle indagini.»
Qualcuno suonò il camlo di casa e la cognata del direttore andò ad aprire: era Lucio, tornato da Londra dopo la notizia dell’omicidio. Appena entrato, salutò i presenti ed andò ad abbracciare la moglie del defunto. La tetra atmosfera si appesantì ulteriormente con il suo arrivo. Il commissario era lì seduto in poltrona con i gomiti appoggiati sulle ginocchia ed il busto piegato in avanti. Anna gli era seduta di fronte e gli altri tutt’intorno. D’Ambrosio parlò ancora alla vedova:
«Signora, bisogna disporre una sorveglianza ventiquattro ore al giorno per proteggere la sua incolumità. Suo marito è stato freddamente assassinato da un criminale che non si trovava lì certamente per caso e potrebbe accadere la stessa cosa a lei.»
«Se lo ritiene necessario, provveda pure!»
«Allora me ne occuperò immediatamente. Almeno finché non verranno a galla i motivi per cui è stato assassinato suo marito.»
«Si è trattato di un madornale equivoco. Sono convinta che mio marito sia stato ucciso per sbaglio, non vedo altra spiegazione» soggiunse incredula.
«Può essere, ma intanto noi abbiamo l’obbligo di proteggerla. Penso che siano necessari tre turni di guardia, di otto ore ciascuno, per coprire l’arco delle ventiquattro ore giornaliere.»
«Mi seguiranno anche durante gli spostamenti?»
«Certamente!»
La donna non si dilungò oltre sull’argomento ma si congedò esclamando:
«Signori, vi prego di scusarmi, sono esausta e voglio andare a dormire. Commissario, faccia come meglio crede!»
Anna salutò i presenti e si trasferì nella stanza da letto per un salutare riposo. La sorella del defunto direttore, su richiesta della vedova, andò ad abitare nella casa del fratello, per tenerle compagnia ma solo per qualche giorno. Nei giorni a venire ci fu un gran parlare sull’omicidio del banchiere. La notizia occupò le prime pagine di tutti giornali, le inchieste proseguivano senza sosta, eppure nessuno riusciva a risalire al movente. Due giorni dopo, il commissario si recò di nuovo nell’abitazione dello sfortunato direttore per interrogare la moglie:
«Mi scusi signora, per il bene delle indagini, ho bisogno di farle ancora qualche domanda!»
«Purché non diventi un’abitudine!» rispose un po’ seccata.
«Le do la mia parola che cercherò di disturbarla il meno possibile.»
«Prego si accomodi! Sono tutta orecchie!»
I due si accomodarono sul divano e il commissario partì con le domande:
«Vorrei sapere quali sono stati i motivi che hanno spinto suo marito ad uscire di casa il giorno dell’assassinio e dov’era diretto!»
«È stato un caso! Guardando attraverso la finestra, si accorse di una Bmw appostata di fronte alla nostra abitazione. Si ricordò di averla già vista altre volte.»
«Avete registrato la targa da qualche parte?»
«No, purtroppo in quel momento non ci abbiamo pensato e comunque non era possibile leggerla perché l’auto era posizionata con lo sportello laterale sinistro di fronte a noi.»
«In seguito che cosa è accaduto?»
«Mio marito decise di mettere alla prova quell’uomo. Io restai alla finestra ad osservarlo e lui uscì di casa fingendo di fare una eggiata. Imboccò il vicolo parallelo a quello in cui era appostata la Bmw e fu allora che vidi quel tipo scendere dall’auto e seguire mio marito.»
«E lei riuscì ancora a vederli?»
«No, ma di lì a poco, vidi spuntare di nuovo mio marito e, a debita distanza, il misterioso tizio.»
«Che aspetto aveva?»
«Alto, capelli neri e lisci, sui quarant’anni, abbigliato con un completo di jeans.»
«È una buona descrizione! Spero che ci torni utile.»
«Tornato a casa, mio marito mi raccontò che quell’uomo lo aveva seguito. Osservando attraverso la finestra, ci accorgemmo che stava ancora lì, nella sua vettura.»
«Per quanto tempo ci è rimasto?»
La donna alzò gli occhi al cielo, il respiro sembrava un po’ affannoso e chinò il capo assorta nei suoi pensieri.
«Non per molto purtroppo!» balbettò amareggiata.
«Perché dice “purtroppo”?»
«Perché quella fu l’ultima volta che parlai con mio marito, e non pensavo che l’avrei perso per sempre.»
«Che cosa accadde esattamente?»
«Mio marito volle un’altra conferma. Prese la sua auto e si avviò tra i vicoli del centro. Dalla finestra notai che quell’uomo cominciò a pedinarlo. Preoccupata per la sorte del mio congiunto, all’istante, decisi di seguirli anch’io. Quello che
accadde di lì a poco, lo sapete già.»
La donna sospirò per qualche istante. Il viso era scarnito e stanco, era evidente che aveva dormito poco. Poi si alzò in piedi e si avvicinò ad un elegante mobile adornato con strabilianti bottiglie di liquore e domandò:
«Commissario, gradisce qualcosa da bere? Non mi dica che quando è in servizio non beve alcolici!»
Lui accennò un sorriso e poi rispose:
«Per un amaro farò uno strappo alla regola.»
Servito il liquore, la donna si adagiò ancora sul divano e poi domandò:
«Secondo lei, perché l’hanno ucciso?»
«Al momento non le so rispondere! È quello che mi sono preposto di scoprire! Ho bisogno di carpire nuove informazioni e ricostruire una dinamica.»
«Io, invece, sono più propensa a credere che mio marito sia stato vittima di un tragico equivoco, ed escludo a priori che fosse coinvolto nell’attentato» insistette ancora.
«Ho i miei dubbi in proposito! Qualcosa mi dice che l’uccisione del direttore è collegata proprio con l’attentato. Sono troppe le coincidenze che destano sospetti.»
«Può pensare ciò che vuole ma, senza prove, non andrà da nessuna parte!»
L’ispettore si alzò in piedi tenendo in mano il bicchiere, bevette un sorso di quel dolce amaro e, con aria assorta, si accostò lentamente alla finestra. Sembrava che qualcosa, all’improvviso, l’avesse turbato. Guardò attraverso la feritoia, poi si voltò verso la donna, e con voce tenue soggiunse:
«Ho la vaga impressione che le mie investigazioni le diano fastidio!»
La donna lo guardò stupita, per poi sbottare in un’esternazione:
«Come si permette commissario? Mio marito è morto da pochi giorni in condizioni drammatiche e lei insinua addirittura che le vostre inchieste m’infastidiscono?»
«Mi scusi signora, non era mia intenzione mancarle di rispetto.»
«Non importa, lasci perdere! Mi era sembrato che le sue parole nascondessero una velata accusa nei miei confronti.»
D’Ambrosio, imibile al rimprovero della donna, mandò giù un altro sorso di
quell’amaro, posò il bicchiere sul tavolo e continuò l’interrogatorio:
«Suo marito le ha mai parlato di questioni riguardanti il lavoro, in questi ultimi mesi?»
«Non ha mai lasciato trapelare nulla che potesse indurmi a diffidare della sua buona fede!»
«Le ha mai parlato della dott.ssa Elsa Chiarello, l’unica sopravvissuta all’attentato?»
«Me ne ha parlato qualche volta e so che ogni tanto è andato a trovarla in ospedale.»
«E cosa le diceva a riguardo?»
«Nulla di particolare. Si limitava ad elogiare la ragazza, dicendo che era in gamba nel suo lavoro.»
D’Ambrosio, ormai stanco, si guardò attorno e poi concluse:
«Bene, signora! La ringrazio per la sua disponibilità, ora devo proprio andare. Spero di poter contare ancora su di lei in caso di bisogno.»
«Certamente! L’assassino di mio marito non deve restare impunito» concluse.
Il commissario si congedò. Il giorno dopo, giunse sulla sua scrivania il rapporto della scientifica riguardante le impronte digitali della dott.ssa Chiarello. L’esito fu negativo. D’Ambrosio, sospirando, appoggiò la nuca sullo schienale della poltrona, accese un’altra sigaretta con aria assorta e cominciò ad espellere dalla bocca voluttuosi cerchi di fumo. Sembrava in balìa del nulla. Attraverso la porta socchiusa si udiva il chiacchiericcio degli altri agenti. Silenzioso come un’ombra, uno di loro entrò di soppiatto nell’ufficio pensando che non ci fosse nessuno:
«Oh… mi scusi commissario! Non pensavo che fosse qui, altrimenti avrei bussato.»
«Non importa agente, venga avanti! Quei documenti che ha in mano sono per me?»
Il poliziotto posò la cartella sulla scrivania.
«Giudichi lei! Questo è il rapporto della perizia effettuata sul cellulare estratto dalle macerie. La scheda è stata disattivata circa un mese fa ma, dalla memoria del telefonino, è stato possibile recuperare alcuni sms e vari numeri telefonici» chiarì in modo professionale.
«A chi era intestata la scheda?»
«Alla dott.ssa Elsa Chiarello!»
D’Ambrosio balzò in piedi, schiacciò il mozzicone della sigaretta nel portacenere rinunciando a fare l’ultimo tiro, prese in mano la cartella gremita di documenti e la aprì. Scorse velocemente il contenuto di quelle righe e ripresosi dallo stupore, guardò il suo agente. Gli occhi brillavano di una luce fendente, nuove congetture si affacciavano nella sua mente, finché all’improvviso esclamò:
«Agente mi lasci da solo per favore!»
L’uomo obbedì e lui rabbonito, esaminò nei minimi dettagli il contenuto di quella perizia. Il mattino seguente si recò in procura, ma dovette attendere circa mezz’ora prima di essere ricevuto. Alla fine, riuscì ad esporre un quadro esaustivo delle indagini, aggiornando il procuratore anche sugli ultimi accadimenti.
«Commissario, quello che abbiamo in mano non è sufficiente per emettere un ordine di custodia cautelare nei confronti della dott.ssa Chiarello!» specificò il procuratore.
D’Ambrosio, dopo qualche attimo di riflessione, manifestando una certa delusione, soggiunse:
«Forse ha ragione lei! In fondo non possiamo accusarla di nulla.»
«Per adesso si limiti a tenerla sotto controllo. Voglio sapere i luoghi che frequenta e le persone che incontra. Potrebbe essere un falso allarme il nostro ma, nel dubbio, è meglio essere previdenti.»
«Sono d’accordo con lei. Il comportamento della Chiarello lascia a desiderare. Durante l’interrogatorio, non mi ha mai detto di aver perduto il cellulare il giorno dell’attentato» puntualizzò.
«E poi, guarda caso, ha disattivato anche la scheda.»
«Infatti, i conti non tornano!»
«Vada a trovarla, le faccia altre domande in maniera del tutto amichevole, lasciandole intendere che i sospetti della polizia sono ancora mirati al defunto direttore.»
«Stia tranquillo dottore, giocheremo le nostre carte come si deve e, al momento opportuno, tireremo fuori il nostro asso nella manica.» concluse.
I due uomini, infatti, custodivano segretamente alcune rivelazioni che, abbinate ad altri indizi, avrebbero potuto dare una svolta rilevante alle indagini. Tali informazioni provenivano da un uomo. Si trattava di un altro impiegato della banca, che il giorno dell’attentato era in ferie: il dott. Luca Clementino. L’uomo era in vacanza a Mosca e, non appena venne informato del tragico evento, rimpatriò subito e fu ascoltato dal procuratore. Sulle prime, le sue rivelazioni non furono tenute in considerazione ma, con l’avanzare delle indagini, cominciarono a prendere forma e a stuzzicare l’interesse della polizia. Le prove, però, non erano ancora sufficienti per incastrare qualcuno. Il giorno seguente,
D’Ambrosio andò a trovare la dott.ssa Elsa Chiarello. Giunto nei dintorni della sua abitazione squillò il cellulare. L’interlocutore era la moglie del defunto direttore.
«Commissario, posso disturbarla?»
«Nessun disturbo signora, si figuri!»
«Ho bisogno di parlare con lei di persona!»
«Certo ma non oggi. Ho la giornata piena d’impegni. Possiamo vederci domani?»
«Ok, ma gradirei che venisse lei! Non voglio che ci ascoltino orecchie indiscrete.»
«D’accordo, domani in mattinata verrò a trovarla.»
«La ringrazio, a domani allora!»
Il colloquio telefonico terminò e poté finalmente andare a trovare Elsa Chiarello. Fu ricevuto dalla donna con la massima ospitalità e si adagiarono entrambi sul divano del salotto.
«Commissario, è un piacere rivederla!» esordì.
«Bando ai convenevoli ed arriviamo al punto!»
La donna, colta di sorpresa dalla sgradevole esternazione dell’uomo, si azzittì per alcuni istanti e poi rispose:
«A che devo questa visita?»
«Ho qui qualcosa che la riguarda!»
«E di che cosa si tratta?»
«Ho qui il rapporto della scientifica sulle sue impronte digitali.»
«Ah… molto interessante! E che cosa ne è venuto fuori?»
«Nulla purtroppo!»
«Un altro buco nell’acqua! Spero di sbagliarmi ma ho la netta sensazione che lei stia avanzando dei sospetti su di me» soggiunse dubbiosa.
D’Ambrosio quasi contrariato, fissò la donna negli occhi per alcuni istanti e poi replicò:
«Si sbaglia, non ho mai dubitato di lei e mi scusi se mi sono espresso male. Il defunto direttore è sempre nelle mie attenzioni e, tuttora, sono convinto della sua complicità nell’attentato alla banca» precisò.
«Lei, però, non ha prove per affermare questo.»
«Ed il suo omicidio come se lo spiega?»
«E secondo lei, l’assassinio confermerebbe tutto ciò che è frutto della sua fervida fantasia?»
«Lo so che non è una prova attendibile ma giuro che riuscirò quanto prima a sbrogliare questa intricata matassa!» disse convinto.
«Non so che dirle! Io con il direttore avevo ottimi rapporti di lavoro, lo stimavo e da lui ho imparato tanto. Non riesco proprio a capire il motivo per cui l’abbiano ucciso.»
Elsa si lasciò scappare una lacrima e dopo attimi di silenzio, D’Ambrosio replicò:
«Lei crede ancora che il direttore sia stato vittima di un tragico errore?»
«Mi riesce difficile credere che fosse un criminale.»
«Dai controlli effettuati, risulta che la refurtiva è pari a 200 mila euro!»
«È vero, questo glielo posso confermare. Avrebbe dovuto are il furgone blindato il giorno prima a ritirare il denaro e trasferirlo altrove» specificò.
Il commissario, stupito, strabuzzò gli occhi ardenti, lanciò alla donna una sguardo di attesa e poi domandò:
«E per quale ragione non è ato?»
«Questo non mi è dato saperlo. Dopo tutto quello che è successo, immagini se posso ricordare questi dettagli!»
«Non riesce ad immaginarlo il motivo per cui è stato programmato il ritardo del furgone?» insistette.
«Commissario… per piacere!» replicò scuotendo il capo.
«Perché? Le pare un’ipotesi campata in aria?»
«Non sono mai stata una stupida se è per questo!»
«Non ho mai pensato una cosa del genere!»
«Commissario, lei sarebbe capace di sospettare anche di sua madre. Il mestiere che fa le dona perfettamente.»
«Mi piace il mio lavoro e ci tengo a farlo nel migliore dei modi. Ora la saluto, devo andare. La ringrazio per avermi dedicato un po’ del suo tempo e mi scusi ancora per il disturbo» concluse.
«Nessun disturbo, non si preoccupi!»
Il commissario, preso commiato dalla donna, andò via.
CAPITOLO VI
LA VEDOVA ED IL COMMISSARIO
Il giorno dopo, nell’abitazione della vedova accadde un evento inaspettato. Giunto D’Ambrosio, la donna si fece trovare in vestaglia ed un po’ spettinata, lo mise a suo agio facendolo accomodare nel salotto e gli offrì da bere. Quell’insolita cortesia insospettì l’uomo. Si adagiarono sul divano e lei prese la parola:
«L’ho fatta venire per un valido motivo!» disse lasciando trapelare un po’ di timidezza.
«Mi dica signora» rispose guardandola negli occhi.
«Ecco vede… non è facile! Non è per niente facile!» ribatté.
La vedova sobbalzò in piedi, si slacciò la vestaglia e la lasciò cadere per terra. Completamente nuda lasciò sbigottito l’uomo che restò immobile ad ammirarla. Non credeva ai suoi occhi e, dopo attimi di silenzio, la donna pavidamente soggiunse:
«Preferisco i fatti alle parole!»
L’uomo sorrise compiaciuto e di fronte all’invitante prospettiva, non si tirò indietro. Il sesso fu inevitabile. Dopo mezz’ora, si ritrovarono entrambi seduti sul divano con un calice di vino bianco in mano. Finito di bere lui borbottò:
«Posso usare la sua doccia?»
«Certo, ma ad una condizione!»
«E sarebbe?»
«Penso che non sia più il caso di darci del “lei”! Diamoci del “tu”.» concluse saggiamente.
«È il minimo dopo quanto è accaduto!»
Il commissario lasciò incustodita la giacca sul divano ed andò in bagno a lavarsi. Lei, non appena udì lo scroscio dell’acqua, si avvicinò alla giacca e cominciò a frugare nelle tasche. Intanto, lui cominciò ad avanzare dei sospetti. Con grande scaltrezza, attese per qualche minuto senza bagnarsi. In seguito, s’intrufolò nel corridoio evitando lo scalpiccio. Percorsi pochi metri, giunse al limitare del salotto. Spiò attentamente e notò la donna che rovistava nei suoi indumenti. Appurato ciò, ritornò nel bagno senza farsi vedere né sentire. Nella giacca, lei trovò una piccola agenda, contenente vari numeri telefonici. Incapace di prendere una tempistica decisione sul momento, restò ad ascoltare imibile lo scroscio dell’acqua proveniente dal bagno. Cercò di calcolare approssimativamente il tempo di una doccia e capì di avere a disposizione ancora pochi minuti. Rapidamente, trascrisse su un foglio tutti i numeri di telefono riportati sull’agenda e poi la rimise al suo posto. A questo punto, in attesa che l’uomo uscisse dal bagno, decise di abbigliarsi più decentemente. Tempo cinque minuti, si adagiò sul divano, si versò ancora da bere ed assunse un atteggiamento d’attesa. Qualcuno suonò al citofono dell’abitazione e lei rispose proprio quando il commissario stava uscendo dal bagno:
«Chi è?»
«Sono io!»
La donna ammutolì: aveva riconosciuto la voce di Lucio.
«Allora ti decidi ad aprire?» insistette lui.
«Ora sono impegnata con due ospiti. Ti chiamo appena mi libero» replicò impaurita.
«Potresti anche farmi entrare. Aspetterò in cucina per non disturbarvi» insistette sospettoso.
«Ti prego, non insistere!»
«E va bene! Resto in attesa di una tua chiamata» terminò.
Lucio, simulando la rassegnazione, si appostò in un punto dell’isolato, da cui poté controllare l’uscita dell’abitazione. Era curioso di sapere chi fossero questi presunti ospiti di cui parlava la vedova. Nel frattempo il commissario, piantonato nel corridoio, ascoltò le parole della donna ed i suoi sospetti si accentuarono ulteriormente. Ritornò nel bagno e, poco dopo, urtando la porta per far credere
che stava uscendo in quel momento, la aprì:
«Dove sei?» strillò il commissario.
«Sono qui in salotto!»
Finitosi di vestire, D’Ambrosio si adagiò sul divano e, fingendo di cadere dalle nuvole, chiese alla donna:
«Sbaglio o qualcuno ha suonato alla porta?»
Lei, imibile, senza lasciarsi tradire dallo sguardo, con disinvoltura rispose:
«Ah, sì… era un estraneo in cerca d’informazioni!»
«Che tipo d’informazioni?» insistette.
«Perbacco, ma sei proprio curioso! Capisco che tu faccia il ficcanaso per mestiere, ma se credi che io ti debba delle spiegazioni per ogni cosa che faccio, ti sbagli di grosso» replicò infastidita.
«Ok, scusami, non adirarti.»
Lo scaltro D’Ambrosio non si rassegnò e decise di provocare la donna con un diversivo, mettendola alla prova:
«Ora devo proprio andare, il lavoro mi aspetta!»
A quel punto la vedova, avendo intuito le intenzioni di Lucio, cercò di trattenere l’uomo il più possibile:
«Te ne vai già? Non potresti farmi compagnia ancora un po’?» soggiunse accarezzandogli il mento.
«Mi dispiace ma sono già in ritardo. Ero venuto qua per lavoro ed invece ho fatto tutt’altro.»
L’uomo balzò in piedi e si avviò verso l’uscita. Lei tentò ancora di trattenerlo strattonandolo per un braccio, ma servì a ben poco. La decisione del commissario fu irremovibile. Uscito di casa, si guardò intorno con vago sospetto e si avviò verso la sua auto. Nel frattempo Lucio, osservò la scena di nascosto e assicuratosi che il poliziotto fosse andato via definitivamente, suonò di nuovo al citofono dell’abitazione. Lei aprì e lo fece accomodare. Entrato in casa, l’uomo si gettò al collo della donna baciandola più volte.
«Era ora!» disse lui con fervida ione.
«Stai fermo, non è il momento» ribatté distanziandolo con le mani.
«Ogni momento è buono per farlo con te» insistette.
«Ti ho detto di no! Credi di potermi usare quando e come vuoi? Credi di avere a disposizione una puttana?»
«Stai facendo troppo la difficile oggi. La nostra relazione va avanti da tempo, anche quando c’era tuo marito e non hai mai avuto inibizioni di alcun tipo!» puntualizzò.
«Insomma, non ce la fai proprio a capire? Ti ho detto che oggi non mi va.»
Lucio, rassegnato placò i suoi bollenti spiriti:
«Ok! Accomodiamoci sul divano, è giunto il momento di parlare seriamente.»
«Come vuoi!» acconsentì.
I due si sedettero e placati un po’ gli animi, lui ribatté:
«Mi credi stupido? Che cosa voleva D’Ambrosio?»
«Non ti sembra di esagerare? Devo darti conto di tutte le persone che incontro?»
«Non tergiversare e rispondi alla mia domanda!»
«Lo sai come sono i poliziotti, vanno e vengono, fanno un sacco di domande per cercare di scoprire qualcosa. Fa parte del loro lavoro.»
«E ti sembra un motivo per non farmi entrare?»
«Certo, il commissario vuole la massima riservatezza durante gli interrogatori.»
«Che cosa ti ha chiesto?»
«Voleva sapere se mio marito aveva dei nemici o dei conti in sospeso con qualcuno.»
Lucio restò a parlare con la donna ancora per pochi minuti e poi se ne andò. Anna da due anni aveva un rapporto extraconiugale con Lucio, un amico di famiglia, molto stimato anche dal defunto direttore. Nello stesso tempo, lui aveva un rapporto parallelo con Elsa Chiarello, sua fidanzata ufficiale. Il direttore era un bonaccione innamorato della moglie e non si accorse mai dei suoi tradimenti, addirittura con uno dei suoi migliori amici. I loro incontri segreti avvenivano proprio nella loro abitazione quando lui era al lavoro. Intanto procedevano le indagini della polizia. La perizia effettuata sul cellulare recuperato dalle macerie sembrava avesse aperto nuove strade, invece, non portò a nulla di concreto. A prescindere dalla scheda disattivata, il controllo dei numeri
salvati nella rubrica del telefonino non aveva prodotto grandi risultati, perché gli intestatari erano incensurati, senza precedenti penali, né conti in sospeso con la giustizia. Nessuna accusa poteva essere mossa contro di loro. D’Ambrosio, però, voleva sfruttare un’altra pista: la vedova. Sì, perché dopo l’ultimo incontro a casa della donna, uscito dall’abitazione, aveva finto di andar via ma, poco dopo, era tornato indietro giusto in tempo per vedere Lucio entrare in casa. Aveva fiutato che qualcosa non quadrava: la vedova aveva mentito al commissario. Nei giorni seguenti, D’Ambrosio invitò a pranzo Lucio, il quale, dopo avere esitato un po’, accettò l’invito per non insospettire il poliziotto. Si ritrovarono in un ristorante di periferia, circondato da un verde incantevole. La rigogliosa natura si ergeva tutt’intorno. Tavoli di legno pregiato, tovaglie inamidate e calici trasparenti, suscitavano un vago senso di prosperità. I due, seduti in un angolo appartato della sala, avevano ordinato linguine ai frutti di mare ed un secondo a base di gamberi ed ostriche. Dapprima affrontarono futili argomenti, ma ben presto, Lucio, che già immaginava il motivo di quell’invito, deviò il discorso sul perché di quel loro incontro riservato:
«Non l’ho ancora ringraziata per avere accettato il mio invito» disse D’Ambrosio sorseggiando dell’ottimo vino bianco.
«A cosa devo questo delizioso pranzo?»
«Volevo scambiare due chiacchiere con lei, in fondo, è da un po’ che non ci sentiamo.»
«Potevamo farlo anche in ufficio!» specificò.
«Volevo un incontro amichevole e riservato.»
«Immagino che l’argomento sia l’omicidio del direttore!» soggiunse con sarcasmo.
«Certo. Lei era un suo amico. Da quanto tempo vi conoscevate?»
«Il nostro rapporto era consuetudinario. Ci incontravamo due o tre volte al mese eci conoscevamo da qualche anno.»
«Dove vi siete conosciuti con Elsa?»
«Un giorno mi recai in banca con l’intenzione di investire un po’ di denaro sui fondi monetari e fu allora che la conobbi.»
«E lei, che rapporto aveva con il direttore?»
Lucio, dallo sguardo inebetito, fissò negli occhi D’Ambrosio e per alcuni istanti tacque. Bevuto un sorso di vino, si asciugò le labbra con un tovagliolo e poi esclamò:
«Non ho capito la domanda!»
«Le ho chiesto se tra la Chiarello ed il dott. Arnesi c’era solo un rapporto di lavoro!» insistette.
«Beh, non proprio. Era nata un’amicizia tra loro, al punto, che un paio di volte ci invitò a pranzare a casa sua.»
«La moglie ha mai manifestato intolleranza nei vostri riguardi?»
«No, è stata sempre gentile e disponibile.»
«Da quanto tempo non la vede?»
A quel punto Lucio, ignaro di ciò che aveva fatto il commissario pochi giorni prima, quando lo vide entrare in casa della vedova, senza timore di sbagliare, rispose destandogli nuovi sospetti:
«L’ultima volta risale a circa un mese fa» rispose mentendo.
Ciò non fece altro che insospettire ancora di più il commissario. Preso atto della menzogna, D’Ambrosio fece finta di credergli:
«Beh, non c’è che dire! I suoi cinquanta anni li porta bene, è una bella donna ed i suoi abiti succinti fanno girare la testa a chiunque. Si diverte a provocare secondo me» borbottò ironicamente.
«Non c’è dubbio che sia una donna attraente, ma credo che la fedeltà sia uno dei valori in cui ha sempre creduto.»
«Questo non c’è dato saperlo» puntualizzò lasciando trapelare qualche dubbio.
«Lei commissario, da quanto tempo non la vede?»
Il poliziotto sorrise disinvolto, non poté mentire perché Lucio l’aveva visto uscire dall’abitazione della vedova pochi giorni prima. Pertanto, fu costretto ad asserire la verità:
«L’ho rivista pochi giorni fa ma quella donna sembra avere la bocca cucita.»
«Concordo con lei! Interrogarla è una perdita di tempo.»
Lucio credette alle sue parole, non potendo immaginare cosa fosse accaduto tra il commissario e la vedova. Il pranzo volgeva al termine, ma il chiacchiericcio tra i due continuava. D’Ambrosio cercava la conferma dei suoi sospetti e voleva capire se tra Lucio ed Anna ci fosse del tenero o un flirt. Terminato il pranzo, i due decisero di fare una eggiata a piedi, nell’immenso giardino che circondava il ristorante. Ai bordi di un viale alberato, Lucio si fermò, accese una sigaretta e riprese a camminare. Pochi metri dopo, il suo sguardo s’incrociò con quello del commissario e freddamente gli chiese:
«Posso farle una domanda un po’ indiscreta?»
«Dipende dal grado d’indiscrezione!» ribatté accennando un sorriso.
«Lei è fidanzato?»
D’Ambrosio non rispose subito, come se la domanda gli avesse dato fastidio, calciò un sassolino con il piede destro e poi replicò:
«Non ho ancora trovato la persona giusta! Si dice così in questi casi, vero?»
«La capisco, non è facile con i tempi che corrono. Secondo me, la persona giusta non esiste per nessuno.»
«Non mi sono mai posto il problema, almeno per ora!»
«Io credo che esistano persone, con cui si può avere una compatibilità maggiore, ma non la persona giusta. Chi aspetta la persona giusta, rischia di sprecare una vita» concluse saggiamente.
«Pensandoci bene, non ha tutti i torti» affermò stupito.
La eggiata terminò, dopodiché, Lucio ringraziò il commissario per il pranzo ed i due si congedarono. Le fantasiose menzogne della vedova destarono dubbi e perplessità ai due uomini. Il commissario ne parlò con il procuratore, il quale, decise di mettere la donna sotto sorveglianza. L’abitazione di Anna fu di nuovo piantonata ventiquattro ore al giorno da quattro agenti in incognito che, a turno, si disponevano a debita distanza e la pedinavano ogni volta che usciva di casa. Bisognava conoscere ogni suo spostamento e le persone con cui entrava in
contatto. Magari alla fine poteva rivelarsi un lavoro inutile, ma il procuratore volle tentare ugualmente. Pochi giorni dopo, D’Ambrosio ricevette una telefonata dalla donna:
«Pronto? Ti disturbo?»
«No, figurati!»
«Non ti sei fatto più sentire!»
«Sono oberato di lavoro ma verrò a trovarti presto» ribatté entusiasta.
«Pensavo ti fossi già stancato di me!»
La proposta fin troppo chiara della vedova colse ancora una volta di sorpresa il commissario, che prima di rispondere esitò. Sapeva che nelle immediate vicinanze dell’abitazione c’era sempre uno dei suoi agenti piantonati e non sarebbe ato inosservato. Poco dopo, ragionando, concluse che poteva sempre giustificarsi con il pretesto di interrogarla. L’uomo sembrava cedere facilmente alle avance sessuali della donna. Così, accettò l’invito e fissò l’appuntamento per la mattinata del giorno seguente.
CAPITOLO VII
DELITTO IN CASA
Finito il colloquio telefonico, Anna, per assicurarsi che Lucio non andasse a trovarla il giorno dopo, escogitò un tranello: lo chiamò al cellulare e gli chiese di recarsi da lei proprio nell’orario prefissato con il commissario. Lucio, che in quanto a scaltrezza non aveva nulla da invidiare ad Anna, rispose che aveva un altro impegno e che sarebbe ato nel pomeriggio. Ovviamente mentì poiché, se avesse accettato, temeva che lei avrebbe spostato o disdetto l’appuntamento con D’Ambrosio. La telefonata terminò. Anna posò il telefonino sul tavolo e si versò da bere. Era convinta che il suo stratagemma funzionasse. La delusione, però, non tardò ad arrivare con tutte le relative conseguenze. Il giorno dopo, alle ore 10:00 in punto, il commissario giunse sul posto. Scrutò lo spiazzo circostante l’abitazione in cerca del suo agente in incognito, già informato telefonicamente. Lo avvistò seduto in auto, gli accennò un saluto con la mano destra e suonò il citofono. La donna aprì la porta ed apparve abbigliata come una ventenne: jeans attillati, stivali marrone e giacca di vera pelle. Un completo giovanile, ma lo era anche lei nei modi di fare, di parlare, di atteggiarsi. Discendeva da una famiglia benestante ed era un po’ spendacciona perché difficilmente si privava di ciò che le piaceva. Ed in fondo, poteva permetterselo. Il suo ingente patrimonio immobiliare ammontava a nove appartamenti sparsi fra il centro e la periferia della città, tutti in affitto. Anche il suo conto bancario era tutt’altro che disprezzabile. Entrato in casa, D’Ambrosio si adagiò sul divano, mentre lei andò in cucina a preparare il caffè. Posata la caffettiera sui fornelli, si recò in bagno a cambiarsi. Nel frattempo il cellulare del commissario squillò:
«Agente non si preoccupi, non appena sarò tornato, me ne occuperò io personalmente!» disse lui.
La telefonata durò cinque minuti e al termine una libidica visione spuntò dinanzi agli occhi del poliziotto: la vedova pronta a servire il caffè in biancheria intima. Lei si chinò e posò il vassoio contenente le tazze fumanti e la zuccheriera sul tavolino. In quel mentre, lui le slacciò il reggiseno facendolo cadere sul tappeto
sottostante:
«Lascia stare il caffè!» disse lui, strattonandola per un braccio e scaraventandola sul divano.
Tra il gradevole aroma di caffè sprigionato dalle tazzine fumanti, ciò che accadde è facile da immaginare. Purtroppo, la loro ione fu interrotta: qualcuno suonò al citofono.
«Chiunque sia, non m’interessa! Non voglio essere disturbata!» disse lei.
«Spostati un momento, voglio dare uno sguardo dalla finestra» rispose lui incuriosito.
D’Ambrosio si alzò dal divano e si affacciò alla finestra per poi ritrarsi inorridito.
«Chi è?» domandò Anna sottovoce.
«Vieni un po’ a vedere!»
La donna nuda, si alzò e si avvicinò alla finestra. Senza sporgersi troppo, cautamente gettò un’occhiata e vide Lucio che insisteva ancora a suonare il citofono:
«Si può sapere che vuole da te? Perché viene a trovarti così spesso?» mormorò lui manifestando un po’ di gelosia.
«a ogni tanto a salutarmi ed a chiedermi se ho bisogno di qualcosa! È sempre stato un amico di famiglia.»
Il commissario si rabbuiò, raccolse i suoi vestiti e si avviò verso il bagno.
«Che cosa stai facendo?» domandò lei un po’ scontrosa.
«La festa è finita. Vado a rivestirmi!»
«Non sarai mica geloso?»
Lui non rispose ed Anna, ormai rassegnata, andò nella sua camera per abbigliarsi. Nello stesso momento, Lucio tentò di chiamarla al cellulare ma risultava non raggiungibile. Attonito si guardò intorno e non ò inosservato all’agente piantonato in incognito che, ben presto, lo riconobbe, avendolo visto altre volte insieme al commissario. Fatto un largo giro dell’isolato per controllare se l’auto della vedova fosse parcheggiata altrove, Lucio se ne andò. Intanto, i due in casa, si adagiarono di nuovo sul divano.
«Ho fatto bene a lasciare la vettura lontana da qui!» disse lui.
«A chi lo dici? Anch’io ho fatto la stessa cosa!»
«Me ne sono accorto!»
Anna accarezzò il viso del commissario accennandogli un sorriso e poi, con dolcezza, esclamò:
«Non c’è motivo perché tu sia geloso, è solo un amico! Non vado mica a letto con lui!» puntualizzò affettuosamente.
L’uomo senza rispondere la baciò. In quel mentre, squillò il cellulare del commissario e la romantica atmosfera fu interrotta. Indeciso se rispondere o no, lui visibilmente spazientito, attese qualche attimo, poi, appurando la provenienza della chiamata fu costretto a rispondere. Una drammatica notizia sancì la fine di quell’incontro e lui dovette ritornare al Commissariato: Elsa Chiarello era stata uccisa nel salotto della sua abitazione. Un uomo abbigliato elegantemente suonò il camlo, presentandosi poi come un collega esperto d’investimenti ed Elsa, incuriosita, lo fece accomodare. Cinque minuti dopo, l’assassino uscì con disinvoltura come se nulla fosse accaduto. Due testimoni oculari, marito e moglie, seduti su una panchina lì di fronte, notarono quell’uomo, senza immaginare che potesse essere un assassino. Tra l’altro, l’abbigliamento ragguardevole non lasciava certo intendere le sue reali intenzioni. A ritrovare il corpo della vittima, fu la madre, ritornata a casa dopo aver fatto alcune compere. Elsa giaceva per terra in un lago di sangue, freddata con un colpo di pistola alla tempia. I due testimoni non udirono lo sparo, forse perché l’arma era provvista di silenziatore, ma avvertirono le urla agghiaccianti della madre poco dopo e fu allora che diedero l’allarme. La polizia fu allertata e, nel giro di quindici minuti, giunsero sul posto due ambulanze, poliziotti e alcuni giornalisti, oltre ai soliti curiosi che affollarono la zona. Il giallo di questi omicidi diventava sempre più fitto ed il commissario, da quando si era invaghito della vedova, trascurava anche il suo lavoro. I medici, intervenuti sul posto, dovettero costatare la morte della donna. La madre della vittima era allo stremo e si tormentava chiedendosi
il perché del drammatico gesto. Severa ed un po’ all’antica, vedeva l’affermazione sociale e professionale della figlia come la concretizzazione di un traguardo personale. Ancora una volta, però, qualcosa non andò per il verso giusto. Due giorni dopo, una miriade di personepartecipò alle esequie della dott.ssa Elsa Chiarello. Sul posto, giornalisti di livello nazionale si contendevano foto e filmati vari ed il tragico evento occupò, nei giorni a venire, le prime pagine di molti giornali. Lucio, addolorato, era lì seduto accanto alla salma della sua ex fidanzata. Il rito funebre fu celebrato nella basilica di Santa Maria Novella, al termine del quale, la salma fu accolta all’uscita del santuario da un nuovo scrosciante applauso. Alla funzione religiosaera presente anche la vedova che, fuori dalla basilica, incrociò il commissario. Lui finse di non vederla ma lei lo afferrò per un braccio. D’Ambrosio si voltò:
«Voglio vederti domani e non farmi aspettare!» gli sussurrò la donna all’orecchio.
«Ma ti sembra questo il momento ed il luogo per fare certe proposte?» mormorò.
«Ok, vieni quando vuoi, ma avvisami prima!»
Lucio, a pochi metri di distanza, osservò la scena ma non poté udire quello che si erano detti. Fu colpito dallo sguardo provocante e magnetico della vedova ed i suoi sospetti si accentuarono. Tre giorni dopo, Lucio volle affrontare D’Ambrosio. Andò al Commissariato e chiese di poter parlare con lui. Fu ricevuto nel suo ufficio in condizioni di massima riservatezza:
«Commissario, sono qui per farle una confessione ed una domanda personale!» esordì Lucio.
«E perché le dovrei rispondere?»
«Non è obbligato a rispondere ovviamente, ma per correttezza, dopo la mia rivelazione, gradirei che mi asserisse la verità.»
«Continuo a non capire! Cerchi di essere più esplicito.»
«Qui lo dico e qui lo nego! Posso fidarmi?»
«Figurati! Dimentichi che sono un commissario di polizia.»
Lucio si accese una sigaretta, sembrava non avesse il coraggio di parlare ma, superato quel momento, fervoroso domandò:
«Commissario, lei è a conoscenza della relazione che dura da quasi tre anni tra me e la moglie del direttore?»
D’Ambrosio, sul momento viscido ed imibile, fissò Lucio negli occhi, che divenivano sempre più luminosi, uno sguardo di attesa intriso di stupore e di gelosia. Il poliziotto tacque, si voltò verso la finestra e con lo sguardo appannato da una vaga fissità, sfuggente rispose:
«Lo sospettavo già!»
«E da quanto tempo?»
«I miei sospetti si sono accentuati dopo la morte del direttore.»
«So, con certezza, che lei va a trovare spesso la vedova. Per quale motivo?»
Il commissario, poco sbalordito dalla domanda che comunque si aspettava, cercò di nascondere lo sdegno con una serafica risata e poi acerrimo rispose:
«Io non sono mai andato a trovarla per scopi diversi da quelli professionali. Le consiglio, comunque, di lasciar stare quella donna!» soggiunse.
«E per quale motivo dovrei interrompere una storia d’amore che dura da tre anni?»
«E ha il coraggio di chiamarla storia d’amore?» rise sguaiatamente. «Le dirò la verità su quella donna. Posso fidarmi?»
«Stia tranquillo, ormai possiamo giocare a carte scoperte» fece notare.
D’Ambrosio, fidandosi di Lucio e senza omettere alcun dettaglio, rivelò ciò che aveva scoperto:
«Quella donna è solo una poco di buono! Glielo dico con rammarico, è una donna scabrosa. Le sue scorribande notturne sono conosciutissime e ci prova con chiunque gli piaccia!»
Lucio serrò i pugni, atterrito, ammutolì, poi, chinò il capo andosi la mano destra sulla fronte, allorché, il commissario soggiunse:
«D’altra parte, non è mai stata fedele neanche nei confronti del defunto marito. E non creda che in questi tre anni sia stata un angioletto!»
Lucio visibilmente turbato si ostinava a tacere, si sentiva ferito, perché in fondo era innamorato della vedova, mentre il commissario continuava a gettare fango su di lei. Poco dopo, ripresosi dalla sconcertante notizia, Lucio incuriosito puntualizzò:
«Lei è bene informato sulla vita privata di Anna! Sarei curioso di conoscere i suoi metodi.»
«Sono un poliziotto, non lo dimentichi!»
«Commissario, usare le forze di polizia per scopi personali è un reato!» mormorò in tono accusatorio.
«Io ho il dovere di portare avanti le mie indagini.»
«Se mi è consentito sapere a quali metodi alludeva, le sarei grato, così potrò farmi un’idea sull’attendibilità delle sue rivelazioni» insistette.
D’Ambrosio si alzò in piedi, avanzò nervosamente lungo la stanza, poi si sedette ancora e rabbonito rispose:
«C’è il segreto professionale, ma voglio accontentarla. Lei mi garantisce che la vedova non saprà nulla di ciò che sto per dirle?»
«Stia tranquillo!»
«Me lo garantisce?»
«Certamente, ma sappia che la mia parola è la garanzia!»
A malincuore, D’Ambrosio rivelò la verità per fugare ogni dubbio nella mente di Lucio:
«Ho piantonato, a turno, alcuni agenti in incognito vicino all’abitazione della vedova.»
«E cosa hanno scoperto?»
«Mi duole dirlo, ma quella donna frequenta altri uomini occasionali, anche più giovani di lei. Fa le ore piccole e non di rado torna a casa intorno alle 3:00 del mattino.»
Lucio, inasprito dalle affermazioni poco lodevoli su Anna, si alzò sull’istante ed andò via sbattendo la porta. Il sedicente commissario restò con le mani in mano ma soddisfatto del risultato ottenuto. Il suo scopo, infatti, era quello di allontanare Lucio dalla vedova, affinché lui potesse avere più spazio. Difatti, a prescindere dalla relazione con Lucio, la donna non tradì mai il defunto marito con altri uomini. Le rivelazioni del commissario erano assolutamente false. Il giorno dopo, la donna si recò al cimitero a depositare fiori freschi sulla tomba del marito e lì trovò Lucio intento a pregare. La fioca voce di Anna gli arrivò alle spalle:
«Che ci fai qui da solo?»
Lui stupito si voltò, fissò la donna negli occhi con piglio sprezzante e concitato rispose:
«Sono venuto a pregare.»
La donna gettò i fiori apiti nel bidone dell’immondizia ed adornò la tomba del marito con un nuovo vistoso mazzo floreale. Lucio, intanto, la osservò in silenzio, finché, afferrandola per un braccio esclamò:
«Hai rispetto di tuo marito più da morto che da vivo!»
«Lasciami, mi fai male! Ma che ti prende?» replicò.
«Ho bisogno di parlarti!»
«Ti sembra il momento ed il luogo adatto?»
«Non tergiversare, ti aspetto vicino a casa.»
Lucio le voltò le spalle e se ne andò. Lei allarmata dal bizzarro comportamento di lui, restò in silenzio di fronte alla tomba del marito per cinque minuti, e poi lo seguì. Circa mezz’ora dopo, si ritrovarono a casa della donna. Lui, dall’aspetto contrariato, si versò da bere un’abbondante quantità di whisky e si accomodò sul divano, mentre lei, si adagiò sulla poltrona di fronte:
«Allora, che cosa vuoi dirmi?» domandò Anna.
Lucio si portò il bicchiere alle labbra e bevette l’ultimo sorso. Poi si alzò in piedi, prese ancora in mano la bottiglia di whisky e con destrezza la lanciò per aria con la mano destra e la afferrò con la sinistra per poi riempire ancora il bicchiere. Sembrava un giocoliere. Lei lo guardò attonita e gli chiese:
«Ma si può sapere che cos’hai?»
Lui, depose la bottiglia sul tavolino e alzando lo sguardo, per puro caso, notò un oggetto sotto la poltrona su cui era seduta Anna. Sembrava una carta di credito o
qualcosa del genere. Incuriosito, volle accertarsi e cercò di allontanare la donna con una scusante:
«Ho un terribile mal di testa! Non avresti qualcosa da darmi?» si lagnò recitando.
«Stai bevendo come un alcolizzato! Datti una regolata! Vado a prenderti una compressa!»
Lei si alzò ed andò in cucina. Intanto lui, veloce come un lampo, s’impossessò dello strano oggetto e lo nascose nel taschino interno della sua giacca. Anna ritornò con il farmaco e lo diede a Lucio. In quel mentre, squillò il cellulare della donna lasciato sbadatamente in cucina e lei si precipitò a rispondere. Subito dopo, squillò un altro telefonino collocato sul televisore: era il secondo telefono della donna ma Lucio non ne era a conoscenza. La sorpresa lo spiazzò ed una serie di domande rimbalzavano nella sua mente: “Di chi è quel telefonino?”, “Forse qualcuno lo ha dimenticato qui!” pensò in quel momento. Nel frattempo, lei, intenta a parlare con il suo interlocutore, non udì la suoneria dell’altro cellulare, anche perché aveva impostato un volume piuttosto basso. Terminati gli squilli, lui si alzò in piedi e si avviò timoroso verso la cucina. Giunto al limitare, cercò di origliare dietro la porta chiusa il colloquio della donna, ma non riuscì a decifrare un bel niente. Lei farfugliava parole strane e, notando la vedova assorta nel suo colloquio, decise di soddisfare la sua curiosità, andando a controllare la chiamata sull’altro cellulare. Sul display era riportato il nome ed il cognome dell’interessato accanto al relativo numero: Mario Colognese. Con destrezza, Lucio registrò questi dati sul suo telefono e tornò a sedersi ancora sul divano. Trascorsi pochi minuti, lei ritornò. A questo punto, lui non poté far finta di non aver udito la suoneria dell’altro cellulare e, prima che lei guardasse il display e si accorgesse della chiamata, preferì informarla:
«Non sapevo che tu avessi due cellulari!» borbottò.
Lei, colta di sorpresa, cercò di celare lo stupore che non ò inosservato agli occhi di Lucio e, con moderata disinvoltura, recitò:
«Ah sì, ti riferisci a quel telefonino? Lo ha dimenticato una mia amica che è venuta a trovarmi ieri. Andrò a portarglielo a casa.»
«È giunta una chiamata poco fa!»
«Non importa, ha già squillato altre volte ma non ho mai risposto» chiarì.
Lui finse di credere alle menzogne della vedova per non insospettirla e lei ci cascò. Infatti, poco dopo, la donna soggiunse:
«Beh, si può sapere di che cosa mi dovevi parlare? Cos’è quello sguardo incupito e tracotante di malinconia?» domandò sedendosi accanto a lui.
Lucio guardò Anna negli occhi e con freddezza rispose:
«Devo parlarti di noi!»
«Ti sei stancato di me?»
«Io no, ma tu sì!»
La donna accavallò le gambe ostentando un atteggiamento sereno e poi replicò:
«Ti ha dato di volta il cervello?»
«Smettila di recitare, so tutto!»
«Chi è stato ad inculcarti queste stupidaggini? Se mi fossi stancata di te, ti avrei già scaricato, non ti pare?»
«Hai tradito anche tuo marito con me, per tre anni. Non si può certo dire che tu sia una donna santa ed immacolata!» dettagliò.
«Senti chi parla! E tu cosa hai fatto con la tua ex fidanzata? Non mi risulta che tu sia stato un angioletto!» ribatté con perfidia.
«Il nostro amore era ormai finito, non provavo più niente per lei!» cercò di chiarire accampando inutili scuse.
«Bugiardo! Tu la tradivi con me! Io ho sempre provato dei sentimenti per te e continuo a provarli. Non era possibile separarmi da mio marito, per varie ragioni.»
«Ed ora che tuo marito non c’è più, perché ti rifiuti di convivere con me?»
«Lui è morto da pochi mesi, quindi, voglio attendere sia per rispetto nei suoi confronti ma anche non dare adito alle malelingue del paese.»
«Ok, ti faccio l’ultima domanda inutile e poi me ne andrò.»
«Perché inutile?»
«Perché non posso certo aspettarmi che tu mi dica la verità!»
«Stai vaneggiando, smettila di dire sciocchezze e fammi pure questa domanda!»
«Sei andata a letto con D’Ambrosio?»
La donna, colta ancora di sorpresa, cercò di mascherare il suo disappunto per non destare sospetti e sull’istante replicò:
«Questo è troppo! Smettila di fantasticare. Il commissario è venuto solo per assillarmi con i suoi interrogatori, date le ultime drammatiche vicissitudini. Al momento, tu sei l’unico uomo della mia vita.»
Lucio le accarezzò i capelli facendo poi scivolare la mano sulle guance ed
affettuosamente borbottò:
«Ok, voglio crederti!»
«Grazie della fiducia.»
Pochi minuti dopo, si congedò.
CAPITOLO VIII
UNA FINE SCONCERTANTE
Uscito di casa, Lucio salì a bordo della sua auto e prima di partire, prese in mano quella strana tessera trovata sotto la poltrona, la guardò ed un’orrida espressione si dipinse sul suo volto: era la tessera sanitaria del commissario D’Ambrosio. Cercò di ricostruire l’accaduto ponendosi delle domande: “Che ci faceva quel documento sotto la poltrona?”, “Come avrà fatto a finire lì?”, “Il commissario ne è a conoscenza?”. Poi si domandò di chi fosse il numero comparso sul display di quel cellulare e se davvero quel telefonino appartenesse ad un’amica di Anna. Non trovò le risposte che cercava, accese la macchina e si avviò sulla strada del ritorno. Nella tarda mattinata del giorno seguente, Lucio si recò al Commissariato per parlare con D’Ambrosio che in quel momento era nel suo ufficio alle prese con varie scartoffie burocratiche. Entrò di soppiatto senza neanche bussare e, con un gesto sprezzante, lanciò sulla scrivania la tessera sanitaria trovata a casa di Anna. Costui, strabiliato, la scrutò senza toccarla e con un fievole tremito della voce domandò:
«Che cos’è? Dove l’ha trovata?»
«E me lo domanda?» ribatté infuriato.
«Perché non dovrei?»
«Legga il nome che porta inciso, invece di fare domande inutili!»
D’Ambrosio, afferrò la tessera con l’indice ed il pollice e dopo aver letto il suo nome, non ci mise molto a ricostruire l’accaduto. Imibile fissò Lucio negli
occhi, il quale soggiunse:
«Da quanto tempo va avanti?»
«Ma di che parla?»
«Non faccia il finto tonto!»
«Cerchi di essere più esaustivo e la smetta con questi enigmi. Sappia che non ho molto tempo da perdere!»
Lucio, avvilito, si voltò verso la porta, come se volesse accertarsi che fosse chiusa e poi dettagliò:
«Sto parlando di lei!»
«Ha trovato la mia tessera sanitaria a casa della vedova ed ora si sta torturando il cervello con le sue illazioni fantasiose?»
«Lei è un ottimo attore commissario! Potrebbe far carriera nel mondo del cinema o della televisione e guadagnerebbe un sacco soldi senza alcun rischio.»
«Quante volte glielo devo ripetere che in quella casa ci sono andato solo per
interrogare la moglie del direttore?» insistette.
«La faccia finita! Abbia almeno un po’ di rispetto per la mia intelligenza. Lei è come un libro aperto e mi basta guardarla negli occhi per capire che sta mentendo!»
«Se non vuole credermi, io non posso farci nulla!» concluse.
Lucio, profondamente adirato, non rispose e furibondo andò via sbattendo la porta, salì a bordo della sua vettura e sfrecciò per le vie del centro senza una meta. Non sopportava l’idea che Anna avesse altre storie parallele perché ne era innamorato. I suoi discorsi requisitori nei confronti di D’Ambrosio non erano certo infondati, ma non poteva dimostrarlo. Guidando l’auto, s’incanalò in una stretta viuzza del centro e percorsi pochi metri, si accostò accanto ad una tabaccheria. Spense il motore e restò immobile a riflettere. Era assorto nei suoi pensieri, addolorato e deluso. Un malessere indefinibile lo colse, sentì di non riuscire a far fronte a tutte le incombenze che si presentavano. Digitò sul cellulare nella sezione “immagini” e ne contemplò una che lo immortalava con lei. Una lacrima cadde sul viso, allorché, una terrificante esplosione disintegrò il veicolo e di Lucio restarono solo frammenti carbonizzati sparsi qua e là. Uno scalmanato malvivente, aveva sistemato l’ordigno esplosivo nel parafango della ruota anteriore sinistra, proprio mentre Lucio era al Commissariato, poco prima. L’attentatore attese che Lucio uscisse, lo pedinò e al momento opportuno, schiacciò il tasto del telecomando che azionava il detonatore. Nell’attentato fu coinvolta anche una giovane donna di trentacinque anni, una certa Lara Cocci che, per sua sfortuna, transitava in quelle vicinanze proprio al momento dell’esplosione. L’enorme quantità di tritolo adoperata provocò un cratere sull’asfalto. Il frastuono determinò delle forti vibrazioni sulle pareti delle case limitrofe disintegrando anche la vetrina della tabaccheria. La folla proveniente da ogni parte dell’isolato, lentamente si accalcò. Giunsero sul posto i vigili del fuoco che cercarono di domare le fiamme, seguiti da due ambulanze e da alcune volanti della polizia. Sul posto giunse anche il commissario D’Ambrosio. Un poliziotto trovò la targa dell’auto esplosa e gliela consegnò:
«Guardi cosa ho trovato commissario! Non ci sono dubbi, è la targa della vettura esplosa.»
«Faccia fare un controllo!» ordinò.
Il poliziotto obbedì e dal controllo emerse che il proprietario dell’auto era Lucio. Poco dopo, D’Ambrosio appurò che del corpo di Lucio erano rimasti solo pochi brandelli carbonizzati. Sul posto giunse anche il magistrato di turno per i dovuti accertamenti. I resti della vittima furono deposti in una bara e quelli della macchina furono periziati. La sfortunata donna coinvolta nell’esplosione, invece, morì durante il trasporto in ospedale. Sul luogo dell’attentato si concentrarono anche giornalisti e televisioni a fotografare e riprendere l’accaduto. La notizia fu sbattuta sulle prime pagine di tutti i giornali nei giorni a venire e la giustizia dovette accollarsi un altro caso laborioso. Due giorni dopo il vescovo monsignor Gabriele Celsi celebrò il rito funebre per entrambe le vittime presso la basilica di San Marco. La piazza circostante era gremita di gente e fragorose urla di protesta si levarono nell’aria. La vedova fu informata della notizia da un uomo sconosciuto che andò a trovarla. L’agente in incognito che piantonava a distanza l’abitazione di Anna, ebbe la netta impressione che i due si conoscessero da qualche tempo. Dopo circa venti minuti, l’uomo se ne andò e lei contrariata telefonò al commissario:
«Ti costava tanto informarmi?»
«È stato un duro colpo! Scusami ma non ci ho pensato.»
«E dovrei crederti?»
«Ti ho asserito la verità, credimi! E tu come l’hai saputo?»
«Non ha importanza. Ho perduto un amico che mi stava vicino da anni, anche quando c’era mio marito» si lagnò desolata.
«Amico? Non direi proprio!»
«Stai vaneggiando ed anche se fosse non sono affari tuoi. La mia vita la gestisco a modo mio» precisò inalberata.
«E tu abbi rispetto della memoria di tuo marito: un uomo onesto, garbato, professionale, che hai tradito per anni. Non si meritava certo tutto questo» puntualizzò con astio.
«Senti chi parla! Proprio tu, che hai tormentato mio marito, trattandolo come un criminale.»
Il commissario sembrava una vera incarnazione del demonio, la gelosia lo aveva accecato, cosicché la vedova colta da un’improvvisa ilarità, chiuse di botto la telefonata. Al funerale di Lucio era presente anche lei, con un vestito nero elegante, seduta accanto al feretro del suo amante e non si lasciò scappare nemmeno una lacrima. Era una donna dai nervi d’acciaio. Un altro delitto era stato compiuto nel mistero più assoluto. Solo pochi giorni dopo, il commissario D’Ambrosio dovette subire un’incresciosa umiliazione professionale che lo lasciò sbigottito: per ordine della Procura, gli fu revocato il caso di questi delitti ed affidato al Comando dei carabinieri. Lui, vedendosi privato di questa
competenza, deluso, telefonò al procuratore per chiedere spiegazioni:
«Qual è il motivo di questa improvvisa decisione?» domandò amareggiato.
«Commissario, sono trascorsi alcuni mesi dall’attentato alla banca e, da allora, le sue indagini non hanno portato a nulla di concreto!» rispose cinicamente senza preoccuparsi della sua reazione.
«Sono inchieste che richiedono tempo e dedizione» ribatté umiliato.
«Non la sto accusando di superficialità professionale o di mancata dedizione, però, io voglio anche vedere qualche risultato. Dal giorno dell’attentato alla banca, una serie di omicidi si sono susseguiti a catena e sono tutti ancora da chiarire.»
«Questi delitti sono tutti collegati tra di loro, gliel’ho già spiegato altre volte procuratore!» ribadì accampando qualche giustificazione.
«È quello che penso anch’io, ma voglio le prove. Comunque, da oggi, il caso a al Comando dei carabinieri e sarà il tenente Claudio Lo Bello in persona ad interessarsene.»
«Mi dia un’altra opportunità, non se ne pentirà!»
«Mi dispiace commissario, ha già avuto a disposizione tanto tempo. La decisione
è presa» terminò con freddezza.
Terminato il colloquio telefonico D’Ambrosio, preso dallo sconforto, accese una sigaretta ed incominciò a scalpitare lungo la stanza, in preda a pensieri ossessivi. Il tenente Lo Bello gli chiese subito un appuntamento con il fine di farsi consegnare tutto il materiale raccolto fino a quel momento. I due s’incontrarono il mattino seguente al Commissariato:
«Questo è l’ultimo fascicolo tenente!»
«La ringrazio commissario. Spero di poter contare su di lei per eventuali chiarimenti!»
«Sono a sua disposizione!»
Così Lo Bello, presosi la valigetta contenente il tutto, si congedò. Nonostante la revoca del caso, D’Ambrosio continuò a far pedinare la vedova da alcuni suoi agenti in incognito, che si appostavano a turno presso l’abitazione della donna e la seguivano dappertutto. Trascorsi due giorni, uno di loro, l’agente Rizzelli, telefonò al commissario nella tarda mattinata per aggiornarlo:
«Il tenente Lo Bello è appena entrato in casa della vedova con altri due carabinieri!»
«È normale! Non mi stupisce per niente la sua visita, in fondo, sta eseguendo solo il suo dovere. Mi tenga informato!»
«Stia tranquillo commissario!»
Finito il colloquio, D’Ambrosio lasciò il suo ufficio e, con l’auto di servizio, si recò nei pressi della banca distrutta ed ancora contornata da macerie. Parcheggiò la vettura lì di fronte in divieto di sosta, abbassò il finestrino e cominciò a scrutare i resti carbonizzati dell’edificio. Si accese una sigaretta e mentre il fumo svolazzava via dal finestrino, sospinto da una leggera brezza, i tiepidi raggi del sole lo assopivano. Cinque minuti dopo, ritornò al Commissariato. Giunto nel suo ufficio, si preparò un caffè e restando in piedi, si appoggiò ai bordi della sua scrivania sorseggiandolo. In quell’istante squillò il suo telefonino. Era il suo agente in incognito:
«Il tenente Lo Bello ed i suoi uomini sono appena usciti dall’abitazione. Mi pare che il loro incontro sia durato poco!» specificò.
«Tutto ciò è molto strano. Non è possibile che il loro colloquio sia già finito.»
«È durato appena un quarto d’ora» ribadì.
«C’è qualcosa che non mi convince!»
«Allude a qualcosa in particolare?»
«No! Comunque, si ricordi di tenere gli occhi spalancati e di aggiornarmi.»
La stranezza del breve incontro tra il tenente e la vedova non era infondata. Infatti, uno dei due carabinieri che accompagnavano il tenente, prima di entrare nell’abitazione della donna, notò un uomo in piedi, appoggiato allo sportello della sua auto, a debita distanza, intento a fotografarli manipolando il telefonino. Sulle prime, il militare non diede peso alla questione ma, ben presto, informò gli altri di ciò che aveva fortuitamente notato. Il tenente chiese alla donna di avvicinarsi alla finestra ed osservare quell’uomo. Lei, dopo attimi di esitazione, rispose che lo aveva già notato altre volte, ma senza alcun allarmismo. Continuarono ad osservare il misterioso tipo ancora per qualche minuto, dopodiché, Lo Bello decise di uscire dalla casa con i suoi militari. Fingendo di andar via, il tenente controllò più da vicino il misterioso uomo e rilevò la targa della sua auto. Costui, guardingo, rimase lì appostato per un’altra ora e poi se ne andò. Nello stesso tempo, Lo Bello si mise in contatto telefonico con la sua caserma chiedendo un controllo della targa rilevata. L’auto risultò intestata a una donna, Giovanna Cappilli, cioè, la moglie del poliziotto in incognito. I militari ritornarono a casa di Anna, ignari del fatto, che quell’uomo fosse un agente di polizia. Costui, finito il suo turno, se ne andò. L’agente che lo sostituì, però, evidentemente più furbo usò una tattica differente. Uscì dall’auto ed entrò nel bar “Colombo”, situato lì di fronte, con l’alibi di prendere un caffè ma con l’intento di controllare senza farsi vedere, il portone della solita abitazione. L’agente, infatti, notò i tre militari entrare nella casa della donna ma, per il momento, decise di non rivelare nulla al commissario. In quello stesso momento, il tenente Lo Bello ed i suoi uomini, si accomodarono in salotto sul morbido divano bianco, mentre lei si recò in cucina a preparare il caffè.
«Posso dare un’occhiata da vicino a questo dipinto?» sibilò uno dei militari.
«Certamente!» echeggiò Anna, dalla cucina.
Il militare incominciò a scrutare da vicino il quadro e contemporaneamente gettò una serie di rapide occhiate un po’ dappertutto. In pochi istanti, l’uomo dispose una microspia sotto l’intelaiatura del tavolo situato al centro della stanza,
ricoperto da una preziosa tovaglia lavorata a mano e su cui giaceva una ciotola colma di cioccolatini. Il militare riprese ad osservare il dipinto e, in quel mentre, la donna fece il suo ingresso nel salotto, servendo il caffè su un vassoio d’argento contenente quattro tazzine fumanti dal profumo inebriante. Poco dopo ebbe inizio l’interrogatorio. Il tenente, dapprima informò la donna che le indagini erano state revocate al commissario per scarso rendimento ed affidate a lui. In seguito cercò di ricostruire gli accadimenti, partendo dall’attentato alla banca, fino ai successivi omicidi:
«Dov’era lei al momento dell’esplosione?»
«Ero qui, a casa mia» rispose pacatamente.
«Ha mai notato qualcosa di strano negli atteggiamenti del suo defunto marito? Ovviamente, mi riferisco al periodo antecedente l’attentato.»
«Assolutamente no. Mio marito non lo vedevo per quasi tutto il giorno. La sua sede di lavoro, come ben sa, era un po’ distante e doveva fare il pendolare. La sera quando rincasava era spesso stremato.»
«Le parlava mai del suo lavoro?»
«Lo faceva di rado e senza dettagliare. Tuttavia, amava la sua professione ed anche se comportava dei sacrifici, ne era soddisfatto.»
Il tenente, intanto, si appuntava le risposte della vedova su un blocco note. Era
assai concentrato e rigoroso. ò alla domanda successiva:
«Che rapporto aveva lei con Lucio?»
«Era un buon amico di famiglia e ha continuato ad esserlo anche dopo la dipartita di mio marito.»
«Lei conosceva Elsa Chiarello?»
«Certo. Conoscevo tutti gli impiegati della banca. Il mio defunto coniuge era il direttore ed ogni tanto andavo a trovarlo sul posto di lavoro.»
«Che rapporto aveva suo marito con questa donna?»
Anna scosse il capo, sospirò lentamente e poi rispose:
«A cosa sta alludendo tenente? Quando lui era vivo, Elsa era ufficialmente fidanzata con Lucio» spiegò.
«Sì, questo lo sapevo. Non me ne voglia, ma io, devo prendere in considerazione tutte le possibilità!»
«Lei sta cercando di insinuare che mio marito ed Elsa Chiarello erano complici
nell’attentato? Che cosa le salta in mente?»
«La prego di rispondere alle mie domande senza commenti personali!» ribatté.
La donna, quasi offesa dall’esternazione un po’ arrogante del militare, chinò il capo sbuffando e poi con rammarico soggiunse:
«Capisco che lei debba fare il suo lavoro, ma ritengo che un po’ di rispetto per la memoria di mio marito non guasti!»
«Non è una mancanza di rispetto. Porto avanti il mio lavoro per cercare di avere un quadro esaustivo della situazione» chiarì.
«Ok, mi scusi. iamo alla prossima domanda!»
«Ha mai ascoltato fortuitamente qualche strana telefonata o discussione di suo marito?»
«Assolutamente no. Io escludo a priori che mio marito sia uno dei responsabili dell’attentato. Era una bravissima persona, mi creda!»
«Probabilmente lei ha ragione, ma le apparenze spesso ingannano. Mi duole farglielo notare, ma per i pochi elementi di cui disponiamo, l’unica pista attendibile al momento è suo marito.»
L’interrogatorio proseguì per altri venti minuti, dopodiché, i militari intrapresero la strada del ritorno.
CAPITOLO IX
UN TENENTE RISOLUTO
Il materiale raccolto dal commissario e, consegnato poi al tenente, finì al vaglio della magistratura. Il procuratore, analizzando il tutto, concluse che il defunto direttore poteva essere uno dei complici nell’attentato alla banca anche se con un ruolo più marginale. Ovviamente si trattava di congetture plausibili, lungi dall’accusa reale ata da prove concrete. Nella lista dei sospettati il procuratore aggiunse pure Lucio ed Elsa. Il fatto che questi ultimi erano stati uccisi, rappresentava probabilmente, secondo lui, un ulteriore credito alla teoria della complicità. Ipotizzò una probabile sopravvenuta divergenza tra i complici a causa di screzi, invidie, rancori o solo per dividere il bottino con un numero di persone più ristretto. Giunto in caserma, Lo Bello si rinchiuse nel suo ufficio e cominciò ad analizzare le risposte di Anna confrontandole con il materiale che gli era stato consegnato dal commissario. Lesse tutti i fascicoli ma non riusciva a raccapezzarsi. Da tutte quelle cartacce risultava che il lavoro condotto in precedenza dal commissario era stato alquanto mediocre e dispersivo. Di ciò era convinto anche il procuratore. Il tenente studiò la documentazione per un’altra ora e poi decise di telefonare a D’Ambrosio per chiedergli un appuntamento:
«Carissimo commissario, avrei bisogno gentilmente di un nuovo incontro con lei per chiarimenti riguardanti alcuni fascicoli che mi ha consegnato.»
«Tenente… quegli incartamenti sono abbastanza esaustivi, ci ho lavorato tanto, anche se con scarsi risultati.»
«Non metto in dubbio il suo operato, non mi fraintenda. Ho solo bisogno di alcune delucidazioni.
«Che cosa vuole sapere di preciso?»
«Oggi ho fatto un primo interrogatorio alla moglie del defunto direttore e ci sono vari punti che non riesco a capire!»
«Si spieghi meglio!»
«Credo sia meglio parlarne di persona. Abbia la cortesia di darmi una mano!» insistette.
«Tenente… il caso mi è stato revocato, il procuratore non era soddisfatto del mio lavoro ed ora lei mi chiede di aiutarla?»
«Io la penso in maniera differente. Lei ha lavorato sodo, anche se i risultati non sono stati clamorosi. Potrei non concludere niente anch’io!»
«Grazie per le belle parole ma sono molto amareggiato.»
«È umiliante lo so, però, se mi assisterà in maniera ufficiosa e, se riusciremo a portare tutti i nodi al pettine, le saranno riconosciuti tutti i suoi meriti a prescindere dall’incarico giudiziario.»
«Mi dispiace tenente ma io ormai sono fuori da questo intrigo.»
«Ok, non posso certo costringerla, non insisto più. La saluto e mi scusi per il disturbo!»
La telefonata terminò. Il tenente era scaltro e la sapeva lunga. Cercava di far fronte ad ogni incombenza nel migliore dei modi. Infatti, dopo aver svolto una brevissima indagine sull’auto appostata di fronte alla casa della vedova, appurò che si trattava di un poliziotto in incognito, messo a piantone dal commissario. Era convinto che D’Ambrosio stesse portando avanti le indagini in segreto, nonostante la revoca, per una questione di rivalsa. Due giorni dopo, però, fu il tenente a ricevere una telefonata dal commissario:
«Tenente, ho riflettuto sulla sua proposta e ho deciso di darle una mano. Ovviamente, nessuno deve sapere che sto collaborando con lei!» puntualizzò.
«Le sono molto grato e per il resto stia tranquillo. Se lei è d’accordo, possiamo cenare a casa mia questa sera. Così, staremo lontani da orecchie indiscrete.»
«Io, invece, propongo di andare in un ristorante che conosco e sia ben chiaro che offre il sottoscritto!» ribatté entusiasta.
«A questo punto non posso esonerarmi dall’accettare!» rispose compiaciuto Lo Bello.
Quello stesso giorno, Anna invitò a pranzo nella sua casa un uomo di mezza età, distinto ed abbigliato elegantemente: Ludovico Sgherri. Era un imprenditore di successo e si presentò all’appuntamento con un vistoso mazzo di rose. I due si conoscevano da un po’ e la loro amicizia era cresciuta notevolmente dopo la morte del direttore. Fino a quel momento si erano incontrati saltuariamente e
sempre in qualche locale pubblico. Quando il sig. Sgherri entrò in casa della donna, ovviamente non sfuggì all’occhio attento dell’agente in incognito. Immediatamente, costui telefonò a D’Ambrosio informandolo della novità.
«È appena entrato in casa un uomo con un mazzo di rose. Data l’ora, penso che si tratti di un invito a pranzo» spiegò.
«Mi dia il numero della targa così provvedo a fare subito un controllo!»
«Da questa distanza non riesco a decifrarla. Ha parcheggiato l’auto vicino alla fontana. Si tratta di una Mercedes Classe A. La posso richiamare fra cinque minuti? Così nel frattempo, cercherò di avvicinarmi con cautela!»
«Certamente, ma si muova!»
L’agente scese dall’auto, si portò alle labbra una sigaretta e, dopo averla accesa, con aria disinvolta si avviò lentamente verso la fontana che si ergeva poco distante. Giunto lì, memorizzò la targa del veicolo sul cellulare fingendo una chiamata per depistare eventuali osservatori e con altrettanta disinvoltura, tornò nella sua auto. Come d’accordo, telefonò di nuovo al commissario e gli comunicò il numero della targa. D’Ambrosio in quel momento si trovava al Commissariato. Riuscì così a risalire al proprietario del veicolo, il cui nome coincideva con quello che Lucio vide comparire sullo strano cellulare di Anna, poco tempo prima. Il commissario ignorava la tresca amorosa ma nutriva comunque dei sospetti nei confronti della donna e, a quel punto, ebbe la conferma. La vedova era poco affidabile, aveva tradito il marito tante volte quando era in vita e non riusciva a trovare una stabilità sentimentale o forse era poco propensa alle unioni durature. Si stancava facilmente dello stesso uomo e, dopo un po’, il gusto della trasgressione, prendeva il sopravvento sui sentimenti, divenendo facile preda della sua ione libidinosa. Gli uomini che la
frequentavano, invece, spesso s’innamoravano perdutamente e poi soffrivano, come accadde proprio al commissario D’Ambrosio. Le ombre della sera calarono fitte. Lo Bello e D’Ambrosio si ritrovarono nei pressi del Commissariato. Da lì, con l’auto del tenente si avviarono verso il rinomato ristorante per la cena. Dopo mezz’ora, giunsero sul posto, entrarono nella pregevole struttura e si sedettero ad un tavolo apparecchiato elegantemente in fondo alla sala. Poco dopo si avvicinò una cameriera dall’aspetto raffinato:
«Buonasera signori e benvenuti! Spero che il posto sia di vostro gradimento. Ecco a voi il menù. Rio tra cinque minuti per l’ordinazione.»
«Perfetto! Grazie!» rispose il tenente.
La donna si allontanò e mentre i due osservavano i menù, il commissario fece un’osservazione:
«Se per lei non è un problema, possiamo darci del “tu”, ci sentiremo più a nostro agio!»
«Certamente! Stavo per farti la stessa proposta.»
I due, ripresero a leggere i menù ma sembravano molto indecisi sui piatti da ordinare. La grande varietà dei cibi a disposizione era assai invitante ma la fame faceva il suo corso. Senza perdere tempo ulteriormente, entrambi decisero: Lo Bello ordinò un piatto di penne all’arrabbiata ed una fiorentina, mentre D’Ambrosio, che era un amante del pesce, ordinò un piatto di ostriche ed insalata di mare. I due cominciarono dapprima a toccare futili discorsi e poi entrarono nel vivo della questione che li aveva accomunati quella sera. Parlarono
della vedova, del famoso bracciale rinvenuto dalle macerie, di Lucio e di Elsa Chiarello, del defunto direttore e di tutto ciò che era collegato direttamente o indirettamente alla banca. Il commissario, però, non volle scoprire del tutto le sue carte e non rivelò nulla riguardo ai suoi agenti in incognito collocati a turno vicino all’abitazione della vedova. Il tenente, che era già a conoscenza di ciò, finse di non sapere nulla e decise di giocare a carte coperte anche lui. L’uomo, consapevole che D’Ambrosio nascondesse qualcosa, portò avanti la sua commedia, per vedere fino a che punto sarebbero arrivate le sue menzogne e soprattutto per capirne il motivo. Terminata la cena, Lo Bello esclamò:
«Che ne diresti di una rilassante eggiata in questi meravigliosi giardini?»
«È un’ottima idea!» rispose bevendo l’ultimo sorso di vino.
Pagato il conto, i due s’incamminarono lungo i viali alberati in cui si ergeva il ristorante e ben presto si sedettero ad una panchina. Lo Bello prese in mano alcuni fascicoli consegnati dallo stesso D’Ambrosio e chiese spiegazioni circa alcuni dettagli poco chiari, cercando di scoprire nuovi indizi, secondo lui, volutamente occultati dal commissario. I due chiacchieravano nella penombra del chiarore lunare, quando ad un tratto si udì un fruscio seguito da un miagolio acuto. Entrambi si voltarono:
«Era solo un gatto!» borbottò il tenente.
Pochi minuti dopo, i due intrapresero la strada del ritorno e si congedarono.
Il giorno dopo, D’Ambrosio ordinò ai suoi agenti di sospendere la sorveglianza alla vedova. Il tenente, che intanto aveva ordinato ai suoi uomini, di tenere a
bada quegli strani individui appostati di fronte alla casa di Anna, ebbe l’ulteriore conferma che si trattava di agenti capitanati dal commissario. Nella tarda mattinata del giorno seguente, costui, si recò a casa della vedova, suonò il citofono ma lei non aprì. La donna era in casa con il suo nuovo compagno che, parcheggiando l’auto in quei paraggi, destò l’attenzione di D’Ambrosio. L’uomo tentò di chiamare Anna al cellulare ma risultava irraggiungibile. In seguito, si appostò con la vettura in un punto strategico dell’isolato, per controllare la dimora della donna. Seduto nella macchina con il finestrino aperto e lo sguardo inebetito, aveva in mano un pacchetto di sigarette e cercava di resistere all’immane tentazione di fumare. Ma la noia ebbe il sopravvento. Poco dopo, dal finestrino della sua auto, una cortina di fumo incominciò a levarsi nell’aria. Stava soffrendo, si era innamorato della vedova ed il solo sospetto che un altro uomo in quel momento fosse con lei, lo faceva impazzire. Fumata la sigaretta, se ne accese un’altra ma la gettò all’istante: la porta d’ingresso dell’abitazione, si aprì lentamente e sull’uscio apparve lei, abbigliata elegantemente, gonna corta, calze nere e sorriso smagliante. L’uomo scambiò ancora qualche parola con Anna, le diede un bacio e se ne andò. Indeciso sul da farsi, il commissario restò lì a rimuginare vaghi pensieri per altri dieci minuti, dopodiché, sceso dall’auto, si avviò verso la casa della donna. Mentre stava per suonare il citofono, la porta si aprì ancora ed apparve di nuovo lei, intenta ad uscire. Lo sguardo dei due s’incrociò ed il silenzio ebbe il sopravvento per alcuni istanti. Poi, Anna, con un leggero tremito della voce farfugliò:
«Che ci fai qui?»
«Chi era quell’uomo?» domandò rabbioso.
«Non sono tenuta a darti spiegazioni. La gelosia è una brutta bestia!»
Il commissario, con gli occhi lucidi e tracotanti di rabbia, riformulò la domanda:
«Ti ho chiesto chi era quell’uomo!»
«Rilassati per favore! L’ho fatto con te qualche volta, ma non per questo devo darti conto di tutta la mia vita!» puntualizzò infastidita.
«Sei diventata pure insolente!» ribatté.
La donna non rispose più e se ne andò. Poco dopo, lui si avviò verso la strada del ritorno. Aveva dentro una rabbia incontenibile, viaggiava ad alta velocità noncurante dei limiti imposti dal codice stradale. Sori azzardati si susseguirono, il volume della musica all’interno del veicolo era assordante. L’indicatore della velocità toccò i 180 chilometri orari, quando, all’improvviso, sentì la vibrazione del suo cellulare custodito nel taschino interno della giacca. Con la mano destra afferrò il telefonino e, nel medesimo istante, un’altra autovettura cercò di sorarlo. Un sasso che giaceva sull’asfalto gli fece perdere il controllo dell’auto. Così, dapprima urtò la vettura in fase di soro e, in seguito, perso ormai il controllo del mezzo, si schiantò contro lo spartitraffico, sfondandolo ed invadendo anche una parte della corsia opposta. Per fortuna, in quel momento non transitavano altri veicoli nelle vicinanze, altrimenti l’incidente avrebbe coinvolto anche altri conducenti. L’auto che tentò di sorare D’Ambrosio riuscì a mantenere il controllo e si fermò 200 metri più avanti, mentre quella del commissario giaceva capovolta ed incastonata tra lo spartitraffico. Il conducente dell’altro veicolo, scioccato, si avvicinò di pochi metri e con immediatezza chiamò i soccorsi, usando il telefonino. Avrebbe voluto avvicinarsi di più alla vittima ma preferì non rischiare. L’auto capovolta poteva anche esplodere da un momento all’altro. A distanza di pochi minuti si fermarono sul posto altri automobilisti di aggio, spinti un po’ dalla curiosità ed un po’ dalla reale volontà di rendersi utili. Dal paese più vicino, giunsero sul posto due ambulanze ed alcune pattuglie dei carabinieri e della polizia. Per recuperare il corpo del commissario incastonato nelle lamiere contorte, fu necessario l’intervento dei vigili del fuoco. I sanitari accertarono che la vittima era ancora viva e fu trasportata d’urgenza in ospedale. La corsa durò circa quindici minuti. Giunto lì in stato comatoso, D’Ambrosio fu sottoposto ad una
tac e successivamente a tutta una serie di altri esami medici. Fu ricoverato nel reparto di Rianimazione con fratture multiple e trauma cranico. Nel frattempo, i carabinieri giunti sul posto e guidati dal maresciallo Luigi Schiavone, trovarono nel cruscotto dell’auto accidentata la patente di D’Ambrosio e non fu difficile identificare la vittima. Gli stessi militari informarono telefonicamente il Commissariato dell’accaduto. Ben presto la notizia giunse anche al tenente Lo Bello ed al procuratore. I carabinieri della zona cercarono di ricostruire la dinamica dell’incidente. L’auto accidentata fu sottoposta alle dovute perizie e grazie anche alla testimonianza del sig. Federico Costello, responsabile del soro, non fu difficile ricostruire il tutto. Questi non poté negare l’alta velocità perché la lancetta dell’auto accidentata era bloccata a 180 chilometri orari. Entrambi i conducenti avevano superato notevolmente il limite imposto dal codice stradale. L’uomo, interrogato dai carabinieri, raccontò l’accaduto spiegando bene quali erano state le sue colpe:
«Maresciallo, io avevo fretta di rientrare a casa per un sopraggiunto grave problema familiare e tentai un regolare soro.»
«E lei lo chiama “un regolare soro”? Ha superato il limite di velocità di quasi 50 chilometri orari, si rende conto?»
«Non lo nego ma questa è la mia unica colpa!»
«E le sembra poco? Se il commissario dovesse morire, si potrebbe profilare per lei, l’accusa di omicidio colposo. Non so se ho reso bene l’idea!» specificò.
L’uomo scuro in volto chinò il capo e sospirò. Aveva paura, sembrava quasi che stesse perdendo conoscenza, allorché, il maresciallo Schiavone gli appoggiò una mano sulla spalla destra e gli chiese:
«Si sente bene? Vuole un bicchiere d’acqua?»
«No grazie, vorrei solo tornarmene a casa. Mio padre è stato ricoverato in gravi condizioni!»
«Mi dispiace, ma questo non giustifica l’alta velocità!»
«Sono ancora sotto shock per l’incidente. Vorrei fare una telefonata ma ho finito il credito della mia scheda telefonica.»
«Usi pure il nostro apparecchio e sappia che ha il diritto di essere assistito da un avvocato!» concluse il carabiniere.
L’uomo prese in mano la cornetta e compose il numero di suo fratello, il quale lo informò che il padre aveva avuto un infarto e che, al momento, si trovava ricoverato in Rianimazione. Lui, a sua volta, informò il fratello dell’incresciosa vicenda in cui era rimasto coinvolto. Terminato il breve colloquio, chiamò il suo avvocato di fiducia, il dott. Agostino Francavilla, il quale si precipitò subito al Comando dei carabinieri. Nel giro di una mezz’ora, il sig. Costello fu libero di tornarsene a casa, date le condizioni apprensive in cui versava ma con la preghiera di rendersi al più presto disponibile per completare l’interrogatorio. Trascorsi due giorni, fu convocato di nuovo dai carabinieri e lui si presentò con il suo legale:
«Sig. Costello, qui servono chiarimenti riguardo alla dinamica dell’incidente» esordì il maresciallo.
«Cercate di non affaticare troppo il mio cliente!» rispose l’avvocato.
«Senta… capisco che lei debba fare il suo mestiere, ma non esageri. Si tratta solo di fargli qualche domanda rispettando i crismi della legalità» replicò Schiavone.
L’interrogatorio cominciò e l’uomo rispose tranquillamente alle varie domande senza tralasciare alcun dettaglio, mentre un brigadiere metteva tutto a verbale. Il sig. Costello dichiarò che quel giorno si trovava ad una riunione importante di lavoro e che, informato della triste notizia riguardante suo padre, decise di tornarsene in anticipo. Questa era la giustificazione data dall’uomo, per avere infranto il codice stradale superando il limite di velocità imposto. Era assai preoccupato per il padre e non vedeva l’ora di arrivare in ospedale. A quel punto prese la parola ancora l’avvocato:
«Come si evince dalle attendibili dichiarazioni del mio cliente, l’infrazione commessa è giustificata dallo stato d’animo in cui versava!»
Il legale sfilò dalla sua valigetta un documento e lo depose sulla scrivania del maresciallo esclamando:
«Ecco… questa è la copia del certificato medico comprovante lo stato di salute del padre, su cui è riportata anche l’ora dell’arrivo al Pronto soccorso!» spiegò.
«Questo pezzo di carta non le servirà a nulla. Capisco lo stato d’animo in cui versava il suo cliente quel giorno, ma non credo che basti a giustificare l’alta velocità.»
«Questo non spetta a lei stabilirlo!»
«Avvocato, non c’è dato ancora di sapere il motivo per cui il commissario corresse tanto ma, nell’augurio che possa riprendersi, spero di interrogarlo al più presto.»
Il legale tacque sfoderando un sorriso malizioso, girò lo sguardo verso il suo cliente sedutogli accanto e poi soggiunse:
«Maresciallo, se l’interrogatorio è finito, accompagno il mio cliente a casa!»
«Vorrei porle solo un’ultima domanda!»
«Prego!»
«Lei, sig. Costello, ha dichiarato che durante il soro ha notato il commissario con il cellulare in mano, vero?»
«Sì, lo stringeva nella mano ma lontano dall’orecchio. Probabilmente doveva ancora digitare il numero o stava rispondendo ad una chiamata» chiarì.
«Infatti, la sua versione dei fatti coincide con quello che abbiamo scoperto.»
«Potrebbe essere più esplicito per favore?»
«Il cellulare del commissario è stato sequestrato e periziato. Abbiamo trovato sul display una chiamata il cui orario coincide quasi con quello dell’incidente!» soggiunse meticoloso.
L’avvocato prese di nuovo la parola:
«Ciò vuol significare che ci sono altri elementi da chiarire in questa intricata faccenda!»
«Se il suo cliente non avesse compiuto quel soro azzardato, superando il limite di velocità consentito dalla legge, probabilmente non sarebbe accaduto nulla!» insistette.
«Maresciallo, non si può attribuire la colpa solo al mio cliente. Se il commissario non avesse manipolato il cellulare, distraendosi dalla guida, il soro probabilmente, sarebbe andato a buon fine, non le pare?» ribadì.
«Può essere, ma le percentuali di colpa saranno stabilite dal giudice.»
«Potrei conoscere il nome della persona che ha eseguito quella chiamata?»
«A conti fatti, non credo abbia molta importanza!»
«Questo lo dice lei! E se dagli esami medici dovesse risultare che il commissario aveva bevuto prima di mettersi alla guida?» ipotizzò.
«In questo caso la dinamica dell’incidente prenderebbe un’altra direzione, ma è tutto da vedere.»
I presenti si lanciarono una serie di sguardi furtivi a vicenda, e nel silenzio generale l’avvocato concluse:
«Penso non ci sia altro da aggiungere. La deposizione del mio cliente è stata abbastanza esaustiva!»
L’avvocato ed il sig. Costello preso commiato dal maresciallo ritornarono a casa.
CAPITOLO X
IL RISVEGLIO DEL COMMISSARIO
Intanto le condizioni di salute del commissario erano stazionarie. Andavano a trovarlo amici e parenti, gli agenti che lavoravano con lui ed il tenente Lo Bello. Una sola persona non si era ancora vista in ospedale, nonostante fosse a conoscenza dell’accaduto: la vedova. Difatti, era stata proprio lei a chiamare D’Ambrosio al cellulare poco prima dello schianto. Il maresciallo le aveva telefonato un’ora dopo l’incidente ed Anna gli parlò del diverbio avuto con il commissario e aggiunse di averlo, poi, chiamato al telefonino per cercare un chiarimento. La donna rivelò anche, che lui non rispose alla chiamata. La visita di Anna in ospedale, però, non tardò ad arrivare e nella mattinata del giorno seguente, giunse nel reparto. I suoi occhi, nel vedere il commissario in quelle condizioni, s’inumidirono, sembrava che una lacrima stesse per cadere ma non era abituata a piangere, non l’aveva fatto neanche dinanzi alla salma del defunto marito. Tutti si chiesero chi fosse quella donna, nessuno la conosceva tra i parenti della vittima. Intanto, cominciò una battaglia legale tra le assicurazioni delle auto coinvolte nell’incidente. In fin dei conti il maresciallo aveva ragione a sostenere che ci sarebbe stato un concorso di colpa, per il semplice motivo che entrambi i conducenti avevano commesso delle gravi infrazioni. Lo Bello, intanto, portava avanti le sue indagini riguardanti la catena di omicidi e l’attentato alla banca. Un giorno fu convocato dal procuratore che voleva essere aggiornato sui nuovi sviluppi. Il tenente aveva fatto dei piccoli i avanti, ma la verità era ancora lontana.
«Non bisogna demordere!» esordì ligio il procuratore.
«Stia tranquillo dottore! Tutto ciò che è nelle nostre possibilità, sarà fatto. Il tempo ci ripagherà e la verità verrà fuori!» ribatté ottimista.
«Bene, mi piace il suo ottimismo. Quest’atroce catena di delitti deve finire»
concluse.
Lo Bello lasciò al procuratore una copia di alcuni documenti importanti e, terminato il breve colloquio, si congedò. arono due giorni ed il tenente si recò ancora a casa della vedova per un secondo colloquio. La donna era in procinto di andare a fare la spesa:
«Mi scusi tenente, io sto per uscire. Non poteva avvisarmi del suo arrivo?» si lamentò.
«Ha ragione signora, le chiedo scusa, non volevo essere invadente. Avrei bisogno di farle qualche domanda ma, se ha già altri impegni, ritorno un’altra volta.»
La donna indecisa sul da farsi, scosse il capo, guardò l’orologio, ci pensò per alcuni istanti, e poi replicò:
«Va bene, si accomodi. Stavo andando a fare delle compere ma non è poi così urgente.»
I due entrarono in casa e si adagiarono sul divano.
«Che cosa le posso offrire?» domandò lei.
«Lasci perdere, la ringrazio lo stesso. Non voglio rubarle molto tempo. Lei ha
saputo di quanto è accaduto al commissario D’Ambrosio vero?»
«Sì e mi dispiace molto per lui. In fondo è una brava persona e spero con tutto il cuore che si riprenda al più presto.»
«Lei è andata a trovarlo in ospedale?»
«Sì, ma non ho resistito per molto. Non mi ha fatto un bell’effetto vederlo in quelle condizioni e poi da una parte mi sento anche un po’ colpevole per quanto gli è successo» borbottò, lasciando trapelare un po’ d’amarezza.
«E per quale motivo si sente colpevole?»
«Tenente, quella telefonata poco prima dello schianto, sono stata io a farla!» precisò.
«E con questo? Le sembra un buon motivo per sentirsi in colpa? Sono stati i due conducenti a commettere delle gravi infrazioni!»
«D’accordo, ma se io non avessi eseguito quella chiamata, probabilmente non sarebbe accaduto nulla.»
«Può darsi ma non è detto!»
La donna dallo sguardo incupito, si ò una mano tra i capelli e poi dichiarò:
«Era venuto a trovarmi per non so quale motivo ed abbiamo litigato.»
«Non è un buon motivo per sentirsi in colpa. Se non sono indiscreto, signora, posso chiederle che tipo di rapporto ha con il commissario?»
Anna fissò negli occhi il tenente, sembrava infastidita dalla domanda un po’ indiscreta e dopo qualche attimo replicò:
«Non le pare che questi siano fatti personali tenente?»
«Mi perdoni signora ma la sua risposta potrebbe essere importante per il buon esito delle indagini. La prego gentilmente di rispondere!» insistette.
Anna un po’ seccata, sulle prime, non rispose, sembrava volesse interrompere il colloquio, ma dopo avere esitato, dichiarò:
«Quell’uomo si è preso una cotta per me. Io, invece, l’ho sempre considerato un buon amico e niente di più» specificò.
«L’avevo intuito! Lui, non veniva a trovarla qui in veste di poliziotto!»
«Inizialmente veniva per interrogarmi, aveva a cuore le indagini ma con il tempo è cambiato.»
Lo Bello rifletteva sulle risposte della donna, cominciava a vederci più chiaro e proseguì con le domande:
«Lei mi saprebbe dire se il commissario ha avuto problemi sentimentali anche con la defunta Elsa Chiarello?»
«Lo escludo a priori. Elsa era ufficialmente fidanzata con Lucio» chiarì.
«Bene, la ringrazio per la sua disponibilità e mi perdoni ancora per il disturbo» concluse.
Il tenente salutò la donna ed intraprese la strada del ritorno, soddisfatto delle risposte ottenute. Le inchieste avanzavano, anche se a piccoli i. Due giorni dopo, la sig.ra Stella Malerbo, madre del commissario, mentre era intenta a cucinare, ricevette una telefonata dall’ospedale:
«Pronto? Parlo con la sig.ra Malerbo?»
«Sì, sono io!»
«Sono il dott. Alessio e chiamo dall’ospedale. Signora, suo figlio è uscito dal coma!»
La donna lanciò un urlo di gioia, il fiato le mancò per alcuni istanti e, quasi lacrimando, ringraziò il medico:
«Sia lodato il Signore! Le mie preghiere sono state esaudite. La ringrazio dottore, oggi è un grande giorno per noi!»
«È ancora molto debole e probabilmente dovremo sottoporlo ad un intervento chirurgico alla scapola sinistra, ma per il resto le sue condizioni sono migliorate» affermò con ottimismo.
«Sono ansiosa di vederlo!»
«D’accordo, ma cercate di non affaticarlo, le visite dovranno essere molto brevi.»
«Non si preoccupi dottore, ci atterremo alle sue disposizioni!»
La telefonata terminò. La donna era al settimo cielo e ne aveva tutte le ragioni. Suo figlio aveva lottato con la morte per alcuni giorni ma ne era uscito vincitore. Telefonò subito al marito che, in quel momento, non era in casa e lo informò della strabiliante novità. D’Ambrosio fu dimesso da quel reparto e trasferito in quello di Ortopedia. Accusava dolori sparsi in varie parti del corpo e probabilmente era ancora vivo grazie alla cintura di sicurezza del veicolo che aveva attutito notevolmente l’impatto. Quel giorno giunsero in ospedale, numerosi amici, parenti e colleghi di lavoro, ma restarono per poco. Lui ogni tanto apriva lentamente gli occhi e accennava un sorriso. Gli amici gli fecero
qualche domanda ma non rispose. Aveva ancora difficoltà a parlare. In quel momento un medico si avvicinò rimproverando i presenti:
«Signori, per favore, lasciatelo riposare, è ancora molto debole!»
Tutti obbedirono agli ordini del medico e si ritrovarono poi in sala d’attesa. D’Ambrosio era cosciente, consapevole di quanto gli era successo, e ricordava tutto fino al momento dello schianto. Il giorno dopo, di buon mattino, il tenente Lo Bello telefonò al maresciallo incaricato di indagare sull’incidente per chiedergli un appuntamento. Nella tarda mattinata, i due s’incontrarono presso la caserma in cui prestava servizio Schiavone, a pochi chilometri dal luogo dell’incidente:
«Prego tenente, si accomodi! Le posso offrire un caffè?» esordì il maresciallo.
«Grazie, lo accetto volentieri!»
L’uomo si recò al distributore automatico di caffè, situato nel corridoio ed al ritorno, trovò il tenente con un foglio tra le mani.
«Di che si tratta?» domandò incuriosito.
«È una disposizione firmata dal giudice. Il cellulare che avete trovato nell’auto accidentata deve are a noi.» esclamò consegnando il foglio in mano al maresciallo.
Schiavone, visibilmente sorpreso, guardò il foglio e dopo averne letto il contenuto, replicò:
«Lo so che dobbiamo attenerci alle disposizioni del magistrato, ma spero che voglia soddisfare una mia curiosità! Perché questa richiesta?»
«Non posso spiegarle tutto nei dettagli, stiamo conducendo indagini di cui prima si occupava il commissario, abbiamo bisogno di alcuni numeri telefonici salvati nella rubrica di quel telefonino.»
«Capisco! Se attende due minuti, glielo vado a prendere.»
Il maresciallo andò in un’altra stanza che fungeva da deposito, prese il cellulare e ritornò:
«Eccolo!» disse posando il telefonino sulla scrivania.
«Devo firmare, però, una dichiarazione di consegna» precisò.
«Certamente, la prassi è questa!»
Firmato il documento, l’ufficiale notò che il telefonino era spento ed incuriosito domandò:
«L’avete spento voi o si è scaricata la batteria?»
«L’abbiamo spento noi dopo avere appurato di chi era la chiamata che ricevette D’Ambrosio poco prima dello schianto» chiarì.
«Grazie maresciallo, ora devo salutarla, il dovere mi chiama.»
«Arrivederci tenente! In caso di novità, mi metterò in contatto con lei!»
«Ci conto e spero allora di rivederla presto!»
L’ufficiale se ne andò. Nei giorni a venire analizzò il telefonino del commissario. Guardò con attenzione tutti i messaggi ricevuti ed inviati, tutte le chiamate in entrata ed in uscita, verificò l’intestatario della scheda telefonica e per finire, identificò tutti i numeri registrati nella rubrica. Qualcosa non quadrava! Alcuni di quei nomi erano molto strani, non erano reali. Infine, un sms ricevuto il giorno dopo l’incidente, catturò in modo particolare la sua attenzione. Il testo era molto arcaico, quasi in codice, di poche lettere e sottoforma di domanda: “Tlei?” si sforzò di capirne il significato ma fu inutile. Risalì all’intestatario di quel numero e scoprì che il nome era diverso da quello registrato sul telefonino del commissario. Il tenente si chiedeva il perché di tutto questo e i dubbi si accumulavano. I giorni trascorrevano e D’Ambrosio, intanto, migliorava a vista d’occhio. Aveva cominciato a pronunciare qualche parola e guarda caso non tardò a chiedere informazioni riguardo il suo cellulare. Nessuno dei presenti riuscì quel giorno a dargli una risposta. Che cosa nascondeva di tanto importante quel telefonino?
CAPITOLO XI
LA FINE DI UN CRIMINALE
Nel corso di una mattinata, il maresciallo Schiavone si recò in ospedale con l’intenzione di interrogare il fortunato sopravvissuto. Si presentò e chiese di poter parlare con lui da solo. I parenti uscirono dalla stanza ed ebbe inizio l’interrogatorio:
«Come si sente commissario?»
«Beh, devo ritenermi fortunato, poteva andarmi peggio!» balbettò malconcio.
«Meglio così. Ora è solo questione di tempo, sono sicuro che si rimetterà alla grande.»
«Lei è intervenuto sul luogo dell’incidente quel giorno?»
«Sì e gradirei sentire la sua versione dei fatti. Lo so che non le farà piacere rammentare quei momenti, ma vorrei che rispondesse a qualche domanda.»
Il commissario, supino nel letto, sogghignò; aveva il respiro pesante, guardò negli occhi il maresciallo per alcuni istanti e poi rispose:
«Stavo tornando a casa e correvo un po’ troppo, è inutile negarlo.
All’improvviso vidi davanti a me un sasso di media grandezza, sulla stessa traiettoria della mia ruota sinistra. Non ho fatto in tempo ad evitarlo!»
Il maresciallo strabuzzò gli occhi e stupito replicò:
«Come sarebbe a dire? Di quale sasso sta parlando?»
«È andata proprio così! Tutta colpa di quella maledetta pietra!» soggiunse con piglio sicuro.
«È strano, noi in quelle vicinanze non abbiamo trovato nulla!»
«Non è possibile! Quella pietra certamente, è ancora lì. Magari si sarà spostata di alcuni metri dopo l’impatto!»
Il maresciallo avanzò il sospetto che D’Ambrosio non fosse del tutto sincero, e che volesse depistare la verità. Poi capì che bisognava fare un sopralluogo per appurare l’esistenza di quel sasso, perché in tal caso, la versione rilasciata dal commissario avrebbe cambiato le carte in tavola. Schiavone guardò negli occhi il poliziotto e gli chiese:
«Mi scusi, ma è sicuro di ricordare bene?» insistette dubbioso.
«Sono sicurissimo! Grazie a Dio, non ho subito danni neurologici permanenti. L’hanno confermato anche i medici.»
«Non mi fraintenda, non volevo insinuare questo!»
Schiavone, assorto, chinò il capo ed incominciò a torturarsi il cervello con una domanda: perché non ha neanche accennato al soro del sig. Costello ed alla chiamata ricevuta sul cellulare poco prima dello schianto? A quel punto tentò un’altra domanda a bruciapelo:
«Si ricorda se, pochi istanti prima dell’incidente, era da solo nella carreggiata o se si trovavano altre vetture nelle vicinanze?»
D’Ambrosio si portò la mano destra sulla fronte, quasi ad indicare lo sforzo mentale nel cercare di ricordare e poco dopo rammentò:
«Forse un’auto tentò di sorarmi, ma data l’alta velocità non ci riuscì.»
Il commissario fingeva di non ricordare alcuni dettagli per mettere alla prova il maresciallo e poter capire che cosa avevano scoperto, ma soprattutto, voleva sapere che fine avesse fatto il suo telefonino. Difatti, dopo avere esitato, soggiunse:
«Se non ricordo male, presi in mano il telefonino prima dello schianto.»
«Il suo cellulare lo abbiamo trovato a pezzi, non è stato possibile recuperarlo. Abbiamo provveduto solo a bloccare la scheda!» replicò mentendo.
«Ad ogni modo non è stato il cellulare a farmi perdere il controllo dell’auto. La colpa è stata di quel maledetto sasso» insistette.
«Faremo un sopralluogo per cercare di trovare questa pietra criminale.»
L’interrogatorio proseguì per altri cinque minuti, tra futili domande e qualche risatina. Al termine il maresciallo si congedò. Giunto nella sua caserma, si rinchiuse nel suo ufficio e telefonò al tenente Lo Bello:
«Posso disturbarla?»
«Nessun disturbo, mi dica pure!»
«Ho appena avuto un colloquio con D’Ambrosio, ma le sue risposte mi hanno lasciato assai dubbioso.»
«Le dispiace essere più esplicito?»
«Sono andato ad interrogarlo per sentire la sua versione dei fatti e mi ha svelato delle interessanti novità!»
«Di che novità sta parlando?» insistette.
«Ha cercato di nascondermi la manovra del cellulare, attribuendo la colpa dell’incidente ad un sasso che giaceva in mezzo alla carreggiata.»
«Avete già compiuto un sopralluogo per appurare l’esattezza di queste dichiarazioni?»
«Non ancora, sono appena tornato ma ho intenzione di farlo al più presto. Inoltre, all’inizio del colloquio, fingeva di non ricordare il soro!»
«È molto strano il suo comportamento. Il discorso del sasso, però, potrebbe anche essere veritiero.»
«Faremo presto a verificare l’attendibilità delle sue dichiarazioni! Ora la saluto, ho un mucchio di cose da sbrigare.»
«Grazie per le informazioni ed in caso di novità, non esiti a chiamarmi!»
Terminato il colloquio telefonico, il maresciallo e due brigadieri fecero un sopralluogo sul posto dell’incidente. Il sasso di cui parlava D’Ambrosio, fu trovato dallo stesso Schiavone a 20 metri dal punto in cui si schiantò l’auto, sotto lo spartitraffico. I militari scattarono delle foto, misurarono la distanza che intercorreva tra il sasso e la brusca frenata lasciata sull’asfalto dal commissario e, infine, ritornarono in caserma. Le indagini sulla dinamica dell’incidente, a quel punto, cambiarono direzione. Le perizie dimostrarono quello che D’Ambrosio aveva rivelato. Il maresciallo informò il tenente degli ultimi sviluppi, ma persistevano ancora i dubbi sulle bizzarre dichiarazioni del
commissario, soprattutto riguardo al suo cellulare. Costui non lo sapeva che il procuratore aveva disposto il sequestro di quel telefonino. Due giorni dopo, una nuova tragica notizia riempì le prime pagine di tutti i giornali, arrivando persino alle reti televisive nazionali: la vedova era morta e il suo corpo privo di vita fu trovato sull’asfalto a pochi metri dalla sua abitazione. Fu ammazzata con una raffica di mitra in pieno volto da due sinistri figuri di aggio su una moto. Il viso era irriconoscibile e a nulla servirono i soccorsi. Se non fosse stato per i documenti che portava addosso, identificarla sarebbe stato un problema. Ben presto, la notizia arrivò anche al tenente Lo Bello ed al maresciallo Schiavone. L’interminabile catena di omicidi continuava. Un altro delitto era stato compiuto da misteriosi criminali. Il funerale della vedova venne celebrato due giorni dopo. La piazza era gremita di gente ed il cielo terso minacciava rovesci. Durante le esequie, cominciò a cadere una pioggia sottile e leggera. Nonostante ciò, nessuno andò via. Tutti restarono per dare l’ultimo saluto alla donna. Mancava solo una persona: il commissario D’Ambrosio, ancora ricoverato in ospedale ed informato dell’accaduto dal tenente Lo Bello. Di fronte alla drammatica notizia, l’uomo reagì con freddezza e cercò di soprassedere. Intanto i giorni avano e le sue condizioni di salute miglioravano ulteriormente. Ripresosi sufficientemente dal coma, fu sottoposto all’intervento chirurgico di cui si parlava e nel giro di dieci giorni fu dimesso dall’ospedale. Per migliorare il funzionamento degli arti, si sottopose a varie sedute di fisioterapia. Amici, parenti e colleghi di lavoro andavano spesso a trovarlo a casa portandogli affetto e solidarietà. Nonostante fosse stato miracolato, era assorto nei suoi pensieri e spesso appariva preoccupato. Un giorno navigando su internet, acquistò da un’agenzia turistica un biglietto aereo per Lisbona. Era ancora convalescente e non poteva certo partire. Aveva intenzione di viaggiare senza che i suoi anziani genitori sapessero nulla. Si accordò con un amico di famiglia, il quale un pomeriggio, invitò nella sua abitazione i familiari del commissario con la banale scusa di un caffè. Nel frattempo, D’Ambrosio, lasciò la sua casa portandosi appresso una sola valigia e si fece accompagnare all’aeroporto da un taxi. Sembrava una vera e propria fuga. Poco dopo accadde l’inverosimile: l’auto percorse poche centinaia di metri e giunta in prossimità di piazza Maggiore, fu circondata e bloccata da sei volanti dei carabinieri. I militari armati di mitra e giubbotti antiproiettili scesero velocemente dalle loro vetture e circondarono il taxi, sul cui sedile posteriore giaceva anelante D’Ambrosio. Una voce minacciosa si levò nell’aria:
«Scenda subito con le mani dietro la nuca!» Era il tenente Lo Bello, che per agevolarlo gli aprì anche la portiera.
Il commissario, disarmato, obbedì senza opporre resistenza, guardò negli occhi il tenente e, con un malizioso sorriso, mormorò:
«Complimenti! Ha fatto un ottimo lavoro ma se non fosse stato per quel telefonino, non sarebbe arrivato da nessuna parte. Un sasso… una maledettissima pietra, che mi ha rovinato la vita» precisò cercando di nascondere la rabbia.
L’ufficiale, freddo e imibile, lo osservò per alcuni istanti e poi soggiunse:
«Commissario, lei è in arresto per occultamento di prove, per l’attentato alla banca e per tutti gli omicidi che si sono susseguiti. In particolare, dovrà rispondere dell’uccisione del direttore, di sua moglie, di Elsa Chiarello e di Lucio. Tutto quello che dirà, potrà essere usato contro di lei in tribunale!» concluse severo il tenente.
Fu ammanettato e trasportato nel carcere più vicino in attesa del processo. L’amore non corrisposto per una donna fu il fattore scatenante: il grande trasporto che D’Ambrosio provava per la vedova, una bellissima signora di cinquant’anni, economicamente benestante. Poco propensa alla fedeltà coniugale, veniva corteggiata da tanti uomini e le piaceva fondamentalmente divertirsi. Alcuni uomini se ne innamoravano e poi soffrivano, altri no. Lo stesso D’Ambrosio si lasciò coinvolgere profondamente. Cominciò a corteggiare la donna, molto prima dell’attentato alla banca ma con scarsi risultati. In combutta con altre cinque persone e facendo leva sulla sua autorità professionale, organizzò con precisione il sinistro piano, con il duplice fine di ammazzare il direttore e depredare il bottino. Qualcosa, però, non andò per il verso giusto ed il
direttore scampò al primo attentato. Fu lo stesso commissario con un suo complice travestito da poliziotto a disporre in banca l’ordigno esplosivo. Difatti, qualche ora prima dell’esplosione, durante l’orario di servizio, D’Ambrosio ed il suo socio, entrarono in banca come normali clienti. Informarono il direttore che un anonimo aveva fatto sapere alla polizia di una possibile bomba nascosta da qualche parte e che, pertanto, bisognava eseguire un controllo. Con grande capacità recitativa, il commissario pregò il direttore di non scatenare il panico tra i presenti e gli ordinò di tenersi pronto a farli evacuare, nel caso l’allarme fosse stato veritiero. Fu durante questa fase che i due uomini con estrema disinvoltura, collocarono nello scantinato dell’edificio, due grossi pacchi contenenti tritolo. Sbagliarono, però, a calcolare l’orario in cui dovevano farli esplodere ed il direttore si salvò perché in quel momento non si trovava in banca. Fingendo di seguire delle indagini, il commissario non faceva altro che insabbiare tutto, falsificando verbali, rapporti della scientifica ed ogni tipo di documento compromettente. Il famoso bracciale, estratto dalle macerie, era del suo complice che l’aveva perduto durante il collocamento degli ordigni esplosivi, ma nessuno riuscì a risalire al legittimo proprietario. Ogni volta che D’Ambrosio ordinava un delitto, i suoi complici lo eseguivano senza lasciare tracce. Così, fece ammazzare il direttore, pensando di poter avere più spazio con la futura vedova. In seguito, ordinò l’assassinio di Lucio, appena seppe che costui aveva intrapreso una relazione con la medesima donna. Ordinò l’uccisione anche di Elsa Chiarello, perché la riteneva pericolosa e sospettava che fosse a conoscenza di qualche indizio compromettente. Dopo l’ultimo incontro con la vedova, prima dell’incidente, inviò un sms in codice ad un suo complice, che per lui si rivelò fatale. Tale messaggio fu letto prima dal maresciallo Schiavone ed in seguito dal tenente Lo Bello, che da qualche tempo nutriva molti dubbi circa l’affidabilità del commissario, ritenendolo colluso con qualche associazione criminale. Il tenente, infatti, mise alla prova D’Ambrosio chiedendo il suo aiuto e non si lasciò sfuggire l’occasione di approfondire l’inchiesta sul suo telefonino, fino a circuire del tutto l’uomo con tutti i crismidella legalità. Il suo impegno profuso alacremente portò ai risultati sperati e, nonostante le ostilità iniziali, le indagini fluirono verso un assetto circostanziato e definitivo. Le prove raccolte erano ineluttabili, anche nei confronti degli altri cinque criminali. Su disposizione del procuratore, Lo Bello identificò tutti gli intestatari dei numeri registrati nel cellulare del commissario. Cinque di loro avevano già dei precedenti penali, svolgevano una vita fatta di gioco d’azzardo e spaccio di sostanze stupefacenti. Il tenente li fece pedinare ventiquattro ore al giorno da alcuni carabinieri in incognito e mise sotto controllo i loro telefonini. Così, grazie anche a varie intercettazioni telefoniche furono incastrati. Il giorno dopo l’arresto del
commissario, nella tarda mattinata, una squadra armata di carabinieri, capitanata dal tenente Lo Bello, fece irruzione in un’affollata sala giochi del centro: i cinque malviventi collaboratori del commissario erano tutti lì, appartati ed intenti a decidere il da farsi. Tra lo stupore dei presenti, furono ammanettati e portati via. Il processo che li vedeva imputati non tardò ad iniziare. Dopo alcune udienze, furono condannati tutti all’ergastolo. L’assicurazione del commissario, pagò il danno causato all’auto del sig. Costello durante il famoso soro. A distanza di pochi mesi, l’edificio bancario fu ricostruito e riprese a funzionare. La condotta riprovevole del commissario suscitò molto scalpore. Tutti i giornali e le tv ne parlarono assai. Il tenente Lo Bello fu elogiato dall’intera nazione ma, senza nulla togliere al suo operato, questo caso lo avrebbe risolto senza il fondamentale contributo di quella pietra?
INDICE
CAPITOLO I
ATTENTATO ALLA BANCA
CAPITOLO II
Il BRACCIALE MISTERIOSO
CAPITOLO III
LE INCHIESTE DEL COMMISSARIO
CAPITOLO IV
IL RISVEGLIO DI ELSA
CAPITOLO V
OMICIDIO IN VIA CRISTINO
CAPITOLO VI
LA VEDOVA ED IL COMMISSARIO
CAPITOLO VII
DELITTO IN CASA
CAPITOLO VIII
UNA FINE SCONCERTANTE
CAPITOLO IX
UN TENENTE RISOLUTO
CAPITOLO X
IL RISVEGLIO DEL COMMISSARIO
CAPITOLO XI
LA FINE DI UN CRIMINALE