BIANCO
di Gaia Carazzato
A te che mi hai detto di ascoltare il mio cuore, una parte del mio cuore.
1 – Risveglio
Buio. È tutto buio. Un immenso, vuoto e silenzioso buio. Non c’è niente oltre al buio. Niente dolore, niente felicità, niente amore, niente odio. Solo il buio. Mi piace stare qui, non provare nulla. Il buio ha un che di rassicurante ma allo stesso tempo d’inquietante, sento che c’è qualcosa che dovrei ricordare, ma riesco a sentire solo il nero e onnipresente buio. Non esiste nient’altro. Quest’oblio, questo non ricordare mi fa provare piacere, anche se non è proprio piacere, è solo esistere. Che poi esistere implica una qualche presenza che io non sento, implica occupare uno spazio fisico o mentale. E io non occupo nessuno spazio, non ci sono. Esistere non implica anche avere dei pensieri? Non implica che tu sia cosciente della tua presenza, che tu sappia di poter pensare, di poter vivere o morire? Io non sono cosciente di niente, non so neanche se sono mai esistita, se da qualche parte si può trovare anche solo una vaga traccia della mia esistenza. Non esisto. Esiste solo il buio. Fitto, denso e impalpabile, sembra più un fumo scuro che mi avvolge, ma non avvolge solo me, avvolge il niente, avvolge tutto il non esistere, tutto quello che è stato cancellato. Qualunque cosa non esista più viene avvolta da questo buio. Ed esso avanza e avanza fino a quando non penetra dentro a quel tuo non esistere. Lo sento entrare nella mia mente, farsi spazio tra i miei pensieri e renderli scuri, li nasconde dietro una patina d’impalpabile e insormontabile nero. E sento anche un… prurito? Perché sento un prurito in qualcosa che la mia mente registra come piede? Non proprio prurito… è più come… una fitta? No, è qualcosa di freddo di molto, troppo freddo. Cosa mi sta succedendo? Mi si sta congelando il piede, e la sensazione aumenta e aumenta ancora, parte dall’alluce destro e sale e sale ancora fino ad arrivare al ginocchio, al bacino, al ventre e poi ancora nel busto e nelle braccia fino alle dita delle mani e alla testa. Mi si congela il cervello. Sento solo il dolore pungente del freddo, quel mio stesso corpo che fino a poco tempo prima non esisteva inizia a sussultare e tremare incontrollato. Sento le membra cedere al gelo e spezzarsi a ogni sussulto. Il buio si trasforma in un rosso accecante che mi distrugge dall’interno, cerco la mia bocca, so che è inutile ma devo provare, devo fare qualcosa per fermare quel fuoco ghiacciato. Vorrei urlare ma non so come, vorrei dire a quell’immenso non esistere che esisto, che sono qui e che provo dolore, molto dolore. Vorrei dirgli di
non abbandonarmi, vorrei dirgli di salvarmi ma non riesco a prendere possesso del mio corpo e quelle cose restano non dette, non esisteranno mai. Come non esisterà mai questo pensiero, me lo dimenticherò, come dimenticherò di essere stata in questo niente, il buio se lo prenderà come sta già prendendo questi miei ultimi pensieri. Cancella tutto, il buio. Tutto quello che penso, o provo a pensare, tutto quello che non sono viene cancellato. Diventerò qualcuno alla fine di questo dolore, qualcuno che non è chi il buio ha cancellato; ma quel qualcuno vorrà emergere, ne sono sicura, già ora sta lottando per non essere cancellato del tutto, perché rimanga almeno una lontana sensazione della sua esistenza nella mia nuova mente. È questo il freddo, il ghiaccio che si sta impossessando di me. È la consapevolezza che mi sto dissolvendo, che sto smettendo di esistere, anzi non esisto più, sono già stata cancellata e non lo posso accettare. Chi è il buio per dirmi che non posso più esistere, che non posso più essere quella che sono? Perché il freddo deve vincere? Ma io non so chi sono, non so cosa fare per sconfiggere il buio. Provo a cercare un ricordo. Mi sforzo e il solo impegnarmi rende il mio corpo ancora più ghiacciato e immobile, mi dolgono tutti gli arti, ma continuo a cercare un ricordo, la traccia di una mia esistenza ata. Il buio, però, non cede ai miei tentativi, anzi, ogni volta che cerco di ricordare una qualunque piccola cosa diventa più buio e più forte. Non posso arrendermi, il buio non può avermi preso tutto, non può aver portato con sé ogni parte di me. Non può aver vinto. Poi li vedo, due occhi azzurri, mi fissano, sono tristi, mi guardano come se fossi la cosa più bella al mondo e se la fossero lasciata scappare via. Questa visione mi calma, un senso di pace interiore mi avvolge, sento che il buio non ha vinto. Ho vinto io. Ho ricordato una piccola parte del mio ato, adesso so di essere esistita, so che c’è una persona in questo immenso non esistere che esiste e si ricorda di me. Mi calmo, rilasso il corpo e lo sento: un dolce calore inizia a scaldarmi la punta delle dita dei piedi e sale, sale fino alla testa. Come se mi ridesse vita, ma è accompagnato da una densa nube di pece che annulla anche il mio ultimo dolce
pensiero. Mi entra nel cervello e riesco a pensare a qualcos’altro all’infuori del gelo e del buio, riesco a pensare al fatto che non ho niente da pensare, non ricordo niente, il buio mi ha portato via tutto. Il buio ha vinto. Non ho più niente. Non esisto più. Riesco a trovare i miei occhi e ad aprirli.
Bianco. Troppo bianco. Li richiudo in fretta e mi concentro sul calore che sta diminuendo. Inizio a percepire il mio corpo come dovrebbe essere, della sua temperatura naturale. Mi concentro su ogni piccola parte di esso cercando di visualizzarla, di capire come sono posizionata nello spazio; sono coricata sul braccio destro, sopra una superficie dura. Le mie gambe sono rannicchiate al petto e le sto avvolgendo col braccio sinistro. La testa è appoggiata alle ginocchia: sono in posizione fetale. Sento i capelli scaldarmi la schiena e le spalle, il loro profumo, che non riesco a identificare, è meraviglioso. Sa di salsedine. Mi accoccolo su me stessa stiracchiando tutte le membra. Non ho voglia di aprire gli occhi, sto bene in questo nuovo tipo di buio. Adesso sono cosciente, so di esistere. Poi non è proprio buio, intravedo il bianco farsi strada attraverso le palpebre e rispecchiarsi nel colore rossastro che è nella mia mente. Non voglio aprirli perché sto bene in questo torpore. Non sono nessuno no? Esisto certo ma questo non vuol dire che io sia una persona, vuol dire solo che il mio corpo occupa uno spazio e la mia mente è con lui, per il resto chi sono io? Nessuno, e allora che bisogno ho di svegliarmi? Ma devo farlo, non posso restare tutta la
vita a dormire senza sapere chi sono o dove sono. Devo avere il coraggio di aprire gli occhi al bianco. Quindi lo faccio, lentamente, abituandoli gradualmente al bianco accecante. Appena riesco a guardarmi attorno senza strizzare gli occhi. Una voce: – Si è svegliata. Il suono che mi arriva è ovattato ma abbastanza forte da distruggermi i timpani, premo forte le mani contro il cranio per cercare di fermare l’implosione della mia testa. – I segni vitali? Perché non la smettono di parlare? – Sono nella norma. Non cerco neanche di ascoltare, l’unica cosa che importa è che stiano tutti zitti. – Tra quanto potremo utilizzarla? Mi metto a urlare a tutti di stare zitti, di fare silenzio. Mi alzo e cerco la fonte del rumore urlando e dibattendomi, cercando di separarmi dalla mia stessa mente, ma non vedo niente, è tutto bianco. Bianco all’infinito. Non c’è niente, solo bianco e ancora bianco, niente ombre, mobili o porte, solo un bianco e infinito bianco. Non sento più le voci quindi mi tranquillizzo. Cerco di capire dove mi trovo ma non ho ricordi che possano spiegare la mia presenza in questo luogo, in realtà non ho ricordi e basta. Non saprei neanche dire se sono mai esistita, questo è il mio primo giorno di vita. Guardo la mia pelle vedendola per la prima volta, ha un colore rosa pallido con tanti piccoli nei marroni sparsi. Mi tocco la testa e sento i miei capelli lunghi, ricci e morbidi al contatto con la pelle, me li porto agli occhi e osservo il loro colore rosso intenso. Li porto al naso per sentirne l’odore quando li vedo: due
occhi azzurri, è solo un flash, semplicemente perfetti, mi guardano. Non ho il tempo di realizzare di cosa si tratta che spariscono, non ho mai visto tanto splendore. Mi rannicchio, mi faccio più piccola che posso. Sento una fitta allo stomaco e il cuore mi si stringe nel vedere quell’azzurro così intenso. Non so perché ma mi cade una lacrima. Sono morta o appena nata? Sono in paradiso? O all’inferno? Penso più la seconda, non si dovrebbe soffrire tanto in paradiso, ma forse quella era solo la mia morte. Sono morta congelata? No, il calore finale mi ha donato la vita, quindi devo essere viva. Cerco di ricordare dei particolari ma c’è solo buio e freddo nei miei pensieri. Però adesso mi sento così viva. Mi sento come fossi appena nata, piena di forze. Devo cercare qualcosa, qualunque cosa, non posso stare qui ferma a non fare niente. Giro per lo spazio infinito in cerca di qualcosa, qualunque cosa. Dopo poco tempo mi scontro contro una parete, è bianca, come tutto il resto, ma a guardarla da vicino vedo migliaia di righe di colore bianco panna che fanno sembrare la parete un’enorme rete, a guardarlo da vicino anche il pavimento è così diviso. A fissarle mi s’incrociano gli occhi così smetto. Devo cercare di trovare le altre pareti, inizio a percorrere il perimetro della stanza facendo i più lunghi che posso: mi trovo in uno spazio piuttosto piccolo, sei i per sei. Tocco i muri in cerca di un’uscita, le pareti sono lisce e fredde, della stessa consistenza dura e asettica del pavimento e, presumo, del soffitto, che comunque non si vede. Sono in cerca di un’uscita quando dal centro della stanza si abbassa un riquadro e al suo posto sale una ciotola bianca con una S dipinta sopra in nero. Cibo è il mio primo pensiero. Mi accorgo solo adesso del buco che ho nello stomaco, chissà da quant’è che non mangio. Corro verso la ciotola ma ci trovo dentro solo pillole. Sospettosa ne provo a prendere una, è liscia, ovale, molto piccola, ha un colore violaceo, non ha odore. Provo ad assaggiarla, appena me la metto in bocca mi a la fame. Contenta provo a guardare le altre, ce ne sono di tutti i colori. Provo a prenderne un’altra incuriosita, questa è azzurra. L’assaggio e mi a anche la sete. Entusiasta continuo a cercare tra le pastiglie e ne trovo una bianca, liscissima che riflette tutti gli altri colori sulla sua superficie. La prendo e tutto svanisce. Non riesco più a controllare i miei arti, si muovono tutti insieme e in direzioni
diverse, mi prendono delle convulsioni al petto e faccio fatica a respirare. Sto per morire, di nuovo, non so neanche quando sono nata o se sono mai nata e sono già morta due volte, che io ricordi. Il dolore si fa sempre più grande, mi sento come se mi stessero distruggendo tutte le parti del corpo schiacciandole e tirandole in direzioni opposte. Cosa mi succede? Perché sono di nuovo al punto di partenza? Pensavo di star meglio, pensavo di poter finalmente vivere. Lascio andare il mio corpo alle convulsioni, il fiato mi si blocca in gola e muoio, di nuovo. Delle sirene urlano e uomini in tuta bianca accorrono in mio aiuto. L’ultima cosa che vedo sono degli occhi azzurri, piangono. Questa volta riesco a urlare.
Mi risveglio a terra. Mi guardo intorno sperando di vedere qualcosa, qualunque cosa, voglio di nuovo quel buio rassicurante, almeno ero cosciente di non esistere, adesso non so più niente. Esisto o no? Sono viva o sono morta? Le mie speranze sono vane, non sono più nel buio, è ancora tutto bianco e mi fanno sempre male gli occhi. Sono tutta indolenzita e il pavimento duro e freddo al contatto con la mia pelle nuda non aiuta. Per terra c’è un altro recipiente bianco pieno di pillole, appena le vedo la mia pancia brontola per la fame. Sto per andare a prenderne una quando mi blocco. Mi guardo attorno e vengo assalita dalle domande: che ci faccio qui? Dove sono? Chi sono quelle persone? E di chi sono quegli occhi azzurrissimi? Non so niente su dove o chi sono, l’unica cosa di cui sono certa è che quella pillola mi ha quasi uccisa, non posso fidarmi di nuovo. Le guardo, troppo lisce e troppo lucide, sperando di scoprirne i segreti. Le butto per terra e mi rannicchio in un angolo. Non so perché ma c’è qualcosa che mi turba, sento che non dovrei essere qui. C’è qualcosa di più importante che la mia mente dovrebbe ricordare. Non prenderò quelle pillole, mai. Non so nemmeno cosa sono o chi me le manda o se posso fidarmi di lui, qualcosa mi dice che non posso. Devo imparare a non fidarmi più così facilmente. Guardo per terra in cerca di un indizio nelle pillole colorate che rotolano per terra. Niente, neanche un pensiero, mi si stringe il cuore quando ne vedo una azzurra, non è come l’azzurro dei miei sogni, quello è più intenso e più bello, questo è finto, sporco. Anche se la pancia mi urla di prendere la pastiglia viola non ho intenzione di ascoltarla, morirò di fame piuttosto ma non le toccherò più.
Vado avanti così molto tempo, non so quanto, ho dei vuoti, l’unica cosa che so per certa è che la fame mi sta uccidendo e che niente cambia qua dentro, mai. La mia testa è piena di domande, ma, certe volte riesco solo a pensare al nulla. La fame e la sete s’impossessano della mia mente. Non riesco a pensare ad altro, ma in fondo non ho molto da pensare. Inizio a sentire delle voci, non so se nella mia testa o al di fuori, sono voci basse e suadenti: – Prendi una pastiglia. – Solo una, è viola, non soffrirai più. – Quella azzurra, non soffrirai più. – Dopo potrai uscire. – Sarai libera. Mi tappo le orecchie ma le voci si fanno più forti e insistenti. Mi sento svenire, gli occhi si chiudono e non ho più le forze per muovermi, resto coricata in posizione fetale e mi lascio andare alla morte. Ho scoperto che mi viene bene. – Prendila! – Sopravvivi! – Fallo per lui! Qualcosa scatta nel mio cervello. Non posso abbandonarlo, non so di chi si tratta, so solo che c’è qualcuno che mi sta aspettando, qualcuno con gli occhi azzurri, non posso morire non posso abbandonare quelle iridi perfette.
Prendo in mano la pastiglia viola, la guardo bene, faccio un sospiro, le voci sono sparite. Sto per metterla in bocca quando la vedo, è bianca e sembra fissarmi. Mi sta chiedendo di essere presa. No! Non posso cedere. Mi ero promessa che non
l’avrei fatto e non lo posso fare, se gli occhi mi hanno mai amata capiranno. Capiranno che non posso mentire a me stessa, non posso andare contro la mia stessa volontà. Io mantengo sempre le promesse. Prendo la pillola e la schiaccio sotto il piede. Non ho tante forze ma ne ho abbastanza da strisciare per terra per schiacciarle tutte con il peso del mio corpo e di rimettermi nel mio angolo. Le forze mi stanno abbandonando. All’improvviso inizio a sentirmi osservata, di chi erano quelle voci? Mi stanno osservando? Staranno discutendo di me? La vergogna mi assale, mi arrotolo su me stessa e mi faccio piccola contro la parete. Poi mi lascio andare di nuovo, sono troppo abituata alla morte per essere appena nata. Mi si chiudono gli occhi e mi lascio andare alla mia nuova morte.
2 – 53
Non so quanto tempo dopo mi sveglio, il tempo non esiste in questo posto. Ci sono solo bianco, bianco e ancora bianco. Mi sento diversa, c’è qualcosa che non quadra. Mi guardo i polsi e le costole, non sono tanto magra, sembra che io non sia mai stata sul punto di morire, come se fosse stato tutto un sogno, un sogno troppo bianco. Per terra c’è una tuta. La prendo in mano timorosa, è bianca, come tutto. Provo a tenderla, è elastica. Mi sento troppo osservata, la consapevolezza che mi hanno toccata e mi hanno guardata mentre dormivo mi assale, al solo pensiero sento i loro occhi fissi sulle mie spalle, me li sento sulla nuca che mi trafiggono e mi scannerizzano, posso sentire i loro commenti, stanno ridendo di me, stanno ridendo della mia espressione confusa, del mio disorientamento. Infilo la tuta senza pensare oltre, non voglio che quegli occhi continuino a fissarmi, faccio un’espressione rilassata così che non possano ridere della mia confusione, penso agli occhi azzurri e mi perdo in essi, in quell’infinito abisso rilassante. Sento il tessuto caldo e morbido accarezzarmi la pelle, chiudo la lampo sul davanti del vestito, la chiudo con un gesto secco che rimbomba nella stanza silenziosa. Non ci sono altri rumori, solo il mio respiro lento e il battito veloce del mio cuore spaventato, sento anche un ronzio lento nel mio cervello che solletica le orecchie, è il rumore del nulla. Resto ferma a occhi chiusi ad ascoltare il silenzio del mio respiro e assaporando il buio tra le palpebre. Rilassandomi sento che gli occhi si allontanano da me, annoiati dal mio silenzio. – Buongiorno – Salto in aria spaventata da quella voce aspra e dura che interrompe il mio silenzio. Non rispondo, deve essere tutto nella mia testa, sto diventando pazza, è ovvio. Ascolto il mio silenzio ma è turbato da un respiro che non mi appartiene. Apro gli occhi lentamente, con calma lasciando che la forma umana davanti a me si definisca, esca fuori da tutto quel bianco. Vedo i piedi ricoperti da un sottile tessuto bianco, due striscioline azzurre partono dalle caviglie e salgono seguendo il profilo delle gambe e poi del bacino e dei fianchi per poi articolarsi sopra al braccio e scendere fino ai
polsi, facendo sembrare la figura aerodinamica. Sulle spalle ricadono dei capelli bianchi con dei riflessi argentei. Il volto non riflette emozioni, solo un sorriso tirato sulle labbra, finto, meccanico, gli occhi sono nascosti da un paio di enormi occhiali bianchi. – Buongiorno – rispondo cercando di sorridere. – Le va se ci spostiamo in una sala più confortevole? Annuisco sorridendo timida. Mi fa cenno di uscire ed io la seguo, non so come comportarmi, sento di non potermi fidare. Dietro alla ragazza c’è un buco nella parete, da dove è uscito? Mi sento vulnerabile a uscire dalla mia stanzina, qui c’erano solo le voci e le pillole a minacciarmi, non so che pericoli ci siano fuori. Devo essere forte, devo farmi valere e soprattutto non devo più lasciare che mi sorprendano. Però mentre esco spero che ci siano colori, colori veri e spero di scoprire che è stato tutto un brutto sogno, ma dietro la porta mi aspetta la delusione, intorno a me tutto è bianco e pulito, mi trovo in un corridoio senza porte, stretto e lungo, vedo le righe color panna correre accanto a me lungo la parete, in avanti, verso l’infinito, mi giro solo un attimo, per vedere che la porta da cui sono uscita è sparita silenziosamente. Camminiamo un po’ in quel nuovo infinito, camminiamo fino a quando la ragazza tocca un riquadro, le piastrelle del muro si spostano silenziosamente in avanti e poi di lato, avvicinandomi noto come ogni riga di panna è leggermente in bassorilievo, come se fossero tutte pronte ad aprirsi al tocco giusto.
Mi ritrovo in un’altra stanza bianca, tutto al suo interno è di sfumature diverse di bianco, ci sono due divanetti color bianco panna, strano colore, è più opaco del bianco, come se lo avessero mescolato con del giallo chiaro sporco. Tra i due divanetti c’è un tavolino con un vetro trasparente e con sopra un vaso, di un bianco quasi trasparente con delle incisioni floreali, con delle rose bianche al suo interno, accanto alle rose c’è una statuina raffigurante un cavallo e un leone rampanti che lottano. Mi siedo davanti al tavolino, come se fossi io la padrona di casa e faccio cenno di sedersi alla ragazza, voglio farle capire che non solo una pedina, che non
possono manipolarmi, sono padrona della mia vita. Però devo fare attenzione, mi sento in scacco, sento di essere in trappola. So che dovrei essere in un altro posto, con gli occhi azzurri. – Inizi pure da dove vuole – La sua voce sembra così finta, è adatta a questo posto, dura e fredda. Annuisco. – Dove sono? – Chiedo con voce flebile, non riesco a far finta di essere diversa da come sono, mi sento troppo debole. – Dritta al punto! Beh, questo non posso dirtelo per motivi di sicurezza, lo saprai quando non sarai più un “soggetto pericoloso” – Che strane le parole scherzose dette da una voce così fredda. Rabbrividisco, cosa vuol dire un soggetto pericoloso? Non ho fatto male a nessuno e poi se lo fossi non avrebbero dovuto mandare qualcuno di più forte di quella ragazza? Alzo la guardia, se l’hanno mandata credono che lei possa battermi facilmente, e sono certa che lo possa fare, non sono nello stato d’animo giusto per combattere, non riesco neanche a fingere di essere forte. La verità è che spero che sappiano davvero chi sono, spero che me lo dicano, ma so che non posso fidarmi, non so perché ma c’è qualcosa dentro di me che sapeva che sarebbe successo tutto questo. Cerco di mantenere la calma e sembrare controllata, ma so di fallire. – Che ci faccio qui? – La voce mi s’incrina verso la fine, sto per crollare. – Non è compito mio dirtelo, ti devo solo rendere presentabile per quando il Capitano vorrà vederti. In poche parole non mi dirà mai niente, tengo la domanda che mi sta premendo il petto fin dal primo momento chiusa dentro di me, la soffoco in gola, non le chiederò chi sono, non posso e non devo, ma la domanda sta premendo dolorosa, mi si apre la bocca… – In che senso rendermi presentabile? – Riesco a dire trattenendomi. – Se non hai altre domande iniziamo subito.
– Va bene, andiamo – ribatto calma, riprendendo il controllo di me stessa. Non voglio mostrarmi debole, ma non posso neanche mostrarmi forte, devo mostrarmi il più neutra possibile, come se nulla di tutto questo m’interessasse. Mentre si alza mi viene in mente un’altra domanda, le chiedo il suo nome, mi risponde sorridendo, si chiama 53. Si gira e la noto, una strisciolina azzurro chiaro con un 53 ricamato sopra, debole e delicato. Quel 53 ricamato così delicatamente mi mette tenerezza, ha un che di così fragile, come se la si potesse distruggere in un attimo, non riesco a vedere quel 53 così piccolo aggressivo e subdolo, sento che è solo una pedina. Stiamo per muoverci quando 53 si tocca gli occhiali con un gesto leggero e fissa il vuoto per un tempo indefinito. – Scusa ma devo andare via per un po’, approfittane per rilassarti un attimo prima del grande incontro – Dice rivolgendosi a me. Mi risiedo sul divanetto e appena vedo la porta chiudersi silenziosa mi corico felice di essere finalmente su una superficie morbida. Prendo un cuscino, bianco ovviamente, e lo abbraccio stringendolo forte. Mi sento ancora osservata, ma adesso non m’importa, ho solo bisogno di riprendere il controllo. Mi metto il cuscino davanti alla faccia e lo annuso in cerca di un qualche profumo, e appaiono, dolci e tristi, i miei occhi azzurri. Mi viene da piangere al loro pensiero, di chi sono quegli occhi così perfetti? Perché non sono qui con me? Ogni volta che vengono mi dicono che vogliono proteggermi, allora perché non sono qui? Cosa mi è successo? Non ho rimosso tutti i ricordi, non sono una bambina che deve imparare tutto da capo, so delle cose. So il nome dei colori e di tutto quello che mi trovo davanti, mi ricordo perfino i fiori, le piante e il cielo e come il mondo dovrebbe essere. Tutte cose che non so se potrò mai rivedere nella mia vita… tutte cose che forse ho perso per sempre, come gli occhi azzurri. O forse no? Forse riuscirò a scappare, a tornare a quella che era la mia vecchia vita, a tornare da quegli occhi così perfetti. Sorrido al pensiero di vederli felici, di vedere il sorriso che c’è sotto. Di baciare quel sorriso perfetto. Ma sono solo tutte fantasie, non succederà nulla di tutto ciò, eppure ci devo provare, io dovrò uscire da qua e tornare da quegli
occhi perfetti. Lo dovrò fare non solo per loro, ma anche per me stessa. Mi accorgo delle lacrime silenziose che si sono fatte strada sul mio viso, soffoco le lacrime nel cuscino e mi lascio andare attutendo i singhiozzi e le urla con il cuscino, urlo fino a rimanere senza voce, urlo per la morte di chiunque fossi prima che il buio e il bianco assorbissero i miei pensieri. Dopo aver pianto tutte le lacrime che ho in corpo inizio a camminare in giro per la stanza. Non è grande quanto sembrava appena entrata, poco più grande della prima stanza dove sono stata. Il divanetto e il tavolo si trovano al centro della stanzina. Prendo in mano la statuina e la studio. È davvero molto curata, anche nei dettagli più sottili delle criniere e delle code. I due animali sono attaccati per una delle due zampe anteriori, mentre solo una posteriore è poggiata a terra. Hanno entrambi la bocca aperta in modo aggressivo. La poso e guardo le rose. Sono strane, tutte troppo bianche, anche il gambo e le foglie. Le provo a prendere in mano e sento la loro consistenza dura e rigida, non penso siano vere, anche se lo sembrano molto. Il tavolino è trasparente e riflette il bianco del pavimento sulla sua superficie, strano come qua non ci siano ombre, è come se la stanza venisse illuminata da tutte le direzioni, anche se io non vedo neanche una lampadina. Nella stanza non c’è altro, quindi mi rimetto sopra al divano annoiata, non ho molto sonno, chiudo giusto un attimo gli occhi per riposarli da tutto quel bianco, ci metto anche il cuscino sopra in modo da non avere i riflessi rossi della luce sulle mie palpebre. Non a molto tempo che sento un movimento, 53 mi scuote leggermente e io balzo in aria spaventata: – Tranquilla sono io, mi spiace averti fatta aspettare ma il Capitano voleva vedermi... Le faccio cenno di non preoccuparsi e mi alzo.
53 mi porta in una stanza, è incredibile come in questo posto ci siano porte ovunque. Mi ritrovo in una specie di bagno, la prima cosa che vedo di fronte a me è una doccia tutta bianca con affianco una vasca da bagno in porcellana bianca. A lato c’è un lavandino sempre in porcellana con accanto dei mobiletti in legno bianco e sopra c’è uno specchio, in esso si riflette la parete opposta dove intravedo degli
asciugamani bianchi e un accappatoio, sempre bianco. Al centro della stanza c’è un enorme e soffice tappeto bianco. 53 mi fa spogliare ed entrare nella doccia. L’acqua è fantastica, la sento cadere sulla mia pelle per massaggiarmi le spalle e la schiena. Mi vengono alla mente tanti ricordi, non proprio ricordi, solo sensazioni che sento di aver già provato. Forse allora avevo ragione, non sono appena nata, forse non ricordo più niente per un altro motivo… devono avermi cancellato la memoria drogandomi o qualcosa del genere. Devo scoprire chi sono, devo scoprire qualcosa su di me. Mi lascio andare a quelle sensazioni così vive e decido di pensarci dopo, adesso l’importante e che mi rilassi prima di incontrare il Capitano. Mi vengono alla mente delle canzoni, non le parole, solo le musiche, inizio a danzare sotto la doccia canticchiando a bassa voce un motivetto lento e rilassante. Il rumore dell’acqua fa da sottofondo alla mia voce. Gli occhi azzurri mi guardano malinconici, mi fa male quello sguardo, non so perché ma non riesco a non soffrire, la vista di quegli occhi mi provoca sempre un tuffo al cuore, un senso di perdita. Mi accovaccio in un angolo e mi metto a piangere. Come sono finita qui? A non sapere neanche chi sono o chi sono stata, come sono finita a dover recitare una parte per salvarmi una vita che non so neanche quando è cominciata? Non so nemmeno chi sono e devo già guardarmi le spalle dal mondo. Ma adesso so cosa fare, mi devo mostrare innocua, devo dimostrare che non sono un soggetto pericoloso e intanto penserò con calma a un modo per tornare dagli occhi azzurri. – Devi uscire, è tardi! – Urla 53. Mi sforzo di uscire e lei mi porge l’accappatoio bianco, il tessuto assorbe immediatamente l’acqua e mi ritrovo asciutta e profumata. Mi guardo per la prima volta nello specchio, i miei capelli bagnati iniziano ad arricciarsi mano a mano che si asciugano. La mia pelle è più chiara di quanto immaginassi ed è in netto contrasto con le mie labbra piene e color rosso carne. Guardo i miei occhi, sono verde chiaro con dei riflessi azzurri. Mi accorgo di tremare quando 53 mi avvolge in un asciugamano: – Scusa, lo so che fa freddo. Ti sistemo i capelli, le unghie e poi abbiamo finito. Devo pensare a come comportarmi con il Capitano, le mani di 53 che mi accarezzano i capelli mi aiutano a pensare, non mi basta sapere che mi fingerò
innocua, ho bisogno di sapermi pronta, ho bisogno di avere una tattica, di essere protetta da un piano. – Perché il Capitano vuole vedermi? – Chiedo sovrappensiero pentendomi subito della domanda. 53 si blocca un attimo, posso sentire il suo cervello elaborare una risposta: – Per aiutarti, siete molto amici. Il modo in cui storpia la parola “amici” non mi convince, ci ha messo troppo a rispondere era una domanda facile. Il Capitano dovrà sudare per avere la mia fiducia. 53 prova a legarmi i capelli in una treccia ma il suo tentativo fallisce più volte perché le si arricciano tra le dita e fuggono dal suo controllo, lei non fa mai una piega, anche quando è a un o dall’aver finito e loro le sfuggono non dice una parola, riprende il suo lavoro con tenacia, anche se alla fine è destinata a fallire infatti, al non so più quale tentativo, dice che è troppo tardi e rinuncia. Mi prende le mani per farmi le unghie e alzando il braccio mi accorgo di non avere peli, la guardo confusa: – Come mai sono senza peli? – Quando hai preso la pillola bianca hai avuto una reazione allergica e ti hanno somministrato dei farmaci, quando ti sei svegliata non ne avevi più, i tuoi capelli si sono salvati per un pelo! – Ride alla sua pessima battuta, sorrido anch’io per farla contenta, so che è stupido ma provo uno strano senso di perdita, come se con loro avessi perso una parte di me. Come se con loro se ne fosse andata anche la speranza di riavere la mia memoria, lasciando solo un corpo nudo e vulnerabile. Mi taglia e lima le unghie in modo che prendano una forma a mandorla e gli applica un leggero strato di smalto trasparente con dei riflessi bianchi. Mentre me le lavora noto le sue di unghie, non ci avevo fatto caso prima, sono di uno strano colore biancastro. Mi sento male, sembra che in questo posto il bianco assorba tutto, anche le persone, peggio del buio dei miei incubi. Finite le unghie, mi arriccia le ciglia e mi mette un leggero strato di ombretto bianco sulle palpebre.
– Adesso sei pronta per il Capitano!
Mi sono già persa irreparabilmente, questo posto è un labirinto immenso, ci sono corridoi ovunque e le porte sbucano sempre dal nulla, scappare sarà difficilissimo. La cosa più inquietante è che non vedo nessuno. Dopo aver vagato per infiniti e identici corridoi 53 si ferma davanti a un muro, assolutamente identico agli altri, e si gira verso di me: – Buona fortuna! – Sussurra. Sembra triste ma gli occhiali non mi permettono di capire le emozioni che prova. Apre una porta, faccio un respiro profondo e mi preparo al peggio. Entro sicura cercando di non far trasparire la mia ansia, ma fallisco subito quando vedo dove mi trovo. È una stanza piena di colori, una stanza vera. Mi trovo su un parquet in rovere con un tappeto riccamente decorato con fili dorati al centro. Ci sono dei mobili ai lati, sono in mogano pregiato, al loro interno ci sono dei libri riccamente rilegati. In un angolo c’è un pianoforte a mezza coda con accanto un divanetto rosso scuro. Nella parete opposta c’è una scultura raffigurante un cavallo e un leone che lottano, è la stessa che c’era nella stanza dove 53 mi aveva accolta ma questa è in marmo e molto più grande. Le pareti sono rivestite da un tessuto strano, di colore rosso scuro. Sul soffitto c’è un enorme lampadario in cristalli di vari forme e misure. Davanti a me si trova una scrivania immensa, di pesante legno scuro che termina nelle gambe con una forma a zampa di leone. Su di essa ci sono delle carte sparse e varie penne d’oca, dietro c’è una poltrona nera girata verso il muro. Intravedo una porta di legno dietro alla poltrona. – Ho portato quella che voleva, la Speciale. – Grazie 53. Rimango impietrita a causa di quella voce, è troppo calda e rassicurante, non so perché ma mi provoca un moto di repulsione, scatta qualcosa nella mia mente, qualcosa che mi fa venire voglia di saltargli alla gola. Respira! Faccio un lungo respiro con la pancia e calmo la mia furia omicida. – Sedetevi pure. 53 si siede sul divanetto rosso scuro e si toglie gli occhiali, mi si strozza un urlo
nella gola che minaccia di farmi saltare le corde vocali, i suoi occhi. Sono bianchi. Non tutti bianchi, la pupilla è sempre nera, nera e tonda al centro di tutto quel bianco vitreo. Mi siedo davanti alla scrivania cercando di fare una faccia neutra ma sono sicura che da fuori si veda ancora il mio shock. Il capitano si gira lentamente, è l’essere più bello che sono sicura di aver mai visto in tutte le mie vite, ha i capelli lunghi fino alle spalle, biondi. Gli occhi sono di colore verde scuro, quasi marrone e ha la pelle chiara. È vestito in modo elegante ma anche un po’ trasgressivo, ha una camicia elegante fuori dai pantaloni e una cravatta con il nodo largo. Sopra la camicia ha una giacca non abbottonata, sembra un pinguino che si è appena azzuffato. – Benvenuta – Dice con voce melliflua – Immagino avrai molte domande e sarai molto confusa, non ti preoccupare, ti daremo una mano a ricordare tutto. Ti ricordi di me? No certo. Ti sei messa in un bel casino per fortuna che c’eravamo noi, ti abbiamo salvata per un pelo, ero così preoccupato quando non sei tornata a casa per il matrimonio, per fortuna mio fratello, 17, ti ha trovata – Mi guarda negli occhi studiando il mio viso ancora ostile – TU NON PUOI ANDARTENE COSÌ! SE OSI DI NUOVO SCAPPARE DA ME… – Calma la sua ira alla vista della mia faccia terrorizzata, è vero quello che sta dicendo? Sono solo paranoica? – Il tuo posto è qui, al mio fianco, qui con me – Dice come se stesse parlando a una bambina piccola – NON Devi MAI Più Scappare! – Mi guarda con occhi duri poi si alza e va verso il piano, accarezza la tastiera e si mette a suonare. – Mi hai spaventato ma adesso è finita, sei di nuovo a casa. Ti aiuterò, supereremo questo momento, insieme. – inizia a suonare qualche nota. – Il matrimonio sarà rimandato, così che tu ti possa ristabilire. Starò al tuo fianco, vedrai che con il mio aiuto la memoria ti tornerà. Noi ci amiamo e amarsi è questo, aiutarsi nei momenti di difficoltà. Sta suonando una melodia dolce, rilassante, mi ricorda qualcosa, qualcosa scatta nella mia mente, non so cosa sia, ma mi dice di non fidarmi, dice che sta mentendo. C’è un ricordo che sta bussando alla mia memoria cercando di farsi vedere, ma non riesco a raggiungerlo, è troppo lontano. Riesco a raggiungere solo un’emozione, paura, odio misto a rabbia. Mi alzo e lo fisso con tutta la furia di quel flebile ricordo. – 53! Andiamocene, ho sentito abbastanza bugie per oggi.
Mi giro e vado verso la porta, c’è solo una piastrella bianca e il muro ha dei leggeri solchi dove si deve aprire la porta. Tocco la piastrella bianca con il palmo della mano ed esco, mi giro un attimo e vedo il Capitano fissare 53 mentre mi segue timida, mi guarda ancora una volta: – Sei sicura? Te ne pentirai. Lo guardo ancora un istante poi mi giro e me ne vado, appena vedo con la coda dell’occhio la porta chiudersi inizio a correre più velocemente possibile. Tocco piastrelle a caso con le lacrime agli occhi. 53 mi segue faticando a stare al mio o. Non potevo credergli? Perché non l’ho fatto? Per un timido ricordo? Adesso cosa faccio? Corro cacciando tutti i pensieri e pensando solo a muovere le gambe, a mettere i piedi uno davanti all’altro. Mi fermo solo quando arrivo in una camera identica a quella dove mi aveva portata 53 la prima volta. – Siamo al sicuro qui? – Le chiedo con il cuore in gola. Mi fa cenno di no, le mie mani si chiudono sul mio volto cercando di trattenere le lacrime. – C’è un posto sicuro? Fa di nuovo cenno di no. – Posso scappare? Fa ancora cenno di no. – Perché? – Tu sei la Speciale, tra poco verranno a prenderti. – Chi? – Gli Occhi Bianchi – Tremo al pensiero. – Perché non mi consegni?
– Mi hai dato un ordine e io l’ho eseguito, è il mio compito. – C’è tanta gente come te? – Sì, ma c’è anche gente come te, ma stanno in una prigione. – Ed è dove finirei se mi prendessero? Annuisce, vedo una strana scintilla attraversare i suoi occhi vitrei, se ne accorge e rimette gli occhiali. – Tu mi sei fedele? – Io seguo sempre gli ordini, non m’interessa di chi siano. – Mi faranno del male? – No, finirai con le prigioniere. – Devo consegnarmi, vero? Annuisce – È l’unico modo. – Allora portami da loro. Annuisce mesta e apre una porta. Entro per prima, da sola. Sono in una stanza enorme piena di persone con la tuta bianca con le striscioline azzurre verticali. Mi guardano tutti, come se si aspettassero di vedermi entrare da quella porta. Vengo subito immobilizzata, mi lascio trasportare da tutte quelle mani che mi trascinano verso l’ignoto. Mi lascio andare, come se venissi trascinata da un’onda di acqua calda dolce e leggera, mi sembra di intravedere 53 in quel turbinio di corpi, non riesco a vederla bene, vedo solo i suoi lunghi capelli argentei e un espressione indecifrabile sul suo volto.
3 – La stanza
Mi trascinano fino a un enorme stanza bianca piena di persone sparse e lontane tra loro, sono come me, capelli e occhi colorati con qualche accenno di bianco. Mi fissano tutte, molte sono ostili ma la maggior parte sembra provare pena per me. Vengo trainata al centro della stanza e buttata per terra. Provo ad alzarmi ma sento una forza invisibile spingermi contro il pavimento, cerco di muovermi ma quella forza si fa sempre più forte e mi schiaccia da tutte le direzioni. Più mi dibatto più vengo schiacciata dal peso della forza invincibile. Il dolore si fa sempre più forte, mi sento come se tutte le ossa si stessero accartocciando su loro stesse, come se stessi implodendo. Non riesco a trattenere l’urlo che mi sale alla gola, le lacrime iniziano a scendermi dagli occhi, delle risate mi rimbombano nelle orecchie. – Ehi capo, ne è arrivata una nuova! – Urla ridendo una voce profonda. – Wow, com’è? – chiede una voce roca. – È stupenda, tutta per lei capo, è la Speciale! – Allora questa la condividiamo, per il Capitano dobbiamo fare un buon lavoro – Dice una voce maliziosa. Sento delle mani ghiacciate toccarmi il collo facendomi rabbrividire la schiena, fanno girare qualcosa sotto al mento e mi trascinano via, provo a ribellarmi ma la forza continua a schiacciarmi. Urlo più forte che posso, guardo le ragazze in cerca di aiuto, distolgono tutte lo sguardo, alcune tristi altre impaurite. Alcune piangono. Cerco di togliere il collare che mi sta strangolando ma le mani sono bloccate dalla forza e provare a muovermi mi provoca solo altro dolore, l’aria mi si blocca in gola e inizio a boccheggiare in cerca d’ossigeno. Mi portano in un’altra infinita stanza bianca, mi gettano in un angolo spostandomi a forza di calci e ridendo con espressioni eccitate, non è tanto grande quando sembrava. Vorrei non urlare, non piangere ma non ci riesco. So cosa stanno per farmi me lo
sento dentro, non posso non piangere, non urlare o provare a difendermi, anche se il dolore si fa sempre più forte, anche se loro restano lì fermi a fissarmi, godendosi ogni mia urla. Dopo un po’ smetto di gridare, urlare è inutile, nessuno verrà a salvarmi. Cerco di calmarmi ma le lacrime non vogliono smetterla di uscire. Ho paura, vorrei non mostrarmi così debole, vorrei continuare a cercare di essere forte ma non ci riesco. La consapevolezza che non me la caverò con le parole si fa strada in me, neanche con le urla o i pianti. Non uscirò di qua fino a quando non avranno finito con me, e qualcosa nei loro sguardi mi fa intuire che non succederà presto. Vedo tutto appannato a causa delle lacrime che mi riempiono gli occhi ormai gonfi, intravedo dei piedi avvicinarsi, qualcuno mi afferra per i capelli e mi tira su la testa in modo che io li possa vedere. E li vedo, li vedo guardarmi dall’alto, vedo i loro volti con i capelli e gli occhi bianchi fissarmi eccitati, godendosi ogni mia lacrima. Si tolgono gli occhiali tutti insieme mostrandomi i loro occhi bianchi, le lacrime scendono ancora più veloci alla vista di quelle pupille nere che mi fissano eccitate. Quello che deduco essere il capo si abbassa e s’inginocchia accanto a me, il campo di forza si fa più forte quando si avvicina e minaccia di distruggere ogni mio pensiero e ogni mia cellula. L’Occhi Bianchi si siede sulla mia pancia e s’inchina sul mio volto: – Non piangere piccola, sei al sicuro con me – Inclina la testa – non ti voglio far del male. Devo solo educarti, se sarai brava non ti succederà niente – Dice accarezzandomi i capelli. Le lacrime mi scendono sempre più copiose. – Non piangere piccola, no, sh sh, stai calma – gioca con alcune ciocche dei miei capelli. Gioca con me. Si avvicina al mio volto guardandomi con i suoi occhi vitrei e mi lecca via le lacrime. Sento la sua lingua viscida scorrermi sul viso, a quel tocco inizio a piangere ancora più forte e inizio a singhiozzare, sento il suo peso schiacciarmi la pancia e la forza spingermi verso il basso. – No cucciola, tu sei Speciale, la Speciale del Capitano, le Speciali non piangono, ti devo solo preparare al Capitano. Nient’altro – Mi sposta una ciocca di capelli dal viso.
So che non posso fidarmi di nessuno, so che vuole solo giocare con me, so che vuole solo farmi del male, ma una parte di me desidera talmente tanto che quelle parole siano vere che smetto un attimo di singhiozzare: – Aiutami – dico con un soffio di voce. La voce mi esce roca e debole, soffocata e sottile. Iniziano tutti a ridere, il capo per primo. – Lo farò piccola puttanella, farò tutto quello che posso per aiutarti – Mi getta la ciocca di capelli con cui stava giocando sugli occhi. Scoppiano tutti a ridere ed io riprendo a piangere più forte umiliata, sento il sangue annebbiarmi il cervello. Lui continua a studiarmi sempre seduto sulla mia pancia. Continuo a vedere gli occhi bianchi che mi fissano. Non può succedermi questo, non ho fatto niente di male. Il capo inizia ad accarezzarmi il volto con le sue mani ghiacciate, va su e giù, mi traccia il contorno degli occhi raccogliendomi le lacrime, mi a le dita bagnate sulle labbra. Mi sta solo stuzzicando, sta solo prolungando la mia agonia. E ci sta riuscendo. Le sue mani si avvicinano al mio collo, lo stringono per un po’, sento l’aria già rarefatta per il peso sulla pancia, bloccarsi e non arrivarmi più ai polmoni che iniziano a urlarmi in cerca di aiuto. Piano lascia la presa e attacca un gancio bianco al collare. – Ragazzi, nei prossimi mesi vi mostrerò come ci si prende cura di una Speciale. Ridono di nuovo tutti, non vedono l’ora di iniziare, lo leggo nei loro occhi. Hanno parlato di mesi? Quanto mi toccherà subire tutto questo? – Perché? – Chiedo – Perché? Perché sei un rifiuto umano, siete tutte feccia, ve ne arrivate dal vostro mondo di radiazioni e poi volete valere qualcosa? Non dovreste esistere! Noi siamo i puri, noi che abbiamo preferito restare qua, al nostro posto, noi che non abbiamo ceduto alla debolezza! Non capisco, di cosa sta parlando? Io non ho fatto niente. Attaccata al gancio c’è una catena bianca, il capo prende un’estremità e inizia a trascinarmi verso una parete e mi lascia accasciata per terra. Qualcuno mi prende
per i capelli e li tira fino a mettermi in piedi, vedo la faccia del capo davanti alla mia, sulle spalle ha un enorme 17. Urlo dal dolore e dalla paura mentre un barlume di memoria riaffiora, 17 non era il fratello del Capitano? Ridono tutti del mio dolore, tranne un ragazzo che sta in disparte in un angolo. Ha i capelli marroni tranne che per delle ciocche bianche, gli occhi sono marrone nocciola con delle pagliuzze bianche. Mi girano sempre tenendomi per i capelli, le mie gambe non reggono il mio peso, quando provano a farmi stare in piedi cado, la forza che spinge ancora verso il basso, sempre scatenando le loro risate, e mi sbattono contro il muro. – Una ragazza bella come te non dovrebbe indossare vestiti tanto banali – mi sussurra all’orecchio 17 accarezzandomi il collo fino ad arrivare al colletto della tuta. Prende la lampo e inizia ad aprirla seguendo la sagoma di pelle che mi lascia nuda con un dito provocandomi la pelle d’oca. Aperta la lampo scende ancora con il dito e poi mi strappa via con un gesto secco il vestito. I vestiti vanno via troppo facilmente, quasi fossero stati fatti apposta. Iniziano tutti a fischiare, l’umiliazione mi colpisce la faccia facendomi diventare di nuovo tutta rossa e scendere altre lacrime silenziose. – Ragazzi, mi spiace comunicarvi che dovremo andarci piano con lei, è la Speciale del Capitano, lui ha detto che possiamo fare tutto quello che vogliamo, a patto che rimanga vergine e viva. Per il resto è il nostro giocattolino, tutto è ammesso, siamo totalmente liberi, anzi ci invita a fare di tutto per domarla. Dice che è una puledra difficile, ma noi siamo i migliori, no? Bene, rendiamolo fiero, uscita da qua non dovrà neanche avere il coraggio di parlare se non viene interpellata – Mi guarda. – divertiti tesoro, sei così bella. Dovresti apprezzare le nostre cure, vuoi che mi occupi io di te? – Mi sposta dei riccioli dietro alle orecchie con un gesto lento e quasi dolce. – No – Sussurro con le lacrime agli occhi. – Peccato, rimarrai delusa. Mi girano sempre tenendomi per i capelli e attaccano la catena a un anello bianco attaccato al muro, mi attaccano in modo che io non rimanga
impiccata ma che il collare mi stringa il collo. 17 si avvicina ancora di più e inizia ad assaggiare la mia pelle partendo dalle labbra e scendendo piano per tutto il mio corpo. La vergogna e il senso d’umiliazione mi assalgono come mai avevano fatto prima mentre uno ad uno si avvicinano, mi studiano, annusano, toccano e assaggiano, nelle orecchie ho solo un brusio di fondo. Mi toccano bramosi scaldandosi le mani gelide sul mio corpo facendolo diventare gelido a sua volta. Sono sette, leggo i loro numeri sulle spalle: quello nell’angolo è 18, gli altri sono 78, 67, 99, 65, 13 e 17. Più a il tempo più diventano ansiosi d’ispezionare ogni parte del mio corpo. Botta. Il sole bianco splende lontano. Mi brucia la pelle. Unghie. Non c’è il sole, solo il muro. Bianco. È freddo. Tagli. Il soffitto bianco. Mi acceca. Corpi. Il buio non esiste. Bianco. Mani. Dov’è il mio corpo? Buio. Dove sono? Buio. Chi sono? Buio. – Dobbiamo fare una pausa. Svengo. Bianco. Volti. Paura. Cielo. Irraggiungibile. Male. Paura. Occhi azzurri. Buio. Non esisto.
Ho paura a riaprire gli occhi, so che li troverò lì. So che non è stato tutto un sogno, provo troppo dolore. Sento i lividi che ho per tutto il corpo pulsare al ritmo del mio cuore. Ne ho ovunque, sento la loro forma, sbircio per vedermi il braccio che sento davanti alla mia testa. Sono piena, ho tutte le braccia viola con
i segni di grandi mani incisi in viola e nero. Anche la testa non è messa bene, mi gira terribilmente. Faccio fatica a respirare, devo avere delle costole rotte. – Lei starà con noi ancora per un po’… ci divertiremo! – Dice 17 allegro. – Dobbiamo curarla! – Dice 18. – Portate delle pillole – Dice 17 con tono annoiato, come se non fosse importante che io muoia. Sento una presenza davanti a me, non apro gli occhi, fingo di non sentire. – Lo so che sei sveglia puttanella. All’improvviso sento una fitta alla schiena che mi distrugge la spina dorsale, mi esce un urlo lancinante: – Visto che sei sveglia? Tra le lacrime intravedo la sagoma di 17 davanti alla mia faccia, mi prende con una mano per le guance e mi tira su la testa: – Non mi mentire, mai più! Lascia cadere la mia testa a terra e se ne va: – Muoviti con quelle pillole! Voglio divertirmi ancora! – Urla. 18 mi si avvicina piano, mi apre leggermente la bocca e ci inserisce dolcemente delle pillole. Mi accarezza il volto e se ne va. Appena ingoio le pillole il dolore si attutisce. Mi riappendono e riparte tutto da capo. Svengo. Freddo. Caldo. Buio. Non esisto. Terra. Acqua. Forza. Svengo. Risate.
In piedi. Forza. Corpi. Muro. Svengo. Risate. Muro. Corpi. Forza. Svengo. Risate. Mani. Forza. Terra. Lacrime. Svengo. Risate. – Dai 13 forza! Svengo. Risate. – Cosa fate? Ma no! – Risate. Svengo. Risate. Smetto di pensare. Non esisto. Corpi. Muro. In piedi. Forza. Svengo. Risate. Buio. Bianco. – Voglio sentirla implorare – Dice 65. – Ragazzi non serve il coltello, è già sottomessa! – Urla 18. – Vi prego. Farò tutto quello che volete – Imploro con le lacrime agli occhi ritrovando la voce. Guancia. Buio. – Parla solo se sei interpellata, non hai ancora capito? Comando io qua! Tu Non Sei Nessuno, tu non dovresti esistere! Solo perché sei del Capitano non vuol dire che puoi atteggiarti da superiore, sarai sempre sotto di me! Sarai sempre inutile, TU NON ESISTI! Piango. Muro. – Capito? – Urla.
Annuisco. Tremo. – Io non ci sto – Urla 18. – Non puoi rifiutarti! Anzi sarai tu a farle il primo taglio! Portate il coltello! Non puoi sottrarti al mio volere, prima o poi dovrai partecipare anche tu! E questo è il tuo momento, non ti capiterà più una Speciale! 18 fa per andarsene ma viene bloccato da 13 e 99. – La segniamo come tutti i prigionieri, ordini del Capitano – 17. Compiaciuto. – Ne è sicuro? – 99. Perplesso. – Certo, e portatemi delle forbici. – 17. Gola. Muro. – Ehi piccola, adesso ti divertirai, ho una sorpresa per te. Non indovinerai mai di cosa si tratta ma ti piacerà! – Spina dorsale. Brividi. Lividi. Pulsano. – Lo so che ti piace tutto questo, piace a tutte infondo, non lo ammettete ma vi piace, vero? A noi piace di sicuro, ed è questo che conta no? Tu sei solo una puttanella come le altre, piagnucolanti e delicate. Ma ti piace no? Quando ti tiro i capelli e bacio il tuo sudicio collo ti piace quando ti mordo, ti piace sentire il mio corpo sul tuo, le mie mani toccarti il seno. Vedi, perché piangi? Perché sei come tutte – orecchie. Soffio. Brividi. – Ricorda questa sensazione, non finisce qua, ci saranno altri momenti tutti per noi. Entrano gli altri con un coltello e delle forbici. 17. Capelli. Sono nuda. Rosso. Per terra. Bianco. Coltello. Freddo. Pelle. Lama. Gelo. Ago. Aghi. – Dimmi che non sei sottomessa. – Non sono sottomessa – Lacrime. Il sole. Dov’è il sole? – Dimmi che non sei sottomessa. – Sono sottomessa – Urlo. Lacrime. Non lo trovo. – Devi fare quello che ti dico, sempre!
Urlo. Rosso? Io voglio il sole. È bianco. – Dimmi che sei solo una puttana. – Sono solo una puttana – Urlo. – E che non ti piace tutto questo. – Non mi piace tutto questo – Sussurro. – Non mentirmi! – Urla. Lacrime. Il sole non è così. – Portate qua il ragazzo! Prendi il coltello. 18 prende il coltello, ha paura. – No, ti prego – Supplica. – Se non lo fai continuo io, e vado avanti giorni! Faccio io le domande, tu usi il coltello. – Dimmi che sei stata domata – Dice 17. – Sono stata domata – Sussurro. Lacrime. – Non devi mentirmi! 18, fallo! Voglio il sole! – Girala. 18 sta piangendo. Io voglio il sole. Il sole non è così! Non è rosso! – Bravo ragazzo! Adesso va, me ne occupo io, e non piangere!
La lama cade a terra. 17 si avvicina. Ha la lama. Sulle mie labbra. Mi guarda negli occhi. Sostengo il suo sguardo. Qualunque cosa farò verrà usata contro di me. Piangere non funziona. Le mie regole. Sono viva. Non mi sottometterò più. Non abbandonerò mai il contatto con i suoi occhi bianchi per prima. Il dolore è insopportabile ma inchiodare 17 con lo sguardo mi da la forza di sopportare in silenzio. Sono tornata. Lui ha stabilito il contatto e lui lo distoglierà. Senza smettere di fissarmi dice: – Vedi ragazzo, non è ancora domata, abbiamo solo liberato la sua vera natura. Mi sbatte per terra sanguinante tra i cadaveri dei miei capelli. 18 sussulta e una lacrima cade dai suoi occhi. – Chiudete la ferita a quest’essere, prendo il ferro e torno. Avranno una lenta e dolorosa morte, su una cosa 17 aveva ragione, hanno liberato la mia vera natura, quella che li distruggerà tutti, tutti tranne 18. Lui ha provato a salvarmi, un giorno dovrò ricambiare il favore. 17 torna e mi appendono al gancio sempre con la faccia contro il muro. Vedo 17 avvicinarsi tenendo un ferro rovente in mano, mi lanciano addosso dell’acqua ghiacciata e 17 me lo preme sulla spalla schiacciando sempre più forte, ma appena stabilisce un contatto visivo riprendo a fissarlo con le lacrime agli occhi, ma lacrime di dolore, di rabbia, non di supplica. Toglie il ferro dalla mia spalla e mi tira una mazzata in testa con il manico. Svengo. ano il periodo successivo a cercare di farmi distogliere lo sguardo, applicano tutte le torture possibili e immaginabili. Sono diventata la loro bambolina di pezza ma sono vigile. Combatto. – Dai ragazzi non andateci piano con quelle mazze, picchiate forte, tanto guarirà in un lampo! E loro lo fanno, ma ormai il dolore fisico è talmente una costante che urlo molto più raramente, piango spesso sì, ma mai distolgo lo sguardo di mia spontanea volontà e mai lo farò. Questa è una soddisfazione che non gli darò. Ho il corpo distrutto, ormai sento solo più botte o le loro bocche sul mio corpo,
non perdono mai un’occasione di toccarmi. Poi un giorno entra: – Ragazzi, cosa fate? – Dice il Capitano con voce tranquilla e scherzosa, come se fosse tutto un gioco. – Prima o poi si piegherà – Dice 17 colpendomi in faccia. Lo fisso ostile sorridendo lieta nel vedere che sta impazzendo. Buio. Torno a fissarlo peggio di prima. – Ascolta il tuo fratellino – Dico con voce crudele. – Vedi? Alla fine sarai tu a sottometterti, non è pane per i tuoi denti. Rimettila in forze e falle ricrescere i capelli. La voglio produttiva, me ne occuperò io più avanti – Si rivolge poi a me – Sai qual è la cosa buffa? – Lo guardo con tutto l’odio che riesco a trovare, non è difficile. – Che se non fossi scappata da me ora non saresti qui. Saresti felice, con me, a rilassarti in un letto morbido. Hai scelto tu di essere qui – Mi accarezza il viso con aria tenera – Dimmelo quando vorrai tornare con me. Ti aspetto. – Mai – Sussurro con le poche forze che mi restano. Lui si avvicina di più, mi accarezza i capelli e mi bacia la bocca. Cerco di ribellarmi ma la forza si oppone a ogni mio sforzo, ci provo e riprovo e alla fine ci riesco, riesco a morderlo. Salta in aria e si allontana, lo guardo sorridente. – 17! Perché hai tolto il campo? – Urla arrabbiato. – No signore, non avrei mai… – Zitto! Rimetti in forze questa puttana ma prima dalle una lezione per questo. – Certo signore – Dice sottomesso. Mi buttano per terra. Svengo. ano il tempo seguente a riempirmi di pillole di tutti i tipi e il mio corpo si rimette in forze in fretta, anche se il tempo a lento lo stesso, tra pensieri sfocati di una mente assopita e fantasmi di lacrime e urla che hanno consumato
la mia mente. Non sono più niente, sono solo un sacco mezzo distrutto che contiene un’anima vuota, distrutta, stanca di non esistere. Quando le ferite si sono rimarginate e i capelli ricresciuti mi mettono una tuta diversa da quella che avevo prima, sempre bianca ma con le spalline. È fatta in modo che si veda il marchio sulla spalla che ho scoperto essere un cavallo che abbassa la testa davanti a un leone rampante. 17 mi prende per la gola prepotentemente tirandomi fino in piedi: – Ringrazia che il Capitano ti ha salvata, fosse stato per me ti avrei uccisa, sei solo una puttanella qualsiasi e farai la loro stessa fine. Io sarò il tuo peggior incubo, sempre. Lo fisso negli occhi sorridendo, lui mi butta per terra e mi trascina fino alla porta tirandomi per i capelli. Ho vinto ma ho perso. Loro si sono presi la mia anima ma io mi sono presa la forza di 17, ora so di poterlo sconfiggere, e lo sa anche lui.
4 – Prigione
Torniamo nella grande sala, 17 mi sbatte contro a una parete. – Che ne facciamo di lei? – Chiede 13. – Cella di massima sicurezza – Mi guarda maligno – Divertiti puttanella. Legano una catena bianca al mio collare e a un anello fissato al muro, poi attaccano ai miei polsi dei collari sempre bianchi ma più piccoli e mi legano le caviglie insieme ai polsi, in modo che sia costretta a rimanere accartocciata. – Te le toglieremo se farai la brava – Dice 17 ridendo. Cercando di muovere la testa vedo il simbolo che ho sulla spalla su tutte le altre ragazze, poche altre hanno la catena al collo ma nessuna è legata come lo sono io. Provo a muovermi ma le catene oppongono resistenza e i collari si stringono ferendomi la pelle. – Non cercare di muoverti – Sussurra una ragazza – Peggiora solo le cose. – Fai movimenti lenti – Consiglia un’altra – Quasi impercettibili. – Perché sussurriamo? – Chiedo timorosa. – Sentono quello che diciamo. – Come? – Non lo sappiamo. – Dove siamo? – Sussurro. – Nella prigione di massima sicurezza, ci tengono qui tra una cosa e l’altra. – Quali cose? – Chiedo timorosa.
– Dipende… – Da cosa? – Da come ti sei comportata. Guardo i suoi capelli biondi, quasi d’orati, con delle ciocche ondulate bianche che le fanno risaltare gli occhi azzurri bordati di bianco. È semplicemente stupenda, le labbra rosa pallido donano un senso di perfetta armonia di colori. Seguo il profilo della sua tuta attillata, tutto nel suo corpo è piacevolmente proporzionato, ogni cosa sembra messa al posto giusto. – Tu come ti sei comportata? – Chiedo timorosa pentendomene quasi subito. Abbassa lo sguardo e le scende una lacrima. Annuisco, ho così tante domande che non so da dove cominciare… – Cosa sono le pillole? – Sono tutto, possono farti guarire da qualsiasi malattia o morire e ammalare. Per questo possono torturarci senza conseguenze permanenti sui nostri corpi. Resto in silenzio, ho finalmente un po’ di tempo per pensare. Adesso ho un compito, devo scoprire tutto su questo posto e distruggerlo. Non posso farmi prendere dagli incubi, l’unica cosa che conta è scappare, devo dimenticare, almeno quanto basta a vendicare i miei ricordi, o almeno devo mettere da parte i miei problemi, se riesco ad andarmene avrò tempo per quelli dopo, se no tanto vale morire. – Ci stanno anche guardando? – Sussurro. – Sì… ma se sussurriamo non riescono a capire le parole distintamente, poi non gli interessa granché, mi hanno confidato che ascoltano solo se ci sono movimenti sospetti.
– Confidato? – Sai non tutti ci cercano solo per… quello… molti vogliono solo parlare, sfogarsi. – Avvicinati – Sussurro. – Non posso più di così. – Perché? – C’è una barriera, un campo elettrico, se lo tocchi ti da la scossa e si rimpicciolisce. Le altre ragazze ci guardano curiose mentre sonnecchiano o parlottano tra loro. – Come ti chiami? – Sussurro. – Non lo so, mi chiamo Lolyta 37 per via del mio ruolo, ma chiamami solo Lolyta… nessuno sa il suo nome, ci attribuiscono un “nome” a seconda del lavoro che svolgiamo… – Dice imbarazzata. – Da quanto sei qui? – Non lo so, giorno, notte non esistono qua, non dormiamo mai e il tempo è sempre uguale… Ci portano via a intervalli regolari e dobbiamo svolgere il nostro compito, ci riportano qui in modo da essere tutte insieme alla consegna delle pillole, a proposito dovrebbero arrivare a momenti… Sento delle porte aprirsi e i di gente, Lolyta si allontana da me lentamente e si appiattisce al muro. Alcune ragazze si appiattiscono e si fanno più piccole possibile, altre si tirano in piedi e si mostrano in una posizione fiera mentre una decina di occhi bianchi inizia ad avvicinarsi minacciosamente. All’improvviso un barlume di speranza brilla nella mia mente, alcune ragazze sono pronte a combattere, forse non sono sola! Hanno in mano tante capsule bianche con un segno nero sopra, ne distribuiscono
una a ogni ragazza, mi giro verso Lolyta per cercare di vedere cosa c’è nella capsula che ha sopra una L e un 37, l’occhi bianchi che le porge la capsula è alto e giovane, le si avvicina piano e l’assale, lei non dice niente, resta ferma con gli occhi lucidi, ma è un lucido diverso da quello di tutte le altre ragazze, è un lucido di rabbia, è un lucido di vendetta. Nessuna la guarda ma sbirciando i loro volti vedo che alcune trattengono le lacrime e altre condividono il suo destino con altri occhi bianchi, alcuni dei quali li riconosco. – Ammettilo che vorresti godere come lei – Sussulto, non pensavo di avere 17 così vicino. Lo guardo con odio, nella mia mente lo sto strangolando. Si avvicina lento con le pillole che mi sono destinate, apre la capsula bianca con la S sopra e si avvicina: – Sai cosa è questa? – Indica una pillola arancione, scuoto la testa – È una pillola per attutire il dolore, la diamo nel caso colpiste la barriera con un voltaggio troppo forte... – La fa cadere – Ops, si è rotta. Non la puoi prendere, sta attenta. Questa invece – Me ne indica una viola – È per la fame – La lascia cadere – Oh, che peccato, questa azzurra ti toglie la sete – Fa cadere anche quella – Poi, vediamo cosa c’è… quella verde per il sonno la puoi prendere, così non potrai dormire, poi quella bianca la devi prendere… gialla e rossa le puoi prendere sono per non sudare e per bloccare le normali funzioni corporee, ma la marrone – La lascia cadere – Peccato, era quella contro le ferite, quella che poteva salvarti le caviglie e i polsi – Dice stringendomi i collari – Attenta a quello che fai, io ti starò incollato. – Lo guardo ostile e lui mi tira uno schiaffo, poi prova a separarmi le gambe, i collari si stringono e mi tagliano le caviglie, poi mi prende per il collo, mi tira in avanti e la catena che mi tiene attaccata al muro, che prima era abbastanza lunga, si accorcia tirandomi il collo. 17 se ne va ridendo e si porta via altri occhi bianchi con un gesto autoritario. Quando se ne sono andati tutti rimane un silenzio carico di tensione. Sono tutte zitte, immobili, con gli occhi nel vuoto. Poi una ragazza inizia a parlottare con la vicina e tutte ci rianimiamo come uscissimo da un sogno, come non fosse successo niente.
– Sono stata via tanto tempo? – chiedo cercando di fingere che non sia successo niente come le altre. – Sì – Interviene un’altra riprendendosi dall’oblio. – Me lo ricordo perché quel giorno mi avevano appena ridestinata, ne ho avuta un’altra qualche settimana fa quindi sei stata la dentro per due mesi e più… – Ridestinata? – Quando ti cambiano lavoro, succede circa una volta ogni due mesi fino a quando trovano il lavoro adatto a te. – Come fate a sapere il tempo che a? – Non lo sappiamo. Agli inizi con la ridestinazione riesci ad avere un po’ di cognizione del tempo, poi non sai più niente, vieni solo assorbito dal bianco, ma ogni anno c’è una cerimonia, lo chiamano Capodanno, l’ultimo è stato poco prima che ti fero uscire. – Cosa fai tu? – Sono addetta al riscaldamento, prima ero alle pulizie. – Come ti chiami? – 23, sono destinata a diventare una occhi bianchi dopo il compimento di venti anni di prigionia – Dice triste. – In che senso? – Chiedo perplessa. – Vogliono che diventi una di loro, dicono che “ho la stoffa” qualunque cosa voglia dire. – E tu come ti chiami? Te l’hanno già detto? – Chiede Lolyta. – No, so solo che il Capitano ha detto a 17 di mandarmi ad addestrare… – Il Capitano?
Si zittiscono tutte. – L’hai visto? – Due volte… appena arrivata mi ha mandata da lui e quando ero dentro è entrato a dire agli altri di smetterla, che era tutto inutile. – Ecco perché, sapevo che eri diversa, 17 mi sembrava più crudele del solito. Sei davvero una Speciale… – Perché? Una cosa? –nessuno l’ha mai visto, il Capitano… le Speciali sono prigioniere che sono destinate a stare con lui ma è sempre restato un mito, nessuna lo è mai stata da quando siamo qui… – dice Lolyta. Abbasso la voce, nessuno mi deve sentire, non mi accorgo del silenzio glaciale che ci circonda. – Io l’ho sconfitto sapete, 17, non mi sono piegata, me ne andrò da qui. Mi guardano tutte spaventate, riesco quasi a sentire l’idea farsi strada nelle loro menti e nel momento in cui la realizzano posso percepire la speranza irradiarsi nelle loro vene e prendere possesso del loro corpo. Entrano degli occhi bianchi, vengono verso di me: – Non mollate – Urlo rivolta a tutte. – Vi darò mie notizie, date ascolto a una occhi bianchi di nome 53, la manderò da parte mia se non mi dovessero mandare di nuovo qua. – dico a Lolyta. Annuisce, mi sento prendere per la gola e vengo trascinata via, ho un ultimo momento per urlare: – NON MOLLATE! Mi tappano la bocca con un calcio e mi rinchiudono in una stanza, a quanto pare siamo diventate stranamente interessanti. Rimango sola in una stanza vuota, mi hanno tolto le varie catene quindi sono libera di muovermi, ne approfitto per camminare e sgranchirmi gli arti. Ho tante cose alle quali pensare, ho scoperto
molto, per prima cosa che per qualche strano motivo il Capitano pensa che io sia destinata a lui. Una parete sbatte contro di me, strano, pensavo di star girando in tondo… provo a guardarmi intorno, le pareti sono molto vicine, e continuano ad avvicinarsi minacciose. Sento il soffitto abbassarsi e le pareti avvicinarsi sempre di più, mi rannicchio per terra quando il soffitto mi tocca la testa. Mi accartoccio più che riesco ma le pareti continuano a stringersi, diventando sempre più fredde. Quando non riesco più a muovermi smettono di rimpicciolirsi ma le sento ancora premere. Inizio a tremare al contatto delle pareti congelate. Mi metto a cantare, mi aiuta a non pensare al dolore. Alzo sempre di più la voce fino ad urlare a squarciagola, quando mi viene male continuo abbassando la voce fino a canticchiare nella mia mente. Poi inizia un pensiero, un bisbiglio, inizia piano, isolato, poi aumenta e aumenta sempre di più, ma non riesco a capire cosa dice, poi arrivano le voci, sottomettiti, all’inizio si mischiano ai bisbigli, poi diventano sempre più forti fino a essere urlati nella mia mente. Sottomettiti. Perché è tutto nella mia mente, per questo non riesco a pensare ad altro, perché è tutto nella mia mente. Le urla, i bisbigli, è tutto nella mia mente. Sottomettiti. Urlo forte, cerco di sovrastare le voci ma loro aumentano d’intensità. Sottomettiti. Sottomettiti. Gli occhi azzurri si fanno vedere timidi ma il dolore mentale è troppo forte, non c’è posto per loro in tutto quel dolore, in tutte quelle voci che si sommano a immagini di torture e di dolore. Le voci diminuiscono piano ma si fanno più insistenti nel tono. SottomettiTi. Cerco di cancellarle, mi tappo le orecchie fino a quasi strapparmele, so che non migliorerà le cose, so che è tutto nella mia testa ma ci provo, voglio sparire. Non so quanto tempo va avanti, potrebbero essere ati anni come ore. Il tempo svanisce nella mia pazzia mentale, non soffro più, resto apatica a tutto, gli occhi sbarrati e la mente vuota, esistono solo le voci. Poi piano piano si esauriscono, ma al loro posto non rimane niente, non ci sono pensieri. Solo un vuoto brusio di sottofondo. Sento il cubetto in cui sono inserita muoversi, ma non ci faccio caso. Esiste solo il brusio vuoto. Ad un certo punto il cubo si ferma e le voci ripartono. Mi metto ad urlare cercando di sovrastarle nella mia mente ma è tutto inutile. Mi agito anche se ogni movimento mi provoca bruciature. Sento delle risate mischiarsi al brusio, m’irritano ancora di più, l’odio per quelli che ridono di me si accende dandomi una nuova forza. Sembrano reali, sono al di fuori della mia mente. Le conosco, sono degli scagnozzi di 17. La scatola si apre dall’alto e vengo tirata su dai capelli e buttata per terra.
Non riesco a controllare gli spasmi, mi metto a piangere e singhiozzare coprendomi le orecchie e muovendomi avanti e indietro in modo compulsivo. Non riesco a togliermi le voci dalla testa. L’odio mi percorre il corpo ma si perde negli spasmi. Mi tirano in piedi e rimettono i vari collari, io continuo a tremare. Vedo le ragazze, la maggior parte ha delle catene al collo, Lolyta ha anche quelle ai polsi e alle caviglie, ma lei ha ancora gli occhi combattivi a differenza di altre, 23 non incrocia il mio sguardo ma non sembra essermi riconoscente, immagino che farmi vedere così non le aiuti, così quando mi tirano i capelli per farmi alzare la testa ho uno sguardo combattivo, di una che non si è arresa, la postura è salda, forte. 17 mi sussurra ad un orecchio: – Mostrati debole per una volta, non posso uccidere te, ma la tua amata Lolyta 37 e le altre sono solo prigioniere, possono morire in modi atroci senza che nessuno faccia una piega. Deglutisco a fatica e serro i pugni. – Sei così… – Mi accarezza la schiena. – Peccato che sei di mio fratello. Non rispondo, guardo dritto avanti a me, ma non so perché il solo fatto di non abbassare lo sguardo a quel contatto mi sa di ribellione. – Ragazze state per assistere alla punizione ufficiale di questa traditrice, colpevole d’ingiurie verso la comunità. Noi vi abbiamo accolte in casa nostra e voi ci ripagate così? Cosa succederebbe se ve ne andaste? Chi si prenderebbe cura di voi? – Mi accarezza in modo troppo confidenziale – quest’essere sta cercando di distruggervi e noi per proteggervi la puniremo in modo esemplare. La sua punizione verrà decisa dal Capitano in persona. Entra il Capitano e si avvicina a me, tutte lo guardano meravigliate e impaurite. Mi tira uno schiaffo appena mi è davanti: – Tu! Sei un essere disgustoso. Mi prende per i capelli e mi butta al centro della stanza.
– Non so neanche come punirti – dice tirandomi un calcio – sembra che nessun dolore fisico ti possa turbare. Mi guarda per un attimo, sono ancora per terra, ho ripreso a tremare e a muovermi avanti e indietro non m’importa se mi faranno altro male, ormai non sono più niente. – Ha sofferto abbastanza, rimettetela in cella. – Ma! Capitano! – Zitto! Osi controbattere? – No signore, dica solo perché, non si meriterebbe qualcosa? – Non la voglio troppo traumatizzata, deve riprendersi, la voglio operativa, abbiamo già perso abbastanza tempo. Se ne va a o veloce senza guardare indietro, c’è qualcosa che lo turba. Prima di uscire parla un’ultima volta: – Mi hai deluso.
5 – 18
Non voglio più parlare con nessuno, ho paura di mettere le ragazze nei guai, 17 ha preso sul personale quello che il Capitano gli ha detto. Sembra volermi punire ogni volta che mi vede solo per il fatto che respiro, così dato che non possono toccarmi se la prendono con Lolyta o con le ragazze che mi stanno attorno lanciandomi occhiate eloquenti per farmi capire che è colpa mia. Così me ne resto ferma e zitta nel mio angolino cercando di non pensare a niente, cercando di dimenticare per poter tornare più forte di prima, io mi vendicherò. Ogni tanto delle ragazze, specialmente Lolyta mi fanno arrivare parole di conforto come “è ato un altro giorno” o “siamo con te”, ma io non rispondo, 23 non mi ha più parlato, si vede che c’è l’ha con me. Accenno un sorriso a volte ma per il resto rimango nella mia immobilità. Ci sono così tante cose che vorrei dire, che vorrei chiedergli, ma resto zitta e ferma. Devo riuscire ad assumere una maschera da brava ragazza, fingere che il tempo ato nella scatola sia bastato a placare la mia voglia di fuggire e di ucciderli tutti. Le pillole continuano ad arrivarmi, ma adesso me le porta 18, 17 non si fa vedere da un po’, solo i suoi uomini continuano a venire. Sono contenta che sia lui a portarmele, lui è gentile. Il tempo a ed io rimango ferma, immobile, aspettando l’arrivo di 18. Non so perché ma mi da forza vedere i suoi capelli marroni che lottano contro le sfumature bianche. Si avvicina lentamente e mi a le pillole, non mi guarda negli occhi, sembra vergognarsi. Un giorno mi toglie la catena ai polsi, lo fa con un gesto lento, dolce. Lo guardo, gli occhi pieni di gratitudine, vedo un mezzo sorriso sul suo volto e lo ricambio timida. a altro tempo e le sue mani delicate tolgono tutte le catene, tranne quella al collo. Ma io rimango ferma, rannicchiata nel minimo spazio possibile, con gli incubi negli occhi, una rabbia omicida e la sola speranza di vedere gli occhi marroni di 18 sempre nascosti dagli occhiali bianchi. Un giorno si avvicina, slega la catena dal muro e mi fa cenno di seguirlo dopo avermi aiutata ad alzarmi. – Grazie ̶ Sussurro, mentre mi aiuta a camminare, lo sto ringraziando di tutto,
anche delle pillole ate nei giorni della mia tortura. – Muoviti! – Dice con voce che vorrebbe essere dura, ma che sfuma diventando dolce. Usciamo dalla stanza, lo guardo da vicino, è poco più alto di me, deve avere più o meno la mia età, qualunque essa sia, i capelli marroni e ribelli gli ricadono sugli occhi, ad un certo punto alza gli occhiali per grattarsi e vedo i suoi occhi, vedo la sua indecisione, sembra che voglia dirmi qualcosa: – Devi chiedermi qualcosa? – Domando, la voce roca dopo tanto silenzio. Esita. – Non lo dirò a nessuno, te lo prometto – Sussurro, voglio solo sentire la sua voce. – Perché mi hai ringraziato? – chiede tutto d’un fiato dopo un istante d’indecisione. Sorrido, è una domanda lecita. – Perché non mi hai strattonata, strangolata o simili – Sorrido imbarazzata. – Ah! Prego. Cammina a testa bassa, come se non fosse soddisfatto. – E… volevo anche ringraziarti per… sì insomma, per quando ero… sì insomma… per le pillole… – Dico imbarazzata. Si muove di scatto, quasi non me ne accorgo, mi spinge contro un muro e mi butta in una stanza buia, mi guardo attorno confusa, vedo a malapena i contorni di un divanetto e un tavolino. – Ma dove…? – Chiedo. – È una stanza fuori uso, non verrà nessuno qui.
Lo guardo perplessa con uno strano senso di calore nella pancia, perché mi ha portata qui? Pensavo fosse diverso. Pensavo non volesse farmi del male. Lo guardo con le lacrime agli occhi, sono indignata, offesa, non ci posso credere. Sto per mettermi a urlare ma lui mi tappa gentilmente la bocca con la mano. – Io sto con te – Dice togliendo la mano e lasciando uno strano bruciore al suo posto. – Cosa vuol dire? – Chiedo confusa. – Significa che non ti voglio fare del male. Voglio aiutarti, odio questo posto, voglio uscire da questo buco. Ma non lo puoi dire a nessuno. Non vorrei fidarmi di lui, non dovrei fidarmi di lui. È uno di loro, ma non riesco a non farlo, si toglie gli occhiali e vedo i suoi occhi, sono tristi, disperati e puri, sono gli occhi di un bambino. Non posso dimenticare quello che ha fatto per me, ha tentato di proteggermi, non importa che non ci sia riuscito, è il tentativo che conta. – Perché non mi hai mai fatto del male? – Domando timida ma curiosa. – Te ne ho fatto – Risponde con le lacrime pronte a uscire. – Non di tua volontà, perché? Mi guarda triste: – Non voglio diventare come lui. – Lui chi? – Mio padre. – Tuo padre è… – 17, già – Dice con disgusto, non riesco a mascherare l’espressione terrorizzata che mi si dipinge sul volto
– Quindi il Capitano è… – Chiedo con voce strozzata. – Mio zio, già… – Perché mi sento in trappola? E perché ho così paura che lui se ne accorga e ci rimanga male? – E tua madre? – Domando cercando di ricompormi. – È morta, anni fa. Troppe informazioni, troppe cose, non so cosa fare. Dovrei fidarmi? Il modo in cui ha pronunciato il nome del padre mi fa intuire che non lo sopporta, ma potrebbe sempre mentire. Guardo il suo volto, sta per scoppiare. Gli tremano le labbra e gli occhi sono pieni di dolore misto a rabbia, guarda la mia faccia diffidente e scoppia, inizia a picchiare i pugni sul muro rovescia un tavolo e si accascia accanto al divano in lacrime, non sta fingendo. M’inginocchio accanto a lui e lo abbraccio, non riesco a resistere, è più forte di me. Non posso vederlo soffrire, mi fa troppo male. So che non ha senso, lui dovrebbe essere il nemico, ma mi fa soffrire vederlo così. Ho dei flashback di quando ero prigioniera del padre, quando soffrivo io soffriva anche lui, ricordo il suo sguardo sofferente quando ha preso quel coltello e di come ha provato a sottrarsi. E ora sono io a soffrire per lui. Lo stringo forte tra le mie braccia, sento tutte le parti di pelle a contatto con la sua bruciare e dell’elettricità are dal suo corpo al mio ridandomi vita. – Gliel’avevo detto – Racconta tra un singhiozzo e l’altro – le avevo detto di scappare. Lo stringo forte e mi metto a cantare la prima ninna nanna che mi viene in mente:
“Pio pio pio, pio pio pio Pio pio pio fa il pulcino Miao miao miao, miao miao miao Miao miao miao fa il gattino”
– Sono rimasto indietro, è tornata per salvarmi e lui l’ha uccisa.
“Ciao ciao ciao, ciao ciao ciao Ciao ciao ciao fa il bambino Tutti i cuccioli del mondo Alla sera fan la nanna”
– Chi sei? – Mi chiede. – Non lo so – Rispondo.
“Tutti i cuccioli del mondo alla sera fan la nanna”
– Chi sei? – Chiedo. – Non lo so – Risponde. – Chi era lei? – Chiedo cambiando discorso. – Era la Lolyta di mio padre, mi hanno concepito per sbaglio, una pillola difettosa. – Parlami di lei. – Era fantastica – Un sorriso spunta sul suo volto rigato dalle lacrime – L’esatto opposto di lui, era così solare. Sono un errore – Il sorriso sparisce.
– NO! Tu non sei un errore, tutto questo è un errore, tu mi hai salvata – Prendendo il suo viso tra le mani quando scuote la testa, le sue lacrime bagnano le mie mani. – Ci hai provato, e questo mi basta. Tu sei la speranza che qua dentro non siano tutti come tuo… – Non chiamarlo così! – Dice arrabbiato – Lui non è mio padre, è solo l’assassino di mia madre! – Urla. – Okay okay, calmati, ma come non chiamerò lui così non chiamerò te 18 – dico decisa, 18 mi sa troppo di macchina, lui è una persona vera, non può essere solo un numero. – In che senso? Come mi chiamerai? – Chiede perplesso. – Non lo so… un nome vero… come Eric! – Dico sorridendo. Sorride anche lui. – Mi piace Eric! Ed io non chiamerò te Speciale, ti chiamerò… Mia! Perché sei la MIA salvatrice. Nella penombra i suoi occhi cercano i miei e i miei i suoi. Distogliamo entrambi lo sguardo imbarazzati. – Adesso dobbiamo andarcene – Con un sospiro ricaccia dentro le lacrime. – Certo, tirami uno schiaffo – Dico risoluta alzandomi. – Perché? No! – Perché si indigna per così poco? – Giustificherai così il ritardo, io ho provato a scappare e tu mi hai dato uno schiaffo. – Spiego spazientita. – Non posso – Ha uno sguardo che non ammette repliche, che non vuole repliche. Lo guardo esasperata. – Ho sopportato di peggio, muoviti! – Ci vuole tanto a tirare uno schiaffo?
Me lo tira, ha il dolore negli occhi. Gli sorrido incoraggiante, questo schiaffo non mi ha fatto male. Prima di uscire devo chiedergli ancora una cosa: – Perché vuoi aiutarmi? – Non lo so, non posso non farlo. Annuisco più confusa che altro, usciamo dallo stanzino e percorriamo infiniti corridoi ognuno immerso nei suoi pensieri, ci guardiamo con la coda dell’occhio ma distogliamo subito lo sguardo imbarazzati. Non so cosa sia successo tra noi, ma sono sicura che qualsiasi cosa fosse era già nata la prima volta che ci siamo visti. Sento di conoscerlo da una vita e sento anche una strana elettricità al pensiero che lui si trovi accanto a me. Me la sento nella pancia, che mi brucia l’intestino ogni volta che penso a questa vicinanza. Dovrebbe essere una cosa dolorosa, fastidiosa, e lo è, ma è anche piacevole, mi fa sentire viva. Mi fa sentire così al sicuro che mi sento vulnerabile e in pericolo. Sento che lui è la ragione per la quale sono qui, sento che sono qui solo per lui, che tutto quello che mi è successo è successo perché io potessi conoscerlo. Non so perché, ma sento che tutto quello che mi è accaduto finora è stato giusto se mi ha portata da lui, sento che ne è valsa la pena. E non lo conosco neanche. O forse sì? Conosco la parte dell’Eric che si è confidato nella saletta e conosco la parte di 18 che mi ava le pillole con gentilezza. Le due parti di lui, quella pubblica e quella privata, sono simili. Sono tutte e due dolci e sensibili. E le mie invece? Non so neanche chi sono, Mia resterà solo per Eric, solo lui potrà conoscerla. Di nessun altro mi fiderò mai a tal punto. Arriviamo in una piccola saletta piena di occhi bianchi con il Capitano al centro. Ci sono anche 53 e 17. Appena entro assumo l’aria più docile che riesco a trovare, abbasso lo sguardo e guardo il pavimento con aria assente, come se nulla di tutto ciò mi toccasse minimamente. – Perché ci hai messo tanto? – chiede 17 con tono crudele, quasi come se cercasse un motivo per punirlo. Eric mi guarda, esita per un istante, io non muovo un muscolo, vorrei dargli aiuto, ma non posso, deve sapersela cavare. – Ha provato a scappare. – Dice con voce dura.
C’è riuscito, forse non è la prima volta che mente al padre come vorrebbe farmi credere… – Capisco, ma sei qui e questo ti fa onore, non è una prigioniera facile, ti avevamo sottovalutato non trovi 17? – Quel suo tono sarcastico mi irrita ma non posso fare a meno di sorridere mentalmente alla vista della faccia di 17 che guarda il figlio in modo truce e me mi fulmina con una sola occhiata. – Si, signore. – Ha i denti serrati e gli occhi sospettosi. Con lui dovremo recitare meglio, ma ho il sospetto che niente di quello che farò o dirò avrà mai la speranza di essere creduto da lui. – Perché sono qui? – Sussurro con voce sottomessa e senza alzare lo sguardo. – Stai per essere assegnata a un lavoro, volevo essere io di persona ad annunciartelo e ad assegnarti un agente di scorta. Vorrei poterti riprendere subito con me, aprirti le porte di casa, ma come posso fidarmi di te? Era tutto così perfetto, Perché Hai Rovinato TuTTo? – Inizia a urlare. – Ci stavamo per Sposare! Era tutto Perfetto! Ma poi sei scappata. – Si calma, c’è anche 53, mi guarda, il senso di colpa dipinto sul suo volto. – Io ti amo, ti accoglierò di nuovo sotto il mio tetto, ma devi dimostrarmi fedeltà e devi dimostrarmi di essere pronta. – Finisce con voce melliflua. Annuisco senza alzare lo sguardo. – 18, visto che sei stato così bravo fino a qua voglio metterti alla prova, sarai tu a occuparti di lei. Portala al centro di addestramento. Tutti sgranano gli occhi, 17 è infuriato, scommetto che sperava di essere lui a “prendersi cura di me”. – Ne è sicuro? – Chiede 17 adirato. – Lui non è pronto, non è ancora uno di noi. – Sì ne sono sicuro, non mi contraddite! Cosa stai aspettando? MUOVITI! – Urla adirato. Tiro una minuscola gomitata in segno di rimprovero a Eric, lui capisce e mi
spinge fuori. Mentre usciamo sento bisbigliare: – Ne è sicuro? – Ma come? – È pericoloso! – Ci distruggerà! – ZITTI! E qui per uccidere me, non voi. Non scapperà, la emo a nostro vantaggio. C’è una guerra e lei deve combatterla per noi! Dubitate forse della mia integrità? La porta si chiude di scatto ed io corro via.
Eric mi segue, corre più veloce di me, mi supera e apre una porta verso il buio. Mi butto su di lui e scoppio a piangere. Rimane incerto un attimo poi mi abbraccia forte. Ci sediamo e lui mi culla canticchiando la mia ninna nanna. Pio pio pio, pio pio pio Pio pio pio fa il pulcino Sento il suo alito caldo solleticarmi le orecchie provocandomi dei brividi alla schiena, il suo tocco mi rassicura e mi terrorizza allo stesso tempo. Cosa mi sta succedendo? Me la canta un paio di volte poi smette. – Mia? – Sì? – Dobbiamo andare, ci staranno aspettando.
Mi alzo e offro una mano per aiutarlo, la guarda incerto poi ci si appoggia per alzarsi. Mi mette una mano sul viso. – Mia? – Sì? – Non devi avere paura di Eric, lui non ti farà mai del male. – Eric? – Ribatto toccando la mano che ha poggiato sul mio volto. – Sì? – Non devi avere paura di Mia, lei non ti farà mai del male. Sorridiamo e di nuovo i nostri occhi s’incontrano, sosteniamo lo sguardo un secondo poi lo abbassiamo imbarazzati. – Sta attenta! – Anche tu. Usciamo e lui mi riprende per la catena, capisco cosa ci siamo appena detti. Mia ed Eric si proteggeranno ma la Speciale e 18 sono un’altra cosa, sono altre persone.
6 – 153
Entriamo in un’enorme stanza bianca, alla mia destra e alla mia sinistra ci sono dei divanetti color bianco panna, davanti a me vedo solo una scrivania bianca, sopra ad essa si trova la statuetta con il leone e il cavallo rampanti, ci sono anche delle carte ordinate e una penna d’oca bianca. Accanto alla scrivania c’è una pianta bianca e dietro si trova un uomo enorme intento a leggere un ologramma azzurrino che viene proiettato sulla scrivania bianca, i suoi occhiali sono poggiati accanto a lui. – Ho portato la prigioniera – Dice 18 con voce sicura. Degli uomini enormi mi osservano da un angolo come fossi un animale da macello, nascondermi dietro 18 mi viene naturale. – E cosa dovremmo farci con questa? – Chiede quasi disgustato il ragazzo seduto alla scrivania senza neanche alzare lo sguardo dall’ologramma. – Deve andare in battaglia, ordini del Capitano. – Ordini del Capitano tsé, lui che ne sa di cosa bisogna fare per addestrare una come questa? Ma infondo è lui che comanda RAGAZZI! Venite dai, ne abbiamo una nuova, ordine speciale dal Capitano in persona! – Risponde lui sarcastico. Entrano degli altri ragazzi enormi che mi guardano curiosi, un uomo enorme sulla quarantina mi fissa ridacchiando: – Lo sa vero che dovrà partire dal corso per bambini? – Scherza. – Glielo farò sapere. – Risponde 18 a tono. – Verrò a prenderla al 4° battito. – Aggiunge poi serio. – Sarà pronta. – Dice l’Occhi Bianchi mettendosi sull’attenti in modo scherzoso. – Trattatela bene, è la Speciale del Capitano. – Continua 18 serio. Ormai sono certa che al Capitano non interessi niente di come sto, anzi… per
questo le sue parole mi stupiscono tanto, lui non gli avrà detto di sicuro di dirle… lo guardo è capisco, non stava parlando 18, stava parlando Eric. Nessuno ci sta guardando, sono tutti in un angolo che discutono tra loro, mi giro piano verso di lui, sta ancora tenendo la catena, e Mia gli sussurra: – Non fare sciocchezze, non metterti nei guai per me, posso sopportare. – Me la so cavare benissimo da sola. – Non sto mettendo nei guai Eric, 18 non è nessuno, Mia è importante per Eric. I ragazzi si girano, mi vengono incontro e tolgono la catena dal mio collare, mi fanno cenno di seguirli. – Attenti tenterà di scappare. – Ecco di nuovo 18. – Non ti preoccupare, sappiamo come trattarla. L’affidiamo a 153, è uno dei migliori. Si avvicina l’uomo che mi aveva presa in giro: – Ciao bellezza, vieni con me, ti accompagno al centro addestramento. – Da vicino è ancora più grande, è muscoloso ma non troppo, quanto basta per incutere timore, ma ha un’espressione gentile, simpatica. Mi porta in una sala infinita piena di ragazzi marchiati come me che utilizzano varie armi, da spade a fucili e archi e ad armi rozze come mazze. Alcuni ragazzi sono enormi e fanno paura, altri sono minuscoli e faticano a tenere le loro armi, sono tutti scortati da un Occhi Bianchi, 153 mi fa cenno di seguirlo. – Qui addestriamo i prigionieri alla guerra, non ti spaventare da questi omoni, ci sono anche armi adatte a una signora. Il Capitano mi ha contattato e ho capito cosa vuole, che tu sappia combattere. – Termina con un sorrisetto sarcastico. Cosa vuole da me il Capitano? Di cosa sta parlando? Vuole che io mi mostri sua alleata, anche se sa che voglio fuggire? Non lo capisco, non ha senso, niente ha senso qua dentro. Poi cosa vuol dire che c’è una guerra? Avrei sentito delle voci fosse stata qua sotto, Lolyta me ne avrebbe parlato... una guerra tra qua e cosa? Sono sicura che ci siano altri posti, posti veri. Non ho ricordi veri ma so cosa
sono i colori, gli animali e le piante quindi ci devono essere da qualche parte, devono esistere ed io devo esser esistita con loro. Potrebbe essere una guerra tra quel mondo che non sono sicura esista e questo. Questo pensiero mi rassicura, pensare che ci sia un posto in cui scappare, vorrei così tanto essere sicura di quello che sto sperando. Mi prometto di dirlo a Eric, ma poi mi viene un dubbio terribile, e se lo mettessi in pericolo? Non posso permettermelo, lo devo proteggere, devo correre il rischio e chiedere a 153: – Tra chi è questa guerra? Chi dovrei combattere? – Sussurro. Mi guarda perplesso, non sa cosa dirmi, se la verità o mentirmi, mi fa cenno di avvicinarmi a lui, mi mette una mano sul viso e nasconde la sua bocca, credo abbia optato la verità. – Contro quelli di sopra, il mondo vero. Loro non dovrebbero esistere. – Sussurra. Mi porta davanti a una parete piena di armi bianche, ci sono una serie di archi bianchi dal più semplice ed elegante ai più complessi e pesanti. Ma la mia testa è altrove, chi non dovrebbe esistere? – Scegli pure. Gli indico il più semplice che mi sembra anche il più facile da maneggiare. Mi fa vedere come si tira e mi mette davanti a dei bersagli bianchi. Guardo il bersaglio davanti a me e costringo me stessa alla concentrazione, tendo l’arco, ma c’è qualcosa che mi sfugge. Sento il filo tendersi nelle mie mani e la freccia pronta a essere scoccata, ma manca qualcosa. Mi concentro fissando il bersaglio, lascio la freccia e la seguo con lo sguardo mentre si va a conficcare nel muro, lontana dal bersaglio. – Non ti preoccupare, riprova. – Mi esorta 153 fiducioso. Prendo un’altra freccia, tendo l’arco e sento di nuovo quella sensazione che c’è qualcosa di sbagliato, manca qualcosa, è come se mi trovassi in una situazione abituale ma sbagliata… tiro e manco il bersaglio anzi, faccio un tiro persino peggiore del primo. Non mi scoraggio, provo e riprovo ma non c’è niente da fare. Ogni tanto scorgo 153 che mi guarda gli occhi con un’espressione strana. Intravedo i suoi occhi un paio di volte, sono bianchi ma hanno ancora delle pagliuzze verdi. Quando li vedo sento qualcosa muoversi dentro di me, sto per tirare, ma quella cosa, qualunque sia mi distrae, mollo la presa di colpo e la
freccia vola verso un ragazzo che sta sollevando una spada e a momenti non lo colpisce in testa. Si gira verso di me e mi guarda minaccioso, mi scuso mortificata e torno al mio arco mentre 153 mi guarda ridacchiando. Lo fulmino con lo sguardo e ride ancora più forte. o il resto del tempo a cercare di centrare un bersaglio ma creo solo disastri, manco per un pelo quasi tutti quelli che si stanno allenando accanto a me che sono quindi obbligati a smettere di allenarsi per tenersi lontano da me e dalle mie frecce vaganti, ben presto mi si forma un drappello di gente attorno che fa il tifo per me. Ridono tutti, mi lascio andare e inizio anch’io a ridere con loro: – Pensate sia così facile? Provate voi! – Dico scherzosa. Un ragazzo mi viene incontro, prende l’arco e tira la freccia dritta al centro del bersaglio. – Non ho mira, mica colpa mia – Ribatto offesa. 153 mi da una pacca sulla spalla e mi esorta a riprovare, ma invano, non colpisco neanche un bersaglio. – Dirò al Capitano che non puoi fare niente che comprenda un bersaglio, mai! – Scherza 155 mentre mi riporta alla sala dove deve venirmi a prendere 18. – Credo che il mio sia un caso molto più disperato. – Scherzo. – Già, lo penso anche io, sei un disastro! Lo guardo facendo la finta offesa e lui si mette a ridere spettinandomi i capelli. Entra 18 e ci guarda torvo. – Si è comportata male? – Chiede serio. – No un soldato modello. – Dice 153 ammiccando complice. 18 mi mette la catena e mi porta fuori, una volta nel corridoio si guarda intorno e mi trascina in una stanza buia. – Quante ce ne sono? – Chiedo curiosa. – Sempre di più, siamo in guerra e non ci sono abbastanza risorse per illuminare
tutto. – Dove sono le luci, non le vedo… – Sono tra le pareti, ci sono delle lampade enormi, le stanze bianche servono a questo, così ci va meno energia o qualcosa del genere, non le capisco queste cose… – Come sai tutto questo? – Domando ammirata. – Ogni tanto origlio le conversazioni di 17… com’è andato l’allenamento? – Un disastro, ma 153 mi sta simpatico, non è come gli altri… – Lo so, il suo è un caso strano, me l’ha raccontato 17, ha dei dubbi su di lui, non gli piace. – Perché un caso strano? – Chiedo giocherellando con le dita di 18. – Perché si è consegnato. – Dice con scioltezza, come se accadesse tutti i giorni. – Cosa? – Chiedo scandalizzata. – Perché? – Nessuno sa perché. Gli hanno cancellato la memoria prima di chiederglielo, ma adesso non pensare male, è una persona fantastica, ci deve essere un motivo logico che spieghi perché è venuto qua, per questo a mio padre non piace, pensa trami qualcosa… – Già, ma a lui non piace nessuno comunque… – Torniamo all’allenamento, è andato così male? – Chiede seriamente interessato. – Non ho centrato neanche un bersaglio. – Dico mettendo il broncio. – Povera cucciola. – Mette il broncio anche lui cercando di imitarmi. Gli tiro un pugnetto e lui ricambia. – Cosa stiamo facendo? – Gli chiedo seria.
– Ci stiamo liberando. – Dice togliendomi il collare. – Ci stiamo liberando. – Rispondo togliendogli gli occhiali malinconica. Guardo le pagliuzze marroni nel bianco intorno alla pupilla nera, chiude gli occhi. – Hai ancora un po’ di colore… – Gli dico toccandogli le palpebre. – Sto per compiere 18 anni… allora la mutazione sarà irreversibile. – Quanto ti manca? – Un anno e mezzo… qui il tempo a in fretta. – Apre gli occhi. – Sai ho trovato la tua scheda, hai 16 anni, come me. – Grazie, hai visto altro? – Chiedo speranzosa. – No, è arrivato 17… Stiamo per un po’ in silenzio guardandoci. Mi aggrappo a quell’informazione come se fosse tutta la mia vita e lui mi sorride, sembra contento di avermi resa felice. – Comunque non mi hai risposto, perché siamo qui, insieme? – Non lo so, tu mi piaci, sei così diversa dalle altre… sai appena ti ho vista la prima volta ho visto qualcosa nei tuoi occhi, qualcosa che mi ha cambiato, nel profondo. 17 mi ha obbligato ad assistere a tante iniziazioni, e tu, tu sei stata così… sei stata l’unica a resistere, a non perdersi, a vincere. Tu sei stata la prima a sconfiggere mio padre! Resto in silenzio per qualche secondo poi le parole mi escono da sole. – Anche tu mi hai cambiata, sento qualcosa in te che mi fa sentire bene, al sicuro. Ma io lo ucciderò. – Non se lo faccio prima io. – Mi guarda con occhi furbi. Ci corichiamo e chiudiamo gli occhi.
– Io mi sono persa. – Cosa? – Nella stanza. – Ma ti sei ritrovata, sei tornata. Resto in silenzio a meditare, sono davvero tornata? – Per quanto possiamo restare qui? – Chiedo immersa nei miei pensieri. – Abbiamo ancora un po’ di tempo… ho cambiato i registri, sembrerà che sei uscita più tardi. – Perché? – Chiedo assente. Scrolla le spalle – Avevo voglia di parlare con te. Sento qualcosa bruciarmi alla bocca dello stomaco e arrivare fino al cervello. Sento i punti che sono a contatto con lui bruciare e l’aria diventare elettrica. Sento che tutto sta cambiando. Adesso so, so che c’è un posto dove scappare, so quanti anni ho e so che Eric ricambia i miei sentimenti, che anche a lui piace stare con me e questa è la cosa più importante per me. Ho bisogno di avere qualcuno che stia al mio fianco in questo posto orribile. Qualcuno con cui poter parlare e sfogarmi. Qualcuno che non trami di uccidermi o torturarmi. Le nostre mani si cercano, si toccano e si stringono forte, gli occhi azzurri mi guardano tristi, sento che li sto tradendo, ma cerco di togliermeli dalla mente, non so neanche di chi siano, non posso dispiacermi per loro, non adesso che non ho niente. Ho solo Eric e non posso lasciarmelo sfuggire solo perché ho le visioni. Però dentro di me sento che non sono solo visioni, sento che sono gli occhi di qualcuno di reale, che sta soffrendo per me. Stringo forte la sua mano, ho bisogno di sentire la sua presenza, ho bisogno di sapere che è accanto a me. – Cosa faremo? – Chiede triste. – Distruggeremo questo posto, insieme.
– Io non voglio distruggere, voglio solo andarmene. Restiamo in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri. – Cosa vuol dire che quelli di sopra non dovrebbero esistere? – Domando continuando a giocare con le sue mani. – Non lo so con precisione. Mio padre li odia, dice che sono rifiuti dell’umanità, che non dovrebbero esistere. Le radiazioni avrebbero dovuto ucciderli, ma sono sopravvissuti. Non si sa come, ma sono sopravvissuti. Ma non sono tutti così, lui e la sua banda sì, ma gli altri non tanto… lui può fare di tutto per via del fratello, il Capitano non gli dirà mai niente. – Quindi non tutti vengono trattati così? – Solo le ragazze che ano per le mani di 17 o della sua banda, oppure chi si ribella, che siano maschi o femmine. Tu sei nella prigione di massima sicurezza, lì ci sono ate tutte. – E gli altri? – Chiedo, quale altro destino poteva capitarmi? – Se non sono ritenuti pericolosi al colloquio iniziale vengono spediti in una prigione a bassa sicurezza e messi al lavoro. – E come si fa a decidere? – Vedono come ti poni, se credi alla storiella che sei caduto e hai battuto la testa, se no ti mandano in una di media sicurezza dove ti fanno il lavaggio del cervello o in quella di massima dove finisci nelle mani di 17 se sei femmina, se no finisci alle armi dove ti devi picchiare con altri per sopravvivere. Restiamo di nuovo chiusi nel nostro silenzio provocato dalle immagini atroci che ci popolano la mente. – Vieni spesso qui? – Chiedo cercando di cambiare argomento e sciogliere un po’ la tensione. – Sì, ci vengo per riflettere, quando ho bisogno di riposare gli occhi. – Fa male?
– Cosa? – Gli occhi bianchi. – No, arrivano e basta. Non te ne accorgi, un giorno finisci in una stanza con uno specchio e li vedi, allora ti crolla il mondo addosso, ti senti il bianco dentro, senti che stai sparendo, che stai diventando parte del bianco stesso. Resto in silenzio, gli occhi persi nel vuoto. – Succederà anche a me? Il silenzio che segue la mia domanda mi dice che succederà. – Come sono adesso? – Stupendi. – Dice dolce. – E i miei? – Stupendi. – Rispondo senza pensarci. Gli occhi azzurri mi guardano offesi, chiudo gli occhi e stringo forte la mano di Eric.
7 – Rivelazioni
Le giornate iniziano a diventare noiose e monotone, l’addestramento continua sempre più disastroso, il Capitano esige ancora che io usi l’arco ma ho provato tutti quelli dell’armeria e non ho mai centrato un bersaglio, anzi la mia mira, se possibile, va peggiorando, inoltre ho iniziato anche ad allenarmi per migliorare la prestanza fisica. 153 mi fa fare ore di addominali, flessioni e corsa, oltre che percorsi ad ostacoli che devo superare grazie all’arco ma che finisco sempre per fallire a causa d’esso. Finisco quindi per essere solo scoraggiata e dolorante, come farò a scappare se non so scoccare una freccia e ho l’agilità di un criceto grasso? Come se non bastasse ho male a tutti i muscoli, compresi alcuni dei quali non sapevo esistessero per colpa dei quali non riesco quasi a camminare, sono uno straccio. In compenso mi sono fatta degli “amici”. I ragazzi sono molto gentili con me, mi guardano con tenerezza e questo un po’ mi disturba, ma mi piace anche. Mi piace quando mi guardano come se fossi un uccellino caduto dal nido, almeno so che la maschera da brava ragazza regge, ma non è solo per quello; mi stanno davvero simpatici, non gli Occhi Bianchi, quelli sono enormi e minacciosi, ma i prigionieri sono gentili. Scherziamo nel tempo libero e giochiamo a giochetti inventati da noi, giochi intellettuali, che servono a togliere un po’ di bianco dalla mente. Molti ci sono però vietati, non possiamo parlarci nelle orecchie, hanno paura che potremo fare piani di fuga o complottare in generale. Non possiamo neanche parlare del mondo, quello vero, quello che ci siamo lasciati alle spalle. È strano come si comportano tutti, odiano gli Occhi Bianchi ma quando se ne avvicina uno per vedere cosa facciamo scherzano e ridono con lui o lei. Credo che sia il loro modo per mostrarsi innocui, per far capire che non vogliono creare problemi e credo che in fondo non ne vogliano creare, credo che a loro piaccia combattere, non a tutti, ovvio, ma a molti sì. Li vedo quando si allenano, provano piacere a trafiggere i manichini, a tendere i muscoli fino al massimo sforzo per distruggere un manichino, che si trasformerà in una persona, in una vita umana. Loro sanno che quel manichino diventerà una vita. Forse è per questo che non riesco a tirare una freccia. Forse è per questo che non centro mai un bersaglio, so che si tramuterà in una vita umana, che quel mio tiro, un giorno, trafiggerà un corpo e gli toglierà la vita. Non posso permettere che mi mandino in battaglia, non posso permettere che mi costringano a distruggere una vita, un pensiero umano.
Non posso creare orfani e vedove, non posso creare lutti e dolore. Io non voglio questo dalla mia vita, voglio che le frecce che dovrei tirare salvino la vita a qualcuno, non che gliela distruggano, ma alla fine non voglio neanche quello. Voglio solo una vita normale. E questa non è una vita normale, non so cosa sia normale, qui è normale che Occhi Bianchi e prigionieri si odino, è normale che i prigionieri subiscano violenze, è normale che ci siano menzogne e ricatti. Ma tutto questo non è normale, quando io dico di volere una vita normale intendo avere una vita che non comprenda tutto questo, una vita dove possa stare con chi amo, dove non possa subire violenze e non ci siano menzogne e ricatti. Eppure sono la prima a farli, io mento di continuo, no! La Speciale mente, non Mia. Lei è sincera, ma la Speciale non può. Ho queste due parti dentro di me che si scambiano e a volte sovrappongono. Come quando sto con loro, sono aperta e dico quello che penso, ma sempre nei limiti che la sopravvivenza mi detta. Tutto quello che faccio è per la sopravvivenza mia e di chi amo o anche solo a cui voglio bene. Per questo ano giorni di confusione, giorni in cui non so più chi sono, o da una personalità all’altra a seconda se mi trovo con un Occhi Bianchi o un altro prigioniero. 153 mi sta sempre più simpatico, è una persona molto gentile e allegra. Ha sempre la battuta pronta e tratta tutti allo stesso modo, certo a volte è duro, soprattutto con me, ma non lo fa in modo crudele. Lo fa quando mi scoraggio e butto a terra l’arco, solo allora mi sgrida ma non lo fa con cattiveria, lo fa in modo carino, mi dice che non posso mollare, che non devo mollare, mai. In compenso ho incontrato una donna che odio poco meno di 17 e della sua combriccola. L’ho incontrata al centro, fa da balia a un ragazzo di nome Arms, lui è un prigioniero come me, è molto dolce, non farebbe mai male a nessuno, è qui solo perché è di corporatura massiccia, nei pochi momenti di pausa parliamo nella saletta della ricreazione. Mi ha insegnato a giocare a dama e da allora iamo le giornate a sfidarci, è difficile perché tutto qua è bianco e gli Occhi Bianchi non ci lasciano giocare con niente, dobbiamo cercare nella spazzatura dei rifiuti e poi segnarli in modo diverso per indicare i neri e i bianchi, ci mettiamo in un angolo dietro a tutti in modo che non ci vedano e se arriva qualcuno nascondiamo i pezzi sotto a un divanetto. Molti sanno che giochiamo, 153 ad esempio ci avvisa quando sta per arrivare qualcuno e a volte si mette a giocare con noi o ci aiuta a trovare i pezzi. Pensa che sia stupido che noi non possiamo giocare nel nostro tempo libero, dice che li aiuterebbe a controllarci se noi avessimo la possibilità di avere un po’ di svago, ma su questo sono intransigenti, hanno già subito ribellioni in ato e sono diventati più paranoici
del necessario. Vince spesso lui ma nell’ultimo periodo inizio a prendermi delle rivincite. Stavamo parlando insieme quando l’ho incontrata la prima volta, stavamo ridendo delle nostre pessime performance atletiche quando me la sono vista addosso. È una ragazza enorme, altissima e magra, i suoi occhi non solo sono bianchi, ma anche duri e gelidi, pezzi di ghiaccio che ti congelano con un’occhiata. I capelli bianchi legati in uno chignon o in una coda le fanno risaltare i lineamenti duri. Si chiama 98, è nata qui. Mi ha fulminata con lo sguardo e mi ha fatto cenno di andarmene, come se non fossi niente, solo una cacchetta di topo da dover spazzare via dal divano. Questo non l’ho potuto sopportare, l’ho guardata con aria di sfida, e mi sono allargata sul divano in modo da occupare tutto lo spazio. L’ho fissata negli occhi, avevo una strana sensazione addosso, come se la forza che mi aveva già oppressa prima tentasse ancora di annullarmi, ma ho continuato a guardarla con aria di sfida, mi sono sentita improvvisamente osservata, con la coda dell’occhio ho visto che tutti ci stavano fissando, alcuni ridacchiavano e altri mi guardavano preoccupati. Ho detto: sai chi sono? Ha risposto: sì, lo so. E non m’interessa. ̶ Ti rendi conto, Eric? – Ho ribattuto che le dovrebbe interessare, sempre occhi negli occhi. 98 si è avvicinata minacciosa sempre fissandomi, 153 è corso verso di me e mi si è parato davanti dicendo: non vorrai davvero toccarla, lei mi serve, intera! Lei l’ha guardato con disprezzo e si è allontanata seccata trascinando il ragazzo dietro di se’ e mi ha guardata male tutto il giorno! È la persona peggiore che ho incontrato fino ad ora dopo… be’ tu sai a chi mi riferisco. – Concludo seccata a Eric. – Le donne che nascono qua diventano, se possibile le peggiori. Siamo in una società molto maschilista, quindi o si sottomettono o diventano peggio degli uomini, per farsi accettare, non devi avercela con lei, non è colpa sua, è colpa della società in cui ci troviamo. – Vorrei ucciderla.
Mi guarda ridendo: – È incredibile il tuo carattere, sei così strana! Lo guardo male e lui inizia a farmi il solletico per farmi ridere. – Dico davvero, sei così strana, ma in senso positivo. Vuoi mostrarti debole, e ci riesci ma se qualcuno ti sfida non riesci a trattenerti, devi far vedere chi sei. Inizio anch’io a fargli il solletico e ci mettiamo a lottare sul divanetto della nostra stanza buia.
I miei incontri con Eric continuano, andiamo sempre più d’accordo, ci affidiamo l’uno all’altra. iamo il tempo libero a parlare nelle stanze buie, lo tempesto di domande su questo posto. – Come funziona la forza che usano gli Occhi Bianchi? – Prendiamo una pillola apposta, però non basta, dobbiamo anche volerlo, dobbiamo desiderarlo con tutti noi stessi, se la vittima si ribella troppo, mentalmente non fisicamente, allora bisogna essere molto forti per mantenere il controllo. Adesso capisco la strana sensazione provata con 98, io sono più forte di lei. – Cosa si prova? – Chiedo terrorizzata. – È terribile, io non ci sono mai riuscito per tanto tempo, è una sensazione strana, senti l’energia uscire dal tuo corpo e… non lo so fondersi alla mente della vittima… le blocchi il centro nervoso e non riesce più a muoversi… è… lei, lei ti entra dentro, quando è morta, io l’ho sentita dentro… è una cosa innaturale, tu non dovresti poter… non so come gli altri facciano a… Sta per scoppiare a piangere. – Come fai a sapere come a il tempo? – Dico cercando di fingere di non
essermi accorta delle lacrime che tentano di uscire dai suoi occhi martoriati da anni di prigionia. – Qui il tempo si conta in battiti, una giornata è divisa in ventiquattro battiti. Le pillole vengono consegnate al sesto battito, tutti devono essere in prigione per la consegna. I prigionieri hanno dei turni di lavoro da dodici battiti, poi dodici di tempo libero. Ogni battito è scandito da un leggero calo di tensione accompagnato da un impercettibile tic. – Dice riprendendosi un poco. – Perché il primo giorno mi hanno portata via e hanno punito le ragazze? Non avevo fatto niente… – È assolutamente vietata ogni forma di speranza, la temono, ne hanno paura. Gli va bene se parlate tra voi di pettegolezzi o simili, basta che nessuno dica cosa fa o dia un minimo di speranza. Sono disgustata, cosa può fare un po’ di speranza? – A cosa servono gli occhiali? – chiedo cambiando di nuovo argomento. – Ci fanno da mappa, grazie a loro riusciamo a orientarci, pensiamo a dove dobbiamo andare, se hanno l’autorizzazione per portarci dove gli indichiamo ci aprono la porta se no non la aprono. Servono anche per capire a che battito siamo, hanno una specie di orologio, creano anche dei percorsi in modo che nessuno s’incontri nei corridoi, è vietato sapere cosa stanno facendo gli altri. – Quindi tu puoi andare solo in alcune zone? Annuisce. – Solo il Capitano può accedere a tutte le zone, mio padre può andare quasi ovunque, il Capitano però non c’è quasi mai, viene solo a dormire, nessuno sa dove va... ha lasciato mio padre a sostituirlo… Il suo lavoro comprende quindi sia controllare i prigionieri che occuparsi dell’amministrazione del nostro Ramo. – Del nostro Ramo? – Ci sono più Capitani, uno per ogni Ramo, il nostro è Capitano 51…
– Non c’è un modo per poterci spostare così liberamente? – Dovremmo avere gli occhiali del Capitano ma lui non se ne separa mai e inoltre nessuno sa dove vada, neanche 17 e questo lo secca molto. Non se ne separa mai. Mai. Devo avere quegli occhiali. Io devo salvare Eric. C’è solo un modo. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, il momento di andare da lui. Ma ho paura, inizio a tremare al solo pensiero e le lacrime scendono copiose dai miei occhi. Eric mi abbraccia e mi stringe forte a lui, scacciando la paura ma non il dolore, credo abbia capito: – Non puoi farlo. – Dice la voce strozzata in gola. – Non ho scelta. – Sì che ne hai, ne sono sicuro. – Devo portarti fuori di qui. Ci corichiamo sul divano stringendoci forte: – Non puoi abbandonarmi. – Prega guardandomi negli occhi. – Mia non ti lascerà, ma la Speciale deve andare – Perché il pensiero di lasciarlo mi fa così male? – Eric ti proteggerà sempre, chiunque tu sia. Vedo la mia espressione riflettersi nei suoi occhi, non posso permettere a quegli occhi di diventare perennemente bianchi. Il suo sguardo è indeciso, dolce, riconosco quello sguardo. Mi suona un allarme nella testa ma non viene ascoltato, sento il calore esplodermi nella pancia e nel cervello, al pensiero del suo tocco tutto scompare. Chiude gli occhi e si avvicina piano. Chiudo gli occhi anch’io e lo aspetto. Sento le sue labbra sulle mie quando li vedo, ho due flashback, prima vedo 17 che mi assale e poi gli occhi azzurri che mi guardano delusi.
Abbandono il contatto con le sue labbra e vengo assalita da un attacco di panico. Mi rannicchio e inizio a tremare e ad andare avanti e indietro con le spalle. Mi abbraccia più forte, non mi chiede niente, e gli sono grata per questo. Non mi va di parlargliene, sarò pronta, un giorno quando saremo fuori, gli dirò che gli occhi azzurri mi hanno sempre accompagnata, e che credo di averli amati in ato. E sarò pronta anche per dirgli degli incubi di suo padre che mi perseguiteranno per sempre. Ma quel giorno non è adesso, quel giorno è molto lontano. Mi calmo al suono della voce di Eric che mi canta la nostra ninna nanna:
“tutti i cuccioli del mondo alla sera fan la nanna tutti insiem, tutti insiem, tutti insiem con la lor mamma. tutti i cuccioli del mondo al mattin si sveglieranno tutti insiem, tutti insiem, tutti insiem con la lor mamma.”
– Devi farmi un favore, prima… – Qualunque cosa. – Dice, la voce rotta dal dolore. – Chiama una Occhi Bianchi di nome 53 e falla venire qui insieme a una ragazza di nome Lolyta 37, domani a quest’ora devo vederle, entrambe. Dopo andrai dal Capitano. Annuisce e ce ne andiamo, verso il mio ultimo giorno di pace nelle prigioni, se si può parlare di pace, 17 a ancora ogni tanto dalla mia cella con i suoi scagnozzi per darmi una lezione, dice che non è mai abbastanza, ormai le parole del Capitano sono un vago ricordo nella sua mente. Sono stata messa lontano da Lolyta e questo è un sollievo, almeno non mi devo preoccupare che le mie azioni si ritorcano contro di lei. Adesso resisto meglio, mantengo la mia finzione della ragazza sottomessa quindi quando vedo 17 che mi aspetta nella mia cella non faccio una piega. Entro a testa bassa e mi siedo contro il muro, con le gambe strette al petto e la testa nascosta. 17 mi tira un calcio ed io non rispondo. Resto ferma, immobile. Mi concentro su me stessa, penso a Eric e a quando mi canta la
ninna nanna, non ho un corpo, ho solo quel ricordo. Non sento i calci e i pugni “pio pio pio, pio pio pio, pio pio pio fa il pulcino…” non sento nulla, niente di niente, solo la sua voce tranquilla e rassicurante. Non ci sono voci di ragazze soffocate che si dispiacciono per me, c’è solo Eric: “miao miao miao, miao miao miao, miao miao miao fa il gattino…” non esiste nient’altro, non c’è un bianco accecante che mi rovina gli occhi vedo solo Eric che canta: “ciao ciao ciao, ciao ciao ciao, ciao ciao ciao fa il bambino” il pavimento non è freddo, non mi sta congelando il corpo, è caldo e morbido come la sua voce: “tutti i cuccioli del mondo alla sera fan la nanna, tutti insiem, tutti insiem, tutti insiem con la lor mamma”. I i leggeri, quel tic tac sul pavimento non sono i piedi di 98 che viene a dire a 17 cosa ho fatto, è solo il sottofondo musicale della nostra canzone: “tutti i cuccioli del mondo al mattin si sveglieranno, tutti insiem, tutti insiem, tutti insiem con la lor mamma” io sono Mia, non la Speciale. Non sono la Speciale che sta venendo picchiata, sono solo Mia. La ragazza innamorata di Eric che vive nelle stanzine buie, questo non è il mio corpo. Io non sto soffrendo, non mi sta succedendo niente. Sto solo cantando insieme ad Eric: “bau bau bau, bau bau bau, bau bau bau fa il cagnolino” la Speciale sente male, molto male, ma io non sono lei, io sono Mia e sono su un bellissimo prato pieno di fiori, questo è questo strano odore, non è sangue, è solo il profumo dei fiori: “e alla fin, e alla fin, alla fin giocheranno”.
8 – Attesa
Il giorno dopo torno ad allenarmi con un po’ di voglia in più, 153 mi ha detto che ha un’arma speciale per me e mi hanno definitivamente tolto la catena dal collo. Sono curiosa di quello che ha in serbo per me, non c’erano novità da quando ho iniziato ad allenarmi un’infinità di tempo fa, vorrei parlarne con Eric ma oggi 18 è arrivato tardi e non ci siamo potuti vedere. Oggi è teso, sa che cosa voglio fare e non gli va giù. Mi spiace che sia arrabbiato con me, ma ho fatto quello che era giusto, dobbiamo andarcene e se questo è l’unico modo sopporterò, il mio corpo ha subito di peggio e la mia mente sarà sempre con lui, per tutto il tempo, spero che decida di tenermela al sicuro mentre sarò via. Mi da sui nervi camminare accanto a lui in questo stato, sento la tensione irradiarsi in tutto il suo corpo e uscire da esso per avvolgermi. Lo vedo rigido nella sua divisa con le striscioline azzurre e in quell’azzurro vedo gli occhi azzurri, mi fissano infastiditi anche loro. Possibile che nessuno mi voglia oggi? Sono tutti tristi, nessuno pensa a me, sono io quella che sta andando incontro a tortura per salvarli. Cosa vogliono da me? Eric continua a camminare rigido, non posso credere che sia arrabbiato con me perché voglio salvarlo. Perché è questo che sto andando a fare, fosse per me troverei un altro modo, un modo meno doloroso, ma non voglio che i suoi occhi restino bianchi per sempre quindi devo fare in fretta e questo è il modo più veloce. Cerco di convincere me stessa che devo andare, perché questa è la verità, io ho paura. Io non voglio farlo, io voglio restare qui, farei di tutto pur di non finire nelle mani del Capitano. Dovrei essere io quella tesa, invece non lo sono, perché so che è la cosa giusta, perché so che lo devo salvare. Cammina con la testa alta, guardando avanti, dritto avanti a sé. Sento il rumore dei suoi i duro e secco, le gambe sono rigide e i pugni sono chiusi, ha le braccia tanto tese da sembrare che loro e la schiena rigida debbano spezzarsi da un momento all’altro. Continuo a seguirlo, ma sento la rigidezza, la tensione uscire dal suo corpo e avvolgermi sempre di più, la sento entrarmi nel corpo e irrigidirlo piano, così mi ritrovo a camminargli accanto più rigida di lui, con la testa alta e molta rabbia nei suoi confronti, doveva proprio rovinare il mio ultimo giorno di libertà? Arriviamo al centro di addestramento, apre la porta e mi guarda, lo fisso adirata ed entro lasciandolo indietro, non lo guardo più e lui se ne va senza salutare nessuno.
– Ehi! Finalmente senza catena vedo! Lo dicevo che, a parte i tentativi di omicidio con le frecce, sei una brava ragazza! – Grazie, ma lo sai che lo sono solo con te. – Faccio la falsa ruffiana, anche se sono sicura che percepisca la tensione del mio corpo e che quel sorriso tirato non prenda in giro nessuno. Chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo e mi preparo a recitare la parte della brava ragazza. – Cos’hai per me? – Dico sorridendo e con il corpo finalmente rilassato. Sorride entusiasta. – Ho avuto un’illuminazione, il Capitano non lo sa e preferirei continuasse così, quando sarai la migliore glielo faremo vedere. Niente più archi e frecce o armi che impongono dover mirare a qualcosa… da adesso ti addestrerò ad usare la spada, la katana e imparerai ad usare anche i coltelli. Sorrido, questa idea mi piace di più, non so perché ma quando ha detto spada ho sentito uno strano fremito di eccitazione. Un’eccitazione ancora più grande mi pervade quando vedo le spade che ho a disposizione. Sento tutti gli occhi puntati su di me nell’istante in cui impugno una sottile ma tagliente lama bianca dall’aria letale. L’accarezzo con la mano sinistra e sento tutta la sua energia, tutta la sua potenza scorrermi dentro, vedo un manichino e mi ci lancio contro tagliandogli la testa di netto. Tutti mi guardano ammirati e 153 sorride felice di aver finalmente trovato qualcosa di adatto a me, ma il suo sorriso non è niente paragonato alla mia felicità, sento che ho in mano la più grande gioia della mia vita, sento che con questa posso fare tutto quello che voglio, mi sento invincibile. E sento che tutta la mia rabbia è ata, non sono più né tesa né preoccupata. Esiste solo la lama bianca nelle mie mani, esiste solo più la sua potenza letale concentrata nella mia mente. iamo il tempo a dare di scherma, le mosse mi vengono spontanee e riesco a prevederne molte di 153. Mi viene naturale, lascio che la spada mi guidi, l’istinto prende il sopravvento, non ho bisogno di pensare. Lo disarmo un paio di volte, mi lascio andare alla spada mentre sento tutti gli occhi stupiti della sala gravitare su di me. Infatti hanno smesso tutti di fare il loro lavoro per ammirarmi, sono lì che mi fissano e io mi sento potente, sento che posso comandarli tutti. Mi viene spontaneo dare spettacolo, gioco con la spada in mano, danzo ogni mossa agitando il corpo e i capelli. Sento gli occhi che seguono febbrilmente ogni mia
mossa sinuosa. Mi esalto al pensiero di tutti quelli sguardi. Disarmo 153 e tutti applaudono, faccio un breve inchino e vedo che sono tutti raggruppati accanto a me tranne Arms che si sta ancora allenando con 98. Cerca di guardarmi con la coda dell’occhio ma ogni volta che si distrae 98 lo punisce. Non mi chiedo neanche se posso fidarmi di 153, lo sento dietro di me con la spada impugnata. Non posso sopportare che lui sia l’unico a lavorare, non è giusto. Se è vero che in Capitano non c’è mai allora non lo verrà a sapere. Forse è per questo che tutti sono così tranquilli nel fare quello che non dovrebbero… faccio cenno a 153 di seguirmi, mi guarda perplesso intuendo le mie intenzioni. – Ehi Arms! Vieni con noi, oggi è festa! – Dico gioviale. 98 mi guarda torva, ma prima che possa fare qualsiasi cosa interviene 153. – Dai 98 rilassati! Oggi è festa! La nostra Speciale ha trovato la sua strada, questo giorno potrebbe averci salvati tutti! Lei vuole ribattere ma io agisco più in fretta, prendo Arms per un braccio e lo trascino dietro di me verso la piattaforma. Sento 153 e 98 discutere a bassa voce ma io continuo a camminare. Arrivata alla piattaforma sento 153 avvicinarsi a i pesanti, mi giro, 98 se n’è andata. 153 mi guarda, un misto di soddisfazione e disapprovazione nello sguardo, poi senza dire niente riprendiamo l’allenamento. Mi guardano tutti basiti, alcuni Occhi Bianchi si scambiano occhiate preoccupate ma non me ne preoccupo, sono troppo euforica. – Va bene, per oggi basta così, qualcosa mi dice che non era la prima volta che brandivi una spada, sei davvero brava. – dice lusinghiero. Annuisco sorridendo, non so come reagire ai complimenti quindi mi limito ad arrossire, mi sento davvero bene, è come se tutte le mie ansie si fossero scaricate su quella spada, mi sento finalmente potente, sento di avere la mia vita di nuovo sotto il mio controllo. 18 entra di corsa, mi prende prepotentemente per il braccio e mi trascina via. – Muoviti! – Dice con tono seccato. Appena siamo fuori mi prende per mano e iniziamo a correre.
– Cos’è successo? – Chiedo spaventata. – 53 è con Lolyta nella sala che usiamo di solito ma hanno poco tempo, dobbiamo muoverci. Corriamo verso la sala del nostro primo incontro, è cambiato così tanto, adesso corriamo mano nella mano, adesso io sono pronta a fare la cosa più disgustosa che riesco ad immaginare pur di salvarlo. – Eccomi! – Dico entrando con il fiatone e tenendomi il fianco. Due paia di occhi mi fissano nel buio, un paio sono felici e un paio sono infastiditi, capisco subito di chi si tratta. – Cosa facciamo qui con loro? – Chiede Lolyta disgustata fissando ostile 53 e 18. – Devo parlare a tutti voi. Mi guardano allarmati dal mio tono solenne, Eric sta al mio fianco triste e mi stringe la mano come se avesse paura che io sparissi nel nulla. – Ho dei compiti per tutti e dovrete svolgerli proteggendovi a vicenda, avrò bisogno di tutti voi, ma capisco se non vi volete immischiare, è pericoloso e non voglio che lo facciate contro la vostra volontà, siete con me? – Certo che sono con te. – Dice Lolyta entusiasta. – Cosa si fa? Guardo 53 e lei annuisce. – Bene, Lolyta tu devi vedere quali ragazze sono con noi e quali no, quelle insicure falle venire dalla nostra parte. Isola quelle che sono contro di noi in modo che non sappiano niente e non facciano la spia. Comunicheremo tramite 53 e ci vedremo qui se dovremo parlarci faccia a faccia. – Ce ne andremo via da qui vero? – Chiede Lolyta eccitata al pensiero. – Il più presto possibile. – Le dico prendendola per mano. – 53 tu devi seguire Lolyta e proteggerla, se deve dirmi qualcosa vieni da me.
Non farti scoprire! Annuisce tenendo la testa bassa. – Eric tu ed io avremo bisogno di parlare spesso, sei la risorsa più importante che ho… – Dico, la voce che sfuma minacciando di farmi perdere il controllo. – Non ti preoccupare Mia, sarò sempre lì per proteggerti. Mi accarezza il volto, ricambio. – Sai cosa devi fare vero? – Chiedo triste. Annuisce con gli occhi lucidi, intravedo Lolyta che ci guarda perplessa, come se si aspettasse che ci scannassimo da un momento all’altro. – Sei sicura? Annuisco. – Sono una Speciale no? È il mio destino – Parlo a tutti. – Avremo dei nomi in codice, tutti quelli che stanno con me l’avranno, così ci potremo riconoscere. 53 tu sarai Cell e Lolyta tu sarai Myhara. Scatta il 5° battito, siamo in ritardo. Corriamo fuori e ci separiamo. Mi sembra di correre contro il tempo e allo stesso momento di stargli andando incontro. Sto andando incontro a un destino che mi è stato imposto ma che allo stesso tempo mi sono scelta. Sto correndo per battere il tempo, il 5° battito è già scattato, non posso fare niente per arrivare in orario. Corro più veloce che posso. Scappo. So che non me ne posso andare ma per un attimo m’illudo che sia tutto finito, di essere già libera, libera di volare. M’illudo che scappare sia la soluzione a tutti i miei problemi, anche se so che non è così, anche se so di doverli affrontare m’illudo di poter scappare per una volta. Sento la mano di Eric stringere la mia, corro più veloce e me lo trascino dietro. Si blocca davanti a un muro, riprendiamo un attimo fiato e poi apre la porta per la prigione. 17 ci viene incontro irato ma 18 lo blocca e gli sussurra qualcosa all’orecchio. 17 mi guarda sospettoso, mi da le pillole e mi sbatte nella mia cella
senza dire una parola, che strano, c’è una pillola in più, ha un colore strano, un argento–dorato, la prendo confusa, possibile che sia solo una coincidenza? Si allontanano discutendo animatamente. Abbiamo circa 12 battiti liberi per parlare tra noi e riposare gli occhi, le ragazze tutto attorno a me si godono quel po’ di poco riposo che hanno a disposizione, molte restano semplicemente sedute socchiudendo gli occhi come nel tentativo di dormire anche se le pillole non ce lo permettono, altre parlottano tra loro. Mi giro, ho una nuova vicina; è bassa con i capelli e gli occhi ormai bianchi, mi saluta, dice che si chiama Fhatt, da fattrice perché ha il compito di partorire i bambini che diventeranno Occhi Bianchi. Mi parla della bambina che porta in grembo. Teme per lei, ha paura del futuro che avrà una volta nata, ha paura che finisca a fare la serva o la Lolyta, non sa se è peggio questo o che diventi una Occhi Bianchi spietata come 98. Non riesco ad ascoltare. Fisso il punto in cui ormai so esserci la porta aspettando che vengano a prendermi, ormai 18 dovrebbe aver avvisato il Capitano che sono pronta. So che mi vuole, non ci metterà tanto. Cosa succederà dopo? Non ne ho idea, so che non sarò felice, ma devo proteggere Eric. Non so cosa provo per lui, ma se sono pronta a questo per salvarlo forse è amore. Ripenso a tutti i nostri momenti insieme, alle sensazioni di elettricità e di calore che provo in sua presenza, alle nostre parole dolci e canzoni. Decido che è amore, io lo amo. Questo pensiero si fa strada in me e mi entra dentro la consapevolezza che è tutto vero, io lo amo. Io amo tutto di lui, perfino gli occhi che stanno diventando bianchi ma non freddi. In quelle pagliuzze marroni vedo tutto il calore della sua anima, tutta la speranza per un futuro miliore. Io lo amo, e il Capitano non potrà fare nulla per farmi cambiare idea, vorrei averglielo detto prima, vorrei avergli detto tutto, che lo amo, delle visioni e che lo amo. Sento delle lacrime salate scendere silenziose dai miei occhi tristi. – Non so cosa fare… e se la trasformassero in un mostro? Perché non gliel’ho detto? Adesso non so cosa succederà, non so se potrò mai dire a Eric cosa provo per lui. – Io non sono così, io ho dei valori. E se il Capitano mi vietasse di rivederlo? E se non lo vedessi mai più? – Se dovesse entrare nella banda di 17?
E se… le lacrime continuano a scendere mentre rimugino su tutto quello che potrebbe succedermi. Il tempo continua a correre, lento. Un battito, due battiti. Che cosa posso fare? E se il Capitano non mi volesse più? E se avesse trovato un’altra Speciale? È per questo che non si fa più vedere? O forse non è ancora tornato? – Vi prego, starò zitta, lo prometto. 98 porta via Fhatt dietro al velo che le lacrime hanno calato sui miei occhi. Stava dicendo più di quanto permesso, e lo sapeva. Ma dov’è 17? Sono certa verrà a prendermi lui, ma perché non arriva? È per la lite con 98 o per oggi? Non hanno creduto a 18? Allora lui è in pericolo? E se lo avessi davvero messo in pericolo? Dovevo pretendere di parlare con il Capitano in persona, dovevo espormi personalmente, non dovevo lasciare andare Eric. Lui non meritava questo. Lui meritava di più. Lui meritava di restare fuori, di vivere la sua vita in pace, lontano da me. Lontano da 17. Lontano da tutti. Nessuno meritava tutto questo. Nessuno merita di essere torturato e ucciso solo perché esiste. Ed io, io dovevo proteggerlo, io gli avevo promesso che l’avrei protetto e adesso è là fuori, da solo. Come ho potuto? Lolyta mi guarda triste. Non la guardo, almeno lei devo provare a proteggerla. Devo avere tutto sotto controllo. Devo proteggerli. Mi asciugo le lacrime e mi preparo all’arrivo di 17. Per proteggerli devo essere forte. 17 entra con 18 al seguito, mi guarda con occhio truce scrutando sospettoso gli occhi ancora rossi, mi prende per la collottola e mi attacca una catena al collo per poi trascinarmi via, 18 ha un’aria fredda ma intravedo gli occhi di Eric, si stanno scusando. Ma sono io quella che deve scusarsi.
9 – Preparazione
Vorrei uccidere 17, sento che ho la forza di farlo, la sento scorrermi nelle vene e eccitarmi il pensiero, ma mi trattengo. Cerco di essere iva. Intravedo 18 camminare, è duro, come se nulla di tutto questo lo toccasse, tuttavia vedo i suoi occhi cedere alla rabbia e alla frustrazione di Eric. Si mette gli occhiali e cammina a testa alta, 17 ha la camminata veloce, rigida. Misura ogni o, lo controlla, si concentra su ogni movimento di ogni muscolo. Ogni tanto rallenta e borbotta tra se pensoso, come se stesse cercando una scusa per non portarmi dal fratello. Eric non lo guarda, lo sguardo fisso avanti a se’, anche lui immerso nei suoi pensieri. Ha il o uguale a quello del padre, anche lui misura ogni o e rallenta quando riflette. Però ha una sfumatura diversa, quando rallenta lo fa con grazia mentre 17 si ferma in modo secco, brusco. Anche la camminata rigida è diversa, quella di Eric è più composta, più morbida, leggera nonostante il controllo di ogni movimento. Non avevo mai notato le somiglianze tra 17 e 18. Non li avevo mai collegati, avevo sempre dato per scontata la loro diversità, non avevo mai notato prima il o simile e gli zigomi alla stessa altezza. Anche la mascella è simile, anche se Eric la tiene più rilassata mentre 17 la contrae sempre. Queste somiglianze mi turbano un po’. 18 sarebbe diventato come 17 se non fosse stato per la madre? 17 interrompe il flusso dei miei pensieri buttandomi in una stanza. – Io non me la bevo, ti starò col fiato sul collo, avrai incantato il Capitano ma io sarò la tua ombra. – Dice guardandomi fisso negli occhi. Gli sorrido con scherno, con lui è inutile fingere tanto non se la beve e non lo farà mai, e fa bene. Esce con 18 e io resto sola. Mi guardo attorno, sono di nuovo nel bagno della mia prima “preparazione”, è ato così tanto tempo da quel giorno, eppure lo ricordo bene. Qui ho ato il mio primo attimo di libertà se di libertà si può parlare. Mi alzo e vado verso lo specchio, voglio rivedere il mio corpo, non mi ricordo neanche come sono fatta, solo il rosso dei capelli, che vedo sempre, mi è stampato nella mente. Guardo la mia immagine riflessa, i capelli sono cresciuti ancora e le lentiggini che erano appena accennate risaltano sulla pelle bianca, su quella pelle che sembra porcellana. Guardo le labbra ancora rosse nonostante tutto, guardo come risaltano sulla pelle bianca
valorizzate dal rosso dei capelli. Mi avvicino allo specchio sedendomi sul lavandino per vedere meglio i miei occhi. Mi guardo le iridi verdi con l’ansia nello stomaco, ho paura di cosa potrei vedere. E le vedo, delle pagliuzze bianche farsi strada tra il verde annullandolo. Cado per terra dallo spavento e mi raggomitolo contro un muro, me lo aspettavo dopo tutto. Tutti qui hanno delle pagliuzze bianche ed è da tempo ormai che le mie unghie stanno diventando bianche e che mi trovavo qualche raro capello bianco. Il bianco ha già iniziato ad assorbirmi. Sento un rumore, mi giro di scatto e vedo 53 entrare, le corro incontro e la abbraccio. – Che ci fai qui? – Le chiedo felice di non trovarmi in mani sconosciute. – Devo prepararti per il Capitano, è il mio compito no? Mi guarda sorridendo. Apro il rubinetto della vasca senza dire niente, 53 mette dei profumi nell’acqua, rimango ferma a guardare la schiuma formarsi mentre l’acqua scende con rumore sordo e infrange i castelli di bolle di sapone. Quando la vasca è piena m’immergo nell’acqua calda e profumata e chiudo gli occhi. Mi lascio cullare dall’acqua tiepida e dimentico dove sto per andare, immagino che il profumo di rose del bagnoschiuma sia in realtà milioni di cespi di vere rose, me li immagino in un enorme prato, tutti di colori diversi. Sono in un lago sotto il sole estivo, chiudendo gli occhi vedo quel rosso penetrante della luce del sole che cerca di entrarmi dentro con tutti i suoi riflessi fatti di puntini gialli e blu. Galleggio in quel lago senza preoccupazioni, non ci sono occhi bianchi, corridoi infiniti o armi, ci sono solo fiori e acqua e il sole. Desidero di poterci andare, e forse ci andrò, un giorno. Eric ed io stiamo correndo nei prati fioriti per poi tuffarci nell’acqua e nuotare insieme, guardiamo il sole tramontare dietro le montagne e ci addormentiamo davanti al fuoco sotto le stelle. Siamo coricati con la pancia verso l’universo e guardiamo le stelle farsi sempre più numerose davanti ai nostri occhi colorati, iniziano a cadere e io esprimo il desiderio di restare sempre con lui, lo guardo e lui mi guarda, con gli occhi emozionati, ci baciamo sotto le stelle cadenti. Mi sveglio di colpo con le lacrime agli occhi, le nascondo mescolandole con l’acqua della vasca e dopo un respiro profondo torno a essere la Speciale, perché adesso sono lei, e non posso lasciarmi andare. Mi lascio cullare ancora un po’ cercando di non pensare a Eric ma è inutile, esco seccata e mi metto
l’accappatoio. 53 mi fa sedere davanti al lavandino, la prima cosa che vedo sono i miei occhi nello specchio, sento una fitta al cuore, non posso permettere al bianco di assorbirmi, devo combattere. Cerco di non guardarmi gli occhi, tento di guardare 53 che mi prepara i capelli. Guardo le sue mani muoversi con gesti lenti per intrecciarmi i capelli, mi sta creando due trecce che partono dalla fronte e convergono sulla nuca per poi scendere in una lunga treccia e mischiarsi ai riccioli dei capelli sciolti. Per tutto il tempo però il mio sguardo corre a cercare i miei occhi e ci va una vita perché io riesca a distoglierlo, chissà perché noi umani siamo così. Se c’è anche solo un piccolo difetto in un immagine riusciamo a vedere solo quello, riusciamo sempre a vedere solo quella parte di noi che odiamo, che ci ripugna, e la guardiamo e riguardiamo, sappiamo che non possiamo farci nulla ma non possiamo smettere di guardarla, non possiamo smettere di fissarci su quello che non ci piace. Anche quando guardiamo le altre persone, vediamo sempre quella parte di loro che ci da fastidio, che siano gli occhi bianchi o un brutto taglio di capelli guardiamo sempre quel particolare, anche se ci fa schifo o ci fa male. Perché noi umani non lo ammettiamo ma siamo autolesionisti, ci piace vedere la sofferenza, c’è chi lo apprezza meno, chi davanti qualcuno che picchia un bambino si gira e soffre ma poi, dopo non vuole forse vendetta? Non vuole fare del male a quel qualcuno? Perché noi siamo animali violenti, anche se non lo ammettiamo, a noi piace vedere la gente soffrire. A noi piace vedere il sangue, io stessa non voglio forse vendicarmi di 17? Non medito vendetta? Qui dentro tutti vogliono qualcosa di crudele tutti progettano vendette. Occhio per occhio. Questa frase aleggia nella mia mente riportandomi l’attenzione sugli occhi. Queste pagliuzze frutto di tanto dolore devono essere vendicate? Chi dovrebbe essere oggetto di vendetta? 17? Che ha seguito gli ordini del Capitano e che sta tentando di distruggermi? O il Capitano? O nessuno? Perché poi forse a ragione Eric, io non voglio creare distruzione, io voglio solo andarmene, voglio solo che finisca tutto, e se mi vendicassi sarebbe davvero tutto finito? Mi sentirei davvero meglio? Salverei qualcuno? O farei solo del male? Perché l’idea di vendetta mi attrae così tanto? Sto diventando come loro? Chiudo gli occhi in modo che 53 me li possa truccare, sento il pennellino armi delicato sulle palpebre e premere leggermente ai bordi. Non voglio diventare come loro. Apro gli occhi e vedo le palpebre piene di brillantini bianchi e coperte da uno strato di bianco perlato. 53 mi applica un mascara che mi trasforma le ciglia facendole diventare spesse e bianche e mi mette un
brillantino agli angoli degli occhi. Sulle labbra mi mette un leggero lucidalabbra che riflette il bianco della stanza e infine mi mette dei nastri bianchi tra i capelli e dei fiorellini, sempre bianchi. Mi guardo allo specchio, i capelli risaltano rossi in tutto quel bianco e mi permettono di non sparire in esso. – Vado a prendere il vestito, torno subito. – Dice sbrigativa. Resto sola con la mia immagine riflessa. Perché mi sta preparando così? Il Capitano vorrà vedermi bella, ma tutto questo mi sembra esagerato. A meno che… non può essere, non può avere davvero quello in mente. Ci conosciamo appena, mi ha vista due volte e una ero mezza morta… non può essere così pazzo da credere che io possa davvero... svuoto la mente, non devo pensarci. Mi siedo e inizio a respirare profondamente concentrandomi solo sui movimenti lenti e ritmati dei polmoni, l’aria che entra ed esce. Sempre più veloce. No! Devo calmarmi. Respiri lenti e profondi, chiudo gli occhi. Respiri lenti. I polmoni si riempiono e si svuotano lentamente trattenendo l’essenza vitale dell’aria che rimane intrappolata nella gola. Non posso farmi prendere dal panico. Non posso avere paura. Devo salvare Eric. Penso solo a quello. Non apro gli occhi neanche quando sento la porta aprirsi e i i di 53 che si avvicina. Non li apro quando sento la seta leggera appoggiarsi sul mio corpo. Sento il tessuto fresco pesare sul mio corpo caldo. Non li apro neanche quando 53 mi mette delle scarpe con un tacco esagerato, resto semplicemente lì a respirare per trattenere il panico. Perché non sta succedendo quello che temo quindi posso stare tranquilla. – Perché non apri gli occhi? – Mi chiede 53. – Perché non posso. – Perché sei qui? – Perché devo. – Perché devi? – Perché è il mio posto, il mio destino. – Allora non devi avere paura di aprire gli occhi.
– Non ne ho infatti. Apro gli occhi lentamente, sono davanti a uno specchio che non avevo mai notato, con quello posso vedermi tutto il corpo. Guardo solo il mio volto, bianco come tutto poi scendo lentamente, le spalline di pizzo riprendono il motivo della scollatura. Il tessuto scende poi leggero e morbido fino al terreno, ci sono vari strati di tulle misto a seta che s’ingarbugliano in un complicato ma delicato motivo floreale. Rimango rigida davanti allo specchio, è tutto vero. Non credevo che il Capitano arrivasse a tanto, sapevo che era pronto a tutto, ma sposarmi? Perché? Rimango rigida davanti allo specchio: – 53, va a chiamare il Capitano! Subito! – La voce fatica ad uscire ma è dura e fredda. – Non fare… – Inizia, ma la interrompo subito. – Vai! 53 corre via spaventata dal mio tono. Io resto ferma a guardare la mia immagine con gli occhi pieni d’ira. Non a molto tempo che sento la porta riaprirsi, mi giro con un movimento lento e lo fulmino con lo sguardo. È bellissimo, sono ancora stupita da come dietro a tanta bellezza possa celarsi una presenza così crudele. Indossa una giacca nera con una cravatta rossa. Ha un giglio bianco nel taschino, lo stesso che ho io tra i capelli. – Cosa credi di fare? – Urlo adirata. – Sposarti – Lo dice con leggerezza. – NO! Non si sposa così una ragazza! Ci sono delle regole di corteggiamento e poi non ti conosco neanche! – Sì che mi conosci, ci siamo già corteggiati e TU mi hai già detto di sì. Sei scappata e ti sei rovinata la vita, ma adesso non puoi rovinare anche la mia! La gente inizia a preoccuparsi, non hai idea delle pressioni che sto subendo per la tua pazzia! Adesso si sta alle MIE regole, adesso si fa come dico IO! Sono già stato fin troppo accomodante con te. – Il tono duro si mischia alla voce melliflua.
Lo guardo seccata, con aria di sfida, ma la mia mente è confusa, ha paura che questo ritardo turbi la sua gente? Per questo mi ha accettata senza sapere se mentivo, ha bisogno che io lo sposi. Devo assecondarlo, non pensavo arrivasse a tanto ma qualche sospetto nei meandri della mia mente li avevo, sono pronta anche a questo per Eric. – Perché? – Perché cosa? – Chiede con falsa ignoranza. – Perché mi hai fatta addestrare? – È realmente stupito, l’ho sorpreso. – Io non sono come gli altri, io voglio che tu stia al mio fianco, davvero. Voglio averti al mio fianco, sempre, e per farlo devi essere in grado di combattere. Rimango stupita dalle sue parole, sembra sincero. La voce è meno melliflua, senza quella patina di finzione che la caratterizza di solito. Non gli darò altro filo da torcere, per ora, quindi quando mi dice di essere felice e onorata e mi mostra un anello prezioso con una pietra bianca e mi chiede di sposarlo in ginocchio io gli sorrido entusiasta, lo abbraccio e lascio una lacrima scendere, sembra quasi di felicità abbinata con il sorriso smagliante e con l’abbraccio. Il Capitano va verso uno scaffale e prende una massa bianca che non riesco a identificare, mi viene incontro e vedo che si tratta di una piccola tiara con un velo in tulle, me la mette sulla testa con dolcezza ed esce dalla porta. – A dopo! – Si gira e mi fa l’occhiolino prima che la porta si chiuda. – A dopo. – Sussurro quando la porta si è ormai chiusa. Non posso piangere, devo trattenermi. Lo sapevo, non volevo crederci ma lo sapevo come sarebbe finita, sapevo come sarebbe finita, era il suo piano fin dal primo giorno. Eppure io avevo sperato, mi ero illusa che sarebbe andata diversamente. Cosa mi aspettavo? Che mi dicesse tutto subito senza niente in cambio? E anche adesso che vedo la mia immagine allo specchio continuo a illudermi che ci sia un altro finale. Guardo il mio riflesso, è bianco, bianco ma stupendo, non mi ero mai vista così. Non riesco a riconoscermi tra quei riccioli rossi e fiocchi bianchi. 53 mi guarda pensierosa, le prendo la mano.
Sono pronta. Per Eric.
10 – Matrimonio
Cammino lentamente, il vestito bianco pesa sui tacchi troppo alti rendendo il mio già precario equilibrio ancora più instabile. Faccio i lenti e attenti, misuro ogni movimento di ogni muscolo. La verità è che non voglio farlo, è pensando a una vita fuori da questo posto che alzo la testa e cammino fiera, se lo devo fare lo farò bene. Sorriderò e piangerò di gioia, devo cercare di convincere perfino 17, per Eric. Mi stampo il più bello dei sorrisi ed entro in una stanza enorme. Mi trovo in un corridoio tra due file di persone sia prigionieri sia Occhi Bianchi, ci sono tutti, ma io non guardo nessuno, guardo avanti. Cammino su un tappeto bianco a ritmo di una musica suonata al piano, la mia mente mi dice che si tratta della marcia nuziale, anche se a me sembra una marcia funebre. Cammino seguendo il tappeto bianco fino ad arrivare a dei gradini, li salgo con calma, con la schiena dritta e la testa alta, nonostante il precario equilibrio. Non guardo niente e nessuno, solo dritto davanti a me. Vado orgogliosa verso l’altare che si trova su una specie di palco. Non darò a nessuno la soddisfazione di vedere che ho ceduto, io mi mostrerò forte d’ora in poi, basta fare la parte della vittima sottomessa, adesso ho raggiunto il mio obiettivo e devo cambiare tattica. Sento un riflettore puntato su di me, mi si risveglia una strana sensazione, una bella sensazione. All’improvviso ho la consapevolezza che tutti mi stanno guardando e mi piace. Alzo la testa e sorrido, questo è il mio personaggio adesso, una sposa che ama da morire il suo promesso e che sta andando a are la vita con lui. Lo guardo come guardo Eric e gli vado incontro sorridente. Mi metto accanto a lui e mi giro a guardare il pubblico. Siamo in una stanza enorme, ci sono fiori ovunque, fiori di tutti i tipi bellissimi nonostante siano tutti bianchi e tenuti insieme da nastri bianchi. L’altare è pieno di candele bianche e gigli che nascondono a malapena la figura dell’uomo con la tuta da Occhi Bianchi con un 87 sulla spalla che ci scruta dall’alto. – Potete prendervi per mano. – Dice con voce bassa e roca. Prendo la mano del Capitano sorridendo timida, lui mi stringe la mano in modo brusco ma ha un che di dolce il suo gesto, come se avesse paura di perdermi, non è lo stesso gesto di Eric però, ha un non so ché di possessivo, come se fossi sua e volesse ribadire il concetto.
– Annunciamo ufficialmente… – Inizia 87 – …che non si svolgerà la consueta cerimonia del Capodanno coincidendo essa con il matrimonio del nostro Capitano – Ci sono versi di disapprovazione, sono davvero in questo posto da un anno? – Ora – Continua alzando la voce – procediamo con la cerimonia che verrà svolta secondo i rituali del Sotterraneo, rituali che sono stati istituiti dai nostri padri fondatori, ricordiamo che il Sotterraneo è stata la nostra salvezza, che senza di esso la nostra razza sarebbe estinta. Eppure dei ribelli sono scappati, se ne sono andati da qui lottando contro la loro stessa gente e mettendo in discussione che questo posto li abbia salvati tutti, questi figli del diavolo sono sopravvissuti alle radiazioni del mondo di Sopra, questa è stata la conferma della loro natura diabolica. Da allora abbiamo chiuso le nostre porte, ma come saprete c’è stata l’epidemia e siamo dovuti andare da quei diavoli per sopravvivere, ma li abbiamo domati, volevano riprendersi il Sotterraneo ma noi li abbiamo sconfitti, da allora per celebrare la vittoria del Sotterraneo i nostri Capitani si sposano sempre con una donna del mondo di Sopra. Quindi siamo sottoterra, come immaginavo, per il momento è l’unica cosa che deve interessarmi, l’unica cosa utile per uscire da qua, le altre informazioni le devo mettere da parte. Non devo distrarmi! Non riesco a concentrarmi, troppe informazioni, troppe distrazioni, cosa vuol dire che questo posto ha salvato la razza umana? C’era un pericolo? Radiazioni? NO! Devo concentrarmi, se siamo sottoterra devo trovare un modo per uscire… ribelli? Concentrazione. Devo trovare un qualcosa che punti verso l’alto. Sorridi, ricordati di sorridere. – Quest’unione simbolica verrà suggellata da un gesto di antiche origini, lo scambio degli anelli. Ma prima, le promesse. Il Capitano si gira verso di me, vedo i suoi occhi neri osservare i miei, non avevo mai notato quanto siano profondi, sembra esserci un mondo dentro, mi guarda con dolcezza, come se mi amasse davvero. Rispondo allo sguardo intrigata, non riesco a essere disgustata, è cambiato qualcosa dalla prima volta che l’ho visto, i suoi occhi, mi ipnotizza quel nero così profondo. – Non avrei mai pensato che questo momento sarebbe arrivato, so che molti pensano che questi matrimoni siano tutta una montatura, ma per me questo è più di un contratto sociale, è più di una convenzione della nostra comunità. Io ho conosciuto questa ragazza, eravamo piccoli ma l’ho conosciuta, mio fratello mi
ha parlato di lei quando la sua Speciale se n’è andata, mi ha detto di stare attento, che lei era la figlia del diavolo, ma voi tutti vedete i suoi occhi, non possono fare del male, è stata provocata e ha reagito. Io le prometto che nessuno più la provocherà, ti prometto di proteggerti. Ma non temete per questo, non vi metterò mai in secondo piano, continuerò a governare il Ramo 51 come ho sempre fatto, se non meglio, e nessuno potrà mai mettersi tra me e il mio popolo. Che strana promessa… ha detto che mi proteggerà e che non potrà proteggermi nella stessa frase, o l’inciso me lo sono sognata? Tutti gli sguardi sono puntati su di me, qualcosa mi dice che è il mio turno di parlare. Cosa dico? “guarda io non ti amo e voglio fuggire, non ci penserò due volte se dovesse capitare di ucciderti”. Non penso vada bene… tutti continuano a fissarmi, devo fare in fretta… scorgo Eric tra il pubblico, mi sta guardando triste, lo fisso e parlo a lui: – Sono successe tante cose, ne ho ate tante da quando sono qui. Ho sofferto molto, ma non te ne faccio una colpa, so che non è stata tua la colpa. Io e te siamo destinati a stare insieme. – Eric ricambia il mio sguardo, ha capito che sto parlando a lui – E lo staremo, per sempre. Sarà difficile riparare certe ferite, ma lo faremo, insieme. Perché io e te siamo una cosa sola. Le lacrime premono per uscire, sento che sto per esplodere ma non lo faccio. Resto in piedi ferma e sorridente e continuo – E non permetterò a niente e a nessuno di separarci, io ti proteggerò. Tutti applaudono, 17 mi guarda dal pubblico pieno di odio e sospetto deve aver capito che non parlavo del Capitano, il Capitano è sorpreso, sembra emozionato, si vede che sa fingere anche lui… è il suo lavoro. – Bene. Le promesse sono fatte. Adesso lo scambio degli anelli che avverrà secondo il nostro rituale. 18 porta gli anelli. 18 sale sul palco con aria annoiata e boriosa allo stesso tempo, guardando il padre come se il suo fosse il compito più importante e il padre non contasse niente. Sprigiona odio da tutti i pori ma cammina con quest’aria di superiorità che non gli avevo mai visto prima, neanche davanti al tant’odiato padre. Torna in se’ alla vista del mio abito e dei miei occhi tristi, abbassa lo sguardo colmo di vergogna. S’inginocchia davanti a me e il Capitano che guarda il nipote con aria di divertita approvazione, mi devo essere persa una parte della storia familiare…
– 18, metti le fedi al loro posto. 18 posa le due fedi bianche ai piedi del Capitano. – Prima lo sposo. Il Capitano prende una delle fedi e me la infila al dito. – Vuoi tu Speciale prendere me come tuo legittimo Capitano? Il sì mi esce strozzato, pronunciare quel sì è la cosa più dolorosa che mi sia capitata, peggio di tutte le torture subite. – Sì. Il Capitano sospira sollevato. – Adesso la sposa. Senza dire una parola m’inginocchio e prendo la fede davanti ai suoi piedi, mi alzo e la infilo al suo dito teso. – Ora vi dichiaro ufficialmente Capitano e Speciale. Può baciare la Speciale. Il momento che tanto temevo è arrivato, Eric chiude gli occhi con la testa rivolta al pavimento bianco, il Capitano si avvicina piano, misurando ogni movimento allo stesso modo del fratello e del nipote, la stessa aria composta. Chiudo gli occhi e resto immobile, gli occhi azzurri che mi fissano, si aspettano che io reagisca, che mi ribelli. Io resto lì, ferma mentre sento l’alito caldo del Capitano ostentare davanti alla mia bocca per un istante e poi farsi avanti. Io resto lì, ferma mentre la sua bocca si fa insistente sulla mia, mentre sento la folla applaudire e fischiare, mentre sento il respiro di Eric farsi veloce e rabbioso. Resto lì, ferma quando il Capitano mi solleva e mi porta fuori dal palco sempre baciandomi suscitando un altro applauso generale. Resto lì, ferma immobile, fingendo di non esistere, fingendo di essere ancora nella vasca con Eric a rincorrerci tra le rose, fingendo che sia tutto solo un sogno. Apro gli occhi solo quando sento delle voci avvicinarsi, mi trovo in una stanza piena di gente, appena entriamo tutti applaudono. Il Capitano mi fa scendere e
mi prende la mano, mi guardo attorno, al centro della stanza c’è un enorme tavolata bianca messa ad u e apparecchiata con preziose ed eleganti stoviglie in bianca porcellana o cristallo che riflette il bianco sulla sua superficie, attorno alla tavola sono seduti tantissimi Occhi Bianchi che ci guardano alcuni perplessi altri sollevati e felici. Sono tutti senza occhiali per mio grande orrore, dovrei essermi abituata a quegli occhi vitrei ma li trovo ancora ripugnanti e mi rendono molto nervosa. Sento una mano stringersi alla mia, alzo lo sguardo distogliendomi dai miei pensieri e mi trovo davanti 87, il ragazzo che ha officiato il matrimonio. È un ragazzo giovane, sulla trentina, i capelli bianchi hanno dei riflessi biondi che fuggono ribelli dalla piega ordinata, ha un bel sorriso che gli lascia delle fossette ai bordi delle labbra. I suoi occhi bianchi non sono vitrei, hanno un qualcosa di… vivo, di allegro ma anche di terribilmente malinconico. – È un piacere conoscerti, piaciuta la cerimonia? Annuisco sorridendo timida, mostrarmi cordiale mi tornerà utile in questo covo di serpi. – È stata alla tua altezza 87, come al solito! – Si congratula il Capitano. – sì, è stata una cerimonia ammirevole, ma secondo gli standard assolutamente mediocre. – Perché deve essere sempre sgradevole? – Dai 17, lo dici solo perché avresti voluto essere al mio posto! – Ribatte il Capitano scherzoso. – Non avrei voluto, avrei dovuto! Solo perché la madre di questa puttanella si è suicidata non vuol dire che io debba essere ridestinato! Suicidata. – Dai fratello è storia vecchia, pensavo l’avessi superata! – Accomodiamoci pure a tavola… Sconfitta. – Finalmente si mangia, era dall’ultimo capodanno che non si mangiava per davvero… 18 è il tuo primo banchetto vero?
– Non te la prendere se non risponde, è caduto da piccolo, come vanno i trattati? – Con il suo arrivo meglio, ma il Generale non vuole la pace, troverà un’altra scusa per attaccare. – Chissà perché… Sparita. – Io non m’immischio nei suoi affari, mi basta stare al mio posto, non ci tengo a morire. – Ottima scelta, anch’io seguo questa filosofia. – Arriva il cibo? – Arriva da sopra, ci vorrà ancora un attimo, Sil hai detto che c’erano problemi ai generatori? – I soliti, non puoi dire al Generale di mandarci più energia? – Già fatto ma la precedenza va ai Capitani che comandano celle più prosperose, noi siamo periferia e ci stiamo svuotando, non abbiamo bisogno di quelle stanze… – Solo perché non abbiamo prigionieri importanti! – Meglio, vedetela così; meno responsabilità, più libertà e il Generale ci lascia un po’ in pace. Sperduta. – Vista così non fa una piega… – Non è che tuo figlio potrebbe proteggere ancora la Speciale, per te va bene tesoro? È l’unico che è riuscito a tenerla a bada fino ad ora… – Certo se non ti preoccupano le conseguenze della sua fuga… – Andiamo fratello, più fiducia nel mio nipotino.
– Nipotino? Se ha due anni meno di te! – Perché vuoi sempre creare problemi? Calmati! – Io non voglio creare problemi, se mi avessero lasciato in pace nel mio posto da Capitano sarei felice e non creerei problemi! – Basta parlare di questa storia vecchia! Capitano perché non ci dite il menù? – Lo sapessi! L’ha mandato il Generale, dice che è una sorpresa e che ce la siamo meritata! – Meritata per cosa? – Per come abbiamo gestito la Speciale suppongo, dicono che è importante per la causa. – Quindi abbiamo un prigioniero speciale! Potrebbero darci più energia… – Smettila di borbottare vecchio scemo, non ci serve tutta quell’energia, lasciamo alla causa che è meglio! – Bah! Dici tu che non ci serve. – Non ci serve, e a me basta rendere felice il Generale. – Già è un onore. Vorrei conoscerlo… Sospesa. – Io no, mi mette in soggezione… – Siete femminucce! – Quello uccide con il pensiero! – Non dire cavolate! È tutto un mito! – Tutti i miti hanno un fondo di verità. – Ecco il cibo!
– Buone le patate con l’arrosto! – Il riso! – C’è anche il vino! – Le olive! – Il pesce! – Cos’è questo? – Tesoro? Vuoi delle patate? Amore? – Cos’ha? Non ha detto una parola! – Tesoro? – Cosa guarda? – Sta male? – Amore! – ZITTI! State TUTTI zitti! – La porto via, sta avendo una crisi, 18 aiutami. – Subito! – Stendiamola sul letto. – Vado a prendere una pillola per lei. – Mia, Mia siamo soli, se n’è andato, cosa succede Mia? Cos’hai? Mia rispondi! Sta tornando. – Ha detto niente? – No, non si è mossa.
– Vai pure, mi occupo io di lei. – Chiamo un dottore? Un esperto di pillole? – No faccio io, grazie per l’aiuto. – Prego. – Torna tra dodici battiti. SBAM! – Mi spiace farlo così tesoro, ma dobbiamo avere un figlio, in fretta o 17 prenderà il potere, non posso permetterlo! Argento–dorato. Morta.
11 – Inizio
Mi sveglio in quel calduccio che solo le coperte ti possono donare, con quella bella sensazione di nanna. Mi rigiro tra le coperte godendomi il dolce morbido calduccio delle coperte e la sofficità dei cuscini, mi accoccolo nel piumone e mi faccio piccola piccola per sentire il calore della mia pelle nuda. Mi vengono alla mente immagini sfocate, cosa ho sognato? Poi lo sento, il suo respiro profondo e realizzo che non è stato un sogno. Il letto si muove, sprofondo verso il buco creato dal peso del corpo accanto al mio, sento quel corpo pesante muoversi, chiudo gli occhi e fingo di dormire, ma non serve. Lui mi bacia sulla bocca e sul collo. Poi si alza, si veste e cambia stanza. – ‘giorno piccola! – Brontola uscendo. Soffoco i singhiozzi in un cuscino mentre dei ricordi vaghi del giorno prima mi piombano addosso come macigni, come è potuto succedere? Ricordo solo che c’era bianco, troppo bianco, c’era gente, troppa, che parlava, parlava troppo, qualcuno aveva detto qualcosa, mia madre si era… suicidata? Come facevano loro a saperlo? Ci avevo pensato tutta la sera, tutta la sera a cercare di ricordarmi di lei mentre loro aspettavano qualcosa… cosa? Parlavano di qualcuno che uccideva con il pensiero e 17 urlava contro qualcun altro ma io non ci facevo troppo caso, ero troppo occupata a perdermi nei miei pensieri, poi c’era Eric che mi guardava da un angolo tra il preoccupato e il perplesso, cosa lo perpletteva così? Perché mi fissava preoccupato? Nessun altro mi guardava in quel modo… c’erano alcuni sguardi furtivi ma niente di più. Poi delle mani mi scuotevano, qualcuno mi ha presa in braccio, il vestito da sposa strusciava per terra, qualcuno mi parlava dolcemente… Eric? Era qui? Poi una pillola d’oro e d’argento è entrata nella mia bocca e non ho più potuto muovermi, ogni tentativo di ribellione, di urlare era vano. Solo le lacrime salate erano libere di scorrere veloci verso la mia bocca, posso ancora sentire il loro secco fossile tirarmi il collo, tocco quel fossile con le dita e sento una pressione all’anulare sinistro, lo guardo e vedo la bianca fredda fede. Guardo l’altra mano e vedo l’anello di fidanzamento. Li tolgo disgustata e li lascio rotolare sul piumone rosso. La pietra dell’anello di fidanzamento splende riflettendo tutti i
colori della stanza mentre la fede bianca resta chiusa nel suo bianco liscio e perfetto. Tocco la fede come se mi potesse ustionare al solo sfiorarla, la infilo senza guardare. Basta! Non è momento per rimuginare, devo salvare Eric, per questo sono qui. Mi alzo e, con un lenzuolo avvolto attorno al corpo, vado verso una porta, una porta vera! Dietro c’è un bagno. M’infilo nella doccia, lascio che le lacrime scorrano con l’acqua calda. Prendo una spugna gialla e inizio a raschiare il sudicio dalla pelle, sfrego con tutte le mie forze, smetto di piangere e mi concentro in modo maniacale sulla pulizia di un corpo che non sento più mio, un corpo ucciso, mutilato irreparabilmente, mi hanno tolto prima l’anima e poi il corpo, non sono più niente. Io l’ucciderò. Smetto di raschiare solo quando la pelle inizia a bruciare, resto accucciata soffocando i singhiozzi, io l’ucciderò, mi alzo con questa promessa nella mente, io l’ucciderò. Torno in camera, apro gli armadi in cerca di vestiti e, con mia grande gioia, trovo dei vestiti normali. Mi metto un paio di jeans aderenti e cerco una maglia ma sono tutte canotte scollate e con la pancia di fuori. Ne metto una azzurra e c’infilo sopra una felpa. Io e il Capitano dovremo fare un discorsetto sul mio modo di vestire… Vado verso un’altra porta e mi ritrovo nell’ufficio, lo stesso nel quale mi aveva accolta la prima volta. – Eccoti! Mi viene incontro e mi bacia sulla fronte, quasi con gentilezza, provo un moto di repulsione per quel gesto che dovrebbe essere dolce e protettivo, vorrei irrigidirmi, urlare ma devo mostrarmi cordiale, per Eric. Combattuta tra i due comportamenti rimango apatica. – Ehi cucciola, adesso devo lavorare, continuerai a lavorare anche tu. Stasera ti spiego un po’ di cose. – Ha un tono dolce e mi abbraccia forte, resto imibile. – Un giorno capirai che non avevo scelta. – Sussurra dolcemente. Preme un pulsante sulla scrivania e chiama 18 che entra dopo pochi secondi d’imbarazzante silenzio, entra dalla stessa porta dalla quale ero entrata io molto tempo prima sperando inconsciamente di trovare una risposta a tutte le mie domande. – Sì? – Chiede speranzoso.
– Accompagnala al centro di addestramento, la rivoglio a casa per il quinto battito e stalle accanto tutto il tempo, non voglio che le si avvicini gente strana, il tuo unico compito sarà proteggerla, falla stare alla larga da 17 mi raccomando. Starai con lei fino al mio rientro al settimo battito, le pillole te le darà tuo padre quando tornerai. Annuisce e usciamo insieme. Appena siamo fuori ci prendiamo per mano, decido di parlare a Eric senza pormi troppi problemi, ma lui mi precede. – Come va? – Chiede preoccupato. – Sembri diversa, cosa c’è che non va? – Niente, sto bene, ieri ho solo avuto un crollo di nervi, non ti preoccupare. – evito il suo sguardo. – Tu come stai? – Chiedo cercando di sembrare naturale. – Male… – Dice guardandosi i piedi. – Cosa c’è? – Chiedo preoccupata. – Mia… il mio compleanno è tra sei mesi, non abbiamo più molto tempo! – Mi guarda negli occhi. Il mondo mi crolla addosso, devo sbrigarmi. Sei mesi non sono molti, mi sembra ieri quando mi ha detto che gli mancava un anno e mezzo, da quanto sono in questo posto? – Dici che ci vorrà molto a scappare? – sono preoccupata. – Non sappiamo neanche da dove possiamo uscire! – Alza la voce irritato. – Lo so lo so, mi occuperò di tutto io, lo prometto, Myhara e Cell si sono fatte sentire? – Cell sì, mi ha detto di riferirti che tra i Condizionati c’è scompiglio… il fatto che ti sei sposata non aiuta a farti alleati, molti Occhi Bianchi sono diffidenti, non sanno se credere a quello che 17 dice. – Parla con Cell, falle dire a Myhara di spargere la voce che l’ho fatto per poterle aiutare, da qua ho più potere e sarà più facile tirarle fuori o qualcosa del genere, devono essere rassicurate, vedrò di andare a trovarle ma non so se riuscirò, pensi di poter portare degli Occhi Bianchi dalla nostra parte? – Annuisce – Dici che il
Capitano non sentirà le voci? – Chiedo angosciata. – No, mio padre dice che non c’è mai, non sa niente, si lamenta che se stesse più tempo qui saprebbe chi sei davvero e non ti terrebbe al suo fianco, non può ricevere messaggi, solo inviarne. – Quindi non sa niente di tutto quello che ho fatto? – Sì, prima sapeva qualcosa, ma poco, non so perché ma 17 non gli ha detto di te e 98, non gli dice niente… – Perché? – Non lo so, ma credo che non ti debba preoccupare, qualunque cosa trami non dirà nulla al Capitano. – Bene, almeno posso muovermi liberamente, dovrò parlare a tutte… – Inizio già a prepararmi discorsi mentalmente. – Mia! Non possiamo salvare tutti! – Non uscirò da sola! O tutti o nessuno. – Ribatto secca. – caso chiuso. Non mi parla più fino al nostro arrivo al centro, 153 mi accoglie caloroso. – Adesso siamo una Speciale eh? Guarda la tua nuova divisa, sei proprio bella! – Grazie 153. Oggi 18 assisterà, non ti preoccupare non dirà niente al Capitano del nostro segreto. Gli faccio l’occhiolino e 18 ci guarda confuso, Eric è ancora arrabbiato. 153 mi accompagna nella sala con le spade, prendo quella del giorno prima, nonostante anche le altre mi attirino. Appena la prendo in mano sento la sensazione di potere e tutte le mie ansie svanire nel nulla, scordo la giornata di ieri e mi rilasso. 153 prende una lama che sembra molto più letale della mia, la mia sicurezza vacilla e va via via svanendo lasciando il posto a un nuovo tipo d’ansia. Come farò a vincere? Certo è più pesante quindi più difficile da maneggiare ma lui non mi sembra che abbia problemi a reggere qualunque cosa, i suoi muscoli guizzano possenti per lo sforzo ma riescono a maneggiare
perfettamente la lama bianca, inizio a dubitare della mia forza, e se fosse stato solo un colpo di fortuna? Ma tutte le mie ansie svaniscono nel momento in cui 153 grida “en guard!”. Tiro di scherma meglio di sempre, tutte le mie insicurezze scompaiono nel momento in cui mi trovo faccia a faccia con 153, sento una strana energia, sento di dovergli dimostrare che sono alla sua altezza, a tutti i costi, come se la mia vita dipendesse da questo. Lo disarmo sempre provando una soddisfazione sempre crescente e mettendoci sempre più rabbia, alla fine decide di are ai coltelli. Li prendo e mi posiziono davanti ai bersagli, prendo il coltello dalla lama e avanzo con la gamba sinistra di un o, fisso il bersaglio e capisco, capisco cosa mi mancava con l’arco, mentre tendo il braccio all’indietro e colpisco il bersaglio capisco che quello che mi mancava era sentire il contatto con la lama fredda, sentirla nella mano, mi mancava dare quel piccolo colpetto di frusta per permettere al coltello di centrare il bersaglio. Centro tutti i bersagli al primo colpo, mi sembra facile, come se non avessi mai fatto altro, colpisco anche i manichini bianchi e mi ritrovo a divertirmi sempre di più, tutti i miei problemi ano e mi sento veramente libera per la prima volta. Immagino di infilzare il Capitano e lascio sfrecciare via tutti i problemi con le lame affilate. Ad un certo punto 153 si distrae un attimo per andare a recuperare un pezzo di manichino che ho lanciato via ed io, senza pensarci due volte, mi infilo un pugnale infilzato in un manichino accanto a me nei pantaloni. Mi sentirò più sicura così. Il quinto battito arriva in fretta e 18, che mi ha osservato tutto il tempo stupito, mi porta via. Nel corridoio mi parla offeso. – Wow! Non mi avevi detto di essere così brava! – Commenta con falso sarcasmo. – Oggi era la prima volta che lo facevo. Dici che riusciamo a are dalle prigioni un attimo? – Perché? – domanda incerto. – Mi dai un attimo gli occhiali? Vorrei vedere come si usano così da sapermi muovere meglio. – Chiedo, non ho voglia di rispondergli, anche perché io per prima non so cosa voglio fare… Me li a infastidito, li indosso e vedo tutto più scuro, una cartina con dei pallini mi s’imprime nella mente.
– Il pallino blu sei tu. – Spiega – I gialli gli altri occhiali e i blu i Condizionati, dobbiamo starne alla larga e le porte sono le caselline. Adesso dobbiamo andare alle prigioni, pensa intensamente a quelle e ci arriverai, ci sei? Annuisco. – Bene adesso vedi la freccia? Seguila e ci arriveremo, gli occhiali creano già un percorso che evita gli altri ma fa attenzione a non sbagliarlo. Seguo la freccia, orientarmi è difficile ma ci prendo la mano in fretta, gli occhiali fanno cambiare colore ai pannelli da schiacciare per aprire le porte. Siamo quasi arrivati quando vedo una casellina tutta nera. La apro e ci faccio entrare 18 di corsa. – Stai qui! Non posso farmi vedere con te è troppo pericoloso, andrò da sola. Non accetto repliche quindi esco prima che mi possa dire qualcosa. Entro nella sala delle prigioni, è così strano muoversi da sola, mi da un piacevole senso di libertà… Appena entro vedo tutti i pallini che indicano gli occhi bianchi fuori dalla prigione dentro ci sono solo io, per ora, ne stanno arrivando altri sono in una stanza qua accanto, saranno qui a momenti. – Di chi mi posso fidare? – Dico tutto d’un fiato a una Mhyara confusa. – Di tutte le ragazze vicino a me, quelle in quell’angolo sono le indecise. Indica un angolo pieno di ragazze che mi guardano perplesse. – Come hai fatto a dividerle? – Ho i miei trucchetti. – Mi fa l’occhiolino. Mi avvicino a loro piano: – Ragazze non voglio farvi del male, io vi aiuterò a scappare, nessuna si merita una vita così, andremo in un posto migliore dove nessuno ci farà del male. Dovete fidarvi di me. Sono ancora una di voi.
Alcune sembrano un po’ meno diffidenti ma la maggior parte non si fida ancora. I pallini gialli si avvicinano, tolgo gli occhiali rivelando i miei occhi ancora verdi. – Sentite, lo so che fate fatica a fidarvi, lo capisco. Ma non voglio fregarvi, davvero, voglio solo aiutarvi, anche io voglio andarmene. Vi sembra che io qui mi sia mai divertita? Pensate davvero che io possa essermi messa dalla parte di quei mostri? Allora perché sarei qui? – Ah! Ecco la novella sposa! – Mi si gela il sangue nelle vene – Cosa ci fai qui? Ti mancavo? Sei scappata? 18 la pagherà per questo – riconosco la voce maligna di 17. – Nessuno ti da il diritto di parlarmi così! Non sono più una semplice Condizionata, posso andare e fare quello che mi pare e non sono scappata, se scapi pensi davvero che sarei così stupida da venire qua? – Mi sa che ti sei montata un po’ troppo la testa. – Dice prendendomi per i capelli. – 67, 98, ragazzi venite qua, ho preso la nostra fuggitiva preferita. Sento gli occhiali premere nella tasca della felpa, non li devono trovare. Non posso mettere nei guai Eric la stanza si riempie di Occhi Bianchi che mi circondano. – Come sei arrivata qua? – Chiede 17 duro ma felice di avermi colta in fallo. Gli occhiali bruciano nelle tasche. – Vediamo un po’ cosa c’è qua… Sento delle mani palparmi in posti improbabili, sento le mani di qualcuno avvicinarsi alla tasca, devo agire alla svelta. Tiro fuori il pugnale con un gesto automatico e girandomi di scatto lo punto alla gola di 17, nessuno se lo aspettava, tantomeno io. Un gelo palpabile raggiunge istantaneamente ogni angolo della stanza. Tutti sono immobili. Statue di ghiaccio mi si stanziano davanti. Nessuno osa interrompere quel sacro silenzio che si è andato a creare. ano istanti lunghi e carichi di tensione nei quali gli unici movimenti sono i respiri lenti e profondi dei presenti e il battito veloce dei loro cuori. Neanche una palpebra osa chiudersi, tutti gli occhi sono avidamente fissati sulle figure
immobili mie e di 17 che ci studiamo fissandoci negli occhi, siamo uno di fronte all’altro, il mio braccio destro piegato per tenere la lama a contatto con il suo collo, in attesa che uno dei due faccia la prima mossa. Con la coda dell’occhio vedo le dita di 17 fare un gesto quasi impercettibile. – Fermi tutti! – Dico con voce che non ammette repliche, le dita di 17 rimangono paralizzate in una posa innaturale. – Non sei abituato a stare da quella parte del coltello, vero? Le mie parole rimbalzano nel silenzio innaturale, l’unico movimento è una contrazione nervosa al bordo dell’occhio destro di 17. – Le cose sono cambiate. – Continuo. – Non sono più in tuo potere. Mi fissa con un’espressione tra il confuso, il concentrato e l’adirato, sento la Forza premere per impossessarsi di me, ma ora so come combatterla, perché io non devo essere più forte di 17, io sono più forte di lui. – Fate qualcosa! Usate il campo! – Dice irritato. – Ci stiamo provando, non funziona! – Siete deboli! – Urla con disprezzo. – Ecco, grazie per avermelo ricordato, mi stavo scordando di chiederti qual è la pillola che vi permette di usare il campo. 17 mi guarda con aria di sfida. – Aspetto, ho tutto il giorno. – Dico sfidandolo a mia volta. – Perché lo vuoi sapere? – Sai com’è, ognuno ha i suoi interessi, le sue ioni e a me interessa conoscere le pillole e credo che a te interessi conservare tutti i tuoi arti… – Premo il coltello sulla sua gola. Se possibile rimangono tutti più immobili, mi fissa con odio, sento il campo tentare di stritolarmi ma fisso ancora di più 17 e immagino di allontanare il
campo con delle mani invisibili. – La pillola grigia. – Dice serrando i denti tanto da rischiare di frantumarli. – Bene, grazie mille. – Non so tanto se fidarmi, chiederò conferma a qualcuno, voglio sapere quanto è lucido 17 sotto stress, tolgo un po’ di pressione dal suo collo. Ma adesso l’importante è uscire da qui. Stiamo di nuovo immersi nel silenzio proprio dell’immobilità. Devo andare via, sembrano are i secoli, il Capitano arriverà tra poco, cosa dirò a lui? Questo lo verrà a sapere per forza! – Adesso state tutti fermi, io me ne devo andare, ho di meglio da fare e ho già sprecato abbastanza tempo. – Guardo le ragazze che erano indecise, mi guardano ammirate. – Tu e tuo figlio fate attenzione, adesso comando io. Approfitto dello stupore che le mie parole portano, metto il pugnale nei pantaloni, m’infilo gli occhiali ed esco con calma, l’ultima cosa che sento è 17 dire a qualcuno: “lasciatela andare, per ora”. Appena sento la porta chiudersi mi metto a correre alla ricerca di Eric. Consapevole che possono trovarmi in qualunque momento. Consapevole che potrebbero punire me ed Eric e le ragazze, consapevole che potrei aver rovinato tutto. Ma nonostante ciò non mi sono mai sentita così viva, forse minacciare 17 non è stata una grande idea ma non me ne pento, ripenso con goduria alla sua espressione, al fatto che nessuno sapeva cosa fare, all’averli trovati impreparati, dopotutto questo posto ha più falle di quante osi ammettere. Entro e vedo Eric arrabbiato. – Cosa hai fatto? – Chiede con lo stesso tono irritato del padre. – Ho minacciato tuo padre con un coltello e mi sono portata dalla nostra parte alcune ragazze. Gli porgo gli occhiali e mi preparo ad andarmene. – Dovevamo velocizzare le cose no?
Mi guarda esasperato e poi mi da un pugnetto scherzoso. – Non farmi mai più preoccupare così. Gli sorrido ma non gli dico niente, non posso permettermi di fare promesse del genere.
12 – Casa
Torno dal Capitano ma nella Casa non c’è ancora nessuno. – Ti faccio vedere una cosa, vieni! – Dico emozionata a Eric. Lo porto per la mano verso la camera da letto, voglio mostrargli una parte della vita vera. – Cos’è? – Mi chiede perplesso. – Un letto, ci si dorme. Hai mai dormito? – Chiedo curiosa. Fa cenno di no. Mi butto sul letto e lo trascino con me. – È così morbido. – Dice meravigliato. – Lo so. Vieni. Lo accompagno sotto le coperte rosse. – È bellissimo. Mi viene sonno, oggi non ho ancora preso le pillole infatti inizio ad avere fame e sete. – Neanche tu hai preso le pillole oggi vero? – No… il Capitano mi ha detto che le prenderò con voi… Ha una faccia perplessa. – Cosa c’è? – Chiedo preoccupata. – Ho una strana sensazione alla pancia… – Si chiama fame! – Dico ridendo. – Non l’avevo mai provata… Sbadiglia e mi guarda perplesso.
– Questo è sonno, devi dormire. – Se arriva il Capitano? – Non ti preoccupare, è solo il sesto battito, hai un po’ di tempo… se arriva lo distraggo. Chiude gli occhi e si addormenta subito. Lo guardo dormire, ha un’aria così innocente… vado a fare una doccia, mi sento tutta sudata, l’astinenza dalle pillole mi fa tornare le mie normali funzioni corporee. L’acqua calda allevia il dolore muscolare che si fa di nuovo sentire, adoro la sensazione del pulsare dei muscoli. Sentirli battere al ritmo del cuore, tutta la tensione sciogliersi sotto l’acqua calda, è incredibile quanto poco basti perché un sistema crolli, un coltello e 17 crolla, neanche un battito e il corpo riprende il controllo. Dopo la lunga doccia torno a letto da Eric in accappatoio, prendo gli occhiali che ha lasciato sul comodino e me li metto, li studio bene e noto un piccolo orologio in un angolo, deve essere grazie a quello che gli Occhi Bianchi sanno quanto manca tra un battito e l’altro. Manca poco al settimo battito così sveglio Eric. – Ehi dormiglione! Sta per arrivare il Capitano! – Cosa? Dove? – Balza in aria allarmato con gli occhi ancora semichiusi. Scoppio a ridere della sua faccia confusa. – Vai in bagno e lavati la faccia, ti aiuterà. – Cosa? – Vieni, ti accompagno. – Dico continuando a ridere. Gli prendo la mano e lo accompagno nel bagno. Apro il rubinetto e lui guarda l’acqua perplesso. – Devi mettertela in faccia, così! – Mi lavo la faccia e poi gli faccio cenno di fare lo stesso. – Cos’è? – Chiede. – Acqua, prova è bellissimo.
Mette le dita sotto l’acqua e inizia a muoverle poi le avvicina piano alla faccia e se la lava. Si blocca all’improvviso e mi guarda perplesso. – Cosa c’è? – Chiedo. – Non lo so, ho una strana sensazione alla gola… – Devi berla. – Cosa? – Bevi, così! – Ne prendo un po’ tra le mani e la bevo, è buona, chissà da dove viene… Lui m’imita prima titubante ma poi entusiasta. – Basta. – Rido. – Ti verrà mal di pancia. – Cos’è? – Chiede. – È acqua, solo acqua. È grazie a questa che sopravviviamo, è il compito della pillola blu. – Dico portandogli un asciugamano. – Ma dopo il mio matrimonio non c’erano cibo e acqua? – Chiedo ricordandomi delle mezze frasi sentite quel giorno. – Sì. – Asciugandosi la faccia. – Ma io non ho assaggiato, ero preoccupato per te, e dopo che ti ho portata via sono andato… io sono… non me lo ricordo! – Dice riemergendo dall’asciugamano. Ora ha gli occhi un po’ più svegli ma i capelli sono un disastro. – Sembri uno zombie! – Rido per sdrammatizzare. – Cos’è uno zombie? – Chiede seguendo il mio esempio. – Lascia perdere, hai molte cose da imparare sul mondo vero… Torniamo nella camera da letto. – Com’è che te le ricordi?
– Non so… non ricordo solo le cose che riguardano la mia vita ma le cose sulla quotidianità sì… ci si sveglia con il sole e si va a dormire quando il sole va via… c’è cibo vero, non le pillole, quelle le prendi solo se sei malato… quindi mangi, bevi e vai in bagno, poi ognuno ha un lavoro diverso, e c’è l’aria aperta, i fiori, i colori, tutti i colori di sfumature diverse! E gli animali, farfalle colorate che giocano sui fiori e animali come cani e gatti che ti stanno accanto e ti fanno tante coccole… – Smetto di parlare quando vedo che ha una faccia triste – Cosa c’è? – Io non conosco la maggior parte delle cose che hai detto… mai sentite non so neanche cosa siano… – Lo saprai, presto!– questa è una promessa che intendo mantenere a costo della mia vita. Sento la porta aprirsi ed entra il Capitano. – Ciao amore! – Dice venendomi incontro e abbracciandomi. – 18 puoi andare! – Com’è andata? – Gli chiedo. – Male. – Improvvisamente sembra stanchissimo. – Cosa è successo?– Chiedo premurosa sperando che mi dica qualcosa. – Gestire questo posto è un disastro! – Come funziona? – Chiedo seriamente curiosa. – Mettiti sul letto ti faccio vedere una cosa. – Esce dalla camera. – Arrivo subito! – Urla dallo studio. Mi siedo sul letto e lo aspetto, arriva poco dopo con un oggetto in mano e si siede accanto a me. – Con questo riesco a sapere tutto quello che succede qua dentro. Posa il sassolino bianco sul letto e preme una piccola incisione con il simbolo del cavallo e del leone rampanti. Dalla pietra esce un ologramma di una mappa.
È una struttura immensa. – Wow. – È tutto quello che riesco a dire. – Ci sono due categorie di persone; gli occhi bianchi e i Condizionati. – Perché ci chiamano Condizionati? – Lo interrompo, mi sono fatta delle idee ma vorrei saperlo con più precisione… – Chiamiamo così i prigionieri, perché lavorano per noi nonostante appartengano a una società a noi rivale, sono condizionati dal nostro modo di vedere le cose e dalle pillole ovviamente… – Annuisco. – I Condizionati si occupano della manutenzione e delle pulizie e, quelli più leali insieme ai bambini, della produzione di pillole. Gli Occhi Bianchi mantengono l’ordine e controllano il lavoro dei Condizionati. Abbiamo diversi tipi di prigioni, ce ne sono di maschili e di femminili. Quelle femminili sono gestite da maschi e viceversa. Ci sono più tipi di prigioni, divise per pericolosità dei Condizionati. Tu eri nelle più severe, ce ne sono anche alcune in cui stanno tutti assieme e possono muoversi liberamente. L’energia la prendiamo tramite generatori immensi che funzionano grazie a una macchina ad acqua. Ma adesso siamo in guerra e il Generale deve mandare dell’energia alle truppe ufficiali che si trovano in una struttura a parte… a volte dobbiamo mandargli degli uomini con l’energia, per questo ci sono delle sale buie. Questa è solo una parte del Sotterraneo, siamo il Ramo 51, ce ne sono 30 in tutto. Mentre mi spiega vedo i suoi occhiali, li tiene legati al collo, devo trovare un modo di sfilarglieli. – Perché le persone diventano bianche? – Chiedo sempre più curiosa. – A causa della pillola bianca, è un suo difetto. Ti fa diventare l’iride, i capelli e le unghie bianchi dopo 18 anni di assimilazione il danno è irreversibile. A proposito, oggi non abbiamo ancora preso le pillole… 53 le pillole! Si apre la porta e 53 entra con due piattini bianchi con delle pillole dentro. Prendo la mia pillola viola per la fame, quella blu per la sete, quella verde per non farmi dormire e le altre non ci sono più… poi prendo quella bianca, la osservo un attimo, il Capitano, è girato… prendo la pillola e la infilo nell’accappatoio senza pensarci due volte.
Devo parlare con Eric e gli altri, nessuno dovrà mai più prendere quella pillola. – Perché ho meno pillole? – Chiedo. – Sei una Speciale adesso, ci sono dei privilegi, puoi dormire e andare in bagno, non hai più bisogno di quelle per le ferite perché sei qui e nessuno dovrebbe farti del male, comunque tu stai attenta lo stesso, non tutti sono felici che tu sia qui, per questo ti ho lasciata sotto le ali di 18, sono sicuro che sia in grado di occuparsi per te. – Perché non mi vogliono? – 17 vuole il potere e lui ha tanti amici, io non posso farci niente, ma è una storia lunga. – Dice con gli occhi pieni di dolore. – Te la racconterò più avanti, hai altre domande? – A cosa serve la pillola bianca? – Se ti dicessi subito tutti i segreti che gusto ci sarebbe? – Perché mi stai dicendo tutte queste cose? Tu non ti fidi di me. – È vero, non mi fido, ma devo farlo, è dovere di un Capitano informare di tutto la sua Speciale. Anche se non si fida, è un dovere e qui i doveri si rispettano sempre! A proposito, ti devo mostrare la casa! Mi porge una mano, la guardo perplessa ma poi accetto l’offerta e lascio che mi aiuti ad alzarmi. Mi guida verso una porta che non avevo ancora notato, come non avevo notato il prezioso baldacchino e i comodini con delle abat–jour riccamente decorate, una a forma di leone e l’altra di cavallo. Mi ritrovo in un corridoio sempre a colori. Il pavimento è in moquette rosso scuro con dei disegni in oro ai bordi, il muro è in legno pregiato fino ad altezza bacino e poi si trasforma in una gentile carta da parati rosa con filamenti dorati che prosegue sul soffitto donando magnificenza alle lampade poggiate sui bracci in ottone dorato con delle zampe da leone che circondano gli aloni di luce. Dei quadri raffiguranti brandelli della vita esterna tappezzano i muri. Tuttavia lo sfarzo delle pareti non nasconde una certa trascuratezza, sul soffitto ci sono aloni di muffe che evidentemente hanno penetrato la scorza bianca del Sotterraneo per infettarla più di quanto non sia già. La moquette è erosa dalle forze invisibili del tempo e i quadri hanno aloni di polvere e le cornici rovinate, anche l’ottone dei bracci che
sostengono le opache luci sono ormai rovinati dall’incuria. Mi avvicino a un quadro, smaniosa di vedere uno squarcio della mia vecchia vita. Il primo che vedo raffigura due donne scosse dal vento che osservano il mare. Sono su una scogliera, i loro vestiti bianchi si fondono con il verde e il rosso dell’erba che contrastano con il blu del mare e l’azzurro del cielo. Guardo le nuvole bianche mischiarsi col cielo e piccole macchioline bianche che riconosco come vele di barche scivolano leggere sull’acqua spinte dallo stesso vento che muove gli abiti delle due donne. – Claude Monet – sussurro leggendo le parole dipinte in rosso tra i fili d’erba. – Impressionista se dell’Ottocento l’anno mille o duemila non ricordo, l’ho letto da qualche parte, alcuni quadri sono stati salvati dall’esplosione e portati sotto con le persone, non tutti i Capitani ci danno peso ma io li adoro, vieni te ne mostro un altro. Mi accompagna davanti a un altro quadro, questo è più scuro, i rossi si mischiano ai blu e al nero. Ma è la figura al centro a ipnotizzarmi, un teschio grigio, con le mani che tentano di tapparsi le orecchie, che urla. – Munch, l’urlo. Mi ha sempre affascinato questo quadro, sembra rispecchiare la nostra situazione qui, è come se venissimo schiacciati dalle pennellate dell’artista, come se quel rosso ci togliesse quella poca umanità che ci resta e ci trasformasse nei grigi esseri dei nostri incubi, quelli che urlano per uscire allo scoperto. Fisso l’immagine, un senso di oppressione mi assale, preferisco Monet, mi da un’idea di libertà, della libertà che sto cercando. Camminiamo verso un altro quadro, mi ritrovo davanti a un quadro raffigurante una bambina dai capelli rossi e mossi con un fiocco azzurro e un vestito bianco, gli occhi persi nel vuoto e le mani congiunte come a pregare: – Irene, di Renoir. È per questo quadro che ti ho scelta, lo vedevo sempre quando ero piccolo, poi un giorno mio fratello andò di sopra con mio padre, doveva scegliere la sua Speciale e portarono anche me. Tu eri piccola, eri poco più piccola di me, avevi cinque anni mentre io ne avevo otto, e mio fratello, che ne aveva ventotto, aveva scelto tua madre. Appena ti vidi mi accorsi che eri identica a questo dipinto, decisi che ti avrei sposata un giorno, Speciale o non. Vieni ti mostro le stanze – So che dovrebbe essere una cosa romantica, ma non riesco a
vederla in questo modo, lui mi ha scelta come si sceglie un giocattolo che ti piace, senza rispetto, avevo il diritto di dirgli di no. Proseguiamo nel corridoio pieno d’immagini di girasoli, notti stellate, ballerine e paesaggi fino a una porta, il Capitano la apre e mi fa cenno di entrare. Mi trovo in una stanza con un pavimento verde, con dei motivi floreali dipinti sul tappeto morbido che invade la stanza per poi crescere in alberi sulle pareti e toccare il cielo stellato del soffitto. Al centro della stanza torreggia un lettino a forma di tronco di albero con al suo interno una culletta dall’aspetto soffice. Tutti i mobili seguono i motivi di tronchi nodosi e fronde rigogliose. Milioni di giochi affollano il pavimento. La stanza mi da un senso di claustrofobia, è troppo chiusa, gli alberi scuri minacciano di schiacciarmi e il cielo tenebroso sembra dover cadere da un momento all’altro. – Qua è dove sono cresciuto, dove crescerà nostro figlio. Mi sento soffocare al pensiero. Mi giro e corro via, corro nel corridoio pieno di dipinti e nella camera da letto, mi ritrovo nello studio e mi accascio su un divano rosso accanto a un pianoforte. Cerco di trattenere il panico, non avrò un figlio da lui, devo rimandare, a tutti i costi. Lo sento arrivare col suo o lento ed elegante. – Cosa è successo? Cos’hai? – Niente. Solo nostalgia, degli alberi. E del cielo. – Mentire mi viene naturale ormai, non ci devo neanche più pensare e poi un filo di verità c’è in queste parole. Il Capitano si siede al piano e inizia a suonare una dolce melodia, la stessa della prima volta che l’ho visto. – È un classico. – Dice. – Una volta la sapevano tutti, si chiama per Elisa. I libri dicono che l’ha scritta uno di nome Beethoven, era sordo eppure suonava. Ha composto opere meravigliose ma io sono riuscito a stento ad imparare questa, non sono neanche sicuro che sia quella giusta. Faccio del mio meglio ma devo accontentarmi dei libri che ci sono qui e questa era una delle poche con uno spartito. Ascolto le note dolci del Capitano che m’inquietano tanto pensando a Eric. Sono felice di poterlo vedere anche se sono diventata una Speciale a tutti gli effetti,
sarà più facile pensare a come uscire di qua, e poi mi farà bene averlo sempre al mio fianco. Non posso pensare di avere solo sei mesi per preparare la fuga, devo muovermi. Devo fare tutto il possibile, da domani inizierò a fare domande al Capitano, ma per ora ho già scoperto tante cose per una sola sera. Se esce ogni giorno l’uscita deve essere da queste parti, spero solo che non sia in un altro… come l’ha chiamato? Ramo? Se fosse in un altro Ramo potrebbe essere più difficile scappare, soprattutto perché devo portarmi dietro più gente possibile anche se Eric non è d’accordo… la musica culla i miei pensieri e il corpo sprofonda lento nel divano, gli occhi che tentano di chiudersi dopo tanti giorni di veglia. Congedo il Capitano e vado a mettermi un pigiama. Spendo le mie ultime forze per nascondere il pugnale tra i miei vestiti insieme alla pillola bianca che avevo messo in tasca e m’infilo sotto le coperte addormentandomi senza lasciare spazio al Capitano di augurarmi la buona notte.
13 – 153
Sono in un piccolo prato recintato da una graziosa staccionata in legno scuro. Accanto a me un moro fa fiorire le sue prime bacche accanto a un roseto. Api farfalle e bombi si posano sui fiori azzurri bianchi e gialli che colorano il prato su cui è seduta una bambina con un lungo vestito bianco che fa contrasto con i capelli lunghi e rossi e gli occhi verdi. Una gattina nera cerca di prendere un uccellino sul melo in fiore che le fa ombra e una cucciola di cane bianca corre felice inseguendo una lucertola. La bambina sta giocando con dei fili c’erba guardando la porta della casetta in legno e pietre che c’è al fondo del vialetto. – Mamma! Mamma! guarda! Una donna alta e snella incorniciata da una folta chioma rossa con gli occhi marroni sbuca da dietro a un albero con delle sterpaglie in mano. – Cosa c’è tesoro? – Una farfalla! Sulla mia mano. Vieni a vedere! – Sai le farfalle si posano su chi è puro di cuore. Si pensava che dopo l’esplosione tutti gli animali si fossero estinti, ma una volta usciti dal Sotterraneo erano ancora tutti lì, più di prima e sai perché? – Faccio cenno di no. – Perché sono puri di cuore. Noi ci siamo quasi estinti uccidendoci a vicenda e loro non hanno subito niente, anzi sono stati avvantaggiati dalla nostra scomparsa. Capisci cosa voglio dire? – Faccio di nuovo cenno di no. – Un giorno lo capirai, ricorda questo momento, le farfalle dovranno sempre fidarsi di te, vorrà dire che sei pura di cuore, ricordati di me cucciola, verrà un giorno in cui io non ci sarò più e tu dovrai fare delle scelte, scegli sempre le farfalle. – Ma mamma, come faccio a scegliere? – Scegli sempre quello che ti dice il cuore, fai sempre quello che pensi sia giusto non per te ma per gli altri. – E io? Non devo fare quello che è meglio per me delle volte?
– Certo, tu devi fare tutto quello che puoi per essere felice ma non devi mai fare del male agli altri per la tua felicità. Devi sempre poter pensare che le farfalle ti possano toccare. Me lo prometti? Prometti che resterai sempre pura? Annuisce perplessa. Lei abbraccia la piccola esile figura che riconosco come mia, i nostri capelli rossi si mischiano e io mi aggrappo al profumo di rose e mimose che emana, lei mi stringe più forte. Voglio avvicinarmi ma non ci riesco, sono bloccata dalla patina invisibile dei sogni. – Lo sai che ti amo vero? – Anche io mamma. – Allora perdonami. – Per cosa? – Per questo. Si alza e si allontana, esce dal cancello e la seguo vedo i suoi capelli rossi volare al vento e il lungo vestito bianco seguire il movimento dei capelli verso il vento riflettendo la luce nella quale lei sta andando. La luce del Sole. Esce un uomo da una piccola casetta e vede mia madre nella luce, è terrorizzato, non capisco… lei sta andando verso la luce, verso il Sole! Perché dovrebbe avere paura? La guarda e la chiama, non riesco a capire il nome che dice come non riesco a vedere la faccia di mio padre, è così confusa… – Papà! La mamma sta bene! Perché fai così? Mi guarda con le lacrime negli occhi: – Perché non tornerà più. Mi guarda gli occhi piangendo. – Mi spiace. Lo guardo perplessa. Insegue la luce del sole, corre nei prati ma la mamma non
c’è più. Mi alzo e gli corro dietro piangendo, non può lasciarmi anche lui.
Mi sveglio urlando. Perché è tutto buio? Dove sono? Continuo a urlare, sento delle mani toccarmi e mi ribello graffiando e calciando tutto. – Calma, calma cosa succede? Quella voce mi fa urlare più forte ancora. Si accende una luce e torno alla realtà, provo a calmarmi ma il solo tentativo mi fa scoppiare a piangere. Mi nascondo sotto le coperte e inizio a singhiozzare silenziosamente, rivedo il volto di mia madre, mi ricordo quel giorno mia madre era morta non ricordo bene per cosa ma intuisco si fosse suicidata, mio padre mi ha abbandonata poco dopo perché soffriva troppo a vederla in me, ci assomigliavamo molto. Non riesco a ricordare il volto di mio padre, di mia madre avevo un dipinto ma di lui no ed ero molto piccola. Non ricordo altro ma il volto di mia madre mi resta impresso nella mente, aveva i miei stessi occhi e i capelli ribelli come i miei, è vero che somigliavo molto al dipinto nel corridoio, ero quasi identica. Ecco un altro barlume di memoria riaffiorare, era stato qualche giorno prima, erano venuti degli strani uomini a casa mia, io ero nella cameretta ma sentivo delle voci e mio padre urlava allora scesi a spiarli dalle scale, c’era un bambino che canticchiava un motivetto, lo stesso che avevo sentito dal Capitano il primo giorno. Cerco di fare un po’ di calcoli, 17 aveva il doppio degli anni del Capitano, io adesso dovrei averne sedici o diciassette il capitano venti o ventuno e 17 dovrebbe essere sui quaranta. Mia madre è morta a soli venticinque anni, è morta pur di non essere costretta a venire in questo posto e la sorte è toccata a me. Non so se essere arrabbiata o no, lei ha lasciato che succedesse a me piuttosto che andare incontro al suo destino, come diceva? “Non fare del male agli altri per la tua felicità”. Io mi sono sacrificata per Eric. E mio padre? Perché se n’è andato? Mi ha abbandonata anche lui solo perché assomigliavo alla donna che amava? Avevo sei anni! Cosa mi è successo dopo? Dove sono andata? Chi mi ha cresciuta? Perché so usare la spada e i coltelli? Chi mi ha insegnato? La voce del Capitano mi tira fuori dalle mie riflessioni: – Cucciola, devi andare a lavorare… va in bagno a prepararti. Mi alzo e, senza parlargli, prendo i vestiti dall’armadio, quelli con nascosto il pugnale e la pillola, e vado in bagno. Mi vesto, la pillola bianca cade a terra,
appena la vedo capisco, capisco la sua importanza. Ecco perché questa notte sono riuscita a ricordare qualcosa, serve a far dimenticare, a cancellare la memoria! Ma allora perché darla anche agli Occhi Bianchi? Cosa devono dimenticare? Alcuni hanno un ato fuori ma quelli come 18? Loro sono nati qui. Esco di fretta dal bagno, devo parlargli al più presto. C’è un calo di tensione, dovrebbe arrivare a momenti, e infatti entra pochi secondi dopo. Camminiamo per i corridoi mano nella mano, sono felicissima, anche se non capisco da dove viene tanto buon umore… dalla presenza di Eric o dalla scoperta sulla pillola? O da entrambe? Chiudo la mente sul sogno, è il ato. Sento l’energia di Eric scorrermi dentro ando dalle mani e questo basta a distrarmi. Non immaginavo che l’avrei rivisto così facilmente, che sarebbe stato ancora il mio Occhi Bianchi. Non immaginavo tanta fortuna. Mi presta gli occhiali così posso imparare a usarli bene, non è molto difficile, basta visualizzare dove vuoi andare, il resto lo fanno loro, devi solo stare attento a non distrarti con altre immagini. – Il Capitano arriva di nuovo al settimo battito? – Chiedo. – Sì, deve lavorare fino a tardi, sai no… per via della guerra… – Dovremo fare come ieri, mi spiace ma non puoi venire con me, farebbe suscitare sospetti e noi abbiamo fretta di uscire, non possiamo permetterci contrattempi. Annuisce ma si vede che è contrario a questa scelta, non vuole farmi andare sola. Devo dirgli della pillola ma ho paura di farlo nei corridoi, la sensazione di essere osservata nei corridoi infiniti non è mutata col are del tempo. – 17 non ti ha chiesto niente? – No, mi ha guardato sospettoso ma c’erano tanti altri Occhi Bianchi, si vede che non vuole che la notizia trapeli troppo. – Annuisco sospettosa, non mi piace questa cosa, cresce dentro di me la sensazione che stia tramando qualcosa, e non mi piace, nonostante per il momento mi torni utile.
– Cosa fate nel tempo che avete libero? – Chiedo cercando di allentare la tensione. – Non abbiamo vero e proprio tempo libero, quando non dobbiamo scortare i Condizionati svolgiamo lavoro di burocrazia, mettiamo in un database dati come quando sono arrivati, le varie destinazioni, quando potrebbero diventare parte di noi… cose così, abbiamo solo un paio di battiti liberi e di solito parliamo tra noi di esperienze e robe varie, noi non abbiamo limiti, se non che non possiamo mai dire cose determinate, ad esempio la funzione di certe pillole o le funzioni dei Condizionati che scortiamo… senti mi sono ricordato di una cosa, devo andare a parlare con un ragazzo che potrebbe tornarci utile, ti spiace se ti lascio sola oggi? – No, vai pure. Con 153 sarò al sicuro. – Hai pensato di reclutarlo? – Non so… è un tipo strano, so che non mi denuncerebbe, mi ha coperta tante volte ma non so… ha un qualcosa che mi disturba… se si è fatto catturare vuol dire che vuole stare qui no? – Eric non risponde. Arriviamo al centro d’addestramento, 153 mi accoglie con una strana espressione negli occhi, sembra preoccupato. Posa gli occhiali su un tavolino osservando 18 che se ne va. Appena è uscito mi prende per un braccio e mi trascina in un angolo, siamo soli. – Ieri è scomparso un pugnale e guarda un po’ poco dopo chi minaccia un agente con un pugnale simile? Adesso dimmi perché non dovrei dirlo al Capitano? Chi sei tu? Estraggo svelta il pugnale e glielo punto alla gola. Dovevo immaginarmi che la mia azione avrebbe portato a una conclusione simile. – Prova a fare un movimento brusco e scoprirai cosa si prova ad avere una lama piantata nella gola. – Allungo un braccio e mi metto i suoi occhiali. – Come si fa a chiamare un agente? – Devi premere il pulsante a lato e scandire bene il nome della persona con cui vuoi parlare nella tua mente… se è il Capitano per denunciarmi con una falsa accusa per salvarti il culo mi spiace deluderti ma non puoi parlargli, è sempre irraggiungibile…
Ma non è il Capitano che intendo chiamare. “sì? Chi parla?“ Sento la sua voce rimbombare nella mia mente. “Ho bisogno di Eric, Myhara, Cell e tutti i miei alleati in fretta in sala riunioni, arriverò il più presto possibile, Mia”– Dico con la forza del pensiero Chiudo la conversazione e mi rivolgo a un confuso 153. – Cammina piano davanti a me, il mio pugnale sarà sempre alla tua gola. Penso intensamente alla prigione di massima sicurezza e alla stanzina buia lì accanto. Camminiamo veloci, sono contenta di aver avuto questa opportunità, ho bisogno di parlare con più gente possibile che sia dalla mia parte, devo parlare delle pillole e iniziare a mettere in atto il mio piano. – Wow, è brava la mia Speciale! Si è già fatta il suo esercito, mi chiedevo quanto ci avresti messo, mi parlavano così tanto di te e delle tue avventure con 17, mi sembrava che fossi troppo tranquilla, non pensavo ne avessi già uno, ma sapevo che prima o poi… sai che la fretta ti è nemica vero? – Zitto e cammina. Non sai nulla di me! – Allora tu e quel ragazzino… sì dai 18… ho visto come ti guarda. – Non mi guarda in nessun modo, e non potrai più guardare niente neanche tu se non chiudi il becco! – Ho toccato un nervo scoperto vedo… andiamo lo so che non sei così! Non vuoi farmi del male, non sei una violenta, certo sai usare bene la spada ma non per questo sapresti uccidere qualcuno, non credo tu ne sia capace, no tu stai tramando altro… una fuga magari? Possibile che in tutto questo tempo io sia riuscita a nascondere così poco? Entriamo nella stanza, s’intravedono dei divanetti nella penombra. – Siediti lì nell’angolo! Cosa sai di me? – Te l’ho detto niente, il Capitano mi ha detto di addestrarti e che eri una
Speciale e 17 che eri una tosta, che non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, il resto l’ho intuito da solo, sei brava a fingere, dico davvero, a volte sei turbata ma con un sospiro diventi la persona più allegra di questo mondo, anche gli occhi. Ma hai un piccolo difetto, quell’istante dove cambi umore, fai sempre un sospiro, come per riprendere fiato, per rimettere a posto i pensieri. Nessuno se ne accorge ma io sono un bravo osservatore. Pochi sanno del tuo numero, ne va dell’orgoglio di 17, non lo dirà mai in giro e a quei pochi che lo sapevano è stata tappata la bocca, dovrebbe ammettere di essere stato battuto. – Le ragazze come stanno? – Chiedo preoccupata interrompendolo. – Non lo so, io l’ho saputo solo per via del pugnale scomparso, non so niente delle ragazze, so che agli Occhi Bianchi presenti ha fatto una bella lavata di capo, a proposito, bel lavoro con il campo, pochi sanno come contrastarlo, comunque ho detto a 17 che non mancava niente quando me l’ha chiesto. – Perché? – Chiedo confusa – Volevo prima discuterne con te o con il Capitano, non mi fido di 17… – NO! Il Capitano non lo deve venire a sapere. – Ma la voce gli arriverà, anche se non glielo dico io lo scoprirà prima o poi… – Ma se gliela dice 17 o uno dei suoi non ci crederà e se tu gli dici che non mancano pugnali e io che non lo farei mai lui dovrà credermi, sono la sua Speciale e sa che 17 mi odia, pensa che stiano cercando di farmi del male, che mi vogliano eliminare, non può permettersi di perdermi. – Perché gli sto dicendo tutto questo? Vorrei crederci ma non ci riesco, crederà a me o al fratello? No! Deve credere a me, ha bisogno di me. – Non ci credi neanche tu vero? – Ma tu glielo dirai? – Visto il rapimento non sono del tutto favorevole a farti dei favori… tuttavia non sono particolarmente in sintonia con i pensieri del Capitano quindi sono piuttosto indeciso… ma se poi prende il potere 17… no. Penso che non glielo
dirò… – Tu ti sei consegnato. Perché? – Tenevo quella domanda dentro da tanto, come puoi desiderare di finire in un posto del genere? – Non lo so. Hanno cancellato la memoria anche a me ricordi? – Ma sei diventato amico di tutti. – Lo accuso. – Hai delle buone fonti vedo! Sono stati giorni confusi, ma ognuno reagisce alle torture in modo diverso, essere maschio mi ha aiutato, avrai notato che siamo in una società maschilista, mi è bastato fare un paio di battute. – Davvero è stato così facile per te? – Non posso credere che per alcuni possa essere stato così facile. – Non proprio, erano giorni confusi come ho detto, non ricordavo niente e c’era tutta questa gente bianca che mi fissava, tu sei andata subito dal Capitano, gli altri parlano con un occhi bianchi che decide se devono essere domati o se possono andare direttamente in prigione, io subii solo una leggera tortura ma niente di grave, mi trovavano simpatico, così mi inserirono subito tra gli Occhi Bianchi, nonostante la mia simpatia gli mostrai che sapevo lottare e farmi valere ma fui sempre collaborativo, non mi ritennero un pericolo. – E dovevano? – So essere pericoloso. – Mi guarda malizioso. – Ma no, non mi va. Non ho voglia di creare problemi… a cosa porterebbe? Mi metterei solo nei guai, rovinerei tutto, perderei il mio posto. Da dove sono adesso non possono quasi toccarmi. Ho la mia vita tranquilla. – Ma non hai mai neanche avuto una vaga idea o sensazione sul perché ti sei consegnato? – Ci ho pensato spesso, non posso esserne certo ma ho un’ipotesi. Sento che è giusto che io sia qui, che sto aspettando che accada qualcosa, che ci sia uno scopo preciso che giustifichi la mia presenza in questo posto. – Perché mi dici tutto questo? Non mi conosci.
– Mi stai puntando un coltello alla gola, cosa dovrei fare? Tergiverso, perdo tempo, ti distraggo, ti rendo più difficile farmi del male, ma anche tu ti stai confidando, no? – Non voglio farti del male, non voglio fare del male a nessuno, ma ho dei piani e devo conseguirli in fretta. Non posso permettere a qualcuno di mettersi in mezzo. – Deve essere qualcosa d’importante allora. – Lo è, molto. – Posso sapere qualcosa? Insomma tanto sono in ostaggio… – No, non mi fido abbastanza e poi devo ancora parlarne con gli altri. – E dai, mi sono comportato bene, pensi davvero che se avessi voluto farti del male mi sarei fatto catturare così? Ho avuto miliardi di possibilità di liberarmi o chiamare aiuto. – E allora perché non lo hai fatto? – Volevo sapere cosa succede, non mi piace essere all’oscuro delle cose. So tutto su questo posto, i segreti, i pettegolezzi… tutto. È il lato positivo di essere considerati innocui ed essere simpatici e minacciosi allo stesso tempo. La gente si confida, tu non hai idea di quanto la gente abbia bisogno di confidarsi in questo posto. – Non so ancora se poss… M’interrompo quando vedo tanti puntini gialli e blu venirmi incontro, stanno puntando tutti, con percorsi diversi a questa stanza. So che sono quelli dalla mia parte ma mi metto in guardia lo stesso, non si sa mai che 153 sia riuscito a chiamare la cavalleria. – Guarda a cosa ci porta stare qua, non ci fidiamo neanche dei nostri uomini. – Commenta sardonico.
14 – Piano
Entra tanta gente, sia Occhi Bianchi sia Condizionati. Abbasso il pugnale quando vedo Eric corrermi incontro, tutti si stanno guardando perplessi, guardano me ed Eric che ci abbracciamo. – Cosa è successo? – Chiede preoccupato. – 153 ha scoperto del pugnale voleva dirlo al Capitano. – Ehi! Ma se sono venuto a parlare con te! Ti ho già detto che non voglio dirlo a nessuno! – Ribatte 153. – Cosa facciamo? – Chiede ignorandolo. – L’ho portato qui… potrebbe sparire, io mi tengo gli occhiali e lui resta qui fino a quando non possiamo fuggire. – Ragazzi! Se mi spiegate cosa sta succedendo potrei darvi una mano. – Incalza 153. – Comunque devi parlare a tutti, è da un po’ che si stanno chiedendo cosa sta succedendo, in ogni modo sono tutti dalla tua parte, meno male che ero con 33, lui ha falsificato i registri. – Dice Eric fulminando 153 con lo sguardo. Faccio un respiro profondo, ha ragione devo spiegare a tutti che cosa sta succedendo. – Penso sappiate tutti chi sono. – Inizio. – Mi chiamo Mia e sono qui per farvi scappare tutti. – Sento mormorii di assenso – Ho una specie di piano ma ho bisogno di tutti voi. Siete con me? – Mi guardano entusiasti. – Domande? – Cosa ci dice che sei diversa da tutti quelli che ci hanno già fatto queste promesse? – Non lo so, ma non mi pare che abbiamo molta scelta. Prego! – Mi rivolgo all’altra mano alzata.
– E quando si comincia? – Riconosco la voce di Myhara. – Ho già cominciato ma ho bisogno di tutti voi per finire. Myhara vieni qui, ti devo parlare. – Si fa largo tra la folla e si mette accanto a me. – Sono venuta a conoscenza di una cosa sulla pillola bianca, non dovete più prenderla, nessuno di voi. Portatele a me nelle prossime riunioni. – A cosa servono? – Chiede una ragazza. – Non lo so con precisione, ci cancellano la memoria ma credo abbiano anche un’altra funzione. Sono la causa degli occhi bianchi. Non prendendola dovrebbero tornarvi dei ricordi… adesso devo parlare un attimo con Eric e Myhara, intanto voi sceglietevi dei nomi che utilizzeremo tra noi per riconoscerci, se non avete idee potete chiedere a qualcuno che vi conosce di darvi un nome che rispecchi la vostra personalità. Mi giro e sento un brusio di sottofondo mentre parlo con Eric e Myhara. – Chi è questa gente? – Chiedo sottovoce a Eric e Mhyara. – Sono quelli che ti sono rimasti fedeli, dopo il matrimonio ci sono state due divisioni di pensiero: c’è chi non si fida più di te e pensa che tu sia una traditrice, altri che alla fine ti sei piegata, poi chi non ci crede e vede in te speranza. La voce della tua apparizione nella prigione è girata velocemente questa è solo una parte dei tuoi alleati, in tutto saranno una quarantina, qui saremo in venti massimo. – Racconta Eric. – Siamo in pochi. – Si lamenta Myhara. – Meglio, almeno possiamo comunicare in fretta, ho bisogno che tanta gente sia dalla mia parte ma che poca sia coinvolta, altrimenti sarà troppo difficile coordinarsi e fare uscire tutti. – Io sto con voi, voglio andarmene da qui. – Mi ero quasi dimenticata di 153. Le sue conoscenze potrebbero tornarci utili e poi sento che non sta mentendo, che in fondo è sempre stato dalla mia parte, annuisco in sua direzione, Eric non è d’accordo. – Mhyara posso parlarti un attimo da sole. – Chiedo, lei annuisce e ci isoliamo
un attimo, devo sapere cosa è successo alle ragazze, ma non voglio che altri sappiano. – Che c’è? – Chiede curiosa. – L’altro giorno… sì insomma… con 17, cosa ha fatto dopo che me ne sono andata? – Sì è comportato in modo molto strano. – Inizia. – Tutte pensavamo che sarebbe scoppiato, che ci avrebbe fatto del male, ma non l’ha fatto, immagino che avesse paura, tutto quello che avevi detto tu sarebbe sembrato vero, si sarebbe visto troppo che tu eri contro di loro per una ragione, non che non sia mai stato chiaro, comunque sia non poteva darti ragione in quel modo. Così ti ha assecondata. – In che senso? – Chiedo confusa e sollevata allo stesso tempo. – Ha detto che avevi preso una pillola guasta e che si spiaceva se ci aveva turbate, che sarebbe tutto tornato normale, la Speciale aveva solo bisogno di riposarsi, che dei suoi uomini si sarebbero presi cura di lei. Nessuna se l’è bevuta, ma hanno finto tutte di crederci. Devo dire che la tua apparizione ha portato abbastanza scompiglio tra le ragazze, erano tutte eccitate anche se sembravano nasconderlo, ma chi non era dalla tua parte continua a non fidarsi, 23 sta tramando contro di te, incita le sue compagne a fare una campagna per screditarti con le altre, è in combutta con 17 ne sono sicura, sta già diventando una di loro. – Grazie, continua a tenere la situazione sotto controllo. Torniamo con gli altri: – Avete finito? – Chiedo a gran voce, si zittiscono tutti – Bene. Ho una specie di piano, ho bisogno di tutte le pillole bianche che riuscite a recuperarmi. Poi ho bisogno di qualcuno che possa falsificare dei registri. – Si fa avanti un ragazzo. – qualcuno che ha accesso ai generatori. – Si fanno avanti un signore anziano e una ragazza. – E qualcuno che ha accesso alla produzione delle pillole. – Si fanno avanti una ragazza e un ragazzo con una bambina. – E qualcuno che abbia accesso illimitato o quasi. – Nessuno alza la mano. Guardo Eric perplessa:
– Chi ha quel tipo di accesso non sta dalla nostra parte, viene dato solo agli spietati, come 17… Annuisco non voglio avere qualcuno così dalla mia parte, anche se mi farebbe così comodo! – Allora direi che mi bastate voi ragazzi, chi non ho chiamato dovrà portare più gente possibile, Condizionati come Occhi Bianchi dalla mia parte, quando saremo pronti per scappare voglio che chi sarà dalla nostra possa uscire senza essere ostacolato. Adesso fate pure due chiacchiere, godetevi il tempo libero, se volete potete ascoltarci, illustrerò parte del piano a loro… Andiamo a sederci su dei divanetti in fondo alla saletta. – Per prima cosa: come vi chiamate? Parla per prima una bambina minuscola con degli occhi nerissimi, sui quali le pagliuzze bianche risaltano tantissimo. – Mi chiamo Benny. Il mio vero nome è 12. – Che bel nome! Quanti anni hai? – Dieci, sono nata qui. – Perché sei qui? – Io lavoro con le pillole. Devo controllare che i colori siano giusti. Le sorrido gentile, cerco di trattenere le lacrime, è così piccola… – Io sono Jany, ho 35 anni e sono qui da dieci, il mio vero nome è 75. Sono una Occhi Bianchi, il mio compito è di accompagnare Benny al lavoro e di occuparmi di lei. La prende in braccio con fare protettivo e le fa il solletico. – Io sono Luke, sono un’Occhi Bianchi anch’io, il mio vero nome è 87 ho trentacinque anni e sono qui da venticinque. Mi occupo della sicurezza nelle prigioni, il Capitano si fida molto di me, a volte mi fa andare a controllare anche
la produzione delle pillole. Non deve assolutamente scoprire che sono qui! – Mi ricordo di lui, era al mio matrimonio! Benny gli salta in braccio: – Non ti preoccupare Lu nessuno lo saprà, sei al sicuro qua vero Mia? – Sì, certo con me siete al sicuro. Scavalca il tavolino che ci separa e mi abbraccia forte. – Grazie, so che soffri ma tutto andrà bene. Mi scende una lacrima e lei la prende con un ditino minuscolo e la guarda: – Nessuno deve piangere, nessuno deve essere triste. Neanche tu. – Dice convinta. Le sorrido. Chi ha fatto crescere così in fretta questa cucciola la pagherà, questa è una promessa. – Nessuno sarà triste. Mai più. – Sorrido e inizio a farle il solletico. Il ragazzo che può falsificare i registri si chiama El, ha 24 anni e il suo vero nome è 33. È solo grazie alle sue falsificazioni se siamo tutti qui oggi, è molto amico di 18. Poi c’è il signore che mi aveva fatto la domanda: si chiama Sil ha 87 anni ed qui da 40, ha gli occhi completamente bianchi ma non è un Occhi Bianchi, lavora si generatori nella manutenzione, l’Occhi Bianchi che lo controlla è una ragazza giovane di 25 anni, è qua da quando ne aveva otto e si chiama 35. Si guardano malissimo per tutto il tempo, lui più con fare scherzoso, ha l’aria molto simpatica, ma lei lo incenerisce in tutti i modi possibili ma con un fare quasi protettivo, sembra a disagio qua, è come se volesse trasmettere il suo disagio a tutte le persone che le stanno attorno. Le chiedo che nome si è scelta e lei dice di chiamarsi Sharpy con tono disgustato. – Perché lo dici con quel tono? – Le chiede Myhara. – Hai detto che dovevamo scegliere un nome con quelli che ci conoscevano,
questo idiota. – Indica Sil. – Mi ha chiamata così perché gli sembro un’arpia. Sil scoppia a ridere. – Ma non dovevi per forza accettare… puoi cambiarlo se vuoi. – Dico gentile. – Io eseguo gli ordini, alla lettera. – Il suo tono è glaciale. – Ma lo puoi cambiare, non era un ordine, era un consiglio. Mi guarda confusa, sento quasi la sua mente dividersi in due parti, non sa cosa fare, scuote la testa decisa ma confusa. Mi ricorda Cell in questo anche se Sharpy è più esagerata, a proposito non l’ho ancora vista… – Ragazzi dov’è Cell? – Non poteva venire… aveva un ordine speciale dal Capitano da svolgere, non poteva proprio non farlo… credo dovesse accompagnarlo da qualche parte… – Dice Myhara. – Okay, tanto non ha un ruolo fondamentale nella parte del piano che discuteremo oggi… Luke, Jany dovete farmi entrare dove producono le pillole, e tu Benny dovrai farmi vedere i colori. – Mi sorride contenta. – El, il tuo compito sarà quello di controllare che nel giorno prescelto della mia visita non ci sia gente che mi possa denunciare al Capitano, capito? – Annuisce. – In quel giorno manderai Luke a prendermi all’allenamento e lui mi porterà là. Sil, tu dovrai trovare un modo per distruggere il generatore principale e tu Sharpy devi proteggerlo capito? – Annuisce. – Bene, solo una cosa, cerca di sbrigarti, non abbiamo molto tempo… – Non ti preoccupare era da un po’ che escogitavo un modo per distruggerlo in attesa di un momento come questo, sono a buon punto, dovrei finire a giorni. – Un’ultima cosa, Luke tu sai delle cose sulle pillole? – Annuisce. – Bene. Ho un paio di domande, è quella grigia che vi permette di usare il campo, vero? – Tu come fai a… – Mi sembra ovvio ormai che ci siano delle falle nel sistema…
– Già, comunque sì sono quelle che ci permettono di usarle. Perfetto, 17 non regge lo stress. – Quindi chiunque le prenda, se forte, può creare il campo? – Sì, se ha le capacità psicologiche… sì. – E se due capaci di usare il campo si scontrassero…? – Vincerebbe il più forte. – Grazie, un’ultima cosa, sai a cosa servono le pillole argento–dorate? Mi guarda perplesso – No, mai sentite, tu Jany? – Ne ho viste un paio qualche giorno fa ma sono state tirate fuori dalla macchina manualmente e riposte nell’apposita scatolina, io non le ho manovrate. Comunque erano di corsa, hanno fatto tutto di fretta. – Grazie comunque per le informazioni. Direi che adesso possiamo andare tutti via, non credete? Se non avete domande… – Meglio di no, ho falsificato i registri fino al quinto battito, fino ad allora sarebbe meglio restare qui. – Dice El. – Fantastico! Buona notizia per tutti! Abbiamo tre battiti per restare qui a parlare tra noi, possiamo conoscerci meglio e riposare un po’ gli occhi. Approfittate della penombra. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo. I miei compagni seduti sui divani vanno con gli altri, si siedono tutti per terra, tutti insieme Occhi Bianchi e Condizionati che ridono e scherzano. Io mi corico su un divano tra le braccia di Eric. Sul divano di fronte al mio ci sono Luke e Jany, anche loro coricati e abbracciati. – Come vi siete conosciuti? – Chiedo. – È una storia lunga… – Abbiamo tempo – dice Eric.
15 – Jany e Luke
– Io sono qui da molto. – Inizia Luke. – Venticinque anni, sono arrivato che ne avevo solo dieci, dovete capirmi, ero molto piccolo e mi sono ritrovato senza ricordi in questo posto bianco, ero spaventato. C’era un altro regime allora, i genitori del Capitano ed eravamo in guerra aperta con il mondo di Sopra, cercavano alleati ed io ero solo un bambino, la mia mente giovane era perfetta per farmi crescere come un fedele Occhi Bianchi, c’erano delle rivolte quindi avevano bisogno di servitori fedeli, e cosa c’è di più influenzabile di un bambino di soli dieci anni spaventato? Mi fecero crescere con altri bambini facendomi credere di aver perso la memoria in un incidente, tutti lo credevamo. – Gli occhi gli s’incupiscono e Jany gli poggia una mano sulla spalla. – Nessuno te ne fa una colpa, tutti avrebbero reagito come te. – No, io mi feci amico 17, altri non lo fecero, ne stettero alla larga. Lui era più grande di me di cinque anni, lo vedevo come il mio fratellone, mi prese sotto le sue ali, era più gentile una volta, non che questo mi giustifichi. Presto venni accettato nella famiglia del Capitano, mi sentivo potente, tutti gli altri bambini avevano delle balie che cambiavano spesso ma io no, io avevo una famiglia, non so perché mi accettarono, mi sentivo privilegiato. Prendevo le pastiglie ma avevo un letto nel quale dormire e una casa vera e questo mi rendeva fiero, 17 mi diceva che ero destinato a grandi cose, avamo le giornate insieme e lui mi raccontava dei mostri che dovevamo combattere, mi diceva che c’erano delle persone che non erano vere persone, che ci avevano traditi e poi erano scappate e invece di morire come avrebbero dovuto avevano fatto un patto con il diavolo per sopravvivere. Diceva che non meritavano di vivere. Non penso si rendesse conto di cosa diceva, dopotutto stava con me anche se ero uno di quei mostri, certo io non lo sapevo ancora pensavo di essere nato lì, penso che neanche lui ne fosse del tutto consapevole, penso che riferisse solo le parole del padre ma non sapesse ancora bene cosa succedeva. Crescemmo ed io iniziai a fare la gavetta come Agente, ci chiamavano ancora così, mi facevano fare piccoli lavori di controllo dei prigionieri e lui iniziava a lavorare con il padre per prepararsi a prendere il suo posto. Ci separammo per un po’, io tornavo ancora alla Casa per dormire ma sapevo che diventato un Occhi Bianchi avrei dovuto smettere. Poi quando lui aveva vent’anni nacque il fratello, l’attuale Capitano e io me ne andai
definitivamente. Smettemmo di frequentarci, lui era destinato a diventare Capitano, aveva altro a cui pensare che a un quindicenne, tra l’altro la madre era morta nel parto del Capitano e toccava a lui occuparsi dell’educazione del fratello, poi nascesti pure te, non mi sembrava un gran genitore ma diceva che il lavoro lo prendeva molto. – Eric sussulta e si mette a ridere con tono finto. – “Lavoro”, non si è mai occupato di noi! – Dice con rabbia. – Sotto obbligo del padre, per salvare le apparenze, mi fece restare con mia madre ma non nella Casa, andai al Nido con gli altri. Il Capitano dormiva nella Casa ma stava con noi piccoli Occhi Bianchi per tutti i dodici battiti di lavoro, ci facevano dipingere le pillole con colori diversi. Lui non si è mai occupato di noi, fosse stato per lui sia io che il Capitano potevamo benissimo morire, anzi gli avrebbe fatto comodo. Dopo la morte della sua Speciale venne cacciato dalla Casa e mi prese con se’, cacciò mia madre e decise di fare il padre lei provò a farmi scappare ma… lui provò a mettermi contro il Capitano, sapeva che era quasi un fratello per me, ma non lo capiva, per lui erano solo parole, l’unica cosa che ha mai amato è il potere, lui voleva che sabotassi suo fratello, con il quale ero cresciuto era mio fratello, non suo. Voleva fare di me, suo figlio, un suo duplicato, una sua arma. – Adesso capisco il cameratismo tra il Capitano ed Eric, gli sguardi complici che si lanciano non potevano che essere frutto di anni ati insieme. Eric mi guarda preoccupato, non voglio che pensi che lo veda in modo diverso, meglio fare finta di niente. – Continua. – Lo invito. – Dicevo, ci perdemmo di vista, ma io continuavo a vivere influenzato dalla sua presenza, volevo renderlo orgoglioso. Iniziarono a farmi partecipare a qualche iniziazione, l’unica cosa che volevo era renderlo fiero. – Continua come cercando di giustificarsi. – E poi quelli non erano i mostri contro i quali avevo sempre fantasticato di combattere? Vedevo solo quello. Diventai uno dei migliori, in fretta. Poi la Speciale di 17 si suicidò. – Non riesco a fare a meno di sussultare, Eric mi stringe ma Luke continua. – E lui rimase solo, per tradizione il ruolo di Capitano dovette are al fratellino. Il padre di 17 restò al potere e lui venne cacciato per disonore, il padre non poteva accettare che un figlio avesse portato in casa tanta vergogna, nessuna Speciale, neanche degli altri Capitani si era mai ribellata suicidandosi. Riprendemmo a frequentarci, lui era cambiato. Quello che prima era disgusto adesso era vero e proprio odio, voleva distruggere tutti, io lo seguivo. Odiavo le persone di sopra perché avevano fatto tanto male al mio amico. Diventammo i più bravi. Nessuno ci eguagliava in fatto
d’iniziazioni, lui voleva solo ragazze ed io stavo con lui. Non mi facevo problemi, quello che contava era rendere il mio amico fiero. Ho fatto cose che… – Amore non fartene una colpa, non avevi scelta… – Lo consola Jany. – Sì. Ne avevo, potevo andare con tutti gli altri ragazzi. Loro non sono diventati così, è stata una mia scelta, io volevo stare con 17. Ben presto diventammo famosi, tutti ci temevano, il padre di 17 non aveva il coraggio di fermarci quindi potevamo fare tutto quello che ci pareva. Non mi feci mai domande, capii di arrivare anch’io da Sopra, capii che avevano cancellato la memoria anche a me, capii di essere un Condizionato e anche lui lo capì. Nessuno di noi ne aveva mai parlato, d’altronde quasi tutti gli Occhi Bianchi arrivano da lì. Ci demmo una risposta del tutto fittizia, serviva per non stravolgere il nostro mondo, quel mondo che avevamo creato noi stessi con tanta fatica. Ci dicemmo che era tutta questione di punti di vista, che gli uomini erano bravi, che era solo colpa delle donne. Sapevamo che non era vero, almeno io lo sapevo ma lo seguivo, seguivo quello che era sempre stato il mio punto di riferimento. Presto una cerchia di Occhi Bianchi si mise al nostro fianco affascinata dal potere e assetata di sangue. Eravamo i migliori e aumentavamo. Ci divertivamo. Insegnavamo alle reclute, eravamo spietati. Alcune non sopravvivevano. Poi un giorno mi dissero che ne era arrivata un’altra, 17 era impegnato, decisi di andare da solo e di approfittarne per istruire delle reclute. Presi dei ragazzi e andai alla prigione spiegando come funziona il campo, spiegandogli che dovevano mantenere la calma e desiderare di fare del male, dovevano volerlo. Dovevano essere forti. Entrammo nella prigione, tutte le ragazze si ritraevano quando mi vedevano entrare. Lei era al centro, mandai una recluta a prenderla e gli ordinai di portarmela davanti e immobilizzarla. Lui lo fece ma il campo era debole e lei si ribellava, sconfisse il campo e gli si rivoltò contro, urlava e lui non riusciva a tenerla a bada, era un essere inutile, non sarebbe mai andato da nessuna parte, feci per andare ad aiutarlo. – Erano ati giorni mesi o anni da quando ero arrivata, il tempo non aveva senso. Non sapevo niente, il buio aveva inghiottito tutto e poi mi ero ritrovata così, nel bianco con una tipa tutta bianca che mi diceva che sarebbe andato tutto bene e non rispondeva a nessuna mia domanda. Chi ero? Dov’ero? Niente. Mi misi a urlare, ero frustrata, volevo solo sapere qualcosa. Lei non mi diceva niente. Urlai e mi lanciai addosso a lei. Suonò un allarme e tantissimi Occhi Bianchi piombarono nella stanza e m’immobilizzarono, nessuno mi toccava ma sentivo qualcosa schiacciarmi in terra e non capivo cosa fosse. Mi trascinarono
via, volevo solo sapere chi ero, ma avevo intuito che mi aspettava qualcosa di brutto quindi decisi di ribellarmi. Non volevo essere una facile preda, non volevo sottomettermi. Così quando quel tipo iniziò a provare a farmi del male mi ribellai. – Io le piombai addosso da dietro e le attaccai la catena al collo, ero pronto ad agire, non era la prima volta che succedeva. Cademmo per terra ed io mi ritrovai faccia a faccia con lei. Vidi i suoi occhi e mi persi in quell’universo. Vedevo solo i suoi occhi marroni, screziati di giallo. – Ero confusa, erano i primi occhi bianchi che vedevo, non capivo, percepivo che lui era il capo e che doveva farmi del male ma rimasi immobile e zitta, c’era una nuova forza a tenermi immobile, quella dei suoi occhi, non potevo sopportare l’idea di perderli di vista anche se avessi dovuto essere torturata per poterli vedere. – Non sapevo cosa fare, all’improvviso l’idea di fare del male mi sembrava ripugnante, all’improvviso misi in discussione tutto quello che avevo fatto, tutto quello che ero stato fino a quel momento. Lei veniva da sopra. Lei non poteva essere un mostro. Avvenne tutto in una frazione di secondo, dovevo decidere in fretta. Mi alzai e la misi al mio fianco con fare possessivo, tanto per complicare le cose entrò 17, ma ripensandoci mi ha risparmiato eventuali problemi futuri, avevo poco tempo per decidere. Dissi a 17 che si era ribellata in pubblico e che le ragazze avevano visto troppo e quindi gli chiesi di punirle mentre io mi occupavo della prigioniera. Era una cosa comune all’epoca ma di solito ci invertivamo i ruoli. – Io non capivo, rimasi immobile tra le braccia di Luke osservandolo discutere con 17, mi teneva con fare protettivo. Non capivo, ero così confusa, capii solo che stava cercando di proteggermi, ma perché parlava di tortura? – La portai in una camera con i novellini a seguito. Sapevo che era inevitabile, che se non le facevo del male sarebbe stato sospetto e l’avrebbe fatto 17, e sarebbe stato peggio. Non potevo sopportare che le accadesse qualcosa. Nei suoi occhi avevo visto la mia anima, quella che avevo creduto perduta da tanto tempo, anzi alla quale non avevo mai pensato prima. Avevo sempre creduto di fare la cosa giusta. Avevo un piano, ero con dei novellini, loro non sapevano cosa prevedesse il rito. Speravo solo che lei capisse di dovermi assecondare.
– E lo feci. Capii che stava tramando qualcosa, ma non sapevo cosa. Ero spaventata, avevo paura e sapevo di non potermi fidare, ma che scelta avevo? – Non potevo non farle del male, avevo una fama e sarebbe stato troppo sospetto se non le fosse successo niente. Così dissi alle reclute che avevano già fatto abbastanza danni e che avrebbero solo guardato per questa volta. Poi dovetti iniziare, le feci meno male possibile. – Si scusava con gli occhi, vedevo la sofferenza in ogni suo gesto. – Era come fare del male a una parte di me stesso. – Sapevo che era costretto a farlo, lo capivo. Quindi restai ferma nonostante non avesse attivato il campo. – Non sapevo cosa fare, sapevo che i ragazzi si aspettavano uno stupro, ma non potevo farlo. Gli diedi un bacio accanto all’orecchio e sussurrai… – …scusa. Capii cosa stava per fare. Non ce l’avevo con lui, come potevo? Annuii, gli dissi con gli occhi che lo accettavo, sapevo che se non l’avesse fatto lui l’avrebbero fatto gli altri. – La baciai e attivai il campo. Feci del mio meglio per non farle troppo male, ma un minimo dovevo farlo o non sarei stato credibile. – Fece di tutto per non ferirmi troppo, io rimasi in silenzio, volevo facilitargli le cose. – Poi arrivò il momento di vedere se abbassava lo sguardo. Faceva il possibile ma fu comunque una delle cose più dolorose della mia vita, meno male che era accanto a me. – Non lo feci la prima volta, sapevo che dovevo mostrarmi ancora combattiva nonostante stessi male. – La seconda volta abbassò lo sguardo, era arrivato il momento di marchiarla. – Capii dai suoi occhi che stava per farmi davvero del male. Chiusi gli occhi e aspettai.
– Fu la cosa più difficile della mia vita. A me l’avevano fatto da piccolo, ricordavo solo molto dolore. – Poi mi misero in convalescenza. – Mandai via i novellini e gli dissi che me ne occupavo io, che anche se era domata loro potevano farla peggiorare in un istante. – Restò al mio fianco tutto il tempo. – A casa di 17 avevo preso dei libri e letto delle storie. Gliele raccontavo e… – E si scusava, in continuazione, mi spiegò perché l’aveva fatto, che non aveva scelta – Che se non l’avessi fatto io l’avrebbero fatto altri e sarebbe stato peggio. – ò il tempo e mi ristabilii, mi portò alle prigioni, quelle di bassa sicurezza. – Mi disse che le piacevano i bambini e così la mandai a lavorare con i bambini degli Occhi Bianchi. – Mi accompagnava sempre lui, ci trovavamo nelle stanze buie per parlare e stare insieme liberamente. – Smisi di frequentare 17, non volevo più fare del male, gli dissi che preferivo are al controllo dei prigionieri e ad altre mansioni. Non ne fu felice, litigammo ma il padre, lo calmò. Non ci parlammo più. La feci diventare Occhi Bianchi, non sospettò mai nulla, lui non capiva. – Poi incontrai Benny, era la seconda bambina che mi affidavano, lei era speciale. La feci conoscere a Luke, a volte ci incontravamo tutti insieme. Diventammo una specie di famiglia. – È stata Benny a convincerci a venire qua, non sappiamo come ha saputo di questa riunione ma siamo dovuti venire, noi abbiamo bisogno di amarci, abbiamo bisogno di uscire di qui. – E voi invece, come vi siete conosciuti? – Chiede Jany.
Racconto di come lui non mi ha mai torto un capello durante la mia tortura, racconto dei nostri incontri nelle stanze buie, racconto tutto quello che ha fatto per me. – Vedo che le stanze buie sono più frequentate di quanto pensassimo! – Commenta Luke. – Già, chissà quante storie come le nostre ano inosservate. – Ribatte Jany pensosa. – Dici che ce ne sono tante? – Chiede Eric. – Secondo me sì, non si può fermare l’amore e con tutto questo odio ce ne deve essere da qualche parte no? Deve essere represso in qualche angolo delle persone. A te è scoppiato davanti a lei e a me in una stanza buia. Prima o poi deve scoppiare a tutti o no?
16 – Confidenze
Benny ci corre in contro e salta addosso a Jany. – Non state da soli! Venite a parlare con noi. Non si può dire no a quella bambina. Ci alziamo tutti e andiamo con gli altri unendoci al cerchio, io mi metto in braccio a Eric e Jany a Luke. Accanto a me c’è una ragazza incinta: – Fhatt! Sei dei nostri! – Dico abbracciandola. – Che nome ti sei data? – Ninive. – Risponde sorridendo. – Come va la gravidanza? – Non lo so, gli Occhi Bianchi non mi dicono molto, anzi niente, credo di avere ancora un po’ di tempo, la pancia non è molto sviluppata… dobbiamo andarcene prima della sua nascita, non possono separarmi anche da lei. – Ce la faremo, te lo prometto. Avrai tua figlia, non nascerà in questo posto. Oggi sto promettendo un po’ troppo… spero di poter mantenere tutto quello che dico. C’è tanta gente che non ho mai incontrato. Molti hanno già tutti i capelli bianchi, altri solo delle ciocche, ma sono tutti qua da abbastanza tempo. Ci guardiamo per un po’ tutti in silenzio, nessuno sa cosa dire. Pensandoci anche prima mentre parlavamo erano tutti in silenzio. – Sapete… – Faccio fatica a continuare, è molto personale, sento il pensiero attaccarsi al cervello per restare segreto. – Da quando sono arrivata qui ho sempre avuto solo un ricordo… degli occhi. Azzurri. Che mi fissano… anche a voi è successo? Alcuni mi guardano perplessi altri annuiscono, Eric mi guarda stupito e offeso, non glielo avevo mai detto. E’ Sil a parlare:
– Tutti i giorni, gli stessi occhi. Verdi e bellissimi che mi pregano di non andarmene. Io riuscirò a tornare da loro. Di chiunque essi siano. – I miei sono marroni. Come lo erano i miei prima di diventare Occhi Bianchi… mi guardano, cercano di proteggermi – Racconta El. – I miei sono verdi. Mi chiedono di non abbandonarli. – Dice 153 guardandomi negli occhi, perché il suo sguardo mi mette tanto a disagio? – I miei sono neri. Vogliono che li salvi. – I miei sono blu. Chiedono che torni da loro. – Racconta Ninive. – I miei sono grigi, li vedo ogni giorno, mi dicono di stare tranquilla, che andrà tutto bene. – Racconta una giovane ragazza dagli occhi color cobalto intaccati da poco dal bianco. Uno a uno diciamo tutti come sono gli occhi che ci perseguitano o accompagnano, dipende, alcuni chiedono di restare insieme ma altri chiedono di essere vendicati e perseguitano i Condizionati in incubi diurni. – Secondo voi cosa sono? – Chiedo curiosa. – Per me sono gli occhi di chi abbiamo lasciato… di chi ci sta pensando, di chi si è sacrificato per noi… dobbiamo aver avuto una vita prima di questa, insomma gli occhi di certe persone non si possono dimenticare facilmente, no? – Chiede la giovane ragazza. – Ne abbiamo avuta una. – Dico. – Ieri non ho preso la pillola bianca né quella per dormire e sta notte ho sognato mia madre e mio padre. Ma lui non sono riuscita a vederlo bene. Ho solo visto la morte di mia madre, è già qualcosa no? Mi guardano tutti con sguardo triste e speranzoso. – Sapete io credo di essere qua dentro da più tempo di tutti voi messi assieme, e c’è una cosa da non fare, MAI, ed è sperare o sognare troppo. Questo è un buon piano ma non dobbiamo illuderci, se finiremo tutti morti sarà una benedizione rispetto all’essere catturati. – Non fare il melodrammatico Sil, non sapranno mai chi siete, vi coprirò io. –
Ribatto. – E anche se catturano uno o due il piano continua, con o senza di me o altri… dobbiamo solo aggiungere una parte di salvataggio, ce la faremo tutti… – Eric mi guarda con disappunto. – Ma qual è il piano completo? Io non l’ho mica capito. – Dice Sharpy polemica. – Lo so che non mi sono spiegata bene, ma il fatto è che il piano non c’è l’ho bene in mente neanche io e trovo che sia meglio così, a volte avere un piano ti blocca, chiude la mente ad altre possibilità, lasciate la mente aperta a tutte le opportunità, avere un piano è una buona cosa e lo avremo, ma adesso è troppo presto, adesso dobbiamo avere la mente libera, dobbiamo vagliare tutte le possibilità e gli imprevisti, immaginarsi cose che non accadranno, cose anche impossibili, dobbiamo aprire la mente, solo così il nostro piano funzionerà. – Siamo messi bene allora! – Ribatte 153 col suo tono scherzoso ma con una scintilla negli occhi. – Be’ siamo di sicuro messi meglio di prima, quando non c’era nessuno. Adesso abbiamo speranza. – Dice Eric guardandomi. – Tu sei giovane ragazzo, abbiamo avuto molte speranze prima di lei. È sempre la stessa storia ci riuniamo e poi veniamo scoperti. – Dice una prigioniera anziana e ormai assorbita completamente dal bianco. – Allora perché siete qui? – Chiedo irritata. – Tanto per provare, prima o poi sarà la volta buona. – Dice un ragazzo non ancora del tutto bianco. – Questa non è una questione di provare! – Sbotto irritata . – Dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per andarcene, non basta provare! E voi? Voi perché siete qui? – Per scappare! – Dice Lolyta. – Per salvare mia figlia. – Ribatte Ninive. – Per poterci amare. – Dice Luke. – Per riavere i miei occhi. – Dice la ragazza dagli occhi cobalto.
– Per poter vivere. – Dice Eric. – Sentite tutti noi sappiamo perché siamo qui, ognuno ha le sue motivazioni, quello che conta è andarcene, e non potremo farlo se non siamo uniti e non ci aiutiamo a vicenda. Lo abbraccio forte, lui mi accarezza i capelli e mi bacia il collo. Tutti ci stanno guardando curiosi, ma non m’interessa, non ci interessa. Siamo insieme. Mi stringe più forte e sento l’elettricità irradiarsi nelle mie vene e mischiarsi al sangue, mi bacia i capelli. – Come avete fatto? – Chiede Sharpy curiosa. – A fare cosa? – Chiedo senza capire. – A stare insieme… – Sussurra timida. Non so cosa rispondere, cosa vuole dire? – Penso di parlare anche a nome loro. – Inizia Jany. – Io e Luke ci siamo subito innamorati, appena i nostri occhi si sono incontrati, non c’è stato bisogno di parole, ho visto i suoi occhi e ho visto qualcosa oltre il bianco, l’avrei amato ovunque. – Sì. – Continuo. – È facile, ci incontriamo sempre nelle stanze buie, come questa. – Anche io e il mio ragazzo lo facciamo. – Dice la signora anziana. – Non è potuto venire a causa del lavoro, dopo gli riferirò tutto. Io non sono una Occhi Bianchi e lui non è il mio accompagnatore quindi ci incontriamo raramente, ma non aspettiamo altro che quei momenti, sono ciò che ci tiene in vita. – Continuo a non capire… – Dice Sharpy confusa. – Cos’è che non capisci? – Chiedo, non comprendendo il suo problema, cosa c’è di difficile da capire? – Perché? Perché fare questo? Perché rischiare la vita per stare con una persona… qualunque. – Non sei mai stata innamorata? – Chiedo stupita, sento gli occhi di Eric fissarmi e mi accorgo di quello che ho detto. Il sangue m’invade il cervello, sento la testa
implodermi mentre arrossisco violentemente dall’imbarazzo. Per fortuna Sharpy parla prima che possa farlo Eric: – No… insomma cos’è l’amore? – Chiede in un sussurro, come se parlasse di un grande tabù e portandoci ad assumere lo tesso tono. Mi viene l’istinto di rispondere, sento le parole cercare di uscire, cercare di dire tutto quello che mi sono sentita esplodere dentro fino ad ora, voglio dire tutto quello che ho provato, della sensazione di elettricità, del cuore che batte a mille e poi esplode, del bruciore al contatto con il suo corpo. Ma sono fin troppo cosciente della presenza di Eric alle mie spalle, sento il mio corpo bruciare al contatto col suo, non voglio che sappia tutto quello che mi a per la testa, non ancora, non voglio che mi veda debole, mi vergogno al solo pensiero di non essere ricambiata. Per fortuna a parlare è Luke. – Non hai mai amato qualcuno? – Sussurra e lei scuote la testa – Amare è… non si può spiegare a parole… è quando una persona diventa più importante di te… quando senti che il solo fatto di perderla potrebbe distruggerti, che niente a senso se perdi quella persona, tutto il mondo si concentra in un punto, quella persona, tutto sfuma, l’unica certezza è che tu e lei siete perfetti insieme e inizi a mettere in discussione tutto quello che sei stato fino a quel momento, tutto ciò che hai fatto, hai pensato o sei diventato, tutto diventa in funzione di lei, perfino le cose che avevi sempre dato per scontate possono perdere valore. – Sembra orribile… – No, non è orribile. – Inizia Eric. – È la cosa più bella che ci sia, perché quando sei con questa persona, quella che ami sei felice, felice in un modo diverso, non si può spiegare… quella persona farà tutto per te come tu farai tutto per lei… insomma è uno scambio di felicità e di dolore, ma è uno scambio sempre positivo scambiare ti fa stare bene, dare una parte di te, sapere che sarà custodita e protetta, è proteggere la parte che l’altro ti affida a costo della tua stessa vita, sapere di potersi fidar di qualcuno che non ti giudicherà, ma farà tutto per accettarti, perché i tuoi difetti possono essere pregi per lei, quello che a te non piace può essere quello che piace più all’altro. – Conclude imbarazzato. Perché sento che c’è qualcosa di sbagliato in quello che stanno dicendo? – Come capisci di essere innamorata? – Beh… è difficile, per ogni persona è diverso… ma in generale ti batte forte il
cuore quando lo vedi, ti senti lo stomaco sottosopra e il sangue ti va al cervello… non riesci più a pensare in modo razionale, esiste solo più quella persona, senti improvvisamente che la tua vita ha un senso. – Sussurra la signora anziana. – Non sembra così bello… – Mormora timida. – Infatti, lo è di più. Non lo hai davvero mai provato? – Sussurro. – No… per noi che siamo nate qui non ci sono molte possibilità… sono cresciuta seguendo gli ordini, non ho mai disobbedito e non ho mai guardato le altre persone. Mi hanno sempre e solo fatto del male, alcuni si aspettano che ci mettiamo con gli Occhi Bianchi e che continuiamo la razza in modo puro, ma non succederà mai, gli Occhi Bianchi sputano su tutto quello che vedono, sono troppo comodi. Possono avere tutto quello che vogliono, perché dovrebbero solo avere una ragazza, perché accontentarsi? Ma noi non ci possiamo fare nulla. Dobbiamo solo fare quello che ci dicono, sopportare è l’unico modo per sopravvivere. – Allora perché sei qui? – Chiedo scettica rompendo i mormorii. – Mi ci ha trascinato Sil… lui dice sempre che io non ho sentimenti e che sono vuota, che non sono buona a fare nulle. Volevo dimostrargli che posso fare qualcosa anche io, che sono capace di essere trasgressiva se voglio. – Dice fiera e allo stesso tempo spaventata di sé. – Quindi alla fine sei riuscita a infrangere le regole! – Dice Myhara entusiasta. – Lo so! Mi sento elettrizzata, ma anche terrorizzata, non è da me, insomma se mi scoprissero dire che mi punirebbero è poco, potrebbero anche uccidermi! Ho paura. – Non ti preoccupare, nessuno lo scoprirà. Tutti corriamo dei rischi per essere qui, ma ne varrà la pena fidati. – La incoraggio. – Fidarmi di chi? Di cosa? Cosa mi dice che finito tutto questo ci sarà una vita migliore, io sto bene qui, ho il mio posto, le mie certezze, tengo la testa bassa e nessuno mi dice niente. Cosa mi dice che uscita di qui le cose miglioreranno? Che cosa ci aspetta fuori? Una società? O il vuoto, potremmo morire prima di raggiungere delle persone. E se queste persone fossero come i mostri di cui ci
parlano sempre? – Chiede confusa. – Sei dei nostri o no? – Chiedo irritata. – Non lo so. Non so cosa pensare, voglio solo avere delle certezze! – Esclama esasperata. – Fuori ci sono delle persone, se no da dove verremmo tutti noi? E di sicuro sarà meglio di questo posto, se anche la società fosse peggiore, cosa di cui dubito, almeno avremmo cose belle come la natura, gli animali, i colori! E soprattutto riavremo i nostri occhi e ricordi. Penso che valga la pena rischiare per riavere queste cose, e sono sicura che andremo in una società migliore. – Dico alzando leggermente la voce irritata. – Non so cosa pensare, io non ho ricordi dai quali tornare. – Conclude tristemente. – Senti pensavo di essere stato chiaro, chi sta con me deve essere al cento per cento dalla nostra parte, cosa vuoi fare? Stare dalla nostra parte o dalla loro? – Domanda Eric arrabbiato. – Scegli adesso, non avrai più occasioni di cambiare idea, o sei dentro o sei fuori. – Aggiunge 153, sono felice che sia dalla nostra parte, mi fa piacere sentirlo al mio fianco, sicura in un qualche strano modo. Sharpy ci guarda confusa, in lotta con se stessa, sicurezza o ignoto? Aspetto tesa la sua decisione, se dirà che non ci sta cosa faremo? La imprigioneremo? Si accorgerebbero della sua assenza? Eric mi stringe forte, il contatto con il suo corpo mi fa stare meglio, allevia un po’ l’ansia, qualunque cosa succederà l’affronteremo insieme. – Sì, ci sto. Vi darò una mano, voglio liberarmi di Sil e se lui vuole uscire non sarò di certo io a fermarlo, ma non vi assicuro che uscirò con voi. Silenzio. Rimaniamo tutti nel nostro silenzio, abbiamo ancora un battito. Nessuno se la sente di discutere ancora, possibile che ci sia qualcuno che resti qui per scelta? Decidiamo in tacito accordo di are questo battito a riposarci. Ci corichiamo tutti insieme e chiudiamo gli occhi. Sento Eric accanto a me stringermi forte, mi rannicchio tra le sue braccia. È sempre stato così più grande di me? Gli occhi azzurri tacciono, li sento ormai rassegnati. Eric mi bacia i
capelli e io mi addormento in quel cullare.
17 – L’uscita
– Non così! Devi tirare meglio! Usa bene quella spada! – Le urla rimbombano nell’elmo che protegge la mia testolina. – Ma papà, è più grande di me, non riesco neanche a tenerla in mano. – Protesto, è la prima volta che mi da una spada vera. – Devi imparare, arriverà il giorno nel quale dovrai difenderti! Non vuoi fare la fine della mamma, vero? – Urla arrabbiato. Delle lacrime mute scendono dai miei occhietti, corro contro il bersaglio con tutta la forza che ho e provo a colpirlo ma il peso della spada mi fa cadere a terra. Mio padre mi viene accanto per tirarmi su. – So che adesso ti sembra tutto inutile e crudele ma arriverà un giorno in cui io non ci sarò più e dovrai salvarti da sola, io non potrò fare niente per aiutarti a quel punto. – Ma da cosa? Voglio solo essere una bambina come le altre! – Ma non lo sei. Sei una Speciale! – Dice scuotendomi le spalle. – Ma io non voglio! – Urlo. – Non puoi cambiare quello che sei, puoi solo accettarlo e fare qualcosa per non essere impreparata, ti faranno il lavaggio del cervello, tu dovrai sapere chi sei, è l’unico modo per sopravvivere, sapere chi si è, non perdersi. Accetta chi sei e tutto sarà più facile, devi solo accettare che è il tuo futuro e che lo affronterai, non darti mai per vinta e non lasciarti sottomettere. Pensa ogni sera prima di andare a dormire “io sono Speciale” “io sono la più forte” “loro non mi sottometteranno” fallo e ne uscirai viva. Immagini si confondono nella mia mente, gente che non conosco mi addita e ride, io mi accuccio per terra, le sento avvicinarsi ma quando guardo sono sempre sorridenti e immobili, appena mi giro le sento ridere e avvicinarsi nel buio. Corro tra gli alberi guidata dall’istinto, la voce di mio padre rimbomba
distorta “combatti! Non scappare, lotta! Sei tu la chiave, lotta! Combatti! Non fare la codarda! Ti uccideranno se non combatti! Correre è inutile!” io continuo a correre e a scappare dalle ombre minacciose e dalla voce di mio padre, fino al burrone. La casa è sporca, le sedie sono piene di libri e cianfrusaglie, non si vede più un centimetro del vecchio tavolo seppellito sotto a erbe e fogli abbandonati da tempo, il pavimento è pieno di fogli e libri, è come se ci fosse ancora lei, tutto come l’aveva lasciato. Le pareti una volta piene di ritratti e quadri incombono invece scure e vuote sulla stanza, i segni di dove erano appese le immagini a testimoniare un ato migliore quando mio padre era felice, adesso ha tolto tutti i quadri di mia madre. C’è un unico ritratto su una parete. Ritrae una giovane ragazza con i capelli rossi e ricci che abbraccia una bambina appena nata con i capelli corti rossi e ricci. È identica alla madre che le sorride malinconica. È l’unico quadro sopravvissuto all’ira di mio padre. – Papà cosa fai? – Chiedo camminando piano. Non capisco, perché c’è un liquido rosso sul pavimento? Mi avvicino piano attenta a ogni o. – Papà? Perché non risponde? – Stai bene? Perché è per terra? – Papà! – Tesoro. Che ci fai qui? Dovevi essere con gli altri. – Sussurra. – Sono tornata presto, cosa succede papà? Perché gli esce un liquido rosso dal polso? Perché piange? Perché è bianco? – Papà cosa succede? – Urlo. – Sei identica a tua madre. Mi manca tanto. – Chiude gli occhi.
– Papà, cosa stai dicendo? – Lei vedeva sempre il lato positivo. Lei avrebbe visto il lato positivo. – Sussurra in un ultimo rantolo. Degli uomini lo portano via, dicono che sono arrivati in tempo, lui si salverà.
Mi sveglio di scatto, le braccia di Eric mi stringono più forti. – Era solo un sogno. – Sussurra. – Lo so. Mi scende una lacrima e mi accoccolo a Eric, non c’è più nessuno e mio padre ha tentato il suicidio. Ho visto i miei genitori morire, li ho visti abbandonarmi. – Che ora è? – Chiedo cercando di trattenere le lacrime. – Non tardi, il quinto battito è ato da poco se ne sono andati tutti, ma ho preferito lasciarti dormire ancora un po’. Ci alziamo e lui mi porge i suoi occhiali, li prendo e andiamo verso casa del Capitano. – Cosa hai sognato? – Sento la sua preoccupazione. – Mio padre, che mi diceva che sono una Speciale e che non posso farci niente. – Dico con voce soffocata, non dico altro, non dico del quadro né delle pozze di sangue o delle voci ed Eric non chiede niente, cammina in silenzio accanto a me, apprezzo che rispetti il mio silenzio, ma vorrei che mi distraesse con qualcosa, il silenzio rimbomba invece muto nella mia testa facendo eco alle voci dell’incubo. Appena arriviamo nella Casa vado nello studio a cercare la pietra per farla vedere a Eric, scavo nei cassetti pieni di cianfrusaglie che usava anche mia madre come strane penne e inchiostri, la trovo sotto ad uno strano libriccino nero con in bianco il disegno del cavallo e del leone. Ci andiamo a sedere sul letto e poi tocco lo stemma nero.
– Wow. È questo posto? – Esclama Eric meravigliato. – Sì, tutto con tutte le persone che ci sono. – È immenso. Come faremo a scappare? – Chiede scoraggiato. – Con questa e gli occhiali del Capitano. So che non dovrei ma lo trovo meraviglioso, chiunque l’abbia progettato è un genio, chissà se sarebbe d’accordo con l’uso che ne stanno facendo… non credo che sia stato progettato come prigione, non so ma c’è qualcosa che mi dice che questo posto è molto di più, che c’è qualcosa che non sappiamo… secondo te dove siamo? – Chiedo meravigliata. – Non lo so… per me è l’unico mondo conosciuto, non è mai esistito altro, solo queste pareti bianche, non pensavo neanche che fosse tanto grande. – Io so che c’è un altro posto, ci sono stata, ci sono fiori piante e animali, è stupendo! C’è la libertà, puoi essere chi vuoi, puoi uscire alla luce del sole e correre nei prati… Che questo sia l’inferno? – Chiedo spaventata ricordando le parole di mio padre “se non combatti morirai”, se non avessi combattuto abbastanza? Se fossi morta e finita qua? – No, tu non puoi essere all’inferno così come non lo può essere Jany o Cell o Myhara… certo ci sono persone come mio padre e Luke, prima di Jany si intende, che se lo meritano ma sono certo che questo posto è molto di più e che noi siamo vivi – Dice giocherellando con i miei capelli. – Sai cos’è l’inferno? – Chiedo stupita. – Lo usano per spaventare i bambini, dicono a tutti che c’è un Inferno e che se non facciamo quello che gli Occhi Bianchi dicono finiremo là e verremo bruciati vivi o torturati in vari modi. Com’è il vostro? – Chiede curioso. – È l’Inferno di vecchie religioni, ne ho letto in dei libri credo, dicono che se ti comporti male finisci all’Inferno dove hai dannazione eterna, ma è molto più complicato di così, c’è tutto un mondo dietro. – Allora tu non te lo meriti di certo. – Dice sorridendomi e baciandomi la fronte. – Non sono sicura di non meritarmelo, ho solo due ricordi e in uno lasciavo
morire mia madre e nell’altro brandivo una spada. – Dico sprofondando nel suo petto, ha un profumo buonissimo, non lo so definire, lo sento penetrarmi nelle narici e arrivare al cervello, potrei riconoscerlo dovunque, è quel profumo che precede sempre la sua entrata in una stanza. Ma non lo so definire, non so dargli un nome, una descrizione, non so neanche dire se mi piaccia o mi dia fastidio. – Sei sempre stata destinata a essere una Speciale, non potevi fare nulla per salvarli. – Dice accarezzandomi i capelli. – Sarà. – Sussurro traando il suo corpo con lo sguardo. Ci mettiamo a guardare l’ologramma in silenzio alla ricerca di un qualcosa che ci possa indicare un’uscita, ma io non lo guardo davvero, guardo oltre, pensando a mio padre, mi disse di combattere e non di scappare, io sto facendo l’opposto, io sto cercando di scappare, io sto cercando un’uscita. Ma certo! Un’uscita! – Guarda! – Esclamo eccitata! – Cosa? – Chiede confuso. – Il Capitano! – Come ho fatto a non accorgermene prima! – Era così ovvio! – Cosa? – Chiede Eric confuso cercando qualcosa nella mappa. – Non c’è! – Esclamo, adesso è tutto così chiaro. – Come lo sai? – Chiede guardandomi preoccupato dal mio cambio repentino d’umore. – Il suo era l’unico puntino viola, guarda uno sono io e l’altro non c’è! – Dico. – Quindi? – Deve essere fuori… chiama qualcuno, devono venire a darci una mano, troveremo l’entrata/uscita guardando da dove lui appare! – Fatto! – Esclama dopo un attimo di concentrazione. Dopo pochi minuti entrano Jany, Luke e 153, prendo un paio di occhiali, mezz’ora al settimo battito, perfetto.
– Ragazzi venite tutti qui sul letto. – Dico non appena li vedo. – Wow! – Esclama Jany. – Penso che non ci sia definizione migliore. – Sussurra Luke a bocca aperta. 153 non parla, mi fissa con una scintilla che sembra quasi orgoglio e si siede accanto a me. – Cos’è? – Chiede sottovoce guardandomi con la coda dell’occhio e squadrando Eric dalla testa ai piedi, quasi con fare… protettivo? – Questo. – Dico tentando di riprendermi. – È un ologramma del Ramo 51. Dobbiamo cercare un puntino viola, potrebbe apparire da qualunque parte, quando appare dovete sparire perché arriverà il Capitano. Questa potrebbe essere l’unica speranza di trovare l’uscita, dobbiamo concentrarci come mai prima, la fuga dipende da questo momento, dobbiamo trovare quell’uscita! – Dico cercando di trasmettere più motivazione possibile. Annuiscono determinati e ci mettiamo a fissare ognuno un punto diverso della mappa in silenzio. ano i minuti e non succede niente… siamo sempre qua a fissare tanti puntini che si muovono, la testa inizia a girarmi ma non smetto di fissare la mappa neanche se sento gli occhi bruciare e iniziare a confondere i pallini, nessuno è viola a parte il mio, che poi a guardarlo bene non è proprio viola, è un violetto azzurrino, posso essere scambiata facilmente per un pallino azzurro… bene, almeno non mi distinguerò molto nella folla! – Eccolo! – Esclama 153, è qua davanti? Come ha fatto? – Chiede preoccupato. – Ragazzi dovete sparire! Ora! – Sussurro agitata. Sento la porta dello studio aprirsi, apro la porta che da sul corridoio dei quadri e li faccio entrare nascondendo la pietra nella mia tasca, Eric sta accanto alla porta fermo come una statua a guardarmi. Entra il Capitano. – Ciao! Com’è andata oggi? – Chiedo con sguardo annoiato. – Male come sempre ormai… fuori stanno cercando di distruggerci e credo che abbiano trovato la nostra posizione, comunque non sanno come distruggerci. –
Racconta con voce stanca. – E questo è ancora a nostro vantaggio, poi non sanno che noi stiamo addestrando soldati. Scusa amore, te ne parlo dopo ho bisogno di una doccia. – Dice con sguardo cupo, mi bacia la fronte e io trattengo il fiato e tendo i muscoli. Va in bagno. Tiro un sospiro di sollievo, apro la porta a tre meravigliati Occhi Bianchi che escono dalla Casa senza dire una parola ma con uno sguardo che mi da la forza di continuare, quella gioia mista a stupore, la farò provare a tutti. 18 non si muove ed io rimetto a posto la pietra. Sospiro, abbraccio Eric che mi guarda con disappunto, lo so che con il Capitano nella porta accanto si sente a disagio ma ho bisogno del suo corpo a contatto con il mio. Arriva 53 con le pillole: – Ciao, oggi ti sei persa una grande riunione. Non devi più prendere le pillole bianche, devi portarle a me okay? – Sussurro, lei annuisce. – Cos’hai fatto oggi per il Capitano? – Le chiedo preoccupata. – Niente. – Mi guarda con aria interrogativa. – Ho fatto il mio solito lavoro. Ecco a cosa servono le pillole! Cancellano i ricordi delle cose che gli Occhi Bianchi hanno fatto per il Capitano. Prendo le mie pillole, quella viola, quella azzurra e quella bianca me la metto in tasca con l’altra. – Io vado, può badare a se stessa fino a quando il Capitano è in bagno, no? – Dice 18 ad alta voce e in tono formale. – Certo. Vada pure. – Ribatte la Speciale cordiale. Questo gioco mi sta stufando. Voglio essere sempre me stessa con lui, non vedo l’ora di essere fuori, ma chissà perché c’è qualcosa che mi spaventa, ho paura che qualcosa tra me e lui possa cambiare, che le cose diventino più strane o che non so, se si stufasse di me e smettesse di proteggermi… quelle cose che ha detto sull’amore… perché credo che l’amore sia qualcosa di diverso? Non so cosa ci sia, quello che provo per Eric è esattamente quello che ha detto lui, sento che è il punto attorno al quale gira il mondo, ma sento che l’amore dovrebbe essere altro… o semplicemente ho paura che cambieranno troppe cose e noi non potremo stare più insieme. Mi metto il pigiama, nascondo le pillole e mi metto sotto le coperte, mi addormento subito in modo da non dover affrontare il Capitano ma prima sussurro le parole di mio padre. “io sono una Speciale”
“io sono la più forte” “loro non mi sottometteranno” Farò di tutto per non ripetere mai più la prima sera.
18 – Biblioteca
Il Capitano esce dal bagno che sono ancora sveglia. – Ti va se ti mostro una cosa? – Chiede, io resto immobile. – Sono sicuro che ti piacerà, non ti preoccupare, non ti sfiorerò con un dito, però voglio dirti delle cose… su di te, su dove siamo e cosa sta succedendo. Mi giro e lo guardo sospettosa, ma la curiosità ha la meglio quindi mi alzo e mi dirigo verso il bagno per riprendermi un attimo. Mi sciacquo la faccia con un po’ d’acqua, la paura mi scorre nelle vene, ho paura di restare sola con lui, ma devo farlo, per tutti. Devo ricambiare il favore a Eric, e poi lui non gli permetterà più di farmi del male. Esco dal bagno con un’espressione quasi felice. – Pronta! – dico sorridendo. – Vieni ti mostro una cosa. – Esclama entusiasta. Mi prende la mano e mi guida dolcemente verso il corridoio dei quadri, mi porta fino alla porta in legno di rovere che c’è in fondo ad esso, spinge la spessa maniglia d’ottone e la apre. Il fiato mi si blocca in gola alla vista di ciò che ho davanti. Lascio la mano del Capitano e cammino in avanti, il tappeto soffice accoglie i miei piedi nudi. Cammino fino al centro del tappeto. Mi trovo in un’enorme stanza circolare, addossati alle pareti ci sono scaffali che arrivano fino al soffitto che è più alto rispetto agli altri di almeno due piani. Scaffali pieni di libri circondano la stanza, ci sono due scale, che arrivano fino al soffitto per permettere di raggiungere i ripiani più alti, appoggiate alle librerie pronte per essere salite, in attesa di adempiere al loro scopo ormai arrugginite e ammaccate. – Più in alto si va più i libri sono vecchi. – Dice con la voce persa. Non ho parole, sento la magia aleggiare nell’aria, la sento tutto attorno a me.
Secoli e millenni di magia volteggiarmi attorno in un turbinio di emozioni antiche. – Ci sono libri dagli albori dell’umanità fino alla Grande Guerra, tutta la storia, i sogni, le speranze e le delusioni dell’umanità in una stanza. – Sì, in una stanza sotto terra chiuse al mondo dove nessuno li può leggere, sfogliare o anche solo ammirare, li posso sentire bramare di essere letti. Sento le storie di vite, il destino di miliardi di persone in una stanza. Sento l’elettricità emanata dai libri arrivare fino a me, la sento ridarmi vita, vogliono essere letti, vogliono che le loro storie vengano raccontate. Al centro della sala c’è un pianoforte e nessun posto sul quale io possa sedermi, ma non mi interessa. Inizio a toccare i libri, le rilegature in pelle e la carta ruvida mi solleticano la mano, mentre l’energia delle loro storie mi entra dentro. Riesco a sentire la foga degli scrittori, riesco a sentire il rumore delle penne sulla carta ruvida, lo scorrere dell’inchiostro sulle pagine bianche per riempirle di pensieri, emozioni e vita. Riesco a percepire le anime immortali degli scrittori, fuochi rubati dai libri, anime imprigionate nell’inchiostro, cuori rapiti dalle pagine bianche. Riesco a sentire la frustrazione nel non riuscire a descrivere alla perfezione un colore o uno stato d’animo, la rabbia del non trovare le parole, l’odio del vuoto. La paura del restare senza parole, senza niente da dire; la paura di essere dimenticati, di are inosservati dal mondo. Ombre invisibili di scrittori che lottano contro l’oblio. Riesco a sentire la mente perdersi tra miliardi d’idee e di pazzie, di follie e paranoie insensate che si rincorrono nella mente dello scrittore; idee insane prendere forma sulla carta per essere liberate e poter volare, che inseguono la razionalità dell’essere. Anime sicure, forti, che sanno quello che vogliono e vedono le cose come sono, senza vaneggiamenti e fantasie ipnotiche, ma cercandole per fuggire dalla realtà, la ricerca dell’impossibile per spiegare il possibile, il tutto per spiegare il nulla, la fantasia per spiegare la realtà dalla quale si vuole fuggire. Riesco a sentire l’anima di ogni libro, ione impressa dallo scrittore, parte del narratore stesso, che vive e pulsa all’interno del libro in attesa di essere letta e vissuta. Non mi accorgo neanche di star salendo le scale, salgo in trance, in cerca di qualcosa, non so di cosa, ma il solo pensiero mi fa salire i gradini con più foga. Guardo i libri in cerca, desiderando quel libro che cambierà tutto, me lo sento. Ci sono libri che non oso toccare tanto sono vecchi, copie dell’Odissea e dell’Iliade affiancano l’Eneide, chissà chi li ha messi vicini… una copia dei Veda è affiancata dal Corano, dalla Bibbia, del Libro delle Ombre e da altri testi religiosi come il Sutra del Loto. Sotto ai testi
sacri ci sono opere greche di filosofi e poeti come Archimede, Saffo e Talete. Decido di scendere, non sono stati messi in ordine cronologico con molta attenzione e probabilmente con il are del tempo gli anni hanno perso valore, ma sento che quello che cerco è più recente. Scendendo vedo libri di Verne, Shakespeare e tantissimi scrittori di cui non ho mai sentito il nome, varie volte incontro la Divina Commedia di Dante, perché di alcuni libri c’è più di una copia? Continuo a scendere e lo trovo, anzi, li trovo. Ci sono tutti, prendo quello che cercavo e torno giù talmente in fretta che rischio di sfracellarmi a terra. Da quanto il Capitano sta suonando? È la stessa melodia che canticchiava a casa mia quando ero piccola, questa melodia mi da ancora un senso di rabbia, da piccola la sognavo quando sognavo la morte di mia madre… non ci sono sedie o divani ma ci sono dei cuscinetti e il tappeto è molto morbido quindi mi accuccio per terra e poggio il libro davanti a me. Non lo apro, assaporo l’odore di carta e d’inchiostro che emana. L’odore di mia madre. La nostalgia mi assale il ventre insieme al ricordo di mia madre. Ero piccola, non sapevo ancora leggere, mi prendeva in braccio dicendomi che mi avrebbe portata in un mondo magico, che l’unica cosa che dovevo fare per raggiungerlo era chiudere gli occhi e liberare la mente. Io chiudevo gli occhi trepidante, sentivo il suo corpo caldo avvicinarsi e sedersi sulla poltrona. Il caminetto ci scaldava i piedi mentre lei metteva una pesante coperta di lana sui nostri corpi vicini. E poi iniziava a leggere “le favole di Beda il Bardo” ed io lo sognavo, sognavo quel mondo incantato di cui mi parlava, sognavo di volare e di incontrare tutte le creature magiche di cui narravano le favole. Anche quel giorno le stava leggendo quando arrivò. Non ricordo tanto il resto, solo la voce del Capitano che canticchiava la melodia che sta suonando adesso. – Perché non lo leggi? – Chiede il Capitano. Non so cosa rispondergli, non voglio rispondergli. È colpa sua se mi trovo in questo posto, è colpa sua se mia madre è morta. – Cosa c’è? Come faccio a fingere di amare l’uomo che ha distrutto la mia famiglia? – Amore cos’hai? – Chiede preoccupato. Il piano smette di suonare, sento il suono dei suoi i ovattato dal tappeto
avvicinarsi. Mi sento una bambina piccola, accoccolata per terra con il libro stretto tra le braccia. – Vuoi chiedermi qualcosa, lo sai che adesso devo essere sincero, ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Non voglio parlare della mia famiglia, non voglio parlare di me, non voglio cedere alle lacrime. – Come faccio a sapere i nomi dei libri e degli scrittori? – Chiedo. Il Capitano resta zitto un attimo, non si aspettava questa domanda. – Immagino tu abbia sentito della rivolta e della gente che è uscita? – Annuisco. – Bene. Adesso non m’inoltrerò nei dettagli, non serve a rispondere alla domanda, ci dilungheremmo in faccende che adesso non ci interessano. Dicevo, non fuggirono da questo ramo ma dal Ramo 1, il più importante. In quel ramo c’era un Capitano al quale non interessava la cultura, ma al fratello sì. Sapeva che non sarebbe diventato Capitano quindi fece una cosa che ancora oggi giudichiamo impossibile, nessuno sa come ha fatto. Radunò dei seguaci, non c’era il controllo che c’è adesso, erano tutti fratelli e amici, ma lui sapeva che il fratello non lo avrebbe mai fatto tornare in biblioteca, era stregato dai libri. Fuggirono, nessuno oppose troppa resistenza, il padre e il fratello dissero che se volevano andare a morire potevano fare. Si accorsero che i libri erano spariti solo dopo che se n’erano già andati tutti, non si sa come abbia fatto, fu una fuga di massa, donne uomini e bambini, da tutti i rami. Nessuno sa come ha fatto a spargere la voce e a mettere tutti d’accordo, nessuno sa come abbia fatto a convincere tutta quella gente, immagino che la curiosità sia sempre pronta a tentare l’essere umano e che uscire sia stata una tentazione troppo forte, l’idea di un mondo nuovo, dell’avventura, militari chiusi qui dentro da troppo tempo a girarsi i pollici e a parlare sempre con le stesse persone. Non ho parole, ho solo un po’ di speranza in più, se una fuga di quel genere ha avuto successo possiamo farcela anche noi. – Ma poi come hanno fatto a copiarli tanto da renderli pubblici, a sopravvivere, insomma… – Non si sa. Noi siamo rimasti chiusi per secoli, non sappiamo cosa hanno fatto nel frattempo, hanno creato una società, come non si sa.
– Ma non capisco, insomma fratelli e amici? Non prendevano le pillole o altro? – No, regnava la pace. Ogni stanza era una casa con tanto di letto, le pillole le si prendevano solo per il cibo o se si stava male, era tutto bianco certo ma le persone no. avano il tempo libero ad addestrarsi, discendiamo da militari dopotutto, combattere è sempre stato il fondamento di tutto. E poi c’erano le serate ate tutti insieme… almeno così si racconta, si sono perse le memorie di quel tempo… Ma non era questa domanda che volevi pormi? Cosa vuoi chiedermi, lo vedo che c’è qualcosa che ti turba. È vero, ma non voglio parlarne, non voglio mostrarmi debole davanti a lui. O forse è quello che devo fare? Se mi mostro debole mi vedrà meno come una minaccia, se piango e mi mostro rassegnata penserà che ho accettato la mia situazione. – Mia madre. Faccio fatica a finire la frase. – Mio padre… insomma sono morti. Lo so. Ma… come? – Sei sicura di volerlo sapere? – Chiede. Annuisco. – Tua madre si è gettata in mare, da una rupe. Potevano salvarla ma non la trovarono in tempo. Tuo padre non si sa, è sparito e basta immagino, era tua madre che interessava a mio fratello ed io seppi solo che tu crebbi con amici di famiglia. Non ci immischiamo negli affari di quelli di sopra. – Perché hai fatto tutta quella sceneggiata nel tuo studio, la prima volta? – Chiedo indignata. – Volevo che ti fidassi di me, se ti avessi detto la verità ti saresti fidata? La risposta è facile, no. Non mi sarei fidata, ma non mi sono fidata comunque. – Sai io non sono il mostro crudele che ti sei figurata. – Dice avvicinandosi di qualche o.
Lo guardo trattenendomi dal ridergli in faccia. – Davvero. Conoscendomi capirai che è la verità. – Si avvicina un po’ di più. – Io non voglio conoscerti, tu mi hai drogata! – Urlo alzandomi in piedi con il libro stretto tra le braccia. – Io non avevo scelta! – Grida provando ad avvicinarsi ancora. – Stammi lontano – continuo a urlare. – Avevi molte altre scelte! – Tu non sai cosa significa vivere qui! – Urla tentando di trattenersi affondando le unghie nei palmi delle mani. – Non lo so? Chi qua dentro è stata torturata e umiliata? – Ribatto ancora più indignata. – Ci sono altri tipi di tortura! – I suoi occhi scintillano scuri. – Sarebbero? Adesso non provare a fare la vittima, sono io quella che è stata quasi uccisa e violentata! – Tu non capisci! Se salisse al potere mio fratello come pensi che andrebbero le cose? E non posso neanche cacciarlo perché ha più sostenitori di me! Dobbiamo avere un erede o verrò spodestato! – Afferma con durezza. – Non si tratta solo di te! – Sbuffo irritata. – No infatti, non dico che ho fatto bene, sto solo cercando di spiegarti! – Tenta di giustificarsi. – Tu non puoi spiegare niente, mi fai schifo! Non m’interessano le tue ragioni, io non sono un oggetto, non puoi usarmi così! – Ribatto sul filo dell’isteria. Si avvicina – Dai, non fare così. – Dice provando a toccarmi con dolcezza. – Non Mi Toccare! – Gli urlo indietreggiando. – Vattene. Lasciami sola. – Sophie… ti prego – Sussurra.
– VATTENE! – Gli lancio il libro, lui corre verso la porta ed esce sbattendola. Le lacrime iniziano a cadere dai miei occhi stanchi, Sophie, mi chiamo Sophie. Le gambe mi cedono e cado a terra, guardo il libro e striscio verso di lui. Lo prendo, è aperto. Lo leggo mentre le lacrime continuano a scendermi sempre più numerose, inizio a singhiozzare e ad urlare sempre più forte, è un urlo di rabbia, un urlo mirato a distruggere il Capitano, lui non avrà il mio perdono, io non mi sottometterò a lui, né a nessun altro per nulla al mondo. Io sono Speciale.
– Questa è la copia di Pozioni Avanzate che hai comprato al Ghirigoro? – Sì. – confermò Harry. – E allora perché – Chiese Piton, – nella prima pagina c’è scritto il nome “Roonil Wazlib” Il cuore di Harry perse un colpo. – È il mio soprannome. – Disse. – Il tuo soprannome. – Ripeté Piton. – Sì… è così che mi chiamano gli amici. – Lo so che cos’è un soprannome. – Ribatté Piton. I freddi occhi neri penetrarono ancora una volta i suoi; Harry cercò di non fissarli. Chiudi la mente… chiudi la mente… (HP e il Principe Mezzosangue, pag 480)
“io sono una Speciale” “io sono la più forte” “loro non mi sottometteranno” “Chiudi la mente”
Devo solo chiudere la mia mente ripeto a me stessa mentre il sonno prende il sopravvento sulle lacrime e cado addormentata.
19 – Leggere
Il vento soffia crudele tra i miei capelli, ma mi piace. Mi piace sentirlo sbattere contro il mio corpo, sembra quasi che mi stia spingendo avanti, quasi come se facendo quel o io possa spiccare il volo ed essere finalmente libera, libera di volare. Me lo immagino, essere davvero libera, poter camminare e correre e volare. La pioggia batte forte sulla mia testa e su tutto il corpo, tuoni e fulmini spaccano il cielo. Questa è la libertà, essere qua, sull’orlo della fine con il vento tra i capelli e la pioggia sulle palpebre, quasi come fossero lacrime. Avevo pensato tante volte cosa le era ato per la testa, ma la verità è che non pensi a nulla, pensi solo a essere libera, pensi solo che se fi quel piccolo o avanti potresti volare, forse solo per un istante, ma un istante basta a essere liberi, basta per essere vivi. – Mia non puoi scappare. – Urla una voce roca. – Che ne sai tu? Non sei tu quello destinato a sposare il Capitano! Vattene, non ti voglio più vedere! – Vieni, ti supplico, abbracciami, non vedi che sono fradicia? Muovi quelle inutili gambe e abbracciami. – Sophie non sai quello che stai facendo, non ti succederà niente, verremo a salvarti! – Come avete salvato la mamma! – Urlo. – Come mio padre ha salvato me? Dov’è lui adesso? Mi ha abbandonato solo perché non sapevo combattere! – Urlo, ti prego non abbandonarmi anche te, vieni! – No, non capisci, l’ha fatto perché ti amava, ha fatto tutto perché ti amava. Guardati, sei la migliore combattente con le lame di tutto il regno! – Le parole arrivano ovattate dalla pioggia. – Non di certo grazie a lui o grazie a te! Ho fatto tutto da sola. – Non sarei mai riuscita senza di te, grazie. Ma è troppo tardi. – Ma non puoi farlo, sei l’unica che può distruggere il Sotterraneo. Vendica il tuo nome!
– Non voglio vendicare uno stupido nome! Voglio solo essere normale! – Perché nessuno mi capisce? – Ma non lo sei, tu sei una… – Non dirlo! Non lo sono! Si sbagliano tutti. – urlo, un tuono mi chiama rimbombando nell’aria. Faccio un o verso il burrone, la pioggia batte forte sul mio corpo, ho un vestitino leggero tutto zuppo, il vento mi aiuta a fare quell’ultimo o. Prendimi. – NO! Sophie, ti prego. Ti amo non puoi abbandonarmi, scapperemo ma non fare questo. Faccio un altro o. Ti amo anche io. – Sophie ti prego. – Urla disperato. Solo più un o e mi abbandono al vento, i tuoni echeggiano ma non abbastanza da coprire l’urlo straziante che lacera l’aria e mi trafigge il cervello. Sto volando.
Mi sveglio urlando, mi riaccuccio sotto le coperte, perché sono coperta? Sono nel letto. Come ha osato toccarmi? Mi alzo di colpo ancora con le lacrime agli occhi e sbatto la porta del bagno più forte che riesco. Come ha osato! Mi butto sotto la doccia ancora vestita, sento la pioggia cadermi sulle spalle, la brezza fresca del mare, il rumore delle onde. Sarebbe stato così bello diventare una cosa sola con il mare, una cosa sola con mia madre. Lei aveva preso la mia stessa decisione nello stesso posto e per lo stesso motivo, non poteva essere contraria. Lui non capisce, ho bisogno di volare. Lui non può capire cosa vuol dire, io non posso scappare, mi troverebbero. Lui non sa cosa si prova a sapere di essere condannati. Anch’io lo amo, ma lui non capisce. Devo andare. Le gambe mi cedono e cado per terra piangendo. Come ho fatto a sopravvivere? Perché non mi ha presa? No! Non è stata colpa sua, è stata del Capitano. È colpa di questo posto se sono finita così, e io li farò finire così. Farò uscire più gente
possibile, farò in modo che tutti sappiano che ce ne siamo andati e schiaccerò ogni Occhi Bianchi si metta sulla mia strada. Esco dalla doccia a testa alta e mi tolgo i vestiti bagnati, me ne metto di asciutti e prendo il coltello, lego i capelli ancora fradici ed esco dal bagno, o dalla camera con o spedito senza dire niente al Capitano e aspetto Eric davanti alla porta fuori dallo studio. Arriva appena scatta il battito, mi guarda perplesso. – Andiamocene da qua. – Dico senza aspettare che dica qualcosa. Camminiamo in silenzio fino al centro di addestramento, vuole chiedermi cosa è successo ma mi vuole anche lasciare il mio spazio, ha capito che non voglio parlarne. E, infatti, non voglio. Arriviamo al centro e non lo saluto neanche, non saluto nemmeno 153, vado diretta alle spade e mi metto a tirare di scherma con più rabbia che posso, penso al Capitano e distruggo tutto, mi guardano tutti intimoriti mentre urlo a ogni colpo con più foga del solito, 153 mi guarda preoccupato ma non dice niente. Distruggo tutti i manichini, non prova neanche a sfidarmi. Com’è potuto succedere? Come ho fatto a salvarmi? Perché non ricordo niente dopo quella notte? Ho ricordi vaghi della mia vita ormai ma non di dopo quella notte. È come se la mia vita fosse davvero finita in quel momento, ho un blocco mentale che non riesco a superare. Che siano venuti a recuperarmi in mare… ma come facevano a sapere cosa fosse successo? Hanno contatti con Sopra? A ogni domanda distruggo qualcosa, lascio che la rabbia di tutti questi giorni si scarichi sui manichini prima che possa davvero ferire qualcuno. Alla fine del tempo butto a terra la spada e me ne vado senza dire una parola. Un ragazzo mi a accanto e mi sussurra all’orecchio: – Io sono con te bellezza. – Meglio per te. – Ribatto dura. Continuo camminando con lo sguardo dritto verso la porta, senza voltarmi a guardare chi mi ha parlato, me ne devo andare di qui il prima possibile. 18 mi sta già aspettando, sono tutta sudata, devo aver faticato talmente tanto da aver contrastato l’effetto delle pillole, e i capelli sono un disastro, le lacrime si sono seccate sulla mia pelle e altre minacciano di uscire.
– Andiamo alle prigioni, voglio vederne altre. Dammi gli occhiali. – Dico dura. – Mia… – M’implora Eric. – Dammeli e basta! – Ho bisogno di mantenermi attiva. Me li a rassegnato, cerco di pensare alle prigioni comuni, mi hanno detto che tutti stanno vicini quindi provo a immaginare quello; tanta gente che sta vicina sotto la pioggia, no. Non c’è la pioggia, sono all’asciutto, vicino a un burrone e stanno per buttarsi. Concentrazione! Acqua, burrone, è la cosa migliore. Basta! Butto gli occhiali a Eric. – Fa tu. – Dico seccata cercando di non far trasparire troppo. Camminiamo in silenzio, ripenso al sogno, quella voce doveva essere degli occhi azzurri. Non li ho visti, ho visto solo il burrone, davo le spalle a chi mi parlava. Diceva di amarmi, allora perché non mi ha impedito di buttarmi? E poi perché sono ancora viva? Devono avermi recuperata in mare. Non si può più nemmeno morire in pace. Arriviamo alle prigioni, Eric si nasconde in una stanza buia lì vicino, mi metto gli occhiali ed entro, il resto resta fuori, io sono la Speciale. – Sono Mia, credo tutti lo sappiate. Sono qui per dirvi che sono con voi, avete domande per me? Una ventina di persone si avvicina a me curiosa, non sono né incatenate né imprigionate in campi di forza, possono muoversi liberamente in uno spazio bianco al cui centro c’è un tavolino e dei divanetti. – È tutto vero? – Mi chiede una ragazza speranzosa. – Cosa? – Chiedo. – Ci farai uscire? – Chiede sussurrando. Sorrido e annuisco, entra un Occhi Bianchi e mi viene incontro minaccioso, noto che dei ragazzi mi stanno guardando male. – Sono qui per conto del Capitano, devo controllare le prigioni. – Ho un bel tono autoritario, fisso negli occhi quelli che mi guardano male finché non abbassano lo sguardo.
– Non è autorizzata a stare qui. – Dice lui con quella piccola indecisione del novellino… – E chi lo decide? Sono qui per conto del Capitano. Devo controllare che tutto sia in regola mentre lui sbriga lavori più importanti. – Affermo spazientita. – Davvero? – Chiede perplesso, è un novellino. – Già, davvero. E il Capitano resterà molto deluso da lei signor…? – 11. – Risponde titubante. – 11, dicevo resterà molto deluso dal fatto che la mia autorità non sia stata accettata subito… – Io… io non intendevo… volevo solo sapere… – Adoro il balbettio. – Beh, ora lo sa, deduco che lei non è qui da molto vero? – Dico sorridendo sardonica. – No, signora. – Sussurra. – Bene, allora chiuderò un occhio, non lo dirò a nessuno e se lei è furbo farà altrettanto, mi aspetto che alla prossima ispezione sarà più disponibile… può andare. – Certo signora. – Dice facendo un piccolo inchino e uscendo a testa bassa. Scoppio a ridere non appena si chiude la porta. – Ma sono tutti così? – Chiedo. – La maggior parte, siamo considerati non pericolosi e quindi ci mandano le schiappe. – Dice un ragazzino di quattordici anni. – Già. – Ribatte una signora anziana. – Prenderli in giro è un gioco da ragazzi, sono novellini che hanno paura di essere puniti, gioca su questo e otterrai tutto quello che vuoi. – Allora perché non scappate? – Chiedo perplessa.
– Tesoro se siamo qui ci sarà un motivo! Noi siamo quelli che non danno problemi, il massimo che facciamo è organizzare giochi e saltare giornate di lavoro o fare incontri clandestini… niente di più, ci basta a sentirci liberi. – Non volete uscire? – Chiedo confusa. – Certo che vogliamo, vogliamo rivedere il sole ovvio, solo che non ci va di ribellarci, chiamaci pure codardi ma noi preferiamo restare nell’ombra e non rischiare… ci è bastata una tortura… – Annuisco. – Comunque se vorrete uscire dovete solo aspettare, non costringerò nessuno ma darò a tutti la possibilità di andarsene. Annuiscono e mi guardano calmi, tuttavia intravedo una scintilla di eccitazione nei loro occhi. Esco con calma e vado verso la stanza buia. Abbraccio Eric per scusarmi del mio comportamento, adesso che mi sono calmata mi rendo conto del rischio che abbiamo corso, e torniamo a casa. – Ti va di vedere una cosa? – chiedo appena entrata, mi è venuta un’idea per fargli conoscere il mondo vero. – Certo, il Capitano arriverà tra un battito… – Vieni. Lo prendo per mano e lo accompagno nel corridoio, appena entra si blocca subito a guardare i quadri. – Questo è… – …il mondo vero. Sì. – È bellissimo. – Lo so. E questo non è niente, vieni seguimi. Lo guido fino alla biblioteca. – Pronto?
Annuisce. Apro la porta e lo guido dentro. – Cosa sono? – Chiede con la bocca e gli occhi spalancati. – Libri. – Libri. – Dice meravigliato. – A cosa servono? – A leggere, a sognare. Vieni t’insegno. Cammino, Harry Potter e il principe mezzosangue è ancora per terra dove mi sono addormentata. Salgo sulla scala da dove l’avevo preso e ne prendo un altro della stessa saga, quello che mi leggeva sempre mia madre e torno da lui. – Vieni t’insegno. Io leggo, tu guarda e cerca di capire dove sono, okay? Annuisce. – Il titolo è “le fiabe di Beda il Bardo” vedi? La prima favola che ti racconterò è quella dei tre fratelli… Inizio a leggere e non riesco più a fermarmi, vado avanti ancora e ancora, Eric guarda concentrato le parole e m’interrompe per chiedermi il significato di ogni parola, io gli spiego e durante la spiegazione mi chiede di spiegargli altre cose e alla fine ci perdiamo a parlare di cose che non centrano. – Una sorgente? È una fonte d’acqua, ma non una qualunque, è da dove nasce il fiume, di solito sono vicino alle montagne. – Cos’è un fiume? – È una fonte d’acqua, ci si può lavare e la si può bere, o puoi semplicemente nuotare e giocare. – E una montagna? – Non so, è una cosa enorme, non so come spiegartelo… – Per favore. – Vedrai queste cose, te lo prometto, vedrai delle montagne e anche i fiumi e le
sorgenti e tutto il resto. Te lo prometto. – Sophie, dove sei tesoro? – Una voce arriva dal corridoio. – È il Capitano, presto esci dalla porta e mettiti gli occhiali! – Sussurro frettolosa a Eric. Eric non se lo fa ripetere due volte, si precipita fuori dalla camera e si mette di guardia alla porta, pochi secondi dopo sento il Capitano chiudere la porta del corridoio: – Sono qui! – Dico con voce ferma, il cuore batte così forte… – Vai pure, adesso ci sono io, grazie per la collaborazione, lo apprezzo molto. – Figurati, mi fa piacere darti una mano. – Com’è? Come sta? – Chiede il Capitano talmente a bassa voce che devo appoggiare l’orecchio alla porta. – In che senso? – Sussurra Eric turbato. – Tu ci i le giornate… la trovi cambiata? – Un po’ sì, è turbata negli ultimi giorni ma niente di che, penso sia solo un po’ di stress, comunque non mi parla molto, è abbastanza ostile nei miei confronti… – Per favore, puoi cercare di scoprire qualcosa per me? – Lo farò. Qualsiasi cosa per te. – Grazie, vai pure. Striscio veloce verso l’altro lato della stanza e mi rimetto a leggere. – Come è andata? – Chiedo fingendo che non sia accaduto niente ma lasciando trasparire un po’ dell’ostilità di cui ha parlato Eric. – Male, poi ti racconterò, ma adesso vieni, dobbiamo prendere le pillole.
20 – Guerra
Torna il Capitano, gli chiedo com’è andata, lui dice male, prendiamo le pillole, vado in biblioteca. Incubo. Sotto le coperte. Allenamento. Prigioni. Aspetto notizie da El. Capitano. Com’è andata. Male. Pillole. Biblioteca. Dormire. Incubo. Coperte. Spada. Prigioni. Casa. Come. Male. Allenamento. Dormire. Biblioteca. Incubi. Doccia. Allenamento. Male. Dormire. Va avanti così per giorni, gli incubi sono sempre gli stessi tre, ma non ricordo mai la faccia di mio padre e non vedo mai quello che presumo essere occhi azzurri, l’urlo vive nei miei pensieri. Non ne parlo con Eric, ne parlo con Cell: – Ho sognato di nuovo gli occhi azzurri. – Quelli di cui mi parlavi? – Chiede. – Sì, continuo a sognarlo, ma non riesco a parlarne con Eric. – Perché? Insomma, non sono molto esperta in queste cosa ma… non bisognerebbe essere sinceri? – Chiede curiosa. – Sì, lo so e non gli sto mentendo, sto solo omettendo delle cose… – Cerco di convincere me stessa. – Ma perché? – Chiede scettica. – Non lo so, ho paura che dopo la fuga cambi qualcosa, e se scoprissi di amare più gli occhi azzurri? Che ne sarà di Eric? Io e lui non parliamo quasi più, viviamo aspettando che El ci dia notizie, camminiamo in silenzio mano nella mano, prima che arrivi il Capitano leggo per lui ma devo smettere quando ha una crisi isterica. – Io non vedrò mai quelle cose! – Dice alzandosi in piedi e scaraventando il libro che stava cercando di leggere per terra. – Sì che le vedrai! – Dico raccogliendo il libro e spolverandolo.
– No! È inutile che ci illudiamo, non usciremo mai da qui! E tu lo sai bene, e leggere di tutte quelle cose che non potrò mai vedere non mi aiuta! – E allora cosa ti aiuta? Stare nella tua ignoranza, sapere che non te ne andrai mai da questo posto? – Forse sì è allora? Sono solo realista! – Stai forse dicendo che io non sono realista? – Sto solo dicendo che potresti fare qualcosa per provare a scappare! – Tu, tu mi stai accusando di cosa scusa? – Cosa pensi? Che scapperemo leggendo dei libri! – Forse. E tu? Cosa pensavi? Che sarebbe stato tutto facile, ci va del tempo, El sta organizzando tutto. Lasciagli tempo! – Tempo. Ho vissuto qui abbastanza io. – Cosa stai insinuando? – Non insinuo niente! – Ricordati che senza di me non avresti avuto neanche una possibilità! – L’illusione di una possibilità! – È così che la pensi? – E anche se fosse? – SPARISCI! – Urlo lanciandogli il libro. – Dopo tutto quello che ho fatto per te! VATTENE! Deve aver capito di avermi fatta davvero arrabbiare perché se n’è andato senza aggiungere altro. Da allora parliamo ancora meno, giusto l’essenziale, sentiamo che si è creata una barriera quel giorno, io non ho assolutamente intenzione di fare pace, mi deve chiedere scusa, ha idea di cosa significhi per me essere dove sono ora?
– Magari lui non saprà cosa provi tu a stare dove stai, ma tu non sai cosa significa per lui vivere qui con un padre come 17, cosa significa essere nati senza colori. – Dice Myhara. Non le rispondo. Il Capitano è sempre fuori, ormai ne siamo sicuri, quindi non corriamo il rischio che sappia delle visite alle prigioni, inoltre 17 è deciso a non parlare, ne abbiamo la certezza da quando ho preso Arms dopo che era stato picchiato da 98 e me lo sono portato ad allenarmi con me, da allora ci alleniamo sempre insieme, è stata solo una delle tante gocce che non hanno ancora fatto traboccare il vaso. – Come stai? – Gli chiedo dopo che l’ho portato via da 98. – Bene, grazie. – Dice guardandomi negli occhi. – Per cosa? – Chiedo sorridendogli. – Per quello che fai, tutti dicono che sei la migliore Speciale, e hanno ragione, mi hai salvato da 98. – Cos’è che si dice di me? – Chiedo perplessa. – Dicono che sei la migliore, che fai visita alle prigioni e che ti batti con gli Occhi Bianchi, la gente crede in te. Sperano che tu li porti fuori, o almeno che migliori loro la vita qua dentro. L’uscita deve essere davanti a casa, ho controllato da dove appare il Capitano ed esce sempre da lì. Siamo comunque lontani dalle prigioni e questo è un problema. – Non possiamo uscire tutti! Te l’ho detto! – Non usciremo solo noi due, caso chiuso! – No, non è affatto chiuso, se proprio vuoi continuare questo piano astruso almeno accetta i miei consigli, daremo troppo nell’occhio! – Non m’interessa, non ce la potremo mai fare da soli! – E se qualcuno fe la spia!
– Non possono e lo sai, il Capitano crederà a me! Ha bisogno di me! – Forse ha meno bisogno di quanto tu pensi! – Cosa stai insinuando? – Niente. – Dice spaventato. – Davvero niente. – Ha qualcosa a che fare con quello che ti ha detto fuori dalla biblioteca quella sera? – Ci hai sentiti? – Cosa gli hai detto? – Niente! – Cosa gli hai detto? – Ripeto infuriata. – Te lo giuro, niente, gli ho detto che non mi parli e che sei fragile in questi giorni, quindi di non darti fastidio… – E perché non me ne hai parlato! – Non volevo che ti preoccui! – Urla. – Non volevo turbarti, hai già abbastanza problemi. – Viene ad abbracciarmi ma io mi allontano. – Faremo venire anche gli altri, salveremo tutti quelli che vuoi, mi spiace se ti sono sembrato duro, ma ho solo paura per te, preferirei non avessi a che fare con certa gente… – E chi sarebbe “certa gente”? – Persone come Sharpy, ho paura per te, quella ci potrebbe denunciare da un momento all’altro, non prenderla male, ho solo paura di perdere te… mio padre sospetta già qualcosa… – Perché continua a ripeterlo? Lui non mi perderà, ho bisogno di lui, lui mi deve proteggere. – Io me la so cavare da sola. – Lo so, ti prego, facciamo pace… non voglio più litigare con te, mi spiace per quello che ho detto…
– Anche a me. – Ammetto. – Pace? – Pace.
Non so se quella è stata davvero una riappacificazione, ma a tutti e due piace pensarla così, l’argomento non è più stato riaperto e da allora viviamo in una sorta di pace quasi innaturale, sia per come è stata creata che per il modo nel quale la manteniamo. Entrambi non possiamo fare a meno dell’altro, ma che prezzo siamo disposti a pagare per amore? Chi di noi alla fine cederà? Io ho davvero bisogno di sentire il suo corpo accanto al mio. – Dove siamo? – Chiedo una sera al Capitano sfogliano distrattamente un libro mentre lui suona il piano. – Nel Sotterraneo. – Spiega con la sua voce melliflua continuando a suonare. – È stato creato molti secoli fa in caso di disastro naturale su vasta scala, per salvare più gente possibile. Non si è dovuto aspettare molto per esso, ma non è stata colpa della natura. È scoppiata una guerra, la Terza Guerra Mondiale, o la quarta forse, non ci sono rimaste testimonianze rilevanti di quel periodo. Umani contro umani, tutti contro tutti. È scoppiata per il controllo del petrolio e dell’acqua, almeno così si racconta, negli ultimi documenti risalenti a quel periodo si vede una società corrotta dal denaro e dalla sete di potere, la natura venne sfruttata fino alle ultime gocce della sua linfa vitale, ibridi e mutazioni venivano creati per guadagno a scapito della vera natura. Essa si ritirò e si chiuse in se’ stessa, iniziò a morire di sua volontà, si chiuse all’uomo, non voleva più essere sfruttata, l’acqua venne contaminata e le sostanze usate come carburante iniziarono a esaurirsi, la Terra non dava più frutti. C’erano discariche ovunque e le continue esplosioni dovute alla guerra esplosa per il controllo delle ultime risorse le fecero bruciare vennero rilasciati gas tossici, solo che la natura si era ritirata talmente tanto da favorire le esplosioni, perfino il mare bruciava per le sostanze scaricate al suo interno, una parte della popolazione mondiale si rifugiò nel Sotterraneo, ma erano troppi. Ci fu una rivolta anche qua sotto e della gente fu buttata fuori. Rimasero in pochi, per la maggior parte soldati con le loro famiglie, per questo si è creata una situazione politica così totalitaria. Il Sotterraneo si chiuse all’esterno giusto in tempo, poco prima delle esplosioni
nucleari –smette di suonare, s’interrompe un attimo – furono così forti –riprese– che tremò perfino qua sotto, tutto venne distrutto. Rimase solo un deserto, un infinito deserto. Pensiamo ad una guerra nucleare, il mondo era pieno di centrali e ormai quasi tutti avevano una bomba nucleare, basta che ne sia scoppiata una per innescare una reazione a catena e distruggere il mondo, i gas tossici non hanno di sicuro aiutato, tutto era infiammabile, perfino l’aria che si respirava… ma non si sa con certezza. Ti ho già raccontato della fuga, anche se fu una fuga di notevoli dimensioni c’era comunque gente che aveva paura di uscire, qua sotto erano al sicuro, perché uscire verso l’ignoto poi non c’era la situazione di adesso, dormivano ancora e tutti erano amici, ognuno lavorava per se stesso e per gli altri. – Perché adesso non lasciate che le persone dormano? Insomma… neanche gli Occhi Bianchi… – Adesso ci arrivo, dicevo la popolazione si divise. Per un po’ non si seppe se quelli che erano usciti erano vivi o morti, si pensava che fossero morti, anche se ci fossero state condizioni adatte alla vita non avrebbero comunque saputo cavarsela senza pillole, ma poi, non si sa bene quanto tempo dopo, non possiamo avere tanto la cognizione del tempo, comunque ci fu l’epidemia che rese le donne sterili, nessuna riusciva più a partorire, credo che sia anche un po’ per questo che ora c’è una società tanto maschilista, per quanto non sia stata colpa loro molti le hanno incolpate –smette di nuovo di suonare per un attimo, perso nei suoi pensieri– Eravamo destinati all’estinzione, di nuovo, così alcuni di noi decisero di uscire a vedere se chi era scappato era riuscito a sopravvivere, e fu così, trovarono una cultura fiorente e ricca. Non abbiamo potuto neanche pensare di poterci trasferire su, non abbiamo neanche fatto in tempo a sperare. – Parli come se fossi stato là… – Smette di suonare. – Per molti di noi questa vita non è piacevole, io vivo metà del mio tempo Sopra, pensi sia piacevole tornare in mezzo a tutto questo bianco? Costretto a vivere di pillole fin dalla nascita? Tutti qua dentro sognano un’altra vita, non c’è bisogno di essere stati là per capire cosa devono aver provato. Mi trattengo dall’urlagli in faccia parole di cui non mi pentirei affatto, come osa insinuare che la sua vita sia più difficile della mia o di quella di un qualsiasi Condizionato o Occhi Bianchi? Lui almeno può andare su, può respirare aria vera e può vedere il mondo, a nessuno è permesso questo, è solo un egoista
manipolatore. Tra quelli che uscirono c’era il Capitano di un Ramo, non ricordo quale. – Riprende a suonare. – Comunque sia per dimostrare che erano davvero vivi rapì una donna, voleva portarla giù, non si sa cosa successe durante il viaggio di ritorno, forse si è ribellata o forse no, la leggenda narra che tentò di uccidere il Capitano con tanta furia omicida da spaventare i suoi compagni, ma io non ci credo… dicevo, la donna morì, venne uccisa, si scoprì poi che quella era la regina del mondo di sopra. Loro ci accusarono di averla stuprata e uccisa e noi accusammo loro di aver tentato di uccidere il Capitano. La popolazione decise di vendicare la sua regina e giurarono di distruggere il Sotterraneo e tutti i suoi abitanti, fortunatamente non restavano ricordi del aggio da cui erano usciti, la città era stata fondata lontano dall’uscita e nessuno sapeva più tornarci, e poi noi la nascondemmo meglio, noi però sapevamo loro dov’erano e così iniziammo a rapire le donne per non arrivare all’estinzione, non avevamo già più bambini. Così iniziò la guerra, noi andavamo a rapirle e loro ci tendevano agguati, noi avevamo ancora delle armi e iniziammo ad andare su armati e a combattere, iniziammo a perdere anche degli uomini dovemmo iniziare a rapire anche quelli, ma cerano problemi, loro non avrebbero mai combattuto al nostro fianco, così iniziammo a somministrare la pillola bianca per fargli scordare le loro origini e quella verde in modo che tutti fossero più produttivi, eravamo in pochi e nessuno poteva permettersi pause, poi una cosa tira l’altra, il potere venne sempre più concentrato e si creò la figura del Generale, la pillola bianca divenne obbligatoria per tutti tranne che per i Capitani, dissero che era per confondere quelli di sopra, effettivamente gli occhi bianchi ci diedero un vantaggio all’inizio ma poi ci si abituarono e ci presero per mostri e allora ci combatterono con ancora più foga. Piano piano iniziarono i trattati, non si sa come siano iniziati, fatto sta che arrivarono a un compromesso, nessuno sa come… noi potevamo avere una donna per ogni Capitano e loro avrebbero preso delle pillole, quelle per curarsi dato che non hanno la tecnologia per fabbricarsele… nell’ultimo periodo però sono riprese le ostilità, sono iniziati ad arrivarci prigionieri e il Generale ci ha chiesto di mandargli delle truppe... non so che cosa crei tutto questo odio, fatto sta che si insegna ai bambini a odiare quelli di Sopra che vengono torturati da gente come mio fratello, gli ordini del Generale sono comunque chiari. Dobbiamo rapirli, non si può discutere con lui. Ascolto in religioso silenzio. – Chi è il Generale? – Chiedo.
– Nessuno lo sa, è invisibile, potrebbe essere chiunque, comunica solo attraverso gli occhiali, nessuno l’ha mai visto, chi non obbedisce muore e basta, senza ragioni apparenti… Rimango in silenzio tramortita dalle sue parole, e se sapesse della mia fuga? No, non posso farmi prendere dall’ansia così facilmente… – Non mi chiedi chi sei adesso? – Chiede il Capitano curioso. – Perché dovrei? – Rispondo a tono. – Tutti vogliono saperlo. – Buona notte. – Dico ridendo e girandomi dall’altra parte per dormire. “io sono una Speciale” “io sono la più forte” “loro non mi sottometteranno” “Chiudi la mente”
21 – Occhi azzurri
– Ehi Mia, El vi aspettava. – Dice 153 appena ci vede. – È oggi il giorno prescelto? – Chiedo eccitata. Annuisce – Voleva dirvelo di persona ma è dovuto andare via. Luke sta arrivando. Luke e Jany entrano poco dopo, ci salutiamo appena per non dare nell’occhio, usciamo prima io Eric e 153 e poi Jany e Luke. – Come sta Benny? – Chiedo appena fuori. – Bene, per quanto una bambina possa stare bene in un posto del genere... – Commenta Jany triste. Annuisco comprensiva. – Il Capitano sospetta qualcosa su quello che sta succedendo nelle prigioni? – Chiede Eric a Luke. – No, è sempre fuori, appena arriva va da lei, sente 17 un attimo che gli dice che va tutto bene, dobbiamo stare attenti, sta tramando qualcosa... comunque siamo in vantaggio, il Capitano si fida molto di te e 17 vuole risolvere da solo la cosa, credo che voglia incastrare sia te che il Capitano, dobbiamo approfittare del momento però, non so per quanto il Generale continuerà a fare riunioni giornaliere, il Capitano potrebbe smettere di salire da un momento all’altro. – Concordo, ma dovrebbe essere tutto quasi pronto no? Manca solo Sil e da quello che ho sentito abbiamo già raccolto delle pillole, devo solo controllare una cosa poi potremo procedere a cambiargli colore, voi avete quella grigia. – Luke annuisce e me la a. – Poi possiamo attuare il piano? – Sì… però Luke per favore controlla 17, mi fa paura come si comporta, è da un
po’ che non lo vedo e che non mi minaccia… – Già è piuttosto tranquillo in questo periodo, non credo sia tanto positivo. Non rispondo ma guardo preoccupata Eric e lui restituisce lo sguardo abbracciandomi protettivo, mi sento subito al sicuro. – Arruola degli Occhi Bianchi, devono tenere d’occhio lui e i suoi uomini più stretti. – Sussurro. Arriviamo nella sala di produzione, Jany apre la porta ed entriamo tutti insieme. Mi trovo in una stanza enorme con un’immensa macchina bianca al centro. Non so dire quanto sia grande, è collegata al soffitto da un tubo massiccio che va ad inserirsi in una colossale sottospecie di caldaia bianca piena di pulsanti e leve. Dalla struttura centrale che sarà grande almeno quanto la camera da letto della Casa partono tantissimi nastri trasportatori, sopra ai quali si trovano dei cartelli di colori diversi. – I colori servono a non far confondere i bambini, non gli insegnano a leggere… Da un lato della struttura c’è una porticina dalla quale entrano ed escono dei ragazzi. – Sono pochi quelli che hanno il permesso di entrare, penso sia solo per aggiustare qualcosa nel caso ci siano guasti… ma non posso esserne sicuro – spiega Luke. Dei bambini in tuta bianca corrono a prendere le pillole, controllati da degli Occhi Bianchi, ognuno ne mette una manciata di un colore specifico in una scatolina di quel colore e la portano a dei tavoli bianchi che si trovano in un angolo dell’immensa sala, lì i bambini spruzzano una sostanza colorata sulle pillole e poi le mettono in delle scatole del colore della pillola. – Il processo di colorazione è estremamente facile, studiato per non fare confusione e ai bambini viene esplicitamente detto che non possono fare errori, quando iniziano ad avere un’età in cui fanno domande e iniziano a ribellarsi vengono ridestinati. In un altro punto della sala ci sono tantissime persone, sia Occhi Bianchi sia Condizionati, che guardano degli ologrammi proiettati nell’aria e scrivono delle
cose con dei pennini, più che altro formule matematiche e chimiche. – Lì studiano forme di pillole più funzionali o metodi più rapidi per realizzarne, o ne inventano di nuove, è una specie di centro di ricerca, quella è l’unica gente che ha studiato qua dentro… – Potrebbero darci una mano? – Chi? I cervelloni? No. Loro sono gli unici svegli quindi vengono scelti tra i più fedeli, pochi altri vengono presi se si capisce che sono intelligenti e hanno potenziale, ma vengono controllati ventiquattro battiti su ventiquattro, non c’è modo di avvicinarli, ci abbiamo già provato, è meglio contare sui bambini… – Ma Sil? Lui è riuscito a collaborare… – Già, ormai lo considerano fedele quindi mollano un po’ la presa, poi Sharpy è sua complice, lui ha saputo muoversi bene, altri non sono così bravi, o motivati. – Dov’è Benny? – Chiedo cercandola tra i mille bambini bianchi. – Vieni, ti porto da lei, sta dipingendo delle pillole qui dietro. Giriamo attorno alla macchina e arriviamo ad altri tavoli con altri bambini che dipingono pillole. È strano questo posto, è completamente bianco, come tutto, ma poi ha questi picchi di colore per indicare cosa devono diventare le pillole. Le persone con la loro pelle cerea si confondono con il bianco, si perdono nell’enormità di questa stanza. Benny sta dipingendo delle pillole facendole diventare azzurre, non dobbiamo dare troppo nell’occhio quindi prendo le pillole bianche che ho nascosto in una tasca dei pantaloni, circa una decina, e ne metto due nella scatolina di Benny che la dipinge e me la mette nella mano che tengo dietro la schiena. – Vedete? È tutto sicuro, nessuno potrà manometterle, il meccanismo è ineccepibile. – Commenta Luke facendomi sussultare, allora noto gli Occhi Bianchi che ci guardano sospettosi. – Vedo, ammetto di essere stupita, dopo aver visto le prigioni mi aspettavo di peggio. – Dico restando al gioco.
– Cosa vuole vedere ancora? – Chiede Luke fingendosi un po’ seccato. – Tu sei noioso, perché non mi guida un bambino? – Tu! Alzati! – Dice con tono duro a Benny. Lei si alza capendo al volo cosa deve fare. – Cosa posso fare per voi? – Chiede con la sua vocina dolce. – Mostrami cosa fate o per o. – Vieni. Mi fa strada verso i nastri trasportatori – Che colore vuoi vedere? – Chiede. – Fammi vedere la viola, e quella grigia. Finge di prenderne una dal nastro ma gliela o io, nessuno fa troppo caso a noi e 18 e 67 ci fanno da scudo, poi va al banco più vicino, la colora e me la da e io fingo di metterla in una scatolina ma me la infilo nella manica. Rifacciamo lo stesso con quella grigia. – Bene! – Dico alla fine. – Ho visto a sufficienza, sono lieta di vedere che fate del vostro meglio, riferirò tutto al Capitano. – 18, 67 potete accompagnarmi alla Casa, nel tragitto vorrei farvi ancora delle domande. Esco scortata da loro con le pillole contraffatte in tasca. – Cosa facciamo adesso? – Portate le pillole a Benny, fate in modo che ne tinga il più possibile, Jany distribuisce le pillole nei contenitori per gli Occhi Bianchi vero? – Sì, ogni Occhi Bianchi ha un contenitore con il numero. – Bene lei dovrà nel giorno prescelto scambiare le pillole buone con quelle false,
pensi di riuscire a farglielo fare? – Certo, si stava già preparando a una cosa simile. – Bene, Sil dovrebbe averne solo più per qualche giorno, poi saremo liberi.
Torno al centro di addestramento con Eric e Luke. Entriamo e ci troviamo davanti 17. – Che ci fai qui? – Dico combattiva. – La vera domanda è perché tu non eri qui. – Sono la Speciale adesso, di sicuro non devo rendere conto a te. Avevo un incarico importante che non ti riguarda, vero 67? – Assolutamente, incarichi segreti che non si possono svelare mica al primo che a. – Dice Luke guardando con aria di sfida 17. – Io non sono il primo che a. Sono uno degli Occhi Bianchi consiglieri del Capitano! – A quanto pare non ha apprezzato come hai trattato la sua Speciale e adesso anche lei fa le sue veci, non è il suo compito dopotutto? 17 sta per esplodere, fa per andarsene e intanto mi sussurra all’orecchio. – So cosa stai tramando piccola peste, per me non valgono le stesse leggi che valgono per il Capitano, non sono obbligato a trattarti bene! Non capisco cosa intende, ma gli lancio un segno di sfida e vado ad allenarmi con 153. – Cosa intendeva per “obbligato a trattarmi bene”? – Il Capitano è sempre obbligato a trattare bene la sua Speciale, qualunque cosa lei faccia lui non le potrà mai dire niente. È stata creata questa cosa molto tempo fa, in accordo con quelli di Sopra.
– Per questo mi ha accettata nonostante lui sappia che voglio fuggire? Annuisce.
– Ti amo lo sai? – Anche io. – Ribatto. – Come il vento? – Non posso amare nessuno quanto amo il vento. – Neanche me? – Nessuno. – Il cavallo. – Cosa? – Chiedo confusa. – Ami il tuo cavallo più di me. – Non è una domanda. – Lui non mi contraddice! – Scherzo rotolando nell’erba profumata. – Seriamente. I suoi occhi azzurri mi tolgono la visuale dal cielo, vedo solo quelli. – Nick… lo sai che… – Che cosa? Che non puoi impegnarti? Che sei una “Speciale”. Cosa c’è di male nell’innamorarsi? – Non posso! – Cosa non puoi? – Tu non puoi capirmi! – Dico seccata.
– Posso provarci! – No che non puoi. – Sussurro toccandogli il volto. – Sophie… – Sussurra posando la sua mano sulla mia, so dove vuole arrivare. – NO! Ti ho detto che non voglio parlarne. Tu non sai niente di me! – Io so tutto di te. – No, tu non sai niente di me. Solo il vento sa. – Io so di quando eri piccola e ti nascondevi al fiume, so del tuo diario segreto sotto al letto, so dei dolci che rubavi agli zii e so dei tuoi piani di quando avevi dieci anni di creare una setta che sconfiggesse i mali del mondo… – Basta, ti prego. – Io ti amo. – Sussurra restando sopra di me. – Anche io. – Sussurro chiudendo gli occhi. – Non è vero. Tu sai solo fingere. – Dice togliendo la mano dalla mia. – No, ti amo! – Sussurro. – Provamelo. – Come? – Baciami! – Sussurra. Apro gli occhi e lo guardo, ha sempre saputo che io non potevo baciare nessuno, baciare qualcuno voleva dire legarsi ed io non potevo legarmi. Ero destinata ad andarmene, avrei lasciato tutti a momenti. Era ormai questione di mesi. Non potevo affezionarmi, ma lui adesso è qui. Davanti a me che aspetta un bacio. Come può chiedermi questo? Mi alzo e me ne vado, corro scalza verso casa lasciandomi trasportare dal vento.
Mi sveglio turbata, ma non come al solito, non sono ancora riuscita a vedere il volto misterioso di occhi azzurri. Beh, almeno adesso so che si chiama Nick. Mi rintano sotto le coperte e aspetto che il Capitano mi faccia uscire. Lo fa prima del solito. – Dobbiamo parlare. Il suo tono non promette bene. – Cosa c’è? – Chiedo sospettosa uscendo dal mio rifugio solo con la testa. – Non possiamo andare avanti così, dobbiamo avere un figlio, lo sai vero? – Annuisco. – Non puoi continuare ad evitarmi! – Non sono pronta. – Ti ho già lasciato molto tempo, fin troppo! – Tu non sai di cosa ha bisogno una donna! Io ho bisogno di sentirmi corteggiata, amata e tu? Tu che fai? Niente! Me ne vado urlando a prendere i vestiti dall’armadio ed entro in bagno sbattendo la porta dietro di me. Mi sento così eccitata, adoro recitare, mentire, ingannare. Mi fa sentire potente. Posso far provare alle persone quello che voglio. Posso farle stare in pena per me quando in realtà sto benissimo, farle sentire in colpa quanto la colpa è mia. Mi vesto ed esco dal bagno sbattendo la porta, sfogo tutta la rabbia ata in quei gesti che in realtà sono solo l’euforia per la vicina fuga: – Vado a lavoro! Sbatto tutte le porte possibili, che sono comunque poche, e vado ad aspettare Eric nel corridoio fuori casa. Mentre aspetto cerco di trovare l’uscita. Dovrebbe essere qua da qualche parte… cerco una piastrella diversa dalle altre, sono piegata per terra che osservo il pavimento quando sento ridacchiare: – Cosa stai facendo?
Alzo la testa e trovo Eric che mi fissa ridacchiando. – Mi rendo utile, cerco l’uscita. – Dico seccata. Lui continua a ridere e mi aiuta ad alzarmi sempre ridendo, faccio una faccia imbronciata, mi spettina i capelli e mi a gli occhiali. Ci incamminiamo verso il centro di addestramento. – Manca poco. – Lo so. – Poi… – Lo SO! – Urlo. – Ti tirerò fuori di qui, con gli altri o no… possiamo fare le cose anche da soli. Se le cose si metteranno male lo faremo. E poi non stai più prendendo la pillola no? Mi guarda con le lacrime agli occhi. – Ci ho provato! Davvero. Ma 17 mi guarda mentre le prendo, mi fissa. Non ho modo di ingannarlo! Deve aver intuito qualcosa. Lo abbraccio forte: – Saremo fuori per il tuo compleanno, te lo giuro. – Non giurare cose che non puoi fare. – Lo farò! In un modo o nell’altro. – Ti amo, mi basta questo. Non mettere in pericolo la tua vita per me. Un suono acuto mi salva dal dover rispondere. – Eric? Sono El. – Ciao El, sono Mia. – Perfetto! Sil ha trovato un modo. Facciamo una riunione di emergenza, tutti adesso. Andate in sala riunioni, 153 lo sa già e ho già falsificato tutto.
– Cosa succede? – Chiede Eric. – Abbiamo una riunione speciale indetta da Sil. “El ci sei ancora? – Si, si… – Ci vediamo dopo, ce ne andremo presto di qui!”
22 – Il piano
– Ragazzi silenzio! Uno alla volta, so che siete perplessi e avete molti dubbi, ma uno alla volta per favore! – Tacciono e alzano tutti la mano. – Sì Sil. – Il mio piano è facile, non capisco perché ci sono tanti dubbi, faccio tutto io, da solo e se mi prendono mi assumo io la colpa. – Sì Luke. – Non faremo mai in tempo a scappare, gli Occhi Bianchi interverranno in fretta. Eric lo interrompe. – Abbiamo più alleati di quanto sembri e poi siamo tutti armati delle pillole false, gli Occhi Bianchi che potrebbero fermarci saranno svenuti. Sharpy lo interrompe. – Ma non abbiamo abbastanza pillole false per tutti! – Sì che le abbiamo. – Intervengo. – Abbiamo mandato le pillole di tutti gli alleati a Benny che le ha colorate, ne abbiamo tonnellate, le abbiamo date a un paio di Occhi Bianchi che si occupano della distribuzione di pillole. Faranno loro gli scambi. Sentite questo è il piano e non si cambia. Non possiamo più fare niente. Tra due giorni è il compleanno di Eric e Ninive partorirà a breve. Non abbiamo più tempo, dobbiamo agire adesso! Davanti a me si levano sospiri di sollievo e di preoccupazione. Eric mi guarda sollevato. Vuole baciarmi, glielo leggo negli occhi. Non posso permettergli di rovinare tutto, mi giro e corro via. Devo parlare con qualcuno, Myhara è in un angolo e decido di confidarmi con lei, è la persona che qui dentro assomiglia di più a un’amica per me. L’idea della fuga non mi alletta poi così tanto. Là dovrò scegliere, scegliere tra due parti di me. Occhi azzurri o Occhi Bianchi. Racconto tutto a Myhara e lei mi ascolta in silenzio.
– Tesoro, tu non sai poi molto di sto occhi azzurri o Mike o quello che è… non farti paranoie, quando lo vedrai capirai da sola cosa fare. Adesso non puoi fare progetti e va bene così, anche io ho sognato il mio amore, ma non so se mi vorrà ancora dopo quello che sono diventata. Si vedrà quando saremo fuori… adesso fai in modo di salvare Eric. Mi faccio riaccompagnare da Luke, non ho voglia di vedere Eric prima di aver riflettuto bene sul da farsi. Domani mi toccherà affrontarlo, mi sono sottratta due volte dai suoi baci, non posso nascondermi più. Io lo amo? Sì, sono sicura di amarlo, come sono sicura che amavo Mike. Allora perché non bacio mai nessuno? Cosa ho che non va? Perché ho paura di un semplice bacio quando mi hanno fatto molto peggio? Non ho mai baciato qualcuno in quel modo. Non ho mai pensato a qualcuno in quel modo. Prima sapevo di essere destinata a qualcosa di più grande ma adesso? Perché ho paura di un bacio? Vedo i suoi occhi, azzurri e sofferenti. Ecco perché! Non voglio ferire Mike. Ma così ferisco Eric. Saluto Luke, ho bisogno di stare sola. Prendo la pietra e guardo questo posto. Domani me ne sarò andata. Domani le persone che amo saranno libere. È possibile che provi una certa nostalgia di questo posto? Che il pensiero di lasciare il mio centro di addestramento mi faccia male? Che il pensiero di restare sola una volta fuori mi faccia sentire vuota? Cosa mi sta succedendo? L’idea della fuga adesso mi sembra così rischiosa, se ci prendono? Forse io sarò ancora una Speciale se sopravvivo ma gli altri? Non credo che avrò il potere di salvarli tutti. Sento il mio coraggio e la mia determinazione distruggersi al pensiero che qualcuno possa fare male a Benny, o a Eric. “faranno male solo al mio corpo, la mia anima sarà con te, sempre”. Adesso mi rendo conto, non voglio bene solo a Eric, voglio bene anche a 18, li amo entrambi. Amo sia quello che non mi ha fatto del male che quello che si è confidato con me nello stanzino. Amo tutti e due, è stato stupido dividerli, noi siamo solo una cosa sola. Io non sono la Speciale o Mia. Sono tutte e due. Lui l’ha detto chiaramente che ama tutte e due. Ed io l’ho lasciato. Ho lasciato una parte di lui. So cosa devo fare, lo bacerò, proverò a stare con lui, davvero. Non sarà un vero bacio, quello non me la sento ancora di darlo. Sarà un bacio finto. Lui non se ne accorgerà e sarà felice. Mi appisolo con questa convinzione.
23 – Papà
Sono nella mia camera, una copia delle fiabe di Beda il Bardo tra le mani, la spada poggiata affianco al letto, dei piccoli quadretti raffiguranti animali e paesaggi sul muro, giocatoli di legno per terra, un cane bianco ai miei piedi e un gatto nero accanto. Sento i i di mio padre per le scale, lo intravedo dalla fessura della porta, intravedo una lacrima sotto i capelli marroni. – Papà perché sei così triste? – Chiede la mia vocina. – La mamma non c’è più. – Sì che c’è, la sento. Mi guarda piangendo e lo vedo, per la prima volta vedo il suo viso. È così familiare. Non può essere lui!
Mi sveglio di soprassalto. La pietra è ancora lì, il piumone morbido sotto al mio corpo, un braccio dolorante dove ci ho dormito sopra… tutto è ancora come prima. Non devo aver dormito molto. Sento dei i. È presto per il Capitano, io me ne sono andata prima degli altri… non può essere ato così tanto tempo… nascondo la pietra sotto al piumone, sento bussare alla porta. Il Capitano non bussa mai. – Avanti. – Dico nervosa, chi può essere? – Che ci fai qui? – Chiedo preoccupata, è lui. Non può essere lui. – L’ho visto, ti ho vista, i tuoi occhi… – Anche io. – Sussurro. Ci abbracciamo forte. E piangiamo insieme, sento il calore del suo corpo, calore che solo un padre può trasmettere alla figlia, quel calore che ti fa sentire protetta, che ti dice che andrà tutto bene. Il suo corpo mi è famigliare come la sua voce
nonostante gli anni di separazione. – Perché? Perché mi hai lasciata. – Urlo picchiando i pugni sul suo petto trasportata dalle lacrime e dai singhiozzi. – Scusa, scusa tesoro. Volevo cercare la mamma, pensavo l’avessero presa! Pensavo… io ci speravo, non potevo vivere senza di lei, lei non poteva, lei non può essere morta. – Si scusa con le lacrime agli occhi. – La mamma è morta, te ne devi fare una ragione! Io ero viva! Io sono viva. – Urlo. – Me la sono fatta, adesso sono pronto. La verità è che credo di essere venuto qua per proteggerti, sapevo che ti avrebbero presa, volevo solo essere qui a proteggerti quel giorno. Pensavo di essere più forte del Sotterraneo e lo sono stato. Ho riconosciuto i tuoi occhi una volta arrivata, non sapevo chi eri, ma sapevo di doverti proteggere, io sapevo chi eri. – Tu mi hai abbandonata! – Urlo lasciando che tutta la rabbia degli anni ati a cavarmela da sola lo colpisca, tutti i giorni ati ad aspettarlo, curare gli animali da sola, le piante e la casa, non permettere al tempo di distruggere tutto. Io non potevo permettere che tutto morisse, lui ha rovinato tutto. Improvvisamente voglio fargli del male, voglio che paghi per tutto il tempo che mi ha lasciata sola. – No, no tesoro, io… – Tu cosa? Te ne sei andato! Mi hai lasciata sola, tutto quel tempo! – Ricordi di quei giorni mi tornano alla mente, la madre di Mike che riusciva a stento a badare ai suoi figli che mi abbracciava accettandomi nella famiglia, che tutte le mattine si alzava e sorrideva ai suoi figli, ma io sapevo che la notte piangeva. I fratelli gelosi di me ma che mi davano le fette più grandi dei dolci e mi spettinavano i capelli quando ero triste, loro non mi volevano bene, avevano pena per me. Tutti avevano pena per me, li vedevo come mi guardavano, c’era sempre qualcosa nei loro occhi che diceva “che bimba sfortunata” o “povera bambina”. Poi si avvicinavano e mi offrivano un dolce o mi davano un fiore, non sopportavo la loro elemosina, non li guardavo e avo oltre, gli altri bambini mi additavano come l’orfanella, solo perché io non giocavo con loro e non
accettavo le elemosine dei genitori. Dicevano che era strana, ero nella famiglia di Anne, lei sapeva le buone maniere, se non riusciva a impartirmele come agli altri suoi figli allora doveva essere colpa mia, ma io ero solo una bambina, doveva essere colpa dei miei genitori… mia madre era sempre stata additata come strana, ormai a cosa serviva leggere di storie vecchie e inventate? Tuttavia tutti sapevano che di nascosto andavano da lei per chiedere se nei suoi libri aveva una soluzione per questo o per quello. Mia madre era una specie di tuttofare, partecipava a riunioni e consigli della società, ma non era quella che si può dire una persona normale, tutti rispettavano le sue opinioni ma nessuno la rispettava come persona, la trovavano selvaggia alle volte, e poi mio padre con la mania del combattimento, non stupiva nessuno che io fossi diventata selvaggia quanto loro. Non gli era mai ato per la testa che potesse essere colpa loro e delle loro elemosine, dei loro sguardi accusatori e delle parole dolci dette solo per fare bella figura con gli altri, tutti quei bisbigli, io sentivo tutto, non serviva che si girassero e sussurrassero nelle orecchie, io vedevo e sentivo. Io sapevo. – Non eri sola, c’era Mike e Anne e… – Tenta di giustificarsi. – Mike era solo un bambino! E lo ero anch’io, sai cosa è voluto dire per me crescere in una famiglia a cui non appartenevo? Avevano otto figli! Io ero di troppo. Solo un peso, sono sempre stata solo un peso, per te, per la mamma, per tutti! – Ricordo quando Mike veniva da me perché i suoi fratelli gli facevano gli scherzi e io mi arrabbiavo con loro per proteggerlo. Una volta feci male al più grande, rischiai di rompergli un polso e la madre mi minacciò che se avessi fatto di nuovo male a qualcuno, non importa per quale motivo, mi avrebbe cacciata. Non penso dicesse davvero, era stanca e affaticata, quando era così minacciava sempre di cacciare tutti ma non aveva mai cacciato nessuno, ma io ero piccola ed ebbi paura, per quanto fero di tutto per farmi sentire parte della famiglia io mi sentivo fuori posto, non importa cosa fero per me. Io non ero parte della famiglia. Io non sarei mai stata parte di qualcosa, ero solo una povera ragazza orfana che si era rassegnata a cercare di integrarsi. – No, tu non sei un peso, tu… tu ti sei solo trovata in mezzo a eventi più grandi di te, non potevi farci niente. – Ma tu sì, e hai scelto di abbandonarmi per… per cosa? Per farti rapire e
cancellare la memoria? – Ricordo quando se n’era andato, era appena tornato dall’ospedale, le cicatrici fresche sui polsi, disse che andava a prendere il pane, non tornò per cena, io andai a cercarlo da tutte le parti, nessuno l’aveva visto, nessuno sapeva dove si trovasse. Rimasi sulla porta di casa ad aspettarlo tutta la notte e il giorno dopo. Vennero a prendermi infreddolita e affamata, mi addormentai tra le braccia della mamma di Mike. Non piansi, mai più, fino al mio arrivo qua, ma adesso, adesso che ricordo sento le lacrime seccarsi e rattrappirsi, sento che si ritirano, non so perché ma il ricordo di quelle lacrime, il ricordo di quell’urlo rimasero conficcati nella mia memoria, e ora tornano ad occupare il loro solito posto, lì fermi a bloccare ogni lacrima, il bianco mi aveva tolto anche quel ricordo, e adesso, adesso che lo sento tornare al suo posto a bloccarmi il respiro, a pesarmi sullo stomaco e strapparmi l’aria dai polmoni agogno una pillola bianca, voglio dimenticare, tutti quei giorni, tutte quelle lacrime non versate e urli mozzati, le notti insonni e gli attacchi di panico di una bambina rimasta sola. Voglio dimenticare. – Non pensavo l’avrebbero fatto, non lo sapevo, io volevo proteggerti, ho fatto di tutto per proteggerti. Tu sei la mia cucciola. Mi abbraccia ed io glielo lascio fare, mi aggrappo a lui e lo stringo forte come mai ho potuto fare, non piango per tutti gli anni ati da sola, per le giornate ate a pregare che lui tornasse a casa con la mamma, che loro apparissero dalla porta dicendomi che era stato tutto un malinteso, che adesso potevamo stare finalmente tutti insieme come una famiglia, lo stringo solo più forte che posso. Ma non successe nulla di tutto quello che avevo sognato, mai. Sono felice che lui sia qui adesso, sono sollevata nell’averlo al mio fianco in questo momento difficile, una parte di me sente che quel sogno è stato realizzato, che lui è finalmente tornato. – Sono felice che tu sia qui. – Sussurro. Mi stringe forte. Ma non è stato lui a tornare, sono andata io da lui. – Assomigli così tanto a tua madre. – Dice accarezzandomi i capelli e baciandomi la fronte. Ma lui è entrato da quella porta, ha riconosciuto i miei occhi. – Parlami di lei. – Chiedo triste.
– Lei era unica, identica a te. Amava leggere, studiava i libri e li ricopiava, scriveva anche storie sue. Era un artista, dipingeva e faceva sculture. Rideva sempre e amava la vita, rispettava la natura e il potere che essa sprigionava, sosteneva che tutto quello che fosse vivo avesse un’energia unica e che la si potesse sentire e trasmettere, lei… lei voleva il meglio per te. – E allora perché… – La mia voce si spegne in un sussurro. – Lei amava la vita, la rispettava, non si sarebbe mai suicidata. – Dice con voce sicura, quasi come per convincere se stesso. – E allora perché l’ha fatto? – Chiedo ritrovando la voce con un filo di rabbia. – Non lo so, secondo me non sopportava l’idea di dover vivere al chiuso, di dover lasciare tutti i suoi libri e quadri, a volte avevo la sensazione che amasse quelli più di qualunque altra cosa, eccetto te, aveva un amore morboso per tutto ciò che era arte, ci ava le ore e si perdeva nei mondi di cui narravano i racconti e i quadri. O forse semplicemente non sopportava l’idea di doverci abbandonare, forse erano entrambe le cose, per lei questo posto sarebbe stato peggio della morte… non mi parlò quel giorno, venne da me e mi abbracciò, mi disse che sarebbe tornata tardi, di non aspettarla, tu stavi ancora dormendo, ti baciò sulla fronte come sempre e ti sussurrò qualcosa all’orecchio. Poi uscì. Non la rividi mai più, ma non posso ancora credere a quello che ha fatto. – Non riesce a trattenere le lacrime, io sì. – Mi disse che mi amava e che sarebbe rimasta sempre con me. Ma non era vero. – Dico con una risatina isterica. – Cosa intendi? – Chiede arrabbiato. – Lei mi ha abbandonata al suo destino, sapeva che avrebbero preso me al suo posto, come ha potuto farmi questo? Come avete potuto abbandonarmi? – L’immagine di me su quello stesso burrone mi trafigge la mente, io che penso di farla finita, che non vale la pena di andare incontro a un futuro non mio, che quella non era la mia vita, che io non potevo vivere la vita di mia madre, una vita che lei stessa aveva rinnegato. Per colpa sua io ero quasi morta. Io sono morta. Perché io su quella scogliera sono morta, con quel tuffo tutti i miei ricordi sono spariti ed io sono finita qua senza aver la possibilità di combattere. È colpa sua se io sono morta.
– Tesoro… non potevamo pensare finisse così… – E come pensavate che sarebbe finita? Che mi avrebbero lasciata stare, che avrebbero mollato la tradizione perché lei si era suicidata? Lei è morta invece di affrontare le sue responsabilità e tu te ne sei andato per venire qui ad aspettarmi invece di provare a tenermi al sicuro, potevamo scappare, io te e la mamma. – Ci sono cose dalle quali non si può scappare. – Dice con tono grave. – Lei è scappata e anche te. Io mi sono allenata giorno e notte come volevi tu per cercare di salvarmi. – Immagini degli allenamenti sotto la pioggia, il vento e la neve mi colpiscono. Mike ed io che lottiamo sotto la pioggia incuranti dei corpi fradici e del freddo, lottando nella speranza che almeno quello mi possa salvare. ammo ore e giornate intere nascosti nei boschi ad allenarci con le spade di mio padre e dei vecchi libri che avevamo trovato o degli appunti di mio padre. a volte provavamo a cacciare con i coltelli ma io non sopportavo l’idea di uccidere animali innocenti quindi restammo sempre su bersagli fatti da noi, riuscimmo perfino a farne di mobili. – Ho visto, sei diventata bravissima. Sono molto orgoglioso di come sei diventata, andandomene avevo paura che avresti lasciato la tua vita, che ti saresti persa, speravo che usassi quello che era successo come motivazione, ma non ci contavo troppo, ma non potevo sopportare che ti portassero via e ti torturassero senza che io avessi una possibilità di aiutarti. Lo fatto per te, non sei felice che io sia qui adesso? – Chiede speranzoso. –no, voglio che tu te ne vada – dico con voce calma e controllata – Non puoi pensare che dopo tutto questo tempo io ti possa accettare così, ho fatto a meno di te per tutti questi anni, continuerò a vivere come sempre, tornerò alla mia vita, e tu non ne farai parte, non più. Hai fatto la tua scelta, ora io faccio la mia. – Cosa stai dicendo? – Chiede con una lacrima al bordo dell’occhio destro. – Che non ti voglio più vedere. Vattene – Dico con voce stanca e rotta dal pianto che sento salirmi dalla gola e che non verrà mai lasciato sfogare. – Sophie io… – Cerca di spiegarsi. – Non parlare, peggiori solo le cose, tu mi hai abbandonata. Non ti posso perdonare, non adesso. – Dico con voce sempre più stanca.
– Sophie… – Vattene! – Gli urlo – Sono Mia adesso. – Dico con l’ultimo filo di voce che mi è rimasto. Si gira e se ne va con le lacrime agli occhi, l’ultima immagine che ho di lui sono le sue spalle sulle quali ho giocato tante volte da piccola. Poi crollo al peso di tutti i ricordi che mi hanno colpita, ma non piango.
24 – Cena
Vado verso l’armadio per cambiarmi, non voglio che il Capitano mi veda in questo stato, dovrei spiegare perché ho gli occhi rossi e non una lacrima, perché sento di aver perso qualcosa nonostante io abbia ritrovato tutto e sono cose che non mi sento di spiegare neppure a me stessa. Non me la sento di recitare adesso, non me la sento di fare niente, vorrei solo essere me stessa, anche se non so cosa voglia dire essere me stessa, io non so chi sono, posso avere anche ritrovato tutti i miei ricordi, potrò essere di nuovo incapace di piangere ma sono cambiata, non sono più la bambina che sognava il ritorno del padre, quella che gli sarebbe solo saltata in braccio. Ora sono diversa. Non sono né la ragazza rapita che mentiva per sopravvivere né quella che lottava per non essere catturata. Non sono più niente. Vorrei solo poter piangere tutte le cose che mi sono uscite dalla bocca e delle quali non ricordavo niente, tutti quei ricordi ritrovati, la mia mente che riprende il controllo. Ho bisogno di una doccia. Apro l’armadio in cerca di qualcosa adatto a stasera e vedo un abito rosa pallido, pieno di pietruzze preziose rosate e bianche. Accarezzo la seta e trovo un biglietto:
Ci vediamo a cena. Capitano.
Prendo il vestito e m’infilo in bagno. Vicino al lavandino c’è una trousse piena di trucchi. Mi faccio una doccia, lascio che tutta la rabbia scivoli via con l’acqua, devo andare avanti, è troppo tardi per mollare, per prendere due pillole e andare avanti come se nulla fosse mai successo, è successo e devo affrontarlo, devo andare avanti perché è la cosa giusta. Non posso annullarmi, non adesso, non ancora. La pillola bianca sarebbe cedere, sarebbe ammettere che ho perso, che il Sotterraneo ha vinto ma lui non ha ancora vinto, devo lottare fino al mio ultimo respiro, devo trovare chi sono, nonostante questo significhi morire e perdere quel poco che ho. Eric.
Devo scappare per lui, devo salvarlo, per me è troppo tardi e questi pensieri lo confermano. Io non sono fatta così, io non tento di convincere me stessa a essere cosa non sono. Io sono debole e prima lo accettavo, prima accettavo di non essere in grado di far nulla, ora voglio convincermi di essere più forte delle pillole, di essere più forte del mondo, ma non lo sono, posso solo sperarlo e fare quello che è giusto per Eric, Ninive, Mhyara e gli altri, per loro forse non è troppo tardi, forse loro hanno ancora una parte di loro nascosta da qualche parte. Esco e mi profumo, Cell entra e mi guarda, ha delle strane occhiaie, pensavo non soffrissero il sonno gli Occhi Bianchi… – Ciao! – La saluto cercando di sembrare allegra, e mi riesce, sono così brava a fingere emozioni agli altri… magari ci riuscissi a me stessa. – Ciao. – Risponde triste. – Cos’hai? – Le chiedo. – Gli Occhi Bianchi non mi lasciano in pace, mi fanno fare sempre i lavori più faticosi, non li sopporto più, e tu? Mi sembri triste… – Problemi con mio p… con 153, niente di preoccupante… tranquilla. – Dico mentre comincia a truccarmi. – Usciremo presto da qui, domani saremo liberi. Sorride soddisfatta e continua a lavorare in silenzio, mi fa un trucco leggero. È da un po’ che è strana, viene a portarmi le pillole certo, ma perché non mi guarda in faccia? Quando le parlo ha un atteggiamento strano, come se fosse triste per qualcosa, e poi c’è quel suo modo strano di fare domande e di voler sapere tutto subito ma allo stesso tempo una certa sottomissione… questo posto fa male alle persone, le trasforma in modi strani, sembra quasi godere della sofferenza delle persone, nessuno è felice qua, neanche i Capitani. Indosso il vestito e mi lego i capelli con una pinza in modo che mi lascino il viso libero e che ricadano morbidi sulle spalle. Sono cresciuti ancora. C’è un calo di tensione, deve essere il settimo battito. Mi guardo allo specchio; sembro felice, faccio la faccia più entusiasta che posso pensando che domani sarò libera, che questo oggi che dura da troppo tempo potrà diventare un domani sotto a un cielo stellato. Guardo i miei occhi, hanno delle pagliuzze bianche, sono più dell’ultima volta che le ho viste ma a pensarci bene non mi sono mai guardata bene allo specchio, ne ho sempre avuta troppa paura. Sono comunque troppe, nonostante abbia smesso di prendere le pillole, chissà forse non sono quelle a trasformarti
ma il posto in se’, all’improvviso mi sento di nuovo osservata, come se il posto stesso mi stesse guardando, mi ero abituata talmente tanto a questa sensazione da non farci più caso. Esco dal bagno inquieta ma sorridente e trovo il Capitano vestito elegante seduto ad un tavolino con sopra del cibo vero. Lo guardo sorpresa, non me lo aspettavo. Cammino fino al tavolino e mi siedo guardando il cibo sognante. – Sorpresa? Sorrido felice. – Sì, molto! – Mangia pure. Non mi fido, studio il cibo, deve mangiare prima lui, l’ultima volta che non sono stata attenta non è finita bene, e poi nonostante sia stata ore intere a desiderare del cibo c’è qualcosa nella mia pancia che mi da una grande nausea, un pensiero tormenta i miei pensieri, ma sorrido. Sono felice. – Dove l’hai preso? – Chiedo fingendomi ammirata. – Devo uscire per mantenere questo posto, l’ho preso fuori. – Dice studiando la mia espressione Inizia a mangiare ed io lo imito titubante. Come primo c’è una pasta con del pesto la mia preferita. – Ti piace? – Chiede. – L’amo, è la mia preferita! Come lo sapevi? – Chiedo fingendomi curiosa. – Come fai tu a saperlo… Mi blocco, non posso permettere che la sorpresa per questa domanda rovini tutto, devo andare avanti, devo inventarmi qualcosa e in fretta, sono più brava di lui in questo gioco.
– Mi è stato chiaro appena l’ho assaggiata, mi ricorda il basilico fresco e… – Senti, non mentirmi, so che c’è qualcosa che mi stai nascondendo, e non mi piace, 17 sta tramando qualcosa, e faresti meglio a dirmi cosa stai combinando se vuoi che io continui a proteggerti, pensi che non sappia che tutti mi stanno tenendo all’oscuro di qualcosa qua dentro? Non sono così stupido, so che tu centri qualcosa con qualunque cosa mi stiano nascondendo, e non credere che io non sappia che tu non stai prendendo più la pillola bianca, ma in fondo non m’interessa, fai quello che vuoi, se vuoi ricordare ricorda ma non sono sicuro che tu voglia davvero far riemergere certe cose, la cosa migliore per vivere qua è arrendersi al nulla, all’inizio è dura ma quando ti abitui a non essere nessuno le cose migliorano. Ti prego dimmi la verità, non ti posso proteggere se tu non me lo permetti. – Non so di cosa tu stia parlando. – Dico mangiando una forchettata di pasta. – Non mi mentire, tu sai qualcosa e me lo stai tenendo nascosto, io voglio solo proteggerti, sai cosa? Ci sono Capitani che le loro Speciali le trattano peggio delle schiave, non possono restare neanche nella Casa, io ti permetto di stare qui, ti ho portato perfino una cena, non ti va bene? Cosa vuoi di più, più non posso darti. – È vero. – Dico fredda guardandolo negli occhi. – Cosa? – Chiede confuso. –17 ed io ti stiamo tenendo all’oscuro di una cosa. – Ribatto posando la forchetta e guardandolo fisso. – Cosa? Parla con me! – Chiede disperato. – Io stavo facendo un giro del Sotterraneo, ne ho fatti molti, volevo vedere di cosa sei responsabile, tu mi avevi parlato di 17 e pensavo che come referente non andasse bene, già che sono qui devo rendermi utile no? Dato che ci devo restare per il resto della mia vita voglio integrarmi nel mio ruolo. Ho iniziato a fare dei giri per assicurarmi che 17 non avesse minato la sicurezza di nessun componente del Ramo. – E hai trovato niente? – Chiede interessato.
– Sì, la sicurezza è terribilmente mediocre, ho finto di avere cattive intenzioni, sarei potuta scappare mille volte avessi conosciuto l’uscita. E 17 non era più preparato di altri. – Davvero? – Già, allora si è arrabbiato con me, mi ha minacciata, ma l’ho messo in riga, non ti devi preoccupare, ho assunto il controllo della situazione, non sono l’unica a essere contro di lui, non ero sola. – Perché non me lo volevi dire? – Non ero sicura fossi d’accordo, e poi volevo che le cose si definissero, non sono ancora sicura di chi detenga un potere effettivo tra noi due. E poi non ti volevo preoccupare, hai i tuoi problemi di Sopra e non volevo aggiungertene, io me la so cavare. Ho battuto 17 una volta, posso farlo un’altra. Abbiamo finito entrambi la pasta, lui si alza e porta via le stoviglie, torna con un piatto di pollo con delle patate fritte e arrosto. – Non ero sicuro di quali preferissi… – Mi piacciono entrambe, non ti preoccupare. Tu non lo mangi? – Chiedo notando che non ha il pollo. – No, io sono vissuto sempre qua, non ho le difese adatte, tutti gli animali hanno subito mutazioni dopo la Grande Guerra, noi di Sotto non mangiamo mai animali troppo mutati. – E io posso mangiarlo perché…? – Chiedo sospettosa. – Arrivi da Sopra, loro sono abituati a mangiare animali, avete sviluppato una specie d’immunità. – E le verdure? – Anche quelle sono mutate ma non tanto quanto gli animali, non sono pericolose per l’organismo se mangiate una volta ogni tanto. Fisso il pollo, non voglio mangiarlo, se non lo mangia lui non lo mangerò
neanche io. – Non lo mangio. – Perché? Pensavo ti pie… Guardo le tre zampe del pollo, la sua pelle dorata da una perfetta cottura… – Adesso sono una di voi, non sono più una di Sopra, non sono più una Condizionata, sono una Speciale. – Questo vuol dire che sono perdonato? – Chiede speranzoso. Prendo una patatina per prendere tempo, per trovare il coraggio di dire quella parola che non sarà mai falsa quanto adesso. – Dimmi perché l’hai fatto prima, tutte quelle cavolate sul fatto che mi permetti di restare in Casa e tutto, tu hai… tu hai osato… – Nessuno sta bene qui dentro, nessuno fa una bella vita, io devo avere un erede, ho provato prima in quel modo, è così che si fa qui, se ti avessi chiesto cosa sarebbe cambiato? Avresti detto no e io sarei rimasto fregato, lo rifarei e lo rifarò se non accetterai. Mi piacerebbe però instaurare un altro tipo di rapporto con te. – Non lo farai più, non importa cosa tu mi dici, se lo rifarai te ne pentirai, io sarò brava quanto vuoi, l’erede lo avrai ma ai miei tempi, a 17 ci penso io, so badare a me stessa. Accetto solo di cercare di instaurare un rapporto con te, ti perdonerò, forse un giorno. Ma te lo devi meritare. Si sporge verso di me con quello sguardo negli occhi, mi prende il viso tra le mani. – Sei unica. – Sussurra. – Posso? Annuisco, e gli concedo quel bacio che non mi fa provare niente se non pena per il livello a cui mi sono abbassata, ma non l’ho perdonato. – Sai anche io mi sento strano in questa situazione. – Dice staccandosi dalle mie labbra dopo un bacio corto e dolce. – Sento che non mi appartieni. Ma queste sono le regole. Non le ho decise io ma sta a me mantenere le tradizioni. Questo
posto non può cadere nell’anarchia. Mi sembra di averti dato abbastanza libertà. – Non è giusto. Lo sai vero? – Gli dico trattenendo tutto quello che vorrei urlargli. – No. Per noi è giusto, è così che si fa. Tu sei Speciale. Dovresti saperlo, tutte le tue antenate sono state come te. – Non mia madre. – Lei era la migliore, ma ha deciso di morire pur di non venire qua. Per questo c’è tanta differenza d’età tra noi due. Dovevi rimpiazzarla e in fretta, ma saresti arrivata qua comunque, il Generale voleva te qua, non tua madre. – Perché? – Chiedo confusa. – Te lo dirò, dopo. – Non volevi provarci con le buone? – Non ti sto facendo del male, ti sto… incentivando. – Ormai è inutile pensare al ato. Sono qua ormai. – Mi alzo e gli vado in contro. – Sono pronta. – Davvero? – Gli brillano gli occhi. – Ma non stasera. Sono piena e ho voglia di dormire, la pasta era squisita e anche le patate ma adesso sono stanca, oggi mi sono allenata più duramente e non ho preso le pillole. Domani ci vediamo al quinto battito okay? Vedrò di non stancarmi. – Gli prometto. – Al quinto battito, non prima, non dopo. Annuisce. Vado in bagno e mi tolgo il vestito, lo poso, me lo rimetterò domani. Mi corico e mi addormento immediatamente con lui abbracciato, il suo tocco mi fa male, resto immobile, cerco di rilassarmi e di isolare i ricordi di quella sera, non sono pronta a riesumarli, devo scappare, devo riuscire a scappare, non posso restare qui. Conto da 100 in giù tentando di fare un respiro al secondo, mi addormento al due. “io sono una Speciale”
“io sono la più forte” “loro non mi sottometteranno” “Chiudi la mente” o una notte con fin troppi sogni, ma al mio risveglio spariscono tutti, non so perché ma ho la vaga sensazione di aver sognato Cell e 17…
25 – Fuga
Mi sveglio felice. Bacio il Capitano. – Al quinto battito! Non prima, non dopo. – Dico correndo in bagno. Mi vesto ed esco veloce senza guardarlo. Fuori ad aspettarmi c’è Luke, rimango delusa un attimo poi ricordo: è parte del piano. Camminare al suo fianco è strano, lui non è Eric, non mi sento protetta. Arriviamo al centro di addestramento. – Pronta? – Chiede prima di aprire la porta. – Certo e tu? – Chiedo nervosa. – A dopo – Dice sorridendo. – A quando saremo liberi! – Ribatto entusiasta. Andrà tutto bene, me lo sento. Entro e vado da 153, vederlo mi fa venire una fitta al cuore, ma facciamo tutto come al solito, nonostante i nostri sforzi noto un po’ di tensione che viene aumentata da una strana elettricità che gira nell’aria e si rispecchia nei volti dei miei vicini, come se tutti fossero consapevoli di cosa sta per accadere. Mi alleno con più forza che posso, devo essere pronta e reattiva. Mentre combatto chiedo a 153 informazioni sotto voce: il piano è già in corso e lui è in contatto con tutti tramite gli occhiali, Arms si sta allenando accanto a me. – Come sa andando? – Chiedo nervosa, non oso pensare a cosa succederà se le cose dovessero andare male. – Sil sta manomettendo il generatore. È pronto, El ha manomesso già tutto, sta aspettando che noi ci mettiamo in movimento. Le pillole sono state scambiate. C’è un calo di tensione più lungo degli altri. È il segnale! Tutti iniziano a prepararsi per tornare nelle celle per la consegna delle pillole che avverrà tra un battito.
Prendo delle armi, coltelli da lancio e pugnali e me li lego con delle cinghie alle caviglie, adesso non importa se mi vedono. Esco di corsa, Eric mi stava già aspettando. Corriamo per gli infiniti corridoi verso la Casa. Arriviamo in orario, come da programma, corro in bagno e lui mi aspetta fuori. Mi metto il vestito bello e ci nascondo le armi sotto. La spada la nascondo nell’armadio. Al quinto battito sono pronta. Esco e lui è lì. Che mi aspetta coricato sul letto, disarmato. Debole. L’adrenalina mi scorre dentro e non riesco a pensare ad altro. Mi avvicino all’armadio e gli parlo da in piedi. – Togliti gli occhiali, voglio vederti negli occhi. – Dico scostandomi i capelli dagli occhi. Se li lega al collo. Adesso non può più neanche comunicare. – Sai a quest’ora tutti prendono le pillole… tranne te. – Mi guarda perplesso. – Tu le prendi dopo gli altri, ma tutti, anche gli Occhi Bianchi le prendono a quest’ora. – Non capisce. – Tutti tranne te. Quindi mi spiace ma il piano per te è un po’ diverso… Tiro fuori la spada prima che riesca a muoversi o a capire cosa sta succedendo e gliela punto al collo. Strappo la collana che tiene gli occhiali e li prendo con la mano libera continuando a puntare il suo collo. Me li infilo e vedo che fuori dalla porta è segnato un quadratino arancione. L’uscita! Muove veloce una mano e preme un pulsantino sul muro. Si sentono delle sirene. – Verranno a salvarmi! – Non credo proprio… ENTRATE! Entrano 153, 18 e mi vengono in contro, il Capitano sorride beffardo ma il sorriso gli si spegne quando lo immobilizzano. – Dategli le pillole. Gli o le pillole e loro gliele fanno inghiottire a forza. Sviene immediatamente, io prendo la pillola grigia. – Cosa succede? Sil non ha distrutto il generatore? – Chiedo, ormai le luci si
dovrebbero essere spente tutte. – Dovrebbe aver già fatto… – dice Eric preoccupato. – È in ritardo, vado a vedere. – dice 153. – Papà, non andare ti prego! – Non ci possiamo separare, non adesso. Mi guarda triste. – Devo proteggerti. – Corre via. Io ed Eric rimaniamo soli, sento le lacrime tentarmi gli occhi ma non mi lascio scoraggiare, lui guarda 153 andarsene perplesso ma non commenta, immagino che pensi che questo non sia il momento giusto per le spiegazioni. – Scusa. – Di cosa? Lo bacio. È un bacio salato, ha il sapore delle lacrime che non mi sono uscite. Ma non è vero, lo so perché non provo niente. – Non ti dovevi scusare. – Dice delicato. – Cosa? – Chiedo confusa. – So che questo bacio non era vero. Ma apprezzo il tentativo. – Mi accarezza il volto. – Era vero. – Sostengo con poca forza. – Io ti amo lo stesso. Lo accetto, capisco che per te non è così facile. Ne hai ate tante, quando saremo fuori sarà tutto diverso. Non immagina quanto. – Ti devo fare una confessione. – Cosa? Si spengono tutte le luci. Rimaniamo al buio. Le nostre mani si cercano e si trovano.
– Cosa? – Ripete. – C’è un ragazzo fuori… mi ama ma io non so se lo amo o no, forse in ato… adesso amo solo te. – No, tu ami Eric. – Dice triste. – No, io amo Eric e 18. Ci abituiamo in fretta al buio, non è un buio totale, è più un “semibuio” quasi totale, si vede abbastanza da potersi muovere, proprio quello che volevo, Sil è un genio. Arrivano di corsa Luke, Benny e Jany. – Jany tieni Benny qui, io vado a prendere il mio gruppo. Si baciano veloci e Luke corre via. – Cosa è successo? – Chiedo nervosa. – C’è stato un problema con Sil, ma è riuscito a risolverlo. Non ci sono stati altri problemi comunque. Arriveranno tutti presto. Stiamo in silenzio nell’attesa che arrivino tutti. Si aprono delle porte e da ciascuna entrano delle persone. È giunto il momento. Penso intensamente al sole, all’erba, al cielo e la vedo. Sopra di me gialla è perfetta la piastrella della salvezza: – Eric, prendimi in braccio. Devo raggiungere il soffitto. Arrivo al soffitto e premo la piastrella. Mi allontano e vedo calare dall’alto una scala. – Salite! Salite in fretta! – Mi rivolgo a Eric. – Io esco ultima, tu vai. – No, aspetto con te. E restiamo, mentre tutti salgono, ad aspettarlo, mio padre, perché io non sono come lui, non lo abbandonerò, nulla di quello che ho detto nella stanza ha più importanza ora che non torna. Vedo tutti quelli che mi ero giurata di salvare, Myhara si mette ad aspettare con noi e poi anche Luke e Sil. Sharpy è rimasta
indietro. Mio padre non arriva. Non arriva più nessuno. – Quanta gente abbiamo salvato? – Chiedo. – Circa cento persone… poche per la capienza di questo posto ma molta gente ha avuto paura e non ci ha seguiti, anche chi ci era stato alleato andoci le pillole. Si apre una porta, guardo speranzosa ma poi lo vedo. 17. – Non gli hai dato le pillole? – Urlo a Eric. – No, era compito di chi le doveva scambiare. Ha mio padre. – SOPHIE! Scappa! Lasciami qua e vattene! – Urla mio padre. – Vieni qua Sophie o Mia e non gli succederà niente! – Ringhia maligno 17. Io rimango lì, ferma con la mia spada in mano, Luke fa salire Benny e Jany e poi si mette al mio fianco insieme a El, Arms, Sil ed Eric. Come l’hanno saputo? E poi la vedo, Cell tra loro che mi guarda con aria di sfida, che mi dice che io mi sono fidata di lei, che io ho messo in pericolo tutti. La rabbia aumenta dentro di me mentre ricordo il mio primo giorno, come ero riuscita ad aprire tutte le porte senza che suonasse nessun allarme, a come lei mi aveva detto di consegnarmi, che non mi avrebbero fatto del male e di quella sua espressione indecifrabile. – Non sei l’unica che sa recitare. – Mi dice beffarda. Ma qui io sono l’unica armata! Gli corro incontro con la spada sguainata, mio padre lo buttano per terra, è intrappolato in un campo, e hanno intrappolato anche me. Sento il mio corpo rimanere immobilizzato, sono troppo debole, sono troppo stanca. Eric mi urla di andare con lui sulla scala, è sul primo gradino ma mi sta aspettando. – VAI! – Urlo.
– NO! Io sto con te. – Dice. – Ma che teneri. – Dice 17. – Peccato che siete destinati a morire qua dentro! 17 mi prende la spada dalla mano e fa per trafiggermi. – Ti avevo detto che avrei vinto. So che sto per morire, ma non riesco a combattere il campo, mio padre sanguina, riesco solo a vedere la macchia di sangue allargarsi e ripenso a quando l’avevo trovato in cucina. Gli scagnozzi di 17 mi tolgono tutte le armi e le puntano ai miei amici. Siamo in cerchio, io sono al centro, in ginocchio accanto al corpo di mio padre, con Eric davanti a me con uno dei miei coltelli puntati alla gola. Il campo mi molla, sono debole e in qualche modo l’assenza del campo mi fa sentire nuda, so che potrei combattere ma che non ne ho la forza. 17 si inginocchia accanto a me e mi punta la lama alla gola, la sento fredda pungermi il collo e bloccarmi il respiro. – Tu non sei obbligato a fare questa fine. – 17 si rivolge al figlio. – Mi hai deluso, ma io sono pronto a perdonare. Sei giovane, hai tanto da imparare… – Lasciala. – Lo prega Eric. – Lasciala e farò tutto quello che vuoi. – Figliolo, sai che non posso farlo, lei ha capitanato una rivolta assieme al Capitano, io ho salvato la situazione, il Generale non saprà nulla della tua pazzia, ti ricompenserà. Io sarò fiero di te, lasciatelo. – 67 lo lascia e gli da un pugnale in mano. – Non ti chiedo di uccidere la ragazza, so che ci sei affezionato, puoi uccidere chi vuoi. È facile. 98 fagli vedere come si fa. 98 prende il mio pugnale in mano e con un taglio netto e deciso taglia la gola a Sil. Urlo con tutta la voce che ho in corpo e mi fiondo verso il corpo di Sil, ma 17 mi blocca e preme la lama più a fondo nella mia gola, un rivolo di sangue cola sul collo. – Hai visto, è facile, fallo e io ti considererò di nuovo mio figlio, io sarò fiero di te. 18 è combattuto, come può essere combattuto? Tutto quello che mi ha detto sul
padre? Come può prendere in considerazione una cosa del genere? – Eric, Eric ti prego. Non puoi farlo. – La lama preme più forte ed esce più sangue. – Lei non vale niente, guarda, può morire, come tutti. Mi getta al suolo, con la pancia all’aria e si mette in piedi, punta la lama della spada sul mio cuore e si prepara a trafiggerla. Intravedo un movimento di piedi e poi chiudo gli occhi.
La lama non arriva, sento un rumore di piedi e apro gli occhi di scatto, sono di nuovo libera di alzarmi, scatto in piedi e vedo 17 ferito per terra, Arms tiene 98 per il collo, Luke ha ucciso l’Occhi Bianchi che lo teneva prigioniero e ha liberato Myhara, El tiene immobilizzata Cell mentre 13 giace al suolo svenuto. Prendo un pugnale da per terra e scatto in piedi, 17 fa un movimento veloce e afferra Eric per il collo. – Lo ucciderò, lo sai. Lo fisso mentre stringe il braccio e rischia di soffocarlo. Improvvisamente provo una rabbia mai provata prima, immagino di strangolare 17 e lascio che tutta la forza della pillola grigia venga sprigionata dal mio corpo. 17 fa una faccia dolorante e si accascia per terra. Eric mi corre incontro massaggiandosi la gola. Io non distolgo lo sguardo dal corpo inerme di 17. – È una bella sensazione, vero? Vuoi che lo faccia ancora, vero? Ti piace. – Gli urlo. – Vai al diavolo. – Sussurra a denti stretti. È un attimo, El si distrae a guardarmi, Cell si muove veloce e prende una lama da terra, fa per ucciderlo ma Arms è più rapido e si mette tra lui e la lama. Non posso credere che se ne sia andato anche lui, non per colpa mia, vedo tutto appannato, macchie rosse si mischiano a un urlo silenzioso. Luke colpisce gli Occhi Bianchi rimasti ed Eric prende mio padre e lo tira su da terra, poi reggendolo mi prende e mi trascina su per la scala. Myhara mi tiene in piedi e mi guida per le scale, salito il primo gradino continuo da sola, continuo senza
guardarmi indietro. Continuo fino a vedere la luce del sole. Non sento i rumori, non sento le porte chiudersi.
26 – Liberi
L’aria ghiacciata mi trafigge le narici, sa di pino e neve mischiati assieme nell’odore dell’inverno. Sa di fresco. Sa di vita. Salgo gli ultimi scalini con foga, corro fuori. Chiudo gli occhi lasciando che il mondo mi si presenti sotto gli altri sensi, l’aria che mi accarezza il corpo, il terreno sotto ai piedi, il sole, il vero sole che mi trafigge le palpebre, l’aria di pulito. Ma c’è qualcosa di sbagliato. Rimango ferma immobile, congelata dal terrore di quello che ci aspetta fuori, l’aria è troppo fredda e mi fa rabbrividire, il terreno sotto ai miei piedi me li congela sotto le scarpe sottili, il sole è troppo flebile, l’aria mi punge la gola ferita. Apro gli occhi e quello che temevo si presenta ai miei occhi. Le tute bianche che si confondono con il bianco della neve. Eric che mi guarda perplesso. – È neve, siamo in inverno. – Non riesco a trattenere una nota di panico nonostante la gioia dell’essere riuscita a scappare, la porta si chiude dietro di noi perdendosi nel bianco della neve, davanti a noi si estende una pineta, tutto attorno è deserto, scorgo delle montagne dietro la pineta, il villaggio deve essere là da qualche parte, i piedi nudi bruciano al contatto con la neve. – Neve. – Sussurro. – Neve. – Ridacchio in modo isterico, neve certo, dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto quello che ho subito, finirò così. Nella neve. Eric mi guarda preoccupato. – Abbiamo poco tempo, se ci fermiamo troppo moriremo congelati. – Urlo cercando di riprendere il controllo, dobbiamo almeno provare a raggiungere il villaggio. – Dove sono gli altri? – Chiede Sharpy venendomi incontro, accanto a lei ci sono Jany e Benny, perché non sono con Luke? Mi giro, dov’è Luke? – Mia? – Sharpy, mi spiace… – La voce fatica ad uscire mentre rivivo l’orrore di quegli attimi. – Sil… ci hanno fatto un’imboscata, loro volevano me. – Gli occhi iniziano a tremare per lasciare le lacrime libere di uscire. – Lui e Arms… – Mia, dov’è Luke? – Chiede Jany parlando piano, Myhara l’abbraccia ma lei la
caccia urlando, io singhiozzo ma le lacrime non riescono a scendere e questo mi fa singhiozzare ancora più forte. – Eric? Cosa è successo? Dov’è Luke? – Mi accuccio a terra cercando di soffocare il dolore. Mi guarda con gli occhi pieni dello stesso dolore che mi costringe a terra. – C’è l’avevamo fatta, eravamo riusciti ad uscire. Tutti gli Occhi Bianchi erano per terra, o morti o svenuti… ma 17, era ancora sveglio, ha afferrato Luke per una caviglia e poi ha chiuso il aggio, non potevamo fare nulla. – Perché non me l’hai detto! – Gli urlo. – Dovevamo tornare indietro! – No, non potevamo, sarebbe stato troppo rischioso, e comunque la porta era stata chiusa, non c’era modo di tornare indietro! Mi giro verso, Jany e Benny, vorrei dire loro qualcosa, ma non so cosa, loro guardano nel vuoto prive di espressione, Arms, il ragazzino che mi aveva insegnato a giocare e che aveva avuto il coraggio di ribellarsi alla fine, Luke. Aveva fatto così tanto per cambiare, per poter vivere con Jany, l’amava così tanto. – Mia, dobbiamo andarcene… potrebbero uscire a cercarci… – Dice una voce che non riconosco. So che non lo faranno, ma ho bisogno di andarmene da lì, ho bisogno di scappare. Mi metto alla guida del gruppo e tutti mi seguono tremando dal freddo e andosi a vicenda, le uniformi inzuppate, nessuno chiede niente, nessuno fiata, sappiamo che stiamo andando incontro alla morte, sappiamo che camminare non servirà a nulla. Sharpy si avvicina a me. – Io non ti seguirò, andrò dall’altra parte. – Urla irata. – Come ti pare. – Sbotto continuando a camminare senza voltarmi a guardarla e senza provare a ribattere, moriremo tutti, non m’importa più. – Tu hai ucciso Sil, non ti seguirò. Chi viene con me? – Urla. Non mi giro a guardare quanti se ne sono andati, continuo nella pineta reggendo mio padre con Eric, Myhara e Ninive accanto a me. Sento Benny e Jany dietro di
me, a questo punto sono gli unici di cui m’interessi qualcosa, ma avrei preferito che Jany e Benny se ne fossero andate, sento i loro sguardi traarmi la nuca e accusarmi di non aver fatto abbastanza, sento le loro accuse silenziose tanto quanto quelle di Sharpy, ho ucciso l’unica persona a cui lei avesse mai tenuto, lui era come un padre per lei. Io le ho ucciso il padre, ho lasciato indietro quello di Benny e il mio è in fine di vita. Continuiamo a camminare, chiusi nel silenzio, tutti abbiamo perso qualcosa, tutti hanno perso una parte di se’. L’unico rumore sono i rametti spezzati sotto i nostri piedi e un sommesso canto di uccelli invisibili. A volte si sente un fruscio che indica che la foresta non è disabitata, per terra ci sono orme di zoccoli e piccole zampette. I rami bassi degli alberi ci costringono spesso ad abbassarci e la neve ci cade addosso dalle cime dei pini. Radici sbucano dal nulla davanti ai nostri i e battiti di ali sferzano l’aria sulle nostre teste facendo cadere la neve. Le gambe iniziano a cedermi, i piedi congelati fanno male ogni o di più, il vestitino rosa non mantiene per niente il caldo e presto i miei denti smettono di battere tra le mascelle troppo congelate per muoversi, nessuno è messo meglio, le tute bianche non sono fatte per queste temperature, siamo solo una banda di corpi bianchi congelati dal colore che ci uccide piano, in mille modi diversi. Il bianco degli occhi e dei capelli, che ti annullano la personalità, e il bianco dell’inverno, che ci sta immobilizzando il corpo, facendo uscire il calore con delle nuvolette bianche di calore vitale che ci abbandona a ogni respiro. E a ogni respiro, sentiamo il gelo entrare per ucciderci e il caldo uscire insieme a ogni speranza di vita. Arriviamo in una radura che nessuno di noi è più in grado di camminare. Ci sediamo per terra abbracciandoci tutti, sapendo che la nostra fine è vicina, ma nessuno fiata. Ninive si tocca la pancia, riesco solo a sussurrarle uno “scusa” silenzioso, lei mi guarda lasciando che un sorriso tirato le si dipinga sul volto. – N-n-non s-s-cu-cusarti – Rantola. – M-m-morirò c-con lei, r-rest-rest-eremo ininsieme, p-p-per s-s-sem-sem-pre, p-pref-f-feri-risco mo-morire a-a-ass-assieme a-a lei che n-n-non… – Non finisce la frase che gli occhi le si chiudono e una lacrima cola ghiacciata sul suo viso. Mi stringo tra le braccia di Eric cercando di pensare ad altro che non sia vedere i miei amici morire.
– G-guarda. – Sussurro. – U-un la-go, e q-quel-le d-d-dietro s-sono mo-montagne, i-il r-rivo-lo g-ghiac-c-ciato c-c-che l-e co-colle-ga è u-un f-fiu-me, e s-sulla mo-monta-gna c’è l-a s-sua so-sorgente. Il sole tramonta dietro le montagne immergendoci in rossi gialli e rosa, tra un po’ farà davvero freddo e già si fanno sentire i primi ululati dei lupi e delle civette. Nuovi brividi scorrono nelle vene mie e dei miei compagni, perfino chi non sa cosa siano i lupi avverte la loro minaccia. – T-ti a-amo – Sussurra Eric con le labbra viola sentendo la morte avvicinarsi. Gli guardo gli occhi con l’ultima pagliuzza marrone, e poi le labbra e vengo percorsa da un brivido lungo la schiena, un brivido che non ha niente a che fare con il freddo o con la paura, un nuovo tipo di desiderio mi pervade. – T-ti a-amo a-anc-he i-io. – Rispondo con una lacrima ghiacciata al bordo degli occhi. Poi abbasso le palpebre e lascio che le mie labbra si avvicinino alle sue, lascio che alle mie labbra ghiacciate aderiscano le sue, che si uniscano a formare una cosa sola. Una piacevole calda sensazione mi pervade mentre il ricordo di Sil e Arms si perde tra i baci e le carezze. Lascio una lacrima scendere debole, ormai non conta più nulla. Rimaniamo abbracciati in un unico corpo, mentre piano piano ci addormentiamo, sento il respiro di Eric rallentare e il suo cuore faticare a battere il sangue ghiacciato, non c’è più bisogno di parlare, ci siamo già detti tutto. Il mio cuore rallenta, ormai non ho più ragione di lottare. Sil e Arms sono morti per colpa mia, Luke è rimasto bloccato e gli altri sono qui in una landa ghiacciata in mezzo al nulla a morire. Ho distrutto tutto, aveva ragione Eric, dovevamo uscire da soli, non dovevamo fidarci, non dovevamo portare a morte così tante persone. Guardo il grappolo di quelli che mi hanno seguita e che adesso mi abbraccia per scaldarsi. Non posso sopportare il loro tocco, provo a muovermi con le ultime forze che ho, trascino le membra intorpidite e ormai congelate fuori dagli abbracci. Una mano di Eric scivola e le sue palpebre tremano. Io continuo a strisciare fino ad arrivare fuori. Non sento neanche la neve fredda, la mia pelle è
ormai troppo congelata. La mia più grande paura si sta avverando, mentre il freddo mi congela le ossa sento la neve cadere e sommergermi, morirò assorbita dal bianco. I ricordi si appannano mentre il mio corpo viene circondato da candida neve, il bianco è tutto attorno a me. Chiudo gli occhi ripensando a tutto, rivivendo i momenti ati con Eric, i suoi abbracci e il nostro ultimo bacio, alla fine ci sono riuscita, sono riuscita a baciarlo per davvero, anche se è stata l’ultima cosa che ho fatto almeno gli ho dimostrato che lo amavo davvero. Perché se ami qualcuno questo è quello che conta, farglielo sapere, fargli sapere che resterai sempre al suo fianco, qualunque cosa accada, fargli sapere che non importa dove sei o in che situazione, importa solo che siete insieme. E noi siamo stati insieme fino alla fine, io gli avevo promesso che l’avrei fatto uscire e l’ho fatto, gli ho fatto vedere le montagne e i laghi e le sorgenti. E adesso lui sarà già morto, morto per colpa mia e della mia stupida idea della fuga. Cosa mi costava restare dentro? Certo sarei dovuta rimanere con il Capitano, ma potevo prendere la mia vita in mano e restare al suo fianco. Ora saremmo ancora vivi. Ma a che prezzo? Perdere i ricordi, non ritrovare mio padre forse alla fine avrei perso anche Eric. Ora stiamo morendo insieme, non importa cosa avrei potuto fare, come avrei potuto agire, la mia vita sta per finire un’altra volta ma adesso nessuno potrà salvarmi. Il bianco mi avvolgerà, sparirò sotto esso e non combatterò, sono stanca di combattere, di lottare contro il mondo per salvarmi. È strano come io abbia pensato tante volte di accogliere la morte ma come adesso che si presenta la vorrei cacciare, perché adesso? Il mondo ha voluto che io morissi, me l’ha fatto capire in più situazioni, ma io mi sono sempre ribellata e adesso non ho più voglia di provare a vivere, perché dovrei lottare quando sento la morte così vicina, quando la posso toccare con le mie mani. Neanche più il pensiero di Eric riesce a farmi combattere, è tardi. La sento avvolgermi, bianca e mortale, prendersi a una a una ogni cellula penetrando fino al midollo nelle mie ossa. Mi avvolge la mente, un lupo ulula. Due occhi azzurri. Un ciuffo biondo. Labbra sottili. Buio. È tutto buio.
Ringraziamenti
Ringrazio Andrea per l’incoraggiamento senza il quale non sarei mai riuscita a finire questo libro, Federica per aver ascoltato tutti i miei farneticamenti senza lamentarsi ed Enrico per i pareri obiettivi e l’aiuto a fine lavoro nel ricontrollare che il tutto avesse un minimo di senso logico. Il ringraziamento più grande a mio padre per avermi sempre incoraggiata e sostenuta e per aver curato tutta la parte più tecnica. E a tutti quelli che mi hanno sostenuta e ispirata anche inconsapevolmente.